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di malandrina4ever
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27-28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


 

 

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PROLOGO

23 Agosto 1976.

 

 

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«Incredibile! Scommetto che quando avete speso quei venti galeoni per assistere alla finale di Coppa, non immaginavate di esservi appena guadagnati un posto in prima fila per la nascita di una leggenda del Quidditch!»
Tra la folla in delirio e il vento che mi sferza il viso, a malapena sento la voce amplificata del cronista. Il pubblico grida a pieni polmoni il mio nome, mentre io volo sorridente attorno al campo, il boccino che ancora si dimena frenetico nella mia stretta.
«Due secondi e mezzo, signore e signori! James Potter è appena entrato nella storia del Quidditch, battendo il record di Roderick Plumpton che regnava incontrastato da quasi un secolo e portando la sua squadra, i Cannoni di Chudley, alla vittoria per la prima volta dal 1892!»
Il mio sguardo è puntato sognante sulla tribuna d’onore, dove al fianco del Ministro della Magia un bagliore dorato svela la presenza della Coppa del Mondo, la mia Coppa. Per un attimo penso a quanto sarebbe disdicevole se ora mi ci fiondassi sopra in picchiata e me la portassi via e basta, saltando la lunghissima e pomposa cerimonia di premiazione. La stampa mondiale impazzirebbe e probabilmente irrispettoso sarebbe la parola più quotata in ogni articolo, ma stare al centro dello stadio sta diventando insopportabile: la folla grida così forte da coprire il suono dei miei stessi pensieri e qualcuno ha iniziato a suonare un qualche strumento che mi sta letteralmente perforando i timpani. Oh maledizione, fate silenzio.
Il poster a grandezza naturale appeso proprio di fronte al mio letto, raffigurante una veduta dall’alto dello stadio di Quidditch in cui si è giocata la finale Cannoni di Chudley contro Vespe di Winbourne, rende sempre meno traumatico il passaggio dai miei sogni di gloria alle pareti della mia camera a Godric’s Hollow.  
«James, dannazione, vai a vedere chi diavolo è!»
Quello che rende traumatico il mio risveglio, d’altro canto, è mia madre che grida come un’ossessa dalla sua camera alle tre di notte, in aggiunta all’irritante e ripetuto suono del campanello. Non credo che sia una reazione molto materna mandare in avanscoperta il suo unico figlio, quando è notte fonda e potrebbe essere chiunque, magari uno di quei pazzi con i mantelli e le maschere che se ne vanno in giro ultimamente ad uccidere la gente. Ma suppongo che alle tre di notte non ci sia spazio per le reazioni materne.
«Arrivo!» grido esasperato, scendendo velocemente le scale e chiedendomi come faccia mio padre a continuare a dormire con tutto questo casino: vorrei aver ereditato il sonno pesante da lui, invece della miopia. E poi il marmo duro e freddo degli scalini è contro le mie ginocchia e il mio sedere e i miei gomiti e quanto diavolo durano queste dannate scale? Quando finalmente il mio corpo si ferma, atterrando a peso morto sul pianerottolo, realizzo che scendere le scale di corsa, appena sveglio e senza occhiali, non è la cosa più intelligente che io abbia mai fatto.
Con un gemito indolenzito, mi aggrappo alla maniglia della porta per rialzarmi e questa si apre naturalmente, venendomi addosso, così mi ritrovo di nuovo per terra e questo non è assolutamente il modo migliore di iniziare la giornata. Non è nemmeno l’ora di iniziare la giornata, come mi ricorda l’assenza di luce all’esterno.
«Sei ridicolo,» mi informa la figura sulla soglia della porta, tendendomi una mano. I Mangiamorte, così si fanno chiamare, non hanno la voce del mio migliore amico, così afferro la mano e mi lascio tirare su, solo per ritrovarmi davanti il viso sfocato di Sirius. 
Sono appena caduto dalle scale per colpa sua e mi ha impedito di vincere la Coppa del Mondo per la seconda volta in una sola notte, ma non sento la sua voce dalla fine della scuola, quasi tre mesi fa e il mio primo istinto è quello di saltargli al collo entusiasta. Poi mi blocco però, perché quello sulla faccia di Sirius, più o meno dalle parti del naso - come vorrei aver preso gli occhiali - sembra sangue, secco, ma sempre sangue ed in effetti non è la norma che lui si presenti a casa mia nel pieno della notte, anche se non esiste una vera e propria norma con Sirius. 
Ai suoi piedi c’è una massa scura, presumibilmente il suo baule, ed anche se non sono nelle mie piene capacità mentali, non mi ci vuole molto a collegare.
«Sei...»
«Sì,» annuisce lui, dondolandosi sulla soglia ed evitando il mio sguardo. Credo che lo stia evitando almeno, ma forse sono solo i gradi che mi mancano che evitano me.
«Ok,» annuisco deciso, cercando di prendere in mano la situazione, perché il mio migliore amico è appena scappato di casa e sembra piuttosto sperduto al momento. Poi ci fissiamo in silenzio per qualche secondo, perché non so bene come prendere in mano la situazione. Ma Sirius questo non lo deve capire, così decido di iniziare prendendo in mano il suo baule e trascinandolo in casa. «Entra, forza.»
«James, chi è?» Mia madre spunta dalla cima delle scale, in vestaglia e dei capelli che non lasciano adito a dubbi sulla nostra parentela. «Oh, Sirius, tesoro! Che ti è successo?»
Naturalmente non appena vede Sirius il suo tono cambia radicalmente ed ora non sembra più una pazza isterica.
«Sta bene, mamma, torna a dormire,» la liquido in fretta, perché non so quanto Sirius possa sopportare di essere chiamato tesoro in questo momento.
«Non l’ho chiesto a te,» Mi rimbrotta ed immediatamente il tono perde ogni traccia di dolcezza. «Sicuro di non volere una cioccolata calda, Sirius?»
«Non è necessario, signora Potter, davvero,» Sirius sta usando il suo tono da bravo ragazzo e anche se non vedo ad un palmo dal naso, sono sicuro che ha sfoderato il sorriso che fa sciogliere mia madre peggio di un’adolescente. «Torni pure in camera, mi dispiace di averla svegliata.»
«Oh non ti preoccupare, caro, tra quello sciagurato che parla nel sonno e mio marito che russa non faccio mai sonni tranquilli in questa casa.»
Lo sciagurato sono io, per l’appunto. Di solito mia madre è molto più amorevole di così, davvero, ma di fronte a Sirius le viene naturale concentrare tutta la sua gentilezza verso di lui e ignorare il resto del mondo. Il mio amico ha quest’effetto sui genitori, esclusi i suoi ovviamente, che è poi il motivo per cui è qui ora.
«Andiamo di sopra,» stabilisco non appena mia madre sparisce in camera sua, trascinandomi il baule su per le scale. Sirius mi segue in silenzio, cosa piuttosto insolita per lui.
Ci dev’essere qualcosa che posso dire per sistemare tutto e fargli tornare la voglia di cianciare all’infinito, così che io debba prenderlo a cuscinate per fargli chiudere la bocca. È piuttosto frustrante che non mi venga proprio in mente quale sia la cosa perfetta da dire, quando di solito ho un innato talento per la perfezione. 
Non appena mi infilo gli occhiali sul naso e il mondo smette di essere un ammasso sfocato di immagini, è peggio di quanto pensassi: Sirius se ne sta in piedi in mezzo alla stanza, il naso impiastricciato di sangue incrostato ed un occhio nero che mia madre, complici il sonno e la penombra, evidentemente non ha notato. È la prima volta da che lo conosco, e sono sei anni, che il mio migliore amico mi sembra spaventato. Cerca di non darlo a vedere, ma continua a guardarmi spaesato e come in attesa che io dica qualcosa e sistemi tutto. Ed anche io mi aspetto questo da me stesso, perché non esiste che Sirius continui ad avere quella faccia. Solo  che l’unica cosa sensata che riesco a pensare in questo momento è che un giorno imparerò a lanciare una Cruciatus e le richieste di pietà di Orion e Walburga Black non serviranno a nulla, ma non vedo come questo possa essere d’aiuto al momento. Così mi avvicino a lui, ignorando la sua espressione allarmata.
«Sto per farlo.»
«Non ci provare, Potter.»
«Sto per farlo e niente di quello che dirai potrà farmi desistere.»
«Ti prenderò a pugni, se solo...»
Sirius mi sta ancora minacciando, quando lo abbraccio.

 
*

 
Non sono io quello espansivo del gruppo, ok.
Non vedo come chiunque potrebbe esserlo, essendo cresciuto a casa Black.
E non lo è nemmeno Remus, che per anni ha temuto che le persone avrebbero potuto scoprire la sua Licantropia semplicemente sfiorandogli per caso la mano. E nemmeno Peter se ne va in giro ad abbracciare la gente ad ogni occasione.
A questo punto, considerando che su un gruppo di quattro persone una sola è tremendamente espansiva, sarebbe logico che fosse quella persona ad adeguarsi e a darsi un contegno, no? No. 
Perché dopo sei anni ci ritroviamo tutti ad esserci abituati a James che se ne salta fuori dal nulla con dichiarazioni d’affetto imperituro e abbracci stritolanti.
Sospiro rumorosamente, le braccia rigide lungo i fianchi, ma James, ancora caldo di letto, non accenna a sciogliere l’abbraccio. Il naso mi brucia ancora e ho un occhio più gonfio che mai, ma per un attimo smetto di sentirmi come un bambino che si è perso per strada.  
«Femminuccia,» stabilisco, quando James si stacca da me, riportando la dignità nell’aria a livelli accettabili.
Per tutta risposta, lui mi spintona. Io gli rifilo a mia volta una spinta. E poi non mi è molto chiaro cosa succede in seguito, ma al momento ci sono io che tento di imprigionare James all’interno della sua coperta.

 
*

 
È difficile persino per me non sentirmi nemmeno lievemente stupido nel momento in cui realizzo che davvero non riesco a muovere le braccia, trattenute lungo i fianchi dallo strettissimo bozzolo in cui sono intrappolato. Nonostante io sia stato forzatamente avvolto più e più volte nella coperta, cosa che vi assicuro non essere affatto piacevole, riesco ancora a sentire perfettamente la durezza del pavimento su cui sono steso. E sta iniziando a fare terribilmente caldo qua dentro.
«Sto per finire l’ossigeno» annuncio a voce più alta possibile. Per tutta risposta un improvviso peso sullo stomaco mi informa che il mio migliore amico si è appena seduto sopra di me. Io sospiro frustrato, tentando di ignorare il crescente senso di claustrofobia causatomi dal non potermi muovere come vorrei. D’altronde finire intrappolato in una coperta è qualcosa che devi mettere in conto, se decidi di abbracciare Sirius Black.
«Sirius.»
«Piantala di lagnarti: quando sarai svenuto, ti tirerò fuori.»
«Questo è confortante, credo, ma non voglio uscire. Cioè, voglio naturalmente, lo voglio disperatamente, ma non volevo dire quello.»
«E allora cosa?»
«Sono felice che tu sia qui.»
Sirius resta in silenzio.
Sono sicuro che sta ringraziando il cielo di avermi rinchiuso in una coperta, perché questo è senz’altro uno di quei momenti in cui Sirius si volterebbe di lato, evitando il mio sguardo.
Sapevo che la mia frase avrebbe allungato la mia permanenza qua sotto, ovviamente, ma il silenzio dura più a lungo di quanto pensassi.
Sirius resta seduto su di me –o è lui o mi ha appoggiato qualcosa sopra ed ora sta scrivendo una lettera a Remus e Peter per raccontargli di quanto io sia ridicolo in questo frangente. Solo che so che non lo ha fatto: è ancora qui e non si decide a spezzare il silenzio con qualche battuta delle sue per poi liberarmi. È frustrante perché sono qui con lui e mi sono lasciato rinchiudere dentro una coperta ed ora non sto cercando di uscirne, ma non basta.
Perché questa è casa sua e lo sa, così come sa che non dirò nulla né mi muoverò fino a quando non sarà lui a spezzare il silenzio, anche a costo di passare tutta la notte a soffocare qua sotto.
Ma loro continueranno ad essere la sua famiglia.
Ed è inutile che ci sia una coperta tra noi, perché è mio fratello e riesco a vederlo anche senza guardarlo. 
E anche quando Sirius, dopo un tempo indeterminabilmente lungo, si decide a liberarmi e ride e scherza, con gli occhi solo lievemente rossi, continuo a sentirmi impotente come se fossi ancora imprigionato nella coperta, le braccia costrette inerti lungo i fianchi.
Ma rido e scherzo con lui, perché in questo siamo bravi entrambi.
 




 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 

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CAPITOLO 1.

 

 

 

 

 

- Moony!
La distanza tra l’esclamazione festosa che ha interrotto il mio placido sonnellino e la massa corporea che mi è appena piombata addosso è troppo breve perché il mio cervello possa realizzare immediatamente cosa sta succedendo. Dopo qualche secondo, riesco finalmente a connettere il rumore della porta a scorrimento dello scompartimento, la voce familiare e il fatto che non vedo i miei amici da giugno: quindi è James che sta succedendo, ecco cosa.
- Prongs, mi sei mancato anche tu, ma non respiro, potresti... – finalmente riesco a spingere il suo corpo da sedicenne giù dalle mie gambe, controllando immediatamente che non abbia spiaccicato la tavoletta di cioccolata che avevo nella tasca del mantello: ho rinunciato diversi anni fa a convincere mamma che non sussiste il rischio di morire di fame durante un viaggio di tre ore su un treno affollato.
James si siede di fronte a me, continuando a sorridere eccitato come un bambino e se ora il finestrino del treno esplodesse non me ne stupirei. Prima di rendermene conto mi ritrovo anch’io a sorridere come un idiota.
- Moony, è bello vederti!
Sirius fa il suo ingresso nello scompartimento dopo pochi secondi, strappandomi di mano la tavoletta e lasciandosi cadere sul sedile di fianco al mio, con un ghigno.
- Ehy, palla di pelo, - Nonostante il furto di cioccolata, sorrido anche a lui, perché tre mesi senza Malandrini attorno sono decisamente troppi. - Come va?
Forse il mio tono è appena un po’ troppo concitato, perché  Sirius alza gli occhi al cielo e sbuffa.
- Lo sa già tutta la scuola, vero?
- Non saprei, in stazione ho visto solo Frank e poi sono venuto subito qui a prendere i posti – commento vago, anche se è ovvio che persino quelli del primo anno ormai sapranno che il primogenito dei Black è scappato di casa meno di un mese fa ed è stato cancellato dall’albero genealogico. C’è una probabilità non indifferente che sia uno dei pettegolezzi più gettonati in tutti i vagoni, al momento.
- La tua vita non è così interessante, Padfoot, non montarti la testa, – James si sporge verso Sirius per rubargli uno scacchetto di quella che una volta era la mia cioccolata da viaggio. – Piuttosto sarà la mia bellezza crescente ad essere al centro dell’attenzione. Non hai notato, Moony? Quasi dieci centimetri in più.
James si alza e fa compiaciuto un giro su se stesso, proprio mentre la porta si apre di nuovo, lasciando entrare Peter. 
- Sirius! Tutto il treno ne sta parlando!
Io mi porto desolato una mano sulla faccia, mentre James gesticola malamente in direzione di Peter e Sirius scoppia nella sua risata simile ad un latrato. 


*


- Lily!
Quando, dopo essermi affacciata in una decina di scompartimenti, vengo investita dal profumo dello shampoo al gelsomino della mia migliore amica, capisco di aver trovato finalmente quello giusto. Non che lo shampoo sia così potente da impestare tutto lo scompartimento, ma mi ha placcato prima ancora che io potessi mettere piede dentro ed ora l’aria che respiro è filtrata direttamente dai suoi capelli biondicci.
- Ciao, Lily – mi saluta Frank non appena Alice si stacca da me, lasciandomi respirare.
- Ehy Frank, – gli sorrido, trascinando dentro il baule. – Com’è andata la vacanza in Francia?
Frank apre effettivamente la bocca per rispondere, ma l’unica voce che si sente è quella di Alice, appena partita in un dettagliato resoconto delle due settimane trascorse da Frank in Francia con sua nonna. Sa persino quali vestiti si era portato dietro, come se fosse stata presente anche lei: i gufi di Alice e Frank devono aver passato un’estate piuttosto faticosa.
- Ti dico che il primo era quello a quattro stelle.
- Alice, ci sono stato, era a tre stelle. Ti confondi con l’altro albergo, quello...
- Impossibile, mi ricordo benissimo.
- Ma anche io me lo ricordo ed ero là, in Francia, a differenza tua.
- Ora solo perché sei stato in Francia non vuol dire che le tue opinioni valgono più delle mie, chiaro?
- Non ho detto questo, solo che...
Mi erano quasi mancati i battibecchi di Frank ed Alice: sono infinitamente più piacevoli delle occhiate gelide di Petunia.
- Probabilmente erano quattro stelle, Frank, - intervengo guardandolo eloquentemente, giusto per ricordargli che il mondo è un posto più tranquillo quando Alice ha ragione. - Comunque sia, devo fare un salto nel vagone dei Prefetti, ci vediamo dopo!


*


- Non vuole essere trovata, è evidente.
Remus è stato risucchiato nello scompartimento dei Prefetti qualche minuto fa ed io e Sirius siamo usciti in missione per salvare la vita di Peter: la signora Minus ritiene che il nostro amico sia appena un po’ troppo tondeggiante e il risultato è che ora Peter è al culmine di una crisi d’astinenza da dolci iniziata tre mesi fa; solo la signora col carrello può salvarlo da un esaurimento nervoso.
- Ogni volta che vende una Cioccorana un pezzo della sua anima se ne va.  
Sirius continua convinto con le sue ipotesi, ignorando il brusio e le occhiate che gli scoccano diversi studenti al nostro passaggio.
- La signora col carrello vuole vendere i dolci, Padfoot – replico, lanciando un’occhiataccia ad un gruppetto di Corvonero dallo sguardo particolarmente insistente. – È per quello che ha un carrello, per portarli in giro e mostrarli alle persone.
- O per scappare più in fretta portandosi via i suoi adorati calderotti. Probabilmente è chiusa in qualche scompartimento ad abbuffarsi, proprio ora.
Non sono d’accordo con Sirius, perché se la signora col carrello non volesse vendere i dolci, allora la mia intera vita sarebbe una menzogna. Sto per comunicarglielo, quando passando di fianco ad un Serpeverde lo sento distintamente sussurrare al suo amico dalla faccia da pesce lesso ‘Guarda, c’è Black’, solo che non sa che per sussurrare bisogna abbassare il tono di voce invece che farsi sentire da mezzo vagone.
Sirius indurisce impercettibilmente la mascella continuando a camminare, mentre Faccia da pesce lesso ovviamente si volta a guardare, perché la sua vita dev’essere senz’altro avvincente e piena d’azione. Se Remus fosse qui avrebbe notato che mi sono fermato, ma non c’è, è nello scompartimento dei Prefetti ad organizzare con gli altri Prefetti un piano perché il viaggio proceda il più tranquillamente possibile, e così ora Faccia da pesce lesso ha qualcos’altro da guardare invece del mio amico, per la precisione il suo amico che si tiene il naso sanguinante con entrambe le mani.
Le nocche della mia mano destra sono state meglio in altri momenti, ma mi sento decisamente soddisfatto.
Potter.
Faccio appena in tempo ad incrociare lo sguardo di Sirius, fermo a pochi passi da me, prima di voltarmi e constatare che non tutti i Prefetti sono nello scompartimento dei Prefetti.
Subito mi stampo un sorriso beffardo in viso, passandomi automaticamente una mano tra i capelli.
- Ehy, Evans. Ti sono mancato?


*


- Potter, – ripeto, perché il suo nome è già di per sé una risposta negativa alla sua domanda e perché ho bisogno di venire a patti con me stessa prima di accettare la sua presenza. – Venti minuti, Potter, venti minuti da quando siamo partiti.  
- Ti sei data al cronometraggio quest’estate, Evans? – ghigna, mentre il Serpeverde dal naso sanguinante si defila velocemente alle sue spalle, seguito dall’amico. Naturalmente è un comportamento maturo e corretto e lungi da me incoraggiare una rissa tra studenti durante il viaggio per Hogwarts, incubo peggiore di ogni Prefetto e Caposcuola, ma c’è una piccola parte di me che avrebbe pagato oro per vedere il Serpeverde –o chiunque altro- restituire il pugno a Potter, cancellandogli quel sorriso sornione dalle labbra.
Non è un pensiero da Prefetto, me ne rendo conto, ma c’è qualcosa di profondamente giusto nell’immagine del naso di Potter che fa crack sotto la pressione di un bel gancio destro.
- Sei ancora tra noi, Evans?
- Purtroppo sì, Potter. E vedo che tu sei ancora il solito idiota: mi costringi a togliere punti a Grifondoro prima ancora dell’inizio ufficiale dell’anno scolastico.
- Non credo che tu possa farlo, Evans – replica Potter pensoso.
- Certo che posso, sono un Prefetto.
- Sì, ma ancora non ci sono punti da togliere, no? Siamo a zero.
Potter mi fissa. Io ricambio impassibile il suo sguardo e devo alzare gli occhi più del solito: a quanto pare la sua idiozia va aumentando di pari passo con l’altezza.
Non ha ragione, naturalmente. È Potter, Potter non ha ragione, non è nella sua natura. Ha dei capelli incredibilmente spettinati e ridicoli, un irritante sorriso sempre stampato in faccia e un ego grande quanto la stazione di King’s Cross; ha un sacco di cose, ma non ha ragione, mai. 
 D’accordo, non ho idea di che cosa succederebbe se gli togliessi dei punti in questo momento, ma lui non lo sa e questo è l’importante.
- 15 punti in meno a Grifondoro – pronuncio sicura, guardandolo con sfida.
La cosa peggiore che può succedere è che, beh, non succeda niente. Non esploderà mica la clessidra per questo, no?
Cerco di distogliere la mente dallo scenario apocalittico di una Hogwarts distrutta e sommersa da rubini e frammenti di cristallo, concentrandomi sul viso beffardo di Potter, che è di per sé uno scenario ancora più apocalittico.
- Evans, hai finito di provarci con James? Non abbiamo tutto il giorno.
Naturalmente dove c’è James Potter non può mancare lui: un’intera estate senza sentire la voce sarcastica di Black ed automaticamente la mia mente mi riporta a Giugno, subito dopo i GUFO, quando come ora Black era pochi passi dietro a Potter, intento a godersi lo spettacolo. Lo spettacolo allora era il mio migliore amico appesa a testa in giù, subito prima che mi desse della sanguesporcoTutto grazie a Potter. Ho già detto che lo odio? 
- L’unica cosa che vorrei provare col tuo amico, Black, comprende diverse maledizioni senza perdono e sangue. Tanto sangue. Proprio un sacco di sangue.
- Vuoi giocare con me in quel periodo del mese, Evans? – commenta Potter fintamente sconvolto, facendo scoppiare Black nell’inconfondibile risata che ogni studente di Hogwarts ha sentito almeno una volta, in Sala Grande, in Sala Comune, a lezione, in bagno, in guferia, nel parco o in qualsiasi altra parte di Hogwarts. Sembra che Black non faccia altro che ridere dalla mattina alla sera, in effetti.
- Potter, – ringhio, elencando mentalmente situazioni peggiori di questa in cui potrei trovarmi, nel tentativo di mantenere la calma. Potrei essere incatenata al dorso di un Ungaro Spinato che sta per accoppiarsi con un Dorsorugoso di Norvegia ed invece sono solo Potter e Black.
- Non arrabbiarti, Evans, - prosegue Potter e non è un Ungaro Spinato, Lily, pensa a questo. - È solo che non mi sembra un comportamento adatto ad un Prefetto. 
Prefetto.
Sono un Prefetto.
Improvvisamente realizzo che l’unico motivo per cui Lupin non è nel raggio vitale dei suoi amici è che anche lui è un Prefetto, ma uno di quelli puntuali, che al momento sono nello scompartimento dei Prefetti.
- Devo andare, - annuncio a nessuno in particolare, perché di certo Potter e Black non sono degni di essere considerati degli interlocutori. – Voi due provate a combinare qualcos’altro e vi metto in punizione fino alla fine dell’anno. E non di quest’anno, del settimo.
- Ehy, Evans! - Non rallento nemmeno, continuando spedita verso l’uscita del vagone. - Quest’anno ci vieni ad Hogsmeade con me?

 


 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 

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CAPITOLO 2.

 

 

 

 

 

Mary è ancora sotto la doccia e Alice è solo un corpo indistinto e senza vita sotto le coperte, quando io mi chiudo la porta del dormitorio alle spalle.
Se non stesse dormendo, la mia migliore amica mi direbbe che sono scandalosa e ripugnante. Posso quasi sentire il suo disprezzo seguirmi da oltre le tende del baldacchino, mentre scendo le scale baldanzosa, la spilla da Prefetto perfettamente lucidata e ben in mostra sul mio petto. 
 Lo so, probabilmente dovrei sforzarmi di nascondere almeno un po’ la mia gioia di vivere, perché non si addice alla situazione: nessuno deve essere felice la mattina del primo giorno di scuola, è assodato. È una qualche regola non scritta, ma universalmente valida dai tempi dei Fondatori, così dice Alice. E Mary. E Frank. E, beh, qualunque studente si sia lasciato alle spalle un’estate meravigliosa trascorsa insieme alla propria famiglia di maghi. Non che la mia estate non sia stata gradevole. Insomma, lo è stata, il sole, il caldo afoso, i lunghi pomeriggi passati a non parlare con Petunia e ad evitare Severus...oh d’accordo, è stato un inferno, ma qualche volta con Petunia ci ho parlato. Sono sicura che mi abbia dato del mostro proprio pochi giorni prima della partenza, anche se ero molto assonnata e potrei semplicemente averlo sognato. 
 Ma la mia eccitazione per essere di nuovo ad Hogwarts ha veramente poco a che fare con mia sorella e il mio migliore...il mio ex migliore amico. Giusto. Sono passati solo pochi mesi da quel pomeriggio dopo il GUFO di Difesa e a volte devo ancora sforzarmi per non pensare a lui come a qualcuno che ha un posto nella mia vita. Devo sforzarmi per non pensare a lui e basta, dato che il suo pensiero sta cercando di intristirmi il primo giorno di scuola, ma nossignore, negativo: quest’estate mi sono allenata e se c’è qualcuno che sa come ignorare le persone, quella sono io.
Quello che davvero, davvero  mi è mancato di Hogwarts non sono gli amici, il mio baldacchino comodissimo, le scappatelle nelle cucine, l’odore di pergamena che riempie i polmoni non appena oltrepassata la soglia della biblioteca o le chiacchierate in riva al lago, ma la magia. 
 Poter di nuovo stringere la bacchetta tra le dita e sentire la magia scorrere vibrante sotto la mia pelle, questo mi è mancato come respirare.
- Ehy, Evans. Dormito bene, anche senza di me?
Quello che davvero, davvero  non mi è mancato di Hogwarts è il sorriso sornione di James Potter. 


*


Evans si è bloccata proprio in fondo alle scale e non sembra contenta di vedermi, il che è ridicolo naturalmente, perché svegliarsi e incontrare me  come prima persona è sicuramente tra i modi migliori di iniziare la giornata.
- Potter.
Il mio nome esce in un soffio dalle sue labbra e come al solito lo fa suonare come un rimprovero; non so come faccia, perché non c’è assolutamente nulla di riprovevole nel mio nome, ma è qualcosa nel modo in cui piega le labbra quando lo dice, come se essere me fosse di per sé estremamente disdicevole.
- A rapporto, - scatto in piedi e mi affianco a lei, che ha ripreso a camminare spedita verso il ritratto della Signora Grassa. La mia mano vola automaticamente ai miei capelli.
- C’è un qualche motivo logico, - Per poco non le finisco addosso, quando Evans si blocca a pochi passi dal ritratto, voltandosi verso di me. La coda rossa sferza l’aria e i suoi occhi mi inchiodano decisi. – Per cui mi stai seguendo, Potter, o ti sei semplicemente reso all’improvviso conto di che persona orribile tu sia ed ora vaghi senza meta in preda al rimorso?
La fisso corrucciato per qualche secondo, perché buona parte del mio cervello è rimasta sul cuscino caldo del mio baldacchino e prima di una certa ora fatico a decifrare quello che dice questa ragazza.
- Piano con i complimenti, Evans, sai che poi mi monto la testa, – ghigno serafico, appoggiando una mano al muro freddo accanto a noi. – E comunque ho solo pensato di accompagnarti a fare colazione, dato che ti vergogni troppo per chiedermelo tu stessa.
I suoi occhi ridicolmente verdi si assottigliano e posso quasi sentire il ronzare del suo cervello mentre si affretta a trovare una risposta abbastanza acida, ma prima che possa aprire bocca una voce ci raggiunge dalle scale che portano ai dormitori maschili. Non ho realmente bisogno di voltarmi per sapere a chi appartiene.
- Che c’è, Sirius?
La testa corvina del mio migliore amico spunta dalla cima delle scale ed Evans sospira rumorosamente, dando una veloce occhiata alla Sala Comune, praticamente vuota al momento, cosa che la spinge, in barba alla sua spilla da Prefetto, a glissare sull’attuale vestiario di Sirius, composto da un paio di boxer e un solo calzino.
- I tuoi amici hanno bisogno di te, James, – mi annuncia Sirius solenne, per quanto solenne possa essere mentre è vestito a quel modo.
-Sentito, Potter? I tuoi amici hanno bisogno di te, non farli aspettare e levati di mezzo, su - commenta immediatamente Evans, improvvisamente di buon umore. Il ritratto si richiude alle sue spalle prima che io abbia il tempo di replicare, anche se la sento borbottare qualcosa a proposito di pantaloni pubblica decenza.
- Ma bravo, - Mimo un piccolo applauso, raggiungendo il mio amico.  – Per colpa tua ora il mio sesto anno comincia con Evans che ha l’ultima parola. E quelli sono i miei calzini o sbaglio?
Non sbaglio, naturalmente. Ho questo istinto infallibile che mi porta a fare e dire sempre la cosa giusta e quelli sono indubbiamente i miei calzini, come testimonia il boccino ricamato sulla caviglia. Fanno parte della mia divisa da Quidditch ed è inammissibile che Sirius ne stia portando uno, considerata la sua incapacità ad afferrare persino la più lenta delle pluffe.
Sirius non sembra sentirsi in colpa tuttavia e mi ignora, entrando nella nostra stanza e ributtandosi a peso morto sul letto.
Io lo fisso con un sopracciglio inarcato, lievemente indispettito: non mi piace essere ignorato.
- Beh? Si può sapere che vuoi?
Voglio bene al mio migliore amico, davvero, anche se indossa i miei calzini e va in giro in mutande, ma ho il sospetto, a giudicare dalla sua espressione rilassata, che nessuno dei miei amici abbia davvero bisogno di me e che mi abbia fatto tornare su senza motivo. E questo non va bene, perché ora che riesco di nuovo a vedere il mio cuscino sento l’irrefrenabile voglia di gettarmici sopra e starci per le prossime otto ore.
Un’altra cosa che riesco a vedere è Peter, appena uscito dalla doccia e avvolto soltanto da un piccolo asciugamano rosso. Anche a lui voglio tanto bene, davvero, ma di questa visione di prima mattina ne avrei fatto volentieri a meno. Peter mezzo nudo non è nemmeno la cosa peggiore: quella è il minuscolo boccino d’oro ricamato proprio in un angolo dell’asciugamano. Mentre io mi interrogo dolorosamente sul perché nessuno in questa camera sembri in grado di usare le proprie cose, un indistinto mugolio proviene dal cuscino in cui Sirius tiene ancora affondata la testa.
- Padfoot, - sibilo glaciale, invocando la calma. - Ripetilo staccando la faccia dal cuscino.
Mi rendo conto che il tono con cui ho pronunciato quel ripetilo fa apparire il tutto come una minaccia; e me ne compiaccio, perché è una minaccia. Mentre Sirius si rigira stancamente sul letto, avverto lo sguardo fisso di Peter su di me. Anche questo è un pessimo segno, perché se mi sta guardando vuol dire che non si sta rivestendo e non credo di poter resistere ad un’altra visione della sua ciccia tremolante e bagnata.
- Non riesco a trovare la mia felpa dei Led Zeppelin, - mi informa tranquillamente Sirius, come se questo avesse una qualche importanza ora, quando sono piuttosto sicuro che le regole sulla divisa scolastica siano le stesse di sempre e non comprendano nessuna stampa di una rock band babbana. – Ma ero sicuro di averla infilata nel baule. Tu l’hai vista?
Un istante di pesante silenzio regna nella camera per un istante appunto, istante in cui io guardo Sirius con espressione omicida, Sirius guarda me con aria pacata e per fortuna nessuno guarda Peter.
Mentre mi dirigo verso il mio letto per prendere ciò che ogni bravo ragazzo che vuole uccidere il proprio migliore amico dovrebbe avere, ovvero un cuscino, possibilmente rosso in modo che il sangue si mimetizzi meglio, constato che un sottofondo musicale da film horror sarebbe molto più appropriato dello scorrere dell’acqua e del regolare sfrigolio prodotto dallo spazzolino di Remus nella stanza accanto. Spero che almeno lui non stia usando il mio spazzolino, perché quella sarebbe una colpa infinitamente più grave del semplice rovinare l’atmosfera.
Perso nei miei pensieri, non mi accorgo del cigolio del letto di Sirius, che avrebbe dovuto avvertirmi che il ragazzo non era più innocentemente accasciato sul suo giaciglio. A quel punto, conoscendolo, sarebbe stato più che scontato capire che si stava avvicinando a me, anche lui armato, con intenzioni tutt’altro che benevole. Poi dirà che è stata legittima difesa, ne sono sicuro, ma non c’è niente di più falso.
Mentre sono chinato nell’atto di prendere il cuscino, Sirius con un urlo di guerra mi attacca, da bravo Grifondoro, alle spalle, facendomi piombare sul letto a faccia in giù e rischiando di soffocarmi con il mio stesso guanciale. La mia mente nota distrattamente come questa non sia la morte eroica e gloriosa che si addice alla mia persona, mentre cerco disperatamente di staccare la faccia di almeno un millimetro dal cuscino, quel tanto che mi basterebbe per introdurre nei miei polmoni almeno una molecola di ossigeno. 
 Dopo pochi secondi, evidentemente colto da uno slancio di compassione, Sirius mi permette di voltarmi a pancia in su.
Mi rendo conto che devo avere un’espressione lievemente ebete e davvero poco gloriosa, mentre con il viso più rosso dei capelli di Evans spalanco la bocca, aspirando con un suono da vecchietta asmatica tutto l’ossigeno presente  nella stanza. Ma si tratta solo di un momento, poi la mia vergognosa debolezza viene coperta dal cuscino di Sirius, il cui vero scopo, a quanto pare, non era salvarmi dal soffocamento, ma solo potermi colpire meglio.
Fra una cuscinata e l’altra, proprio quando inizio a sperare di poter buttare Sirius giù dal letto con un colpo di reni, la consapevolezza che la fine è giunta mi colpisce come un fulmine a ciel sereno: Peter ha appena finito di infilarsi velocemente i pantaloni ed ha un’espressione eccitata in viso.
Mentre i suoi passi mastodontici fanno tremare il pavimento, lentamente anche Sirius si volta verso di lui e una smorfia di terrore gli deturpa il viso.
Peter vuole prendere parte alla battaglia.
Mentre quel vile che dovrebbe essere come un fratello per me tenta di salvarsi fuggendo dal letto, lo afferro per una spalla ed uso la forza che mi è rimasta per trattenerlo.
Se è giunta la mia ora, la affronterò a testa alta, ma ho intenzione di trascinare quanti più nemici possibile all’inferno con me. E dato che ho un solo nemico, lo devo tenere ben stretto.
Peter, con un sorriso entusiasta, si stacca dal suolo, proprio mentre la porta del bagno si apre, mostrandoci un Remus che contempla la scena con un sopracciglio inarcato.
Incrocio i suoi occhi ambrati in un ultimo drammatico saluto, mentre tutto il considerevole peso di Peter atterra violentemente su me e Sirius.
Un sospiro addolorato, probabilmente ciò che resta del mio soffio vitale, mi esce dalle labbra, mentre nella mia mente si fa strada il sospetto sconcertato che quella che indossa Remus sia proprio la felpa dei Led Zeppelin di Sirius.


*


Dovremmo essere a colazione già da diversi minuti per non fare tardi a lezione ed invece siamo ancora qui in camera.
Siamo in camera non rende a pieno l’idea della situazione, che dovrebbe davvero stupirmi più di quanto non faccia realmente.
Per la precisione, Peter sta letteralmente volando  addosso a Sirius e James, avvinghiati in maniera alquanto equivoca sul letto di quest’ultimo, entrambi con l’espressione di due condannati a morte.
È in momenti come questo che mi trovo a condividere le perplessità dell’intero corpo docenti su come io possa trovarmi bene a passare giorno e notte con questi soggetti.
Lo sguardo di James, poi, si fa particolarmente sconvolto mentre si posa sulla felpa che mi stavo provando.
Ma forse è solo perché Peter gli è appena atterrato sulla pancia. 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 

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CAPITOLO 3.

 

 

 

 

Mentre gli ultimi ritardatari si affrettano ad occupare i posti rimasti liberi nell’aula di Pozioni, non posso fare a meno di lanciare occhiate desiderose ai due banchi in prima fila, naturalmente ancora vuoti. Sono proprio di fronte alla lavagna, il che significa visuale perfetta sulla lista di ingredienti, distanza brevissima dall’armadietto delle scorte, possibilità di fare domande al professore prima di chiunque altro ed odio eterno da parte di Alice. L’ultimo dettaglio è il motivo per cui me ne sto in seconda fila: a quanto pare un’altra delle regole non scritte, ma universalmente valide dai tempi dei Fondatori –e insomma, se sono così tante tanto varrebbe scriverle da qualche parte queste regole, no? - è che mai, per nessun motivo, è concesso agli studenti sedersi di propria sponte in prima fila. Pena: annientamento totale della propria vita sociale. Alice mi raggiunge qualche secondo prima del suono della campanella, i capelli scarmigliati, le guance rosse per la corsa e un sorridente Lumacorno alle sue spalle. Frank Paciock, storico fidanzato della mia migliore amica, riapre la porta nell’esatto momento in cui Lumacorno se la chiude alle spalle, per poi dirigersi rassegnato verso i banchi in prima fila, gli unici rimasti liberi. Non proprio gli unici, ma a quanto pare un’altra regola non scritta, qui ad Hogwarts, è che i quattro banchi in fondo all’aula sono di proprietà dei Malandrini e non devono essere occupati da nessun altro. Pena: ghiaccio nelle mutande e altre spiacevoli situazioni, per ulteriori dettagli chiedere ad Anthony Hopkins, sprovveduto Corvonero che al terzo anno si sedette nel posto sbagliato. È una regola ridicola naturalmente e andrei a sedermi là solo per dimostrare a quel gruppo di immaturi che non hanno alcun diritto sulle proprietà della scuola, ma mi guardo bene dal farlo: Potter ne approfitterebbe per sedersi vicino a me e passare due intere ore a rimbambirmi con i suoi commenti da idiota.
- Qualcuno mi sa dire quale pozione possiamo ottenere con questa lista di ingredienti?
Lumacorno si allontana di qualche passo dalla lavagna, rivolgendo uno sguardo carico d’attesa alla classe, ma soffermandosi in particolar modo su di me. È così sicuro che io sappia la risposta, lo è sempre. A volte sono quasi tentata di non rispondere, solo per il gusto di vedere l’espressione che farebbe. Ma alla fine la mia mano scatta in aria, puntuale: è molto più soddisfacente osservare l’espressione infastidita della maggioranza dei Serpeverde, che con tutto il sangue puro che scorre loro nelle vene non riescono comunque ad eguagliare questa Nata Babbana in una delle materie magiche per eccellenza.
-Sì, signorina Evans?
Gli occhi acquosi di Lumacorno sembrano quasi luccicare.
- Si tratta della Pozione Mimetizzante, - inizio sicura, scorgendo con la coda dell’occhio Alice annuire convinta di fianco a me: sa di essere finita nel campo visivo di Lumacorno e più tardi mi ripeterà l’ennesima regola non scritta, ma universalmente valida dai tempi dei Fondatori, ovvero mai attirare volontariamente gli sguardi dei professori su di te o sui tuoi amici. - L’effetto di una sola goccia di questa pozione dura per un’ora, ma è sconsigliabile assumerne una quantità eccessiva, dal momento che provocherebbe danni alla pelle e, nella peggiore delle ipotesi, invisibilità permanente.
Non ho bisogno di voltarmi, per sapere che Severus ha alzato lo sguardo dal suo libro fitto di appunti; posso sentire i suoi occhi puntati sulla mia nuca e so che sono anche nella sua mente, quei ragazzini che leggono per la prima volta di questa pozione nel libro della madre di lui, quando Hogwarts è ancora un sogno lontano e Sanguesporco non ha ancora macchiato le sue labbra. Scuoto la testa con uno scatto nervoso, esasperata dai miei stessi pensieri, proprio mentre Lumacorno assegna dieci punti a Grifondoro. Subito mi sforzo di sorridere ad Alice, che mi fissa perplessa.
- Bene, aprite il libro a pagina 24 e poi prendete gli ingredienti dall’armadietto, - stabilisce Lumacorno, aggiungendo qualche nota alla lavagna. - Dal momento che le lacrime di unicorno non si trovano così a buon mercato, non preparerete una pozione a testa, ma lavorerete a coppie.
Nella classe si alza un prevedibile mormorio di dissenso, perché come da copione sarà lui a formare le coppie, ufficialmente per non crearne di troppo squilibrate, ufficiosamente per soddisfare il suo perverso senso dell’umorismo e divertirsi ad accoppiare Grifondoro e Serpeverde. E nel caso Alice non ve lo avesse detto, un’altra regola non scritta, ma universalmente valida dai tempi dei Fondatori, è che Grifondoro e Serpeverde vanno d’accordo quanto cani e gatti.
-Vediamo, - Inizia Lumacorno e posso sentire la vena sadica e divertita nella sua voce. - Bulstrode con Paciock. Travis con Ross. Evans e...
Per favore, non Mulciber, non di nuovo Mulciber.
- Signor Potter, alla buon’ora!
- Buongiorno, professore! - Potter entra nell’aula con la sua solita aria da la vita è meravigliosa ed io lo sono ancor di più, seguito a breve distanza da Black, Minus, ed un affannato Lupin.
Si dirige tranquillo verso il suo banco, senza nemmeno aspettare il permesso del professore ed io mi ritrovo a sbuffare scocciata dal fatto che non gli sia stato tolto nemmeno un punto per il ritardo. Il che non ha senso, dato che quell’idiota fa parte della mia Casa ed è solo un bene se non inizia già a farci perdere punti, ma dopo un’intera estate lontano dalla sua vista, devo ancora abituarmi alla sua faccia strafottente, prima di riuscire a controllare l’odio. Odio. Fino alla fine dell’anno scorso avrei detto che è una parola esagerata per descrivere quello che provo per Potter, il ragazzino borioso e infantile che mi sta altamente sulle palle dal primo anno, ma che non è di certo così importante per me da essere addirittura odiato. Fino alla fine dell’anno scorso avrei detto tante cose, ma la verità è che da quel pomeriggio dopo i GUFO, prima di quest’estate, è cambiato tutto.
Non è diverso se si è Nati Babbani è ancora il principio con cui vivo i miei anni ad Hogwarts, ma ora so che la persona che me l’ha detto per la prima volta non ci credeva. E odio non è più una parola esagerata, perché se Potter si fosse fatto gli affari suoi quel giorno, se non avesse dovuto mettersi in mostra a tutti i costi, forse ora non starei ignorando il mio migliore amico da quattro mesi. Quello avrebbe potuto essere un pomeriggio come tanti: avrei chiacchierato un altro po’ con Mary ed Alice, in riva al lago, e poi avrei raggiunto Severus per confrontare le nostre risposte al GUFO di Difesa. E invece non è stato un giorno come tanti, perché James Potter doveva per forza dargli il tormento. Per il semplice fatto che esiste. Quindi sì, lo odio.
- Dicevamo, Evans e Piton.
Lo odio soprattutto perché lo so che non è stata davvero colpa sua. Che Lily e Sev erano già un ricordo lontano, che si sbiadiva ogni giorno di più.


*

Anche dal fondo dell’aula la vedo chiaramente irrigidirsi al suono del mio nome, come del resto ho fatto anch’io. Il destino, che ha le sembianze di un professore di Pozioni dal triplo mento, non mi è mai parso così sadico. Quando io e lei sedevamo sempre insieme a lezione e scalpitavamo per lavorare in coppia, Lumacorno ci divideva sempre, perché, a detta sua, i due più bravi della classe non potevano assolutamente lavorare insieme. Ma ora che lei mi sta evitando, non ci sono problemi. Naturale. Mentre Lumacorno continua ad elencare le coppie, causando ribellioni più o meno convinte tra gli studenti, la vedo avvicinarsi a me, il viso freddo e tirato. 
 Mi ci sto quasi abituando a quello sguardo. Forse un giorno smetterà di fare male. Più male che essere umiliato da Potter di fronte all’intera scuola, più male che essere guardato con sospetto dai miei compagni Serpeverde per via dell’amicizia con una Grifondoro. 
 Ma non fa più male di lei che sorride a Potter, questo no. 
 E lo ha fatto.
 È stata una frazione di secondo, e Potter era troppo impegnato a mettersi in mostra per accorgersene. È stato fugace ed involontario, e probabilmente lei nemmeno se n’è resa conto.
Nessuno lo ha notato ed è stato solo un istante, ma io l’ho visto.
Ero appeso a testa in giù e tutti stavano ridendo di me e Lily Evans ha sorriso a James Potter.
Non è stata l’umiliazione del momento. È che lei stava guardando lui e ha sorriso. 
Ho sempre pensato che Potter avesse tutto quello che io non avrei mai nemmeno sfiorato.
Perché è un Purosangue, è ricco ed ha una famiglia perfetta. È un campione nel Quidditch. Prende ottimi voti senza mai aprire un libro. Le ragazze gli muoiono dietro e nessuno ride di lui.
Ma io avevo una cosa che lui desiderava e che valeva più di tutto. E non l’avrebbe mai neppure sfiorata, perché Lily non avrebbe mai sorriso a Potter. E lui avrebbe potuto appendermi a testa in giù tutte le volte che ne aveva voglia, ma questo non sarebbe mai cambiato.
Perché Lily sorrideva a me e non a lui.
Ma quel giorno Potter è riuscito a strapparmi via anche il suo sorriso.
E non è stata una scelta la mia.
Non ho scelto le arti oscure, gridandole contro Sanguesporco.
Ormai non c’era più nulla da scegliere. Non per me.


- Se...anf...toglie punti...io...giuro...ammazzo...
- Risparmia il fiato  e pensa a correre, Moony!
- E quella chi è? Ehy, splendore!
-Sirius!  Siamo...anf...tardissimo...
- Ho solo salutato, Moony, è educazione.
- COFF! Aiut-coff!
- Peter! Sputa il panino! Sputa!
- Coff! Ah, grazie ragazzi!
Quando finalmente giungiamo sfiniti di fronte all’aula di Pozioni, la troviamo già chiusa. La voce di Lumacorno proviene attutita oltre il battente di legno.
-Voi e la vostra...anf...battaglia...stupida...cuscini...anf...
- Sembra che tu stia per avere un infarto, Moony – constato divertito, mentre quel topo di biblioteca del mio amico si appoggia ansante al muro.
-Prova...ci tu a fare una corsa del genere dopo la luna piena! - ansima Remus, rosso in volto per lo sforzo appena compiuto.
- Sai, Moony, pensandoci bene, è esattamente quello che ho appena fatto - preciso con un sorrisetto ironico sul volto.
-Non è la stessa cosa! Tu non ti trasf...- Remus si blocca stizzito nel momento in cui spalanco la porta e faccio il mio ingresso in aula, illuminando la giornata di numerose donzelle.
-Signor Potter, alla buon’ora!
La voce severa di Lumacorno è resa molto poco credibile dal sorrisetto appena accennato che mi rivolge da sotto i suoi baffoni.
- Buongiorno, professore, -  rispondo allegro, dirigendomi verso i quattro banchi liberi in fondo all’aula. I nostri banchi. Con tanto di firma The Marauders  incisa sopra: una volta Evans si è messa a blaterare sulla proprietà pubblica e sul fatto che sui banchi non ci fosse scritto il nostro nome, così Sirius, in preda ad un attacco artistico, ha rimediato.
- Ci scusi per il ritardo, - aggiunge Remus a testa bassa, ancora non completamente ripresosi dalla lunga corsa dal dormitorio all’aula. Cos’avrà poi da lamentarsi tanto proprio non lo so: non è su di lui che Peter è atterrato dolcemente  dopo un salto da guinness dei primati; nessuno mi toglierà mai il dubbio di avere qualche organo interno seriamente compromesso.
- Dicevamo, Evans e Piton – annuncia Lumacorno, mentre io mi lascio cadere sulla sedia accanto a quella di Remus. Subito alzo la testa, perplesso: Evans e Piton cosa?
- Le coppie, Prongs, - mi spiega Remus, senza distogliere lo sguardo da Lumacorno. E a questo punto mi viene spontaneo domandarmi come abbia fatto a vedere la mia espressione confusa. – Evidentemente, mentre noi correvamo per i corridoio come degli idioti invece di essere in aula, ha iniziato a dividere la classe a gruppi per fare una pozione.
Una pozione, fantastico.
Non è così strano che Lumacorno voglia farcene preparare una, d’accordo, insegna Pozioni, ma la cosa continua a non piacermi. Preferisco quando se ne sta a parlare per tutte le due ore e da me pretende solo che io finga di ascoltare. Preparare pozioni mette a dura prova il mio indiscutibile talento per tutto: ogni cosa che preparo non fa che esplodere, gorgogliare minacciosamente e assumere tonalità opposte al colore indicato sul manuale. Evans, che invece preparerebbe pozioni per tutto il tempo, se fosse per lei, mi passa accanto, mentre raggiunge Piton al suo tavolo: si vede lontano un miglio che sono nervosi entrambi, anche se cercano di fare gli indifferenti. Beh, lei cerca di ignorarlo, lui la fissa in modo quasi morboso. Probabilmente saranno così impegnati a non parlarsi, che volendo potrei persino riuscire a scambiare la mia pozione con la loro. Così, giusto per sapere cosa si prova a prendere Eccezionale a pozioni e far sperimentare loro l’ebbrezza del primo Troll.
- Non pensarci nemmeno, James.
Remus mi fissa ad occhi socchiusi, con la sua migliore faccia da sono un Prefetto non costringermi a punirti. Io spalanco lievemente gli occhi, nella mia migliore faccia da non ho idea di cosa tu stia parlando.
- Li stai fissando come il lupo prima di avventarsi sull’agnellino: piantala e vedi di non combinare casini, -  mi redarguisce Remus, afferrando la sua borsa a tracolla, dato che Lumacorno lo ha appena accoppiato alla Prewett. – Ti devo ricordare la tua disastrosa media in Pozioni? Prova almeno a non farla esplodere.
Mentre cammina verso la sua compagna, ho come l’impressione che Remus mi stia ancora facendo la ramanzina. C’è stata la luna piena da poco e abbiamo di nuovo scorrazzato per il parco: credo che attivarsi al massimo come Prefetto sia il suo modo di assopire i sensi di colpa.
- Black con Patil, Green e Mulciber, Carson e Potter, - conclude Lumacorno, chiudendo il registro.
Esattamente una frazione di secondo dopo, la mano di Lizzie Carson è tesa verso di me.
- Ciao, piacere, Lizzie.
Mi sorride lievemente affannata, gli occhi azzurri puntati su di me. Sono abbastanza sicuro che sia almeno la terza o quarta volta che si presenta: lo fa praticamente ogni anno ed ogni volta è più agitata.
Ma d’altro canto io sono più bello ogni anno che passa: non c’è da stupirsi che aumenti anche l’effetto che faccio sulle ragazze.
- James, – replico con un sorrisetto, come se avessi bisogno di specificarlo.

 
*


Il segreto è respirare.
Continuare a respirare, qualunque cosa succeda.
Da brava Lizzie, dentro, fuori, dentro, fuori, così.
Sono una grande, praticamente imbattibile nel respirare: devo sicuramente averlo impressionato. Avrei potuto smettere di far arrivare aria ai polmoni e accasciarmi al suolo, ma nossignore, non l’ho fatto. Questo è un punto a favore. Le possibilità che un giorno ci sposeremo ed avremo dei figli sono molto più numerose ora che ho constatato di poter respirare anche in sua presenza.
- Che stai facendo?
Mi sta guardando con i suoi occhi nocciola, quelli così caldi e profondi e con le fini pagliuzze dorate tutto attorno alla pupilla, che sono in effetti gli unici occhi che ha e sarebbe strano se mi stesse guardando con altri occhi. Sono occhi bellissimi, ma sono anche occhi perplessi, questo probabilmente perché mentre mi esercitavo nella respirazione ho chiuso i miei di occhi e questa non è la norma.
- Niente, solo degli esercizi per far arrivare più aria al cervello. – replico immediatamente, a una velocità sensibilmente più alta del normale. Ah, se solo sapessi davvero come far arrivare più aria al mio cervello, specie quando mi trovo James Potter affianco. - Mi aiuta ad essere più lucida e a pensare meglio, sai. Lo faccio prima di ogni lezione.    
Benissimo, ora lui si aspetterà di avere a che fare con una persona dal cervello molto areato.
Sveglia, lucida, reattiva.
Devo fare in modo di essere quella persona o almeno di sembrarlo. Da brava, Lizzie, fai qualcosa di intelligente: quella provetta, ad esempio, contiene un liquido azzurro. La pozione deve essere azzurra, dato che quella di Evans e Piton lo è, perciò svuotare quella provetta nel calderone è senz’altro la mossa giusta da fare. È ciò che farebbe una persona dal cervello areato, ne sono sicura.
- E funziona?
Non mi è chiaro se James mi sta prendendo in giro, perché c’è effettivamente una sfumatura divertita nella sua voce, ma c’è sempre dopotutto. La sua voce, naturalmente roca e sempre ironica, è la causa principale di molti dei miei problemi respiratori, per l’appunto.
Annuisco convinta, mentre faccio per svuotare la provetta nel calderone.
- Sì, certo, è un esercizio ottimo. Dovresti provarlo anche tu, sai?
Nella mia mente ho già programmato questa conversazione per le prossime due ore e a questo punto lui dovrebbe invitarmi a vederci questo pomeriggio, così che io possa mostrargli nel dettaglio come eseguire gli esercizi di respirazione.
- Come no, - risponde lui con un sorriso che fa saltare un battito al mio cuore. O forse otto milioni di battiti. Oh dannazione, James Potter, perché mi fai questo? - E tu che ne dici di provare a togliere il tappo?
La realtà mi sbatte in faccia come un treno in corsa, distruggendo le mie fantasie e ricordandomi che le conversazioni non vanno mai come le programmo e che arrivano sempre, inevitabilmente al punto in cui io faccio la figura dell’idiota.
La provetta, indubitabilmente chiusa, è stretta nella mia mano ed è inclinata sul calderone, proprio davanti a me. Vorrei dissociarmi dal mio braccio, che fa cose così stupide proprio mentre io cerco di fare buona impressione sul ragazzo più bello di sempre, ma non posso davvero dissociarmi dalle mie parti del corpo, così deglutisco e mi affretto a svitare il tappo.
- Certo, il tappo. Esistono provette magiche in cui il tappo si dissolve da solo quando le inclini, sai? Pensavo fosse una di quelle, – Se anche esistessero provette del genere, sicuramente io non lo saprei, perché pozioni non è un campo che abbia mai attirato il mio interesse e tantomeno le mie capacità, ma la mia bocca sta cercando di salvare la mia dignità e chi sono io per fermarla? - Ma sono strumenti d’avanguardia, è normale che non li abbiano qui a scuola.   
Mentre io cerco ancora di stappare la provetta, che a questo punto forse contiene un veleno mortale, a giudicare dalla forza con cui è stata sigillata, lui mi si avvicina, forse per aiutarmi o forse per affogarmi nel calderone. Il fatto è che non saprò mai cosa stava per dire o fare, perché il tappo si sfila finalmente dal tubetto di vetro, con uno scatto istantaneo e una violenza eccessiva, e va a colpire proprio la sua faccia.
Lo sento gemere e la mia mente vola automaticamente a quanto mi piacerebbe sentirlo gemere per altri motivi, non nel mezzo dell’aula di pozioni, certo. La mia mente probabilmente fa di questi voli pindarici solo per salvarmi dalla situazione presente, situazione in cui io ho appena rischiato di accecare il ragazzo per cui ho una cotta imbarazzante da più o meno sempre.
- Scusa, mi dispiace, non volevo. Stai bene? Non ti ho accecato, vero? Sei il miglior cercatore della scuola, non posso averti accecato, gli altri Grifondoro mi uccideranno.
- Ci vedo, - mormora lui, allontanandosi le mani dal viso e socchiudendo leggermente l’occhio colpito. – Quella cosa enorme laggiù è il naso di Mocciosus, no? Tutto a posto. Lo vedo ancora. Però da’ qua, è meglio se faccio io.
Nello sfilarmi la provetta dalle mani mi sfiora le dita ed io sto ancora pensando a tutte le ripercussioni che questo gesto avrà sulla mia salute mentale, quando dal calderone di fronte a noi inizia a provenire uno strano rumore. James fissa pensoso la nostra pozione che gorgoglia minacciosamente ed in un modo che nel manuale non era affatto previsto, prima di alzare le spalle e abbandonare la provetta ora vuota sul tavolo.
- Eppure era azzurra, qualunque cosa fosse, - commenta allontanandosi di qualche passo dal calderone, che ora ha iniziato a tremare leggermente. - Avrebbe dovuto funzionare.  
- Vero? È stato il mio stesso identico ragionamento – gli comunico, giusto nel caso volesse notare quanto siamo anime affini e fatte l’una per l’altra.
Nel frattempo la nostra pozione continua a ringhiarci contro, ma sono troppo impegnata a godermi la vicinanza di James per farci caso.

*

Io e Severus stiamo lavorando in perfetto silenzio da diversi minuti, in totale contrasto con il resto della classe che, tra schiamazzi e risate, sembra fare di tutto tranne che concentrarsi sulle pozioni.
Ora come ora scambierei volentieri la mia pozione con quella di Frank, che ha una strana consistenza solida e una tonalità color prugna nemmeno un po’ simile all’azzurro acceso che caratterizza una vera pozione Mimetizzante. Almeno, se quella fosse la mia pozione, sarei costretta a tenere lo sguardo fisso su di essa e a ficcarci qualcosa dentro per farla tornare almeno liquida, invece di starmene qui a fissare la superficie liscia e celeste che galleggia placida nel mio calderone.
Lasciare riposare per almeno dieci minuti.  
Già, la fa facile il signor Augustus Salamander che ha scritto il nostro libro di pozioni: vorrei vedere lui ad aspettare per dieci interminabili minuti con le mani in mano e senza scambiare neanche per sbaglio una parola col proprio compagno di lavoro. Cercando di trattenere un sospiro frustrato, alzo finalmente lo sguardo dal calderone, lasciandolo subito vagare alla mia sinistra, dove sono sicura di non incrociare quello di Severus. Frank e il suo compagno Serpeverde stanno unendo le forze nel vano tentativo di estrarre il mestolo dalla loro pozione, che gli si è stretta attorno in una morsa solida e appiccicosa.
Alice e Lupin stanno sfogliando disperatamente le pagine del manuale, suppongo nel tentativo di capire come mai la loro pozione è di un rosa brillante e sta impestando l’aria con un fortissimo profumo di fiori. Devono aver esagerato con l’essenza di Belladonna: di sicuro la loro pozione non mimetizzerà proprio nulla, in compenso credo che siano riusciti ad ottenere un veleno abbastanza potente.
La pozione trasparente di Potter, d’altro canto, non ne vuole sapere di rimanere all’interno del calderone: continua a gorgogliare e a salire di livello, avvicinandosi pericolosamente al bordo. Tuttavia Potter non sembra consapevole della differenza tra preparare una pozione e cuocere della pasta e continua tranquillamente a chiacchierare, per nulla turbato dal fatto che la sua pozione sta letteralmente bollendo. La sua espressione è particolarmente compiaciuta e gongolante, mentre si gode gli sguardi sognanti della sua compagna di banco. Non mi stupirei se da un momento all’altro si alzasse da terra e iniziasse a galleggiare a due metri dal suolo, sospinto dalla forza del suo ego. Ogni sguardo imbarazzato di Lizzie Carson, che ha notoriamente una cotta per lui dal primo anno, non fa che pompare ancora più presunzione all’interno di quel pallone gonfiato. In quanto Prefetto, dovrei avere il diritto di fermarla: dovrebbe essere contro le regole rendere Potter ancora più sicuro di sé di quanto già non sia. Finirà per esplodere, se continua a gonfiare il petto in quel modo. Oh beh, ripensandoci che continui pure. La visione paradisiaca delle budella di Potter che ricoprono tutta l’aula pervade la mia mente e per una frazione di secondo riesco quasi a dimenticare che il mio ex migliore amico è a meno di un metro da me.
Poi lui pronuncia il mio nome, con quel tono supplicante e malinconico che ha contraddistinto ogni suo tentativo di parlarmi da tre mesi a questa parte e persino l’imminente morte per esplosione di Potter passa in secondo piano.
È a questo punto che decido di darmela a gambe.

*


- Qui c’è scritto di lasciarla riposare per dieci minuti, – informo Lizzie, tenendo tra le mani la mia copia di Pozioni Avanzate.
- D’accordo, - annuisce lei, lanciando un’occhiata ai rivoli bollenti che stanno iniziando a colare dai bordi del calderone. – Anche se non ha l’aria di volersi riposare.
Lizzie ha ragione. La nostra pozione ha più che altro l’aria di voler usare questi dieci minuti per organizzarsi meglio ed infine attaccarci, ma Remus dice sempre che se vado male in pozioni è perché faccio di testa mia e non seguo le istruzioni. E dunque seguiamole queste istruzioni.
- Non capisco perché non diventa azzurra, - sbuffo contrariato, fissando il liquido incolore che sgorga dal paiolo. - Ci abbiamo messo dentro un sacco di cose azzurre!
- Il fumo che sta iniziando ad emettere però è azzurrino, guarda.
Non sono sicuro che sia un miglioramento, dato che la nostra è l’unica pozione che sta emettendo del fumo e che sta minacciando di saltarci addosso, ma d’altro canto avrebbe potuto essere fumo nero e invece è azzurro.
Forse non è così male come sembra.
- Qui c’è scritto che ci vanno anche le ali di scarabeo smeraldino, ma io lo salterei questo passaggio – continuo, scoccando un’occhiata di sufficienza al manuale. Questo Augustus Salamander non mi sembra un tipo particolarmente affidabile, a partire dal fatto che è da persone malate mettere ali di insetti in qualcosa che poi si deve bere.
- Sì, abbiamo già abbastanza problemi a farla diventare azzurra, senza inserire cose di altri colori – concorda Lizzie pensosa.
Automaticamente mi guardo attorno in cerca dei miei amici e subito ricordo perché non è il caso di chiedere consiglio a nessuno di loro: la pozione di Remus è rosa, quella di Peter di uno smeraldo acceso – lo sapevo io che Salamander è un idiota, altro che ali di scarabeo smeraldino! – e Sirius ha gli occhi puntati sul fondo vuoto del suo calderone.
- È evaporata all’improvviso – mi spiega, quando alza lo sguardo e incrocia la mia espressione perplessa.
Per un attimo penso che, dopotutto, non siamo i peggiori della classe, perché almeno noi una pozione ce l’abbiamo ancora, ma quando questa inizia a colare a fiotti sulle fiamme ed il fumo mi fa bruciare gli occhi, realizzo che forse sarebbe meglio se fosse evaporata anche la nostra.
Sto per proporre a Lizzie di battere in ritirata ed invocare l’aiuto di Lumacorno, prima che la pozione ci salti addosso e ci trascini nelle profondità del calderone, quando sento proprio la voce del professore a pochi passi da me.  
- D’accordo, signorina Evans, se non si sente bene, vada pure in Infermeria. Sono certo che Severus se la caverà anche da solo.
- La accompagno, – scatto immediatamente, perché infastidire Evans è molto più allettante che farmi intossicare dal fumo che sta uscendo dal mio calderone. 
- Non c’è n’è assolutamente bisogno, – replica lei prima di chiudersi un po’ troppo violentemente la porta dell’aula alle spalle.
- Fa i complimenti, non la ascolti, – commento prima di uscire a mia volta, senza dare a Lumacorno il tempo di fermarmi. Prima di richiudere la porta, colgo lo sguardo penetrante di Lizzie su di me, sempre ammesso che ci veda qualcosa, in mezzo al fumo azzurro che si sta espandendo per tutta l’aula.

*


Probabilmente scappare dall’aula di Pozioni non si addice ad una Grifondoro e tantomeno ad un Prefetto, me ne rendo conto.
Ma non ho proprio mentito al professore, dicendogli che non mi sentivo bene: gli effluvi del veleno di Alice e Lupin, uniti allo strano fumo acre e azzurrognolo che si stava espandendo dal lato destro dell’aula, iniziavano sul serio a farmi girare la testa. E lavorare in perfetto silenzio, al fianco di Severus, e constatare come, nonostante tutto, la nostra intesa è ancora perfetta non ha potuto che riportare a galla le tante pozioni preparate insieme, a scuola e nel cortile di casa mia, divertendoci ad inventarne sempre di nuove. E avere la mente affollata da altri ricordi della mia amicizia con Severus è l’ultima cosa di cui ho bisogno di lunedì mattina, o in qualunque altro momento. Non è esatto, a dire il vero. L’ultima cosa che voglio in questo come in ogni altro momento della mia vita è sentire la voce di James Potter che mi chiama. E sì, dato che Merlino o chi per lui mi odia, quella che riecheggia nel corridoio vuoto è proprio la sua voce.
- Ehy, Evans!
Automaticamente aumento il passo, trovandomi quasi a correre. Ma naturalmente Potter è come i cani e vedere qualcuno che scappa, soprattutto se quel qualcuno sono io, suscita in lui l’irrefrenabile istinto di corrergli dietro. E dato che è avvantaggiato dal poco peso che si deve portare dietro, vista l’assenza di qualsivoglia materia grigia nel suo cranio, in pochi secondi mi raggiunge.
- Che vuoi, Potter?
- Solo uscire dall’aula, - replica lui con un’alzata di spalle. - Pozioni mi toglie tutta la voglia di vivere.
Oh, magari lo facesse.
- E lo vieni a dire a me che sono un Prefetto?
- Non sono l’unico a non essere diretto in Infermeria o sbaglio?
Potter mi guarda con l’aria di chi la sa lunga e quel suo sorriso beffardo che dovrebbe rendere lecito schiantarlo.
- Benissimo, Potter, ora sei fuori dall’aula, grazie a me, - concludo esasperata, impaziente di togliermelo di torno. -Quindi, di nuovo, che diavolo vuoi?

 
*

 
- Placati, Evans. Capisco che non sia piacevole iniziare la giornata con la vicinanza di Mocciosus, ma...
- Sta’ zitto.
Mi blocco a metà frase, restando per un secondo con le labbra socchiuse. Pare proprio che io abbia colpito nel segno.
- Ah, giusto. Tasto dolente? – commento beffardo, mentre lei chiude gli occhi e respira lentamente, come a invocare la calma.
- Potter, giuro che se non chiudi la bocca, ti schianto.
Questo è probabilmente un buon momento per stare zitto, ma proprio non ci riesco. Evans mi fissa dritto negli occhi ora ed è furiosa. E sì, mi diverto a farla arrabbiare, perché è l’unico momento in cui la pianta di ignorarmi e di essere la regina delle nevi.
- Non è colpa mia se non sai sceglierti gli amici, Evans.  
Lo sguardo di Evans è infuocato, letteralmente e piuttosto soddisfacente, persino meglio di quando le ho dato fuoco alla gonna al secondo anno –quello era stato un incidente comunque, checché ne pensasse la McGranitt. Non posso godere a lungo dello sguardo di Evans tuttavia, perché improvvisamente mi sento sollevare da terra e tutto si fa scuro.

 
*

 
Potter non è così odioso quando è privo di sensi.
È la prima volta che passo diversi minuti in sua compagnia senza desiderare di essere da un’altra parte. Devo dire, anzi, che è piuttosto rilassante starmene qui in piedi a fissare il suo corpo abbandonato a terra. È così soddisfacente vedere le sue labbra immobili una volta tanto. Nemmeno il pensiero della punizione imminente o dello sguardo deluso della McGranitt quando saprà che un Prefetto della sua Casa ha schiantato uno studente riesce a intaccare la perfezione di questo momento. Sono un Prefetto, ho schiantato James Potter e la mia vita ora è perfetta. Mi godo per qualche altro secondo il silenzio, spezzato solo dalla voce lontana di Lumacorno, prima di decidermi a fare qualcosa. Non posso lasciarlo qui, qualcuno potrebbe inciamparci sopra e farsi male. Svogliatamente punto la bacchetta su di lui e il suo corpo si solleva a mezz’aria, iniziando a seguirmi mentre imbocco le scale. C’è qualcosa di incredibilmente piacevole nel fatto che Potter è uscito dall’aula con la scusa di accompagnarmi in Infermeria ed ora sono io che ci sto portando lui.
- Evans?
Una voce femminile mi induce a fermarmi e quando mi volto incrocio lo sguardo perplesso di Lizzie Carson, la cui frangia, che l’ultima volta che ho controllato era parecchio bionda, ora è di un azzurrino accesso ed è completamente tirata all’indietro, come se le fosse esploso qualcosa in faccia.
 - Tutto bene? – chiedo, notando che anche il maglioncino della sua divisa è ricoperto di umide macchie azzurre.
- Sì, benissimo - annuisce velocemente, gli occhi perplessi ancora puntati su Potter. – Cos’è successo?
- L’ho schiantato, - ammetto subito, senza riuscire a nascondere una certa euforia. Lei sgrana ulteriormente gli occhi e non è che avessi poi molte possibilità di incontrare una ragazza che condividesse il mio odio per Potter dopotutto.

 
*

 
Suppongo di avere un’aria piuttosto idiota mentre sposto lo sguardo su Evans, occhi e bocca spalancati senza un minimo di dignità. E poi c’è la storia dell’azzurro su tutto il mio corpo, certo. Per una frazione di secondo mi concedo di provare un lieve sollievo al pensiero che James non mi stia vedendo nei panni di una che ha appena squartato un puffo, poi il mio cervello si sofferma sulla situazione presente: il Prefetto di Grifondoro se ne sta impassibile di fronte a me e mi ha appena confessato con una tranquillità disarmante di aver schiantato un nostro compagno di Casa. E pare fin troppo soddisfatta della cosa.
- Dove lo stai portando? - chiedo sospettosa, cercando di non soffermarmi con lo sguardo sulla pelle chiara lasciata scoperta dal maglione di James, che gli è scivolato all’insù, mentre lui continua a galleggiare privo di sensi alle spalle di Evans. Concentrati, Lizzie.  
- In Infermeria.
- Oh.
Certo, ha senso.
-Perché? - chiedo dopo qualche secondo.
-Come sarebbe a dire perché? - I suoi occhi si riducono a due fessure, mentre il sopracciglio sinistro si inarca lentamente. E se questo non la rendesse così inquietante, credo che sarei già scoppiata a ridere. - Dove lo dovrei portare?
È bizzarro come mi stia facendo sentire fuori luogo, come se fossi io ad aver appena schiantato un mio compagno. Ma sono abbastanza sicura che sia stata lei, ecco.
- Intendevo perché l’hai schiantato – preciso, assottigliando a mia volta lo sguardo. Forse ora si sentirà almeno un po’ a disagio anche lei.
- Se lo è meritato, – replica con un’alzata di spalle e a quanto pare le mie capacità di intimorire le altre persone lasciano alquanto a desiderare.
-E poi ho sempre desiderato farlo, – aggiunge con un sorrisetto euforico. – Non c’è nessuno che hai sempre sognato di schiantare?
-Oh sì – sibilo, sperando che i miei occhi siano abbastanza espliciti nell’aggiungere un silenzioso ‘Tu’. Certo, non è proprio da sempre che desidero schiantarla. Da più o meno cinque minuti, diciamo, da quando ha schiantato il ragazzo dei miei sogni.
-Ti serviva qualcosa? – Lei pare cogliere la mia avversione e sospira seccata, iniziando a battere il piede a terra impaziente.
- Sono la compagna di James. La compagna di Pozioni, intendo. La nostra pozione è esplosa, Lumacorno mi ha ripulito la faccia, ma non riesce a fare nulla per i capelli, così stavo andando da Madama Chips, - spiego, estraendo la mia bacchetta e puntandola su James. – Lo posso portare io a questo punto.
Evans mi soppesa per un attimo, come se stesse valutando la mia affidabilità. Alla fine sembra decidere che non abuserò di lui mentre è privo di sensi, o che se anche fosse non le importerebbe, dato che annuisce e abbassa la bacchetta di scatto, tanto che devo sfoderare tutta la mia prontezza di riflessi per pronunciare il Wingardium Leviosa prima che James tocchi il suolo.
Avvisare no, eh?
- Allora ciao, - mi saluta, prima di riprendere veloce a salire le scale. – Ah, dillo pure a Madama Chips che sono stata io ad affatturarlo.
- Contaci, - replico con un sorriso stucchevole.


*


- Aprite la finestra, presto! E non respirate il fumo.
- Professore...
- Non ora, Muller! Lupin, Prewett, non assaggiate per nessun motivo al mondo la vostra pozione!
- Ma professore...
- Ho detto non ora, Muller. Black, come mai il suo calderone è vuoto? Cosa ha fatto durante queste due ore? Inizierà l’anno con un Non Accettabile.
- Ma a me ha dato Troll! E lui nemmeno ce l’ha una pozione!
- Nessuna pozione è sempre meglio di quella cosa che ha preparato lei, Mulciber.
- Professore, sul serio, deve ascoltarmi.
- Oh Salazar, dimmi, Muller.
- Siamo nei sotterranei, non ci sono finestre!
- Uscite dall’aula, allora, tutti quanti! E darò Troll a tutti.
- Ma come! La mia pozione è perfetta, non è giusto.
- Mi bruciano gli occhi, cos’è quella cosa azzurra?
- Tutti fuori, presto!
- Solo un attimo, professore, devo solo aggiungere...
- Fuori, Lupin, la sua pozione è irrecuperabile. Paciock, che sta facendo? Esca anche lei!
- La mia cravatta, è incastrata nella pozione, non riesco...
- È tutta colpa di Potter, ne sono sicuro! Lo ha fatto apposta, ha chiesto di uscire prima!
- Esca fuori, signor Piton. La sua pozione sembra perfetta, ottimo lavoro. Prewett, anche lei, fuori!
- Ma Frank...
- Troll a tutti, a tutti! Lasci la cravatta, Paciock.
- La McGranitt mi metterà in punizione, è l’unica che ho!
- Tutti fuori ho detto! Non è possibile, ogni anno. Cos’è che non capite della Pozione Mimetizzante, si può sapere?

*


Potrei stare qui a guardarlo dormire per tutto il giorno.  
Il respiro lento e regolare gli solleva ritmicamente il petto, come a qualsiasi essere umano in effetti, ma se fosse possibile respirare in modo sexy, allora James Potter respirerebbe senz’altro in modo sexy. Devo fare forza su me stessa per non toccare i suoi capelli, più disastrati del solito e sparsi in ciuffetti sulla sua fronte. È che sembrano così morbidi. Probabilmente dovrei saperlo, se è solo un’impressione o se sono davvero morbidi come appaiono, perché l’informazione è importante e quindi non ci sarebbe nulla di patetico se ora affondassi le dita nei suoi capelli. D’altro canto sarebbe piuttosto imbarazzante se lui si svegliasse trovandomi con le mani sulla sua testa. Per trattenermi, stringo forte le dita attorno alla tavoletta di cioccolato affidatami da Madama Chips. Non appena ha saputo del misfatto di Evans me l’ha piazzata in mano, dicendomi di darla a James, per poi fiondarsi a chiamare la McGranitt. La tavoletta è ancora incartata, per l’appunto. E questa è una prova di quanto questo ragazzo mi piaccia: non è naturale avere del cioccolato proprio sotto al naso e non poterlo divorare in un boccone. Oserei dire che è quasi come subire una Cruciatus.
D’altro canto ho trovato un bellissimo modo per distrarmi.
Anche se il cioccolato al latte è proprio il mio preferito.


*


Prima ancora di aprire gli occhi, un invitante odore di cioccolata mi solletica il naso, richiamando la mia attenzione ancora più della fitta di dolore alla testa. Poi la luce chiara dell’infermeria illumina Lizzie, che ricambia il mio sguardo spaesato con in mano una mezza tavoletta di cioccolata e le labbra scurissime.
- Non è come sembra! – quasi grida all’improvviso, facendomi sobbalzare.
- E come dovrebbe sembrare, scusa? - chiedo guardandomi intorno: siamo in Infermeria, io steso ancora vestito sul letto più vicino alla porta e lei seduta accanto a me su uno sgabello.
- No, niente. Volevo solo chiarire che questa cioccolata è mia. Ma se vuoi te la posso dare, a me non va più - mi dice, togliendosi la tavoletta da dietro la schiena e porgendomela mentre cerca di leccarsi via le tracce marroni dalle labbra.
Io ovviamente accetto e mentre il primo scacchetto mi si scioglie in bocca, mi ricordo che di solito le persone non si risvegliano in Infermeria senza motivo. E subito mi riaffiora alla mente l’immagine di Evans che mi punta la bacchetta contro.
- Mi ha schiantato, - realizzo incredulo, spalancando gli occhi. - Evans mi ha schiantato.
Questo spiega il dolore alla testa e questo, soprattutto, vuol dire guerra.
- Lo so, l’ho incontrata mentre ti stava portando in infermeria – conferma Lizzie, con un tono improvvisamente distaccato. Mentre la fisso perplesso, noto che c’è qualcosa di bizzarro in lei.
- Le tue ciglia sono sempre state azzurre?
- Oh, no, in realtà no. Tra poco dovrebbero tornare normali, Madama Chips ci ha spalmato sopra una crema dall’odore discutibile, ma sui capelli ha funzionato, - mi spiega gesticolando, prima di incrociare il mio sguardo perplesso. – La nostra pozione, ecco. A quanto pare non avremmo dovuto versarci il sangue di Avvincino. Lumacorno è sicuro che sia quello che l’ha fatta esplodere.
Oh, benissimo. Questo significa che devo aggiornare la lista degli ingredienti che fanno esplodere le pozioni: per ora sono a quota ventotto. Remus dice che non sono gli ingredienti a farle esplodere, ma io, ma la pozione di Remus oggi era rosa e fino a prova contraria la mia ha ricoperto le persone di azzurro, che è il colore giusto. 
- Ti prego, dimmi che anche Sirius è stato colpito. 
- No, mi dispiace, - ridacchia Lizzie. – Anche se pagherei oro per vedere Black con i capelli azzurri.
- Cos’è questo baccano?
Ovviamente l’udito di Madama Chips è in grado di cogliere il minimo rumore all’interno della sua preziosa infermeria prima ancora di esservi arrivata. Pochi secondi e la porta si spalanca, permettendole di fulminarci entrambi con gli occhi.
- Siete consapevoli di essere in un’infermeria? Vi sembra il caso di ridere così sguaiatamente?
Non so chi sia più esagerata tra lei e la Pince, che ha persino proposto a Silente di bandirmi dalla biblioteca –e non è nemmeno stata colpa mia, per la precisione, è Sirius che voleva testare gli incantesimi impermeabili applicati sui libri.
- Ci scusi, non volevamo disturbare gli altri pazienti – replico sarcastico, occhieggiando all’infermeria perfettamente vuota.
- Comunque sia, Potter, la sua presenza qui non è più necessaria: se ha mangiato la cioccolata che ho dato per lei alla signorina Carson ora può recarsi tranquillamente a lezione. – Lizzie inizia a mordicchiarsi le unghie, mentre Madama Chips si dirige spedita verso l’ufficio adiacente all’infermeria. - E cerchi di stare lontano da qui per almeno qualche giorno.
- Che maleducato che sono, non ti ho ancora ringraziato per avermi regalato metà della tua cioccolata, – commento vago, solo per vederla arrossire furiosamente.
- Beh, non è che la volessi mangiare io, - inizia esitante, poi riprende con tono sicuro, in preda ad un’illuminazione. - Ma ho dovuto. Sai, sono molto fedele alla mia casa e sarebbe stato orribile perdere la prossima partita perché la tua scopa non si solleva da terra.  
- Orribile, certo, - mi alzo dal lettino, stiracchiandomi braccia e gambe indolenzite. - Suppongo di doverti ringraziare allora.
- Esattamente, - conferma lei, alzandosi a sua volta e raccogliendo da terra la borsa dei libri.
- Ed esattamente come preferisci che lo faccia? - sussurro malizioso, avvicinando lentamente il mio viso al suo.

 
*

 
Non sei arrossita, Lizzie, è solo una tua impressione. Il calore improvviso al volto non significa nulla, fa caldo qua dentro ed è perfettamente normale. Non sei arrossita. Ma di certo hai spalancato la bocca in un modo piuttosto cretino per la seconda volta in una sola giornata. Meglio richiuderla. Bene. Spero solo che non se ne sia accorto, ma considerato che è a cinque centimetri dal mio viso, la mia è da catalogarsi come una speranza piuttosto vana. E il suo sorriso che da malizioso si trasforma in divertito me lo conferma. Fantastico. Ora che sembro avere di nuovo un minimo di dignità, sarà meglio pensare ad una risposta, escludendo baciami perché sono patetica, ma non così patetica da lasciarmi baciare da un ragazzo che con tutta probabilità a malapena si ricorda il mio nome. Anche se è James Potter.   
-Potresti, ad esempio, procurarmi altra cioccolata, che dici?- replico infine, lasciandolo leggermente perplesso.
Dopo qualche secondo di silenzio, allontana il suo viso dal mio, permettendo tra l’altro al mio apparato respiratorio di ricominciare a funzionare correttamente, o quasi, ed annuisce con un sorriso.
-Ok Lizzie, avrai la tua cioccolata. Ma ora è meglio se andiamo, siamo già in ritardo per Trasfigurazione.
Oh beh, almeno il mio nome se lo ricorda.   
Forse avrei dovuto baciarlo.
Possiamo rifare la scena?


*
 

-Sì, professoressa. Certo, professoressa. Assolutamente. Non accadrà più. Naturalmente. Me ne rendo conto, professoressa.
È incredibile quanto fiato abbia questa donna. Mi sta parlando ininterrottamente da quasi un quarto d’ora eppure la foga con cui mi rimprovera non accenna ad affievolirsi. Non sono abituata ad essere ripresa dai professori, quindi non ho molti termini di paragone, ma credo che questa sia una sfuriata notevole nella storia delle sfuriate di Hogwarts. E notevole è senz’altro anche l’espressione pentita e mortificata che sto sfoggiando, annuendo e dandole ragione ogni volta che si ferma a riprendere fiato, quando in realtà vorrei solo avere una Giratempo per poter schiantare Potter ancora e ancora e ancora.
- Inaccettabile, semplicemente inaccettabile. Per qualunque studente, ma per lei in particolar modo. Si rende conto che la spilla che ha sul petto comporta delle responsabilità, sì? E che come le è stata assegnata per i suoi meriti può esserle tolta per gli sgarri?
La McGranitt continua impassibile con il suo sproloquio ed a questo punto devo sforzarmi un po’ di più per mantenere un’espressione compita. Minacciarmi di togliermi la spilla, sul serio? Se Lupin, che copre da due anni i suoi amici e si lascia coinvolgere un giorno sì e l’altro pure nelle loro attività criminali, è ancora un Prefetto, io dovrei come minimo avere diritto ad altri due anni di pessima condotta, prima che mi si parli di perdere la spilla. Assurdo.   
- Signorina Evans, mi sta almeno ascoltando?
La McGranitt mi scruta da sopra le lenti degli occhiali, assottigliando gli occhi.
- Sì, professoressa.
-Molto bene. Ora corra a lezione e dica ai suoi compagni che sarò lì tra pochi minuti, - Conclude prendendo dei fogli dalla sua scrivania e iniziando a riordinarli. – E che non distruggano l’aula, possibilmente.
Non me lo faccio ripetere due volte e, dopo un rapido saluto, mi fiondo fuori dal suo ufficio. Questo è stato ufficialmente il quarto d’ora più noioso della mia vita, ma ramanzina a parte, non è andata troppo male: dieci punti tolti a Grifondoro, che recupererò senza problemi a Pozioni, e punizione in biblioteca a catalogare libri. La cosa preoccupante è che non mi è stato detto quanti libri siano, ma la punizione è scontabile in comode rate da una sera per volta, quindi non devono essere proprio pochissimi.
Poco male, adoro i libri.
Ed oltretutto avrò la certezza di non ritrovarmi Potter fra i piedi, visto che sembra avere una gravissima forma di allergia per la biblioteca e la sua guardiana. Allergia del tutto ricambiata, tra l'altro. 

 
*

 
Faccio un passo in avanti e mi blocco spiazzata sull’uscio dell’aula, immersa nella confusione più totale.
Evidentemente la McGranitt è ancora impegnata a redarguire Evans e la cosa non potrebbe rendermi più felice.
-Ehy, Carson! Chiudi la porta, altrimenti arriva Gazza! - mi apostrofa Sirius Black, bloccandosi nell’atto di tirare una pallina di carta nel cestino da una distanza di quasi quattro metri, di fronte ad una lunga fila di giocatori in attesa. Peter Minus, seduto su un banco lì vicino, segna i punti su un pezzo sgualcito di pergamena, mentre Alice Prewett e Frank Paciock, in un angolo dell’aula, sembrano estraniati dal resto del mondo, mentre mano nella mano parlando fitto di chissà cosa.Le ragazze sono divise a gruppetti e chiacchierano tra di loro, alcune appoggiate al davanzale della finestra spalancata. Due Tassorosso si rincorrono ridendo per l’aula e Remus Lupin...studia?
Mentre James mi supera, gridando qualcosa a Black, io sgrano gli occhi, incredula che un sedicenne, seppur Prefetto, possa studiare in una situazione simile, prima di notare che in effetti l’oggetto su cui Lupin sembra essere così concentrato non è un libro, bensì una pergamena con degli strani disegni sopra. Socchiudo gli occhi curiosa, cercando di capire di cosa si tratti, ma in quel momento vengo spinta bruscamente di lato da qualcuno, che poi scopro essere la mia migliore amica, Allison.
- Arriva!
Subito iniziamo tutti una corsa disperata verso il proprio posto, spintonandoci a vicenda e rischiando seriamente la vita, ma quando la McGranitt entra in classe, preceduta di un passo da una Lily Evans estremamente a disagio, ognuno di noi è al suo posto, più o meno sano, e non vola una mosca.
- Delicatezza zero tu, eh?- bisbiglio sarcastica alla moretta al mio fianco. Allison ridacchia, sciogliendosi la coda di cavallo tutta spettinata per rifarsela meglio, ritenendo evidentemente che non sono degna di una risposta.
- Piuttosto, tu che ci facevi con...
- Silenzio, grazie, - ordina imperiosa la McGranitt, raggiungendo la cattedra, mentre Evans prende posto velocemente. – Perdonate il ritardo, ma ho dovuto sistemare alcune faccende.
Lo sguardo di Evans è puntato ostinatamente sul banco, mentre praticamente tutta la classe la fissa curiosa.
- Ad ogni modo, vedo che si è ripreso perfettamente, signor Potter, - aggiunge la McGranitt, fulminando con lo sguardo James, che due banchi dietro di me stava parlando neanche troppo a bassa voce con Black.

 
*

 
Sentendomi chiamato in causa alzo lo sguardo fino ad incrociare quello severo della professoressa, ma dato che poi inizia la lezione senza più riferimenti al sottoscritto, riprendo tranquillamente a mettere al corrente Sirius delle mie sventure.
- E poi mi sono svegliato in infermeria con Lizzie, e...
- Chi è Lizzie? - mi interrompe.
- Carson, la conosci. La bionda seduta di fianco ad Allison, ma non è questo il punto. Dicevo...
- Aspetta, Fisher si chiama Allison?
- Certo che si chiama Allison. Ci sei uscito insieme al quarto anno!
Maledetto il momento in cui ho deciso di sedermi vicino a Sirius invece che a Remus, che oltretutto era anche più vicino. Sirius mi fissa per qualche secondo, occhi stretti e labbra socchiuse, classica posa di quando cerca di ricordarsi qualcosa, ma dopo poco, prevedibilmente, rinuncia, scuotendo la testa.
- No, sono abbastanza sicuro che non sia mai successo. Continui a inventarti le cose, James.
- Come vuoi. Quella è Allison e quella è Lizzie, - le indico teatralmente col braccio, attirando gli sguardi curiosi dei mie compagni. – E ora che hai finalmente queste due informazioni fondamentali...
- E Lizzie che ci faceva in infermeria?
Oh Godric, dammi la forza.
Sirius è il mio migliore amico da sei anni, ma ancora non sono mai riuscito a raccontargli nulla, e dico nulla, non importa quanto breve, senza che lui mi interrompesse ogni cinque secondi.  È più forte di lui, deve per forza interrompere e chiedere qualcosa, indipendentemente dal fatto che la risposta gli interessi o meno. Ma proprio perché è il mio migliore amico da sei anni, ho imparato che in questi casi è meglio assecondarlo e dirgli anche l’esatta sfumatura del colore delle tue mutande, se è quello che vuole sapere.
- Era in coppia con me a Pozioni e quando ha visto che non tornavo è venuta a cercarmi. Quindi...
- È carina, - commenta Sirius, ficcandosi la sua piuma di zucchero in bocca e iniziando a succhiarla.
- Sì, lo vedo. Ora posso...
- E pensi...
Silencio, - mormoro puntando da sotto il banco la bacchetta su Sirius e sospirando soddisfatto quando finalmente l’unica voce udibile nell’aula è quella della McGranitt. - Stavo dicendo, e non mi guardare così perché non mi hai lasciato scelta, il punto non è Lizzie, è Evans: mi ha schiantato. Schiantato. Te ne rendi conto? Devo fargliela pagare a tutti i costi. Ho già diverse idee...
Mi blocco, quando vedo Sirius prendere la piuma vera ed iniziare a scrivere qualcosa, di sicuro un’altra domanda di vitale importanza, sul mio banco.
Che punizione si è beccata Evans?
Ed io come faccio a saperlo? 
-Sirius, – inizio, pronto ad esternare al mio migliore amico tutto il disprezzo che provo per lui, quando la frase sotto ai miei occhi mi fa improvvisamente venire un’idea. -Sei un genio.
Evans si renderà conto di aver schiantato il Malandrino sbagliato.

 
*

 
James è preoccupante. Certo, lo è sempre, ma ora più del solito: prima di tutto mi ha scagliato contro un silencio e non è un gesto carino nei confronti del proprio migliore amico.
Ed ora fa affermazioni scontate ed ovvie, perché che sono un genio è lampante e non ho nessun bisogno di sentirmelo dire da lui.
Oltretutto ora sta sogghignando come un pazzo ed ha una luce a dir poco diabolica negli occhi. Posso quasi sentire gli ingranaggi del suo cervellino lavorare freneticamente mentre escogita chissà quale piano, qualcosa di piuttosto distruttivo senz’altro.
Anche Remus deve aver percepito l’alone diabolico che circonda James, perché ora continua a sbirciarci con la coda dell’occhio, dal banco di fronte al nostro, e sembra piuttosto preoccupato. Quando incrocia il mio sguardo, stringe le labbra e indica furiosamente col mento la sua spilla da Prefetto, in una sorta di muta minaccia.
Per tutta risposta gli riservo il mio sorriso più angelico, che, lo so, gli farà gelare il sangue.

 
*


- D’accordo, per oggi basta così, potete andare, - concede infine la McGranitt, facendo tirare un sospiro di sollievo ad almeno metà classe. Prima ancora che finisca di parlare, io sono già alla porta, desiderosa di lasciarmi questa mattinata alle spalle e di affogare la frustrazione nel pranzo. Petto di pollo, oggi, se non sbaglio. – Lei aspetti, signor Paciock. Venga qui e mi dia una buona giustificazione sul perché non indossa la sua cravatta.
- Ehy, Lil! - al suono della voce di Alice che mi chiama da dentro l’aula, dietro al fiume umano di Grifondoro e Tassorosso che subito dopo di me si sono pressati contemporaneamente contro la porta nel tentativo di uscire, per intenderci, il mio proposito di arrivare a pranzo fra i primi va in frantumi.
Lascio cadere affranta la borsa a terra, mentre mi appoggio contro il muro per aspettare Alice, di cui ancora sento solo la voce, sovrastata dal chiacchiericcio degli altri.
-Eccomi! - annuncia affannata e rossa in viso, parandomisi di fronte quando la classe si è ormai svuotata quasi del tutto.
- Che è successo prima? Girano strane voci, è vero che sei in punizione?
Sospiro leggermente, mentre mi chino a raccogliere la borsa.
Ovviamente il momento delle domande non poteva essere rimandato per sempre. Già durante la lezione ha provato a chiedermelo diverse volte, ma io l’ho sempre ignorata: un altro richiamo della McGranitt è l’ultima cosa che mi ci vuole in questo momento.
E sia, veloce e indolore.
-In sintesi: Potter, non avendo nulla di meglio da fare nella vita, mi ha seguita, ma la sua faccia mi è sembrata più odiosa del solito, così l’ho schiantato. È stata praticamente legittima difesa, dalla sua idiozia, sai, ma la McGranitt non la pensa allo stesso modo, così mi ha messo in punizione. Niente commenti, per favore.
- Lo hai schiantato?!
Diverse persone si girano verso di noi, iniziando a sussurrare tra di loro. Tra pochi minuti lo saprà tutta la scuola.
- Niente commenti? – tento di nuovo, speranzosa.
- Tu non puoi darmi notizie del genere e pretendere che io non commenti! Lasciami riordinare le idee e poi ti dirò per filo e per segno cosa ne penso, - Non è che mi aspettassi davvero qualcosa di diverso da Alice. – E senti, che punizione ti ha dato la McGranitt?
- Devo catalogare dei libri in biblioteca, da stasera alle nove, - rispondo incamminandomi e finendo quasi addosso a Potter, che sta uscendo in questo momento dall’aula.
- Oh beh, poteva andarti peggio, - sorride Alice, affiancandomi. – Nessun vaso da notte dell’infermeria da ripulire o...
E mentre Alice si perde nell’elenco delle terribili punizioni che la McGranitt avrebbe potuto assegnarmi, io non la ascolto nemmeno, troppo presa a fissare Potter che si allontana con un sorrisetto decisamente inquietante.
 

 


 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 

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CAPITOLO 4.

 

 

 

 

 

 

 

Poco male. Così avevo commentato la mia punizione. Ritiro tutto. E di fronte a questa montagna infinita di libri da catalogare, ritiro anche tutto il rispetto e l’ammirazione che ho sempre provato nei confronti della McGranitt. Va bene che ho schiantato il suo adorato Potter, che con le sue mirabolanti doti da cercatore le assicura da cinque anni a questa parte la Coppa del Quidditch, ma questo è troppo. Tra due  miliardi di anni sarò ancora qui a riordinare libri: le nuove generazioni di studenti racconteranno leggende su quella strana vecchia dai capelli rossi che vive in Biblioteca. I professori mi useranno come esempio per far rigare dritti i più pestiferi.
- Ha tempo fino alle undici, signorina Evans, – mi informa la McGranitt sbrigativa, evidentemente impaziente di ritirarsi nella sua stanza, lei che può. - Poi dovrà tornare domani sera e così via fino a quando non avrà terminato il suo compito. Gazza ne è già stato informato, non si preoccupi di questo. Buon lavoro.
- Grazie – mi costringo a dire, anche se la voce mi viene fuori sotto forma di ringhio. Seguo con lo sguardo la McGranitt, che sparisce veloce oltre gli scaffali, dopodiché lo riporto sconsolata sulle pile di libri che mi circondano.
Ci sono diversi interrogativi che mi sorgono spontanei in mente, dal perché questi libri non sono mai stati archiviati fino ad ora al modo in cuiesattamente Madama Pince si guadagna il suo stipendio, visto che evidentemente non si occupa di queste cose, ma preferisce aspettare che gli studenti vengano puniti. Mi appunto mentalmente di proporre questo argomento alla prossima riunione dei Prefetti e di far presente al Preside che un taglio del personale inutile godrebbe del mio incondizionato appoggio, ma questo non mi aiuterà a tornare nella mia Sala Comune il prima possibile. Quello che me lo permetterà invece è iniziare a catalogare questi dannati libri. E va bene, posso farcela. Che sarà mai. In fondo a me piace stare in biblioteca e maneggiare libri, no? Non potrà essere così terribile. Si tratta solo di farlo quattro ore stasera e quattro domani sera e quattro la sera dopo ancora e così via. E così via. E così via.
Ho già detto che odio Potter?

 
 *


- Non credo che dovresti farlo.
- Lo dici di tutte le cose divertenti.
- È perché hai un concetto tutto tuo di divertimento, Prongs.
- E cosa sarebbe divertente, allora? Starsene steso sul letto a leggere... – mi avvicino a Remus, chinandomi sulla copertina del suo libro. – La Guerra Delle Cento Bacchette: cause e conseguenze nei secoli. Oh sì, tu si che sai come divertirti!
- Resta il fatto che quello che vuoi fare è del tutto infantile e immaturo, oltre che contro le regole – sbuffa Remus, sfogliando con forza il suo libro.
- E noi seguiamo sempre le regole, vero? – commento con un sorrisetto, afferrando il mantello dell’invisibilità e dirigendomi verso la porta del dormitorio, pronto a dare inizio alla mia vendetta.
E un po’ meno pronto a sentire il legno duro contro la mia faccia, quando questa si spalanca di colpo. Peter, le braccia cariche di dolci ed un’aria piuttosto ebete, resta a guardarmi imbambolato, mentre mi porto le mani al naso, soffocando un’imprecazione.
Le sue scuse imbarazzate, nel momento in cui realizza di essere lui la causa della mia posizione insolita, vengono interrotte dalla risata fragorosa di Sirius, che è appena sbucato dietro di lui.
- Siete amici orribili, – sibilo contrariato, squadrando Sirius che si sta ora rotolando sul mio letto, per meglio esprimere la sua ingiustificata ilarità. – Orribili.
La mia voce è troppo nasale al momento per poter suonare minacciosa, così sbuffo, cosa che mi provoca una smorfia di dolore, ed esco dalla stanza con ancora la risata di Sirius nelle orecchie.
Spero proprio che Evans si stia godendo gli ultimi minuti di calma, perché la tempesta sta arrivando.
 
*
 
Cinquanta modi per coltivare l’algabranchia - Jane A. Bridgon
Con un sospiro sfinito poso la piuma, afferro l’ennesimo libro e lo deposito con cura sulla pila dedicata ad Erbologia. Stiracchiandomi, lancio un’occhiata all’orologio. Le undici e tre quarti. Ed io non ho catalogato neppure la metà dei libri: di questo passo dovrò passare chiusa qui dentro almeno altre due sere. Che è comunque meglio di passare qui mille miliardi di anni, come pensavo all’inizio: effettivamente Alice dice che ho la tendenza a drammatizzare.
Naturalmente non è vero, perché, come dimostra il tonfo seguito da un leggero frusciare che è appena giunto alle mie orecchie, è la mia vitache ha la tendenza a drammatizzare, non io.  

 
*


La pila di libri urtata dal mio gomito sinistro precipita dal tavolo, spargendosi al suolo, mentre io mi appiattisco velocemente contro lo scaffale più vicino. Trattengo il respiro, mentre controllo che il mantello mi copra del tutto, ma Evans non sembra particolarmente intenzionata a venire a controllare. Se ne sta lì, circondata dalle sue pile di libri, con gli occhi chiusi, a scuotere decisa la testa da una parte all’altra.
Bizzarro.
Quando finalmente apre gli occhi, venendo a constatare il danno, sembra sollevata.
- Oh, grazie al cielo, è solo Erbologia – mormora sottovoce, mettendosi a raccogliere con zelo tutti i libri.
Solo Erbologia?
A quanto pare temeva che fossero crollate tutte le pile delle varie materie, mischiandosi.
Tutte le pile. Mischiandosi.  
Questo suona piuttosto bene.
 


*
 

Ho sottovalutato la mia buona stella. Dopotutto non posso essere così sfortunata. Con un sorriso soddisfatto riprendo la piuma in mano, scrivendo l’ultimo titolo di questa sera.
 Semplice tosse o morbillosi acuta? Come distinguerle -  Hugo K. Benson
Trattenendo uno sbadiglio, ripongo il fascicoletto sulla pila dedicata a Medimagia e lancio un’occhiata agli scaffali attorno a me. Quello di Trasfigurazione è il più vicino, così mi avvio verso la pila dedicata alla materia per mettere i libri in ordine alfabetico. Per fortuna non è una pila particolarmente nutrita, così dopo appena cinque minuti sono già pronta per metterli nello scaffale. Me ne carico quattro fra le braccia e mi dirigo a fatica verso lo scaffale, per poi bloccarmi dopo soli due passi. Ancora quel tonfo. Quando mi volto, trovo che quella che era una piccola, ordinatissima pila di libri è ora sparsa sul pavimento.  Questo è strano. E quello che è ancora più strano è che i libri stanno continuando a muoversi, mischiandosi da soli. Per un attimo resto immobile, combattuta fra la rabbia e un lieve timore. Ma quando una seconda pila di libri cade a terra, la rabbia prende decisamente il sopravvento ed uno dopo l’altro lancio istintivamente tutti i libri che tenevo tra le braccia verso il punto da cui mi è sembrato di sentire una risata soffocata. Il gemito che proviene dallo stesso punto subito dopo mi fa gelare il sangue nelle vene. Conosco questa voce.      
                                                                                 

    *


Dannazione. Ma si può sapere cos’ha il mondo contro il mio naso? Che male. Ma questa me la paga, oh se me la...
- POTTER!
Evans grida il mio nome all’improvviso, lanciandomi contro un altro libro e sono sicuro che questo non è il modo di comportarsi in una biblioteca.
Stringendomi ancora il naso tra le mani, indietreggio di scatto, cercando di sottrarmi alla traiettoria del libro, ma qualcosa nel mio piano non funziona: le mie gambe sbattono contro il tavolo alle mie spalle ed io ci finisco praticamente steso sopra, mentre il mantello mi scopre buona parte delle gambe ed il libro mi atterra di fianco. 
Questo non è per niente come la serata doveva andare.

 
*


Ci sono delle gambe sul tavolo e questa non è nemmeno la parte peggiore. Le gambe sono di Potter e questa è la parte peggiore. Ci sono anche lati positivi in tutta questa faccenda, ad esempio il fatto che la testa di Potter non sembra essere qui. Ed in fondo non ho nulla contro le sue gambe, perché non sono loro che non stanno mai zitte e lanciano incantesimi sulla gente. Anche se sono loro a portare Potter in giro per il castello e questo è senz’altro un male. Lentamente, faccio qualche passo verso il tavolo. Il resto del corpo di Potter continua a non esserci e questo è bizzarro, anche se piacevole. Incerta allungo una mano fino al punto in cui la gamba sinistra di Potter finisce nel vuoto, invece di congiungersi alla vita, ma quello che sfiorano i miei polpastrelli non è il nulla: è qualcosa di fresco e setoso, vagamente simile ad acqua. Automaticamente stringo le dita e tiro quella strana consistenza verso di me, ritrovandomi un mantello argenteo tra le mani.
- Ciao, Evans.  
James Potter si tira agilmente su aiutandosi coi gomiti, i capelli più disastrati del solito ed il naso rosso come un pomodoro. Ha un sorriso tranquillo, come se gli capitasse tutti i giorni di spuntare dal nulla steso sui tavoli della biblioteca. Io sposto esterrefatta lo sguardo da lui alla stoffa quasi liquida tra le mie mani ed improvvisamente tutto mi è chiaro.
- Un mantello dell’invisibilità, – mormoro pensosa, mentre la comprensione si fa largo nella mia mente. – Ecco come riesci sempre a farla franca.
Potter fissa improvvisamente contrariato il mantello tra le mie mani: questa è evidentemente una svolta che non aveva previsto quando ha deciso di venire qui a rovinarmi la serata.  Non che ci fosse poi molto da rovinare, ma la presenza di Potter è in grado di peggiorare anche la più noiosa delle punizioni.
- Chissà cosa ne penserebbe la McGranitt – commento vaga, prima di abbassare allibita lo sguardo sulle mie mani improvvisamente vuote.
- Tu non hai una punizione da scontare? – Potter sorride gongolante, stringendo il suo mantello tra le dita. Per essere quello che si dichiara il miglior Cercatore di Hogwarts, sembra eccessivamente soddisfatto del suo scatto repentino.
- È quello che sto cercando di fare, – replico fulminandolo con gli occhi. – Quindi, se mi facessi il favore di evaporare...
- Non credo proprio, Evans.
Potter mi sorride smagliante, accomodandosi meglio sul tavolo, apparentemente ignaro di star stuzzicando il Prefetto sbagliato nel momento sbagliato.
- Di grazia, Potter, con tutti i luoghi che ci sono nel castello, con tutti gli oggetti da distruggere e le persone da molestare, si può sapere perché sei proprio qui?
- Come riassumertelo in una parola, Evans? – Potter si porta una mano al mento, pensoso, prima di illuminarsi.  – Ah, già: vendetta.
I miei occhi si assottigliano ulteriormente, tanto che per poco non ci vedo più nulla. Ovviamente Potter si è offeso perché l’ho schiantato, certo. È troppo pretendere che capisca di essere stato un idiota, di essere un idiota, di essere destinato a rimanere un idiota per sempre e di meritare quindi tutti gli schiantesimi che le persone gli lanciano per legittima difesa dalla sua idiozia. 
- Non appena avrò finito, ti porterò dalla McGranitt, - lo informo minacciosa. - Di peso.
- Non vedo l’ora.
Potter ridacchia, mentre io soppeso velocemente la sua statura con la coda dell’occhio, prima di dargli le spalle. Non è sicuramente più pesante del fidanzato di Petunia e lui non è stato così difficile da far ruzzolare giù per la collina davanti a casa mia, dopo che mi ha dato dellaspostata. Certo, da qui all’ufficio della McGranitt c’è solo pianura e a Potter mancano diversi strati di grasso perché rotoli bene come Dursley, che in effetti sembra fatto apposta per rotolare giù dalle colline. Ma se Potter pensa di stare qui a infastidirmi fino all’ultimo secondo per poi defilarsi di corsa si sbaglia di grosso: a costo di placcarlo, non gli permetterò di tornare nella nostra Sala Comune. E poi vedremo se avrà ancora quell’espressione soddisfatta, quando sarà lui ad essere messo in punizione. Al pensiero della mia imminente rivincita, un sorrisetto mi si dipinge in viso, ma ha vita breve: proprio mentre mi chino a raccogliere un libro, quello si sposta di scatto, allontanandosi da me di diversi metri. Quando lo raggiungo e provo di nuovo a prenderlo, mi ritrovo a stringere l’aria, mentre alle mie spalle scoppia una risata divertita. Non è divertente, sul serio. E non solo perché sono io quella che sta subendo lo scherzo, è che è proprio un gioco con cui solo un bambino di due anni, un decerebrato o James Potter potrebbero divertirsi.  E preferirei la compagnia del decerebrato e del bambino a quella di Potter, ovviamente, che è in realtà entrambe le cose.
- Ascolta, - sospiro girandomi lentamente verso di lui, ma non faccio nemmeno in tempo ad esprimergli a pieno il mio odio che lui, con un veloce movimento della bacchetta, fa cadere gli unici libri che ero riuscita a mettere sullo scaffale. È a questo punto che decido di passare dalle parole ai fatti.
- Evans, dannazione! – Si lamenta, mentre il libro che gli ho appena lanciato con tutta la mia forza cade sul tavolo di fianco a lui, dopo essersi schiantato contro le braccia con cui, purtroppo, Potter ha fatto in tempo a pararsi il viso. - Non essere così violenta. Non è proprio per questo che sei in punizione? Dovresti lavorarci su, dico davvero.
- Ci sto lavorando, Potter: prima o poi riuscirò a dimostrare al mondo che schiantare, legare e gettare nelle profondità del lago nero individui come te non dovrebbe essere qualcosa di contrario alle regole, ma anzi un dovere di ogni studente, - replico spedita, avvicinandomi a lui per recuperare il libro. - Ed ora vai a divertirti da qualche altra parte, grazie.
- Ti serve questo? – Lui mi ignora, afferrando il libro alle sue spalle e porgendomelo con un’espressione innocente tutt’altro che credibile su di lui. – Tieni!
Nemmeno per un secondo penso che me lo stia davvero per passare, così quando il libro colpisce l’ennesima, ordinata, pila di libri, a diversi metri da me, io sto già riflettendo sul da farsi. Le opzioni sono due: gettarmi su Potter e iniziare a colpirlo, tirandogli quei ridicoli capelli, mordendolo, graffiandolo e rifilandogli, se possibile, una ginocchiata lì dove non batte il sole, oppure non farlo. La prima opzione ha numerosi vantaggi, perché è fondamentalmente picchiare Potter. Alla babbana. E se esiste al mondo qualcosa di più soddisfacente di schiantare James Potter, quella dev’essere sicuramente pestarlo a mani nude. Il lato positivo della seconda opzione è che non rischierei di essere espulsa o di perdere la mia spilla da Prefetto per aver dato inizio a una rissa in Biblioteca. Il sangue che sono certa riuscirei a far uscire dal naso di Potter continua a far pendere la bilancia verso la prima opzione, ma   picchiarlo vorrebbe comunque dire considerarlo e quindi dargli soddisfazione. E l’ultima cosa che voglio al mondo è dare soddisfazione a Potter, così decido di ignorarlo completamente e riprendere il mio lavoro. Lui cerca di rendermelo difficile con tutto il suo impegno, ma più i suoi tentativi di infastidirmi e farmi reagire diventano evidenti, più facile diviene per me ignorarlo: a qualcuno qui non piace non essere considerato, vero, Potter? Non m’importa nemmeno del fatto che avrei già finito da molto tempo, se non fosse per i suoi continui boicottaggi: sapere che nemmeno lui si sta divertendo e che anzi è sempre più deluso dalla mia totale impassibilità, mi sta rendendo la situazione quasi piacevole. Beh, no, piacevole non è esatto, essendo un termine riferibile solo a situazioni che prevedono la totale assenza di Potter e a situazioni in cui io non devo arrampicarmi su uno scaffale nel tentativo di recuperare il libro che quel deficiente ha fatto levitare proprio in cima. C’è una sedia vicino al tavolo. Una sedia che avrei potuto usare per arrivare quassù, invece di arrampicarmi come una scimmia, ma il mio istinto di sopravvivenza mi ha impedito di andarla a prendere, perché quello avrebbe significato avvicinarsi a Potter. Ora che mi ritrovo in cima allo scaffale però, così lontana da terra, non sono più tanto sicura del mio istinto di sopravvivenza. Un’altra cosa che non riesco a smettere di pensare è quanti giorni dovrei passare in infermeria se cadessi ora, quante lezione perderei, quanto mi prenderebbe in giro Potter e soprattutto se riporterei danni permanenti o meno. Probabilmente questa non è la cosa più indicata da chiedersi mentre si è arrampicati su uno scaffale di tre metri, con una mano ad un millimetro dal tanto agognato libro da recuperare.
Sto per allungare la mano e afferrarlo e se Potter, quel simpaticone, deciderà di allontanarlo ulteriormente dalla mia portata, rendendo inutile questa arrampicata, allora mi lascerò cadere all’indietro trascinando l’intero scaffale con me, perché il tavolo non è poi così lontano e rimarrebbe schiacciato anche Potter. E anche se morire non è ancora nei miei programmi, ci sono delle cause giuste per cui sacrificarsi: liberare il mondo dalla presenza disturbante dell’individuo alle mie spalle è una di quelle. Quando le mie dita si stringono attorno alla copertina del libro, la sorpresa è tanta che mi ritrovo ad esultare mentalmente, per qualche secondo appena, prima di rendermi conto che più che aver preso il libro mi ci sono aggrappata, in preda allo slancio. Ed un libro appoggiato ad uno scaffale non è affatto un buon punto d’appiglio per una che sta perdendo l’equilibrio. A questo punto è facile capire perché ora sto urlando a pieni polmoni. Mentre precipito all’indietro con il libro stretto tra le mani, riesco solo a pensare che Madama Pince inorridirà alla vista dei suoi amati libri macchiati di sangue, ma proprio quando la mia testa è a circa due centimetri dal suolo, la mia caduta si interrompe di scatto ed io mi ritrovo a galleggiare incolume, anche se niente e nessuno mi sta toccando.
- Lo hai fatto apposta, – commento seccata, cercando di guardare Potter in faccia, ma i miei capelli, che a proposito stanno spazzando il pavimento, me lo rendono parecchio difficile.
- Impedirti di schiantarti al suolo? - La sua voce mi arriva ovattata, mentre sento il sangue affluirmi velocemente alla testa. – Mi hai beccato, Evans, l’ho fatto di proposito.
- Intendevo fermarmi solo all’ultimo momento.
- Non sono così diabolico, Evans, -  replica la voce di Potter da un punto imprecisato alla mia sinistra. – Ma mi fa piacere che tu abbia una così alta opinione dei miei riflessi.
- Hai intenzione di rimettermi al dritto prima o poi, Potter?
Prima ancora che io finisca di parlare, mi ritrovo seduta a mezz’aria, questa volta per il verso giusto, dopo aver fatto una mezza capriola assolutamente non necessaria.
- Basta chiedere, - Potter se ne sta in piedi di fronte a me, con un sorriso sornione stampato in volto e la bacchetta tra le mani. - Anche se era più divertente nell’altro verso.
Nell’esatto momento in cui i miei piedi toccano finalmente terra e Potter finisce di parlare, realizzo improvvisamente di avere la gonna e di aver avuto la gonna per tutto il tempo, mentre ero appesa a testa in giù. La velocità con cui mi chino a raccogliere un libro per poi tirarglielo è degna di un Cercatore, ma questa volta riesce a schivarlo.
- Mi chiedo come farai a finire se continui a lanciare i libri in giro.
Il ghigno di Potter è un’esplicita richiesta a lanciargli un altro libro, questa volta la cronologia completa di Storia Della Magia magari, che gli romperebbe sicuramente qualche osso.
- Bene, Evans. Dato che non sembri in procinto di mostrarmi la tua gratitudine per averti appena salvato le chiappe, ed è stato un piacere, non fraintendermi, penso che me ne andrò a dormire, - annuncia Potter sbrigativo, dispiegando il mantello davanti a sé. - Per stasera hai goduto abbastanza della mia compagnia, non vorrei ti montassi troppo la testa.
Prima ancora che lui abbia finito di parlare, io mi piazzo sulla strada per la porta della biblioteca, trionfante. Ora tocca a me ridere.
- Oh, non credo proprio, Potter. Ora noi due facciamo un salto nell’ufficio della McGranitt, che dici?
- E perché mai dovremmo, Evans?
- In una parola? – gli faccio il verso, beffarda. – Vendetta.  
- Non so se godermi i tuoi tentativi di portarmi di peso dalla McGranitt, che sarebbero poi solo un pretesto per mettermi le mani addosso, ma di nuovo: basta chiedere, - Potter mi fissa a braccia incrociate, canzonatorio. – O se farti notare che il tuo permesso per stare fuori dalla Sala Comune è scaduto da oltre un’ora e quindi, tecnicamente, dovresti stare lontana dall’ufficio della McGranitt almeno quanto me.
Vorrei poter contraddire Potter, perché il suo tono sicuro e beffardo è oltremodo irritante. Il fatto è che l’orologio della biblioteca segna effettivamente mezzanotte e tre quarti, il che vuole dire che, tragedia delle tragedie, Potter ha ragione.
Lo ha fatto apposta, il bastardo, a non darmi tregua nemmeno per un secondo, così che io perdessi di vista l’ora.
- Tu, schifoso moscerino della frutta, appiccicosa caccola di troll, filante bava di vermicolo, figlio di...
- D’accordo, Evans, hai espresso il concetto.
- Escremento essiccato di schiopodo sparacoda, peto puzzolente di ricciocorno schiattoso...
- Impressionante, davvero. Starei ad ascoltarti tutta la notte, ma sto iniziando a sentire il richiamo del letto, quindi...
Il mantello argentato luccica alla luce delle fiaccole, mentre Potter se lo passa di scatto sulla testa, subito prima di sparire dalla mia visuale. Resto intontita a fissare il vuoto di fronte a me per qualche secondo, prima di scattare in avanti: sento il tessuto fresco del mantello sfiorarmi le dita e poi sgusciare via veloce.
- Aspetta!
- Serve un passaggio?
Quando la testa spettinata di Potter riappare dal nulla, a pochi metri di distanza, una parte di me si pente profondamente di averlo richiamato: non è nell’ordine naturale delle cose, che io chiami Potter. L’ordine naturale prevede che io gioisca, se lui sparisce di colpo dalla mia visuale. Ma l’ordine naturale delle cose non mi aiuterà a raggiungere la Sala Comune senza essere beccata da Gazza, a differenza di quel suo mantello dell’invisibilità.
- Regola numero uno, Potter, - inizio spedita, afferrando un bordo del mantello e passandomelo rapida sulla testa. – Non parlarmi. Non guardarmi nemmeno, se ci riesci. E toccami il meno possibile.
Per chiarire meglio il concetto, lo scosto di qualche centimetro con una leggera spinta dal mio spazio vitale.
- Regola numero due, niente deviazioni, - riprendo decisa, ignorando le sue lamentele. – Andiamo dritti in Sala Comune. 
- Se vuoi evitare deviazioni nell’ufficio di Gazza, dovrai sopportare la mia vicinanza, Evans: nemmeno lui è così stupido da non notare due paia di piedi che se ne vanno a zonzo da soli, - La porta della biblioteca si è appena richiusa alle nostre spalle con un lieve cigolio, quando ignorare la presenza fisica di Potter diviene di colpo più difficile: il suo petto preme lievemente contro la mia schiena, mentre il suo braccio destro, che tiene alto il mantello su di noi, mi passa sulla spalla, sfiorandomi l’orecchio e la guancia in una maniera assolutamente non necessaria. – Non preoccuparti, fingerò di non notare che la mia vicinanza ti manda gli ormoni in subbuglio.  
L’errore di Potter non sta tanto nelle sue parole o nel tono malizioso, quanto piuttosto nel fatto che si è chinato su di me, permettendomi di sentire il suo respiro caldo proprio sul collo. In altre parole, rendendomi nota l’esatta posizione della sua faccia.
- Dannazione, ma che avete tutti contro il mio naso?
Potter si porta entrambe le mani al viso contro cui la mia nuca ha appena casualmente sbattuto con una certa violenza, e smette di reggere il mantello, che ci scivola addosso, appoggiandosi sulla sua testa, decisamente più in alto della mia, e appiattendosi contro la mia faccia. Per poco non mi finisce in bocca ed è mentre lo allontano scocciata dal viso, che sento un suono diverso dagli sbuffi di Potter: un brontolio basso e continuo, non dotato di un vero e proprio significato, ma senz’altro scontento e pieno di odio per il genere umano e gli studenti in particolare. Subito afferro Potter per un polso, facendogli segno di tacere e lui mi dà retta proprio quando Gazza gira l’angolo del corridoio, parandocisi di fronte. Per un attimo sento il panico invadermi, ma poi realizzo che sono totalmente coperta da un mantello dell’invisibilità particolarmente funzionante e che non c’è motivo di preoccuparsi. Il problema, il motivo per cui invece devo preoccuparmi eccome, è che non sono sola qua sotto, ma condivido uno spazio angusto con un totale deficiente, che nell’esatto momento in cui anche l’inquietante gatta di Gazza gira l’angolo, mi passa di colpo un braccio attorno a un fianco e inizia a tirarmi all’indietro, proprio contro di lui.
Mentre il mio corpo è premuto, per non dire appiccicato, contro quello della persona che più odio in questo castello, per non dire al mondo, la mia mente prende distrattamente atto di come subire un’aggressione sessuale sotto un mantello dell’invisibilità sarebbe il peggiore degli scenari possibili. Potter è effettivamente un uomo, questo pensiero mi sfiora di sfuggita, cogliendomi di sorpresa: è odioso ed irritante e potrei metterlo k.o. in qualunque momento a parole, ma il suo corpo è ampio e solido alle mie spalle, le sue braccia troppo più forti delle mie e mi sta spostando come se non avessi peso.
È in questo drammatico momento della mia vita che devo accantonare per sempre l’idea di poterlo davvero battere in uno scontro alla babbana, ma allo stesso tempo ricordo un altro fattore importante: Potter è stupido e non si è dato pena di coprirmi la bocca. È a questo punto che mi preparo a cacciare un urlo così forte da svegliare tutto il castello, salvo notare poi che Potter non mi sta solo spingendo contro di lui, ma sta contemporaneamente indietreggiando, lentamente. Quando, sempre il più lentamente e silenziosamente possibile, giriamo l’angolo, capisco che il suo intento è raggiungere la biblioteca, ma continuo a non capirne il motivo: siamo sotto un dannato mantello dell’invisibilità, non abbiamo alcun bisogno di scappare. Mi mordo la lingua ed evoco tutta la mia forza di volontà per non cominciare subito a gridargli contro e soprattutto per fingere di essere un’altra persona, una che in questo momento non è circondata dalle braccia del ragazzo più viziato, arrogante ed insopportabile di Hogwarts e dintorni.
- Lo sai, vero, che Gazza non poteva vederci? - sibilo nervosa, non appena Potter chiude lentamente il pesante portone di quercia della biblioteca di fronte a noi, cercando di non far rumore. – Non è che siamo appiccicati sotto questo mantello asfissiante per divertimento, Potter.
Lui per tutta risposta si appoggia di schiena, con un sospiro, al portone e si lascia scivolare giù; il mantello, impigliato nella sua cintura, lo segue a ruota, lasciandomi scoperta.
- Il mio mantello non è per nulla asfissiante, Evans: sono i tuoi polmoni ad avere scarso rendimento, - replica Potter, alzando il mento. – E comunque dovresti ringraziarmi: Gazza non può vedere oltre il mantello, ma Mrs Purr...
- Shhhh – lo azzittisco improvvisamente, sentendo i passi ed il brontolio di Gazza avvicinarsi dall’altra parte del portone.
- Tu non fai shhhh a me - inizia scandalizzato, ma quando sente la voce deliziata di Gazza esattamente dietro di noi, dall’altra parte della porta, si azzittisce. Finalmente, aggiungerei.
È a questo punto, mentre riporto lo sguardo all’entrata della biblioteca, che mi rendo conto della gravità della situazione presente: Gazza è esattamente al di là della porta e se la aprisse ora, inciamperebbe nel corpo solo parzialmente visibile di Potter e si troverebbe di fronte la sottoscritta.
Trattenendo il respiro, incrocio lo sguardo di Potter, che mi fa segno di non muovermi. Oh grazie tante del consiglio, ed io che pensavo di aprire la porta e consegnarmi direttamente a Gazza.
Passano secondi interminabili di silenzio, interrotti solo dai miagolii di Mrs Purr, ed io mi chiedo perché Gazza debba starsene qui a fissare la porta della biblioteca.
Può aver notato che l’incantesimo che blocca la serratura non è attivato, ma la cosa non dovrebbe stupirlo, dato che la McGranitt stessa lo ha avvisato di non chiudere la porta per via della mia punizione. L’unica spiegazione è che lui sa, ci ha sentiti e ora si sta divertendo a terrorizzare me e Potter. Beh, me, quel cretino di Potter è in allerta, ma non sembra particolarmente spaventato: figuriamoci, punizione più, punizione meno, che cambia, no? Tanto nessuno gli dice mai nulla, anche se con le sue bravate svuota periodicamente la clessidra di Grifondoro.
Potter deve aver notato il mio sguardo corrucciato fisso su di lui, perché alza le sopracciglia interrogativo, guardandomi divertito.
Ed è a questo punto che accade.
C’è un secondo, uno soltanto, in cui il sollievo mi invade, perché Gazza ha appena espresso a Mrs Purr la sua intenzione di controllare i sotterranei, il che vuol dire che non finirò in punizione mentre sono già in punizione, il che è stupendo. Sono così felice che potrei persino abbracciare Potter, prima di mandarlo al diavolo. Ma poi quel secondo passa e arriva l’altro secondo, quello in cui Gazza, prima di andarsene, decide di chiudere la biblioteca a chiave, con quella grande chiave argentata che gli ha dato Silente stesso e che contiene più magia di quanta Gazza potrà mai evocarne. E mentre la sento girare nella serratura, lo so già che un Alohomora non basterà. Sono intrappolata qui dentro. Con Potter. 
Vorrei convincermi che è solo il peggiore incubo che io abbia mai fatto e che tra poco Alice mi sveglierà con una cuscinata, ma non ci riesco.
Tutto questo è semplicemente troppo brutto per non essere vero.

