Did You See The Flares In The Sky?

di Myra11
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Cos'era quel gocciolio continuo? ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Conseguenze ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - La casa in montagna ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Strane alleanze ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Sangue e spiegazioni ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6- L'altro lato della medaglia ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Rivelazioni sotto il sole ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Pioggia e proiettili ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Fuoco nella notte ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - La casa della leggenda ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Il nuovo re ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12-Sole e luna ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Il sangue degli dei ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - L'altro lato della medaglia ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - La prima volta che vidi il tuo viso ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Colui che sanguina ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - Ricordi ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Cuore ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Cos'era quel gocciolio continuo? ***


CAPITOLO 1
 
Il primo raggio di sole gli sfiorò la pelle mentre inspirava a fondo.
Cercò di aprire gli occhi, ma era troppo stanco, così si limitò a godere del calore dell’estate.
Cos’era quel gocciolio continuo?
Sembrava pioggia, ma sentiva chiaramente il caldo, e la pace di una giornata soleggiata.
Eppure, quel suono ritmico continuava.
Fu l’odore a strapparlo da quella falsa pace.
Un odore pungente, forte, e fin troppo familiare.
Ecco cos’era quel gocciolio.
Sangue.
Ma di chi?
Si accigliò, mentre la consapevolezza del proprio corpo tornava come un’onda sulla spiaggia.
Aveva un muro freddo alle spalle, un raggio di sole sul viso, e ogni fibra del corpo contorta e dolorante come se un branco di chocobo l’avesse appena calpestato.
Con uno sforzo titanico, aprì finalmente gli occhi.
Non c’era niente di pacifico.
Era in una stanza piccola, composta di pietra vecchia e umida, chiusa da sbarre incise che brillavano piano.
Quando cercò di muoversi, il tintinnio delle catene gli comunicò che non gli era possibile.
Quello, e il fatto che il gocciolio proveniva dalla ferita al braccio, e al fianco.
Si abbandonò contro il muro, troppo stanco per provare qualsiasi cosa per togliersi da lì.
Faceva fatica a respirare, e all’improvviso ricordò cos’era successo – quanto tempo prima? – nella foresta.
La fitta che percepì fu più emotiva che fisica.
Era andato contro le sue convinzioni, contro i suoi desideri.
Tutto per una promessa.
E loro l’avevano tradito.
L’avevano avvelenato, affaticato e ferito.
E letteralmente pugnalato alle spalle quando avevano danneggiato la fonte della sua vita.
Chiuse gli occhi e sbuffò pesantemente.
«Merda.»

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Conseguenze ***


CAPITOLO 2

 Quando sentì la porta della cella aprirsi aveva perso il senso del tempo da un bel po’.
Il braccio e lo sparo al fianco stavano facendo fatica a guarire, e lui l’aveva attribuito al veleno che gli avevano confessato essere nel proiettile.
Vide una figura vestita di bianca inginocchiarsi davanti a lui e aprire una borsa.
Un medico, comprese quando estrasse le bende.
Da quanto tempo non aveva bisogno di un medico?
«Cerchi di stare fermo, per favore.»
«Hm.» Confermò che si, sarebbe stato fermo, e lasciò che l’uomo aprisse la catena del braccio ferito.
Appena fu libero piantò un pugno ben assestato al viso del dottore, e lo afferrò per la gola approffittando del fatto che fosse stordito.
Mentre l’uomo cercava di evitare che il sangue gli colasse sulle labbra, Nyx gli pose una semplice domanda.
«Cosa mi hanno fatto?»
«Io…non ho idea di cosa stia parlando. Mi è stato detto che c’era un paziente che necessitava le mie cure, tutto qui.» Borbottò l’uomo, confuso, ma stranamente calmo.
«Mi lasci…andare, per favore.»
Nyx aprì la mano, permettendo al medico di ricominciare a respirare, e di occuparsi del naso rotto.
Mentre lo guardava alzarsi e quasi fuggire, si chiese perché diamine un semplice colpo come quello gli avesse lasciato la mano così dolorante.
Semplice, si rispose, stava perdendo troppo sangue.
Chiuse gli occhi e si rilassò contro il muro e, quando un nuovo dottore si fece avanti, non si mosse, lasciando che gli disinfettasse e bendasse il braccio.
«Lo vuoi un consiglio, ragazzo?»
Aprì un occhio a quella domanda, e incontrò gli occhi pacifici di un vecchio di quasi settant’anni.
Piegò le labbra in un sorriso sarcastico. «Sono più vecchio di tutta la tua famiglia messa assieme, dottore. Ma parla, ti ascolto.»
Il vecchio si piegò a prendere ago e filo. «Stai buono qui per un po’, finchè non sarai guarito del tutto. Poi, potrai prendere a pugni tutti quelli che vuoi.»
Nyx assaporò a lungo quelle parole, ed era così stordito e assorto che quasi non sentì l’ago infilarglisi sotto la pelle del fianco, chiudendo il buco del proiettile. «Oh lo farò, vecchio. Lo farò.»
«Bene. La vendetta ti impedirà di perdere la testa. O ti aiuterà a farlo.» Il medico si strinse nelle spalle mentre si alzava a fatica.
Armeggiò un po’ con le catene, e Nyx glielo lasciò fare.
Aveva ragione.
Non aveva  senso opporre resistenza in quello stato.
Avrebbe atteso, e avrebbe lasciato che le sue future vittime lo aiutassero a guarire.
«Riposa, ragazzo.»
Sentì i passi che si allontanavano, la porta che si chiudeva con uno stridio.
E poi il buio lo accolse di nuovo.
Quando riaprì di nuovo gli occhi, lo accolse il roboante scroscio di una cascata.
Si guardò intorno, e si rese conto di essere a Galahd, nella piccola conca dove andavano a nuotare.
«Nyx!»
La voce era familiare e, abbassando lo sguardo, si rese conto di essere sulla traballante piattaforma sopra la potenza della cascata che si gettava nel basso.
«Che stai facendo? Vieni!»
C’era sua sorella, là, la sua sorellina al fianco di Libertus.
Fece un passo avanti, pronto a raggiungerli, a riportare tutto nel passato, ma non riuscì mai a compiere quel gesto, perché fu brutalmente svegliato a schiaffi da qualcuno che, si disse desiderava morire.
Riaprire gli occhi fu doloroso,  perché l’immensa luce sopra di lui lo accecò.
C’erano figure, intorno a lui, e una di loro era lo stesso uomo che gli aveva sparato, e che ora lo prendeva a schiaffi per farlo svegliare.
«Ben svegliata principessa.» Sogghignò, e Nyx piegò appena la testa di lato, ignorando chiunque altro fosse presente, e piantandosi nella mente quel volto. Doveva avere meno di trent’anni, con i capelli castani e gli occhi nocciola, e un sorriso beffardo che lo fece irritare.
Distolse lo sguardo, mordendosi la guancia per evitare di sorridere.
Prima o poi avrebbe cancellato quell’espressione dal volto del soldato.
«Nyx, mi senti?»
La voce lo distrasse da suoi pensieri omicidi, e fu costretto ad annuire per risposta.
L’uomo, che portava la giacca bianca di un medico, annuì soddisfatto. «Bene. Abbiamo richiuso le tue ferite, e ora devi presentarti dal re.»
Sarebbe scattato a sedere, pronto a vendicarsi, se quell’emicrania terrificante l’avesse lasciato in pace.
«Voi…mi avete avvelenato, vero?»
«Abbiamo preso precauzioni. Non sappiamo cosa sei in grado di fare.» Gli spiegò gentilmente il dottore, e poi gli passò un braccio intorno alle spalle e lo tirò su, aiutandolo a mettersi seduto.
Non ricordava nemmeno l’ultima volta che si era sentito così, se ma c’era stata.
«Patetico.» Rise una voce alle sue spalle, e Nyx voltò il viso per fulminarlo con lo sguardo.
Appena lo fece, la luce sopra di lui iniziò a bliccare, disturbata, e quello fu sufficiente per togliere il sorriso dalla faccia dell’uomo. Nyx sorrise mentre scendeva dal letto e accettava di buon grado il bastone che gli veniva porto.
Era ferito, stordito e ammanettato, eppure il ghigno che rivolse al soldato davanti a lui era gelido, e feroce.
«Qual è il tuo nome?»
«Ettore. Che ti importa?»
Nyx si strinse nelle spalle, e lasciò che lui e gli altri tre soldati gli si disponessero intorno.
Quando il bruno gli fu davanti, rispose.
«Volevo sapere che nome incidere sulla tomba.»
Era una risposta teatrale, e arrogante, ma entrambi sapevano che, in realtà, era una promessa.
E Nyx Ulric manteneva sempre le sue promesse.
 

 
Il colpo lo raggiunse con precisione tra le scapole, e lo fece finire carponi sul pavimento.
Quando qualcuno lo tirò in ginocchio con uno strattone delle catene, Nyx tornò a guardare davanti a sé.
Non era riuscito a trattenersi.
Nonostante lo stato in cui era, appena entrato nella sala del trono aveva agito d’istinto, e ora aveva una guardia con un livido viola sul volto, il re con un sottile graffio sul volto e un pugnale piantato nello schienale del trono.
«Basta.» Ordinò il sovrano, alzandosi, e Nyx digrignò i denti.
«Non meriti di occupare quel posto. E non meriti nemmeno il nome che porti.»
«Forse.» Concordò Ravus, poi si rivolse ai soldati. «Andatevene.»
«Altezza, siete sicuro…»
«Via. Ora.» L’uomo tagliò bruscamente le proteste delle guardie, e loro obbedirono controvoglia.
E Nyx scoppiò a ridere mentre si tirava in piedi barcollando. «Tu vuoi morire.»
Il re sospirò, e qualcosa nel suo viso sembrò crollare.
«Forse sarebbe più facile. No, Nyx, voglio che tu risponda ad un paio di domande, e in seguito voglio che tu mi ascolti. Puoi farlo?»
L’uomo sputò sangue sul marmo, e ciò gli confermò che aveva decisamente qualcosa di più serio di semplici ferite esterne. «Forse. Ma questo non ti garantisce che ciò che sentirò mi farà cambiare idea.»
«Quanti anni hai?» Esordì il re, scendendo le scale con studiata cautela.
Nyx scosse le spalle. «Ho perso il conto. 500, anno più anno meno.»
Ravus sembrò impressionato dalla sua risposta, ma lo nascose in fretta. «Allora è vero. Sei tu, il vessello della dea.»
«Bahamut…»
Fu una sensazione così forte da fargli perdere quasi l’equilibrio.
C’era stato troppo silenzio, in quella cella.
«Cosa le avete fatto?» Ringhiò contro l’uomo dai capelli neri, che sollevò una mano per placarlo.
«Dovrebbe essere sana e salva. È solo…sedata.»
«”Dovrebbe”?»
«Ascoltami, e poi ti farò l’ultima domanda.»
Nyx raddrizzò le spalle, sondando quella parte del suo cuore che non era sua, dove c’era la sua luce.
Ed era lì, si rese conto con un sospiro di sollievo, era lì come fuoco sotto le braci.
Mentre Ravus lo osservava, cedette alla stanchezza e si sedette sul marmo fresco, poi fece un cenno al re. «Parla, finchè ne hai l’occasione.»
«Due mesi fa i miei figli, e mia moglie, sono stati rapiti da un gruppo chiamato “Le spade dei Re”. Controllano mezza città, ormai, e nella richiesta di riscatto non c’erano soldi, o titoli, ma…»
«C’ero io. Cosa vogliono da me?»
«Non ne ero sicuro, ma ora che so che sei davvero tu, e cosa c’è nel veleno che ti hanno dato, immagino che il loro scopo sia di controllarti.»
Nyx inarcò le sopracciglia e si alzò, sentendo i punti sul fianco saltare, e il sangue impregnargli i vestiti.
«Ho sentito abbastanza. Me ne vado.»
«Aspetta! Loro…minacciano di uccidere dieci cittadini ogni giorno, se tu lasci la città.»
Nyx esitò un attimo, digrignando i denti.
Aveva ragione, pensò divertito, quella città non era mai tranquilla.
«Nyx, ho bisogno del tuo aiuto. Consegnati a loro, salva la mia famiglia.»
Fu quella frase a piegare l’ago della bilancia verso la decisione definitiva. Si voltò verso il re con un sorriso ironico.
«Mi stai supplicando? Se mi avessi spiegato prima la situazione, ti avrei aiutato, ma…»
Vide che Ravus sapeva quale sarebbe stata la risposta, vide la paura infilarsi in quello sguardo verde, e si strinse nelle spalle con aria innocente. «Mi hai ingannato, ferito e avvelenato. Tu, e questa città, mi avete tradito. Non ci penso lontanamente ad aiutarti.»
E mentre ancora si godeva l’espressione del re, il dardo lo raggiunse alla gola, e l’ultima cosa che vide prima di svenire fu il grande affresco del soffitto.
E l’abito bianco della donna dipinta.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - La casa in montagna ***


 CAPITOLO 3
 
Svegliarsi di nuovo fu un incubo.
Imprecò a bassa voce, e strattonò le manette che gli chiudevano i polsi.
A quanto pareva, le portava da abbastanza a lungo perché il metallo iniziasse a graffiargli la pelle.
Quando sentì lo scossone capì di non essere nella cella, ma su un veicolo in movimento, e quell’idea gli provocò una fitta di adrenalina.
Ovunque stesse andando, chiunque ve lo stesse portando, era l’occasione per andarsene.
Lontano da Insomnia, e da Lucis, a smaltire la schifezza che continuava ad iniettargli nel corpo, e riprendersi. Per tornare e ucciderli tutti.
Assaporò quell’idea con gusto mentre il furgone rallentava.
Quando le porte vennero aperte e lui si ritrovò quattro fucili puntati alla testa decise che, per una volta, per ora, avrebbe fatto il bravo.
Essere ridotto ad uno scolapasta non era per niente la sua idea di estate tranquilla.
«Giù.»
Obbedì con accondiscendenza, osservando di sott’occhio le armi dei suoi carcerieri.
Fucili, un paio di pistole, una spada.
Niente, se fosse stato in piena forma, e tutto per com’era ridotto in quel momento.
Senza contare il fatto che era ancora ad Insomnia, come gli comunicarono le case e le strade asfaltate.
Avrebbe rischiato di perdere un braccio o una gamba cercando di fuggire da lì.
La Barriera scintillava sulla città, e lui raggiunse ancora una volta quel nucleo silenzioso di luce che era la dea. Gli mancava, si rese conto, gli mancava sentire la sua voce, la sua presenza.
Per la prima volta da centinaia di anni, era veramente solo.
I fucili gli si appoggiarono alla schiena, e lo spinsero nella casa di fronte decisamente con poca delicatezza.
Quando la porta gli si chiuse alle spalle, Nyx si trovò solo, e in un grande salone illuminato solo da candele tenue. Sembrava vuoto, ma l’atmosfera che regnava era opprimente, e l’uomo desiderò poter avere la magia come non mai; in quel modo avrebbe potuto vedere chi, o cosa, lo stava aspettando nel buio.
Tuttavia, magia o no, Nyx era un soldato da ben più di una vita umana, e quando qualcuno si mosse alle sue spalle, fu il suo corpo a reagire per lui, piegandosi di lato e scansando la coltellata per un soffio.
Sollevando lo sguardo incrociò una maschera terribilmente simile a quella magitek, e lui continuò il suo assalto, approffittando della perdita di equilibrio del suo aggressore e mandandolo a terra con un calcio al petto.
Gli bloccò la mano armata con un piede, e piantò l’altro sull’elmo che gli copriva la faccia.
«Spero che lo spettacolo vi sia piaciuto.» Esclamò, guardandosi intorno.
Erano come una corrente da una finestra socchiusa, quasi impercettibile ma presente, intorno a lui.fu
Le sue parole furono seguite da un lento battito di mani mentre qualcuno avanzava.
Zoppicando, si rese conto, come se stesse trascinando una gamba.
Un anello debole, calcolò mentre veniva circondato da soldati armati.
«Immagino dovremmo aumentare la dose di sedativo.»
«Direi di si, se è in grado di fare questo.»
Conosceva quelle voci, pensò, ma era impossibile che fossero lì, erano morti da secoli, e lui stesso li aveva uccisi. Si voltò con estrema cautela, e fu costretto a fare un passo indietro.
Ardyn e Drautos, fianco a fianco, lo stavano osservando.
«Sembra che abbia visto un fantasma.» Esordì Ardyn, e Nyx scosse la testa, cercando di focalizzare la mente. Quando lo fece, vide che i due uomini davanti a lui erano persone comuni, a parte le cicatrici sul viso di uno e la benda sull’occhio dell’altro.
Erano nel presente.
Stranamente, la cosa lo fece sorridere tra sé e sé.
«Nyx, lo sai chi siamo?»
Si strinse nelle spalle, spostandosi con calcolata noncuranza verso il muro e appoggiandovisi.
Aveva il battito accelerato, irregolare, nonostante non avesse fatto nessun tipo di fatica. «Fino ad un minuto fa non sapevo nemmeno della vostra esistenza. Ora ve la faccio io una domanda. Cosa volete da me?»
L’uomo con le cicatrici sul volto era un soldato di sicuro, calcolò Nyx; era sulla cinquantina, armato fino ai denti, e ogni fibra del suo corpo tradiva tensione.
L’altro, che si rese conto era colui che trascinava la gamba, sembrava una sorta di scienziato, e fu proprio lui a rispondergli.  «Vogliamo che tu riporti il regno al suo antico splendore. Rivogliamo la magia che la dea ci ha tolto, e tu sei l’unico a possederla. E ora la userai per noi, quando noi lo decideremo.»
Nyx incrociò gli occhi del soldato, e per la prima volta da secoli sentì un brivido sulla schiena.
Era un uomo pericoloso, e lui non era nelle condizioni di affrontarlo.
«E se mi rifiutassi?» Domandò, osservando la mano dell’uomo sfiorare la coppia di pistole che portava al fianco. Sarebbe riuscito a neutralizzarlo il tempo sufficiente per fuggire?
In risposta alla sua domanda, l’altro uomo ridacchiò divertito. «Speravo me l’avresti chiesto.»
Quando la fitta al cuore lo costrinse in ginocchio sputando sangue, Nyx lo fece imprecando come un criminale contro quel gruppo male assortito che era riuscito a fregarlo.
Sputò un grumo di sangue argentato sul pavimento, e inspirò a fondo prima di riuscire a parlare di nuovo. «Bahamut…»
Un attimo di silenzio, e poi la risata di entrambi gli uomini riecheggiò nella piccola stanza.
Il soldato gli si avvicinò con calma, poi gli tirò un calcio che lo fece finire disteso a terra, e gli posò un piede sotto la gola. «Spetta a te scegliere, relitto. Tu lavori per me, e tu, la tua dea egoista e tutta la città starete bene. Lucis tornerà ad essere la potenza che era un tempo, e si espanderà ben oltre i suoi vecchi confini.
Tu disobbedisci, e noi uccideremo la dea. E poi ci divertiremo a guardarti impazzire.»
«Se uccidete lei, ucciderete anche me, e sarete punto a capo.» Sussurrò Nyx, e la sua risposta gli fece guadagnare una pressione alla gola che gli tolse quel poco di fiato che gli restava.
L’uomo che lo bloccava sogghignò. «Qui ti sbagli. Ma non ti interessano i dettagli. Se non ti importa della tua vita, sappi che ci aiuterai comunque. Quindi fai il bravo.»
«Suvvia amico mio, merita di sapere la verità. Nyx…» Lo scienziato si avvicinò zoppicando, e gli dedicò un sorriso quasi curioso. «Quella che senti nel tuo cuore attualmente è un’illusione. Abbiamo strappato la dea dal tuo cuore, quindi possiamo farle cosa vogliamo senza toccarti. Nonostante la vostra…evidente connessione, che ti permette di utilizzare la magia nonostante tutto. Fulminate il Cristallo.» Ordinò nel telefono, e l’attimo dopo Nyx si stava contorcendo sul pavimento, senza riuscire ad urlare dal dolore per colpa dello stivale sotto la gola.
Quando la scossa finì, seppe che quel pazzo aveva ragione.
Perché nell’angolo del suo cuore dove risedeva la dea c’era solo un eterno freddo.
La consapevolezza di essere veramente e completamente solo dopo quasi mezzo millennio gli si schiantò nel petto, privandolo delle poche forze che gli restavano.
Lei era sempre stata lì.
Era stata la sua alleata contro il buio.
L’aveva consolato in silenzio quando lei era morta, e l’aveva vendicato all’assassinio della figlia.
Era la sua ragione per riprendersi, il suo equilibrio.
E non c’era più.
«Allora?»
Spostò lo sguardo sull’uomo che lo stava bloccando.
Era di nuovo lì, quel vuoto che minacciava di risucchiarlo, un mare senza nessuna sensazione.
Chiuse gli occhi, e il suono della cascata gli riempì le orecchie.
C’era anche Crowe, laggiù ad attenderlo, ora, e Luna, e la sua bambina, e tutti coloro che aveva amato.
Tutti avvolti in un’acqua nera come la pece.
«Salta, forza!» Fu proprio Luna ad invitarlo, e Nyx fece il passo che gli mancava.
E saltò nel buio.
«Farò ciò che volete. Non importa.»
«Bene.»
 
un mese più tardi...
 