 
*


La faccia di Evans è impagabile. Fissa la porta alle mie spalle con gli occhi spenti e le labbra socchiuse e tutto questo da un tempo considerevole ormai. Io mi sto mordendo le labbra nel tentativo di non scoppiare a ridere, ma più penso che non devo farlo, più la voglia diviene irrefrenabile, fino a quando non mi rendo conto degli occhi glaciali di Evans ora puntati su di me.
- Lo trovi divertente, Potter?
- Oh sì, Evans, - ridacchio alzandomi da terra e dando una rassettata veloce al mantello. – Dovevi vedere la tua faccia: a cosa stavi pensando? Cuccioli di puffola pigmea che vengono squartati o cosa?
- Secondo te, genio? – sbuffa irritata, incrociando le braccia al petto con uno scatto. – Gazza ci ha appena chiusi dentro, nel caso non lo avessi notato.
- E allora? – replico con un’alzata di spalle, infilandomi il mantello in una tasca interna della divisa. Subito dopo la mia mano scatta automaticamente verso i miei capelli. – Non sei felice di passare la notte con me?
Non mi sono nemmeno reso conto di essermi avvicinato tanto a lei, ma il mio sorriso sornione è piuttosto vicino alle sue labbra al momento. Incrocio il suo sguardo, aspettandomi che si allontani mandandomi al diavolo, ma lei non arretra di un passo. Quello che fa invece è chiudere gli occhi, sospirando rumorosamente, come a invocare la calma. Ma qualcosa deve andare storto nel processo, perché ora sono io ad aver fatto uno scatto all’indietro e la mia guancia brucia in maniera tutt’altro che piacevole e tutto ciò è inammissibile e non ha  nulla a che vedere con il mantenere la calma.
- Mi hai appena morso, Evans? - esclamo indignato, portandomi una mano alla pelle ruvida e dolorante. – È questo quello che hai fatto?
- Sì, Potter, ti ho dato un morso, - conferma Evans pratica, andando a sedersi sulla panca più vicina. – Andava fatto. Era qualcosa che avevo bisogno di fare, prima di affrontare un’intera nottata qui dentro con te.
- Ma...
- Tra poco riuscirai a far salire nuovamente di livello i miei istinti omicidi nei tuoi confronti, ma almeno per un po’ non sentirò il bisogno di sbattere la tua testa contro la porta fino a farla aprire. La tua testa, intendo, non la porta.
Evans se ne sta sulla sua panca e ha tutta l’aria di parlare a se stessa più che a me e improvvisamente l’idea di passare tutta la notte qui con lei non è più tanto allettante.
È pazza. È l’unica spiegazione possibile.
Prima mi ha schiantato ed ora mi ha morso. 
 Nessuno mi aveva mai morso prima.
A parte Sirius, certo, ma lui continua a tirare fuori la storia degli istinti canini, come se poi io me ne andassi in giro ad incornare la gente, ma per favore.
Evans è isterica, Sirius è un idiota ed io voglio andare a dormire.
E Sirius è un idiota, ma è anche l’unico che può tirarmi fuori da qui prima che Evans decida di darsi al cannibalismo.
Voglio dire, sicuramente la mia carne dev’essere buonissima, nella scala delle carni umane. Ed ora lei ne ha avuto un assaggio, è solo questione di tempo prima che ne voglia ancora.
- Sirius Black – scandisco chiaramente, tenendo alto lo specchietto di fronte a me. Quando Sirius, dopo averlo recuperato dalla soffitta di Casa Black me lo ha regalato, al secondo anno, a patto che lo tenessi sempre con me, ho pensato che fosse una condizione un po’ ridicola, ma nel corso di questi cinque anni ho capito che è stata l’idea migliore che Sirius abbia mai avuto, subito dopo quella di provare a mescolare la Burrobirra col Firewhiskey.
 

*

Sono sgattaiolata fuori dalla Sala Comune dei Corvonero almeno quindici minuti fa, ma di lui neanche l’ombra.
Non sono abituata ad aspettare, di solito sono io quella che si fa attendere dagli altri. Posso avere chi voglio, o quasi, in questa scuola, con un semplice schiocco di dita: non è un mistero che persino i Serpeverde, nonostante il mio sangue non sia, come dicono loro, puro non mi disdegnerebbero affatto. Per questo non mi sognerei mai di aspettare nemmeno un minuto per qualsiasi altro ragazzo. Ma dopotutto lui non è uno qualsiasiÈ Sirius Black. E questa semplice constatazione basta a zittire il mio orgoglio che iniziava a suggerirmi di andarmene e mandare tutto all’aria.
Quando finalmente fa la sua comparsa, nonostante volessi mostrarmi seccata per il ritardo,  non riesco a trattenere un sorriso: ogni volta che lo vedo mi stupisco di quanto possa essere bello. Mi si avvicina sicuro, sorridendo sfacciato mentre mi squadra palesemente da capo a piedi, conscio che non protesterò: dopotutto sto facendo lo stesso con lui. Non c’è nulla di male nell’apprezzare la bellezza, non vedo perché nasconderlo. Indossa un paio di jeans scuri e una felpa nera, dopotutto il coprifuoco è scattato da un bel po’ e se ci beccassero fuori dai dormitori la divisa sarebbe l’ultimo dei suoi problemi. È un Purosangue, ma il suo abbigliamento alla babbana non mi stupisce affatto: circolano anche tra noi Corvonero i pettegolezzi e la fuga da casa con conseguente cancellazione dall’arazzo del rampollo di una delle casate purosangue più antiche è stata sulla bocca di tutti quest’estate. Gli occhi taglienti e chiarissimi di ogni Black sembrano quasi risplendere nel buio del corridoio, mentre si ferma davanti a me, illuminato dalla luce della fiaccola che produce riflessi rossastri sui suoi lineamenti squadrati. Perfetto, Sirius Black è semplicemente perfetto. Non posso fare a meno di ripetermelo ogni volta che lo vedo.
Mi potrei anche innamorare di quei suoi occhi grigi, se solo non fosse così dannatamente incurante, troppo preso a progettare tiri mancini ai Serpeverde e a passare il tempo con i suoi amici per prestare davvero attenzione a qualcun altro: io ho bisogno di qualcuno che mi tratti come merito, che mi guardi con occhi adoranti, quasi che baci la terra su cui cammino. Sono stata abituata così, da sempre coccolata e riverita e non ho nessuna intenzione di smettere di esserlo ora, nemmeno per Sirius Black. Il mondo è pieno di ragazzi, dopotutto. Ma d’altro canto, non c’è motivo di negarmi una passeggiata notturna in riva al lago con il ragazzo più bello della scuola, no?

 
*


- Che vuoi?
La voce di Sirius sembra più seccata che entusiasta, il che è assurdo naturalmente, perché è il mio migliore amico e deve essere solo contento del fatto che io lo stia chiamando.
- Ciao anche a te, Padfoot.
- Hai tre secondi per dirmi cosa vuoi prima che io metta fine a questa conversazione.
Sirius continua a non mostrare un particolare entusiasmo per la mia improvvisata e la cosa mi indispone parecchio, ma non è il momento per questo: è il momento di chiedere aiuto.
- Ho bisogno di un favore.
- È qualcosa che posso fare in cinque secondi da qui?
- Definisci qui.
- Sono nel parco.
- E che ci fai nel parco?
- Io e la mia amica Kate stiamo ammirando il riflesso della luna sul lago nero.
- State cosa?
- Al momento stiamo venendo molestati a distanza.
- Fammi capire: mi stai dicendo che vorresti dare buca al tuo migliore amico James per la tua amica Kate?
- Per darti buca, avremmo prima dovuto avere un appuntamento, James, ti pare?
-  Beh, dì alla tua amica Kate che il coprifuoco è scattato da un pezzo e che il tuo migliore amico James, che ha la precedenza su di lei, ha urgente bisogno di te.
- Continuerai ad insistere fino a quando non ti dirò di sì, non è vero?
- Tutta la notte.
- E va bene, che diavolo vuoi?
Sto per spiegare a Sirius che diavolo voglio, quando la voce perplessa di Evans mi informa della sua improvvisa vicinanza.
- Stai sul serio parlando con il tuo riflesso allo specchio, Potter? – mi chiede sconvolta. – Sono chiusa qui dentro con una persona che parla alla sua immagine?
- No, Evans, anche se il mio riflesso sarebbe sicuramente più cordiale di te.
- E allora che stai facendo?
- Chiamo i rinforzi – replico con un sorrisetto.  
- Sento la voce di Evans. Perché sento la voce di Evans?
- È la voce di Black questa? – Gli occhi di Evans si spostano accigliati sul mio specchietto, mentre lei corruga la fronte. - Il tuo specchietto ha la voce di Black, Potter. Questo è normale?
- Oh, ma bravo, ora la tua amica Evans sa degli specchietti – sbuffa Sirius e probabilmente questo non è il momento giusto per informarlo che suddetta Evans ora sa anche del mantello.  
- Non ha appena insinuato che io sia tua amica, vero? Non lo ha fatto sul serio.
- Padfoot, concentrati: siamo bloccati in biblioteca. Vai nella Stanza Delle... – inizio, salvo interrompermi all’improvviso, scoccando un’occhiata ad Evans che mi fissa perplessa. – Nella stanza che tu sai, quella in cui andiamo quando...quella in cui puoi trovare le cose, ecco. E chiedi, e cerca cioè, una chiave per aprire la porta. Ci sarà sicuramente, perché ne abbiamo così tanto bisogno. Potrei quasi dire che è una necessitàprimaria.
- Ho capito, James, smetti di ammiccare.
- Ok, cerca di fare presto. È una questione di vita o di morte, credo che Evans voglia mangiarmi - Sirius alza gli occhi al cielo e il suo viso scompare dallo specchietto prima ancora che io finisca di parlare.
- Non voglio mangiarti, Potter.
- Questo mi è di grande conforto, Evans.
- Ci metterei ore a digerire il tuo ego immenso.

 
*

Non mi piace che la mia salvezza dipenda da Sirius Black.
Se fosse per me, nulla al mondo dipenderebbe da Sirius Black.
Quel ragazzo non è affidabile e il fatto che è il migliore amico di Potter ne è una conferma. Come riesce a passare tutto il suo tempo con lui senza, che so, prenderlo a pugni? Non è normale, no? Una persona normale non ne sarebbe in grado. Probabilmente è per quella cosa che hanno in comune, la parte del loro cranio in cui dovrebbe esserci il cervello e in cui entrambi hanno solo battutine sarcastiche e risate idiote: dev’essere più facile non considerare Potter un idiota, quando anche tu sei un idiota. È l’unica spiegazione. 
- Non credo che il tuo amico stia venendo a salvarci, Potter.
Potter si è steso sulla panca accanto a me, costringendomi a spostarmi nell’angolo più lontano dalla porta per non sfiorare né lui né l’aria attorno a lui ed ora non fa che lanciarmi occhiate divertite. Cosa ci sarà di tanto divertente in questa situazione lo sa solo lui.
- Verrà, vedrai. Piuttosto, - Un guizzo vivace gli accende lo sguardo, mentre si puntella sui gomiti per fissarmi meglio. – Che ne dici di usare questo tempo in modo costruttivo?
- Credevo ti piacesse di più passarlo in modo distruttivo, Potter, - sbuffo, occhieggiando alle pile di libri ancora sparse a terra per colpa sua. Questo sì che sarebbe un modo costruttivo di passare il tempo, dare una sistemata e avere meno lavoro da fare domani sera, ma ho troppo sonno per alzarmi da questa panca: l’unica cosa che potrei costruire volentieri ora come ora è una gogna con cui imprigionare Potter. – E no, rifiuto l’offerta e ti faccio una controproposta: perché non passi questo tempo in totale silenzio e guardando da un’altra parte?
- Il mio sguardo ti mette in soggezione? – ghigna Potter beffardo, senza staccare gli occhi da me. – Non preoccuparti, Evans, sei bella come sempre.
Potrebbe essere un complimento, lo sarebbe, se solo non fossero la voce e gli occhi di Potter. È incredibile come riesca a far suonare anche le frasi più gentili come una presa in giro, socchiudendo appena gli occhi e imprimendo quella vena beffarda in ogni parola.
- Non avevamo deciso di stare in silenzio, Potter?
-  Ho un’idea migliore, - Si mette a sedere, ovviamente non come una persona normale e dignitosa, ma a cavalcioni della panca, in modo da potermi piazzare più comodamente gli occhi in faccia. – Hogsmeade. Parliamo di Hogsmeade.
Godric, dammi la forza.
- È uno dei pochi villaggi interamente magici della Gran Bretagna, senz’altro il più antico, - parto spedita a snocciolare il paragrafo che si trova stampato sul retro dei menù di qualunque caffetteria di Hogsmeade e che mi è sempre rimasto ben impresso nella mente, sin da quando l’ho letto per la prima volta al terzo anno. – Prende il nome da...
- E noi quando ci andiamo, Evans? 
- Quando Black si deciderà a venirci a liberare, ovvero mai.
- Sirius sta arrivando, - commenta Potter sicuro, come la sua testa fosse sintonizzata ventiquattrore su ventiquattro sulle mosse di Black. – Quindi alla prossima uscita devo tenermi libero per te?
- Vuoi davvero tenere questa conversazione, Potter? – sospiro sfinita, passandomi nervosamente una mano tra i capelli. – Di nuovo?
Per tutta risposta lui allarga il sorriso, con un’alzata di spalle.
- Quattro anni, Potter, – sottolineo esasperata. - Quattro anni dalla prima volta che me l’hai chiesto e ancora insisti?
- Oh, tieni il conto? Che cosa romantica, - commenta affettato. – E dopo quattro anni ancora non sei riuscita a inventarti una scusa decente per negarti tanta bellezza.
Potter accenna un gesto con le mani come a indicare se stesso e se Black non si muove, dovrà trovarsi un nuovo migliore amico.
- Ci sono milioni di motivi per negarmi un pomeriggio in tua compagnia, Potter, - replico alzandomi dalla panca e iniziando a gironzolare vicino alla porta, sperando di vederla aprirsi da un momento all’altro. – A partire dal salvaguardare la mia sanità mentale.
- È così tragica la tua cotta nei miei confronti?
La tua voce, - inizio ispirata, ignorando il sogghigno mellifluo di Potter. - Oh sì, la tua voce è uno dei motivi principali per cui preferirei infilarmi di testa in un alveare di doxie piuttosto che passare un’intera giornata in tua compagnia.  
- Lo so, è incredibilmente sensuale ed erotica, ma sono sicuro che puoi riuscire a frenare i tuoi istinti, se ti ci impegni.
- Voglio dire, probabilmente ora non lo fai nemmeno più apposta, - proseguo pensierosa, ignorandolo. – Ti viene naturale parlare perennemente con quella nota di scherno e con quel tono sempre un po’ sarcastico. Ai primi anni ti sforzavi di più per dare sempre l’impressione di prendere in giro l’interlocutore, me lo ricordo, ora invece ti viene semplicemente naturale.
- Quindi, - concludo, voltandomi verso Potter, che ora mi fissa attento. – Neanche volendo potresti cambiarla ora, perché non te ne rendi proprio conto. E se qualche ragazzina la può trovare intrigante, a me fa semplicemente salire l’istinto di lanciarti un silencio. Eccoti un motivo valido per cui non uscirei mai con te, soddisfatto? 
- La mia voce, capisco – commenta Potter assorto, senza staccare gli occhi da me. – Altro?
- I tuoi occhi. Non so se sia voluto o meno, ma anche le rare volte in cui tieni la bocca chiusa, riesci comunque a far sentire le persone a disagio, - continuo decisa, senza guardarlo. Potter vuole davvero sapere perché lo odio? Non sarò certo io a tirarmi indietro. – Sai come si dice, no? Certe persone parlano con gli occhi e tu sei una di quelle. Il problema è che fondamentalmente non sei una bella persona, Potter, perciò i tuoi occhi non fanno che confermarlo e dire alla gente cose come ‘ti sto ascoltando, ma in realtà sto pensando a quanto tu sia patetico e a quanto io sia infinitamente meglio di tutti voi’ e, santo Godric, anche quando non hai uno stupido ghigno stampato in faccia, non ti si può comunque prendere sul serio, perché il tuo sguardo ha sempre quella nota divertita o beffarda, come se ti stessi trattenendo dal ridere in faccia alla gente.
Mi concedo una breve occhiata a Potter, che se ne sta ancora a cavalcioni della panca, una volta tanto in silenzio, gli occhi ovviamente puntati su di me: figuriamoci se qualcuno ad Hogwarts riesce a dire qualcosa in grado di fargli abbassare lo sguardo.
- Il sorriso, ecco, quello è il motivo numero tre per cui non verrà mai, mai il giorno in cui accetterò un tuo invito ad Hogsmeade o da qualunque altra parte, - riprendo rapida. In fondo la serata non è completamente rovinata: spiegare nel dettaglio a Potter cosa c’è di insopportabile in lui ha un effetto quasi catartico su di me. È quasi più soddisfacente che schiantarlo, soprattutto perché ho come l’impressione di avere la sua più totale attenzione. – Voglio dire, come si fa a capire quando stai davvero sorridendo? È impossibile. Hai sempre un sorriso o un ghigno stampato in faccia e non è umanamente possibile che tu sia sempre, costantemente divertito, no? Ma evidentemente ti piace avere l’aria di chi prende tutto come un gioco, perché ti fa sentire al di sopra di tutto: come se tutti qui ad Hogwarts fossero degli idioti, che tengono alle cose e alle persone, mentre tu ridi di tutto e ti senti mille volte meglio di noi, quando di fatto sei solo un ragazzino che deve ancora crescere.
C’è solo un attimo, una frazione di secondo, mentre mi volto verso Potter, in cui mi sorge il dubbio di esserci riuscita. Per un secondo soltanto mi aspetto di voltarmi e trovarlo anche solo leggermente turbato dalle mie parole, ma ovviamente devo ricredermi. Potter mi fissa con gli occhi lievemente spalancati e le labbra piegate nell’accenno di un sorriso beffardo, per nulla scalfito.
- E questo, - concludo con una vena di amarezza quasi impercettibile, indicandolo. – È il motivo principale per cui non voglio avere nulla a che fare con te.
- Questo? – Potter alza le sopracciglia, interrogativo. Il suo tono è volutamente leggero, come se la risposta non gli importasse particolarmente. – Sono tutto orecchie, Evans.        
- Sei sempre così impegnato a sentirti superiore agli altri, a dimostrare che niente ti tocca, che ci hai fatto l’abitudine, - replico all’istante, piantando gli occhi nei suoi. – Ti ho appena spiegato per filo e per segno quanto tu mi faccia ribrezzo e il tuo sorriso non si è nemmeno incrinato. Non un segno.
- Complimenti, sono quasi ammirata, - aggiungo con una mezza risata, prima di riportare lo sguardo su di lui. Ha gli occhi lievemente socchiusi e le labbra, premute l’una contro l’altra, tirate in quel sorriso che proprio non vuole sparire dal suo viso. - Provi mai qualcosa, Potter?
Dalla serratura alle mie spalle proviene improvvisamente un rumore stridente, come di una chiave che gira all’interno, e sia i miei occhi che quelli di Potter scattano alla porta.
- Sirius, sei tu?
Potter mi ha superato in un batter d’occhio e aspetta la risposta del suo amico già con le dita strette alla maniglia.  
- Con tutta probabilità il signor Black, essendo quasi l’una di notte, si trova nel suo dormitorio, - replica una voce al di là del portone di quercia, voce che non assomiglia affatto a quella di un sedicenne maschio. - Dove del resto dovrebbe trovarsi anche lei, signor Potter.
Ci dev’essere senz’altro una spiegazione per cui la voce di Black suona spaventosamente simile a quella della nostra Capocasa, una spiegazione che non implichi la presenza della professoressa McGranitt al di là di quella porta possibilmente.
 


*


Passano diversi secondi di silenzio, in cui non sento emettere un fiato dall’altra parte del portone, dopodiché semplicemente non riesco più a trattenermi e la mia risata squarcia l’aria, rimbombando nel corridoio vuoto alle mie spalle.
All’inizio suona ancora come la risata della McGranitt, il che è inquietante, perché lei non riderebbe mai in modo così sguaiato, poi, quando mi allontano la bacchetta della gola, è di nuovo la mia voce a riempirmi le orecchie.
Senza aspettare oltre apro la porta, pronto a godermi le espressioni sconvolte di James ed Evans: così imparano a rovinarmi la serata. Dire che Kate era indignata è dire poco – beh, non è stato così male vederla imbronciarsi e stizzirsi come una bambina: mi ha sempre ricordato una versione Corvonero di Narcissa, con i suoi modi altezzosi di fare e tra tutte, Narcissa è sempre stata la mia cugina preferita da eleggere a vittima dei miei scherzi. Non che ci fosse una vasta scelta, dato che Bellatrix sarebbe stata in grado di uccidermi anche senza che le offrissi pretesti di alcun tipo su un piatto d’argento e Andromeda, beh, nemmeno io sono mai stato un bambino così degenere da fare scherzi a Meda. 
- Figlio di...
- Santo Godric, Black, non ti ci mettere anche tu ora!
James mi guarda a bocca spalancata, palesemente indignato.
Evans ha i capelli spettinati quasi quanto il mio amico e l’aria di chi sta per avere una crisi di nervi. Scommetto che se l’è fatta sotto per la paura.
- Alla buon’ora, comunque. Ti sei messo a forgiarla tu stesso la chiave?
Il mio sguardo torna su James, che sta dispiegando il mantello di fronte a sé, come se non ci fosse un Prefetto di fianco a noi. Cerco davvero di rendere l’informazione importante, ma sono troppo impegnato a studiare l’espressione del mio migliore amico per darci peso.
C’è qualcosa che non va.
Lo percepisco appena, dal sorriso appena sforzato e dal modo in cui sposta di continuo lo sguardo.
- Quindi, - commento, lanciando un’occhiata ad Evans, che non sembra minimamente incuriosita dal mantello: quindi sa già cos’è, perfetto. - Le facciamo un Oblivion poi o la diamo direttamente in pasto alla piovra?
- Devi solo provarci, Black.
- La corrompiamo, - stabilisce James, aggiustandosi gli occhiali rettangolari sul naso. - Che dici, Evans? Ti diamo un passaggio fino alla Sala Comune e tu dimentichi di aver visto un mantello dell’invisibilità questa sera.
Evans non sembra entusiasta all’idea di fare un patto con James, comprensibilmente. Ma dopo diversi secondi, pare decidere che quello che sarebbe ancora meno entusiasmante, in questo momento, sarebbe raggiungere la Sala Comune senza farsi beccare da Gazza o da uno dei Caposcuola.
- D’accordo, dimenticare è perfetto, - sospira, passandosi nervosamente una mano tra i capelli: qualche ora insieme e James l’ha già contagiata. – Dimenticherò il mantello, questa serata e la tua esistenza, Potter. E ora muoviamoci.
Automaticamente mi volto verso James, per capire se anche a lui il tono di Evans ha fatto venire voglia di lasciarla qui – e insomma, Miss Prefetto perfetto che si prende due punizioni nel giro di un giorno solo, a mio parere vale eccome la pena di rischiare che il mantello venga scoperto dai professori. Non sono nemmeno sicuro che sia completamente contro le regole, ora che ci penso. Voglio dire, il fatto che abbiamo un mantello dell’invisibilità, non vuol dire automaticamente che quando un Serpeverde rotola giù dalle scale senza apparente motivo, siamo stati noi a spingerlo giù. Certo, è molto probabile, è quello che è successo proprio l’altra settimana in effetti, ma Nott ha quell’aria snob che è come una supplica a fargli del male fisico e tecnicamente potremmo non essere stati noi. Il fatto è che James non mi sta guardando ora ed è già pronto ad avvolgerci tutti nel mantello: traspare una certa fretta di tornare in dormitorio dai suoi gesti, come se non fosse particolarmente felice della situazione, anche se cerca di non darlo a vedere. Così decido di assecondarlo e accantonare le decine di idee senz’altro più divertenti, tra cui imprigionare Evans da qualche parte e lasciarcela per tutta la notte.
 
*


Evans ha l’aria di una preda in trappola, pressata sotto il mantello tra me e Sirius.
È divertente e potrei passare tutta la notte a godermi la sua espressione, se non fosse per le assurdità che ha sparato poco fa e che mi hanno fatto passare la voglia di avercela davanti agli occhi, almeno per stasera.
- Unicorno alato.
Sirius deve ripetere la parola d’ordine altre due volte, prima che la signora grassa si svegli completamente e decida di spostare il suo pesante fondoschiena, liberando il passaggio.
- Prima i Prefetti rompiscatole – commenta Sirius, inchinandosi teatralmente ed Evans lo supera con uno sbuffo, tirando dritta verso le scale del dormitorio femminile senza più degnarci di uno sguardo.
- Buonanotte, Evans! - le grido dietro, affacciandomi al passaggio. – Quando vuoi rifarlo, sai dove trovarmi.
Per tutta risposta lei si sbatte la porta del dormitorio alle spalle, con grande gioia delle sue compagne di stanza, suppongo.
Quando mi volto verso Sirius, lo trovo impegnato a fissarmi attentamente.
- Che c’è? – chiedo perplesso, alzando un sopracciglio.
- Niente, - replica lui, scuotendo la testa. – Che facciamo?
Il mio sguardo indugia sulle scale del dormitorio maschile, prima di spostarsi sul buco del ritratto, ancora scostato.
- Oh, non saprei, - commento con un’alzata di spalle. - C’è qualcosa in particolare che desideri fare con me alle due di notte, Padfoot?
- Sai, non ho potuto fare a meno di notare una certa gelosia nell’aria, prima, - Sulle labbra di Sirius si disegna un sorrisetto dei suoi. - Vuoi ammirare anche tu il riflesso della luna sul lago insieme a me?
La mia risata riecheggia nella Sala Comune deserta, sovrastando le lamentele che provengono dai dormitori maschili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


 

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CAPITOLO 5.

 

 

 

 

 

 

 

- Solo un attimo di attenzione, ragazzi.
La voce profonda di Silente fa cessare all’istante il brusio presente in Sala Grande, proprio mentre io e Sirius raggiungiamo Remus e Peter al tavolo di Grifondoro per la cena. Mentre Peter alza lo sguardo sul preside, io prendo posto accanto a lui e gli sottraggo abilmente dal piatto una coscia di pollo; non ho nemmeno controllato se ce ne fosse altro sul tavolo, ma non è come se ce ne fosse bisogno: il pollo non è una di quelle cose in grado di resistere per più di cinque minuti al tavolo dei Grifondoro.
- Dal momento che questo è l’unico momento in cui, più ancora che durante le lezioni, vi trovate presumibilmente tutti dove ci si aspetta, mi sembra il caso di informarvi ora della novità, - Silente sta quasi riuscendo ad attirare la mia attenzione, quando Peter si accorge del furto e mi afferra la mano con aria assassina, tentando di riappropriarsi della sua coscia. La coscia di pollo, intendo, non la coscia di Peter. – In questi giorni, grazie alla collaborazione gentilmente offerta da Prefetti, professori e Caposcuola, sono riuscito ad organizzare una piacevole...
Remus sibila irritato qualcosa e probabilmente quello che ci sta chiedendo è di lottare più silenziosamente. Il fatto è che non ho tempo per prestargli attenzione ora come ora, mentre sono aggrappato con entrambe le mani alla coscia di pollo, nel tentativo di far fronte all’attacco di Peter, che è un amico davvero pessimo ed egoista quando si tratta di cibo, dato che ha almeno altre due cosce nel piatto e qualcun’altra sicuramente nella pancia.
- 100 punti alla propria casa, oltre che soddisfazione e gloria personale...
Sirius ha appena approfittato della distrazione di Peter per rubargli indisturbato una coscia e ora se la sta gustando tranquillo mentre ascolta Silente blaterare di Godric solo sa cosa. Vorrei farlo notare a Peter, in modo da indirizzare la sua ira e il suo peso – mi è letteralmente salito su una gamba – su di lui, ma parlare richiede concentrazione e la concentrazione mi serve tutta per non lasciare andare la coscia. Quand’è che Peter è diventato così forte?
- ...prima di questa sera, in modo che domani mattina si terranno già le selezioni tra i membri della stessa Casa.
Devo ribaltare la sedia, è l’unica soluzione. A quel punto potrò rotolare e gli eccessivi chili di Peter non schiacceranno più il mio corpo perfetto; solo allora potrò avere di nuovo una speranza di vincere questa lotta.
- Grazie per l’attenzione, riprendete pure.
Sto per gettarmi all’indietro e dimostrare a Peter chi comanda, quando la voce di Frank, alla mia sinistra, e soprattutto quello che mi porge, mi fanno bloccare.
- Prendete la mia, ok?
Abbasso lo sguardo sulla coscia di pollo che il mio battitore mi sta tendendo ed è solo ora che realizzo di essergli un po’ troppo vicino. La lotta è sconfinata anche sulla sua sedia, a quanto pare.
- Grazie, Frank, - commento, lasciando andare la coscia di Peter e appropriandomi della nuova. – Brav’uomo. Tu sì che sei un vero amico. Avrai dei biglietti gratis per le mie partite, quando sarò un Cercatore famoso in tutto il mondo.
- Grazie, Capitano, molto gentile da parte tua, - annuisce Frank, senza mostrare in realtà un grande entusiasmo. - Però ora potresti tornare sulla tua sedia? 
- Se vuoi provarci con il mio ragazzo, Potter, abbi almeno la decenza di non farlo in mia presenza, – Prewett, dall’altro lato di Frank, mi fissa indispettita e se non fosse che la gente sta iniziando a guardarmi, resterei in braccio a Frank per tutta la sera, solo per dimostrarle che posso sedermi sul mio battitore quando mi va. - Piuttosto, Frank, tu hai intenzione di partecipare?
- Partecipare? – le faccio eco, perplesso. – A cosa?
- Non hai sentito una parola di quello che ha detto, Silente, vero? – sospira Remus, contrariato. Non gli è ancora andato giù il mio contributo alla punizione di Evans: immaturo è stata la sua parola preferita per tutta la giornata. – Ci sarà un torneo di duelli tra gli studenti dal sesto anno in su: il vincitore porterà 100 punti alla propria Casa.
- Ah sì? – commento intrigato, addentando la mia coscia di pollo, trattenendo un ghigno.
Un torneo.
In altre parole, affatturare i Serpeverde con la benedizione dei professori.


*

- È un’idea fantastica, - ripeto più o meno per la quindicesima volta, attraversando il ritratto della Signora Grassa. – Voglio dire, con questa storia della... – La mia voce si abbassa ad un sussurro, tanto che Alice deve chinarsi verso di me per sentire. - ...guerra, credo che cimentarci in dei duelli veri e propri ci sarà molto più utile che provare milioni di volte i singoli incantesimi a lezione.
Alice annuisce inquieta, lasciandosi cadere su una delle poltroncine di fronte al camino.
Nessuno dice davvero la parola guerra di questi tempi, su qualunque giornale, dalla Gazzetta del Profeta a Strega Oggi, non compare mai scritta nero su bianco: il ministro della magia impallidisce al solo sentirla nominare e scoppia a ridere nervosamente, tacciandola come un’assurda esagerazione, non appena un giornalista inizia anche solo a pronunciarla. E il mondo magico non ha particolarmente voglia di contraddirlo: subbuglio è una scelta più comoda, preferibilmente adottata dalla maggior parte della comunità magica; dà l’idea di qualcosa che può essere facilmente controllato, un disordine momentaneo, nulla di realmente preoccupante. Spero che il mondo magico ed il ministro abbiano ragione e che una volta tanto ottimismo e realismo non stiano agli opposti, lo spero davvero. Ma guerra continua ad essere la prima parola che mi viene in mente, quando leggo degli attacchi ai Nati Babbani sempre più frequenti e, soprattutto, sempre più feroci. Girano delle voci, sempre prontamente smentite da ogni fonte ufficiale, voci secondo cui gli uomini con le maschere, i Mangiamorte, come si fanno chiamare, non siano più solo un gruppetto di fanatici, ma si stiano espandendo a macchia d’olio, sotto la guida di un mago dai poteri sconosciuti. La Gazzetta del Profeta non fa che usare l’espressione teorie complottistiche per riferirsi a queste voci, tacciandole per pure invenzioni di chi vuole screditare il potere del Ministero: quel simbolo, il teschio con la serpe in bocca, non ha alcun legame con gli incidenti ai Nati Babbani, è questo che continuano a dire. Incidenti, è così che li chiamano sempre.
Il suo nome, Voldemort, non lo pronuncia nessuno.
La verità è che qui ad Hogwarts è facile lasciarsi cullare dalle parole infiocchettate della gazzetta, con il chiacchiericcio della colazione in Sala Grande nelle orecchie e le lezioni successive a cui pensare. È facile non pensare a quello che succede all’esterno di queste mura, perché Hogwarts è un universo a parte e gli unici contatti davvero reali col resto del mondo sono le lettere dei familiari che i gufi ci lasciano cadere di fronte. A volte ci si dimentica quasi dell’esistenza di qualcos’altro, oltre a questo castello, talmente è facile immergersi nella routine incantata della scuola, ma solo un idiota non si accorgerebbe che là fuori sta succedendo qualcosa.
E il fatto che Silente voglia farci combattere, anche se solo tra di noi, anche se solo per gioco, mi fa sospettare che qualunque cosa stia succedendo, sia solo all’inizio.


*


- Non posso credere che tu non voglia partecipare, Moony, - annuncio per la terza o quarta volta, giusto per ribadire il concetto. Remus, steso sul suo letto a sfogliare il manuale di Storia della Magia, mi lancia un’occhiata esasperata, come se non dovessi essere io quello sconvolto qui, che ha un amico che per rilassarsi sfoglia un tomo scolastico da quasi duemila pagine. - Ti perderai tutto il divertimento.
- Non credo che mi divertirei a farmi battere da chiunque, James, - replica Remus con un sospiro, prima di allontanare da sé con una spinta Sirius, che gli è finito addosso nel tentativo di acchiappare il mio boccino. Ci sta provando da quando siamo tornati in stanza e ancora non è nemmeno riuscito a sfiorarlo: è quasi doloroso da guardare. – Lo sai che c’è stata la luna piena da pochi giorni, sono ancora un po’ ammaccato.
- Questo perché non ci hai permesso di farti compagnia, - commento imbronciato, scoccandogli un’occhiataccia. Dall’anno scorso, quando siamo finalmente riusciti a diventare Animagi, le trasformazioni di Remus vanno molto meglio: gioca e lotta con noi, usciamo nel parco e nella foresta, a volte ci spingiamo sino ai confini di Hogsmeade e la mattina dopo si risveglia con solo qualche graffio. Ma durante l’estate è da solo, incatenato nel capanno dei suoi e si ferisce come ai vecchi tempi: è frustrante, perché, se non Peter, che è sempre badato a vista dalla signora Minus, almeno io e Sirius potremmo sgattaiolare via da casa mia come se nulla fosse, prendere il Nottetempo e rendere quell’inferno una nottata come le altre.
- Infatti, Moony, ti sei quasi strappato un braccio a morsi senza di noi – mi dà manforte Sirius, anche se poi inciampa nelle scarpe di Peter e rotola a terra, cosa che in qualche modo rende il suo intervento meno valido.
- Ne abbiamo già parlato, ragazzi, - sospira Remus, puntando ostinatamente lo sguardo sul libro più noioso mai esistito. - Mio padre aspetta fuori dal capanno tutta la notte e se sapesse che vi ho invitato da me durante una notte di luna piena, penserebbe che abbiamo litigato e che ho deciso di sbranarvi.
- E comunque, - aggiunge alzando finalmente gli occhi dal libro, prima che io o Sirius riusciamo ad aprire bocca. – Niente torneo, più tempo per studiare.
- Più tempo per studiare! – gli fa eco Sirius teatralmente. – È proprio quello che serve a Moony, più tempo per studiare, no, Prongs?
- Sì, infatti, - annuisco deciso, chinandomi sulla custodia della mia scopa. – Non lo vedo mai studiare: per fortuna che ora avrà più tempo. Sia lodato Godric!
- Che fai?
Remus corruga la fronte, fissando la scopa tra le mie mani.
Nello stesso momento Sirius si schianta contro la mia spalla, nel tentativo di prendere il boccino.
- Devo fare una cosa,– replico con un’alzata di spalle, montando sulla scopa e avvicinandomi alla finestra spalancata. – Non aspettatemi alzati e dite a Peter di non provare a sgocciolare sul mio letto, quando esce dalla doccia.
Prima di spiccare il volo, mi volto verso Sirius con un ghigno, aprendo le dita e lasciando libero il boccino che ho afferrato qualche secondo fa.
Giusto per chiarire chi è il Cercatore in questa stanza.

*

 - Allora?!
Mi sto infilando i pantaloni del pigiama, quando Allison fa irruzione in camera puntandomi addosso due occhietti carichi d’aspettativa.
E ciao anche a te.
- Allora...cosa?
- Santo Godric, Lizzie, - Allison alza gli occhi al cielo, spazientita. - Allora cosa hai fatto? 
Vorrei darle la risposta che si aspetta da me o che desidera, in modo che smetta di guardarmi in quel modo, ma la verità è che non ho la più pallida idea di cosa passi per la testa della mia migliore amica al momento.
- Ho fatto la doccia – rispondo lentamente, rassegnata al fatto che questa non potrà mai essere la risposta giusta.
Gli occhi marroni di Allison si spalancano immediatamente, come se le avessi detto che ho fatto sesso con un ippogrifo.
- Hai fatto...hai fatto la doccia? – ripete sconvolta, come se non condividessimo il dormitorio da sei anni e non l’avessi già fatta almeno un centinaio di volte. – Con lui?!
C’è una nota elettrizzata ora, nella voce di Allison. E ci sono anche le sue mani, sulle mie spalle, che mi scuotono forte e poi c’è quel detto, com’è che era, ognuno ha gli amici che si merita, giusto? Riflettici, Lizzie, perché questo è ciò che ti meriti.
- Con chi, - inizio cercando di mantenere la calma e soprattutto la posizione, senza farmi sballottare troppo da Allison. – Con chi dovrei aver fatto la doccia?
- Con James Potter! – sbotta Allison con tono ovvio, come se stesse illustrando una verità universale. - E chi se no?
Già. E chi se no?
- Allison, - inizio decisa, posando a mia volta le mani sulle spalle della mia amica. – Cosa è successo, tra ieri ed oggi, che ti ha indotto a pensare che io, io, e James Potter, James Potter, possiamo aver fatto la doccia insieme?
Non che la cosa mi dispiacerebbe, certo.
Una doccia, due, tre, quante ne vuole.
Anche un bagno magari.
- Beh, lo hai accompagnato in infermeria e poi siete arrivati insieme a lezione e poi sai, oggi sono stata tutto il giorno con Daniel, - spiega Allison, anche se le sue parole non spiegano in realtà molto. – E non mi hai più aggiornato su eventuali sviluppi.
- Sviluppi.
- Sviluppi, sì! Ti ha salutato, vi siete rivisti, è successo qualcos’altro? La mia migliore amica parla finalmente con la sua cotta storica ed io mi devo tenere la curiosità per tutto il giorno perché il mio fidanzato ha organizzato un picnic in riva al lago!
- Oh certo, immagino che mentre eri con Daniel non hai fatto altro che pensare a me e a James Potter, – la interrompo con una risata, spingendola di lato nel tentativo di recuperare la maglia del mio pigiama.
- Beh, magari non proprio tutto il tempo, - concede con un sorrisetto. – Ma è la prima cosa che ho pensato appena ti ho visto. Ed ovviamente se tu mi rispondi doccia, è lecito pensare che...Potter.
- Cosa?
- Potter.
- Ho capito, ma Potter cosa?
- No, dico, c’è Potter. È Potter? C’è Potter fuori dalla finestra, Lizzie. Tu mi hai detto che non è successo niente, ma allora perché c’è Potter fuori dalla finestra?
- Ma che assurdità, non c’è nessuno... - replico riemergendo a fatica dal buco della maglia del pigiama che mi sto infilando e riprendendo a vedere il mondo.  Il mondo, e la finestra, e James Potter fuori dalla finestra. - Oh Godric.
- Allora è successo qualcosa e tu che non me lo volevi dire...
- Allison.
- Sì, dimmi, dimmi tutto.
- Guardami. Ho il pigiama con i pinguini. E lui lo ha visto.
- Oh.
- Lo sta vedendo.
- Temo di sì.
- Perché diavolo ho un pigiama con i pinguini, Allison?
- È il tuo preferito.
- Avresti dovuto bruciarmelo.
- Avrei dovuto, sì.
- Lo sta vedendo. La mia vita è finita.
- Cosa faccio, me ne vado? Sì, sì, è senz’altro la cosa più saggia: impedirò ad Emmeline di salire in stanza, a qualunque costo, puoi contare su di me. Vi lascio soli, ora, sì.
- Non saremo mai più soli: il fantasma di questi pinguini aleggerà per sempre tra noi due e sul mio pigiama. Dannazione.

*

C’è qualcosa di sbagliato in tutta questa situazione: innanzitutto il vento gelido che mi sta rapidamente facendo perdere la sensibilità alle mani, il che non è una buona cosa quando si è sospesi ad una sessantina di metri dal suolo. Non è normale che faccia così freddo a Settembre, proprio no. E non è normale che Lizzie non mi abbia ancora aperto la finestra, considerando che vedere me fuori dalla propria stanza è il sogno segreto di qualunque ragazza qui ad Hogwarts. Passano diversi altri secondi, in cui lei se ne sta a fissarmi ad occhi spalancati, ma quando mi avvicino ulteriormente al vetro, sembra risvegliarsi improvvisamente e dopotutto pare che non morirò ibernato quassù. Il passaggio dal freddo pungente dell’esterno al tepore accogliente della camera è a dir poco piacevole ed io socchiudo gli occhi, appagato.
- James, ciao! – mi saluta Lizzie con una voce un po’ troppo squillante, tentando di apparire disinvolta.
- Ehy, Lizzie, disturbo? – commento con un sorriso tranquillo, mentre lei non riesce apparentemente a stare ferma: prima incrocia le braccia al petto, poi si sposta una ciocca di capelli dietro le orecchie, poi si china a rassettare le coperte di quello che suppongo essere il suo letto.
- No, niente affatto, figurati. Stavo solo, non stavo facendo nulla, non disturbi. Figurati.

*

Mi sto ripetendo.
E a giudicare dal mio riflesso alla finestra, la mia faccia è tendente ad un imbarazzante bordeaux acceso, anche se quella può essere colpa delle tendine colorate di Emmeline.
Credo che James si sia accorto del mio lieve stato di nervosismo. Credo che tutta Hogwarts se ne sia accorta.
Ma non è come se dipendesse da me, no?
Il ragazzo per cui ho una cotta da quando ho memoria piomba all’improvviso in camera mia, mentre ho i capelli raccolti in una coda obbrobriosa ed indosso un pigiama con sopra dei pennuti che non sanno nemmeno volare – e allora per cosa le usano le ali, si può sapere? –e non ci si può certo aspettare da me che io mi ricordi anche come fare conversazione.
Conversazione, Lizzie. È la parola chiave.
Non lasciare che nella stanza cali il silenzio o si pentirà di essere venuto, per qualunque motivo sia poi venuto.
- Allora, - inizio sfoderando il mio miglior sorriso disinvolto, come se avessi la situazione ed il mio corpo perfettamente sotto controllo. – Cosa ti porta qui?
- Ti avevo promesso della cioccolata, - replica lui, smontando abilmente dalla scopa. Non che ci voglia poi molta abilità, ma avrebbe potuto inciampare e non lo ha fatto, perché è così perfetto e io devo assolutamente calmarmi e concentrarmi su quello che sta dicendo. Cioccolata.Mmm, cioccolata. – E James Potter mantiene sempre le sue promesse, per cui, se vuoi seguirmi...
Anche in capo al mondo, penso mentre le mie gambe si muovono da sole e lui mi precede verso la porta, dandomi le spalle. Spalle larghe e piacevoli alla vista, come i miei occhi non mancano di notare.
Poi succede qualcosa e la schiena ampia su cui stavo fantasticando è sempre più vicina, fino a quando la sto effettivamente toccando, si potrebbe dire che mi ci sto aggrappando e poi è tutto molto confuso e indistinto. Doloroso, soprattutto.
E sia ben chiaro, con anche in capo al mondo, non intendevo anche giù dalle scale.
 Non è così che dovrebbero cadere un ragazzo ed una ragazza, ne sono sicura. Ho letto abbastanza libri per sapere che l’atterraggio dovrebbe essere più delicato e la situazione finale dovrebbe essere più o meno questa: lei, stesa sul petto di lui, occhi negli occhi, in un momento di imbarazzato romanticismo che...
- Msbstmpscmbccndo.
Ma ovviamente no, io cado con la faccia spiaccicata a terra e lui sopra di me, con grande sconforto delle mie costole. Msbstmpscmbccndo è il risultato che si ottiene provando a dire mi stai schiacciando muovendo le labbra contro il secolare pavimento di pietra della Sala Comune di Grifondoro. Non che nella Sala Comune di Corvonero sarebbe diverso, suppongo: non ho intenzione di provare comunque.
- Stai bene? – Finalmente James si rende conto della posizione in cui ci troviamo e rotola velocemente al mio fianco, permettendomi di staccare la faccia da terra. Ora capisco perché gli elfi domestici non vengono pagati: c’è più polvere sulla mia faccia di quanta ce ne sia nei sotterranei. – Cos’è successo?
Oh, niente, sono solo inciampata perché ero troppo occupata a mangiarti con gli occhi per prestare attenzione ai gradini e ti ho trascinato con me nella caduta. Tutto nella norma.
- Sto bene, sì, - mento tranquillamente, ignorando gli insulti non verbali che mi stanno lanciando le mie costole in questo momento. – Sono solo inciampata nel...nel gradino.
Non suona proprio come una cosa intelligente da fare, inciampare in un gradino, e a quanto pare il resto della Sala Comune la pensa allo stesso modo: persino dal gruppetto di ragazzini del primo là nell’angolo arrivano diverse risatine e quando anche i primini hanno il coraggio di deriderti, allora la situazione è grave.
Nella confusione, non riesco ad individuare Allison, ma posso quasi a sentire i suoi occhi puntati su di me.
- Ok, andiamo, - decido, afferrando decisa la mano che mi tende James, rialzandomi e puntando dritta verso il buco del ritratto. È solo quando siamo fuori dalla Sala Comune, lontani dalle risate, che realizzo di non avere la più pallida idea di dove siamo diretti in effetti.
- Se ti mettessi questa, credo che la gente riderebbe un po’ meno.
James mi sta porgendo con un mezzo sorriso la felpa che fino ad un attimo prima stava indossando lui e questo comporta fondamentalmente due cose: c’è solo una maglietta a maniche corte tra me e lui ora e i miei occhi fanno davvero fatica a non soffermarsi troppo sui muscoli ben definiti delle braccia. La seconda cosa è che c’è un motivo per cui mi sta offrendo la sua felpa e quel motivo è che io sto ancora indossando il mio ridicolo pigiama con i pinguini.
- Bel pigiama comunque, – commenta con un sorrisetto, mentre io mi affretto a nascondere ogni volatile sotto la sua felpa scarlatta, tirandomi la zip fino al collo. Non è stata una buona idea, perché anche se ora i pinguini sono in coperta, il mio cervello ha molti più problemi di prima a connettere, a causa del profumo indefinibile, ma forte di James che mi ha avvolto insieme alla sua maglia, riempiendomi le narici.
- Non indosso pigiami con animali disegnati sopra di solito, giusto perché tu lo sappia, - lo informo, pensando a quanti animali ci sono invece sui miei capi di vestiario, a partire dagli orsetti che costellano la mia canottiera in questo momento. – L’ho messo solo perché è un regalo.
- Sì? – James alza un sopracciglio, guardandomi di sottecchi. – Da parte del tuo ragazzo? 
Questo è James Potter che ci prova con me, dopo sei anni in cui io ci provo con lui? È questo che sta succedendo?
D’accordo, forse le mie tecniche di approccio non sono l’ideale, e con provarci intendo semplicemente salutarlo quando lo incrocio per i corridoi. Ma quella era decisamente la domanda di un ragazzo che sta sondando il terreno ed è necessario fargli sapere al più presto che c’è il deserto qui, che non ci sono rivali in vista, che è appena atterrato sulla luna e che la luna non aspetta che di essere colonizzata...
- Lizzie?
- No, no, ragazzo, quale ragazzo, - replico all’istante, rendendomi conto di essermi persa troppo a lungo nei miei pensieri. – Nessun ragazzo. Non ho, no. Nessuno.
Oh Godric, questa risposta è stata così patetica.
Cambia argomento, Lizzie, cambia argomento. 
Sei ancora in tempo per non sembrare una disperata totale.
- Dove stiamo andando, comunque? – chiedo fingendo di non aver appena fatto una figura pessima, mentre scendiamo l’ennesima rampa di scale.
- Vedrai, - si limita a replicare James con l’accenno di un ghigno. – In un posto dove troverai più cioccolata di quanta tu possa mangiarne.
Oh, non sfidarmi, James Potter.
- Ma manca molto? – commento perplessa, lanciando un’occhiata all’orologio. – Il coprifuoco non scatta tra, più o meno, dieci minuti?
- Credo che prendiate tutti troppo sul serio questa faccenda del regolamento, sai? – considera James con un’alzata di spalle, mentre imbocchiamo un lungo corridoio al piano terra. – Io lo vedo più come una traccia che altro.
- Una traccia? – gli faccio eco perplessa, mentre il nostro viaggio arriva apparentemente al termine, in un vicolo cieco, di fronte al ritratto di una natura morta.  
- Sì, una lista di consigli che non dobbiamo per forza accettare, - James si sporge verso il ritratto, iniziando a solleticare con le dite una grossa pera giallognola. – E il mio consiglio ora, Lizzie, - Improvvisamente il ritratto, che poi tanto morto non era, scivola di lato, rivelando l’entrata ad uno stanzone immenso, affollato di cibo, lunghe tavolate, cibo, elfi domestici e ancora cibo, cibo, cibo. – È di dimenticarti completamente dell’esistenza del coprifuoco.
Ma se tu mi sorridi così io mi dimentico anche come si fa a respirare, James Potter. 
 


**********
 

James!
Il mio primo istinto è quello di odiare il mondo.
Perché quando una persona sta dormendo, come io stavo facendo fino a pochi secondi fa, l’ultima cosa che vuole è essere svegliata da qualcuno che grida il tuo nome come se da questo dipendesse la fine del mondo.
E il mondo farebbe bene a non dipendere da me prima che io mi sia svegliato del tutto e abbia fatto colazione.
Passano diversi secondi e questo richiamo insistente non smette. C’è qualcuno che continua a dire James come se avesse proprio un buon motivo per essere così irritante già di prima mattina. E l’unico motivo per cui mi decido, infine, ad aprire gli occhi, è dimostrare a questo qualcuno che no, non esistono motivi buoni abbastanza per svegliarmi così e che farebbe bene a starsene al suo posto. Il problema è che alla mia destra, sul mio comodino, non ci sono i miei occhiali: la mia mano si stringe nel vuoto ed io faccio davvero fatica a rimettere qualcuno al suo posto, quando non riesco a vedere né il qualcuno né il posto. Non sembro essere nel mio letto. Sono seduto, il che è innaturale, perché Hogwarts è piena di baldacchini comodissimi e nessuno dovrebbe mai svegliarsi da seduto. C’è qualcosa sulla mia spalla sinistra, una strana macchia bionda. È a questo punto che realizzo che dovrebbe essere Lizzie e che forse abbiamo fatto il bis di cioccolata calda e fette di torta un po’ troppo a lungo, su un divanetto un po’ troppo comodo e un po’ troppo vicino al fuoco e alla fine ci siamo semplicemente addormentati qui. E di nuovo, tuttavia, non mi viene in mente un buon motivo per cui la figura sfocata proprio davanti alla mia faccia, che ha la voce di Peter, dovrebbe continuare a starnazzare il mio nome con tanta agitazione. Quando poi le mani di Peter mi premono forte sul naso gli occhiali, prima perduti chissà dove, devo raccogliere tutta la mia pazienza per non iniziare la giornata prendendo a testate uno dei miei migliori amici.
- Peter, dannazione, cosa...
- Il torneo, James!
Peter non ha nemmeno finito di parlare, che io sto già correndo.

*

Non so cosa sia successo.
Quello che so è che stavo dormendo, sognando l’odore di James, proprio come se fossi accanto a lui ed era tutto così bello e perfetto; e poi è successo qualcosa e il mio mento ha sbattuto contro il cuscino di un divanetto, il divanetto su cui, a quanto pare, ho dormito. Impiego qualche secondo di troppo a realizzare dove mi trovo e quando alzo lo sguardo, frastornata, mi trovo a incrociare quello di Peter Minus, l’anello di congiunzione tra i Malandrini e il resto del mondo, come lo chiamano alcune ragazze.
- Ciao, – dice, afferrando uno zuccotto di zucca dal cesto più vicino a lui ed iniziando a sgranocchiarlo. – Tu sei Lizzie?
-Sì! Come mai sai come mi chiamo? - Non ho ancora ben chiara la situazione, ma come lui pronuncia il mio nome, sento il mio viso illuminarsi. – James ti ha parlato di me?
- No, - replica molto tranquillamente Peter Minus, continuando a masticare lo zuccotto ed ora posso vedere la polpa arancione sui suoi denti mentre parla. E mentre sbrana la polpa, riduce a fettine anche le mie illusioni. – Ma la McGranitt ti sta chiamando da mezz’ora: il tuo duello doveva essere uno dei primi.
La McGranitt gli ha parlato di me, non James.
Fantastico.
Aspetta.
- Credo che dovresti correre.
Credo che Peter Minus abbia ragione.

 *


- Ancora nessuna traccia della signorina Carson? Nessuno l’ha vista? E Potter?
La McGranitt non ha l’aria di una persona felice ed appagata dal suo lavoro. La capisco, anche a me irritano profondamente le persone ritardatarie, soprattutto contando che il torneo era ad iscrizione libera e nessuno è stato costretto a parteciparvi. Teoricamente la capisco, praticamente convivo da sei anni con gli studenti più ritardatari di tutta Hogwarts e ho imparato a mettere a tacere questo lato di me, per non dover mettere a tacere i miei amici per sempre, con un cuscino, nel sonno. Sirius, d’altro canto, ha invece l’aria di una persona soddisfatta e appagata: data l’assenza di James, che questa notte non è nemmeno tornato in camera a dormire, si è battuto lui con quello che doveva essere il suo sfidante e ha vinto.. Frank ora è seduto su uno dei divanetti della sala, abbastanza lontano dal palchetto momentaneamente istituito per i duelli, e si preme del ghiaccio sul naso sanguinante. Non se l’è presa e Sirius si è persino scusato – beh, le sue esatte parole sono state mi dispiace di essere così potente, amico, ma è stato molto gentile da parte sua. Se James riuscirà a tornare in tempo, dovrà sfidarsi con lui e il vincitore avrà un posto assicurato nel duello di questa sera, che decreterà il rappresentante dei Grifondoro al torneo vero e proprio. Tutto sta in quel se. Peter è corso da lui pochi minuti fa, dopo essere finalmente riuscito a localizzarlo sulla mappa e Peter è più lento del normale a correre almeno quanto James è più veloce della norma, quindi potrebbe farcela. Non che io mi dispererei così  tanto, se James venisse squalificato e io non dovessi così assistere a un duello tra i miei migliori amici: non per altro, ma immagino già le battutine che il vincitore farà al perdente per, diciamo, almeno due mesi.
- È inaccettabile, non attenderò oltre, - decreta infine la McGranitt, le labbra strette l’una contro l’altra come se avesse appena addentato un limone. – Se il signor Potter e la signorina Carson avessero davvero voluto partecipare...
- Aspetti! - Tutta la Sala Comune, partecipanti e semplici spettatori, si volta nella mia direzione, per la precisione al mio fianco, dove se ne sta Sirius, con l’aria di chi sta mettendo in atto un piano, senza effettivamente averne uno. Non uno più definito di prendere tempo, suppongo.
- Cosa dovremmo aspettare ancora, signor Black? – chiede la McGranitt con una sottile vena d’esasperazione nella voce. Sirius non la coglie o la ignora, ma io riesco a percepire anche una velata minaccia nel tono della McGranitt, un implicito pensa bene alle prossime parole che dirai.
Il piano di Sirius è l’esatto opposto, lo vedo dal modo teatrale in cui solleva la mano e punta ispirato lo sguardo in un luogo imprecisato appena al di sopra della testa della McGranitt.
La perdita di punti è nell’aria, me lo sento.
- Io volevo...- Sirius si schiarisce la voce, pronto a fare quello che gli riesce meglio: parlare anche se non ha nulla da dire, giusto per riempire il vuoto con la sua voce e distrarre la professoressa dall’estremo ritardo di James. – Volevo cogliere l’occasione per ringraziarla, egregia professoressa, per aver organizzato questo splendido evento.
Le labbra della McGranitt premono l’una contro l’altra con una forza tale da farle sbiancare ora, mentre la Sala inizia ad essere percorsa da risatine soffocate.
- Ringraziare lei e i nostri immancabili Prefetti naturalmente, - continua convinto Sirius, così a suo agio con tutti gli occhi puntati addosso. – Remus Lupin e Lily Evans, per Grifondoro, naturalmente. Sesto anno, ottimi e diligenti studenti...
- Black...
Se Sirius si preoccupasse di non finire in punizione almeno la metà di quanto si preoccupa di non far squalificare James dal torneo, noterebbe che ora agli occhi della McGranitt non è più degno di alcun signor prima del nome.
- Mi lasci finire professoressa, sarebbe oltremodo discriminatorio non citare anche i Prefetti delle altre Case, - Sirius ha l’aria di chi ha tutto sotto controllo e la McGranitt ha l’aria di chi sta per togliere a Grifondoro più punti di quanti ne abbia mai avuti. – Quindi grazie a Daniel Sound e Susan Ross di Corvonero...
Vorrei far notare a Sirius che Daniel Sound e Susan Ross hanno lasciato Hogwarts l’anno scorso, dopo essere stati Caposcuola, e non erano nemmeno di Corvonero, ma la McGranitt si è appena aggiustata con decisione gli occhiali sul naso, il che significa che sta per fermare definitivamente questa pagliacciata.
Mi avvicino automaticamente di qualche centimetro a Sirius, perché sta per essere travolto da un tornado e questo è quello che gli amici fanno in queste situazioni, avvicinarsi e subire le intemperie insieme a te, ma lo sguardo della McGranitt, come quello di tutti i presenti, viene attirato dal ritratto della Signora Grassa che si scosta all’improvviso, lasciando entrare di corsa uno scarmigliato James Potter. Proprio quando il ritratto fa per chiudersi alle sue spalle, spunta anche l’altra partecipante scomparsa, che secondo la mappa era con James nelle cucine, tale Lizzie Carson. Il ritratto si chiude proprio su di lei, imprigionandola a metà e se non fosse per il pronto colpo di bacchetta della McGranitt, credo che a questo punto avremmo tutti scoperto quanto può essere veramente tagliente il bordo di un quadro che deve proteggere un passaggio segreto.
- Cinque punti in meno a testa per il ritardo e ringraziate che vi consento comunque di gareggiare, - esclama la McGranitt sbrigativa, riservando ad entrambi una profonda occhiataccia. – Carson, sul palco: la sua rivale ha atteso anche troppo. E lei Potter aspetti il suo turno seduto ed in silenzio, se ne è in grado.
- Che si dice finora?
Mentre la McGranitt lancia un ultimo incantesimo isolante al palco, per assicurarsi che le fatture non ne oltrepassino i bordi, James ci raggiunge eccitato, passando un braccio sulle spalle di Sirius ed uno sulle mie. 
- Nessuno del settimo, - sbuffa Sirius, lievemente deluso. – A quanto pare sono tutti già troppo impegnati a farsela sotto per via dei M.A.G.O. per concedersi un po’ di divertimento.
- O forse vogliono evitare l’umiliazione di essere battuti da uno del sesto – commenta James con un ghigno, spostando lo sguardo sul palco nell’esatto momento in cui la McGranitt dà il via.
Lizzie Carson e Lily Evans si fronteggiano al centro della Sala, sotto gli occhi di tutti.

 *

Grazie al cielo Potter è arrivato e Black ha finalmente chiuso la bocca: la cosa stava diventando piuttosto penosa e non è che io non abbia altro da fare che starmene qui ad ascoltare lui che blatera nel tentativo di non far squalificare il suo amico.
Non che abbia dei piani particolarmente precisi su cosa fare oggi, ma anche solo non essere nella stessa stanza di Black è un impegno che non mi piace rimandare.  
I miei occhi incrociano quelli di Lizzie Carson, che si è finalmente degnata di presentarsi al duello, con quasi un’ora di ritardo. Mi costringo a tirare le labbra in un sorriso forzato, perché non sono assolutamente una persona che porta rancore e non ha importanza se la sto aspettando al centro del palco come un baccalà da un tempo che mi pare infinito: passerò sopra la cosa in maniera molto matura e onorerò tutti quei convenevoli che l’educazione richiede.
E poi le farò il culo a stelle e strisce non appena la McGranitt ci darà il via, così impara a non essere puntuale.


*

C’è qualcosa, sul viso di Evans, che dovrebbe essere una specie di sorriso, io credo. Se avessimo più confidenza, la informerei che non le sta riuscendo tanto bene e che forse dovrebbe esercitarsi un po’ di più davanti allo specchio: sembra più una smorfia, una parecchio aggressiva anche. Credo che mi ucciderà. Quando la McGranitt ci ordina di inchinarci, lancio verso la mia professoressa un ultimo sguardo disperato, giusto per ricordarmi che se mi uscirà troppo sangue, lei interverrà. Il mio sguardo indugia per un secondo anche sul viso di James, in prima fila insieme ai suoi amici, ma lui sta guardando Evans. Cosa che dovrei fare anch’io, si suppone. Quando la McGranitt ci dà il via, quasi contemporaneamente dalla bacchetta di Evans parte un Pietrificus Totalusche riesco a parare senza problemi: ogni tanto i miei riflessi si ricordano di farmi visita a quanto pare.   
- Expelliarmus! – grido immediatamente dopo, scagliandole già contro il secondo incantesimo, non verbale questa volta, mentre lei si sta ancora parando dal primo.
Dovrei avere un vantaggio a questo punto, perché la mia fattura ha fatto finire Evans a terra e l’ha fatta strisciare all’indietro di diversi metri, coi suoi capelli che spazzano il palco. Il problema è che Evans non sembra minimamente turbata dalla cosa e non ha perso nemmeno un secondo a prendere atto del fatto di non essere più sulle sue gambe: lo schiantesimo che mi scaglia contro mentre è ancora a terra mi coglie alla sprovvista ed io faccio appena in tempo a pronunciare il Protego.
Prima che io riesca ad attaccare di nuovo, Evans mi punta contro la bacchetta, rialzandosi rapida.
- Legarvis!
Sento una specie di corda invisibile annodarmisi attorno alla caviglia e tirare di scatto verso Evans, facendomi cadere di schiena. L’impatto mi fa mancare il fiato per un secondo di troppo e devo rotolare di lato all’ultimo istante per evitare il nuovo schiantesimo di Evans, che riesce comunque a colpirmi di striscio. Ignorando il dolore alla schiena e quello al braccio, che pulsa fastidiosamente come se fosse appena stato preso a pugni, mi costringo a tirarmi su a sedere di scatto, appena in tempo per parare l’ennesima fattura partita dalla bacchetta di Evans.
- Exturno!
Uno scudo perlaceo compare improvvisamente di fronte ad Evans e mi rispedisce contro il mio incantesimo di disarmo; riesco ad evitare il raggio di luce azzurra per un soffio, gettandomi alla mia destra e rischiando quasi di cadere dal palco.  
-Semisis!
Non sono sicura di essere riuscita ad evocare il Protego in tempo, ma non pare che l’incantesimo di Evans abbia sortito alcun effetto. D’altro canto non ho visto nemmeno le scintille scontrarsi contro la barriera invisibile che ho appena evocato, cosa che sarebbe dovuta succedere, se fossi riuscita a respingere il suo attacco. Questo è preoccupante e per un attimo mi pento di non prestare mai particolare attenzione durante le lezioni teoriche di Incantesimi: se l’avessi fatto magari ora saprei qual è lo scopo di questo Semisis mai sentito prima. Mentre frugo nella mia memoria alla disperata ricerca di qualunque informazione utile, Evans non perde tempo e mi attacca ancora con un Impedimenta. Lo schivo prontamente, sollevata, perché se mi sta attaccando di nuovo, allora probabilmente il primo incantesimo non ha avuto effetto. È proprio mentre sto per attaccare a mia volta, confortata, che per la seconda volta sento qualcosa sfiorarmi la caviglia: il problema è che questa volta non è una corda, è qualcosa di umido e vischioso, che si attorciglia lentamente, ma con forza attorno alla mia gamba, salendo sempre più su. Quando abbasso lo sguardo, per poco non lancio un grido, trovandomi la gamba imprigionata nella stretta sempre più calda di un grosso tentacolo verde, ricoperto da una sostanza trasparente interrotta da degli orrendi bozzi rossi. Spunta da un buco nel palco e non sono sicura che un Prefetto dovrebbe vandalizzare così le proprietà della scuola. E sta iniziando a bruciare, dannazione.

*


Il Tentaculus Focus ha ormai avvolto la gamba di Lizzie fino al ginocchio e lei non fa che lanciargli contro freneticamente un incantesimo dopo l’altro, inutilmente. Nella Sala si diffonde un mormorio perplesso e mi chiedo se c’è qualcun altro in questa stanza, oltre a Frank ovviamente, dal momento che è stato proprio lui a parlarmi di questo incantesimo, a sapere che l’unico modo per far ritirare il Tentaculus Focus è spruzzarlo con un po’ d’acqua fredda. Provare a tagliarlo è come tentare di sradicare il platano picchiatore a mani nude. 
 Il mio sguardo, dopo una lieve perlustrazione della Sala, torna su Lizzie, che non ha per niente l’aria di volersi ricordare della mia esistenza. Solo ora noto che mi sono appena battuta con un’avversaria che indossa pantaloni del pigiama ricoperti di pinguini e questo è totalmente inappropriato. Indossa anche una felpa rossa in cui potrebbe starci tranquillamente altre due volte e la bacchetta spunta direttamente dalle maniche, tanto sono lunghe; non mi serve nemmeno notare il boccino dorato stampato sulla schiena, sopra i due manici di scopa incrociati, per avere la conferma che quella non è la sua maglia: ogni Capitano di Quidditch ne ha una qui ad Hogwarts: si differenziano solo per i colori. E la felpa rosso-oro è ovviamente quella di James Potter.
Ecco spiegato il motivo di tanto ritardo, quindi.
Suppongo che si senta fortunata ad aver passato la notte con Potter a fare chissà cosa, quando fino a una settimana fa a malapena si rivolgevano la parola. Come se lui non tenesse più alla sua civetta che a lei, ma per favore.   
- Expelliarmus.
Non appena la bacchetta di Lizzie vola in mezzo alla folla, la McGranitt la libera rapidamente dalla presa del Tentaculus e mi dichiara vincitrice. Un sorriso soddisfatto mi si dipinge in viso. A questo punto mi dispiace solo di non essere riuscita a bruciacchiare un po’ la felpa di Potter. Ma d’altro canto, ammesso che ora riesca a battere Black, questa sera avrò l’opportunità di bruciacchiare direttamente lui. E questa volta con il pieno appoggio dei professori e delle regole: non vedo l’ora.

*


- Si faccia accompagnare in infermeria, signorina Carson, - La McGranitt mi aiuta a scendere dal palco, mentre io zoppico a fatica. – Madama Chips farà tornare la sua gamba come nuova in pochi minuti.  
Il tessuto del mio pigiama si è letteralmente sciolto e lì dove prima c’erano tanti pinguini ora si vede solo la pelle scottata del mio polpaccio. Non è decisamente un peggioramento, ma non è particolarmente piacevole.
- Se ti può consolare, in tutta la Sala Frank era il solo a conoscere l’incantesimo di Evans.
Quello che davvero mi sta consolando e che mi ha appena reso la persona più felice sul pianeta terra è che James Potter si è appena passato un mio braccio sulle spalle, aiutandomi a zoppicare verso Allison. Allison che invece di venirmi incontro preoccupata se ne sta tranquillamente a chiacchierare con Sam Douglas, facendo finta di nulla, anche se con la coda dell’occhio continua a lanciare occhiatine eccitate verso di me. La mia gamba sta prendendo fuoco e l’unico pensiero della mia migliore amica è quello di lasciarmi più secondi possibile da sola con James. Non so bene come dovrei reagire a questo, perché a dire il vero, anche se la gamba sta iniziando a bruciare sempre di più, c’è una parte di me che vorrebbe prolungare questo momento all’infinito.
- Stai dicendo, - commento divertita, reggendomi a lui per gli ultimi secondi, mentre Allison si fa sempre più vicina. - Che anche tu avresti perso quindi?
Quello di James è un misto tra uno sbuffo e una risata.
- Potrei battere Evans anche con la piovra gigante attaccata a una gamba.
- Oh beh, se riesci a passare il turno, questa sera potrai darmi una dimostrazione, - Siamo ora a due centimetri da lei, ma la mia amica finge ancora di non vederci, continuando a parlare presissima di chissà cosa con il Cacciatore di Grifondoro. – Allison.
- Oh, Lizzie, eccoti! – commenta stupita, voltandosi teatralmente verso di me. – Ti serve un passaggio in infermeria?
- Sarebbe gradito, sì – rispondo, lasciando a malincuore le spalle di James per aggrapparmi a quelle di Allison. - Ho ancora la tua felpa.
Faccio per slacciarla, ma James si sta già allontanando, verso il palco.
- Vinco e poi la passo a prendere – replica con un sorriso tranquillo.
Proprio mentre penso se dovrei auguragli buona fortuna o meno, Sam Douglas mi precede a gran voce.
- In bocca al lupo, Capitano!
Per qualche motivo James lo trova divertente e la sua risata mi risuona nelle orecchie, mentre Allison mi accompagna fuori dalla Sala Comune. Un attimo prima che il ritratto della Signora Grassa si chiuda alle nostre spalle riesco comunque a sentire la voce della McGranitt.
- Potter e Black sul palco.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 

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CAPITOLO 6.

 

 

 

 

 

 

 

- Su chi punti?
Il naso di Frank ha finalmente smesso di sanguinare, noto di sfuggita lanciandogli un’occhiata non appena raggiunge me e Peter a bordo palco. I miei occhi si spostano poi nuovamente sul duello di fronte a noi, con un sospiro.
- Non saprei, - commento pensoso, mentre le fatture continuano a susseguirsi rapide, sotto lo sguardo eccitato di tutta la Sala Comune; persino Evans sta indugiando in un angolo della Sala insieme ad Alice, probabilmente per scoprire contro chi si batterà questa sera. – Credo che siano più o meno allo stesso livello. Beh, con gli incantesimi non verbali Sirius è decisamente più bravo, ma James ha i riflessi più pronti ed è veloce.
Come a voler dare conferma delle mie parole, una fattura di James va a segno nell’esatto momento in cui smetto di parlare, colpendo di striscio Sirius e spedendolo a qualche metro di distanza. Prima che possa anche solo rimettersi seduto, James ha già iniziato a tempestarlo di incantesimi e lui è costretto a pararsi e tentare allo stesso tempo di rialzarsi. Proprio quando sembra che stia per avere la peggio, dalla bacchetta di Sirius parte un raggio azzurro che colpisce James in pieno, dandogli il tempo di rialzarsi. Tempo due secondi e la Sala è di nuovo illuminata dalle scintille dei loro incantesimi, la maggior parte dei quali vengono parati o rispediti al mittente.
 - Credo che la cosa andrà per le lunghe, – commenta Frank pacifico, senza staccare gli occhi da James e Sirius. Per un attimo mi ritrovo a riflettere su come sarebbe la mia vita se fosse Frank il quarto membro dei Malandrini, perché se ne sta in piedi, tranquillo, ad assistere al duello in relativo silenzio, perfettamente consapevole che non è da esso che dipendono le sorti del mondo. Cosa che non si può dire invece dell’altro membro dei Malandrini, che se ne sta alla mia sinistra ed ha l’aspetto di un vulcano in eruzione.
- Pete, stai calmo, – lo ammonisco pacato, posandogli una mano sulla spalla. Dopo l’ultimo attacco di Sirius, evitato da James per un soffio, Peter ha emesso un versetto stridulo non catalogabile nella lista di suoni accettabili per un Grifondoro del sesto anno.
- Ma chi vincerà, Moony? Eh? James o Sirius? Eh?
Evidentemente Peter non ha ben chiaro il concetto di calma, tant’è che attorno a noi due si sta lentamente aprendo un varco, causato dalla giustificata voglia degli studenti di non offrire i propri piedi come base di atterraggio per quelli di Peter, che sta letteralmente saltellando in preda all’agitazione.
- Non lo so, Wormtail, - replico sempre più quieto, tentando di compensare con la mia apparente tranquillità quella mancata di Peter. – Ma chiunque sarà, noi saremo felici e lo supporteremo, perché è questo che fanno gli amici. Giusto?
Peter ricambia inquieto il mio sguardo, prima di annuire incerto.
È ovvio che sto mentendo: voglio bene ad entrambi allo stesso modo, certo, non potrei mai scegliere tra di loro, perché sarebbe come scegliere tra mio padre e mia madre, con la differenza che se James e Sirius fossero i miei genitori io sarei probabilmente bruciato vivo nella culla, saltato in aria o dimenticato a morire di fame da qualche parte. Non è questo il punto, fortunatamente. Il punto è che per la quiete della vita pubblica e soprattutto per quella della nostra stanza, deve essere James a vincere. Lo so io, lo sa Peter, lo sa Frank, probabilmente lo sa persino la McGranitt e di certo lo sa Sirius. Il lato competitivo di James è leggermente più spiccato di quanto sia normale e tende a volte ad esprimersi con un pizzico eccessivo di entusiasmo. Chiamiamola pure aggressività. Estrema, violenta e selvaggia. Non è solo che non gli piace perdere, è che perdere non è nemmeno concepito come una possibilità: James è abituato ad essere il migliore in quasi tutto quello che fa, dall’infrazione sistematica del regolamento al giocare a Quidditch, da Trasfigurazione a Difesa Contro Le Arti Oscure. E nessuno in questa stanza, ad eccezione forse di Evans, che in effetti ha l’aria di chi non aspetta altro, vuole davvero assistere alla frantumazione in mille pezzi dell’orgoglio di James.
È mentre cerco di immaginare quanti giorni impiegherebbe James per venire a patti con un eventuale sconfitta, che succedono due cose in contemporanea: la prima va a colpire in maniera piuttosto sgradevole il mio udito, ed è un verso bizzarro, non ben definito, ma perforante che proviene dalla mia sinistra, esattamente dove si trova Peter: suona come un misto tra la sirena di un’ambulanza e il miagolio di un gatto sessualmente confuso. Il secondo avvenimento invece colpisce la mia vista: due fasci di luce, fuoriusciti nel medesimo istante dalle bacchette di entrambi gli sfidanti, si incrociano più o meno a metà strada, avvolgendo tutta la Sala in una luce bianca ed accecandoci per un attimo.
Mi devo strizzare gli occhi per qualche secondo, prima di riuscire a riacquistare il dono della vista e come tutti gli altri punto immediatamente gli occhi sul palco, dove entrambi gli sfidanti si fronteggiano apparentemente illesi.
Solo che uno è a terra e la sua bacchetta è ora a pochi passi da me.


*


Madama Chips mi ha giurato che la sostanza azzurrognola ed umidiccia spalmata sulla mia gamba non contiene la bava di nessun animale. Ho il sospetto che Madama Chips mi abbia mentito, perché lì dentro c’è sicuramente della bava, lo capisco dalla consistenza. E c’è anche qualcos’altro, qualcosa che emette un odore disgustoso. D’altro canto, il sollievo che questa sostanza non meglio identificata produce sulla mia pelle scottata è tale che potrei tenerla anche per tutto il giorno: mi costruirò dei pantaloni fatti di bava e cotone e me ne andrò in giro per il castello come se nulla fosse. Ma prima finirò questa deliziosa stecca di cioccolata: adoro il fatto che Madama Chips la consideri la cura di tutti i mali. Mmm, deliziosa. La cioccolata sì che è una buona amica, sempre fedele e sempre presente, altro che Allison che se n’è tornata in Sala Comune con la scusa di assistere al duello solo per potermi poi riferire il vincitore. Grazie Dio, Merlino o chi per te, per aver creato il mondo e di conseguenza la cioccolata. Grazie. Il mio momento di pura estasi viene interrotto dallo sbattere improvviso della porta dell’infermeria e per poco non mi strozzo con la mia amata cioccolata. Allison non sembra preoccuparsene e si piazza in fondo al mio letto con un’espressione eccitata.
- Indovina chi ha vinto?
- E tu indovina chi è appena stata declassata dal ruolo di mia migliore amica?
- Ti do un indizio: è alto, di bell’aspetto...
- Ti do un indizio: è una che non mi abbandona malata e agonizzante in infermeria per...
- Sì, sì, è la cioccolata lo so: mi ha già surclassato al secondo anno, ricordi? E comunque ti ci stavi strozzando con la tua amica cioccolata quando sono entrata...- Allison sta parlando a macchinetta, in quel modo che è un’esplicita dichiarazione del fatto che se proverai ad interromperla, lei ti ignorerà semplicemente e proseguirà per la sua strada, cosa che mi fa desistere dal farle notare che veramente mi stavo strozzando perché lei è entrata e non quando. – Dicevo: è attraente, anche se questo non è un grande indizio, visto che lo sono entrambi, in effetti. Ha una risaputa passione per gli scherzi...
- Hai intenzione di elencarmi tutti i punti che accomunano James e Sirius o possiamo semplicemente saltare quella parte e arrivare al nome del vincitore?
- Ah, come vuoi, ammazza suspense che non sei altro: ha vinto Potter, contenta?


*


- Pare che alla fine avrai il tuo duello con Potter, Lily.
Alice mi sorride entusiasta, mentre la McGranitt ci incita a non continuare ad intasare tutti insieme la Sala Comune, ora che non c’è più nulla da vedere. Le ragazzine del quarto anno che non staccano gli occhi da Potter, come se il duello fosse ancora in corso, non sembrano dello stesso avviso della professoressa. Posso quasi vedere Potter fare la ruota con un’immaginaria coda di pavone, mentre si china con l’accenno di un sorrisetto compiaciuto su Black, aiutandolo ad alzarsi. La sua espressione trasuda appagamento da tutti i pori, anche se sta evidentemente cercando di trattenersi: non oso immaginare come si vanterebbe apertamente se lo sconfitto non fosse il suo migliore amico. Beh, in realtà mi riesce piuttosto facile immaginarlo, ma questa sera non avrà più motivi per pavoneggiarsi: se pensa di battere me si sbaglia di grosso. Dopotutto Potter non è l’unico ad avere fiducia nelle proprie capacità.

*

- Credi che la nostra amicizia possa sopravvivere alla mia netta superiorità con gli incantesimi o avviso Frank che ti trasferisci da lui?
- Non so se contestare prima l’utilizzo improprio di quel netta, dal momento che ti ho fatto sudare e dovresti davvero vedere in che stato è la tua testa, perché avrai anche vinto la battaglia, ma hai decisamente perso la guerra contro i tuoi capelli, - Sirius assottiglia gli occhi, incrociando le braccia al petto e indirizzandomi una smorfia sarcastica, di quelle che dovrebbero avere, nella sua mente, un effetto intimidatorio o almeno esprimere superiorità e che invece non fanno che deformare la sua faccia con risultati del tutto comici. – Oppure se farti notare che, se mai litigassimo, saresti tu a dover cambiare stanza, non certo io.
- Che assurdità, - replico sbuffando, mentre qualcuno che non conosco assolutamente mi passa accanto dandomi una pacca sulla spalla e mormorandomi delle congratulazioni. Chi diavolo sei, vorrei dirgli, ma limito ad annuire distrattamente, prima di riconcentrarmi su Sirius. – I miei capelli sono fantastici e sono anche il motivo per cui Remus e Peter preferirebbero che restassi io.
- È vero, mi mettono allegria alla mattina, - mi appoggia il mio adorabile amico Remus, comparendo al nostro fianco e restituendo la bacchetta a Sirius. – Sembra che abbiano passato tutta la notte a dibattersi nel tentativo di staccarsi dalla tua testa, come se ti odiassero, e alla mattina sono privi di forze per continuare a combattere e così restano semplicemente lì, ognuno in una posizione diversa, rassegnati. Ma quando tu ci passi la mano in mezzo si risvegliano, si ricordano di quanto ti odiano e cercano di mangiartela, contorcendosi tutti.   
La mia bocca si apre, ma dopo qualche secondo mi vedo costretto a richiuderla, senza sapere bene cosa dire.
- Questo è strano, Moony, – commenta infine Sirius, portandosi una mano al mento. – Passi molto tempo ad analizzare i sentimenti dei capelli di James?
- Sai cosa? – mi intrometto prima che Remus possa rispondere, anche se intromettersi non è il verbo esatto, dato che stanno parlando di me. – Moony ci svelerà i lati più scabrosi del suo rapporto con i miei capelli questa sera, durante la festa. 
- Quale festa?
Negli occhi di Remus aleggia un guizzo ed io posso quasi vedere un’altra parte del Prefetto che è in lui accasciarsi al suolo agonizzante ed infine morire.
- Quella che si terrà in mio onore dopo che avrò battuto Evans, chiaramente, - replico in tono ovvio, mentre anche Peter ci raggiunge. Lo vedo lanciare un’occhiata cauta a Sirius, prima di sorridere raggiante, nel momento in cui nota che non se l’è presa. – Grifondoro avrà un Malandrino come rappresentante al torneo: bisogna festeggiare.
- Non puoi organizzare una festa in onore di te stesso, James, - puntualizza Remus con un sospiro. – Dev’essere qualcun altro a... perché mi guardi così? Siamo noi, vero? Siamo noi il qualcun altro.
Il mio ghigno è una risposta più che sufficiente per Remus.
- Suppongo sia inutile farti notare quel dettaglio insignificante del fatto che, tecnicamente parlando, devi ancora battere Evans.
Sirius annuisce alle parole di Remus, accigliato.
- In effetti, Prongs, sarebbe un tantino imbarazzante se tu perdessi e noi avessimo organizzato una festa in tuo onore.
- Amici nella buona e nella cattiva sorte, no? – commento allegro, mentre Peter annuisce convinto. – E comunque è più probabile che Mocciosus decida di farsi una doccia piuttosto che io perda.
- Jamie! Complimenti, sei stato fantastico!
Per poco non sobbalzo, colto alla sprovvista dalla voce squillante di Sarah Crabb, Grifondoro del quinto anno, apparsa improvvisamente alle mie spalle. Mentre mi volto verso di lei con un sorriso un po’ forzato – perché se mi chiami Jamie non puoi aspettarti che io ti sorrida spontaneamente-, riesco a sentire distintamente Sirius farle il verso a voce non così bassa e devo fare forza su me stesso per non scoppiare a ridere.
Dall’altra parte della Sala, intanto, due occhi verdi sono puntati su di me con aria di sfida e Sarah mi fissa perplessa, mentre ammicco sornione in direzione di Evans.
A noi due, rossa.

*


 - Chi è? - chiedo ad alta voce sporgendomi dal letto, non appena sento un deciso bussare alla porta dell’infermeria.
Evidentemente non è il comportamento adatto da tenere, a giudicare dall’occhiata seccata che mi scocca Madama Chips, sfrecciandomi davanti per andare ad aprire.
- Ha scambiato quest’infermeria per casa sua per caso? – Commenta infastidita, sfrecciandomi di fronte per andare ad aprire. – Potter! Cosa diavolo ha combinato ancora?
La testa di James, che aveva appena fatto capolino dalla porta socchiusa, si ritrae bruscamente non appena Madama Chips spalanca di scatto la porta, un’espressione tutt’altro che felice in viso.
E davvero non capisco come possa una donna non essere felice di vedere James Potter.


*


Ho l’impressione di non stare particolarmente simpatico a Madama Chips.
Sostiene che con la mia esagerata esuberanza turbo la quiete sua e dei pazienti e che abuso troppo spesso delle sue cure. È un’infermiera, voglio dire, dovrebbe essere solo che felice che c’è gente attiva come me che si fa male spesso, altrimenti sarebbe a spazzare i pavimenti con Gazza. E per quello ci sono gli elfi a dire il vero; in effetti non ho idea di quale sia il ruolo preciso di Gazza in questa scuola, a parte terrorizzare gli studenti del primo anno con i racconti delle punizioni fisiche che infliggeva ai suoi tempi d’oro. Non è comunque questo il momento di pensarci, come mi ricorda l’espressione sempre più ostile di Madama Chips, occhi ridotti a fessure e mani piantate sui fianchi, nella sua miglior posa da combattimento.
- Allora, Potter? Quest’anno non era ancora venuto a farmi visita, iniziavo quasi a preoccuparmi. Cos’ha fatto questa volta? – inizia seccata, sondando il mio corpo con un’occhiata critica. – Si è gettato dalla scopa per testare la compattezza del  campo da Quidditch?
Il motivo principale per cui non le sto simpatico è la mia, a detta sua, totale assenza di istinto di sopravvivenza. Va bene, giudichiamo pure l’istinto di una persona in base a un episodio avvenuto al terzo anno, molto maturo da parte sua, certo. Ed erano solo due metri, per la precisione e se Sirius non si fosse distratto proprio in quel momento, lasciando svanire l’incantesimo che rendeva morbido il terreno, io sarei uscito perfettamente illeso dalla verifica delle mie capacità d’atterraggio.
- Le sembro appena caduto dalla scopa, Madama? – Allargo le braccia con un sorriso smagliante, nel tentativo di intenerirla con la mia assoluta e indiscussa adorabilità.
Probabilmente sotto sotto sta cedendo, ma all’apparenza non si smuove di una virgola, continuando a fissarmi con un sopracciglio alzato. Ho effettivamente l’aspetto di uno che è appena caduto dalla scopa, noto posando lo sguardo sulle mie braccia coperte di graffi e minuscoli taglietti. Sirius non si è trattenuto particolarmente.
- Voglio dire, non sono qui per me, - stabilisco lanciando un’occhiata alle sue spalle. – Vorrei vedere...
- Non è orario di visite, Potter. Torni fra mezz’ora, quando i miei pazienti avranno terminato di pranzare.
- Ma i suoi pazienti, - insisto guardando eloquentemente Lizzie, l’unica persona presente in infermeria oltre a noi due, che se ne sta stesa a letto di fianco ad un carrellino pieno di posate vuote. – Hanno già finito di mangiare.
- Sì, Potter, - annuisce Madama Chips chiudendo per un attimo gli occhi, come a evocare la pazienza. O forse non riesce a ragionare con cotanta bellezza di fronte, chissà. – Ma lei questo non dovrebbe saperlo, dato che non è orario di visita. Torni tra mezz’ora.
E sotto lo sguardo allibito di Lizzie, vengo spinto fuori.
La mia bocca si spalanca in una smorfia di indignazione, mentre Madama Chips mi sbatte letteralmente la porta in faccia.
 
*


- Quindi, ricapitolando: Peter si occupa del cibo...
Peter annuisce convinto alle parole di Mike, Portiere di Grifondoro, e spero che abbia ben chiara la differenza tra trasportare i viveri dalla cucina alla Sala Comune e invece divorarseli, perché entrambe le cose possono essere intese col verbo occuparsene. Mike dovrebbe stare più attento alle parole.
- Io e Mike ci occuperemo della musica, - prosegue Daniel, Cacciatore di Grifondoro, con un sorriso entusiasta. – Ho portato da casa i dischi babbani di mio padre, roba forte, vedrete.
- Lo sappiamo, Daniel, non fai che parlare dei dischi di tuo padre dall’inizio dell’anno, - sbuffa Mike alzando gli occhi al cielo. – E Remus e Frank lanceranno gli incantesimi insonorizzanti sulla Sala Comune, quindi. Sempre che Remus sia davvero d’accordo e non decida di denunciarci tutti alla McGranitt, perché continua a lanciarci delle occhiatacce, Sirius, lo vedi? Se ne sta là e...
Remus ci sta effettivamente fulminando con gli occhi, seduto a braccia incrociate dall’altra parte della Sala insieme a Frank, che è invece concentrato sul libro di Incantesimi: non che sia particolarmente difficile lanciare un incantesimo isolante, ma questo dovrà essere particolarmente resistente, nessuno vuole che nel bel mezzo della notte risuoni per il castello deserto l’assordante musica babbana che piace tanto a Daniel.
- È tutto apposto, ci aiuterà, - li rassicuro, ammiccando in direzione di Remus con un sorrisetto. – Io mi procurerò da bere, dite alla Prewett di spargere la voce e... 
- Black. 
Nella mia testa suona un campanello d’allarme, con scritto sopra a lettere luminescenti Prefetto, e questo è il momento di simulare indifferenza. D’altro canto non è detto che Evans abbia sentito i nostri discorsi altamente contro le regole: mi fissa con un’espressione ostile certo, ma è la stessa espressione che ha sempre quando sta guardando me.
- Dimmi, Evans – Mi volto verso di lei ostentando la massima disinvoltura, le labbra piegate in un sorrisetto condiscendente. 
I miei compagni di complotto non sono abili quanto me nel fingere ed Evans indugia perplessa per qualche secondo di troppo sugli occhi spalancati di Daniel e Peter e su Mike, che nel giro di due secondi ha infilato e ritolto le mani dalle tasche almeno tre volte, evidentemente incerto su quale postura lo faccia apparire più colpevole.
- Voi state facendo qualcosa che non dovreste fare, - stabilisce Evans lapidaria, assottigliando lo sguardo. – Ma fingerò che non abbiate le espressioni più colpevoli di tutta la storia dell’umanità e mi limiterò a chiederti dove si è cacciato il tuo amichetto. E tu risponderai, così io potrò andarmene e voi potrete continuare ad essere colpevoli lontano dalla mia spilla da Prefetto.
- Con il mio amichetto intendi James?
- Potter.
- Sono la stessa persona, Evans, sai.
- Sai o no in quale parte del castello sta levitando il suo ego al momento, Black?
- In infermeria, credo, - rispondo con un’alzata di spalle e lei si volta di scatto, partendo decisa alla volta del ritratto, senza aggiungere altro. – Ma non penso che voglia venire ad Hogsmeade con te, risparmia il fiato!
- Non credo che Evans volesse invitare James ad Hogsmeade, Sirius – mi informa Peter dubbioso, piantandomi in faccia i suoi occhi a coppetta.
- Lo so, Pete, lo so. 

*

Black non mi ha depistato, dopotutto.
Temevo di arrivare nei pressi dell’infermeria e venire colpita da gavettoni di puzzalinfa o altre sostanze appiccicose, ma in effetti quello che se ne sta di fronte alla porta è proprio Potter. Sembra che stia facendo il verso a qualcuno e la sua voce caricata e volutamente stridula riecheggia nel corridoio vuoto, mentre lui si esibisce in una smorfia infantile, blaterando qualcosa che suona come non è orario di visite. Questo è bizzarro. 
- Potter.
Lui si riscuote all’improvviso, voltandosi verso di me ad occhi spalancati.
- Evans,– Commenta sorpreso, schiarendosi la gola e passandosi immediatamente una mano tra i capelli.
- Cosa stavi facendo? – Incrocio le braccia al petto, fissandolo perplessa.
- Niente, aspettavo l’orario di visita, - commenta con un'alzata di spalle, disinvolto.
- Stavi parlando con la porta?
- No, Evans.
- Lo stavi facendo.
- Hai le allucinazioni.
Potter stava indubbiamente parlando con la porta, che lo ammetta o no.
- Sono qui per...
- Hai una cotta per me da sempre e vuoi invitarmi ad Hogsmeade con te, lo so, - replica Potter sbrigativo, appoggiandosi al muro. – Ci penserò, Evans, ok? Ti faccio sapere.
- Potter...
- Ok, ci ho pensato, - Al sentire la mia voce esasperata, si rianima all’improvviso, alzando la testa verso di me. - Facciamo il prossimo sabato di fronte all’ingresso, diciamo, alle undici?
- Facciamo questa sera, in Sala Grande, alle nove esatte.
- Un appuntamento romantico solo io, te e il resto della scuola? – Potter si stacca dal muro, avvicinandomisi appena con un sorriso sornione.
- Esatto, Potter, e porta il tuo orgoglio perché ho intenzione di distruggerlo.
- Oh oh, pesante, Evans, - Potter ridacchia beffardo, incrociando a sua volta le braccia al petto. – E sei venuta qui solo per dirmi questo?
- Sei sparito subito dopo il duello e la McGranitt evidentemente si fida più di me che dei tuoi amici, - spiego sostenendo il suo sguardo. –Inspiegabile, vero?
- Sono solo venuto a raccogliere la scia di feriti che ti lasci alle spalle – ghigna ed io ci metto qualche secondo per capire che si riferisce a Lizzie.  È in infermeria per il mio incantesimo ed io non ci ho nemmeno pensato, ma non credo che questo faccia di me una cattiva persona: insomma, lei mi ha fatta aspettare. Se l’è cercata.
Gli orari esistono per un motivo e... ah, d’accordo.
Con uno sbuffo supero Potter, spalancando la porta dell’infermeria ed affacciandomi all’interno: l’unico letto occupato è quello in cui Lizzie sta sgranocchiando una tavoletta di cioccolata. Subito mi punta gli occhi addosso, perplessa.
- Sei viva, - La informo, scrutando velocemente la sua gamba impomatata. – Non te la taglieranno, no?
- No, - replica lei lentamente, perplessa. – Non credo.
- Bene, ciao allora.
Credo di averla spaventata.
Probabilmente ora penserà che sono venuta qui per finire il lavoro e staccarle la gamba, ma non importa: messi a tacere Potter e la mia coscienza, mi volto e mi richiudo la porta dell’infermeria alle spalle, proprio mentre Madama Chips esce come un razzo dal suo ufficio e la sua voce mi segue lungo il corridoio.
- Potter, ti ho detto che...
- E tu non provare a tardare anche stasera, Potter, o non dovrai più aspettare l’orario di visita per entrare in infermeria.
 

 
**********
 
 


Non so come sia successo, ma sono tremendamente in ritardo.
Beh, lo so com’è successo: tutti i miei amici hanno passato il pomeriggio impegnati nei preparativi per la festa, rifiutando il mio aiuto perché iodovevo rimanere concentrato. In linea teorica potrebbe anche funzionare, ma non esiste al mondo che io passi tutti il pomeriggio a rimanere concentrato, su cosa esattamente poi non lo so nemmeno, così dopo aver aiutato Mike e Daniel a scegliere dei dischi per questa sera e dopo aver rinunciato perché mi sembravano tutti uguali e perché Mike e Daniel non fanno che litigare come una coppietta sposata da vent’anni, ho deciso di fare un salto al campo da Quidditch. La mia finta Wronsky è quasi perfetta ormai. Sono fantastico. Il punto è che dopo un allenamento nel campo gelido, una lunga doccia bollente era d’obbligo, no? Ma le docce calde mi mettono sonno e così mi sono appisolato per qualche minuto nel tepore della nostra stanza vuota. E poi i minuti sono diventati ore e tranquilli amici, James è scomparso, ha saltato la cena e tra poco ha il duello, ma no, non preoccupatevi di cercarlo e sapere se è ancora vivo o se ha bisogno di essere svegliato, no, fate pure come se nulla fosse. Sono le nove e quindici ora e devo solo decidere se farmi uccidere dalla McGranitt o da Evans.Quando, sfinito, interrompo la mia corsa di fronte all’ingresso della Sala Grande, la trovo praticamente immersa nel silenzio, anche se è gremita di gente. I tavoli delle Case sono scomparsi, mentre le sedie sono state disposte ordinatamente attorno ad un ampio palco al centro della Sala. Il tavolo dei professori è rimasto al suo posto ed il preside e gli insegnanti assistono da lì al duello che sta avendo luogo in questo momento. Kate Logan, la cosiddetta amica di Sirius, si sta battendo con una ragazza mora dai capelli corti, appena un po’ più bassa di lei. I miei compagni sono tutti talmente concentrati sullo scontro tra le due Corvonero, che non si accorgono nemmeno del mio trionfale arrivo. Tutti tranne...
- Alla buon’ora, Potter, - Evans mi afferra brusca un polso, iniziando a trascinarmi rapida verso il tavolo dei professori e continuando a sussurrare stizzita. – La McGranitt stava insinuando che io non ti avessi avvisato, ma ti pare?
Noto la presenza di alcune poltroncine posizionate ai lati del tavolo degli insegnanti solo quando Evans mi ci spinge sopra, prendendo poi posto accanto a me, borbottando ancora qualcosa sulla puntualità. Alla mia sinistra ci sono altre due poltroncine, di cui solo una è occupata: il ragazzo biondo si presenta come Mattew Johnson, campione di Tassorosso. Il suo sfidante non doveva essere un granché, se il loro duello si è già concluso. Proprio mentre mi sto sporgendo leggermente per vedere chi sono i due finalisti di Serpeverde, una bacchetta mi sfreccia davanti, finendo sotto il tavolo dei professori. La Sala scoppia in un boato di applausi per la neocampionessa di Corvonero ed io mi ritrovo ad incrociare lo sguardo cupo di Severus Piton, unico occupante delle quattro poltroncine all’altro lato del tavolo. Che sia arrivato in finale è il minimo, considerando che passa tutto il suo tempo con il naso incollato a due centimetri dalla pagina di qualche libro di magia oscura, ma non capisco l’assenza del suo avversario.
-Evans?
Lei finisce di applaudire educatamente, prima di prestarmi attenzione. Beh, presumo che il suo sopracciglio inarcato sia un invito a continuare.
- Dov’è l’altro finalista di Serpeverde?- chiedo, accennando con la testa a Piton.
Lei si irrigidisce all’istante e risponde evitando accuratamente di guardare verso il Serpeverde:
- Emily Zabini è stata battuta per prima – replica all’istante, irrigidendosi impercettibilmente ed evitando accuratamente di guardare verso Piton.
I miei occhi si sgranano lievemente, mentre riporto lo sguardo su Piton. A quanto pare i primi due combattimenti si sono conclusi alla velocità della luce: ora, non so il Tassorosso sconfitto, anche se già il fatto che fosse un Tassorosso...ma Emily Zabini, Caposcuola del settimo anno, non è esattamente una novellina.
A quanto pare il tempo sprecato a studiare magia oscura sta dando i suoi frutti, Mocciosus.
- In bocca al lupo, Jamie.
Kate mi sorride melensa, sfilandomi di fronte, prima di raggiungere l’altro lato del tavolo e prendere posto accanto a Mocciosus, in una bizzarra contrapposizione tra la sua aria entusiasta e quella sprezzante e vagamente lugubre di Piton.
Il sorriso tirato che le rivolgo per tutta risposta è più una smorfia che altro ed Evans, accanto a me, trattiene a fatica una risata. 
Diciamo pure che non la trattiene affatto.
- Forza, tocca a noi, esclama poi alzandosi decisa dalla poltroncina e voltandosi verso di me, prima di aggiungere con un ghigno. – Jamie.  

 
*


Ed eccoli che si avvicinano al palco, signori...  
La mia voce amplificata risuona per tutta la Sala Grande e James punta immediatamente gli occhi su di me, attonito.
Dalla mia postazione a bordo palco, gli strizzo l’occhio, prima di riportarmi il magi-megafono di fronte alle labbra: in realtà a commentare le semifinali doveva essere Susy Jordan, ma non mi è sembrata particolarmente dispiaciuta di farmi un favore. 
- Inchino, - I miei occhi si spostano sulla McGranitt, in attesa della conferma, ma lei sta guardando da tutt’altra parte: Silente per la precisione, che si sta allontanando di tutta fretta dal tavolo dei professori per seguire Gazza fuori dalla Sala. Ma che diavolo...?
- Black, - Sto ancora guardando perplesso l’ingresso della Sala Grande, quando mi rendo conto che la McGranitt ha smesso di farlo ed ora ha gli occhi puntati su di me. – Ha intenzione di dare il via o lasciamo il signor Potter e la signorina Evans così per tutta la notte?
Mi concedo una veloce occhiata a James ed Evans che, nel bel mezzo dell’inchino, non osano staccare gli occhi l’uno dall’altro, ogni singolo muscolo teso nell’attesa.
Potrebbe essere divertente lasciarli semplicemente così e stare a vedere chi per primo abbasserebbe la guardia per scoccare un’occhiataccia a me, ma credo che quello della McGranitt fosse più un ordine che una domanda, così mi decido.
Tre, due, uno... VIA!




- Levicorpus!
Prevedibilmente io e Potter scattiamo nello stesso istante, non appena la voce di Black riecheggia nella Sala Grande: solo che mentre lui mi ha attaccato, io, conscia di non poterlo battere in velocità, ho usato un altro tipo di incantesimo, non verbale e non puramente difensivo. Per dirla alla babbana, gli ho fatto specchio riflesso. E James Potter appeso per una caviglia a testa in giù sotto gli occhi di tutta la scuola, colpito dal suo stesso incantesimo, ecco, questa è un’immagine che non si scollerà dalle mie retine tanto facilmente. Questo è ancora meglio di quando l’ho schiantato. Probabilmente un giorno il mondo smetterà di sembrarmi così perfetto e paradisiaco come in questo momento, ma anche allora, anche nei momenti peggiori, il viso di Potter rosso per l’afflusso di sangue e realisticamente anche per la vergogna mi si affaccerà alla mente ed io mi ricorderò che in fondo la vita vale la pena di essere vissuta.
Potter si sta divincolando in maniera ridicola, dei ciuffi particolarmente lunghi che gli coprono gli occhi e gli occhiali che gli scivolano sempre più in fondo, lungo il naso. Stringe ancora la bacchetta in mano, ma probabilmente non ha nemmeno idea di dove io sia, complici le grida del pubblico, diviso tra chi esulta e chi lo incita a reagire. Potrei schiantarlo di nuovo o semplicemente disarmarlo e mettere fine al duello in questo preciso momento. Dovrei, probabilmente. Prima di subito. Prima che accada come nei film babbani, in cui il cattivone di turno si dilunga nel godersi la vittoria prima di avercela effettivamente in pugno e perde l’occasione di sconfiggere il protagonista. Ma se c’è un cattivo in questo film, quello è decisamente Potter ed io non ho la minima intenzione di porre termine tanto presto al suo momento di umiliazione.
Il Levicorpus non è così divertente dall’altra prospettiva, vero, Potter? 
Non posso impedirmelo ed il mio sguardo incrocia per una frazione di secondo quello di Severus, che assiste alla scena dal bordo della sua poltroncina, proteso ossessivamente verso di noi, come a volersi bere ogni goccia di questa rivincita.
C’è una nota quasi famelica nel suo sguardo, fisso su Potter, e so cosa sta risuonando nella sua testa in questo momento.


Qualcuno vuole vedermi togliere le mutande a Mocciosus?

*


C’è qualcosa che non va.
Sono abbastanza sicuro che fosse la mia voce quella che ha gridato Levicorpus, ma sono altrettanto sicuro di essere io quello appeso a testa in giù ora. Non che io ci veda qualcosa al momento, dato che i miei occhiali stanno per suicidarsi spiccando il volo dal mio naso, ma tutti gli indizi, a partire dal sangue alla testa e la sensazione del vuoto sotto i piedi, portano a pensare che sia proprio io quello su cui il Levicorpus ha fatto effetto. Non è nemmeno questa la parte più seccante di tutta la situazione: quella è la risata amplificata che riecheggia per tutta la Sala, stordendomi. Quando il mondo non sarà più capovolto, scoprirò chi è il cretino che ride di me e gli insegnerò cosa succede a chi deride un Malandrino: saranno coinvolte le sue mutande e del ghiaccio e forse qualcosa di viscido e vivo. Certo che sembra proprio la risata di Sirius. Voglio dire, in quanti a scuola ridono come se stessero in realtà abbaiando? Nessuno a parte lui, ecco quanti. Ma Sirius è il mio migliore amico e non riderebbe mai mentre vengo umiliato di fronte a tutti. Se non fosse che questo è proprio il genere di cosa che farebbe Sirius. Più tardi lo costringerò ad un breve ripasso su cosa è lecito o meno per gli amici e sulla lista di cose assolutamente e vergognosamente illecite ci sarà proprio deridere il tuo migliore amico in pubblico, ma ora ho preoccupazioni più pressanti, come tornare coi piedi per terra e vincere questo duello. Con uno scatto della testa piuttosto faticoso, che mi fa definitivamente cadere gli occhiali per terra, riesco finalmente a liberarmi gli occhi dai capelli quel tanto che basta ad intravedere la figura sfocata di Evans. E poi è un attimo.
Il mio incantesimo la spinge a terra e non appena la sua bacchetta non è più puntata su di me, sento il laccio invisibile che mi tratteneva la caviglia per aria sparire e questa è una buona e una cattiva cosa al tempo stesso.
Ignorando il dolore alla spalla su cui è atterrato tutto il mio peso, mi rialzo di scatto furioso, trovandomi davanti Evans nella mia stessa situazione: appena rialzatasi dopo una caduta infelice, capelli scarmigliati, viso rosso ed occhi ridotti a fessure. Incredibilmente bella.
Non che questo c’entri qualcosa. 

*


Va bene, va bene, sono proprio come i cattivi imbecilli dei film babbani, d’accordo.
Ma continuo a pensare che ne sia valsa la pena.
Potter non ha l’aria felice. Pare un tantino arrabbiato. Direi che furioso rende meglio l’idea. 
Respira affannato, coi capelli più disastrati del solito e gli occhi, fissi su di me, lampeggianti. Più profondi di quanto appaiano di solito, dietro la barriera di vetro degli occhiali, ora abbandonati a terra alle sue spalle.
- Qualche problema, Potter?- domando beffarda, la bacchetta levata dinnanzi a me, a pochi centimetri dalla sua. Vedere Potter fuori di sé per una volta, senza il controllo della situazione, è qualcosa di piacevolmente inedito.
Mi fissa in silenzio per qualche secondo, assottigliando lo sguardo. E poi succede, ovviamente: gli angoli delle sue labbra si piegano lievemente in quell’immancabile sorriso beffardo e di colpo è come se l’espressione furente di pochi secondi fa non fosse mai stata sua.  
Io nessuno, Evans.
Il lieve movimento della sua bacchetta verso l’alto, quasi impercettibile, non sfugge ai miei occhi. Immediatamente alzo la bacchetta in posizione di difesa, all’erta.
- Nemmeno io se è per questo.
Sicura? 
Non capisco cosa intende Potter fino a quando il suo sorrisetto non viene inghiottito da una fitta nebbia di minuscole bollicine colorate. O forse sono io quella che sta venendo sommersa, a giudicare dal fatto che non vedo altro che bolle attorno a me, piccole e dense, riempiono il mio intero campo visivo e soprattutto mi si infilano nel naso insieme all’aria, quando provo a respirare. Punto per te, Potter, d’accordo.
Ma Lily Evans non soffocherà in una fottuta nuvola di bollicine colorate, te lo puoi scordare. 

*

 
Quello che mi chiedo ora, e che scommetto vi state chiedendo anche voi, è se le bollicine evocate tramite un incantesimo non verbale dal mio ex-migliore amico, dopo questa James è già molto se non rinnego di averti mai rivolto la parola, abbiano anche uno scopo, oltre a quello di dare un tocco di colore all’ambiente. 
Il sorriso soddisfatto di James si affievolisce leggermente alle mie parole, ma il suo sguardo compiaciuto resta puntato sul gruppo di bollicine galleggianti che ha avvolto Evans, nascondendola alla vista. È un attacco stupido, oltre che essere imbarazzante: le bollicine colorate non sono una minaccia. Mi rifiuto di pensare altrimenti, perché non voglio vivere in un mondo in cui il pericolo si nasconde anche dietro delle buffe palline galleggianti. Anche Evans deve pensarla allo stesso modo, perché non si è ancora decisa a venire fuori dalla nuvola di bollicine; chissà, forse si sta divertendo là dentro. O forse non esce perché non può. E bravo James.
Pare, e dico pare che le bollicine abbiano anche uno scopo, oltre ad essere carine. No, professoressa, non sto affatto divagando, le mie sono solo precisazioni. Dicevo, le bollicine sembrano avere una funzione pratica, ovvero uccidere Evans. Era per dire, professoressa, lo so che...d’accordo, servono ad impedire la vista ad Evans. E a soffocarla, a mio parere. O non la seguirebbero ad ogni passo che fa, no?
Credo che qualcuno, al tavolo insegnanti, dovrebbe notare la mia massima serietà ed impassibilità nel descrivere la situazione e darmi una bella manciata di punti: mezza scuola sta ridendo alla vista di Evans che cerca inutilmente di seminare le bollicine con movimenti rapidi e fra poco credo proprio che mi unirò a loro, dato che nessuno sembra intenzionato a ricompensarmi dei miei sforzi. Anzi, come se non bastasse la McGranitt continua ad interrompere la mia brillante telecronaca e a lanciarmi occhiate a metà tra il severo e l’atterrito. Onestamente non so cosa si aspetta che faccia di così tremendo. Con tutti questi testimoni davanti, poi.
Ora, nella mia massima imparzialità da cronista, consiglierei a, ho detto nella massima imparzialità, professoressa, mi faccia finire...d’accordo, non lo dico allora. Come desidera. Muto come un pesce.   
Sostengo ostile lo sguardo della mia Capocasa per qualche altro secondo, prima di riavvicinare con uno scatto il magi-megafono alle labbra e parlare il più velocemente possibile.
- James, dannazione, piantala di ridere e approfittane per schiantarla. 
Devo fare uno scatto e improvvisare una breve corsetta tra la folla per evitare che la McGranitt mi strappi il magi-megafono dalle mani, ma entrambi ci blocchiamo di colpo quando James fa improvvisamente un volo di diversi metri, riatterrando pericolosamente vicino a bordo palco. Oh, fantastico.
Mi sfugge un sospiro esasperato.
Ammiriamo tutti il culo di Evans che, giuro, professoressa, che non era mia intenzione. Non che il fondoschiena di Evans non sia un bel vedere, ben inteso, ma...aspetti, aspetti. Ha ragione, mi dispiace. La fortuna. Ammiriamo tutti la fortuna di Evans che, tirando evidentemente a caso, data l’impossibilità di vederci qualcosa là sotto, è comunque riuscita a colpire Potter. Che d’altro canto stava segnalando la sua posizione al mondo ridendo come un idiota. Oh, e guardate chi si rivede! Quelli sembrano proprio i capelli di Evans.
Mentre le bollicine svaniscono lentamente, disperdendosi per la Sala, Evans ricompare con il viso accaldato e gli occhi che mandano scintille dalla rabbia. Oh oh, le cose iniziano a farsi interessanti.
- Black.
James è ancora a terra per il colpo precedente, quando lei gli punta decisa la bacchetta contro.
- Black. 
Scocciato, mi volto proprio mentre James alza la testa ed Evans inizia a pronunciare non so quale incantesimo, solo per trovarmi alle spalle una McGranitt dall’espressione glaciale affiancata da un altrettanto serio Gazza.
- Black, mi dia il microfono. 
- Professoressa, mi sono corretto subito, - Istintivamente nascondo l’oggetto conteso dietro la schiena, facendo un passo indietro.  - Le giuroche intendevo dire fortuna.  
Il microfono, ora. 
C’è qualcosa nel tono della McGranitt che mi suggerisce di fare esattamente come dice, qualcosa di indefinibile e che non ha nulla a che fare con eventuali punizioni e punti persi. Le mie mani si tendono verso di lei prima ancora che il mio cervello abbia dato il comando e la McGranitt afferra il magi-megafono senza nemmeno incrociare il mio sguardo.
 
*


Non appena alzo la testa, ancora stordito per l’impatto, mi ritrovo la bacchetta di Evans già puntata contro. 
Rinuncio immediatamente al proposito di alzarmi, rotolando su un fianco ed evitando per un soffio un getto di luce azzurrina che si schianta a pochi centimetri dal mio orecchio. La barriera invisibile evocata dal mio Protego si materializza di fronte a me una frazione di secondo prima che il successivo incantesimo di Evans ci si schianti contro. La vedo prepararsi ad attaccare ancora, ma questa volta sono pronto anch’io. Mentre mi rialzo, grido a pieni polmoni lo Schiantesimo e vedo il raggio di luce sfrecciare dritto verso di lei, rendendomi conto solo all’ultimo secondo che anche dalla sua bacchetta è partito un incantesimo.
Non saprò mai se sarei riuscito a finire di evocare il Protego in tempo, perché la luce rossa che mi aveva praticamente raggiunto svanisce nel nulla, così come il mio schiantesimo. Evans mi fissa perplessa, le labbra socchiuse e la bacchetta alta di fronte a sé, anche lei bloccata nel bel mezzo di un incantesimo difensivo. Io ricambio il suo sguardo confuso per qualche secondo, prima di guardarmi attorno incerto. È a quel punto che la voce ferma della McGranitt risuona per la Sala.
- Il duello è sospeso. 
Un mormorio contrariato percorre il pubblico ed io cerco immediatamente Sirius: è alle spalle della McGranitt e quando si accorge del mio sguardo interrogativo, alza le spalle, scuotendo la testa.
- Signorina Evans, venga con me, per favore.
Gli occhi spalancati di Evans incrociano per un attimo i miei, poi resto solo sul palco.


 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 

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CAPITOLO 7.

 

 

 

 

 

 

 

È passato quasi un quarto d’ora quando la McGranitt rientra nella Sala Grande, facendo calare immediatamente il silenzio.
Io e Sirius, che mi ha raggiunto al centro del palco, ci voltiamo verso di lei in attesa, come tutto il resto della scuola.
- Il duello è terminato, potete tornare nelle vostre Sale Comuni, - annuncia laconica, con un tono tale da trasformare quel potete in un dovete.– James Potter è il campione di Grifondoro.
So di essere il campione di Grifondoro. Voglio dire, basta guardarmi per capirlo. Ma dov’è finita la parte in cui lo dimostro? E soprattutto, dov’è finita Evans?
La McGranitt se la sta letteralmente dando a gambe dopo avermi gettato nell’occhio del ciclone, dove con ciclone intendo tutta la Casa di Grifondoro, che grida entusiasta e mi festeggia come se avessi effettivamente vinto il duello. Vorrei fermare la McGranitt e farle notare che non ho affatto vinto, non ancora almeno, ma non faccio in tempo a fare due passi che un altro ciclone, uno dai capelli neri e gli occhi grigi che si spaccia per il mio migliore amico, mi placca e mi solleva in aria con un ululato canino, spezzandomi, credo, qualche costola. Tutto questo è molto carino, davvero – non la parte delle costole spezzate, quella è dolorosa e lievemente soffocante, ecco. L’entusiasmo di Sirius e dei miei compagni, quello sarebbe anche piacevole, ma sembra che tutti si siano dimenticati di un minuscolo, irrilevante dettaglio: per vincere, bisogna, come dire, vincere. Non è soddisfacente che Evans si sia semplicemente volatilizzata nell’aria, perché non è qualcosa che richiede da me grandi capacità. Vorrei farlo notare a tutti, spiegare che dobbiamo assolutamente rimandare la festa a quando avrò davvero battuto Evans, ma non appena Sirius si decide a liberarmi ed i miei piedi toccano terra di nuovo, sento altre braccia attorno alle mie e poi pacche sulle spalle e strette di mano e vi prego qualcuno mi aiuti. Nella marea di gente che si sta complimentando con me, scorgo anche cravatte dai colori diversi dal rosso e l’oro e santo Godric, che diavolo volete dalla mia vita, andatevene a festeggiare i vostri campioni e lasciatemi in pace. Non sono dell’umore per un bagno di folla. Questo non sembra interessare ai miei compagni, che dopo un tempo indefinito, cedono alle minacce di Gazza ed iniziano a trascinarmi di peso verso la nostra Sala Comune, dove i festeggiamenti possono continuare solo tra pochi intimi. E con pochi intimi intendo tutti i Grifondoro dal primo anno in su.

*


Silente sta continuando a parlare, ne sono vagamente consapevole. 
I suoi occhi azzurri, puntati su di me al di là dei sottili occhiali a mezzaluna, riempiono il mio intero campo visivo.
No, non è vero: c’è anche l’ampia scrivania in quercia lucida, proprio tra me e il Preside; ci sono le pergamene e le piume d’oca, c’è la fenice sul suo trespolo, proprio accanto all’armadio; c’è un uomo dallo sguardo arcigno e le sottilissime labbra rosso sangue, che si accarezza la barba dentro la cornice di un quadro, appeso a una parete insieme a tanti altri. Ci sono gli strumenti sugli armadi e dietro le vetrinette di vetro, bilance d’ottone e superfici dorate, clessidre argentee, così luccicanti da far male.
C’è l’ufficio di Silente, così pieno di distrazioni, tutte attorno a me.
Ma non è come se qualcosa di tutto questo esistesse davvero: a malapena ci sono io, qui, su questa poltroncina.
So di esserci, perché sento le mie mani gelide aggrappate ai bordi morbidi, le unghie che affondano nel cuscino imbottito.
In teoria ci sono, ma in pratica Lily Evans ha appena smesso di esistere in questo universo e sta galleggiando in un punto imprecisato della stanza, non abbastanza lontana da smettere di vedere il mio corpo, ma neppure così vicina da sentirlo ancora.
Perché Silente ha detto morti ed ora tutto quello che esiste al mondo sono i suoi occhi azzurri ed il modo in cui continua a guardarmi.
Non so cosa stia dicendo, non so cosa pensa che io voglia sentirmi dire in questo momento. Le sue labbra continuano a muoversi, ma la sua voce è un sottofondo irrilevante in confronto al silenzio assordante che ha avvolto tutto.
I miei genitori sono morti.
I miei genitori sono morti.
Provo a concentrarmi su questa frase che continua ad affacciarmisi insistente alla mente, ma non riesco a darle un significato.
Come quando ripeti troppe volte e troppo velocemente una parola e quella improvvisamente perde di senso.
I miei genitori sono morti e non ha senso.
I miei genitori sono morti e non avrà mai senso.
Scuoto la testa in uno scatto veloce, allargando le palpebre.
Ho ancora una testa, sono ancora qui.
Improvvisamente il velo invisibile tra me e Silente, tra me e il mio corpo, si squarcia, ed io sono consapevole del sudore gelido sulle mani, del cuore che batte frenetico nel petto, del bruciore agli occhi, perché non sto più sbattendo le palpebre. Il calore improvviso al viso e il bisogno di svegliarmi da tutto questo.
I miei genitori sono morti e Silente continua a guardarmi.
Il rumore della sedia che scorre sul pavimento risuona nella mia testa un po’ più forte di come sia normale, mentre mi alzo di scatto. La voce di Silente continua a ronzarmi in testa ed il suo sguardo azzurro resta impresso sulle mie retine, sovrapponendosi ai gradini della scala a chiocciola. Scendo quasi correndo e il silenzio del corridoio, appena superato il gargoyle di pietra, mi abbraccia con troppa forza, bloccandomi l’aria nei polmoni.
I miei genitori sono morti.
Lily.
I miei genitori sono morti e Silente continuava a parlare.
Come se ci fosse qualcosa da dire, come se potesse aggiustare anche quello.
Lily, che è successo?
E improvvisamente non c’era più Silente, in quell’ufficio, il Preside irraggiungibile, quasi sovrumano che con il suo sorrisetto inafferrabile e lo sguardo profondo poteva sistemare ogni cosa. L’ho visto all’improvviso, quando ha detto morti. Per la prima volta ho capito.
Non siamo al sicuro, Silente non ha tutto sotto controllo, non andrà tutto bene, le sue parole infinite, la sua saggezza, nulla di tutto questo è mai servito a qualcosa. È il mago più potente al mondo, ma ha lasciato morire i miei genitori. Niente è sotto controllo.  
Erano i miei genitori e sono morti.
Lily, ti prego.
I miei genitori sono morti e lo capisco all’improvviso.
Non è più una frase irreale e priva di significato.
Sta succedendo, non sto per svegliarmi. C’è la guerra ed io non sto per svegliarmi. 
Il profumo di mia madre svanirà dai suoi vestiti ad un certo punto ed allora io non lo sentirò più. Nemmeno una volta.
Mio padre mi ha sorriso sul binario nove e tre quarti meno di una settimana fa ed ora è morto e quella sarà per sempre l’ultima volta che l’ho visto.
Spalanco gli occhi, senza fiato.
Sono i miei genitori e resteranno morti per tutto il resto della mia vita.
Il muro di pietra è gelido contro la mia schiena, i palmi delle mie mani sono aperti contro il pavimento duro e freddo ed i capelli di Alice mi sfiorano le guance bagnate, le sue dita premono sulla mia nuca ed io tiro su col naso proprio contro il suo collo, senza smettere di singhiozzare.

*


Lily non smette di tremare ed io vorrei fare qualcosa di più utile che piangere insieme a lei.
Non mi sono nemmeno resa conto di quando la prima lacrima ha bagnato la mia guancia, scivolando sopra le sue.
Vorrei che servisse a qualcosa, vorrei poter piangere almeno un po’ al posto suo, ma ho la sensazione di essere invisibile.
Non so quanto tempo sia passato, ma gli occhi della mia migliore amica, il verde annebbiato, sono fissi nel vuoto, al muro alle mie spalle. Sono terrorizzati ed io non so cosa fare.
La McGranitt mi ha preso da parte, quando la Sala si è riversata addosso a Potter e mi ha detto di venire qua. Mi ha detto che i genitori di Lily sono morti e che lei avrebbe avuto bisogno di me.
Ma non è vero.
Fa male, perché per quanto io la stringa a me, inginocchiata di fronte a lei, non sembra vedermi, non sembra nemmeno percepirmi davvero.
La pelle del mio collo è bagnata per le sue lacrime ed io non so come farla smettere, come farla stare un po’ meglio. Singhiozza forte e trema tra le mie braccia e questa è la guerra.
È stringere forte la mia migliore amica e non riuscire a sentirla, è non riuscire a rompere la barriera che c’è tra noi. Ti prego, ti prego, Lily.
C’è una parte di me che riesce a pensare a Frank anche ora, soprattutto ora, e vorrei solo che fosse qui.
- Lily, ehy, - Quando il suo respiro si fa più affannato, corto e rapido, le prendo il viso tra le mani, allontanandola dal mio petto. – Lily, respira. Respira con me. Forza, così.
Inspiro ed espiro lentamente, senza smettere di piangere.
E alla fine, dopo altri respiri mozzi, lo fa anche lei. Il suo respiro prende il ritmo del mio, allungandosi ed ora lei mi vede.
Incrocia il mio sguardo ed è come una luce in fondo al tunnel degli orrori. Poso la fronte contro la sua tempia, accarezzandole piano i capelli.
- Respira, respira.
 E respiro piano con lei, perché è l’unica cosa da fare.
C’è la guerra e noi dobbiamo continuare a respirare.
Solo questo.

 *


Dove sono gli adulti responsabili in questo momento?
No, voglio saperlo.
Perché ogni volta che sono impegnato in qualche attività che vada anche solo minimamente contro le regole, ne vedo spuntare uno, che sia Gazza o un professore, che si aggira nei dintorni con quell’espressione che dice scoprirò cosa state facendo e vi metterò in punizione a vita.Mentre ora, ora che il mio bellissimo corpo è pressato sotto gli innumerevoli, consistenti chili di Peter, ed io sto per morire soffocato, durante un festino totalmente illegale nella Sala Comune dei Grifondoro, ecco ora non c’è nessuno ovviamente.
Né Gazza, né la McGranitt, né Prefetti o Caposcuola pedanti.
Tutto apposto, continuate pure, come se nulla fosse. Uccidete pure Potter.
La parte peggiore di tutta questa situazione è che mentre Peter protrae la mia agonia, schiacciando lentamente ogni mia singola cellula tra la stoffa rossa del divano ed il suo non trascurabile peso, sono anche costretto dal mio essere un amico straordinario a dirgli sì, Pete, mi è piaciuto il balletto.
Il balletto non mi è piaciuto. 
Molti qui hanno troppo Whisky Incendiario in corpo per ricordarselo, ma Peter che si improvvisa ragazza pon-pon è un’immagine che non si staccherà dalle mie retine neppure quando sarò chiuso in una cassa sepolto sotto metri di terra. E ripeto: il balletto non mi è piaciuto. In particolare ho trovato di cattivo gusto il finale, che Peter a quanto pare ha ritenuto sarebbe stato incompleto se non si fosse concluso con lui, lui e tutta la sua massa corporea, catapultati addosso a me. Se un giorno qualcuno largo quanto Peter lo sottoporrà allo stesso trattamento, Sirius capirà che non c’è veramente nulla da ridere.
- Pete, ha smesso di respirare.
Remus, amico mio. Saggio amico mio. Prefetto. Brave persone, i Prefetti. Non saltano sulla gente soffocandola e non ridono quando questo succede. Mentre Peter rotola via da me, spinto da qualche benefattore che insieme a Remus avrà la mia eterna riconoscenza, io scivolo a terra, accasciandomi sul tappeto rosso di fronte al camino, con il frastuono della musica nelle orecchie. Qualcuno mi passa accanto, schivandomi per un pelo. Qualcun altro mi inciampa addosso e finisce steso proprio accanto a me. Ma nessuno mi sta parlando. E non c’è nemmeno nessuno che mi stia facendo i complimenti o che mia abbracci, lanci in aria o versi liquidi non identificati tra i miei capelli. Per la prima volta da quando mi hanno trascinato qui, sono solo. È ora o mai più. Prima che qualsiasi essere vivente possa accorgersi nuovamente della mia presenza, mi alzo di scatto ed inizio a correre all’impazzata verso il ritratto della Signora Grassa, facendo lo slalom tra corpi, poltroncine e tavolini. La libertà non è mai stata così vicina.

*


Madama Chips ha deciso infine di togliermi quella sostanza orribile dalla gamba, così eccomi qua, di nuovo su due zampe. Ho appena iniziato a pronunciare la parola d’ordine, quando il ritratto della Signora Grassa viene improvvisamente scosso, spostandosi lievemente verso di me, come se qualcuno l’avesse spinto dall’interno. La Signora Grassa si porta una mano al petto sconvolta, prima di scivolare di lato, offrendomi la visione di un James Potter dall’aria frastornata, i capelli più disastrati che mai, una mano sulla fronte ed una smorfia di dolore in viso. Per poco non fa un salto all’indietro, quando la Signora Grassa inizia a gridargli contro indignata, prima di svanire dal ritratto, probabilmente alla ricerca della sua amica Violet per informarla dell’aggressione appena subita. Prima che il quadro vuoto si richiuda alle spalle di James, intravedo lo scorcio di quella che sembra essere una festa in piena regola, con tanto di buttafuori – alias il Cacciatore, Sam Douglas, che se ne sta di fronte alle scale dei dormitori ed impedisce ad ogni studente dal terzo anno in giù di oltrepassare il confine.
- Allora? In onore di chi è la festa? – chiedo allegra, immaginando già la risposta: dubito che il Prefetto di Grifondoro permetterebbe una festa illegale in suo onore.
James alza una mano poco convinto, indicandosi e continuando a massaggiarsi con l’altra la fronte. Si è fatto male, probabilmente gli verrà un bernoccolo: voglio dire, non è divertente. Solo che le mie labbra non riescono a capire questo semplice concetto e continuano a piegarsi verso l’alto.
- Quindi hai battuto Evans!
- Non direi.
- E perché c’è una festa in tuo onore allora?
- È quello che mi chiedo anch’io, Lizzie, – James lancia un’occhiata in fondo al corridoio, ignorando la mia espressione perplessa. – Senti, devo fare una cosa, torno subito, ok? Se entri là dentro sta alla larga da Peter, il Whisky lo ha reso inconsapevole del suo peso.
James sparisce oltre l’angolo del corridoio ed io mi ritrovo a fissare il ritratto vuoto.
E come faccio ad entrare se tu hai fatto scappare la Signora Grassa prendendola a testate, James Potter?

*


 - Avanti.
La professoressa McGranitt mi scocca un’occhiata distratta da sopra i suoi occhialetti, seduta alla sua scrivania e chinata su alcuni compiti di Trasfigurazione. Ed io che pensavo che anche lei dormisse, ogni tanto. Come tutte le volte in cui mi vede, la sua espressione si fa di colpo più severa e gli occhi le si assottigliano, indagatori.
- Cos’ha combinato, Potter?
Oh, questa è bella. Cos’ho combinato, chiede. Come se io non potessi passare nemmeno un secondo senza infrangere nessuna regola. Mi sento così ingiustamente sotto accusa.
- A parte essere fuori dal suo dormitorio oltre il coprifuoco, s’intende.
Le mie labbra restano socchiuse nell’atto di rispondere per diversi secondi, senza emettere un suono. Mi sento un po’ stupido ora. Sono stato punito così tante volte per essere stato beccato fuori di notte che ormai ho perso il conto, ma questa volta mi sono praticamente auto-consegnato. Pessima mossa, James. Devo assolutamente evitare che Sirius lo venga a sapere o la mia reputazione sarà rovinata. Perché se Sirius sa una cosa imbarazzante su di me, allora tutta la scuola sa una cosa imbarazzante su di me. Proprietà transitiva, sapete.
- Non che io non apprezzi non sentire costantemente la sua voce, Potter, - commenta la McGranitt e questa è la mia Capocasa che mi sfotte. – Ma presumo volesse dirmi qualcosa e gradirei lo facesse prima di domani mattina.
- Non ho ben capito cos’è successo prima, - inizio vago, studiando attentamente la reazione della McGranitt. – Evans...
- La signorina Evans si è ritirata dal torneo, - mi interrompe immediatamente, aggiustandosi gli occhiali sul naso, sbrigativa. Non è entusiasta dell’argomento, lo capisco dal suo tono. – Pertanto sarà lei a gareggiare per Grifondoro. Chiaro ora?
- Evans si è ritirata?
- È quello che ho detto.
Tutto questo ha sempre meno senso. Qualcuno, probabilmente Sirius, deve aver corretto il mio succo di zucca con del Whisky Incendiario, non c’è altra spiegazione.
- E come mai si sarebbe ritirata?
La McGranitt non apprezza la scelta del condizionale, a giudicare da come le sue labbra premono forte l’una contro l’altra. Sto per essere buttato fuori dal suo ufficio, lo so.
- In che modo questi sarebbero affari suoi, Potter?
Vorrei farle notare che non si risponde ad una domanda con un’altra domanda. Ma non si corregge nemmeno la propria Capocasa, se si tiene al proprio rendimento scolastico, mi fa notare invece la vocina di Remus che vive nella mia testa e che credo sia il mio surrogato di coscienza.
- Sono solo curioso – replico con un’alzata di spalle.
- Temo che dovrà tenersi la sua curiosità, Potter. Ed ora sparisca dalla mia vista prima che le tolga tutti i punti che farà guad...
Si blocca all’improvviso, ma io l’ho sentita.
Non ci credo. Lo stava dicendo.
- I punti che farò? – la incito senza riuscire a trattenere un sorriso gongolante.
- Potter, si tolga immediatamente quell’espressione esaltata dalla faccia ed esca dal mio ufficio.
A quanto pare sono il favorito per questo Torneo, eh?
Bene, bene.

*


- Ehy.
La Signora Grassa è ritornata al suo posto da diversi minuti, ma io non sono entrata. In parte per il timore di essere assalita da Peter Minus, in parte perché James ha detto torno subito e quello può essere letto come un aspettami qui, no? Magari no, ma intanto ora io sono qui e lui pure.
-Allora, mi vuoi dire se ti devo festeggiare o no? – gli chiedo con un sorriso.
- Ti prego, non anche tu, – commenta sfinito, passandosi una mano tra i capelli. – Evans si è ritirata, non ho vinto, e là dentro sono tutti pazzi.
Evans si è ritirata?
La stessa Evans che gongolava soddisfatta dopo averlo schiantato?
Questo è bizzarro.
- Non riuscirò mai a raggiungere la mia stanza, - sospira James sconsolato, lo sguardo puntata sul ritratto della Signora Grassa, che gli lancia un’occhiataccia borbottando tra sé. – Qualcuno mi bloccherà e poi Peter cercherà di nuovo di farmi diventare un tutt’uno col divano.
- È probabile, - annuisco realistica, azionando il cervello alla ricerca di una soluzione. Se solo ora me ne uscissi con un piano brillante per fargli raggiungere la sua stanza indisturbato, si ricorderebbe per sempre di me come di quella che gli ha salvato la vita e la nostra prima uscita ad Hogsmeade assumerebbe contorni sempre più reali e meno sfumati. Pensa, Lizzie, forza. – Potresti...
Non ho idea di come continuare la frase, ma per fortuna James mi interrompe, illuminandosi di colpo.
- Ho un’idea, ma mi serve il tuo aiuto.
- Tutto quello che vuoi, - la mia dannata bocca si muove prima che io possa filtrare accuratamente i miei pensieri, come al solito, ma James sembra troppo stanco per farci caso. – Cioè, certo, dimmi.
- Dovresti raggiungere la mia stanza...
Oh Godric. La sua stanza.
- E prendere per me un mantello argentato, credo che sia sul comodino.
Oh Godric. Vuole che io entri nella sua stanza. Dove dorme.
-Lizzie?
La sua stanza.
- Ci sei?
- Ci sono, sì, certo, - replico velocemente, sentendo il calore invadermi le guance. – Mantello, tua stanza, ricevuto. Vado e torno.  

 *

Non riesco a trovare James.
Ho perfezionato il balletto e vorrei farglielo vedere, ma lui è scomparso.
Ho perfezionato il balletto.
Perfezionato. Perfazionato. Perfizionato. 
Questa parola è così strana.
- Par...fe...Parfi...
Ho la nausea.
- Tutto bene, Pete?
Perché gira tutto?
- Parfettamente. Parfazionato.
- Ragazzi, è andato.
Credo che vomiterò.
- Oh Godric, che schifo, Peter!


*


The Marauder’s Lair.
Come, if you are up to no good


Non credo che incidere scritte sulla porta della propria stanza sia esattamente conforme al regolamento, ma non credo nemmeno che questo abbia una qualche rilevanza ora. Sto per varcare la soglia della camera dei Malandrini e questo è un momento memorabile. È anche il momento in cui qualcuno ha dato di stomaco giù nella Sala, a giudicare dalle grida disgustate che giungono dalle scale. Due ragazzini del primo anno, affacciati alla soglia della loro camera, smettono per un attimo di lanciare occhiate invidiose alle scale che portano di sotto per fissarmi perplessi. Probabilmente è la prima volta che vedono una ragazza nell’habitat maschile. Quando apro la porta, automaticamente socchiudo gli occhi, già pronta ad essere ricoperta da qualche strana sostanza esplosiva o ad essere sbalzata fuori da un qualche incantesimo difensivo. Ma non succede nulla del genere ed io faccio un passo all’interno, richiudendomi la porta alle spalle. Beh, dopotutto è solo una stanza come potrebbe esserlo quella di un qualsiasi gruppetto di sedicenni: quattro letti, una scrivania, vestiti e libri sparsi ovunque, un baule mezzo aperto e quelle che sembrano cartacce di cioccorana ammucchiate in un angolo. Non ci sono pile di Caccabombe o frisbie zannuti che spuntano da sotto i letti, né Serpeverde legati e imbavagliati da qualche parte. Niente di quello che mi aspettavo dalla stanza dei Malandrini. Beda il Bardo mi sta salutando da una figurina sul pavimento e Beda il Bardo è esattamente uno dei pochi maghi che mi mancano per completare la mia collezione. Concentrati, Lizzie: il mantello.
Perché diavolo James dovrebbe volere un mantello, poi?
Improvvisamente noto un dettaglio bizzarro: il cassettino di uno dei comodini di quercia, quello più vicino a me, vibra leggermente, come se qualcosa ci stesse ripetutamente sbattendo contro. Ecco dove tengono i frisbie zannuti allora. Probabilmente dovrei tenermici alla larga e la mia tendenza ad aprire cassetti che si muovono da soli un giorno più o meno lontano mi porterà alla morte, ma oggi mi va piuttosto di lusso: dal cassetto sfreccia fuori una minuscola pallina alata, che inizia subito a sfrecciare da una parte all’altra della stanza, confondendosi in una scia dorata. Qualcosa mi dice che questo qui è il letto di James. Immediatamente inizio a perlustrarlo, sopra, sotto, sul comodino, ma non c’è nulla, a parte le coperte stropicciate metà sul materasso e metà a terra, una maglietta nera sgualcita che non devo assolutamente immaginarmi addosso a James ed un altro miliardo di cose non ben identificate. In ogni caso nessun mantello argentato. A meno che non si trovi sotto la maglietta che presumo James usi per dormire. Voglio dire, è una possibilità concreta. Dovrei prendere la maglietta tra le mani e spostarla, in modo da controllare che sotto non ci sia nulla. Dovrei proprio. E lo faccio, prenderla, constatare delusa che sotto non c’è proprio nulla oltre al materasso, e poi portarmela al viso ed inspirare profondamente, inebriandomi del profumo di James. Sono certa che questo sia del tutto inappropriato e vergognoso e che la mia faccia in questo momento, per metà affondata nella stoffa scura, si meriti il primato nella top-ten delle espressioni più ebeti mai verificatesi ad Hogwarts. È una fortuna che non ci sia nessuno a vederla.
Nessuno a parte Remus Lupin, che mi fissa sconcertato dalla soglia, un sopracciglio inarcato.
Grazie Godric, sempre simpatico tu.

*


- Peter ha vomitato, - annuncio automaticamente, quando la ragazza bionda che c’è nella mia camera e che tiene tra le mani la maglia di James si accorge della mia presenza. – Sono a venuto a prendere...
Mi blocco a metà della frase, realizzando che non sono tenuto a giustificarmi con la ragazza bionda che è nella mia camera senza apparente motivo. Credo, anzi, che dovrebbe essere lei a dire qualcosa a questo punto, qualcosa che spieghi la sua presenza qui e magari anche perché continua a tenere la maglia di James tra le mani. Probabilmente sta cercando un suo capello per poter produrre una buona pozione polisucco e trasformarsi nel mio amico per loschi motivi. Voglio dire, se ne sta qui di nascosto a sbirciare tra le nostre cose con aria sospetta mentre tutta la Casa è di sotto a festeggiare, non può avere buone intenzioni. Vorrei puntarle la bacchetta contro e minacciarla di denunciarla a Silente, se non confesserà immediatamente i suoi piani malvagi, appellandola magari anche come sporca impostora, per mostrarle a pieno la mia indignazione.
- Posso aiutarti? – le chiedo invece, educatamente.
- No, no, grazie, - replica lei all’istante, parlando velocemente e muovendosi a scatti, nervosa. Colpevole.
Cercherà di ucciderci tutti nel sonno.
Schiantala, Remus, schiantala. Sei un Prefetto, è tuo dovere farlo.
- Questo è il dormitorio maschile – le faccio notare, diplomatico. Confessa, impostora, confessa.
- Ho della cioccolata.
Non so perché lo abbia detto. Voglio dire, non c’entra nulla.
Mi sta porgendo una tavoletta di cioccolato fondente puro al cento per cento, di quelle con sopra il doppio strato di nocciole che si trovano solo da Mielandia e pare pensare che questo risolverà la situazione. Come se io potessi dimenticarmi dell’intruso dall’aria sospetta nella mia camera solo perché ora ho una tavoletta di cioccolato di fronte.
Mentre addento avido il primo scacchetto, mi chiedo come facesse a sapere che avrebbe funzionato. Spero che non mi stia avvelenando.


*


D’accordo, il mantello non era proprio sopra al letto. Diciamo pure che non ho la più pallida idea di quale anfratto della nostra stanza lo ospiti e sotto quante pile di vestiti e cianfrusaglie varie sia nascosto, ma sono comunque stanco di aspettare.  
- James, - C’è la voce di Sirius, un attimo prima, improvvisamente alle mie spalle e lo capisco dalla sua voce, dal modo in cui allunga la e calca troppo su ogni lettera, che è alticcio. Ci sono poi le sue braccia che si stringono attorno a me, comparendo dal nulla e poi il suo peso in gran parte abbandonato contro di me ed è da questo che capisco che è molto più che alticcio.  – Dov’eri finito? Ti abbiamo cercato ovunque. Ovunque.
La parola ovunque è diventata più divertente nei venti minuti che ho passato lontano dalla Sala Comune evidentemente, infatti Sirius scoppia in una risata esagerata, affondando la faccia nel mio petto e continuando a ridere. Remus sostiene che le persone come me e Sirius non dovrebbero mai bere più di un bicchiere, perché da sobri ci comportiamo come fanno le altre persone da brille ed il mondo non è pronto a reggerci anche da ubriachi. È una stupida esagerazione da Prefetto ovviamente, ma quando Sirius in uno slancio d’entusiasmo mi passa un braccio attorno alle spalle con forza, iniziando a trascinarmi verso il buco del ritratto cianciando di non so cosa, capisco cosa intende Remus. E poi mi sottraggo abilmente all’abbraccio di Sirius e arretro veloce di qualche passo, lontano da lui e dalla sua aria festaiola. Ed ora sono per terra con la risata di Sirius nelle orecchie e l’odore d’alcool fortissimo attorno a me. Su di me. Su ogni centimetro del mio corpo.
Oh, davvero Godric? È così che onori il tuo campione?
Questo a un Corvonero non sarebbe successo.

*

Frank continua a chiedere a James se sta bene, quando dovrebbe chiederlo a quella bottiglia di Whisky Incendiario, che di sicuro non sta per niente bene, tutta sparsa sul pavimento.
Dovremmo portare qui Mrs Purr e vedere se i gatti si ubriacano.
Frank suona preoccupato, ma non ne capisco il motivo, perché James è per terra e questo è così divertente.
*


Ricapitolando, prima devo improvvisamente far fronte ad un aggressione da parte del mio migliore amico, perché la presenza di Sirius equivale già di per sé ad un’aggressione, ed ora mi ritrovo atterrato da un misterioso nemico, che dopo avermi rovesciato addosso una bottiglia di Whisky Incendiario, a giudicare dall’odore, si sta scusando.
Dov’è la coerenza?
Che fine ha fatto?
È a terra in mille pezzi, tra i vetri e il Whiskey?
Perché se mi bagni tutto e mi circondi di vetri, col rischio di tagliarmi la giugulare e farmi dissanguare qui, fuori dalla mia Sala Comune, io mi aspetto da parte tua dell’odio come minimo, non delle scuse.
- James, stai bene? Ti prego, rispondimi. Quante sono?
E come se non bastasse ora il mio nemico cerca anche di confondermi ulteriormente sventolandomi freneticamente una mano a due millimetri dagli occhi.
No, ma prego, continua pure. Quale sarà la prossima mossa, ballare sulla mia tomba?
- Sta zitto, Frank. Sii dignitoso, - stabilisco infine, aggrappandomi al suo braccio per rialzarmi. I miei abiti sono zuppi ed appiccicosi contro la mia pelle, ma non credo di avere emorragie interne e questo è un bene. - Quando meno te lo aspetti, Frank, quando meno te lo aspetti.
Non ho finito di minacciare il mio Cacciatore, ma proprio ora una goccia di Whiskey scivola dai miei capelli proprio nel mio occhio sinistro, che inizia a bruciare. Lo strizzo stizzito, togliendomi gli occhiali e iniziando a sfregarlo forte. Poi un getto d’acqua mi investe in pieno viso e Frank Paciock la pagherà cara.
- Va meglio?
Frank si zittisce, vedendo la mia occhiataccia.
- Ci vediamo agli allenamenti, Frank, - dico, giusto per ricordargli che sono il suo Capitano e che gli farò fare talmente tanti giri di campo e in così poco tempo da fargli girare la testa. – Sirius. Sirius, non è divertente, ti giuro che non è divertente. Ascolta, vai in camera nostra, di’ a Lizzie di muovesi, a Peter di non ballare più in pubblico e a Remus che lo amo. Non confonderti. Ora vai, usa la tua eccessiva energia da sbronzo per qualcosa di utile.


*


 - È buona.
Lupin sta assaporando lentamente la cioccolata che gli ho offerto, seduto sul letto di James.
È un ragazzo intelligente: sa che per godersi appieno la cioccolata bisogna stare seduti e concentrarsi solo su quello.
- Lo è – confermo senza staccare gli occhi da lui, chiedendomi se sia questo il momento adatto per scappare. Non credo che Lupin interromperebbe la sua degustazione per seguirmi, dopotutto.
D’altro canto dovrei proprio restare qui, nel caso decidesse di offrirmi un pezzo di quella che una volta era la mia cioccolata. Voglio dire, sento il profumo nelle mie narici e non me la sento proprio di allontanarmi da lei.
- Ciao, amici.
Lupin alza la testa, puntando lo sguardo alle mie spalle nello stesso momento in cui io mi volto, vedendo il viso accaldato di Sirius Black sbucare dalla porta. Ha l’accenno di un sorriso sulle labbra, gli occhi liquidi ed uno sguardo particolarmente divertito: la festa prosegue bene là sotto.
- Tu sei Lizzie – mi informa puntando gli occhi grigi su di me, la voce lievemente impastata. – James dice che ti devi muovere. E che ti ama.
Per un attimo il mio cuore balza in gola ed io sto per gettare le braccia al collo di Black e gridare di gioia, ma poi noto che il suo sguardo, nel pronunciare l’ultima parte della frase, si è spostato su Lupin.
James ama Lupin, non me.
James ama Lupin.
Questo è bizzarro.
- Giusto, - annuisco celere, spostando lo sguardo su Lupin, che mi sembra la persona più degna di fiducia in questa stanza. – Sono qui perché dovrei portare una cosa a James.
- La sua maglietta?
C’è la possibilità che il sorrisetto malizioso di Black ed il suo sguardo ostinatamente puntato sulle mie mani strette sulla stoffa nera siano strettamente collegati al rossore che si sta impossessando delle mie guance.
- Un mantello, a dire il vero.
- Oh, il mantello. Perché sai del mantello? – Black mi fissa perplesso per qualche secondo, prima di spostare lo sguardo su Lupin. Mi chiedo se si renda conto del tono eccessivamente alto della sua voce al momento. – Perché James sta dicendo a tutta la scuola del mantello, Moony? Non è normale, dovremmo chiuderlo da qualche parte e mettergli un bavaglio o qualcosa del genere.  
- Posso aiutarti a cercarlo, - si offre gentilmente Lupin, masticando l’ultimo scacchetto di cioccolata ed ignorando i deliri di Black. – Ma non ti garantisco che dal baule di Sirius non escano esseri viventi.
Probabilmente sta scherzando.  
Voglio dire, non ha la faccia di chi sta scherzando, ma probabilmente sta scherzando.
 - Comunque, Remus Lupin, piacere.
Si alza dal letto e mi porge la mano con un sorriso.
- È successo solo una volta, Moony.
- E questo che nega l’evidenza e che ha bevuto un po’ troppo è Sirius Black.
Come se non lo sapessi.
- Piacere, Lizzie Carson.  
Stringo la mano di Remus ricambiando il suo sorriso, mentre Black si lascia cadere di peso sul letto di James, borbottando qualcosa di indistinto.

*

Sto seriamente prendendo in considerazione l’idea di entrare, quando la soave voce di Peter che intona non so quale canzoncina babbana mi raggiunge lontana dall’altra parte del ritratto.
Non oso immaginare quali movenze la stiano accompagnando.
Forse è meglio che io aspetti ancora un po’.
- Ehy, intrepido Grifondoro, troppa paura di Minus per entrare?
Il ritratto scorre di lato all’improvviso, mostrandomi il viso sorridente di Lizzie.
- Figurati se ho paura di Pete,– ribatto con un’alzata di spalle
- Allora suppongo che questo non ti serva più, giusto?
Sogghigna, alzando la mano in cui stringe il mio mantello dell’invisibilità.
- Proprio come a te non serve la mia maglietta del pigiama, giusto?

*


Ho svariate idee su come potrei impiegare la maglietta di James, ma non è questo il punto. Il punto è capire perché mi ha posto questa domanda, perché lo ha fatto con quel ghigno malandrino che a proposito adoro e perché il suo sguardo è puntato sulla mano in cui tengo il mantello. E con capire intendo trovare una spiegazione meno imbarazzante e traumatica di quella che mi è appena affiorata alla mente e che coinvolge la maglietta di James ancora stretta tra le mie dita
- Oh, dev’essere rimasta impigliata nel mantello, - commento con nonchalance, ignorando il calore improvviso al volto. – Non ci ho fatto caso.
Immediatamente porgo a James sia il mantello che la maglia, evitando il suo sguardo. Lui non dice nulla, ma continua ad avere gli angoli delle labbra leggermente piegati verso l’alto, nell’accenno di un sorrisetto che impedisce alle mie guance di riassumere un colore normale. Quando rialzo lo sguardo, lui non c’è più. Resto a fissare perplessa per qualche secondo il punto in cui fino a pochi secondi fa c’erano quegli occhioni nocciola che non riesco mai a cancellare dalla mia mente, prima di cacciare un grido sorpreso nel momento in cui qualcosa preme contro le mie ginocchia, facendomi finire gambe all’aria. Solo che non cado per terra, una volta tanto, e mi ritrovo invece a galleggiare a mezz’aria, apparentemente sospesa nel vuoto; in realtà sento un petto caldo contro la mia spalla e delle braccia forti che mi tengono sotto le ginocchia e la schiena. È una fortuna che le persone ancora abbastanza sobrie da capire cosa accade attorno a loro attribuiranno probabilmente il mio viso rossissimo e la mia espressione trasognata al fatto che, apparentemente, sto volando. E voglio dire, in realtà credo che chiunque proverebbe una sensazione strana ad essere preso in braccio da un ragazzo invisibile. Forza, Lizzie, fingi pure che lo sciame di piccioni viaggiatori che sta turbinando in questo momento all’interno del tuo stomaco sia dovuto solo al fatto che le braccia che ti stanno reggendo sono invisibili. La voce perplessa di Allison mi arriva attutita alle orecchie, mentre le fianco accanto volteggiando nel centro della Sala Comune, ma non mi ricordo minimamente come si fa a muovere le labbra e d’altro canto, mentre il corpo caldo di James Potter è così vicino al mio, rispondere a lei è l’ultimo dei miei pensieri. Le risa e le esclamazioni dei miei compagni di casa si confondono in un mormorio di sottofondo, un indistinta sequela di facce che mi sfrecciano davanti al viso senza che io li veda davvero. Sto sognando ad occhi aperti e come ogni volta che questo accade, puntualmente, vengo scaraventata di nuovo alla realtà. Letteralmente.

*


Lizzie, seduta sul letto di Peter, mi guarda frastornata.
Forse l’ho fatta scendere un po’ troppo bruscamente, ma avevo fretta di grattarmi l’occhio che Frank ha cercato di far ubriacare.
- Che ci facciamo qui?
- Infatti: che fate qui?– La voce assonnata di Remus giunge da dietro le cortine tirate del suo baldacchino ed io mi chiedo come sia possibile che lui dorma, quando di sotto si sta tenendo la festa dell’anno. - C’è gente che vorrebbe dormire
-Sì, scusa Moony, ce ne andiamo subito. Devo solo prendere la scopa - rispondo sbrigativo, gettando il mantello da qualche parte e dirigendomi verso l’angolo della stanza in cui è posata la custodia della mia Tornado.
È l’unico oggetto in questa stanza che si sa sempre dove trovare: ogni Malandrino ha imparato a sue spese che è sconsigliabile spostare, o anche solo toccare, la mia scopa. Dopo averla estratta con infinita cura, mi avvicino alla finestra e ci monto sopra, voltandomi poi verso Lizzie, ancora in piedi al centro della stanza.
-Dormo io con Allison stanotte e tu stai qui con Remus? – ironizzo con un ghigno, dato che non sembra intenzionata a muoversi.
Dal letto di Remus proviene un mugugno indistinto, che suona come un rimprovero, ma che non ha un vero senso compiuto: nemmeno lui può sgridarmi nel sonno. A quel punto Lizzie si riscuote e mi si avvicina svelta, salendo poi dietro di me.
-Tieniti – le dico prima di decollare e fare quei pochi metri che separano la mia finestra dalla sua, con il vento sferzante della notte che mi colpisce il viso e mi scombina ancora di più i capelli.

*


A questo punto mi duole ammettere che James Potter sta tentando di uccidermi.
Non c’è altra spiegazione: prima mi prende in braccio, poi mi fa salire sulla sua scopa, dietro di lui. Il mio cuore non reggerà ancora a lungo ed i piccioni nel mio stomaco hanno appena procreato: si stanno moltiplicando sempre di più, non mi stupirei se tra poco me ne uscisse uno dalla bocca, in uno sbattere di ali e penne grigiastre. Con la testa poggiata alla schiena di James e le braccia strette attorno alla sua vita, vedo a malincuore la finestra della mia camera avvicinarsi sempre di più e già inizio a prepararmi psicologicamente al momento in cui dovrò staccarmi da lui. Dove con prepararmi intendo tentare di convincere le mie braccia a collaborare. ‘Mi sono incastrata’ non sembra una scusa particolarmente credibile. Pochi minuti dopo sono sola in camera mia, con la voce di James che mi saluta ancora nelle orecchie e le immagini di questi ultimi minuti che continuano a sfrecciarmi davanti agli occhi. Chiudo la finestra alle mie spalle, preparandomi a passare la notte a rivivere questa serata, ma quando mi volto trovo uno spettacolo tremendo ad attendermi. Allison è in piedi di fronte alla porta della camera che mi fissa con la bocca spalancata ed uno sguardo entusiasta. Ed ha visto tutto. Se sono fortunata tra qualche ora avrà finito l’interrogatorio.

*


Poso gli occhiali sul mio comodino, cercandolo a tentoni nel buio della stanza, prima di lasciarmi cadere con un sospiro sfinito sul mio letto. Questa giornata non è andata esattamente come me la aspettavo, ma ora è finita e le coperte del mio baldacchino aspettano solo me. Dovrebbe essere piacevole ed invece non lo è. Il materasso morbido che dovrebbe accogliermi è già occupato ed il mio corpo si schianta contro quello caldo di Sirius, che emette un gemito infastidito e mi spinge a terra con una forza inaspettata per uno che sta dormendo. Atterrare sul pavimento di pietra gelido è ancora meno piacevole che atterrare su Sirius e qualcuno domani mattina me la pagherà. Remus, da dietro le tendine rosse del suo letto, emette un sibilo infastidito ed io considero seriamente l’opzione di restare a dormire qui per terra, giusto per non correre il rischio che anche Peter, quando si deciderà a tornare in dormitorio, sbagli letto e si lasci cadere su di me, facendomi sprofondare fino al centro della terra.  
 
 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


 

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CAPITOLO 8.

 

 

 

 

 

 

 

C’è qualcosa di fottutamente pesante sul mio stomaco. Mi fa mancare il respiro ed è doloroso e questo non è assolutamente un bel modo di svegliarsi. Non è bello, ma d’altro canto è un risveglio piuttosto frequente per gli abitanti di questa stanza, dato che Sirius è fondamentalmente malvagio e si diverte a svegliare la gente saltandoci sopra. Non ho gli occhiali, ma la macchia sfocata di fronte al mio viso è sicuramente il mio migliore amico e c’è una probabilità del centoventi per cento che abbia quel suo sorriso soddisfatto sulle labbra. Per tutta risposta stringo gli occhi, assumendo il mio miglior sguardo assassino che, lo so, terrorizza Sirius.
- Sembri una talpa, James.
 Non lo dà a vedere, certo, il suo tono sembra più divertito che spaventato, ma sotto sotto è intimidito dal mio sguardo. Che non ha nulla a che vedere con quello di una talpa, per inciso.

*

Quando riemergo dal maglioncino della divisa, dandomi una sistemata alla cravatta, i miei due migliori amici non hanno ancora smesso di fissarsi, perfettamente immobili sul letto. James si sta sforzando di imprimere tutta la sua indignazione nello sguardo ed una parte di lui probabilmente è davvero convinta di fare davvero paura a Sirius. 
- Se avete finito qualunque cosa stiate facendo, potreste anche iniziare a vestirvi, ragazzi. Le semi-finali del torneo stanno per cominciare – commento, gettando un’occhiata dubbiose all’involtino di coperte alla mia sinistra, in cui si nasconde il corpo di Peter.
Mi chiedo se sia il caso di svegliarlo.
Dato che l’urlo di Sirius non lo ha smosso di un millimetro, dev’essere in uno stadio piuttosto avanzato della modalità letargo.
Se non addirittura nel primo stato di quella coma.
Forse è meglio lasciarlo dormire: l’ultima volta che ho infilato una mano all’interno del suo bozzolo di coperte, nel tentativo di riportarlo alla vita, mi ha morso.
- Che vuol dire andate a vestirvi, Moony?
Sirius si volta verso di me con un sopracciglio inarcato, interrompendo il contatto visivo con James, che ghigna soddisfatto, evidentemente certo di aver dimostrato la sua superiorità in qualche cosa.
- Vestirsi, Sirius: è abitudine dei maghi e dei babbani per bene farlo, prima di andare in un luogo pubblico.
- Il mio letto non è un luogo pubblico.
Prima ancora che finisca di parlare, James si esibisce in un buffo suona a metà tra uno sbuffo scettico ed una risata ed io punto il mio sguardo su di lui, in attesa. Naturalmente fare battute ha la priorità su tutto nella gerarchia mentale di James, ma infine ci arriva anche lui.
- Sicuramente ho capito male, Padfoot, - inizia affettato, spostando lentamente lo sguardo su Sirius. – Ma dalle tue parole sembra quasi che tu voglia tornartene a letto invece che venire a tifare per il tuo amico preferito.
- Ho degli importanti affari da discutere col mio cuscino, Prongs, mi dispiace, - Sirius si sta già dirigendo verso il suo letto, quando la parola lo fa bloccare. 
- Come puoi farmi questo, Sissi?
Sono solo cinque lettere, ma rappresentano la certezza che James farà di nuovo tardi al suo duello oggi.
- Non. Chiamarmi. Sissi. 
A volte Sirius ringhia senza essere trasformato in cane e questa è una di quelle volte.
- Mi perdoni, vostra altezza, non volevo certo mancarle di rispetto, - Il tono di James è così gongolante ed io vorrei davvero, davvero non avergli mai nominato quella favola babbana per bambini. – Naturalmente intendevo dire principessa Sissi. 
La mascella di Sirius si irrigidisce in un modo che non donerebbe affatto ad una principessa.

*

I miei capelli non sono biondi, lunghi e boccolosi.
E nemmeno morbidi come boccioli di fiori.
Sono morbidi certo, ma morbidi in modo virile, un modo che non coinvolge nessuna metafora floreale.
Non ho mai indossato abiti da sera dalle gonne ampie e non vivo in un castello magico.
Beh, vivo in un castello magico, ma non sono una principessa.
Ed il mio nome è Sirius, come la stella, non Sissi, che è un nome altamente ridicolo: mi chiedo che razza di storie raccontino questi babbani ai loro figli. Non sono in grado di articolare un nome più dignitoso di Sissi? Voglio dire, non hanno la magia, ma la lingua ce l’hanno, no?
James sta continuando a fissarmi gongolante, ma chi di favola babbana ferisce, di favola babbana perisce.
- Chiudi il becco, Bambi.

*

- Non ci posso credere, - Remus borbotta esasperato, scendendo velocemente le scale dei dormitori. – Riusciresti a fare tardi anche al tuo funerale.
- Mi ha chiamato Bambi – mi giustifico, lanciandogli un’occhiata eloquente. Ma ovviamente Remus non è mai stato chiamato come un cerbiatto frignone e dalle zampe sbilenche e non può capire la gravità della cosa.
Abbiamo quasi raggiunto la Sala Comune, quando dai dormitori alle nostre spalle giunge la voce irritata di Sirius, che grida qualcosa a proposito dei suoi boxer preferiti, quelli con le impronte a forma di cane, associando per qualche motivo il mio nome alla loro sparizione.
Accusiamo gente a caso senza avere prove effettive, certo.  
Remus mi fulmina con un’occhiataccia ed io lo ricambio con un’espressione indignata, portandomi una mano al petto.
- Che c’è? – sbuffo superandolo di tutta fretta, offeso. – Non guardare me.
Certo, sparisce qualcosa e l’ho presa io, ovvio.
Bella cosa la fiducia tra amici, proprio bella.
Tanto non li troverà mai.

*

Il respiro di Alice è l’unico suono a spezzare il silenzio, quando apro gli occhi nella penombra della stanza.
Il ritmo lento e profondo è così familiare alle mie orecchie che potrei pensare di essere nella nostra camera su alla torre, ma nel momento in cui alzo le palpebre, i miei occhi brucianti sanno già cosa stanno per trovarsi di fronte: l’infermeria è vuota ed immersa nella penombra, la porta dell’ufficio di Madama Chips chiusa e dall’altra parte solo il silenzio. Il corpo caldo di Alice è premuto contro il mio, nello stesso letto; il suo naso mi sfiora il collo ed i capelli, le sue braccia mi stringono forte anche nel sonno, come a trattenermi lì con lei, a impedirmi di scivolare via. Ma ho l’impressione che Alice non abbia stretto abbastanza e che Lily Evans sia già scivolata nella notte e persa per sempre. Ho pianto più di quanto credevo fosse possibile ed ora non riesco a percepire il mondo esterno con la stessa chiarezza con cui sento il vuoto nel mio petto, nella mia testa, nelle dita, oltre la mia pelle.
Alice mi stringe forte ed io mi stupisco di non sbriciolarmi tra le sue braccia, come il sottile involucro vuoto che mi sento al momento.
- Lily.
Non mi rendo conto di essermi alzata fino a quando il tono preoccupato di Alice non mi raggiunge, lievemente assonnato.
- Sto bene, - replico automaticamente, avvicinandomi alla finestra. Non sto bene ovviamente, è la risposta più stupida che potessi dare, ma è in qualche modo quello che vogliono sentirsi dire tutti in questi casi, no? E non importa se non è credibile nemmeno un po’. – Ho solo bisogno di respirare.
L’aria gelida mi riempie i polmoni in modo quasi doloroso, quando spingo i vetri verso l’esterno. È piacevole, perché per un attimo sento qualcosa dentro di me, per una frazione di secondo sono di nuovo conscia del mio corpo. Sono viva, sono qui.
Ci sei ancora, Lily.
C’è un vassoio, sul comodino accanto al letto in cui Alice è ancora sdraiata, pieno di tavolette di cioccolata. Riesco quasi a vedere Madama Chips indugiare di fronte alla sua dispensa, domandandosi a quante tavolette di cioccolata possa corrispondere la morte dei miei genitori. Sei tavolette.
- Lily.
Alice si tira su a sedere, senza staccarmi gli occhi di dosso. Non credo che abbia davvero qualcosa da dirmi, oltre i continui richiami. Lily, Lily, Lily. E la muta richiesta di aggrapparmi a lei, al mio nome, di non sparire.
- Sei tavolette, - ripeto come in tranche, senza allontanarmi dalla finestra spalancata. Un brivido mi scende lungo la schiena, in superficie. – Mamma mi ucciderebbe se mangiassi tutta quella cioccolata.
Alice segue perplessa il mio sguardo fino al vassoio, incerta.
Credo che se dirà il mio nome un’altra volta inizierò a gridare.
Mi sfugge un sospiro esasperato dalle labbra, perché sento che c’è qualcosa che dovrei fare, qualcosa di primaria importanza, ma non so cosa sia. Alice è interdetta e a disagio e non sa come farmi stare meglio. Vorrei aiutarla ad aiutarmi, ma ho il terrore che non starò mai meglio in vita mia, che nessuno ci riuscirà mai. Sei. Solo sei.  
- Chiamalo.
C’è una scintilla quasi speranzosa, oltre alla confusione, nello sguardo di Alice. Le sto dando l’opportunità di rendersi utile, di non stare lì a fissarmi impotente.
- Severus, fallo venire qui.
Aspetto la replica di Alice, le sue proteste o almeno un sei sicura?, ma dopo qualche secondo di silenzio, il materasso cigola e lei cammina dritta verso la porta, senza guardarsi indietro.
Resto sola ed il silenzio è assordante ora e non fa che gridare che i miei genitori sono morti e che ho sei tavolette di cioccolata per farmene una ragione.

*

 - Dov’è?
Sirius deve smetterla di scendere in Sala Comune mezzo svestito.
Le ragazzine del terzo anno, là nell’angolo, hanno iniziato a ridacchiare tra loro, ma più che risatine sembra che siano degli ultrasuoni quelli che escono dalle loro labbra. Sussurrano tra loro senza staccare gli occhi da Sirius, come se fosse una qualche sorta di apparizione divina.
- Gradirei un soggetto, Padfoot, se non ti è di troppo disturbo – rispondo pacato, accomodandomi meglio sul divanetto.
- Ed io gradirei che tu mi dicessi dove diavolo si è nascosto James, Moony, se non ti è di troppo disturbo.
Sirius lo ha fatto di nuovo, ringhiare anche in forma umana, e a quanto pare il furto dei suoi boxer portafortuna ha fatto retrocedere James a Potter. Sembra di essere tornati al primo anno.
La mano di Sirius si è posata casualmente sul tomo di Trasfigurazione Avanzata aperto sulle mie ginocchia – in fondo non era poi così tardi per il duello e il torneo non è una scusa per non aprire libro per due giorni di fila.
Il fatto è che la mano di Sirius posata lì sopra non è casuale fino in fondo. C’è un’implicita minaccia in quel gesto all’apparenza semplice, perché Sirius non ha davvero bisogno di una qualche intenzionalità per far accadere cose terribili ai libri.
Gli sfuggono dalle mani quando è vicino a finestre aperte, prendono fuoco da soli non appena si irrita e finiscono sotto metri di terra, seppelliti accanto alla capanna di Hagrid. Beh no, quella volta probabilmente è stato intenzionale.
- Non ho idea di dove sia, Padfoot. Il duello non comincerà prima di un’ora, potrebbe essere ovunque.
- Va bene, Moony, d’accordo. Alleati pure con il traditore, - Negli occhi di Sirius passa un lampo che non mi piace per niente, mentre lancia una veloce occhiata alle sue spalle, dove le ragazze del terzo e del quarto anno continuano a fissarlo apertamente. – Non mi lasci altra scelta.
Sul viso di Sirius si apre un sorriso sornione, mentre inizia a camminare lentamente verso il gruppetto di Grifondoro. Posso quasi sentire l’emozione delle ragazze, mentre lui le saluta caldamente: la posso sentire del tutto a dire il vero, come il resto della Sala Comune. Non ricordo, quando facevo il quarto anno, di aver mai sentito le mie coetanee emettere versi così squillanti, ma probabilmente le orecchie dei quattordicenni, sia maschi che femmine, sono sintonizzate su un’altra lunghezza d’onda rispetto al resto del mondo.
Un giorno quelle ragazze cresceranno, frequenteranno il quinto anno, poi il sesto, inizieranno ad uscire con i ragazzi, ad avere le loro prime esperienze, molte di loro si sposeranno ed avranno figli e ricorderanno con una risata ed una punta d’imbarazzo il modo eccessivamente palese in cui pendevano dalle labbra dei ragazzi degli ultimi anni, quel Sirius Black in particolare.
Ma quel momento è ancora lontano e per il momento si limitano a ridacchiare eccitate e passarsi le mani tra i capelli con agitazione crescente non appena Sirius rivolge loro la parola. I loro occhi si illuminano e prima ancora che il mio amico abbia finito di pronunciare la parola favore,loro gli hanno già assicurato la massima disponibilità.
Ho un pessimo presentimento.

*

- Ehy, James! Buona fortuna per dopo!
- In bocca al lupo, Capitano!
- Mi raccomando Potter, ti vogliamo in finale!
Mentre attraverso gongolante la Sala Grande, accolto dalle esclamazioni allegre dei miei compagni e soprattutto delle mie compagne di Casa, un sorriso soddisfatto mi si disegna sulle labbra.
Vorrei sapere dove si è cacciata Evans, che non sembra essere scesa a colazione, ma devo ammettere che essere il campione di Grifondoro è tutto meno che spiacevole, quando i Grifondoro sono sobri e tenuti a bada dai professori.
Ho quasi raggiunto il mio posto, quando qualcuno mi viene a sbattere contro. Particolarmente di buon umore, sto quasi per scusarmi – beh, non proprio scusarmi, quando i miei occhi si trovano di fronte un naso aquilino dalla lunghezza fuori dalla norma, che spunta fuori dalla perfezione di questa mattinata e in particolare da due tendine di capelli scuri ed unti, riportandomi bruscamente alla realtà.
Una realtà totalmente imperfetta, dato che Piton esiste e si aggira per il castello come se nulla fosse, permettendosi anche di urtarmi.
- Capisco che sia difficile vedere qualcosa oltre quel naso che ti ritrovi, Mocciosus, ma guarda dove vai, per Godric, – sbuffo infastidito, a voce leggermente più alta del necessario.
Faccio appena in tempo a scorgere Alice Prewett, proprio dietro di lui, lanciarmi un’occhiata esasperata, prima che Piton mi dia una spallata, scostandomi di lato con un sibilo velenoso.
- Levati di mezzo, Potter.
Oh, davvero?
Prima che Piton riesca ad allontanarsi più di due passi da me, ho già estratto la bacchetta ed il rumore che fa il suo corpo spiaccicandosi di colpo a terra è persino più piacevole delle risate che provengono da diversi punti della Sala.
Sto aspettando con un ghigno e la bacchetta alla mano che Piton si rialzi e mi affronti, ma lui, stranamente, sembra più desideroso di defilarsi in fretta che di farmela pagare.
- Signor Potter. 
D’accordo, affatturare Piton di fronte all’intero corpo docenti forse non è stata una delle mie idee migliori.

*

Mentre, dopo una ramanzina di dieci minuti a Potter, torno sfinita verso il tavolo dei professori, noto distrattamente con la coda dell’occhio uno studente del primo anno, al tavolo della mia Casa, senza la cravatta rossa e oro della divisa.
Mi sfugge un sospiro seccato dalle labbra, nel momento in cui decido di passarci sopra: ho già tolto abbastanza punti a Grifondoro per una sola mattinata.
Tuttavia ripensandoci, e con ripensandoci intendo vedendo Black entrare di corsa in Sala Grande, a bacchetta sguainata ed attorniato da un gruppo di ragazzine esaltate, non ho affatto tolto abbastanza punti a Grifondoro per questa mattina.
Credo che non toglierò mai abbastanza punti a Grifondoro finché esisteranno ad Hogwarts individui come Potter e Black.

*

Non so perché, ma sentendo la voce del mio migliore amico riecheggiare per la Sala, alle mie spalle, ho la netta sensazione che si stia rivolgendo proprio a me.
- Posso aiutarti, Padfoot? - sorrido allegro ignorando i lampi d’odio che partono dai suoi occhi, mentre il brusio nella Sala diminuisce e molte teste si voltano verso di noi.
- È la tua ultima possibilità di dirmi dove li hai nascosti. 
- Non so di cosa tu stia parlando, - replico impassibile, avviandomi verso il tavolo di Grifondoro.
- Non mi lasci altra scelta. Ragazze, ora. 
C’è una piccola Tassorosso paffuta tra me e il mio posto al tavolo ora. Se ne sta lì e mi fissa corrucciata, da quei quaranta centimetri di differenza che ci separano. Credo che sia del secondo anno al massimo e questo è bizzarro. La guardo allibito per qualche secondo, un sopracciglio alzato, prima di spostarmi e passarle di lato.
Il problema è che esattamente al fianco della prima, come un fungo, ne spunta un’altra, ancora più bassa della sua compagna e con il viso ricoperto di lentiggini. La faccenda sta iniziando a diventare seccante, così cerco di scartarle entrambe, ma subito vicino a loro ne appaiono altre ed in breve mi ritrovo circondato.
Sono attorniato da una quindicina di ragazzine dei primi anni di tutte le Case nel bel mezzo della Sala Grande, di fronte a tutti: ecco come si è evoluta questa giornata.  
La situazione non è esattamente delle migliori, lo ammetto, ma se Sirius pensa che per fermare James Potter bastino un branco di ragazze alte un metro e un boccino, si sbaglia di grosso.
Invocando la calma, riprendo ostinato la mia marcia, cercando di spostare gli ostacoli umani di peso, una dopo l’altra.
Solo che si rivelano più pericolose di quel che pensassi: la prima ragazzina che tento di spostare, l’innocente Tassorosso bionda e paffuta che ha dato inizio a tutto per intenderci, si accende di una strana luce assatanata e mi assesta con tutta la sua forza un morso sulla mano, non appena la sfioro.
Una fottuta Tassorosso mi ha morso.
E mentre impreco, stringendomi la mano e pensando che la prossima persona che definirà i Tassorosso innocui e smidollati la affatturerò, la sua compagna con le treccine rosse e le lentiggini mi tira un calcio negli stinchi. Ok, da lei forse dovevo aspettarmelo: con quei capelli rossi e le lentiggini ricorda terribilmente Evans. Non posso credere che Sirius stia usando delle ragazzine dei primi anni contro di me: questo dev’essere il titolo stesso della lista di cose che un migliore amico non ha il diritto di fare ad un altro. È mentre mi afferro con un gemito lo stinco colpito, che accade l’irreparabile: i piccoli mostri che mi circondano approfittano della mia momentanea instabilità per spingermi e farmi cadere disteso tra di loro. E poi è il caos.
Riesco a vedere a malapena il cielo sereno, totalmente inadeguato al mio stato d’animo, della Sala Grande, ostacolato da migliaia di mani sottili e capigliature varie. L’ultima voce che sento prima di venire sommerso dal turbine umano che altro non è che l’intera schiera di giovani e malleabili spasimanti di Sirius Black, è quella indignata ed incredula della McGranitt.   

*

- Remus, dovevi esserci, è stato stupendo.
Non credo che stupendo sia l’aggettivo adatto per descrivere qualcosa che ha portato Grifondoro a perdere 50 punti, ma questo a Frank non sembra importare, come d’altro canto anche al resto della nostra Casa: il tavolo rosso e oro continua ad essere percorso da risatine soffocate anche mentre la McGranitt sfoga la sua ira su Sirius e le sue complici.
- Inammissibile, mai, in vent’anni di carriera...
James è ancora a terra, per l’appunto.
Ho il sospetto che sia svenuto e vorrei davvero andare a controllare, ma non sono così Grifondoro da lasciare il mio posto mentre la McGranitt è ancora qui. Non credo di averla mai vista tanto furente in vita mia.
- Vi voglio tutte nel mio ufficio, ora. Anche lei, Black.
- Ma io non ho fatto nulla, professoressa.
- Un’altra parola, Black, una sola e la espello.
- D’accordo, sto zitto. A partire da ora, no? Non conti questo.
- Black.
Sirius si chiude teatralmente un’immaginaria cerniera sulle labbra, prima di seguire il suo gruppo di adepte e la McGranitt al di fuori della Sala. Credo che alla fine opteranno per togliere a Grifondoro direttamente la clessidra.

*

- James? Tutto bene?
La voce pacata di Remus proviene da qualche parte sopra di me, abbastanza vicina, e non sembra affannata o sotto attacco: è finita.
- Se ne sono andate?
- Il campo è libero, tranquillo.
- Io sono tranquillo, Moony, – ribatto con noncuranza, sorridendo dell’ingenuità di Remus. – Non ho mica paura di un branco di ragazzine, ti pare?
- No, certo. Mi chiedevo solo quando avevi in programma di riaprire gli occhi.
Giusto, sono ancora serrati. 
Lentamente socchiudo l’occhio destro, sbirciando la Sala attorno a me, giusto per precauzione: Remus, inginocchiato al mio fianco, mi guarda con una nota compassionevole del tutto fuori luogo nello sguardo, mentre gli studenti dai loro tavoli continuano a gettarmi occhiate divertite. Delle psicopatiche al servizio di Sirius non c’è traccia.
Bene, se ne sono andate davvero a quanto pare. Meglio per loro.
-Sicuro di stare bene, James? – insiste Remus, aiutandomi ad alzarmi. Non che mi serva aiuto naturalmente, ma sarebbe scortese da parte mia privare il mio amico dell’opportunità di sentirsi utile.
- Divinamente, grazie.
A parte i denti che qualcuno ha dimenticato conficcati nella mia mano.
- Non vieni a fare colazione? 
Remus continua a guardarmi lievemente allarmato, come se dovessi crollare a terra da un momento all’altro.
-No, stavo uscendo.
Prima di essere aggredito da un branco di dodicenni assatanate.
- D’accordo, ci vediamo dopo allora. James, - Remus mi richiama esitante, mentre io già gli do le spalle. Mi volto verso di lui interrogativo, alzando un sopracciglio. – Non credi che sia il caso di, non saprei, ridare i boxer a Sirius?  
Ricambio lo sguardo di Remus per qualche secondo, prima di realizzare che è serio. Gli do una veloce pacca sulla spalla, prima di uscire dalla Sala ridacchiando.
Ridare i boxer a Sirius, come no. E poi do fuoco alla mia scopa magari.
 


            **********

 

- Lily.
La voce di Severus risuona alle mie spalle, subito seguita dal cigolio della porta che si chiude dietro di lui.
Una parte di me ricomincia a respirare solo nel momento in cui la sento, perché è la voce che mi ha accompagnato da sei anni a questa parte, riempiendo mille pomeriggi estivi, la stessa che mi ha parlato per prima della magia. E allo stesso tempo non è per niente come quella voce, è diversa e mi fa gelare il sangue nelle vene, perché ora più che mai rappresenta tutto quello che è stato e che non tornerà più.
- Sono morti, - Faccio fatica a riconoscere la voce che risuona nell’Infermeria vuota come la mia, ma avverto le mie labbra muoversi decise, mentre mi volto verso di lui. – I miei genitori sono morti, Severus, e sappiamo entrambi perché. 


È diverso se si è figli di Babbani?
No. Non è diverso.

Le palpebre calano pesanti sulle iridi color petrolio per un istante interminabile e la linea delle spalle si abbassa impercettibilmente, come se un peso improvviso si fosse aggiunto su di esse. Poi Severus apre gli occhi, socchiude le labbra sottili e fa un passo verso di me, pronto ad afferrarmi e tenermi a galla, come ha sempre fatto, quando Petunia mi chiamava mostro, come ho sempre fatto io con lui, quando suo padre tornava a casa più ubriaco e crudele del solito.
E siamo qui, io e lui, in quest’infermeria, senza nessun altro, e per una frazione di secondo mi illudo che potremmo davvero farlo, fingere che gli ultimi mesi non siano mai esistiti e che nulla sia cambiato, che possiamo ancora essere Lily e Sev.
Ma è solo un attimo, perché non è solo quel sanguesporco gridato in preda all’umiliazione a frapporsi tra noi: ci sono gli occhi sbarrati e senza vita di mio padre, ci sono le mani bianche e gelide di mia madre.
E se una parte di me ha sempre sperato che un giorno saremmo riusciti ad abbattere questo muro di silenzio, la realtà è che ora c’è qualcosa di più grande e potente tra noi, qualcosa di infinito e spaventoso, che ci terrà lontani fino al nostro ultimo respiro su questa terra.
Perché non potremo mai scavalcare i cadaveri dei miei genitori.
- Non ti avvicinare, - Severus si blocca, una mano a mezz’aria. – Non sei qui perché ho bisogno di un amico. Sei qui perché voglio che pensi a quella volta che mio padre si è rotto il naso per difenderti dal tuo e perché voglio che ricordi il sapore della crostata alle pesche che preparava mia madre ogni volta che ti fermavi a cena da noi, solo per te. Voglio che ti ricordi come ti sorridevano, come mia madre ti accarezzava distratta i capelli, come se fossi figlio suo, e le pacche sulle spalle che ti dava mio padre. Voglio che ricordi tutto questo, perché io non riesco a dimenticarlo ed ho ben chiara in mente la tua espressione quando eri a casa mia. Riesco a vederla anche ora, le guance arrossate per l’emozione e quell’accenno di sorriso, così raro sulle tue labbra. E voglio che ricordi anche tu, voglio che tu ricordi come ti sentivi e poi voglio che pensi al fatto che sono morti. Voglio che ti ricordi cosa sono stati i miei genitori per te e poi voglio che pensi a come sono stati uccisi, ieri, perché il loro sangue non era magico abbastanza.
E voglio che tu smetta di passare tutto il tuo tempo chinato su libri di magia oscura, Severus. Voglio che tu smetta di usare parole comesanguesporco mezzosangue. Voglio che almeno ora, almeno per un secondo, tu smetta di essere così attratto e affascinato da quello che sta succedendo là fuori. Voglio che tu provi disgusto e rabbia nei confronti di Lord Voldemort e dei suoi seguaci, come lo provo io, ma questo non te lo dico.
Non te lo dico perché è già troppo tardi, lo vedo nei tuoi occhi, che nemmeno ora capiscono fino in fondo. Fai un passo indietro, con un’espressione indecifrabile, ed ora lo sentiamo entrambi: c’è la guerra tra di noi.
Impalpabile, ma pesante al punto da rendere l’aria irrespirabile.
Siamo sulla soglia di una guerra che ha già inghiottito i miei genitori e tu sei dalla parte opposta rispetto alla mia.
Finisce così, quindi.
Le labbra di Severus hanno un ultimo tremito, come se stesse per dire qualcosa, ma non c’è niente da aggiungere, oltre al rumore della porta che si chiude per sempre alle sue spalle. 
Ed ora devo stare a galla da sola.


 
            **********
 

 - Quello che volevo dirti, Lizzie, - Il viso di James è così vicino al mio che posso quasi contare le pagliuzze dorate incastonate nell’iride nocciola, non che io voglia effettivamente farlo, di certo non ora, mentre il ragazzo dei miei sogni pare sul punto di baciarmi. Sarebbe imbarazzante e fuori luogo e oh Godric, James, sta zitto e baciami subito.  – È che...
È che? È che?
Oh andiamo, James, dillo e basta, ti prego.
 - È che i tuoi capelli sono davvero indecenti quando dormi, Liz! 
- Anch’io! Anch’io ti...aspetta. Eh?
Il viso di James viene risucchiato in un nulla indefinito, mentre io mi ritrovo improvvisamente nel mio caldo baldacchino alla torre di Grifondoro, con l’espressione corrucciata di Allison di fronte e nessuno che sta per baciarmi.
Non sarò matura a riguardo.
- Tu non sei James Potter – mormoro accusatoria, guardandola imbronciata dal mio morbido fagotto di coperte.
- No, e tu non sei il cantante dei BlackWizard, che ci vuoi fare – sospira Allison piazzandosi davanti allo specchio ed afferrando una spazzola rosa. – Comunque se non vuoi perderti il duello del tuo amato ti conviene alzarti, Lizzie bella.
Alzarmi, che idea assurda. Vivo in una realtà in cui James Potter non ci pensa nemmeno a baciarmi e le coperte calde sono tutto quello che ho. Si sta così bene qui, in pigiama, immersa nel...gelido vento invernale.
- Lascia le mie coperte e richiudi quella finestra, Allison. Subito.
- Lo faccio per te, Lizzie, – replica tranquillamente Allyson, tornando davanti allo specchio e fregandosene altamente del fatto che ha appena avviato un processo di ipotermia nella sua migliore amica. – Se vuoi una possibilità con Potter, devi essere in prima fila a tifare per lui al torneo.
Oh certo, in prima fila insieme al resto della scuola. Mi noterà di sicuro.

*

- ...un comportamento assolutamente inaccettabile e profondamente incivile, come quello che state tenendo anche ora. Se non la piantate immediatamente di lanciare occhiatine a Black, vi tolgo venti punti a testa, ci siamo intese? Non avete un po’ d’amor proprio, per Merlino? E lei la smetta di assecondarle, Black.
Non so che problema abbia la McGranitt, davvero.
Delle gentili signorine cercano il mio sguardo ed io, per educazione, le accontento, ecco tutto.
- Mi scusi professoressa, ma approfitterei della sua interruzione per ribadire il mio disappunto nel trovarmi qui: non vedo cosa c’entro in tutto questo, davvero – inizio spedito, spalancando poi leggermente gli occhi grigi, accompagnando il gesto con la mia espressione più innocente. Con la mia educatrice, quando avevo sei anni, funzionava –ed infatti è stata licenziata in un batter d’occhio.
- Per prima cosa, Black, si levi quell’espressione ebete dalla faccia, che non mi incanta e voi fate silenzio, per Merlino!
Ci sono delle ragazzine del primo anno che sembrano disposte a sfidare l’intero corpo docenti per difendere il mio onore e non so decidere se lo trovo inquietante o piacevole. Certo, sarebbe interessante provare ad aizzarle contro la McGranitt e vedere che succede, ma credo che organizzare un assalto armato ai danni della propria Capo Casa sia una di quelle infrazioni del regolamento sufficientemente gravi dal giustificare un’espulsione di massa.
- Tornando a noi, Black, a causa sua uno studente è appena stato aggredito da una decina di ragazzine fuori controllo...
Sotto il mio controllo, vorrà dire.
- Ed indipendentemente dal fatto che il signor Potter meriti o meno un trattamento simile...
Mi piace come sta implicitamente riconoscendo che probabilmente James se l’è cercata.
-...ciò non è in ogni caso ammissibile.
- Mi permetta di contraddirla, professoressa: il mio era solo un modo come un altro di esercitare un mio diritto – ribatto raddrizzandomi sulla sedia, trattenendo un sorriso divertito. Lo so che dovrei stare zitto e che se Remus mi vedesse ora la sua faccia si colorerebbe in modi strani e divertenti, ma la McGranitt è così indignata e le sue labbra riescono a compiere sempre nuove acrobazie man mano che i secondi passano.
- Di che cosa sta parlando, Black?  
- Il diritto di riappropriarmi dei miei indumenti intimi, professoressa – replico impassibile ed eccole, eccole le labbra che sbiancano fin quasi a diventare accecanti, premute così forte l’una contro l’altra che mi stupisco che la voce riesca a passarci in mezzo.
- Se non si riappropria all’istante del suo diritto di restare in silenzio, Black, le toglierò così tanti punti che quando prenderà i MAGO, i rubini di Grifondoro non avranno ancora smesso di calare, intesi?

*

Come avrete sicuramente notato tutti quanti, poco fa c’è stato un po’ di trambusto, in cui è rimasto coinvolto anche il commentatore ufficiale di questo duello, Sirius Black, quindi sarò io il cronista al suo posto per le semifinali. 
non volontariamente, ci terrei a precisare.
Dato che Black è impossibilitato ad adempiere al suo incarico, prenderai tu il suo posto, Lupin. Sei il prefetto di Grifondoro, non vedo chi meglio di te potrebbe assumersi questo incarico, mostrando così la propria responsabilità ed il proprio attaccamento alla Casa.
Queste le parole scelte dalla McGranitt per dirmi in pratica il precedente commentatore è impegnato a lucidare i vasi da notte dell’infermeria perché ha attentato alla vita di un suo compagno sfruttando la sua influenza su un branco di dodicenni in calore, quindi tu prenderai il suo posto, volente o nolente, perché sei un Prefetto e quindi devi fare tutto quello che dico io.   
A questo punto mi sorge spontanea una domanda: sono forse l’unico Prefetto di Grifondoro? Perché l’ultima volta che ho controllato anche Evans aveva la spilla, anche se da ieri sera sembra essersi volatilizzata.
Ma forse è giusto così: dopotutto quell’emerito cretino del precedente cronista è il mio migliore amico, non quello di Evans.
Lei evidentemente se li sa scegliere gli amici, a differenza mia.
Beh, considerando la storia di Piton, forse nemmeno lei è questa gran cima, anche se nessun amico suo ha l’abitudine di fare irruzione in Sala Grande a capo di un esercito di dodicenni, il che è molto più di quanto possa dire di me stesso. E a proposito di Piton...
- I primi due semifinalisti, Severus Piton di Serpeverde e Mattew Johnson di Tassorosso, salgano sul palco – dispongo pratico, avvicinandomi il magi-megafono alle labbra e spostando il peso del corpo da un piede all’altro, leggermente a disagio. Non mi piace stare al centro dell’attenzione, non mi è mai piaciuto, indipendentemente dal mio piccolo problema peloso. Ma ormai ci ho fatto l’abitudine: quando conosci gente come James Potter e Sirius Black non ti stupisci più di tanto se, mentre scendi tranquillamente nella Sala Grande per fare colazione, ti ritrovi improvvisamente sul bordo di un palco posto in mezzo alla Sala, con un megafono in mano e gli occhi di tutta la scuola puntati addosso. 
Piton è il primo a salire, passo spedito e testa bassa, le cortine di capelli scuri a coprirgli gli occhi, come se si volesse nascondere dagli sguardi dei nostri compagni. Pochi secondi dopo sale sul palco anche un altro ragazzo che non ho mai visto prima, alto e castano, che presumo essere Johnson. O uno che passava di lì per caso, dipende.
- Inchino. Tre, due, uno...via! 
Piton parte subito all’attacco, mentre Johnson riesce a difendersi per un soffio evocando un Protego. Dopodiché i due iniziano un combattimento serrato, mentre io cerco di stare dietro alle loro mosse, di certo non facilitato dagli schiamazzi del pubblico, tra cui spicca la voce di James che consiglia a Johnson cose ridicole, come di stare attento a non scivolare sull’unto.  
Non so più da quanto stia andando avanti il duello ormai, ma inizio a non poterne più di gridare tentando di sovrastare gli incitamenti del pubblico. Vorrei gridare a tutti di stare zitti e guardare in silenzio, ma non credo che la McGranitt approverebbe. Ad un certo punto si fa vivo anche Sirius, che ha evidentemente finito la sua punizione per oggi, ma contrariamente alle mie speranze non viene a reclamare il suo ruolo da cronista: forse fa parte della punizione, starsene zitto e lontano dal magi-megafono per una volta.
- Johnson tenta di schiantare Piton, che però evita il colpo e contrattacca con...con un altro incantesimo. 
Gli sbuffi irritati di Sirius, piantato casualmente dietro la mia postazione, aumentano di volume alle mie ultime parole, come a sottolineare quanto lui sarebbe stato un cronista migliore di me.
Beh, non è colpa mia se Piton usa incantesimi sconosciuti al genere umano, né sono io ad aver suggerito a Sirius di organizzare imboscate in Sala Grande e farsi punire.
- Johnson viene colpito in pieno dal getto di luce blu fuoriuscito dalla bacchetta di Piton! Ma, aspettate, non sembra succedergli nulla. Piton abbassa la difesa, inspiegabilmente, mentre Johnson si prepara ad attaccarlo, ma...oh. Ecco che Johnson cade a terra addormentato.
O morto, conoscendo Piton.
Una parte di me spera fino all’ultimo che Johnson si rialzi, ma non sembra proprio essere nei suoi piani e prima che io possa aggiungere altro Piton ha già fatto volare la sua bacchetta tra la folla.
- Il vincitore, nonché primo finalista del Torneo, - inizio solenne, cercando di non sembrare troppo rassegnato. – È Severus Piton.
Non che Piton non se lo sia meritato, anzi.
E non è nemmeno stata una sorpresa, a dirla tutta.
Il fatto è che ora Piton è in finale, il che vuol dire che, se James vincerà contro la campionessa di Corvonero, l’ultimo duello sarà tra loro due.
E qualcosa mi dice che non voglio davvero assistere ad un duello tra Severus Piton e James Potter commentato da Sirius Black. 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


 

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CAPITOLO 9.

 

 

 

 

 

 

 

- James Potter di Grifondoro e Kate Logan di Corvonero sul palco, grazie. 
- Oh andiamo, è così banale, - Sirius sbuffa per l’ennesima volta, al mio fianco, mentre James e Logan si posizionano sul palco. - Remus non è portato per fare il cronista, è ridicolo. Ho ragione Peter?
 Probabilmente Sirius ha davvero ragione: Remus non sembra particolarmente a suo agio, con la sua voce pacata che risuona per tutta la Sala. Il fatto è che il duello è appena cominciato e tutto quello che vorrei è fare il tifo per James, quindi non è che mi interessi poi così tanto della telecronaca. Naturalmente questo è meglio non dirlo a Sirius, così mi limito ad annuire col capo, senza sbilanciarmi: il mio amico non sembra particolarmente di buon umore e quando Sirius ha la luna anche solo vagamente inclinata è meglio non parlargli, non guardarlo e non respirargli nemmeno troppo vicino. Lentamente, facendo attenzione a non far rumore, riporto lo sguardo sul palco e mi allontano di un passo da Sirius, che continua a sbuffare ad intervalli regolari. In realtà credo che, se volesse, potrebbe semplicemente salire su una sedia e iniziare a fare la telecronaca del duello urlando, anche senza magi-megafono, e la folla lo ascolterebbe volentieri. Anche Remus sarebbe contento di non essere più al centro dell’attenzione probabilmente.  La McGranitt un po’ meno.
- Senti, - Il tono di Sirius è piuttosto risoluto, come se avesse avuto un’idea improvvisa. – Tu adori James, sì, Pete? Lo ammiri tanto, così tanto che vuoi sapere ogni dettaglio di ogni sua impresa...
Quello che vorrei davvero fare al momento è seguire ogni dettaglio del duello: James ha appena schivato una fattura di Logan con una velocità tale che...
- Pete, mi stai ascoltando?
- Cosa? Sì, certo.
- Siamo d’accordo allora? Posso contare su di te?
Ho la sensazione di essermi perso un pezzo.
- Vedrai, non sospetterà nulla, - Una parte di me è convinta che Sirius sappia che non ho sentito una parola di quello che ha detto e che abbia appena usato la cosa a suo vantaggio per estorcermi il mio consenso. L’altra parte di me crede solo che io sia un idiota. -Devi solo chiedergli con tono casuale dove ha nascosto i miei boxer, sarà così preso a festeggiare che non ci troverà nulla di strano.
Oh no.
Questo non mi piace.
Sirius e James sono nel mezzo di una delle loro battaglie a suon di dispetti reciproci, quelle che finiscono sempre con esplosioni, punti persi e sfiorate espulsioni per intenderci. E se c’è una cosa che ho imparato in sei anni di onorata carriera da Malandrino, è che non ti devi mai, mailasciare coinvolgere nelle loro scaramucce.   
- Beh, io...
Devo trovare una via d’uscita al più presto. Non posso dire a Sirius che lo aiuterò, perché questo vorrebbe dire schierarsi contro James e restare coinvolto e finire, presto o tardi, in Infermeria. Ma non posso nemmeno dire a Sirius che non lo aiuterò, perché questo vorrebbe dire schierarsi contro di lui e restare coinvolto in ogni caso e, di nuovo, alla fine della storia l’infermeria. Perché sembra così inevitabile una visita da Madama Chips con qualche organo in più che spunta in posti bizzarri?
Ragiona, Peter, forza.
Pensa a cosa farebbe Remus.
Lui saprebbe come uscirne in maniera neutra, lui è così bravo a non lasciarsi coinvolgere.
- Sono un Prefetto, non...
No, dannazione no, questo è quello che direbbe Remus, ma non funziona per me, come mi dimostra l’espressione perplessa di Sirius. Io non sono un Prefetto. 
Pensa a qualcos’altro, pensa a qualcos’altro.  
- Pete?
Se non puoi pensare come Remus, pensa come Peter.
Cosa farebbe Peter?
Cosa farei io?
- GUARDA, UN DRAGO!
E ora corri, corri più veloce del vento.

*

Ho praticamente la vittoria in pugno: Logan è a pochi passi da me, troppo impegnata nel suo infruttuoso tentativo di liberarsi dalle intricate liane che le imprigionano le caviglie per prestare attenzione alla mia bacchetta, puntata su di lei e pronta a mettere fine alla sua vita. Al duello cioè, non voglio ucciderla. Ma suonava più epico così nella mia testa. Il fatto è che l’epicità della mia imminente vittoria viene spazzata via da questo palco nel momento in cui dalla folla si eleva un grido, per la precisione quello del mio amico Peter, che è convinto di vedere un drago. Non è tanto quello che mi fa sobbalzare, quanto piuttosto lo strillo acutissimo che emette la ragazzina del secondo anno al suo fianco, prima di iniziare a correre impazzita verso l’uscita, in preda al panico. Quello mi ha colto abbastanza alla sprovvista, devo dire. Mi ha con tutta probabilità perforato un timpano e c’è la possibilità che anch’io abbia cacciato un urlo di sorpresa. Non paura chiaramente,sorpresa. Ma non è comunque dignitoso da parte mia, soprattutto di fronte a tutta la scuola. L’unica consolazione è che lo strilletto di Logan è stato decisamente più alto del mio ed è persino caduta a terra, con le caviglie ancora intrappolate nel groviglio di liane. Tutto questo è molto imbarazzante e dall’espressione di Logan capisco che anche lei la pensa così. E tuttavia nessuno sembra essersi accorto di noi: la folla è intenta a mormorare perplessa e si divide tra chi cerca di calmare la ragazzina e chi segue con lo sguardo la corsa fulminea di Peter verso l’uscita della Sala Grande – fulminea per quanto la sua considerevole massa gli permetta di sgusciare tra la folla. Io e Logan ci scambiamo una tacita occhiata d’intesa, a sancire il patto per cui quello che è appena successo su questo palco, in teoria di fronte a tutti, resterà tra noi due.
Emm, sì, dunque. Peter evidentemente non si sentiva molto bene, ma ora, se vogliamo riprendere, - La voce amplificata di Remus, il cui sguardo è sospettosamente puntato su Sirius, si sparge per la Sala e diverse teste si girano di nuovo verso il palco, come è giusto che sia. – Bene, dove eravamo rimasti? 
Al punto in cui io vinco, Remus.
Mi volto gongolante verso Logan, la bacchetta alta di fronte a me, pronto a mettere fine al duello e un po’ meno pronto a venire sbalzato all’indietro con forza e atterrare di culo vicino a bordo palco.

 
*

C’è definitivamente qualcosa che non va in James.
Un qualcosa che lo fa distrarre nei momenti meno opportuni, come ad esempio un duello, e che permette ai suoi avversari di mandarlo a gambe all’aria con estrema facilità. È fortunato che sia io ad essere il cronista, perché a questo punto Sirius lo starebbe già prendendo in giro in vivavoce, mentre io mi limito a descrivere con tono neutro l’accaduto, cercando di farlo sembrare meno ridicolo di quanto non sia effettivamente, con la speranza che James smetta di perdersi nei suoi pensieri e si ricordi di essere nel bel mezzo di un duello.
Oh, a giudicare dall’urlo isterico di Logan direi che se n’è accorto.
Una strana sostanza melmosa non meglio identificata fuoriesce dalla bacchetta di Potter, - È strano chiamare il mio migliore amico per cognome, ma suppongo che l’imparzialità del mio ruolo lo richieda; Sirius non l’ha mai fatto in realtà, ma il giorno in cui Sirius sarà da prendere ad esempio per la sua neutralità, io sposerò un bubotubero. – Andando a posarsi su Logan e, come ci fa notare la diretta interessata, -Con una voce tremendamente stridula. – Sui suoi capelli.
Credo che Logan stia avendo una crisi isterica e James ha l’espressione che ha sempre quando vuole solo gettarsi a terra e ridere fino alle lacrime. I miei occhi restano puntati insistentemente su di lui, perché se è quello che ha davvero intenzione di fare, invece di approfittarne per mettere fine al duello, nulla mi tratterrà dal salire sul palco e disarmarlo io stesso.   
- Expelliarmus.
Grazie Godric. 
- Potter disarma Logan e vince il duello! A questo punto è deciso: i due avversari che si giocheranno il titolo di campione e i 100 punti sono James Potter e Severus Piton. 
E si salvi chi può.      

 
*

Ho ancora le lacrime agli occhi dal ridere –la visione di Kate versione mostro di fango è un’immagine che non scorderò tanto presto - quando mi ritrovo all’improvviso gli occhi nocciola del mio migliore amico a due millimetri dal viso, stretti a fessura.
E a questo punto mi chiedo come ciò sia possibile, dato che una frazione di secondo fa era sul palco a godersi gli applausi della Sala.
-Tu.
- Sì.
-Tu.
- Io.
-Tu.
- Ok, James, ho capito: io. Esiste un qualche proseguimento della frase?
- Tu, schifoso bastardo, traditore, aizzatore di ragazzine, figlio di...
Sento che la cosa potrebbe andare per le lunghe.
- Dove credi di andare?
-Da nessuna parte, Jamie caro.
Non mi stavo affatto allontanando lentamente, guardandoti inquietato dai tuoi scatti da pazzo, assolutamente no.
- Non chiamarmi Jamie, - sbuffa passandosi irritato una mano tra i capelli, che dopo il duello sono ancora più ridicoli del solito. - Certe confidenze le permetto solo a chi non ha tentato di uccidermi in mattinata e tu non rientri in questa categoria di persone, mi dispiace.
 - Hai nascosto i miei boxer fortunati, – ribatto con un tono che esce appena un po’ più lamentoso di quanto l’avessi previsto.  – Sono statocostretto a farlo. E a tal proposito, quando hai intenzione di tirarli fuori?
 Il ghigno che si impadronisce delle labbra di James non mi piace per niente.
- Non in questa vita.
Questa è guerra, Potter. 

 


**********

 


- Lupo, sa per quale motivo Block non si trova in aula?  Era stato avvisato che dopo le semi-finali si sarebbero svolte regolarmente le lezioni, vero?
Se qualcuno scoprisse il mio segreto per il semplice fatto che Ruf non riesce ad impararsi il nome di nessuno studente, non risponderei delle mie azioni: un morso non glielo toglierebbe nessuno, giuro.
- Doveva sbrigare una commissione per conto del professor, - La mia voce, nello scandire il nome di un immaginario professore, si fa piuttosto indistinta, mescolandosi a un lieve colpo di tosse. - Dovrebbe essere qui a momenti.
E a momenti è l’espressione giusta infatti.
- Buongiorno, professore. Perdoni il ritardo, ma non mi sentivo molto bene.
Qualunque altro professore noterebbe l’assoluta incombaciabilità delle nostre scuse, ma è già tanto se Ruf nota di non essere da solo in aula.
È una fortuna, perché il sorrisetto malandrino che aleggia sulle labbra di Sirius è indice solo di pessima salute mentale, non fisica. E se i suoi occhi grigi smettessero di restare puntati su James anche mentre si sta rivolgendo al professore, potremmo magari evitare che l’ora di Ruf si trasformi in un campo di battaglia.   
 
**********
 


…tragico incidente che ha causato la morte di una famiglia Babbana, ancora da accertare il coinvolgimento della magia...
I miei occhi sono puntati da diversi minuti sul breve paragrafo di pagina cinque della Gazzetta del Profeta. Alice ha strappato la pagina, evitando di portarmi il resto della rivista, probabilmente per non farmi vedere dopo quali altre irrilevanti notizie è stata riportata la morte dei miei genitori. Non è come se non lo sapessi già, comunque. È da mesi che la situazione è questa: riforme politiche, l’ultimo disco delle Sorelle Stravagarie, il nuovo paiolo uscito e la nuova specie di puffole pigmee scoperta ad occupare le prime pagine, insieme a tutte le altre notizie ordinarie sbattute in faccia alla comunità magica, con scritte enormi e illustrazioni colorate, mentre gli strani incidenti a famiglie di maghi e babbani, sempre più frequenti, sono relegati pagine dopo, liquidati in anonimi paragrafi da due righe omettenti tutti i dettagli.
Non c’è scritto che gli Auror ci hanno messo ore a spegnere l’Ardemonio. Perché era Ardemonio, così ha detto Silente.
La figlia strega e al suo sesto anno di Hogwarts non viene nominata nemmeno per sbaglio: l’unica a cui accennano è la figlia adolescente, babbana come i genitori, che si trovava dal fidanzato all’ora dell’incidente. Credo che se Petunia incontrasse Mark Limmerg, autore dell’articolo, riuscirebbe a spiegargli più incisivamente di me quanto poco azzeccata sia l’espressione circuita circostanza. Vincere alla lotteria è una fortuita circostanza, prendere E in divinazione è una fortuita circostanza, non essere a casa quando dei terroristi decidono di sterminare la tua famiglia, quella è una fottuta tragedia.
- Andiamo.
Alice mi guarda perplessa, mentre mi alzo dal letto decisa ed afferro un elastico dal comodino più vicino, in cui ci sono ancora appoggiate tutte e sei le tavolette di cioccolata, intatte.
- Dove?
- A lezione, – replico con un’alzata di spalle, l’elastico tra le labbra, mentre mi raccolgo i capelli in una coda alta e precisa.
- Non credo che sia una buona idea, Lily.
- Non riesco a respirare in quest’infermeria, Alice, devo uscire da qui.
- Ma a lezione? Come se niente fosse...
- E dove dovrei andare? A casa, da Petunia? – Mi esce una mezza risata, amara, solo al pensiero di quanto debba odiarmi mia sorella adesso. – Non posso vederla, non ora. E non posso restare qui, non posso...non voglio sparire, mentre tutta Hogwarts pensa ‘è giusto che abbia del tempo per piangere i suoi genitori’, perché quanto è quel tempo? Mh?
Alice mi fissa interdetta, senza sapere cosa fare, ed io prendo vagamente atto del tremito nella mia voce, la nota spezzata, la vena vagamente isterica.
- Due settimane, un mese, quanto? Per quanto tempo mi è concesso di stare chiusa da qualche parte a piangere prima che non sia più accettabile? Prima che tutti si aspettino che io ci sia passata sopra?
La verità è che non voglio toccare nemmeno una di quelle sei tavolette di cioccolata, perché quando saranno finite, io dovrò aver accettato la cosa.
Non voglio saltare le lezioni, perché a un certo punto dovrò ricominciare a presentarmi.
Non voglio fermarmi, non voglio essere in lutto, perché se comincio, a un certo punto dovrò riprendermi. Perché non può durare per sempre.
Perché se mi chiudo qui dentro a piangere, senza andare avanti con la mia vita, arriverà il punto in cui dovrò accettare che i miei genitori sono morti e che il mondo non si è fermato per questo e che nemmeno io posso. Ma non voglio arrivare a quel punto. Non voglio avere limiti di tempo, non voglio avere gli occhi di tutta la scuola puntati addosso. Voglio andare a lezione e non accettarlo e continuare a fare quello che ho sempre fatto, come se nulla fosse, e continuare a non accettarlo. E può darsi che sia vero che il tempo sistema tutto e forse un giorno me ne farò davvero una ragione, ma non sarà perché il tempo accettabile per restare in lutto è scaduto, non sarà perché non posso restare chiusa in una stanza per sempre.
- Non hanno nemmeno scritto il loro nome, - La mia voce suona strana alle mie orecchie, come se arrivasse da lontano. E ho la sensazione che d’ora in avanti sarà così per ogni cosa. – Questo vuol dire che i professori sono gli unici a saperlo. E voglio che resti così, Alice.
- Significa che mentre tu cerchi di venire a patti con la morte dei tuoi genitori, Mary ti chiederà se le dona più il color pesca o il rosa cipria, - Lo sguardo addolorato di Alice, puntato su di me, non mi lascia dubbi: è lo stesso sguardo che non posso sostenere da parte di tutta la scuola. -  Sei sicura che sia questo che vuoi?
- È esattamente quello che voglio.
Voglio che nessuno guardi da questa parte, mentre Lily Evans svanisce a tempo indeterminato.
 

 
**********
 

- Mi annoio.
Due semplici parole, se pronunciate dalla persona sbagliata nel momento sbagliato, possono far precipitare nel panico più totale anche il più temerario dei Grifondoro. Ora, io non ritengo certamente di essere il più coraggioso dei Grifondoro, ma James certamente è la persona sbagliata e la lezione della McGranitt è certamente il momento sbagliato.
Perché se James si annoia, allora deve fare qualcosa. E quel qualcosa solitamente coinvolge anche il suo vicino di banco che, Godric sia maledetto per questo, sono io. Quindi, dato che mi ritengo una persona abbastanza intelligente, capisco perfettamente che è il momento di dire addio al mio proposito di seguire la lezione e prendere appunti come un diligente Prefetto dovrebbe fare e soprattutto quello di conservare quel poco di sanità mentale che mi resta. Addio Penny. È stato bello, ma non poteva durare. Non chiedetemi perché ho dato un nome al mio ultimo briciolo di salute mentale; la risposta è la medesima che darei alla fatidica domanda perché ti sei seduto vicino a James? Non pervenuta.
- Senti, Moony, secondo te se trasfiguro la piuma di Mocciosus in un verme, quanti punti mi toglie la McGranitt?
Godric, dammi la forza.
 
*

 
- Signor Potter, mi saprebbe spiegare per quale ragione la sua mano stringe, invece della piuma, la bacchetta, puntata oltretutto contro il signor Piton?
- Non pensi sempre male, professoressa: stavo solo cercando di uccidere quella mosca, in modo che non infastidisse il mio compagno.
- Capisco, signor Potter. Tuttavia qualcosa mi suggerisce che sia il caso di togliere comunque dieci punti a Grifondoro. Ed ora posi la bacchetta e segua la lezione.
Questo è ridicolo.
Poteva davvero esserci una mosca, di certo dalla cattedra la McGranitt non può vederla. E se fossi una mosca, il primo posto in cui andrei a posarmi sono proprio i capelli di Piton.
- Moony.
 - Ehy, Moony.
- Moony, rispondimi, lo so che mi senti.
- Che vuoi?
- Che facciamo?
Io ascolto la lezione, tu fa’ quello che vuoi.
- Non essere scontroso.
- Non sono scontroso, sto solo cercando di...
- Quella era senz’altro una risposta scontrosa.
- Vedi? Ora non mi parli più, sei scontroso e arrabbiato con me.
- Non ti parlo perché sto cercando di prendere appunti, non sono arrabbiato.
- Sei definitivamente arrabbiato con me.
- Santo Godric, non sono arrabbiato con te, sono arrabbiato con me stesso per essermi seduto di fianco a te, è diverso.
- Non è una cosa carina da dire.
- James, ti prego, lasciami seguire.
- Va bene, va bene.
- Ma sei sicuro di non essere arrabbiato con me, sì?
 

 **********

 

- Chiaramente questo è un incantesimo troppo complicato per essere imparato in una sola lezione...
Mai complicato quanto stare seduto tra Sirius Black e James Potter in pieno litigio, glielo garantisco professor Vitious.  
Nulla può essere più complicato di questo, nulla.
E temo che il fatto che Sirius mi abbia appena piazzato sul banco un pezzo spiegazzato di pergamena renderà il tutto ancora più complicato, per quanto sia possibile.
E sicuramente è un ulteriore aggravante anche il fatto che ora lo stia spingendo verso il bordo destro del mio banco, quello confinante con il banco di James per la precisione.
Cercando di farmi coraggio al pensiero che questa è finalmente l’ultima lezione del giorno, abbasso lo sguardo sul bigliettino, cercando di decifrare la calligrafia illeggibile di Felpato.
 

Rivedrai la tua scopa quando io riavrò i miei boxer
- Padfoot

 
Oh Godric, è per fare questo che Sirius è arrivato in ritardo a Storia della magia questa mattina? Questo non va bene, non va affatto bene. Con la coda dell’occhio, azzardo una veloce occhiata a James, il cui sguardo è fisso sulle lettere tracciate da Sirius. La sua mascella è più tesa del normale e tutto sembra far pensare che sia stato appena colpito da un Pietrificus Totalus. Questa visione deve compiacere particolarmente Sirius, infatti lo sento distintamente sghignazzare alla mia sinistra. 
- Sono felice che l’incanto Venubium la diverta  tanto, signor Black. Ma penso si divertirebbe meno se togliessi dei punti alla sua Casa, quindi per favore faccia silenzio.
E a quanto pare lo può sentire chiaramente anche Vitious.
Nel frattempo, al mio fianco, al suono del nome Black, James ha iniziato a tornare lentamente in vita. Per prima cosa un sinistro ringhio ha iniziato a provenire dalla sua direzione e ciò è alquanto inquietante, dato che fino a prova contraria i cervi non ringhiano. Ma suppongo che sia proprio James la prova contraria.
Ripeto, questo non finirà bene.  


- Professore, posso andare in Infermeria? Non mi sento molto bene.
Ma sto di sicuro meglio di come starà Sirius, se succede qualcosa, qualsiasi cosa, alla mia scopa.
- Sì, Potter, vada - acconsente Vitious un po’ stranito, forse per il fatto che mentre gli parlavo non ho distolto lo sguardo dal bigliettino di Sirius, giusto per accertarmi di aver letto bene.
La mia scopa.
Questa è la peggiore tragedia mai accaduta ad Hogwarts, la peggior tragedia mai accaduta in tutta la storia dell’umanità, anzi di tutto l’universo.
La mia scopa.
Non appena la porta dell’aula si richiude alle mie spalle, prendo un lungo respiro, tentando di calmarmi.
E poi parto di corsa verso i dormitori di Grifondoro.



Col fiato corto, getto un’altra occhiata all’orologio, sperando che le lancette si siano spostate magicamente e non segnino più un ritardo di quasi venti minuti per la lezione di Vitious. Ero tornato in Sala Comune a cercare tracce di Alice, che non vedo da ieri sera, ma nessuno ne sa nulla, così come di Lily: pare che siano state entrambe risucchiate da un armadio svanitore. Inizio a preoccuparmi a dire il vero, ma non così tanto da essere riuscito ad evitare di appisolarmi sulla poltroncina rossa comodissima, quella proprio di fronte al caminetto, ad una distanza ideale dal calore bruciant-AH! La mia testa pulsa spiacevolmente nel momento in cui, dopo essere stato investito da qualcuno di non identificato, aver sbattuto violentemente la testa ed essere atterrato tutt’altro che dolcemente sul pavimento di pietra, vengo ritirato su di colpo e scosso avanti e indietro, al suono di una voce che mi grida cose senza senso.
- Frank, che fai, sei impazzito? Non ho tempo da perdere, devo correre! Chissà dove l’ha messa! E non l’avrà mica tolta dalla custodia, vero? Oh, non ci posso pensare: si graffia senza custodia, per Godric, si graffia.
Quando apro gli occhi e mi ritrovo di fronte l’espressione allucinata e vagamente folle di James Potter, decido di non fare domande.
Non che lui me ne abbia lasciato il tempo in effetti, prima di lasciarmi di colpo e riprendere la sua corsa sfrenata verso Godric solo sa dove. 
Questa scuola è bizzarra.

*

Non ci posso credere.
Sirius non ha mentito: lo ha fatto davvero.
E il fatto che insieme alla mia Tornado sia sparita anche la custodia è una magra consolazione.
Questo non sta succedendo, non a poche settimane dalla partita, quando devo allenarmi più spesso del solito e fare alla mia scopa tanta manutenzione e mantenere alta la mia sintonia con lei e... devo trovarla. 
E devo farlo prima della fine della lezione di Vitious, in modo che Sirius non possa intralciarmi.
Se c’è una cosa che può destabilizzarmi tanto da mettere fuori gioco persino il mio orgoglio, è l’assenza della mia scopa al suo solito posto, e Sirius lo sa bene.
E l’unico motivo per cui non sto gridando istericamente come Evans al secondo anno quando le ho fatto evanescere la gonna in Sala Grande, è che devo trovare la mia Tornado. Subito.
 
*

 Mi chiedo cos’ho fatto di così terribile per guadagnarmi un tale odio da parte di Merlino o chiunque si diverta a decidere le mie sorti.
Chiunque sia, penso proprio che si meriterebbe di trovarsi davanti all’uscita dell’aula, mentre sta tranquillamente andando in bagno, un Sirius Black con l’aria esaltata e la scopa di James Potter in mano. Ecco, doveva capitare a Merlino una cosa del genere, non a me. Sono rimasto così paralizzato dalla paura quando l’ho visto, quando ho visto cos’aveva in manoche non ho nemmeno fatto in tempo a voltarmi e a rientrare in classe. E questo mi è stato fatale. Così ora mi ritrovo con la scopa di James - la scopa di James! - tra le mani ed il categorico ordine di Sirius ‘nascondila, Pete’ a rimbombarmi nelle orecchie. Ed ancora una volta sono combattuto: non posso obbedirgli, ma non posso nemmeno disobbedirgli. E sicuramente questa volta non posso nemmeno prendere la stessa scappatoia di questa mattina: se scappassi via gridando, la scopa di James cadrebbe a terra. E anche se ha la custodia e non so quanti altri incantesimi di protezione e quindi non ne trarrebbe alcun danno evidente, lui saprebbeJames sa tutto quello che accade alla sua scopa. E  non posso nemmeno posarla delicatamente a terra ed andarmene: lasciare la scopa di James qui, sola e indifesa, equivarrebbe a gettarsi dalla torre di Astronomia. Anzi, forse schiantarsi al suolo dopo non so quanti metri di volo sarebbe meno doloroso che affrontare James dopo aver abbandonato la sua scopa in mezzo ad un corridoio. Quindi non posso fare altro che vagare senza meta, tenendo delicatamente, molto delicatamente, la scopa di James alta di fronte a me, senza stringerla troppo, ma nemmeno troppo poco perché in quel caso potrebbe cadere e allor...
-Che cosa. Stai. Facendo.
Gli occhi nocciola di James, sempre così caldi e allegri, ora sembrano anche troppo caldi, giurerei di vedervi divampare fiamme dello stesso colore dei capelli di Evans. E sono davvero molto realistiche, anche se so che è solo Merlino che si prende ulteriormente gioco di me.
Il tono glaciale di James, privo della minima intonazione interrogativa, pare dirmi sei ancora vivo solo perché hai la mia scopa tra le mani e non voglio sporcarla di sangue. Ed è per questo che quando mi ordina con un ringhio piuttosto inquietante di restituirgli la scopa, mentre gliela porgo lentamente, come se fosse una bomba, sento di starmi privando della mia unica ancora di salvezza. 
Per un attimo valuto anche l’idea di mollare la scopa e scappare, ma subito scarto quel folle piano: James è il cercatore più bravo della scuola, non dubito dei suoi riflessi, ma se c’è anche l’uno percento di possibilità che la scopa cada allora, automaticamente, c’è lo zero percento di possibilità che io sopravviva.

*

Nel momento in cui le mie mani si posano sulla custodia liscia della mia Tornado, la terra ricomincia a ruotare sul proprio asse.
Un sospiro di sollievo mi esce dalle labbra, mentre Peter si allontana saggiamente di qualche passo da me ed io poggio a terra con reverenza la custodia, pronto ad aprirla e controllare minuziosamente lo stato della mi scopa, centimetro per centimetro, pagliuzza per pagliuzza.
Non appena sono certo che la mia Tornado sta perfettamente, rialzo lo sguardo su Peter, dedicandogli la mia peggiore occhiata assassina, solo che c’è il vuoto di fronte a me.
 
*
 
Piccola annotazione mentale: la fuga non accompagnata dall’urlo è meno scenica, ma molto, molto più efficace.
 
*
 
- Dove diavolo pensi di andare vestita così.
Al suono della voce perentoria di Allison mi blocco nell’atto di aprire la porta, incerta se devo rispondere o no. Il significato delle parole mi suggerisce che sì, era una domanda quella di Allison, ma il tono con cui le ha pronunciate mi dice tutt’altro. La classificherei più come una minaccia. Una minaccia ingiustificata oltretutto, dato che non mi sembra di essere vestita in modo sconvolgente: dei normalissimi jeans, delle normalissime scarpe da ginnastica ed una normalissima felpa blu.
Ma se Allison mi ha richiamata, forse mi sono solo immaginata di essermi infilata i pantaloni e sto in realtà scendendo in mutande, oppure, al mio primo anno, ho solo immaginato la McGranitt informarci che l’obbligo di indossare la divisa riguardava solo le ore di lezione. 
- Vuoi davvero andare al duello di Potter con una felpa, Lizzie? Ti sembra una scelta saggia?
O magari ho solo immaginato di avere una migliore amica più intelligente di quanto in realtà non sia.
- Cos’ha la mia felpa che non va?
È calda, morbida, comoda. Potrei dormirci con questa felpa.
- Niente, a parte che sei l’anonimità fatta a persona vestita così. Come pretendi che Potter ti noti?
- È un bel mondo il tuo, Allison, uno in cui James Potter fa caso a cosa indosso io. Solo che non è quello reale. 

*

Lizzie blatera qualche scusa di poca importanza, mentre io già sono china sul mio baule alla ricerca di qualcosa di adatto. Se non ci penso io, io e  Daniel saremo già al terzo figlio quando Lizzie riuscirà finalmente a strappare il primo appuntamento a Potter.
- Legati i capelli, così ti sistemo quelle occhiaie, - mormoro pensosa, frugando nel baule. Dopo qualche secondo di infruttuosa ricerca, afferro la mia gonna di panno nuova e la getto sul letto. – E sopra potresti metterci questa camicetta, che dici?
- Ma siamo in ritardo? - aggiungo sorpresa, sentendo dei passi veloci scendere le scale oltre la porta della camera. Non mi sembrava che fosse tardi per il duello, ma se la gente corre per le scale vuol dire che...
-Lizzie?
Non ricevendo risposta, alzo lo sguardo dal baule per poi posarlo sulla mia migliore amica. O almeno sul punto in cui dovrebbe esserci la mia migliore amica e in cui invece c’è solo aria.
- Stupida, – sospiro esasperata. Anche se in realtà al momento, mentre parlo da sola, mi sento un po’ io la stupida.
 
*
 
Quando arrivo trafelata in Sala Grande, senza la mia migliore amica ma con la mia felpail che è uno scambio equo, rinuncio immediatamente al proposito di avvicinarmi anche solo minimamente al palco. Non credevo che ad Hogwarts vivessero così tanti studenti. Non credevo che ad Hogwarts vivessero così tante ragazze. Ed ho come l’impressione che se provassi a superarne anche solo una per avvicinarmi di più al palco, non sopravvivrei. Chissà se il sovraffollamento della Sala Grande è dovuto solo alla strenua competizione tra Grifondoro e Serpeverde o se c’entra qualcosa anche il fatto che uno dei due sfidanti è uno dei ragazzi più popolari della scuola. In realtà può essere semplicemente perché nessuno vuole davvero perdersi il duello tra un Malandrino e la sua nemesi per eccellenza, Severus Piton. L’unico luogo della Sala in cui sembra esserci spazio anche per l’ossigeno, oltre che il palco, è quello riservato ai professori naturalmente, che, seduti sulle loro comode poltrone, osservano impassibili i propri studenti rischiare il soffocamento.
- Ciao Lizzie.
Pare che persino Remus Lupin, notoriamente uno dei migliori amici di James, abbia saggiamente deciso di non affrontare la folla accalcata nei pressi del palco e assistere al duello da un po’ più lontano, con il vantaggio di poter continuare a respirare.
- Ehy, anche a te il palco è sembrato un obiettivo irraggiungibile?
- Diciamo piuttosto che non me lo sono proprio posto come obiettivo: prima Sirius si è aperto un varco per arrivare alla sua postazione da cronista e avrei potuto seguirlo come ha fatto Peter, ma a parte il fatto che seguire Sirius va contro i miei principi, il mio istinto di sopravvivenza mi ha suggerito di tenermi a distanza di sicurezza da lì – replica lui, lanciando occhiate preoccupate che vanno da Black, già nella sua postazione e con il magi-megafono in mano, apparentemente impegnato a farsi ammonire dalla McGranitt, a James e Piton, che aspettano l’inizio del duello insieme ai professori, rigorosamente schierati dalle parti opposte.
A giudicare dalle occhiate di fuoco che si scambiano quando non sono impegnati ad ignorarsi, penso che l’istinto di sopravvivenza di Lupin non abbia torto.
- D’accordo gente, direi che ci siamo tutti, o comunque tutti quelli che può contenere la Sala Grande, quindi iniziamo. Questa sera sapremo finalmente a quale casa andranno i cento punti, ed anche la coppa di campione sì, ma di quella non importa nulla a nessuno, tranne che a James, quindi...mi scusi professoressa, intendevo dire oh Godric, che emozione, non sto più nella pelle: devo assolutamente sapere se la coppa finirà ad occupare spazio nella mia stanza o tra le bottigliette d’olio di Mocciosus, perché secondo me è impossibile che i suoi capelli siano così al naturale, sapete. 
Come Black riesca ogni volta ad ottenere il ruolo di cronista rimarrà sempre un mistero per me.
 
*
 
- Black. 
Per un attimo mi blocco, lanciando un’occhiata sorpresa alla McGranitt.
Notevole, davvero notevole.
Penso che abbia appena battuto il suo record personale con quel ringhio a metà tra il minaccioso e l’esasperato. Aveva un non so che di demoniaco, specie se unito alla scintilla assassina nello sguardo.
Oserei dire che si è quasi avvicinata al livello di mia madre.
Quasi però, nessuno può battere la megera: come pronuncia lei il mio nome nessun altro può farlo: non è un’impresa da niente inserire in sei semplici lettere odio, delusione, disprezzo, minaccia, esasperazione ed isterismo. Tanto isterismo.
Ci ho provato una volta, ma dev’essere una sua dote innata.
E comunque non ho più potuto esercitarmi: James mi ha preso in giro per quasi due settimane, quando mi ha beccato a parlare con il mio riflesso allo specchio.
Dicevo, finalmente sapremo a quale Casa andranno i cento punti e chi sarà il campione di Hogwarts: per la mitica e valorosa Grifondoro abbiamo il ladro di boxer, a proposito se qualcuno dovesse trovare...
- Black.
Altrimenti noto con il nome di James Potter. Per la già destinata al fallimento Serpeverde...
- Black.
- Abbiamo invece Mocciosus...
- Black!
- Altrimenti noto con il nome di Severus Piton. Credo.
La McGranitt mi sta confondendo: non è esattamente il massimo commentare un duello mentre qualcuno continua a ringhiarti il tuo nome nelle orecchie.
Mi chiedo perché non vada ad assistere al duello insieme agli altri professori. Questa è la postazione del cronista, che fino a prova contraria sono io.
‘Ed è proprio perché il cronista sei tu che la McGranitt resta qui’ mi sussurra la vocina saccente di Remus, da qualche parte dentro di me.
Maledetto Prefetto, riesce a rompere le pluffe anche quando a separarci c’è un orda intera di ragazzine esaltate.
Ora, chiaramente non è così difficile capire chi vincerà, ma sono certo che comunque sarà un piacere per tutti vedere l’umiliazione pubblica e per una volta autorizzata di Mocciosus. Ah, dimenticavo: come la cara professoressa McGranitt mi sta ricordando da circa mezzora, il vostro stupendo e fantastico cronista è Black. Quello simpatico.
- Black, - sibila inviperita la McGranitt, occhieggiando minacciosamente al mio megafono. Automaticamente aumento la presa su di esso, pronto a scattare in caso d’attacco: non mi fregherà anche stavolta. - Potrebbe almeno tentare di essere imparziale? -
E lei potrebbe almeno tentare di non interrompermi ogni cinque secondi?
In un mondo alternativo in cui lei non è la mia Capocasa, un altro me stesso le ha appena dato questa risposta.
Bene, prima iniziamo, prima possiamo tornarcene nelle nostre Sale Comuni a fare baldoria, a dormire. Andremo tutti a dormire ovviamente, nel massimo rispetto del regolamento. James, Piton, siete pregati di salire sul palco ed iniziare a scannarvi, grazie.
 