Insprò a fondo l’aria pulita della montagna, e aprì la scatola.
La polvere la fece tossire, ma la scacciò velocemente, e scostò i piccoli contenitori fino a trovare una lettera dall’aria antica, chiusa in una busta nera, con semplicemente un nome scritto sopra.
Nyx.
«Mamma?» La chiamò mentre scendeva le scale, incuriosita dal plico.
Trovò la madre in cucina, ma il suo viso impallidì appena vide cos’aveva in mano. «Dammi!»
Le strappò la lettera di mano, nascondendola in una tasca del grembiule, e lei inarcò un sopracciglio.
«Mamma, chi è Nyx? E chi ha scritto la lettera?»
«Non sono affari tuoi. Dimenticati di questa storia, e non andare più in soffitta.»
«Non devo veramente ricordarti che ho ventiquattro anni, vero? Non sono più una bambina.»
Incrociò gli occhi scuri della madre, e alla fine lei cedette.
«Un tuo antenato ha scritto la lettera. Nyx è…»
«L’uomo dagli occhi d’argento.» La voce roca della nonna interruppe la conversazione mentre l’anziana entrava nella casa. «L’uomo dagli occhi d’argento ha bisogno di noi.»
«Mamma, sono solo storie.»
«Zitta, Dayanara. Vieni qui, bambina.»
Le si avvicinò, esitando, e lasciò che la guidasse di nuovo fuori.  «Bambina, questo è il momento che quasi generazioni hanno atteso, il perché tuo padre ti ha addestrata. Vai alla capitale, piccola.»
«Ma per…»
«Trovalo, e riportalo qui.»
«Nonna, stai bene? Di cosa stai parlando?»
«Nyx Ulric, bambina. L’uomo che può distruggerci tutti.»
Stava per chiederle se fosse impazzita quando il suono di un piatto rotto le attirò entrambe di nuovo in cucina.
«Mamma, cosa…» Non riuscì a finire la domanda.
Sullo schermo della tv davanti a lei c’era un villaggio intero in fiamme.
E là, in mezzo al fuoco, si erse un uomo, che ancora impugnava le armi.
Quando la luce dell’incendio gli illuminò il viso, i suoi occhi scintillarono d’argento.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Strane alleanze ***


CAPITOLO 4
 
Avanzò deciso tra la folla divisa in due ali, gli occhi fissi sull’obbiettivo.
Lucian lo attendeva, seduto sulle scale di marmo, incurante di qualsiasi tipo di regola o formalità.
I suoi occhi azzurri erano divertiti, e lui sapeva perfettamente perché: le Spade del Re controllavano la città, e quell’esibizione di potere lo confermava.
Nyx si fermò davanti al trono, e lasciò che tutti coloro che avevano tradito la sua protezione lo osservassero.
Lasciò che vedessero le ustioni in bella mostra sul braccio e sul viso, lasciò che sussurrassero guardando i fedeli kukri nei pugnali, e li lasciò stupirsi dell’intrecciato simbolo argentato cucito sul retro della maglia nera.
Il marchio della dea, il simbolo delle gaurdie reali, di chi era stato e di chi era, era l’unica cosa per la quale aveva institito e, stranamente, era stato proprio Lucian a insistere perché gli fosse permesso.
Quando incrociò il suo sguardo, l’uomo gli sorrise, e Nyx piegò le labbra in un mezzo sorriso di ricambio.
Era un bastardo dal cuore di ghiaccio senza alcun dubbio, eppure era la cosa più vicina ad un alleato che avesse in quel momento.
«Lucian, non ce n’era bisogno.»
Il soldato si alzò, stringendosi nelle spalle. «Volevo solo assicurarmi che tutti fossero a conoscenza di chi è che comanda, ora, Altezza.»
Non ebbe bisogno di aggiungere altro, e anche se avesse voluto farlo, Nyx non gli lasciò il tempo.
L’estrazione e il lancio del kukri furono un solo, fluido movimento, e l’attimo dopo Nyx era davanti al re, un pugnale appoggiato alla sua gola e la schiena rivolta alla folla.
Rimase in silenzio, immobile come una statua, e sentì Ravus trattenere il fiato per evitare di ferirsi con la lama affilata contro la sua pelle.
Lasciò che Lucian parlasse senza nemmeno sentirlo, e chiuse gli occhi senza muoversi dalla sua posizione di minaccia.
«Nyx!» L’ordine secco lo riportò alla realtà, raggiungendolo attraverso l’alcol che gli scorreva nel corpo, e si rese conto di star premendo troppo la lama.
Tornò in posizione rilassata e ritirò la lama, sogghignando in direzione del sovrano terrorizzato.
«Ops.»
Si strinse nelle spalle e saltò giù dalla piattaforma del trono.
Così, lui e Lucian si congedarono in un silenzio di tomba, lasciando la sala del trono, e un re con un rivolo di sangue sul collo.
Lucian parlò solo quando furono fuori dal palazzo. «Nyx.»
«Hm?»
«Hai qualche ora prima della tua partenza. Vieni, ti offro da bere.»
Nyx inarcò un sopracciglio, ma annuì. «Non posso rifiutare.»
Lo seguì fino ad una piccola taverna, e quando furono seduti al bancone e il whisky gli scivolò in gola, pensò che, in cinquecento anni, non aveva mai bevuto tanto come in quel periodo.
Ma bere era l’unico modo per non pensare a quello che doveva fare.
Era l’unico modo per non sentire il silenzio terrificante nel suo cuore.
«Sei stato molto controllato.» Esordì Lucian, appoggiato al bancone di legno. «Sai, pensavo che avresti cercato di ribellarti, almeno una volta.»
Nyx sorrise alla sua espressione. «Mi sembri quasi deluso.»
L’anziano soldato si strinse nelle spalle. «Un po’. Avrei voluto avere un’occasione di affrontarti mentre non eri sedato.»
Risero brevemente, insieme, e Nyx bevve di nuovo, poi porse il bicchiere al barista.
Era solo pomeriggio, eppure l’uomo non aveva protestato quando avevano ordinato alcol.
«Di sicuro sai il fatto tuo. Pensavo che Insomnia fosse in pace, eppure tu sei chiaramente abituato alla guerra.»
Lucian scosse la testa, e abbassò lo sguardo sul liquido nel bicchiere.
Per la prima volta, Nyx pensò che, forse, dietro quella crudeltà e quell’esagerato desiderio di potere, c’era una persona con un cuore spezzato. «Avevo diciotto anni a malapena quando io e la mia unità fummo mandati nel deserto di fuoco dal vecchio re. Fu un massacro, Nyx, le cose che ci sono lì…Non ne hai idea. Vivere là era peggio di una guerra.»
Trangugiò l’ennesimo bicchiere in un colpo solo. «Posso immaginare. Una volta sorgeva una città, laggiù, e sono stato io a cancellarla dalla faccia del pianeta.»
Lucian inarcò le sopracciglia, ma non sembrò molto sorpreso. «Ho letto l’incisione sulla pietra commemorativa. “Qui, dove la furia degli dei si è abbattuta, non osate avventurarvi se volete vivere.” Sei stato tu sul serio. Ma perché?»
Nyx sogghignò. «Poetico. E per quanto riguarda il motivo…» Esitò un istante, accigliandosi.
Ricordava di aver scatenato una potenza senza pari su Gralea, ma non ricordava più il perché.  Sapeva che era importante, eppure non riusciva a focalizzare il momento che aveva condannato la città.
«Non me lo ricordo.» Confessò, e Lucian trovò la cosa divertente.
«Ogni tanto mi dimentico quanto sei vecchio in realtà. Sembri appena un trentenne.»
Nyx sporse nuovamente il bicchiere al taverniere.
Avrebbe avuto una bella emicrania, il mattino dopo, ma non gli importava al momento.
«Le apparenze ingannano.»
Calò il silenzio mentre bevevano, e poi Lucian parlò per primo. «Stavi per tagliare la gola al re.»
Nyx lo osservò di sott’occhio, e la sua espressione seria gli fece piegare le labbra in un sorriso gelido.
«Forse. Non me ne sono nemmeno accorto.» Scrollò le spalle. «Volevate una macchina da guerra. Vi sto dando ciò che desiderate, se non siete pronti ad accettarne le conseguenze non è un problema mio.»
Lucian svuotò il proprio bicchiere, e poi sorrise. «Non mi stavo lamentando, stai facendo un ottimo lavoro.»
Nyx roteò il bicchiere con aria assorta. «Bene, non mi piace chi si lamenta. E io tendo ad uccidere le cose che non mi piacciono.»
«Sei un bastardo, insomma.»
Sogghignò divertito, e sollevò il bicchiere in un brindisi ironico. «Siamo in due, allora.»
 

 
«Fatto.» Comunicò, buttandolo la testa mozzata al suolo.
«Bene. Riparti tra due giorni.»
Si strinse nelle spalle. «D’accordo. A dopo, Lucian.»
Il soldato sollevò una mano in un cenno di saluto. «Buon riposo.»
Nyx si congedò senza aggiungere altro, e tornò in silenzio nella stanza che gli era stata assegnata.
Una volta solo, si tolse le scarpe, estrasse i pugnali, e si distese sul letto, gli occhi fissi sul letto.
Erano passati mesi da quando gli avevano strappato Bahamut, e ogni giorno la sua mancanza si faceva sempre più pesante.
Non gli importava il perché era ancora vivo, e perché poteva usare la magia senza di lei.
Era semplicemente tutto troppo…solo.
Era un eterno silenzio continuo, interrotto solo quando si recava in varie città ad annunciare la supremazia di Insomnia. Lo usavano come una bestia da guerra, scatenandolo contro coloro che non si arrendevano, ma non gli importava più di tanto.
Era un modo come un altro per passare l’eternità.
Il suono degli spari attirò la sua attenzione, e aprendo la finestra vide l’ennesima esecuzione nel cortile del Palazzo; dal suo reclutamento, le spade dei re avevano annunciato pubblicamente di essere in controllo della città, e ciò aveva inevitabilmente causato la formazione di sacche di resistenza.
Con un sospiro, Nyx saltò oltre la foresta, e si proiettò sul tetto della casa accanto alla folla disgustata che assisteva all’esecuzione. Bastò la sua presenza a farli tacere, e lui si sedette senza problemi sulle tegole, osservandoli in silenzio.
Uomini, donne, bambini.
La città che aveva protetto, per la quale era morto più di una volta.
La città che l’aveva tradito.
Forse sarebbe andata diversamente se non avesse fatto in modo di sparire dai loro ricordi, riducendosi ad un racconto per bambini alla sera.
Fu un movimento improvviso nella folla immobile, una figura che correva trafelata verso il patibolo, urlando qualcosa che lui non riconobbe. Nonostante non gli stessero più somministrando né veleni né sedativi – almeno per ciò che sapeva – gli era difficile rimanere lucido a lungo.
Il fatto che avesse iniziato a bere non lo aiutava, ma era l’unica via d’uscita.
Inizialmente era stato l’unico modo per addormentarsi, e poi era stato un calmante quasi obbligatorio per far sparire i volti di coloro che aveva ucciso.
Si proiettò mentre il padre saliva le scale, parandosi davanti alla figlia legata, pronto a morire per difenderla.
I loro occhi s’incrociarono, e qualcosa si fece strada nella sua mente confusa, qualcosa che nasceva da un passato così lontano da essere sbiadito.
«Andrà tutto bene.»
«Lo so. Sei qui.»
«Dovrai uccidere anche me.» Sentenziò l’uomo, e Nyx piegò la testa di lato, studiandolo.
Non aveva paura, notò, perché morire per difendere la figlia era ciò che riteneva giusto.
«Grazie di essere tornato.»
Di chi era quella voce che gli echeggiava nella mente?
Sollevò una mano, e il fulmine gli danzò tra le dita, inquieto.
«Ti voglio bene…»
Era un colpo fin troppo facile, pensò, erano tutti e due davanti a lui.
«Papà.»
Sollevò anche l’altra mano, creò la barriera e mandò il fulmine a bruciare le corde che bloccavano la donna.
«Via da qui.» Ordinò a lei e al padre mentre i soldati di guardia iniziavano a sparare.
«Cosa…Grazie, grazie!» Mormorarono velocemente entrambi, e Nyx fece loro cenno di muoversi.
Fuggirono entrambi, e Nyx dissolse la barriera con un movimento fluido della mano, creando la grande onda di fiamme subito dopo, che travolse i soldati.
«Ulric! Che diavolo stai facendo?»
Lucian lo raggiunse di corsa, imbracciando il fucile, e Nyx gli dedicò un sorriso beffardo.
Si voltò verso di lui e allargò le braccia. «Forza. Ti sfido.»
La folla si era ormai dispersa ai primi spari, e rimasero solamente loro due, Nyx sulle scale e Lucian poco lontano, in stallo.
I loro occhi s’incrociarono, parlando in silenzio di quella strana amicizia che avevano forgiato in quei mesi, quell’odio affettuoso nel quale entrambi si erano rifugiati per sopportare la vita.
«Nyx, posso ancora sistemare le cose se non fai cavolate.»
«Mi dispiace.» Mormorò Nyx. «Ho fatto la cosa giusta. Un padre non dovrebbe mai dover veder morire la figlia.»
Lucian abbassò il fucile, e qualcosa nel suo sguardo rivelò un passato più oscuro di quello che aveva condiviso con lui. «Lo so.»
Nyx fu sicuro di esserne uscito vittorioso, ma il click di un grilletto premuto e un’esplosione di dolore nella gamba e nella spalla destra gli comunicò che la sua arroganza l’aveva, molto probabilmente, appena quasi ammazzato.
«No! Fermi!»
Fu un dardo di lucidità nel dolore, e si pentì di essere stato così avventato.
Se ferire il Cristallo era ferire lui, pensò, probabilmente Bahamut – ovunque fosse – sentiva ciò che lui sentiva.
Scivolò in ginocchio e, mentre la vista gli si annebbiava, intravide una figura muoversi rapida nella piazza, e vide Lucian cadere reggendosi il collo.
Alla fine, l’allucinazione – perché doveva trattarsi di quello – si fermò davanti a lui.
«Nyx! Mi senti?»
Era tutto così bianco da sembrare inverno, pensò, non riuscendo a focalizzare il viso di colei che stava parlando. Quando il pavimento gli si avvicinò improvvisamente, però, distinse una sonora imprecazione.
E la cosa lo fece sorridere.
 

 
Era legato, si rese conto quando riacquistò la sensibilità del corpo.
A quanto pareva, era diventata una moda incatenarlo o legarlo.
Inspirò una boccata d’aria, e fu fresca e pungente.
Non era più in città.
Dov’era?
Quel pensiero fu scacciato da un altro, che arrivò come dolore impetuoso alla gamba.
Il suo corpo stava cercando di aggiustarsi, ma il processo era lento, snervante, e lo faceva sentire impotente come un bambino.
Sentì un movimento accanto a sé, e si sforzò di aprire gli occhi.
Ad accoglierlo fu un soffitto di legno scuro, un soffio d’aria fresca e una sfumatura di verde fuori dalla porta aperta.
«Sei sveglio, bene.»
La stessa voce che aveva sentito prima di svenire accolse il suo risveglio, e lui mosse dolorosamente la testa, e vide lo stesso squarcio d’inverno che aveva già visto.
Solo che non era inverno, pensò irrazionalmente.
Era una giovane donna dalla pelle chiara, vestita di bianco.
Perfino i suoi capelli, così lunghi da oltrepassarle i fianchi, erano di un bianco immacolato.
Quando gli sorrise, Nyx pensò che gli ricordava qualcuno, ma non sapeva chi.
«Dove…»
«Il mio nome è Emilia White. Sei al sicuro ora.»

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Sangue e spiegazioni ***


CAPITOLO 5
 
«Dove siamo?»
Sussurrò Nyx, sentendosi la gola in fiamme e la testa sul rischio di esplodere.
La giovane donna sorrise, comprensiva, e gli si avvicinò porgendogli un bicchiere d’acqua.
«Stai bravo se ti slego, vero?» Gli domandò, esitando un istante, e Nyx sollevò gli occhi al cielo.
Era esausto e confuso, eppure riuscì ancora a risponderle. «Tu slegami prima.»
Emilia sorrise, posò l’acqua sul tavolo e gli slegò un polso.
Solo in quel momento Nyx si accorse delle bende sulle braccia, e del fatto che quel braccio era l’unico legato, perché l’altro era completamente bloccato dalla spalla.
«Sei ai confini del continente, comunque. Più precisamente, a un giorno da qui c’è Caem, e il mare.»
Nyx bevve dal bicchiere come se ne andasse della sua vita, e l’acqua di sorgente spense l’incendio che si sentiva nel corpo per il momento. Poi, tornò a guardare la sua misteriosa salvatrice.
«Non… farmi parlare. Mi sento uno schifo, spiega e basta.»
«D’accordo.» Gli concesse Emilia, e poi gli spiegò cos’era successo.
Era arrivata ad Insomnia nel momento perfetto, alla fine, e quando l’uomo armato sul tetto gli aveva sparato, aveva deciso di intervenire; aveva sedato Lucian e, nel caos della folla in fuga, era ruscita a raggiungerlo.
Una bomba fumogena l’aveva aiutata a portarlo via, ed era stato per miracolo che era riuscita a portarlo via sano e salvo, al sicuro prima che si dissanguasse.
«Hai una gamba totalmente fuori uso, e la spalla gravemente ferita. Dovrai stare buono per un po’.»
«Non posso.» Nyx cercò di alzarsi facendo forza sul braccio ferito, ma l’unica cosa che ottenne fu sentire la pelle tendersi e spaccarsi, lasciando scorrere il sangue. Imprecò sonoramente, e Emilia corse a sostenerlo, passandogli un braccio intorno ai fianchi.
«Proprio quello di cui parlavo.» Commentò Emilia, tirandolo seduto con una forza che non le avrebbe mai attribuito.
Nyx sentì la testa girare, ma rise lo stesso. «Devo tornare. Loro…le faranno del male…»
«Nyx, guardami.»
«Cosa?» Ringhiò quasi Nyx, guardandola male, ma Emilia non si fece intimorire.
«Sei uno straccio. I muscoli e i nervi della gamba sono completamente troncati. Hai la spalla ridotta ad un cumulo di carne tritata, e sei stato k.o. per quasi due settimane. Hai sputato su tutto ciò che volevi fare alla capitale, se torni ti uccideranno. E uccideranno anche la persona di cui parlavi.»
Nyx sospirò, abbandonandosi sul letto. «Io tornerò là. E tu non potrai impedirmelo.»
«Sei testardo. Va bene, e ti accompagnerò io stessa, se mi prometti che aspetterai di essere completamente guarito prima di fare qualche sciocchezza.»
Nyx inarcò un sopracciglio, osservando quella ragazza sconosciuta che gli aveva, molto probabilmente, salvato la vita. «Emilia, giusto?»
«Hm-hm.»
«Continui a ricordarmi qualcuno…» Mormorò, chiudendo gli occhi, sentendo il sangue rimbombargli nelle tempie. Qualsiasi cosa gli avesse somministrato stava finendo l’effetto, e quando cercò di muovere la gamba gemette di dolore. Era veramente uno schifo. «D’accordo, te lo concedo. Era secoli che non stavo così.»
Sentì Emilia muoversi, e poi una dolce penombra invase la stanza.
«Riposa, Nyx.»
Avrebbe voluto dirle qualcosa, chiedere chi era, perché era alla capitale, perché l’aveva salvato, perché non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che assomigliasse a qualcuno che conosceva, cosa avesse fatto a Lucian, eppure l’unica cosa che riuscì a fare fu un mormorio confuso.
Quando la porta si chiuse, lui era già addormentato.
 

 
Era stata una giornata come tutte le altre, alla fine.
Silenziosa, pacifica, e inondata dal sole estivo fino alla sera.
La giovane donna era appena tornata dal controllare il loro improvvisato ospite quando si rese conto che era ora di cena. «Come sta?»
Emilia si strinse nelle spalle alla domanda della madre. «Un disastro. Ha rischiato di far saltare i punti alla spalla cercando di alzarsi, e vuole tornare indietro. Gliel’ho impedito per il momento, ma è convinto di voler tornare, parlava di qualcuno a cui avrebbero fatto del male.»
Si legò velocemente i capelli in uno chignon disordinato, si lavò le mani e impugnò il coltello da cucina.
«La dea.» Mormorò la nonna, sprofondata nella poltrona accanto alla finestra sulla terrazza. «Vuole salvare la dea.»
Quella frase appena accennata la incuriosì, così si avvicino all’anziana e le si inginocchiò davanti. «La dea? Intendi Bahamut?»
«Si bambina. Una brutta storia, molto brutta…Erano due e uno, e ora sono soli. Vogliono tornare insieme. E lui vuole salvarla…» Improvvisamente, gli occhi della vecchia si accesero di una luce quasi febbrile. «Bambina, devi aiutarlo. Lo aiuterai?»
Le afferrò le mani, e Emilia gettò uno sguardo interrogativo alla madre, che si strinse nelle spalle, classificando quel momento come un fugace attacco di demenza senile. Eppure, lei credeva a sua nonna, e il suo viso era pieno di preoccupazione, così annuì piano e posò un delicato bacio sulle mani rugose.
«Non preoccuparti nonna. Non gli accadrà nulla di male.»
«Bene…Bene. Ora fila, aiuta tua madre.»
Ancora stordita, la ragazza si alzò e riprese la sua attività di aiutante nella preparazione della cena, eppure non riusciva a smettere di pensare. Nyx le era sembrato così giovane, là sul marmo insanguinato, eppure quando i suoi occhi le si erano posati addosso le era sembrato che l’universo stesso la stesse osservando.
Antico, potente e inspiegabile.
Le corse un brivido sulla schiena a ricordare il viaggio fino a casa.
Era stata una fuga rocambolesca, più che altro, e nonostante fosse quasi morto sul sedile del passeggero, Nyx aveva salvato la vita ad entrambi senza nemmeno saperlo.
Si era sorpresa di vedere la sottile barriera che aderiva alla carrozzeria dell’auto, ma non aveva fatto domande, e quando quella strana magia aveva respinto una squadra che li aveva raggiunti con un’onda d’urto che aveva piegato gli alberi, era stata semplicemente grata.
Ma Bahamut era la dea superiore, il cui potere era in teoria illimitato.
Cos’altro nascondeva Nyx?
Aveva l’aspetto di un uomo senza uno scopo quando l’aveva guardata, pensò.
Un uomo dal cuore spezzato.
Un dolore pungente al dito la strappò dai pensieri, e si rese conto di essersi tagliata mentre affettava la verdura. «Emy! Che fai?!» Le domandò la madre, volandole vicino mentre lei spostava la mano sotto l’acqua per far scorrere via il sangue.
«Mamma, calma. Mi sono distratta, tutto qui.»
«Certo. Stai ferma.» Le ordinò Dayanara, e lei obbedì, restando in attesa finché la madre non tornò con una bottiglietta di disinfettante e delle bende. Lasciò che pulisse e coprisse il taglio che – lo comprese dal fatto che non le faceva più male – era più profondo di quanto si aspettasse.
«Finisco io qui.» Decise poi, e così Emilia si trovò senza compiti.
Alla fine, si rintanò nella stanza di Nyx, e si sedette al tavolo davanti al letto, il libro aperto sulle gambe e la mano bendata abbandonata sul fianco. Fortunatamente, l’uomo sembrava dormire un sonno tranquillo, come aveva fatto da tutto il giorno, e lei immaginò che fosse a causa dell’enorme perdita di sangue.
Certo, il suo corpo si rigenerava da solo, e prima o poi sarebbe guarito, ma dovevano avergli somministrato qualcosa di pesante per inibire la sua magia, perché sia la gamba che la spalla erano ancora messe male.
«Che hai fatto alla mano?»
Si portò una mano al cuore con un sobbalzo sollevando lo sguardo, e incrociò gli occhi di Nyx.
Era così presa dalla lettura da non essersi nemmeno accorta che si era svegliato.
Scrollò le spalle, mise il segnalibro e posò il volume sul tavolo. «Nulla di grave. Solo un taglio mentre cucinavo.»
«Hm-hm. Che ore sono?»
«Quasi ora di cena, mamma sta cucinando e…»
«Avete del vino in casa?» La interruppe lui, e lei esitò un istante. «Non è il caso che tu beva, sei vivo e vegeto per miracolo, denutrito e…»
«E per niente interessato alle tue opinioni.» La interruppe lui di nuovo, usando il braccio sano per mettersi a sedere. «Sei stata gentile a salvarmi, non so perché l’hai fatto, ma ho bisogno di bere.»
Emilia si alzò, stizzita. «Non mi interessa se ne hai bisogno. Hai bisogno di mangiare, e di guarire. Ti porto la cena tra poco.» Decretò mentre usciva senza voltarsi a guardarlo.
Eppure, il peso di quegli occhi era come fuoco sulla pelle.
«Tutto bene?»
«Si mamma. Gli porto la cena solo.»
«D’accordo.»
Preparò il vassoio con cura, senza aggiungerci alcolici.
Aveva avuto ragione.
Nyx Ulric era un uomo dal cuore spezzato.
Aprì la porta, e lui tornò a guardarla, e la osservò mettere il vassoio con l’insalata e la carne sul comodino.
Le sembrava di essere sotto esame, quasi. «Ecco qui. C’è anche una pastiglia di morfina, nel caso il dolore diventi troppo forte.»
Gli spiegò, paziente. Non le importava che lui facesse l’arrogante, o il cattivo.
Era ferito, e aveva bisogno di loro.
Si allontanò, ma lui le afferrò una mano per bloccarla. «Togli le bende.»
«Ma che…»
Nyx incrociò il suo sguardo, e lei rabbrividì, ma fece ciò che lui le chiedeva, scoprendo il taglio tra il pollice e l’indice. Non sanguinava più, ma era una ferita netta di circa un centimetro e mezzo.
«Non volevo essere cattivo.» Mormorò Nyx, prendendole la mano con delicatezza. «Questo è per sdebitarmi.»
E così, Emilia osservò l’aura argentata crescere intorno alla sua pelle, e fu invasa da una sensazione di freschezza che partiva dal punto in cui la magia nasceva, e le correva sul braccio.
Quando quel momento assurdo terminò, si guardò la mano.
«Non c’è più nulla…»
Nyx sorrise, abbandonandosi sui cuscini; perfino quel piccolo utilizzo di magia l’aveva stancato. «Lo so.»
«Io…» Esitò, senza sapere cosa dire. Eppure, quella era la prova che, nonostante Nyx avesse massacrato villaggi interi negli ultimi mesi, non era un uomo cattivo, esattamente come aveva pensato quando l’aveva visto intervenire all’esecuzione. «Grazie.» Terminò alla fine con un sospirò.
Il sorriso di Nyx si allargò. Sembrava soddisfatto, e terribilmente stanco nonostante avesse dormito tutto il giorno.
«Grazie a te, Emilia.»