*
 
No, per favore, James no, non lo fare. Aspetta ancora un po’, ci sono quasi.
-Scusa, mi fai pass...
- VAI CAPITANO!
L’improvvisa assenza d’udito nel mio orecchio destro è la prima di quella che temo sarà una lunga serie di perdite e il grido lancinante del ragazzino accanto a me è il segnale.
Ignorando tutte le mie suppliche mentali, James è evidentemente salito sul palco, dando così inizio alla mia fine.
Avrei dovuto capirlo: è stato stupido continuare a sperare di potermi salvare, una volta resomi conto di essere rimasto intrappolato nel bel mezzo del James Potter fan club, mentre cercavo Alice nei pressi del palco. Beh, non è esattamente un fan club, diciamo che è più che altro l’insieme degli appassionati di Quidditch dei primi tre anni, che nutrono tutti, maschi e femmine, una profonda e smisurata venerazione per James e per le sue abilità da Cercatore. Se ci aggiungiamo il fatto che James è una di quelle mitologiche figure che sono per i primini gli studenti del sesto e del settimo anno e che è anche Capitano della squadra di Quidditch, beh, poco ci manca che bacino la terra su cui cammina. Vorrei far loro notare che anche io sono più grande di loro, anche io sono del sesto anno e anche io faccio parte della squadra di Quidditch, ma non è come se mi stessero cagando minimamente. Credo in realtà che una buona parte di loro sia convinta che se leccano abbastanza il culo del Capitano, lui li farà entrare in squadra, quindi è probabile che oltre a non rispettarmi minimamente, agognino anche l’ipotesi di fregarmi il mio posto da battitore. Chiaramente Alice non è qui, perché lei è una persona intelligente che si tiene lontana dai posti pericolosi, a differenza mia. E c’è una ragazza, sulla soglia della Sala Grande, separata da me da un’orda di ragazzine eccitate; è di fianco ad una folta chioma di capelli rossi, che sembrano proprio quelli di Evans e mi sta fulminando con gli occhi, facendomi segno di raggiungerla. Ciao Alice. Il problema è che non posso: come ho scoperto a mie spese negli ultimi dieci minuti, non solo i ragazzini appostati nei pressi del palco non fanno avanzare nessuno di un passo, ma non fanno nemmeno tornare indietro. Semplicemente impediscono qualsiasi movimento che non sia saltare su e giù, sbracciandosi per farsi notare. Ed io non ho intenzione di farlo. Per il momento l’unica cosa che ho intenzione di fare è mettermi le braccia sulla testa per pararmi dai colpi e dalle manate che mi stanno arrivando da ogni parte.
- Ehy, Frank, anche tu sei riuscito a guadagnarti un posto in prima fila? Grande!
Con l’improvvisa consapevolezza che la voce entusiasta che è riuscita a farsi sentire nonostante le grida eccitate dei membri del fan club di James appartiene a Peter Minus, svanisce anche il mio ultimo briciolo di speranza: assisterò alla finale Potter vs Piton nel bel mezzo del James Potter fan club e di fianco a Peter, che costituisce un James Potter fan club già di per sé.
E come se tutto ciò non bastasse, nel remoto caso in cui io riesca incredibilmente a sopravvivere, dovrò comunque affrontare la furia di Alice, che è convinta che io sia qui per adescare ingenue ragazzine.
Spero solo che finisca in fretta. 

*
 
Quando vedo James e Piton salire sul palco, scrutandosi torvi, prima di posizionarsi l’uno di fronte all’altro ad una distanza di quasi due metri, un ghigno malandrino mi affiora spontaneo alle labbra.
- I due sfidanti si diano la mano. Sì, professoressa, lo so che non è necessario, ma aumenta la solennità dalle situazione, si fidi.
E soddisfa la mia sete di vendetta.
James interrompe il contatto visivo con Piton per lanciarmi un’occhiataccia, ma poi è costretto a tornare a guardare male l’avversario: nella sua lista di priorità mostrare ostilità a Piton viene prima di qualsiasi altra cosa.
Il momento della stretta di mano tra i due è qualcosa che mi resterà impresso per sempre: raramente ho goduto tanto. Le espressioni disgustate di James e Piton mentre si stritolano a vicenda le mani sono un qualcosa di divino.
Come segno di rispetto e solidarietà tra case, ora suggerirei anche un bel bacino sulla guancia.
 
*
 
Come servigio all’umanità e alla mia fedina penale, suggerirei di allontanare il microfono da Sirius Black. Subito.
E Piton pare d’accordo con me, a giudicare dal livello di odio attualmente contenuto nei suoi occhietti neri. Stupido Serpeverde, come si permette di concordare con me e di guardare così il mio migliore amico? 
- D’accordo, d’accordo, professoressa, niente bacio, ha ragione: certe cose si fanno in privato. Se lo vorranno James e Piton si dimostreranno il loro affetto più tar...comunque, -  Sirius decide finalmente di dare un taglio ai suoi vaneggiamenti, quando la mia bacchetta si ritrova casualmente puntata su di lui.  Inchino, prego.
Dopo aver scoccato un’ultima occhiata ammonitrice a Sirius, mi volto di nuovo verso Piton e lentamente, molto lentamente, chino leggermente il busto in avanti, senza staccare gli occhi da lui, che fa lo stesso, impassibile.
- E si comincia. Tre, due, uno...via!
- Stupeficium! - scatto subito, ma con un rapido colpo di bacchetta Piton blocca il mio incantesimo e prima che io possa capire cosa diamine stia succedendo mi ritrovo steso a terra, completamente disorientato.
Questo non è un bell’inizio.
La voce di Sirius mi arriva alle orecchie ovattata e indistinta, così come le grida dei miei compagni. Tra le dita della mano destra sento di avere ancora la bacchetta e la stringo forte, mentre la strana sensazione di confusione inizia a diminuire.
Nello stesso istante in cui riesco finalmente ad aprire gli occhi, riprendendo contatto con la realtà, oltre a trovarmi sovrastato da Piton, che già di per sé non è affatto piacevole, mi sento stringere improvvisamente i polsi e le caviglie da qualcosa di viscido e scivoloso.
Faccio appena in tempo a voltare leggermente la testa verso destra e vedere dei grossi tentacoli violacei spuntare dal palco, prima che Piton mi punti la bacchetta al petto, guardandomi trionfante dall’alto. Merda.  

*

Alice continua a guardarmi di sfuggita, preoccupata, quando non è impegnata a lanciare occhiatacce a Frank, circondato da ragazzine dei primi anni e apparentemente impossibilitato a muoversi. Quando ho visto l’espressione quasi disperata del mio amico, ho sorriso per la prima volta da quando sono uscita dall’ufficio di Silente, stupendomi di essere ancora in grado di farlo.
È stato fugace e le mie labbra si sono ricomposte quasi subito, ma per un attimo ho sorriso.
La Sala affollata, contrariamente a quanto sosteneva Alice, è un perfetto ritorno alla realtà: tutte le teste sono puntate verso il palco, nessuno fa caso a me, nessuno che mi chieda che fine ho fatto.
Posso stare qui anche senza esserci davvero.
Senza contare che sul palco c’è Potter che si contorce inutilmente, nel vano tentativo di liberarsi dai tentacoli, per una volta senza quel sorrisetto irritante che ha sempre. Allora non ce l’hai davvero incollato alle labbra, mh? 
Dovrebbe essere più piacevole di così, vedere quell’arrogante a terra, completamente in balia di quella che è sempre stata la sua vittima.
Dovrei considerarla una sorta di giustizia divina, perché anche se non sono stata io, Potter è stato comunque rimesso al suo posto, di fronte a tutti.
Ma la verità è che per un attimo, al viso di Severus che torreggia su Potter, la bacchetta puntata al suo petto, si sovrappone una maschera perlacea e tutto quello che riesco a provare, guardando la scena, è un’ansia viscerale.
Guardo un banale duello scolastico, combattuto di fronte a tutta la scuola e ai professori, e vedo la guerra.
Guardo quello che una volta era il mio migliore amico e vedo un Mangiamorte.
E vedere Potter umiliato passa in secondo piano.
Una parte di me spera che si rialzi e disarmi Severus, perché sul viso arrogante di Potter, che pure continuo ad odiare così tanto, non riesco a immaginare nessuna maschera bianca.
 


 

 

 

 

 


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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


 

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CAPITOLO 10.

 

 

 

 

 

 

 

- Everte Statim!
Finalmente, dopo l’ennesimo strattone, riesco a spostare il polso quel tanto che mi basta a puntare la bacchetta su Piton che, preso alla sprovvista, non riesce a finire di pronunciare il suo incantesimo e viene sbalzato a terra a qualche metro da me. Immediatamente sento i tentacoli o qualunque cosa siano indebolire leggermente la presa e con un ultimo, energico strattone riesco a liberarmi del tutto la mano destra.
- Diffindo, - mormoro velocemente, puntando la bacchetta sugli altri tentacoli e riuscendo finalmente ad alzarmi.  
- Levicorpus, aggiungo subito rapido, rendendomi conto che Piton non si è ancora rialzato.
Così va decisamente meglio.
- Non senti anche tu come una sensazione di déjà-vu, Mocciosus? – ghigno malevolo, avvicinandomi lentamente al suo viso capovolto e accaldato.
- Serpensortia! 
Questa non è una risposta.
La serpe smeraldina appena comparsa ai miei piedi si getta immediatamente contro di me ed io faccio appena in tempo ad indietreggiare di colpo ed evocare uno scudo protettivo. La serpe non è l’unica cosa ad essere respinta, infatti sulla barriera magica si infrange anche unoStupeficium di Piton, che evidentemente ha approfittato della mia distrazione per liberarsi.
- Adversus, - grido puntando la bacchetta sulla serpe, mentre Piton si rialza faticosamente da terra. Immediatamente il serpente si allontana da me, strisciando verso il suo stesso evocatore. Vediamo se una serpe può morderne un’altra.  
 
*
 
- Cosa credi che stia succedendo?- chiedo, alzandomi sulle punte dei piedi per vedere il palco, da cui mi separa qualcosa come mezza Hogwarts.
- Penso che Frank stia soffocando, - replica Lupin, fissando assorto un punto al centro di un folto gruppo di ragazzini.
- Paciock è là in mezzo? Santo Godric. Comunque intendevo cosa sta succedendo sul palco. Sai, il duello, - preciso, anche se in realtà è comprensibile che nella lista di priorità di Lupin la vicina morte di un nostro compagno venga prima del duello.
Peccato che le priorità del resto della scuola siano, evidentemente, diverse da quelle di Lupin.
- Oh quello. Onestamente non ne ho idea, credo che per scoprirlo dovremo aspettare che Sirius smetta di insultare mentalmente Piton e si ricordi di essere il cronista, iniziando ad insultarlo ad alta voce. Spero solo che James non si dimentichi, come al solito, di essere nel bel mezzo di un duello, perché questa volta è contro Piton, che non è esattamente Kate Logan.
Certo che no. C’è una notevole differenza tra Piton e Kate Logan, che si potrebbe riassumere con igiene personale e cervello. Piton ha l’uno e Logan l’altra.Quindi Lupin ha ragione: è preferibile che James si ricordi dove si trova e perché: penso che perdendo un braccio o due, perderebbe anche parte del suo fascino. Anche se io potrei portargli i libri. E questo significherebbe stare più tempo con lui.
- Lizzie?
- Non sto sperando che Piton ferisca gravemente James, davvero.
Dovrei imparare a chiudere la bocca qualche volta.
E l’espressione perplessa di Lupin me lo conferma.
- Non pensavo che tu lo stessi facendo.
-Bene, - dico. – Perché non lo stavo facendo.
- D’accordo.
- Perfetto.
- E giusto perché tu lo sappia, io non ho mai sperato che un meteorite cadesse su Hogwarts in modo da fermare il duello.
- Ok.
- Bene.
- Fantastico.
- Credo che sia meglio per entrambi dimenticare questa conversazione.
Ottima idea, Lupin. 
- Sì, vai così! Mordilo, mordilo, forzaAzzannal...ora non esageri, professoressa, aizzare mi sembra esagerato. Non è come se la serpe potesse capire quello che dico e accettare i miei consigli. Comunque sia, non può sentirmi ora, dato che Piton l’ha appena fatta evanescere. Credo che lei gliene sia grata però, dubito che fosse una prospettiva allettante quella di mordere Mocciosus: l’unto sarebbe entrato in circolazione in pochi secondi e la morte sarebbe stata dolorosa e inevitabile.
  
*
 
Mentre Piton fulmina Sirius con un’occhiataccia, io gli punto fulmineo la bacchetta contro.
- Aguamenti!
Immediatamente un forte getto trasparente esce dalla punta della mia bacchetta e lo colpisce in piena faccia.
- Questa, Mocciosus, - esordisco ghignante, mentre Piton cade in ginocchio tentando inutilmente di pararsi – È acqua. Serve a lavarsi, verbo a te evidentemente sconosciuto.
 
*
 
- Stiamo assistendo all’eroico tentativo di James di riuscire nella missione in cui tanti, prima tra tutti la madre di Piton, hanno fallito: convincerlo a lavarsi. Ma ti serve anche lo shampoo, James! No, non posso stare zitto professoressa, non ha visto i suoi capelli? Senza shampoo l’unto non se ne andrà mai.
Per la prima volta da quando è iniziato il duello vorrei essere più vicino al palco per poter vedere cosa sta succedendo.
Nel sentire le parole di Sirius, per un attimo mi è passata nella mente l’immagine di James che evoca una doccia e tenta di schiaffarci dentro Piton. Spero davvero che non stia accadendo sul serio questo, perché non sarebbe dignitoso.
- Cosa credi che intenda dire Black con sta cercando di convincerlo a lavarsi? - chiede incerta Lizzie, accanto a me. Non so perché se ne stia qui a parlare con me, invece che cercare qualche sua amica, dato che non abbiamo questa grande confidenza.
Voglio dire, l’ultima volta che l’ho vista era entrata di nascosto nella mia camera. Ma è stata anche la volta in cui mi ha riempito di cioccolata e questo è positivo.
- Non pensarci, è meglio.
  
*
 
- Deforgio!
Nonostante il getto che continua a colpirlo proprio in faccia, a scapito dei suoi tentativi di sfuggirgli, Piton riesce tra gli schizzi a pronunciare un incantesimo ed io sono costretto a levare la bacchetta di fronte a me per difendermi, cessando di far uscire l’acqua.
- Le lezioni di igiene per oggi sembrano essere terminate, infatti Piton è riuscito a lanciare un incantesimo e James ha evocato unProtego. Un inutile Protego, dato che Piton deve avere la vista un po’ annacquata e ha mirato praticamente al pavimento del palco.Oh. Forse Piton non ha la vista proprio così annacquata.
 No, infatti.
A giudicare dal fatto che sto letteralmente sprofondando nel palco, direi che Mocciosus purtroppo ci vede ancora benissimo.
Quando tento di alzare un piede, mi rendo conto che ovviamente non ci riesco: sono come incollato.
- Finite Incantatem, - esclamo deciso, puntando la bacchetta a terra, ormai immerso fino alle caviglie in quello che una volta era un normalissimo palco e che a causa di un’improvvisa crisi esistenziale sembra aver appena deciso di preferire trasformarsi in sabbie mobili, almeno nel tratto sotto di me. Naturalmente il palco ha deciso anche di dare retta agli incantesimi di Mocciosus, ma di ignorare allegramente i miei. Fantastico.
- Che c’è, Potter? Ti sta crollando il piedistallo sotto i piedi? - sibila sprezzante Piton, appena rialzatosi ed avvicinandosi lentamente a me, bacchetta alzata e l’acqua che gli sgocciola ancora dal naso. - Ti abbassi all’altezza di noi comuni mortali finalmente?
- Le situazioni si sono ribaltate e Piton tiene sotto tiro James, che d’altro canto ci sta fornendo una perfetta dimostrazione di quello che si dice sprofondare dalla vergogna.
Sì, Sirius, sfotti pure, tranquillo, il tuo migliore amico sta solo venendo divorato da un palco tanto, che sarà mai.
- Veramente dovrei abbassarmi ancora un po’ per arrivare alla tua altezza, Mocciosus, - replico con un ghigno arrogante, fingendo di non essere per niente turbato dal fatto che tra poco sparirò nelle profondità della terra.
Piton socchiude gli occhi freddamente, prima di alzare la bacchetta.
- Stupeficium!
- Exturno!
L’incantesimo più o meno volontariamente insegnatomi da Evans fa rimbalzare contro Piton il suo stesso Stupeficium, che viene però schivato per un soffio dal Serpeverde. Incrociamo gli occhi per una frazione di secondo, prima di alzare contemporaneamente le bacchette:
- Confringo!
- Impedimenta!
Entrambi gli incantesimi, gridati nel medesimo istante, vanno a segno e mentre Piton vola a terra ed il pavimento del palco torna al suo stato originale, rigettandomi fuori per fortuna, attorno a me appare una strana sostanza scura e appiccicosa, dall’odore penetrante.
Nella caduta Piton pare aver perso un po’ d’olio e non sembra esattamente la cosa più innocua in questa stanza.
Qualcosa, e non la voce di Sirius, mi dice che è meglio non toccare la strana sostanza marroncina, qualunque cosa sia, così ben attento a non muovere di un millimetro le gambe, punto la bacchetta a terra, pronto a farla sparire. Ma evidentemente lo faccio nello stesso momento in cui Piton punta la sua su di meperché prima che io possa farla evanescere, una forza invisibile mi spinge a terra con forza, facendomi cadere in ginocchio proprio su di essa. E il fatto che la sostanza esplode è la conferma che avevo ragione: sarebbe stato meglio non toccarla. Non sarà olio, ma il contatto con essa non è più piacevole di quanto lo sarebbe rovesciarsi addosso una pentola d’olio bollente e la pelle delle mie braccia, ora dello stesso colore del sangue che presto farò versare a Piton, ne sa qualcosa. Proprio mentre cerco di rialzarmi, sono costretto a parare un Pietrificus Totalus di Piton, che rivela la sua vena sadica nel volermi far cadere immobile e di faccia su quella cosa. Per fortuna i miei riflessi mi salvano ed io riesco a pararmi giusto in tempo, ma nell’evocare il Protegoperdo il mio già precario equilibrio e la mia mano sinistra entra di nuovo in contatto con la sostanza bollente. Piton sembra eccessivamente compiaciuto della mia espressione sofferente ed io sto iniziando ad incazzarmi sul serio.
- Lubris!
È con infinita soddisfazione che osservo Piton scivolare sull’olio appena apparso ai suoi piedi e dare una culata per terra.
- Vedi che succede a non lavarti i capelli, Mocciosus?- ghigno sprezzante, mentre riesco finalmente a rialzarmi, la bacchetta puntata su di lui. – Ora, se permetti, mi diverto un po’ io. Gratta e Netta.
Immediatamente della schiuma rosa inizia a fuoriuscire dalle labbra di Piton, che diventa sempre più rosso, non so se per l’umiliazione o per la mancanza d’aria. Entrambe suppongo.
Vendetta, dolce vendetta.  
Piton si porta una mano alla gola, gli occhi lucidi, ed io mi concedo una veloce occhiata al pubblico, diviso tra mormorii preoccupati e risatine. I miei occhi si posano su una chioma rossa proprio all’ingresso della Sala Grande: a quanto pare Evans non è stata rapita dagli alieni. 
- È ammirabile quanto tu abbia a cuore l’igiene di Piton, James, ma che ne dici di disarmarlo e vincere? Tanto i suoi denti non saranno mai puliti.
La folla è percorsa da una comune risata questa volta ed io sono sicuro che da qualche parte, lì in mezzo, Remus si starà maledicendo per essere d’accordo con Sirius: in effetti sarebbe proprio il caso di finirla qui.
Solo che Evans mi sta guardando. 
Improvvisamente mi ritorna alla mente quel pomeriggio dopo i GUFO, prima dell’estate: Piton alla mia mercé, Sirius, la folla che ride, gli occhi di Evans puntati su di me con lo stesso disprezzo di sempre.
E non è solo il fatto che esiste.
Non è solo che è immerso fino al collo nelle arti oscure e io le detesto. Non è solo che Evans non mi ha mai guardato come guardava lui.  
Non è nemmeno il fatto che già posso vedere il teschio sul suo avambraccio come se fosse vero. Non è niente di tutto questo.
È il fatto che non è stupido, è maledettamente scaltro in realtà, e non fa altro che osservare, e sa esattamente dove colpire i miei amici per fare male. 
Ibrido. Traditore del sangue. Nullità.
È il fatto che è dal primo anno che tento di convincerli che non significa assolutamente nulla, ed i Malandrini sono bravi tutti a fingere, ma non basta perché quelle parole gli scivolino completamente di dosso ed ogni volta restano incagliate da qualche parte, nei loro occhi.
E quello sguardo sul viso dei miei amici è anche l’unico modo in cui Piton può colpire me e lo sa perfettamente.
Lo odio nello stesso identico modo in cui odio Fenrir Greyback e la famiglia Black. Come odio solo chi riesce a toccare i Malandrini.
E non mi importa di rischiare la vittoria, se questo significa continuare ad umiliarlo.
- Finite Incantatem.
Un piccolo movimento della mia bacchetta verso il basso e dalla bocca di Piton cessa di uscire schiuma colorata, a parte qualche piccola bolla superstite. Lo guardo rimettersi seduto e tossire, prima di puntare nuovamente la bacchetta su di lui.  
- In...
- Deprimo! 
Il fascio di luce viola scuro mi colpisce in pieno prima che io riesca a finire di pronunciare l’incantesimo. Per un attimo resto senza fiato, mentre incrocio gli occhi trionfanti di Piton che si rialza a fatica, poi una morsa di dolore mi stringe il petto ed io cado in ginocchio con un gemito, stringendo i denti.
 
*
 
- Che succede? Che succede? Cosa diavolo sta succedendo?
No, non sono calma, avete ragione.
E sì, sono isterica, avete nuovamente ragione.
Ma vi darei ragione altre mille volte e su qualsiasi cosa pur di sapere cosa diavolo sta succedendo su quel palco.
Perché il pubblico vero e proprio, ovvero quello che riesce effettivamente a seguire il duello, ha smesso di incitare con gridolini e improbabili coretti i due avversari e si è fatto di colpo più silenzioso.
E per quanto non fossero graditi dalle mie orecchie i suddetti cori e i suddetti gridolini, erano comunque meglio del brusio spaventato che li ha sostituiti.
Tranne nel caso di Minus, che in realtà sta continuando a strillare in maniera ambigua, non più eccitata, ma isterica.
Ed in un qualunque altro momento mi preoccuperei, mi ucciderei, rendendomi conto di aver appena strillato nello stesso modo di Minus, ma ora me ne frego.
Perché la cosa più preoccupante è che Black ha trattenuto rumorosamente il fiato nel magi-megafono e si è zittito. 
Black.
Lo stesso Black a cui è umanamente impossibile togliere la parola, che tu sia un professore o un mostro a tre teste. Lo stesso Black che ha sempre qualche battutina sarcastica da fare. Lo stesso Black che non è mai stato zitto in sei anni di Hogwarts.
Proprio quel Black.
E se su quel palco sta succedendo qualcosa capace di zittire Black, e sta succedendo a Jamesio devo vederla.
Anche a costo di turbare l’attuale quiete di Lupin.
 
*
 
Il silenzio sconcertante di Sirius e il brusio dell’intera Sala mi hanno appena indotto a credere che Piton stia seriamente cercando di uccidere James, quando qualcuno tenta seriamente di uccidere me.
A giudicare dai ciuffi biondi che mi sono svolazzati davanti agli occhi direi che è Lizzie quella che mi è appena saltata addosso, avvinghiandomisi ai fianchi con le gambe. O forse è Lucius Malfoy, anche se lui ha lasciato Hogwarts tre anni fa.
O ancora qualcuno che mi è saltato addosso e mi ha contemporaneamente infilato in testa una parrucca bionda, ma spero vivamente che non sia così, perché questo mi renderebbe anche ridicolo oltre che morto.
Perché sto per morire sì, dato che non è possibile vivere senza ossigeno ed al momento i miei polmoni ne sono decisamente a corto, a causa delle braccia avvinghiate al mio collo.
Mi chiedo cosa sarebbe opportuno fare ora.
Potrei tentare un approccio gentile con il mio assalitore, chiedergli quali sono i miei comportamenti che gli danno così fastidio da indurlo a eliminarmi fisicamente e vedere se posso fare qualcosa per correggerli. Potremmo giungere ad un compromesso.
Ma non penso di avere abbastanza fiato per sostenere una conversazione così lunga. Al momento penso di averne a sufficienza solo per una parola.
- Emm.
Non credo sia stata la scelta più giusta.
Ma non riesco a pensare molto lucidamente al momento.
- Ahi.
Oh, a quanto pare avevo il fiato per due parole.
 Della seconda scelta sono soddisfatto: è senza dubbio la cosa più logica da dire quando delle unghie ti si conficcano nella spalla destra.
Sarebbe lo stesso anche se si conficcassero nella sinistra, certo. Non è questo il punto. Il punto è che sto soffocando. E non so nemmeno quali miei comportamenti possano aver dato fastidio alla cosa che mi sta uccidendo. Cosa che ora sta ringhiando.
- Piton. 
Piton?
Oh no, io sono Remus Lupin, stai uccidendo la persona sbagliata.
- Piton. 
È colpa del mio naso.
Piton ha il naso grande, io ho il naso grande, quindi uccidere me equivale ad uccidere Piton.
 
*
 
Quando mi fiondo nella Sala Grande, tremendamente in ritardo, la prima cosa che noto è l’insolito silenzio nel quale è immersa.
La seconda è la felpa larga e slabbrata di Lizzie, che mi fa storcere il naso.
E la terza è il fatto che suddetta Lizzie è avviluppata come una scimmia a Remus Lupin, prefetto di Grifondoro ed uno dei migliori amici di Potter.
Quindi i suoi tentativi di conquistare James servivano solo ad arrivare a Lupin? Interessante.   
Un sorrisetto mi si dipinge sulle labbra, ma improvvisamente alcuni dubbi mi colgono: davvero pensa che quello sia il modo giusto per conquistare un ragazzo?
Non mi sembra che stia funzionando e a giudicare dal colorito di Lupin potrebbe svenire da un momento all’altro.
E poi perché ha quell’espressione assassina puntata sul palco in cui Piton sta...oh. Ora capisco.
 
*
 
- Sai, Lizzie, avrebbero dovuto dirtelo i tuoi anni fa, ma meglio tardi che mai: sei una strega.
Allison ha ragione: sono una strega.
Ed una strega può uccidere.
Una strega può uccidere Piton.
- E uno dei privilegi che comporta l’essere una strega è quello di poter tranquillamente evocare una sedia e salirci sopra, in modo da non rischiare di uccidere un tuo compagno per assistere ad un duello.
Evocare una sedia. Non saltare addosso a Remus Lupin.
Sì, sembra una cosa astuta. 
 
*
 
Improvvisamente l’ossigeno riesce a farsi strada nel mio corpo. 
Chiunque stesse tentando di uccidermi deve aver avuto pietà oppure si è reso conto che non sono Severus Piton e mi ha lasciato.
È una strana sensazione respirare di nuovo. Una bella sensazione.
A quanto pare non morirò oggi: la cosa mi rallegra non poco. Non ho preso appunti a tutto spiano durante tutte le ultime lezioni di Storia Della Magia per poi saltare il compito che ci sarà tra poco.
- Stai bene Lupin?
Una voce squillante mi distoglie dai miei pensieri e quando alzo lo sguardo incrocio quello castano di una Grifondoro del mio anno con i lunghi capelli scuri acconciati in una treccia. So perfettamente di chi si tratta, dato che non sono poche le volte in cui durante i miei turni di ronda la trovo imboscata da qualche parte con il suo ragazzo: Allison Sanders.
- Relativamente, grazie. Sai per caso chi ha appena tentato di uccidermi? - chiedo, riflettendo sul fatto che potrebbe benissimo essere stata lei.
Un prefetto in meno, più possibilità per una Grifondoro e un Corvonero di incontrarsi clandestinamente oltre il coprifuoco. Solo che non mi spiego la parrucca bionda.
- Lizzie. Ma sono certa che non lo ha fatto apposta. Quando ricomincerà a ragionare lucidamente, ammesso che questo accada, se ne pentirà e ti chiederà scusa cambiando mille tonalità diverse, - dice annoiata, accennandomi con il capo alla sua amica. – È un po’ agitata al momento.
Io sposto lentamente lo sguardo da Allison a Lizzie che, in piedi su una sedia spuntata da chissà dove, sembra davvero tanto agitata.
E mentre mi massaggio la spalla indolenzita nel punto in cui lei deve aver conficcato le sue infide unghie da ragazza, penso che avevo avuto ragione la prima volta che l’ho vista.
Che penetri o meno di nascosto nella mia stanza, questa Lizzie Carson resta pericolosa.

 
*

 
È già da qualche istante che gli esseri attorno a me si sono fermati.
È già da qualche istante che mi sono reso conto di essere ancora vivo.
Ma quello che mi chiedo ora è perché.
Non che mi dispiaccia, ma il duello non può essere finito. Se così fosse me ne sarei accorto: vi ricordo che sono circondato dal James Potter fan club.
E allora perché si sono fermati?
Perché non sento più nessun rumore, oltre ad un verso davvero inquietante proveniente dalla mia destra?
L’unico modo per scoprirlo è tirare fuori il mio coraggio da Grifondoro, togliermi le braccia da sopra la testa ed aprire gli occhi. Magari tra poco lo farò.
Frank! È così che ti ho insegnato ad affrontare le difficoltà? Rispondi!
Ah, e tu vorresti diventare un Auror? Certo, come no!  
Apro gli occhi di scatto, terrorizzato.
La voce di mia madre e quella di Alice sono esplose nella mia mente all’improvviso, rimbombando. Spero sinceramente che questo sia un incantesimo inventato da mia madre per tormentarmi anche quando non è presente fisicamente, perché se la mia coscienza ha due voci ed ha quelle due voci, allora sono un uomo finito.
- Godric, Godric, James.
Peter Minus, al mio fianco, interrompe i suoi versi non ben identificati per esprimere la sua ansia tramite queste tre acute, perforanti ed isteriche parole, facendomi sobbalzare.
A questo punto mi decido a puntare lo sguardo sul palco e finalmente capisco come mai tutti attorno a me si sono immobilizzati: James è a terra e sembra far fatica a respirare, mentre Piton sorride trionfante, la bacchetta puntata sul suo nemico di sempre.
 
*

 
Nella Sala è sceso il silenzio, le ochette starnazzanti che fino a pochi secondi fa incitavano Potter ora non fiatano e, cosa ancora più appagante, persino Black ha smesso di dare inutilmente aria alla bocca.
Mi sento straordinariamente bene in questo momento, la bacchetta puntata su Potter, sofferente ai miei piedi, dov’è giusto che stia. Gli occhi di tutti puntati su di me mi inebriano, dandomi una sensazione di potenza. E la consapevolezza che anche i suoi occhi mi stanno guardando mi esalta ancora di più. Finalmente vedrà chi è il migliore.
- Che c’è Potter, non sei più così bravo senza Black a pararti le spalle?- sibilo trionfante, godendomi ogni suo lineamento contratto, i pugni chiusi, le labbra strette l’una contro l’altra. Godendomi ogni minima traccia di dolore.
Per una volta i ruoli si sono invertiti. Per una volta sono io a prendermi gioco di lui, ad umiliarlo.
Ho sempre creduto che non avrei mai odiato qualcuno quanto mio padre, ma quando ho iniziato Hogwarts e ho conosciuto James Potter, ho imparato a ricredermi. Quei maledetti capelli sempre scompigliati, nei quali passa continuamente la mano per arruffarli ulteriormente, credendosi qualcosa di più dello stupido ed immaturo ragazzino qual è. Le labbra sempre stese in quel maledetto ghigno di superiorità, il sorriso sprezzante di chi sa di essere migliore di te. Di chi si crede un grand’uomo solo perché mezza scuola ha un debole per lui e i colori della sua divisa sono il rosso e l’oro invece del verde e dell’argento. La sicurezza di chi si crede imbattibile solo perché tutti gli hanno sempre dato quello che voleva, solo perché non si è mai trovato faccia a faccia con il vero dolore. E pensa di poterlo sopportare, solo perché non ha la minima idea di cosa sia.
Illuso. 
È solo un ragazzino viziato e là fuori se ne accorgerà. Quelli come lui e i suoi stupidi amici, i malandrini, saranno i primi a crollare. E quando loro si renderanno conto di non essere proprio un bel niente, io sarò lì a vederli cadere. Riderò di loro proprio come loro hanno sempre riso di me. E tutti potranno vedere chi vale davvero di più nel mondo vero.
Un sorriso trionfante mi si dipinge in volto: sono pronto a mettere fine al duello.

 
*

 
Stringo forte i denti cercando di non farmi sfuggire nessun gemito, non di fronte a Piton.  Respiro affannato e riesco a malapena a stringere la bacchetta tra le mani: se la lasciassi, equivarrebbe ad arrendersi.
Ed anche se a questo punto vincere mi sembra impossibile, non ho nessuna intenzione di piegarmi.
Almeno che sia lui a disarmarmi.
Lo vedo fare un passo in avanti ed alzo a fatica la testa, rassegnato.
Ma poi le sue labbra si piegano in un sorriso trionfante e le mie dita si stringono con forza attorno alla bacchetta.  
Perché la vista di Piton felice è più insopportabile del dolore sordo al petto.


 Non mi serve il tuo aiuto, piccola schifosa Mezzosangue.


Raccolgo le ultime forze e con uno scatto gli punto la bacchetta contro, gridando a pieni polmoni lo Schiantesimo.

 
*

 
La bocca mi si spalanca, a due centimetri dal megafono, ma non ho intenzione di dire nulla. O meglio, non ho la capacità di dire nulla.
L’unica cosa che riesco a fare vedendo Piton atterrare svenuto fuori dal palco, è gettare il magi-megafono da qualche parte e iniziare a correre come un pazzo verso il suddetto palco. Urlando.
Come tutti del resto.
 
*
 
- Ha vinto, - grido esaltata, spiccando un salto sulla sedia e riatterrando per miracolo su di essa –James ha vinto!
Stavo giusto per ribadire per la terza volta il concetto, nel caso qualcuno in Sala non se ne fosse ancora accorto, quando un’ondata di ragazzini urlanti mi travolge, rovesciandomi con tanto di sedia.
Fortunatamente per me e sfortunatamente per luil’ondata barbarica di studenti nella sua folla ed assolutamente senza alcun senso corsa ha trascinato anche un innocente Frank Paciock che mi fa da base d’atterraggio.
Peccato che Allison abbia un equilibrio quasi peggiore del mio ed inciampando e poi atterrando sulla sottoscritta, trascina con sé anche Lupin.
Lupin.
Sedia. Lupin.
Oh Godric.
Penso di dovergli delle scuse. 

 
*
 

Non so bene cosa sia successo.
James ha schiantato Piton  e poi il caos.
Se per una frazione di secondo mi ero quasi dimenticato di trovarmi nel bel mezzo del James Potter fan club, beh me ne sono ricordato dopo.
All’incirca quando gli psicopatici attorno a me hanno iniziato ad urlare come arpie, per poi saltare e correre e...e perché ora sono schiacciato a terra con qualcosa di estremamente pesante sopra?
- Lupin, sei lassù? Tu ed Allison mi state schiacciando, ma nonostante questo penso di doverti delle scuse.
La voce femminile che ha appena parlato proviene da sopra di me ed io sento il bisogno di farle notare il mio non essere Lupin e la mia futura morte per soffocamento.
- Non sono Lupin. E sto per morire.
- Oh Paciock, scusa anche a te. Anche io sto per morire, che coincidenza. Soffocamento anche tu? - mi chiede la stessa voce di prima, sfiatata, ma un po’ troppo allegra per la situazione tragica in cui ci troviamo.
- Sì. Mi alzerei e mi salverei se tu non fossi su di me - ci tengo a precisare.
- Mi farebbe piacere se tu ti salvassi, Paciock. E mi alzerei, davvero. Ma penso che ci siano due persone sopra di me - ribatte la voce sempre più sfiatata, mentre io penso che da un momento all’altro passerò attraverso il pavimento e precipiterò nelle cucine.
- Veramente hai tre persone sopra, Lizzie. E sì, mi devi delle scuse. A me, ai miei polmoni e alla mia spalla sinistra, - Questa mi sembra la voce di Remus, ma è così tanto più in alto di me. - Però penso di aver appena ucciso la tua amica in collaborazione con la persona sopra di me, quindi posso perdonarti.
-No, sono viva, – esordisce flebilmente un’altra voce femminile, qualche corpo più in su del mio.
- Certo che sei viva, chiunque tu sia, – affermo pratico. – Sarò io il primo a morire.
-Pensate che ci faranno una statua? – chiede la prima voce ad aver parlato. Lizzie, a quanto pare. –Per ricordarci, sapete.
- Penso che non sarebbe un bello spettacolo. I nostri corpi sarebbero tutti un po’ spiaccicati e aggrovigliati e...posso sapere chi c’è sopra di me?
- Matt Douglas, primo anno, - esordisce una vocina da bambino molto, molto lontana. – Volevo presentarmi al Capitano, così magari il prossimo anno mi fa entrare in squadra come battitore, ma sono rimasto intrappolato qui.
-Piacere Matt, – dicono tutti in coro, tranne me, perché in questo momento non parlerei mai di piacere, senza contare che quel nanerottolo vuole fregarmi il posto in squadra. Proprio come pensavo, piccoli mostriciattoli profittatori.
- Matt, caro, non potresti scendere, dato che sei in cima?- chiede la voce femminile più lontana da me, suonando vagamente minacciosa.
- È alto.
È alto. Morirò perché è alto. 
-Qualcuno ci aiuti! - tento di gridare, producendo giusto un sibilo strano che in mezzo alle grida festanti di tutti nessuno sentirebbe.
- Che diavolo ci fai appiccicato a quella biondina?
Nessuno tranne Alice.
 
*
 
Sto ancora fissando imbambolata il palco, incredula per l’improvviso capovolgimento delle sorti del duello, quando Alice emette un sibilo assassino in prossimità del mio orecchio. Mi volto perplessa verso di lei, appena in tempo per vederla dirigersi a passo di marcia e con gli occhi scintillanti verso Frank.
Verso Frank e verso le quattro persone che sono impilate sopra di lui.
Il mio spirito da Prefetto mi spinge ad andare con lei, giusto per trovare tra quei corpi anche il mio collega, affetto da un principio di soffocamento.
Mi chiedo quali siano i criteri per la scelta dei Prefetti, perché io non riesco a capire.
 
*
 
- Che stai facendo, Lupin?
A fatica riesco a girare il collo per guardare in faccia Evans, sopracciglio alzato ed espressione sconcertata.
Prima di risponderle, mi chiedo se sarebbe una cosa tanto scorretta scrollare le spalle e far cadere il primino che si tiene aggrappato a me.
Solo perché Frank sta per morire, mica per altro.
- Io, stavo solo, sai, dando una mano.
Il sopracciglio di Evans si alza ancora di più ed io mi sento stranamente a disagio.
- Prima ti trovo circondato da ragazzine del primo anno, ora steso a terra con una ragazza...
- Piacere, Lizzie.
- Alice, piacere. Con una ragazza spiaccicata addosso! Si può sapere che stai combinando?
Ma sicuramente devo sentirmi meglio di Frank.
 
*
 
Il corpo di Piton tocca terra, atterrando fuori dal palco dopo un volo di due metri, e la Sala Grande esplode in un boato. Le grida e gli applausi dei miei compagni coprono il rumore di cento rubini fiammanti che scendono nella clessidra di Grifondoro, aumentando drasticamente il nostro punteggio. Vedendo Madama Chips far rinvenire Piton con un colpo di bacchetta, mi rendo conto di aver vinto ed incrociando gli occhi furenti del Serpeverde ghigno sprezzante, felice di averlo battuto ancora una volta. La rabbia negli occhi di Mocciosus è tanta che per un attimo mi aspetto afferri la bacchetta per colpirmi, ma poi abbassa lo sguardo, nello stesso momento in cui io sono costretto a distogliere il mio, causa improvviso e sgradito rialzamento dal suolo. Del resto udendo l’amplificata voce della McGranitt proclamarmi vincitore del Torneo, avrei dovuto chiedermi come mai il magimegafono magico si trovasse tra le mani della professoressa e non tra quelle del mio migliore amico. A quel punto sarebbe stato facile intuire che da un momento all’altro il corpo di Sirius Black si sarebbe schiantato con forza disumana contro il mio e che in seguito sarei stato sollevato in aria da suddetto Sirius Black, perdendo così la facoltà di respirare recentemente riacquistata. Quando i miei piedi toccano nuovamente terra e mi ritrovo di fronte il viso entusiasta di Sirius, ricambio raggiante il suo sorriso, abbracciandolo. Forte. Giusto per far comprendere anche a lui l’importanza della presenza d’ossigeno nei polmoni.
- Hai vinto, James!-  mi informa Sirius eccitato.
- Avevi dubbi? - ghigno malandrino, prima di rivolgere la mia attenzione alla McGranitt, che ha appena sventato un’impetuosa incursione di un folto gruppo di studenti del primo anno sul palco.  
- Silenzio, per favore. Datevi una calmata, tutti quanti. Allora, dal momento che il signor Black ha abbandonato il suo ruolo di cronista  per esternare la sua approvazione per l’esito del duello - inizia la McGranitt accigliata, ma prima che possa continuare realizzo che Sirius non è più accanto a me. E penso che la McGranitt non sia particolarmente contenta del fatto che ora il magi-megafono è di nuovo tra le mani del mio migliore amico.
- Sono tornato, ragazzi, tranquilli: so che non potreste vivere senza le mie fantastiche e perfette telecronache – esordisce allegramente.
Oh certo, come fare a meno di un cronista che, troppo preso dai fatti, si dimentica di commentare tutta l’ultima parte di un duello?
- Come l’egregia professoressa McGranitt vi ha gentilmente annunciato in mia vece, James, com’era naturale, ha vinto. E così Grifondoro guadagna cento punti, distanziando di molto la povera, sconfitta e perdente, - Un tentativo della McGranitt di strappare il magi-megafono a Sirius va a vuoto. -  umiliata Serpeverde. Ma che peccato.
Un ghigno mi si allarga sulle labbra, mentre i Serpeverde rumoreggiano infastiditi, ma ampiamente sovrastati dai Grifondoro.
Noi rosso-oro siamo leggermente inclini ad esternare la nostra gioia in modo un tantino troppo entusiasta, a detta della McGranitt.
Ma al momento la McGranitt è troppo impegnata a cercare di tenere a bada Sirius, per poter frenare anche il resto della Casa.
- Piton è volato via dal palco come un pipistrello ed ora anche dalla Sala: probabilmente sarà in qualche angolo oscuro a rimpiangere il suo breve momento di gloria. Che questo serva di lezione a lui e a tutti i Serpeverde: non siete più così altezzosi ora, mh? D’accordo, d’accordo, professoressa, me le tengo per me. Tanto è sotto gli occhi di tutti.
La McGranitt rinfodera la bacchetta con la quale ha appena tentato di appellare il magi-megafono, continuando a fulminare il mio migliore amico con lo sguardo.
- Ed ora la CoppaChe vorrei far notare essere quasi più alta di Vitious, ma suppongo siano dettagli.
In effetti quando Vitious si arrampica faticosamente sul palco, tenendo la coppa in alto, inizialmente sembra quasi che la coppa sia dotata di gambe e cammini verso di me da sola. Quando me la ritrovo di fianco, una voce proveniente dalla coppa, presumo quella di Vitious, mi fa le congratulazioni ed io ringrazio velocemente, facendo per prendere il grande trofeo dorato, ma il professore si allontana velocemente.
- Aspetti, Potter, non scappa mica.
La Coppa no, ma io sì.
Soprattutto guardando la folla impaziente che si accalca a bordo palco.
Penso che scapperò anche molto velocemente.
- Congratulazioni, James.
Per poco non prendo un accidenti sentendo improvvisamente la voce serena del Preside al mio fianco. Non mi ero accorto che si fosse avvicinato anche lui.
-Grazie, Preside - Gli stringo la mano e finalmente il professor Vitious mi passa la coppa, mentre Sirius dà spettacolo.
- E James Potter è il vincitore del Torneo. Pigliatela lì, Mocciosus!
Sorridendo compiaciuto, osservo la superficie dorata della Coppa sulla quale è inciso il mio nome, per poi alzarla tenendola ai lati con entrambe le mani, mentre i Grifondoro esplodono di nuovo in un boato.
- Ed ora ragazzi, inondate pure il palco. È tutto vostro.
Oh merda.
Oh merda santissima.
Io ucciderò Sirius Black.
Ma prima devo correre.  

*
 
Evans continua a starmi antipatica, sia chiaro.
Il fatto che mi abbia salvato da un sicuro soffocamento non vuol dire niente. È suo dovere: in quanto Prefetto era tenuta a farlo. Non le devo assolutamente nulla. A parte la vita. Ma sono dettagli.
- Lizzie, hai intenzione di andare da Potter sì o no?
Allison mi guarda impaziente.
Ormai la Sala Grande si è un po’ svuotata, ovvero i Serpeverde se ne sono andati immediatamente stizziti, seguiti dopo un po’ anche dalla maggior parte dei Corvonero e dei Tassorosso.
E James è ancora sul palco, circondato da un numero imprecisato di ragazzi, ma soprattutto ragazze, mentre Black saltella da una parte all’altra della Sala, incredibilmente allegro.
-Dai, vai! - mi incita Allison, dandomi una leggera spintarella.
E beh, io di certo non mi faccio pregare.
 
*
 
- Non ho dubitato nemmeno per un attimo che ce l’avresti fatta, Jamie! Anche quando eri a terra, sapevo che ti saresti rialzato di lì a poco.
Mi costringo a sorridere, leggermente stordito dalle chiacchiere di tutte le ragazze che mi stanno attorno, mentre quella che dovrebbe chiamarsi Megan, e che continua a chiamarmi Jamie tra parentesiriprende a raccontarmi di come non abbia dubitato di me nemmeno per un secondo.
Oh beh, complimenti: persino io ho dubitato di me.
E non è una cosa che succede spesso.
- E poi quando ti sei rialz...
- James.
Io, Megan e le altre tre ragazze di fianco a lei ci voltiamo all’unisono verso Lizzie, appena salita sul palco, che subito arrossisce sotto gli sguardi insistenti delle ragazze.
- Ehy, Lizzie, - la saluto immediatamente, intravedendo una via di fuga dalle chiacchiere infinite di Megan. – Scusate, ragazze.
Mi congedo con un ultimo sorriso forzato, prima di defilarmi alla velocità della luce, seguito da Lizzie. Ci fermiamo a pochi passi di distanza da Alice e Frank, che non sembrano esattamente nel mezzo di un idillio amoroso.
- Oh, ciao, James, complimenti. Allora mi vuoi dire cosa diavolo ci facevi sotto quella lì?
- Quella lì sarei io – mi informa Lizzie con tono casuale, grattandosi il naso, mentre Frank borbotta qualcosa di incomprensibile.
- E che ci facevi sopra Frank? – chiedo con un sorriso perplesso, lasciando vagare lo sguardo sul suo viso accaldato, sulla ciocca bionda che sfugge alla coda e le sfiora il collo, vicino al colletto della felpa blu.
- Oh niente, le solite cose, sai, - risponde vaga, prima di scoppiare a ridere. – In realtà sono caduta da una sedia. E lui era lì sotto. Come io ero sotto ad Allison ed Allison era sotto a Lupin e Lupin era sotto a...Matt, mi pare. Che non era sotto a nessuno, ma era troppo in alto.
Sgrano leggermente gli occhi, cercando di immaginarmi la scena, ma prima che io riesca a raffigurarmela o anche solo a chiedermi che cosa diavolo ci facesse Frank per terra, lei scoppia a ridere di nuovo.
Ed io non penso più.
 

*
 

Sto ridendo di gusto al ricordo della mia disavventura di mezz’ora fa, stranamente senza preoccuparmi di quanto quello che ho appena detto possa risultare ridicolo, e penso che lo sia molto in effetti, quando James Potter tenta di uccidermi.
Non lo fa poi così velocemente, ma i miei riflessi sono molto lenti quando c’è lui di mezzo ed è un miracolo se sposto il viso di lato prima che lui poggi le sue labbra sulle mie.
Perché era questo che stava facendo, no?
Stava per baciarmi.
E di conseguenza mi stava per uccidere, perché non avrei retto.
O forse lo avevo stancato e voleva mordermi, ma non posso essere davvero così seccante da portare una persona a tentare di staccarmi il naso a morsi - qualcuno può fermare il mio cuore per favore?

 
*

 
Rimango immobile con il viso accanto al suo per qualche secondo, sconcertato sia da me che da lei.
Voglio dire, io ho appena cercato di baciarla e questo è strano, d’accordo, ma nemmeno così tanto.
È bella, stava ridendo e mi è venuta voglia di farlo.
Ma lei ha una cotta palesissima per me e mi ha appena scansato e questo è strano. 


*
 

Se qualcuno non fa qualcosa entro due secondi sento che inizierò a gridare.
James è immobile ed io anche, cuore impazzito e respirazione accelerata a parte. E a quel punto decido che devo essere io il qualcuno che fa qualcosa, perché le mie guance scottano.
Ed ora che l’ho abbracciato facendogli i complimenti per la vittoria, facendo finta di niente, penso di non averle nemmeno più delle guance, o una faccia, o un cervello, certo.
Perché una persona dotata di un cervello non schiva il bacio del ragazzo dei suoi sogni.
E lo ripeto: qualcuno fermi il mio cuore, vi prego.

 
*
 

Mi guardo allegramente in giro in cerca di Remus, che mi era sembrato un po’ provato prima e per niente in atmosfera da festeggiamento, cosa del tutto inaccettabile vista la situazione, quando qualcosa mi fa gelare sul posto.
James e Lizzie si stanno abbracciando.
Si staccano praticamente subito, lui perplesso, lei imbarazzatissima, ma non è questo il punto.
Il punto è che per un secondo ho visto spuntare qualcosa dai pantaloni di James.
Qualcosa che sto cercando disperatamente da stamattina.
- LEVATI SUBITO LE MUTANDE, POTTER! - grido con tutto il fiato che ho in gola, un lampo assassino nello sguardo.
E mentre il silenzio cala nella Sala Grande, mi rendo conto che la mia frase potrebbe essere appena un po’ fraintendibile.
 
 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


 

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CAPITOLO 11.

 

 

 

 

 

 

 

- Aspetta almeno di essere in dormitorio, Padfoot. Aspetta almeno di essere in dormitorio, Padfoot!  – Sirius strabuzza gli occhi, la voce indignata che riecheggia per il corridoio vuoto. - Ma io dico, ti pare il caso di rispondermi una cosa del genere di fronte a mezza scuola? 
- E a te pare il caso di gridarmi di togliermi le mutande di fronte a mezza scuola? - James è altrettanto indignato, mentre gli trotterella al fianco, pochi passi di fronte a me e Peter.
- Non lo avrei detto, se tu non ti fossi messo le mie mutande. Le mie mutande, come hai potuto? Non ne sei degno!
- Piano, Sirius, - tento rassegnato, perché in teoria il coprifuoco è scattato da quasi mezz’ora e se i professori hanno chiuso un occhio per via dei festeggiamenti per il torneo, non credo che fingeranno anche di non sentire i miei amici che gridano per i corridoi.   
- Oh certo, perché dovrei superare tutta una serie di prove prima di poter indossare le tue mutande, vero? – James sbuffa sdegnato, parlando, se possibile, ancora più ad alta voce di Sirius ed io mi chiedo se lo stiano facendo apposta per vedere la vena sulla mia fronte pulsare sempre più forte. È sicuramente una di quelle cose che troverebbero divertenti.
- Esatto. Si sentiranno così vuote, ora.
Cosa? Ma se...
- Le vostre teste si sentono vuote, perché lo sono! Completamente, inesorabilmente vuote! Totalmente prive di una qualsivoglia attività cerebrale o...
Signor Lupin. Le sembra il caso di gridare a quest’ora della notte?
Oh, davvero? Sto venendo sgridato io, è questo che sta succedendo?
- Mi perdoni, professoressa. Torniamo subito in Sala Comune.
Non appena la professoressa McGranitt, dopo un’ultima occhiata accusatoria, mi volta le spalle, lancio uno scappellotto a James, che sghignazza più o meno silenziosamente.
- Prima le grida ed ora la violenza? – Il mio amico si porta una mano al petto, fintamente scandalizzato. - Non ci siamo, Prefetto Lupin, non ci siamo proprio. 
James e Sirius stanno ancora battibeccando, quando pronuncio la parola d’ordine alla Signora Grassa. Stanno ancora litigando quando il ritratto si scosta per farci passare. Stanno ancora litigando quando io faccio un passo, per poi bloccarmi improvvisamente, sgranando gli occhi terrorizzato. È a questo punto che smettono di litigare, rivolgendo la loro attenzione alla Sala Comune. Sala Comune piena di persone indubbiamente intente ad addobbarla, nei chiari preparativi di una festa. Un’altra. Perché i Grifondoro devono essere così festaioli? Sono sicuro che i Prefetti delle altre Case non si ritrovano a dover far fronte a un festino illegale ogni volta che si presenta anche solo il minimo pretesto per festeggiare.
- Oh no, - sussurro orripilato, sentendo la spilla da Prefetto rivoltarsi sul mio petto, mentre il mio sguardo corre sul lauto banchetto già allestito in un angolo della Sala, vicino al camino.
- Oh sì, - sussurra invece James al mio fianco, estasiato.  
- Concordo con James, ma non dirò oh sì perché sembrerebbe un orgasmo multiplo e dopo la scenetta in Sala Grande è meglio evitare, - commenta saggiamente Sirius, facendo un passo in avanti e guardandosi attorno entusiasta.
- Guarda il lato positivo, Padfoot: domani mattina nessuno si ricorderà nulla, - fa notare allegramente James, lo sguardo puntato sul tavolo attaccato al muro sul quale sono state già posate numerose bibite, la maggior parte delle quali non dovrebbero stare in una scuola.  
- C’è del succo di zucca, -  constata Sirius contrariato - C’è sempre anche del succo di zucca. Mi chiedo perché. E c’è sempre anche gente che beve solo succo di zucca e questo vuol dire che quella gente domani mattina ricorderà.
Un secondo di silenzio accoglie le parole di Sirius, poi la voce malandrina di James mi getta letteralmente nella disperazione più nera.
 - Non se noi correggiamo il loro succo di zucca.
-  Hai appena detto la prima cosa intelligente della serata, Prongs. Andiamo.
E vanno.
Almeno fino a quando, due passi dopo, James non nota Evans, letteralmente pietrificata di fronte allo striscione che il capo del James Potter fan club, un Grifondoro del secondo anno il cui più grande sogno è quello di entrare in squadra, sta appendendo in questo momento.
- Ehy, Evans! Ammaliata dalla mia bellezza? 
 
*

C’è la faccia di Potter di fronte a me e questo non va bene.
È più grande del solito, è più grande di come qualunque faccia dovrebbe essere ed è appesa in modo assolutamente storto ad una parete della nostra Sala Comune. Questo è ridicolo e mi fa pensare che Alice aveva ragione a consigliarmi di non salire.
È che una festa è esattamente quello che mi ci voleva in questo momento, se devo essere sincera. Forse non è appropriato, ma stare in una stanza piena di adolescenti, in cui la musica è così alta da non riuscire a sentire nemmeno i miei stessi pensieri, mi è sembrato molto meglio che rientrare nella mia stanza per la prima volta da due giorni e passare la notte a sentire la voce di mia madre.
E però non avevo considerato il fattore gigantografia di Potter di fronte a me ed ora mi chiedo se quei ragazzini del primo anno mi salterebbero alla gola, se ora dessi casualmente fuoco al loro striscione.
Non penso che mi direbbero nulla, in realtà: sono un Prefetto e i Prefetti sanno quello che fanno. Soprattutto agli occhi di uno studente del primo anno, i Prefetti hanno sempre ragione. E se il Prefetto Evans sta dando fuoco al tuo striscione, allora sicuramente quella è la cosa più saggia da fare.
E in fondo, dare fuoco alla faccia di Potter è qualcosa che ho sempre desiderato fare. Devo solo trovare un incantesimo che mi permetta di contenere l’incendio, in modo da non essere ricordata per sempre come la piromane che diede fuoco alla Sala Comune di Grifondoro, uccidendo quasi tutti i suoi compagni di Casa, troppo ubriachi per fuggire.
È in questo momento che il mondo decide di ricordarmi che esistono cose peggiori di uno striscione con la faccia di Potter, cose come ad esempio la voce di Potter e il corpo di Potter in carne ed ossa alle mie spalle.
 
 
*
 
Evans non dà altro segno di avermi sentito oltre ad una lieve contrazione delle labbra. E la mano destra che si chiude a pugno. E gli occhi che si socchiudono e ok, Evans dà abbastanza segni di avermi notato.
Ma continua a non voltarsi, lo sguardo fisso nel mio.
O meglio nel suo, quello dello striscione.
Che però è comunque mio.
Non sono certo che questo abbia un senso.
- Evans, sono qui. Puoi godere della mia bellezza dal vivo, voltati.
Evans effettivamente si gira, ma non sembra che stia davvero apprezzando la visione. Mi scruta corrucciata, prima di indicare con un cenno lo striscione alle sue spalle.
- C’è la tua faccia, Potter. Sul muro. Questo non ti imbarazza nemmeno un po’? 
- No, Evans, perché dovrebbe? È una bella faccia, no? – commento con un sorriso sornione, prima di notare un movimento alle sue spalle. – Guarda, si muove anche. È fantastico, al primo anno tu saresti riuscita a farlo?
- Non saprei, non è mai stato uno degli obiettivi della mia vita riprodurre il tuo muso arrogante in giro, Potter. Credo che uno in carne ed ossa sia più che sufficiente, grazie. Ed ora, se non ti dispiace, - Evans parla veloce, ignorando il mio tentativo di replicare, cosa che mi irrita alquanto. – Vado ad onorare uno dei miei veri obiettivi, ovvero mantenere tra me e te una distanza minima di sei metri.
Evans si volta di colpo e la coda rossa mi schiaffeggia il naso, avvolgendomi per un attimo nel suo profumo indefinito.
- Puoi appendertelo in camera, se vuoi! – le grido dietro, prima di incrociare, diversi centimetri più in basso, lo sguardo eccitato di un ragazzino del primo anno, che se ne sta proprio accanto allo striscione.
- Matt, Matt Douglas, - si presenta compiaciuto, petto in fuori e mani sui fianchi. Ho come l’impressione che non sia la prima volta che mi si presenta. – L’ho fatto io.
Non so cosa si aspetta che io gli dica, qualcosa come hai veramente talento, credo che tu abbia un futuro nel campo della riproduzione del mio viso o semplicemente grazie, ma in realtà Evans potrebbe avere ragione ed inizio a trovare leggermente inquietante vedere me stesso appeso a una parete.
Ma meglio iniziare ad abituarcisi, quando sarò il Capitano dei Cannoni di Chudley, la mia faccia sarà ovunque.
- Beh, Matt, è notevole, - commento infine con un sorriso. – Ma se vuoi entrare in squadra, dovrai comunque aspettare almeno il terzo anno e fare i provini come tutti gli altri.     
 
*
 
Non appena io ed Allison entriamo in Sala Comune, troviamo ad accoglierci uno striscione con il viso di James una decina di volte più grande del normale. Gli enormi occhi nocciola e le labbra che si piegano immediatamente in un sorriso malandrino: questo è il paradiso.
Evidentemente non sono sopravvissuta all’ammucchiata in Sala Grande: ho solo immaginato che Evans ci salvasse, mentre in realtà siamo tutti morti ed ora c’è davvero un’imbarazzante statua in nostro onore al centro della Sala. O più probabilmente sono morta dopo, quando James mi ha quasi baciata.
James mi ha quasi baciata. 
Il mio cuore riprende inspiegabilmente –ok, forse non proprio inspiegabilmentea battere all’impazzata. Pensandoci bene è probabile che sia stata questa la causa della mia morte: troppi battiti.Ammesso che si possa morire per troppi battiti.
Ma se James mi ha quasi baciata, allora tutto è possibile.
James mi ha quasi baciata.
James mi ha quasi baciata. 
James mi ha quasi baciata.
E dato che sono stata proprio io, io e miei stupidi riflessi, la causa di quel quasi, credo che sia il caso di salire in dormitorio a prendere un po’ di cioccolata in cui affogare il mio dolore, la mia stupidità e direttamente me stessa.  
James mi ha quasi baciata.
Forse è il caso di tirare fuori tutta la scorta. 
 
*
 
Quando la musica inizia ad invadere la Sala Comune e James e Sirius raggiungono circospetti, per quanto possano essere circospetti due che si stanno spintonandoil tavolo delle bibite, il mio spirito da Prefetto si risveglia improvvisamente, riscuotendomi dalla mia terrorizzata immobilità.
Per prima cosa pongo su tutta la Sala un incantesimo insonorizzante, poi mi dirigo a passo deciso verso James e Sirius, che trafficano in modo sospetto attorno alle caraffe di succo di zucca.
Con la spilla da Prefetto in bella mostra, mi fermo a pochi passi da loro, pronto a sventare i loro catastrofici piani, ma prima che i miei amici si accorgano della mia presenza, li ho già superati, diretto come ipnotizzato verso uno dei divanetti.
Perché anche se poco fa ha tentato di uccidermi, Lizzie Carson ha in grembo più cioccolata di quanta io sia disposto ad ignorare.  
 
*

- Era davanti allo striscione con il primino che lo ha appeso e ha detto indubbiamente la parola provini, Alice, te lo giuro, - Frank prende un altro sorso dal suo calice di burrobirra, imbronciato. - L’ho sentito distintamente.
- Se con sentito intendi che hai letto il labiale, sappi che non è la stessa cosa, Frank – precisa la mia amica, prendendo una manciata di patatine da un vassoio e lanciandomi un’occhiata di sfuggita.
Io le sorrido automaticamente, prima di svuotare il mio bicchiere colmo fino all’orlo di succo di zucca. Non so più cosa fare per convincerla che non cadrei a pezzi, se solo mi perdesse di vista per un secondo.
- Sono bravo a leggere il labiale, amore, lo sai. Ma no, l’ho sentito con le mie orecchie questa volta. Non ci posso credere, io e il resto della squadra gli organizziamo una festa stupenda e lui complotta di provini con quelli del primo anno, - Frank sospira desolato, dei ridicoli baffi di schiuma proprio sulle labbra. – Credete che dovrei fargli anch’io uno striscione?
- Ti prego no, Frank, – commento con una risata, posandogli una mano sul braccio, drammatica. - Non mettertici anche tu: due Potter sono più che sufficienti. 
Poi rido di nuovo, posando il bicchiere ormai vuoto sul tavolo.
- Dove l’avete trovato questo succo di zucca? – chiedo leccandomi le labbra, stranamente euforica. – È così buono. Oh, c’è Mary. Ehy, Mary!
 
*
 
- Stiamo facendo ubriacare Evans – constato con un ghigno, osservando la rossa versarsi l’ennesimo calice di quello che una volta era banale, noioso succo di zucca e che ora è un più consono Whisky Incendiario al gusto di zucca.
James al mio fianco segue il mio sguardo, puntando gli occhi su Evans, accigliato.
- Pensi che ci starebbe, se ci provassi ora?
- Beh, - inizio pensieroso. - L’alcool l’avrà resa più disinvolta, eliminando i suoi freni inibitori. Quindi...
Il sorriso di James si allarga.
- Ti ucciderebbe – concludo pacifico, con un’alzata di spalle.
- Piuttosto, - continuo, lanciando un’occhiata a Remus e Lizzie.  – Sarei curioso di far ubriacare qualcun altro: chissà che non ci scappi un bacio.
 James mi fissa perplesso per qualche secondo, prima di seguire il mio sguardo: Remus e Lizzie non sembrano molto in vena di parole, troppo impegnati ad ingozzarsi di cioccolata, comodamente seduti sul divanetto vicino al fuoco. Ma lei è evidentemente in uno stato di agitazione totale. Non che io l’abbia mai vista in uno stato diverso in effetti.   
- Non ti seguo - se ne esce infine James, incerto.  
- Mi riferisco a come la cioccolata bianca sta guardando le nocciole di quella al latte.
- O è al latte o è alle nocciole, non può...
- James. È chiaro che non sto parlando della cioccolata, ma dei mangiatori di cioccolata. E comunque certo che la cioccolata al latte può essere anche alle nocciole, dove vivi? Ci sei mai stato da Mielandia?
- Ma chi, Remus e Lizzie?
Alla domanda stupita di James assottiglio lo sguardo, scrutando attentamente il suo volto per capire se è davvero così tardo.
- Vedi altri mangiatori di cioccolata sul divanetto che sto guardando? O semplicemente in tutta la Sala Comune?
- No, ma tu credi che loro, Remus e Lizzie? 
- La cosa ti sconvolge?
- Ma che sconvolgere, solo che, Remus e Lizzie? È ridicolo.
James mi pianta in asso, dirigendosi verso il nostro amico e la biondina alla velocità della luce. Interessante.

*

Alice è strana ed è stata strana per tutta la sera.
Quando le ho fatto notare casualmente che i miei compagni di stanza sono tutti qui ed hanno intenzione di continuare ad essere qui ancora a lungo, lasciando la nostra camera vuota, non mi ha quasi preso in considerazione. Continua a guardarsi attorno per controllare non so chi e se per caso riesco a farla ridere, subito la sua risata si affievolisce, come se si sentisse in colpa.
Ed ora sono qui, seduto con la mia ragazza che non mi presta per niente attenzione e che non deve nemmeno fingere particolarmente di ascoltarmi, grazie alla musica assordante che riempie la Sala. E come se tutto ciò non bastasse, nel corso della serata James è stato avvicinato da altri tre nuovi aspiranti battitori ed è stato sospettosamente amichevole con tutti loro. Alice dice che sono paranoico e che James è amichevole con tutti i Grifondoro, ma continuo a pensare che forse dovrei imparare a disegnare e fare un ritratto del mio Capitano, giusto per assicurarmi che nessun ragazzino ruffiano mi freghi mai il posto.
- Vado a prendere da bere, – informo Alice, riflettendo se cercare di farla ubriacare per poi chiederle cosa c’è che non va sia una mossa subdola e  sleale, oppure se è esattamente quello che un futuro Auror dovrebbe fare.
Il fatto è che succede qualcosa, durante il mio breve viaggio verso il banchetto: avrei potuto fare il giro lungo, passando attaccato ai muri, dove la folla è minore e più pacata. E invece ho tagliata per il centro esatto della Sala, momentaneamente adibito a pista da ballo – ammesso che quello che sta facendo la maggior parte dei Grifondoro presenti possa essere definito ballo e non piuttosto contorcersi e dibattersi come un pesce fuor d’acqua o un mago in preda alle convulsioni.
Il problema non è tanto il liquido dall’odore forte che qualcuno mi ha appena versato su un braccio, bagnandomi la camicia. Il problema è un altro ed è precisamente il fatto che Lily Evans mi sta improvvisamente ballando un po’ troppo vicina, un po’ troppo sensuale, un po’ troppo ubriaca e un po’ troppo migliore amica della mia ragazza. E ho dei buoni riflessi, lo so, non sono battitore della squadra di Quidditch mica per niente. Quindi in una frazione di secondo potrei scartare Evans e raggiungere il tavolo delle bibite e nessuno saprebbe mai che per ben due secondi il Prefetto di Grifondoro ha ballato appiccicato a Frank Paciock, nessuno tranne Alice.  
Perché so che è perfettamente inutile spostarsi o fare qualsiasi altra cosa.
Lei ha visto.
Lo so.
Sto troppo antipatico al destino, è impossibile che Alice, anche se era girata dalla parte opposta e anche se in fondo sono passati solo due secondi, non abbia visto. Ed infatti quando trovo il coraggio di voltarmi, incrocio lo sguardo straordinariamente indignato e spaventosamente omicida di Alice.
Essere ucciso dalla persona che ami, in fondo ci sono modi peggiori per morire.
Ho solo paura che James mi venga a cercare nell’aldilà, perché il suo battitore non può dargli buca a pochi giorni dalla partita. 
 
*
 
James mi ha quasi baciata.
James mi ha quasi baciata. 
Sto diventando ripetitiva, lo so, ma James mi ha quasi baciata.
E’ assurdo, è, è il caso che io smetta di pensarci.
E che convinca il mio cuore a rallentare la sua corsa sfrenata, perché i cuori non dovrebbero correre, dovrebbero starsene buoni e tranquilli a pompare il sangue, e dovrebbero farlo ad una velocità accettabile e non pericolosa per il loro proprietario.   
E tra le altre cose sarebbe bene che io mi concentrassi sulla deliziosa, gustosissima cioccolata che sto mangiando con Lupin.
Aspetta.
Con Lupin?
E quando è arrivato?
Ma soprattutto perché sta mangiando la mia cioccolata? 
 
*
 
Ignorando Sirius, cammino veloce fino al divanetto su cui Remus e Lizzie stanno condividendo il loro modesto spuntino.
Lei sta guardando Remus, intento a mangiarsi tranquillamente una barretta di cioccolata fondente, con un’espressione stupita ed anche stranamente indignata. Socchiude le labbra e fa per dire qualcosa, ma io la precedo:
- Non si offre?
Entrambi voltano lo sguardo su di me e, con una certa soddisfazione, noto subito Lizzie farsi più agitata. 
- Ti piace quella con le nocciole? - sorride, porgendomi una barretta.
- Sì, grazie – risponde una voce che non è la mia, mentre una mano che non è la mia prende la cioccolata e in un secondo la porta ad una bocca che, guardacaso, non è la mia.  
 
*
 
Dovrei uccidere Black perché non è a lui che stavo offrendo la mia cioccolata e dovrei uccidere anche Lupin, che sta mettendo la mia scorta in serio pericolo e, ne sono abbastanza sicura, senza essere stato invitato.
Ma per ucciderli, oltre a dover posare la mia tavoletta di cioccolata, dovrei anche distogliere lo sguardo da James, che se ne sta qui di fronte a me, con la cravatta slacciata e i capelli spettinati, e che è più bello del solito e che mi ha quasi baciata, e la cosa non mi alletta minimamente.
- Perché ogni volta che poso casualmente lo sguardo su di lui, Paciock sta sempre per morire? – chiedo addentando l’ennesima barretta, lo sguardo puntato su Alice Prewett che sta trascinando per un orecchio il suo fidanzato lontano dalla pista. Ovvero lontano da possibili testimoni.
James, l’unico con la bocca non occupata dalla mia povera scorta, ed anche l’unico a cui non mi sarebbe dispiaciuto offrirlasi siede tra me e Black, seguendo il mio sguardo.
- Finché è lei a tentare di ucciderlo è tutto normale: la prima volta che l’ho visto, al primo anno, Alice lo stava picchiando perché era inciampato e le era finito addosso.  In effetti sarebbe inquietante vedere Frank non in pericolo di vita – mi risponde tranquillo, mentre io seguo ipnotizzata il movimento delle sue labbra. Le stesse labbra che avrei potuto avere sulle mie, se solo non fossi così un’idiota totale. 
- Un po’ come voltarsi e trovare Sirius nello stesso posto dov’era tre secondi prima, - aggiunge con uno sbuffo, guardando accigliato il posto vuoto accanto a lui, ora vuoto.
- La mia cioccolata, - esclamo scandalizzata, fissando a bocca aperta la mia scorta decimata, sul tavolino di fronte a noi.  – Ha preso la mia cioccolata.
Cos’ho fatto?
Come ho potuto portarla qui, nel bel mezzo di una festa, nella Sala Comune dei Grifondoro?
- A proposito di cioccolata, come mai questa voglia improvvisa? - chiede James, appropriandosi dell’ultima barretta. Tanto ormai. E dopotutto lui può prendere quello che vuole, la mia cioccolata, la mia mano, la mia anima.
- Perché mi hai quasi...
Oh Godric.
Qualcuno tappi la mia bocca.
- Ti ho quasi? - ripete lui con un sorriso a trentadue denti che per un attimo annebbia la mia capacità di intendere e di volere. Non che solitamente sia così perfetta. Oh, ma lo fai apposta allora, James Potter, ti diverti a vedere la gente morire per te e andare in confusione.
- Mi hai, mi hai quasi fatto venire in mente che devo ingrassare. Così divento più, più grassa, sai.  E pesante. E la gente non può farmi volare giù da un palco, ecco.
 Alcuni secondi di silenzio e qualche occhiata perplessa accolgono le mie parole. Le mie incredibilmente insensate parole.
Poi l’arrivo di Black con una certa quantità di Whisky Incendiario distrae tutti dalla mia disarmante stupidità.
 
*
 
- Ecco bambini, guardate cosa vi ha portato lo zio Sirius – esclama allegramente il mio migliore amico, rispuntando all’improvviso e piazzandoci in mano un bicchiere di Whisky Incendiario a testa.
- Se mai avrò dei figli, li terrò lontano da te – lo informo,  accettando comunque il dono e portandomelo alle labbra.  
- Se mai avrai dei figli, James, non vivranno abbastanza per essere tenuti lontano da qualcuno – insinua Sirius, lasciandosi cadere al mio fianco. Remus, Lizzie e una tizia che è spuntata all’improvviso e si è appropriata anche lei di una tavoletta di cioccolata ridacchiano perché sono tutti orribili e non hanno fiducia in me.
- Ah. Ah, – commento con ben poca enfasi. - Sei la persona più simpatica che conosca.  
- E sono anche bello, – si compiace allegramente Sirius. - Godric, non sono perfetto?
- Sei un perfetto idiota. E riprenditi questa sostanza assolutamente contro le regole: sono un Prefetto – sbuffa Remus, allontanando il Whisky da sé come se fosse veleno.
- Lo sappiamo, Moony. Ed ora bevi.
- Piuttosto faccio saltare in aria la Sala Comune. Perché lasciare voi due senza qualcuno che vi controlli equivale a...
-Ok, ok, - lo ferma Sirius sbuffando. - Vado a prenderti del succo allora.
- Mi duole informarti che ero presente anch’io quando tu e quell’altro furbone progettavate di sabotarlo.
Ehy. 
Sabotarlo, che esagerato, - sbuffo. – L’abbiamo solo migliorato.
- Esatto, – Sirius annuisce convinto. – E poi anche i Prefetti possono divertirsi: prendi Evans ad esempio, guarda come si diverte!
- E certo che si diverte, l’avete fatta ubriacare, - protesta Remus, mentre io poso sul tavolino di fronte a me il mio bicchiere per poi sporgermi verso Remus.
Se lui non lo vuole... 
...se lui non lo vuole, lo ha già preso Sirius ovviamente.
- Dato che per voi non posso più fare niente, credo che prenderò esempio da Evans – annuncia solennemente il mio migliore amico, dopo aver svuotato il bicchiere, mentre io ripiego su una delle poche tavolette di cioccolata rimaste sul tavolino di fronte a noi.    
- Andrai a strusciarti contro il portiere della squadra di Quidditch?- chiede Remus, inarcando un sopracciglio.  
Portiere? Mike?
Alzo di scatto la testa, puntando lo sguardo sul mio compagno di squadra, che sta ballando in modo non proprio casto con una Evans non proprio in sé.
E anche se so che Lizzie mi odierà, non posso evitare di farlo.
 
*
 
Quando, alla parola portiere, James ha alzato di scatto la testa, ho capito che avevo fatto un errore madornale. E quando ho visto quella scintilla, quella da fanatico per intenderci, illuminargli lo sguardo ho capito quello che sarebbe successo.
Ma non avendo io i riflessi allenati di un cercatore, il massimo che ho potuto fare è stato pensare oh no.
E se volete saperlo non è stata una cosa utile.
Non ha impedito a James di saltare in piedi, chiamare il povero Mike Muller a gran voce e lanciargli con tutta la sua forza la tavoletta di cioccolata che teneva tra le mani.
Sento una fitta di puro dolore  nel vedere la deliziosa tavoletta, ancora incartata, volare attraverso la Sala. Si ammaccherà.
 
*
 
Sono pronto a questi attacchi a sorpresa da parte di James di solito.
Già dopo i primi tre bernoccoli causatimi dalleccessiva premura del Capitano, ho rinunciato a fargli capire che, oltre ad essere il suo portiere, sono anche un ragazzo avente una vita propria esterna al Quidditch. E mi sono rassegnato a lasciar trasformare la mia permanenza ad Hogwarts in un allenamento continuo.
 Perché James Potter in fatto di Quidditch non va contraddetto.
Quindi se, in quanto Capitano della squadra, decide di lanciare oggetti addosso al suo portiere ogni volta che lui non se lo aspetta per allenare i suoi riflessi, beh, quello deve pararli.
E posso dire di essere diventato anche straordinariamente bravo: ormai non riesce quasi più a cogliermi di sorpresa al punto che io non riesco a parare qualunque cosa mi lanci contro.
Solo che ora, sarà per il troppo Whisky, sarà perché fino a due secondi fa mi stavo divertendo con una bella ragazza, sarà perché quella bella ragazza è il Prefetto Lily Evans, invece di parare, mi abbasso.
E sentendo il rumore dell’oggetto volante che si scontra con qualcos’altro, una testa presumibilmente, non sono sicuro di dover essere io a sentirmi in colpa.
Quello che è certo però è che domani mattina Lily Evans avrà un bel mal di testa.
 
*
 
Oh merda. 
Ho ucciso Evans.
E, cosa ancora più grave, a pochi giorni dalla partita contro Serpeverde il mio portiere non ha i riflessi pronti.
 
*
 
Black sta ridendo come un matto in mezzo alla pista, James sta correndo verso Muller ed Evans ed io resto sola sul divanetto con la mia cioccolata.  E Lupin.
Cosa da non sottovalutare assolutamente, perché sul tavolino è rimasta una sola tavoletta.
- Vuoi? È l’ultima. Penso che ti serva, non sembri molto felice.
Io scruto attentamente prima il volto gentile di Lupin, poi la sua mano che mi porge la mia cioccolata.
Potrebbe essere una finta.
Ma sembra sincero. 
Lentamente allungo la mano verso di lui, fino a stringerla sulla cioccolata con più forza del necessario.
- Non lo sono infatti, perché tu ti sei finito la mia cioccolata, Lupin, – lo informo minacciosa. - E pagherai per questo.  
- Io credo che tu stia cercando di distrarmi dal vero motivo per cui non sembri felice – replica pacatamente lui e forse è solo una mia impressione, ma i suoi occhi indugiano un po’ troppo su James, chino su Evans.
- E io credo che tu stia cercando di distrarmi dal fatto che ti sei mangiato tutta la mia cioccolata.
- Tu mi hai usato come sedia.
- Ma non ho toccato la tua cioccolata. Quello che hai fatto tu è infinitamente più grave e lo sai -  sibilo perforandolo con lo sguardo.
- Peter.
- Minus?
- Lui ha della cioccolata. Non so bene dove la nasconde, ma trovo carte in giro per il dormitorio, – sussurra Lupin con tono da cospiratore. – Carte di cioccolata fondente, cento per cento pura.  
 Minus. Brava persona.
- Vuoi pagare il tuo debito con la sua cioccolata?
L’angolo destro delle labbra di Lupin si piega millimetricamente verso l’alto, in modo alquanto inquietante, senza intaccare la sua espressione impassibile.
- Sei una persona perfida, Remus Lupin, – decreto, guardandolo con un misto di stupore e ammirazione.
- Più di quanto immagini. 
 
*
 
- Evans, mi senti? Mike, dannazione, la partita è tra meno di una settimana! Come puoi...Evans, stai bene? Come hai intenzione di difendere gli anelli, mh? Schivando le pluffe? Oh, Evans, quante dita vedi? Mike, per te gli allenamenti sono raddoppiati comunque. E anche per te Evans, cioè, Frank, che eri lì vicino ed avresti potuto intervenire. Aspetta, Evans, ti aiuto.
Sono confuso, va bene.   
Devo pensare alla mia squadra, che ho appena scoperto essere disastrosa e non in grado di parare nemmeno una tavoletta di cioccolata, ma devo anche controllare che Evans respiri.
Ma sembra che sia viva dopotutto: i morti non stanno in piedi e non mi fulminano con gli occhi. Ha un bernoccolo sulla fronte, lì dove la tavoletta l’ha colpita. Godric, quanta potenza di lancio, avrei potuto fare il Cacciatore.
- Potter, - Ha il viso accaldato, la coda quasi completamente sfatta, le ciocche rosse che le cadono sulla fronte e le sfiorano le guance, gli occhi lucidi, il verde liquido e con una strana luce nello sguardo. Non riesco a capire se sta per scoppiare a ridere o a piangere. – Non sai quanto ti odio, Potter.
- Lo so, Eva...
La mia frase resta in sospeso, così come il mio fiato. 
E quello di tutta la Sala Comune, che ora ci fissa sbalordita.  
O almeno è quello che immagino stia succedendo, dato che gli occhi strizzati per il dolore mi impediscono di vedere.
La risata sonora del mio ex migliore amico parte in contemporanea con le mie, decisamente meno sonore ed anche meno viriliimprecazioni.
E mentre cado in ginocchio per la seconda volta nella serata, la notizia che entro domani mattina avrà fatto il giro del castello, inizia a diffondersi alla velocità della luce tra i Grifondoro: James Potter ha colpito Lily Evans in testa con una tavoletta di cioccolato alle nocciole. E Lily Evans, ubriaca, ha dato un calcio nelle palle di James Potter. 
 
 

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


 

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CAPITOLO 12.

 

 

 

 

 

 

- Tu hai un serio problema.­
Una voce mi riscuote dal mio sonno ed io apro gli occhi, stupendomi di trovare gli occhiali già al loro posto sul naso, anche se storti. Sirius mi guarda dall’alto, espressione accigliata e braccia incrociate al petto.
Tu sei il mio problema. Un problema molto grosso e stupido e che non mi lascia dormire - replico trattenendo uno sbadiglio e rendendomi conto solo ora momento di non essere nel mio baldacchino, ma su uno dei divanetti della Sala Comune. Questo, unito al lieve dolore alla testa, mi suggerisce che ieri sera ho esagerato leggermente con il succo di zucca.
- No Jim, il tuo problema sono i tuoi capelli. Sempre. Ma in particolare oggi il tuo problema è la tua cravatta. Se ti giri di un altro millimetro a destra, ti strozzerà e sarai il primo Grifondoro a morire ucciso da un pezzo di stoffa. E non sarà eroico. La gente riderà al tuo funerale. E creerai disagio a tutti gli invitati maschi, perché si chiederanno se sia il caso o meno di indossare delle cravatte. Ma mi offrirai una buona scusa per non...
- Puoi per favore smettere di fantasticare sul mio funerale? – chiedo piccato, mettendomi faticosamente a sedere - Non è esattamente il miglior modo per iniziare la giornat...Coff!
- Io ti avevo avvisato. Prima di soffocare, riesci a rispondermi? Vuoi che la gente indossi le cravatte o no? – mi domanda Sirius, osservando impassibile i miei tentativi di sfilarmi la cravatta che si è pericolosamente stretta intorno al mio collo.
- Vaffanculo, Pad - soffio infine, lanciandogli contro il pezzo di stoffa rosso e oro, dopo essere finalmente riuscito a liberarmi.
- Lo prendo per un no.
Lentamente mi alzo dal divanetto stiracchiandomi e vedendo meglio Sirius capisco che anche lui, nonostante si atteggi a essere superiore, si dev’essere appena svegliato. Quello che mi chiedo ora è perché ci siamo svegliati qui. Dov’è precisamente qui non saprei, se non sbaglio dovrebbe essere la nostra Sala Comune, ma è talmente incasinata, persino per noi Grifondoro, che è difficile esserne certi. Ed è proprio osservando il casino attorno a me, in particolare i numerosi bicchieri vuoti sparsi per la Sala, che ricordo. O meglio, capisco perché non ricordo.
- Dobbiamo aver fatto qualcosa di profondamente scorretto secondo l’opinione di Remus, se ha abbandonato i nostri corpi qui, – rifletto ad alta voce, mentre sul viso di Sirius si dipinge un ghigno poco rassicurante.
- Non ricordi nulla, Jamie caro?
 - Chiamami un’altra volta Jamie caro e ti appenderò a testa in giù fuori dalla torre di Astronomia. Nudo, – Ghigno, compiacendomi della mia brillante malvagità anche di prima mattina.
- Un giorno mi spiegherai il perché di questa tua mania dell’appendere la gente a testa in giù, - sbuffa Sirius per nulla turbato dalla mia minaccia - Jamie caro. Ma dimmi, davvero non ti ricordi nulla di ieri sera?
Il ghigno eccitato che si allarga lentamente sulle labbra di Sirius mi inquieta particolarmente.
- Perché, tu sì?
- Abbastanza. Perché, a differenza di qualcuno, io non ho tentato di rimuovere nulla dalla mia mente, dato che, a differenza di qualcuno, io non avevo proprio nulla di imbarazzante da dimenticare, a...
- A differenza di qualcuno, sì, – finisco per lui, scocciato. Terribilmente scocciato, perché so che quel qualcuno sono io. – Spara: cos’ho fatto?
- Prima di tutto hai insinuato che io non sono una persona simpatica, – inizia Sirius, interrompendosi per bere una lunga sorsata d’acqua da una bottiglia comparsa da chissà dove. Due lunghe sorsate, anzi. Tre.
- Hai finito?
- Non ti agitare, James, – mi intima tranquillamente Sirius, per poi riprendere a bere. Io lo guardo male, conscio che potrebbe finirsi anche l’intera bottiglia pur di non darmela vinta. E questo non è un bene, perché anch’io ho una gran sete.  
- Dicevo: in secondo luogo hai steso Evans con una barretta di cioccolata. Involontariamentepenso. Anche se ti stimerei profondamente nel caso in cui l’avessi fatto apposta.  
Prendo atto della cosa, mentre mi affiora alla mente l’immagine di Remus e Lizzie intenti ad abbuffarsi di cioccolata. Ma mi sfugge il momento esatto in cui avrei atterrato Evans.
Evans.
Evans.
Non so perché, ma mi sembra che mi stia sfuggendo qualcosa di estremamente importante sulla rossa.
- Poi Evans ti ha toccato lì dove non batte il sole, –riprende Sirius, casuale. - Non quando non corri in giro nudo almeno.
- Io non corro mai in giro nud-Evans ha fatto cosa?
 
*
 
- Ti ha toccato lì dove non batte il sole, – ripeto, aspettando che gli occhi di James si spalanchino al loro massimo, prima di aggiungere ghignando. – Con un calcio .
Sono pochi i momenti in cui si è davvero felici nella vita. Beh, io posso dire con sicurezza che questo è uno di quei momenti. Perché vedere la faccia da...da James che ha James in questo momento, è semplicemente qualcosa di impareggiabile. E mi fa sentire realizzato scoprire che, tra la sorpresa, la comprensione, lo sdegno e ancora lo stupore, c’è comunque spazio per una nota di puro panico nel rendersi conto che la persona che ha davanti sono io e che non gli darò pace per gli anni a venire.
E non mi limiterò a sfotterlo solo fino alla morte, no, continuerò anche dopo: il mio testamento sarà pieno di riferimenti a questo episodio, gli scriverò che gli lascio le mie in eredità...
 
*
 
- O se morirà prima lui, sulla sua tomba farò un disegnino stilizzato dell’evento e poi...
Sto scendendo di corsa le scale della Sala Comune quando la voce spiritata di Sirius mi informa che i miei amici non sono morti, ma anche che naturalmente non hanno nemmeno pensato di andare a lezione. Sirius e James infatti, entrambi evidentemente appena alzatisi, da dove non si sasi guardano l’uno assorto, l’altro sconvolto.
- Sirius stai di nuovo pensando ad alta voce. Ed i tuoi pensieri spaventano la gente, persino James, – esordisco avvicinandomi velocemente a loro. – Ed ora muovetevi: dobbiamo essere a lezione esattamente tra...cinque minuti fa.
Non pensavo fosse così tardi, per Godric. E, dato che Godric ci odia, alla prima ora abbiamo anche la McGranitt.
- Quindi ormai è tardi e ci conviene tornarcene a letto? - propone Sirius con un sorrisone speranzoso, mentre James sembra ancora troppo sconvolto per prestarmi attenzione.
- Quindi avete meno cinque minuti per prepararvi e trovare Peter, – lo correggo secco, iniziando a spingere James verso le scale.
- Non mi spingere, ho mal di testa! - sbuffa James in tono lamentoso, uscendo apparentemente dallo stato di coma, mentre Sirius chiede con una nota di disperazione nella voce:
- E la colazione?
- Non vedo come il mal di testa possa essere collegato al fatto che ti sto spingendo, Prongs, e la colazione è riservata a quella ristretta cerchia di persone che si svegliano in orario alla mattina, Pad, - inizio con tono severo, prima di essere interrotto da James.
- Cerchia di cui nemmeno tu fai parte.
Lo preferivo quando stava zitto.
- Io non mi sono svegliato tardi, mi sono alzato tardi, che è diverso, – puntualizzo piccato, guardandomi intorno alla ricerca del malandrino mancante. - Sono abituato a dovervi svegliare, non trovando nessuno nei letti attorno a me, ho pensato di poter dormire. Ed ora muovetevi.
Mentre le due piaghe si avviano verso le scale, io perlustro la Sala con lo sguardo per poi localizzare Peter ed avvicinarmi a lui scuotendo la testa.
- Pete, sveglia, su. E non chiedermi cosa ci fai qui, perché non ho idea di come tu sia finito sotto il tavolo e non voglio nemmeno saperlo.
 
*
 
Sono il primo ad entrare nella nostra stanza, ma una frazione di secondo dopo, Sirius mi ha già superato e si è chiuso la porta del bagno alle spalle. E questo mi irrita.
Per vendicarmi potrei nascondergli tutti i vestiti, ma questo aumenterebbe il nostro ritardo e Remus ci ucciderebbe prima che lo possa fare la McGranitt. Ed io non farei mai alla mia egregia professoressa una tale scorrettezza.
Quindi per questa volta lascerò correre, stabilisco mentre lo sguardo mi cade sul letto.
Invitante, caldo, morbido letto.
Così tremendamente solo e vuoto. 
- Non ci pensare nemmeno, James.
A volte guardando il gentile, pacato Remus è difficile capacitarsi che sia un lupo mannaro; poi lui emette ringhi del genere ed allora capisci che non c’è proprio nulla di strano.
 
*
 
Sto guardando minacciosamente James, a cui si è appena chiuso un occhio, cosa che lo fa sembrare leggermente scemo, quando un tonfo sospetto alle mie spalle mi va voltare lentamente, inquieto.
Quella che mi trovo davanti è una scena a dir poco spaventosa: Peter è nel letto.
E noi arriveremo tardi.
 
*
 
- Alice.
Niente.
La mia amica continua a fissare imperterrita la McGranitt che spiega.
Cosa che dovrei fare anch’io tra l’altro.
- Alice.
È come se non esistessi.
Ora capisco come si sentono lei e Mary ogni volta che le ignoro per seguire la lezione.
E a proposito di Mary.
- Mary, - la chiamo voltandomi alla mia sinistra, sperando di avere più fortuna.
La mia compagna si gira verso di me, puntandomi addosso gli occhi castano chiaro, incorniciati da ciuffi scuri sfuggiti alla coda folta.
- Non posso dirti nulla, Lil. Mi dispiace, ma...mi ha minacciato. Con una spazzola – sussurra lanciando un’occhiata a metà tra lo spaventato e l’indignato verso Alice. Sbuffo sconsolata, per poi tornare all’attacco.
- Alice, - riprovo girandomi verso la mia migliore amica che si ostina a fingere di credere fermamente nella mia non esistenza.
- Non potrai assicurarti per sempre il silenzio di Mary con una spazzola.
Silenzio.
Lei sa che può.
E lo so anch’io.
- Ali, non ero in me. Qualunque cosa io ti abbia fatto, in condizioni normali non l’avrei fatta.
-...
Sospiro rassegnata.
- Giuro che chiunque abbia corretto il succo di zucca me la pagherà. Oh, se me la pagherà.
- L’ha già pagata.
Giro di scatto la testa verso Alice, che si morde irritata il labbro inferiore. Un sorrisetto mi si dipinge sulle labbra: anche se è arrabbiata, non può tenere a bada il suo lato pettegolo.
- Ne sei certa? Perché se per colpa di questa persona ho fatto qualcosa di tanto grave da spingerti a non parlarmi più, si merita evidentemente una lezione.
- Gli hai tirato un calcio nelle parti basse, direi che è sufficiente – mormora distaccata, sbirciando però di nascosto la mia reazione.
Reazione che non tarda ad arrivare.
Cosa?!
- Signorina Evans, la sconvolge così tanto il procedimento necessario per la trasfigurazione umana?
- No, no, certo. Mi scusi, professoressa.
Sono stata ripresa dalla McGranitt e sono un Prefetto. Quindi come minimo non dovrei fiatare fino alla fine dell’ora, ma Alice mi ha appena detto che ho colpito qualcuno nelle parti basse.   
- Con parti basse intendi che gli ho dato un calcio negli stinchi, vero? Vero? - chiedo supplicante.
- Mi dispiace, ma no. Con parti basse intendo che gli hai mollato un calcio nelle palle.
Oh Godric.
-E chi sarebbe il malcapitato?
- Sono sicura che ci puoi arrivare, Evans, - risponde Alice e l’uso del cognome mi ricorda che, anche se ha finalmente deciso di ammettere la mia esistenza, è ancora arrabbiata con me. - C’è solo una persona in questa scuola che odi tanto da arrivare a questo.
- Io non arriverei mai a questo. Non in condizioni normali almeno e...- mi blocco all’improvviso, riflettendo sulle sue parole.
C’è solo una persona in questa scuola che odi tanto da arrivare a questo.
E nello stesso istante la faccia sofferente di Potter mi si affaccia alla mente, mentre l’immenso pentimento viene sostituito da un’immensa soddisfazione.
 
*
 
- Peter, maledizione! Alzati immediatamente o giuro che ti lancio dalla finestra. Levicorpus! 
Il corpo grassoccio di Peter si solleva dal letto, restando appeso a mezz’aria per una caviglia, ma continuando a non dare segni di vita.
- Moony, da te non me lo sarei mai aspettato: sei un Prefetto! - esclama James esageratamente sconvolto, dal bagno.
- Prongs, smetti immediatamente di guardarti allo specchio e vestiti. E tu Pad non sei pronto: indipendentemente da quanto il tuo cervello addormentato possa pensare, devi infilarti anche i pantaloni – sbuffo, scoccando un’occhiata compassionevole a Sirius, vestito di tutto punto se non fosse per l’unica, irrilevante eccezione dei pantaloni. 
Dimostrazione vivente di come si possa dormire in piedi.
- Ma mi sono incantato, – si lamenta James, non accennando a staccare gli occhi dallo specchio.
- E scantati allora, – grido esasperato, facendo levitare Peter verso il bagno.
- Scantati non è un verbo esistente, - mi fa il verso James, prima che il corpo di Peter si schianti casualmente contro di lui, nel suo tragitto verso la doccia.
- Metti giù quei pantaloni, Sirius. Il fatto che tu ci stia comodamente tre volte dovrebbe farti capire che sono di Peter. E quelli sono del pigiama.
Cercando di mantenere la calma, lancio i pantaloni giusti a Sirius, poi punto la bacchetta verso il bagno e facendo violenza su me stesso per non lanciare un Avada Kedavra a James, pronuncio: - Infuscor.
- Ehy, - si lamenta il mio amico, mentre lo specchio si appanna improvvisamente.
- Pete, sta finendo il budino, preparati, presto! – grido fingendomi disperato, cosa che chissà perché mi riesce particolarmente bene in questo momento, mentre James inizia finalmente a vestirsi.
Peter apre di colpo gli occhi, illuminati da una scintilla demoniaca.
Non sarei voluto arrivare a tanto.
Sarà un trauma per Peter scoprire che non c’è nessun budino e nemmeno una colazione, ma era l’unico modo.
-Pad, apri gli occhi.
 
*
 
Per una frazione di secondo mi sembra di scorgere un lampo di disperazione passare dietro le lenti degli occhiali della McGranitt, poi se li riaggiusta sul naso e parla con il suo solito tono severo.
- Siete in ritardo di quasi venti minuti: se non avete una spiegazione convincente e plausibile, quindici punti in meno a Grifondoro, ed ora a posto, – dice la McGranitt, considerando sottointeso che non abbiamo una spiegazione plausibile, essendo i Malandrini.
Sono attorniato da spiegazioni plausibili, penso scoccando un’occhiataccia ai tre morti viventi che si stanno per riaddormentare in piedi.
 
*
 
Non devo chiederglielo.
No.
Già avrei dovuto tenere fede al mio giusto proposito di non rivolgerle la parola, perché è assurdo dire alla ragazza che la sera prima ha tentato di sedurre il tuo fidanzato qualsiasi cosa di diverso da dì le tue ultime preghiere.
Ma io sono un essere estremamente curioso.
È una verità scomoda, ma ineluttabile e con la quale ho imparato a convivere.
Ed ora ho un bisogno quasi fisico di sapere cosa passa per la testa di Lily Evans, mentre fissa impassibile James Potter sedersi in fondo all’aula, tra Remus Lupin e Sirius Black.
- Cosa stai pensando?- chiedo, usando comunque il tono più ostile che possiedo.   
- Che dovrei ubriacarmi più spesso.
 
*
 
- Signor Potter, visto che la mia spiegazione la annoia al punto da spingerla a sbadigliare ogni quattro secondi e ad usare come cuscino il libro del signor Lupin, - sibilo puntando lo sguardo sul viso assonnato di Potter - Le dispiacerebbe proseguire lei con l’illustrazione del procedimento necessario per trasfigurare un essere umano in un animale?
- Certo professoressa, - risponde pronto lui - Per prima cosa è necessario...
E mentre la mia disperazione arriva a sfiorare vette altissime, Potter snocciola con tono annoiato, ma, per quanto mi costi ammetterlo, in modo perfetto il procedimento di trasfigurazione.
Non è possibile.
Come fa a saperlo, per Godric?
Non l’ho ancora nemmeno spiegato.
- Sì, è corretto. Dieci punti a Grifondoro, -  mi costringo a pronunciare, stringendo le labbra tanto da farle sbiancare.
Arriverà il giorno in cui tu non saprai qualcosa di Trasfigurazione, Potter. Ed allora potrò coglierti in flagrante, perché lo so che non stai attento. 
- Se vuole posso darle una dimostrazione pratica, professoressa, - aggiunge subito, scattando in piedi ed estraendo la bacchetta in un lampo. – Se volessimo, per esempio, trasfigurare il signor Piton in un pipistrello...
- Potter, si sieda immediatamente! E dieci punti in meno a Grifondoro.
In fondo anche se non posso riprendere Potter perché non sta attento, non mi lascia mai a corto di pretesti per farlo.

**********

 

- Questo è il mio banco, Pad, - sibilo, fissando accigliato la piuma di Sirius muoversi veloce sulla superficie del mio banco.
- Lo so, - replica impassibile lui, senza staccare gli occhi dal suo lavoro – Infatti questo sei tu. 
Assottiglio lo sguardo, mentre Sirius conclude tutto compiaciuto il suo disegno, dopodiché un tonfo ed un gemito annunciano all’aula che il mio migliore amico è appena caduto dalla sedia.
- Signor Lack, tutto bene? - chiede Ruf, interrompendo quella che presumo essere la sua lezione, ma che per quel che mi riguarda potrebbe anche essere l’elenco di cosa ha mangiato a colazione.
- Sì, professor Puff, – risponde Sirius rialzandosi, mentre i nostri compagni scoppiano a ridere ed io trattengo a stento un ghigno, per non far dimenticare al novello pittore che sono ancora offeso.
- Come mi ha chiamato? - chiede confuso Ruf, mentre Sirius riprende posto accanto all’egregio sottoscritto.
- Mi scusi professore, ho un problema a ricordare i nomi - dice Sirius compito.
- D’accordo, ma ora faccia silenzio ed ascolti, Balck.
- Senz’altro, professor Fur.
Mi devo mordere un labbro per non scoppiare a ridere come ha già fatto il resto della classe, mentre Ruf ricomincia la sua cantilena soporifera.
- Non è divertente, – sentenzio infine, posando di nuovo lo sguardo sul disegnino di Sirius. - E per tua informazione, le proporzioni sono totalmente sbagliate: la gamba di Evans non può essere lunga quanto i suoi capelli.
- L’importante non è quanto lunga sia la gamba di Evans, James. L’importante è che finisca dritta dritta sulle tue-ahi. Mi hai fatto male.
- Me ne compiaccio.
- Anche se mai quanto te ne avrà fatto Ev-ahi.
- Ti ho fatto male di nuovo?
- Sì.
- Ed anche questa volta me ne compiaccio, - replico incrociando le braccia al petto e fissando la bocca di Ruf che si muove, fingendo di ascoltare.
- Lo so che non stai seguendo davvero, – dice Sirius dopo qualche attimo di silenzio.
Io lo ignoro, continuando a guardare dritto davanti a me, mentre le mie palpebre si fanno sempre più pesanti a causa della voce non proprio squillante di Ruf.
- Non ti crede nessuno, James.
Continuo a fingere che Sirius non esista, mentre lo sento iniziare ad agitarsi sulla sedia, irritato dalla mia scarsa considerazione.
- Non costringermi a puntare la mia bacchetta sui tuoi capelli, Potter.
 
*
 
“Le principali condizioni del trattato di pace del 1876 tra Folletti e Goblin furono le seguenti: tu provaci, Black.
Sospiro esasperato, cancellando le ultime tre parole. È difficile prendere appunti se la persona accanto a te è James Potter. Perché se la persona accanto a te è James Potter, allora la persona accanto a te non starà mai zitta. Né buona.
- Puoi stare fermo, James? - sbuffo, guardando irritato il rigone che ho appena tracciato sulla mia pergamena di appunti, dopo la delicata incursione del mio vicino di banco.
- Non è colpa mia. È Sirius che mi ha spinto.
- E perché Sirius ti ha spinto?
- Perché io gli ho fatto Evanescere la piuma.
Mi sento una cattiva persona mentre l’immagine della mia piuma che si conficca nel braccio destro di James si configura nella mia mente ed io desidero con tutto il cuore che diventi realtà. Mi sento un cattivo amico ed anche un cattivo Grifondoro, perché tra pochi giorni ci sarà la partita ed il braccio di James ci serve. Però mi sento anche molto bene perché se la mia fantasia diventasse realtà, James dovrebbe andare in Infermeria e non sarebbe più il mio compagno di banco. Ma a quel punto lo diventerebbe Sirius rifletto mentre un brivido gelido mi corre lungo la schiena.
- Per oggi è tutto, – conclude il professor Ruf, mentre io prendo atto del fatto che non saprò mai quali furono le condizioni di pace stabilite nel 1876. - Prima che andiate però...
Ed è a questo punto che Ruf dice qualcosa in grado di mandare nel panico un’intera classe di Grifondoro e Tassorosso del sesto anno.
 
*
 
Non pensavo che delle parole uscite dalla bocca di Ruf potessero avere tanto effetto sul mio stato d’animo.
Oltre che per il semplice fatto che solitamente le parole di Ruf non oltrepassano mai la barriera difensiva che si crea attorno alla mia mente nelle sue ore, ma soprattutto perché per mandare nel panico James Potter ci vuole ben altro che le parole di un vecchio professore.
E quel ben altro consiste in un compito in classe di Storia Della Magia.
Quindi, sono nel panico.
 
*
 
Prima ancora che la testa di James abbia finito di girarsi verso di me, ho già afferrato i miei appunti portandomeli al petto, lontano dalla sua pericolosa portata.
- Darei i miei appunti in pasto alla Piovra Gigante piuttosto che prestarli a te, James – chiarisco subito, mentre Ruf lascia tranquillamente l’aula, ignaro di aver appena rovinato la vita a venti poveri adolescenti.
- Ma io non voglio i tuoi appunti, Moony, - replica James con un sorrisone allarmante. – Mi basta che tu mi lasci copiare il compito.
-Fammi pensare. No, - rifiuto deciso, prima di gettare tutte le mie cose alla rinfusa dentro la tracolla e fuggire letteralmente dall’aula.
 
*
 
- James, mi passeresti il sale, per favore?
Punto lo sguardo in quello di Remus, seduto alla mia sinistra, poi lo sposto sulla boccetta di sale alla mia destra. Dopo aver riflettuto sulla situazione, allungo una mano verso il sale, lo afferro e lo spingo ancora più lontano dalla portata di Remus, per poi voltarmi verso di lui con un sorriso a trentadue denti.
- Solo se mi fai copiare il compito di Storia Della Magia.
Ah, come so sfruttare bene le opportunità.
Sirius, mi passeresti il sale per favore?
- Solo se mi fai copiare il compito di Storia Della Magia, – risponde veloce il mio, non a casomigliore amico - A proposito, davvero ci sarà un compito di Storia Della Magia?
- Sì, Ruf lo ha detto mentre tu pensavi a quanto soporifera fosse la sua voce - lo illumino dall’alto della mia magnanimità.
- E perché tu non lo stavi pensando? – mi chiede accigliato Sirius, fissandomi stranito.
- Perché mi ero momentaneamente fermato per pulirmi gli occhiali e la parola compito mi ha colpito senza pietà, più violenta che mai - rispondo con tono afflitto, scuotendo desolato la testa.
Peter, mi passeresti il sale, per favore?
- Solo se fai copiare a James e a Sirius il compito di Storia Della Magia, - risponde saggiamente Peter, prima di aggiungere ancora più saggiamente - Oh, e anche a me.
Frank, passami quel fottuto sale.
Tutti ci voltiamo sconcertati verso Remus, mentre il povero Frank per poco non si ribalta dalla sedia per lo spavento. 
-  Per favore, - aggiunge Moony, mentre Frank gli passa con mano tremante la boccetta di sale ed io tiro un sospiro di sollievo. Per un attimo mi ero quasi spaventato.
- Beh, allora io vado, – esclama Sirius improvvisamente, prima di alzarsi e correre fuori dalla Sala Grande.
Resto a guardare per qualche secondo il punto in cui è sparito Sirius con un sopracciglio inarcato, domandandomi cosa Godric gli sia preso, poi Remus inizia a corrergli dietro, gridando qualcosa sul ‘suo piatto’, io noto un mucchietto di sale nel punto in cui ci sarebbe dovuto essere anche il pranzo di Moony e tutto è più chiaro: il mio migliore amico è un coglione. Ma almeno ha lasciato qui il suo pollo.

**********
 

 

La vita è difficile e Merlino è bastardo. L’ho sempre saputo. A volte ti mette davanti a scelte difficili, tremende. Sai già che qualunque cosa farai, qualunque decisione prenderai, finirà male. E tu non ne uscirai vivo. È in questi momenti che vorresti semplicemente non essere mai nato. Ed è sempre in questi momenti che ti rendi conto che al mondo non gliene potrebbe fregare di meno di cosa vorresti o non vorresti tu. A quel punto l’unica cosa che ti resta da fare è tirare fuori il coraggio, prendere una decisione, rispettarla ed andare incontro alla morte E questo è esattamente quello che sto per fare: presa la mia sofferta decisione, dopo un ultimo, tremante e profondo respiro, entro nella Sala Comune dei Grifondoro e mi dirigo a passo deciso verso la mia fine. Fine che al momento è comodamente sdraiata su un divanetto, intenta a chiacchierare con gli amici.
- James.
Lui si volta verso di me, incrocia i miei occhi terrorizzati ed io capisco che lui sa. Non parla, ma alza un sopracciglio, in attesa. Prendo un altro profondo respiro, mentre mi sembra che tutto attorno a noi svanisca, e lo dico.  
- Io ed Alice facciamo due anni insieme oggi: non posso venire agli allenamenti.
Dimentico dei miei propositi di affrontare la morte con coraggio, serro gli occhi, in attesa dell’esplosione. Passano alcuni secondi, mentre io posso quasi vedere nella mia mente James estrarre lentamente la bacchetta e puntarla contro di me. Ora pronuncia lentamente le parole della maledizione senza perdono più potente di tutte ed il lampo di luce verde parte dritto verso di me.
-Va bene.
Spalanco gli occhi, incredulo, domandandomi se ‘va bene’ non sia per caso la formula di una nuova, terribile maledizione. Ma i secondi passano ed io continuo ad essere vivo.
- Cosa? – Sirius esprime ad alta voce il pensiero comune.
- Va bene, fate due anni, è giusto che festeggiate. Auguri.
- James. Io penso che tu non abbia capito. Oggi devo stare con Alice, oggi ci sono gli allenamenti.
- E noi rimandiamo gli allenamenti. 
Qualcuno si è impossessato del corpo di James Potter, non ci sono altre spiegazioni plausibili. James non mi permetterebbe mai di saltare gli allenamenti, non senza prima avermi picchiato, insultato, ancora picchiato ed infine ucciso. Per poi mostrare alla squadra il mio cadavere irriconoscibile, giusto per ricordargli cosa succede a chi tenta di sabotare gli allenamenti. O magari mi sta solo illudendo, per poi lanciarmi una Cruciatus all’improvviso. Devo stare all’erta.
- Allora...grazie. Perciò li rimandiamo a domani?
- Domani, Frank, – Non capisco perché il mio nome suoni come un insulto ora. - Ci sono gli allenamenti di domani.
- E gli allenamenti di oggi quindi a quando li rimandiamo? A dopodomani?
- Dopodomani, Frank, ci sono gli allenamenti di dopodomaniEd il giorno dopo c’è la partita.
- Ma...
- Vuoi per caso saltare gli allenamenti, Frank?
Oh no, mi sbagliavo prima: questo è JamesLa luce fanatica ed omicida appena apparsa nei suoi occhi è impossibile da non riconoscere. Ed è impossibile riconoscerla senza farsi prendere dal panico.
No. No, assolutamente! Io... 
- Gli allenamenti di oggi li rimandiamo ad oggi. Dopo che sarai stato con Alice - conclude James, incrociando le braccia al petto.
- Ma starò con Alice fino a quando non andremo a dormire - replico in un sussurro. Un sussurro davvero molto sussurrato.
Ma quando si tratta di Quidditch, James sarebbe capace di sentire anche gli ultrasuoni.  
- Fino a quando lei non andrà a dormire – mi corregge, categorico.
- Lei?
- Lei. Non ho la minima intenzione di ostacolare il vostro amore: puoi stare con lei finché vuoi. Ma dopo verrai ad allenarti.
O io ostacolerò il tuo essere vivo, aggiungono silenziosamente i suoi occhi.
- Ma il coprifuoco, - protesto, con voce flebile.
- Il coprifuoco ha voce in capitolo, Frank? Il coprifuoco colpirà i bolidi al tuo posto, Frank?
Ora ne ho la certezza: nella testa di James Frank è appena diventato un insulto. Un terribile insulto. E lo sta diventando anche nella mia.
 
*
 
Guardo il ritratto chiudersi alle spalle di uno scosso ed incredulo Frank, poi sposto lo sguardo su James, sdraiato sul divanetto di fronte a me.
- Sei stato gentile. Beh, meno omicida di quello che mi sarei aspettato, - commento pensoso.
- Frank se ne sta andando sulle sue gambe, direi che è stato più che gentile, - aggiunge Sirius, lievemente deluso. Non che abbia qualcosa contro Frank, o contro la vita di Frank, ma trova estremamente divertente vedere James sclerare per il Quidditch.  
- Sono un Capitano ragionevole, che credete? - sbuffa James con aria di superiorità. - Se oggi Frank vuole stare con la sua ragazza, è giusto che stia con la sua ragazza. Si allenerà stasera ed io farò anche doppio allenamento: come vedete la squadra ne trarrà solo vantaggi.
- A patto che non vi becchino al campo oltre il coprifuoco: in quel caso addio partita per te e Frank.
L’improvviso silenzio mi induce ad alzare gli occhi, ed è incrociando quelli di James che mi rendo conto che, forseper il bene di Frank non avrei dovuto dirlo.
È con un lieve senso di colpa che guardo il ragionevole Capitano fiondarsi fuori dalla Sala Comune, alla disperata e folle ricerca del povero Frank, pronto probabilmente a gettarsi tra lui e Alice anche nel pieno di un orgasmo, ora che si è reso conto dell’esistenza del rischio di essere puniti con l’esclusione dalla partita, se scoperti.
- Beh, studiamo un po’ Storia della Magia? - propongo dopo qualche secondo, senza crederci particolarmente.
L’espressione di Peter è una risposta più che sufficiente e le parole sprezzanti di Sirius lo sono altrettanto.
- Preferirei essere Frank. Ed in questo momento è tutto dire.
 
*
 
La vita è meravigliosa e Merlino ha davvero un gran cuore. A volte ti sembra che tutto sia perduto, che la fine sia arrivata, quando all’improvviso, senza che tu faccia nulla, le cose si aggiustano da sole. Pochi minuti fa ero un morto che camminava, destinato ad essere ucciso dal mio Capitano o dalla mia ragazza, mentre ora sono il Grifondoro più felice di Hogwarts. Cammino allegro verso la riva del lago, dove aspetterò Alice per passare tutta la giornata con lei. Per una volta non solo non sono in ritardo, ma sono addirittura in anticipo. Certo, rimane sempre il dettaglio che questa sera tardi dovrò allenarmi, infrangendo le regole e rischiando di prendermi una punizione con i fiocchi, ma una semplice punizione non può essere paragonata all’ira di James o a quella di Alice.
“Quindi, tutto sommato, mi è andata bene” concludo soddisfatto, lasciandomi cadere ai piedi di una grossa quercia, in attesa.
 
*
 
Scendo velocemente le scale del dormitorio femminile, portando con me la borsa a tracolla. Anche se forse sarebbe più corretto dire che la borsa a tracolla scende  velocemente le scale del dormitorio femminile, portando me. Mi trascina verso il basso con tutto il peso di una dozzina di barrette di cioccolata ed un libro di Storia della Magia. Ed il libro di Storia ha davvero tanto peso. Esattamente quello di millenni di guerre tra folletti e rivoluzioni dei Goblin ed alleanze e trattati di pace e... e dateInfinite, subdole, confondibili date. Beh, confondibili fino ad un certo punto: dato che io non ne conosco nessuna, non penso di poterle confondere tra loro.   Riuscendo miracolosamente a non perdere l’equilibrio, arrivo nella Sala Comune, dove un Remus Lupin ed un Sirius Black stranamente silenziosi fissano dai divanetti il ritratto chiuso. Vorrei chiedergli cosa ci trovano di sconvolgente, ma non mi sono portata tutto questo peso qui per nulla. Ho una borsa di cioccolata e Lupin davanti a me. E ad Hogwarts Lupin è famoso per due cose principalmente: il suo essere uno degli unici due ragazzi che abbiano mai preso appunti durante Storia della Magia e la sua passione per la cioccolata.

 
*
 
Frank Paciock.
Parco.
Alice Prewett.
Ingresso.
Dannazione.
Richiudo di scatto la Mappa del Malandrino, ricominciando poi a correre il più velocemente possibile verso il primo piano.
Alle scale piace cambiarema James Potter deve raggiungere il suo battitore.
Ignoro le proteste degli studenti che investo durante la mia corsa sfrenata: se sono Grifondoro, lo sto facendo per il loro bene; se sono Serpeverde, spero di avergli fatto male; se sono Tassorosso o Corvonero, saranno maturi a riguardo. L’unica cosa che conta ora è raggiungere Frank prima che lo faccia Alice. Giunto all’ingresso, mi fermo un secondo, non per riprendere fiato ovviamente, ma solo per studiare la situazione.
E la situazione è lì. Vestita e truccata di tutto punto, i capelli castani sciolti sulle spalle, si dirige tranquilla verso il portone.Ma se pensa che sia così facile, si sbaglia di grosso. In un batter d’occhio le sono di fianco. Lei mi guarda e capisce. Ci guardiamo con sfida, mentre i nostri occhi parlano al nostro posto: sarà mio.
Un ultimo istante di tensione e poi partiamo. Ci gettiamo a capofitto nell’aria fresca di Ottobre, gli occhi puntati sul nostro, lontano, obiettivo: Frank.
 

*
 
Eh sì, mi è andata davvero bene.
Sono qui, vivo e vegeto, James non mi ha lanciato nemmeno una fattura ed Alice arriverà a momenti. Non potevo chiedere di meglio.
Certo, se quei due puntini che stanno sfrecciando dal castello verso di me a velocità inaudita, sono davvero James Potter e Alice Prewett, allora sì, avrei potuto chiedere di meglio. Un Capitano ed una fidanzata senza istinti omicidi ad esempio.
Un vero Grifondoro non scappa mai, davanti a nulla. In nessun, e ripeto, nessun caso.
Ma è evidente che un vero Grifondoro non si è mai visto correre in contro James Potter ed Alice Prewett più agguerriti che mai. Beh, io sì. Quindi sto scappando e non ci trovo nulla di vergognoso nella cosa. È puro istinto di sopravvivenza. Non credevo di esserne ancora dotato: insomma, sto con Alice. Invece eccolo qua, più forte che mai, che fa muovere le mie gambe alla velocità della luce, non so nemmeno io bene verso cosa. Direi semplicemente lontano da qui, perché qui ogni cosa sembra gridarmi ‘Stai per morire’. E non ce n’è affatto bisogno, davvero: lo so che sto per morire. È per questo che sto correndo. Ed è per questo che sto seriamente prendendo in considerazione l’idea di tuffarmi nel lago, mentre sento i passi veloci dei due psicopatici farsi sempre più vicini: la piovra non può essere peggio di loro.
 
*
 
Ghigno trionfante, sentendo i passi di Alice sempre più lontani.
Devo ammettere che è un osso duro, ma non può battere me. 
Ah!
Qualcosa mi tira forte la caviglia all’indietro ed io mi ritrovo steso per terra, faccia nell’erba. Rialzo il viso giusto in tempo per vedere Alice superarmi di corsa, bacchetta alla mano.
- Ehy, questo è sleale! - grido indignato, prima di rialzarmi e sfoderare a mia volta la bacchetta, riprendendo l’inseguimento.
- In amore e in guerra tutto è lecito! - mi grida in risposta la ragazza, senza smettere di correre.
E guerra sia.
 
*
 
- Frank! Fermati, Frank!
Niente da fare.
Il mio ragazzo continua a correre come un fulmine, a bordo lago. Quando lo prendo...
- Ahi!
Improvvisamente cado seduta per terra, dopo aver sbattuto contro una specie di muro invisibile, e dopo due secondi Potter mi ha già risuperata. Maledetto. 
Con un balzo sono di nuovo in piedi: se pensa che l’avrà vinta...
Pietrif-ma cosa?
Vedendo Potter fermarsi di scatto, faccio altrettanto, abbassando la bacchetta. Sta guardando inorridito un punto a pochi metri da lui, esattamente quello in cui Frank sta...
- FRANK! No, che diavolo...
Rumore di schizzi.
 Sto con un cretino.
Un cretino che si è appena buttato nel lago pur di non farsi prendere.
- Se ti ammaligiuro che ti ammazzo!
Una volta tanto sono d’accordo con Potter.
 
*
 
Ho dovuto farlo.
Mi stava raggiungendo, James.
Tuffarmi nel lago era l’unica soluzione possibile.
Ed ora, mentre l’esigenza di ossigeno inizia a farsi sentire, prepotente, mi rendo conto che l’unica soluzione possibile era davvero una soluzione di merda.
Che Merlino mi assista. Oh Godric.
Che diavolo. No.
Non può essermi successo davvero. È troppo anche per me.
La piovra gigante non può avermi appena palpeggiato il sedere.
 Mi sento così violato ora.
 
*
 
È una tragedia.
La partita è fra tre giorni ed il mio battitore si è appena gettato nel lago gelido. Se si dovesse ammalare...no, non glielo permetterò. Nessun membro della squadra di Quidditch di Grifondoro si ammalerà, non fino a quando io sarò il Capitano. Frank esce tossendo – tossendo, per Godric! -  dall’acqua ed io gli sono subito di fronte.
- Non osare prendere freddo Frank, non osare, – lo avverto minaccioso, puntandogli contro la mia bacchetta, da cui inizia ad uscire un getto d’aria calda. Forse troppo.
- Scotta, James.
Ignorandolo, strappo la bacchetta di Alice, appena avvicinatasi, dalle sue mani, per poi puntare anch’essa su Frank. Qualche scottatura non gli impedirà di giocare la partita, dopotutto. Beh, a dire il vero nemmeno una febbre da cavallo potrebbe, non quando la partita è contro Serpeverde ed io sono il Capitano. Ma tutti i miei giocatori devono essere in perfetta forma, perfetta.
- Ammalati, Frank, ed io ti ammazzo, - ripeto, togliendomi veloce la sciarpa rosso oro dal collo e avvolgendola attorno al suo, sotto lo sguardo accigliato di Alice.
 
*
 
Mentre James mi avvolge la sciarpa attorno al collo, per un istante penso che sia davvero giunta la fine. Strozzato con una sciarpa. In fondo poteva andarmi peggio: potevo essere soffocato da una sciarpa con i colori di Serpeverde, ad esempio. Ma James non ucciderebbe mai qualcuno con una sciarpa verde e argento.
- Getterò il tuo cadavere nel fondo del lago, se ti ammali, – ribadisce ancora James, allontanandosi finalmente dal mio collo. Riesco ancora a respirare, anche se la sciarpa è un po’ troppo stretta. È strano ricevere serissime minacce di morte dalla stessa persona che ti sta curando come una madre apprensiva. Strano, ma non per questo meno inquietanteUna volta assicuratosi che sono completamente asciutto e al caldo, James restituisce la bacchetta ad Alice che, seguendo il suo esempio, la rinfodera. Dopodiché decidono di darmi la prova concreta della loro instabilità mentale. Dopo avermi inseguito, correndo come dei pazzi e combattendo tra di loro nel frattempo, costringendomi a cercare la salvezza tra i tentacoli della piovra gigante, fanno finta di niente. James si stampa un largo sorriso in faccia e, come se mi avesse notato adesso e non avesse passato gli ultimi cinque minuti a minacciarmi di morte, esclama allegro:
- Frank! Anche tu qui? Che coincidenza, ti stavo proprio cercando.
- Già, che buffa coincidenza: anche io lo stavo cercando, – si intromette Alice, con un sorriso falso quanto quello di James. 
- Oh, allora di’ al mio battitore quello che devi dirgli, Alice, perché poi sarà impegnato per tutto il pomeriggio con me.
- Forse è meglio che tu dica al mio ragazzo quello che devi dirgli, James, perché poi sarà impegnato tutto il pomeriggio con me, – Il sorriso di Alice si fa meno largo.
Il mio invece si fa sempre più nervoso.
- Emm, ragazzi.
- Temo che questo non sia possibile, Alice, dato che il mio battitore questo pomeriggio ha gli allenamenti – ribatte James ignorandomi, mentre il suo sorriso diventa decisamente più tirato. 
- Oggi il mio ragazzo non potrà allenarsi, James, dato che proprio questo pomeriggio festeggeremo due anni di fidanzamento – replica Alice perentoria.
- Sono tanto felice per voi, ma oggi Frank si allenerà, Prewett Non c’è più traccia del sorriso di James, ora.
- Oggi Frank starà con me, Potter - Anche il sorriso di Alice è sparito. E con esso, la mia ultima speranza di salvezza.

 
*
 
Eliminare Alice Prewett.
Ignora la vocina nella tua testa, James, da bravo.
- Mi dispiace, ma dovrete rimandare le vostre smancerie da innamorati ad un’altra volta: Frank oggi si allena.
Eliminare Alice Prewett.
Trattieniti, James.
Non puoi farti espellere, non a tre giorni di distanza dalla partita.    
- È a me che dispiace, Potter, ma Frank oggi starà con la sua ragazza, che è più importante del Quidditch.
Eliminare subito Alice Prewett. 
Ragazza. Importante. Quidditch.
Eliminare subito Alice Prewett.
Prendo un profondo respiro. Poi un altro, e un altro ancora.
Eliminare subito Alice Prewett.
Dopo aver messo per l’ennesima volta a tacere la vocina, che è davvero molto simile alla mia, parlo di nuovo, con calma glaciale.
Nulla è più importante del Quidditch, Prewett, nulla.
Nemmeno i miei capelli. E questo è tutto dire.
 
*
 
- Ragazzi, non potremmo trovare un compromesso?
- Tu sta zitto.
Come non detto.
Ora immagino che si uccideranno, il che non è poi così negativo, dato che se saranno impegnati ad uccidersi, non potranno uccidere me. È leggermente inquietante il fatto che le parole che uso più spesso siano morire ed uccidere, ma penso sia una logica e naturale conseguenza dell’avere a che fare con gente come James Potter e Alice Prewett. O magari è solo una conseguenza del chiamarsi Frank Paciock.
 

*
 
- Non pensavo che fossero passati così tanti anni dall’inizio del mondo, - rifletto accigliata, fulminando con lo sguardo l’ennesimo numero comparso tra gli appunti ordinati di Lupin. – E soprattutto non pensavo che i maledetti Goblin avessero fatto una rivoluzione, una rivolta o una guerra ogni singolo anno. Ah, se solo fossero davvero stati sterminati nella guerra contro i Giganti del 1853.
Remus mi interrompe scioccato.
 - Lizzie!
- Sì, lo so, non è una bella cosa augurarsi lo sterminio di un popolo, ma davvero, una rivolta all’anno è troppo.
- Non è quello, tu hai...hai appena ricordato una data!
Io ho fatto cosa? Non è possibile. Io e le date non siamo compatibili, è come se ci fosse un’enorme porta blindata all’entrata del mio cervello e le date non avessero la chiave per aprirla; è semplicemente impensabile che io possa essermi ricordata che la guerra tra Giganti e Goblin iniziò nel 1853, inimmaginabile ed assurdo. Così assurdo che, ora che ci rifletto, è vero.
- Remus Lupin, ho appena ricordato una dataho appena ricordato una data!
- Ne sono lieta, signorina Carson, ma sarei ancora più lieta se lei non gridasse nella mia biblioteca, grazie.
Va bene, forse non è il massimo farsi riprendere da Madama Pince per una cosa del genere. Sarebbe più giusto farsi riprendere per un’esaltazione isterica causata da qualcosa di più, come dire, entusiasmante, ad esempio il fatto che James Potter mi ha quasi baciata. 
Mi rendo perfettamente conto del fatto che non è salutare che ogni mio pensiero vada sempre a finire su di lui, ma che ci posso fare? È così bello. E mi ha quasi baciata.
E il fatto che mi abbia quasi baciata non lo rende più bello, quindi potrei evitare di continuare a pensare che mi ha quasi baciata, ma in realtà non posso proprio perché James Potter mi ha quasi baciata, per Godric!  
- Lizzie?
Perché Remus mi guarda così? O forse sarebbe meglio chiedersi da quanti minuti sto rivivendo il momento del quasi bacio estraniandomi dal resto del mondo? A giudicare da come mi guarda Remus, devono essere abbastanza. Quando sto per rispondere che James Potter mi ha quasi baciata, che ho ricordato una data e che la mia vita è perfetta, un sussurro concitato attira la mia attenzione. E mentre osservo due ragazzine precipitarsi fuori dalla Biblioteca, mi chiedo cosa diavolo significhi che James Potter e Alice Prewett si stanno sfidando nel parco per ottenere la mano di Frank Paciock. 
 
*
 
- Gli allenamenti inizieranno tra un paio d’ore. Vai a lucidare la tua scopa, Frank.
- È una bella giornata, non trovi, amore? Vai a prendere qualcosa nelle cucine: faremo un pic-nic.
Non è una bella giornata. È il giorno della mia morte, non è una bella giornata. Sono tante le giornate che sembrano dover diventare il giorno della mia morte, ma sento che questa è la volta buona. Qualcuno sta cercando di mettere Alice al secondo posto nella lista delle mie priorità, quando lei pretende di occupare tutti i posti della lista. E qualcuno sta attentando al puntuale svolgimento degli allenamenti della squadra di Quidditch di Grifondoro e lo sta facendo davanti a James Potter. A due giorni dalla partita contro Serpeverde. La morte è nell’aria.
- D’accordo Prewett, non mi lasci altra scelta. Non sarei voluto arrivare a questo, non mi piace combattere contro le ragazze, ma qui si parla di Quidditch, – sibila James, glaciale. – Fuori la bacchetta.
Alice non se lo fa ripetere due volte: di fronte a me ora la mia ragazza e il mio Capitano si puntano le bacchette contro a vicenda, mentre i pochi presenti nel parco li scrutano preoccupati, avvicinandosi incerti.
- Un colpo solo, – stabilisce James con tono solenne, mentre scintille dorate escono dalla punta della sua bacchetta.
Alice annuisce con un gesto deciso, senza parlare: si sta già concentrando. Ed è in questo momento che la vedo: i lampi verdi, io che mi getto in mezzo, le grida, il mio cadavere a terra, gli occhi sbarrati. La scena della mia morte. Mentre queste immagini mi vorticano nella mente, le due bacchette si muovono contemporaneamente, rapide e decise.
Sasso, carta, forbici!
 
*
 
Ghigno trionfante, mentre le forbici dorate uscite dalla mia bacchetta tagliano a metà con un colpo deciso il foglio perlaceo di Alice, galleggiante a mezz’aria.
Il foglio si sbriciola in tante scintille bianche, coprendo per qualche secondo il volto della mia avversaria.
- Al campo alle quattro e mezza, Frank. Puntuale, – ghigno soddisfatto, riponendo la bacchetta nella tasca interna del mantello ed incrociando lo sguardo furioso di Alice. - Non si saltano gli allenamenti di James Potter, Prewett, per nessun motivo.
Il Grifondoro che c’è in me crede che, forse, dovrei almeno sentirmi leggermente in colpa per aver barato. Ma il malandrino che c’è in me continua a ghignare soddisfatto.

**********
 

 

- Girano strane voci su di te, - informo sospettoso il mio migliore amico, mentre questi varca con aria trionfante il buco del ritratto.
-  Parli delle comprensibili voci sulla mia presunta parentela con Roderick Plumpton, miglior cercatore al mondo? - ghigna James raggiungendomi sul divanetto, mentre io prendo atto del suo respiro lievemente affannato e dei capelli più scompigliati del solito, oltre che della sua normale stupidità.
- Non esistono voci del genere, Prongs. E se esistessero, provvederei personalmente a toglierle dalla circolazione, – replico addentando una Cioccorana e tenendo il pacchetto lontano dalla sua portata. - Comunque credo che tu abbia appena fatto sesso con Frank.  
James mi scruta accigliato per qualche secondo, spostando lo sguardo da me alle Cioccorane che lui non avrà mai.
- Ho solo fatto il mio dovere di Capitano e trovo assolutamente inopportuno che tu non mi offra nemmeno una Cioccorana, quando è evidente che non sono tue - sbuffa gettandosi su di me nel tentativo, ovviamente fallimentare, di sottrarmi la mia merenda.
- Quello che io trovo assolutamente inopportuno invece, - ribatto alzandomi di scatto e osservandolo compiaciuto mentre si spiaccica sul divano ora vuoto. - È che il tuo dovere di Capitano sia quello di scoparti i tuoi giocatori. Condurrò personalmente un’inchiesta su questa vergognosa tradizione della squadra e, per inciso, queste Cioccorane sono mie di diritto, dato che me le sono guadagnate.
- Io non ho fatto sesso con nessuno, Padfoot. E rubare un pacchetto di Cioccorane a Peter non lo rende tuo, lo sai, sì? - insinua James rialzandosi dal suo disastroso tentativo con una dignità che una persona con dei capelli del genere non si può permettere ed iniziando a girarmi lentamente attorno.   
- Mezza scuola sostiene il contrario. Sei stato visto mentre ti battevi con Alice per conquistare il frutto proibito di Frank, – sibilo accusatorio, stringendomi il pacchetto al petto. – E ciò che non è nella bocca di Peter non è di Peter. 
- Io non ho fatto sesso con nessuno,  – insiste James restringendo pericolosamente la circonferenza del suo percorso. – E sono certo che Peter stia cercando le sue Cioccorane, Cioccorane che tu gli hai impunemente rubato.
- Hai sedotto e poi abbandonato il povero Frank. Sei un mostro. E Peter non sta cercando proprio nulla, hai capito? Nulla, – replico incrociando le braccia al petto, sopra le Cioccorane. 
- Mi sono solo assicurato che non disertasse gli allenamenti, – si difende James, continuando ad avvicinarsi. - Non farei mai sesso con un membro della squadra: è contro la mia etica. Ed ora dimostrerò la tua colpevolezza: PEEEETEER!
- Non è qui, non può sentirti.
- PEEEEETEEEEER!
- È inutile, ti ho detto che non è qui!
- PEEEEETEEEEER! WOOOORMTAAAILL!
- Sei ridicolo, piantala.
- PEEETEEER! PEEETEEEEER! PEEEETEEEER!
- Smetti subito! Non vedi che stai dando fastidio a quel gruppo laggiù?
- PEEEEEEETEEEEEERR!  WOOOORMM...Oh, ciao Pete.
Maledizione.  
- Sì, James?
Peter, dalla cima delle scale che portano ai dormitori, osserva James stralunato, che in effetti è il modo in cui tutti osservano sempre James.
- Dimmi, Pete, ti è stato sottratto qualcosa di recente? – chiede James con fare da investigatore, mentre io nascondo furtivamente le Cioccorane dietro la schiena.
- Beh, in effetti ho appena ritrovato i miei Calderotti sotto il tuo cuscino, Prongs, – risponde incerto Peter, mentre un ghigno mi illumina il mio viso e James si allenta la cravatta, a disagio.
- Oh, beh. Sìa parte quelli, intendevo.
- A parte quelli, ci sarebbero le Cioccorane che sto cercando da mezz’ora e che Sirius sta nascondendo dietro la schiena.
- Non le sto nascondendo, non essere ridicolo, Wormtail. Mi sto solo stirando, – preciso altezzoso, facendo vari e dolorosi movimenti  con le braccia.
- Non ti chiederò cosa tu stia facendo, Padfoot, – mi informa la voce di Remus improvvisamente apparso alle mie spalle. -Sappi solo che qualunque cosa sia, la trovo molto stupida.
- Proprio tu parli, Moony? Tu che stavi studiando? – sbuffo voltandomi a guardarlo ed imprimendo tutto il disprezzo possibile nell’ultima parola.
-  Sì, stavo studiando. È questo che fanno gli studenti, sai? – replica Remus indispettito. – E smetti di guardare male il mio libro.
Faccio per replicare, indignato, che non si può essere al tempo stesso un Malandrino ed uno studente, ma prima che io possa aprire bocca mi ritrovo spiaccicato sul divano con sopra qualcosa di davvero molto fastidioso e molto simile a James Potter, mentre  la mia mano destra si ritrova all’improvviso inesorabilmente vuota.  

 
*
 
- Ridammi le mie cioccorane, stupido cervo!
- Non sono tue.
- Nemmeno tue.
- Ahia!
- No, io dico ahia.
- Lasciami!
Tu lasciami!
No, no, fermale...ecco, immagino che sarai soddisfatto ora.
- Ma se sei stato tu a farle cadere.
Io?
Mentre diverse ranocchie di cioccolato saltellano allegre per la Sala Comune e James e Sirius continuano a rotolarsi sul divano bisticciando, mi rendo conto che non è stata un’idea intelligente quella di fare una pausa dallo studio nelle vicinanze dei miei amici.
Direi piuttosto che è stata una pessima idea.
 Credo che ora andrò a fare una pausa dai miei amici, studiando.
- Io torno in Biblioteca - annuncio, osservando James cadere dal divano e rotolare fino ai miei piedi.
-Divertiti - mi dice guardandomi dal basso, un secondo prima che un cuscino lo colpisca in testa.
- Potreste anche venire con me – azzardo mentre James rilancia il cuscino a Sirius.  
- Potremmo, - risponde pensoso Sirius, facendomi inarcare un sopracciglio - Ma potremmo anche non farlo. 
- E potreste anche prendere T nel compito di domani.
E la prenderete, aggiunge una vocina dentro di me.
- Ma tu potresti farci copiare – commenta James allegramente.
 - Potrei. Ma potrei anche non farlo – replico, imitando il tono di Sirius.
- Già. Come potresti finire casualmente nel lago – Il tono di Sirius ora si è fatto leggermente minaccioso.
- Mentre voi potreste finire casualmente in punizione per un mese. Ma mai minaccioso quanto il mio.
- Potreste smettere? Mi state confondendo – sbotta Peter lamentoso.
- Potremmo, Pete, potremmo - inizia Sirius ghignando.
Ma potremmo anche non farlo – conclude per lui James con lo stesso, identico ghigno.
- E POTRESTE ANCHE ANDARE TUTTI A QUEL PAESE!
Per qualche secondo noi Malandrini ed il resto dei presenti restiamo a fissare a bocca aperta Sean Brown, Grifondoro, quinto anno, abbandonare la Sala Comune a passo di marcia, trascinandosi dietro una valanga di libri. Poi la voce di James spezza il silenzio:
- Dite che lo abbiamo disturbato?
- I GUFO rendono la gente isterica, l’ho sempre detto, - commenta Sirius con un’alzata di spalle.

**********
 
 

- Grazie a Daniel che è arrivato con ventidue secondi di ritardo, ci alleneremo esattamente ventidue minuti in più.
James non è sempre così psicopatico, è solo che la partita è tra due giorni e lui è un po’ agitato, tutto qui. Va bene, è sempre esattamente così psicopatico. E difatti nessuno ribatte. Nessuno in squadra ha voglia di allenarsi una ventina di minuti in più del previsto, perché il previsto è già due ore e mezza ed è più che sufficiente. Ma nessuno in squadra ha voglia di morire. Tranne me che, beh, in ogni caso non ho scelta: James è circondato da scope ed è in un campo da Quidditch, quindi per il momento non ho nulla da temere da lui, a meno che non manchi qualche Bolide, ma Alice è da qualche parte nel castello a pensare a quanto sia assolutamente inammissibile che io sia qua ad allenarmi invece che con lei a festeggiare, quindi, beh, è stato bello finché è durato.  
- Forza, tutti in sella.
Il tono con cui James pronuncia questa frase sarebbe molto adatto anche nella bocca di un capo Auror che sta comandando ai suoi uomini di fare irruzione in un covo pieno di criminali e questo mi inquieta un po’. Ho sempre pensato che James fosse inquietante in fatto di Quidditch. Anche prima di vederlo rincorrere Mike con una mazza da battitore in mano perché si era dimenticato di prenotare il campo per gli allenamenti.
 
*

 
Mi do una spinta leggera con i piedi ed in pochi secondi mi ritrovo a diversi metri da terra, il vento fresco che mi accarezza il viso e la solita, entusiasmante sensazione di ebbrezza che mi provoca l’essere sospeso a distanza dal suolo. Per un attimo chiudo gli occhi, sospirando soddisfatto e pensando a quanto adoro volare, poi li riapro di scatto, focalizzandomi sui miei compagni di squadra e studiandoli uno ad uno, mentre si radunano a cerchio intorno a me.  La mia squadra.Mia. Meravigliosamente mia esattamente dall’anno scorso, quando sono stato nominato CapitanoGuardo i miei compagni con un sorriso soddisfatto e loro guardano me. E non succede niente. Gli sguardi di tutti si spostano lentamente sulla stessa persona, che, al contrario, continua a fissarmi serenamente. Sento una vena pulsare pericolosamente sulla mia fronte, mentre chiedo con voce seccata:
- Sam?
- Sì, Capitano?
- A chi tocca oggi liberare le palle?
Un lampo di comprensione illumina gli occhi azzurri del mio cacciatore.
- Oh, è il mio turno?
- Certo che è il tuo turno, pel di carota! Non hai notato che quando ci ritroviamo per aria a fissarci come degli scemi, è sempre, costantemente il tuo turno?
- Non chiamarmi pel di carota, balena!
- E tu non chiamarmi balena, idiota!
- Non...
- Daniel, – chiamo esasperato, quasi gridando per sovrastare i soliti battibecchi di Sam e Alexis. – Ci penseresti tu?
-Naturalmente, - annuisce il mio cacciatore migliore, prima di estrarre con aria professionale un quadernetto nero dalla tasca. - Allora ragazzi, su chi puntate?
- Ehy! Ti avevo proibito di portarlo agli allenamenti! -  sbotto indignato, fulminandolo con lo sguardo.
A volte credo che se Daniel cadesse dalla scopa, sarebbe capace di raccogliere scommesse durante la caduta sulla sua possibile sopravvivenza all’impatto col suolo o meno. 
- Non si può mai sapere quando si presenterà l’occasione per una bella scommessa, Capitano – ribatte lui, guardando allegramente Alexis e Sam che continuano a mangiarsi la faccia a vicenda.
- Di sicuro non durante gli allenamenti – ringhio minaccioso.
- Ma noi non ci stiamo ancora allenando – fa notare Daniel, fissandomi impassibile con i suoi occhi verde scuro.
-Esatto, noi non ci stiam...oh Godric, noi non ci stiamo allenando.
Il panico presente nella mia voce fa voltare Frank, Mike ed Anne che stavano chiacchierando amabilmente poco distanti da noi, mentre Sam ed Alexis continuano spediti il loro botta e risposta di insulti.
- Sam! Vai a prendere quelle fottute palle o useremo le tue.
Nel momento esatto in cui finisco di parlare, ringhiare, Sam è già a terra che traffica con la cassetta in cui sono contenuti bolidi, pluffa e boccino. Quando la pallina alata sparisce in un guizzo dorato ed un bolide mi sfreccia accanto, sospiro soddisfatto. E sì, trattengo il fiato forse, rischiando di cadere dalla scopa tra le altre cose, ma arrivati a questo punto, non credevo di riuscire ad avere davvero a che fare con bolidi e pluffe. Tempo qualche secondo ed una mazza si schianta violentemente contro il bolide, lanciandolo con una forza inaudita praticamente dall’altra parte del campo. Mi sfugge un sorriso soddisfatto, mentre osservo la mia battitrice scostarsi un ciuffo scuro dagli occhi e ripartire immediatamente all’inseguimento del bolide. Occhi castani e determinati, fisico robusto, capelli neri sempre raccolti in una coda ed un orgoglio difficile da eguagliare: Alexis Mason. È solo al quinto anno, ma riesce già a tenere testa anche ai giocatori del settimo. Frank d’altra parte è entrato in squadra al mio stesso anno e da allora nessuno ha mai messo in dubbio il suo posto: non per essere presuntuoso, ma credo di avere i due battitori migliori  di Hogwarts, al pari forse con Phillips di Corvonero. Mentre Frank e Alex si occupano dei bolidi, anche gli altri iniziano a giocare: Mike prende velocemente posizione di fronte agli anelli, pronto a difenderli a costo della vita. Ok, forse non proprio a costo della vita, ma unicamente perché si tratta solo di un allenamento, sia chiaro. È poco più di un anno che sono Capitano, ma credo di aver già fatto capire più che perfettamente a Mike qual è la sua priorità assoluta: parare. Non importa cosa. Mi sono beccato anche diverse punizioni per allenarlo a dovere, dato che la McGranitt non ha apprezzato particolarmente alcuni miei lanci improvvisi fatti all’esterno del campo da Quidditch. Tentativi di omicidio, ma per favore. Come se il mio Portiere non fosse perfettamente in grado di prendere al volo un innocuo libro di Storia della Magia di ottocento pagine. Beh, punizioni e visite in infermeria a parte, i riflessi di Mike ora sono formidabili. Quasi quanto i miei. Quasi. Quando Sam, Daniel ed Anne riescono a fare gioco di squadra però anche lui fatica a difendere gli anelli: quei tre insieme sono capaci di avere una sintonia perfetta. Il problema è che non sempre sfruttano a pieno questa possibilità, con mio grande disappunto. Il motivo sono gli occhioni scuri ed il viso dolce di Anne, che è riuscita a fare breccia nel cuore di Daniel già dal primo sorriso. E Sam, beh, sarebbe esatto dire che nel suo cuore ha fatto breccia il genere femminile al completo. Anche se cuore forse non è la parola esatta. Così come Daniel non può fare a meno di scommettere su qualcosa appena ne ha la possibilità, Sam non perde occasione per provarci spudoratamente con una bella ragazza, appena ne vede una. Ed Anne purtroppo rientra nella categoria, con i suoi lunghi capelli biondi e il sorriso sempre sulle labbra. Inutile dire che fulminare con gli occhi Sam, non aiuta Daniel a coordinarsi alla perfezione con lui. Anne non si fa problemi con nessuno dei due invece, dato che vive in un mondo tutto suo dove l’unico ragazzo veramente degno di tale nome è Sirius Black. Che novità. Mi chiedo cosa diavolo faccia Sirius alle ragazze. Dai, non è nemmeno così bello. Ok, forse lo è, ma non abbastanza da avere il diritto di minare la stabilità interna della mia squadra, senza contare che mi sta distraendo dal QuidditchCon un sussulto ritorno a concentrarmi sui miei compagni, dando qualche breve indicazione ai cacciatori e osservando il loro gioco ancora per qualche minuto.
Un sorriso compiaciuto mi si dipinge sulle labbra, quando vedo che tutto scorre perfettamente. Bene. Finalmente posso dedicarmi al bocc-il mio naso ci tiene a specificare che quello non era un boccino. E la mia scopa vorrebbe farmi presente il suo non essere più sotto di me. Io invece vorrei ricordare a Mike che il suo compito è quello di difendere gli anelli, non di afferrare me, e vorrei esprimergli tutto il mio disappunto per il fatto che lui, portiere, si trovi quasi a metà campo, così lontano dagli anelli – Inconcepibile! Non esiste, non esiste - , ma prima che io abbia il tempo di aprire bocca, il grande boccino che è nel cielo si spegne e tutto diventa buio.
 
*
 
Dopo aver riposto con cura l’ultima boccetta di Ossofast appena consegnatami da Lumacorno, richiudo l’anta dell’armadietto e mi guardo attorno con un sorriso soddisfatto.
Tutti i letti sono perfettamente intatti: nessun paziente.
E questo significa nessun lamento, nessun amico venuto a fare compagnia, nessun ‘ma questa Pozione fa schifo!’, nessun ‘Posso avere un altro po’ di cioccolato? nessun ‘Posso uscire? La prego, sto bene!’, nessun...
- Madama!
Con un sospiro rassegnato mi volto verso la porta, che è appena stata spalancata. Sapevo che non poteva durare. Vediamo di che si tratta.
Oh, no, non di nuovo Potter.
 
*
 
Sento diverse voci concitate attorno a me, ma per quanto mi sforzi,  non riesco a vedere nulla: c’è qualcosa davanti ai miei occhi che mi copre tutta la visuale. Una volta constatato che si tratta delle mie palpebre, le sollevo, trovandomi di fronte una scena che non mi piace per niente. Attorno al letto in cui sono steso l’intera squadra più Remus mi guardano preoccupati, mentre io mi porto una mano alla fronte bendata, prendendo atto del doloroso bernoccolo che spicca sotto di essa.
Sono in infermeria.
Remus è in infermeria.
La squadra è in infermeria.
- Capitano, allora sei vivo!
Tornate subito ad allenarvi.
 
*

 
Mentre, dopo venti secondi dal risveglio di James, la porta dell’infermeria sbatte alle spalle della squadra di Grifondoro, ora diretta a tutta velocità verso il campo, mi rendo conto che sono davvero fortunato ad essere negato per il Quidditch. 
- Tra poco se ne deve andare anche lei, signor Lupin, – la voce di Madama Chips giunge lievemente seccata dalle mie spalle.  – Il signor Potter è appena stato colpito da un bolide, deve riposare.
-Riposare? Riposare? – salta su James scandalizzato, guardando Madama Chips come se fosse pazza. - Sono appena stato colpito da un bolide e lei mi dice di riposare? La partita è tra due giorni, ho appena scoperto che i miei battitori sono degli incapaci e secondo lei ora dovrei...
- Respirare – suggerisco, guardando le guance di James ormai di una tinta vermiglia.
- Eh?
- Respira, James. Un po’ di ossigeno tra una parola e l’altra aiuta, sai.
James mi fissa per qualche secondo, prima di saltare di nuovo su come una molla:
Respirare? Remus, forse tu non hai capito che...
Signor Potter, – il tono di Madama Chips mentre si avvicina a James non può essere definito in altro modo che omicida. Non credo che il mio amico le stia particolarmente simpatico. – L’unico a non aver capito qualcosa qui è lei: innanzitutto questa infermeria non è il suo secondo dormitorio, chiaro? Se lo metta bene in testa, perché ormai vedo più spesso lei che la mia immagine allo specchio.
- Lei non vuole che io stia qui. Io non voglio stare qui. Non è perfetto?-  prova James con un sorriso smagliante, cercando di allontanare le coperte da sé.
- Nemmeno per idea, Potter. Per quanto mi costi l’idea di averla qui ancora per un po’, e le assicuro che mi costa, lei non si muoverà da questo letto almeno per un’altra ora – conclude perentoria Madama Chips, prima di girare i tacchi e sparire nel suo ufficio, senza dare a James possibilità di replica.
- Un’ora, - mormora afflitto, gli occhi puntati sulla finestra. O per meglio dire, sul lontano campo da Quidditch. – Un’intera ora.
Considerando che James è stato colpito da un bolide, si è rotto il naso e per un pelo non si è fatto un volo di una decina di metri, direi che un’ora è anche poco.
Ma come dicevo, non credo che Madama Chips gradisca particolarmente la sua presenza qui.

 
*
 
- A questo punto le possibilità sono due, ragazzi: facciamo come ha detto il Capitano e ci alleniamo, oppure...
- Sam, non c’è un’altra possibilità: James lo saprebbe.  
- Non essere paranoico, Frank! È in infermeria, non lo saprebbe mai.
- Frank non è paranoico, pel di carota, semplicemente lui, a differenza tua, ha un cervello.
- Fortuna che hai il senso dell’umorismo, balena, perché per il resto...
- Ehy, Mike, quanto scommetti che Sam finirà a fare compagnia a James in infermeria?
- Metti via quel libretto, Daniel.
 
*
 
- Hai barato?- spalanco gli occhi, mentre James mi allunga la metà dell’ennesima tavoletta di cioccolato. Una volta arresosi all’idea di dover stare lontano dal campo per un’ora intera, ha deciso di passarla almeno in modo costruttivo, ovvero raccontandomi della sua guerra contro Alice.
- Non ho barato, – protesta scandalizzato. - Mi sono solo assicurato di non perdere.
- Questo, James, si chiama barare, – preciso, guardandolo accigliato. 
Questo, Remus, si chiama tutelare il benessere della propria squadra.
Nella mia mente ricompare l’immagine di quando Mike e gli altri lo hanno portato in Infermeria, privo di sensi e con un naso grande quanto un pomodoro.
- Hai una strana idea di benessere, Prongs.  
- Non soffermarti sui dettagli, Moony. È chiaro che quando dico ‘tutelare il benessere della squadra’ intendo ‘vincere’.

 
*
 
Espiro a lungo e con forza, gonfiando le guance. Poi sbuffo.
Espiro di nuovo. Sbuffo di nuovo.
Mi sto annoiando.
Incenerire con lo sguardo i bimbetti del primo anno per poi guardarli correre via spaventati ha perso ogni attrattiva. Sono ripetitivi a lungo andare. E non tutti possono essere spassosi come quello che nella fretta di allontanarsi e tenermi d’occhio contemporaneamente non ha centrato il buco del ritratto e si è schiantato contro il muro. Al ricordo sghignazzo, attirandomi addosso lo sguardo sospettoso di una ragazza. Le ammicco facendola arrossire, prima di tornare a pensare a quanto mi sto annoiando, imbronciato. James in teoria dovrebbe aver finito gli allenamenti da un pezzo, in pratica starà ancora svolazzando allegramente per il campo, mentre Remus e Peter sono dispersi. Ho già detto che mi annoio?
Penso che andrò a cercare Peter.
Il che equivale ad andare a cercare del cibo.
Ma non perché io abbia intenzione di mangiarmi Peter, certo.

**********

 
 

Non so per quale strana associazione di idee, ma proprio quando varco la soglia della mia camera, con le palpebre pesanti per il sonno, mi appare nitida alla mente l’immagine del mio libro di Storia Della Magia abbandonato in Biblioteca. Mi blocco a pochi passi dal letto, guardandomi attorno. Sirius si è già impossessato del bagno, mentre il letto di Peter si è già impossessato di Peter. James rotola avanti e indietro su quello di Sirius, per tenersi sveglio mentre aspetta che il bagno si liberi, a detta sua, ma fondamentalmente perché è un idiota. Stabilisco che se il mio libro è in Biblioteca, è proprio colpa di James, dato che l’ho abbandonato lì per correre a vedere come stava. Sto per ordinargli di andarmelo a prendere, ma in fondo non ho davvero bisogno di ripassare ancoraSenza contare che più il mio libro è lontano da questa stanza, più è al sicuro.
- James, hai studiato Storia della Magia?
Il rotolare del mio amico si arresta di scatto, per ricominciare più lentamente dopo qualche secondo.
- Sì. Cioè, non ho proprio finito, ma sono a buon punto.
- ...
- Cioè, sono ad un punto.
- ...
- Non necessariamente buono.
- ...
- Ho studiato le prime due pagine.
- ...
Letto le prime due pagine.
- ...
- Ok, guardato.
- ...
- Le prime due righe. Da lontano. Per sbaglio
 
 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


 

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CAPITOLO 13.

 

 

 

 

 

 

 

- Mi daresti un pugno, Pad?
Questo non è un brutto modo di svegliarsi. Affatto.
- Anche due, – rispondo con voce impastata, ma allegra, aprendo un occhio e fissando James, seduto a gambe incrociate di fianco al mio letto, ancora in pigiama.   
- Me ne basta uno per andare in infermeria e saltare così il compito di Ruf, – replica lui, mentre uno strano verso allucinato proveniente dal bagno mi informa che Peter è di nuovo uscito dalla doccia mentre anche Remus era in bagno.
- Però devi farmi arrabbiare, James. Non ci riesco così. 
- Ok, dunque. Ehy! - James schiva per un pelo il mio pugno, mentre io quasi stramazzo a terra, sbilanciato.
- Me l’hai chiesto tu, – ribatto con un’alzata di spalle, districandomi a fatica dalle coperte ed evitando con cura di guardare verso il bagno.
James mi fissa offeso, stringendo gli occhi.
- Sì, ma era ovvio che tu avresti dovuto rifiutarti, perché sono il tuo migliore amico e ti getteresti dalla Torre di Astronomia piuttosto che colpirmi.
- Ma veramente...
Ok ok, Sirius, non ti chiederò più una cosa del genere, non temere: è evidente che è contro la tua natura fare del male a me - conclude soddisfatto James.
- No, ma lo faccio volentieri.
- Ho già detto che non ti devi preoccupare, Padfoot. Andiamo: Ruf ci aspetta – e dopo avermi zittito per l’ennesima volta, si alza con un balzo.
Mi chiedo come sia possibile avere la forza di balzare alle sette di mattina.
Ma è James e credo che questo spieghi tutto.
 

**********
 


Mi lascio cadere a peso morto sulla sedia, con ancora l’immagine della ciccia ballonzolante e gocciolante di Peter davanti agli occhi. Brr.
- Moony.
Fingendo di non aver appena fatto un salto sulla sedia degno di nota, mi volto lentamente alla mia destra, ritrovandomi faccia a faccia con Sirius. In prima fila. Sirius.
- Stai bene? – chiedo squadrandolo preoccupato, come se dovesse esplodere da un momento all’altro. Anche se è più plausibile che sia l’aula ad esplodere da un momento all’altro, conoscendo Sirius.
- Sono qui solo di passaggio, Moony, non ti allarmare, – mi rassicura con un ghigno, prima di farsi serio di colpo. - Puoi riassumermi in cinque minuti ottocento anni di storia della magia?-
Sento il mio sopracciglio sinistro inarcarsi a livelli inimmaginabili.
- Secondo te è possibile che io ed il resto della scuola passiamo intere ore a studiare una cosa che può essere riassunta ed imparata in cinque minuti?
- Sì?- tenta Sirius con un sorriso incerto.
- No!
- Non sprecare secondi preziosi, Moony: inizia.
Ed io inizio.
Ripetere alla velocità della luce il maggior numero di informazioni possibili ad un Sirius che pende dalle mie labbra, mentre tutto attorno a noi serpeggia il panico ed esplodono da ogni parte esclamazioni come non so niente, non è esattamente il miglior modo per iniziare la giornata, né per tranquillizzarsi prima di un compito in classe. Ma evidentemente è l’unico che mi è concesso. 
 

*
 

Guardo accigliato le labbra di Remus muoversi ad una velocità disumana, gli occhi di Sirius spalancati nel tentativo di memorizzare più informazioni possibile –evidentemente li ha confusi con le orecchie – e Peter che sposta freneticamente lo sguardo dall’uno all’altro con una smorfia di panico crescente. Lizzie a qualche banco di distanza sta fissando il libro con gli occhi sgranati ed immobili, come se avesse appena avuto un’apparizione divina. Al suo fianco la sua amica Allison continua a gridare istericamente al libro che non sa niente. Le unghie di Alice sono conficcate nella mano di Frank, che non credo se ne sia ancora accorto, preso com’è a prendere metodicamente a testate il banco. Daniel sta tentando di convincere Mike a scommettere su chi tra loro due riuscirà a prendere il voto più basso, mentre il suddetto Mike ha appena strappato una pagina dal suo libro di Storia a furia di sfogliarlo freneticamente. È un po’ imbarazzante vedere il contrasto tra la parte sinistra dell’aula, occupata da Grifondoro momentaneamente in preda alla follia, e quella destra, occupata da Corvonero silenziosi e perfettamente tranquilli. L’unica Grifondoro che non sembra aver perso la ragione è Evans, che ripassa rapidamente, un po’ agitata, ma ancora abbastanza lucida da ricordarsi di dire ad Alice di estrarre le unghie dalla mano del povero Frank.
Oh, e poi ci sono io ovviamente. L’unica differenza tra me e lei è che io non ripasso perché sarebbe inutile, senza contare che per ripassare dovrei prima aver studiato. Ruf inventerà un voto più basso di T apposta per me, me lo sento. Lo chiamerà JP, per ricordare il compito più disastroso di tutta la sua carriera da insegnante. Tra qualche anno gli studenti diranno ‘Oh no! Ho preso un James Potter nel compito!’ e questo non va affatto bene. Se le future generazioni di Hogwarts ricorderanno il mio nome,  sarà solo per le mie stupefacenti doti da cercatore, per la mia ineguagliabile bellezza, la mia simpatia travolgente e naturalmente per le mie mirabolanti malandrinate, alle quali si sta per aggiungere l’aver preso in ostaggio un’intera classe pur di non fare un compito. Do un’altra occhiata ai miei disperati compagni, prima di alzarmi e dirigermi a passo sicuro verso la porta dell’aula. Sento le occhiate sospettose dei Corvonero su di me, mentre punto la bacchetta sulla porta, con un ghigno.
- Colloportus. 
Ora voglio proprio vedere come farà Ruf ad entrare.
- Buongiorno, staccate pure i banchi.
Il sorriso mi si congela sulle labbra, mentre mi volto e per poco la bacchetta non mi cade dalla mano.
Ruf è appena entrato in classe passando dal muro ed attualmente galleggia di fronte alla cattedra, a diversi centimetri dal pavimento. Dire che è pallido non rende l’idea, perché Ruf effettivamente non è pallidoè letteralmente trasparente, con qualche riflesso perlaceo, e questa mattina sembra molto inconsistente.
Per non dire morto.
 

*
 

Ruf è morto.
È da due giorni che non faccio che studiare Storia Della Magia e Ruf muore.
A questo punto è evidente, oltre al fatto che Alice ha delle unghie davvero affilate, che il senso dell’umorismo di Godric è pessimo.
 

*
 

Per la prima ed ultima volta nel corso della sua carriera il professor Ruf riesce a catalizzare l’attenzione di tutta la classe su di sé. Persino Sirius rivolge lo sguardo al professore, cosa che non accadeva da diverso tempo, mentre in classe non vola una mosca. Frank si è bloccato a metà di una testata ed ora fissa il fantasma di Ruf senza ancora accennare a spostare la mano dalle grinfie di Alice, la bocca di Peter ha raggiunto un apertura non indifferente e Daniel non ha ancora proposto nessuna scommessa.  
- Staccate i banchi, – ripete Ruf, considerando evidentemente ordinarie le nostre facce da pesci lessi.
A questo punto la mia indignazione raggiunge livelli inauditi: ha davvero intenzione di farci il compito? Insomma, sapevo che non aveva una vita oltre il lavoro, ma nemmeno una morte? Senza staccare gli occhi da lui, mi avvio lentamente verso il mio banco, così come stanno facendo tutti. Ed anche gli altri non staccano gli occhi da Ruf, come ho modo di sperimentare sulla mia pelle, considerati i diversi incidenti che riesco a collezionare prima di raggiungere davvero il mio banco, di fianco a Sirius. 
- Pad?
- Sì, Prongs?
- Non trovi anche tu che ci sia qualcosa di strano?
- Ti riferisci al fatto che il nostro professore è apparentemente morto o al fatto che il suo fantasma è appena entrato in classe attraverso il muro per farci il compito?
- Ad entrambe le cose in effetti.
- Pensi che qualcuno dovrebbe dirglielo?
- Pensi che se glielo dicessimo non ci farebbe il compito?
- Beh, è morto. Non è una cosa che capita tutti i giorni.
- Infatti, dovrebbe rifletterci su - concordo, facendo strisciare il banco per allontanarlo da quello di Sirius.
Guardo Ruf ancora per qualche secondo, poi faccio per dire qualcosa, non so nemmeno io cosa esattamente, magari ‘Lei è morto, dovremmo avere un’ora libera’, ma Remus mi precede.
- Emm, professore.
- Sì, Lupo?
- Lei, ecco, si è accorto di essere...-  Remus esita, mentre tutta la classe trattiene il fiato.
- Essere?
- Nulla. Distribuisco i compiti?
 

*
 

Non riesco a concentrarmi. Non ci riesco. Mi sento in colpa e questo è assurdo perché non c’è assolutamente niente di male nel fare il mio dovere di studente, rispondendo esaurientemente alle domande del compito di Storia della Magia. Ho studiato, so le risposte e le scrivo. Semplice, no? E giusto. Quindi perché mai dovrei sentirmi in colpa? Penso sia legato anche all’altra sensazione, quella di essere osservato. E so perfettamente da chi. Da tre persone che evidentemente non hanno studiato. Ed ora non hanno nessun diritto di guardarmi così, occhi sgranati e labbro in fuori, perché non mi fanno nessunissima pena. Non essere in grado di rispondere a queste domande e prendersi una T è la giusta, naturale ed assolutamente prevedibile conseguenza del loro non aver studiato, quindi se lo meritano e non dovrebbero nemmeno osare guardarmi mentre faccio il mio dov...ah, maledizione!
Giuro che è l’ultima volta che li aiuto, parola di Remus Lupin!
 

*
 

Dunque. Iniziamo.
Da...il nome, sì. Questo lo so.
Lizzie Carson.
Perfetto.
È un buon inizio.
Ora passiamo al resto.
Non può essere così terribile in fondo. Certo, se penso alle cose che so, mi assale un lieve senso di panico, perché data la loro scarsità effettivamente può essere così terribile.
È meglio pensare a quello che non so. Insomma, quante cose potrò mai non sapere?
Tante. Ma le leggi della fisica rendono impossibile che siano tutte in questo foglio e ciò è positivo.
- Signorina Larson, ha qualche problema?
Lei ha qualche problema, professore. È morto.
Frenando l’impulso che mi spingerebbe a rispondere così, scuoto la testa e leggo la prima domanda.
Ma forse è meglio iniziare dalla seconda.
 

*

 
Io amo Remus.
E ancora di più amo la sua calligrafia chiara e leggibile.
Se fosse stato Sirius il secchione del gruppo, le nostre medie ne avrebbero risentito drasticamente: per fortuna ora vive a casa mia, decifrare le lettere che mi mandava d’estate era un’impresa.
E a proposito di Sirius, a giudicare da come si sta schiarendo minacciosamente la voce, vuole che mi sbrighi. Se ve lo state chiedendo, sì, è perfettamente possibile schiarirsi la voce minacciosamente. O almeno Sirius ci riesce.
Gli faccio un cenno d’assenso con la testa, poi riprendo a copiare dalla pergamena di Remus il più velocemente possibile.
 

*
 

Guardo la mano di James volare rapida da una parte all’altra del foglio, mentre batto impaziente un piede a terra.
Finisce sempre così.
Remus termina il compito e lo passa a Peter, Peter lo passa a James ed io resto sempre per ultimo, la lancetta dell’orologio che scandisce minacciosa i pochi minuti che mi restano e Remus che inizia a sbuffare perché ci stiamo mettendo troppo. Basterebbe che mi sedessi più vicino a Moony, così non sarei l’ultimo a ricevere il suo compito, ma Remus ha l’irritante abitudine di mettersi sempre al centro dell’aula ed io devo stare vicino alla finestra: mi sento in trappola altrimenti. Non che la finestra costituisca un effettiva via di fuga, insomma nemmeno un’ora particolarmente noiosa di Ruf potrebbe spingermi a gettarmi fuori. Credo.
Finalmente vedo James posare la piuma e lanciare un’occhiata fugace a Ruf. Dopo essersi assicurato che sia ancora incantato a fissare una crepa sul soffitto di pietra, si posa la pergamena sulle ginocchia ed estrae furtivamente la bacchetta. Una formula sussurrata, un lieve bagliore e la pergamena di Remus si materializza magicamente sul mio banco: quando fai parte di un gruppo il cui principale e dichiarato obiettivo è quello di infrangere tutte le regole della scuola, certi trucchetti li impari.
Ghigno soddisfatto, afferrando la piuma ed iniziando a compilare il compito che mi frutterà una meritatissima E.
Adoro essere un Malandrino.
 

*
 

Mi sento stupido mentre fisso con intensità la superficie liscia del mio banco, come se riuscissi davvero a leggerci delle domande sulla Storia Della Magia. E mi sento ancora più stupido quando avvicino la punta della piuma al banco e la muovo come se stessi scrivendo qualcosa, ostentando un’aria concentrata.
Non mi piace particolarmente fingere, ma quando sei un Lupo Mannaro e il tuo compito deve farsi diversi viaggi attraverso l’aula prima di poter tornare sul tuo banco, non puoi fare a meno di acquistare una certa dimestichezza con la recitazione.
- Il tempo è quasi scaduto - ci ricorda Ruf, il cui tempo è invece scaduto proprio oggi a quanto pare, e contemporaneamente il mio foglio mi ricompare di fronte.
Con un piccolo sbuffo tiro fuori la bacchetta e faccio sparire i tre piccoli grazie scarabocchiati in fondo alla pergamena. Non che non apprezzi la loro riconoscenza, ma ricordo ancora la faccia sconcertata del professor Vitious quando mi riconsegnò il mio compito al terzo anno.

"Signor Lupin, sono lieto che i miei compiti le piacciano tanto, ma non c’è alcun bisogno di ringraziarmi."
 

*

 
Mi stiracchio soddisfatto, mentre Ruf volteggia tra i banchi a ritirare i compiti. Guardandomi attorno, noto che i miei compagni hanno tutti la faccia di un protagonista di uno di quei film horror babbani che piacciono tanto a Sirius, alla fine precisamente, quando tutti hanno già cercato di ucciderlo innumerevoli volte.
Gli unici che non sembrano affatto provati sono i Corvonero e noi Malandrini. Come è bello avere un Moony per amico.
- Ehy, non si apre!
- Chi diavolo ci ha chiusi dentro? 
- Fateci uscire!
Ops.
 

*
 

-Senza offesa, Moony, - inizio sistemandomi meglio la tracolla sulla spalla, mentre ci dirigiamo a pranzo. – Le tue ‘a’ sono tremendamente simili a delle ‘o’. Ho rischiato più volte di scrivere Gablin e Gigonti.
- No, Sirius. Tu hai rischiato di non scrivere niente, dato che senza le mia ‘a’ simili ad ‘o’ non avresti saputo neanche chi fossero Goblin e Giganti, – sbuffa Remus indignato, assottigliando gli occhi.   
- Calmati, Remus. Non sai fare le ‘a’, ma va bene. Noi ti perdoniamo.
-Voi cosa? - si infervora Moony, mentre io trattengo un ghigno.
-Lo so, la nostra magnanimità è sconvolgente, vero? Del resto non puoi sapere tutto, Remus: nessuno è perfetto, - continuo.
- Piacere, Nessuno, – esclama allegramente James, passandosi una mano tra i capelli e sorridendo smagliante.  
Sto per mandare al diavolo  il mio migliore amico, quando una figura  appena spuntata dalle scale che portano ai sotterranei mi fa bloccare in mezzo al corridoio, con un ghigno sulle labbra.
- Ehy, Mocciosus, – esclamo ad alta voce, attirando diversi sguardi su di me. – Bel duello al torneo! Ah no, aspetta: ora che ci penso, hai fatto schifo.
Il sospiro di Remus viene sommerso dalle risate di James e Peter, a cui si uniscono anche diversi studenti.  Piton mi fulmina con i suoi occhietti neri, aumentando il passo e facendo per dirigersi verso la Sala Grande, ma la voce di James lo trattiene.
- Non fare l’offeso, Mocciosus. In fondo sei rimasto coerente a te stesso: c’è chi vince e c’è chi perde. Io vinco, tu perdi. 
Questa volta è il mio turno di scoppiare a ridere, mentre mi godo il rossore che si diffonde sulle guance di Piton, un misto tra rabbia e umiliazione. Prevedibilmente la sua mano scatta verso la bacchetta, così come la mia, ma una voce scontrosa ci fa bloccare entrambi.
- Ancora per poco, Potter.
 L’incredibilmente enorme e stupida massa corporea di Avery si affianca improvvisamente a Mocciosus, mentre James si stampa in faccia il sorriso più falso del suo repertorio.
-  Avery! È un piacere vederti! – esclama festosamente, calcando un po’ troppo sulla parola piacere. - O forse non lo è affatto ed ora andrò a vomitare.
- La cosa è pienamente condivisa, Potter, – ringhia il Serpeverde, stringendo i pugni. È un tipo un tantino irascibile, soprattutto quando ha a che fare con me e James. O con qualsiasi altro Grifondoro, in effetti.
- Oh, anche tu vomiti quando ti vedi?
- E per questo deve aver tolto tutti gli specchi dalla Sala Comune dei Serpeverde, – intervengo io, come se avessi appena ricevuto un’illuminazione divina. Questo spiega molte cose su Mocciosus.
- Oh Godric, - James sgrana gli occhi e si porta una mano ai capelli con fare plateale. - Lui non sa.
- Qualcuno deve dirglielo, – affermo risoluto, con tono compito. - Non può continuare a vivere nell’ignoranza: a te l’onore, Prongs.
- Mocciosus, – inizia  James pomposamente. – Il tuo naso è spropositatamente grande.
 

*
 

La risata simile a un latrato di Sirius risuona per il corridoio, sovrastando tutte le altre, mentre io ghigno malandrino.
- Vorrei poter dire lo stesso del tuo cervello, Potter, – sibila Piton, fissandomi con odio.
- Ed è per via della scarsità del mio cervello che ti ho battuto al torneo, vero? – chiedo gongolante, inarcando un sopracciglio.
- Io la chiamo fortuna, - sbuffa lui.
- Io ti chiamo perdente, – replico beffardo, prima di ritrovarmi la bacchetta del Serpeverde puntata contro.
Inutile dire che tempo un secondo e Piton si ritrova a sua volta la bacchetta di Sirius a due centimetri dal naso.  
 

*
 

Devi fare qualcosa.
Penny ha ragione.
Penny ha anche una voce acuta ed irritante, ed è una spilla e questo significa che non dovrebbe parlare, anche perché non è stata interpellata, ma ha ragione. Come sempre.
Devo fare qualcosa.
Piton ha la bacchetta puntata su James, che lo guarda con un ghigno derisorio che istigherebbe alla violenza anche lo studente più pacifico del castello, mentre il suono che emette Sirius tenendo sotto tiro Piton è qualcosa di molto simile ad un ringhio. Devo fare qualcosa.  
- Professoressa McGranitt!
Non appena finisco di parlare, le bacchette di Sirius e Piton sono già sparite nelle profondità dei loro mantelli, James ha smesso di guardare il Serpeverde, perché anche solo questo nel suo caso è un chiaro segno di colpevolezza, e Peter si è gettato dietro un’armatura.
Evito di chiedermi il perché, dato che almeno lui non stava facendo niente di male, e afferro James e Sirius spingendoli verso la Sala Grande, prima che si accorgano che della McGranitt non c’è nemmeno l’ombra.  
Mentre prendiamo posto al tavolo dei Grifondoro, mi chiedo se anche gli altri Prefetti abbiano dato un nome alle loro spille e le sentano parlare nella loro testa.
Probabilmente no.
Ma gli altri Prefetti non hanno nemmeno a che fare con James Potter e Sirius Black ventiquattr’ore su ventiquattro e questo, credetemi, vuol dire molto.
 

*
 

Sta ridendo. Non vorrei fissarlo, ma sta ridendo.
Come faccio a distogliere lo sguardo?
Semplicemente non lo faccio. Non posso, più che altro.
Perché quando ride è ancora più bello, gli occhi gli diventano più luminosi e...
- Lizzie, la bocca.
Già, la bocca! E il sorriso, quanto adoro quel sorriso contagioso.
- Lizzie, non stai centrando la bocca.
Oh, la mia bocca.
A malincuore distolgo lo sguardo dalla sublime visione che è James Potter, sostituendola con un primo piano della mia forchetta sospesa a mezz’aria, oltre la quale gli occhi della mia migliore amica mi scrutano con compassione.
- Ascolta Liz, forse dovresti parlare con qualcuno che ha il tuo stesso problema, – esordisce dopo qualche secondo, con tono pensoso.
- Dovrei parlare con qualcuno che non riesce a centrare la bocca con la forchetta? -  domando, inarcando un sopracciglio.  E giusto per dimostrarle che io so mangiare, mi decido a fare centro.
- Non quel problema: l’altro problema.
“Oh, quel problema. Quel meraviglioso, fantastico problema...”  penso riportando lo sguardo verso l’altra parte del tavolo, dove a diversi posti di distanza James Potter continua a ridere di non so cosa con Sirius Black.
- Davvero Lizzie, magari ti serve proprio qualcuno del James Potter fan club: loro ti capirebbero.
Subito al viso di Allison si sovrappone la mia faccia contrita, mentre attorniata da ragazzini del primo anno seduti in cerchio, annuncio fieramente:
- Mi chiamo Lizzie Carson e non guardo James Potter da tre ore e ventisette minuti.
E il J.P. fan club che mi risponde in coro:
- Ciao Lizzie.
- Lizzie?
- No, non mi iscriverò a nessun fan club, – stabilisco, scuotendo la testa per cancellare quelle immagini dalla mia mente. Non sarebbe dignitoso: loro sono giustificati perché hanno tutti meno di tredici anni e la loro adorazione è dovuta fondamentalmente al Quidditch, io non ho scuse.
A parte quel suo sorriso bellissimo.
Oh, dannazione, Lizzie, dignità, dignità!

*
 

- Questo pomeriggio ci sono gli allenamenti dei Grifondoro, – esordisce Alice sedendosi di fianco a me ed iniziando a servirsi di un po’ di tutto. Io punto lo sguardo su di lei, senza rispondere: sia perché non vedo come la cosa possa interessarmi, sia perché non credo che l’interno della mia bocca, attualmente pieno di patate arrosto, sarebbe un bello spettacolo. Purtroppo non tutti si fanno i miei stessi problemi, noto con dispiacere, evitando di concentrarmi sulle fauci spalancate del primino di fronte a me.
- Naturalmente andrò a guardare Frank, – continua la mia amica, addolcendo il tono nel pronunciare il nome del suo ragazzo.
Mi chiedo se essere innamorati sia questo, alternare un tono zuccheroso ad uno omicida quando si nomina una certa persona. Ma probabilmente questo significa solo essere Alice.  
- Mi accompagni? - aggiunge con un sorriso smagliante, sbattendo ostentatamente le ciglia.
- Certo, - rispondo allegramente, con un sorriso altrettanto smagliante, mentre lei si sporge verso di me, esaltata.
- Davvero?
- Come no! E poi mi vado anche ad iscrivere al James Potter fan club! – aggiungo con lo stesso tono festoso, prima di concludere il tutto con un’occhiata funerea.
- Dai, Lily. Che ti costa? – sbuffa corrucciandosi e incrociando le braccia al petto.
Io la fisso in silenzio per qualche secondo, impassibile, prima di voltarle le spalle di scatto. Mi passo velocemente entrambe le mani tra i capelli e le sfrego, arruffandomeli, poi mi stampo sul viso il sorriso più arrogante del mio repertorio e mi rigiro verso di lei, spalancando platealmente le braccia nella sua direzione.
-  Evans, luce dei miei occhi! – esclamo tentando di rendere la mia voce il più roca possibile, in una perfetta imitazione del tono da Godric-che-figo-che-sono di Potter. – Sei venuta a vedermi mentre mi alleno? Non riesci proprio a resistere lontana da me, vero?
Il cucchiaio di Alice cade fragorosamente nel suo piatto, schizzando di minestra qualcosa come l’intero tavolo di Grifondoro, mentre lei inizia a ridere tanto da farsi venire le lacrime agli occhi.
- Ecco che mi costa, – concludo, riprendendo il mio abituale tono di voce e tentando di rendere i miei capelli di nuovo presentabili, pettinandoli con le mani. Sorrido nel notare che Alice non accenna a diminuire la risata: quando parte non c’è verso di fermarla. Passano pochi secondi ed un’altra risata si aggiunge a quella della mia amica, una altrettanto forte ed oltremodo irritante. Lancio un’occhiata all’estremità del tavolo dei Grifondoro, piantando gli occhi sul ragazzo che continua ad esibirsi nella sua risata fragorosa e mi viene naturale chiedermi se Black abbia davvero detto qualcosa di così esilarante o se Potter abbia semplicemente voglia di attirare l’attenzione su di sé, come al solito.
 

*

 
Inarco leggermente un sopracciglio, continuando a fissare James sempre più perplesso: ha le lacrime agli occhi dal ridere e credo che si stia per ribaltare dalla sedia. È assurdo.
Sirius al suo fianco ha un’espressione a metà tra l’offeso e lo scandalizzato, mentre Peter condivide la mia aria basita.
Eppure gli sbuffi continui di Sirius hanno un timbro decisamente più divertito che irritato, dalla bocca di Peter continuano a sfuggire risatine e dalla mia non riesco proprio a scacciare un sorriso.
Perché nonostante la risata di James sia apparentemente ingiustificata, dato che il ricordo di Sirius che rotola per tutte le gradinate di casa Potter non è poi così divertente da continuare a ridere per minuti interi mentre tutti hanno già smesso, ha anche un qualcosa di incredibilmente contagioso.
E anche se mi sento stupido, perché davvero non capisco cosa ci sia da ridere, mi ritrovo a farlo anch'io.
 
 
 
**********
 

 

Potrei mettermi a piangere dalla gioia vedendo Mike gettarsi di lato e parare un tiro quasi impossibile di Anne, ma dal momento che ho una dignità da difendere, evito di farlo. Daniel blocca la caduta della pluffa e la ripassa subito alla bionda, che si prepara per partire nuovamente all’attacco, ma questa volta non guardo minimamente come va a finire: la mia attenzione è tutta per la piccola sfera dorata che mi è appena sfrecciata di fronte. In un batter d’occhio mi getto al suo inseguimento, evitando per un pelo di schiantarmi contro qualcuno di indefinito, anche se immagino di sapere di chi si tratta: di solito quando ci si schianta contro qualcuno, qui ad Hogwarts, si tratta di Frank.
Quando la pallina alata cambia bruscamente direzione, iniziando a salire praticamente in verticale, faccio lo stesso, puntando dritto al cielo. Dopo qualche secondo strizzo gli occhi, mezzo accecato dal sole, e stendo di scatto il braccio.
- Grande, Capitano!
Sorrido soddisfatto mentre Sam mi assesta una pacca sulla spalla ed il boccino si dibatte  freneticamente nel mio pugno destro. Preso di nuovo. 
- Ok, ragazzi, avete cinque minuti esatti per bere e poi si ricomincia, - esclamo a voce alta, lanciando un’occhiata verso le tribune di Grifondoro e riconoscendo due teste bionde familiari.
 

*

 
Sentendo le parole del Capitano, lascio perdere l’ennesimo tiro di Anne e abbandono gli anelli, gettandomi insieme agli altri verso gli spogliatoi. Con la coda dell’occhio vedo Frank e James scendere verso le Tribune:  il primo sicuramente da Alice, nascosta da qualche parte sotto il mantello dell’invisibilità che deve indossare per poter assistere agli allenamenti –non sia mai che Frank sia distratto dalla vista della sua ragazza-; il secondo probabilmente da Sirius.
Sirius fa praticamente parte della squadra: è sempre il primo a raggiungerci dopo ogni partita, assiste e disturba un sacco di allenamenti ed è la nostra spia ufficiale contro i Serpeverde. Senza contare che nessun’altro potrebbe disturbare un allenamento e vivere tanto a lungo da raccontarlo. All’inizio è stato interessante per tutta la squadra cercare di capire come diavolo riuscisse a non farsi uccidere da James, ma alla fine ci siamo dovuti rassegnare all’evidenza che non c’è altra spiegazione oltre al suo essere Sirius.  
E qualunque cosa faccia, Sirius Black resta sempre il migliore amico, sacro ed intoccabile, di James Potter.
 

*
 

- Sei sicuro che non si arrabbierà? Ho sentito dire che non vuole pubblico durante gli allenamenti, - mormoro lievemente a disagio, ma senza staccare gli occhi dalla squadra di Grifondoro che si allena diversi metri più in alto. E squadra di Grifondoro naturalmente è un modo per dire James Potter.
- James vuole sempre pubblico, - replica fermamente Lupin, seduto accanto a me e con un grosso tomo aperto sulle ginocchia. -  Basta che non respiri troppo rumorosamente, che sia solo di Grifondoro e che non emetta gridolini eccitati, cosa che esclude ovviamente la setta di ammiratori del primo anno e Peter.
Faccio per rispondere, ma mi blocco vedendo la maggior parte dei membri della squadra scendere all’improvviso e praticamente in picchiata verso gli spogliatoi, mentre lui si dirige proprio da questa parte.
- Frank!
Seguito da Frank, già.
Un momento, ma chi...
- AH!
Temo di aver infranto la regola del niente gridolini, ma Alice Prewett è appena sbucata dal nulla nel sedile accanto al mio, quindi credo di essere giustificata.
Del tutto indifferente al principio di infarto appena causatomi, la vedo poi alzarsi per saltellare allegramente verso il suo ragazzo e fargli un attentato in piena regola al suo atterraggio, gettandogli le braccia al collo e premendogli le labbra sulla bocca. Con un po’ d’attenzione in più, potrei notare la stoffa argentea abbandonata di fianco a me, ma la mia attenzione è momentaneamente tutta riversata sul ragazzo che è appena atterrato con leggerezza di fronte a noi. E che ha un sorriso bellissimo. Ma l’ho già detto questo, sì?
- Moony, Lizzie!  Siete venuti ad ammirarmi in tutto il mio splendore?
Non avrei saputo dirlo meglio.
- A dire il vero, James, - Lupin viene interrotto da una voce esaltata proveniente da dietro le mie spalle.
- Chi è il migliore amico migliore del mondo?
Perché oggi tutti sembrano divertirsi a spuntare dal nulla?, mi chiedo voltandomi di scatto all’indietro, dove un sorridente Sirius Black fa bella mostra di sé, con un sorriso sornione sulle labbra.
 

*
 
In risposta allo sguardo compiaciuto con cui mi fissa Sirius, inarco leggermente un sopracciglio: meglio non dargli corda. Un Sirius felice è qualcosa di estremamente rumoroso e qualcosa di estremamente rumoroso ai miei allenamenti è male.
- Non so chi sia il migliore amico del mondo, Pad. Forse l’universo. Beh, dipende da cosa intendi precisamente con mondo.
-Io, io sono il migliore amico migliore de mondo! - replica con enfasi, battendosi una mano sul petto.
- Ah sì? Quando vi siete conosciuti?- chiedo con un sorrisetto ironico.
- Ok, James, continua pure a stare qui con il tuo amato sarcasmo, - sbuffa Sirius assumendo immediatamente la sua tipica aria di superiorità. - Io me ne andrò dal mio migliore amico mondo a raccontargli con precisione gli schemi di Quidditch dei Serpeverde.
- Padfoot, amico bellissimo, amico adorato, torna qua.  
Il tono con cui l’ho richiamato assomiglia molto a quello che Alice rivolge a Frank nei suoi momenti più zuccherosi ed il mio braccio si è ritrovato quasi inconsciamente sulle sue spalle, mentre lo tiro con forza per fargli scavalcare la fila di sedili. Ed anche un po’ rischiosamente, dato che Sirius ha un pessimo senso dell’equilibrio. Risultato: Sirius è per terra con un’espressione più ebete del solito ed il libro di Remus ha una pagina strappata.
- Stai bene, Pad?
E con questo naturalmente intendo non hai perso la memoria, vero?
- Sì, ma credo di provare nei tuoi confronti un odio non trascurabile, – annuisce, scostandosi un ciuffo nero dagli occhi.  
- Non sei il solo a provare un tale sentimento, - Remus fissa risentito la mezza pagina ancora stretta tra le mani di Sirius.
- Va bene, va bene, odiatemi pure tutti insieme appassionatamente, ma prima, - Il mio sguardo si pianta eloquentemente su Sirius, che si sta rialzando a fatica.
 - Gli schemi dei Serpeverde, sì. Non te li meriteresti, ma il mio essere un amico fantastico ed impeccabile mi impedisce di punirti come meriteresti, quindi, – Con lentezza esasperante estrae dalla tasca interna del mantello una pergamena tutta spiegazzata, su cui presumo abbia scritto i vari schemi. Subito allungo una mano verso di essa, ma la voce esitante di Lizzie mi blocca.
- Questo non è barare?
- No, – rispondo subito, appropriandomi finalmente della tanto agognata pergamena. - Cioè, tecnicamente sì, ma non lo è davvero. I Serpeverde mandano spie ai nostri allenamenti e noi le mandiamo ai loro, così conosciamo tutti gli schemi di tutti.
 

*
 

A questo punto mi sorge spontanea una domanda. 
- E perché non li cambiate?
- Non facciamo altro che cambiarli durante tutta la settimana prima della partita e la stessa cosa fanno loro. E le spie continuano a scoprire tutti gli schemi, almeno fino al giorno prima della partita – spiega James tranquillamente, mentre io mi do un’occhiata attorno, aspettandomi di scorgere qualche Serpeverde appostato tra le tribune.
- Perché? Che succede il giorno prima della partita?
- Il giorno prima della partita né loro né noi abbiamo tempo di cercare di scoprire gli schemi altrui, perché siamo troppo impegnati...
- Disperati... – puntualizza Lupin.
- A decidere e provare lo schema definitivo – finisce James, ignorando l’intervento dell’amico.
- Sai, con un sottofondo di voci isteriche che gridano ‘Oh Godric la partita è domani e non abbiamo ancora uno schema di gioco’ è difficile pensare a cosa stanno facendo i Serpeverde – aggiunge Black, posando con nonchalance la pagina strappata sul libro del Prefetto.
- Serpeverde che si stanno disperando a loro volta - puntualizza nuovamente Lupin, fissando rassegnato il suo povero libro.
- E non potreste semplicemente evitare di spiarvi durante tutta la settimana, così potreste allenarvi tranquillamente, senza ridurvi a inventare schemi il giorno prima? Vi fareste un favore a vicenda.
Appunto, – replica James enfaticamente, come se stesse enunciando un’ovvietà. - Noi non vogliamo fare un favore ai Serpeverde e loro non vogliono farlo a noi. È molto più soddisfacente per tutti farci un dispetto a vicenda.
- Ma tutto questo non ha senso.
E se sono io a dirlo, allora la situazione è grave.
- No. Ma è la tradizione - replica allegramente James, passandosi una mano tra i capelli. 
Il tutto continua a sembrarmi alquanto privo di logica, ma come posso preoccuparmi della logica quando ho di fronte quel sorriso? 
 
 

**********
 

 

Uscendo dal bagno, mi ritrovo immerso in un silenzio insolito, soprattutto considerando che sia James che Sirius sono presenti nel dormitorio.  Scruto sospettoso i miei tre compagni di stanza, prima di scrollare le spalle e stabilire che dev’essere la tensione per la partita di domani. In ogni caso è bene approfittare del silenzio, penso, afferrando il mio libro di Pozioni ed iniziando a leggere il capitolo dedicato alla polvere di Pietra Lunare.
“Sulle vere proprietà di questa pietra non si sa molto, sebbene recenti studi abbiano accertato che James Potter è il cercatore migliore di Hogwarts.”
Un momento.
Basito torno con lo sguardo alla riga sopra, rileggendola.
“Sebbene recenti studi abbiano accertato che non è pericolosa almeno per gli animali.”
Dubbioso mi guardo attorno: Sirius è concentrato sulla sua immagine riflessa allo specchio e attualmente il resto del mondo per lui non esiste. Peter si sta abbuffando di Cioccorane seduto sul pavimento e tiene lo sguardo puntato su James, steso sul letto ed impegnato a sfogliare attentamente una rivista sul Quidditch. Mah.
Scrollando le spalle riabbasso lo sguardo sul libro, continuando a leggere.
“Pericolosa almeno per gli animali, di cui il più maestoso e fiero, nonché il più nobile, è senza dubbio il cervo.”
- James piantala immediatamente o ti trasfiguro in un vaso da notte - ringhio alzando di scatto lo sguardo e cogliendo in flagrante James con la bacchetta puntata sul mio, una volta sensato, libro.
- Scusa, Moony.
Decido di non fargli notare che le sue scuse sarebbero state più credibili se non le avesse pronunciate con quel ghigno divertito sulla faccia e mi lascio ricadere pesantemente sul letto, gettando il libro con poca grazia sul comodino. Tanto prima o poi Sirius strapperà, brucerà o farà esplodere anche quello, è inutile illudersi.
 

**********
 

 

 


Il dormitorio è immerso nella penombra, ma riesco comunque a vedere –e ancora di più a sentire – James che si agita freneticamente nel letto, aggrovigliandosi sempre di più con le lenzuola.
“Voglio proprio vedere come farà domani mattina a liberarsi da quella trappola mortale” penso, voltandomi dall’altra parte e affondando il viso nel cuscino morbido. Sto quasi per assopirmi, quando una voce agitata risuona improvvisamente nella stanza:
- No, prendete Sirius! Lasciatemi la scopa!
Se ne avessi la forza mi alzerei e soffocherei James Potter con il mio cuscino per la sua bassa considerazione della mia illustre persona.
Svenduto per una scopa, io.
Si merita di essere soffocato come mai nessuno se l’è meritato, ma è notte ed io sono Sirius Black.
E Sirius Black di notte, contrariamente a quello che possa insinuare mezza scuola, dorme.
 
 
 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


 

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CAPITOLO 14.

 

 

 

 

 

 

 

Non è bello essere un compagno di stanza di James Potter.
Direi piuttosto che è stressante, pericoloso, a volte quasi mortale, dannoso per la propria media scolastica, per la propria sanità mentale, per il proprio sonno ed è una cosa che ti mette costantemente a rischio di espulsione. Ma non è bello, mai.
Ma a volte è persino peggio del solito.
La mattina di una partita di Quidditch è una di quelle volte.
E la mattina di una partita di Quidditch contro Serpeverde è la volta.
Perché quella volta, se sei un compagno di stanza di James Potter, mentre tutto il resto della scuola dormirà fino alle dieci, svegliandosi poi con tutta calma e preparandosi tranquillamente per scendere al campo, godendo del fatto che grazie alla partita le lezioni sono annullate, tupovero sventurato, sarai svegliato bruscamente alle sei di mattina da un esagitato James Potter, già vestito di tutto punto, che ti costringerà a dire addio al tuo letto immediatamente e ad infilarti in tre secondi le prime cose che ti capitano a tiro, che si tratti di abiti o meno, come se ci fosse un'invasione di Schiopodi Sparacoda. 
 Non contentoti trascinerà di peso nel gelido campo da Quidditch, dove tu ti congelerai - perché nella fretta avrai indossato, solo tu sai comela tenda della doccia al posto del mantello - e morirai di fame, perché prima della partita James ha lo stomaco chiuso, quindi chiaramente nemmeno i suoi amici possono sentire il bisogno di nutrirsi. 
 A quel punto ti cimenterai in una difficile arte che stai perfezionando da sei anni, partita dopo partitaovvero quella di dormire ad occhi aperti, seduto sull’erba gelida e bagnata, annuendo ad ogni parola di James che ti snocciolerà spedito un sacco di cose sul Quidditch che tu non hai idea di quali siano perché non lo hai mai realmente ascoltato. 
 Solo quando James monterà in sella alla scopa ed inizierà ad allenarsi, solo allora sarai libero di tornare nel mondo dei sogni, perché a quel punto la tua esistenza sarà completamente dimenticata dal suddetto James. Per una frazione di secondo rifletterai sulla possibilità di tornare alla Torre, dal tuo caldo, morbido e asciutto baldacchino, ma alla fine l’immagine delle numerose, lunghissime scale a cui piace cambiare che ti separano da lui ti farà desistere e ti lascerai cadere sfinito sull’erba, sperando che James non atterri su di te.
Ecco.
Ora che sapete cosa, essendo io un compagno di stanza di James Potter, sono costretto a sopportare, capirete anche perché sto guardando da cinque minuti con aria terrorizzata la mia magi-sveglia che segna le cinque e cinquantanove. Non so perché sono già sveglio, probabilmente è il mio istinto di sopravvivenza che spera ancora che io mi alzi e corra nella stanza delle Necessità o in un qualsiasi sgabuzzino delle scope a continuare a dormire. Ma non posso illudermi: James mi troverebbe.
Un movimento sospetto nel letto di James mi fa trattenere il respiro.
Subito dopo un lieve cigolio sempre proveniente dalla sua parte, mi fa capire che non c’è più speranza: è iniziata.
Stringo forte il mio cuscino, mentre un tonfo seguito da numerose imprecazioni mi informa che Sirius è stato il primo.
Pochi secondi ed uno scrosciante rumore d’acqua dopo, anche Peter è costretto a dire addio per sempre al suo caldo ed una volta asciutto baldacchino. 
Serro gli occhi disperato, abbracciando il cuscino come se fosse la mia unica ancora di salvezza mentre i passi veloci di James si avvicinano infine anche al mio letto.
Ma mentre le mie coperte volano in aria, so che il mio fido cuscino non può fare nulla per me.
Non esiste salvezza per i compagni di stanza di James Potter.
 

*
 

- Ho fame, freddo e sonno, - sbuffo in tono lamentoso, lasciandomi cadere pesantemente sull’erba bagnata del campo da Quidditch, prima di produrmi in un gemito. A quanto pare la mia natica destra non è uscita incolume dall’impatto con il duro pavimento del Dormitorio.
E questo ci interessa, Sirius? Poche ore prima della partita del secolo a qualcuno interessa che tu abbia fame, freddo e sonno? - sbotta James istericamente, passandosi una mano tra i capelli con tanta frenesia che mi stupisce che non se li sia strappati. 
A me interessa, a dir la verità. Ma per il bene di tutti forse è meglio non farglielo notare: mi sembra un tantino agitato al momento.
- Tieni.
Abbasso lo sguardo sulla mia mano destra, nella quale James ha appena schiaffato un boccino d’oro. Quando rialzo lo sguardo su di lui con aria interrogativa, è già montato in sella alla scopa e si libra a diversi metri dal suolo.
- Conta fino a dieci e poi liberalo, – mi ordina, prima di chiudere gli occhi.
Cosa spinge James a pensare che io sia in grado di contare fino a dieci di prima mattina e senza aver fatto colazione?
Ma soprattutto, cosa può averlo indotto a chiudere gli occhi di fronte a me?
Il russare di Peter, accasciatosi al suolo pochi minuti fa, copre il sospiro rassegnato di Remus, mentre sul mio viso assonnato si dipinge un ghigno malandrino.
Il livido che svetta sul mio bellissimo fondoschiena sta per essere vendicato.
 

*
 

James sfreccia da una parte all’altra del campo da ormai dieci minuti, con un’espressione via via sempre più disperata. Credo sia sul punto di mettersi a piangere.
Anche Sirius sta quasi per piangere, ma dal ridere. Se James non fosse così concentrato sulla sua infruttuosa ricerca del boccino, forse si accorgerebbe della risata sguaiata del decerebrato al mio fianco.
- Dai, Pad, liberalo, – sospiro impietosito, vedendo James fermarsi a centro campo con un’espressione afflitta. – Prima che si getti dalla scopa credendo di aver perso le sue doti da cercatore.  
Sirius ghigna, aprendo di scatto la mano che teneva nascosta in tasca e permettendo finalmente al boccino di librarsi per aria. 
Tempo venti secondi e James è già al suo inseguimento, ignaro di aver cercato per tutto il campo da Quidditch una pallina che si trovava nella tasca del suo migliore amico.
 

*
 

Beeeep. Beeeep. Beeeep.
- Scommetti che sono le dieci?
A svegliarmi non è il suono proveniente dalla mia bacchetta, posata sul comodino al mio fianco, né la voce impastata e lontana di Daniel, proveniente da sotto diversi strati di coperte, ma il gemito di dolore di Frank. Non so bene a cosa sia dovuto, o meglio, contro quale oggetto si sia schiantato questa mattina: è da sei anni che divido il dormitorio con lui ed ancora non è mai riuscito a percorre al buio il tragitto dal suo letto al bagno senza inciampare in qualcosa.
- Per forza che sono le dieci, avevo puntato la bacchetta.
- E scommetti che Frank si è schiantato contro la porta del bagno? -  mi interrompe Daniel, questa volta con voce un po’ più sveglia.
- Secondo me è inciampato nella tua scopa, - ribatto io, mettendomi faticosamente a sedere sul letto.
La luce si accende improvvisamente, mostrandoci un Frank scarmigliato e con in mano la scopa di Daniel.
- Ha indovinato Mike, – annuncia con un sorriso. O forse una smorfia di dolore, non saprei dire. - Certo che se James vedesse come tieni la tua scopa, Dan, gli prenderebbe un accidenti. Su questo sì che ci puoi scommettere.
Già, James è un tantino maniacale riguardo al Quidditch.
Quidditch.
Quidditch.
Non so perché, ma ho come la sensazione che tutti quanti ci stiamo dimenticando qualcosa di importanza fondamentale- oh cazzo.
- Ragazzi, la partita.
Il panico presente nella mia voce si diffonde istantaneamente anche nel resto della stanza, spingendo Daniel a sgranare gli occhi e Frank a voltarsi di scatto e gettarsi in bagno. Contro la porta del bagno.
- Vedi che avevo ragione? – esclama compiaciuto Daniel, scendendo allegramente dal letto, mentre Frank apre finalmente la porta e si fionda dentro il bagno con una mano premuta sul naso.
- È tardi, è tardi! – sbotto freneticamente io, cercando di disincastrarmi in tutta fretta dalle lenzuola e rischiando così di finire per terra.
In realtà non sarebbe proprio tardi, almeno non per la partita, che inizia tra un’ora esatta.
Il problema è che James ci vuole tutti negli spogliatoi almeno mezz’ora prima, giusto per controllare che ognuno di noi si ricordi ancora come si chiama, qual è il suo ruolo e che cos’è una pluffa.
Quindi siamo in ritardo sull’anticipo.  
 

*
 

- Quelle strisce rosse e oro sulle tue guance sono davvero antiestetiche, – mi informa Allison, smettendo di passarsi la matita per lanciarmi un’occhiata di traverso dallo specchio. –Davvero Lizzie, non stai andando in guerra.
Il gruppo di Grifondoro che ha appena abbandonato la Sala Comune, intonando già cori offensivi nei confronti dei Serpeverde, non sarebbe affatto d’accordo con le parole di Allison.
- E tu non stai andando ad una sfilata, se è per questo – replico io, prendendo la mia sciarpa rigorosamente rossa ed oro e passandomela intorno al collo. Dopodiché estraggo la bacchetta per dare l’ultimo ritocco alla mia persona, nonché l’ultima stoccata al senso estetico di Allison.
- Per Godric, no!
Per l’appunto.
- Lizzie, no! Ma sei impazzita? Sembri Babbo Natale.
Non è così grave. Non sono nemmeno certa che Babbo Natale sia effettivamente un insulto: insomma cosa potrà mai esserci di offensivo nel simpatico vecchietto che porta regali ai bambini dei Babbani? Certo, la lunga barba bianca per una ragazza non è il massimo, ma sono quasi certa di non avere niente del genere sulla faccia.
Ho solo un mantello rosso e oro, una sciarpa rossa e oro, un berretto di lana rosso e oro, due strisce rosse e oro sulle guance e le scarpe una rossa ed una oro. Mi sento colma di spirito patriottico. Godric sarebbe fiero di me. Ed anche un po’ imbarazzato, forse. Mai quanto Allison comunque.
- Andiamo? Ho sentito che Cristy Brown, del Settimo, riesce a colorare in maniera perfetta i capelli...
Non ci pensare nemmeno.
Finalmente vedo un po’ di rosso anche su Allison, seppur causato dalla rabbia. E quello era un perfetto ringhio in stile leone, fantastico: lo spirito di Grifondoro si sta impossessando anche di lei.
 

*
 

- Ali?
- ...
- Alice?
- ...
- Alice.
- ...
- Alice!
- ...
Io ci rinuncio.
La fa facile Mary, ‘io vado, sveglia tu Alice’, come diavolo si fa a svegliare questa ragazza?!
D’altro canto non posso nemmeno lasciarla qui.
Se si perdesse la partita, la partita del suo Frankie, non oso immaginare di cosa sarebbe capace.
Potrebbe persino costringere le squadre a giocare di nuovo, incorrendo così nell’ira di James-il-Quidditch-è-la-mia-vita-Potter nel caso in cui Grifondoro avesse vinto.
Chissà se il fatto che finisce sempre per scontrarsi con Potter c’entra qualcosa col fatto che Alice sia la mia migliore amica.
Non posso essere sua amica solo per questo, no? 
Di sicuro non è per la sua capacità di alzarsi presto la mattina. Mattina, poi: sono quasi le undici. Ed alle undici inizia la partita.
A questo punto non mi resta altra scelta.
Scusami, Frank.
- Alice, – sussurro, avvicinando le labbra al suo orecchio. – Frank è al campo che si bacia con un’altra ragazza.
Scusami tanto.
- Frank cosa?!
Tanto, tanto, tanto.
 

*
 

- Dove diavolo è Frank? - ringhia James, un lampo omicida negli occhi.
Io mi lascio cadere sulla panca vicino alle docce, sfinito. Daniel, accanto a me, continua a respirare affannosamente, senza nemmeno riuscire a proporre una scommessa su dove sia Frank.
Anche perché noi lo sappiamo dov’è Frank.
Abbiamo corso dal nostro dormitorio agli spogliatoi di Grifondoro come dei forsennati, tutti e tre. Ma solo due di noi sono arrivati a destinazione: Frank non ce l’ha fatta. Alice lo stava aspettando all’entrata del campo, con uno sguardo assassino da far concorrenza a quello di James. E il fatto che indossasse un paio di pelose pantofole rosa non la rendeva meno inquietante, ve lo assicuro. Probabilmente Evans ne sa qualcosa: durante la nostra corsa l’abbiamo superata all’incirca nei pressi della Sala Trofei, anche lei intenta a correre e con un’espressione disperata. Correva anche veloce, dopotutto. Ma lei non aveva un James Potter in versione Capitano che l’attendevanon avrebbe mai potuto competere.
- Vedrai che arriva, James, – tenta di rassicurarlo Alexis, giocherellando agitata con la mazza.
- Vedrai che arriva? Vedrai che arriva? – ripete incredulo James, stritolando il boccino d’oro con cui sta cercando di passare il tempo. – Tra venti minuti inizia la partita e tu mi dici...
Mentre James inizia a fare avanti e indietro per gli spogliatoi, portandosi le mani tra i capelli e parlando apparentemente da solo, Sam sbuffa irritato.
- Ma brava, balena, idea geniale. 
- Perché tu sei stato molto utile invece, pel di carota.
- Almeno io non ho fatto danni, pachiderma.
-  La tua stessa esistenza è un danno, insetto stecco.
- Sai com’è, io non mangio come una mandria di bufali, a differenza t...ahi! Stai ferma con quella mazza, ippopotamo.
- E allora chiudi quella bocca, caccola di Troll.
Incantato sul litigio tra Sam ed Alex, quasi come Anne si è incantata a guardare Sirius, per poco non manco il pacchetto di gelatine tuttigusti+1 appena lanciatomi da James. Per poco, fortunatamente. Non oso immaginare cosa farebbe James se il suo portiere mancasse un colpo pochi minuti prima della partita, in aggiunta alla sparizione del suo battitore. Per un attimo lo sguardo irritato di Sirius mi induce a pensare che stia per lamentarsi con James, ma quando quest’ultimo inizia a prendere lentamente a testate il muro, decide di desistere, rassegnato.
- Mike, mi ridaresti le mie gelatine?
Faccio per lanciargliele, ma Anne mi precede, balzando istantaneamente in piedi e strappandomele letteralmente dalle mani, per poi tornare da Sirius e porgergliele con un sorriso adorante. Subito, al suono delle testate di James, a quello della piccola rissa in corso tra Sam ed Alex ed ai sospiri sognanti di Anne,  si aggiunge un basso ringhio proveniente dalla parte di Daniel.
Non mi è mai stato chiaro come ora: la squadra di Grifondoro è formata da un branco di psicopatici. 
Ed io ne faccio parte.
 

*

 
Sto cercando di calmarmi prendendo a testate le pareti degli spogliatoi, quando un rumore sospetto mi induce a bloccarmi, la fronte appoggiata contro il muro. E poi lo sento di nuovo. Immediatamente mi stacco dal muro ed attraverso la stanza di corsa, schivando per un soffio una mazzata di Alex diretta a Sam. Aspetta, cosa? Rifletto per un istante se sia il caso di tornare indietro, ma decido che la priorità ora va a Frank. Sam ed Alex sanno che non devono uccidersi o ferirsi gravemente, non prima della partita almeno. Frank d’altra parte, anche se dentro di sé sono sicuro che sappia cosa è giusto, troppo spesso si lascia traviare da lei. E la voce che ho sentito poco fa, il grido che è giunto alle mie orecchie, era proprio del nemico pubblico numero uno: Alice Prewett. Uscendo dallo spogliatoio mi trovo davanti ad una scena inammissibile: a pochi metri da me Alice sta gridando contro Frank, che balbetta qualcosa scuotendo energeticamente la testa da una parte all’altra.
- Dimmi chi è.
- Amore, non capisco cosa...
- Voglio sapere con chi diavolo ti stavi slinguazzando, Frank. Ora.  
- Ma con nessuno, non lo farei mai.
- Prewett!- tuono, raggiungendoli e fulminando la fonte di tutte le distrazioni con lo sguardo.
- Potter, – sibila lei, spostando un’occhiata di fuoco su di me.
Tu, – inizio assottigliando gli occhi, minaccioso. – Stai turbando il mio battitore dieci minuti prima della partita.
Io, – replica ostile. – Sto parlando con il mio ex ragazzo.
- Ma amore...
- Ex ragazzo, quindi non immischiarti, – conclude con un ringhio, ignorando Frank. 
- Non immischiarti? Sei tu che ti stai immischiando tra me, il mio battitore e la mia partita, quindi ora...
- ALICE, LASCIALO, NON RESPIRA!
Ma che diavolo.
 

*
 

Quando arrivo di fronte agli spogliatoi, sono distrutta. Sto sudando, sono rossa e fatico a respirare. Ed ora che vedo la scena di fronte a me, Potter, Alice e Frank che mi guardano sconcertati, mi rendo anche conto che quello che ho gridato arrivando era del tutto fuori luogo. Le mani di Alice tremano pericolosamente, ma non si stanno stringendo sul collo di Frank. Non ancoraperlomeno.
- Io, Frank, non ha baciato nessuna, - pronuncio a fatica, tra una boccata d’aria e l’altra. – Hai la mia, anf, parola.
Alice mi guarda interdetta, mentre un lampo di riconoscenza si fa strada negli occhi di Frank. Oh, se solo sapesse, non mi guarderebbe affatto così.
- L’ho detto solo per farti alzare, – ammetto infine, distogliendo lo sguardo dall’espressione improvvisamente incredula di Frank. Nessuna traccia di riconoscenza, ora.
- Ma per favore! È ovvio che Frank non ha baciato nessuna prima della partita, – sbuffa Potter, passandosi una mano tra i capelli. – Deve rimanere concentrato.
- È ovvio che Frank non ha baciato nessuna perché è fidanzato, Potter, - replica istantaneamente Alice.
- Prewett, c’è la partita, per Godric, la partita! Che importa se Frank è fidanzato o...
- Ma che importa della partita, semmai!
- Hai davvero detto quello che è impensabile tu abbia detto? Hai davvero...
- Ok, basta, – sbotto esasperata, portandomi le mani alle tempie. - Potter, la tua maledetta partita inizierà tra esattamente dieci minuti, quindi sparisci. E tu Alice vieni a vestirti, sei in pigiama, per Godric!
Oh, ecco di nuovo la riconoscenza negli occhi di Frank.
Mi sento un po’ meno in colpa ora.
Ma anche tremendamente male, al pensiero di dovermi rifare in tempo record tutte le scale fino alla Torre di Grifondoro.
In questo momento sto odiando il Quidditch.
Ed Alice. E Potter.
Soprattutto Potter.
 

*
 

- La prossima settimana ci sarà la prima uscita ad Hogsmeade, hai sentito? – mi chiede candidamente Anne, sbattendo le lunghe ciglia.
Annuisco distrattamente, continuando a masticare con stoica resistenza la mia gelatina al gusto spinaci e guardandomi attorno, alla ricerca di qualcun altro da cui fuggire: so già cosa sta per chiedermi la bionda, ma James mi ha severamente vietato di uscire con lei, per non minare gli equilibri interni della squadra. Come se questa squadra avesse un equilibrio. Sam ed Alex sono impegnati a picchiarsi e non ho intenzione di avvicinarmi a loro. Alla mazza di Alex, soprattutto. Daniel mi sta fissando e sta ringhiando –se davvero quello può essere definito ringhiare, principiante – e non credo sia una buona e non violenta idea quella di avvicinarmi a lui ora. Sto per dirigermi da Mike, unico barlume di normalità qui dentro, quando la porta dello spogliatoio si apre improvvisamente lasciando entrare uno sconvolto Frank ed un trionfante James.
- Signori, la squadra è al completo, – esulta il mio migliore amico piazzandosi coraggiosamente tra Sam ed Alex e passando le braccia intorno alle spalle di entrambi, in modo da interrompere la loro baruffa. Poi il suo sguardo si sposta su di me. – Pad, tu che ci fai ancora qua?
Non lo so, che ci faccio ancora qua?
- Mangio gelatine dai gusti improponibili ed osservo la pazzia intrinseca in questa squadra – replico impassibile, addentando l’ennesimo dolce, a riprova delle mie parole. Fagioli, come volevasi dimostrare.
- Sei consapevole del fatto che dovresti già essere sulle tribune a tediare tutti tramite il megafono, vero? – insiste James, inarcando un sopraciglio.  
- Bene, – esclamo alzandomi e schiaffando il mio pacchetto di gelatine tuttigustidimerda nel primo armadietto che mi capita sotto tiro. – Vedo che la mia presenza qui non è ben accetta. Andrò dove la gente mi apprezza e mi adora e...
- È terribile il fatto che per quanto si allontani continueremo a sentirlo. Persino amplificato – commenta Sam, massaggiandosi una spalla.
- Temo di dover concordare con te, pel di carota.
- Guardate che vi sento – ci tengo a precisare, fermandomi sulla soglia e voltandomi a fulminare l’intera squadra.
- Anche noi, Pad. Anche noi, – sospira James funereo, prima di farsi improvvisamente solenne. – E ricorda: se mi distrarrai, io metterò fine alla tua telecronaca e alla tua vita, Sirius Black.
- Non potresti mai: Hogwarts cadrebbe in depressione, se crudelmente privata delle mie brillanti telecronache – replico ghignando.
- Hogwarts conoscerebbe delle vere telecronache, se generosamente privata delle tue.
- Tutta invidia, Potter, tutta invidia, – glisso amabilmente, prima di uscire dagli spogliatoi per poi riaffacciarmi solo con la testa. - Allora vado, branco di ingrati. In bocca al licantropo, in culo allo Schiopodo, in testa all’unicorno e tutte le altre morti atroci che ora non ho voglia di augurarvi. Adios.
Strizzo l’occhio a James e mi chiudo la porta alle spalle.
Minnie, sto arrivando.
 

*
 

- Ora: l’importante è partecipare. Lo sapete ormai, no? Perché se non si partecipa non si può nemmeno vincere. E noi dobbiamo vincere. Perché siamo belli, bravi, simpatici, coraggiosi e tutte quelle altre cose che comporta l’essere un Grifondoro: in sintesi, siamo i migliori. Ed ora pensate ai Serpeverde. I viscidi, odiosi e odiati Serpeverde. Serpeverde che potremo sfottere a vita se li stracciamo, Serpeverde da cui saremo sfottuti a vita se perdiamo. Quindi: ci avete pensato? Ecco, di conseguenza ora avrete anche capito che non è vero niente che l’importante è partecipare. L’importante è umiliare i Serpeverde. E ricordate: ignorate Sirius. La sua voce non esiste, è solo una vostra impressione, voi concentratevi sul gioco. Sirius non esiste, - finisco soddisfatto il mio discorso pre-partita, concludendolo naturalmente con la negazione dell’esistenza del mio migliore amico.  
Non vedo Anne particolarmente convinta dall’ultima parte, ma negli occhi di tutti c’è lo stesso sguardo determinato. Determinato a vincere. Mike si infila con forza i guantoni da portiere, senza dire nulla: è già concentrato. Frank stringe la sua mazza da battitore, mentre Anne si lega velocemente i capelli. Daniel raccoglie da terra, Godric, da terra, la sua scopa, guardandomi allegro.
- Scommettete che li stracciamo?
Nessuna reazione, perché se noi fingiamo che Daniel non lo abbia detto, allora Daniel non lo ha detto. E non ha portato sfiga soprattutto. Il fatto che Mike si stia toccando le palle è solo una precauzione superflua.
- Ah, ragazzi: non per mettervi sotto pressione, ma se perdiamo, vi ammazzo, - aggiungo con un sorrisetto falso quanto la dieta di Peter.
Anche perché se la McGranitt non mi ha ancora espulso, ho il sospetto che sia solo perché ho sempre portato la sua Casa alla vittoria.
- Tranquillo, Capitano. In fondo se le cose si mettono male, possiamo sempre schiacciare i Serpeverde sotto l’enorme massa corporea della balena.
Ecco dov’era finito Sam.
- Ahi.
Ed ecco anche Alex.
 

*
 

 Mentre aspetto che la McGranitt mi raggiunga e mi consegni il megafono, il mio sguardo vaga sulla folla dei Grifondoro che hanno già riempito le tribune, soffermandosi in particolare su un enorme striscione sostenuto da dei ragazzini del terzo anno.
Sono quasi commosso: le nuove generazioni sembrano promettere davvero bene.
Per tutta la lunghezza dello striscione spicca, in grosse lettere, naturalmente dorate, la scritta Serpeverde Sempre Merde.
Ghigno soddisfatto, nell’esatto momento in cui la McGranitt spunta alle mie spalle.
- Black, non la voglio richiamare nemmeno una volta, mi ha capito?- mi avverte minacciosa, porgendomi lentamente l’arma. 
Ed ora Hogwarts è nelle mie mani.
 

*

 
Mi fermo di fronte alla porta dello spogliatoio, mentre gli altri si posizionano dietro di me, ognuno con la propria scopa in mano e le orecchie pronte a cogliere la voce di Sirius che grida il nome della nostra Casa. Ognuno di noi ha giocato già moltissime partite qui ad Hogwarts, ed anche Alex e Sam, che sono i membri più giovani, sono ormai abituati al momento pre-partita. Eppure la tensione e l’adrenalina che si respirano nello spogliatoio in questi ultimi secondi prima dell’inizio sono sempre le stesse. E mi piace.
- Pronti, ragazzi?- chiedo eccitato, portandomi una mano al collo, come sempre. Seguo la catenina d’argento fino a quando il mio pugno non si stringe sul ciondolo, in un gesto porta fortuna che ripeto prima di ogni partita, da quando sono entrato in squadra, al secondo anno.
- Pronti, - rispondono tutti all’unisono, nello stesso momento in cui la voce amplificata di Sirius raggiunge anche noi.
- Benvenuti alla prima partita dell’anno, nonché unica veramente importante, -  Le proteste di Corvonero e Tassorosso si sentono anche da quaggiù. – Vi ricordo che è severamente vietato lanciare oggetti al cronista, quindi siete pregati di smettere. Grazie. Farmi scudo col suo corpo? Deve essere stata una sua impressione, professoressa, non mi permetterei mai. 
Una risata percorre lo spogliatoio, anche se è un po’ tesa. Stiamo tutti aspettando di alzarci finalmente in volo.
-  Comunque. A questo punto direi di far entrare le squadre, perché prima finiamo prima scoprirò chi mi ha colpito con la lattina, e lo scoprirò, dovessi...sì professoressa, mi scusi professoressa, certo professoressa. Dicevo, sei morto, ma ora facciamo entrare i GRIFOONDORO!
Non appena Sirius grida l’ultima parola, scappando dalla McGranitt a giudicare dal tono affannato, spalanco la porta e mi alzo in volo tra le grida di tutta Hogwarts, mentre la B argentata torna a ciondolarmi libera sul petto.   
 

 - - -

 
 
Hogwarts, 11 Ottobre 1971, Primo Anno.
 
 
 
Trotterello allegramente dietro a Black, appena a pochi passi di distanza da lui, osservando curioso le sue mosse da sotto il tessuto quasi trasparente del mantello dell’invisibilità. 
 Il mio bellissimo, nuovissimo mantello dell’invisibilità. 
 Credo che non ringrazierò mai abbastanza mio padre per avermi fatto un regalo del genere. In realtà credo che non lo ringrazierò mai e basta, dato che gli sto tenendo il muso per avermi impedito di portare la mia Tornado ad Hogwarts. Vorrei proprio sapere chi si è inventato la regola che gli studenti del primo anno non possono portare a scuola le loro scope: stupido guastafeste.
Mentre io sono perso nei miei pensieri, Black si è lasciato cadere a terra, sbuffando. Io resto a guardarlo, aspettando che faccia qualcosa, ma lui continua a restarsene lì, a pochi passi dalla riva del lago, lo sguardo rivolto alle stelle. Più che guardarle sembra che le stia fulminando con gli occhi. Figurarsi se Black non trovava un motivo per avercela a morte anche con qualcosa che non si trova neppure sul suo stesso pianeta.
È un tipo bizzarro quel moretto, non mi serviva seguirlo di nascosto fino al lago all’una di notte per capirlo. Non ha ancora fatto amicizia con nessuno e sembra avercela sempre con tutti, in particolare con me. Io, non gli sto simpatico io! Assurdo.  
Mi ha addirittura definito ‘quattrocchi irritante ed insistente’. Anche mamma mi dice sempre che sono insistente, ma non capisco proprio perché. Qui l’unico ad essere insistente è lui: è così testardo che ancora si ostina a non accettare il fatto che lui è destinato ad essere il mio migliore amico.
Papà dice sempre che tutti dovrebbero averne uno ed io ho deciso che lui sarà il mio. È palese che lo sarà. Ha quello sguardo strano, che non ho visto in nessun altro bambino e che mi attira come una calamita. Se riuscissi anche a farlo sorridere sarebbe perfetto.
Improvvisamente lo vedo sfilarsi qualcosa dal collo per poi rigirarsela tra le mani con aria pensosa, così mi avvicino di soppiatto a lui, chinandomi leggermente per vedere anch’io. Per poco poi non mi becco un pugno in pieno viso, quando Black alza di scatto la mano e lancia qualcosa verso il lago.
Non mi sono nemmeno reso conto di essermi mosso, è un riflesso istintivo per me.
Fatto sta che ora Black fissa stralunato l’oggetto da lui tirato, apparentemente fermo a mezz’aria, in realtà ben stretto nella mia mano, oltre il mantello. Osservo per qualche secondo l’elaborata B argentata stretta tra le mie mani, per poi sfilarmi il mantello. Ignorando il sussulto di Black alla mia apparizione, lo lascio scivolare sull’erba, continuando a fissare assorto il ciondolo. 
- La B sta per Black, vero? - domando senza guardarlo e, prima che possa rispondere, continuo. – Non puoi liberartene, lo sai, sì?
Questa volta lo guardo dritto negli occhi mentre parlo e li vedo chiaramente scurirsi, come se il grigio fosse diventato di colpo più denso, più pesante. Immediatamente assume un’aria irritata e fa per aprire la bocca, socchiudendo leggermente gli occhi, come ho notato fa sempre quando è arrabbiato, ma di nuovo lo precedo.
- Ma posso tenertelo io, – concludo sicuro, infilandomi la catenina al collo con un sorriso.
Black mi fissa spiazzato, le labbra socchiuse, bloccate al principio di chissà quale insulto.
- Perché? - mormora perplesso.
- Perché sono il tuo migliore amico, – rispondo subito, allargando il sorriso. – E se c’è qualcosa che ti pesa, allora tocca a me portarla al posto tuo.
E per lui questo ciondolo deve essere particolarmente pesante. Forse è per questo che ha sempre quell’aria scontrosa. Mentre mi guarda sconcertato, con un’espressione smarrita in viso e gli occhi leggermente sgranati, mi rendo conto che non mi sono affatto sbagliato: sembra già più leggero. Resta in silenzio per qualche altro secondo, prima di riassumere la sua tipica espressione sostenuta e di replicare, impassibile:
- Premettendo che non sei il mio migliore amico e non lo sarai mai, Potter, dato che avevo intenzione di darlo alla piovra e che tra te e lei non ci sono differenze rilevanti, tienilo pure.
Sorrido, perché anche se mi ha appena assimilato ad un mostro marino gigante, non è arrabbiato. Mi chiedo perché mi riesca così incredibilmente naturale interpretare ogni sua espressione.  
- Quando stai zitto, riesci persino ad essere irritante nei limiti umani, Potter, – constata con voce atona dopo qualche secondo di silenzio, guardando dritto davanti a sé.
- Questo significa che ti sei finalmente rassegnato al fatto che non puoi vivere senza di me? - chiedo vivace, con un sorriso.
- No, significa solo che la prossima volta che mi rivolgerai la parola per più di due minuti di fila mi limiterò a darti fuoco ai capelli, invece di tentare di gettarti dalla Torre di Astronomia- replica  ancora con la stessa intonazione neutra.
- Non vedo l’ora di vedere la tua faccia quando finalmente realizzerai che sono effettivamente il tuo migliore amico, nonché il migliore che potessi desiderare - ribatto allegro, ignorando con maestria le sue minacce alla mia persona. 
Per tutta risposta lui si esibisce in uno sbuffo scettico, rovinato dal sorriso che sta cercando prepotentemente di farsi posto sulle sue labbra. 
- Sai, se non fosse per quei capelli, potresti persino starmi simpatico, James Potter.
 
 
 

 - - -
 

- E per Grifondoro abbiamo James Potter, Capitano e cercatore; Mike Muller, bersaglio vivente del suddetto James Potter e portiere; Frank Paciock ed Alexis Mason, abbattitori di Serpeverde; Sam Douglas, Daniel Ross ed Anne Wood, protagonisti di un non ancora tanto amoroso triangolo e cacciatori.
La voce di Sirius riecheggia per il campo, sovrastando persino le grida infervorate delle ragazze del quarto, - modalità sorriso smagliante, mano tra i capelli, ammiccamento: attivata - mentre noi facciamo un veloce giro di campo acclamati dalla nostra Casa, prima di atterrare a pochi passi da Madama Bumb. 
- Ed ora, nonostante ne faremmo tutti volentieri a meno, Prevedibili fischi da parte della folla verde e argento. - I SERPEVERDE!
Non appena le porte dello spogliatoio nemico si spalancano, sette sguardi di fuoco si puntano sulle figure che ne escono, anche se ancora non possiamo distinguerne nemmeno i lineamenti.
- Per Serpeverde abbiamo Regulus Black, – Sirius non fa una piega nel pronunciare il nome di suo fratello, facendo sfoggio di tutta l’indifferenza di cui è capace. Ed è tanta. - Capitano e cercatore; Justin Davies, portiere; Edgar Avery ed Andrew Roberts, battitori nonché bari affermati; e per finire Antony Rosier, Janice Barnes ed Abbie Williams, cacciatori.
I Serpeverde sfilano di fronte al pubblico, tra le grida d’approvazione della loro casa, per poi atterrare di fronte a noi, a pochi metri di distanza. Immediatamente ricambiano le occhiate omicide che provengono dalla nostra parte. Persino Anne ha smesso di guardare adorante Sirius per fulminare la cacciatrice avversaria, Janice. Il fatto che anche la mora sia cotta di Sirius sono sicuro che non c’entri nulla. Rosier, dall’alto del suo metro e novanta, fa scrocchiare minacciosamente le nocche, con un sorrisetto perfido. Alex, di fronte a lui, ma diversi kilometri più sotto in linea d’aria, si rigira la mazza tra le mani, con un ringhio: l’ultima volta che abbiamo giocato contro Serpeverde l’ha quasi buttata giù dalla scopa. 
- Psss, Mike! Scommetti che almeno un giocatore finirà in Infermeria?
- No che non scommetto, Dan, è scontato.
- Shhh, James ci guarda male.
Esatto.
- I Capitani si stringano la mano, – ci ordina Madama Bumb ed io e Black avanziamo, portandoci tra i due schieramenti. Mi piazzo di fronte a lui, fissandolo. Mi sembra quasi di trovarmi di fronte al mio migliore amico vestito con i colori di Serpeverde: è praticamente la fotocopia di Sirius, solo un po’ più basso e magro, con i lineamenti del viso leggermente più morbidi. Per il resto stessi capelli color inchiostro, stesso naso dritto, stesse labbra disegnate perfettamente, ma soprattutto stessi identici occhi. Eppure riuscirei a distinguere i suoi da quelli di Sirius senza la minima difficoltà: hanno lo stesso taglio, la stessa esatta sfumatura di grigio, ma c’è qualcosa di diverso nello sguardoNon saprei dire cosa sia esattamente, ma ha a che fare con il fatto che mentre riesco a leggere gli occhi di Sirius meglio di un libro, quelli di Regulus mi risultano impenetrabili, lontani. Come due gallerie profondissime, ma sbarrate.
Stringo con forza la sua mano, sostenendo lo sguardo penetrante tipico di tutti i Black, mentre la voce di Sirius risuona ancora una volta per il campo.
- Ed ora che i due Capitani si sono dati la manina, che le palle vengano liberate. E questo non è un invito a togliervi i pantaloni, gente, sia ben chiaro.
Mentre persino dall’ostile tribuna di Serpeverde proviene qualche risata, Madama Bumb apre una grande scatola di legno, liberando la pluffa, i bolidi e, per ultimo, il boccino.
I miei occhi si incollano istantaneamente sul baluginio dorato e devo fare violenza su me stesso per restare immobile e non allungare subito il braccio per prenderlo, quando vola esattamente tra me e Black. Lo seguo con lo sguardo per qualche altro secondo, prima che si allontani troppo, svanendo nell’aria.
- A questo punto non resta altro da dire se non che vinca il migliore.
Lo farò.
 

*

 
Sento il suo sguardo su di me.
Posso quasi immaginare le labbra che si stringono sempre di più, gli occhi che si socchiudono sospettosi, in attesa, per poi spalancarsi di scatto, increduli.
Ed è ora che posso continuare.
Ovvero che vincano i Grifondoro.
Ci avevi creduto, eh, Minnie?
 

*

 
La McGranitt non è una persona intelligente: non continuerebbe a dare un megafono in mano a Sirius altrimenti.
Già Sirius riesce ad infastidire abbastanza persone con il suo normale tono di voce, ma dargli un mezzo per amplificarla e piazzarlo in uno stadio stracolmo di gente è pura follia. 
- Tieni, Moony, ne ho preso uno anche per te.
È con uno strano senso di inquietudine che mi volto a guardare cosa Peter ha preso anche per me. E non mi sbagliavo.
Quello che Peter tiene tra le mani sembra un indistinto, ma innocuo ammasso di stoffa rossa e oro, forse solo un po’ troppo pelosa. Vedendo solo quello potrei anche pensare che non sia un oggetto da tenere categoricamente ad almeno mille miglia dalla mia testa, ma per fortuna, o purtroppo, di fronte a me ho anche la dimostrazione di come quel mucchietto di stoffa stia in testa a Peter. E a Peter non donano le teste di leone.
- Grazie Pete, che pensiero gentile, – mormoro guardando il suo viso paffuto e compiaciuto spuntare dalle fauci del leone. - Non dovevi, davvero.
Non dovevi proprio.
- Pronti, partenza, VIA!
Gridare in un megafono non è una cosa molto salutare per le orecchie di chi è a meno di un kilometro da te. Sirius dovrebbe impararlo. Per fortuna gli strati di stoffa e pelo che circondano la mia testa, oltre a soffocarmi, attutiscono anche la voce amplificata di Pad. Proprio una fortuna, già.
 

*

 
Ed io che credevo di essere imbarazzante.Almeno la mia testa ha ancora una forma umana.
- Lupin, Minus! Bei...cappelli, – dico esitante. Posso chiamarli cappelli? Insomma di solito i cappelli non mangiano la testa delle persone. E quei cosi lo fanno.
- Oh, ciao Lizzie. Grazie, sei molto gent-argh! 
È con una certa preoccupazione che osservo il corpo di Remus Lupin scattare all’indietro, pericolosamente vicino alla ringhiera degli spalti, con le mani alla testa. Alla chioma più che altro.   
È una fortuna che sia riuscito a fermarsi in tempo, perché dubito che James avrebbe interrotto la ricerca del boccino per salvargli la vita.
- Ti piacciono? C’è un incantesimo che li fa ruggire ogni volta che Grifondoro segna – mi informa allegramente Minus, smettendo per un attimo di saltare entusiasta insieme al resto della folla rosso-oro.
- Sì, me ne sono accorta – replico, senza staccare lo sguardo dal corpo tremante di Remus.  Anche lui se n’è accorto.
Ed anche quel ragazzino del primo anno che è appena scoppiato in lacrime per lo spavento.
Aspetta, ma quello non è Matt-è-troppo-alto-Douglas?
Giustizia è fatta.
 

*
 

Sono un Grifondoro e sono fiero di esserlo.
Quindi dovrei sperare che la squadra rosso-oro segni più punti possibili e vinca.
Ma sono anche un ragazzo intrappolato in una testa di leone gigante che si produce in un ruggito assordante ogni volta che una pluffa oltrepassa gli anelli dei verde-argento, quindi forza Serpeverde.
 

*

 
Un brivido gelido mi percorre la schiena, facendomi sussultare.
Mi guardo attorno con circospezione, cercando di capire a cosa sia dovuta la sensazione che qualcosa di tremendo ed inammissibile sia appena accaduto.
Mentre un ringhio inizia a risalirmi dalla gola, i miei occhi si fermano finalmente su quelli di Remus, diversi metri più sotto che mi fissa spaventato dalla tribuna dei Grifondoro. Colpevole.
 

*

 
Ci sono diversi metri a separarmi da James e non riesco nemmeno a vederlo con precisione in faccia, senza contare che dalla sua visuale io sono solo un puntino tra gli altri, eppure non ho dubbi che stia guardando proprio me.
Lui sa.
 

*
 

- Dieci a zero per Grifondoro, grande Sam! Ehy, Davies, a che ti serve tutto quel lardo se non basta nemmeno per difendere gli anelli, mh? Chiedevo solo, professoressa.
I deliri di Sirius una volta tanto servono a qualcosa e la sua voce mi riscuote, facendomi distogliere lo sguardo da quello di Remus.
Vorrei continuare a fulminarlo con lo sguardo per gli anni a venire, in modo da costringerlo a inginocchiarsi con le lacrime agli occhi, confessare le sue colpe e chiedere perdono, ma ora ho una partita da vincere.
Lancio un’occhiata di puro amore a Sam che ha appena messo a segno il primo gol della partita e riprendo la mia perlustrazione, compiendo ampi giri intorno al campo, schivando con agilità gli altri giocatori.
Qualche metro più sotto, Black fa lo stesso.
 

*
 

- Williams recupera la Pluffa, schiva un Bolide di Paciock e passa a Rosier, che si avvicina sempre più alla porta avversaria. Evita un secondo bolide da parte di Paciock, ignora bellamente i suoi compagni di squadra, come loro del resto sembrano evitare lui, come biasimarli, nemmeno io mi avvicinerei mai a, era un’osservazione oggettiva professoressa, non commenti personali, davvero...cosa? Perché urlate? Che è successo? -  Mi guardo attorno spaesato, mentre la tribuna dei Grifondoro esulta. Finalmente una ragazzina si degna di informarmi che Rosier ha appena provato a fare gol, ma quel caro ragazzo di Mike ha parato.
- Black, si concentri, di grazia! È lei che deve raccontare al pubblico cosa sta succedendo, non il contrario - mi rimprovera la McGranitt, occhieggiando in maniera sempre più minacciosa al mio, e sottolineo mio, magi-megafono.
- Ma è lei che mi distrae, professoressa, – replico scandalizzato, prima di riavvicinare le labbra al magi-megafono. Vai così Mike! A quanto pare gli istinti omicidi di James sono serviti a qualcosa, perché il tiro di Rosier viene prontamente parato da Muller. Dove credevi di andare, eh? Povero illuso. Sì professoressa, ha ragione, certo. Mai più, glielo assicuro. La pluffa è ora in mano a Ross, che passa a Wood, che ripassa a Ross che ripassa a Wood. E nonostante Daniel ed Anne non stiano facendo giocare nessun’altro e mi stiano facendo ingarbugliare, si stanno anche avvicinando alla porta nemica. Avery tenta di colpire Wood con un bolide, ma Paciock glielo rispedisce contro. Intanto Wood si appresta a tirare e...GOL! Venti a zero per Grifondoro! Beccatevi questa.
- Black! Si trattenga, per l’amor del cielo.
 