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Capitolo 6
*** Capitolo 6- L'altro lato della medaglia ***


CAPITOLO 6
 
 
«Cosa vuol dire che non l’avete ancora trovato?!» Sbottò l’uomo,e Lucian alzò gli occhi al cielo.
«Esattamente ciò che ho detto, Marcus. L’abbiamo perso nella foresta, non abbiamo idea di dove sia andato.»
Lo scienziato lanciò la provetta su cui stava lavorando contro il muro, e quella esplose, corrodendo il muro.
«I tuoi uomini l’hanno quasi ammazzato, Marcus. Non era negli accordi.»
«Non mi importa degli accordi. Funzionava tutto quanto. Era nostro, Lucian.»
Il vecchio soldato scoppiò a ridere e scosse la testa. «Era ubriaco per metà del tempo, Marcus. Lavorava per noi solo perché tu l’hai spezzato, ed ero d’accordo, ma…»
«Ma cosa? Non farmi storie sul fatto che ha un cuore ed è umano.» Borbottò Marcus, stizzito, barcollando tra i banconi. «Sai come me che non ha nulla di umano.»
«Forse.» Concesse Lucian, poco convinto. Tacque mentre il suo delirante socio mescolava prodotti sconosciuti in una nuova fiala, e la sua attenzione fu catturata dal soggetto in catene al fondo del laboratorio.
Privata della sua armatura, incatenata e torturata, Bahamut sembrava tutto tranne che una dea.
E tuttavia, quando i suoi occhi celesti si fissarono su di lui, Lucian rabbrividì.
«Non starai esagerando, Marcus?» Gli domandò, incapace di distogliere lo sguardo.
Sembrava che lei volesse dirgli qualcosa, che avesse un bisogno urgente da comunicargli.
«Cosa? No. Ah, è sveglia.» Marcus zoppicò fino alla sua prigioniera preparando una siringa con un liquido blu metallico all’interno. Appena lo vide, iniziò ad agitarsi, e le sue grandi ali metalliche spezzarono una delle catene che le bloccava.
Stringere la presa sul fucile fu istintivo, eppure non si mosse.
Non si mosse come non aveva sparato a Nyx nella piazza, e non si mosse per minacciare la sua dea.
«Marcus…»
«Cosa?» Lo scienziato non lo degnò nemmeno di uno sguardo, e iniettò il liquido direttamente nel braccio della dea che, ben presto, fu nuovamente un corpo inerme appeso al muro.
«Devi darti una controllata, Nyx non…»
«Stai diventando sentimentale, Lucian? Ti stai forse affezionando?»
«Io…»
«Devo forse ricordarti chi ha causato il deserto di fuoco, e di conseguenza lo sterminio della tua unità? O forse, devo ricordarti per chi combatti?»
Fu un colpo basso deliberato, e Lucian si pentì di aver rivelato quel segreto a quell’uomo dalla mente instabile.
Abbassò lo sguardo sul fucile, e sull’intricato disegno inciso sopra.
«Che stai facendo?»
«Tranquillo papà, ho messo la sicura. Guarda.»
Aveva sollevato il fucile, e lui aveva visto l’intricata incisione sopra, un delicato disegno che rappresentava il simbolo della famiglia reale, e gli dei.
 «Grazie, Ana. È bellissimo.»
E lei aveva sorriso per la prima volta dalla morte della madre.
«Punto primo, Marcus, non osare nominarla mai più. E secondo…» Esitò un attimo, gettando uno sguardo alla dea. «…Non pensare che mi sia dimenticato perché abbiamo iniziato. Devo andare.»
Si congedò senza aspettare una risposta, e i suoi passi lo portarono nella sala del Cristallo.
La grande pietra era scheggiata in più punti, dove quel folle di Marcus l’aveva fatta pugnalare e fulminare, e la luce che ne scaturiva di solito era più fievole.
Pulsava piano, come il battito di un cuore che si spegne, e gli venne la nausea.
Avevano profanato qualcosa di sacro, di eterno e luminoso.
Si  ricordava perfettamente perché avevano iniziato.
E di sicuro non era per andare contro gli dei.
«Dammi un segno.» Mormorò, non osando toccare la sacra pietra. «Dammi qualcosa che mi permetta di aiutarti.»
Attese un istante e, proprio mentre stava per andarsene, la luce della pietra virò dal viola all’argento.
 

 
Il mattino seguente lo svegliò con una ventata d’aria fresca dalla finestra socchiusa.
Come se avesse intuito che era cosciente, Emilia fece il suo ingresso nella stanza, i lunghi capelli setosi che strappavano riflessi multicolore al sole.
Come le ali di Bahamut, pensò, e l’immenso vuoto nel cuore si contrasse così dolorosamente da farlo piegare in due.
«Nyx! Che succede?» Emilia gli fu subito a fianco, e la cosa addolcì il pensiero che l’aveva ferito.
Non sapeva nemmeno perché quella ragazza l’avesse aiutato, e perché si stesse prendendo cura di lui.
Eppure, era lì, e gli sorrise quando lui le spiegò in un sussurro che non doveva preoccuparsi.
«Bene. Dopo stamattina ero preoccupata…» Si morse il labbro, pentendosi della frase, e invece Nyx inarcò le sopracciglia, curioso. «Stamattina? Che ore sono, e cos’ho fatto?»
«Io…»
«Emilia.» Nyx catturò lo sguardo della ragazza. «Che cosa ho fatto?»
Alla fine, lei cedette, e si sedette sul bordo del letto, tormentandosi le mani. «Nulla, è solo una cosa che la mamma ha scoperto mentre controllava le tue funzioni vitali…»
«Hm. E?» Nyx si rilassò contro il cuscino, meno teso di prima: non era una novità che avesse qualcosa di strano, e insolito, ed era contento di non aver ferito involontariamente qualcuno.
Emilia arrotolò una ciocca di capelli intorno al dito. «Ha scoperto che…solo metà del tuo cuore batte, Nyx. E stranamente piano.»
Quel tono quasi preoccupato gli fece fare un mezzo sorriso. «Non mi sorprende. Emilia, posso incontrare la tua famiglia? Credo di dover una spiegazione a tutti voi.»
«Te la senti?  Intendo, la gamba…»
Nyx annuì, usando il braccio sano per mettersi a sedere sul letto. «Sto bene.»
Appoggiò la gamba sinistra per prima e poi, con cautela, la destra.
Appena si alzò, facendo forza sui muscoli martoriati, la gamba cedette, e lui non cadde solo perché un braccio candido lo afferrò per i fianchi. «Nyx, non credo che sia una buona idea…»
L’uomo sogghignò, e si strinse nelle spalle. «Non sarebbe la prima cattiva idea che ho. Andiamo.»
Lentamente, e appoggiandosi a lei più di quanto desiderasse, lasciò che Emilia lo conducesse fino alla terrazza, dove una donna dai capelli scuri e un’anziana signora con lo sguardo perso nel vuoto stavano consumando la colazione.
«Mamma…Nonna…Vi presento Nyx. Nyx, Dayanara, mia madre, e mia nonna, Cora.»
Appena lo sguardo della donna si posò su di lui si alzò di scatto, gli ordinò di sedersi e si spostò, in piedi davanti a lui. Aveva la stessa corporatura della figlia, non troppo alta ma con muscoli ben definiti, ed era chiaramente una donna che aveva dovuto cavarsela da sola.
Nyx si appoggiò allo schienale, distendendo lentamente la gamba ferita.
Circa a metà strada aveva sentito i punti saltare, ma se era fortunato nessuna di loro se ne sarebbe accorta.
Una mano rugosa si chiuse intorno alla sua, e lui sentì una scossa sulla mano quando si voltò a guardare la donna dai capelli bianchi che gli stava sorridendo.
«Non ero sicura che avrei vissuto per vedere questo giorno. Sono onorata di conoscerti, uomo dagli occhi d’argento.»
Era una frase insolita, e gli lasciò un senso di malinconia, eppure non fu in grado di spiegare perché, né di rispondere al saluto; così, si limitò a guardare Dayanara, e iniziò a raccontare.
Raccontò di com’era morto, 500 anni prima, per salvare Insomnia e vendicarne il re.
Raccontò di come era sopravvissuto, di come Bahamut fosse venuta in suo soccorso, donandogli parte del proprio cuore, e di come ciò l’avesse reso l’unico uomo magico sulla terra.
Saltò volontariamente tutto ciò che concerneva la sua vita, ma Emilia notò come, a quel punto, avesse iniziato a giocare con la collana che gli pendeva dal collo.
E tagliò spiegando come la stessa città che aveva salvato e protetto l’avesse pugnalato alle spalle.
«Mi hanno…» Era difficile anche solo dirlo. «Mi hanno strappato Bahamut. Ecco perché solo metà del mio cuore batte, Dayanara. Me l’hanno portata via, ed è in pericolo, e io devo salvarla.»
La donna scosse la testa. «Non così.  Quando sarai guarito, non ora.»
Nyx piegò le labbra in un sorriso e incrociò lo sguardo della ragazza al suo fianco. «Ora vedo da chi hai preso la tua testa dura.»
Emilia sorrise, divertita. «Senti chi parla.»
Dayanara sorrise, addolcita, e da quel momento Nyx perse la cognizione dello scorrere del tempo.
Si ritrovò a pranzare con loro, e fu il primo pranzo da secoli che fece in compagnia, e volentieri.
In quel modo scoprì che quel trio di donne si era trasferito là da poco, e che erano perfettamente in grado di cacciare, cucinare e coltivare qualsiasi cosa necessitassero.
«Per non contare che mamma è terribilmente brava nella lotta. Mettile un paio di spade in mano, e levati dalla sua strada.» Rise Emilia, e Nyx si unì a quel divertimento, ma per poco.
Aveva conosciuto un’altra donna che combatteva con due spade, ricordò, ma ricordava le armi meglio del viso della loro proprietaria.
Dayanara si alzò per sistemare la tavola. «Emilia, non sminuirti così, lo sai che sei meglio di me.»
Nyx inarcò un sopracciglio. «Ora mi incuriosite. Sapevo che dovevi essere brava, per essere riuscita a tirarmi fuori da Insomnia, ma voglio vederti all’opera.»
Emilia scoppiò a ridere, e annuì. «D’accordo. Appena ti sarai rimesso in piedi ti farò vedere cosa so fare, nonnetto.»
«Nonnetto? Se vuoi la guerra, avrai la guerra.» Le concesse Nyx con un sorriso.
Si sentiva stordito, ma lo imputò al dolore pulsante alla gamba.
E al fatto che non riusciva a capire chi gli ricordasse Emilia.
 

 
Due settimane dopo, l’estate stava iniziando a cedere il posto ad un autunno mite.
Emilia e Dayanara tenevano rigorosamente la televisione spenta se lui era nei paraggi, e lui lo imputò al loro tentativo di non fargli vedere cosa stava succedendo ad Insomnia.
Nyx sapeva perfettamente cosa stava succedendo, però: le spade dei re stavano massacrando chiunque fosse anche solo lontanamente sospettato di sapere dove fosse.
Si aspettava che sarebbero arrivati, prima o poi, e il fatto che ci mettessero così tanto gli faceva sperare che, forse, Lucian li stava trattenendo.
Pensare a lui era un misto di rabbia e uno strano affetto: Lucian era un soldato, come lui, e ne aveva passate di tutti i colori, e nonostante tutto non l’aveva trattato così male.
Non come Marcus, ricordò con un brivido, Marcus che l’aveva trattato peggio di un animale.
«Hey campione. Vacci piano.» La voce lo raggiunse dalla casa, e Nyx sollevò lo sguardo verso Emilia, che lo osservava appoggiata allo stipite della porta.
Ignorando ogni tipo di dolore e fatica, Nyx aveva iniziato ad allenarsi da solo, cercando di rimettersi in forma il prima possibile. Si alzò e si sfregò le mani, e poi sentì il peso di uno sguardo addosso.
Emilia lo stava fissando, senza parole, e solo in quell’istante Nyx si rese conto di essere a torso nudo, e che ogni segno e cicatrice era esposta. Piegò il viso di lato e sorrise. «Storie lunghe. Le ustioni sono della mia prima morte, le altre…»
Noctis che sussultava contro di lui mentre le lame li trafiggevano entrambi.
«Sono contento che tu sia qui con me, Nyx.»
Si passò una mano fra i capelli, improvvisamente nervoso.
Luna che lo stringeva mentre la frusta gli massacrava la schiena.
I proiettili che gli maciullavano la spalla mentre avanzava tra le macerie.
Il coltello che gli tagliava la gola in un ultimo, inutile tentativo di salvarla.
«Le altre non le ricordo. Ho fatto tante cavolate, e ne porto i segni.» Tagliò corto, e si strinse nelle spalle.
«Io non…io guardavo quella.» Emilia indicò il suo petto, e lui abbassò lo sguardo.
Era un taglio di circa dieci centimetri, in corrispondenza del cuore, che brillava piano d’argento.
Eccola lì, la prova fisica che lei non c’era più.
Coprì la cicatrice con la mano, sentendola insolitamente calda, e cambiò argomento. «Avevi detto che mi avresti fatto vedere che sai fare. Fatti avanti.»
«Nyx, sei sicuro? Stai guarendo, certo, ma…»
Nyx si strinse nelle spalle. «Lo capisco se hai paura.»
Emilia rise, divertita, e saltò giù dalla terrazza. «Io non ho mai paura, Ulric.»
«Dimostralo allora, White.»
«D’accordo. Fammi prendere le spade nel capanno, e preparati ad essere preso a calci da una ragazza.»
 

 
Nyx sputò sangue per l’ennesima volta.
Era ferito, peggio delle ferite esterne, eppure non riusciva a smettere di ridere.
«Sei brava.»
«Te l’avevo detto.»
Emilia si era dimostrata molto abile, e avevo uno stile di combattimento feroce ma aggraziato, come se danzasse. «Qual è la tua arma?»
«Cosa?»
«Si vede che non combatti con una spada del genere, di solito. Allora con cosa?»
La ragazza sorrise, divertita e affascinata dal quel particolare. «Katana.»
«Arma interessante. Ti affronterò anche con quella, ma per ora…» Esitò un istante.
Fu un battito di ciglia, e lei si trovò con la mano di Nyx ad un soffio dal collo, intrisa di fulmini che le fecero elettrizzare i capelli. «Ho vinto.»
«Hai barato.» Gli fece notare Emilia, con un sorriso.
Nyx abbandonò la posizione di attacco e scrollò le spalle. «Non devi mai pensare che il tuo avversario sarà leale, e che non abbia assi nella manica.»
«Tutto chiaro.»
«Bene.»
Emilia si voltò per tornare in casa, sentendo il sangue pomparle nelle vene con furia.
Nonostante non fosse al cento per cento, Nyx l’aveva costretta a combattere con un calcolo e una concentrazione che non usava da anni, e l’aveva sfiancata fisicamente.
Sembrava sempre sapere dove lei avrebbe colpito, come se leggesse i suoi movimenti.
«Devi rivelarmi il tuo segreto prima o poi.»
Esitò un istante, aspettandosi una delle risposte pungenti a cui ormai aveva fatto l’abitudine, e invece ci fu solo silenzio.
«Nyx?» Si voltò, e sentì la testa girarle. «Nyx!»
Corse verso di lui, che era crollato in ginocchio, un rivolo di sangue sulle labbra e il viso pallido.
E la gamba destra intrisa di sangue argentato.
«Lo sapevo che non avremmo dovuto, ti sei sforzato troppo…Mamma!»
Lo afferrò per le spalle, ma lui non sembrava capace di metterla a fuoco.
«Mamma! Nyx, guardami, guardami!»
Gli tirò uno schiaffetto sul viso, cercando di svegliarlo, ma quando Dayanara uscì dalla casa lo trovò svenuto contro la spalla della figlia.
 

 
«Testarda. Non urla.» Si lamentò Marcus, e Lucian storse le labbra in una smorfia.
L’odore di sangue impregnava l’aria, ed era un odore forte, metallico come se quel liquido fosse veramente argento fuso. «Marcus, dovevi solo usare il suo sangue per trovarlo. Non torturarla.»
«Non la sto torturando. La sto…» Piantò il pugnale nella gamba davanti a lui, e Bahamut s’irrigidì quando lui girò la lama, ma non emise alcun gemito.  «Stimolando.»
Non l’aveva fatto nemmeno quando Marcus aveva inciso un taglio sottile sulla sua gola.
Era fiera e terrificante come una tempesta, eppure qualcosa dentro di lui sapeva che non avrebbe retto a lungo.
Quando lo scienziato zoppicante afferrò la piccola provetta e si avvicinò alla sua prigioniera, Lucian decise di averne abbastanza, e gli bloccò la mano prima che potesse versarla.
 «Basta.» Gli ordinò, e quando lo guardò vide che non c’era una mente normale dietro quegli occhi. «Prendi il suo sangue se devi, trova Nyx. Lasciala stare.»
Marcus si liberò brutalmente dalla sua stretta, e se ne andò zoppicando, e borbottando come non avesse potuto usare il corrosivo per metalli su una creatura viva.
Lasciandolo alle sue farneticazioni, Lucian si voltò verso la donna.
Soffriva, glielo leggeva in ogni angolo del viso, e nonostante tutto resisteva.
«Lo fai per lui, vero?» Le domandò a bassa voce, e lei annuì piano.
Lucian sospirò. «Mi dispiace. Non doveva andare così.»
Lei piegò la testa di lato, e piegò le labbra insanguinate in un sorriso dolce.
E, anche se non parlò, Lucian sentì chiaramente la voce nella testa.
Tua figlia sarebbe fiera dell’uomo che sei diventato.
E conservò quella frase per sempre.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Rivelazioni sotto il sole ***