*
 

- Wood recupera nuovamente la Pluffa e...oh Godric, scappa! Ti ucciderà, lascia la pluffa e scappa!
Mi rendo conto che vedere l’enorme Rosier dirigersi a tutta velocità contro l’esile Anne non sia quel che si dice rassicurante, ma non credo che il cronista di una partita dovrebbe incitare i giocatori a consegnare la pluffa in mano agli avversari e a scappare. Anche se una volta tanto sono d’accordo con Sirius. James non lo sarebbe. Fortunatamente ora è troppo impegnato a cercare il boccino per ascoltare Sirius, nonostante lui stia gridando in preda al panico in un megafono. Le mie orecchie sono così provate dai ruggiti del mio copricapo che non ci faccio nemmeno più caso.  
- La ucciderà,– commenta Lizzie al mio fianco, guardando con occhi sgranati la gigantesca massa di muscoli chiamata Rosier lanciarsi con un ghigno malefico verso la povera Anne.
- La ucciderà,– confermo io, chiudendo gli occhi quando i due sono ad appena un metro di distanza.
 

*
 

La voce angelica di Sirius continua a gridarmi di scappare e dare la Pluffa a Rosier ed io sono seriamente tentata di farlo, perché se Sirius vuole che io lo faccia, allora significa che è giusto farlo.
Però io, oltre ad essere cotta di Sirius Black da anni, faccio anche parte della squadra di Grifondoro da altrettanti anni.
E se c’è una cosa che ogni membro della squadra di Grifondoro sa, è che il Quidditch viene prima di ogni altra cosa.
Anche prima di Sirius BlackEd anche prima del mio essere viva.
Per questo se Rosier vuole la Pluffa, dovrà passare sul mio cadavere.
Cosa che comunque sembra rientrare perfettamente nei suoi piani.
 

*
 

- È viva, Miracolo! Wood si abbassa di scatto e mentre Rosier cerca di frenare per non schiantarsi contro gli anelli, riuscendoci purtroppo, Wood passa a Ross che tira e GOL! Incredibile, trenta a zero per Grifondoro! Li stiamo stracciando, li stiamo stracciando!
- Black! La smetta immediatamente! Lei deve mostrarsi imparziale. Come glielo devo dire? Niente preferenze!- sbotto esasperata, portandomi le mani alle tempie.
- Chi è che fa preferenze, professoressa? Io no di certo – nega allegramente Black, con un  sorriso a trentadue denti su quella sua faccia da schiaffi.
- Lei sta saltando su è giù perché Grifondoro ha segnato – gli faccio notare irritata. Irritata anche dal fatto che la mia reputazione e la mia posizione in questa scuola non mi permettono di fare altrettanto.
Ma poco importa in fondo: pare proprio che Lumacorno dovrà rassegnarsi al fatto che anche quest’anno la Coppa sarà nel mio ufficio.
 

*
 

Williams recupera la Pluffa e si dirige verso la porta dei Grifondoro. Schiva un Bolide di Mason e passa a Barnes, che...ehy! Sembra che Potter e Black abbiano avvistato il boccino: si precipitano entrambi nella stessa direzione, verso le Tribune di Corvonero, ma pare proprio che lo abbiano già perso. O forse stavano semplicemente passando il tempo giocando ad acchiapparella, chi lo sa. Nel frattempo comunque Barnes è arrivato di fronte al Portiere avversario, tira e...maledizione, trenta a dieci per Grifondoro. Ho detto per Grifondoro, stupide serpi, quindi avete poco da esultare. Ha ragione professoressa, assolutamente. Non potrei essere più d’accordo. Comunque, se i Serpeverde mi facessero il favore di tapparsi quelle fogne,  io continuerei con la telecronaca, grazie.
Prevedibilmente l’odio che ogni Serpeverde degno di questo nome nutre per Sirius subisce un’improvvisa impennata verso l’alto alle sue ultime parole, venendo espresso in fischi ed insulti, mentre mi immagino la professoressa McGranitt fare lo stesso, solo in maniera più contenuta. 
A volte penso che Sirius sia masochista.
Ma probabilmente ha solo una predisposizione naturale per il creare scompiglio.  Anche se è a metri di distanza posso immaginarmi chiaramente il ghigno stampato sulla sua faccia, proprio come prima potevo vedere lo sguardo omicida di James.
Mi chiedo se sapere con precisione ed in qualunque momento quale espressione si trovi sul viso dell’altro sia una cosa comune a tutti i migliori amici o se sia una prerogativa di noi Malandrini. 
- James mi ha quasi baciata.
Mentre è una prerogativa di Lizzie scegliere il momento più inopportuno per fare rivelazioni assurde, a quanto pare.
 

*
 

Dallo sguardo sconcertato che riesco ad intravedere dalle due piccole aperture sull’enorme testa di leone, capisco di averlo detto ad alta voce. Non che non fosse mia intenzione. O almeno credo. In realtà non ho idea di cosa mi abbia spinto a pronunciare le parole che dalla sera del torneo non fanno che ripetersi nella mia testa.  Immagino che per evitarmi la pazzia, la mia bocca, evidentemente dotata di volontà propria, abbia deciso che dovevo condividere questo immenso, fantastico peso con qualcun’altro. Quello che mi chiedo ora è perché quel qualcun altro debba essere Remus Lupin e soprattutto perché io debba farlo proprio mentre sta indossando una gigantesca e pelosa testa di leone e mentre diversi metri sopra di noi si sta combattendo la battaglia del secolo. Partita, cioèNon si tratta del destino dell’universo, in fondo. E nessuno rischia seriamente di rimetterci la vita, se non si mette tra James e il boccino. O tra Rosier e la pluffa. E se non fa arrabbiare Alexis. In effetti è molto probabile che moriranno tutti.
-Oh,– è il flebile suono che esce dalla palla di pelo di fronte a me. Dopodiché si porta le mani alla criniera e si sfila faticosamente la testa di leone. Il viso accaldato di Lupin mi spunta di fronte e dopo aver gettato un’occhiata a Minus, aggrappato alla ringhiera ed intento a seguire con ansia la partita, ripete il suo precedente commento, solo un po’ più forte. 
- La sera del Torneo,– ci tengo a precisare, come se questo fosse di vitale importanza, ma probabilmente solo per spezzare il silenzio imbarazzante.
- Esattamente cosa intendi con quasi? - mi chiede dopo un po’, corrugando la fronte.
- Mi sono spostata,– rispondo piano, mentre Black esprime pacatamente la sua disapprovazione per il secondo goal messo a segno dalla squadra di Serpeverde. L’espressione sconcertata che si dipinge sul volto di Lupin rappresenta alla perfezione quello che provo anch’io ogni volta che ripenso al fatto che mi sono spostata. James mi ha quasi baciata ed io mi sono spostata. Dovrebbero fare incidere questo sulla mia tomba, quando sarò morta. Cosa che non avverrà nemmeno tra molto tempo, se le scale di Hogwarts continueranno a voler cambiare proprio quando vedono me. Credo che non scorderò mai l’espressione terrorizzata sul volto di Allison la volta in cui sono quasi precipitata...ma non è questo il punto. Il punto è, come sempre, James. Ed in questo caso particolare è che James mi ha quasi baciata ed io mi sono spostata. Che razza di persona farebbe una cosa del genere? Che razza di...
- Lizzie?
- Eh?
- Ti ho chiesto perché.
- Anche io. Chiedere il perché, intendo. A me stessa ovviamente, tu non ti sei spostato, non avrebbe senso chiedertelo, ah ah!  Anche se tu avresti effettivamente avuto un motivo per spostarti, se James avesse cercato di baciarti, sai. Non che io abbia pregiudizi di qualsiasi genere, figurati. Se tu, insomma se anche tu volessi sperimentare qualcosa di nuovo, non ci troverei assolutamente nulla di male. E come potrei io trovare qualcosa di male in qualcuno che non sia io, quando è così evidente che...
Oh merda.
Gli occhi di Lupin non sono sempre stati così grandi, oserei dire spalancatie di solito non hanno quell’aria da temo per la mia vita, mentre ora mi stanno dicendo chiaramente sto per correre lontano da te e questo può significare solo una cosa. Ho saltato la fase uno dell’agitazione e sono passata direttamente alla fase due: parlare a macchinetta. In realtà ho appena raggiunto uno stadio più elevato di questa fase: parlare a macchinetta ed ipotizzare una relazione omosessuale tra il ragazzo che mi piace ed uno dei suoi migliori amici. A questo punto la cosa migliore da fare, per quanto possa esistere una cosa migliore in casi del genere, sarebbe tacere. Ma le mie labbra non sono dello stesso parere. Le mie parti del corpo in effetti non sono mai del mio stesso parere. Questo è potenzialmente preoccupante.
 

*
 

Dopo un tempo indefinito, in cui comunque Grifondoro e Serpeverde hanno fatto in tempo a segnare un goal ciascuno, Lizzie tace. Gliene sono grato, perché da quando ha nominato la crostata alla marmellata di pesche di sua nonna ho perso il filo del discorso. Ed è una cosa che non mi piace, perdere i fili dei discorsi e non capire i nessi logici che collegano i vari argomenti. Sono molto allenato in questo, è da sei anni che cerco di capire la logica assurda dei discorsi di James e di seguire esattamente tutti i passaggi di Sirius –e Sirius cambia argomento almeno sette volte di fila in 30 secondi. Per non parlare di quanto il mio intuito si sia sviluppato grazie a Peter ed al suo sottintendere tutti i soggetti delle frasi. O i complementi oggetti. A volte contemporaneamente. Ma le labbra di Lizzie hanno raggiunto una velocità notevole ed è bastato che Daniel segnasse, facendo ruggire il leone ancora tra le mie mani, e il collegamento tra i matrimoni gay e la crostata alla marmellata della nonna di Lizzie è andato perduto per sempre.
- Quello che volevo sapere, in realtà, è perché ti sei spostata, – ripeto, pacatamente.
Un’altra cosa che i miei amici mi hanno involontariamente insegnato in tutti questi anni di convivenza è il non farmi distrarre quando faccio una domanda, che essa sia Di chi è stata l’idea? o Perché Piton è ricoperto di gelatina blu?’. Vedo Lizzie guardarmi in evidente disagio, poi Daniel segna di nuovo e di nuovo la cosa che ho in mano mi ruggisce in faccia, facendomi perdere dieci anni di vita, e quando riporto lo sguardo su Lizzie mi rendo conto che lei non è più lì. Sono abituato anche a questo, dopotutto. In effetti non credo esista qualcosa a cui io non sia abituato, facendo parte da sei anni dei Malandrini. Silenzio a parte, per ovvi motivi.
 

*

 
Mi rendo conto che mettersi a correre approfittando di un momento di distrazione dell’altro per evitare un discorso non è una grande dimostrazione di maturità.
Ma l’altro dopotutto aveva tra le mani una testa di leone ruggente, quindi non penso che maturità sia una parola di cui doversi preoccupare al momento.
 

*
 

Nel momento esatto in cui spedisco un bolide lontano dal Capitano, lo stadio scoppia in un boato e per una frazione di secondo un mezzo sorriso mi si dipinge sulle labbra. Grazie grazie, ma ho solo fatto il mio dovere.
- Williams segna e i Serpeverde rimontano. Quaranta a quaranta.
Ah. Beh, in effetti sono i Serpeverde quelli che stanno esultando, ora che ci faccio caso.
- Alex, attenta!
Il grido di Anne mi riscuote ed io mi volto appena in tempo per vedere Rosier dirigersi a tutta velocità verso di me.
Aspetta, ma che diavolo?
Un cacciatore avversario mi sta letteralmente caricando, ma dopotutto si tratta di Rosier e non me ne stupisco più di tanto. Credo che sia nella squadra solo per gettare giù dalla scopa più Grifondoro possibili e tra me e lui non è mai corso buon sangue. Evidentemente ora vuole che sia il mio sangue a scorrere. Mi volto verso di lui completamente, stringendo forte le gambe attorno alla scopa e impugnando meglio la mazza, il busto lievemente inclinato in avanti. 
 Vedremo chi dei due rimarrà in sella, stupido bestione.
È ormai a pochi metri da me, quando sento un grido, qualcosa di terribilmente simile a lascia stare la balena e un oggetto colpisce Rosier in testa, facendolo bloccare. L’intero stadio resta in silenzio, perché il mio compagno battitore, Frank, è dall’altra parte del campo e quello che ha colpito Rosier non è un Bolide. Se fosse un Bolide, Rosier probabilmente sarebbe caduto dalla scopa e sicuramente non lo starebbe tenendo in mano, fissandolo intontito. 
 Anne galleggia a pochi metri da noi, con un’espressione sconvolta e le mani ancora pronte a ricevere la Pluffa che Sam non ha lanciato a lei.
James ha interrotto per la prima volta nella sua vita la ricerca del Boccino per prestare attenzione al mondo circostante e il mondo circostante evidentemente gli fa orrore.
Rosier guarda alternativamente la Pluffa tra le sue mani e poi Sam, senza riuscire a credere a quello che è appena successo.
Poi la voce di James spezza il silenzio e da quel momento è il caos più totale.
Gli hai lanciato la Pluffa? Sam Douglas, gli hai veramente lanciato la Pluffa? È questo che hai fatto?
Rosier inverte bruscamente la rotta e parte come un forsennato verso Mike, che si riscuote appena in tempo per mettersi in posizione di difesa, al centro dei tre anelli. Anne e Daniel sono subito al suo inseguimento, così come le altre Cacciatrici verde-argento, mentre Sam resta inchiodato a mezz’aria dallo sguardo omicida e al tempo stesso incredulo di James. Ora capisco perché non è permesso tenere le bacchette durante una partita di Quidditch: non penso di aver mai visto il Capitano così capace di usare una maledizione senza perdono. Poi il pubblico inizia a gridare esagitato e vedendo con la coda dell’occhio Regulus Black lanciato a tutta velocità verso il basso, il mio cuore manca un battito.
Quando mi volto con gli occhi sgranati verso il Capitano per avvertirlo, Sirius e tutto lo stadio mi hanno già anticipato e James si è già lanciato a sua volta in una spaventosa picchiata. Sembra quasi che si stia semplicemente lasciando cadere insieme alla scopa, da quanto è veloce.
- Non sono una donzella in pericolo, idiota, – sbotto prima di fare uno scatto e colpire con tutta la mia forza un Bolide. Devo fare violenza su me stessa per non spedirlo contro quel pel di carota, e cerco di direzionarlo verso Black, anche se è troppo lontano per poterlo mirare bene, senza contare che devo stare attenta a non colpire il Capitano.
- Nessuno ti scambierebbe mai per una donzella, tranquilla, – mi grida in risposta Sam, prima di voltarsi e raggiungere gli altri Cacciatori, impegnati in un’epica lotta per la pluffa.
- E nessuno scambierebbe mai te per un principe azzurro! – gli urlo dietro, gettandomi poi all’inseguimento di Avery, il battitore avversario, che si sta avvicinando un po’ troppo ai due cercatori.
Se perdiamo per colpa di Sam, giuro che lo ammazzo.
Lo resuscito dopo che James lo ha ucciso, e poi lo ammazzo.
 

*
 

Mi sono praticamente lasciato cadere a peso morto non appena ho capito quello che stava succedendo, ma Black è ancora diversi metri davanti a me e non è una finta. Perché lo vedo benissimo anche da qui, lo sfavillio dorato del Boccino d’oro, vicinissimo al Serpeverde.
Un Bolide passa esattamente tra di noi, senza sfiorare né me né lui e non riesco a capire a chi fosse diretto.
Il secondo per poco non prende Black dritto in faccia e mentre lui è costretto a rallentare e a deviare bruscamente per evitarlo, mi avvicino ulteriormente. Se allungassi la mano ora potrei sfiorare la coda della sua scopa. 
 Il pubblico è letteralmente in delirio, ma ho imparato a tagliare fuori ogni cosa quando sono concentrato sul mio compito e le grida dei miei compagni mi arrivano come attutite, sovrastate dal fischio del vento gelido che mi sferza il viso.
Il terreno si avvicina sempre di più, ma né io né Black accenniamo a rallentare. Stringo con più forza le gambe attorno alla scopa e mi appiattisco ulteriormente, tirando il manico verso l’alto solo all’ultimo e seguendo perfettamente la traiettoria di Black. 
 Ora voliamo in orizzontale, a pochi centimetri dall’erba del campo, e finalmente riesco a raggiungerlo. Mi affianco a lui e sposto lo sguardo dalla coda della sua scopa alla macchia dorata che sfreccia velocissima di fronte a noi, senza riuscire a distanziarci. La punta della scopa di Black è sempre più vicina al Boccino della mia, e anche se non posso inclinare troppo la scopa per non urtare il terreno e fare una caduta spettacolare, cerco comunque di scivolare in avanti per avvicinarmi di più alla sfera dorata.
Sperando che Godric me la mandi buona e non mi faccia sbilanciare, tendo un braccio davanti a me, arrivando quasi a sfiorare le ali argentate della vittoria.  
Ma Black è ancora in vantaggio, anche se di pochi centimetri, e quando anche lui allunga il braccio verso la piccola sfera dorata, so già cosa sta per accadere.
 
When you try your best
but you don't succeed
 
Non appena la sua mano si stringe sul Boccino D’Oro, Black arresta la scopa e alza il pugno verso l’alto, mentre il pubblico verde-argento esplode in un boato di gioia.
Subito punta gli occhi nei miei, mentre le ali del Boccino si agitano nella sua mano levata in aria. Ho perso.
 
*

 
Ho le labbra socchiuse a pochi centimetri dal megafono e non riesco a staccare gli occhi dal braccio alzato di Regulus.
James è appena sceso dalla scopa e pian piano anche gli altri Grifondoro si dirigono verso il suolo, evitando i Serpeverde che esultano sfrecciando da una parte all’altra del campo.
La parte verde-argento del pubblico mi sta assordando con le sue grida di esultanza, mentre quella rosso-oro è chiusa in un silenzio di tomba.
Sospiro contrariato, prima di portarmi controvoglia il magi-megafono alle labbra.
- Regulus Black prende il Boccino e Serpeverde vince centonovanta a quaranta. La partita è finita, andate in pace. Ma soprattutto a fanculo.
La McGranitt è talmente abbattuta per l’esito della partita che il suo tempo di reazione è più lento del solito. Quando partono le sue proteste, io mi sto già allontanando dalla mia postazione di cronista per raggiungere il campo, da cui né James né Regulus si sono ancora mossi.
È migliorato da quando eravamo piccoli e lo stracciavo sempre, nel vecchio cortile di Grimmauld Place.
 

*
Mi allontano a passo svelto dagli spalti, seccato dalle grida e dai cori vittoriosi dei miei compagni. L’espressione persa di Potter quando si è visto soffiare il boccino da sotto il naso è stata appagante, ma a parte questo non vedo cosa ci sia da festeggiare.

                                                                                                                                                                                               
When you feel so tired
but you can't sleep

In fondo è solo un’occasione in meno di vederla sorridere.
 
*
 

Smonto di sella, tenendo il Boccino ben stretto tra le dita, mentre i miei compagni esultano, ancora per aria. Potter è a pochi passi da me ed un sorriso trionfante mi si apre sulle labbra, quando incrocio il suo sguardo sconfitto.
- Cercavi questo, Potter? – ghigno, mostrandogli il Boccino che si dibatte nel mio pugno chiuso. Le sue labbra da sbruffone si contorcono in una smorfia, mentre io, da bravo Black, continuo ad infierire: - Se vuoi puoi prenderlo, ora non mi serve più.
Ed apro davvero la mano, lasciando il boccino libero di volargli di fronte. Lui non lo guarda nemmeno, tenendo gli occhi fissi nei miei.
- Ok, Black, hai vinto, – sospira, passandosi una mano tra i capelli.
Ed è un attimo.  
Lo sguardo mi cade su un luccichio che spunta dalla sua felpa scarlatta ed il sorriso mi si congela sulle labbra.
Appesa ad una catenina, una piccola B argentata posata sul petto di Potter si alza e si abbassa a ritmo con il suo respiro, come se quello fosse il suo posto.
Ed il mio sorriso si cancella lentamente, quando mi rendo conto che quello è il suo posto.
 
When you get what you want
but not what you need
 
Perché anche se ho vinto la partita, con Sirius ha vinto lui.  Con Sirius ho perso.
Rialzo lo sguardo incrociando gli occhi nocciola di Potter e, mentre ci fissiamo al centro del campo, attorniati dall’esultanza generale, sappiamo di aver vinto e perso entrambi.
Mi chiedo se Potter sia consapevole di aver vinto la cosa migliore. 
E mentre vengo trascinato via dai miei compagni festanti e il braccio di Sirius si posa sulle spalle di Potter, mi rispondo che sì, lo sa perfettamente.
Alla fine Sirius sa essere un fratello impeccabile.
Solo non il mio.
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


 

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CAPITOLO 15.

 

 

 

 

 

 

 

Peter, al mio fianco, è in perfetto silenzio.
Ha lo sguardo vuoto puntato su una parte imprecisata del campo, che sospetto essere il luogo esatto in cui le dita di Regulus Black si sono chiuse attorno al Boccino, e la bocca spalancata.
Ha questa espressione da quando Sirius ha dichiarato, a modo suo, la vittoria dei Serpeverde.
Perché sì, Grifondoro ha perso.
James ha perso. 
Che Godric sia con noi, perché James lo sarà.
 

*
 

È da diversi minuti che ce ne stiamo qui, in perfetto silenzio, al centro del campo.
Quando gli ho posato il mio braccio sulla spalla, James non ha fatto una piega. Ha continuato a guardare dritto davanti a sé, con un’espressione estremamente concentrata. Non credo che sia il caso di dire qualcosa. Ci sono un sacco di cose che avrei voglia di dire, in realtà, e tutte contengono ad una distanza davvero ravvicinata le parole Serpeverde eatroci sofferenze, ma James ha appena perso e spezzare il silenzio potrebbe costarmi la vita, ora come ora. Evitando movimenti bruschi, giro lentamente e millimetricamente la testa verso le tribune di Grifondoro, per vedere se i Malandrini mancanti stanno giungendo in mio soccorso. È con una nota di irritazione che vedo Remus e Peter ancora ai loro posti, fermi come la statua al mio fianco. Vili traditori. Abbandonare così un amico nel momento del bisogno, con una festeggiante orda di Serpeverde di fronte e James che ha appena perso di fianco. So di essermi portato da solo al fianco di James che ha appena perso, ma sono stato costretto a farlo dal mio essere un amico impeccabile che non lascerebbe mai il proprio migliore amico da solo, nemmeno se il proprio migliore amico è James che ha appena perso e non lasciarlo solo significa ritrovarsi circondato da Serpeverde felici e James che ha appena perso.
Mi sto ripetendo.
Remus sostiene che lo faccio spesso quando sono agitato, ma Remus è a più di venti metri da James che ha appena perso, quindi non ha il diritto di sostenere nulla.
Con la coda dell’occhio do una sbirciata a James che ha appena perso, trovandolo ancora immobile.
Suppongo ci si aspetti da me che faccia qualcosa.
Remus e Peter non giungeranno in mio soccorso e James non sembra intenzionato a muoversi entro la fine dell’anno.Potrei sfilare lentamente il mio braccio dalla sua spalla, fargli esplodere qualcosa in faccia per risvegliarlo e poi darmela a gambe, lasciando che siano quelli che non corrono abbastanza velocemente a vedersela con James che ha appena perso. Ma James non lo farebbe. Non il farmi esplodere in faccia qualcosa, quello è decisamente il tipo di reazione che avrebbe James, ma poi non se la darebbe a gambe. E James a volte si comporta da amico impeccabile, quindi suppongo di dover evitare quello che non farebbe lui.
A parte il pettinarsi ovviamente, ma questa è un’altra storia.
 

*
 

La gente sta iniziando ad abbandonare le tribune e Peter continua a non muoversi.
Le due cose sono meno slegate di quello che potrebbe sembrare, dato che Peter ha una massa non indifferente, che sembra porsi come ostacolo a buona parte dei Grifondoro che cercano di andarsene. È un po’ inquietante vedere come Peter sembri essersi estraniato dal proprio corpo, tanto che non fa una piega nemmeno quando un primino affonda nella sua pancia nel tentativo di spostarlo. Mi sento quasi fuori luogo quando mi scuso con il primino, - quel Matt Douglas è veramente ovunque - dato che sembro essere l’unico Malandrino ancora in grado di parlare e muoversi. Anche se non potrei sentirli in ogni caso, sono comunque sicuro che James e Sirius non stiano parlando: quei due non sono in grado di farlo senza gesticolare come matti. E sono perfettamente immobili. Anche questo è inquietante: usare immobile in riferimento a James e Sirius non è cosa da tutti i giorni.
- James ha perso, – prorompe improvvisamente Peter con un tono spiritato e lamentoso allo stesso tempo, binomio che non ritenevo possibile fino a pochi secondi fa.
- Capita a tutti, prima o poi, – replico ragionevole, per quanto la ragione non sia il modo migliore di comunicare con Peter in questo momento. Ha una strana luce nello sguardo.
- James non è tutti, – ribatte con voce stridula, guardandomi come se fossi nudo e stessi ballando sulla ringhiera delle tribune, situazione che sarebbe comunque più gestibile di questa.
- No, James non è tutti, – ammetto, con un sospiroEd è una fortuna che James non sia tutti. Se così fosse, il mondo sarebbe un enorme, sterminato campo da Quidditch e nessuno conoscerebbe il significato delle parole ‘modestia’ e ‘pettine’.
- Andiamo da James?
Chiudo gli occhi di scatto, interrompendo i miei pensieri. Sapevo che lo avrebbe detto. Qualcuno doveva farlo, prima o poi.
- Andiamo da James, – acconsento con stoica rassegnazione, avviandomi lentamente verso il campo, nonostante il buonsenso e l’istinto di sopravvivenza mi gridino di stare lontano da quel luogo. Ma essere un Malandrino significa anche questo: ignorare l’istinto di autoconservazione almeno quanto la voce del Preside quando ad inizio anno ripete le regole scolastiche.
 

*
 

- Ascolta, James, so che in questo momento il mondo ti sembra una landa desolata e buia e che le grida di gioia dei Serpeverde sono di quanto più insopportabile ci sia, e so anche che la landa desolata e le grida di gioia non si legano particolarmente bene tra loro, ma hai appena non proprio vinto, quindi la coerenza non è il punto. Il punto è che possiamo sempre trasformare le grida dei Serpeverde in grida di dolore, e dei Serpeverde gioiosi non sono necessariamente una cosa negativa, dato che dei Serpeverde gioiosi sono anche dei Serpeverde distratti, e tu sai quante cose è facile fare a dei Serpeverde distratti. In particolare pensavo ai loro spogliatoi vuoti, e i loro vestiti incustoditi, e sai quante sostanze possiamo fare uscire dalle docce al posto dell’acqua? Senza contare che sarebbe potuta andare peggio: Mocciosus avrebbe potuto far parte della squadra, e tu avresti potuto avere un migliore amico non impeccabile che ti avrebbe fatto esplodere qualcosa in faccia per poi darsela a gambe, mentre invece hai me, che sono così impeccabile e rilassato e confortante. Vorrei sottolineare come solo io sia impeccabile, dato che Remus e Peter si stanno avvicinando soltanto adesso, nel caso non l’avessi notato. Io l’ho notato. 
Eccolo.
Mi volto di scatto verso James che ha appena perso ed ha appena parlato, per poi corrugare la fronte, colto da un improvviso dubbio.
- Tu non mi stai ascoltando, vero, James? – chiedo indignato, sfilando immediatamente il braccio dalle sue spalle. – Non mi stai ascoltando?  
- Credo che persista nel non ascoltarti, Pad, – constatata una voce pacata alle mie spalle.  
- Questo lo vedo da me, Moony, –ringhio irritato, continuando a fissare James che a sua volta fissa gli altri membri della squadra di Grifondoro che si stanno avvicinando lentamente, abbattuti. Si dispongono in silenzio intorno a noi Malandrini, sospirando e tenendo lo sguardo puntato a terra, ed è come se fossi rimasto intrappolato al centro di un gruppo di Dissennatori. Stanno risucchiando e polverizzando ogni mio pensiero felice. Deglutisco, scambiandomi uno sguardo allarmato con Moony. Il Quidditch è causa di seri problemi mentali. Perché nessuno parla? Forse avevano già stabilito cosa fare in caso di un’eventuale sconfitta. Suicidio di massa. Ma io sono solo il cronista, sono qui per caso. Non c’entro nulla, giusto? E poi non possono farlo davanti a tutti. A pensarci bene, non è possibile che abbiano già un piano: James non avrebbe mai preso in considerazione la sconfitta. Ma allora perché nessuno parla?
Lo chiedo a Remus, mimandolo col labiale, ma lui aggrotta le sopracciglia.
Lo ripeto, scandendolo meglio, ma lui continua a guardarmi confuso.
Sto per ripeterlo per la terza volta, impaziente, quando Mike mi precede.
- Remus, quello che Sirius vuole sapere è perché nessuno parla. E Sirius, nessuno parla per lo stesso motivo per cui nessuno parla ai funerali.
Vorrei far notare a Mike che ai funerali qualcuno parla in realtà, dato che non si celebrano certo da soli. Ma forse solo lui può parlare in questo momento, perché è come se fossimo ad un funerale e fosse Mike a celebrarlo, ed io non posso certo mettermi a parlare durante la celebrazione di un funerale. Rivolgo nuovamente lo sguardo a Remus, per chiedergli col labiale quanto pensa che duri solitamente il funerale di una partita di Quidditch, ma la voce di James attira la mia e la sua attenzione prima ancora che Remus possa aggrottare nuovamente le sopracciglia.
- So che questa potrebbe sembrare la fine del mondo.
Tutti i membri della squadra puntano gli occhi su James ed i loro sguardi sembrano chiedere perplessi ‘E Non lo è?’.
- Ma questa è, innanzitutto, la fine di Sam – conclude James, spostando lo sguardo sul suo cacciatore, tenutosi saggiamente a distanza dagli altri. Grazie al silenzio venutosi a creare dopo le parole di James, possiamo tutti sentire distintamente il fruscio dell’erba provocato dal piede di Sam nel fare un passo indietro.
- Sam, ti daremo cinque secondi di vantaggio, dopodiché inizieremo a correre, – riprende James in tono pratico, passandomi con devozione la sua scopa, per poi aggiungere velocemente. - Cinque secondi a partire da quando ho detto Sam.
Faccio appena in tempo a chiudere le mani sul manico della scopa di James, che lui è già scattato.
Sam sgrana gli occhi per poi iniziare a correre a sua volta, lasciando cadere la scopa alle sue spalle.
Per una frazione di secondo la squadra resta immobile, poi si getta all’inseguimento di Sam, su esempio del Capitano.
- Il Quidditch è causa di seri problemi mentali, - ribadisco, mentre Peter e Remus annuiscono lentamente, lo sguardo fisso sulla squadra di Grifondoro che corre attraverso il campo.
Anche i Serpeverde interrompono momentaneamente i loro festeggiamenti per osservare sconcertati lo strano spettacolo. Purtroppo lo sconcerto non basta a farli cadere dalla scopa.
 

*
 

È con un vago senso di colpa che mi getto insieme agli altri all’inseguimento di Sam, ma anche con una lieve – ok, spropositata - soddisfazione: una volta tanto la sfiga, e con sfiga intendo James e Alice, non si sta accanendo contro di me.
Non che sia tanto la sfiga ad accanirsi contro Sam ora, quanto piuttosto l’intera squadra di Quidditch di Grifondoro, capitanata da James Potter.
Il che, se mi consentite, è molto peggio.
 

*
 

Assumiti la responsabilità delle tue azioni.
È questo che mi direbbe mio padre.
Non lasciarti uccidere, direbbe invece mia madre.
Hai mangiato? Direbbe mia nonna.
Ma il mio istinto di sopravvivenza dice solo una cosa: continua a correre.
 

*
 

Non mi sento più patriottica come questa mattina, mentre mi allontano velocemente dallo stadio di Quidditch.
La partita è finita, lo capisco dal boato che è esploso poco fa, ma non ho idea di chi abbia vinto.
È vergognoso, me ne rendo conto e soprattutto se ne rendono conto le mie guance dipinte indegnamente di rosso e oro, ma quando scambi un ragazzo per un diario vivente ed inizi a raccontargli  tutto quello che ti passa per la testa, l’unica cosa a cui puoi pensare è come mettere più distanza possibile tra te e suddetto ragazzo.
Spero solo che non dica nulla a James.
Anche se James in realtà sa di avermi quasi baciata, così come sa che anche io lo so, quindi non c’è  poi molto che Lupin potrebbe dire che James non sappia già. A parte il fatto che un eventuale matrimonio tra di loro godrebbe della mia totale approvazione.
Merda.
 

*
 
 
Quando la porta degli spogliatoi si chiude con violenza alle mie spalle, io ho già estratto la bacchetta:
- Colloportus, – ansimo, mentre una luce azzurrina percorre per un istante la porta. Subito dopo la maniglia si abbassa di scatto, inutilmente. Appena in tempo. 
- Sam, esci immediatamente di lì.
Preferirei baciare la professoressa McGrannit, James.
- Dai, Sam! Fa’ come dice James. Vogliamo solo parlare.
Oh certo. E Severus Piton è un Malandrino.
- Sam, in qualità di tuo Capitano, ti ordino di aprire questa porta.
James mi pare relativamente calmo, considerando quello che ho appena fatto. Omicida certo, ma calmo.
Beh, anch’io sono relativamente calmo in realtà, considerando che sto per lasciare questo mondo. Per la balena, per di più.
 

*
 

Il Capitano sta fulminando il pel di carota con gli occhi, evidentemente convinto che una porta chiusa non sia un ostacolo sufficiente a bloccare la sua indignazione. Considerando che è James Potter e che un Serpeverde gli ha appena soffiato il boccino da sotto il naso, non è così inverosimile come potrebbe sembrare. L’idiota più idiota di tutta la storia dell’umanità continua a non dare segni di vita, rintanato nel suo nascondiglio. Ma prima o poi dovrà uscire, se non altro perché ho colto abbastanza distintamente le parole appicare e fuoco dalle labbra di James, che è già un individuo pericoloso in condizioni normali. E quando uscirà la pagherà. Perché sono cresciuta con tre fratelli più grandi e non ho certo bisogno di lui per tenere testa a Rosier. Non posso credere che ci abbia fatto perdere la partita per...
- Alex? – la voce di Anne, al mio fianco, mi distoglie dai miei pensieri.
- Sì?
- Hai notato che abbiamo perso, vero? – mi interroga, incrociando le braccia al petto e assottigliando gli occhi.
- Il boccino nella mano di Black, la faccia del Capitano, le imprecazioni amplificate di Sirius e le grida festose dei Serpeverde mi avevano fatto sospettare qualcosa, sì – rispondo sarcastica, inarcando un sopracciglio.
- E allora si può sapere cos’è quel sorriso? 
Sto per rispondere che nessuno qui sta sorridendo, dato che chiaramente non c’è nulla di cui essere felici in una situazione del genere, quando improvvisamente mi rendo conto che c’è effettivamente qualcosa di vagamente simile ad un sorriso sulle mie labbra. Spalanco gli occhi e lo faccio sparire praticamente nel medesimo istante, per poi spiegare ad Anne con tutta la razionalità possibile che:
- Era un sorriso isterico, la tensione e cose del genere. Stavo pensando al pel di carota, intendo a come lo pesterò non appena uscirà di lì, quindi vendetta sì, era un sorriso principalmente di vendetta. Non è come se stessi sorridendo perché sono contenta o cose del genere.
 

*
 

Alex non guarda me mentre parla, ma tiene gli occhi, spalancati, spaventati e lievemente folli, puntati sulla porta degli spogliatoi, rigirandosi freneticamente la mazza da battitrice tra le mani. Continuo ad ascoltarla farfugliare ancora per un po’, prima di decidere che questo è evidentemente il suo modo di affrontare la delusione per la sconfitta. È un po’ preoccupante, ma sempre meglio di quello di Daniel, che ha sfilato i guantoni da portiere a Mike e li sta usando per prendersi pigramente a schiaffi.
 

*
 

- Giusto per sapere, quale sarebbe il piano?
James distoglie finalmente lo sguardo dalla porta degli spogliatoi, guardandomi interrogativamente.
- Piano?
- Il piano, sì. Una volta che Sam sarà uscito da lì, cosa accadrà esattamente? 
 - Mi sembra scontato, Mike.  Deve morire.
- Dai, James, lo so che ci ha fatto perdere la partita e tutto, ma è pur sempre un essere umano.
- Ed in quanto tale mortale: ergo, per definizione, deve morire.
Faccio per ribattere, quando mi rendo conto che non ho veramente nulla da dire. Ha una sua inquietante logica.
- Ehy, Sam, che stai facendo?
C’è un lungo istante di silenzio, in cui noi ci fissiamo realizzando che la voce che ha appena parlato proviene dall’altra parte degli spogliatoi. L’altra parte, dotata di finestre.
E poi è di nuovo il caos.
 

*

 
Ora mi sento meglio.
- Per prima cosa, - inizio, facendo ruotare lo sguardo su tutta la squadra, disposta in silenzio attorno a me. – Non abbiamo perso: i Grifondoro non perdono. Vedetela come se avessimo semplicemente rimandato la vittoria. Seconda cosa: niente facce abbattute di fronte ai Serpeverde. Piuttosto, abbattete i Serpeverde. E per finire, Sam, - abbasso lo sguardo sul mio Cacciatore. – Resterai così per tutta la settimana, in modo da placare i tuoi sensi di colpa. Nonostante siano del tutto immotivati, dal momento che naturalmente nessuno ti ritiene responsabile di nulla.
Gli altri membri della squadra annuiscono convinti, rinfoderando le bacchette, mentre io mi rialzo dal torace di Sam.
Ammirando il suo capo lucido quanto la pluffa che ha lanciato a Rosier, mi sfugge un sospiro soddisfatto. Anche se sulla pluffa non c’era scritto ‘Non gioco per i Serpeverde’.
In fondo la cosa più importante non è né vincere né partecipare.
È essere una squadra.
E noi abbiamo fatto un ottimo lavoro di squadra atterrando Sam.
 

*
 

Non so cosa esattamente James abbia detto alla squadra, ma ora mi sembrano un po’ più rincuoratiBeh, a parte Sam.
- Andiamo a pranzo? Moony e Wormtail sono già là. Avrebbero voluto aspettarti anche loro, ma sai, lo stomaco di Pete non era dello stesso avviso - dico non appena James mi raggiunge, lievemente meno funereo di prima.
- Ok.
Lievemente, per l’appunto. Camminiamo per qualche minuto senza parlare, con solo i sospiri di James e le grida festose dei Serpeverde sempre più attutite dalla lontananza, mentre di nuovo sento il bisogno irrefrenabile di spezzare il silenzio.
- Lo stomaco di Pete ha sempre avuto un forte ascendente su di lui, lo sai.
- Lo so.
Ok, forse lo stomaco di Peter non è un argomento particolarmente stimolante, lo riconosco.
- Credi che ci sarà il budino al cioccolato, oggi?
Il budino al cioccolato non può fallire. A tutti piace il budino al cioccolato.
- Pad, credi davvero che in sei anni che condividiamo il dormitorio io non abbia notato l’enorme calendario appeso proprio sopra al tuo letto, in cui segni metodicamente quali dolci vengono serviti nei diversi giorni della settimana? – finalmente stacca lo sguardo da terra e lo punta su di me, inarcando un sopracciglio. - E credi che non sappia che lo hai imparato a memoria?
- Non è vero che l’ho...beh, non so tutti i dolci che vengono serviti oggi, per esempio. Solo quelli importanti.
- Tra cui il budino al cioccolato.
Naturalmente non posso ribattere a questo.
- Ok, mi hai scoperto. Ma sai, fissavi il suolo così ostinatamente che iniziavo a pensare di avere qualcosa di disgustoso sulla faccia.
- In realtà hai qualcosa di disgustoso sulla faccia, Pad.
Aggrotto le sopracciglia, portandomi una mano al viso. Ed in effetti c’è una strisciolina appiccicosa sulla mia guancia, a giudicare dal fatto che per poco la mia mano non ci resta incollata.
 - Sono stato colpito con una lattina, prima.
- Qualunque cosa contenesse, è blu.
- Perché nessuno mi ha informato che ho una guancia blu? Ma poi blu? Cosa diavolo bevono i Tassorosso?
Ho sempre saputo che quelli hanno qualcosa di strano. Sembrano tanto pacati, ma alla prima battutina sulla loro insignificanza ti prendono di mira con sostanze oscure contenute in durissime confezioni.
- Sei stato colpito con una lattina da un Tassorosso?
Una parte di me è imbarazzata e irritata e vorrebbe intimare a James di farsi gli affari suoi. Ma l’altra parte è soddisfatta di vedere il sorrisetto appena comparso sulle sue labbra. Quindi a Jamess basta che il suo migliore amico venga maltrattato dai Tassorosso per sollevarsi il morale, devo prenderne nota.
- Sono meno innocui di quanto possano sembrare.
- Solo tu puoi farti colpire da un Tassorosso, ne sei consapevole, sì?
La parte irritata si sta espandendo a vista d’occhio. Ma anche quella soddisfatta, perché ora James sorride apertamente.
- Allora, Potter? Com’è perdere?
Mentre mi giro trovandomi di fronte Piton che ci fissa beffardo, è rimasta solo una parte di me. Una parte molto sanguinaria.
 

*
 

Evidentemente Godric mi ha sorriso per troppi anni e ora ha deciso di lasciare che la sfiga abbia la sua rivalsa su di me tutta in un giorno, altrimenti non si spiega proprio perché ho appena sentito la voce dell’ultima persona che vorrei vedere in questo momento.
- Senz’altro tu sei più ferrato di me sull’argomento, Mocciosus – replico, stampandomi in faccia la mia miglior espressione derisoria.
- In effetti sono più ferrato di te su molte cose, Potter, – ribatte Piton, ignorando lo sbuffo sprezzante di Sirius. -  Ad esempio io sono in grado di preparare una perfetta Pozione Corroborante senza far esplodere il calderone e finire in Infermeria.
Va bene, Pozioni non è decisamente la materia nella quale brillo di più. Ma quello è successo al quarto anno e continuo a pensare che Pozioni Avanzate spieghi veramente in modo pessimo come preparare una Pozione. Come se fosse scontato che l’ordine degli ingredienti non può essere invertito, tsk.
- Vedi, Mocciosus, nella mia lista di priorità saper preparare una perfetta Pozione Corroborante viene dopo molte altre cose, come avere una vita sociale e farmi la doccia. Cosa che evidentemente non si può dire di te.
- Forse è il caso che ti preoccupi dell’igiene dei tuoi amici, prima che della mia, Potter, – ribatte velenoso Piton. - Non sono io quello che se ne va in giro con la faccia mezza blu.
Il mio sguardo si sposta automaticamente su Sirius. E anche se lasciare l’ultima parola a Piton in un botta e risposta è persino peggio che aver perso la partita, l’appariscente macchia blu che il mio migliore amico sfoggia effettivamente sulla guancia sinistra mi toglie ogni possibilità di replica. Dannazione a Sirius e alla sua propensione all’essere ridicolo.
 

*

 
Ho come l’impressione di essere appena stato sfottuto da Piton. Piton.
Quel Tassorosso è morto. Tutti i Tassorosso sono morti.
- Sarà il tuo occhio a diventare blu se non sparisci all’istante, Mocciosus – sibilo con il mio miglior tono omicida, portandomi una mano al viso nel tentativo di togliere la macchia una volta per tutte. E con il solo risultato di impiastricciarmi anche quella, rischiando tra l’altro di lasciarcela incollata. Maledizione, questo non mi aiuta ad essere minaccioso. Dopo aver constatato irritato che proprio non riesco a staccare l’indice e il medio, uniti tra loro da quella sostanza disgustosa, sollevo lo sguardo con uno sbuffo, solo per scoprire che Mocciosus è ancora qui e che James sta praticamente soffocando, nel tentativo di rispettare la regola secondo la quale un Malandrino non ride di un altro Malandrino di fronte ad un Serpeverde. 
- L’unico motivo per cui non ti ho già mollato un pugno è che ho paura di restare incollato alla tua faccia, – specifico, fulminando Piton con un’occhiataccia. – E quello sarebbe ancora più disgustoso di questa cosa.
In realtà non possiamo fare nulla a Piton perché significherebbe arrivare tardi a pranzo e per quanto il suo enorme naso mi stia letteralmente supplicando di essere colpito, non rinuncerò al budino per questo.
- Ecco, vattene, sono sicuro che un sacco di gente sta sentendo la tua mancanza! – gli grido dietro, giusto per cancellare la piega beffarda delle sue labbra. Non è ammissibile essere guardati in quel modo da Mocciosus, santo Godric.
Tergeo.
Per un attimo vengo accecato da una luce bianca, poi James mi ricompare davanti, con la bacchetta puntata sulla mia faccia. Dopo qualche secondo di riflessione, arrivo alla conclusione che, per quanto sia piacevole, non è un buon segno che James non stia facendo battutine sul fatto che non ho pensato di usare la bacchetta per pulirmi.
- Sono riuscito a non ridere mentre tu minacciavi qualcuno e perdevi contemporaneamente l’uso di una mano. Sono ufficialmente il miglior amico che si possa desiderare.
Ma il fatto che si stia auto-conferendo titoli inventati è un ottimo segno.
 

*

 
- Osa cheete che accaà aesso?
Frank alza lo sguardo su Peter, nella cui bocca si trova qualcosa come tutto il cibo del mondo. Non che questo sia anomalo, al tavolo in cui ci troviamo. E come ogni Grifondoro che si rispetti, Frank è abituato a decifrare frasi indicibilmente più lunghe e complesse di ‘Cosa credete che accadrà adesso?’.
- Intendi adesso che abbiamo perso la partita o adesso che è finito il pollo? – replica, dopo qualche secondo di riflessione.
- La prima – risponde Peter, prima di accigliarsi. - Ma è davvero finito il pollo? Non ce n’è nemmeno agli altri tavoli?
Il mio sguardo, come quello di Peter, corre per tutta la lunghezza del tavolo, ed in effetti tra i visi abbattuti dei miei compagni serpeggia anche una certa preoccupazione. Qualcuno lancia occhiate fugaci verso il tavolo più lontano dal nostro.
- Solo dai Serpeverde, – sospira Frank, prima di aggiungere indispettito.  - Evidentemente sono stati troppo impegnati a fissarci per toccare cibo.
È strano vedere Frank arrabbiato. Non pensi che l’ira sia contemplata nella gamma  di emozioni che può provare, almeno fino a quando ogni occupante del tavolo verde-argento non inizia a tenere ostinatamente gli occhi fissi su quello rosso-oro, con un ghigno compiaciuto in viso. Beh, se il pollo è davvero solo là, i Grifondoro non mangeranno più pollo per oggi. Gli scambi di cibo tra il nostro tavolo e quello dei Serpeverde sono difficili già in condizioni normali, e non solo perché sono i tavoli più distanti. Ma convincere un Grifondoro ad avvicinarsi a quel tavolo ora sarebbe come convincere James ad offrirsi volontario per un’interrogazione in Pozioni. James ha un problema con le pozioni. E le pozioni hanno un problema con lui. Apparentemente potrebbe sembrare che questo non sia un mio problema. Sbagliato: questo è il mio problema. Esattamente da quando, al secondo anno, Lumacorno si è reso conto che non era salutare per lui, per noi e più in generale per l’aula di Pozioni lasciare Sirius Black e James Potter seduti vicini con a disposizione diversi ingredienti potenzialmente esplosivi. Sono passati anni, ma la sento ancora nella testa: la sua voce, la mia condanna.
Lupin, sarebbe così gentile da fare cambio posto con Black?
Gentile? No, non gentile. Masochista.
- Tutto bene, Moony? Hai una faccia...
 - Sì, Pete, non preoccuparti.
- Se è per il pollo...
- Pollo! È esattamente quello che ci vuole per sollevarsi il morale. Dov’è?
Un silenzio teso cala subito dopo l’entrata in scena di James e Sirius. E nonostante senta un paio di occhi grigi piantati su di me, non sarò io a dire a Sirius Black che non c’è più pollo. Dopo qualche altro teso secondo, Peter prende coraggio e mette a parte i due ultimi arrivati della triste novità. Il sospiro funereo di James esprime a pieno quello che è stata questa giornata. E sì, per il bene della mia sanità mentale, sto ignorando volutamente il fatto che è ancora solo mezzogiorno.
 

*
 

Mi sento osservato.
E onestamente non vedo come potrebbe essere altrimenti, dal momento che sono tremendamente attraente. È una sensazione piacevole, in realtà, avere tutti gli occhi puntati su di me. Ma non in questo momento e soprattutto non quando ‘tutti gli occhi’ sono i viscidi, minuscoli e compiaciuti occhietti neri dei Serpeverde. E no, non mi interessa che non tutti i Serpeverde hanno gli occhi di Piton. Quello che mi interessa è che Piton la pianti di fissarmi, ora.
- James, - la voce e la mano di Remus mi costringono a rimanere seduto.
- Che c’è? – chiedo, fingendomi sorpreso. La mia voce, grazie alle mie notevoli doti recitative, suona spensierata e senza la minima traccia di istinti omicidi.
- Dove credi di andare?
- In bagno, forse? - replico, con un’astuta alzata di sopracciglio. Il sarcasmo è quello che ci vuole: nessuno sarebbe in grado di fare del sarcasmo mentre sogna di uccidere a mani nude quella viscida serpe.
James.
A quanto pare nemmeno io ne sono in grado. Ma davvero, Remus non dovrebbe fare del mio stesso nome un rimprovero.
- Oh, andiamo. Continua a guardarmi, – sbotto indignato,  lanciando a mia volta un’occhiataccia a Mocciosus.
- Il bagno ti guarda?
Ricambio lo sguardo perplesso di Peter, a lungo, ma proprio non mi viene in mente una risposta non offensiva nei suoi confronti, così incrocio le braccia al petto e ricomincio ad inveire mentalmente contro Piton, sbuffando. È colpa sua se è finito il pollo, tra l’altro. Se non ci avesse trattenuti, io e Sirius saremmo arrivati prima che...Sirius, ma certo. Mi volto di scatto verso il mio migliore amico, trovandolo insolitamente silenzioso e con lo sguardo fisso sul tavolo. So a cosa sta pensando e non può che essere giunto alla mia stessa conclusione: a Piton serve una lezionetutti i Serpeverde serve una lezione.  
- Stai pensando anche tu quello che sto pensando io? – ghigno soddisfatto nella sua direzione.
Sirius mi guarda sorpreso, per poi ricambiare il mio ghigno e chinarsi verso di me, con un sussurro cospiratorio.
- Che su quel panino sembra esserci scritto il mio nome?
Il mio ghigno svanisce lentamente, mentre guardo accigliato l’individuo di fronte a me.
- Quando è successo?
- Beh, stavo controllando che tutto il pollo fosse effettivamente finito, quando il mio sguardo è caduto su...
- No, intendo quando sono diventato tuo amico. Quando sono caduto così in basso, – lo interrompo. - Ma soprattutto, perché mai dovrei pensare che su un panino che si trova nel piatto di Frank sembra esserci scritto Sirius?
Il ghigno sul viso di Sirius si allarga, il che è assurdo, perché gli sta quasi per uscire dalla faccia.
- Perché Frank non sta guardando il piatto ora.
 

*
 

- Comunque, Prongs, – riprendo dopo aver ingoiato l’ultimo boccone di quello che una volta fu il panino di Frank. Delizioso. - So cosa volevi che io stessi pensando, quando anche tu lo stavi pensando, mentre io non lo stavo affatto pensando. Ma mi stupirei se tu, ora che anch’io lo sto pensando, non lo stessi più pensando.
Per un istante tutti mi guardano accigliati, tentando di decifrare la mia frase. Peter sussurra qualcosa nell’orecchio di Remus, guardandomi con gli occhi sgranati. Poi James ghigna.
- Cos’hai in mente?
- Noi. Loro. E miriadi di Caccabombe.
 

*

 
Caccabomba non dovrebbe essere una parola con cui un Prefetto ha particolare familiarità. In realtà sono profondamente convinto che nessuno dovrebbe avere familiarità con un termine che è formato dalle parole cacca e bomba. Eppure  temo che Caccabomba sia una delle parole che ho sentito più spesso nella mia vita. Come se i miei amici passassero le giornate a ripetermi nell’orecchio Caccabomba.  C’è qualcosa di tremendamente sbagliato in questo, così come c’è qualcosa di terrorizzante nello sguardo complice che si stanno scambiando James e Sirius, ghignando allo stesso identico modo. Penny mi sta gridando ‘Opponiti!’, ma una parte del mio cervello, al sicuro dalla vocetta acuta della mia spilla, mi suggerisce che le Caccabombe sono il male minore, considerando che i Serpeverde hanno vinto la partita. Evidentemente quella parte del mio cervello è la stessa che controlla la bocca, perché dopo qualche secondo di conflitto interiore mi sento sussurrare:
- Sarebbe una buona idea, se solo non l’avesse avuta Sirius.
- Io davvero non capisco perché avete tutti questa mancanza di fiducia nelle mie idee, – sbuffa Sirius, corrucciandosi.
- Forse può c’entrare qualcosa il fatto che solitamente le tue idee si concludono con esplosioni, grida e sfiorate espulsioni - replico, inarcando un sopracciglio.
- E punizioni e punti persi, - prosegue Peter.
- Senza contare la permanenza in Infermeria più o meno lunga che ne segue.
- Per non parlare del...
- Appunto, non parliamone, – conclude seccato Sirius, scoccandoci un’occhiataccia. – Davvero, non capisco quale sia il vostro problema. Cosa c’è che non va nelle Caccabombe?
- Non saprei, non è un po’ troppo poco? - inizia James pensoso, grattandosi il mento.  - Potremmo fare di peggio, beh, abbiamo fatto di peggio.
- No, – intervengo prontamente, agitato. - Caccabombe. Caccabombe è perfetto. Noi amiamo le Caccabombe. Non c’è nulla di meglio delle Caccabombe. Meravigliose, adorate Caccabombe. È deciso, allora, sì? Caccabombe.
Il ragazzino del terzo anno che è seduto al mio fianco si volta sconcertato verso di me. Mi rendo conto che sentire un Prefetto esaltare le qualità delle Caccabombe non è esattamente quel che si dice la norma, ma a volte un Prefetto deve scendere a compromessi. A volte un Prefetto deve bombardare di Caccabombe la Sala Comune di un’altra Casa, perché a volte un Prefetto ha degli amici per i quali le Caccabombe sono il male minore.
 


**********
 


Lo scorso anno Remus ha passato mesi in Biblioteca per trovare il modo di far comparire le parole d’ordine delle varie Case sulla Mappa, ma non è riuscito a scoprire come farle aggiornare automaticamente. L’unica cosa che ha trovato è stato un complicatissimo incantesimo da applicare vicino all’entrata di ogni Casa, che faceva comparire sulla Mappa l’ultima parola pronunciata in quel luogo. Ora, c’è da dire che inizialmente abbiamo pensato fosse una buona idea, tolto il fatto che Sirius è stato insopportabile per giorni e giorni, con quel suo sorrisetto compiaciuto e l’aria da ‘mi darei il cinque da solo per quanto sono bravo’, quando sono sicuro che la sua è stata solo fortuna, perché, davvero, quell’incantesimo è impossibile da recitare correttamente. Se così non fosse, ci sarei riuscito io, non lui. Comunque sia, inizialmente pensavamo di aver risolto il problema e la Mappa ci ha effettivamente fornito qualche parola d’ordine esatta, ma non avevamo calcolato che gli studenti non smettono sempre di parlare dei fattacci loro subito dopo aver pronunciato la parola d’ordine, e questo è il motivo per cui per un giorno intero la parola d’ordine dei Serpeverde è stata, secondo la Mappa, ‘Merda’. Cosa del tutto appropriata, a mio parere. Fatto sta che ora, se vogliamo scoprire la parola d’ordine di un’altra Casa, dobbiamo ricorrere ai vecchi metodi: appostamento vicino all’entrata, mantello dell’invisibilità e tanta, tanta pazienza.
- Mi sono rotto bolidi, pluffe e boccini di stare qua, Prongs.
A Sirius non sono mai piaciuti i vecchi metodi. 
Anche se in questo caso non posso dargli torto: è da quasi venti minuti che io e lui siamo appostati di fianco all’entrata della Sala Comune dei Serpeverde, che è, ci terrei a sottolinearlo,  una straordinaria dimostrazione di fantasia: un muro. Ci credo che i Serpeverde hanno sempre quella faccia, come se avessero appena ingoiato un Doxie vivo.
- Li detesto, – sibila Sirius, incrociando le braccia al petto con un po’ troppa forza. - Dovrebbe essergli impedito di strisciare liberamente per la scuola tanto a lungo.
Per tutta risposta, mi limito a sistemare meglio il mantello su di noi, in modo da non far più sbucare nessuna parte del corpo. Più per noia che altro, dato che qui non c’è comunque nessuno che potrebbe vederla: a quanto pare i Serpeverde oggi hanno deciso di non fare ritorno al loro covo. Comprensibile, visto quanto è accogliente. Probabilmente appostarsi in ogni angolo del castello in attesa di incontrare qualche Grifondoro a cui mostrare il loro ghigno gongolante è un’idea più allettante per loro.
- Ragazzi, ancora nulla? – la voce attutita di Remus si fa largo nei sotterranei silenziosi, mentre Sirius estrae con uno scatto lo specchietto dalla tasca del mantello. Ho lasciato il mio a Remus e Peter in modo da poter rimanere in contatto con loro durante le rispettive missioni.
- Beh, forse dovremmo prenderlo come un segno, - inizia Remus, incerto, in risposta al ringhio di Sirius che, con un po’ di immaginazione, avrebbe potuto assomigliare ad un ‘no’. - Insomma, se non riusciamo a scoprire la parola d’ordine, magari è il caso di lasciar perdere.
- Bel tentativo, Moony, – ghigno, sporgendomi verso lo specchietto ed entrando nella sua visuale. - Piuttosto, voi avete preso tutto?
Alza gli occhi al cielo. – Sì, siamo tornati ora in Sala Comune. Ci abbiamo messo più del previsto perché Pete si è confuso e ha preso il mio tema di Pozioni invece della Mappa, così non sapevamo quando uscire dalla Strega Orba senza essere visti.
Remus e Peter sono andati ad Hogsmeade di nascosto a fare scorta di Caccabombe. Inutile dire che sia io che Sirius avremmo decisamente preferito un compito del genere, piuttosto che starcene qui immobili e in silenzio, ma Remus ha insistito che ci avrebbe fatto bene. Ora, non so con chi abbia vissuto lui negli ultimi sei anni, ma non vedo come possa pensare che stare sotto un mantello dell’invisibilità insieme ad un Sirius profondamente annoiato possa fare bene ad un qualsiasi essere umano. Oltre al fatto che non fa che alzarsi e sedersi di continuo, ed io devo imitarlo per non rimanere senza copertura, ogni tanto si volta verso di me e mi guarda come se volesse prendermi a pugni. E davvero non vedo come potrebbe essere colpa mia il fatto che nessun Serpeverde si sia ancora fatto vivo. Se non conoscessi Sirius, glielo farei notare. Certo, se non lo conoscessi, probabilmente non sarei nemmeno nascosto insieme a lui sotto un mantello dell’invisibilità e non avrei bisogno di fargli notare nulla. Ma è probabile che mi starebbe comunque fulminando con gli occhi.
- Fate qualcosa, – sbotta improvvisamente Sirius, con uno strano tono d’urgenza, mentre si avvicina lo specchietto al viso. – Tu e Peter, fate qualcosa. Fate venire un Serpeverde.
L’espressione di Remus si corruccia.
 - E come, Sirius? Chiedendogli se può gentilmente tornare nella sua Sala Comune, così i miei amici che sono lì appostati sentiranno finalmente la parola d’ordine e potranno andarsene?
-Sì, sì, fallo, – risponde Sirius, supplicante. - Così verrà a smascherarci e noi saremo costretti a fargli qualche incantesimo di memoria per non finire in punizione, oppure non ci riusciremo e finiremo in punizione per il resto dei nostri giorni, ma almeno faremo qualcosa.
Padfoot, amico, calmati, – cerco di placarlo, mettendogli le mani sulle spalle e scuotendolo leggermente. – Finire in punizione per il resto dei nostri giorni non è contemplato, mi dispiace.
- James, amico, – replica lui, mettendomi a sua volta le mani sulle spalle e scuotendomi tanto forte da farmi scivolare gli occhiali sul naso. – Cambierò il colore dei tuoi capelli solo per fare qualcosa, se resteremo soli in questo sotterraneo ancora a lungo.
Per un breve e spiacevole istante alla faccia di Sirius si sovrappone l’immagine di me stesso con i capelli viola, e l’attimo dopo mi sono impossessato dello specchietto:
- Moony, dovete fare qualcosa.
- James.
- Devi solo puntare la bacchetta su un Serpeverde a caso e recitare Imperius – lo interrompe Sirius, con tono da invasato.
- Ma certo, una Maledizione Senza Perdono, perché non ci ho pensato io? Anzi, perché non lasciar perdere la parola d’ordine ed usare direttamente un Bombarda sul muro, allora? – sbuffa Remus sarcastico. Sirius assume un’espressione concentrata e prima che possa aprire bocca, decido di salvare la situazione.
- Moony, ascolta: Peter andrà a sbattere contro un Serpeverde, rovesciandogli addosso, che so, del succo di zucca. A quel punto al Serpeverde non resterà che scendere a cambiarsi.
Sorrido compiaciuto, in attesa di complimenti per il mio brillante piano.
- Se Peter andasse a sbattere contro un Serpeverde, – inizia Remus, e non posso fare a meno di constatare come questo non si direbbe esattamente l’inizio di un complimento. – Quello che tale Serpeverde farebbe, sarebbe qualcosa di fisicamente spiacevole a Peter. Senza contare che si pulirebbe la divisa con la bacchetta, dal succo e dal sangue.
Remus ha decisamente avuto delle brutte esperienze con i Serpeverde: non sono così sanguinari. Beh, non quando sono appesi a testa in giù, comunque.
- Sarà un Serpeverde del primo anno, – specifico con tono di ovvietà. - Non farà nulla di spiacevole a Peter, a parte piangergli addosso o qualcosa del genere, e non conoscerà nessun incantesimo per pulirsi. Sono così tonti.
- Non manderò un Serpeverde di undici anni in un sotterraneo isolato dove c’è Sirius in preda ad un attacco di noia – replica Remus, testardo.
- Ma ci sono anch’io.
- L’essere momentaneamente più affidabile di Sirius non cambia che la tua affidabilità sia comunque pari a quella di un cucciolo di armadillo ubriaco.
Dopodiché la faccia di Remus svanisce dallo specchietto e il sotterraneo ripiomba nel silenzio.
- Sirius, – sussurro dopo qualche secondo. – Tu sai cos’è un armadillo?
- Qualcosa che Remus ritiene più affidabile di noi, evidentemente.
Di te, vorrei specificare. A quanto pare io sono affidabile almeno quanto questo armadillo, ma non sono sicuro che sia qualcosa di cui vantarsi.
- Moriremo qui – sospira Sirius, lasciandosi scivolare contro il muro e rimanendo per terra, le gambe in bella vista. Ma tanto nessuno le vedrà perché di qui non passerà nessuno, mai, a parte quel Serpeverde che ha appena svoltato l’angolo, proprio là, in fondo al corridoio.
- Sirius, alzati, – sibilo tirandolo per un braccio e cercando contemporaneamente di coprirlo con il mantello, mentre il Serpeverde si fa sempre più vicino. Finalmente anche Sirius sente i suoi passi e scatta in piedi, appiattendosi contro il muro.
Non sono mai stato così felice di vedere un Serpeverde in tutta la mia vita.
Non che io sia mai stato felice di vedere un Serpeverde, in effetti.
Non appena è abbastanza vicino, riconosco gli occhi sporgenti per i quali è conosciuto da mezza scuola come Faccia da Pesce. Sono abbastanza sicuro che frequenti il quinto anno e sono anche abbastanza sicuro che Sirius non sia stato il primo a usare quel soprannome.   
- Ambitio, - pronuncia rivolto al muro, fermandosi a pochi passi da noi. Trattengo uno sbuffo per l’originalità della parola d’ordine, mentre un tratto di muro a pochi centimetri da me svanisce, rivelando l’entrata della Sala Comune. Il Serpeverde fa per entrare, quando un sussurro spettrale lo induce ad arrestarsi, guardandosi stranito intorno per qualche secondo.
Vorrei dire a Sirius che è un idiota e che ci farà scoprire, ma l’espressione inquieta del Serpeverde è talmente comica che tutto quello che mi esce dalla bocca, non appena siamo rimasti soli, è un esaltato:
- Di’ a Moony che non è ancora passato nessuno e che ci vorrà più del previsto. Dobbiamo farlo di nuovo.
Moony ti sta sentendo, - La voce irritata di Remus arriva dallo specchietto che Sirius stringe tra le mani. – Ed ora tornate subito qui o mi metterò a gridare così forte che vi sentiranno in tutti i sotterranei.
Per un attimo rifletto se valga la pena farsi beccare dai Serpeverde pur di avere la consapevolezza che, sette piani più in su, Remus sta gridando a pieni polmoni ad uno specchietto di fronte a tutti i Grifondoro che sono nella Sala Comune.
- Ok, Moony, arriviamo.
 

 

 

 


**********
 


È stato difficile raggiungere i sotterranei restando tutti e quattro nascosti sotto il mantello di James: schivare gli altri studenti, non farsi separare dalle scale che si muovono sempre nel momento meno opportuno, cercare di tenere tutti lo stesso ritmo, quando l’unico ritmo che stiamo cercando di seguire è in realtà quello di James, che è così eccitato all’idea di arrecare danni ai Serpeverde che sta quasi correndo. Forse è per il modo in cui Sirius ha indurito la mascella l’ultima volta che siamo quasi ruzzolati a terra, ma ho come l’impressione che, se non fossimo così impegnati a distrarre James dalla partita, lo avremmo già legato e abbandonato da qualche parte. C’è anche da dire che avremmo potuto infilarci sotto il mantello dopo aver raggiunto almeno il piano terra, in fondo il coprifuoco scatterà tra quasi un’ora e non comprendo la necessità di farci tutti e sette i piani in questo modo. Purtroppo alcune persone hanno un’idea bizzarra del divertimento e non distinguono ciò che è spassoso da ciò che è invece faticoso e snervante. Credo proprio che James abbia capito che ora come ora potrebbe chiederci di fare qualunque cosa e lo accontenteremmo. In realtà è la stessa sensazione che avverto io nei giorni prima della luna piena, quando i miei amici sono i soliti idioti, ma c’è qualcosa di diverso nel modo in cui mi guardano ed ho in qualche modo la certezza che farebbero qualunque cosa io gli chiedessi, dal passare il pomeriggio in Biblioteca allo scassinare la Gringott. Anche se scassinare la Gringott è probabilmente una di quelle cose che i miei amici farebbero in qualunque momento senza farsi pregare. Solo che quando James, Sirius e Peter sono disposti a fare tutto quello che propongo io, guarda caso, non finiamo mai appiccicati sotto un mantello con un sacco pieno di Caccabombe tra le braccia e a forte rischio di espulsione. Beh, non più del solito, almeno: un Malandrino è a rischio di espulsione per definizione.
 Comunque sia, il punto è che James si sta approfittando spudoratamente della nostra volontà di risollevargli il morale, noi lo sappiamo, lui sa che noi sappiamo, ma finiremo comunque a dare l’assalto alla Sala Comune dei Serpeverde, perché a volte per essere un buon amico devi semplicemente essere bravo a lanciare bombe fatte di cacca.
 

*
 

Ambitio, – sibilo, fermandomi di scatto di fronte al tratto di muro che, per quel che mi ricordo, ci darà l’accesso alla Sala Comune dei Serpeverde . Nello stesso momento in cui i miei dubbi vengono sciolti e la parete scorre di lato, Sirius, Peter e qualcosa di tremendamente simile al sacco di Caccabombe che Remus tiene tra le braccia mi sbattono contro piuttosto violentemente ed io riesco solo a pensare che questa è la fine. Chiudo gli occhi ed immagino il boato infernale che sentiranno i Serpeverde dall’interno della Sala, prima di affacciarsi e trovare un maleodorante mare marrone ed i nostri quattro cadaveri ricoperti poeticamente dal mantello, per quanto possa essere poetico essere seppelliti nella merda. Poi Sirius mi dà un pugno sul fianco, io apro gli occhi ed in effetti il sacco non è esploso. Bene, questo è un ottimo segno. Essere vivi e non ricoperti di merda, intendo.
Lancio un’occhiataccia a Sirius, che mi ha quasi spezzato una costola semplicemente per chiamarmi, poi scivoliamo all’interno della Sala, proprio prima che il muro si richiuda, guardandoci eccitati intorno. Beh, io eccitato almeno. Peter mi sembra un po’ inquieto, Remus sta di nuovo discutendo mentalmente con la sua spilla da Prefetto – non credo sappia quanto sia evidente il modo in cui inizia a fissarla e a stringere le labbra ogni volta che infrangiamo le regole– e Sirius scruta corrucciato l’enorme vetrata che sovrasta la Sala e che dà proprio sul Lago Nero. Detesta scendere qua sotto, ripete sempre che quando il vetro si deciderà a cedere al peso dell’acqua ed i Serpeverde moriranno affogati, non vuole essere presente. Devo ammettere che nemmeno io sarei così tranquillo a dormire qui, nonostante i numerosi incantesimi che sicuramente scongiurano un’eventuale inondazione dei sotterranei.
Diversi Serpeverde sono sparsi per la Sala Comune, intenti a confabulare divisi a gruppetti. Inutile specificare che quelli dei primi anni sono confinati ai lati della stanza, sulle poltroncine più lontane dal fuoco. In questo non sono diversi da noi Grifondoro, ma nella nostra Sala nessuno rischia sul serio l’assideramento: si congela qui. Se non fosse che i pressi del camino sono troppo affollati e che non so quanto il mantello possa non essere infiammabile, mi sarei già piazzato lì di fronte.
Ma non sarà certo il gelo a fermare i Malandrini: c’è una missione da portare a termine.
Non appena ci siamo allontanati di qualche passo dall’entrata della Sala, fermandoci di fianco ad una poltroncina verdastra isolata da tutte le altre, mi volto verso gli altri, trionfante.
-Questo, - inizio, sforzandomi di parlare a bassa voce -  È un momento memorabile nella storia dei Malandrini: siamo nella tana del nemico. Ogni cosa deve filare liscia: ricordate tutti il piano?
Non è che i miei amici non mi stiano prestando attenzione: Sirius ha smesso di immaginare la morte di tutti noi per annegamento, Peter non si sta più guardando attorno come se un drago stesse per spuntare fuori dalla poltroncina più vicina e Remus non fissa la sua spilla da Prefetto da diversi secondi. Hanno persino piantato i loro begli occhietti nei miei, ma continuano a non aprire bocca. E non riesco proprio a decifrare le loro espressioni.
Le mie sopracciglia hanno ormai raggiunto un livello di inarcatura sorprendente, quando Sirius si decide a spezzare il silenzio.
- Non so come dirtelo, Jamie, ma noi non abbiamo un piano.
Le mie sopracciglia precipitano immediatamente dalla notevole altezza raggiunta.
- Come sarebbe a dire che non abbiamo un piano?
- Beh, no, – replica Sirius con un’alzata di spalle. - Il piano era riuscire ad introdurci nella Sala dei Serpeverde, ma non abbiamo pensato a cosa fare esattamente dopo esserci riusciti. 
Questo ha senso. Questo spiega perché non ricordavo il piano. Ma questo è anche un errore da dilettanti e non è accettabile.
- Passiamo al piano B allora – stabilisco risoluto.
Sirius assume immediatamente la sua espressione da ‘Non posso credere a quanto tu sia idiota’, che è in realtà più un’espressione da ‘Storco le labbra e sgrano gli occhi in modo ridicolo quando sono esasperato’, ed in effetti potrei aver pronunciato l’ultima frase solo per far assumere a Sirius quell’espressione. La maggior parte delle parole che escono dalle mie labbra, in realtà, sono finalizzate a far assumere espressioni e coloriti incredibilmente comici al mio migliore amico. Le mie frasi hanno un effetto più sconvolgente su Remus, a dire il vero, ma lui ha quella noiosissima dote chiamata autocontrollo che impedisce alla sua faccia di contorcersi in modi divertenti: la sua anima si attorciglia e si dimena, ma la sua espressione resta impassibile.
- Se non abbiamo un piano A, – sibila Sirius, ancora ignaro di quanto possa essere divertente il suo viso in momenti come questo. - Come possiamo avere un piano B?
-Tutti hanno  un piano B, Padfoot, – replico fermo. - E noi siamo i Malandrini, come potremmo noi non averne uno?
- Se tu conoscessi l’alfabeto, James, sapresti che la B viene dopo la A, - La mano destra di Sirius scatta fulminea verso la sua fronte per scansare con un gesto un po’ troppo violento una ciocca di capelli. - E non avendo noi un piano A, non possiamo avere nemmeno un piano...
- Ho un piano, – sussurra Remus all’improvviso, con tono vagamente colpevole.
- B. Grazie, Moony. Tempismo perfetto.
 

*

 
- Come stabilito, useremo le Caccabombe, perché non le ho trascinate fin qua per hobby, e, a proposito, grazie dell’aiuto, - puntualizzo lievemente seccato, lasciando il sacco che atterra pesantemente con un tonfo, giusto per far notare ai miei premurosi amici quanto pesi, indipendentemente dalle dimensioni: l’incantesimo rimpicciolente non ha certo effetto anche sul peso. Non so James e Peter, ma l’azione ottiene l’effetto sperato almeno su Sirius: a giudicare dalla sua imprecazione soffocata, pare che si sia reso effettivamente conto di quanto pesi. Negherò qualunque premeditazione, ma devo ammettere che il fatto che il piede destro di Sirius si trovasse proprio sulla traiettoria del sacco mi provoca un certo appagamento. 
- D’accordo, Sirius piantala, non può averti fatto così male. No, non può. Sta zitto, – Sospiro, lanciando un’ultima, fugace occhiata a Penny. Perdonami, se puoi. – Ora, quello che dobbiamo fare è disilludere le Caccabombe e farle levitare per la Sala. Nessuno si accorgerà di nulla, fino a quando non le lasceremo cadere. Con l’esplosione e tutto, l’incantesimo di disillusione si dovrebbe sciogliere, così ci saranno macchie sui vestiti, pozze scure e cose del genere, come piace a voi.
La vocina acuta che continua a ripetere ‘Prefetto. Dovresti essere un Prefetto’ si attutisce appena di fronte ai sorrisi entusiasti dei miei amici.
- Pad, mi aiuterai a disilluderle, Prongs, le farai levitare sul soffitto, – Mi soffermo qualche secondo in più sul viso di James, per assicurarmi che abbia ben chiara in mente la differenza tra ‘soffitto’ e ‘mutande dei Serpeverde’. – Wormtail, terrai il mantello.   
Mentre mi inginocchio accanto al sacco, bacchetta alla mano, non posso fare a meno di notare, con un pizzico di soddisfazione, come i miei amici siano docili e pronti ad eseguire gli ordini. Peccato che siano così ben disposti solo quando si tratta di dare l’assalto alla Sala Comune di un’altra Casa.
 

*
 
- Ragazzi, mi fanno male le braccia.
- Resisti ancora un po’, Pete, manca poco.
 
*
- Ragazzi, mi fanno davvero male le braccia.
- Un attimo solo, Pete, ci siamo quasi.
 
*
 
- Ragazzi, si stanno per spezzare, lo sento.
- Senti, Pete, se riesci a fare la verticale, puoi tenere il mantello con le gambe.
 
*
 
- Ragazzi.
- Le tue braccia, sì, ok, lo sappiamo.
- Ora non fare lo scorbutico: gli hai parlato tu della verticale.
Chiaramente non era un suggerimento da prendere alla lettera.
- Mi dispiace per il tuo occhio, Sirius, non l’ho fatto apposta. Ma penso abbia smesso di gonfiarsi, davvero.
 
*
 
-Ragazzi, io lo lascio.
- Ne manca solo una, aspetta.
- Veramente sono due, Pad. Faresti meglio a far controllare quell’occhio a Madama Chips.

*
 

- Ci siamo, – sospiro soddisfatto, mentre James fa levitare l’ultima Caccabomba perfettamente disillusa. È stato più difficile del previsto, con Peter che ci è caduto addosso, la punta della sua scarpa nell’occhio di Sirius, la mia faccia così pericolosamente vicina ad una Caccabomba e James finito quasi completamente fuori dal mantello. In realtà è un miracolo che non ci abbiano visti né sentiti.
- Non ancora, – James ha uno sguardo stranamente concentrato, comprensibile dal momento che sta tenendo sospeso per la Sala un numero ragguardevole di Caccabombe, ma i suoi occhi sostano con troppa regolarità sull’entrata, come se aspettasse qualcuno.
- Sta per scattare il coprifuoco, – tento, non particolarmente convinto.
- Siamo nella Sala Comune di un’altra Casa, pronti a bombardarla di Caccabombe, e tu ti preoccupi del coprifuoco?
Sirius non ha tutti i torti, ma Sirius ha anche un aspetto estremamente simile ad un panda con quell’occhio nero e non intendo dare peso al sarcasmo di un panda. 
- Cosa dobbiamo aspettare, James?
- Mocciosus, naturalmente.
Naturalmente: non sia mai che Severus Piton venga lasciato in pace per più di ventiquattro ore.
- D’accordo, - sospiro sfinito. – Sarà ancora a cena, ma, come dicevo prima, il coprifuoco sta per scattare. Arriverà a momenti.   
- Esattamente, – annuisce James allegro. - E poi non è come se avesse amici con cui intrattenersi, no?
- O posti in cui andare, cose da fare, – gli dà subito manforte Sirius. – Una vita da vivere.
Sarà una lunga attesa.
 

*
 

Mi chiedo cosa diavolo stia combinando Piton.
Perché ci mette così tanto?
Non è mica facile tenere in equilibrio tutte queste Caccabombe, santo Godric.
Probabilmente è la sua viscida natura a spingerlo a camminare il più lentamente possibile. Immagino che quando c’è qualcosa che un Serpeverde può fare per infastidire un Grifondoro, anche senza esserne direttamente consapevole, avverta a pelle il bisogno di farla. E Mocciosus sta avvertendo il bisogno di muovere le gambe a rallentatore verso i sotterranei. Probabilmente questo sesto senso innato che i Serpeverde si tramandano da generazioni lo spingerà anche a fermarsi in bagno prima di scendere. L’odio per i Grifondoro controlla la sua vescica. 
Ma in questo glorioso momento, mentre un numero imprecisato di Caccabombe aleggiano sulle teste degli ignari Serpeverde come tante piccole e puzzolenti spade di Damocle, nulla potrebbe rovinare il mio umore. A parte il pensiero che Regulus Black ha preso il Boccino prima di me. Quanto vorrei semplicemente smettere di respirare e accasciarmi qui, tra le braccia dei miei Malandrini. La bacchetta mi scivolerebbe dalle mani e le Caccabombe precipiterebbero sui Serpeverde, e solo allora i miei amici saprebbero della mia morte. Ehy, ma quella che ha appena fatto capolino dall’entrata non è l’appendice nasale di Mocciosus? O è la sua o un elefante sta per fare il suo ingresso nella Sala Comune. Ed ecco anche il resto del corpo. Certo che dev’essere difficile per lui reggere il peso di quel naso: forse è per quello che se ne va sempre in giro tutto ingobbito.   
- Ci siamo, – sussurro eccitato agli altri. - Il bottone è entrato nell’asola.
Mentre Piton si dirige verso un gruppetto di ragazzi quasi tutti dell’ultimo anno, di cui riconosco solo Avery e Mulciber, mi giro verso i miei amici, per vedere se hanno seguito il mio sguardo. Evidentemente no.
- Che bottone? –Sirius aggrotta le sopracciglia, prima di scoprire, con una smorfia di dolore, che il suo occhio contuso non apprezza.
- Cos’è un’asola? – domanda invece Peter.
Remus resta in silenzio ed io lo apprezzo infinitamente per questo.
- Voglio dire, - sospiro, appellandomi ad una pazienza che non ho. - Che la Pluffa è entrata nell’anello.
- La tensione gli ha dato alla testa – sospira Sirius, scuotendo la testa.
La serpe è entrata nella tana! 
Negli occhi di Remus passa un lampo di comprensione e pare sul punto di dire qualcosa, ma Sirius lo precede, fissando qualcosa oltre le mie spalle:
- James, piantala di blaterare: Mocciosus è lì, possiamo iniziare.
Lo so che è lì, – soffio indispettito. – È quello che sto cercando di dirvi da...
- Shhh! Quel ragazzino sta guardando proprio qua!
Cercando di ignorare il fatto che sono appena stato azzittito da Peter, seguo il suo sguardo ed in effetti a qualche metro da noi c’è un ragazzino del primo anno che pare proprio fissarci. Beh, non può fissarci, siamo invisibili e siamo anche dietro ad una poltrona, per lo più. Ma o sta avendo un’esperienza mistica ed il suo sguardo si è semplicemente fermato su un punto a caso o ci ha sentiti.
- Si starà chiedendo perché la poltroncina parla, – mormora Remus, appena percettibile. - Ma soprattutto si starà chiedendo cosa diavolo blatera.
Eccolo che si avvicina: perché quelli del primo anno devono essere così curiosi?
Vive in un castello dove le scale si spostano, le stanze scompaiono, i quadri sono vivi e non può ignorare una poltrona parlante?
- Confondiamolo – stabilisce Sirius, estraendo la bacchetta e puntandola sul ragazzino. Non fa in tempo a pronunciare l’incantesimo che Remus gliel’ha già abbassata con un gesto secco.
- Non ti permetterò di fare un incantesimo ad uno del primo, sono un Prefetto.
- Ed è sempre in veste di Prefetto che mi permetterai di seppellire un’intera Casa nelle Caccabombe, dico bene?
 

*
 

Sto fulminando Sirius con lo sguardo, quando improvvisamente il ragazzino ferma la sua venuta verso di noi e barcolla, guardandosi attorno spaesato. Per un attimo resto a guardarlo senza capire, poi mi volto di scatto verso James, che ostenta un’espressione indiscutibilmente soddisfatta.
- James! – sibilo accusatorio, anche se una parte di me si chiede come diavolo sia riuscito a confonderlo continuando a tenere sospese le Caccabombe.
- Non farla tanto lunga, Moony. Avrà semplicemente una faccia ebete per un po’, non si noterà nemmeno la differenza, – si giustifica James con un’alzata di spalle. - Perché ora mi guardi così? Non è colpa mia se tutti quelli del primo anno non fanno che girovagare per Hogwarts con l’aria sperduta e gli occhi sgranati. Ma seriamente, l’hanno ricevuta la lettera? Sanno dove sono, perché sono qui? Perché sono venuti al mondo? Sanno qualcosa?
- Sagge parole, – concorda Sirius, con un tono un po’ troppo convinto per essere sincero. - Appena lievemente ridicole se dette da chi dimentica anche il proprio nome di fronte alla vetrina di Accessori per il Quidditch, certo.
Eccoli che ricominciano.
- Padfoot, ti spiacerebbe ricordarmi qual è stata l’ultima volta in cui hai aperto bocca senza insinuare qualcosa di perfido sui tuoi amici? – replica immediatamente James, inarcando le sopracciglia. -Perdonami, ma mi sfugge. Dev’essere successo un sacco di tempo fa.
-Ragazzi,– mi intrometto, anticipando l’indignata risposta di Sirius. - Non è il momento. Siamo circondati da Serpeverde, per Godric! 
Nessuno dice una parola, ma posso quasi sentire il bisogno impellente di Sirius di riprendermi. E non è perché si sta mordendo il labbro inferiore come se fosse un chewingum, sono più i suoi occhi puntati su di me con urgenza patologica. 
- Avanti, dillo, – sospiro arrendevole.  
- Invocare Godric mentre siamo circondati da Serpeverde, - prorompe allegramente. - Bella mossa, Moony.
Sirius pare molto soddisfatto di aver avuto l’ultima parola ed è sempre meglio avere a che fare con un Sirius soddisfatto quando si deve essere silenziosi, quindi mi trattengo dal fargli notare che io, a differenza di tutte le altre persone nascoste sotto questo mantello, so regolare il tono della voce.  
E so anche scegliere a quali pensieri dare voce e a quali no. L’ultimo ovviamente non uscirà mai dalle mie labbra: non voglio passare l’eternità sotto un mantello dell’invisibilità a  battibeccare con i miei amici.
 

*

 
- Bene, - dico non appena cala il silenzio. - È il momento. Al mio segnale, scatenate l’inferno!
Scocco un’occhiata eccitata agli altri, per scoprire se hanno colto la citazione, in particolare Remus. L’estate scorsa, quando siamo andati a trovarlo, ci ha portato nel cinema Babbano della sua città e si è lamentato per tutto il giorno che non abbiamo seguito una parola del film. A giudicare da come mi guardano Sirius e Peter, almeno per quanto riguarda loro, aveva ragione.
- James.
- Cosa?
- Qual è il segnale?
Lancio un’occhiataccia a Sirius, sbuffando.
- Dovevi per forza rovinare l’epicità del momento?
- Mi hai appena sputato in faccia dicendo ‘per forza’, Peter mi ha fatto un occhio nero e Remus continua a pestarmi i piedi, non so se volontariamente o no, – elenca Sirius incrociando le braccia al petto. - Non vedo alcuna epicità in tutto ciò.
- Mi stupisco che tu veda qualcosa con quell’occhio, - ridacchio senza riuscire a trattenermi. – Sì, va bene, non è divertente. Ma ti stai soffermando sui dettagli invece di guardare al tutto.  E il tutto, quando avrò contato fino a tre, sarà composto da Serpeverde coperti di merda fino al collo.
- Contare fino a tre è l’emblema stesso dell’epicità – commenta Sirius con un sorrisetto ironico.
- Ti scongiuro, Moony, fallo stare zitto.
- Ci ho rinunciato a metà del primo anno – Remus alza le mani, come a chiamarsi fuori.
- E comunque non è come se ci servisse un segnale, James, - riprende Sirius, imperterrito. - Sei tu che devi lasciar cadere le Caccabombe. Vuoi fare un segnale a te stesso? 
Sospiro esasperato, voltandomi alla ricerca di conforto.
- Wormtail, tu sei d’accordo con me, vero?
-Certo, Prongs, – annuisce il mio unico vero amico. – I segnali sono forti.
Sorrido soddisfatto: si può sempre contare su Peter.
Quando non è ora di pranzo, certo.
 

*
 

Una volta concordato con Peter che i segnali sono forti, James si decide ad agitare la bacchetta.
Non mi sorprendo quando Piton, intento fino ad un secondo prima a parlare tranquillamente con Avery, viene colpito in pieno dalla prima Caccabomba. Nella Sala cala immediatamente il silenzio e l’unico rumore che si può sentire per diversi secondi è il gocciolio che produce la vischiosa sostanza marrone scivolando dal naso e dai capelli di Piton e schiantandosi al suolo. Poi altre Caccabombe iniziano a precipitare a raffica in ogni angolo della Sala ed è il caos.
Mentre i Serpeverde gridano e si ammassano contro l’uscita, tentando inutilmente di ripararsi dalla pioggia marrone, mi ripeto che non ha senso che io mi senta così tremendamente in colpa ora. Lo sapevo cosa sarebbe successo, Penny lo sapeva, e di certo né io né lei ci aspettavamo che nel giro di qualche minuto le Caccabombe si sarebbero trasformate in deliziose farfalle colorate. E tuttavia è più difficile fingere di non star facendo nulla di male e contrario al volere di Silente, mentre mi arrivano alle orecchie le grida schifate dei miei compagni di scuola.
- È già scattato il coprifuoco? – chiede James eccitato, fissando la calca formatasi attorno all’uscita. - Il massimo sarebbe se ora venissero puniti per essere usciti dal dormitorio.
Il suo sguardo è talmente sognante che decido di non fargli notare che qui gli unici che rischiano sul serio di finire in punizione siamo noi. Immagino che non sia un pensiero appropriato da fare in questo preciso momento e probabilmente è il fare simili pensieri in tali frangenti che mi rende spesso il soggetto preferito delle battute dei miei amici. Preoccuparsi di cose così poco esplosive e divertenti come le conseguenze delle proprie azioni è con tutta probabilità la prima voce sulla lista delle azioni che un Malandrino dovrebbe evitare. Diventare Prefetto dev’essere il titolo della lista stessa. È più o meno mentre sto rimuginando su quanti punti esattamente potrebbe toglierci la McGranitt se ci scoprisse, che a pochi metri da noi un ragazzo scivola su un’ampia chiazza scura mentre cerca di raggiungere l’uscita e non è mai stato più lampante di così il significato di ‘essere nella merda’.
Peter lo trova divertente, James lo trova divertente, persino una parte di me ben occultata da strati e strati di profondo rammarico e pentimento lo trova divertente, ma quello che davvero conta è che Sirius lo trova divertente.
È mia ferma convinzione che nel momento in cui un Sirius Black entra a far parte della vita di qualcuno, quel qualcuno dovrebbe venire immediatamente in possesso di un libretto d’istruzioni con almeno una ventina di pagine dedicate alla sua vasta gamma di risate. Ce ne sono di innumerevoli tipi e la differenza tra una risata alla ‘Sono allegro e la vita è meravigliosa’ ed una alla ‘Ti prenderò a pugni se solo mi rivolgerai la parola’ è talmente sottile ed invisibile a chiunque non risponda al nome di James Potter che non ho la presunzione di distinguerle. In questa particolare situazione posso affermare tuttavia, con un certo margine di sicurezza, che quella che mi echeggia nelle orecchie è esattamente una risata alla ‘Quel tipo è appena finito con la faccia nella merda’, ma non è questo il punto. Il punto è che la maggior parte delle risate di Sirius coinvolgono la totalità del suo corpo e noi Malandrini tendiamo ad essere compresi nella totalità del corpo di Sirius. Questo, oltre ad essere bizzarro ed in parte inquietante, spiega come mai le mie ginocchia hanno appena affrontato un duro impatto con la pietra e come mai la metà destra del mio corpo è ora fuori dal mantello. Quando, in preda al panico, provo a rinfilarmi sotto il tessuto, scopro anche che i miei amici sono aggrovigliati sul pavimento in maniera tanto scomposta e insensata da aver occupato tutto il vasto perimetro invisibile.
Nei pochi secondi che mi concedo per riflettere, il mio buonsenso sembra decidere che i gemiti di dolore e le proteste che seguiranno alla mia azione, con tutto il chiasso che riempie la Sala, si noteranno molto meno di un braccio ed una gamba separati dal resto del corpo.
Pertanto l’essermi appena gettato poco delicatamente su quelli che spero essere James, Sirius e Peter è perfettamente logico e giustificato, anche se non negherò che potrebbe essere qualcosa che il mio inconscio desiderava fare da tutto il giorno, schiacciarli a terra senza alcun riguardo.
 

*

 
Detesto che Sirius debba per forza gettarsi a terra per esprimere a pieno la sua ilarità, quando spesso le persone che sono in piedi e non spiaccicate al suolo tra corpi vari sono comunque felici. Dirò di più, è possibile che la loro felicità dipenda proprio dal non essere spiaccicate a terra. Certamente renderebbe felice me, non esserlo.
Sirius sta continuando a ridere e questo sarebbe solo emotivamente irritante se non fosse che il mio torace è schiacciato proprio contro la sua schiena e finché lui continuerà a ridere e a tremare sotto di me io continuerò a fare su e giù e il gomito di Remus continuerà ad insinuarsi sempre più a fondo tra le mie costole.Remus è un’altra persona che dovrebbe rivedere le sue abitudini. Non è stato trascinato nella folle caduta di Sirius come me e Peter, perché sarebbe atterrato subito se così fosse stato e me ne sarei accorto. No, lui è arrivato dopo, con un notevole slancio ed un notevole peso ed un notevole gomito appuntito. E questo non mi sta affatto bene. La cosa peggiore di tutta questa situazione è che sono persino costretto a ritenermi fortunato, perché Peter è atterrato solo parzialmente su di me e probabilmente il numero di organi che si sono salvati è tale che potrò ancora condurre una vita dignitosa. C’è anche la storia della bava sul dorso della mia mano e quando non ci sarà più potrò veramente appellarmi alla dignità, e poi io e Peter non ne parleremo mai e potremo ancora essere amici.
- I tuoi capelli, - biascica Remus, da un punto molto vicino alla mia testa. -Sto mangiando i tuoi capelli.
- I capelli di chi? – ansima Peter alla mia destra, mentre Sirius continua a ridacchiare.
Rifletto per un attimo e dopo aver constatato sommariamente in quale posizione ci troviamo tutti, sbarro gli occhi, perché evidentemente Remus si riferisce ai miei capelli.
- Stai sbavando sui miei capelli, Remus? È questo che stai facendo?
C’è troppa bava sotto questo mantello e pare che si concentri unicamente sulla mia persona. È normale, chiunque, animato o no, si concentrerebbe su di me piuttosto che su qualunque altra cosa, ma questo è troppo.
- Ti assicuro che non sto facendo nulla ai tuoi capelli, sono loro che stanno cercando in tutti i modi di entrare nella mia bocca.
- Non parlare, - ordino risoluto. - Sigilla le labbra, Moony.
-Credete che mi abbiano visto? Non si direbbe, – riflette Remus, ignorando le mie disposizioni.  -Probabilmente erano troppo distratti e in fondo il mio braccio è abbastanza sottile.
- Ti darò una testata se apri di nuovo la bocca, –ribadisco, perché Remus non può sapere che muovere il collo in questo momento potrebbe essermi fatale. – Sirius, piantala.
- È stato fantastico, – dice Sirius con una voce troppo acuta per convincermi che ha davvero smesso di ridere. – L’ha presa in pieno.
- Anche io ti ho preso in pieno, – ribatto piccato. - Mi senti? Sai, quella cosa meravigliosa che c’è su di te e che emana energia negativa? Sono io.  
- In realtà sì, sei più pesante di quanto sarebbe lecito, – esclama Sirius tentando invano di rigirarsi. - Inizio a capire cosa intendeva veramente Evans a proposito della tua scopa e del suo alzarsi da terra.
- È perché Remus si sentiva escluso e si è tuffato su di me – chiarisco, perché il mio peso è assolutamente nella norma e se non lo fosse, sarebbe solo per i miei innumerevoli muscoli.
- Che assurdità, Remus non è dotato di un peso corporeo rilevante.
- C’è anche la mia gamba destra in realtà, – annuncia Peter e se non fossi fisicamente impossibilitato a farlo, sobbalzerei. Non ero a conoscenza di quanti pochi centimetri separassero la sua faccia dalla mia. – È incastrata tra la pancia di Remus e la schiena di James.
- Questo spiega tutto, Pete - commenta Sirius, perché non è in grado di distinguere i momenti in cui si può fare sarcasmo e quelli in cui bisognerebbe invece smettere di blaterare e cercare di districarsi.
- Forse dovremmo provare a districarci – suggerisce Remus da sopra la mia testa e di nuovo, se potessi, sobbalzerei.
Dal momento che i miei amici sono fondamentalmente degli idioti, tentano di liberarsi contemporaneamente e tutto qui sotto diventa troppo mosso, come se fossi incastrato tra giganti vermoni che si contorcono.
-Fermi: ci serve un ordine, – stabilisco quando il piede di Peter compromette per sempre le mie facoltà motorie. – Remus, devi essere il primo.
- Lo so, sono già stato coinvolto in una situazione del genere.
Nello stesso momento in cui io decido di non indagare su questa rivelazione, Sirius decide di fischiare ed emettere tutta un’altra serie di versi maliziosi che stanno facendo assumere a Remus quella faccia da ‘Trovo tutto ciò inammissibile’. Non è come se potessi vedere la faccia di Remus, ma quella è la faccia che ha quasi ogni volta in cui Sirius apre bocca, in realtà.
- Che diavolo stai...c’era di mezzo un bambino del primo anno, santo Godric!
Oh oh, non ti facevo così depravato, Moony.
- Ora non è importante con chi Remus si sia trovato in situazioni equivoche, – li interrompo prima che la cosa degeneri. – Sto soffrendo e la Sala si è quasi svuotata del tutto: è il momento di filarcela.
E così ce la filiamo.
C’è della bava sulla mia mano e probabilmente tra i miei capelli, e i feriti sono stati numerosi, ma la Sala Comune dei Serpeverde, ed i Serpeverde, odoreranno di merda per un bel po’ e questo è soddisfacente. Non perché io ho perso e loro hanno vinto, in realtà, perché se vogliamo dirla tutta non ho aspettato a far cadere le Caccabombe solo per Piton. Ovviamente anche per quello, perché uno scherzo non è tale se tra le vittime non compare anche lui, ma potrei effettivamente aver voluto dare il tempo a Regulus Black di tornare nel suo dormitorio. Non che sia un mio problema se il fratello di Sirius viene coperto di Caccabombe, quando a Sirius per primo la cosa non sembra dare alcun fastidio, ma è il Capitano ed oggi è stato più bravo di me. Ed i Serpeverde meritano di finire sotto una pioggia di Caccabombe per un milione di motivi, tra cui il semplice fatto che sono i Serpeverde, ma non perché hanno vinto la partita.
 

**********

 

 

 

 

 


Sto frugando l’ennesimo cassetto della scrivania della McGranitt, alla ricerca dei compiti di trasfigurazione che ci sottoporrà alla prossima lezione –non che io ne abbia veramente bisogno, ma ho scoperto che la maggior parte degli studenti sono disposti a sborsare diversi galeoni per risollevare la loro media scolastica –, quando improvvisamente avverto dei passi veloci avvicinarsi all’ufficio. Faccio appena in tempo a coprirmi con il mantello che la porta si spalanca, lasciando entrare un’infuriata McGranitt, seguita a pochi passi di distanza da Sirius.
- Assolutamente inaccettabile, – sta dicendo la professoressa, lievemente rossa in viso, il che non è mai un buon segno. Mi chiedo cosa diavolo abbia combinato Sirius. - Come ha potuto, signor Black? E di fronte a tutti.
Sono diverse le cose che Sirius potrebbe aver fatto, di fronte a tutti, per sconvolgere la McGranitt. Non c’è veramente nulla di bizzarro in questo, ma c’è qualcosa che non mi torna.
Innanzitutto Sirius tiene lo sguardo basso, ostinatamente puntato sui braccioli della poltrona su cui è seduto, come se fosse davvero pentito. E di norma Sirius non si pente delle cose che fa e che sconvolgono i professori.
L’altro dettaglio spaventosamente irreale ed inquietante, sono gli occhi lucidi della McGranitt, che è sprovvista di dotti lacrimali, come tutti sanno.
Sta accadendo qualcosa di strano in questa stanza e non ha nulla a che fare con il fatto che delle tre persone che la riempiono, una è invisibile.
- Pretendo una spiegazione, signor Black, – insiste la McGranitt con voce dura. – Lei ha baciato la signorina Brown di fronte a tutti, di fronte a me.
Capisco ora perché Sirius sembra pentito.
Baciare la Brown non dev’essere una bella esperienza e dev’essere anche fisicamente difficile con quel metro di naso che si ritrova e che non può semplicemente scomparire.
Ma non sapevo che fosse contro il regolamento baciare  persone poco gradevoli. Se è così, baciare Mocciosus comporterà come minimo l’espulsione.
- Di fronte a me, – ripete la McGranitt, abbassando la voce. - Come se non ci fosse mai stato nulla tra noi.  
C’è una scrivania tra di voi, vorrei gridare, c’è una scrivania ed è l’unica cosa che potrà mai esserci tra di voi. Vorrei gridarlo per poi scappare lontano da qui, ma la mia bocca è impastata dal panico e prima che io possa fermare questa follia, Sirius si china in avanti, prendendo la mano della McGranitt tra le sue.
La McGranitt non dovrebbe nemmeno avere delle mani. Dovrebbe spuntarle una bacchetta alla fine del braccio e basta, perché questo sarebbe più naturale e giusto delle dita lievemente rugose della mia professoressa strette tra quelle del mio migliore amico.  
‘Inaccettabile’ grida nelle mie orecchie qualcuno che ha la voce di Remus e di tutte le persone dotate di buonsenso su questo pianeta.
‘Inaccettabile’ e ‘Scrivania’ è quello che griderei, se solo avessi ancora il controllo sulle mie labbra.
- Oh, Minnie.
E la voce di Sirius non è mai stata più terrificante.
- Oh, Sirius.
Fermatevi, cerco di gridare con ogni particella del mio essere, non potete farlo.  Ma l’unica cosa che esce dalle mie labbra è un terrorizzato:
- Oh, Godric. 
 

*
 

- NO!
- AH!
- Non sono stato io!
- Lumos. 
La mia bacchetta illumina i miei amici uno ad uno: a quanto pare sono tutti vivi e fisicamente incolumi. Che gioia.
James, seduto sul suo letto, ha i capelli più arruffati del solito, gli occhi spalancati e lo sguardo fisso di fronte a sé, come se fosse appena stato baciato da un Dissennatore.
Sirius, nel letto di fianco, ha un’aria assonnata e confusa. Posso quasi sentire i suoi ingranaggi lavorare per ricordarsi chi è, dove si trova e soprattutto quanto manca al prossimo pasto.
Mentre quello là per terra pare proprio il sedere di Peter.
- Sirius, la McGranitt, è stato orrendo – sussurra James a nessuno in particolare, prima di lasciar cadere nuovamente la testa sul cuscino e riaddormentarsi all’istante.
 Sirius. La McGranitt. È stato orrendo.
Suppongo di dover accettare queste sei parole come spiegazione per essere stato bruscamente svegliato alle due di notte.
Peter evidentemente le ha accettate, tant’è che ha ricominciato a russare, ancora steso per terra. Qualcuno dovrebbe fare qualcosa in proposito, come prenderlo di peso e rimetterlo nel letto.
 Già, qualcuno dovrebbe proprio.
- Nox.
 
 

 

 

 

 



 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


 

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CAPITOLO 16.

 

 

 

 

 

 

 

'Assurdo' è la prima parola che sento, destandomi. 
Non si tratta di un risveglio particolarmente malvagio in realtà, se paragonato a quelli che ha visto nel corso degli anni questa stanza. Comprensibile, considerato che la maggior parte di quei risvegli sono opera mia: Remus e Peter non trovano alcuna attrattiva nello svegliare gli altri in modi bizzarri e James, nonostante le apparenze, non è poi così creativo di mattina presto. Fatto sta che è proprio il viso di quest’ultimo che, aprendo gli occhi, ritrovo ad una distanza dal mio decisamente esigua. Continua a ripetere quella parola, tenendo gli occhi piantati su di me, visibilmente corrucciato. Vorrei fargli presente che ‘assurdo’ è quello che sto pensando anch’io, ma prima che io possa anche solo muovere le labbra, James mi afferra per le spalle e prende a scuotermi senza ritegno e potrei giurare che quello che ha appena sbattuto contro la fronte fosse il mio cervello. Quando le mani di quello che ancora insisto inspiegabilmente a chiamare migliore amico si staccano dalle mie spalle, cerco di fulminarlo con gli occhi, nonostante l’effetto minaccioso sia intaccato dal fatto che ormai, con tutta probabilità, non guardano più nella stessa direzione.
- Ora va meglio, – commenta James con un sorrisetto, studiandomi soddisfatto. - Non puoi avere i capelli così  in ordine anche appena sveglio. E’ innaturale.
Sto ancora cercando di elaborare una risposta che esprima a pieno il mio disprezzo, quando, subito dopo che James è uscito saltellando dal dormitorio, stranamente già vestito di tutto punto, una serie di tonfi e gemiti si fanno strada attraverso la porta socchiusa. Remus abbandona i preparativi della sua borsa per sporgersi oltre la soglia, accigliato.
- Con chi si è scontrato? – chiedo senza preoccuparmi di trattenere il ghigno che è affiorato sulle mie labbra dalle profondità della mia anima.
- Frank, – sospira Remus, richiudendosi la porta alle spalle. - È sempre Frank.

*

L’odore che mi invade le narici non appena metto piede in Sala Grande è un meraviglioso modo di iniziare la giornata. 
Sicuramente meglio di quella testata, dannato Frank. 
Non è tanto l’odore in sé, non è come se potessi trovare veramente piacevole sentire un tale tanfo mentre faccio colazione, ma è quello che rappresenta: l’umiliazione dei Serpeverde. Anche oggi, esattamente come ieri, tengono lo sguardo puntato sul nostro tavolo, ma ogni esultanza è stata sostituita dall’ira. È probabile che il sorriso beato che fa bella mostra di sé sulle mie labbra mentre attraverso la Sala sia l’equivalente di una confessione di colpevolezza, ma è inutile nasconderlo, dal momento che le facce dei miei amici gridano colpa da ogni poro: Remus tiene ostinatamente lo sguardo puntato a terra, non sfiorando neppure per sbaglio il tavolo dei Serpeverde o la sua spilla da Prefetto; Peter continua a lanciare occhiate eccitate ai Serpeverde per poi guardare noi in modo eloquente; Sirius, come se il suo occhio pesto non fosse già abbastanza sospetto, non fa che sbattere contro ogni persona o oggetto presente in Sala, tanta è la foga di non staccare nemmeno per un istante lo sguardo e soprattutto il ghigno dai Serpeverde. Evito accuratamente di guardare verso il tavolo dei professori, in parte perché sono sicuro che la metà di loro ci sta mettendo in punizione con gli occhi, in parte perché ho la vaga sensazione di aver fatto un sogno terrificante sulla McGranitt questa notte. Una parte di me mi suggerisce di non indagare oltre, così lascio perdere, lasciandomi cadere sulla panca ed afferrando subito una brioches dal ricco vassoio di fronte a me. Mentre faccio per dare il primo morso, penso a quanto sia rilassante l’odio che giunge a ventate maleodoranti dall’altra parte della Sala e soprattutto a quanto sia soddisfacente farla franca in questo modo, anche se tutti sanno che siamo stati noi. 
 E poi mi ritrovo ad addentare l’aria.
Alzando lo sguardo, non mi sento particolarmente stupito di trovare Evans di fronte a me, anche se il furto della pasta mi ha colto lievemente alla sprovvista.
È una fortuna che lei sia una frana a volare, perchè mi ha sottratto la colazione con uno scatto degno di un Cercatore.
 

                                                                                                   *
 

- Desideri qualcosa, Evans? – mi chiede Potter con quell’irritante tono affettato che assume la maggior parte delle volte in cui si rivolge a me. -Oltre alla mia brioches, s’intende.
- Desidero una prematura caduta dei tuoi capelli, dal più profondo del cuore, – replico con lo stesso tono svenevole. Il suo sorriso già palesemente finto si fa immediatamente più freddo, mentre il mio si allarga: Potter è fissato con i suoi capelli. - Tuttavia in questo momento mi accontenterò di scoprire come mai dal tavolo dei Serpeverde giunge un odore tutt’altro che gradevole.
- E perché mai dovrei saperlo, Evans? - ribatte, incrociando le braccia al petto e sollevando leggermente il mento. Lo fa spesso quando mente. Perché lo so? Conosci il tuo nemico, così si dice. - Non ho idea di cosa sia successo ai Serpeverde.
- Sai perfettamente cos’è successo – lo correggo, senza staccare gli occhi dai suoi. Figuriamoci se Potter è innocente: Serpeverde vince la partita contro Grifondoro e casualmente la mattina dopo dal tavolo verde-argento si sparge un odore stomachevole. 
 Sarebbe scontato che sono stati i Malandrini anche se Lupin non tenesse con aria tremendamente colpevole lo sguardo fisso sul tavolo, fingendo di non essersi accorto della discussione tra me e il suo amico.
- La gente è convinta che io sappia sempre perfettamente il motivo di ogni disastro, – Potter si gratta il mento, fintamente pensoso. - Mi chiedo perché.
Potrei elencare una lunga serie di motivi per cui è naturale e sacrosanto ritenere Potter il responsabile della maggior parte degli incidenti che si verificano ad Hogwarts, ma prima che io possa aprire bocca, lui riprende:
- Tuttavia, se proprio vuoi la mia opinione, Evans, credo che i Serpeverde soffrano di una grave fobia nei confronti del sapone. Mai notato i capelli di Mocciosus?
Mi chiedo se lo faccia apposta a nominare Severus ogni volta che parla con me. Se è consapevole di quanto le sue frecciate vadano a segno, una dopo l’altra.
- E tu hai notato l’occhio nero che esibisce il tuo compare? Per curiosità, come se l’è fatto?
 

                                                                                                     *
 

C’è qualcosa di frustrante nell’assoluta certezza con cui mi sta fissando Evans, come se non le passasse neppure per la mente che una volta tanto potrei essere innocente. 
La cosa più irritante è che non posso sul serio sentirmi infastidito dal suo sguardo, dal momento che ieri sera ero effettivamente nella Sala Comune dei Serpeverde a bombardarli di Caccabombe e Sirius non si è fatto male giocando a Sparaschiocco, per quanto quel gioco sia più pericoloso di quanto sembri. Ma per un attimo vorrei davvero non sapere nulla di questa storia, solo per avere il diritto di trovare insopportabile il modo in cui Evans mi sta accusando senza il minimo dubbio.
- Non credo che la McGranitt o qualunque altro professore possa ritenere l’occhio nero di Sirius una prova sufficiente – considero vago, senza sbilanciarmi nell’ammettere una qualche colpevolezza. 
-Infatti, – acconsente Evans, stringendo le labbra. - Ma non ho bisogno di nessuna prova per renderti partecipe di quanto sia penoso il modo in cui non sei neppure in grado di accettare la sconfitta.
Sento Remus, al mio fianco, agitarsi sulla sedia. Ed anche se non stacco gli occhi da quelli di Evans, sono sicuro che Sirius si sia immobilizzato. Peter, d’altro canto, ha trattenuto il fiato tanto rumorosamente che ora come minimo metà tavolo dei Grifondoro presterà attenzione alla mia risposta. Vogliamo rigirare il coltello nella piaga, Evans? E sia.
-Sai, Evans, – inizio, senza preoccuparmi di abbassare il tono di voce. – Si direbbe quasi che tu tifassi per Serpeverde. Passare tutto quel tempo con uno di loro deve averti fatto più male di quanto pensassi.
Uno ad uno, pluffa al centro.
- Evans, per cortesia, mi passeresti la brocca del latte?  
È Remus e sono diventato un Animagus per lui, e non è che io trascorrerei quasi tre anni della mia vita ad esercitarmi in una magia potenzialmente mortale per chiunque, quindi dev’essere senz’altro una persona meravigliosa e tutto, ma c’è davvero qualcosa di estremamente patetico nel modo in cui sta cercando di distrarre Evans dalle mie parole. Soprattutto considerando che la tazza di Remus è già colma fino all’orlo. Non che Evans possa notarlo, comunque: i suoi occhi socchiusi per la rabbia sono piantati su di me e non li stacca dal mio viso nemmeno quando la sua mano destra si chiude meccanicamente attorno al manico della brocca per poi porgerla con un gesto secco a Remus. È solo quando la brocca sbatte contro la fronte del mio amico e lui emette un lieve gemito, che Evans si decide a spostare gli occhi su di lui.
- Scusami, Lupin, – Ma è solo un attimo, perché dopo che Remus le ha risposto con un sorriso agitato, Evans si volta di nuovo verso di me, irritata. –Non fai che vantarti di che grande giocatore di Quidditch sei, quando a conti fatti non sai nemmeno perdere.  Davvero un comportamento sportivo, Potter.
 - Sei ripetitiva, Evans – sbuffo, cercando di mostrarmi annoiato: magari così la finirà di parlare della partita.
- Io? – sbotta indignata, sgranando gli occhi. - Parla Mister Vieni ad Hogsmeade con me?
- Sì.
- Come?
- Sì, ci vengo ad Hogsmeade con te, Evans.
 

                                                                                          *
 

Potter mi guarda con un sorriso smagliante, evidentemente per nulla sfiorato dalle mie parole. 
E questo è ciò che davvero odio di Potter, ancora più della sua presunzione, ancora più che tutto il resto: non riesco mai a toccarlo davvero con i miei insulti. Niente riesce a toccarlo davvero, mentre lui affonda gli altri con una leggerezza impressionante.
- Mi hai visto uscire con la piovra gigante di recente, Potter? - alzo un sopracciglio, beffarda. - Perché ti assicuro che se anche fossi così disperata da andare ad Hogsmeade con chiunque, il mostro marino che vive nel lago, ed in generale tutti i mostri, marini e non, che vivono in qualunque parte del mondo verrebbero molto prima di te.
Soddisfatta della mia risposta, gli volto le spalle prima che possa replicare e faccio per dirigermi verso il mio posto. È in quel momento che mi rendo conto di avere ancora in mano la brioches che gli ho strappato pochi minuti fa: tanto meglio. La foga con cui addento la pasta è tale che lo zucchero a velo che la ricopre si solleva in uno sbuffo bianco, entrandomi nel naso.Mentre una parte di me è impegnata a tossire nel tentativo di non soffocare, l’altra constata come questa non sia la trionfale uscita di scena che avevo progettato. Strozzarsi con una brioches sarebbe imbarazzante in qualunque momento, ma se accade mentre hai appena finito di litigare con qualcuno è una vera umiliazione, specie se quel qualcuno è Potter.
Ed è mentre penso a quanto Potter debba star ringraziando Godric in questo momento, che mi giro di scatto, pronta a ordinargli di smettere immediatamente di ridere. Solo che Potter non sta ridendo. Le sue labbra non sono nemmeno contratte nel tentativo di trattenere una risata, non sta inarcando sarcasticamente le sopracciglia e non ha neppure una qualsiasi delle sue espressioni canzonatorie. Se ne sta semplicemente lì, a guardarmi concentrato, come se fossi una complicata versione di Antiche Rune da decifrare. E questo è così surreale e bizzarro che devo fare violenza su me stessa per non incitarlo a ridere, in modo da spazzare via lo strano disagio che mi ha pervaso. Ma è solo un attimo, perché poi pare accorgersi dei miei occhi perplessi puntati su di lui ed un sorrisetto ironico gli spunta immediatamente sul volto.
- Sta a guardare, Evans, - Afferra dal vassoio di fronte a sé un’altra brioches, per poi addentarla lentamente. - Non è difficile, vedi?
Ed è solo ora che noto le risate di Black e Minus ed il modo in cui persino Lupin tradisce una certa ilarità.
Potter si comporta come se non fosse stato l’unico a non ridere fino a quel momento ed ora mi fissa con un sorriso sornione.E il fatto che ora si stia comportando esattamente come mi aspetto da lui, ovvero da idiota totale, mi provoca un sollievo tale che decido di ignorare la sua battuta e proseguire per la mia strada.
- Hai dello zucchero sul naso, – mi informa Alice non appena mi siedo al suo fianco. - E sul mento. In effetti, Lil, farei prima a dirti dove non l’hai.
 

                                                                                                  *
 

James sta mangiando quella che è già la terza brioches nel giro di pochi minuti e sta facendo battute a tutto spiano su Remus e sulla sua assurda richiesta del latte. 
Ha già fatto battute su Peter e sul modo esageratamente rumoroso in cui ha aspirato tutta l’aria nella Sala, trattenendo il fiato, poco fa. Ha fatto battute sulla curiosità estrema dei nostri compagni Grifondoro, a cui sembrano mancare solo i popcorn ogni volta che scoppia una discussione. Ha fatto battute sulle smorfie di dolore che continuo a fare a causa del mio occhio pesto e ha persino tirato in ballo i panda. Ha fatto battute su Frank, che è appena arrivato e non ha avuto il tempo di fare assolutamente nulla che potesse essere soggetto a prese in giro, ma Frank è di per sé una sorta di battuta vivente. Ha fatto battute sui Serpeverde, sul loro odore, su Mocciosus e sui suoi capelli. E tra poco ho come l’impressione che inizierà a fare battute su qualcos’altro. Mentre mastico con calma la mia fetta di pane e marmellata di lamponi, do un’occhiata ad Evans, che diversi posti più in là si sta sfregando violentemente un tovagliolo sulla faccia.
James continua a fare battute e continua a stringere spasmodicamente i pugni sotto al tavolo, come se io e Remus non fossimo seduti proprio accanto a lui e non potessimo vederlo. Ho quasi finito la mia colazione e James sta ridendo in modo piuttosto sonante, quando incrocio per un attimo lo sguardo di Remus. Ha un lieve segnetto rosso sulla fronte, lì dove Evans lo ha colpito per sbaglio con la brocca, e dei baffi marroncini causati dalla tazza di caffellatte da cui è appena riemerso, ma non mi è mai sembrato tanto serio. Poi lui torna ad immergersi nella tazza per bere l’ultimo sorso ed io abbasso lo sguardo sull’ultimo boccone di panino rimastomi. Peter, con la bocca piena, dice che faremmo meglio ad andare a lezione.
 

**********
 


- Ehy, Moony, quanto manca?
- Venticinque minuti.
- Precisi?
- Sì, precisi.
James mi fissa per qualche secondo, soppesando la mia affidabilità, poi prevedibilmente si sporge verso di me, mi tira su la manica e controlla lui stesso. È ossessionato dall’idea che io possa approssimare l’orario e dirgli magari venticinque invece di ventiquattro o, peggio, ventisei. Si tratterebbe di un dubbio lecito se io fossi una persona qualunque, ma dato che è da sei anni che mi ritrovo spesso e malvolentieri ad essere il compagno di banco di James, so che arrotondare non è permesso. Ma so anche che James sentirà sempre il bisogno di controllare, rischiando così di slogarmi un polso. È successo solo una volta in realtà ed era un’ora di Storia Della Magia e chiunque abbia avuto Ruf come professore sa che anche solo un minuto può cambiarti la vita. Anche se quella volta mi ha fatto davvero mal...
- Quanto manca?
- Ventitre minuti.
James sospira frustrato e si rinfila in bocca la piuma, riprendendo a masticarla distrattamente. Niente a che vedere con la cura che dedica Sirius a tale operazione, ma questo può dipendere dal fatto che le piume di Sirius sono per la maggior parte piume di zucchero di Mielandia.
Lancio un’occhiata al banco alle mie spalle, dove in effetti Sirius sta banchettando con...
- Quanto manca?
- Ventidue minuti.
Gli occhi di James si sgranano, colmi di sdegno e incredulità.
Solo? È passato solo un minuto? Non è possibile.
Il mio braccio viene prevedibilmente strattonato e l’orologio dice di persona a James che sì, è passato solo un minuto.
La furia rassegnata con cui James riprende a sbranare la sua piuma e l’occhiata di rimprovero che mi rivolge, mi fanno sentire lievemente in colpa.
Naturalmente si tratta solo di pochi secondi, poi la ragione torna in me e realizzo che è inammissibile sentirsi in colpa per una cosa sulla quale non si ha il minimo controllo, come lo scorrere del tempo. 
Ma James è in grado di farti sentire in colpa per qualsiasi cosa. Non dimenticherò mai di come Selwin, il Prefetto di Corvonero, si sia scusato con lui per aver minacciato di punirlo, dopo averlo trovato in giro oltre il coprifuoco.
- Quanto manca?
Ignorando la nota di minaccia che James ha impresso nella frase, mi slaccio l’orologio e glielo appoggio sul banco.
Magari riuscirò a seguire almeno questi ultimi ventuno minuti di lezione. 
- Il tuo orologio è rotto, Moony, non c’è altra spiegazione.
O magari no.
 

                                                                                            *
 

- La lezione è finita, potete andare.
Con uno scatto mi raddrizzo e spingo con sprezzo l’orologio di Remus sul suo banco, mentre accolgo con gioia la voce della McGranitt, mai gradita come ora. Trasfigurazione è sempre stata la mia materia preferita, ma le ore di teoria proprio non le reggo, soprattutto se trattano qualcosa che conosco già alla perfezione. Ora, non per essere presuntuoso, non più del solito comunque, conosco alla perfezione praticamente tutti gli argomenti di Trasfigurazione, essendo naturalmente portato per la materia, come in realtà lo sono per qualunque altra cosa. Ma ci sono argomenti che conosco persino meglio degli altri e, per ovvi motivi che sono seduti al mio fianco intenti a riallacciarsi l’orologio al polso, la trasfigurazione umana è uno di quegli argomenti. Quindi Remus avrebbe proprio dovuto acconsentire a fare qualcosa di alternativo insieme a me, invece che costringermi a fingere di ascoltare cose che ho passato tre interi anni a studiare.
- Signor Black, per favore, si potrebbe fermare cinque minuti?
Mi immobilizzo nell’atto di infilare il libro nella borsa ed al mio fianco Remus fa lo stesso, visibilmente irrequieto. Con la coda dell’occhio noto Peter, nel banco dietro il nostro, bloccarsi a sua volta, mentre Sirius si getta la borsa in spalla e si dirige verso la porta con aria distratta, che è l’aria che Sirius ha per la maggior parte del tempo, a voler essere sinceri.
Black, torni immediatamente qui - lo richiama la McGranitt stizzita, scandendo eccessivamente le parole. 
Sirius si volta sorpreso, fissandola interrogativamente. È stupefacente la sua abilità nell’escludere la voce dei professori dalle orecchie durante le lezioni.
- Dice a me, professoressa? – chiede con il suo tono più innocente.
- Vede altri Black nella mia classe?
Il sopracciglio della McGranitt raggiunge quella particolare inarcatura che sta all’esatta metà tra ‘Mi limiterò a redarguirti’ e ‘Sto per metterti in punizione a vita’.
- Fortunatamente no, professoressa – risponde Sirius con un sorrisetto.
Quando il mio amico si decide finalmente a raggiungere la McGranitt alla cattedra, lei sposta lo sguardo su di noi, in modo piuttosto eloquente. Remus riprende immediatamente a preparare la borsa e così Peter, ma io resto immobile. Non è che non voglia uscire da questa classe, anzi, questa è probabilmente la cosa che ho desiderato maggiormente nelle ultime ore, ma nel vedere Sirius attraversare la classe vuota per raggiungere la McGranitt, un'altra terribile scena mi ha attraversato la mente ed improvvisamente ricordo perché stanotte mi sono svegliato urlando.
 

                                                                                                *
 

La McGranitt si sta spazientendo, è evidente.
La McGranitt è sempre sul punto di spazientirsi, per essere onesti, quando è nel mio campo visivo. Questo perché di solito nel mio campo visivo sono perennemente presenti anche i miei amici, che sono così incredibilmente bravi a far spazientire le persone. Sirius ci ha già messo del suo ignorando il primo richiamo della McGranitt ed ora James sta concludendo il lavoro alla perfezione, restando piantato in piedi di fronte al banco come se avesse appena visto Godric Grifondoro in persona.
-Signor Potter, - La piega che assumono le labbra della McGranitt nel pronunciare il nome di James assomiglia molto a quella che immagino assumerebbero se avesse appena morso un limone. - Gradirei parlare con il signor Black in privato. Crede di poter sopravvivere alla sua assenza per qualche minuto o pretendo troppo da lei?
Prima che la McGranitt possa dedurre dal silenzio e dall’immobilità del ragazzo al mio fianco che ‘pretende troppo’ è così indubbiamente la risposta esatta, afferro malamente James per un braccio e lo trascino fuori dalla classe, azzardando un saluto ed un sorriso nervoso nella direzione della professoressa. Il suo sguardo mi fa sparire immediatamente il sorriso dalle labbra e sono abbastanza sicuro che, se si potessero incenerire le parole, il mio ‘buongiorno’ sarebbe ora sparso in briciole tra i banchi. È con sollievo che mi chiudo la porta della classe alle spalle. 
- Credete che lei sappia? – Peter sposta freneticamente lo sguardo da me a James, interrompendosi solo per lanciare occhiate terrorizzate in direzione della porta. Nutre un discreto timore nei confronti della McGranitt, che non è mai troppo paziente con lui.  
- Tutti lo sanno, Pete, – gli ricordo, facendogli segno di abbassare la voce: ogni abitante di questo castello non aspetta che una prova della nostra colpevolezza per poterci punire. Beh, magari non esattamente ogni abitante,ma di sicuro tutti quelli dotati dell’autorità per farlo e tutti quelli che indossano i colori verde-argento. Potrei essere un po’ paranoico al momento, ma immagino sia necessario esserlo nei giorni immediatamente successivi a quello in cui hai seppellito sotto le Caccabombe la più vendicativa delle Case.
- Comunque stai tranquillo, e anche tu, Prongs, smetti di respirare in quel modo, – Lancio un’occhiata sconcertata a James, che pare nel bel mezzo di un attacco d’asma. - Non c’è nessuna prova che siamo stati noi, d’accordo? Starà solo facendo il terzo grado a Sirius nella speranza che si tradisca, dato che di mattina non è particolarmente brillante.
- Cosa state...oh. I Serpeverde? Quello? È per quello? – James pare tornare improvvisamente nel mondo dei vivi e la confusione sul suo viso viene ben presto sostituita dal sollievo. - Ma certo! Lei pensa che siamo stati noi e sta indagando. Grandioso!
Socchiudo gli occhi, studiando attentamente l’espressione di James e cercando di capire cosa ci trovi di così lieto nella prospettiva di finire in punizione per il resto dell’anno.
- Ti senti bene, Prongs?  
- Mai stato meglio, – replica allegro, passandosi una mano tra i capelli con occhi da pazzo. - Non capisci, Moony? È perfettamente giusto. È smascherarci, è fare il suo dovere di insegnante, è non avere una relazione segreta con Sirius.
Mi scambio un’occhiata allarmata con Peter e senza che io possa farci nulla all’immagine del suo viso si sovrappone quella del suo sedere avvolto nel pigiama invernale nella penombra del dormitorio e nelle orecchie mi risuona la voce assonnata di James bofonchiare qualcosa a proposito di Sirius e della McGranitt. Improvvisamente i deliri di James hanno un senso.
- Era solo un sogno, Prongs – sospiro, nello stesso momento in cui James smette di ascoltarmi e la porta dell’aula si apre alle nostre spalle. La McGranitt si allontana a passo di marcia scoccandoci un’occhiataccia, non saprei se per il fatto che rischiamo di arrivare in ritardo alla lezione successiva o se è semplicemente perché siamo amici di Sirius. Immagino che entrambe le cose siano altamente riprovevoli dal punto di vista di un’insegnante.
 

                                                                                              *


- Cosa voleva? 
- Che ti ha detto?
Non appena esco dall’aula mi ritrovo circondato dai miei amici ed in particolare James e Peter mi fissano come se da quello che sto per dire dipendesse il destino del mondo magico. Per un attimo nella mia mente passa l’immagine del mio primo piano, completo di sguardo intrigante e sorriso splendente, sulla prima pagina della Gazzetta. Ma è solo un istante, perché subito il mio campo visivo torna ad essere riempito dai visi ansiosi dei miei amici.
- Mi ha fatto una sorta di interrogatorio su come mi sono fatto male all’occhio, – rispondo con tono annoiato, giusto per sottolineare quanto sia fuori luogo ed imbarazzante il loro panico. - Credo abbia capito come me lo sono fatto davvero.
- Ha capito che ho provato a fare la verticale e ti ho colpito con la scarpa?
- Non quello, Pete. Beh, sì, è così che è successo, ma...
-Senti, Pad, – inizia James e se non avesse parlato con quel particolare tono, mi risentirei dell’interruzione. Solo che quello è proprio il tono che James usa quando sta per dire qualcosa che lascerà tutti quanti basiti, perciò sarà meglio che io mi prepari ad essere basito. - Tu ti innamoreresti mai di una donna di tanto più vecchia di te?
Dopo aver studiato per un po’ il volto di James, non so nemmeno io in cerca di cosa, getto un’occhiata a Peter e Remus: il primo rispecchia la mia espressione perplessa, mentre il secondo scuote la testa con aria esasperata.
- Ti senti bene, Prongs?
- Benissimo, – assicura lui. - Era solo una domanda, lascia perdere. Solo, stavo riflettendo, non è vero che l’amore non ha età. Insomma, c’è un limite a tutto, no? Sei d’accordo?
Non ho ben afferratola domanda, ma la vita di James pare proprio dover dipendere dalla mia risposta.
- Perfettamente d’accordo, Prongs.
Con qualsiasi cosa tu intenda. 
 

                                                                                          *
 

C’è da dire una cosa su Sirius: sa quando è il caso di ignorare completamente quello che un James Potter dice.
A primo avviso può non sembrare una dote particolarmente utile né tantomeno difficile da sviluppare, ma la realtà è ben diversa. Peter, ad esempio, è in questo momento un po’ risentito nei miei confronti a causa del suo piede finito proprio sotto il mio e tutto perché non ha ancora ben chiaro in mente quali sono i deliri di James da ignorare e quelli su cui invece chiedere delucidazioni. Qualunque delirio coinvolga una relazione sentimentale tra Sirius e la McGranitt è chiaramente uno di quelli su cui non fare domande, perché nessuno vuole davvero parlarne, James compreso. E discutere del perché e del percome un ragazzo di sedici anni sogna certe cose sul proprio migliore amico e la propria Capocasa non è un buon motivo per fare tardi a lezione.
- Forza, Ruff ci sta aspettando – sospiro, sistemandomi meglio la tracolla sulla spalla ed iniziando ad avviarmi. È solo dopo diversi secondi che mi rendo conto, grazie all’insospettabile silenzio che mi accompagna, che gli altri non si sono mossi di un passo.
Mentre mi volto verso di loro, le mie sopracciglia si inarcano lentamente, in una muta domanda.
- Storia della Magia? – Non credo che James dovrebbe esibirsi in un tono così perplesso nel pronunciare il nome di una materia che frequentiamo da ormai sei anni. - È questa la tua proposta, Moony?  
- È questa la proposta dell’orario scolastico – ribatto piccato, mentre il sorrisetto che fa capolino sulle labbra di Sirius fa risuonare all’istante un campanello d’allarme dentro di me.  
- Non pensateci neanche, – sibilo, fulminandoli a turno con gli occhi.
- Oh andiamo, protesta James con quello che dovrebbe essere un sorriso convincente.  – È Ruff: non se ne accorgerà nemmeno.
- Non si accorgerà dell’assenza di quattro studenti? – Questa volta le mie sopracciglia si sollevano in un muto insulto.
- In effetti, Moony, credo proprio di no, – interviene Sirius, appoggiando un gomito sulla spalla del suo degno compare. -Voglio dire, non  si è nemmeno accorto di essere morto.
Vorrei avere la risposta pronta e rimettere immediatamente Sirius al suo posto, perché sono abbastanza sicuro che accorgersi o meno della propria morte sia qualcosa di assolutamente intimo e personale, ma mi rendo anche conto che se dessi voce a questi pensieri, i miei amici riderebbero fino alla fine dei loro giorni.
- In fondo il compito di Storia c’è appena stato, – constata cautamente Peter, che in certe situazioni fa da mediatore tra la parte esageratamente irragionevole del gruppo, che sarebbero James e Sirius, e quella esageratamente ragionevole, che sarei io. E se Peter dice che possiamo saltare la prima ora, allora forse possiamo davvero saltare la prima ora.
Ma Peter diceva anche di essere in grado di mangiare quindici frittelle di fila e Peter, come il mio maglione sa fin troppo bene, non poteva davvero mangiare quindici frittelle di fila. Non senza vomitare comunque.
 

                                                                                               *


È una contrazione minima del labbro superiore di Remus, quasi impercettibile ad un occhio non allenato, ma noi Malandrini sappiamo riconoscerla per quello che è:l’esitazione. 
Ed è questo il momento di passare all’attacco, coprendo con le nostre voci supplicanti quella della coscienza, e ancora di più della spilla da Prefetto, di Remus.
- Dai, Moony, non fare il guastafeste.
- Non esploderà nulla, parola di Malandrino.
- Nemmeno tu hai veramente voglia di sentire la cantilena di Ruff.
- Non sarà niente di troppo contrario alle regole, davvero.
- E torneremo in tempo per Difesa.
- Torneremo da dove? – Remus sospira profondamente, chiudendo gli occhi. Questo è il segnale: sta per cedere.
- Dal campo di Quidditch, ovviamente.
James ha un sorriso smagliante e lo sguardo ingenuo, come se non avesse appena sferrato il colpo di grazia.
Perché ora James ha detto ‘Quidditch’ e non è come se qualcuno di noi potesse rifiutargli qualcosa.
 

                                                                                        *
 


- Sai che c’è?
Allison posa immediatamente la piuma con cui aveva appena iniziato a prendere appunti, voltandosi speranzosa verso di me.
- Che c’è? – trilla sollevata, allontanando da sé il foglio di pergamena quasi intonso. 
Pochi banchi più in là il suo fidanzato Martin si schiarisce rumorosamente la gola, fissandola eloquentemente. Mi chiedo come faccia a riportare ogni parola di Ruff sulla pergamena e controllare allo stesso tempo che Allison stia facendo lo stesso. Dev’essere una cosa da Corvonero.Allison ricambia la sua occhiata indicandomi con un cenno del capo ed alzando le spalle e per un momento vorrei essere stata zitta. Già non ho l’impressione di stare molto simpatica al ragazzo della mia amica, complice quell’incidente con l’inchiostro il primo giorno di scuola –e che sarà mai una macchia sulla divisa? Ma se ora divento anche la scusa ufficiale di Allison per rompere il loro patto e smettere di prendere appunti, rischio di non essere invitata al loro matrimonio. Perché se Allison aveva davvero intenzione di ascoltare Storia Della Magia solo perché lo aveva promesso a lui, allora si sposeranno.
- Allora, – esclama Allison allegra, voltandosi nuovamente verso di me, per nulla turbata dal breve, ma, a giudicare dalla forza con cui Martin sta incidendo i suoi appunti ora, intenso litigio appena avvenuto. - Che c’è?
- Lo sai, vero, che non è affatto una cosa urgente? - sussurro, mentre il mio cuore mi grida ad ogni battito sempre più accelerato che questa è la più urgente di tutte le urgenze.
- Certo che lo so. Ma la mia era un’urgenza, – commenta Allison con un sorrisetto. – Ed ora parla, che c’è?
- C’è che ho appena deciso di invitare James Potter ad Hogsmeade – rispondo tutto d’un fiato.
Le mie orecchie sono già pronte a difendersi da qualsiasi perforante suono stia per scaturire da Allyson, ma lei mi sorprende con un’insolita calma.
- Lo dici solo perché lui non è in classe. Non appena lo vedrai cambierai idea.
Devo ammettere che è molto più facile dire che inviterò James Potter ad Hogsmeade quando, anche volendo, non posso farlo. E probabilmente cambiare idea non appena mi fossi trovata nella stessa stanza con lui è esattamente quello che avrei fatto, ma ora Allison lo ha detto ad alta voce ed io non posso darle ragione. Non per una questione di orgoglio o altro, ma Allison diventa assordante quando ha ragione. 
- Non appena lo vedrò, glielo chiederò.
In fondo non è detto che io debba vederlo per forza. Ci sono buone probabilità che non si presenti nemmeno alle lezioni successive, oppure che io subisca un brusco calo alla vista da un momento all’altro, specialmente se Ruff continua a scrivere con una grafia così piccola.  Che diavolo c’è scritto lì? Goblin o Gobbiglie?



*
 

- Per Godric, Padfoot, l’hai presa! – esclamo sconvolto, fissando il mio migliore amico sospeso a pochi metri da me, di fronte all’anello centrale della porta.
- L’ho presa! – Sirius guarda ad occhi sgranati la Pluffa stretta spasmodicamente tra le sue mani, come se dovesse sgusciargli via da un momento all’altro.  
- Voglio dire, – aggiunge schiarendosi la voce ed assumendo un tono più dignitoso. - Certo che l’ho presa.
- Dovrò avvisare Sam, Annie e Daniel che il loro posto come Cacciatori è a rischio, - ghigno, facendo segno a Sirius di rilanciarmi la Pluffa. - Non posso farmi sfuggire una tale promessa del Quidditch.
-Aspetta – replica lui, per poi gridare a pieni polmoni:
-REMUS! PETER!
C’è un solo, terrorizzante istante in cui sono sicuro che Peter morirà, perché nemmeno io posso attraversare l’intero campo in meno di due secondi e Remus se la cava a volare, ma non ha dei gran riflessi. Poi Peter recupera l’equilibrio e l’unica cosa che si schianta al suolo è la Pluffa che stava per lanciare. Mentre entrambi si voltano verso di noi, posso quasi sentire il sospiro colmo di disapprovazione di Remus. Incurante di aver appena quasi gettato un suo amico giù dalla scopa con un grido, Sirius alza le braccia al cielo con un sorriso raggiante.
- L’HO PRESA! - grida euforico, sventolando la Pluffa.
Peter, anche lui completamente dimentico dell’accaduto, si esibisce in un applauso accorato e, tempo pochi secondi, sia lui che Remus ci hanno raggiunto e stanno festeggiando Sirius come se avesse appena vinto la Coppa del Mondo. È una fortuna che non ci sia nessuno a parte noi ad assistere a questa scena, perché quel qualcuno direbbe ‘Ha solo preso una Pluffa!’ senza avere la più pallida idea di quanto Sirius sia incredibilmente abile nel non prendere le Pluffe, anche quando gliele lanci praticamente in mano. Che è quello che ho fatto poi, ma questo è meglio non farglielo notare.
È il mio migliore amico, ma è una frana nel Quidditch.
Trovo piuttosto bizzarro come queste due caratteristiche possano convivere nella stessa persona, in realtà.
- D’accordo, siamo tutti molto felici che Sirius abbia scoperto di avere delle mani e di poterle usare per afferrare oggetti, ma ora dobbiamo andare, - Remus scocca un’occhiata al suo orologio. - Difesa inizierà tra poco.
Il dannato orologio. 
Sul viso di Sirius si rispecchia il mio stesso pensiero: come abbiamo potuto dimenticarci di farglielo Evanescere? 
- A proposito di Difesa, - inizio cautamente, cercando l’appoggio degli altri con lo sguardo. – Se invece...
-Ti piace Difesa – sibila Remus, assottigliando lo sguardo.
Remus ha ragione.
In questo momento non lo contraddirei nemmeno se avesse appena affermato che mi piace essere preso a calci sulle gengive, ma ha effettivamente ragione: mi piace Difesa. Non quanto il Quidditch, certo, ma mi piace. Quello che non mi piace è il nuovo professore di Difesa e, cosa ancora più rilevante, io non piaccio a lui. E davvero, non dovrebbero coesistere nello stesso castello ben due persone a cui non piaccio. I Serpeverde chiaramente non contano, dal momento che non rientrano nella mia definizione di ‘persone’. La mia definizione di Serpeverde, d’altro canto, è molto più volgare.  
- Mason mi odia, – sbuffo lamentoso, mentre Sirius ridacchia beato. Inutile dire che trova a dir poco spassoso il modo in cui vengo bistrattato durante le ore di Difesa.
-Il professor Mason non ti...d’accordo, ti odia, ma questo non è un buon motivo per saltare la sua lezione, - stabilisce Remus sbrigativo. – Hai detto che avremmo perso solo Storia e se c’è una cosa che mal tollero, quella è proprio...
- La mal tolleri addirittura? – Questo non è il momento migliore per prendere in giro Remus, lo sento dalla vena sforzata che pervade la sua voce, come se evocasse la calma ad ogni parola, ma proprio non riesco a trattenere il ghigno che mi si allarga automaticamente sulle labbra. - Allora è una cosa seria.
- Serissima, - annuisce gravemente Sirius. - Quasi quanto noi.
- Benissimo, – Le labbra di Remus premono l’una contro l’altra con una forza notevole. – Fate come volete. Ma io non vi copro, sia chiaro che io non vi copro.
 
 

 **********
 
 



- Signor Lupin, sa per caso dove si trovano Potter e Black?
Mentre sollevo lentamente lo sguardo sul professor Mason, estraendo la pergamena per gli appunti dalla borsa, noto vagamente come James e Sirius non siano degni di alcun appellativo oltre al cognome. Noto anche, con un certo disappunto, come il professor Mason si sia rivolto immediatamente a me, come se fossi l’unico Malandrino in classe, quando sono abbastanza sicuro che quello al mio fianco sia proprio Peter. Mi ha raggiunto dopo pochi minuti e questo può significare solo che il modo in cui James e Sirius hanno scelto di occupare il tempo non è così innocuo come volevano darmi a bere.
- James non si sentiva molto bene e Sirius è rimasto con lui nel caso avesse bisogno – rispondo impassibile, sostenendo lo sguardo sospettoso del professore, mentre nelle orecchie mi risuona qualcosa di molto simile a ‘io non vi copro, sia chiaro che io non vi copro’. Grazie Penny, lo so da me cosa ho detto.
- D’accordo Signor Lupin, verificherò – replica mellifluo il professore, calcando sull’ultima parola in modo da farmi capire chiaramente che non mi crede.
Come se ce ne fosse bisogno. Non mi credo nemmeno io. 

       
                                                                                          *
 


Sia lodato Godric.
Anche per quest’ora sono salva.
Cosa mi è saltato in mente?
Invitare James Potter ad Hogsmeade?
E perché mai, di grazia?
D’accordo, perché sono cotta di lui. Perché mi ha quasi baciata.
Perché ha il sorriso più bello di Hogwarts e dintorni.
Perché se non lo faccio Allison passerà la vita a ripetermi ‘Lo sapevo’.    
Perché potrebbe dirmi di sì. 
 

 
                                                                                           *


Devo ammettere che Lupin ha un certo talento: non è da tutti mantenere un’espressione così impassibile nell’esporre una palese fandonia. Negli anni deve aver sviluppato una certa abilità a forza di coprire i suoi amici, in barba alla sua spilla da Prefetto. 
James non si sentiva bene e Sirius è rimasto con lui nel caso avesse bisogno. Certo, nel caso avesse bisogno di aiuto ad appendere qualcuno a testa in giù.
Per fortuna il professor Mason non è uno che si lascia abbindolare, specialmente se c’è Potter di mezzo.
Per quanto non sia il mio professore preferito, il suo odio nei confronti di Potter me lo fa sentire particolarmente vicino.
Intendo più vicino di quanto io non lo senta anche solo per il fatto che io ed Alice siamo sedute proprio di fronte alla cattedra. Non è stata una scelta del tutto volontaria, questa.
È vero, solitamente mi piace sedermi in prima fila, perché, oltre al semplice fatto che è il punto più fisicamente lontano da Potter, rende più facile seguire la lezione senza distrarsi.
Ma un conto è semplicemente la prima fila, un conto è proprio di fronte alla cattedra: quello è masochismo puro. Quello è come piazzarsi di fronte al nemico, braccia spalancate ed una X sul petto e nella bocca le parole ‘Fa di me ciò che vuoi’. Quello è...insomma, erano gli ultimi due banchi vicini disponibili.
Ed essere disposta a vedere così da vicino l’enorme neo peloso che vive sulla guancia del professor Mason, dissimulando il terrore, il disgusto e la voglia matta di ridere, solo per sedermi vicino ad Alice, ecco, questa è amicizia.
 

                                                                                              *


Quando Sirius ha proposto di fare un giro nella Foresta Proibita, Peter ha deciso che dopotutto non era il caso di perdere la lezione di Mason.
Quando Sirius ha proposto di fare un giro nella Foresta Proibita, avrei dovuto prendere la stessa decisione del mio tondeggiante amico, perché per quanto la faccia di Mason sia spaventosa, il cupo ringhiare che proviene da pochi metri da noi lo è ancora di più.
Quando Sirius ha proposto di fare un giro nella Foresta Proibita, soprattutto, avremmo dovuto ricordarci delle bacchette, invece di lasciarle al campo da Quidditch con le borse e le sciarpe.
Tira anche un certo venticello, già. Non che questo sia così importante, dal momento che presto la mia gola verrà squarciata da qualunque essere stia producendo questi suoni bizzarri dietro quei cespugli che continuano ad essere troppo vicini a noi.
Se non fosse che mi sto impegnando con tutte le mie forze a stare il più immobile possibile, prenderei a pugni Sirius per la sua dannata idea. Perché la Foresta Proibita? Perché non le cucine? Che razza di problema ha con le calde, comode cucine piene di Elfi Domestici pronti a servirti e riverirti invece di creature oscure che aspettano solo di saltarti addosso?
- Sirius – sussurro il più silenziosamente possibile, cercando tuttavia di far capire al mio amico quanto odio io provi per lui in questo momento, ma anche quanto in generale io gli voglia bene, perché potremmo star per morire da un momento all’altro.
- Cosa? - sussurra lui e pare proprio che non si stia impegnando quanto me, dato che il suo cosa suona solo vagamente scocciato, ed anche sforzandomi fatico a trovarvi traccia alcuna del senso di colpa che sicuramente lo starà divorando, tantomeno dell’immenso affetto che prova per me.
- Sento l’impulso di gridare in modo molto poco virile e di strapparmi i capelli – confesso a bassa voce, mentre il ringhiare si trasforma in un suono ancora più lugubre, qualcosa di molto simile ad un essere vivente che ne divora un altro decisamente meno vivente. Mi chiedo se anche noi faremo questo rumore  quando ci mangerà.   
- Se ora grido in modo molto poco virile e mi strappo i capelli, – parlo lentamente, ostentando una certa calma. -Lo dirai a tutti?
- Se sopravviviamo, sì, lo dirò a tutti, - ammette immediatamente Sirius con grande sincerità. - Quando non sarò impegnato a sfotterti, chiaramente.  
Dannazione.
Sirius è la persona peggiore con cui rischiare di essere divorato.
Remus, d’altro canto, avrebbe capito il mio bisogno di avere una reazione isterica a e mi avrebbe offerto la sua comprensione. Remus, d’altro canto, non si sarebbe mai spinto così a fondo nella Foresta Proibita senza bacchetta.  Difatti Remus è a lezione, ora, e non sta per essere divorato da nessuna creatura oscura, professor Mason a parte.
- Qualcosa ci sta per mangiare, Pad! – sbuffo infastidito, cercando di ignorare i rumori raccapriccianti che si stanno facendo sempre più forti. - Perché tu non senti l’impulso di gridare?
- Sono cresciuto a casa Black – risponde Sirius con una scrollata di spalle e probabilmente dovrei essere più sconcertato di così.
- E cosa facevi in questi casi a Grimmaulde Place?
- Beh, di solito la cosa nascosta nell’ombra ed in procinto di sbranarmi era mia madre, – replica pratico Sirius. - E quello che facevo era dare la colpa a Regulus, sperando che lei decidesse di mangiare lui.
- Non c’è Regulus qui – constato, lasciandocomunque vagare lo  sguardo nei dintorni, come se il fratellodi Sirius dovesse spuntare da un momento all’altro da dietroun albero.
- No, e comunque non funzionava, dato che la megera ha sempre adorato Regulus ed odiato me – aggiunge Sirius, mentre io azzardo un passo all’indietro.
Una parte di me era sicura che il mio piede si sarebbe posato su un ramoscello, spezzandolo con un sonoro crack, che sarebbe stato poi anche il suono delle mie ossa tra le mandibole della belva.
Non so perché sono indietreggiato lo stesso, se ero così sicuro che l’esito non potesse essere niente di diverso dalle mie ossa fatte a pezzi, fatto sta che non c’era nessun ramoscello dietro di me. C’è da dire che sono ancora incredibilmente troppo vicino al cespuglio ringhiante per potermi lasciar andare ad un ululato di gioia.
- La cosa che ci sta per mangiare però non ha preferenze, giusto? – riflette Sirius, arretrando a sua volta. - Insomma se io ti spingessi tra le sue fauci e poi iniziassi a correre, non mi inseguirebbe ricordandomi che vergogna sono per i Black o...
- Mi spingeresti tra le sue fauci?
- Ma non direi a nessuno dell’urlo da ragazzina che faresti prima di essere divorato – Sirius si è voltato verso di me, ora, e mi fissa dritto negli occhi con la sua espressione più profonda. Credo che sia convinto di avermi appena detto qualcosa di molto carino.
- Quindi lo faresti – insisto crucciato, perché se il mio migliore amico sta per spingermi tra le braccia della morte, voglio che sappia quanto questo mi susciti indignazione.
- Ma non approfitterei della tua impossibilità di negare tutto per sfotterti! – Sirius pare spazientito, come se non afferrassi qualcosa di incredibilmente semplice. - Concentra la tua attenzione su questo, James.
- Oh, davvero un grande amico,grazie – soffio indispettito.
- Non fare l’offeso ora. Sono il tuo migliore amico, dovresti gettarti volontariamente tra le fauci di quella cosa per difendermi, - È seccante come tutto suoni sensato e maturo in bocca a Sirius, quando sono abbastanza sicuro di avere tutti i diritti di essere appena un po’ risentito. - Aspetta. Senti?
- Il rumore della nostra amicizia che va in frantumi? Sì, lo sento.
- No, no! La cosa. Se n’è andata.
- Probabilmente temeva che volessi stringere amicizia anche con lei, Sirius. Davvero, spingermi tra le sue fauci per poi scappare? 
 
 


**********
 

 

Dopotutto il professor Mason non scoprirà che gli ho mentito.
James si è preso il raffreddore andando a zonzo nella Foresta Proibita senza la sciarpa. E quando, al suonare della campanella, il professor Mason si è precipitato nella Sala Comune dei Grifondoro, vi ha effettivamente trovato James e Sirius, tranquillamente appostati su due poltroncine di fronte al fuoco ed apparentemente non invischiati in nulla di nocivo.
Non hanno voluto dirmi come mai si sono trattenuti così poco nella Foresta: quando gliel’ho chiesto per la terza volta, James mi ha starnutito dritto in faccia e così ho deciso di desistere. 

                                                                                                                               
*
 

Credo che Remus sia arrabbiato con me.
È ridicolo che pensi sul serio che gli ho starnutito addosso apposta per farlo stare zitto.
Certo, è stato piuttosto divertente e non nego di essere stato tolto da una situazione spiacevole: Remus non deve sapere del nostro incontro con la cosa, perché Remus farebbe cambiare il suo nome in Remus-te-l’avevo-detto-Lupin e tra parentesi, no, non me l’aveva detto, che se avessi saltato la lezione di Mason mi sarei imbattuto in una creatura mostruosa nelle cui fauci Sirius avrebbe ipotizzato di gettarmi.
- Remus, - lo chiamo, senza tuttavia riuscire a fargli distogliere lo sguardo dalle fiamme che scoppiettano nel camino. – Sei sicuro di non essere arrabbiato con me?
- Ne sono sicuro – replica impassibile, smettendo di guardare il fuoco solo per afferrare il primo libro a disposizione sul tavolino alla sua sinistra ed avere una scusa ancora migliore per non guardarmi.
Mentre Remus apre una pagina a caso del libro e ci si immerge, io incrocio lo sguardo di Frank che, sul divanetto accanto al nostro, mi guarda basito, la piuma stretta in mano ed una pergamena sulle ginocchia. Probabilmente si sta chiedendo perché Remus gli ha appena sfilato il libro di cui stava facendo riassunti da sotto il naso.
Peter gli si affianca prontamente, ufficialmente per spiegargli che sarebbe rischioso reclamare il suo libro, ufficiosamente per allontanarsi dal silenzio carico di tensione che è calato attorno a Remus.
- Non che non mi piacerebbe, Moony, ma ti giuro che non so starnutire a comando – insisto cautamente, mentre Sirius, spaparanzato al mio fianco, sospira pesantemente. E non è mai una buona cosa che Sirius sospiri in quel modo, soprattutto se questo accade quando Remus è chiuso in uno dei suoi silenzi.
Automaticamente mi raddrizzo allarmato.
- Non è quello il problema, James – sospira Remus, voltandosi finalmente a guardarmi.
- E qual è allora? – chiedo incerto, mentre con la coda dell’occhio noto Sirius incrociare le braccia al petto con un po’ troppa foga.
Pessimo, pessimo segno.
- Era proprio necessario saltare anche Difesa?
Prima che io possa rispondere, una voce esasperata mi precede.
- Ed è proprio necessario farne una tragedia?
Ora sì che vorrei saper starnutire a comando.
Lo farei in faccia a Sirius e gli toglierei quell’espressione irritata dalla faccia.
 

                                                                                                     
*


Io e Peter abbiamo abbandonato definitivamente ogni facciata di conversazione ed ora stiamo fissando James, Sirius e Remus ad occhi sgranati.
Non è come se sentissimo davvero quello che dicono, perché Peter ha insistito affinché ci spostassimo quasi dall’altra parte della Sala. Si è persino offerto di fare lui i riassunti di Erbologia al mio posto, purché non interrompessi gli equilibri al momento piuttosto delicati dei Malandrini richiedendo il mio libro a Remus.
 Lo apprezzo, davvero, ma l’ultima volta che ho controllato, la piantina affidata a Peter dalla professoressa Sprite era piuttosto morta e in fondo non è così indispensabile farli proprio ora.
Anche senza il mio intervento, tuttavia, pare che gli equilibri siano crollati: James continua a spostare lo sguardo da Remus a Sirius con l’aria di chi si è appena lasciato sfuggire la situazione di mano e ho come l’impressione che la sua testa stia per esplodere.
 

                                                                                                     
*
 


- È che per una volta mi piacerebbe comportarmi da Prefetto, senza mentire ai professori per coprire voi due. Almeno il giorno dopo che abbiamo...ah, lasciate perdere, è sempre la stessa storia, – Remus scuote la testa, riabbassando lo sguardo sul libro. 
- Ora non ricominciare a fare finta di leggere, - sbuffa Sirius ed improvvisamente non è più al mio fianco, ma in piedi di fianco a Remus con il libro tra le mani.
Ed è a questo punto che capisco che devo fare qualcosa, perché ci sono momenti in cui non puoi togliere un libro di mano a Remus e questo è il signore di tutti quei momenti.
 

                                                                                                     
*
 

Sirius mi ha appena sottratto il libro che avrei anche potuto voler leggere dalle mani ed ora mi sta fissando con la sua ridicola espressione da ‘Forza, dimmi qualcosa’
E dirgli qualcosa è esattamente quello che intendo fare, non appena James si sarà tolto di mezzo.
- Ecco il tuo libro, Moony, – esclama fin troppo allegramente, piazzandomelo di nuovo tra le mani, mentre alle sue spalle Sirius si fissa le mani ora vuote. Non è James il Cercatore mica per niente. – Hai avuto proprio una bella idea, sai? Credo che dovremmo tutti ripassare Erbologia. Le piante sono così affascinanti.
Non appena faccio per aprire bocca, James circonda le spalle di Sirius con un braccio, aumentando ulteriormente il tono di voce. – Ehy, Pad, tu non trovi che le piante siano affascinanti?
E questo è, in sintesi, il motivo per cui noi Malandrini non litighiamo tra noi.
Non è che non ci proviamo, è che James lo rende davvero difficile. Quasi impossibile in realtà, fisicamente parlando.
Ricordo ancora la volta in cui, al terzo anno, ha spinto me e Sirius nel Lago Nero per distrarci dalla lite che stava nascendo. Trovo persino difficile arrabbiarmi con lui, quando fa cose del genere: c’è qualcosa di tenero nel modo in cui non può sopportare che vi siano problemi tra i Malandrini, anche se tenero non è la prima cosa che ti viene in mente quando ti ritrovi all’improvviso nell’acqua gelida del Lago Nero e non sai nuotare.
Certo è che Sirius è quasi impossibile da distrarre, quando è di malumore ed ha davvero voglia di litigare. Ricordo ancora come riuscì a litigare con me in massima serietà, come se James non gli avesse appena rovesciato la caraffa di succo di zucca sulla testa, al quarto anno. D’altro canto Sirius ha sempre avuto questa assurda capacità di conservare dignità e serietà anche con i capelli impiastricciati e sostanze appiccicose che gli sgocciolano sugli occhi.
- Lo so io che piante piacciono a te – sbuffa Sirius, sfilandosi da sotto il braccio di James con un mezzo sorriso e tornando a stravaccarsi sul divanetto.
James ghigna, senza però staccare gli occhi da me, come a rassicurarsi che il pericolo litigio sia davvero passato. E prima che si senta in dovere di ricominciare a blaterare sulle piante, mi affretto a sorridergli, posando di nuovo il libro sul tavolino.
In fondo è meglio litigare con la mia spilla da Prefetto che con i miei amici.
- Comunque, se proprio vuoi saperlo, Moony, siamo tornati presto perché James se l’è fatta sotto per via di uno scoiattolo particolarmente grande.
- Vuoi venire ad Hogsmeade con me?
- Non era uno scoiattolo! Ciao Lizzie, hai detto qualcosa?
 

                                                                                               *
 

‘Non era uno scoiattolo’non è esattamente la risposta che una ragazza si aspetta quando propone un appuntamento al ragazzo dei suoi sogni. ‘No’, ‘Mai’, ‘Neanche se mi paghi’, ‘Sei pazza?’, d’accordo, posso accettarli, ma non ‘Non era uno scoiattolo’. 
Da quando ci sono scoiattoli ad Hogwarts?
Da quando io invito James Potter ad uscire con me?
E perché non gli ho almeno detto ‘Ciao’ prima di dire l’indicibile?
Beh, lui non ha capito. Stava pensando agli scoiattoli. Brave persone, gli scoiattoli.
Sono ancora in tempo per cambiare versione, ‘No, James, non ho detto nulla’, ma Black ha proprio l’aria di chi ha sentito e Black è quel tipo di persona che troverebbe immensamente divertente smascherarmi all’istante.
- Ti ho chiesto se vuoi venire ad Hogsmeade con me.
- Perché non lo inviti nelle serre invece? A James piacciono così tanto le piante.
Nonostante al momento io non abbia il pieno controllo del mio corpo, sono pronta a giurare di aver guardato James mentre parlavo, ma a rispondere non è lui.
Sto iniziando a pensare che avrei dovuto farlo lontano dai suoi amici. Credevo fosse una regola che vale solo per le ragazze, ma a quanto pare no.
Ed in ogni caso Black stava scherzando, giusto?
Il ghigno gongolante con cui ha parlato non mi induce a prendere sul serio il suo consiglio. E a James non possono davvero piacere le piante così tanto, lo sa tutta la scuola che al terzo anno è finito in Infermeria per via del Platano.
- Sta zitto, Sirius – sbuffa James, prima di voltarsi verso di me con aria solenne. Beh, forse non ha nessuna aria in particolare, ma i miei occhi sono velati dalla solennità e questa volta non ci saranno scoiattoli di mezzo.
- Ora posso riavere il mio libro?
Io maledico te e la tua discendenza, Frank Paciock.
- Sì.
Sì! Sì, cosa? Sì, vengo ad Hogsmeade con te o sì, puoi riavere il tuo libro?
- Dici a me o a lui?
- Non credo che James voglia andare ad Hogsmeade con Frank.
- Sta zitto, Sirius.
Già, sta zitto Sirius.
- Cosa?
Perché Paciock è ancora qui?
- Già, cosa? 
Perché sono tutti qui adesso?
- Alice, ti giuro che io rivolevo solo il mio libro.
- Non voglio andare ad Hogsmeade con Frank.
- Ed io non ti ho invitato!
D’accordo, forse la terza volta sarà quella buona.
- Quindi verrai ad Hogsmeade con me?
- Io prendo il mio libro e vado, d’accordo?
Frank Paciock me la pagherà.
- Ho detto di sì.
A chi hai detto di sì?
- A tutti e due.
- Andrai ad Hogsmeade con entrambi?
- Sirius, stai incasinando la situazione apposta!
- Oh sì, ma devi ammettere che me lo state rendendo incredibilmente facile.
- Io prendo il mio libro. E non verrò ad Hogsmeade con te.
- Certo che no.
- È il mio libro, perché non posso...
- Certo che puoi prendere il tuo libro! No che non verrò ad Hogsmeade con te!
- Ma io non te l’ho chiesto!
- Grazie Godric, per questo momento meraviglioso.
- Ora basta. Frank, prendi il tuo libro e sparisci, sappiamo che non vuoi andare ad Hogsmeade con James. Lizzie, James verrà ad Hogsmeade con te, perché questo è quello che ho capito e non intendo essere contraddetto. Sirius, sei un dannato bastardo. Tutto chiaro?
Lupin ha parlato così velocemente che non sono sicura di aver afferrato tutto, ma non ha lo sguardo di una persona che tollererà dalle nostre bocche qualcosa di diverso da‘Chiaro’. 
E chiaro è esattamente quello che esce dalle labbra di ognuno di noi, Prewett compresa.
- Ed ora spiegatemi la storia dello scoiattolo – lo sento esigere autoritario, mentre mi allontano verso il divanetto in cui Allison mi sta aspettando con un sorriso a trentadue denti.
- Allora?
- Pare che sabato James Potter verrà ad Hogsmeade con me.
E forse con Paciock, ma questo a lei è meglio non dirlo.


   

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


 

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CAPITOLO 17.

 

 

 

 

 

 

 

James sta elencando da mezz’ora quelli che secondo lui sono gli utilizzi più diffusi della pietra di luna nelle Pozioni. 
Più della metà dei nomi che sta citando non esistono e non c’è davvero nulla di bizzarro in questo: che in Pozioni è negato l’ho scoperto al primo anno, quando, alla seconda lezione, ha fuso il calderone e buona parte della pietra del pavimento. 
 Non è bizzarro nemmeno il fatto che questo suo eccesso di zelo stia avvenendo alle due e un quarto di notte: il primo è stato un anno di grandi scoperte, tra cui il fatto che James parla nel sonno quasi più di quanto non faccia da sveglio. 
 All’inizio è stato divertente: io, Remus e Peter ci dilettavamo ad ascoltare e commentare i suoi monologhi infiniti e spesso privi di senso. Questo le prime notti. Quando le occhiaie hanno iniziato ad essere una costante sui nostri visi, abbiamo smesso di divertirci. C’è voluto tutto il nostro impegno e diverso tempo per riuscire a raggiungere il livello a cui siamo ora, a sei anni di distanza: si tratta di ignorare completamente qualunque fantasia comprenda l’utilizzo di un cuscino in modo più o meno violento, accettare come sacrosanta legge dell’universo che mai e poi mai potrai imporre a James il silenzio, accantonando subito qualsivoglia minaccia ed infine concentrarsi al punto da rendere i borbotti impastati di James un piacevole sottofondo e non un ostacolo al sonno. Sono diventato incredibilmente bravo in questo e devo dire che, quando ancora non vivevo da lui, durante le vacanze estive trovavo surreale e persino inquietante addormentarmi senza la sua voce nelle orecchie. 
 Ciononostante, ci sono ancora delle notti in cui il tono di voce di James si fa improvvisamente più alto del solito, tanto da non poter in alcun modo essere fatto passare in secondo piano. In quel caso l’unica soluzione è ascoltare e sperare che il discorso sia noioso al punto giusto da farti addormentare. E Pozioni è una noia, ma James mette così tanta enfasi in ogni parola, come se stesse facendo la telecronaca di una partita di Quidditch. E lo potrei capire, se almeno gli piacesse Pozioni. Che razza di problema ha quel ragazzo?
Ora sta mormorando qualcosa su Remus e la luna piena, che, a proposito, sarà tra pochi giorni. Questo spiega i livelli di simpatia pari a quelli di una banshee con le mestruazioni raggiunti da Moony ultimamente. Una parte del mio cervello sta disperatamente cercando di spegnersi, ma l'altra registra automaticamente ogni singola parola che esce dalla bocca del mio migliore amico.
C’è un motivo se è risaputo che James Potter non ha segreti per Sirius Black.
E non ha nulla a che vedere con il capire i suoi silenzi.
È che James non fa silenzio, nemmeno quando dorme.

*
 

- James.
Riemergendo dalla mia tazza di caffelatte, punto lo sguardo su Frank, interrogativo.
- Sirius sta dormendo sulle sue frittelle – mi annuncia, come se Sirius non fosse proprio di fronte a me e non lo vedessi da solo che sta dormendo sulle frittelle. 
Nemmeno a me piace svegliarmi presto la mattina, ma Sirius è totalmente fuori luogo: neanche avessimo fatto tardi questa notte.
- Vedo. E perché lo dici a me?
- Perché, dopo che l'anno scorso mi ha appeso a testa in giù perché lo avevo svegliato, ho un po’ paura a provarci di nuovo. Anche se è sulle frittelle.
Sì, Sirius non è il massimo dell'affabilità appena sveglio, come del resto in qualunque altro momento.
- E tu sei il suo migliore amico – aggiunge Frank ed ha tutta l’aria di aspettarsi qualcosa da me.
- Lo sono, - acconsento con un’alzata di spalle. – Ma questo non significa necessariamente che sia compito mio impedirgli di dormire sulle frittelle.  
Non capisco proprio perché Frank mi stia guardando in quel modo, ora.
Se Sirius stesse dormendo su un distillato della morte vivente o sul dorso di un Ungaro Spinato, lo salverei, ma sono frittelle. Delle frittelle non faranno di me un pessimo migliore amico, no?
- Stai pensando che sono un pessimo migliore amico, vero?
- No, James, veramente...
- Vedo la disapprovazione nei tuoi occhi.
- Non lo faccio apposta, mi dispiace.
- Magari credi anche che sono stato io a spingere la testa di Sirius sulle frittelle. È così, Frank?
- No, in realtà ho visto la testa di Sirius ciondolare lentamente e abbassarsi sempre di più, fino a quando non ha raggiunto spontaneamente e dolcemente il piatto.
- Quindi se non lo avessi visto con i tuoi occhi, avresti sospettato di me.
Adoro far andare Frank nel panico. Così come adoro vedere Sirius che dorme con la faccia nel piatto, ma dal tavolo dei Serpeverde due ragazzi ridacchiano e indicano vistosamente Sirius e nessuno, oltre a me, dovrebbe poter ridere di Sirius in questa scuola. 
- Padfoot.
Evidentemente il piatto non concilia il sonno pesante, perché Sirius si tira su di scatto con aria smarrita.
- Cosa?
- Ti eri addormentato sulle frittelle – lo informo, cercando di fargli capire con lo sguardo che questo è il momento di sentirsi in imbarazzo. Ma naturalmente l'imbarazzo non è contemplato nella gamma di sentimenti riscontrabili sul viso di Sirius Black: per qualche astrusa meccanica della sua mimica facciale tale sentimento è immediatamente tradotto in una sufficiente aria di superiorità.
- Non stavo dormendo – stabilisce difatti quasi offeso, ostentando una dignità che una persona con un pezzo di frittella spiaccicato sul sopracciglio non dovrebbe avere.
Mi chiedo come ci riesca, ad essere così ridicolo per tutto il tempo. Probabilmente non è nemmeno colpa sua, è semplicemente l'abilità innata della sua faccia di attrarre tutti gli oggetti appiccicosi nel raggio di un miglio. 
- Beh, è una fortuna, - butto lì con tono casuale, versandomi lentamente del caffelatte nella tazza. - Altrimenti sarei costretto a pensare che Wilkies e Smith stanno ridendo di te.
Seguono diversi secondi di silenzio, poi dal tavolo dei Serpeverde proviene uno schianto, immediatamente seguito da ulteriori schiamazzi e risate, e credo proprio che ora Sirius non sia più l'unico ad avere più cibo sulla faccia che nel piatto.

*
 

- Io lo so il perché, – bofonchia Alice con la bocca piena di bacon, cercando di trattenere un sorrisetto sospetto.
Il fatto che anche la mia bocca sia piena mi esime dal doverle rispondere con qualcosa in più di uno sguardo perplesso, il che è una fortuna, dato che non saprei davvero cosa dirle, oltre a qualche pedante osservazione sul parlare prima di aver deglutito. È che a volte Alice parte da quello che dovrebbe essere il centro o la fine del discorso, dimenticando completamente di introdurlo. Ed io davvero non ho idea di cosa stia parlando ora ed ho la certezza di voler restare nella mia ignoranza, dato che il suo sguardo continua a spostarsi verso il fondo del tavolo, dove Potter e Black stanno facendo un gran baccano. Se la clessidra di Grifondoro non fosse già così disperatamente vuota in confronto a quelle delle altre Case, mi alzerei e farei notare alla McGranitt come le risate di Black e Potter e le teste di due Serpeverde appena riemerse dai loro piatti non possano essere due eventi completamente scollegati tra loro. Ma è mattina anche per noi Prefetti e, cosa molto più importante, Alice continua ad avere quel sorrisetto impaziente sulle labbra.
- ll perché di cosa, Alice? – mi rassegno infine a chiedere con un sospiro, se non altro per evitarle una paresi facciale.
- Davvero non te ne sei accorta, Lily? – La mia amica pare sinceramente stupita. - Pensavo te lo stessi domandando.
Le mie sopracciglia si inarcano automaticamente, come fanno praticamente ogni volta in cui uno qualsiasi degli abitanti di questo castello apre bocca. Non sono certa di quale tipo di rughe possa portare ripetere ossessivamente questo movimento all’incirca venti volte al giorno, ma se dovessi azzardare un’ipotesi, direi che lo sguardo della McGranitt ne è un esempio lampante. Mentre il viso segnato della mia professoressa si sovrappone al mio, causandomi uno spiacevole brivido lungo la schiena, cerco con tutta me stessa di rilassarmi nel tentativo di far tornare le sopracciglia alla loro postazione originaria. Ma è impossibile tenere a bada tutte le parti del proprio corpo prima di una certa ora del mattino. Sono così tanto grata che le persone non possano leggere i miei pensieri.
- Ragiona con me, Lil, - mi invita Alice, come se potesse davvero esserci qualcosa di ragionevole in tutto questo. - Oggi è venerdì.
Quanti altri venerdì di occhiatacce passeranno prima che le mie sopracciglia rimangano semplicemente incastrate lassù? È il caso che io chieda alla McGranitt quando è successo a lei?
- E il venerdì è il giorno prima del sabato.
Alice, beatamente ignara della crisi esistenziale che si sta svolgendo all’interno della mia mente, continua ad elencare i giorni della settimana come se stesse esponendo sconvolgenti rivelazioni sulla vita e sulla morte. 
- Quindi cosa succederà domani?
Dev’essermi sfuggito qualcosa di terribilmente ovvio nel ragionamento di Alice, il ragionamento stesso probabilmente, perché il suo tono è così carico di aspettativa, come se io dovessi per forza conoscere la risposta.
- Mi siederò vicino a qualcun altro per colazione, ecco cosa succederà.
- C’è l’uscita ad Hogsmeade! – sbotta Alice esasperata,  prima di ristamparsi quel sorrisetto da gossippara sulla faccia. - Ed io so  perché Potter non ti ha ancora invitata.
Il mio sguardo si sposta automaticamente su suddetto Potter, che sta ora cercando di spingere Black giù dalla sedia. Idiota. 
 Ma Alice ha ragione.
Ha uno sguardo da pazza e non capisco perché tragga tanto piacere dai pettegolezzi, né come faccia ad essere sempre così informata su tutto e tutti, ma ha effettivamente ragione. Domani c’è l’uscita ad Hogsmeade e, nonostante ci troviamo nella stessa stanza da quasi mezz’ora, l’idiota che risponde, generalmente in modo ghignante e beffardo, al nome di Potter non mi ha ancora invitata. Questo è, oltre che piacevole e liberatorio, assolutamente bizzarro. Era dai tempi della sua storiella con Marlene McKinnon, al quarto anno, se non sbaglio, che non mi concedeva una tregua. Non stacco gli occhi dal corpo di Potter che ora, dopo che Black, guadagnandosi la mia momentanea simpatia, si è ribellato ed è riuscito a buttare lui giù dalla sedia, sta intralciando il passaggio a delle Tassorosso ridacchianti. Mentre si rialza me lo vedo già voltarsi all’improvviso e gridarmi il suo solito sentitissimo invito. Ma non succede. Dopo un pigro scappellotto a Black, Potter riprende posto senza voltarsi dalla mia parte nemmeno per sbaglio. Interessante.
- Tu sai il perché, – realizzo improvvisamente puntando gli occhi su Alice, in attesa.
Posso percepire la felicità emanata dalla mia amica ad un livello nettamente fisico, che non ha veramente nulla a che fare con il suo sorrisetto gongolante. È invisibile, ma consistente e reale; è intorno a noi e ad ogni mio respiro mi invade completamente, insinuandosi ovunque. È comprensibile. Ad Alice non piace semplicemente il gossip, lei ha effettivamente un talento nel praticarlo. Talento che io reputo inutile, certo, ma che oggettivamente parlando esiste ed è innegabile: passo la maggior parte del mio tempo con lei, ma non ho idea di come faccia a raccogliere così tante informazioni su chiunque in così poco tempo. Ed io di certo non le do molte soddisfazioni: l’ultimo risvolto nel triangolo amoroso di persone che conosco solo di vista o il nuovo taglio di capelli della Logan non sono argomenti che suscitano il mio genuino interesse, in genere. A meno che il nuovo taglio della Logan non sia particolarmente esilarante, come quella volta in cui si era versata in testa un’intera Boccetta Colorante Rosa Salmone, nessuno ha ancora capito se volontariamente o no e...questo non è rilevante, a dire il vero, anche se è stata la settimana più bella della mia vita. Della vita di tutta Hogwarts, credo.
Il punto è che Alice sa qualcosa, come al solito, qualcosa che suscita il mio più sincero interesse e questa è una novità bella e buona. È per questo che non le faccio fretta, mentre si prende il suo tempo prima di rispondermi, crogiolandosi nella sensazione di vittoria.
- Ebbene, Lily, – inizia finalmente e quasi posso vedere il suo petto gonfiarsi impercettibilmente. - Pare che Potter abbia già invitato qualcun altro per l’uscita ad Hogsmeade di domani.
- Per Godric, Alice! Lo sai anche tu?
Non so da quanto tempo Mary stia ascoltando, dato che qualcosa come due minuti fa era immersa in una fitta conversazione con Ross, uno dei Cacciatori di Grifondoro, ma Alice non sembra turbata dal suo improvviso intervento. Non al punto da farsi finire nei polmoni una quantità non indifferente di caffè, perlomeno, come è invece successo a me, ma questo può anche essere dovuto al fatto che non è nelle orecchie di Alice che Mary ha appena trillato sconvoltaE Alice non è una ragazza che si lascia turbare facilmente, ad esempio il fatto che la sua migliore amica, alias io, si sia appena accasciata tossendo sul tavolo, non sembra toccarla più di tanto.
- Certo che lo so, ero proprio lì quando è successo, - commenta Alice compiaciuta, sporgendosi appena verso di me per assestarmi qualche lieve pacca sulla schiena, più simbolica che altro. - Santo cielo, Lil, aggiungi un po’ di zucchero al caffè, se così non lo reggi.
- E davvero ti sta bene che Potter vada ad Hogsmeade con il tuo ragazzo?
È un bene che io mi stessi già strozzando, perché dopo le ultime parole di Mary sarebbe stato inevitabile un secondo soffocamento.
 
 

**********
 
 

- Lo sai, James, sei pessimo nell’accettare gli inviti delle persone.
Immediatamente poso la bacchetta, perché non posso continuare ad esercitarmi nell’incantesimo Evanescente e difendermi dalle crudeli insinuazioni di Remus nello stesso tempo. Per la cronaca, sono un asso nell’accettare gli inviti, come in qualunque altra cosa del resto. Basta sorridere, passarsi una mano tra i capelli, sorridere di nuovo e blaterare qualcosa a caso, perché tanto saranno tutte troppo impegnate a guardare il mio sorriso splendente per prestare veramente attenzione a quello che dico.  L’equivoco con Lizzie è stato dovuto unicamente ad una sventurata combinazione di pessimi tempismi quali il suo e quello di Frank.
- Oh, davvero, Moony? Ricordami quand’è stata l’ultima volta che hai accettato l’invito di una ragazza.
- Non lo ricordo, Prongs, così come non riesco a ricordare l’ultima volta in cui mezza scuola si è convinta che sarei andato ad Hogsmeade con Frank, - ribatte Remus pacato, senza smettere di far svanire e ricomparire la sua piuma e apparentemente per nulla toccato dalla mia frecciatina. - Probabilmente perché a me non è mai successo.
Prima che io possa spiegare a Remus come tutta questa situazione sia il più lontano possibile dall’essere anche solo minimamente colpa mia, la voce indignata di Sirius ci raggiunge dal banco dietro ai nostri.
- Vi state scambiando battutine acide senza il mio contributo? È questo che state facendo?
- Signor Black, silenzio.
Il professor Vitious, dall’alto della sua pila di libri, lancia un’occhiataccia a Sirius e alle mie spalle sento un sospiro frustrato. È quasi affascinante il modo in cui il mio migliore amico non possa aprire bocca all’interno di un’aula, neppure tra le voci degli altri studenti, senza che il professore di turno lo senta alla perfezione e riprenda immediatamente. Trattengo a stento un ghigno, cercando di mostrarmi desolato.
- Guarda cosa hai fatto, Moony. Il povero Padfoot è caduto vittima del tuo ossessivo desiderio di rigirare il coltello nella piaga.
- Quale piaga? Mi sembri piuttosto sereno, a dire il vero.
- Alice ha capito l’equivoco e ci sono buone probabilità che non mi avveleni nel sonno, - spiego con un’alzata di spalle. - E tra qualche giorno avranno tutti trovato qualcos’altro di cui parlare.
- Smettete di confabulare a bassa voce, - sbuffa Sirius con voce lamentosa, - Mi sento escluso.
Remus apre la bocca in quel suo modo da Prefetto e sta sicuramente per commentare il fatto che siamo a lezione e che non dovremmo parlare affatto e noia noia noia, ma io lo precedo con un sussurro, in modo che Sirius non possa sentire:
- Non gli rivolgere la parola, Moony! Fingi di avere qualcosa di interessante da dirmi.
- Perché diamine dovrei...
- Più convinto, Moony, più convinto!
-Sei pazzo, - stabilisce Remus, finalmente con la giusta enfasi. - Credo che tu sia pazzo, non so nemmeno perché ti sto dando corda.
- Perfetto, - Con la coda dell’occhio riesco a vedere Sirius sporgersi sempre di più verso di noi, mezzo piegato sul banco. - Ed ora esponimi la Guerra delle Bacchette, Moony, ti esalta come poche cose al mondo. Sirius penserà che mi stai confidando il segreto della vita.
- La Guerra delle Bacchette non mi esalta affatto, - ribatte indignato, già con quella vena di fervore nella voce che solo Storia Della Magia riesce a tirargli fuori. - È stato un tragico evento per tutta la popol...
- Piantatela! Voglio sentire anch’io. Sono i miei capelli? James, avevi giurato che non erano strani!
- Cinque punti in meno a Grifondoro. Se sento di nuovo la sua voce, la sbatto fuori, Black. E si rimetta seduto composto.
Cerco di sghignazzare il più silenziosamente possibile, mentre Remus smette immediatamente di parlare, assumendo un’espressione profondamente pentita. I sensi di colpa lo tormenteranno almeno fino all’ora di pranzo, a giudicare dalla foga con cui ha afferrato la bacchetta per riprendere l’esercitazione. Non so perché dopo sei anni di convivenza con noi non sia semplicemente in grado di lasciarsi scivolare di dosso dettagli insignificanti come cinque punti. Non è che non sappia vedere il lato divertente di certe situazioni, perché sono abbastanza sicuro che questa sera, quando saremo tutti nel letto da un po’ e la stanza sarà immersa nel buio, il silenzio sarà improvvisamente interrotto da un suono soffocato proveniente dal letto di Remus e sapremo che si è improvvisamente reso conto di quanto fosse effettivamente divertente l’espressione indignata di Sirius. È per la sua capacità di assumere espressioni così ridicole che ho lanciato quell’incantesimo allo specchio, questa mattina, subito prima che Sirius entrasse in bagno ed ora è convinto di avere i capelli più lunghi e più mossi del solito.
 
 


**********
 
 

Non appena metto piede nella Sala Grande, è come se tutti gli studenti di tutte le Case smettessero di mangiare, parlare, avere una vita e si voltassero verso di me.
- Andiamo via, – esclamo nel panico più totale, afferrando Allison per un braccio e iniziando a trascinarla verso l’uscita.
- Non ci pensare nemmeno, - sbuffa lei, liberandosi dalla mia presa e agguantandomi a sua volta per impedirmi la fuga. – Non salteremo il pranzo perché tu sei paranoica, Lizzie. Ma che aveva in testa il Cappello Parlante quando ti ha smistata a Grifondoro, mh?
Senza che io possa fare nulla per frenarlo, mi sfugge un risolino piuttosto stridulo, perché che cosa può mai avere in testa un cappello? Se non avessi lo sguardo di tutto il mondo puntato addosso, probabilmente non lo troverei così divertente. Dev’essere così: lo capisco dal viso perplesso di Allyson che per le persone che non hanno migliaia di riflettori puntati in faccia non c’è assolutamente nulla di comico nella sua frase.
- Non sono paranoica, – mi affretto a chiarire, rifiutandomi di muovere un altro passo all’interno di quel covo di occhi puntati su di me. - Guardati attorno: lo sanno. Lo sanno e non fanno altro che fissarmi.
Allison lascia vagare lo sguardo per la Sala con un sospiro, prima di piantarmi in faccia un’espressione seccata.
- Ora indicami una sola persona che ci sta guardando, a parte quel ragazzino del primo anno a due metri da noi che probabilmente vuole solo capire se ci decideremo mai a sederci o resteremo qui in eterno.
Questo è facile, penso sicura, guardandomi attorno. Se tutti  in tutto il mondo mi stanno fissando, sarà facile indicare ad Allison, che evidentemente è momentaneamente affetta da una grave forma di cecità, anche solo una persona. Tuttavia dopo diversi secondi di perlustrazione, sono costretta ad ammettere che le persone stanno andando avanti con la loro vita, guardandosi a vicenda, guardando il cibo, le proprie unghie, persino i sederi altrui, c’è chi si stropiccia gli occhi, ma nessuno mi sta fissando.
- D’accordo, forse sono un po’ paranoica, – constato sconfitta, suscitando il sorriso trionfante di Allison. - Andiamo a sederci.
Ancora inspiegabilmente a disagio, mi dirigo frettolosamente verso i primi posti liberi nel tavolo di Grifondoro, quando incrocio lo sguardo corrucciato di una Corvonero. Io sono senz’altro paranoica, ma lei mi sta fissando e così le sue amiche. Mi volto di scatto verso Allison, ma lei ha seguito il mio sguardo e blocca il mio agognato ‘Te lo avevo detto’ sul nascere.
- Quella è Emily Nichols e non conta. Sa cosa fa James Potter prima di Potter stesso. Se dopo sei anni non ha ancora seppellito il corpo di Evans da qualche parte nel parco, tu puoi stare tranquilla per una sola uscita ad Hogsmeade.
Lancio un’occhiata ad Evans, tranquillamente impegnata a mangiare e chiacchierare con delle compagne. Non sembra appena uscita da una profonda buca nel terreno o cose simili. Niente terriccio sulla divisa, né graffi: non sembra aver subito aggressioni di recente. Questo è piuttosto rassicurante, ma lo sguardo della Clark continua a sembrarmi lievemente omicida ed improvvisamente mi chiedo se sia stata una buona idea invitare James Potter ad Hogsmeade.
È esattamente quando lo vedo, seduto a qualche posto di distanza da me, indicare per qualche strana ragione i capelli di Black, ridendo e parlando concitato, che mi ricordo che è stata l’idea migliore della mia vita. Dopo quella di non mettere quell’orribile maglioncino rosa con i pon pon il giorno del mio quattordicesimo compleanno, ecco.

*
 


- Sai che mi ricordi vagamente mia zia Suzanne, Sirius?
- La renderò una morte lunga e dolorosa, Potter.
- Ne avete ancora per molto, voi due?
- Sta’ zitto, Moony. Non hai visto cosa ha fatto ai miei capelli?
- Santo Godric, non c’è niente che non vada con i tuoi capelli! È lui quello con i capelli strani!
- Cosa? Da quando sono quello con i capelli strani?
- Da quando sei nato, James.

*

 
- Possibile che debbano sempre fare tutto questo casino quelli là? Ora vado a...
- Lo sai che se vai da loro, quello là dirà che sei solo gelosa perché non ti ha invitato ad Hogsmeade, vero, Lily?
 

*
 

- Non è normale che sia così bello.
- Santo Godric, Lizzie, sei più ripetitiva di Ruff.
- Da quando ascolti Ruff tu?

*
 

- Evans mi sta fissando.
- Tutti ci stanno fissando, James. Perché voi due fate più casino di una Mandragola.
- Ora non dire voi due come se non ci fosse nessun noi quattro, Moony.
- Non capisco di che vai blaterando, Pad.
- Stava per alzarsi e venire qua, prima che Alice la fermasse. 
- E ringraziamo il nostro inviato James Potter per la cronaca in tempo reale. Restate sintonizzati per ricevere le ultime notizie dal pianeta Evans.
- Chiudi il becco, Padfoot.

*
 

- Mi sta fissando. Guarda, Alice, Potter continua a fissarmi.
- Forse sta fissando Frank invece. È proprio di fianco a te.
- Amore, ne abbiamo già parlato: è stato un equivoco.
 

*
 

- Mi passi il pane, Allison?
- Ecco.
- Grazie.
- Sembra che Potter stia guardando dalla parte di Evans, no?
- Starà pensando al prossimo scherzo da farle.
- Già.
- Già.

*
 

- Probabilmente voleva sapere perché questa volta non l’ho invitata ad Hogsmeade.
- Probabilmente voleva ringraziarti e pregarti di continuare così.
- Ripensandoci, forse voleva solo sapere come sei riuscito a farti dei boccoli così perfetti, Sirius.
Boccoli?  Remus, ha davvero detto boccoli?

*
 

- E se proprio mi sentissi attratto da un ragazzo, cosa che non è, non sarebbe comunque James.
- E chi è?
- Stai peggiorando la situazione, Frank.
- Me ne sto rendendo conto, Lily, grazie. Sarebbe, amore,  chi sarebbe, perché non è.
- Bene, amore, chi sarebbe?
- Non possiamo fingere che io non abbia parlato?

*
 

- Peter? 
- Cosa?
- Puoi dirmi cos’hanno i miei capelli? Almeno tu, mio unico amico, mio più caro amico, mio più fidato...
- Niente, Sirius. James ha fatto un incantesimo allo specchio.
- Peter!
- Mi dispiace, James. Volevo solo farlo smettere. Mi stava mettendo a disagio.
- Allora hai fatto qualcosa! Brutto figlio di una...

*
 

- Figlio di una Banshee! Black?
- Alice, calmati.
- Il mio ragazzo ha una cotta per Black, Lily! Come faccio a calmarmi?
- Si faceva per dire, amore! E stavamo parlando solo del lato puramente estetico.
- Frank, dammi retta, non aggiungere altro.
*
 

- Dovresti andare a cambiarti, James. Se la McGranitt vede come hai conciato la tua divisa ci toglierà dei punti.
Prego? Come ho conciato?
- Come Sirius ha conciato, come vuoi. Ora vai.
- Ci vediamo alla quercia, zuccottino.
- Fottiti, Sirius.

*

 
- Frank, Alice, potreste smettere per un attimo di litigare e godere con me di come quell’idiota di Potter si sia rovesciato mezza caraffa di succo di zucca sulla maglia?
 


**********
 


Anche dopo essermi fatto una doccia e cambiato, continuo a sentire un vago odore di zucca, mentre cammino svelto per i corridoi di Hogwarts per raggiungere l’ingresso. È più difficile di quello che sembra, dato che gli altri studenti sembrano dover andare tutti nella direzione opposta alla mia, senza contare le dannate scale che mi hanno riportato al quinto piano per due volte di fila. Non so a cosa stessero pensando i fondatori quando hanno avuto la brillante idea di costruire delle scale a cui piacesse cambiare. Davvero, di tutte le cose che potevano inventarsi, le scale dotate di vita proprio sono decisamente...
- Scusa, mi potresti tenere Pinky?
Quando mi volto per vedere chi mi ha afferrato per la manica, trovo all’altezza dei miei occhi solo Roger Talbot, un Corvonero del settimo anno, e per qualche secondo mi chiedo da quando la sua voce è così simile a quella che avrebbe un gattino, se solo i gattini parlassero. Poi lui mi supera senza degnarmi di uno sguardo ed io noto che effettivamente c’è ancora qualcuno aggrappato alla mia manica. Abbassando lo sguardo incrocio gli occhi di una Tassorosso evidentemente del primo anno, a giudicare dalla breve distanza tra le scarpette di vernice nera e l’enorme fiocco giallo che spicca tra i capelli scuri. Se non fosse l’essere umano più piccolo che io abbia mai visto, le offrirei all’istante un posto tra i Malandrini: quel vistoso fiocco colorato è una lampante sfida alla McGranitt.
- Grazie! – trilla contenta prima di correre via ed io vorrei farle presente che non ha motivo di ringraziarmi, a meno che non lo stia facendo per il fatto cheanche oggi sono così bello. Ma probabilmente non è per quello, dato che le persone tendono a dare per scontata la lucentezza dei miei capelli e lo splendore del mio sorriso, e allora davvero non capisco cosa ci sia da ringraziarmi, dato che non ho accettato di tenere proprio nulla, specie quel sospetto batuffolo rosa che ora è proprio tra le mie mani. Quando è successo? Probabilmente mentre pensavi ai tuoi capelli, è la subitanea risposta che risuona nella mia mente con la voce di Remus. Anche l’immaginaria risata di Sirius è piuttosto distinguibile, oltre che irritante.
Probabilmente è anche per il fatto che la mia testa mi parla con le voci dei miei amici che ora mi ritrovo nel bel mezzo di un corridoio con una puffola pigmea rosa di nome Pinky tra le mani. Dannazione.

*

 
- Quanto ci mette James? – sbuffo, appoggiato al tronco della quercia, affondando ancora di più le mani all’interno del mantello. - Sto congelando.
- La professoressa Sprite ci aspetta alle serre tra pochi minuti – commenta preoccupato Remus, occhieggiando impaziente al castello.
 -Lieto che il mio principio di ipotermia ti interessi meno dell’arrivare tardi a lezione, Moony.
- Oh, sta zitto. A sentire te sei sempre nel bel mezzo di un problema fisico insormontabile: muoio di fame, congelo, casco dal sonno.
Vorrei che Remus vedesse la mia espressione indignata, ma la sciarpa mi copre metà faccia.
Dannato James Potter, dove si è cacciato? La sta cucendo la maglia con cui cambiarsi?
 

*
 

- È una puffola pigmea quella, Potter?
Non sta succedendo. Non è semplicemente ammissibile che Piton sia qui ora. Quella non era la sua voce e questa non è la risata di Avery. Sono sicuro che Hogwarts trabocca di persone che ridono come se stessero in realtà soffocando.
- Un rospo o un gufo non erano alla tua altezza?
Non guardarli, James. Non guardarli e spariranno.
- Interessante scelta di colore, Potter. O dobbiamo chiamarti principessa?
Al diavolo.
Stampandomi un sorriso tirato in volto e socchiudendo leggermente gli occhi, mi giro finalmente verso i due Serpeverde, sfoggiando Pinky a testa alta, come se non ci fosse nulla di imbarazzante in tutto questo. Se non posso fingere di non avere una puffola pigmea tra le mani, tanto vale ostentarla. 
 Mentre mi guarda, gli occhi di Piton brillano come se avesse appena scoperto che il Natale quest’anno arriverà in anticipo, se non fosse che Piton con tutta probabilità odia il Natale, così come la felicità in generale. Ma adora vedermi con una puffola pigmea rosa in braccio, oh se lo sta adorando. Sento il forte impulso di dirgli qualcosa di cattivo che gli cancelli quel sorrisetto compiaciuto dalla faccia, perché a Piton non dovrebbe nemmeno essere permesso sorridere in quel modo, o sorridere in qualunque altro modo, certo,  ma il batuffolo rosa e morbido che ho tra le mani blocca la mia inventiva più maligna. Forza James, concentrati sul naso adunco e sui capelli neri ed unti come l’anima del proprietario. Sulla piega disgustosa che hanno preso quelle labbra sottili. Sii sarcastico e perfido, così che si pieghino in quell’altro modo, sempre disgustoso, ma non più compiaciuto. Umiliato e furioso, oh sì. Falle attorcigliare in quel modo, quello molto più piacevole da vedere sulla faccia di Piton. La vocina di Sirius ha confinato quella di Remus da qualche parte dentro il mio cranio ed ora mi sta gridando di umiliare Piton, cosa che vorrei fare dal più profondo del cuore, ma mentre cerco l’insulto migliore da rivolgergli in tale occasione, non riesco a smettere di pensare a quanto Pinky sia eccessivamente rosa e morbida tra le mie mani. Ed evidentemente nemmeno Piton può essere umiliato da uno che persiste nel tenere tra le mani una puffola pigmea rosa.
- Non ti dico quello che ti farò la prossima volta che ci incontreremo solo perché ho una puffola pigmea in braccio e non mi prenderesti sul serio, – comunico con tutta la dignità possibile, fissando Piton dritto negli occhi.
Mentre mi allontano impettito e la risata di Avery si fa più forte, il pelo soffice di Pinky non basta a bloccare i pensieri malvagi che mi si affacciano alla mente.
 

*

 
- Guarda il naso di Peter, Moony. Quello non è nessun colore esistente.
Remus fissa a lungo il naso di Peter, che si limita a soppesare il vuoto in silenzio. Credo che la sua voglia di vivere si sia congelata qualche minuto fa.
- D’accordo, - stabilisce infine Remus. – Tu vai a cercare James, noi diremo alla Sprite che hai perso il tuo paraorecchi preferito e che ti sta aiutando a cercarlo.
 

*

 
Dopo essermi allontanato con una certa fretta da Piton ed Avery, mi sono dovuto rassegnare a tornare esattamente dove li avevo lasciati, perché stando nell’esatto posto in cui ho incontrato la ragazzina, posso almeno fingere di credere sul serio che tornerà da un momento all’altro a riprendersi il suo orripilante animaletto, togliendomi così da questa sgradita situazione. Fortunatamente Avery e Piton se ne sono andati, il che è piuttosto strano a dire il vero: non sembrano il genere di persona che ha qualcosa di meglio da fare che stare in giro per i corridoi a fissare gli altri studenti. Naturalmente le apparenze possono ingannare, dato che agli occhi di tutti quelli che passano per questo corridoio io sono appena diventato il tipo di persona che ha una puffola pigmea. Se almeno si fermassero, invece di limitarsi a scoccarmi una veloce occhiata sconcertata, potrei spiegare ad ognuno di loro che questa non è affatto la mia puffola pigmea, che non ne ho mai avuta una in vita mia e che se proprio ne avessi una, non sarebbe rosa. Ma no, nessuno che si fermi. È molto meglio tirare dritti e raccontare poi a mezza scuola che James Potter ha una puffola pigmea rosa. Proprio mentre due ragazze spariscono ridacchiando oltre l’angolo ed io sbuffo sonoramente per l’ennesima volta, un viso amico compare finalmente nella mia visuale. Sirius mi passa davanti senza nemmeno rallentare, salvo poi fermarsi di colpo a pochi passi di distanza da me, lo sguardo fisso nel vuoto. Resto anch’io immobile per qualche secondo, prima di inarcare un sopracciglio.
- Sirius?
- Solo un momento, James, per favore, – replica continuando a guardare dritto davanti a sé, e cosa ci sarà mai di così interessante in fondo al corridoio vuoto, quando la persona più interessante di Hogwarts è proprio dietro di lui? -  Lasciami fingere per qualche altro secondo che l’idiota con la puffola pigmea rosa in braccio non sia il mio migliore amico, poi sarò subito da te.
- Beh, - resto per un attimo spiazzato da come Sirius riesca sempre a insultarmi con apparente educazione. C’è lo zampino del suo sangue Black in questo. – Beh, non è che a me piaccia stare qui, con questa, questa cosa in braccio e non sapere nemmeno il perché. E ti posso assicurare che è molto meno morbida di quanto sembri, non che a me piacciano gli animaletti morbidi e rosa comunque,  ma sta infilando i suoi dentini aguzzi nella mia mano e questo è ancora meno piacevole del modo in cui mi stanno fissando tutti quanti, come se avessi davvero dato retta alla parte di me che mi suggerisce di gettare a terra Pinky e di prenderla a calci.
- Aspetta, aspetta: Pinky?
-Lo so.
- No, tu non lo sai. Come potresti essere ancora lì, sapendolo?
- Senti, se proprio volessi dannare la mia anima per l’eternità, sceglierei comunque un modo meno scellerato che abbandonare la puffola pigmea affidatami da una Tassorosso del primo anno. Una Tassorosso, Pad. Lo so persino io che non si maltrattano i Tassorosso, sarebbe come impiccare il peluche preferito di un bambino.
Qualcosa nella piega che assumono le labbra di Sirius mi suggerisce che lui ha probabilmente passato l’infanzia ad impiccare peluche ed in fondo non è poi così strano che suo fratello non gli rivolga più la parola.
- Fammi capire: lasciarti mordere le dita da una palla di pelo rosa di nome Pinky è il tuo modo di salvare la tua anima?
- È il mio modo di non impiccare peluche.
- Se proprio vuoi saperlo, a casa Black non c’erano peluche, quindi piantala di...
- Non ho detto una parola.
- I tuoi occhi, Prongs. Non fanno che insinuare cose, sai.

*
 

A volte è irritante il modo in cui James capisce sempre cosa mi passa per la mente, come se ogni mio pensiero mi scorresse sulla fronte e lui potesse leggerlo tranquillamente lì sopra. È irritante perché mi fa venire l’istinto di coprirmi la fronte con le mani e questo è folle, dato che non esistono incantesimi del genere e se ci riesce è solo perché è James.
Ma in questo caso ha veramente toppato alla grande, perché impiccare peluche non è una delle cose che Sirius Black fa.
Bé, è successo in realtà, ma una volta sola, quando Andromeda aveva regalato a Regulus questo cavallo enorme che occupava un sacco di spazio inutilmente ed aveva degli occhi a forma di biglia veramente ebeti. Ed io ero pienamente soddisfatto delle mie Cioccorane, solo che a un certo punto sono finite, mentre Regulus continuava a girare per casa con il suo cavallo e, insomma, se l’è cercata.
Trattengo a stento un ghigno compiaciuto, nel pensare a come lo avessi convinto che, dopo quello che avevo fatto al suo cavallo di pezza, non poteva più giocarci, perché sarebbe stato come trascinarsi in giro per casa un cadavere.
Una volta credeva a tutto quello che gli dicevo.
È stato anni prima che iniziasse ad ascoltarli davvero.

*
 

C’è il principio di un ghigno sulle labbra di Sirius, ora, e questa è la conferma che impiccare peluche è una delle attività che il mio migliore amico ha esercitato nel corso della sua esistenza. C’è anche un’ombra malinconica nei suoi occhi, che fa un po’ male anche a me, come i denti di Pinky che mi rosicchiano il pollice. Istintivamente apro la bocca, prima ancora di aver pensato a qualcosa da dire che distolga Sirius da qualsiasi pensiero gli stia passando per la testa – e non dovrebbe nemmeno essere difficile attirare la sua attenzione ora come ora, mentre stringo tra le mani un così valido incentivo a prendermi in giro. Ma prima che io possa pronunciare anche solo una parola, l’ultima voce che vorrei sentire in questo momento mi precede. So di aver definito in un modo simile anche la voce di Piton, ma quando sia la tua virilità che la tua dignità sono messe a repentaglio, sono diverse le ultime voci che vorresti sentire.
- Signor Potter, devo chiederle di seguirmi nel mio ufficio.
Quella della McGranitt è tra queste.
- Come mai?
- Perché quella che ha tra le mani non è un gatto, né un rospo, né un gufo. E al suo sesto anno qui lei dovrebbe aver imparato che quei tre sono gli unici animali ammessi ad Hogwarts.
- Professoressa, onestamente, le sembro un tipo da puffola pigmea? Rosa?
- Onestamente, signor Potter, da lei mi aspetto qualunque cosa e qualunque colore. Ed ora venga con me, a meno che non sia in grado di fornirmi una spiegazione su come si sia ritrovato tra le mani un animale non suo.
- Mi crederebbe se le dicessi che una ragazzina del primo anno me l’ha piazzata in mano per poi sparire?
- No, signor Potter.
- Lo immaginavo, - sospiro, mentre la McGranitt parte decisa alla volta del suo ufficio, senza nemmeno controllare che io la stia effettivamente seguendo. Prima di incamminarmi sconfitto dietro di lei, incrocio per un attimo lo sguardo di Sirius, che ha evidentemente colto in questa situazione un motivo d’ilarità che mi sfugge. 
Se non altro è tornato di buon umore, il bastardo.   
 

*

 
- Lizzie, ti dispiacerebbe concentrarti? – sbuffa Allison per l’ennesima volta. -Non intendo essere sfigurata solo perché tu guardi ovunque meno che qui!
- Sì, scusa, - mormoro distrattamente senza distogliere lo sguardo dall’ingresso della serra, subito prima che qualcosa di tremendamente appuntito penetri nel dorso della mia mano, bucando i guanti di protezione.
- Ahi! Dannazione, - gemo, arretrando di scatto ed afferrandomi la mano, mentre Allison, la mia migliore amica Allison, quella grandissima figlia di una Banshee di Allison, scoppia a ridere di gusto. - Stupido coso!
Geranio Zannuto, signorina Carson, - mi riprende immediatamente la professoressa Sprite, trotterellando con un certo compiacimento al mio fianco. - E faccia più attenzione, tutti voi fate più attenzione: il sapore del sangue li rende solo più aggressivi.
Non so nemmeno come sia possibile che questi dannati affari diventino più aggressivi di così, dato che è dall’inizio dell’ora che tentano ininterrottamente di staccarci la testa, o qualunque altra parte del corpo, a morsi. Ma se c’è una cosa che sei anni di Erbologia con la professoressa Sprite mi hanno insegnato, è che le piante trovano sempre il modo di diventare più violente.
- No, signor Paciock, torni al suo posto, è solo un graffio, - È bizzarro come la professoressa Sprite sembri in pace con se stessa solo quando è circondata da studenti spaventati e sanguinanti. Non ha mica quella luce felice negli occhi quando ci mostra come coltivare l’Algabranchia o qualunque altra pianta non sia in grado di ucciderci. - Se dopo la fine della lezione sentirà ancora il bisogno di andare in Infermeria, non la tratterrò di certo.
Forse è solo per questo che James non è presente a lezione: ci tiene alla sua vita ed è rimasto al sicuro al castello. Non è detto che abbia deciso di fingersi morto perché ha cambiato idea e non vuole più venire ad Hogsmeade con me domani. Ho la sensazione che il mio sia un dubbio che Allison definirebbe ‘da paranoica’ e questo è poi il motivo per cui non l’ho espresso ad alta voce, ma una parte di me continua a provare l’impulso di attraversare la sala, raggiungere Lupin e riferirgli, oltre che è inutile tentare la via della diplomazia con il Geranio Zannuto, perché tanto non si calma, che può dire al suo amico che va tutto bene e che, se ha cambiato idea, non c’è bisogno di fingere la propria morte. Non sono sicura del perché non lo faccio, se è solo perché ci sono troppe zanne tra me e Lupin e non ne uscirei viva, o se è per via dell’altra parte di me, quella completamente folle che ritiene invece che l’unica cosa che potrebbe fermarmi dall’andare ad Hogsmeade con James, ora come ora, sarebbe appunto la sua morte, e quindi che continui pure a fingerla, se crede.
 

*
 

Non appena Sirius fa il suo ingresso nella serra, capisco subito che il Geranio Zannuto che ha già cercato tre volte di addentarmi la faccia, di cui solo due senza risultato, è ora l’ultimo dei miei problemi: James non è con lui e, dettaglio ancora più preoccupante, sul viso di Sirius fa bella mostra di sé una certa dose di entusiasmo, che non viene scalfita nemmeno dalla predica della Sprite sul suo eccessivo attaccamento al proprio paraorecchi, a sua detta superfluo durante questa lezione. E su questo, mi dispiace dirlo, il mio sanguinante orecchio sinistro si trova in totale disaccordo.
- Moony, - inizia eccitato, affiancandomi, - Non indovinerai mai per che cosa è appena stato punito James.
- Cos’ha fatto? – sospiro rassegnato, considerando tuttavia che in così poco tempo non può aver combinato nulla di troppo clamoroso. Purtroppo non riesco a impedire il continuo affacciarsi alla mia mente delle centinaia di modi in cui James sarebbe in grado di infrangere le regole in meno di dieci minuti e non tutti prevedono una quantità adeguata di vestiti.
- Indovina.
Hai appena detto...
- Possesso illegale di una puffola pigmea, - Sirius lo sputa fuori come se non potesse più tenerselo dentro e possesso illegale di una puffola pigmea è visibilmente motivo di immensa gioia per lui.  Rosa.
C’è un breve, ma infinito momento in cui restiamo in silenzio, occhi negli occhi, poi Sirius grida a pieni polmoni un’imprecazione che spicca tra i lamenti degli studenti e fa perdere cinque punti a Grifondoro, perché ‘È colpa sua che non si è infilato i guanti protettivi, signor Black e no, non andrà in Infermeria fino alla fine della lezione’.
E in tutto questo io continuo a chiedermi cosa ci sia che non va in James.
 

*
 

Ciao, Lizzie, mi dispiace, ma domani niente Hogsmeade per me. Sono in punizione perché sono stato beccato dalla McGranitt con una puffola pigmea.’
Sbuffo frustrato per l’ennesima volta, percorrendo a grandi passi i corridoi di Hogwarts. Suona male persino nella mia testa, non oso immaginare come debba essere ad alta voce. Quello che è di vitale importanza ora, tuttavia, è trovare un modo per nascondere Pinkie  agli occhi di tutti, specialmente di Sirius, fino a domani, quando, secondo la McGranitt, dovrei affidarla a qualcuno che la riporti ad Hogsmeade, dove è convinta che io me la sia procurata tramite qualche losco giroEsistono anche negozi che le vendono, ma no, secondo la mia Capocasa io sono immischiato in loschi giri di puffole pigmee. Mi ritengo ufficialmente ferito nel profondo e sconvolto dalla facilità con cui ha dato per scontato che fosse mia. Voglio dire, d’accordo, c’è stato quell’incidente con lo Snaso al terzo anno, ma...
- Eccoti! Ti ho cercato dappertutto! - Abbassando lo sguardo e riconoscendo il grande fiocco colorato, per un attimo vengo investito da un profondo sollievo, perché una parte di me stava iniziando a pensare di essersela immaginata. -Pensavo che avessi rapito la mia Pinkie!
- Ma dove eri andato? – mi sgrida stizzita, togliendomi Pinkie dalle mani. - Dovevi restare lì!
E con ultima occhiata imbronciata nella mia direzione, svolta l’angolo tutta impettita, lasciandomi impalato al centro del corridoio deserto a fissarmi le mani ora vuote. È inammissibile che io sia rimasto in silenzio, ma essere sgridato da una Tassorosso del primo anno alta un metro e una pluffa non è qualcosa che avevo previsto. I miei riflessi devono essere rimasti impigliati da qualche parte tra il pelo rosa di Pinkie. Dopo qualche altro secondo di esitazione, riprendo spedito verso la Sala Comune: i corridoi di Hogwarts sono pericolosi di questi tempi.E anche se ora Pinkie non è più un mio problema, resta il fatto che non posso dire a Lizzie che sono in punizione perché avevo una puffola pigmea.
Non è né virile, né malandrino, né affascinante. È solo rosa. 
 

 


**********
 

 

- Lo sai, James, - Inizia Remus, sfogliando distrattamente il manuale di Incantesimi. Devo sporgermi lievemente verso il suo letto per sentirlo oltre i colpi e gli sbuffi che provengono dalla porta chiusa del bagno. - Avevi ragione.
- Certo, non smetteva di ridere. 
- Non mi riferisco a Sirius, - precisa spazientito. - E prima o poi dovrai farlo uscire dal bagno, sai, sono sicuro che nella stanza accanto si stiano chiedendo il motivo di tutte queste grida.
- Frank! Mike! Mi sentite? Mi tengono prigioniero!
-D'accordo, d'accordo, - sospiro sconsolato afferrando la bacchetta. - Ma prima, a quale delle innumerevoli volte in cui ho avuto ragione ti riferisci?
- Nessuno si ricorda più della tua possibile uscita ad Hogsmeade con Frank, - inizia Remus con un sorrisetto che non mi piace per niente. - Hanno  già trovato qualcos’altro di cui parlare, esattamente come avevi previsto.
Il sorriso di Remus si allarga fino a trasformarsi in un perfetto ghigno malandrino e forse avrei dovuto chiudere anche lui in bagno con Sirius.
- Solo che sei sempre tu.
 
 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


 

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CAPITOLO 18.

 

 

 

 

 

 

 

Allison non dice una parola, ma so che mi sta giudicando. Sento i suoi occhi puntati sulle mie spalle e se da una parte questo è il giorno migliore in cui guardarmi le spalle, perché le mie sono spalle che andranno ad Hogsmeade con James Potter, non so se mi spiego, d'altra parte vorrei che si rimettesse semplicemente a dormire, lasciandomi il tempo di realizzare la cosa.
- Lizzie.
Per tutta risposta mi lascio andare ad un profondo sospiro, senza guardarla.
- Lizzie, - ripete lei, come se tutto quello che vuole comunicarmi fosse già riassunto nel mio nome. - Lungi da me incoraggiarti a presentarti con mezz'ora di anticipo al tuo appuntamento, ma potresti scendere in Sala Comune o almeno rimetterti a letto? Mi inquieta vederti immobile con la mano sulla maniglia.
- Ho la mano sulla maniglia, - preciso, stringendola ulteriormente a conferma delle mie parole. - Perché sto uscendo.
- Capisco, - inizia lei e il rumore di lenzuola mi avverte che si sta alzando. A tutte le unità, Allison in avvicinamento! Mi sentite? Codice rosso! - È solo che stai uscendo da un tempo considerevole ormai.
- Sto solo pensando a cosa dire, - chiarisco ragionevolmente. -Cose brillanti, sai. Non posso arrivare lì e dirgli 'Ciao, come stai? Dormito bene?'. 
- Non puoi andare e basta?
- Andare e basta ad un appuntamento con James Potter? - abbandono la maniglia per voltarmi verso la mia amica, in modo da esprimere al meglio la mia incredulità. - Santo Godric, Allison, ti senti quando parli? Ho bisogno di un piano.
- Apri la porta, scendi le scale, vai ad Hogsmeade con Potter, - elenca Allison mettendomi le mani sulle spalle. - Questo è il piano.
Sto per far notare ad Allison le immense lacune di tutto ciò, come una mia eventuale caduta dalle scale o i temibili silenzi imbarazzati che si potrebbero creare e che devo sapere come spezzare in modo dignitoso, ma prima che possa farlo, lei abbassa la maniglia al mio posto e mi spinge fuori dalla camera.
- Vai.

*

 
- Prongs.
Dal cumulo di coperte che nasconde il corpo di James proviene un borbottio impastato che suona alle mie orecchie ottimiste come un Moony, ma potrebbe benissimo essere un qualunque verso ancestrale e primitivo privo di significato.
- Sì, sono Moony.
Un altro mormorio più o meno amichevole mi conferma che sotto quell'ammasso di coperte si nasconde un minimo di reattività.
- Volevo solo informarti che sto per tirare le tende e che il raggio di luce da cui sarai investito a breve non è altro che il sole, che permette la vita su questo pianeta e non è affatto un nostro nemico, e non Sirius che dà fuoco al dormitorio. 
Il viso assonnato di James sbuca finalmente da sotto le lenzuola e si gira persino verso di me, anche se i suoi occhi continuano a rimanere più chiusi che aperti.
- Sirius darà fuoco al dormitorio?
- Non è quello che ho detto.
- Sto dormendo, Moony, - mormora James e non fatico a credergli. - Smetti di parlarmi.
- D'accordo, - stabilisco alzandomi e dirigendomi verso la finestra. Non appena la luce illumina la stanza, dai miei amici iniziano a provenire versi sofferenti, tranne che da Peter, il cui viso è affondato talmente in profondità nel suo cuscino da essere ancora immerso nell'oscurità più totale.
- Che diavolo sta succedendo? - mormora Sirius disperato, tirandosi le coperte fin sopra la faccia.
- Remus dà fuco al dormitorio, - mormora James ancora ad occhi chiusi. - Ma penso che voglia dare la colpa a te.
- Tecnicamente è colpa tua, James, - preciso, preparandomi a dare il colpo di grazie ai miei amici facendo entrare nella stanza anche l'aria gelida del mattino. -Sei tu che hai un appuntamento per andare ad Hogsmeade, non io.

*

 
James non c'è.
Forse si è improvvisamente reso conto di che imbarazzante persona io sia e ha deciso di non voler essere visto in giro con me. Lo capisco. Nemmeno io vorrei essere vista in giro con me, se non fossi me. O forse ha semplicemente deciso di presentarsi all’ora concordata e non con venti minuti d’anticipo come la sottoscritta. Ma non potevo rischiare di fare tardi: James non sembra il tipo di ragazzo disposto a sedersi tranquillo su un divanetto ad aspettare, come sta invece facendo Frank Paciock.
Un momento. 
 Perché Paciock è qui? Lupin ha chiaramente detto che James sarebbe venuto ad Hogsmeade con me. Lupin è una persona intelligente, Lupin ha la capacità di capire il succo del discorso e riassumerlo alle persone meno brillanti di lui. Lupin ha assegnato a me l’uscita con James e a Paciock solo il suo libro. Ma Paciock ha proprio l’aria di chi vuole andare ad Hogsmeade e nessuno si farebbe accompagnare ad Hogsmeade da un libro, a parte forse lo stesso Lupin. Ed in fondo quanto davvero posso fidarmi dell’intelligenza di Lupin? Gira voce che sostenga lunghe conversazioni con la sua spilla da Prefetto. E se proprio devi parlare con un oggetto inanimato, perché scegliere proprio l’unico che deve avere in serbo per te un’infinità di insulti e lamentele? Dopotutto è probabile che anche James sia piuttosto confuso su questo appuntamento. Scenderà semplicemente le scale e andrà ad Hogsmeade con chiunque lo stia aspettando e giuro su Godric che sarò io.
- Cosa stai facendo tu qui?
Con mia grande soddisfazione, Paciock sobbalza, colto alla sprovvista.
- Vado ad Hogsmeade, - parla lentamente e mi sembra piuttosto perplesso: probabilmente si aspettava che mi arrendessi senza combattere, povero illuso.
- No, non ci vai, - stabilisco perentoria, constatando allo stesso tempo come la stazza fisica di Paciock potrebbe essere un problema in caso lo scontro si spostasse su un livello meno verbale.
- Sì, ci vado.
- Non esiste, - continuo risoluta, pensando che l'inguine è il punto migliore dove colpirlo. Dopodiché dovrò solo correre abbastanza veloce. - Non te lo lascerò fare.
- Ma perché no?
Paciock sembra sinceramente confuso, devo dargliene atto. Le sue doti recitative sono notevoli.
- Perché gliel’ho chiesto prima io.
- Hai chiesto ad Alice di andare ad Hogsmeade?
- Esatto, e non ho intenzione di... aspetta, Alice?
- Alice Prewett, - conferma Paciock, ragionevole. - La mia ragazza.
Alice Prewett. La ragazza di Paciock.
La ragazza di Paciock con cui Paciock andrà ad Hogsmeade.
Questo è così imbarazzante.
- Beh, sono sicura che vi divertirete, - esclamo stucchevole stampandomi in viso un sorriso a trentadue denti. - Buona giornata!
Non  fare a pugni con Paciock è un così bel modo di iniziare il giorno più bello della mia vita.

*
 

- Non avevi appuntamento con Frank mezz’ora fa?
Alice annuisce distrattamente, continuando ad infilare nella borsa praticamente ogni oggetto presente in camera, di sua proprietà o meno. Non riesco proprio ad immaginare in quale momento della giornata crede che potrebbero tornarle utile i semi di Artemisia di Mary.
- E non dovresti scendere? – chiedo, spostandomi il ciuffo da un lato e fissandomi attentamente allo specchio: non riesco proprio a togliere alla mia testa quell’aria da mi sono appena svegliata e non so che farne dei miei capelli.
- Si sarà messo a leggere uno dei suoi libri di Erbologia, figurati. Noterà a malapena il ritardo, - sbuffa e dal suo tono capisco che c’è una sfida aperta tra lei e quei libri. – Tu piuttosto non dovresti svegliare Mary?
- Non credo che sia nei suoi programmi venire ad Hogsmeade, - sospiro rassegnata, raccogliendomi i capelli in una coda alta. - O anche solo alzarsi dal letto.
- Vai da sola? - Alice mi fissa perplessa, allacciandosi il mantello. Non le passa nemmeno per la mente che io possa avere un appuntamento; è normale, è la mia migliore amica, se così fosse glielo avrei detto, no? Il problema è proprio che è la mia migliore amica e la conosco forse persino meglio di Frank - che una volta mi ha confessato di concentrarsi spesso più sul suono della sua voce che sulle parole in sé. Non ho ancora deciso se la trovo una cosa romantica o offensiva – e se avessi voluto subire un interrogatorio approfondito lungo una nottata, allora sì, le avrei detto che in effetti ho un appuntamento con Dean Philips, il battitore di Corvonero.
- Non ci credo, - inizia sdegnata Alice, interpretando correttamente il mio silenzio. – Non me lo hai detto, di nuovo. Sono sicura che questo violi qualunque regola esistente sull’amicizia. Dov’è finita la parte in cui tu mi parli di lui ed io ti aiuto a scegliere come vestirti, mh?
- Credo che sia rimasta al terzo anno, quando sei uscita per la prima volta con Frank ed io ti ho stirato i capelli – replico con nonchalance e dallo sguardo di Alice capisco che ha colto la minaccia implicita nelle mie parole. Non ero particolarmente brava con gli incantesimi di bellezza al terzo anno ed i capelli di Alice se lo ricordano particolarmente bene. Ancora mi stupisce che Frank abbia provato a baciarla quel giorno, nonostante la puzza di bruciato tutt’altro che lieve. Ah, l’amour.

*

 
Sto aspettando James da un tempo infinitamente lungo ormai, ma non ho ancora trovato nessun argomento interessante di cui parlare per sembrare una persona intrigante, informata e dalla battuta pronta. Ho in mente l'espressione che dovrebbe avere una persona del genere e vorrei avere uno specchio davanti per vedere che effetto fa su di me, ma in questo momento non mi viene davvero in mente nulla su cui sono informata o su cui potrei fare una battuta, perché non c'è un solo argomento al mondo di cui io sappia qualcosa, ora come ora. La mia mente è una distesa bianca di nulla più totale e più penso e più il nulla si fa intenso e terrificante. Avrei potuto fare conversazione con Paciock, unica altra persona presente in Sala Comune oltre a me, per passare il tempo e non pensare a tutti i diversi scenari in cui il mio appuntamento potrebbe rivelarsi il più disastroso nella storia degli appuntamenti, ma da quando l'ho aggredito ordinandogli di non andare ad Hogsmeade con la sua ragazza non mi sembra più molto ben disposto nei miei confronti. Continua a lanciarmi occhiate sospettose, come se dovessi puntargli la bacchetta alla gola da un momento all'altro. È mentre penso alla fantastica amicizia che potrei aver appena stroncato sul nascere e al fatto che non sarò mai la madrina dei figli di Paciock, che mi sorge improvvisamente il dubbio che non dovrei farmi trovare già qui da James. Potrebbe pensare che lo sto aspettando da venti minuti, facendomi milioni di viaggi mentali su di noi, che è poi esattamente quello che sto facendo, e non posso permettere che accada.
Sono quasi a metà delle scale, quando qualcuno chiama il mio nome, facendomi bloccare. Naturalmente è James, che è sceso nella Sala Comune esattamente alle nove, perché è quello che le persone fanno, presentarsi all'ora giusta nel posto giusto, e non farsi beccare mentre fuggono dal posto concordato per tornare con un po' di elegante ritardo. 
-James, - esclamo voltandomi verso di lui e scendendo qualche gradino, dopo aver stabilito che fingere di non esistere non risolverebbe nulla. - Ciao! Io stavo, ho dimenticato, ho solo dimenticato nel mio dormitorio la, ciao! Come stai? Dormito bene?
Fantastico. Ed ora chiedigli del tempo, già che ci sei.

*
 

- Sì, certo, benissimo, - rispondo e sto mentendo, perché Sirius ha deciso che dormire era così meno interessante rispetto ad ascoltare la discografia completa dei Led Zeppelin per tutta la notte. Verso le due l'idea di chiuderlo nell'armadio mi è sembrata all'improvviso incredibilmente allettante, ma c’è un numero limitato di volte in cui puoi chiudere il tuo migliore amico nell’armadio prima che questo influisca sul vostro rapporto, così ho desistito. - Che ne dici di scendere?
- Certo, sì, scendo.
Lasciando vagare lo sguardo per la Sala noto che non siamo soli.
- Ehy, Frank.
- James, - mi sorride di rimando, prima di distogliere immediatamente lo sguardo quando Lizzie mi raggiunge.
- Hai già fatto colazione?
-Oh sì, abbiamo un sacco di cibo in camera, - rispondo distrattamente, notando come lo sguardo di Frank sia ora tornato su Lizzie. Sembra agitato. - La madre di Peter ha paura che lui non mangi abbastanza, e anche Peter in effetti. Perché Frank ti sta guardando in quel modo?
- Non ne ho idea, - replica istantaneamente lei, con una velocità a dir poco sospetta. – È un tipo bizzarro quel Paciock. Scendiamo allora?
- A dire il vero non posso uscire dall'ingresso, - inizio, passandomi nervosamente una mano tra i capelli. - Credo che Gazza abbia l'ordine di sparare a vista o qualcosa del genere.
Lizzie mi guarda perplessa.
- Sei in punizione?
- Già. La McGranitt ha deciso che non merito di andare ad Hogsmeade perché ieri, - Coraggio, James, dillo e basta, da bravo Grifondoro. Perché avevo una puffola pigmea. Rosa. Avanti, dillo, sii uomo. - Ho preso a pugni Mulciber, quel tizio enorme di Serpeverde, hai presente?
- Sì, certo. E' difficile non notarlo, - risponde e non mi sembra molto convinta. - L'ho visto questa mattina in Sala Grande, a colazione. Mi sembrava in forma.
Cosa diavolo ci va a fare Mulciber di sabato mattina in Sala Grande? Non è come se qualcuno potesse voler andare ad Hogsmeade con lui, no? O da qualunque altra parte. Non sapevo nemmeno che Mulciber uscisse dai sotterranei. Probabilmente stava cercando altri primini da terrorizzare: quelli di Serpeverde non gli bastano più.
- Alice, eccoti!
La voce di Frank interrompe i miei pensieri ed è mentre lo vedo con la coda dell'occhio dare un bacio a stampo ad Alice, che ci è appena passata affianco, che ho il presentimento che non arriverò vivo al settimo anno. Se Alice ha sentito, allora è come se tutta la scuola avesse sentito. Automaticamente mi vengono in mente le enormi mani di Mulciber, che potrebbero rompere il naso di qualcuno solo con lo spostamento d'aria che causano quando decide di usarle e non lasciarle semplicemente penzolare lungo i fianchi. Non credo nemmeno che sia normale avere mani così grandi e dev’essere scomodissimo, voglio dire, riesce almeno a stringere una penna senza frantumarla? Probabilmente no, ma d’altro canto non ne ha neppure bisogno. Può usare le sue enormi mani e il suo enorme tutto per costringere qualcuno a scrivere per lui.
Perché diavolo ho detto Mulciber?
Potevo dire chiunque altro, potevo dire Sirius: avrebbe sbuffato un po’, ma poi si sarebbe lasciato colorare l’occhio di nero ed ora la mia vita non sarebbe in pericolo. Ma picchiare Sirius non è molto più virile del farsi punire per possesso illegale di puffole pigmee, per via dei suoi scarsi riflessi e il suo inesistente senso dell’equilibrio e quei versi bizzarri che emette quando viene colpito e che lo rendono l’equivalente umano di una puffola pigmea rosa.
Lizzie mi sta ancora guardando perplessa, per l’appunto.
- Stamattina, certo. Ovvio che ti è sembrato a posto, è stato in infermeria. Dovevi vederlo ieri, davvero disgustoso: il sangue e tutto il resto. Madama Chips è davvero brava.
- Lo è, sì. Ha rimesso a nuovo anche te?
- Non ce n’è stato bisogno. Non è nemmeno riuscito a sfiorarmi, - Penso di aver perso il controllo della mia bocca qualche minuto fa e questo non finirà bene. - È così lento.
Per dare prova della mia estrema tranquillità a riguardo inizio a ridere.
La mia risata si fa sempre più forte, senza che io possa esercitare su di essa il minimo controllo, così come la nota di panico che traspare sempre più nitida. Devo cambiare discorso e smettere di ridere e devo farlo ora, prima che lei inizi a pensare che io sia pazzo e prima che faccia altre domande, perché non sono sicuro che Mulciber accetterebbe di non colpirmi in faccia, se si spargesse la voce che racconto in giro di avergliele suonate. È assurdo che possa spargersi una voce del genere, perché nessuno si sognerebbe di affrontare Mulciber in un modo diverso dal correre il più lontano possibile da lui senza voltarsi indietro, ma gli studenti di Hogwarts sono sempre ben disposti a credere a dicerie assurde. Come quando tutti si sono lasciati convincere da Alyssa Cooper che Remus indossa abitualmente slip in pelle di drago sotto la divisa.
La mia risata aumenta ulteriormente di tono e solo ora realizzo di non aver ancora ripreso il controllo della mia bocca e della situazione.
- Remus non ha mai indossato intimo in pelle di drago, comunque.
Lizzie mi guarda interdetta ora, ma non importa, perché ho finalmente smesso di ridere e nessuno pensa più a Mulciber.
- Sto facendo conversazione, – puntualizzo, dal momento che lei resta in silenzio, di nuovo perfettamente padrone della situazione e soddisfatto per lo strategico cambio di argomento.

*
 
- D’accordo, - dico lentamente, cercando di scacciarmi dalla mente l’immagine di Lupin in vesti tutt’altro che consone al suo ruolo da Prefetto e persona generalmente dignitosa.
- Bene, – esclama James e doveva essere qualcosa che gli premeva molto puntualizzare, il tipo di biancheria indossato o meno dal suo amico, dato che ora sembra decisamente sollevato. – Andiamo? Sto morendo di fame.
Credo che James sia pazzo, ma sta sorridendo e questo è davvero un colpo basso da parte sua. Ed è proprio mentre penso che non potrebbe essere più perfetto di così, che pronuncia la frase che ogni ragazza vorrebbe sentirsi dire al primo appuntamento.
- Conosco un passaggio che ci farà sbucare direttamente nella cantina di Mielandia.

*
 
 
- Muoviti, Remus, hanno già un bel vantaggio su di noi!
Sirius mi lancia un’occhiata agitata, tentando di infilarsi contemporaneamente la maglia e una scarpa.
- Sirius, noi non pedineremo James e Lizzie, – chiarisco per l’ennesima volta, evitando di sottolineare come io sia già perfettamente vestito e pronto ad uscire, a differenza sua e di Peter, che sta ancora ronfando della grossa.
- Come sei esagerato, Moony. Non voglio pedinarli, voglio solo vedere cosa fanno, - La voce di Sirius giunge attutita dall’interno della sua maglia, mentre lui si dibatte nel tentativo di trovare un’uscita: non è mai stato particolarmente bravo nell’arte di fare più cose contemporaneamente. - Non guardarmi così, so che vuoi comprarti delle nuove piume.
- Certo, perché tu continui a masticarle tutte le volte che te le presto – puntualizzo piccato.
- È perché ho finito le mie piume di zucchero, Moony. Vedi? E' vitale andare ad Hogsmeade il prima possibile.
- Potresti provare, solo per un attimo, a metterti nei panni di James? Ti piacerebbe se io ti seguissi, mentre sei in giro con una ragazza?
- Oh sì, - Sirius si è finalmente liberato dalla trappola mortale costituita dall’insieme della sua maglia e della sua idiozia ed ora mi guarda compiaciuto, le guance rosse per lo scampato soffocamento. - Inizierei a fare cose disdicevoli  e la tua faccia si accartoccerebbe in modo disapprovatorio; riesco quasi a sentirti cianciare  di decenza e oscenità in luogo pubblico. Sarebbe divertente.
- Tu hai una concezione così distorta del divertimento, - esclamo con un sospiro, afferrando il mio mantello e gettandomelo sulle spalle, rassegnato. - D’accordo, andiamo, ma scordati di mettere in imbarazzo James in alcun modo, chiaro?
- Sappiamo entrambi che James è perfettamente in grado di mettersi in imbarazzo da solo, Moony.

*

 
- Non dovremmo, - biascico pensierosa, con la bocca piena di biscotti ripieni di cioccolato fondente fuso, mantenuto caldo grazie ad un incantesimo. – Non so, lasciare dei soldi o qualcosa del genere?
Non so quanto la mia frase risulti comprensibile ad orecchio umano, considerando la cioccolata pastosa che tende ad incollare i denti di sopra a quelli di sotto, rendendo davvero difficile articolare le parole. Una parte di me è vagamente consapevole dell’espressione inorridita che si dipingerebbe sul viso di Allison se potesse vedermi adesso, a strafogarmi di cioccolata durante il primo appuntamento con il ragazzo dei miei sogni, alla faccia della sua regola d’oro: mai mangiare nulla di impegnativo di fronte ad un ragazzo.  Ma suppongo che ritrovarsi nella cantina di Mielandia traboccante delizie da ogni angolo annulli automaticamente qualunque regola di decoro e dignità.
- Si insospettirebbero, - bofonchia James e anche la sua voce è stata più comprensibile in altri momenti, momenti in cui non aveva in bocca qualcosa come dieci api frizzole. – E poi i dolci gratis hanno un sapore migliore.
Posso intravedere le ali ancora svolazzanti e mezze triturate tra le labbra di James e questo non è romantico, per niente. Sul suo mento c’è una traccia scura della Cioccorana che ha sbranato pochi minuti fa e ha una luce lievemente fanatica negli occhi mentre si guarda attorno alla ricerca del prossimo dolce su cui gettarsi. La cioccolata non ha ancora annebbiato la mia mente al punto da farmi dimenticare che probabilmente James è disgustoso in questo momento, io sono disgustosa, il nostro appuntamento è disgusto e non è per niente da Grifondoro starcene qui a rotolarci tra i dolci mentre al piano di sopra c’è gente che lavora. E allo stesso tempo mi sembra tutto così giusto e perfettamente naturale, persino quel cioccolato spalmato sul mento di James, che potrei restare in questa cantina con lui per sempre.

*
 

- Che ti va di fare adesso? – Dean mi sorride, reggendo in una mano la borsa con i libri che ho appena comprato e stringendo lievemente con l’altra le mie dita.
Mi ha preso per mano all’uscita del Ghirigoro, pochi minuti fa, subito dopo essersi offerto di portarmi la borsa. Non mi è chiaro se nella sua mente prendermi per mano è la giusta ricompensa al peso dei libri: è un ragionamento ridicolo naturalmente e perciò incredibilmente adatto ad un ragazzo. Avrei preferito che non lo avesse fatto, perché siamo in giro nemmeno da un’ora e non ho ancora deciso se mi piace o no, e assecondare il suo gesto è qualcosa che potrà essere usato contro di me qualora a fine giornata decidessi di non rivederlo; scostarmi d’altro canto avrebbe creato tensione e imbarazzo, rendendo ancora più difficile capire se c’è sintonia tra noi.
E poi il suo sorriso è davvero carino.
Alice direbbe che sto iperanalizzando la situazione e se sto pensando a lei mentre sono con un ragazzo probabilmente ha ragione.
- Posso offrirti un caffè da Madama Piediburro?
Devo fare forza su me stessa per non mettere immediatamente più spazio possibile tra le nostre mani ed in generale tra me e lui, ma dopo anni passati a reprimere i miei istinti omicidi verso Potter ho acquisito un notevole autocontrollo, così mi limito a sorridere e annuire.
Non so perché sto annuendo, invece di dirgli che preferirei un whisky incendiario servito nei bicchieri unti della Testa di Porco piuttosto che quell’abominevole concentrato di miele e sdolcinatezze altresì noto col nome di Madama Piediburro. Cortesia principalmente e anche il sorriso che gli si allarga a vista d’occhio. Ho già detto che ha un bel sorriso, sì?

*
 

- Ti dico che era Evans, - insisto, passando a Remus una manciata di piume raccolte a caso in tutto il negozio, nella speranza di uscire dal Ghirigoro prima di sera: non è normale che un ragazzo ci metta così tanto a scegliere un paio di piume. Lui le esamina attentamente, prima di restituirmele con aria di sufficienza e tornare a  scrutare lo scaffale di fronte a noi. - Quel tipo che era con lei sembrava sul punto di mettersi a quattro zampe e baciare la terra su cui camminava. Penoso.
Remus annuisce distrattamente, rigirandosi tra le mani una piuma marroncina particolarmente lunga. Lo osservo speranzoso, ma dopo un po’ la rimette a posto contrariato.
- Chissà se James li ha visti – sghignazzo appoggiando malamente su una mensola la manciata di piume scartate, guadagnandomi un’occhiataccia dalla commessa.
- Non sarebbero comunque affari suoi, dato che è insieme ad un’altra ragazza proprio ora – constata Remus, decidendosi finalmente per la piuma che prende ogni singola volta.
- Che c’entra, - sbuffo, strappandogli la piuma di mano e dirigendomi verso la cassa. - Muoviti, Moony, voglio passare da Zonko: abbiamo finito tutte le Caccabombe nell’assalto alla Sala dei Serpeverde.

*
 

- Sei sicuro che non ci vedono? – sussurro mentre scivoliamo dalla cantina al negozio vero e proprio, socchiudendo lievemente la porta. James tiene il mantello sopra di noi e si fa strada tra la folla di studenti che si accalcano attorno alla merce esposta.
- Sicurissimo, guarda.
Con nonchalance dà una spallata ad un ragazzo intento ad ammirare estasiato un vassoio di calderotti ripieni. Quando questo si gira e sbotta in un ‘ehy!’ irritato, penso che il mantello dell’invisibilità di James sia un po’ difettoso, ma a rispondergli è un tipo alle nostre spalle, che si difende innervosito dalle accuse. Mi lascio trascinare fuori dal negozio con la spiacevole sensazione di aver appena dato inizio ad una rissa e la risata spensierata di James nelle orecchie.
Appena raggiunto il vicolo isolato più vicino, James ci sfila di dosso il mantello, ancora sghignazzando. Mi ritrovo a ridere anch’io, senza sapere bene il motivo.

*
 

- E così, dopo che Madama Chips gli ha riattaccato tutti i denti e alla fine del mio mese di punizione, è stato lui stesso a  consigliarmi di fare il provino come battitore per la squadra di Quidditch.
Mi ritrovo a ridere così forte che per un attimo non sento più lo stucchevole canto dei putti che aleggiano tra i tavoli. Dean mi guarda sorridendo, con le lentiggini che quasi spariscono nel rossore delle guance ed è piuttosto facile zittire la parte di me che mi grida che sto uscendo con un potenziale serial killer che a dodici anni tirava mazzate ai suoi compagni di casa. Evidentemente attirato dal clima gioviale, uno dei putti si abbassa ulteriormente, iniziando a cantare praticamente di fianco al mio orecchio ed in questo momento vorrei tanto che Dean avesse portato la sua mazza con sé.
- Senti, ti dispiace se ci spostiamo ai Tre Manici? – propongo esasperata, domandandomi se per caso i putti non piomberanno in picchiata su di me al sentire il nome del locale rivale. - La Burrobirra qui non mi piace molto.
La velocità con cui Dean acconsente e lo scatto fulmineo con cui si alza dalla sedia fanno nascere in me il sospetto che abbiamo appena passato mezz’ora delle nostre vite in un posto che entrambi odiamo solo per far piacere all’altro. Non appena la porta di Madama Piediburro si chiude alle mie spalle, inspiro una bella boccata d’aria priva di qualsiasi sentore dolciastro o fruttato, salvo poi dover tornare dentro di corsa a recuperare la borsa del Ghirigoro abbandonata sotto al tavolo.