CAPITOLO 7
 
Quando Emilia entrò, Nyx la ignorò.
La febbre era salita dal mattino, ne era perfettamente consapevole, ma l’aveva ignorata, tutto per tornare in forma, per tornare da lei.
Si coprì il viso con una mano, chiudendo gli occhi, e sentendo l’amarezza della delusione sulla lingua.
Lei aveva creduto in lui, così tanto da strapparsi il cuore per donarlo a lui, e ora, cosa restava di quella fiducia?
«Nyx…?»
Alzò lo sguardo, incrociando quello di Emilia nello specchio.
La vide osservarlo, studiarlo, e capire.
Per qualche strano, assurdo motivo quella ragazza capiva.
«L’ho delusa.» Sussurrò, la gola roca e dolorante, e la testa che pulsava dolorosamente.
Strinse le mani sul lavandino macchiato di sangue argentato. «Lei si è sempre fidata di me.»
Si accigliò, sentendo la frustrazione salire. «Non avrebbe dovuto, avrebbe fatto meglio a non farlo.»
«Nyx, io…Nyx!» Emilia sobbalzò quando, con uno schianto e un’esplosione di briciole di ceramica, il lavandino si spaccò a metà e crollò a terra.
Imprecarono insieme, e Nyx decise che ne aveva abbastanza.
Se fosse la febbre o meno non ne aveva idea, e non aveva nemmeno importanza. «Me ne vado.»
Sentenziò, sorpassando la giovane donna senza parole, e uscendo dal bagno.
Barcollava, e l’intera stanza gli girava intorno, eppure si preparò, indossando perfino le fodere vuote dei kukri. Ne sentiva la mancanza come non mai, ma erano abbandonati su un materasso ad Insomnia.
«Nyx sei impazzito?» Emilia, a quanto pareva, si era ripresa e ora uscì come una furia, e lo afferrò per un braccio, fermandolo. «Morirai se vai.»
Nyx ridacchiò, divertito, e poi inarcò un sopracciglio. «Immortale, non ricordi?»
«Non nello stato in cui sei.» Si accigliò lei, severa. «Qualsiasi cosa ti abbiano fatto, ti sta facendo male, molto.»
Nyx aveva una mezza idea di quale fosse la causa di quel malore che non voleva saperne di andarsene, ma tacque: non era il caso di dire che – probablmente – senza Bahamut nel cuore i suoi 500 anni stavano tornando a reclamare il loro prezzo, e il suo corpo si stava sgretolando.
«Se morire vuol dire salvarla, così sia.» Scostò il braccio dalla presa della sua salvatrice, e Emilia sbuffò, esasperata. Era davanti alla porta quando lei lo fermò di nuovo.
«Aspetta! Aspetta! Ho una cosa per te. Leggila, d’accordo?»
Nyx inarcò un sopracciglio, incuriosito. «D’accordo, vai a prendere questa cosa.»
Emilia scoppiò a ridere e scosse la testa. «Si certo, e tu non approfitterai della mia assenza per scappare. No, tu vieni con me.»
Nyx si unì alla sua risata con un mezzo sorriso, e la seguì volentieri fino al salotto.
Avrebbe dovuto cauterizzare la gamba, pensò quando la sentì cedere per un istante, dato che i punti non resistevano.
«Siediti. E prendi questa.»
Emilia gli indicò una poltrona e, quando fu sprofondato in quel tessuto accogliente, gli porse la busta.
Nyx la studiò un attimo, ma c’era solo il suo nome scritto sopra, in una calligrafia che non riconobbe.
«Chi l’ha scritta?»
La giovane donna scosse la testa. «Mamma dice un antenato. Non so altro. Ti…ti lascio alla lettura.»
Nyx la osservò andare via, e qualcosa nella sua mente confusa si sciolse.
Forse era stato troppo cinico, pensò, forse esisteva ancora qualcosa di buono in quel mondo.
Come la ragazza dagli occhi di perla.
Sorrise tra sé, e si dedicò alla lettera che gli era appena stata consegnata.
L’aprì con cautela, e bastò l’inizio per accelerargli il battito.
Nyx,
sto scrivendo perché ci hai appena confessato di essere immortale.
Consegnerò questa lettera ai miei figli, e loro la conserveranno nell’attesa di ridarla a te.
Lo so, nessuno sa che ho dei figli. Non è stato un bel matrimonio.
Ma non è questo l’argomento principale.
Sto scrivendo perché credo che arriverà il giorno in cui avrai bisogno di leggere queste parole.
Noctis è il terzo re che servo, e l’unico che non ho visto morire, e tutto grazie a te.
Non so come sarà il mondo, quando leggerai queste parole, ma so come sarai tu.
So che sarai sempre lo stesso uomo che ha sacrificato la sua vita per il suo re, e per i suoi amici.
Non lasciare che il tempo ti corroda, Nyx.
Sii forte.
Sii paziente.
Trova il tuo centro, Nyx.
Non sono bravo con le parole, e ho dei compiti da assolvere.
Spero che tu stia bene, ovunque tu sia nel tempo.
Cor
Rilesse il nome alla fine più volte, esterrefatto.
Se davvero era stata scritta dall’uomo che Nyx aveva considerato un maestro, questo voleva dire che…
«Emilia!» La chiamò a gran voce nonostante fosse sera tarda, e si alzò, andando a cercarla.
Le finì quasi addosso quando lei aprì la porta. «Nyx, cosa…»
«Cor. Cor Leonis. Tu…»
Emilia alzò le mani, confusa. «Rallenta, per favore. Parli di quel Cor?»
Nyx scoppiò a ridere, appoggiando la schiena alla parete. «Si, si, Cor l’Immortale, il Generale Cor. Lui…»
Scivolò fino sul pavimento, e Emilia, seppur esitante, s’inginocchiò accanto a lui. «Nyx, mi puoi spiegare per favore?»
Annuì, sorridendo. «Si, scusami. Il tuo antenato, colui che ha scritto questa lettera, era quel Cor. Lui…lui mi ha aiutato tantissimo, quando ero in un periodo molto buio. E dopo tutti questi anni, ha fatto in modo che io leggessi queste parole, perché sapeva che ne avrei avuto bisogno…»
Chiuse gli occhi, inspirando a fondo.
Sentiva Emilia accanto a sé, e piegò le labbra in un sorriso. «Ecco perché mi ricordavi qualcuno. Tu…tu gli assomigli. Non fisicamente, è come…il modo in cui esisti, come una roccia in mezzo alla tempesta. Come lui, lui aveva sempre tutto sotto controllo.»
Aprì un occhio, e incontrò lo sguardo della ragazza che lo stava ascoltando in silenzio.
«Grazie.» Mormorò, e lei sorrise, e lui lo vide.
Vide il cortile di Insomnia in estate, invaso dalla neve, e Cor davanti a lui che rideva.
«Vieni, dai…è meglio se torni a letto, sei così caldo che mi sorprende tu non abbia ancora preso fuoco.» Scherzò lei, e lui lasciò che lo aiutasse ad alzarsi, e a zoppicare fino alla camera che ormai considerava sua.
Quando fu seduto sul materasso, la guardò di sott’occhio. «Mi dispiace per il lavandino.»
Lei si strinse nelle spalle con un sorriso. «Non importa, era da cambiare.»
«Buonanotte, Emilia.»
Lei gli fece un cenno con la mano mentre usciva. «Buonanotte, nonnetto.»
 

 
Era l’alba quando si alzò di nuovo, uscendo sulla grande terrazza che circondava la casa.
C’era un dolce vento, e lui inspirò a fondo l’aria pulita.
La febbre si era abbassata e, nonostante avesse ancora la gamba indebolita, fece il giro completo della casa.
Era un’abitudine che si era preso ultimamente, controllare che fosse tutto libero, che non ci fossero soldati appostati intorno alla casa.
Se fosse stato così, non era sicuro che sarebbe stato in grado in proteggere quella famiglia che per lui aveva fatto così tanto.  Distese le braccia, sentendo i muscoli della spalla tendersi dolorosamente; era guarita prima della gamba, ma non era ancora al cento per cento.
«Nyx?»
La voce morbida di Emilia lo distrasse dalla sua ronda, e lui sorrise guardandola con la coda dell’occhio.
«Buongiorno. Tutto a posto?»
«Si.» Emilia sorrise, appoggiandosi allo stipite della porta. «Che stai facendo?»
«Solo un controllo.» Scrollò le spalle, e la ragazza annuì. «Bene.  Vieni dentro, mamma sta facendo colazione.»
Nyx la seguì in casa, e si sedettero insieme al tavolo.
Ora capiva tutto, e sorrise quando ricordò come Dayanara ed Emilia si fossero fatte i complimenti per la loro abilità nella lotta. «Credo di doverti ringraziare, Dayanara. Per aver conservato la lettera di Cor.»
La donna sorrise senza guardarlo, impegnata a preparare l’abbondante colazione. «Quella lettera è nella mia famiglia da secoli. E, se devo dirtelo, Nyx, ero contraria al fatto che Emy venisse a cercarti. Insomnia è pericolosa, e tu…»
Nyx sorrise, divertito, e accettò la critica. «E io pure. Non preoccuparti, appena starò meglio me ne andrò. »
Incrociò gli occhi della donna quando lei posò i piatti con i pancake e le uova sul tavolo. «L’ultima cosa che voglio è che finiate nei guai per colpa mia.»
Dayanara gli sorrise dolcemente. «Qualsiasi cosa ci succeda non sarà colpa tua. Noi abbiamo scelto di aiutarti. Sei un brav’uomo, e ci saremo finchè avrai bisogno di noi.»
In cinque secoli pensava di aver visto tutto, eppure quelle donne stavano destabilizzando tutte le sue idee.
«Non so che dire.» Ammise, sorridendo, e Emilia gli posò una mano sul braccio.
Quando incrociò i suoi occhi bianchi, si ricordò di una cosa. «La katana di Cor. È ad Insomnia, e voglio che l’abbiate voi. Ve la porterò.»
«Cosa? Oh..ok.» Dayanara sorrise, e guardò la figlia. «La katana di Cor è un’arma leggendaria, Emy. Averla in famiglia sarebbe…meraviglioso.»
«Grazie, allora. Nyx, posso chiederti una cosa?»
«Certo.» Confermò, ma si pentì subito di averle dato il permesso quando lei pose la sua domanda.
«Com’è morto? Cor, intendo. Non sappiamo molto sulla sua vita.»
Abbassò lo sguardo sul tavolo, sentendo l’ondata dei ricordi travolgerlo.
Era di nuovo là, tra la macerie, con il suono dei proiettili nelle orecchie.
Sentiva l’odore del sangue, le urla, e sentì il tonfo del corpo martoriato cadere al suolo.
E quell’ultimo, debole sorriso mentre la stretta della sua mano diventava più debole.
«…Nyx?»
Scosse la testa e sollevò lo sguardo verso le due donne che lo osservavano. «Io…non ricordo con precisione, mi spiace. Ma è morto da eroe.»
Esitò un istante, e poi sospirò e cedette.
Nesusno meritava la verità più di loro. «No, me lo ricordo.» Si corresse, e involontariamente alzò la mano a sfiorare la collana. «Insomnia era stata invasa dal Nuovo Impero. Mi avevano attirato lontano rapendo la regina, e quando sono tornato c’era già il caos. Cor è…è morto difendendo mia moglie, e la mia bambina.»
Dayanara ritirò i piatti in silenzio, e fu Emilia ad intervenire per spezzare quell’atmosfera tesa.
«Nyx, te la senti di venire a darmi una mano?»
L’uomo si alzò con un sospiro e annuì. «Dimmi tutto.»
«Dobbiamo tagliare la legna, o non seccherà in tempo per l’inverno.»
«D’accordo. Andiamo.»
E fu cosi che si trovarono sotto il sole mattutino a fare a pezzi la legna, e fu la prima volta che Nyx vide le braccia di Emilia scoperte. Quella sinistra era attraversata da quattro lunghi tagli all’altezza del gomito, e sulla destra, che partiva dalla mano e si arrampicava fino alla spalla, c’era un intricato, delicatissimo tatuaggio che sembrava una manica di pizzo, ma Nyx distinse chiaramente i nomi nascosti in quel disegno.
Sollevò l’accetta e l’appoggiò alla spalla sinistra. «Che ti è successo?»
Emilia si accigliò appena, continuando il suo lavoro con una precisione e una forza che, si disse Nyx, avrebbero tagliato una testa in un colpo solo, se lei avesse voluto. «Immagino tu ti sia chiesto come mai ci siamo solo noi, qui.»
Nyx si strinse nelle spalle e fece un sorriso colpevole. «Se devo essere sincero, no. Ma non sono molto lucido ultimamente, quindi perdona la distrazione di un vecchietto e raccontami.»
La sua battuta riuscì a strapparle una risata, e si prese un attimo di pausa mentre parlava. «Avevo una sorella, e un fratello, tempo fa. Quando le spade del re iniziavano ad essere influenti, quasi cinque anni fa, cercarono di reclutare mia sorella. Era un cecchino, terribilmente esperta, e papà non riuscì a convincerla a rinunciare. Così, fece l’unica cosa che poteva fare, e si arruolò nelle spade del re con lei. Lei…» Emilia esitò un attimo, abbassando lo sguardo sul nome che le scivolava in una delicata onda sul pollice.
«Lei morì tre anni dopo, e papà non si perdonò mai di non essere riuscito a salvarla. Mio fratello, nel frattempo, si comportava da idiota. Faceva del suo meglio, certo, ma questo non gli ha impedito di essere sbudellato da un giaguaro durante una caccia. Queste me le sono fatte portandolo via.» Accennò alle cicatrici sul gomito. «Quella creatura mi ha quasi staccato un braccio, ma sono ancora qui»
Raddrizzò la schiena, e Nyx si pentì di averle chiesto spiegazioni quando la vide asciugarsi gli occhi velocemente. «Papà non ci ha più visto. Se n’è andato, e io, la mamma e la nonna ci siamo trasferite qui.»
«Dov’è tuo padre ora?»  Chiese, e lei fece un sorriso amaro.
«Ad Insomnia, come comandante delle forze belliche delle spade dei re.»
«Tu…aspetta, cosa?» Nyx quasi lasciò cadere l’ascia, incredulo, ma quando lei piegò il braccio, mostrando il nome all’’interno del gomito, ebbe la prova che aveva capito bene.
«Lucian è…è tuo padre?»
Emilia si limitò ad annuire piano, e Nyx si passò una mano fra i capelli.
«Tu mi farai venire un infarto con tutte queste sorprese.»

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Pioggia e proiettili ***


CAPITOLO 8
 
Pioveva, il giorno dopo, una fitta pioggia incessante che non dava loro tregua da ore ormai.
E nonostante questo, Nyx si era arrampicato sul tetto della casa, e se ne stava ad osservare la foresta che li circondava.
Laggiù, lontano, gli sembrò di vedere per un istante lo scintillio della barriera sulla capitale, e la cosa lo rincuorò: se quella magia era ancora lì, Bahamut doveva essere abbastanza in forze da mantenerla.
Sentì un movimento alle sue spalle, e Emilia gli si sedette accanto, coprendo entrambi con l’ombrello.
«Che ci fai qui? Si gela.»
Nyx sorrise, divertito. «Davvero?»
«Si, ovvio che…aspetta, tu davvero non senti il freddo?»
Nyx scosse la testa all’espressione esterrefatta della ragazza. «Mi è già successo una volta, la mia magia, la mia…natura, non erano equilibrati, e non sentivo il freddo, era come una febbre continua.»
Emilia emise un breve fischio. «Certo che sei strano.» Sorrise, divertita. «Ma la mia domanda resta.»
«Io…è una sciocchezza.» Mormorò, giocando con la collana a forma di mezzaluna.
Se gli avessero tolto anche quella, pensò, non avrebbe avuto nulla ad ancorarlo a chi era stato.
Emilia notò il suo gesto, e il suo viso si addolcì. «Era un giorno speciale per voi, vero?»
Nyx piegò le labbra in un mezzo sorriso, ed espirò profondamente. «Non esattamente. Lei…è morta in questo giorno. Mi ha detto…mi ha detto che non avrei mai dovuto temere, perché lei sarebbe stata sempre presente a guidarmi.»
«Quando il buio stringerà il tuo cuore, io sarò la tua luce.»
Strinse il ciondolo, sentendo le punte della luna piantarsi nella sua mano.
«Cavolo, mi dispiace Nyx non volevo…non volevo farti stare male.»
Sembrava veramente contrita, e ciò lo fece sorridere.
«Non preoccuparti, è passato molto tempo. Io…ci sono momenti in cui faccio fatica a ricordare il suo viso.»
Confessò, assaporando quella dolce malinconia che gli stringeva il cuore. «Ricordo la sua voce, che cosa ha fatto per me, ricordo ogni istante con lei…ma capita che io debba vedere il suo ritratto per ricordare il suo viso. Stanno sparendo, tutti quanti.» Si passò una mano sul viso, esasperato, ma ciò che non si aspettava fu la mano di Emilia sulla propria.
La ragazza gli strinse la mano, e appoggiò il viso alla sua spalla, continuando a coprirli con l’ombrello.
«Il tuo cuore ricorda anche senza che tu te ne accorga. Per questo sei qui, per questo porti quella collana.» Mormorò, sorridendo, e Nyx si addolcì. Si appoggiò a lei, osservando la pioggia scrosciare intorno a loro.
«Sono passati cinquecento anni, e tu sei ancora totalmente e perdutamente innamorato di lei.»
Commentò Emilia, tra il dolce e il divertito, e Nyx sorrise.
Non poteva darle torto.
Luna era stata la sua salvezza, la sua stella per decenni, la sua metà perfetta.
«E sono sicura che, ovunque lei sia, ti ami allo stesso modo.»
«Ti amo, Nyx Ulric, e ti amerò anche quando di me non sarà rimasto altro che cenere.»
Spuntò all’improvviso, la luce nel cielo nuvoloso.
La stella in mezzo al buio.
Nyx le sorrise, incantato da come brillasse nel nero della tempesta.
«Lo so.»
 

 
Andò da lei di notte, andò da lei perché il sonno non voleva saperne di arrivare, e perché lei lo stava chiamando.
Quando entrò nella stanza, però, gli venne la nausea: dove una settimana prima c’era stato un laboratorio ordinato, e pulito, ora il pavimento era scivoloso di sangue argentato, e c’erano cocci di vetro, liquidi chimici versati a terra e mobili a pezzi.
Si portò una mano alla bocca, cercando di non respirare troppo quell’odore soffocante di morte che impregnava l’aria, e raggiunse la grande gabbia bianca al fondo della stanza.
Lei era all’interno, sveglia come aveva immaginato, e messa decisamente peggio dell’ultima volta che l’aveva vista.
«Che cosa ti ha fatto…?» Mormorò, appoggiandosi alla gabbia che – creata apposta per contenere la dea – non reagì al contatto con la sua pelle umana. Bahamut si mise a sedere e si voltò verso di lui, in silenzio, lasciando che lui vedesse la guancia e il collo ustionati,  le labbra spaccate, le innumerevoli ferite sulle braccia e sulle gambe, che ancora sanguinavano.
Quando lei distese solo un’ala, però, fu troppo.
Fu troppo anche per qualcuno che aveva visto i demoni nel deserto di fuoco di Gralea.
Cadde in ginocchio e vomitò sul pavimento, senza riuscire a togliersi dagli occhi l’immagine dell’ala martoriata e del buco nell’altra spalla, dove l’altra ala aveva trovato il suo alloggio fino a poco tempo prima.
«Merda…» Imprecò quando riuscì a calmarsi e, alzando lo sguardo, vide che la dea si era avvicinata alle sbarre, e ora lo osservava in ginocchio. Sembrava terribilmente umana, vista da vicino, con il viso sfigurato e l’aria sofferente, ma gli occhi tradivano chi era sul serio.
Quegli occhi vecchi come l’universo gli si posarono addosso, e lui seppe perché era lì, seppe perché lei aveva voluto che la vedesse in quello stato, e capisse.
«Non ti sta usando per trovare Nyx…Qual è il suo scopo?»
Per tutta risposta, lei allungò un braccio fra le sbarre, e il metallo avvelenato di cui erano composte iniziò a bruciarle la pelle all’istante. Lucian la osservò stringere i denti, e poi spostò lo sguardo sulla sua mano.
L’afferrò mentre il suo braccio veniva corroso, e quando riaprì gli occhi non era più nel laboratorio, ma nella sala del Trono di Insomnia.
C’erano daemon sulle pareti, nascosti nel buio, ma non fu quella la cosa che lo sorprese di più.
A sorprenderlo furono le figure traslucide in attesa accanto alle scale: erano tredici, e ognuna di loro impugnava un’arma che emetteva uno scintillio inquietante.
Quando sollevò lo sguardo sul trono gli sembrò che il cuore gli si fermasse.
Staccò la mano da quella della dea all’improvviso, e si tirò indietro, sentendo il sangue pompargli nelle orecchie. «Non…non è possibile, è morto secoli fa!»
Bahamut socchiuse gli occhi e si limitò ad annuire, e Lucian si accigliò. «Sta usando il tuo sangue per farlo tornare? Perché?»
La dea sollevò un sopracciglio, come a dirgli che conosceva la risposta, e lui si maledisse mentalmente.
Perché non aveva sparato a quel vecchio pazzo quando era entrato in casa sua sostenendo di volere reclutare sua figlia?
Avrebbe risparmiato quel dolore immenso alla dea, a Nyx, a sé stesso.
E alla sua bambina.
Irrigidì la mascella e sollevò lo sguardo su Bahamut, in attesa.
«Lo fermerò. Troverò Nyx, ti tirerò fuori da qui, e impedirò a Marcus di riportare Ardyn Izunia in questo mondo.» Fu lui ad allungare le mani tra le sbarre ora, e la dea gliele strinse per qualche istante, osservandolo.
Nonostante fosse ridotta in quello stato, aveva ancora una forza incredibile.
«Torno presto. Promesso.»
Quando lei annuì e lo lasciò andare con un sorriso, Lucian seppe che avrebbe sparato personalmente a Marcus, se fosse servito a salvarla.
 

 
Emilia espirò profondamente, sentendo i muscoli rilassarsi dopo l’allenamento con Nyx.
Due settimane dopo aver letto la lettera, si era ripreso quasi del tutto e aveva deciso che aveva bisogno di rimettersi in forma, e lei aveva acconsentito ad aiutarlo.
Se avesse saputo che razza di maestro brutale lui fosse, probabilmente avrebbe rifiutato.
«Non ti vedevo così rilassata da molto tempo, Emy.» La voce morbida di sua madre la spinse ad aprire gli occhi, e così facendo incrociò quelli della donna.
Avevano una sfumatura rossa, notò, come il colore del vino scuro.
«Io…sento che siamo nel posto giusto, al momento giusto. Aiutare Nyx è il nostro compito.»
Con sua grande sorpresa, Dayanara sorrise. «Lo so. Per quanto io sia preoccupata per te, so che il fatto che lui sia qui era stato deciso molto tempo prima che noi nascessimo.»
Si sorrisero lievemente, ma ben presto Dayanara si accigliò. «Come stava?»
Emilia si spostò sulla sedia, improvvisamente nervosa.
«Lui…»
Avrebbe voluto abbracciarlo, pregarla di tornare con lei.
C’era speranza, lo sapeva.
In fondo, non aveva sparato a Nyx.
Aveva esitato.
Aveva deglutito, indecisa se chiamarlo o meno.
In quel momento erano partiti i colpi, e non dal suo fucile, e lei era stata costretta ad agire mentre un fiotto di sangue argentato bagnava il marmo.
Aveva affondato il sedativo nel suo collo, ed era corsa da Nyx.
E mentre imprecava nel vederlo svenire, aveva saputo che lui l’aveva riconosciuta.
«Bene, mi è sembrato.» Tagliò corto, sentendo il cuore battere impetuoso proprio come quel giorno.
Dayanara la osservò in silenzio per un attimo, e prima che potesse dire qualcosa una parete della casa venne sfondata da un fulmine.
Quando il fumo si diradò, Emilia incrociò gli occhi di Nyx, che s’illuminarono d’argento.
«Mi hanno trovato.»
E ogni altra parola venne soffocata dal suono dei proiettili.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Fuoco nella notte ***


CAPITOLO 9
 
Non ebbe nemmeno il tempo di capire cos’era appena successo, perché la Barriera si alzò davanti a loro, e l’unica cosa che vide fu Nyx.
Era in piedi, una mano tesa a reggere la protezione e un’altra ad alimentare le fiamme che tenevano lontani i soldati. «Emilia, andate!» Ordinò loro, ma lei scosse la testa.
Nyx alzò gli occhi al cielo, abbassò la barriera e l’alzò dietro di sé.
Il suono dei proiettili che vi rimbalzavano contro le risuonò nelle orecchie.
«Emilia, prendi tua madre e tua nonna e andatevene. Vi raggiungerò.»
«Nyx…»
«Basta così.» Tagliò corto lui, poi abbassò la barriera e Emilia si ritrovò ad osservare un sogno.
Nyx svanì nel nulla, lasciando indietro una nuvola di diamanti argentati, e l’istante dopo il furgone davanti alla casa esplose, e lo vide in piedi tra le fiamme.
Il suono dei proiettili le giunse ovattato, come fosse sott’acqua, ma vide chiaramente la figura materializzarsi davanti a lei, e sentì lo schizzo di sangue argentato sulle mani quando i proiettili si piantarono nel fianco di Nyx.
«Nyx!»
L’uomo sputò sangue e la osservò con la coda dell’occhio. «Mi sembrava di averti detto di andartene…»
Mormorò con un sorriso ironico, e lei vide i fulmini danzargli tra le dita.
Quando la scarica venne liberata, saltando da un soldato all’altro, e l’odore di carne bruciata riempì l’aria, qualcosa si sbloccò dentro di lei.
Si voltò e prese la madre per un polso e la tirò via, e insieme corsero verso il fianco della casa, dove sostava il furgone parcheggiato. Fece salire la madre, chiuse la portiera e tornò di corsa nella casa, salendo gli scalini due alla volta sotto le scariche dei proiettili.
«Nonna, alzati!» Ordinò mentre entrava nella camera da letto, ma ciò che successe dopo le fece gelare il sangue. La nonna era seduta sul letto, come se meditasse, e scosse la testa quando la sentì parlare.
«Io non verrò, bambina. Il mio tempo in questo mondo è finito.» Sussurrò l’anziana signora, e Emilia l’afferrò per le spalle e cercò di alzarla.
La spinse via, e Emilia fu costretta ad uscire dalla stanza quando il pavimento venne sfondato da una decina di punte di ghiaccio, obbligandola a scendere nuovamente al piano di sotto.
Intravide lo scintillio delle sparizioni di Nyx, ad un certo punto, e l’attimo dopo un cadavere con la gola squartata venne scaraventato nel salotto, strappandole un urlo.
Si costrinse a non guardare, a non notare come un uomo disarmato stesse massacrando un battaglione intero, a non pensare che Nyx probabilmente si stava facendo quasi ammazzare.
Saltò nel furgone e partì senza guardarsi indietro.
«Mamma, non guardare.» Ordinò alla donna quando notò che stava osservando ciò che succedeva.
Non aveva detto nulla della nonna, ma in quel momento comprese cosa aveva inteso la donna.
Una colonna di fuoco circondò la casa, consumando ogni cosa, e l’onda d’urto rischiò di farla sbandare.
Guidò senza una meta, guidò solo per allontanarsi da lì, guidò per ore e ore, seguendo la costa, con l’ansia di vedere le aeronavi spuntare da un momento all’altro.
«Emi.» La voce della donna al suo fianco le echeggiò nelle orecchie, ma la ignorò, continuando a guidare.
Ogni battito del cuore era come un colpo dritto alle tempie. «Emi, fermati.»
Rallentò solo quando la madre posò le mani sulle sue, e alla fine accostò sul ciglio della strada.
E in quel momento capì perché le sembrava tutto così sfocato e surreale.
Si asciugò le lacrime rabbiosamente e batté le mani sul volante con rabbia. «Sarei dovuta restare!» Urlò più a sé stessa che alla madre, frustrata. «La nonna è morta, Nyx molto probabilmente anche, sta andando tutto a quel paese e io…»
«E tu hai fatto tutto ciò che potevi. Nyx sta bene, starà bene. Ora lascia guidare me.»
La voce morbida della madre riuscì a raggiungere quella calma che pulsava sempre nel suo cuore, e l’aiutò a tornare in superficie, e lei si calmò di nuovo, e si spostò, lasciando il posto di guidatore alla madre.
Dayanara partì con sicurezza, e ciò la incuriosì. «Tu sai dove andare vero?»
Quando la donna piegò le labbra in un sorriso seppe di aver avuto ragione.
«Riposa, arriveremo tra qualche ora.»
«Dove?»
«A Galdin.»
 

 
Faceva male anche solo alzare lo sguardo, ma quando l’abbandonarono di peso sul marmo fresco, seppe di doverlo fare.
Davanti a lei, il Cristallo era quasi spaccato in due, e dalla luce argentea colava un liquido viola simile a sangue; era il riflesso di come l’avevano ridotta, il riflesso di ciò che stava per succedere.
Ma quando la luce s’intensificò, non riuscì a trattenersi, e si mise a ridere nonostante le fitte di dolore ungente in ogni fibra del corpo, rise perché nonostante avesse il cuore letteralmente a pezzi, lei vedeva cosa stava nascendo da quella devastazione.
Il calcio le arrivò sulla mascella, buttandola a terra, e nonostante quello continuò a ridere.
«Infida creatura.» Sibilò Marcus, accanto a lei. «Che hai da ridere?»
Scosse la testa, sapendo benissimo che lui non avrebbe capito.
Non poteva, in quel buio confuso che era la sua mente.
Non sentiva quel buco immenso nel petto, dove Nyx aveva bruciato come fuoco.
E non capiva il significato di quel cambio di colore nel nucleo del Cristallo.
«Non importa.» Decise lo scienziato, afferrandola per i capell e tirandola in ginocchio.
Bahamut distese l’unica ala che le restava, incrociò le dita sulle gambe e inspirò profondamente.
Sarebbe andato tutto bene, lo sapeva.
E continuò a ripeterselo quando la lama le scivolò sulla gola, facendo scorrere il suo sangue dal taglio sottile
Quello doveva concederlo a Marcus: se non voleva torturarla, sapeva essere estremamente delicato.
Raccolse il sangue in una provetta, poi si accucciò davanti a lei e gliela sollevò davanti al viso.
«Ho il tuo sangue. Ho il tuo cuore, e ho i mezzi per tenerti sotto controllo. Ti conviene fare ciò che desidero, se non vuoi che riprenda da dove ho interrotto l’altra sera.»
Usò un tono di voce basso, calmo, quasi dolce, ma lei sapeva la verità; Marcus era un uomo spezzato.
Piegò il viso di lato, e un’altra immagine si sovrappose a quella del suo carceriere.
Nyx avrebbe potuto diventare così, pensò.
Ma Nyx non era stato da solo, per quando solo si fosse sentito, e ciò l’aveva salvato.
Deglutì quando il pensiero si distese in una coltre gelata nella sua mente.
Nyx non aveva più nessuno, in quel momento.
Ma ciò che stava accadendo poteva aiutarlo, lo sapeva, se solo lei avesse resistito.
Cedere avrebbe significato condannarlo.
In quel momento l’intero Palazzo fu scosso da una scossa di terremoto così violenta da far cedere il sostegno del Cristallo, e la pietra rotolò fino a schiantarsi contro una parete, lasciando la dea boccheggiante dal dolore, ma sorridente.
Lei e Marcus alzarono lo sguardo nello stesso momento, e videro la colonna di fuoco alzarsi verso il cielo, immensa e roboante come un inferno. Ma solo lei vide ciò che la colonna di fuoco nascondeva, e fu proprio quello a farla decidere.
Appoggiandosi al Cristallo martoriato si tirò in piedi, e radunò le poche forze che le rimanevano per scavare in quel mondo che era proibito agli umani, riaprendo la porta che lei e Nyx avevano chiuso secoli prima.
Richiamò quelle ombre che erano sempre lì, in attesa, e disfece le proprie decisioni.
E lasciò aperto uno spiraglio in quella porta, uno spiraglio di cui Marcus non era a conoscenza.
Vide lo scienziato arretrare quando la luce si condensò davanti a lei, assumendo una forma ben precisa che – se ne rese con stupore – le provocò una fitta di nostalgia.
Quando lui si voltò, Marcus cadde in ginocchio, e lui si accigliò.
«Cosa…cosa ci faccio qui?» Chiese, e risentire la sua voce dopo secoli la commosse.
Era stato crudele, avido, ma anche disperato, e solo.
E ancora una volta non aveva avuto la pace che cercava.
«Abbiamo bisogno di te, Ardyn.»
 

 
Sfondò la porta con un calcio, e ciò che vide gli fece alzare gli occhi al cielo.
Il principe e il suo scudo erano accanto al bancone, chiaramente alticci; da un certo punto di vista non poteva biasimarli, dato che lui stesso era diventato amico di quel bancone, e che la colpa di quell’abitudine era solo delle Spade del Re.
Si avvicinò a loro a passi decisi, afferrò il principe per il collo della maglia e gli spinse la faccia contro il bancone. Ancora prima che Emanuele potesse muoversi, aveva già estratto la pistola, e gliela stava puntando contro.
I pochi frequentatori notturni della taverna si fermarono come congelati nel tempo, e la voce di Lucian rimbombò nel silenzio pesante. «Te lo chiederò solo una volta. Dove avete trovato Nyx?»
«Avere una notizia di cui le spade non sono a conoscenza è qualcosa di raro. Cosa ci guadagniamo?»
La domanda venne dall’uomo in piedi, e Lucian si chiese come diamine facesse ad essere così sbruffone con una pistola appoggiata alla fronte. «Ci guadagni che non ti spacco quella faccia che nemmeno tua madre potrebbe amare.»
Strinse la presa sul collo del principe quando lo sentì muoversi, e decise di averne abbastanza quando lui provò a liberarsi; gli alzò il viso e poi lo sbattè di nuovo violentemente contro il legno.
Il suono del naso che si rompeva fu come musica nelle sue orecchie.
«Allora? Non sono un tipo paziente.»
Li incitò, e li vide scambiarsi un’occhiata esitante.
«C’entra la colonna di fuoco?» Chiese il principe, le mani chiuse intorno al naso sanguinante, e Lucian si limitò ad annuire.
La scossa aveva rischiato di seppellirlo sotto i libri che stava consultando per cercare di risolvere quella situazione, e quando le fiamme avevano illuminato la notte come se fosse giorno, aveva deciso di dover agire.
«Galdin. Ha…ha una casa a Galdin.»
Lasciò andare lo sfortunato erede al trono e uscì dalla taverna senza rinfoderare la pistola.
Si aspettava che Emanuele avrebbe provato a fare qualche follia, ma non fece altro che soccorrere l’amico.
E lui si trovò nella notte confusa.
Non poteva aspettare, si disse quando vide la luce filtrare tra le finestre della sala del Cristallo.
Meno di dieci minuti dopo era fuori dalla capitale, e guidava il più velocemente possibile verso la baia, sperando di trovare Nyx lì.
Sapeva che Marcus aveva mandato una pattuglia a prenderlo, ma a giudicare dall’improvvisa apparizione di quella mostruosità infuocata l’operazione non era andata a buon fine.
Se avesse trovato lui, pensò, forse avrebbe ritrovato anche la sua bambina.
 

 
Si svegliò senza sapere come, e perché.
Si svegliò in un inferno di erba, legno e corpi bruciati.
Si svegliò sentendosi a pezzi, e si svegliò sotto la pioggia battente.
Distese la schiena, e all’improvviso si rese conto di cosa provava, ed era una sensazione che non sentiva da troppo tempo.
Quando spostò lo sguardo, però, ciò che vide fu totalmente diverso da ciò che si aspettava.
Erano immense, tra il viola e il blu, e sembravano fatte di piume metalliche.
Quelle non erano le ali di Bahamut.
Erano le sue ali.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - La casa della leggenda ***


CAPITOLO 10
 
Distese nuovamente le ali, e poi le ripiegò sulla schiena, incuriosito da quella novità.
Pensare che quelle ali erano sue, e non della dea era qualcosa di estremamente strano, ma spiegava tutto ciò che era successo da quando gliel’avevano strappata dal cuore.
Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, e vide la magia scivolargli nelle vene sotto pelle, e la cosa lo fece sorridere: ora era sua più che mani.
Inspirare l’odore di carne bruciata gli ricordò la devastazione che aveva causato.
Era stato come un vaso che veniva riempito, ogni schizzo di sangue, ogni tonfo di corpi caduti si erano accumulati, e alla fine non era più stato in grado di trattenersi, e la colonna di fuoco aveva divorato qualsiasi cosa nel raggio di una decina di metri.
Espirò a fondo e si avvicinò ai corpi bruciati, chiedendosi come avessero fatto a trovare la casa.
La risposta gli arrivò quasi per caso, perché i suoi occhi scivolarono su ciò che restava del furgone che aveva fatto saltare in aria, e la vide: la mappa aveva un piccolo punto luminoso, che comprese con orrore, segnava l’esatta posizione della casa.
Imprecò sonoramente raccogliendo la mappa, e ciò che successe dopo fu l’ennesima cosa strana della sua vita.
Vide un laboratorio nel Palazzo, sangue argentato macchiare le pareti, la voce di un uomo e il suono di una lama. Si stava chiedendo che cosa fosse quando la visione mutò di nuovo, e lui capì come avevano fatto a trovarlo: Marcus aveva una mappa in mano, e vi stava facendo cadere sopra del sangue argentato.
«Bahamut…»
Come se la sua voce avesse influito sulla visione, il suo sguardo si spostò di nuovo.
Bahamut sollevò lo sguardo su di lui come se fosse presente nella stanza, e lui vide come Marcus l’aveva ridotta, vide il suo sangue argentato scivolarle sul collo, e una delle sue ali appesa al muro, strappata dalla sua carne.
Imprecò di nuovo e lasciò cadere la mappa, cancellando quell’incubo ad occhi aperti, e sentì la rabbia fargli girare la testa. Aprì le ali, cercando un modo di riordinare le idee.
Trovare Emilia e sua madre.
Armarsi, tornare ad Insomnia.
E massacrare Marcus.
 

 
«Come sapevi di dover venire qui?»
Domandò mentre saliva le scale con cautela, e sentì la madre alle sue spalle.
«Nyx mi ha detto che in caso di pericolo saremmo dovute venire qui. È qui che l’hanno trovato, quindi non lo cercheranno più.» Le spiegò mentre Emilia apriva la porta, e insieme si ritrovarono in quella che era a tutti gli effetti la casa di una leggenda.
Emilia passeggiò lentamente tra i mobili, osservando i soprammobili e le foto sparse in tutta la casa.
Nyx le aveva detto di avere bisogno di vedere i ritratti di coloro che aveva conosciuto per ricordarli, e vedere quante foto e ritratti c’erano nella casa la commosse.
«Non deve essere facile vivere per sempre.» Mormorò Dayanara, e la figlia annuì, continuando la sua esplorazione della stanza e arrivando nel salotto. Era una stanza modesta, ma ogni singolo oggetto trasudava la personalità di Nyx come se lui fosse stato presente, perfino il colore blu intenso delle tende.
«Emi, dove stai andando?» Le domandò la madre dalla cucina notando che si stava ancora spostando, ma lei le fece un cenno distratto. «Va tutto bene, controllo che sia tutto okay.»
La porta davanti a lei la condusse in quella che scoprì essere la camera da letto della casa.
Il letto al centro era matrimoniale, con un comodino accanto e un armadio dalla parte opposta.
Lei aveva conosciuto Nyx con quella specie di divisa che le spade del re gli avevano rifilato, ma vedere la caa dell’immortale la incuriosì.
Così, facendo attenzione a non urtare il vaso di fiori blu notte sul comodino, si avvicinò all’armadio e ne aprì le ante con delicatezza, domandandosi quanto tempo Nyx ci avesse impiegato a trovare un posto dove stabilirsi.
Sembravano vestiti normali, pensò con un sorriso divertito, ed era strano che il loro padrone non avesse nulla di normale.
Vide il tomo quasi per caso, e lo raccolse con il cuore, temendo che potesse sgretolarsi tra le sue mani.
Al mio fianco, di Ignis Scientia, recitava la copertina, e quando lo aprì fu con reverenza, con la sensazione di non doverlo fare e la curiosità pungente del voler sapere.
Il grande disegno nella pagina iniziale era sbiadito ormai, eppure lei la vide lo stesso, la donna dalla pelle chiara e i capelli color del sole. E vide la collana a forma di mezzaluna scintillarle sul collo.
Il rumore di un motore che si spegneva le fece gelare il sangue, e tornò di corsa dalla madre.
Dayanara aveva impugnato la spada che aveva intravisto appesa sulla parete d’entrata, ma Emilia non ebbe il tempo di osservarne l’elsa intarsiata a forma d’ala, perché la donna le fece cenno di stare bassa.
Scivolò come un’ombra accanto alla porta, e si portò un dito alle labbra per farla tacere.
Sentirono i passi insieme, e quando la porta si aprì il passato fece il suo ingresso.
Dayanara sollevò la spada, pronta ad attaccare, ma l’intruso bloccò la lama con il fucile, e Emilia si portò una mano alla bocca per soffocare l’esclamazione di sorpresa.
Conosceva quel fucile.
«Mamma aspetta!» Si alzò di scatto, e incrociò l’uomo che era appena entrato nella casa.
Lui la guardò, poi guardò la donna che aveva ancora la spada alzata contro il suo fucile.
La sua espressione furiosa lo fece sorridere. «Ciao. Non mi aspettavo di trovarvi qui.»
Esordì, mantenendo il controllo grazie all’abitudine di anni.
Dayanara era lì, a pochi passi da lui, bellissima e furiosa come l’ultima volta che l’aveva vista.
E poi c’era lei, uno spicchio di bianco in mezzo al colore, la bambina che aveva deluso, l’unica che aveva protetto.
«Che cosa vuoi?» Fu la moglie a parlare, alzando l’altra mano a bloccare le proteste della figlia.
Lucian abbassò l’arma, e la lama della spada gli si appoggiò alla gola senza esitazione.
Spostò lo sguardo sulla casa, e infine di nuovo sulla moglie. «Sono venuto a cercare Nyx, ad aiutarlo.»
«Balle.»
Quel tono rabbioso lo fece sospirare, ma non poteva dare torto alla donna, dato che lui stesso aveva contribuito alla cattura di Nyx, e al suo sfruttamento. «Lascia che ti spieghi.» Girò il fucile e lo porse alle due donne, sapendo che sarebbe servito a farle rilassare almeno parzialmente.
Emilia afferrò l’arma, e sfiorò l’incisione che la ornava. «Ana…Mamma, abbassa la spada.»
Dayanara scosse la testa. «Non finché non avrà consegnato tutte le armi.»
«Mi fa piacere vedere che non ti sei dimenticata i dettagli.» Esordì mentre estraeva i pugnali dagli stivali e la coppia di pistole dalla cintura. Posò le armi e alzò le mani, e alla fine le due donne cedettero.
Emilia gli fece cenno di sedersi, e Dayanara lo liberò dalla spada alla gola, ma nessuna delle due si avvicinò a lui, e lo tennero a distanza.
«Parla.» Ordinò la moglie, osservando la spiaggia all’esterno con circospezione.
«Sono venuto da solo, e nessuno sa che sono qui.» Esordì Lucian, appoggiandosi al tavolo, indeciso su chi posare lo sguardo. Dayanara lo attirava come un fuoco per una falena, ed Emilia sembrava un diamante.
«Marcus sta…sta esagerando. Ha torturato Bahamut, vuole riportare l’oscurità nel mondo. È pazzo, e l’unico che può fermarlo è Nyx.»
«Ce ne hai messo di tempo.» Mormorò la mora. «Perché ora?»
«Perché Bahamut mi ha ricordato cosa vuol dire essere umano.» Confessò, stringendosi nelle spalle.
Emilia si stava mordendo le labbra, e lui trattenne un sorriso quando la vide sfregarsi un polso, un abitudine che aveva sempre avuto quando era nervosa. «Mi sono fidato di Marcus, pensavo volesse sistemare le cose, riportare l’ordine e il controllo ad Insomnia, terminare i conflitti dopo la morte del re. Mi sono sbagliato, e ne ho pagato le conseguenze.»
Si scambiarono uno sguardo rapido, consapevoli di avere lo stesso pensiero, ma la prima a muoversi fu Emilia. Si alzò di scatto, il fucile del padre tra le braccia. «Ci hai abbandonato.» Parlò con un tono di voce pacato, controllato, e mai come quel momento assomigliò alla sorella maggiore.
Ana aveva sempre tutto sotto controllo, percepiva il mondo come se andasse al rallentatore e lei potesse influire su di esso senza la minima fatica.
«Emilia…»
«Zitto. Piuttosto che affrontare le conseguenze sei fuggito come un codardo, e ora torni e cosa ti aspetti? Che ti riaccogliamo a braccia aperte? Il fatto che tu sia qui ora non ti rende migliore di Marcus.»
Aveva cercato di essere paziente, comprendendo il loro risentimento, ma quella frase gli fece saltare ogni cognizione di causa; si alzò di scatto, afferrò il proprio fucile e, con un movimento derivato da anni di addestramento, usò quella spinta per bloccare Emilia con un braccio, e puntare l’arma da fuoco contro la moglie.
In tutto quel movimento, lei aveva a malapena avuto il tempo di fare un passo.
«Lasciala andare.» Gli sibilò lei contro, la mano stretta sulla spada, ma lui scosse la testa.
Stava esercitando giusto la forza necessaria per tenere la donna ferma, e non le avrebbe mai fatto del male, ma rendersi conto che la moglie non lo sapeva gli causò una fitta di amarezza. «La lascerò andare quando mi avrete ascoltato. Dopo la morte di Ana, e di Cesare, pensavo che Marcus fosse la soluzione. Per proteggere voi due. Lasciarvi è stata la cosa peggiore che ho mai fatto, ma dovevo. Dovevo credere che Nyx non avesse un cuore, che non fosse umano. E poi si è messo in mezzo all’esecuzione, per proteggere un padre e sua figlia.» Non distolse lo sguardo da Dayanara nemmeno per un istante, e lei sostenne i suoi occhi senza un’ombra di cedimento.
«Ho visto cosa vuole fare Marcus. Ho bisogno di Nyx. Maledizione, probabilmente tutto il mondo ha bisogno di lui.»
«Beh…» Intervenne una voce dall’entrata che li sorprese tutti. «Non sarebbe la prima volta.»

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Il nuovo re ***


CAPITOLO 11
 
«Nyx!» Emilia si liberò in fretta dalla presa del padre e gli si lanciò addosso, facendolo quasi cadere.
Nyx scoppiò a ridere e ricambiò brevemente il gesto. «Hey hey, vacci piano.» L’ammonì con un sorriso, allontanandola con cautela. Emilia si allontanò squadrandolo da capo a piedi, e Nyx lasciò che vedesse il sangue che scorreva lento dalle ferite dei proiettili, gli abiti semi bruciati dalla magia e che studiasse il suo viso pallido.
Quando però mosse le ali con un tintinnio metallico, sembrò che il tempo si fosse fermato.
La giovane donna si alzò in punta di piedi, osservando oltre la sua spalla, e Nyx si morse una guancia per non sorridere, e aprì le sue nuove, enormi ali nella luce del sole nascente, proiettando un universo di colori tutto intorno.
«Che…cosa ti è successo?» Mormorò Dayanara, incapace di distogliere lo sguardo da quella meraviglia.
A quel punto, però, Nyx aveva deciso che il tempo dei convenevoli era finito, e fece un cenno verso Lucian.
«Chiedilo a tuo marito. È colpa sua se siamo qui.»
«Mia?» Ribattè Lucian con contegno, osservandolo, ma quando gli occhi dell’immortale si posarono su di lui sentì una goccia di sudore freddo sulla schiena.
Che cos’era diventato?
C’era un tale potere in quello sguardo, una tale furia, che si pentì come non mai di aver assecondato Marcus.
«Esatto. Tu hai aiutato Marcus a catturarmi, e tu gli hai permesso di torturare Bahamut.»
Sentirlo dalla sua stessa voce lo rese solo più doloroso.
Sto arrivando, pensò, come se lei potesse sentirlo, sperando che in qualche modo lei lo sentisse.
«Nyx, non sto negando la mia colpa. Ma sono qui perché Bahamut ha bisogno di te, Marcus vuole riportare l’oscurità nel mondo. Vuole…resuscitare Ardyn.»
Fu una doccia fredda, un tuffo nel vuoto mentre quel nome gli si piantava nel cuore come un coltello.
Piegò le labbra in un mezzo sorriso beffardo. «Ardyn…è morto, per ben due volte. Non può tornare indietro, non vuole.»
Di quello era sicuro.
Se c’era una cosa che ricordava con precisione dopo cinque secoli era l’immortale, rifiutato re di Insomnia sorridergli leggendo il proprio nome sulla tomba.
Lucian, però, alzò gli occhi al cielo con aria esasperata. «Bahamut mi ha mostrato il contrario.»
Sembrava così convinto, si rese conto Nyx, troppo convinto perché si stesse inventando una scusa per riportarlo indietro. «Vieni qui.» Gli fece cenno di avvicinarsi e, anche se con riluttanza, lui lo fece.
Nyx gli posò una mano sulla spalla, e il mondo davanti a lui scomparve.
Era ad Insomnia ora, c’erano Ravus e suo figlio, e di fronte a loro Marcus e…
Allontanò di scatto la mano.
«Fuori da qui, tutti e tre. Andate a mangiare qualcosa, andate a passeggio, ma andatevene da qui.»
«Cosa? Ma perché?» Sbottò Emilia, avvicinandoglisi, ma lui la fermò con un movimento d’ala
Aveva sempre trovato comode le ali della dea, ma le sue lo erano ancora di più, erano estensioni naturali del suo corpo.
«Ho bisogno di un po’ di tempo da solo, poi andrò ad Insomnia.»
«Vengo con te.» Decretò la ragazza, scostando l’ala metallica con un braccio.
Nyx stava per fare forza e respingerla, ma si fermò quando vide che le piume le stavano tagliando la pelle.
Non aveva senso discutere con lei, così si limitò a scrollare le spalle.
«Ora fuori.» Decretò, e rimase ad osservarli mentre uscivano, una famiglia spezzata dal dolore e dal risentimento.
Quando fu finalmente solo, si passò una mano sul viso espirando profondamente.
Nonostante l’enorme potere che gli scorreva nelle vene le ferite che aveva subito non guarivano, non del tutto, non come prima, e la colpa era di qualsiasi cosa gli avesse fatto Marcus.
Scrollò le spalle, e si diresse nella sua stanza.
Una volta abbandonato sul letto, prese la foto che troneggiava sul comodino, e ne sfiorò l’immagine sbiadita.
Ancora qualche anno, e della donna in abito da sposa che sorrideva nella foto non sarebbe rimasto più nulla.
«Luna…» Chiuse gli occhi e appoggiò la fronte alla cornice. «Ho plasmato il futuro per anni, secoli, e sono comunque riuscito a deluderti. Il mondo per il quale abbiamo lottato è rovinato da odio e rabbia.»
Mormorò, parlando alla foto, alla stanza vuota, e all’eterno ricordo di lei nel suo cuore.
«Sai cosa devi fare allora, Nyx.»
La voce non lo colse così tanto di sorpresa; alzando lo sguardo, incrociò gli occhi di ghiaccio di Shiva.
Probabilmente si era infilata come una brezza invernale dalla finestra, e ora se ne stava davanti a lui, fluttuante a pochi centimetri da terra.
«Hey.» La salutò con un cenno del capo. «Che ci fai qui?»
La dea del ghiaccio si strinse nelle spalle. «Bahamut è mia sorella. Non siamo insensibili alla sofferenza dei nostri simili anche se siamo dei, Nyx. Così sono qui, dall’unico che può aiutarla.»
Nyx si accigliò, accorgendosi che, nonostante la dea del gelo fosse davanti a lui e l’intera stanza si stesse coprendo di brina, lui non sentiva freddo.
«Fidarsi così tanto di me non è una buona idea, non avete ancora imparato?»
«Perché dovrebbe essere un errore?» Gli domandò Shiva, sedendosi al suo fianco.
Era lì, fredda come la morte, e nonostante tutto, lui ne era contento.
Lei era l’unica cosa vivente che aveva della sua Luna, l’unica che l’avesse conosciuta.
«Regis si è fidato di te, e non l’hai deluso. Noctis e i suoi amici non sarebbero arrivati lontano, senza di te.
Bahamut ti ha donato il suo cuore senza nemmeno conoscerti e…»
«Perché?» La interruppe Nyx, ponendo la domanda che non aveva mai avuto risposta.
Shiva sorrise con aria divertita. «Avevi due proiettili in corpo, eri senza magia, senza via d’uscita. Gli Antichi Re ti hanno chiesto di sacrificare una di due persone, e tu cos’hai fatto? Hai sacrificato te stesso. E lei ha capito chi eri, e ti ha donato il suo cuore. Perché te lo meritavi.»
«Il vero potere viene negato a coloro che lo cercano inesorabilmente. Viene donato solo a coloro che lo meritano.»
Si alzò di scatto, e si voltò a guardare la dea in silenziosa attesa.
Sapeva forse che la sua frase ne aveva riesumata un’altra, persa nei secoli?
«Ramuh e Titano…»
Non ebbe nemmeno bisogno di finire la frase. «Devi solo chiedere, Nyx.»
«Bene.» Posò la foto al suo posto e aprì l’armadio, rovistando tra gli abiti appesi. «Shiva…»
Esitò un attimo, indeciso su cosa dire.
Sapeva benissimo cosa gli stava succedendo, sapeva che era colpa del Cristallo, e sapeva benissimo che non era sicuro se la cosa gli andava a genio.
«In che stato è il Cristallo?»
«Non so dirtelo. Forse Lucian può risponderti.»
Afferrò l’abito, e l’appese all’armadio, osservandolo per la prima volta da molto tempo.
Inspirò a fondo, e portò una mano alla collana.
Lei si era sempre battuta per il futuro, e gli aveva insegnato a fare altrettanto.
Ed era ora di ricominciare a plasmare il futuro.
«Bene.» Decise.
L’uniforme era ancora perfetta, sembrava pregarlo di essere indossata in difesa della città.
Nyx sorrise tra sé e sé.
Dopo cinquecento anni, dopo essere morto e risorto innumerevoli volte, era ancora un Angone.
«È ora di andare.»
 

 
Si distese sul trono, chiudendo gli occhi per un istante mentre allungava le gambe.
Era una bella sensazione sentire la pietra contro la schiena, il potere che scaturiva da quella postazione, eppure gli lasciava un retrogusto amaro.
Era re, finalmente, e allora cosa non andava?
Aprì gli occhi e appoggiò la guancia alla mano, osservando l’uomo davanti a lui.
Viscido era l’unica parola che gli venne in mente per descriverlo.
Gli aveva spiegato che aveva bisogno di lui, che Insomnia stava cadendo e solo il vero re, un re dal pugno di ferro sarebbe stato in grado di sollevarla e renderla di nuovo sicura e imponente.
Eppure qualcosa non quadrava.
«Perché la dea è qui?» Domandò, spostando lo sguardo sulla prigioniera.
Era davvero Bahamut quella?
Marcus fece un cenno distratto con la mano. «Non farci caso mio re. È qui solo come misura preventiva contro Ulric.»
«Ulric…» Assaporò quel nome sulla lingua. Gli ricordava qualcosa, qualcuno, eppure non aveva chiaro cosa.
Si passò una mano sul petto, e gli sembrò di sentire le cicatrici delle ferite.
Qualcuno l’aveva pugnalato ripetutamente.
Qualcuno che l’aveva ucciso.
Tornò come un fulmine a ciel sereno.
«Ulric. Nyx Ulric.»
«Si signore.»
Ardyn sorrise tra sé e sé, osservando quella che una volta era una dea.
Se lei era lì, Nyx era debole.
«Non vedo l’ora che arrivi. Lo ucciderò.»

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Capitolo 12
*** Capitolo 12-Sole e luna ***


 CAPITOLO 12
 
«Cosa…cosa pensi che voglia fare?» Domandò, sentendo l’angoscia stringerle il cuore.
Lucian, davanti a lei, distese le gambe sotto al tavolo. «Se Nyx è davvero come le leggende lo dipingono, qualche follia.»
Emilia si morse il labbro, osservando il padre di sott’occhio, e le sembrò stanco, e pentito, e solo.
«Il Cristallo…gli sta facendo…quello?»
Il veterano annuì. «Immagino. L’ultima volta che ho visto il Cristallo sembrava che sanguinasse. Non so che legame ci sia tra Bahamut, Nyx e quella pietra, ma Marcus l’ha usata per ferirli, e ne ha sfruttato il potere per separarli.»
«Dobbiamo aiutarlo.» Sentenziò la giovane donna, e la sua dichiarazione fece inarcare un sopracciglio al padre. «Tu non vai da nessuna parte. Se ti getti a capofitto in una città che forse non vedrà la luce dell’alba di domani tutto ciò che ho fatto sarà stato inutile.»
Quella paternale fece accigliare Emilia, che incrociò le braccia al petto. «Il tempo in cui potevi ordinarmi cosa fare te lo sei perso da un pezzo.»
Lucian sospirò a quel rimprovero. «Lo so.» Confessò. «Allora promettimi una cosa almeno, vuoi?»
Dopo che le ebbe annuito, Lucian sorrise, e fu quel sorriso che era solo per lei, come se condividessero un segreto importante.
«Promettimi che mi permetterai di aiutarti.»
Aveva scelto accuratamente le parole, per non denigrare l’abilità della figlia, per non soffocarla troppo con la sua presenza, e funzionò; Emilia gli sorrise e allungò una mano sulla sua.
«Va bene…papà.»
«Bene. Ora che avete finito, muoviamoci.»
«Nyx! La smetti di comparire così a cas…oh.» Le si smorzò la voce mentre osservava l’uomo appoggiato alla colonna.
Indossava un’uniforme nera e argento, decorata con i simboli della casa reale e della dea.
La pelliccia e la stoffa sulle braccia erano come ogni cose che veniva da lui: sue in ogni dettaglio, come se cantassero la sua storia, e là, a muoversi lente nel vento, le due lunghe strisce viola completavano quel quadro così insolito.
«Sembra che tu abbia visto un fantasma.»  Commentò lui con un sorriso divertito, e lei scosse la testa, schiarendosi le idee. «No, è che sembri…wow.»
Con una breve risata, Nyx si prodigò nella parodia di un inchino. «Lo prendo come un complimento. Ora veramente, andiamo.»
«Va bene.»
«Lucian, vieni con me. Dobbiamo parlare.»
Mentre li osservava allontanarsi, Emilia trovò la descrizione che cercava.
Nyx sembrava inarrestabile, e lontano.
Sollevò lo sguardo nel cielo, e senza nemmeno sapere perché sentì la gola stringersi dolorosamente.
Lontano, e arcano.
Come la luna.
 

 
Tornare fu come un tuffo nel passato.
Da lontano, la città era sempre uguale, sempre luminosa e invitante.
Ma lui sapeva, sapeva dell’oscurità che strisciava per le strade.
Abbassò lo sguardo sull’anello che gli scintillava all’anulare, e poi strinse la mano.
L’ultima volta lei era stata al suo fianco, gli aveva dato uno scopo, qualcosa per cui lottare, qualcuno da cui tornare.
Chiuse gli occhi, e il suo viso si dipinse nel buio, esausta e insanguinata di fronte a lui.
«Sposami.»
«Sopravvivi.»
Per cosa sopravviveva, ora che nemmeno la dea era con lui?
La risposta era semplice, pensò, perché era la stessa di sempre, la stessa che l’aveva mosso nei secoli.
«Nyx! Abbiamo una via d’entrata!»
La voce di Lucian lo riportò alla realtà.
Incrociò il suo sguardo, e quello di Emilia, perfino quello della madre.
«Perfetto. Andate, trovate il re e il principe.»
Un cenno di assenso, e poi l’auto partì senza esitazione sul punto.
Nyx la osservò allontanarsi mentre il sole sorgeva.
Si alzò in volo, e  la carezza del sole lo fece sorridere.
L’alba di un nuovo giorno.
Ecco per cosa lottava.

  

Note dell'autore:
capitolo molto molto breve XD ma è uno degli ultimi di "attesa" si può dire, quindi ho voluto tagliarlo qui, con il pensiero di Nyx che ricorda che lotta per il futuro, come ha sempre fatto x3 A presto, con un capitolo più lungo, promesso xD

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Il sangue degli dei ***


CAPITOLO 13
 
«Allora…cos’altro hai portato indietro con me, cara?» Le domandò, appoggiandosi al bracciolo del trono.
La dea piegò le labbra in un mezzo sorriso enigmatico. «Cose. Cose che avevo cancellato per fare un favore ad un amico, cose che possono tornare.»
Ardyn sentì un brivido attraversarlo quando incontrò il suo sguardo.
Come faceva ad essere così intimidatoria anche ridotta in quello stato?
«Uccidila. Uccidila, e avrai l’eternità per dimenticare la loro esistenza.»
Scosse la testa quando l’ennesima voce si fece strada nella sua mente. Non aveva idea di dove provenissero quelle allucinazioni – non potevano essere ricordi – e ne aveva taciuto l’esistenza sia alla dea sia all’uomo claudicante che lo serviva come un cane.
Ma Bahamut inarcò un sopracciglio. «Qualche problema, Altezza?»
E nonostante percepisse la pesante ironia nel suo titolo, decise che non avrebbe lasciato che lei gli s’infilasse sotto pelle, così si strinse nelle spalle.
«Non dovresti pensare ai tuoi di problemi?» Le ritorse la domanda contro con un’espressione beffarda, e per una volta lei tacque.
In quel modo ebbe la possibilità di cercare di riordinare le idee per l’ennesima volta.
Si era trovato nella sala del trono, con Marcus davanti e una Bahamut esausta alle spalle.
Aveva scoperto che era stata lei a farlo tornare, su volere dello scienziato.
Insieme, avevano deposto Ravus e il principe.
E ora finalmente lui era seduto sul trono che gli spettava di diritto.
E allora perché non riusciva a godersi quella situazione?
«Lo sai? Sei un bastardo, ma almeno sei qui.»
Cos’erano quelle voci, quella sensazione di essere nel posto sbagliato?
Si alzò di scatto e scese le scale.
C’era un solo posto dove potesse andare, e vi si diresse a passi spediti, camminando tra i corridoi semi vuoti del Palazzo.
Era la sua casa, lo era da…
Da quanto?
Fu con reverenza che aprì la porta della grande sala centrale, aspettandosi di essere investito dalla luce della sacra pietra di Lucis.
Ricordava di essere entrato in quella stessa stanza, chissà quanto tempo prima, più morto che vivo, ma in pace. E ricordava di esserne uscito a pezzi.
Ma ciò che vide ora fu peggio di qualsiasi altra situazione.
Il grande Cristallo al centro della stanza era l’unica fonte della fievole luce che vi regnava, ma era una luce insicura, fragile, come se non avesse più l’energia per sostenerla dopo tutte le ferite che gli erano state inflitte.
Incuriosito da quel nucleo pulsante che scintillava nel cuore della pietra, avanzò nella stanza, chiedendosi quando l’energia viola degli dei fosse mutata in quell’argento brillante, e rischiò di scivolare.
Su cosa, si chiese, se quella stanza di marmo era splendidamente pulita da sempre?
Posò un ginocchio a terra e sfiorò il pavimento.
Quando sollevò la mano, la lieve luce scintillò su quello che sembrava a tutti gli effetti sangue argentato.
E per qualche motivo, una voce gli echeggiò nella mente.
«Io non sono mai solo.»
 

 
Avrebbe potuto chiedere aiuto agli dei, pensò.
Shiva gli aveva promesso che ci sarebbero stati, che doveva solo chiedere.
Eppure, quella non era la loro battaglia, ma la sua personale lotta contro Marcus, e contro un futuro sbagliato.
Individuò la piazza senza problemi, perché era inchiodata nella sua memoria anche attraverso i secoli.
La mano intorno alla sua, lo sguardo preoccupato, la volontà di indossare l’Anello.
Quella sera, le aveva detto di essere un eroe, ed era giunta l’ora di tornare ad esserlo.
Non era più Nyx il non-morto, né Nyx l’immortale.
Era Nyx l’angone che combatteva per il futuro di centinaia di persone.
Avvicinarsi al Palazzo, però, non risultò essere facile, esattamente come avrebbe dovuto essere.
Nyx si schiantò sulla guardia con tutto il peso, sollevando l’ala per parare la scarica di proiettili dell’altro soldato, sentendoli schiantarsi contro il metallo.
Saltò nuovamente nel vuoto mentre la guardia che aveva steso si rialzava, e mentre cadeva individuò la finestra di quella che era stata la sua stanza. Chiuse le ali e vi si diresse in picchiata, spalancando le finestre e atterrando con una capriola ai piedi del letto.
E loro erano lì, dove li aveva lasciati prima che tutto si riducesse ad un caos unico.
Scivolarono nelle sue mani come se fossero contenti di vederlo, e lui inspirò a fondo sentendo le impugnature familiari dei kukri.
Ora poteva pensare a tutto il resto.
Prima che uscisse, gli squillò il telefono, e lui rispose in automatico, sapendo benissimo chi era.
«Nyx, abbiamo trovato il re, ma…»
«Ciao Nyx. Pensavi davvero che nessuna vedetta ti avesse visto avvicinarti?»
Il semplice sentire quella voce gli fece salire il sangue alla testa. «Marcus. Che cos’hai fatto?»
«Perché non vieni a vedere? Io e i tuoi amici ti aspettiamo vicino al cancello est.»
Nyx non perse tempo a chiudere la chiamata, e si lanciò fuori dalla finestra.
Arrivare al cancello est fu uno scherzo in volo, ma la rabbia e il dolore delle vecchie ferite che non volevano saperne di guarire del tutto lo rese distratto.
Il proiettile del cecchino gli s’infilò esattamente nel muscolo dell’ala, l’unico punto non protetto, e il secondo finì nella spalla, costringendolo a cercare di atterrare usando al minimo un’ala sola.
Fu una caduta più di un atterraggio, e Nyx si trovò a tossire a carponi nella polvere che lui stesso aveva sollevato, e prima di potersi riprendere lo sentì di nuovo.
Quella terrificante sensazione di avere ogni cellula prosciugata di energia, di essere vuoto come un guscio.
Solo dolore e sangue.
Niente magia, niente.
«Non mi hai lasciato il tempo di avvertirti…qui non vali nulla.»
Eccoli lì, piccoli occhi malefici che brillavano pigramente, gli inibitori che gli impedivano di radere al suolo tutto e staccare la testa allo scienziato pazzo che gli stava davanti. «Tu…come hai fatto a sapere?»
Marcus si strinse nelle spalle, e Nyx cercò di ignorare i soldati che stavano davanti alla casa, e il taglio sulla guancia di Emilia, il naso rotto della madre e la spalla grondante sangue di Lucian.
Erano lì per colpa sua.
«Sei prevedibile, Nyx. Sei il salvatore, l’eroe, quello che fa sempre la cosa giusta. E salvare il re e la sua famiglia sarebbe stata la cosa giusta.» Marcus gli si sistemò davanti, costringendolo a tirarsi in ginocchio, le ali abbandonate sull’asfalto, nulla più di un peso morto ora.
«Certo.» Continuò l’uomo. «Non mi aspettavo loro, pensavo saresti venuto da solo, ma così è ancora meglio.»
Il pugno che gli si schiantò sulla faccia fu abbastanza forte da fargli sputare sangue, ma quella non fu la conseguenza peggiore. Come se fosse al rallentatore, vide Emilia liberarsi dalla guardia che la tratteneva, avanzando verso di lui.
Sentì il click della pistola caricata, l’esplosione del colpo, e vide la macchia rossa aprirsi nel ventre della ragazza dagli occhi di perla. E in quel momento smise di ragionare.
Tornò con un’esplosione che gli fece girare la testa.
Tornò perché era sempre stata lì, tornò perché gli apparteneva.
La fiammata partì come se avesse una volontà propria, e nel giro di un istante dell’uomo che aveva sparato non rimase altro che cenere. Vide Marcus spalancare gli occhi, e arretrare di qualche passo.
«Gli inibitori…come hai fatto?»
Sputò sangue per terra e si concesse un ghigno crudele.
Un altro uomo gli aveva fatto quella domanda, persa nel flusso dei secoli.
E in quel momento, diede la stessa risposta di allora.
«Non esistono inibitori in grado di fermare un dio.»

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - L'altro lato della medaglia ***


CAPITOLO 15
 
Ecco cosa aveva provato Ana, allora.
Fu il suo primo, insensato pensiero quando il fuoco le esplose nel corpo.
Ebbe tutto il tempo di abbassare lo sguardo sul proprio ventre, di vedere il sangue scarlatto fuggire dal suo corpo.
Non faceva nemmeno male, si rese conto.
Era solo…caldo.
Come se il corpo non le appartenesse più, sentì le ginocchia cederle, e scivolò a terra.
A fermare la sua caduta, le braccia sicure del padre.
E lei, stupidamente, si sentì al sicuro, perché lui era lì.
Cosa stava succedendo?
Perché c’era puzza di bruciato, e cos’era quello scintillio argentato davanti ai suoi occhi?
Doveva essere un’allucinazione, si rispose, eppure il corpo del soldato che crollò davanti a lei sembrava reale.
«Emy! Emy, resisti!»
Sua madre che si strappava violentemente una manica e arrotolava la stoffa sulla ferita.
E allora arrivò il dolore, improvviso, bruciante e assoluto, e lei artigliò le braccia del padre, che non diede segno di aver sentito la sua stretta di ferro.
«Lo so bambina, lo so, resisti…Nyx!»
Chi era Nyx?
«Papà…»
Era ironico che lo chiamasse in quel modo in quel momento, dopo tutti quegli anni.
Lucian le sorrise brevemente, e poi sollevò di nuovo lo sguardo.
Intorno a loro non c’era altro che sangue, e arti staccati dal loro legittimo posto.
Brutale, furioso ed efficiente.
E là, con un piede sulla gola di Marcus, troneggiava il dio che avevano cercato di controllare.
Era stata questione di pochi istanti.
Avevano sparato a sua figlia, Nyx si era alzato, e tutto ciò che aveva visto dopo era stato lo scintillio delle sue proiezioni.
Dai soldati che li trattenevano, a quelli che circondavano la zona, ai due cecchini sui tetti, dieci persone morte nel giro di pochi secondi.
«Nyx!» Lo chiamò di nuovo, sentendo il proprio cuore battere furiosamente, come se avesse potuto alimentare anche quello della figlia, ma quando lui si girò si sentì rabbrividire.
Nyx aveva sempre avuto gli occhi di un uomo dal cuore buono, perfino mentre lavorava per loro, ma ora, quello sguardo d’argento fuso non aveva nulla di pacifico; erano gli occhi di chi vuole vendetta.
Eppure, appena abbassò lo sguardo sulla ragazza che si stava dissanguando per terra, un filo di umanità penetrò in quegli occhi così arcani.
«Emilia.» Lo vide estrarre i pugnali e lanciarli con precisione chirurgica nelle spalle di Marcus, e vide il terreno creparsi dove le lame erano trapassate.
Quando s’inginocchiò accanto a loro, Lucian incrociò gli occhi della moglie, e in quel momento fu tutto com’era un tempo, furono di nuovo insieme. «Nyx…puoi…»
«Posso aiutarla.» Mormorò lui, con una voce che sembrava vibrare della magia che gli scintillava sotto pelle; perfino le sue cicatrici sembravano brillare.
«Emilia, sto per fare una cosa. Farà male, ma tu sei forte vero?»
E Lucian si sentì fiero come non mai della sua ultima figlia quando lei, tra i deliri e il dolore, trovò la forza di rispondere. «Più di te…nonnetto.»
E Nyx si concesse una breve risata mentre la fiamma si concentrava sul palmo della sua madre.
«Lucian, tienila ferma.»
Obbedì senza esitazioni, sapendo benissimo cosa voleva fare Nyx.
Emilia urlò come se la stessero spellando viva, e Lucian sentì la sua pelle aprirsi sotto le sue unghie, eppure continuò a bloccarla per le spalle, osservando Nyx cauterizzare la ferita con fuoco puro che non si espanse per sua semplice volontà.
Durò ochi secondi, ma gli sembrò un’eternità, un’eternità in cui non poteva aiutare la sua bambina, ma solo rimanere a guardarla soffrire.
E poi silenzio, un silenzio ancora più grande dopo le urla.
Era svenuta.
«Dovrete riaprire la ferita prima o poi, il proiettile è ancora nel suo corpo.» Li informò Nyx alzandosi. «Per il momento è salva. Andate via, voi e la famiglia del re.»
Suonava tanto come un ordine, pensò mentre lasciava che fosse Dayanara a sostenere la figlia.
«Nyx, cos’hai intenzione di fare?»
L’uomo si strinse nelle spalle con un ghigno beffardo. «Non lo so. Uccidere lui è l’inizio.»
Mentre parlavano, la casa alle loro spalle si aprì, lasciando uscire la famiglia reale al completo.
Eccoli lì, pensò Nyx, il principe che l’aveva ingannato, il re traditore e la moglie e gli altri due figli.
Era la prima volta che li vedeva, ma non gli fecero una grande impressione.
Anche se il re aveva agito per salvarli, non li rendeva importanti ai suoi occhi.
«Che diavolo è successo qui?»
Quella voce gli provocò una scarica di adrenalina nelle braccia.
Era dietro al re, colui che si era divertito a prenderlo in giro, che gli aveva sparato.
E infatti sbiancò quando lo vide, e non fu solo perché era pieno di sangue, suo e non, ma anche perché gli stava puntando una pistola contro.
Si era materializzata nelle sue mani semplicemente perché lui ci aveva pensato.
Era la pistola di Prompto, si rese conto all’improvviso, ma non si chiese perché fosse lì tra le sue mani.
«Nyx, che vuoi fare?»
Inspirò a fondo, non riuscendo a smettere di sorridere, perché Emanuele sapeva benissimo cosa voleva fare.
«Ti avevo avvertito.»
E sparò.
 

 
«Silenzio.» Ordinò quando partirono le proteste per il suo gesto. «Ringraziate che sia ancora vivo, e sparite.»
Le sue parole risuonarono secche, forse troppo dure, ma non voleva stare ad ascoltarli.
Aveva cambiato mira all’ultimo secondo, ricordandosi perché era lì, perché aveva lottato per cinquecento anni.
Perché lei aveva lottato.
«Lucian, andate alla mia casa a Galdin. C’è…c’è un libro, nella mia camera da letto. Fatene fare delle copie, fate in modo che tutti conoscano la storia del Re della Luce.»
«Puoi farlo tu stesso quando tornerai.» Intervenne Dayanara, e Nyx fece un mezzo sorriso.
Lo stavano fissando tutti, e lui si strinse nelle spalle. «D’accordo.»
Incrociò gli occhi di Lucian, e non seppe più cosa dire.
Loro sarebbero stati al sicuro.
«Quando si sveglia, dì ad Emilia che dovrebbe smetterla di fare la pazza in quel modo.»
Il soldato rise brevemente, e poi gli porse una mano.
«Ci vediamo presto, amico mio.»
Strinse la mano che gli veniva porta e sorrise. «Dovreste andarvene in fretta, perché credo che si scatenerà un bel casino tra poco.»
Rimase ad osservarli mentre si allontanavano, e alzò una mano in segno di saluto quando Dayanara si voltò a guardarlo. Non aveva salutato Emilia, pensò, ma era meglio che lei fosse svenuta.
Testarda com’era, avrebbe insistito per rimanere.
Un gemito alle sue spalle attirò la sua attenzione.
Marcus cercava di liberarsi dai pugnali, ma ogni spasmo le lame gli laceravano ancora di più i muscoli.
«A noi due ora.» Gli sorrise, accovacciandosi al suo fianco.
Lo scienziato sollevò su di lui uno sguardo fin troppo tranquillo, e quando estrasse un pugnale non fece il minimo gemito, e si mise a ridere.
Nyx si accigliò. «Che hai da essere contento?»
Marcus sghignazzò. «Lei morirà comunque…Sei un pazzo…»
«Le hai già fatto fin troppo male.»
«Perché ci tieni tanto? Non hai un cuore praticamente…»
Nyx inspirò a fondo, alzando una mano e concentrando il fulmine. «Tra noi due, non sono io ad essere senza cuore.» Mormorò, e vide la paura infilarsi in quegli occhi folli.
«La libererò, non farlo. Tu non vuoi farlo sul serio.»
Ma Nyx voleva, e lo fece.
La sua mano affondò nel petto dell’uomo come se tagliasse il burro, mentre il fulmine scioglieva la carne e sbriciolava le ossa delle costole.
Strinse la mano intorno al cuore del povero bastardo che si era messo contro di lui, lo sentì contrarsi e bruciare sotto la sua presa.
E sorrise.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - La prima volta che vidi il tuo viso ***


 CAPITOLO 15
 
Il bruciore pungente dei proiettili nelle ali tornò quando la foga di quel momento si dissolse.
Nyx sbuffò pesantemente, estrasse le armi dal cadavere di Marcus e le rinfoderò mentre si tirava in piedi.
L’ultima, folle risata dello scienziato continuava a rimbombargli in testa.
Aveva detto che Bahamut sarebbe morta comunque.
Cosa aveva fatto?
Scosse la testa, costringendosi con uno sforzo a cacciare quel pensiero.
Era lì per lei, l’avrebbe salvata.
Ripiegò le ali sulla schiena e s’incamminò verso il palazzo.
Era ironico come i ruoli si fossero invertiti, pensò.
Più di cinquecento anni prima, lei era venuta da lui mentre esalava i suoi ultimi respiri.
Ora era il suo turno.
Caricare a testa basse nel Palazzo non sarebbe stata una buona idea, decise.
Le vecchie ferite dolevano ancora, le nuove ancora di più.
E doveva essere più in forze possibile per affrontare Ardyn.
Più si avvicinava alla grande costruzione, però, più si chiedeva perché Bahamut l’avesse riportato indietro, perché non si fosse ribellata alla sua prigionia, ma avesse mantenuto la forma umana.
Si proiettò quasi pigramente oltre i cancelli, e poi su, sempre più su, fino alla cima del Palazzo, là dove Ravus gli aveva sparato.
Dove l’aveva ucciso, aggiustando la sua vita.
Inspirò a fondo l’aria pulita che regnava lassù, e poi decise che era ora di muoversi.
S’infilò nell’ ascensore, aspettandosi di sentire allarmi, vedere soldati ed essere costretto a lottare.
Nulla.
Un profondo, inquietante silenzio che rendeva nervosa quella giornata di sole.
Mentre camminava in quei corridoi che, in qualche modo, restavano sempre uguali sotto il consumo del tempo, si sentì mancare il respiro.
C’era qualcosa, in quel palazzo, qualcosa di sbagliato.
Si disse che era Ardyn, che percepiva la sua presenza, che Bahamut stava bene, che il Cristallo era a posto.
Tuttavia, quando aprì la grande sala del trono, l’unica cosa che vide fu la grande gabbia.
E lei.
Fu come se il suo cervello si fosse disconnesso.
Sentì il suo corpo muoversi al ritmo del suo cuore martellante, sentì l’aia entrare a fatica nei polmoni stretti dall’ansia.
«Nyx…»
Lei lo vide avvicinarsi, di corsa, e nel suo sguardo passò un misto di emozioni così umane e così rapide da fargli girare la testa.
Gli cedettero le ginocchia davanti alla gabbia.
«Bahamut…Cosa…» Non riusciva a parlare, soffocato dall’odore del sangue della dea, da quella visuale che gli spaccava il cuore. Era sempre lei, arcana e familiare, e allo stesso tempo non era più lei.
Era ferita, torturata, sanguinante.
Spezzata.
«Sei venuto.» Mormorò lei, con una voce roca che non era la sua.
Vedendola così, Nyx rimpianse di aver ucciso Marcus così velocemente.
Avrebbe dovuto farlo soffrire di più, fargli pagare ogni urlo che aveva strappato alla sua dea.
Annuì, osservandola appoggiarsi alle sbarre, ma quando lui avvolse quelle mani tremanti con le proprie, successe qualcosa.
Vide la sua pelle accartocciarsi come carta accanto al fuoco, sentì il dolore divampare nelle braccia e staccò le mani di scatto. «Che diavoleria è questa?» Sibilò, osservando le sue braccia tornare normali, per quanto devastate già fossero.
Quando sollevò lo sguardo, il sorriso di Bahamut lo confuse e lo commosse.
Non era lei.
Non poteva, con quell’aria dolce e rassegnata. «La gabbia è fatta per contenere potere divino. Qualsiasi cosa divina che si avvicina a quelle sbarre, fa quella fine.»
Gli spiegò pazientemente, e attese che Nyx sollevasse lo sguardo sulle sue mani, ancora strette alle sbarre.
Illese.
«Non è possibile. Come…perché?»
Bahaut scosse la testa e allungò un braccio fuori dalla gabbia.
Le loro mani s’intrecciarono, e fu come respirare aria pulita dopo una lunga, terribile apnea.
Erano insieme.
«Il Cristallo ha fatto la sua scelta. Quando Marcus ti ha strappato il cuore e ti ha diviso da me…» Fu costretta ad interrompersi, sputando sangue, e Nyx fu terrificato di quanto debole fosse la sua stretta.
Quella non era la dea che l’aveva aiutato a rialzarsi dalle ceneri di sé stesso a Gralea.
Si asciugò il sangue dalle labbra con la mano libera.
Era rosso.
Un comunissimo rosso sangue.
Umano.
«Prendi il mio cuore. Me ne hai donato una parte, ora prendilo.» Mormorò senza nemmeno pensarci.
Era la prima cosa che gli era venuta in mente.
Bahamut non era umana, non poteva essere umana.
Era sbagliato.
Il colore del loro sangue era sbagliato.
Lui stava ancora gocciolando argento sul pavimento.
Lei sorrise, e lui vide che aveva gli occhi lucidi. «Non posso. Non hai un cuore completo, non sopravvivresti. Nyx…»
Lo interruppe prima che lui pensasse anche solo di replicare.
«Non voglio che provi. Io non sono più cos’ero.»
Nyx sentiva il sangue rimbombargli nella testa, facendogli venire le vertigini.
«Zitta.» Le ordinò. «Non dirlo, io…»
«Tu sei un dio, ora. Il Cristallo ha fatto la sua scelta, Nyx.»
«Al diavolo il Cristallo.» Commentò, amaramente, e riuscì a strapparle una risata che si trasformò in una tosse sanguinolenta. «Cosa ti ha fatto Marcus? Come posso salvarti?»
Bahamut si appoggiò alle sbarre, esausta.
Rivedere Nyx le aveva fatto capire di aver compiuto la scelta giusta, secoli fa.
E di averla compiuta, nonostante tutto, a metterlo ancora una volta contro il suo demone.
Nyx era un uragano, un vento che stravolgeva tutto.
Il fuoco che alimentava la luce.
E gli doveva una spiegazione, ma era così stanca…
«Mi ha avvelenato. Il sangue dei daemon…»
Nyx imprecò sonoramente e batté un pugno sulle sbarre, ignorando il dolore.
Aveva gli occhi lucidi, il suo cavaliere, e lei allungò anche l’altra mano per posargliela sul viso.
«Non essere triste, mio cuore…» Mormorò, e lui coprì la sua mano con la propria.
Bahamut si sforzò di sorridere, nonostante fosse consapevole di avere un aspetto terribile.
«Quando ti ho dato il mio cuore…l’ho fatto perché mi fidavo di te. Mi sono sempre fidata di te. Tu ti fidi di me, Nyx?»
«Sempre.»
Non c’era stata alcuna esitazione nella sua risposta, e la cosa le scaldò il cuore.
E rese più difficile chiedere cosa desiderava.
«Uccidimi, Nyx.»
Lui divenne di ghiaccio, freddo come una statua. «No.»
«Nyx aspetta, lascia che…»
«Ho detto di no. Non ti ucciderò, e non lascerò che il veleno ti uccida.» Si alzò, senza lasciare le sue mani. «Vado, uccido Ardyn e torno. E ti salverò.»
«Vorrei…tanto…crederti.»
La voce sforzata della dea gli fece gelare il sangue nelle vene.
No, pensò, non dea.
Bahamut era solo un’umana.
Un’umana in punto di morte.
«Ti prego…»
Fu come una coltellata al cuore, e lui lo sentì sbriciolarsi del tutto quando lei terminò la frase.
«Non farmi morire da sola, mio cuore.»
S’inginocchiò di nuovo davanti alla gabbia, sforzandosi di incanalare aria dietro quel blocco sul cuore.
La guardò, in silenzio e a lungo, e capì.
Capì che, se se ne fosse andato in quel momento, sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista.
E lei vide la sua decisione senza che lui gliela comunicasse.
Sorrise e appoggiò la fronte alle sbarre, una mano intrecciata alla sua e l’altra sul suo viso.
Incrociò il suo sguardo, e là si perse, in quegli occhi color del cielo.
Comparve nella sua mano da sola, di nuovo, e lui appoggiò la canna al suo petto.
Gli tremavano le mani.
Inspirò a fondo, cercando di controllarsi.
Non ci riuscì.
Cinque secoli di lotte, ed era la prima volta che la sua presa non era salda.
Nyx si avvicinò, aprì la bocca per parlare e poi la richiuse.
Come avrebbe potuto dirle addio?
Cosa le avrebbe fatto capire quanto aveva fatto per lui, quanto significava?
Non poteva.
Non c’era parole sufficienti, parole abbastanza significative.
Non ce n’erano state con Luna, con Crowe, e non ce ne furono con lei.
Posò la fronte alla gabbia, strinse i denti e ignorò il dolore.
Per lei.
Bahamut sorrise, e pronunciò quelle parole che anni prima avevano iniziato il loro legame.
«Sono fiera che tu sia il mio cuore.»
Premette il grilletto.
Un sussulto, questione di secondo.
Quando la mano scivolò via dal suo viso, chiuse gli occhi.
E mentre una lacrima gli scorreva sulla guancia, l’immensità di quel momento lo schiacciò.
Per la prima volta in tutta la sua lunga vita era solo.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - Colui che sanguina ***


 CAPITOLO 16
 
Era come respirare frammenti di vetro che gli laceravano la gola e gli ghiacciavano i polmoni.
Perché respirava ancora?
Ogni battito cardiaco era come una martellata in pieno petto.
Avrebbe dovuto essere morto.
Sentiva il sapore dolce amaro del sangue in bocca.
Non era giusto che lui fosse vivo.
Perché era vivo?
La sensazione si fece strada tra quello spaesato dolore che l’aveva invaso.
Lo travolse come una cascata e gli schiantò il cuore quando i suoi occhi si posarono all’interno della gabbia.
Sorrideva ancora.
Si passò le mani tra i capelli, sentendo i nervi in fiamme, consapevole che stava respirando troppo velocemente, troppo a fatica.
Non gli importava.
L’eco di quel singolo proiettile gli rimbombava ancora in testa.
Come lei aveva sussultato, come i suoi occhi si erano sgranati.
E poi la sua mano era scivolata via, sempre più fredda, distante.
Irraggiungibile.
Cos’era, ora?
Era stato Nyx il non morto, Nyx l’immortale.
Chiuse gli occhi, abbandonato contro il pavimento di marmo macchiato di sangue, le ali spalancate sulla pietra.
Ogni respiro faceva male.
Era sbagliato.
Una piccola parte della sua mente rispose alla domanda che il dolore gli aveva posto.
Era Nyx il solo.
 

 
Il suono del colpo di proiettile interruppe la sua calma meditativa.
Aprì gli occhi, ferendoseli con la visione del Cristallo spaccato e malato, e si alzò ignorando quel sangue che gli aveva macchiato i vestiti.
Vedere la Pietra in quello stato l’aveva confuso ancora di più.
Secoli prima – quanti, esattamente? – mentre lo rifiutava, la fonte del potere era più brillante che mai.
E ora, chissà come, si era ridotta all’ombra di ciò che era.
Mentre la guardava sembrò scuotersi nel profondo, e una grossa crepa l’attraversò lateralmente, facendogli salire il cuore in gola.
Era successo qualcosa.
Uscì dalla sala quasi di corsa, sentendo una strana trepidazione attanagliarlo.
Marcus gli aveva detto che Nyx era arrivato, gli aveva detto dell’imboscata che aveva intenzione di fargli.
Lo stava forse uccidendo senza che lui fosse presente?
Uno sguardo duro, pesante da sopportare.
«Il tuo Re ordina il tuo esilio. Vattene, e non tornare.»
L’emicrania fu improvvisa e sconcertante, e lo costrinse ad appoggiarsi al muro per non cadere.
Cos’erano quei…ricordi?
Inspirò a fondo e si lisciò la giacca di velluto viola scuro.
Doveva darsi un contegno.
Dopo l’eco di quel proiettile, non c’era stato nessun suono.
Solo un enorme, pesante silenzio che lo stava angosciando.
Recuperato il controllo, giunse alla sala del trono e ne aprì le grandi porte.
La prima cosa che gli saltò all’occhio fu la presenza di macchie di sangue argentato sul pavimento.
La seconda, la totale assenza di chiunque nella stanza.
Eppure era sicuro che il colpo fosse partito da lì, si disse, avanzando con cautela.
Quasi lo calpestò.
Era disteso sul marmo, pallido come la luna, le grandi ali metalliche abbandonate intorno al corpo.
Respirava ancora?
Piegò la testa di lato, cercando di carpire qualche segno di vita.
Sembrava morto.
Si accigliò, e fu quasi per caso che lo sguardo gli cadde sulla gabbia.
Sulla donna con un’ala sola distesa sul pavimento, sul sorriso che ancora le ornava il viso.
E sul foro del proiettile dritto nel cuore.
«Ardyn.»
La voce che gli fece saltare un battito era gelida come la morte, e proveniva direttamente dal suo passato.
 

Aveva sentito le porte aprirsi, i passi di qualcuno avanzare.
Che importanza aveva?
Era solo, avrebbero anche potuto ucciderlo.
Certo, sembrava estremamente difficile riuscirci, ma avrebbero potuto provarci.
Poi aveva sentito quell’odore di fumo e sangue che l’aveva accompagnato per così tanto tempo.
E qualcosa si era mosso in quella polvere che restava del suo cuore.
Ecco perché era vivo.
Lei aveva voluto che vivesse.
Lei aveva riportato in vita il fantasma.
Perché?
Aveva aperto gli occhi, e lui era là, il viso rivolto alla gabbia.
«Ardyn.»
L’aveva visto sobbalzare lievemente e poi girarsi verso di lui.
Era proprio lui, pensò osservando quel viso che l’aveva tormentato secoli prima.
Eppure sembrava incompleto, insicuro, come un vaso a cui manca un pezzo.
Lo vide tendere il collo, nervosamente, senza che lui facesse nulla, e comprese.
«Non è bello sentire le voci, vero?»
Gli chiese in un mormorio, tirandosi a sedere a fatica.
Fu ancora più difficile non guardare la gabbia, e anche solo sfiorarla con lo sguardo fu come un’artigliata che gli squarciava il petto.
Ardyn, però, era un maestro nell’arte dell’inganno, e sul suo viso si dipinse un sorriso tra il beffardo e il maligno. «Non ho idea di cosa tu stia parlando, Ulric. Ma sono lieto che tu sia qui.»
Nyx scosse la testa, le ali appoggiate a terra.
Era possibile che le ferite facessero ancora più male, ora?
«Perché?»
Era la sua voce, quella?
Sembrava così…scheggiata.
Ardyn inarcò lievemente un sopracciglio quando Nyx lo guardò negli occhi.
Di che colore erano, ora, si chiese?
Se davvero era diventato un dio, che colore stava guardando Ardyn al momento?
«Mi condanni a marcire all’inferno, negandomi la mia pace, e mi chiedi perché sono lieto di rivederti dopo essere tornato?»
Non ebbe il tempo di metabolizzare la frase.
Gli sembrava di muoversi sott’acqua, al rallentatore, che i suoi sensi fossero annebbiati.
Fu con estrema calma che vide la grande ascia comparire nelle mani del nuovo re.
Avrebbe potuto evitarla, pensò.
Un colpo d’ali, un salto all’indietro, una proiezione.
Tutte azioni che avrebbe potuto compiere nel giro di pochi secondi.
Ma non fece nulla di ciò che avrebbe potuto fare.
E la grande lama gli aprì un lungo taglio sul petto.
Si sentì sorridere, e si chiese perché, e poi capì; non faceva nemmeno male.
«Andiamo Ulric. Puoi fare di meglio.»
S’incastrò tutto perfettamente all’improvviso, e fu come una secchiata d’acqua gelida.
Ardyn non ricordava.
Non ricordava di essere stato il suo spettro personale, di aver cercato di farlo impazzire, di esserci quasi riuscito.
Ardyn voleva solo ucciderlo.
Scoppiò a ridere mentre il sangue gli impregnava l’uniforme.
I kukri gli saltarono nelle mani con la velocità di un pensiero.
Se lei l’aveva riportato perché lui lo uccidesse di nuovo, non l’avrebbe delusa.
«Due a zero. Vediamo che sai fare.»
Il primo assalto gli fece perdere la presa sulla spada, costringendolo in ritirata.
Quando lo fece con una proiezione, però, Nyx ne fu sorpreso: era passato così tanto tempo dall’ultima volta che qualcuno aveva usato la magia a parte lui, che aveva quasi dimenticato che fosse possibile.
Davanti al trono, Ardyn lo stava guardando con aria confusa. «Due? Di che stai parlando?»
Nyx scrollò le spalle e spalancò le ali.
Faceva male, faceva male muoversi, respirare, faceva male l’eco di quel proiettile nella testa, facevano male quei flash dietro agli occhi, la sensazione della sua mano sulla guancia.
Eppure, rafforzò la presa sull’impugnatura degli unici compagni che mai l’avrebbero lasciato.
«Chiedilo alle voci nella tua testa.»

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - Ricordi ***


CAPITOLO 17

Doveva andarsene da lì, allontanarsi da quella stanza.
Il guerriero in lui lo pensava perché la gabbia era come acido per lui, ed era un’arma aggiuntiva per il suo avversario.
L’uomo dal cuore in briciole, invece, non ne sopportava la vicinanza.
Si trovò con le spalle premute contro le sbarre, le ali che iniziavano a fumare contro il metallo, la spada di Ardyn ad un soffio dal viso.
E fu invaso dall’odore del sangue, di quel comunissimo e terrificante sangue umano il cui odore gli stritolò la gola.
Fu una reazione istintiva, e il fulmine gli attraversò il corpo in una scossa improvvisa e lacerante, sbalzando Ardyn lontano da lui, semi bruciacchiato dalla potenza della magia.
Nyx fu costretto a puntare una gamba contro la base della gabbia per reggersi in piedi, ma la presa sui kukri restò salda mentre si slanciava in avanti con un colpo delle ali ferite, e si avventava contro il suo avversario.
Ma lui e Ardyn erano come due lati di una stessa medaglia, e lui lo sapeva, ma se ne ricordò solo quando lui usò il suo slancio per ferirlo, e la lama si aprì la strada tra la carne della spalla, recidendo tendini e muscoli.
Fece un male del diavolo, ma qualcosa in lui accolse quel dolore con gioia.
In quel modo, il dolore al cuore passava in secondo piano.
«Tu sai da dove vengono le voci.» Ringhiò Ardyn, colpendolo violentemente alla tempia con il gomito e rotolando via per liberarsi. Nyx osservò il sangue che si stava allargando sul pavimento e si concesse un sorriso beffardo: sangue nero e sangue argentato avevano creato un macabro cielo stellato.
«Si, lo so. Le senti perché avresti dovuto essere morto, e avresti dovuto essere in pace, ma sei stato strappato a quella pace. E sei confuso, perché non dovresti essere qui.» Gli spiegò, pazientemente.
Conosceva Ardyn, il vero Ardyn.
L’Ardyn che gli aveva sorriso con quell’aria malinconica mentre lui incideva il suo nome nel cimitero, l’uomo che aveva accolto la sua seconda, definitiva morte con gioia quasi.
L’uomo che lo capiva meglio di chiunque altro.
«Ardyn. Guarda.» Gli indicò la gabbia senza voltarsi, sentendo un magone in gola rischiare di strozzarlo. «Lei ci ha riportati qui, entrambi. E ora è…» Non riusciva a dirlo.
Ci provò, ma fu come aver perso la voce.
Quella sensazione di frammenti di vetro gli tagliò la gola, e lui annaspò in cerca d’aria.
«Ti ha riportato qui con un motivo, di sicuro.»
Mentre parlava, Ardyn era rimasto in silenzio, ad osservarlo, il viso piegato come se stesse ascoltando qualcosa, e lui intuì cosa fosse; le voci, i ricordi, i flash.
In quel momento, si accigliò. «Non mi importa. Anche se ero in pace, ora non lo sono più, e so che è colpa tua. È sempre stata colpa tua, se tu fossi morto quando dovevi, io avrei il mio trono.»
La sua voce sembrava quasi un ringhio, ora. «Se lei non si fosse intromessa…»
Il secondo dopo, stavano cadendo nel vuoto.
Nyx non si era nemmeno accorto di essersi mosso.
Nell’attimo in cui Ardyn aveva accusato Bahamut, gli si era scaraventato contro.
Una parte di lui aveva registrato i tagli della finestra distrutta sulle ali.
All’altra, non importava.
Aprì le ali, frenando la caduta di entrambi, e poi agì d’impulso.
Si voltò a mezz’aria e, sfruttando il vantaggio di essere l’unico a volare, rafforzò la presa su Ardyn e la sfruttò per scagliarlo oltre una finestra socchiusa.
Lo sentì rotolare sul pavimento tra gemiti e imprecazioni, e la cosa, non poté negarlo, gli fece piacere.
Perché quello era l’Ardyn di prima, era vendicativo e rabbioso, amareggiata da una vita troppo lunga.
Forse, in quel momento avevano più cose in comune di prima addirittura.
Fu costretto ad atterrare sul davanzale della finestra macchiata di sangue quando la fatica gli stritolò un’ala.
Si prese un istante di respiro, e in quel momento si rese conto del perché quella lotta non fosse ancora finita; era come secoli prima, quando aveva pensato che lei fosse morta, e il suo corpo si muoveva, ma la sua mente e il suo cuore erano lontani.
Solo che lei non era morta, allora.
Bahamut si.
Accettarlo fu come aprirsi le vene da soli, un dolore cocente e pungente che lo costrinse a piegarsi in due.
«Nyx.»
La voce arrivò come una brezza estiva attraverso una finestra, così leggera che pensò di essersela immaginata, ma poi alzò lo sguardo, e lui era lì.
Era come quando l’aveva conosciuto, nel cortile della base, non l’anziano uomo che aveva visto tutto, ma l’algido comandante supremo dell’esercito imperiale.
«Ravus. Che ci fai qui?» Gli domandò, combattuto tra il sinceramente curioso e il sofferente.
Perché Ravus assomigliava troppo a lei, perfino in quell’espressione accigliata con cui lo stava scrutando.
«Sono venuto a dirti che devi resistere. E fare quello che sai fare meglio.»
Nyx alzò un sopracciglio in una silenziosa domanda.
Lo spettro davanti a lui sorrise, quel gelidi, feroci sorrisi che aveva visto centinaia di volte.
«Sistemare le cose.»
Non rispose, e il fantasma sembrò perdere la pazienza.
Gli si avvicinò, e lui sentì un’ondata di aria rovente. «Pensa! Pensa al perché lui è tornato, pensa perché lei non si è mai ribellata!» Gli urlò contro mentre camminava, e Nyx inclinò la testa.
C’era qualcosa, dietro quello spettro, qualcosa di scuro e veloce…
Che gli si piantò dritto nel petto in un’esplosione di dolore che cancellò qualsiasi altra cosa.
Abbassò lo sguardo, e vide le tre punte macchiarsi di sangue argentato.
Il Tridente.
Ardyn aveva cercato di ucciderlo con il Tridente dell’Oracolo.
Ne afferrò l’asta, ridendo.
Rise perché faceva un male assurdo, rise perché lo spettro del cognato era venuto a dargli una svegliata, rise perché avrebbe voluto vedere qualcun altro, e rise perché nulla aveva senso.
Con un grugnito, estrasse l’arma dal proprio corpo, e scivolò giù dal davanzale sputando sangue.
Di sicuro, quell’attacco a sorpresa aveva beccato qualche organo.
Alzò lo sguardo, registrando solo parzialmente che gli si stava offuscando la vista, e vide Ardyn avanzare verso di lui.
E dietro, un oceano di luce nera, e un mare di sangue sul pavimento.
Qualcosa dentro di lui si accese.
Quello era il Cristallo, pensò.
Il Cristallo torturato, martoriato, spezzato.
Il riflesso del suo cuore, del suo essere.
Si alzò con uno sforzo titanico e attaccò prima che Ardyn potesse farlo.
Insieme, rotolarono nella grande sala, scivolando sul sangue che la pietra aveva perso.
Anni prima, no secoli prima, il re rinnegato aveva usato la violenza sul Cristallo per indebolirlo.
Si alzò, separandosi da Ardyn, ma l’altro gli fu subito addosso, costringendolo a parare il pesante colpo di martello con un’ala. Lo schiocco dell’osso che si spezzava risuonò nelle pareti, echeggiato da una crepa in più sul fianco del Cristallo.
Perché Bahamut aveva riportato in vita Ardyn?
Fu una battagllia di istinto puro e semplice.
Armi che svanivano, che venivano lanciate, proiezioni, scariche di magie.
Nyx si perse in quella sanguinaria e familiare danza, accorgendosi solo in parte che le armi che lui evocava non erano quelle degli antichi re.
Intravide la spada alata di Regis, la pistola di Prompto, la spada a due mani di Gladio e la lancia di Ignis.
C’erano perfino l’alabarda di Aranea, e la lunga e sottile spada di Ravus.
Perfino nello scorrere eterno del tempo, non era solo.
La sfera di fuoco si schiantò contro lo scudo del suo avversario, spaccandolo e costringendolo in ritirata.
Era lì, davanti a lui, con la schiena appoggiata al Cristallo.
Fu il proverbiale fulmine a ciel sereno.
Capì.
Capì perché lei non si era mai ribellata, perché aveva lasciato che Marcus la torturasse fino a spingere il Cristallo a renderla nuovamente umana.
E capì perché l’avesse messo di fronte al suo fantasma.
Chiuse gli occhi un istante, lasciando svanire ogni arma che non fossero i suoi kukri.
Ogni sensazione scomparve, e rimasero solamente le due impugnature, familiari quanto lo era il suo stesso viso.
Fredde, solide, fedeli.
Fino alla fine.
Riaprì gli occhi mentre Ardyn si alzava, ma non lo guardò.
Era impegnato ad osservare la delicata incisione che era appena comparsa in uno scintillio sulle lame.
Quando il buio stringerà il tuo cuore, io sarò la tua luce.
Sorrise, nonostante fosse ridotto ad uno straccio, nonostante fosse sempre più debole, sempre più esausto.
Sorrise e ringraziò in silenzio le due donne che gli avevano plasmato la vita.
Bahamut gli aveva dato la possibilità di scegliere, Luna gli diede la forza di farlo.
Lanciò entrambi i pugnali e si proiettò.
Come se fossero stati impregnati di una volontà propria, le due lame si piantarono spedite nel petto di Ardyn, che sobbalzò, sorpreso da quell’attacco così rapido.
Strinse la presa sulle armi, inspirò a fondo, e affondò il colpo.
Le lame trapassarono carne, ossa, e la dura pietra dietro.
I loro occhi s’incrociarono, e l’ultimo pezzo di puzzle scivolò al suo posto.
Ardyn ricordava.
Sorrise, e il rivolo di sangue rese quell’espressione macabra, ma Nyx la ricambiò comunque. Vide le fiamme comparire sulle sue braccia, seguendo i segni di quella che avrebbe dovuto essere la sua prima morte.
Sentì il peso delle centinaia di anni in cui si era trascinato nel mondo.
E il peso di tutto ciò che aveva perso gli crollò addosso, e si sentì estremamente stanco.
Non sentiva nemmeno il dolore del suo corpo che si consumava.
«Tre…a uno, fratello.»


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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - Cuore ***


CAPITOLO 18
 
Era stata la pioggia ad accogliere il suo risveglio.
Una pioggia fitta, incessante, che sembrava sussurrarle qualcosa.
Pensando che fosse l’effetto degli antidolorifici, si alzò con cautela, chiamata da quella voce che riecheggiava nell’aria.
Uscì, e lo spettacolo del mare in burrasca le tolse il fiato.
Grandi onde che si gonfiavano sotto la pioggia, i fulmini che si riflettevano in onde delicate sull’acqua.
C’era qualcosa di bellissimo, e malinconico in quell’esplosione di forza naturale che le fece venire un magone in gola.
«Sei sveglia.» La voce che l’accolse non fu quella che si era aspettata, ma fu quella che ricordava di aver sentito mentre, nel delirio del dolore, pensava di essere al sicuro.
Perché lui era lì.
«Papà.» Le venne naturale.
Le venne naturale aprirgli il cuore, essere sincera come lo era la tempesta che li circondava.
E Lucian sorrise, quel delicato, quasi invisibile sorriso che le regalava mentre lei si addormentava.
Emilia si strinse nella giacca.
Era tutto così rilassante, pensò, nonostante il temporale.
Erano a Galdin, si rese conto riconoscendo il ristorante lontano, sul mare.
Fu con un brivido che pensò che, se quella era Galdin, la casa doveva essere quella di…
«Dov’è Nyx?»
Suo padre distolse lo sguardo, facendole gelare il sangue.
«Dov’è?» Chiese nuovamente, avvicinandosi, improvvisamente nervosa.
Lucian inspirò a fondo. «Sono andato ad Insomnia, quando la tempesta è iniziata. Ed è stato tre giorni fa.
Il cielo si è aperto all’improvviso, e ha iniziato a piovere, senza mai smettere, come se…come se gli dei piangessero.» Esitò un istante, e si voltò a prendere un fagotto che lei non aveva notato in precedenza.
«Quando sono arrivato, il Palazzo era crollato, completamente. In mezzo alle macerie, c’era il Cristallo in frammenti, e…questi.»
Svolse il panno, quasi con reverenza, e lei si portò una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo.
Quando lesse la scritta sui due eleganti pugnali, però, non riuscì a trattenere le lacrime.
Quando il buio stringerà il tuo cuore, io sarò la tua luce.
In quel momento, la nuova, seconda giovane luna fece splendere la sua luce tra le nuvole.
 

 
Era sera, si rese conto, e la luce della luna gli sfiorava la pelle mentre avanzava.
Aprendo gli occhi si era trovato su una strada lievemente in salita, sterrata, e si era sentito il cuore in gola quando si era accorto di dove portava.
Avanzò con calma, godendo del panorama di un verde intenso, dei sussurri dell’aria tra le foglie degli alberi, dei ringhi lontani dei giaguari.
E mormorò un grazie silenzioso.
Ringraziò la donna, la dea, che gli aveva permesso di essere lì.
Era stata una rivelazione, un fulmine a ciel sereno quando aveva visto Ardyn appoggiato al Cristallo.
Da quando erano stati separati, Bahamut aveva saputo.
Aveva saputo che la loro vita insieme si stava accartocciando su sé stessa, sciogliendosi come neve al sole.
Sapeva che sarebbe morta, che lui sarebbe diventato il nuovo dio al suo posto.
E gli aveva permesso di scegliere.
Gli aveva messo Ardyn davanti per spronarlo a riflettere, e ad agire, perché nessuno a parte lui sarebbe stato in grado di smuoverlo in quella direzione.
Ricordava la lotta, precisa come se la stesse vivendo, ogni movimento e ogni azione del suo avversario, ricordava quella gioia selvaggia, non del tutto sopita, di affrontare qualcuno al suo livello.
E ricordava l’istante in cui aveva capito che Bahamut, tramite Ardyn, gli aveva dato la possibilità di fare qualcosa che voleva da molto tempo.
Scegliere.
Avrebbe potuto diventare un dio, un re, un immortale che nulla avrebbe potuto fermare.
O tornare ad essere Nyx, solo Nyx.
I grandi cancelli gli comparvero davanti quasi all’improvviso, mozzandogli il fiato.
Perché era lì?
Avanzò lentamente, indeciso tra la curiosità e quella strana sensazione che gli si stava formando nel petto.
Ricordava lo scatto, la sensazione dei pugnali tra le sue mani, l’esplosione di dolore, le fiamme sulle braccia.
Ma non si era aspettato di trovarsi a Galahd, riaprendo gli occhi.
«Ce ne hai messo di tempo.»
La voce attirò la sua attenzione, e lui vide che c’era qualcuno che lo aspettava, accanto all’entrata della città.
Erano secoli che non la vedeva, e incrociare i suoi occhi fu un colpo al cuore.
Gli ricordò di giorni più bui, e giorni felici persi nelle onde del tempo.
«Che succede? Il gatto ti ha mangiato la lingua?»
Sorrise, e lui non poté fare a meno di ricambiare.
«No, Crowe. Io…» Gli si smorzò la voce in gola. Cosa poteva dire?
Ma lei lo conosceva bene, e gli si avvicinò con la sua andatura da pantera. «Anch’io sono contenta di vederti. Ora vieni, gli altri ci staranno aspettando di sicuro.»
«Gli…gli altri?» Le chiese, seguendola automaticamente.
Camminava tra quelle strade così familiari, eppure ogni angolo era una botta emotiva che minacciava di romperlo.
La donna al suo fianco annuì, ma prima che potesse parlare una figura si avventò addosso a Nyx, stritolando in un abbraccio che gli strappò una risata. Quando fu libero, strinse la mano del suo migliore amico.
«Libertus.»
«Eroe. Era ora che ti decidessi a tornare, ci sei mancato.»
«Forza Libertus, non monopolizzare Nyx. Lo sai che c’è altra gente che vuole vederlo.»
«Oh si che lo so. Non voglio farla aspettare.»
Ripreso la loro strada, e Nyx si trovò a cercare di imporre al suo cuore un ritmo normale, di placare quella furia cardiaca che aveva nel petto, e quel groppo che gli stringeva la gola.
«Di chi state parlando?» Domandò alla fine, complimentandosi in silenzio con sé stesso per essere riuscito a mantenere un tono di voce normale; ma Crowe e Libertus lo conoscevano troppo bene, e si scambiarono un’occhiata tra l’affettuoso e il divertito prima di aprire la porta della casa davanti alla quale si erano fermati.
E il mondo esplose.
Perché Nyx si trovò in un salone che conosceva a memoria, in mezzo a coloro che formavano il suo cuore.
Prompto lo assalì senza troppe cerimonie, e fu solo quando Ignis lo allontanò e lo salutò con un sorriso e gli occhi che scintillavano che Nyx si rese conto di una cosa.
Erano tutti come li aveva conosciuti all’inizio, prima che il tempo e la vita li cambiassero.
Abbassando lo sguardo sulla propria mano, scoprì che la pelle era liscia, e fu una cosa così strana da lasciarlo incantato per qualche secondo.
Finchè una mano enorme non gli si posò sulla spalla, e una voce tonante lo strappò da quel pensiero.
«Ciao Gladio.» Sorrise alzando lo sguardo sul grande uomo, sentendo che la sua voce iniziava ad incrinarsi.
In qualche modo riuscì a salutare Aranea, con il suo sorriso da volpe, e Ravus, che gli rivolse uno sguardo orgoglioso.
Scoprì che, in quella calca, c’era perfino Drautos, e Cor, che si dimostrarono lieti di vederlo.
Il suo arrivo, invece, fu una sensazione strana, e ancora più strano fu la compagnia che si portava dietro.
Di sicuro, non si sarebbe mai aspettato di vedere Regis e Ardyn insieme.
«Cosa…» Non ce la faceva più.
Si sentiva soffocare, e l’unica cosa chiara era il battito rumoroso del suo cuore nelle orecchie.
Fu Regis ad avvicinarsi per primo, e quando si strinsero la mano Nyx ricordò quella terrificante sera di secoli prima, le dita del re che cadeva a terra in uno schizzo di sangue. «Nyx. Grazie, per tutto ciò che hai fatto.»
«Di nulla, Altezza. È stato un piacere.» Abbozzò un sorriso, che Regis ricambiò spontaneamente, e poi l’ultima voce che aveva sentito tornò alla sua attenzione.
«Lo ammetto, è strano vederti qui.» Commentò, e Nyx stava per ribattere con una battuta, ma si rese cono di una cosa.
Quello non era l’Ardyn che l’aveva combattuto e manipolato, era Ardyn come avrebbe potuto essere, il re rinnegato dal cuore pieno di luce. Così, si limitò a tendergli una mano. «Non sarei qui se non fosse per te, perciò…grazie. Davvero.»
«Prego, fratello.»
«Forza, fatevi da parte.» La voce precedette l’arrivo del suo proprietario, e Regis si spostò per far passare il figlio.
Noctis gli sorrise, quel sorriso appena accennato ma sincero che aveva imparato a conoscere.
Nessuno di loro due disse nulla, uno perché non era molto chiaccherone, e Nyx perché non ne era in grado.
Gli girava la testa ormai, come se fosse ubriaco, e allo stesso tempo aveva il cuore stritolato in una morsa dolorosa.
Che gli diede il colpo finale quando una bambina comparve da dietro Ardyn, una piccola di nemmeno dieci anni dai capelli d’oro e gli occhi grigi, esatto specchio dei suoi.
Più che inginocchiarsi crollò davanti a lei, che gli si lanciò al collo, stringendolo con tutta la forza che aveva.
Ricambiò quell’abbraccio con le braccia che tremavano, respirando a fatica.
«Ciao bambina.» Sussurrò, e sentì il sapore di quella sensazione come un gusto dolce sulle labbra.
Gioia, e commozione, una commozione così profonda da fargli bruciare gli occhi e tremare le mani.
Crowe si separò da lui con un sorriso che gli fece salire le lacrime. «Mamma aveva detto che saresti tornato.»
«Mamma?»
«Non vedeva l’ora di rivederti.»
Quella voce…
Aveva quasi paura di alzare lo sguardo.
Eccolo lì, pensò con un breve sorriso, quel secondo battito cardiaco nel petto.
La sensazione di essere sull’orlo di un precipizio, e di volersi buttare, di essere sicuro che nulla di male sarebbe potuto succedere.
Lasciò andare la bambina e si alzò lentamente, a fatica, e alla fine la guardò.
Sembrava di avere il sole davanti, e lui inspirò la sua presenza come se fosse aria dopo una lunga e terribile apnea. Aria fresca, pulita, che profumava di fiori e ti andava alla testa, facendoti venire le vertigini.
E quando lei sorrise e l’intera stanza sembrò illuminarsi, Nyx non riuscì a contenersi, e non volle farlo.
Coprì la distanza che li separava in due passi e l’attirò a sé.
Quando le loro labbra s’incontrarono e lei gli si abbandonò totalmente contro, sentì qualcosa che tornava ad incastrarsi nel posto giusto.
Era di nuovo completo.
Si separò sentendo sapore di sale, e quando lei gli asciugò una guancia, si rese conto di stare piangendo.
«Non piangere, amore mio.»
«Io…Luna…»
Io sto piangendo dalla gioia.
È stato un inferno senza di te.
Sei bellissima.
Mi sei mancata da morire.
Ti amo.
Un milione di pensieri gli passò in testa, ma lei intrecciò le dita alle sue, e ne restò solo uno.
Guardò tutti coloro che lo circondavano, sentì i fuochi d'artficio esplodere all'esterno, e seppe di aver preso la scelta giusta.
Ecco chi era.
«Va tutto bene. Sei a casa, ora.»
Nyx Ulric, l’uomo morto in ritardo.

 
Note:
eccoci alla fine di questa terza fic, che era nata come una e poi si è espansa a macchia d’olio xD
Che dire? Spero che vi sia piaciuta, e come sempre, un grazie enorme a tutti coloro che sono passati per questa fic, ai lettori, a chi segue, e a chi recensisce J
E ovviamente, un enorme grazie e un abbraccio a _White_, la mia accanita recensitrice x3
Non esisterebbero queste fic senza di te, perciò grazie cara <3
E per ora è tutto!
A presto! <3

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