*
 

- Oh Godric, Lizzie, sei qui! Ancora non ci credo, è così assurdo! Dov’è lui? Ah eccolo, è quello al bancone vicino a Paciock, sì. Ti sta ordinando da bere? Oh Godric, è così carino, sono felicissima per te, com’è andata finora? Ti stai divertendo? Dove siete stati? Ti ha baciato? Cosa...
Le labbra di Allison continuano a muoversi ad una velocità considerevole e il fiume di parole che ne esce mi investe con una certa violenza, soprattutto considerando che fino a pochi secondi fa me ne stavo beata in disparte a lanciare occhiate alla folla che riempie i Tre Manici dal mio tavolo nell’angolo.
- Allison, – la fermo, lanciando un’occhiata a James che sta ordinando da bere in questo momento. – Credi che potremmo parlare di come sta andando l’appuntamento dopo l’appuntamento?
- Okay, certo, hai ragione, – acconsente lei ridacchiando. – Sarebbe imbarazzante se ora lui tornasse e ci trovasse qui a parlare dei nomi dei vostri figli. Torno subito al mio appuntamento. 
E prima che io possa chiarire che non parleremmo in ogni caso di nomi di improbabili figli, lei sparisce tra la folla.

*
 

Mentre aspetto che Rosmerta mi prepari le Burrobirre, noto con la coda dell’occhio che Lizzie è stata raggiunta dalla sua amica, che sembra avere cose piuttosto urgenti da dirle, a giudicare dal modo concitato in cui si sporge verso di lei al di sopra del tavolo. La seguo con lo sguardo mentre, subito dopo, si allontana e raggiunge un ragazzo lì vicino. Faccio appena in tempo a notare che nel tavolo vicino ai due è seduto Remus, che la voce allegra di Sirius interrompe la tranquillità della giornata.
- Mulciber ti sta cercando.
Mi ci vuole qualche secondo per assimilare la presenza di Sirius, improvvisamente al mio fianco, e qualche altro secondo per realizzare quello che ha appena detto. Quando Madama Rosmerta mi piazza le due Burrobirre sotto al naso, sto ancora fissando Sirius perplesso.
- Cosa? Lo hai visto?
- Sì, ero appena uscito da Zonko quando la terra ha iniziato a tremare, beh, forse l'ho solo immaginato, ma era lui ed è venuto dritto verso di me. È stato terrificante. Non sapevo nemmeno che sapesse parlare, - Sirius gesticola e la Burrobirra che ha in mano ondeggia pericolosamente a ogni gesto, minacciando di traboccare dal calice. - Ho pensato volesse mangiarmi quando ha aperto la bocca. Invece è uscita una voce, assomigliava ad una voce. Penso che ti ucciderà.
Se non fossi ad un passo da morte certa, mi prenderei del tempo per riflettere sul perché la voce del mio migliore amico è così accesa ed eccitata mentre mi informa che un gigante di due metri mi sta cercando per massacrarmi.
- Ha detto che vuole uccidermi?
- Non proprio, ma non riesco ad immaginare altri motivi per cui dovrebbe cercare un Grifondoro – Sirius alza le spalle ed ha dannatamente ragione. Mulciber non cerca le persone a meno che non voglia vedere il loro sangue sulle sue mani.
-  Gli è giunta voce che mi vanto di averlo messo K.O. - esclamo in preda al panico, il che è pessimo, perché il segreto è proprio non farsi prendere dal panico in questi casi. Non farsi prendere dal panico e ancora più importante non farsi prendere da Mulciber.
- Chi se l'è inventata questa? – Sirius sgrana leggermente gli occhi, prima di prendere un lungo sorso dal boccale.
-Io - sospiro e probabilmente mi merito di essere ucciso da Mulciber.
-Ti ucciderà – conclude Sirius riemergendo dalla sua Burrobirra con dei baffetti di schiuma tutt’altro che adatti alla gravità del momento. Soddisfatto della sua capacità di sintesi, il mio amico si allontana ed io decido che affronterò la questione della mia morte imminente più tardi. Faccio per prendere le Burrobirre e tornare da Lizzie, quando noto che ne è rimasta solo una sul bancone.
Sirius, dal tavolo di Remus, mi fa l’occhiolino, prendendo compiaciuto un altro sorso dalla mia Burrobirra. Sbuffo mezzo divertito e mezzo rassegnato, indirizzandogli una smorfia, prima di ordinarne un’altra.
È in quel momento che la porta dei Tre Manici si apre tintinnando.

*
 

- Cosa ne dici di quel picnic in riva al lago, allora? – sorrido ad Alice, porgendole l’idromele che Rosmerta ha appena posato al nostro tavolo. Lei ne prende un sorso, pensierosa.
- Beh, potremmo anche...voglio dire, sono tutti qui ad Hogsmeade, no? – sembra un po’ imbarazzata, il che è anomalo per lei. – Anche Mike e Daniel. 
Mi fissa. Io la fisso.
- Frank.
Sono sicuro che lei non abbia un’espressione molto più intelligente della mia in questo momento, eppure per qualche oscura dinamica del nostro rapporto, le basta pronunciare il mio nome in quel modo e allora sono io quello che passa per stupido.
- Frank, i tuoi compagni di dormitorio sono ad Hogsmeade, santo Godric, - sbotta spazientita, abbassando la voce. - La tua stanza è libera per tutto il pomeriggio. Devo farti un disegnino?
Spalanco gli occhi, realizzando che sono davvero io lo stupido qui e che la amo tantissimo. Istintivamente mi sporgo verso la mia ragazza sorridendo, pronto a baciarla, quando qualcosa mi colpisce una gamba, muovendosi scompostamente sotto al tavolo. Evidentemente lo sente anche Alice, perché sussulta e si abbassa a controllare.
Potter?! Che diavolo stai facendo?

*
 

Sono molto vicino alla gonna della Prewett e la situazione è facilmente equivocabile, me ne rendo conto, ma lei davvero non dovrebbe gridare il mio nome in questo modo. Se una persona si nasconde sotto un tavolo in fretta e furia è ovvio  che non desidera rendere nota la sua posizione al mondo, no?
Le faccio segno di abbassare la voce, prima di chiedere se quello che è appena entrato è Mulciber.
Frank mi risponde che no, non è Mulciber e mi invita seccato a togliermi dalle scatole, con un tono molto poco alla Frank.
Una parte di me vorrebbe rimanere sotto questo tavolo a spiegargli il perché e il percome non può rivolgersi al suo Capitano con quel tono, senza contare che la mia compagnia non può che essere un miglioramento alla sua uscita con Alice, ma ho un mio appuntamento a cui tornare e ho paura che la Prewett inizi a prendermi a calci.

*
 

- Lily, ehy!
Non appena mettiamo piede ai Tre Manici, Alice inizia a sbracciarsi dal suo tavolo per attirare la mia attenzione. Sospiro rassegnata, dirigendomi verso lei e Frank: dopotutto non le ho permesso di sottopormi all’interrogatorio su Dean, almeno un’occhiata veloce gliela devo. Quando la raggiungo, Alice fa per alzarsi e presentarsi a Dean, indubbiamente per poterlo squadrare meglio, mentre Frank sembra profondamente abbattuto. Non è questa comunque la stranezza maggiore; quella, per la precisione, è Potter, che è appena scivolato fuori da sotto il tavolo. Sembra perfettamente a suo agio, come se passasse la sua vita a strisciare sotto i tavoli dei locali pubblici ed è solo quando smette di spolverarsi i pantaloni che si accorge della nostra presenza. Il suo sguardo si sofferma per qualche secondo sulla mia mano chiusa in quella di Dean, poi sale al mio viso e mi fissa spiazzato, come se fossi io quella che è appena sbucata da sotto un tavolo.
- Evans - esclama con un cenno del capo, recuperando immediatamente la sua solita aria sorniona.
- Potter - replico inflessibile.
- Se volevi uscire con un giocatore di Quidditch, bastava chiedere – aggiunge beffardo superandomi lentamente, senza degnare Dean di uno sguardo. Non appena il galletto si allontana soddisfatto della sua uscita, mi stampo un sorriso raggiante in viso.
- Dean, questi sono Alice e Frank.

*
 

- James.
Il mio amico, quello che è appena uscito da sotto un tavolo e sta ora attraversando la stanza con nonchalance, si volta verso di me, interrogativo.
- Potresti dire a Sirius, – inizio quando si avvicina, indicando con il capo l’altro mio amico, quello seduto di fronte a me con più Burrobirra sulla faccia che nel bicchiere. – Che non sei così stupido da mettere in giro la voce di aver picchiato Mulciber? Perché sembra proprio convinto che tu lo abbia fatto, il che è assurdo, perché non sei così stupido.
-Nessuno è così stupido – aggiungo, vedendo che James resta in silenzio.
- Moony, guardalo, – esclama Sirius sbrigativo. – Certo che è così stupido.
- Sono così stupido, Moony, - ammette James passandosi una mano tra i capelli. - Ma in quanto mio amico sei tenuto a non sbattermelo in faccia.
- Anche perché ci penserà già Mulciber a sbatterti qualcosa in faccia – sghignazza Sirius, guadagnandosi un’occhiataccia.
- Dov’è Peter? - sbuffa James imbronciandosi. – Sono sicuro che lui avrebbe una reazione più appropriata della vostra. Non siete per niente d’aiuto.
- A mio parere, - inizio rassegnato al fatto che il mio consiglio non verrà nemmeno preso in considerazione, in quanto troppo poco esplosivo e spericolato. - L’unico modo per uscire da questa situazione senza danni fisici rilevanti è andare a parlare con Mulciber e spiegargli l’equivoco.
- Fammi capire, – inizia James accigliato. – Io ti dico che Mulciber mi sta cercando per farmi a pezzi ed usarmi come puzzle vivente e tu mi consigli di andare da lui? Cosa stai cercando di dirmi, Moony? 

*
 

Remus incrocia le braccia al petto con una certa violenza, gesto universalmente interpretabile come ‘fate come volete, io me ne tiro fuori’ o ‘la luna piena è vicina e mi sto trattenendo dall’azzannare qualcuno’. In questo caso credo significhi entrambe le cose, così mi appunto mentalmente di prendergli qualcosa dalla cantina di Mielandia al ritorno, giusto per evitare ritorsioni durante il plenilunio di domani.
- Hai un mantello dell’invisibilità, - mi informa Sirius, decidendo finalmente di rendersi utile. - Che ne dici di usarlo?
Soppeso per un attimo l’idea, ma Sirius si atteggerebbe a salvatore dell’universo per sempre se gli dessi ragione, senza contare che dovrei spiegare a Lizzie il perché del mantello, che equivale a spiegarle il perché della frottola e quindi Pinkie. Tutto riconduce a quella dannata palla di pelo. Una volta finita Hogwarts farò il bracconiere di puffole pigmee, è deciso: sono sicuro che la loro pelliccia morbida e colorata si venda benissimo. Sarò il terrore di tutte le puffole pigmee e mai nessuna oserà avvicinarsi a me di nuovo.
- Prongs, – la voce pacata di Remus mi distoglie dai miei sogni di gloria. - A me e a Padfoot non dà il minimo disturbo averti tra noi a fissare il vuoto con espressione sognante senza nessuna ragione apparente, ma credo che Lizzie stia iniziando a chiedersi se hai per caso deciso di darle buca nel bel mezzo dell’appuntamento.
Sono sicuro che la frase di Remus nascondesse un velato insulto alla mia persona, ma in effetti sto ordinando da bere da un tempo considerevole ormai. Sto per defilarmi, quando vengo colto da un’illuminazione improvvisa.
- Sirius, hai lo specchio? – chiedo sbrigativo, controllando di aver davvero infilato il mio nella tasca del mantello prima di uscire.
- Ovvio.
- Allora segui Mulciber e tienimi informato dei suoi spostamenti, d’accordo?
Sirius inarca un sopracciglio, perplesso.
- Vuoi che pedini Mulciber per tutto il giorno?
- Tu adori pedinare le persone, Pad – gli ricordo, evitando accuratamente di posare lo sguardo sul viso di Remus, che in questo momento deve contenere tutta la disapprovazione di cui è capace.
- Vero anche questo, – ammette Sirius con un ghigno.

*
 

Sto cercando di capire se il tempo si sta dilatando per uno scherzo dell’emozione o se James ci sta mettendo davvero così tanto per ordinare due Burrobirre, quando la sedia di fronte a me striscia velocemente sul pavimento e me lo ritrovo seduto davanti, con i capelli più spettinati di prima e l’immancabile sorriso sulle labbra.
- Ehy, scusa – esclama sfinito, appoggiando due calici traboccanti sul tavolo. - Ho incontrato Sirius e mi sono fermato un momento con lui. 
- Tranquillo, – gli sorrido, anche se di certo non è lui quello che ha bisogno di calmarsi. – Siete molto legati voi due, eh?
Le labbra di James si schiudono, ma quella che sento, attutita, ma perfettamente distinguibile, è indubbiamente la voce di Black.
- Oh sì, dormiamo abbracciati ogni notte! 
James si copre gli occhi con una mano, mentre tra noi continua a risuonare la voce di Black, che ora si lascia andare a diverse imprecazioni, accompagnata dai rumori di quella che sembra essere una lotta. Potrei giurare di aver sentito persino un idiota pronunciato da Lupin. James sembra quasi in imbarazzo, evento memorabile, ed io mi chiedo se ‘perché dalla tasca del tuo mantello escono le voci dei tuoi migliori amici?’ sia una domanda troppo personale da fare al primo appuntamento.
- Molto legati, per l’appunto – commento stupidamente, perché Allison non ha lasciato che mi preparassi una scaletta di argomenti interessanti da affrontare e questo è quello che succede quando si va agli appuntamenti senza un piano.

*

 
Anche dopo che le ho mostrato lo specchio e spiegato il suo funzionamento, Lizzie continua a guardarmi un po’ stranita. Suppongo che al di fuori dei Malandrini possa apparire bizzarra la necessità di poter comunicare in qualunque momento col proprio migliore amico, o almeno credo: a me sembra basilare poter scandire ‘Sirius’ e trovarmi la sua faccetta stupida a portata di mano. Devo ricordarmi di chiedere a Remus se lo trova bizzarro, ma non oggi o otterrei solo una risposta ironica: la vicinanza alla luna piena lo rende particolarmente sarcastico. Sembra quasi di vivere con due Sirius in questi giorni, non mi sorprende che Peter abbia preferito rimanere al sicuro nel suo letto.
- Non è che lo usiamo sempre, - preciso, con un lieve imbarazzo. - La maggior parte del tempo è solo uno specchio, Sirius non mi chiama non appena non ci vediamo da tre secondi o cose del genere. Beh, di solito non lo fa.
- No, è ok, capisco perfettamente. Anch’io cercherei di vederti in ogni momento se avessi uno specchio così, - Per poco non mi strozzo con la Burrobirra e Lizzie diventa immediatamente più rossa della sua sciarpa. - Non è nemmeno minimamente simile a come doveva suonare realmente, te lo assicuro: non intendevo nulla di strano. Era solo per dire che è normale che Black, in quanto tuo migliore amico...
Lizzie sta parlando e anche Remus, nella mia testa, lo sta facendo, sovrapponendosi alla voce di lei ed ordinandomi stizzito di ricominciare immediatamente a prestarle attenzione, proprio come mi direbbe il vero Moony, se fosse qui e non appostato alle calcagna di Mulciber con Sirius. Ma Dean Philiphs mi è appena passato davanti per andare a prendere da bere al bancone per lui ed Evans ed indipendentemente dalla mia volontà, ora nella mia testa, a scontrarsi con le voci confuse di Lizzie e Remus, c’è anche il ricordo del modo ridicolo in cui quell’idiota tiene la mazza quando gioca a Quidditch. Non c’è da stupirsi che nell’ultima partita contro Corvonero abbiamo vinto praticamente ad occhi chiusi, dal momento che fanno entrare in squadra battitori che non hanno nemmeno un’idea di come si dovrebbe impugnare una mazza, cosa che persino Sirius saprebbe fare.
- Tutto ok?
Lizzie mi fissa impassibile, le braccia conserte appoggiate al tavolo. Mi passo una mano tra i capelli, a disagio: non mi ero reso conto che aveva smesso di parlare.
- Sì, stavo solo...
- Trucidando con lo sguardo il ragazzo di Evans?
- Non è il suo ragazzo – puntualizzo istintivamente.
- E non lo stavo trucidando con lo sguardo – aggiungo subito dopo e vorrei non aver detto le due cose in quest’ordine.
La coscienza a forma di Remus che vive nella mia testa ha appena iniziato a ruggirmi contro. Dev’esserci la luna piena.

*
 

- Facciamo un giro? - Il mio tono suona abbastanza spensierato, mentre sigillo in un angolo remoto della mia mente la luce irritata negli occhi di James mentre erano puntati sul tipo che è appena tornato al tavolo con Evans.
Lui sorride e subito ogni traccia di disagio sul suo volto lascia spazio a quell’aria da bambino che mi rende così facile credere che Evans sia solo un capriccio. Che non ho già perso in partenza.

*

 
- Prongs, è piuttosto ventoso dalle parti della Stamberga, quindi sarebbe meglio se tu stessi molto lontano da qui, chiaro?
Remus aspetta il ‘Ricevuto’ di James prima di infilarsi lo specchio nel mantello, sotto il mio sguardo imbronciato: a quanto pare, a causa della piccola interferenza di prima con l’appuntamento del mio amico,  ora non sono maturo abbastanza da portare il mio specchio. Ho provato a riprendermelo, ma Remus mi ha graffiato e non sembra nemmeno un po’ pentito, così ho deciso di non riprovarci: la luna piena è troppo vicina per stuzzicarlo ed uscirne incolume.
- Oh Godric, si è fermato. Si sta voltando, ci vedrà.
- Moony, calmati: non stiamo facendo nulla di sospetto.
- Lo stiamo pedinando, Padfoot, questo non rientra nella mia personale concezione di nulla di sospetto.
- Ma lui non sa che lo stiamo pedinando, no?
- Lo saprà presto quando si renderà conto che ovunque vada, ovunque si giri, noi due siamo lì.
- Lo saprà se continui ad avere quell’espressione colpevole, Moony, smettila! Ci farai beccare. Perché sembri così colpevole?
- Perché sono colpevole, Padfoot!
- Oh Godric, sta venendo qua. È tutta colpa della tua faccia.
- Ci sta guardando, lo vedi? Continua a camminare verso di noi. Sirius, fa’ qualcosa!
Quello di Remus è un ottimo consiglio, ma io sono combattuto: da una parte vorrei prenderlo in giro per il suo tono isterico, poi rubargli lo specchietto e mostrare anche a James come il nostro impeccabile amico ha totalmente perso il controllo e prenderlo in giro di nuovo. D’altro canto è principalmente colpa della luna quasi piena se Remus sta perdendo il controllo, cosa che rende tutto meno divertente e potenzialmente pericoloso, vista l’irritabilità di Remus in questi giorni. Forse Mulciber sta solo camminando verso la vetrina di Accessori Per il Quidditch, che è esattamente dove chiunque volesse uccidere James lo cercherebbe. Oppure sta proprio venendo verso di noi.
Nel dubbio afferro Remus per un braccio ed inizio a correre.
Ora sicuramente Mulciber ci ha notati, ma la mia onorata carriera di Malandrino mi ha insegnato che correre è sempre meglio che restare impalato come un idiota.

*
 

Dean si muove tra le teche di Accessori Per il Quidditch con l’espressione sognante di un bambino il giorno di Natale, espressione che lo accomuna alla maggior parte degli studenti che gironzolano per il negozio; non mi stupirei se spiaccicasse il viso contro il vetro che lo separa dall’ultimo articolo uscito, la Nimbus 1700.
Mi piace il Quidditch: sfido chiunque a crescere per undici anni con la convinzione che le scope servano solo per spazzare ed eventualmente ingaggiare duelli all’ultimo sangue con Tunia e scoprire poi che ci puoi saltare in groppa e librarti in volo senza farsi prendere dall’entusiasmo. Nessuna squadra mi accoglierebbe mai, perché a quanto pare, quando volo, do l’impressione di essere sempre sul punto di cadere dalla scopa, cosa che spesso si tramuta in realtà, ma è piacevole anche semplicemente guardare le partite. Davvero, mi è perfettamente chiaro perché molti maghi e streghe siano così appassionati a questo gioco. Ma cosa ci sia di magnifico ed interessante in una scopa, ferma, al di là di una teca di vetro, che non puoi sfiorare e nemmeno comprare, questo è al di là della mia comprensione. La maggior parte delle persone presenti in negozio hanno già una scopa e a dire il vero i manici si assomigliano un po’ tutti, eppure questi sembrano avere un effetto ipnotizzante su di loro. L’ho fatto presente a Dean poco fa, cercando di capire perché volesse entrare qui dentro, dato che ha già una scopa in grado di curvare in tutte le direzioni, che è tutto quello che gli serve, no? Non sono un’esperta di Quidditch, quindi non mi è chiaro dove ho sbagliato, ma dal suo sguardo ho capito che c’era qualcosa di profondamente offensivo nelle mie parole. Credo proprio di aver ferito i suoi sentimenti. Mentre Dean continua a flirtare con la Nimbus, una risata inconfondibile spezza il clima di sussurrante venerazione che permea il negozio, attirandosi diversi sguardi. Ovviamente  dentro Accessori Per il Quidditch non poteva mancare l’esaltato numero uno, James Potter. Mi chiedo se la sua risata sia così di natura o se si sforzi per renderla così alta, giusto per far sentire a tutti quanto è avvincente ed esilarante la sua compagnia. Sicuramente alla Grifondoro che è con lui, quella che gli gironzola sempre attorno ultimamente, la cosa non dispiace, a giudicare dallo sguardo che gli riserva, simile a quello di Dean per la Nimbus. 
- Ehy, scusa se ti ho fatto aspettare, pago questi e arrivo.
Ricambio il sorriso di Dean, seguendolo con lo sguardo mentre si dirige verso la cassa con quello che credo sia un set per la cura delle scope tra le mani. Proprio mentre lui si mette in fila dietro a due ragazzi, la porta del negozio si apre alle sue spalle, lasciando entrare Mulciber. Il mio sguardo si sposta automaticamente su Potter, ora solo, apparentemente piuttosto impegnato a osservare qualcosa su uno scaffale in basso. Fisso di nuovo Mulciber, che si guarda svogliatamente attorno e non sembra per niente appena uscito dall’infermeria. Non che io abbia creduto anche solo per un secondo ad Alice, quando ai Tre Manici mi ha informato della novità secondo cui Potter avrebbe messo K.O. il Serpeverde. Tra tutti i motivi per cui Potter finisce in punizione di solito, e sono tanti, non mi pare figurino risse alla Babbana e nemmeno lui può essere così stupido da decidere di cominciare proprio con Mulciber.
Ma forse è stupido abbastanza da inventarsi di averlo fatto.

*
 

- Ragazzi, è da quasi un’ora che non vi fate sentire, - sussurro chinandomi sullo specchietto, cercando di non farmi notare. Ho lasciato Lizzie a qualche scaffale di distanza, intenta ad ammirare la nuova Tornado: per l’appunto, è fantastica e un giorno sarà mia. La Tornado, non Lizzie. – Dove siete?
-Oh, adesso me lo ridai? – sbotta Sirius, il cui viso è appena comparso sulla superficie liscia, rivolto alla sua sinistra. – No, è anche il tuo migliore amico, non provare a...oh, d’accordo, glielo dico io.
Finalmente si volta verso di me ed io noto immediatamente il poster dei Led Zeppelin alle sue spalle e questo non va affatto bene, perché di solito quel poster è appeso sul letto di Sirius, che si trova nel nostro dormitorio, dove non è ammesso alcun tipo di Mulciber.
- James, amico - inizia solenne, portandosi una mano al petto. - Siamo scappati. Le circostanze lo richiedevano.
- Le circostanze? – chiedo scettico, cercando di non pensare che Mulciber potrebbe essere ovunque. D’altro canto sarebbe stupido da parte sua cercarmi qui, perché mai dovrei essere qui? È un posto così ovvio. Oh, come vorrei non essere qui.
- La faccia di Moony, - precisa Sirius. – È diventata colpevole. Sai come fa quando si sente in colpa, no? È stato spass...
Sirius sparisce improvvisamente dalla mia visuale e dopo qualche secondo mi infilo lo specchietto in tasca, dal momento che il suo compagno pare essere abbandonato a faccia in giù contro un copriletto rosso. Prima o poi Sirius imparerà a non punzecchiare Remus prima della luna piena.
- Per quanto rivolgerti la parola di mia sponte vada contro tutti i miei principi, Potter, sono sinceramente curiosa di vedere la tua reazione.
Non sono sicuro di essermi voltato verso Evans con distratta nonchalance: è possibile, in effetti, che io mi sia girato di scatto già pronto a supplicare pietà per la mia vita.
- La mia reazione a cosa, Evans? – chiedo stampandomi in faccia un sorriso sornione e cercando di riacquistare una parvenza di dignità. - Ti stai per dichiarare per caso?
- È appena entrato Mulciber.
Il tono di Evans non è seccato come lo è sempre quando si rivolge a me e faccio appena in tempo a notarlo, prima che il senso della sua frase mi mandi nel panico.  Subito perlustro il negozio con lo sguardo ed eccolo lì, in tutta la sua svettante massa muscolare: sono fottuto. Sono così fottuto.
- Lo sapevo, – commenta Evans esultante, mentre io mi abbasso di scatto, appiattendomi contro lo scaffale. - Te lo sei inventato, non hai davvero fatto a pugni con lui.
- Certo che non ho fatto a pugni con lui, Evans - sibilo facendole segno di abbassare la voce. - Non sono stupido.
- Hai messo in giro la voce di averlo fatto: sei stupido.
Evans ha effettivamente abbassato la voce, segno che forse non vuole davvero vedermi morto come professa tanto, ma sembra anche che vedermi all’angolo, letteralmente e non, la diverta più di quanto la sua spilla da Prefetto dovrebbe concederle.
- Non ho messo io in giro la voce Evans, la tua amica l’ha fatto - preciso stizzito, annotandomi mentalmente di far correre a Frank otto miliardi di giri di campo, nel caso uscissi vivo da qui.
- Sostiene che te ne vantavi questa mattina e chissà perché non fatico a crederle – ribatte fissandomi dall’alto, le braccia incrociate. 
- Beh, l’ho detto, ma non vedo perché tutto quello che faccio o dico debba diventare di dominio pubblico, – sbuffo, facendole segno di chinarsi. – Sei sospetta, Evans, abbassati.
- Tu gattoni tra gli scaffali ed io sono sospetta?
- Sembra che tu stia parlando da sola, attiri l’attenzione, - sottolineo, sbirciando al di là di una pila di custodie per le scope. - Sono sicuro che tra i tuoi compiti di Prefetto ci sia anche quello di evitare morti tra i tuoi compagni di Casa.
- Salvarti dalla tua stupidità non è compito mio, Potter – sbuffa, ma inaspettatamente cede e si abbassa anche lei.  
- Di qua - sussurro, spostandomi piano nella direzione opposta a quella del Serpeverde. Do un’occhiata alle mie spalle, aspettandomi di vederla alzarsi scocciata e andarsene, ma Evans alza gli occhi al cielo e continua a seguirmi. Mulciber dovrebbe decidere di uccidermi più spesso.
 

*
 

Alice ha una pessima influenza su di me.
Se mi fossi fatta gli affari miei, ora non mi ritroverei a gattonare insieme a Potter sul pavimento impolverato di Accessori Per il Quidditch. Ma non lo sanno che le scope si possono usare anche per spazzare oltre che per volare? È disgustoso. E Potter sembra più divertito che spaventato, il che è ridicolo, perché se Mulciber volesse uccidere me, non ci troverei davvero nulla da ridere.
- Come mai i tuoi amici non sono qui ad aiutarti? - noto improvvisamente, ricordando di averli incrociati al Ghirigoro. Sicuramente strisciare tra gli scaffali di un negozio è il genere di attività che si addice loro.
- Sono scappati – replica Potter con un’alzata di spalle, apparentemente per nulla risentito, prima di svoltare l’angolo e ritrovarsi di fronte le gambe di una commessa piuttosto stranita.
- La mia ragazza ha perso un orecchino – le spiega con immediata naturalezza. Lei ricambia incerta il sorriso, allontanandosi con lo sguardo puntato a terra, alla ricerca di un gioiello inesistente, senza notare che non ce li ho nemmeno i buchi alle orecchie.
- Ti viene naturale mentire, vero? – commento fermandomi contro uno scaffale, mentre Mulciber, evidentemente soddisfatto della sua sommaria ispezione, si dirige verso l’uscita. - È per quello che sei in questa situazione.
- Vuol dire che se mentirò ancora, gattonerai di nuovo ad Hogsmeade con me, Evans? – Potter si volta verso di me con un ghigno beffardo. A quanto pare si dimentica di essere odioso solo quando è in pericolo di vita.
- Come no, Potter, quando quella commessa ritroverà il mio orecchino - replico sarcastica, facendo per alzarmi.
- Lily?


*
 

L’espressione di Philips in questo momento, mentre ci fissa accovacciati a terra l’uno affianco all’altra, è impagabile. 
- Ti stai divertendo, Philips? – Non riesco proprio a trattenermi, mentre gli sbatto in faccia un sorriso canzonatorio. - Noi un sacco. 
Evans scatta in piedi come se l’avessi punta, rossa in viso.
- Ignoralo, è un idiota, - sbuffa rivolta a Philips, dandomi le spalle e dirigendosi a grandi passi verso l’uscita. - Stavamo cercando il suo cervello, ma non l’abbiamo trovato.
Philips lascia correre perplesso lo sguardo da lei a me per qualche altro secondo, prima di lasciarsi trascinare fuori dal negozio.
- È sempre un piacere, Evans! - grido mentre la porta si chiude con uno scampanellio alle loro spalle.  
 

*

 
- Non ti dà tregua, eh?
Dean accenna un sorriso incerto, guardandomi di sfuggita.  
- Scusami, – sospiro, mentre rallento il passo e cerco di rilassarmi. - Quel tipo ha l’innata capacità di darmi sui nervi.  
- Lo vedo, - ridacchia, stringendosi nella sciarpa color cobalto. -Se ti può consolare sono io a marcare stretto lui durante le partite. Beh, nell’ultima ci hanno stracciato, ma un paio di volte se l’è vista brutta con i miei Bolidi.
Dean continua a sorridere spensierato ed automaticamente penso che Potter non ammetterebbe mai un fallimento così a cuor leggero: probabilmente è ancora in piena fase di rifiuto per la sconfitta contro i Serpeverde.
- Non saprei cos’è peggio tra i Bolidi e le battutine di Potter, sai? - rifletto, lasciandomi andare anch’io ad un sorriso, prima di notare un’alta staccionata di legno sulla collina a pochi metri da noi. – Non mi ero accorta che avessimo camminato tanto: siamo già alla Stamberga?
Dean sembra sorpreso quanto me.
- Odio questo posto, mi mette i brividi – commenta lasciando correre lo sguardo al di là della staccionata, dove si staglia la sagoma spettrale della casa. Automaticamente faccio lo stesso, soffermandomi sulle assi di legno inchiodate alle finestre.
- Sì? Io l’ho sempre trovata affascinante invece, – replico, gli occhi puntati sulla porta della casa, anch’essa bloccata da diverse assi. È già calato il buio, ma anche senza vederla so che la vernice della porta, dove visibile, è saltata via in diversi punti, lì dove restano dei graffi profondi: io e Severus abbiamo passato diverso tempo a curiosare qui attorno, sin dalla prima volta che abbiamo messo piede ad Hogsmeade, al terzo anno. – Non sei curioso di sapere cos’è accaduto lì dentro? Il motivo per cui è così infestata?
- A dire il vero mi bastano già i fantasmi di Hogwarts, - replica Dean stringendosi nel mantello. - Ho sempre il terrore di incontrare il Barone Sanguinario quando attraverso i sotterranei per andare a Pozioni.
Mentre Dean si lancia nel dettagliato racconto del suo primo incontro col fantasma di Serpeverde, quando aveva undici anni, io continuo a lanciare occhiate alla Stamberga Strillante, che alla faccia del suo nome è immersa nel silenzio più totale, come una qualunque casa abbandonata.

 

 

 

 

**********
 
 


- Ci voleva questa cioccolata calda, - Lizzie è abbandonata sulla poltroncina di fronte alla mia, sfinita. Nessuno si è mai dato la pena di pavimentare degnamente il passaggio segreto che collega Mielandia ed Hogwarts, in effetti, che è quindi un’orrenda salita piena di buche. Lo percorro da anni, ma ancora non c’è mai stata una volta in cui non sono inciampato più o meno ogni tre passi. - Stavo iniziando a gelare là fuori. Anche se, dopo l’abbuffata di oggi, avremmo potuto prendere qualunque altra bevanda calda che non aumentasse lo zucchero nel nostro sangue, portandoci di un passo più vicino alla morte. Come un tè caldo, sì, il tè sarebbe stata una scelta da persone mature.
- La signorina vuole tè caldo? – Immediatamente uno dei tanti elfi domestici che ci circondano si avvicina, visibilmente eccitato all’idea di potersi rendere ulteriormente utile. - Merry può prepararlo subito.
- Oh no, grazie, era solo per dire, - rifiuta subito Lizzie. - Gradirei invece un’altra fetta di quella torta ai pinoli, se non ti dispiace.
Naturalmente a Merry non dispiace.
- Voi giocatori di Quidditch non dovreste avere uno stile di vita, non so, sano?
- Una normale scopa sportiva può reggere fino a centoventi chili, - replico con un’alzata di spalle. – E poi  smaltirò tutto domani notte.
Ci sarà la luna piena ed io la passerò a correre per il parco di Hogwarts tenendo contemporaneamente a bada un lupo mannaro e Sirius: questo basterebbe a farmi smaltire l’intero contenuto delle cucine di Hogwarts. Questo, d’altro canto, non lo posso spiegare a Lizzie e lo realizzo nell’esatto momento in cui l’ultima parola mi esce dalla bocca e nelle cucine cala il silenzio.
Ho la sensazione che persino gli elfi domestici si siano immobilizzati a fissarmi, ma questo è probabilmente quello che Remus definisce melodramma egocentrico alla James. Almeno Merry però mi sta fissando, nel porgerci la torta, e anche Lizzie.
- Ambigua, - aggiungo subito, momentaneamente a corto di verbi o soggetti. – Altamente ambigua, lo so. Ma tu non fraintendere.
- Ok – annuisce Lizzie lentamente, senza smettere di fissarmi perplessa con dei ridicoli baffi di cioccolata sotto al naso.
- Intendevo, - prendo tempo, cercando disperatamente un modo intelligente e possibilmente non umiliante di uscirne. - Domani notte, quando andrò a correre sotto la luna piena. Credo  che sia piena, non saprei, non controllo di certo il calendario lunare o altro. Ma sarebbe poetico correre sotto la luna piena, no?
Complimenti, James, continua a ripetere la parola luna come un idiota.
Sono così grato che Remus non mi possa sentire in questo momento.
- Non saprei, non ho mai visto il correre come qualcosa di particolarmente poetico, luna o no, – replica lei pensosa. -Sai, per il sudore, i dolori sparsi ovunque, la sete, la fame, la voglia di gettarsi a terra e strisciare. Ma questo probabilmente riguarda solo me, che sono in pessima forma. Sono sicura che quando corri tu sia...
Alzo un sopracciglio, sorridendo mellifluo.
- Sì? 
Lizzie si blocca, con l’aria di chi è stato colto in flagrante.
- Poetico. Con la luna e tutto, sai, - Appoggia velocemente la tazza sul tavolino di fronte a noi, imbarazzata.  – Io ho finito, andiamo?

 
*
 

Abbiamo appena imboccato le scale che portano al secondo piano, quando James si ferma di scatto.
- Che c’è?
- La torta ai pinoli, - esclama, portandosi una mano ai capelli. -Ne vanno matti. Dovrei tornare indietro a prenderne qualche fetta.
Dopo un secondo di perplessità sorrido, senza bisogno di chiedergli di chi sta parlando.
- Dici che sentiranno l’odore sui tuoi vestiti?
- Sono tutti e tre molto intuitivi quando si tratta di cibo, - annuisce James serissimo. - E non posso tornare dalle cucine a mani vuote, è una sorta di regola non scritta. Vai pure, ti raggiungo in Sala Comune.
 - Gli dirò che il dolce sta arrivando.
Sono già al terzo scalino quando la sua voce mi fa bloccare.
- Lizzie?
Mi volto, interrogativa.
- Stai pensando che sono strano e ridicolmente attaccato ai miei amici?
Il suo tono non è insicuro, come mi aspetterei per una frase del genere. A dir la verità mi guarda quasi con sfida, lievemente divertito. 
- Esattamente, - sorrido. – E lo trovo fantastico.
Lui ride, prima di avviarsi verso le cucine.
Io resto ferma sugli scalini e lo seguo con gli occhi.
Probabilmente è per il modo in cui mi ha guardata.
- James.
Forse è solo per il modo in cui sorride.
 

*

 
Quando mi volto, lei non è più sulle scale.
La sento, prima ancora che vederla.
La sua bocca si chiude sul mio labbro superiore, la lingua mi accarezza leggera e veloce. Un battito di ciglia e i suoi capelli non mi sfiorano più le guance.
- La crema, - spiega, mentre io continuo a fissarla con la bocca socchiusa. - Te ne era rimasta un po’.   
Vorrei dirle che non è vero, ma se ne sta già andando.
E non c’era proprio nulla sulle mie labbra, a parte le sue labbra.
 

*

 
Salgo le scale senza voltarmi, totalmente indifferente all’implosione che mi colpirà da un momento all’altro.
Ho appena baciato James Potter e il segreto è continuare a respirare.

 
*

 
- Sono tornati quasi tutti da Hogsmeade ormai, non dovremmo controllare che James sia ancora vivo?
Peter, appollaiato nella poltroncina al mio fianco, mi guarda interrogativo, masticando distrattamente uno Zuccotto di Zucca. Sirius,  intento ad esaminare i suoi acquisti di Zonko sul tappeto di fronte al fuoco, non esita a tirare fuori lo specchietto.
- Credo, - inizio vago, sfogliando distratto l’edizione del Cavillo che Xenophilius Lovegood ha distribuito questa mattina in Sala Grande. -  Che dovremmo lasciarlo un po’ in pace.  
- Avrà molto tempo per riposare in pace se Mulciber lo trova, - commenta Sirius e non ha tutti i torti.
- Se la caverà, - stabilisco fiducioso. – Ha il mantello e anni di fughe da Gazza alle spalle. Sa come non farsi trovare.
È in questo momento che il ritratto della Signora Grassa decide di contraddirmi, spostandosi e lasciando entrare Lizzie in Sala Comune, da sola.
- È morto, – scatta Peter, lasciando cadere il sacchetto di Zuccotti per terra, in preda all’orrore. – Guardate la sua faccia, è sconvolta. Lo abbiamo lasciato solo ed ora James è morto!
- Non essere ridicolo, Pete, - sbuffo, alzandomi e facendo segno a Lizzie di venire qua, notando tuttavia che ha davvero un’espressione persa. – Lizzie, tutto bene? Dov’è James?
- Ciao, Remus. Non sono mai stata meglio, – risponde fissando un punto alle mie spalle. – Devo andare subito in camera mia a pensare. James sta arrivando, per nessun motivo al mondo sarò qui quando arriverà. Ha una torta.
Senza aggiungere altro ci dà le spalle e si dirige verso le scale del dormitorio femminile.
- Sta bene, - commento sollevato.
- Ha una torta, – anche Peter sembra sollevato.
- Si sono baciati, – Sirius sta ancora seguendo Lizzie con lo sguardo.
 
*
 
- Il signore ha dimenticato qualcosa?
Merry mi guarda interrogativo.
Anch’io lo guardo interrogativo.
Pare che le mie gambe mi abbiano portato nelle cucine.
- La torta, – rispondo meccanicamente.
- Mi ha baciato, – aggiungo, perché dirlo a qualcuno è il primo passo per realizzarlo.
- La torta lo ha baciato? – chiede Merry ed ora quest’elfo domestico crede che io sia pazzo.
- No, - scuoto la testa, decidendo di porre fine a questa situazione. – Ora me ne vado. Puoi darmi un po’ di torta per i miei amici?
Merry si fionda ad accontentarmi, impaziente di soddisfare una richiesta di senso compiuto.
Ora andrò da Sirius, perché dirlo a lui lo renderà reale. Poi Remus mi spiegherà per filo e per segno come reagire a questa cosa e Peter annuirà ritmicamente ed anche questo sarà molto d’aiuto. Incoraggiato dal mio piano perfetto, prendo in consegna la torta, nuovamente padrone di me stesso, ed esco baldanzoso dalle cucine, nello stesso esatto momento in cui Mulciber emerge come uno squalo dalle profondità dei sotterranei, piazzandosi proprio tra me e le scale che portano al secondo piano.
Questo non va affatto bene.
Potrei afferrare il mantello e gettarmelo addosso, ma dovrei lasciar cadere la torta per riuscirci e non è nemmeno da prendere in considerazione. Senza contare che non voglio che un Serpeverde scopra del mantello. 
 I miei occhi spaziano alle sue spalle. 
 La voce di Remus mi suggerisce di provare a farlo ragionare. 
 Quella di Sirius mi sprona a dargli un calcio nelle parti basse e poi scappare.
- Ascolta, corro più veloce di te, – inizio, complimentandomi mentalmente con me stesso per il tono relativamente privo di panico. - E non pensare che non lo farò solo perché sono un Grifondoro, perché se ti avvicinerai, mi volterò ed inizierò a correre. E poi sarà imbarazzante per te: non avrai più fiato mentre io sarò ancora fresco come una rosa ed in grado di percorrere infiniti giri di campo.
- Le tue doti di corridore non mi interessano in alcun modo, Potter, - mi interrompe impassibile. - Non sono qui per picchiarti.
- Ah no?
- Non so perché lo pensi, se mi interessasse potrei scoprirlo e allora probabilmente poi dovrei picchiarti, – Mulciber sembra quasi più seccato di me di essere qui, il che è davvero incoerente da parte sua, dato che è lui che mi ha cercato per tutto il giorno. – Ti dovevo un favore per esserti preso cura di Pinkie.    
- Pinkie, – ripeto, mentre l’immagine della puffola pigmea rosa si sovrappone immediatamente al viso burbero di Mulciber. Cerco subito di frenare la mia immaginazione, perché questo è esattamente il tipo di immagine che potrebbe farmi scoppiare a ridere e scoppiare a ridere in questo momento è esattamente il tipo di azione che potrebbe farmi finire in infermeria.
- Pinkie, – ripete Mulciber, con un tono tale da far sparire qualunque traccia di comicità dal nome Pinkie.
- È tua? – azzardo incerto e forse non morirò oggi.
- Di mia sorella, la Tassorosso che te l’ha affidata, - precisa lui e se non fosse alto due metri e largo tre, gli farei notare che affidare presuppone volontà da entrambe le parti e che quella peste me l’ha sbattuta in mano per poi defilarsi, facendomi punire al posto suo. - Gliel'ho regalata io.
- Pinkie, - ripeto, perché non posso farne a meno.
- Il nome l'ha scelto lei.
- Certo. Pinkie.
- Smettila di ripeterlo.
- D'accordo.
Improvvisamente sento il bisogno di gridare Pinkie  a pieni polmoni.
Pinkie. Pinkie. Pinkie.
Se si intende di Legilimanzia sono fottuto.
- Ora siamo pari.
- Sì?
- Non ho ucciso i tuoi amici che mi stavano seguendo, oggi ad Hogsmeade.
- Lo apprezzo molto.
- Non l'ho fatto per te, ma per...
- Pinkie.
Oh Godric.
- Ora vai.
- Vado.
E non me lo faccio ripetere due volte.
  
  
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


 

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CAPITOLO 19.

 

 

 

 

Una brezza lieve mi accarezza il viso, smuovendomi i capelli e inducendomi ad aprire gli occhi dopo appena pochi secondi. Subito allungo il braccio ed afferro la mia bacchetta, intenta a svolazzare sopra di me: adoro svegliarmi con la sensazione del vento sul viso, come se stessi volando; per quanto i miei amici possano trovarlo ridicolo, è molto più rilassante dei fastidiosi suoni acuti emessi dalle loro bacchette. E meno traumatico soprattutto, se non si conta la volta in cui Sirius ha pensato che sarebbe stato divertente aumentare la potenza del getto d’aria, tanto che quella mattina mi sono ritrovato scaraventato a terra da un fiotto con la potenza di un tornado. Automaticamente il mio sguardo va a posarsi su di lui, ancora addormentato della grossa nel letto affianco al mio, apparentemente per nulla infastidito dal sole che gli inonda in pieno il viso. È domenica e questo per noi Malandrini significa solo una cosa: colazione a letto. È una tradizione che va avanti da quando abbiamo scoperto come entrare nelle cucine, alla fine del primo anno. Inizialmente doveva essere la sorte a stabilire di volta in volta il Malandrino che sarebbe sceso a prendere la colazione per tutti, solo che di fatto a stabilirlo era la bravura nel truccare le estrazioni e quando ci siamo resi conto che per oltre un mese Sirius era sempre stato tra quelli che aspettavano beati a letto, abbiamo finalmente deciso di fare a turno. Avremmo potuto pensarci prima effettivamente, ma nemmeno Remus ad undici anni era questa gran cima. A proposito di Remus, oggi sarebbe il suo turno di provvedere ai viveri, ma dal momento che questa sera ci sarà la luna piena, Sirius ha pensato che sarebbe stato carino se un altro di noi lo avesse sostituito, lasciandolo riposare. Sempre a detta di Sirius, lui ha fatto la sua parte concependo l’idea, Peter ha dato il suo contributo approvandola con degli energici cenni del capo e a me, per non essere da meno, non resta che metterla in atto. Ho come l’impressione di essere stato truffato, impressione che si rafforza non appena il mio corpo viene investito da tutto ciò che di duro e freddo c’è al mondo –sono appena uscito dal letto insomma. Potrei vendicarmi facendo qualcosa di poco ortodosso alla colazione di Sirius e Peter, se non fosse che Remus, a dispetto della sua aria mingherlina, non disdegna mai di assaggiare quello che c’è nei piatti altrui. Senza contare che questa è una delle cose che noi non facciamo, contaminarci il cibo a vicenda. Sarebbe troppo stressante convivere con questa possibilità e con tre Malandrini allo stesso tempo. Naturalmente quando Sirius si arrabbia davvero può fare anche questo, ma se tutti noi Malandrini ci comportassimo come un Sirius Black veramente arrabbiato, allora non avremmo più vestiti.
-Moony, - sussurro troppo piano perché possa sentirmi davvero, chinandomi sul suo letto e dando una scrollata alla sua bacchetta, in modo che non suoni. - Vado io a prendere la colazione, ok?
Remus mugugna qualcosa senza aprire gli occhi e sicuramente quello che intendeva era ‘Ma certo, James, vai pure tu al mio posto’, così io vado.
D’altro canto Remus accetta favori solo quando sta dormendo.

 
*

 
- Fammi capire, Lizzie, - Allison, seduta sul letto di fronte al mio, mi punta contro una spazzola in maniera leggermente inquietante. - Tu l’hai baciato, l’hai baciato ho detto, non interrompermi, abbiamo già stabilito che leccargli della crema inesistente dalle labbra rientra nella sfera dei baci, e lui non ha detto nulla?
- Non ne ho idea, dato che me ne sono andata. Abbiamo già stabilito anche questo, ricordi? Ieri sera, più o meno dieci volte. A dire il vero credo di aver continuato a raccontarti cos’è successo anche dopo essermi addormentata. 
La spazzola di Allison continua ad essere puntata su di me, mentre la mia amica sfoggia la stessa espressione pensosa di quando fissava la lavagna durante le lezioni di Aritmanzia. Non a caso abbiamo smesso di frequentare quella materia astrusa dopo qualche lezione, ma spero proprio che la soluzione non sia la stessa anche questa volta, perché le labbra di James sono qualcosa che mi piacerebbe davvero continuare a frequentare.
- Lo so, ma continuo a sperare che richiedendotelo mi darai finalmente una versione diversa, - Allison sospira, scuotendo la testa. - La parte migliore del baciare qualcuno è che, nel bene o nel male, avrai una risposta e tu decidi di filartela?
- Non gli ho fatto nessuna domanda – preciso accigliata.
- Il bacio è una domanda, Lizzie.
-Devo chiederglielo di nuovo, allora?
Perché potrei, potrei chiederglielo all’infinito per quel che mi riguarda.
No, sei impazzita? – A quanto pare baciare di nuovo James Potter non è tra le opzioni considerabili, a giudicare dal tono sconvolto di Allison. Peccato. – Tu l’hai baciato, ora sta a lui. Non vorrai mica passare per una disperata.
- No, certo.
Ma mi sento una disperata.
- E se lui non fa nulla?
Allison ci pensa un po’ su, prima di concludere con un’alzata di spalle che in quel caso sarebbe un idiota.
-D’accordo, ma mettiamo che sia un idiota, cosa faccio io a quel punto?
- Non lo so, Lizzie, ok? Ci penseremo, ma non ora, - Allison sospira, lasciandosi cadere a peso morto sul letto. – Non di domenica mattina. Per il momento il piano è aspettare e sperare che non sia un idiota.
Sospiro anch’io, fissando la parte superiore del baldacchino. Non mi piace il piano di Allison.
James è un ragazzo. È il ragazzo dei miei sogni, certo, ma è pur sempre un ragazzo e questo significa che le probabilità che lui sia un idiota sono spaventosamente alte.

 
*

 
- Il solito, signorino James?
- Sì, grazie, - indugio qualche istante alla ricerca del nome dell’elfo che mi sta di fronte nei meandri della mia memoria, ma sono tutti vestiti uguali e così simili, con l’eccezione di Palin naturalmente, l’elfo terrificante con un orecchio mozzato. Ma questo ha entrambe le orecchie, quindi non so nulla di lui, se non che mi conosce e questo mi fa sentire piuttosto in svantaggio; d’altro canto mi sta per portare muffin, torta e succo di zucca in abbondanza e ciò è bene. Lasciandomi andare ad un profondo sbadiglio, mi volto verso le lunghe tavolate affollate di elfi intenti a cucinare, con l’idea di spizzicare qualche dolcetto nell’attesa, solo che qualcosa urta contro di me, emettendo un suono soffocato. Il qualcosa, che è in realtà un qualcuno, mi fissa ad occhi spalancati, con metà cornetto alla crema che spunta dalla bocca. A giudicare dai colpi di tosse che emette poi, suppongo di aver spinto involontariamente la pasta un po’ troppo a fondo nella sua gola. Automaticamente il mio cervello prende atto della spilla da Prefetto sul petto di lei e mi ricorda che io non dovrei proprio essere qui, ma d’altro canto nessuno studente, Prefetto o meno, dovrebbe essere qui, quindi non è come se mi potesse punire. E oltretutto sta soffocando. L’ultimo dato immagazzinato dal mio cervello sono i pezzettini di pasta tossiti dalle profondità della gola di Evans e spiaccicati proprio sulla mia camicia, in modo tutt’altro che affascinante. Questo non è come una bella giornata dovrebbe iniziare.

 
*

 
La mia vista è appannata per via delle lacrime, gentile omaggio del recente soffocamento, ma quelli di fronte a me sono indubbiamente i capelli di Potter. E dove ci sono i capelli di Potter tende ad esserci anche il resto di Potter. Ed in effetti quelli sono i suoi occhi e non smettono di fissare sconvolti prima la sua camicia e poi la mia faccia e viceversa.
- D’accordo Potter, ti ho sputato addosso, ma avevo le vie respiratorie ostruite dalla pasta che il tuo petto ha conficcato nella mia gola, quindi non mi scuserò, - puntualizzo subito, schiarendomi la voce. – Oltretutto il tuo petto non ha il permesso di stare qui.
- Tecnicamente nemmeno il tuo petto, Evans, - ribatte Potter ed ha ragione e questo, unito allo scampato soffocamento e al fatto che il suo sguardo si è abbassato per una frazione di secondo sul suddetto petto, mi causa un lieve affluire di sangue alle guance.
- Infatti, - annuisco decisa, stringendo quel che resta della mia pasta nella mano appiccicaticcia e dirigendomi a passo svelto verso l’uscita. – Tu non hai visto me ed io non ho visto te.
- Peccato, sarebbe stato un bel modo di iniziare la giornata.
Ho appena attraversato il ritratto con le pere, ma non lo sento chiudersi dietro di me e la voce di Potter è ancora troppo vicina. Quando mi volto, me lo trovo alle spalle, con un largo vassoio tra le mani. Il mio sguardo si sofferma per qualche secondo di troppo su un gigantesco muffin dall’effetto ipnotizzante, dopodiché lo riporto sul viso di Potter, seccata.
- Ora non cominciare a seguirmi.
-Non ti sto seguendo, Evans, non essere egocentrica – sbuffa lui ed io decido di non pensare al fatto che James Esisto Solo Io Potter mi ha appena dato dell’egocentrica.
- Siamo nella stessa Casa, nel caso non l’avessi notato – insiste il mio spiacevole incontro, trotterellandomi di fianco.
-Come potrei non averlo notato, Potter?
-Lo so, la mia bellezza difficilmente passa inosservata.
-È la tua voce a non passare inosservata, soprattutto quando gridi, - specifico mentre imbocchiamo le scale per il primo piano. Ne mancano solo sei, coraggio.  – Ovvero sempre.
- Così scorbutica già di prima mattina? – Potter inarca un sopracciglio e quello è esattamente il tono e quello è lo sguardo e lo so che si sta preparando per una delle sue battutine odiose. - Quel Philips deve essere pessimo negli appuntamenti almeno quanto lo è nel Quidditch.
Per l’appunto.
- Ti ringrazio, Potter: sei sempre pronto a ricordarmi perché non ti sopporto. 
- Perché sai che ti saresti divertita più con me che con quel Corvonero, - ghigna beffardo, sempre al mio fianco, ignorando i miei tentativi di allungare il passo e seminarlo. - Dove ti ha portata? Da Madama Piediburro?
Il suo tono è così derisorio che vorrei davvero dirgli che no, non abbiamo messo piede in quel posto pieno di orribili putti danzanti, ma sento il calore invadermi le guance anche solo al pensiero di mentire ed anche Potter lo nota a quanto pare: i suoi occhi si spalancano e lui scoppia in una risata che rimbomba nel corridoio ancora vuoto.
-Non ci credo, ti ci ha portata davvero?
- Non sono affari che ti riguardano, - preciso stizzita, punta sul vivo: mi sembra quasi di sentire ancora l’odore dolciastro di quel luogo nelle narici. - E sentiamo, dove mi avresti portata tu, grand’uomo? Da Zonko a comprare Caccabombe da lanciare sulla prossima Casa che ti straccerà a Quidditch? 
Potter stringe le labbra, incassando il colpo in silenzio.
- Tanto per cominciare, ovunque tranne che in un locale in cui servono la cioccolata in tazze rosa a forma di cuore, - Il silenzio non dura a lungo naturalmente. – E il luogo non conta, Evans, basterebbe la mia compagnia a renderlo l’appuntamento più bello della tua vita.
-Ma se proprio vuoi saperlo, - Potter continua veloce, ignorando il mio tentativo di interromperlo. – Ti porterei nella Stamberga Strillante.
- Originale, - sbuffo scettica. - D’altro canto non è sempre piena di studenti affacciati alla staccionata a scommettere su chi la infesti.
- Non fuori, Evans. Ti porterei nella Stamberga.
Potter ha il suo solito sorriso sornione che mi induce a non prendere sul serio una sola parola di quello che gli esce dalla bocca, ma scavalcare la staccionata e sgattaiolare nella casa più infestata della Gran Bretagna è una cosa talmente da Potter che non fatico a credergli. Mi viene il sospetto che l’abbia già fatto in realtà.
- Quindi rischieresti di farci ammazzare entrambi, perfetto. E poi ti chiedi perché non accetto i tuoi inviti? - commento perché è quello che Potter si aspetta da me ed è quello che anch’io mi aspetto da me, non dare corda a James Potter e alle sue stupide idee. Ma l’idea di organizzare una missione esplorativa oltre la staccionata della Stamberga Strillante mi ha sfiorata talmente tante volte dal terzo anno in poi che non so quanto il mio tono acido risulti credibile al momento. Il fatto è che Alice e la maggior parte degli studenti di questa scuola mi direbbero che sono pazza anche solo a pensarci e non sono Grifondoro al punto di avventurarmi da sola in una casa infestata. Non sono nemmeno così idiota da farlo con Potter, ovviamente. O fare qualunque cosa in generale con Potter, a parte la strada per la Sala Comune, ma non è come se avessi scelta.
- Già, molto meglio passare il tempo da Madama Piediburro con Philips.
- Che ci fai con tutta quella roba, comunque? – chiedo accennando al vassoio, troppo carico per una sola persona. Non che la risposta mi interessi particolarmente: fare conversazione con Potter è molto in basso nella lista dei miei passatempi preferiti, appena sotto ingoiare un doxie vivo, ma dal momento che non è possibile farlo tacere, tanto vale indirizzare la sua attenzione su argomenti neutri.
- Colazione a letto per quattro, Evans. È per questo che si dovrebbe usare la conoscenza delle cucine. – Potter mi fissa come se io fossi una pessima amica. Forse non lo sta facendo, ma per un attimo mi sento una pessima amica, perché io non sto portando nulla a Mary ed Alice. Ma è solo un attimo, perché poi ricordo che Mary non si sveglierà prima dell’ora di pranzo ed Alice ama la folla che c’è la mattina in Sala Grande, a differenza mia. – Come fa un Prefetto diligente come te a sapere delle cucine tra l’altro?
- Alice, – sospiro e Alice sottintende Frank naturalmente e poi ho la spiacevole sensazione che Frank sottintenda Potter e a giudicare dal suo sguardo gongolante ho perfettamente ragione. – Lupus in Fabula.
- Le cucine non sono il posto migliore di Hogwarts, Evans, – commenta Potter, mentre il ritratto della Signora Grassa si sposta per lasciarci passare. - Se non fossi così legata alla tua spilla da Prefetto, ti farei restare a bocca aperta.
- L’unica cosa che voglio da te, Potter, - replico voltandomi verso di lui. - È questo muffin, come risarcimento per aver rovinato la mia colazione. Buona giornata.
Stringendo il mio trofeo tra le mani, mi allontano impettita ed in fretta prima che possa aggiungere altro.

 
*

 
Sirius si accorgerà che manca un muffin: non è il genere di cosa che può passare inosservata ai suoi occhi.
- Sveglia, amici belli, sveglia!
Il sole inonda la stanza e prevedibilmente nessuno muove un muscolo.
- Malandrini a rapporto! – insisto, tirando le tende del baldacchino di Peter, mentre Sirius mormora qualcosa nel sonno e sono sicuro che non sia nessuna parola esistente.
Remus è l’unico a dare segni di vita: il materasso cigola mentre si tira su stancamente, fissandomi perplesso.
- Che fai sveglio? Non era il mio turno?
- Oh sì, ho cercato di buttarti giù dal letto in tutti i modi, ma mi hai persino mandato a quel paese. Davvero disdicevole per un Prefetto, Moony, lasciatelo dire.
Prima ancora che Remus apra la bocca, ora lievemente distorta nel tentativo di sopprimere un sorriso, so già cosa sta per dire, perché quello è il modo in cui Remus guarda le persone quando è pervaso dalla gratitudine. Così, non appena socchiude le labbra, afferro un muffin dal vassoio davanti a me e gli ricaccio il suo grazie in fondo alla gola. Poi, ignorando i suoni soffocati che provengono dalla mia sinistra, saltello spensierato fino al giaciglio di Sirius ed inizio a spingerlo verso il letto di Remus, in modo da creare una grande, morbida ed instabile tavolata.
-Sveglia, Pad! – esclamo vivace, dando una lieve scrollata a Sirius che mugugna infastidito. -Quello screanzato di Moony ha già iniziato a mangiare senza di noi.
I gemiti strozzati di Remus, che sta ancora cercando di ingoiare il generoso boccone che gli ho offerto, assumono un tono piuttosto indignato. E devo riconoscere che non è da tutti soffocare esprimendo indignazione.
-Non vorrai rimanere senza muffin – considero vagamente, prima di dirigermi verso il letto di Peter senza più guardarmi indietro.
Non ho bisogno di voltarmi per sapere che ora Sirius è sveglio: ha questa folle adorazione per i muffin. La prima volta in cui mi sono reso conto che probabilmente mi voleva bene davvero è stato proprio quando mi ha offerto la metà di uno dei suoi muffin, al terzo anno, un giorno che era venuto ad assistere agli allenamenti della squadra. Lui ne aveva veramente un sacco ed io avevo quasi rischiato di cadere dalla scopa per via di un calo di zuccheri e nessun altro aveva del cibo a portata di mano, ma questo non cambia i fatti: ho mangiato un muffin di Sirius e non sono finito in infermeria. Beh, ci sono finito in realtà, ma solo perché poi si è scoperto che il motivo per cui mi girava la testa non era un calo di zuccheri, ma un qualche bizzarro intruglio che Mocciosus mi aveva rifilato di nascosto, per vendicarsi di quello che avevo fatto ai suoi capelli la settimana prima –ne è valsa la pena, per inciso. Ma Sirius non mi ha preso a pugni ed è questo il punto. Era solo metà muffin, certo, ma non è importante: Sirius tratta i suoi muffin come se fossero dei figli e se offri ad una persona di mangiarsi la metà di tuo figlio, è comunque un bellissimo gesto, non importa se l’altra metà vuoi mangiartela tu. Non suona così bene, me ne rendo conto, ma...sarà meglio svegliare Peter.
-Petey Pete, sveglia! – grido saltando sulla morbida pancia del mio amico. – Colazione a letto!
Prima ancora che apra gli occhi, un ampio sorriso si fa spazio sulle labbra di Peter ed una parte di me prova una certa ammirazione per la sua capacità di sorridere anche mentre un tuo amico ti è appena atterrato sullo stomaco. Subito dopo, l’ammirazione si trasforma in irritazione, perché Peter è evidentemente anche in grado di alzarsi scaraventando il suddetto amico giù dalla sua pancia, per poi fiondarsi verso la colazione. Mentre mi rialzo a fatica dal materasso ancora caldo, faccio appena in tempo a vedere le pietanze, già disposte meticolosamente da Remus e Sirius al centro dei due letti, traballare pericolosamente nel momento in cui Peter si lascia cadere senza troppa delicatezza in fondo a un letto. Remus si precipita ad afferrare la brocca del succo di zucca, Peter quella del latte e Sirius si limita a sgranare gli occhi, continuando però a masticare il suo muffin.
-Allora, - inizio sedendomi cautamente di fianco a Peter, servendomi un’abbondante fetta di torta di mele. – Che si fa oggi?
- Non è tanto che si fa oggi, Prongs, quanto piuttosto cos’hai fatto ieri.
Sirius mi guarda con un sorrisetto eloquente.
- Mi piace ricordarlo come il giorno in cui non sono stato picchiato da Mulciber – replico con un’alzata di spalle.
- Credo che Padfoot si riferisca a Lizzie - precisa con prontezza Remus ed anche lui mi sta guardando con una certa aspettativa. - Sai, prima che spuntassi tu con la torta e le tue infinite ciance su Mulciber e le puffole pigmee, lei è venuta da noi e sembrava parecchio scossa. Quindi, ci stavamo chiedendo se per caso...
Remus alza le sopracciglia, apparentemente inconsapevole di non poter concludere una frase in questo modo. L’unico suono proveniente da Peter è un masticare continuo, ma anche i suoi occhi sono puntati su di me e sono convinto che in qualche modo persino l’armadio mi stia fissando, nonostante l’assenza di bulbi oculari.
- Non l’ho baciata, se è questo che state pensando.
- Quindi lei ha baciato te  - stabilisce Sirius con certezza, annuendo.
- Ha detto che avevo della crema sul labbro.
- Peter ha cioccolato su tutta la faccia, ma nessuno di noi inizierà a leccarlo.
- E di questo vi sono molto grato – ci informa Peter, affrettandosi tuttavia ad afferrare un tovagliolo.
- Ora non parlare come se non avessi mai leccato la faccia di ogni persona presente in questa stanza – sbuffo, riservando un’occhiata scettica a Sirius.
- E tu non farlo sembrare così scabroso: quando sono trasformato non conta, è il mio istinto.
-Non è il tuo istinto, è la tua lingua, – preciso, prima di voltarmi verso Remus, che ha appena chiamato il mio nome. –Che c’è, Moony?

 
*

 
- Questo non è il momento in cui dovresti analizzare i tuoi sentimenti a riguardo?
Non ho bisogno degli sguardi dei miei amici per sapere che la mia è una di quelle frasi che un Grifondoro maschio di sedici anni non è autorizzato a pronunciare ad alta voce.
- Cosa?- James mi fissa perplesso, prima di voltarsi verso Sirius. -Cosa sta dicendo?
- È l’influsso della luna piena, - Sirius naturalmente gli dà corda. - È convinto che tu abbia dei sentimenti per la mia lingua e non vede l’ora di analizzarli.
- Lizzie, sto parlando di...
Alzo gli occhi al cielo spazientito, ma James e Sirius si stanno già esibendo nel loro teatrino, complici silenziosi, e nessuno sa cambiare discorso come loro due. Mentre James insinua che sia la lingua di Sirius a nutrire sentimenti per lui e non il contrario, mi verso un bicchiere di succo di zucca con un sospiro rassegnato. Peter mi guarda con l’aria di chi si è perso qualche passaggio ed io gli sorrido, scuotendo la testa. A quanto pare James ha deciso di non pensarci al momento e le possibilità di fargli cambiare idea sono pari allo zero, soprattutto considerando che questa sarà la notte ed il mio corpo inizia già a risentirne.
 


**********


 

- Ehy, Lily.
Dean si è appena seduto al mio fianco ed ora, anche se Frank sta continuando a parlare, ho la certezza assoluta che Alice ha smesso di ascoltarlo e le sue orecchie sono ben tese per cogliere la nostra conversazione oltre il brusio della Sala Grande.
- Ciao Dean, - lo saluto pacata, servendomi una seconda porzione di pollo. - Tutto bene?
- Oh sì, grazie, - risponde lui ed evidentemente non ha colto il vero significato del mio tutto bene?, che sottintendeva un sei un Corvonero, questo è il tavolo dei Grifondoro ed io sono un Prefetto, c’è un motivo in particolare per cui mi metti nella posizione di ignorare le regole di fronte a tutti?
Forse non posso sottintendere frasi così lunghe, d’accordo, ma i Corvonero dovrebbero essere più intuitivi di così.
- Sai, sono stato molto bene ieri, - inizia lui agitandosi nervoso sulla sedia. – Mi chiedevo se per caso ti va di passare il pomeriggio insieme anche oggi: possiamo fare un giro nel parco o studiare o qualsiasi altra cosa.
Frank dev’essersi finalmente accorto che Alice è troppo impegnata a spiare la sua migliore amica per prestargli attenzione, perché non sento più la sua voce alla mia sinistra. Questo vuol dire che ora sono in tre ad attendere la mia risposta.
- Ok, sì, certo, - La mia bocca si muove da sola, prima che io possa realmente riflettere sulla sua proposta. – Un giro nel parco, come no.
- Ottimo, - annuisce lui illuminandosi, senza staccare gli occhi da me.
- Bene – gli sorrido, chiedendomi se aggiungere un ‘a dopo’ sarebbe un modo troppo esplicito di cacciarlo, ma le mie labbra hanno appena accettato un secondo appuntamento al mio posto ed ho bisogno di riflettere sull’accaduto, senza contare che già sento nelle orecchie i commenti saccenti che uscirebbero dalla bocca di Potter se vedesse un Corvonero al nostro tavolo, proprio di fianco alla mia spilla da Prefetto. Automaticamente il mio sguardo percorre la tavolata, ma i Malandrini sono a diversi posti di distanza da noi e sembrano stranamente quieti. Perlomeno non sento la risata di Potter dall’altra parte della Sala Grande e questa è già una piacevole anomalia: forse ha finalmente capito che se trova qualcosa divertente non è di vitale importanza farlo sapere a tutta la scuola.

 
 *

 
- Madama Chips ti aspetta alle sei?
Sirius mi guarda interrogativo, addentando una coscia di pollo.
Io annuisco distrattamente, costringendomi a mandare giù a forza qualche boccone, ignorando la nausea. Il mio stomaco non ne vuole proprio sapere, ma affrontare la luna piena a digiuno è fuori discussione: è sempre peggio quando il lupo ha fame. I ragazzini del terzo anno seduti vicino a noi scoppiano a ridere improvvisamente e le loro voci sono così acute da perforarmi i timpani. Cercando di non farmi notare, mi porto le mani alle tempie, sofferente: i sensi del lupo arrivano sempre molto prima di lui e l’udito, in una scuola piena di adolescenti frenetici, è il peggiore.
-Andiamo in biblioteca nel frattempo? - propone James, allontanando da sé il piatto vuoto.
-In biblioteca? – ripeto perplesso, mentre già una parte di me si crogiola nell’immaginare il silenzio interrotto solo dal frusciare delle pagine.
- È quello che ho detto.
-E cosa vorresti fare in biblioteca?
-Non lo so, un tema su qualche noiosa riforma attuata dai Goblin o sulle diverse applicazioni della Pozione Ricostituente. Ci sarà qualcosa che dovremmo fare in biblioteca, no? C’è sempre.
Mentre James inizia a lamentarsi dell’inumano carico di compiti con cui ci affliggono i professori, mi sforzo di ingoiare l’ultimo boccone, l’accenno di un sorriso sul volto. È che la maggior parte delle volte non ci sono parole ridondanti o gesti clamorosi, e James dà l’impressione di non vedere niente oltre alla sua immagine allo specchio in modo quasi inequivocabile. Ma nei giorni prima della luna piena trovo sempre nella borsa o sul comodino della cioccolata che non ricordavo di avere, le mie giornate trascorrono meno movimentate del solito e James fa cose come offrirsi di passare del tempo in biblioteca con me, anche se c’è il sole e sarebbe una giornata perfetta per il Quidditch, come, secondo James, lo sono in realtà tutte le giornate. 
 Ed in fondo è solo qualche tavoletta di cioccolata e qualche ora di studio tranquillo, e James resta fondamentalmente un idiota, ma improvvisamente fa tutto un po’ meno male. 
 Non bastano montagne di cioccolata o di libri e la luna continuerà ad essere piena ogni mese, ma è davvero tutto qui, nel modo in cui Sirius e Peter non si ribellano all’idea di passare il pomeriggio a studiare e James mi guarda di sfuggita mentre parla a vanvera.
 

**********
 


- Non credo che sia una buona idea, sul serio.
- Oh, andiamo! – Dean mi guarda speranzoso, accucciato accanto a me sulla riva del lago. - Sei o non sei una Grifondoro? Io e Dean ci siamo divertiti parecchio fino ad ora, chiacchierando e gironzolando per il parco: siamo stati bene e non ci siamo rotti l’osso del collo cadendo da una scopa, questo perché siamo sempre rimasti coi piedi per terra. Ma a quanto pare Dean ha deciso di cambiare la situazione, dopo aver visto in lontananza la squadra di Tassorosso lasciare libero il campo, dopo gli allenamenti.
- Non volo da anni e ho un pessimo equilibrio: farmi salire su una scopa sarebbe un vero e proprio tentato omicidio da parte tua.
- Ti do la mia parola che non ti lascerò cadere, d’accordo? E poi guarda, non sono l’unico ad aver avuto l’idea di fare una volata al campo: serve proprio un Prefetto a controllare che nessuno si faccia male.
Dean pare non capire che sarà proprio quel Prefetto a farsi male, ma mentirei se dicessi che non ho una voglia matta di volare di nuovo. Solo che sono un po’ traumatizzata, dato che non monto su una scopa dal quinto anno, quando Frank, con l’unico scopo di far colpo sulla sua non ancora ragazza Alice, ha provato a farmi prendere di nuovo confidenza con la scopa; è andato tutto bene, fino a quando si è distratto a fissare la mia amica e mi ha lasciata precipitare da tre metri di altezza. A suo modo è comunque riuscito ad impressionare Alice, me e persino Madama Chips, che sostiene di non aver mai visto un polso fratturato in così tanti punti diversi.

 
*

 
- Oh Godric, Sirius, te l’ho lanciata praticamente in mano, come sei riuscito a mancarla?
C’è una differenza sostanziale tra il caldo torpore del divanetto accanto al fuoco, nella Sala Comune dei Grifondoro, dove potrei essere ora, e il vento gelido che mi sferza il viso a venti metri d’altezza, davanti ad uno degli anelli del campo da Quidditch. Quella differenza è il motivo per cui la mia vita fa schifo: non appena la porta dell’infermeria si è chiusa alle spalle di Remus, James mi ha trascinato al campo di peso, senza nemmeno darmi il tempo di insultarlo a dovere.
- Non sono felice di essere qui, – puntualizzo, nel caso James non avesse sentito le altre dieci volte che gliel’ho detto. – E ho freddo.
- Se riesci a parare almeno un tiro, ti giuro che torniamo al castello, – stabilisce James, prima di lanciarmi la pluffa addosso. La schivo per un soffio, riservandogli un’occhiata indignata.
Non mi piace stare qui. Fa freddo, sono troppo lontano dal suolo per i miei gusti e il mio migliore amico ha appena tentato di uccidermi.
- Stai cercando di sfigurarmi o cosa? Non puoi tirarmi la pluffa in faccia senza preavviso.

 
*

 
Eppure fa la cronaca delle partite di Quidditch da due anni, deve per forza aver notato che nessun Cacciatore prima di tirare grida al Portiere la traiettoria del lancio. Fisso Sirius perplesso per qualche altro secondo, chiedendomi cosa ci sia di sbagliato in lui, prima di scendere a recuperare la Pluffa. Grazie all’incantesimo applicato su ogni Pluffa, che le fa cadere più lentamente di una palla normale, la recupero prima che tocchi terra, a pochi metri dal suolo. È a questo punto che riconosco i due sospesi a nemmeno un metro d’altezza, che pochi secondi fa erano solo due figure in miniatura: Evans sta ridendo e si aggrappa al braccio di Philips per tenere dritta la scopa, il che è ridicolo naturalmente, perché per governare una scopa come Godric comanda servono entrambe le mani e se Philips avesse un minimo di cervello glielo farebbe presente.
Li fisso contrariato per qualche secondo, prima di riprendere quota.
 

*
 

- Hai visto?
Il tono di James è beffardo, vagamente irritato e tendente all’incredulità. Subito affino lo sguardo, perlustrando il campo alla ricerca della causa del suo disappunto, ma tutto quello che vedo è gente evidentemente un po’ tarda che si diverte a stare qui al freddo di propria sponte.
- Mi serve un complemento oggetto, Prongs, – replico pacifico, lieto che qualunque cosa contrari James lo stia anche distraendo dal proposito di lanciarmi quella cosa addosso.
- Guarda, - James mi indica con un cenno del capo due figure sfocate, molto più in basso rispetto a noi; non si stanno lanciando addosso oggetti sferici per il puro gusto di farlo e per questo hanno il mio rispetto e la mia invidia. – Sono Evans e Philiphs. Lui le sta insegnando a volare.
Dall’indignazione nella voce di James, superiore a quella con cui mi informerebbe che Philips le sta insegnando a sventrare cuccioli di Snaso, intuisco che insegnare a volare ad Evans equivale per lui ad un affronto personale.
- Capisco, – annuisco impassibile, mentre James continua a guardare in basso.
- Non imparerà mai così – sbuffa contrariato, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. Poi incrocia il mio sguardo e mi fissa perplesso. - Che c’è?
- Niente, – rispondo con un’alzata di spalle.
- Sirius, - James mi guarda eloquente.
- Se non fossimo sospesi a venti metri d’altezza, Prongs,  direi che sei geloso.
 

*
 

Sirius mi guarda tranquillo, come se non avesse appena enunciato l’assurdità del secolo.
Io geloso di Evans.
Come se me ne importasse qualcosa. Ridicolo.
Ridicola Evans, ridicolo Philips e ridicolo Sirius.
Tutta questa situazione è altamente ridicola.
Ed Evans e Philips continuano a ridere come se si divertissero davvero insieme, il che è sbagliato, perché nessuno dovrebbe divertirsi volando in modo pessimo.
E l’aria da saputello di Sirius accende in me la voglia di ricordargli che il campo da Quidditch è il mio territorio.
 

*
 

- Che succede lassù?
Dean ha il naso puntato per aria, come molti altri studenti.
Si è appena sentito un grido ed incredibilmente non sono stata io ad emetterlo. Vorrei continuare ad essere quella che non sta cadendo e non sta gridando, ma allo stesso tempo la mia spilla da Prefetto e la mia curiosità mi spingono ad indagare, così inclino la scopa verso l’alto di appena qualche centimetro, in modo da alzarmi lentamente. Sta succedendo qualcosa tra due studenti, le cui scope sono ora quasi sovrapposte, ma sono troppo più in alto di me per capire chi siano. Dean è già salito di diversi metri ed è lui ad avvisarmi di spostarmi, proprio prima che una scopa in caduta libera mi sfrecci di fianco. Questa volta sono stata io a gridare, per l’appunto.
- Potter ha appena trascinato Black sulla sua scopa. Non mi è chiaro il perché, - mi informa Dean raggiungendomi. - Black non sembra contento.
Dovrei essere più stupita di così.
- Ti aiuto a scendere?
- Non ci penso nemmeno. Ho dei punti da togliere, – commento decisa, puntando la scopa dritta verso le due figure sopra di me. Lo slancio con cui parto è superiore a quello che mi aspettassi e devo letteralmente aggrapparmi al manico per non scivolare all’indietro. Non è stata una buona idea ed ora distinguo chiaramente i capelli disastrati di Potter e il viso contrariato di Black. Vorrei far capire in qualche modo alla mia scopa che ora sono abbastanza vicina e che può smettere di sfrecciare a tutta velocità verso di loro, ma le scope in effetti non parlano e questa è stata una pessima idea.
 
*

 
- Ti ucciderò, James Potter.
James è piuttosto compiaciuto di quello che ha appena fatto. Lo capisco dal suo sguardo gongolante e il sorrisetto beato. Non ha la minima idea del fatto che trascinare di peso il proprio migliore amico da una scopa all’altra non è nemmeno vagamente accettabile. Se ne sta lì a sorridere e mi ha appena fatto perdere dieci anni di vita.
- Per prima cosa, - inizio senza guardare di sotto, perché non mi piace essere così in alto su una scopa che non sono io a guidare. – Fatti più in là. Ho bisogno di più spazio e più legno dietro le mie chiappe, perché ora c’è subito il vuoto, vedi?
Sono sulla punta della scopa di James Potter e questo non mi piace per niente.
- Come vuoi – sorride James accomodante, prima di scivolare all’indietro verso la coda della scopa, facendola inclinare di colpo. Lo ha fatto apposta, ne sono sicuro, ma sono troppo impegnato a scivolargli addosso e gridare per esprimergli in forma intellegibile la mia disapprovazione a riguardo.
- Raddrizzala, raddrizzala subito – ringhio, perché non voglio sapere come suonerebbe altrimenti la mia voce. James esegue e so che si sta divertendo. - Ora riportami a terra.
- È esattamente quello che intendo fare.
Il sorriso di James si allarga ancora di più e non è normale che una persona sia così felice di essere così lontano dal suolo.  
- Dovresti tenerti.
Dovresti tenerti non è quello che voglio sentire mentre sono su una scopa con James Potter, ma prima che io possa intimargli di non pensare nemmeno di lanciarsi in una picchiata, un grido ci interrompe. È la voce di Evans, che è un Prefetto e questa potrebbe essere una delle poche volte in cui sono felice di vederne uno, se non fosse che ci sta venendo addosso a tutta velocità senza rallentare minimamente.  La mia vita fa schifo.
- DIECI PUNTI IN MENO A GRIFONDORO, POTTER!
 

*
 

Avevo la situazione perfettamente sotto controllo, Sirius era terrorizzato ed era tutto piuttosto divertente. Questo fino a cinque secondi fa, prima che Evans mi togliesse dieci punti arrivando alla velocità della luce da un punto imprecisato del campo per poi colpirmi in pieno.
La situazione è un po’ meno sotto controllo ora: la mia scopa è stata sbalzata di lato di diversi metri, ho quasi perso l’equilibrio e Sirius mi si è avvinghiato addosso gridando a pieni polmoni. Nonostante la confusione e la mia non totale lucidità, sono ben consapevole di due fatti: primo, Sirius grida come una ragazzina isterica, cosa per cui lo potrò prendere in giro almeno fino al settimo anno, secondo, Evans non sa volare e probabilmente la sua stabilità sulla scopa non è uscita dallo scontro altrettanto illesa. Dal modo in cui si aggrappa ancora più violentemente a me, Sirius non è felice della brusca svolta della scopa verso il basso. La picchiata non dura nemmeno tanto, perché Evans è molto più facile da afferrare di un boccino, anche se si agita molto di più.
- E questo Evans è il motivo per cui uscire con un Battitore è perfettamente inutile - commento sornione, issando Evans sulla mia scopa, mentre pochi metri sotto di noi Philips fissa la scena paralizzato. Evans d’altro canto sta ancora gridando, quindi non coglie la mia frecciata ai pessimi riflessi del suo amato.
- Dannazione, piantala Evans! – grida Sirius, senza aprire gli occhi e senza staccarsi di un millimetro dal sottoscritto, cosa che rende ogni singola manovra più difficile.
- Ok, d’accordo, ok, - sospira Evans e tra il fatto che si è appena aggrappata alle mie spalle e sta dando ragione a Sirius, non pare particolarmente in sé. - Oh Godric. Oh Godric, Potter, sono sulla scopa di Potter, cosa ci faccio sulla scopa di Potter?  
- Infatti, cosa ci fai sulla nostra scopa? – Replica immediatamente Sirius, stizzito. - Non puoi stare qui, non ci reggerà tutti.
- Dove vuoi che vada, Black? – sbotta Evans, prima di sporgersi dalle mie spalle per dare una spinta a Sirius. Non sono sicuro dell’esatto momento in cui questa ha smesso di essere una situazione divertente, ma ora non sono felice di essere pressato tra questi due. E qualcuno sta tremando così tanto da far traballare la scopa, anche se non mi è chiaro chi.
- In qualunque altro posto, Evans. E non toccarmi. 
- Ok, calmatevi: ora scendiamo, – Informo i miei passeggeri, puntando la scopa verso terra, questa volta molto più dolcemente.
Ogni singolo studente presente nel campo ci sta guardando ovviamente, perché siamo in tre su una scopa, di cui due stanno cercando di fondersi col mio corpo. Siamo piuttosto ridicoli, me ne rendo conto, ma anche Philips ci sta fissando e non riesco proprio ad impedirmi di rivolgergli un sorriso beffardo.
 

*

 
- 10 punti in meno a Grifondoro, – dico non appena tocco terra. Black si è steso sull’erba e sembra infinitamente grato di non essere più in volo; vorrei farlo anch’io, stendermi, baciare il terreno, ridere, cantare e una lunga serie di azioni che distruggerebbero definitivamente la mia credibilità come Prefetto ed essere umano, ma in qualche modo riesco a trattenermi.
- Lo hai già detto, Evans, – mi informa Potter, smontando dalla scopa sereno come se gli capitasse tutti i giorni di essere investito in volo.
- L’ho detto? – Concentrandomi su quegli ultimi secondi di lucidità prima che finissi proprio contro Potter e Black e venissi sbalzata via dalla scopa, riesco effettivamente a sentire la mia voce gridare qualcosa a proposito dei punti. – Giusto. Allora 10 punti a Grifondoro.
- Lily, stai bene?
Dean ci raggiunge correndo, posandomi preoccupato una mano sulla spalla.
- Bene, sì, - rispondo di riflesso, massaggiandomi il polso indolenzito nel punto in cui Potter mi ha afferrato poco fa, interrompendo la caduta. - Benissimo.
- Non per merito tuo, – puntualizza Potter, gongolante, guardando Dean. - Ma nessuno te ne fa una colpa: sei un Battitore, nessuno si aspetta che tu sappia prendere nulla al volo.
- Devi proprio cominciare? - sbuffa Dean, alzando gli occhi al cielo.
- Anzi è una fortuna che tu non avessi la tua mazza con te, - prosegue Potter ignorandolo. - Non mi avrebbe stupito se il tuo istinto da battitore...
- L’unica persona che il mio istinto mi direbbe di colpire con una mazza sei tu, Potter – lo interrompe Dean, avvicinandosi di qualche passo. È a questo punto che noto la vicinanza eccessiva di quei due e gli sguardi tutt’altro amichevoli che si lanciano. A quanto pare non sono l’unica a notarlo, da come si è tirato su a sedere Black. E quella di fianco a lui sembra una scheggia piuttosto grossa di quello che rimane della scopa della scuola che stavo montando. Io l’avevo detto che era una pessima idea.
 

*

 
- Oh, ma davvero? Mi piacerebbe vederti provare.
È evidente come il sole che a James non viene in mente un modo migliore di passare il resto della giornata che rotolarsi sull’erba del campo di Quidditch facendo a pugni con Philips. Philips d’altro canto è un individuo generalmente piuttosto pacifico, ma dal suo sguardo capisco che si sta lasciando tentare dall’idea: il mio migliore amico ha un talento non indifferente nel risvegliare nelle persone lo stimolo di picchiarlo. Ora, non sarebbe un grandissimo problema, se non fosse che il tutto sta avvenendo di fronte ad un Prefetto e che James non può finire in punizione questa sera, per nessun motivo al mondo. Così mi vedo costretto a rimandare momentaneamente la mia esultanza per l’essere vivo e attirare la sua attenzione.
- James, è un graffio quello sulla tua scopa?
Philips continua per qualche secondo a fissare perplesso James, ora chino sulla sua scopa, giusto nel caso si ricordasse della sua esistenza smettendo di controllare ogni singolo millimetro del manico levigato. Ovviamente non accadrà, perché James non può ricordare l’esistenza di nessuno quando c’è in gioco la sua scopa e questo pare infine capirlo anche Philips, che si allontana scuotendo la testa.
- Non ce la fai proprio a non fare l'idiota, vero, Potter? - sospira Evans stizzita, prima di seguirlo.
La mascella di James si indurisce impercettibilmente, mentre i suoi occhi restano puntati sul manico della scopa, che tra parentesi non ha nessun graffio. 
- Torniamo in Sala Comune? – sbotta infine, alzandosi di scatto ed incamminandosi senza nemmeno aspettarmi.
Non vedo l’ora che sia questa sera. 
Gestire un licantropo non mi è mai sembrato tanto facile.
 

*

 
Evans e le sue amiche sono dall’altra parte della Sala Comune, ma la Prewett ha parlato a voce talmente alta che ora anche io ed Allison, così come il resto della Casa, siamo al corrente che il nostro Prefetto ha rischiato di spiaccicarsi a terra, cadendo da un’altezza di venti metri. Frank Paciock si dice compiaciuto, perché almeno lui l’aveva fatta cadere solo da tre metri. E sì, questo si chiama origliare, ma in fondo tutta la Casa lo sta facendo, visto che a nessun altro è successo nulla di particolarmente eccitante oggi. Questo fino ad ora, perché il ritratto si è appena spostato lasciando entrare James ed è la prima volta che lo vedo da ieri sera, quando ho fatto quella cosa. Automaticamente mi alzo dal divanetto, andandogli incontro. Non è quello che Allison mi ha consigliato, nemmeno un po’: per attenermi al piano, avrei dovuto aspettare che fosse lui a fare qualunque mossa, persino salutarmi, per vedere la sua reazione e agire di conseguenza. Ma è così bello e non lo vedo da ieri e non è come se avessi davvero un qualche tipo di autocontrollo sul mio corpo.  
- Ehy, James - Le parole mi escono di bocca da sole, subito prima che io noti la strana espressione sul suo viso, meno distesa e spensierata del solito. Ma è solo un secondo, perché non appena incrocia il mio sguardo, qualcosa cambia nel suo ed io mi ritrovo con la sua mano tra i miei capelli e le sue labbra premute forte sulle mie.
È irruente e improvviso e siamo di fronte a tutti, ma James Potter inizia a baciarmi ed io non riesco più a pensare.
 

 

**********

 


La porta di legno si chiude cigolando alle spalle di Madama Chips e subito dopo una luce azzurrina filtra ai lati; non ho difficoltà a sentire il Colloportus appena sussurrato, che è quasi un grido alle mie orecchie. I passi veloci di lei rimbombano nella Stamberga e gli scalini di legno marcio scricchiolano forte; la luna è già alta in cielo e posso quasi sentire il sospiro di sollievo di Madama Chips, mentre si infila nel passaggio per Hogwarts: ha fatto tardi questa volta. Sento anche i loro  respiri, a pochi passi da me. Si tolgono il mantello solo quando inizio a gridare, perché sanno che ora Madama Chips non tornerebbe indietro per nessun motivo al mondo.   
Peter è il primo a trasformarsi: riesce a ignorare le mie grida un po’ meglio sotto forma di topo.
Non vorrei farlo sembrare così doloroso, ma dopo i primi minuti mi dimentico sempre del fatto che i miei amici mi stanno guardando. Non riesco a restare concentrato sui loro visi, quando non posso più stringere i pugni, perché le unghie crescono nella mia carne, diventando artigli. Non riesco nemmeno a vederli, quando la pelle bruciante si tende come se ogni osso cercasse di uscire ed ogni pelo si allunga come un piccolo ago. Grido per tutto il tempo, fino a quando la voce bruciante si trasforma in ruggito ed è solo quando è finita che li vedo di nuovo. C’è solo un momento, quando il dolore cessa e la trasformazione è quasi completa, in cui riesco a vedere il cervo e il cane proprio davanti a me. Poi sento una fitta alla testa e tutto diventa buio, fino alla mattina dopo.
La pupilla è sempre l’ultima a cambiare e l’ultimo momento di lucidità è sempre quello in cui il lupo fissa i miei amici con i miei occhi ancora umani.
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Siccome la mia casella di posta ultimamente è stata stranamente attiva: per chi si chiede che fine abbia fatto CAS, se/quando la continuerò e se sono stata rapita dagli alieni, c'è il gruppo (dove sarete i primi ad essere informati di un mio eventuale rapimento alieno - dopo il mio cane, perchè i cani certe cose le sentono): https://www.facebook.com/groups/206613402771960/

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


 

 

 

 

A volte ritornano.
Ho questo e altri capitoli di CAS in una chiavetta a forma di gatto Silvestro da un’infinità di tempo e mentre oggi la strappavo dalla bocca bavosa del mio cane ho pensato che se devono finire nella pancia di un bassotto, tanto vale farli finire su EFP. Anche perché poi il mio cane striscia il culo per terra se mangia cose non commestibili. E ok, ho un piccolo attacco di nostalgia per questa storia.
SE c’è ancora qualcuno e SE non siete tutti morti di vecchiaia e SE ve ne importa effettivamente qualcosa e SE Venere e Saturno si allineano, una volta tanto potrei postarvi qualche capitolo in tempi umani, avendoli già pronti. Tipo prima della prossima era glaciale. Se invece siete tutti comprensibilmente morti di vecchiaia o semplicemente non vi ricordate più nulla (della storia dico, non cose come il vostro nome e colore preferito) e non vi interessa, lo capisco, non pretendevo che vi creaste degli Horcrux per avere la vita eterna e stare dietro a CAS, che poi si rischia il naso e non vale la pena.
Finirei qui, ma un bel grazie a tutti quelli che hanno letto fino ad ora, nonostante le mie continue sparizioni, ci sta tutto, quindi, beh, grazie.
 
 

 

 

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CAPITOLO 20.

 

 

 

 

               
- James, è ora.
Sirius vaneggia naturalmente, perché non può essere già mattina: sono sicuro al cento per cento di essermi lasciato cadere esausto sul letto nemmeno un’ora fa, subito dopo che Madama Chips è venuta alla Stamberga a riprendere Remus. Ed è quest’ultimo dettaglio che mi fa ricordare che Sirius probabilmente vaneggia, perché è quello che fa sempre, ma che ha anche ragione, perché quando siamo tornati in camera, la luna aveva già lasciato il posto al sole e quindi certo che è già mattina. Senza pensarci due volte apro gli occhi e mi costringo a tirarmi su, perché ho troppo sonno per giocarmi la carta dei cinque minuti: è ora o mai più. E dato che sarebbe sospetto agli occhi dei professori se mancassimo tutti e tre proprio la mattina dopo il plenilunio, deve essere per forza adesso.
Le occhiaie sul viso di Sirius e l’espressione devastata di Peter esprimono a pieno come mi sento in questo momento.
Dovrebbe esserci una qualche regola che impedisca alla luna di essere piena proprio di domenica, perché l’unica cosa peggiore del doversi alzare alle otto del mattino dopo aver passato la notte a scorrazzare con un lupo mannaro, è alzarsi alle otto del mattino dopo aver passato la notte a scorrazzare con un lupo mannaro e dover affrontare subito due ore di Pozioni.
 
*

 
Doppia lezione di Pozioni: la giornata non potrebbe iniziare meglio.
- Io spero che tu ti sia svegliata con una paresi facciale, Lily, perché quel sorrisetto è del tutto inappropriato.
Alice, la testa abbandonata sulle braccia incrociate, mi fissa contrariata, mezza distesa sul banco affianco al mio.
- Sono solo felice di iniziare la settimana con due ore della mia materia preferita, - Replico con un’alzata di spalle. - Che male c’è?
- Iniziare la settimana è di per sé un male, – sospira Alice, mentre Lumacorno fa il suo ingresso nell’aula, preceduto dagli ultimi ritardatari. 
- Buongiorno a tutti, ai vostri posti, grazie, - Lumacorno raggiunge la cattedra trotterellando allegro. – Signor Paciock, si sieda, sono sicuro che vorrà usare ogni secondo di queste due ore per preparare la miglior pozione Restringente che studente del sesto anno abbia mai preparato.
A giudicare dalla sua reazione guardinga, Frank non sembra particolarmente propenso all’idea, ma Lumacorno non pare minimamente turbato dal mancato entusiasmo della classe. In quanto a me, ho una mezza idea di come preparare una buona pozione Restringente, forse non la migliore che studente del sesto anno abbia mai preparato, ma d’altro canto fino all’anno scorso questa era una pozione che Lumacorno insegnava solo al settimo, quindi non c’è una gran concorrenza. 
- E se non volete impegnarvi al massimo delle vostre capacità per amore della media scolastica, - commenta il professore con tono casuale. - Potreste volerlo fare per i 50 punti che assegnerò alla Casa del gruppo che preparerà la pozione migliore.
Un mormorio eccitato percorre immediatamente l’aula, mentre diverse teste si alzano di scatto dai banchi: Grifondoro contro Serpeverde. Ora sì che Lumacorno è riuscito ad attirare l’attenzione di tutti.
- Su cosa testeremo le pozioni? 
- Su qualunque oggetto di dimensioni considerevoli, signorina MacDonald.
- Come il naso di Piton?
Black scoppia a ridere come se Potter avesse pronunciato la battuta del secolo e metà classe lo segue a ruota.
- O magari possiamo provarla sul tuo ego, Potter, – replica Severus in un sibilo perfettamente udibile e questa volta è la metà della classe verde e argento a ridacchiare. – Ma in quel caso non basterebbero due paioli interi di pozione.
- Qualunque tensione vi sia, avrete modo di risolverla nella competizione, - commenta  prontamente Lumacorno, quasi divertito, e non sono sicura che un professore dovrebbe istigare i suoi studenti in questo modo. Ma suppongo che se battere i Serpeverde è l’unico stimolo in grado di motivare i miei compagni ad impegnarsi, principi come la collaborazione tra Case e il non provare ad uccidersi a vicenda passino automaticamente in secondo piano.
 
*

 
Avery ha appena sussurrato qualcosa nell’orecchio di Piton, dimostrando un notevole coraggio nell’avvicinarsi tanto ai suoi capelli, devo ammetterlo, ed ora stanno ridacchiando lanciandomi quelle che ritengono sicuramente occhiate di profondo compatimento. Ora, io non so cosa gli abbia detto, magari qualcosa sul fatto che non c’è una vera competizione tra me e Piton in Pozioni, perché Pozioni è una materia orribile e patetica e quindi, com’è naturale, Piton vi eccelle, ma resta il fatto che in nessuno dei mondi conosciuti ha senso che uno con quel naso si permetta di compatire me. Sto cercando di trasmettergli tutto questo con uno sguardo, anche se di fatto il mio bellissimo viso è già di per sé una risposta sufficiente, quando i discorsi di quelli che dovrebbero essere i miei compagni ed alleati in questa guerra assumono all’improvviso una piega sgradita.
- Ragazzi, cerchiamo di non regalare questi punti a Serpeverde, d’accordo? Teniamo James lontano dal calderone.
È Mike a parlare, il mio fidato compagno di squadra, il Portiere che alleno con dovizia e dedizione da due anni a questa parte e che sta ignorando bellamente il mio ripetuto schiarirmi la gola.
- Quello è ovvio, dobbiamo preparare una pozione, non far esplodere l’aula.
Anche Daniel, il Cacciatore che ho scelto io stesso ai provini, tra migliaia di altri - beh non migliaia, ma erano almeno tre, quattro se contiamo anche il Tassorosso del secondo anno che si era perso - persino lui pare non notare la presenza del suo Capitano. 
- Aspettate, non tutti insieme, - chiarisce Lumacorno, mentre già metà classe ha abbandonato il proprio posto. – Non potete lavorare in quindici sulla stessa pozione, ognuno deve dare il proprio contributo: lavorerete in due gruppi per Casa.
- E con contributo si intende sicuramente anche il semplice supporto morale, a mio avviso, – mi sussurra Frank cauto, causandomi un sospiro frustrato. Non è che io muoia dalla voglia di avere una parte attiva nella creazione di questa pozione Restringente o in generale di qualunque altra pozione, ma i miei compagni sono così esagerati, neanche avessi mai ferito mortalmente qualcuno: Mike è uscito dall’infermeria dopo appena tre giorni l’ultima volta e i baffi di Lumacorno sono ricresciuti in ancora meno tempo. Mentre il professore divide i Serpeverde in due gruppi, i miei compagni continuano a cospirare tra loro alla ricerca della strategia perfetta che permetterà a Grifondoro di intascare quei 50 punti ed ogni tattica sembra avere come punto di partenza imprescindibile il tenermi più lontano possibile dal paiolo, dagli ingredienti e possibilmente dall’aula.
- No, non fingerò di stare male, Frank, – sbuffo piccato, incrociando le braccia al petto.
- Vediamo, per Grifondoro: Black, Carson, Prewett, Ross, Vance e Minus al primo calderone, mentre al secondo Potter, Paciock, MacDonald, Evans, Muller e Lupin. Ah, giusto, Lupin non si sentiva bene questa mattina, Madama Chips mi ha già informato. Bene, cominciate pure, ma ricordate che potrete farmi domande solo a partire dalla seconda ora, fino ad allora mi limiterò a osservare il vostro lavoro in silenzio.
Ho forti dubbi sulla capacità di Lumacorno di tenere la bocca chiusa per un’ora intera: ha sempre qualcosa da ridire, e Potter qui, e Potter là, e no Potter farà esplodere l’aula si fermi.
- Dimenticavo, - Come volevasi dimostrare. – I due gruppi della stessa Casa sono pregati di non comunicare tra loro. 
Alice ed Evans, due banchi di fronte al mio, smettono immediatamente di confabulare a bassa voce, contrariate; io mi volto afflitto e allungo la mano verso Sirius in un teatrale gesto d’addio, che lui ricambia con altrettanta drammaticità. Poi Peter starnutisce e rovina il momento.
- Se vorrete provare in ogni caso ad aiutare i vostri compagni, tentate pure, ma potrebbe non convenirvi, - Lumacorno ha un sorrisetto enigmatico che nessuno dovrebbe avere di lunedì mattina, soprattutto quando tutte le funzioni del mio cervello sono ancora intrappolate nelle coperte calde e morbide del mio baldacchino, sette piani più su. – Oltre a far guadagnare punti alla propria Casa, infatti, il gruppo che produrrà la pozione migliore in assoluto si aggiudicherà un ulteriore premio: una piccola sorpresa, un incentivo, chiamiamolo così. Ora cominciate, forza.
Frank, al mio fianco, sta già sfogliando furiosamente il libro alla ricerca della pozione Restringente, quando io mi alzo dalla sedia, improvvisamente risvegliato: adoro i premi. Li trovo particolarmente adeguati alla mia persona e credo che dovrei ricevere premi tutto il tempo; la gente dovrebbe lanciarmeli al mio passaggio come coriandoli, perché è così evidente che merito ogni riconoscimento possibile. In particolare ora voglio questo premio, perché le facce dei Serpeverde non deludono mai ed ho grande fiducia nella loro capacità di contorcersi in modi buffi e soddisfacenti nel momento in cui si vedranno soffiar via la vittoria da sotto il naso. Certo, se non ci fosse quella storia delle pozioni che non fanno che esplodere tra le mie mani a stagliarsi tra me e il trionfo totale sarebbe meglio.   
 
*

 
- Ciao, Lizzie, tutto bene?
Un secondo fa Alice Prewett era di fianco ad Evans, a diversi banchi di distanza da me ed Allison, ed ora è proprio qui, gli occhi puntati nei miei come se stesse cercando di leggere all’interno del mio cranio. Non è particolarmente piacevole e non credo che ci sia alcun motivo di farlo: non è come se nascondessi la formula segreta per la felicità o cose del genere. Beh, conosco effettivamente una formula per la felicità, una che comprende le labbra di James Potter per la precisione, ma suppongo che quella valga solo per me e non per l’intera umanità.
- Sì, tutto bene, Alice, grazie.
Parlo lentamente e probabilmente i miei occhi spaesati le stanno facendo notare che non abbiamo mai avuto una particolare confidenza e che in sei anni di scuola è la prima volta che mi chiede come sto. Lei pare recepire il messaggio e mentre ci avviciniamo al calderone attorno a cui ci aspettano gli altri, abbandona improvvisamente ogni convenevole.
- Allora, tu e Potter.
- Emm, sì?
- Sì?
- Cosa?
- Eh?
- Non capisco.
- Tu e Potter.
- Io e Potter. 
- State insieme?
- No, è nell’altro gruppo, con...
- No, non adesso. Intendo, state insieme? Solitamente? Vi definireste una coppia? – Alice Prewett ha in mano un mestolo ora e me lo sta puntando contro. Questa situazione è bizzarra. – Non per farmi gli affari tuoi, certo, è solo che dovrei esserne informata, in caso.
- Davvero? Dovresti?
- Sì, in realtà sì. Beh, non è scritto da nessuna parte, certo, ma semplificherebbe la vita a tutti, - Alice ridacchia, continuando a gesticolare con il mestolo ed un’altra persona sembrerebbe un po’ ridicola, ma non lei. C’è un alone di dignità insito nei suoi gesti, una sorta di autorevolezza che le dà il permesso di fare domande del genere sulla vita sentimentale altrui senza che la gente la mandi al diavolo. – Voglio dire, Hogwarts si affida a me per sapere chi sta con chi, chi ha preso quale voto, chi ha fatto cosa e in sei anni non ho mai riportato una notizia falsa, quindi ora dovrei davvero sapere se tu e Potter state insieme, perché ieri lui ti ha baciata di fronte a tutta la Sala Comune e presto inizieranno a farmi domande. Credo che le ragazze del quarto mi braccheranno subito dopo la lezione, ho avvertito i loro sguardi su di me a colazione: sono in fibrillazione.
Ci dev’essere stato un momento, durante il discorso di Alice, in cui la mia bocca si è spalancata ed io mi rendo conto di averla lasciata aperta fino ad ora. Deve notarlo anche lei, perché subito aggiunge:
- Lo so che è strano, ma almeno potrò dare a tutti una risposta precisa e veritiera: non prendo il gossip alla leggera, sono diventata un punto di riferimento per tutta Hogwarts grazie alla mia scrupolosità nell’informarmi direttamente dalle fonti.
- Oh. Ok. Questo è...ammirevole? – Ognuno ha i suoi hobby, dopotutto. Il mio preferito, al momento, è rivivere con la mente l’attimo in cui James Potter mi ha baciata di fronte a tutti, proprio ieri, quindi non credo proprio di poter giudicare il modo in cui gli altri passano il loro tempo. - Leggerò un tuo articolo sulla Gazzetta del Profeta tra qualche anno allora?
-  Oh no, al limite leggerai delle mie imprese come Auror, sempre che il direttore della Gazzetta decida di smettere di fingere che vada tutto bene e che Voldemort non stia acquisendo potere con una rapidità impressionante.
Non appena Alice finisce di parlare, diverse teste si voltano di scatto verso di lei e il brusio nell’aula si attenua di colpo. Il mondo magico non è nemmeno sicuro che esista davvero un mago in carne ed ossa che porta quel nome, ma i Mangiamorte, i gruppi mascherati che si dichiarano suoi seguaci e versano sangue in suo nome, quelli sono reali e sempre più numerosi; un brivido mi corre lungo la schiena, mentre Lumacorno apre l’armadietto delle scorte e ci incita a prendere gli ingredienti, visibilmente agitato. Non sappiamo nemmeno se esista davvero, ma basta il suo nome a far gelare un’intera aula.
- Continuano a chiamarli incidenti sulla Gazzetta, - aggiunge Alice con una vena di durezza nella voce, lo sguardo freddo. - Non scriverò per loro. Ragion per cui, devo dare il meglio di me finché sono ad Hogwarts, – continua con un sorrisetto, rilassando le spalle, ed improvvisamente mi sta di nuovo puntando come un assetato guarderebbe un bicchiere ghiacciato di succo di zucca. – Quindi, tu e Potter.
Non credo di dovere nulla ad Alice Prewett, tantomeno un aggiornamento sulla mia situazione sentimentale, ma c’è ancora quell’indefinibile autorità che aleggia intorno a lei ed automaticamente mi sento come se dovessi davvero renderle conto della mia vita amorosa.
- Veramente non ne abbiamo ancora parlato.
Effettivamente non ho la più pallida idea di come dovrei definirmi, se sono o meno la ragazza di James Potter o solo quella che ha baciato ieri, ma non sono stata la ragazza di James Potter per sei lunghi anni, come per sei lunghi anni sono stata quella che James Potter non ha mai baciato, mentre ieri lo ha fatto e di fronte a tutti, quindi non è che io abbia passato la notte a preoccuparmi. Non essere ufficialmente la ragazza di James Potter non mai è stato un problema, almeno fino ad ora. Perché adesso Alice ha detto oh e i suoi occhi hanno aggiunto un silenzioso mi dispiace.
- Ma non significa niente, - aggiungo agitata, parlando più a me stessa che a lei. – Insomma, è successo solo ieri, è normalissimo che non abbiamo ancora definito la situazione.
Alice annuisce e mi dice certo, hai ragione, ma i suoi occhi continuano a sbattermi in faccia un chiarissimo oh poverina, sono così dispiaciuta per lei.
- Ma ne parleremo, glielo chiederò, - continuo decisa e il mio tono suona più stridulo di quanto dovrebbe. Oh, dannata Alice Prewett, perché diavolo spunti dal nulla e mi mandi nel panico, eh? - E poi ti farò sapere.
- O forse no, forse non te lo farò sapere affatto! - le grido dietro ripensandoci, mentre lei si avvia verso l’armadietto degli ingredienti ed io raggiungo Allison. - Devo ancora decidere. Questo è bizzarro.
- Cosa è bizzarro? – La mia amica inarca un sopracciglio, perplessa.
- Questo, - dico. - Quello. Beh, pozione Restringente quindi, mh?
 
*

 
- Regola numero uno, - inizio perentoria, stringendo in mano il mestolo come se fosse uno scettro e puntandolo verso ognuno dei miei compagni di gruppo, stretti in cerchio attorno al calderone. – Comando io e questa non è una democrazia, perché possiamo essere educati, gentili, umili e fingere che io non sia un mostro di bravura a Pozioni, oppure possiamo vincere quel premio. Io dico di vincere.
Frank alza il pugno di fronte a sé, prorompendo in un’esclamazione combattiva  che ci attira addosso diversi sguardi perplessi; Mike e Mary non sono da meno e si lanciano l’uno contro l’altro, petto contro petto, in una bizzarra mossa d’esultanza. Mary rimbalza all’indietro con una certa forza e per poco non perde l’equilibrio, ma non importa: il mio discorsetto di incitamento li ha resi agguerriti al punto giusto ed io non posso fare a meno di pensare che sarei un’ottima condottiera. Oh sì, ognuno è destinato a qualcosa ed io sono destinata a stringere il potere tra le mani nell’aula di Pozioni. Alice dice che a volte mostro una sottile vena dispotica, ma non è vero: è solo che mi vedrei terribilmente bene a capo di un esercito.
Certo, se avessi un esercito, Potter non ne farebbe parte. 
Se ne sta lì, con le braccia strette al petto e un sorrisetto beffardo, tentando di darsi un’aria superiore. Al di là di quella maschera di impassibilità, c’è un bambino di otto anni che pesta i piedi a terra perché per una volta non è lui ad essere il migliore tra tutti, riesco a vederlo distintamente oltre la sua aria scanzonata.
- Fortuna che sono io quello presuntuoso, Evans. 
- Regola numero due, - riprendo decisa, puntando il mestolo contro il petto di Potter, che lo fissa con un sopracciglio inarcato. - Tu non ti avvicini al calderone, mai. Qualunque iniziativa tu voglia prendere, dal tagliare una radice di asfodelo al soffiarti il naso, deve prima essere approvata da un altro membro del gruppo. Nella fattispecie, io.  
- Se vuoi essere coinvolta in ogni aspetto della mia vita, non ti serve la scusa della pozione, Evans, - Le labbra di Potter si allargano in un sorriso sornione, mentre lui si sporge verso di me da sopra il calderone, posando la mano sul bordo. Primo errore. - Basta chiedere.
- Fai un passo indietro, Potter: stai già infrangendo la seconda regola, - Colpisco le sue dita con il mestolo e lui si ritrae di scatto, con una smorfia. – Se tu tocchi il calderone, siamo perduti.
- È ancora vuoto, Evans, - Potter sbuffa, roteando gli occhi seccato. – E non attentare alla mano magica che prende il boccino.
La mia replica fa già capolino dalle labbra schiuse, ma una voce irrisoria mi precede.
- E dove l’avevi lasciata la mano magica durante l’ultima partita, Potter? Perché da quel che ricordo, il boccino non l’hai nemmeno sfiorato.
Potter mi lascia giusto il tempo di vedere la frecciata andare totalmente a segno, prima di voltarsi a fronteggiare la montagna umana anche nota col nome di Avery, stampandosi in faccia la solita aria beffarda ed incurante delle risatine diffusesi nella parte verde e argento dell’aula.
- E tu dov’eri invece, Avery? Perché da quel che ricordo, non mi pare di averti visto in campo. Oh già, la scopa non ti reggerebbe.
A giudicare dall’espressione inferocita del Serpeverde, anche la frecciata di Potter è andata perfettamente a segno e tutto questo mi sta mandando in confusione: da una parte chi cerca di rimettere Potter al suo posto gode automaticamente del mio pieno supporto, perché è così soddisfacente quando per qualche secondo si leva quel sorrisetto dalle labbra e sbatte il culo a terra come noi comuni mortali. E la disfatta contro Serpeverde alla prima partita dell’anno è per il momento l’unica cosa in grado di levargli per una frazione di secondo l’aria arrogante dalla faccia, quindi vai così, Avery, colpisci e affonda. D’altro canto, sono una Grifondoro anch’io e l’estremo compiacimento dei Serpeverde per averci stracciati, le loro battutine sarcastiche, l’aria altezzosa con cui si aggirano ora per i corridoi, beh, sono irritanti quasi quanto Potter stesso.  E soprattutto l’espressione inquieta di Mary e il suo istintivo portarsi il più lontano possibile da Avery mi riporta alla mente che ammasso inutile di carne e cattiveria lui sia e come si diverta a fare scherzi usando la magia oscura.
- Avery, - lo chiamo gentilmente, aggirando il calderone e piazzandomi tra lui e Potter, prima che il Serpeverde possa avvicinarglisi ulteriormente. E insomma, l’avvicinarglisi ulteriormente avrebbe comportato o una limonata di quelle profonde o una scazzottata in piena regola a questo punto. Lui, dall’alto degli infiniti centimetri che ci separano, si volta verso di me perplesso, ma senza abbandonare l’aria assassina. Potter si è lasciato scostare indietro senza fiatare, ma avverto il suo sguardo su di me. - Desideri qualcosa? Sei stato cacciato dal tuo gruppo perché sei troppo stupido ed inutile per essere d’aiuto? Se sei qui per chiederci asilo, la risposta è no e qualunque altra cosa tu voglia, la risposta è sempre no, a meno che tu non abbia bisogno di un vermicolo con cui impiccarti o un mestolo da infilarti su per il culo, in quel caso saremmo felici di aiutarti.
A riprova delle mie parole, gli porgo con un sorriso smielato il mestolo ancora stretto tra le mie mani, dando a me stessa prova di un ottimo autocontrollo: non gliel’ho sbattuto sulla testa con tutta la mia forza, anche perché non ci sarei arrivata e probabilmente non è il caso di portare la situazione ad un livello fisico, quando l’avversario è otto volte te e qualunque altro umano presente. Ottime capacità strategiche, Evans, mi complimento con me stessa, trattenendo un sorrisetto soddisfatto.
Avery non ha l’aria di volersi congratulare con me, invece.
Inclina lievemente la testa di lato e nel suo sguardo colgo un barlume di incredulità misto ad una violenta voglia di uccidermi. Credo che se si lanciasse contro di me, potrei sollevare il braccio e si infilerebbe da solo il mestolo in un occhio o nel naso, se sono fortunata, e questo potrebbe distrarlo dall’uccidermi. Non è uno scenario terribile, perché potrei accecare Avery e non essere nemmeno punita, dato che sarebbe stato lui stesso ad impalarsi; d’altro canto il mestolo di legno potrebbe anche spezzarsi contro la sua fronte da uomo uscito direttamente dalle caverne e allora dovrei correre. La tensione attorno a noi è palpabile ed improvvisamente Potter non è più una presenza silenziosa alle mie spalle: prima che me ne accorga, la sua spalla sfiora la mia, mentre si piazza nuovamente tra me e il Serpeverde.
- Ti sei incantato, Avery? – commenta inarcando un sopracciglio e la sua voce leggera ha l’effetto di smorzare la tensione, almeno per quanto riguarda il resto dell’aula. Avery in realtà ha l’aria di chi sta esplodere, ma quella è l’aria che Avery ha per la maggior parte del tempo a dirla tutta. - Guarda che non abbiamo tutto il giorno.
È il momento. Ora Avery attaccherà ed io stringo le dita attorno al manico di legno del mio mestolo, perché è con questo che riuscirò a stordirlo prima che lui stordisca invece Potter, che d’altro canto è difeso da miliardi di strati di presunzione ed eccessiva sicurezza di sé. Il mestolo è la scelta giusta, perché sono sicura che nel regolamento scolastico non si faccia menzione di risse perpetrate con esso e questo ridurrà sicuramente la durata della punizione. Di nuovo, le mie ottime capacità strategiche si confermano.
- Niente consultazioni tra gruppi ho detto, – La voce di Lumacorno arriva improvvisa e più dura del solito, ad una distanza piuttosto ravvicinata. Se non gli fossi così grata, gli farei notare che l’unica consultazione qui sarebbe stata quella di Madama Chips. - Su, forza. Ognuno al proprio calderone, ora.
Avery fulmina con gli occhi Potter, poi me, poi di nuovo Potter ed infine se ne torna dal suo gruppo tra i mormorii della classe. Bene, ora dobbiamo decisamente vincere quel premio.
- Tutti ai posti di battaglia, - stabilisco decisa, dirigendomi verso il banco di fianco al calderone, dov’è posata la mia copia di Pozioni Avanzate.
- Muoviti, Potter, – aggiungo notando che non mi sta seguendo. Lancio un’occhiata perplessa alle mie spalle e lo trovo intento a fissarmi con uno sguardo meno intelligente del solito, come se i suoi neuroni fossero andati tutti contemporaneamente in pausa pranzo. Poi lui incrocia il mio sguardo e subito l’aria vivace si rimpossessa del suo viso, così come l’idiozia del suo cervello. 
- Eccomi, Evans, non resisti nemmeno due secondi lontana da me?
Sono sicura che questo agli antichi condottieri romani non succedeva.
- Basta così, Potter, abbiamo detto non meno di un metro tra te e il calderone, – Punto il mestolo contro il suo petto stoppandolo, prima di abbandonarlo sul banco: il collo scoperto di Potter è una tentazione troppo grande perché io possa resistere ancora a lungo con un’arma tra le mani.
- Veramente non l’abbiamo detto, Evans.
- Lo sto dicendo ora.
Potter fa per replicare, ma Frank lo precede agitato. 
- Piton.
-  Piton cosa?
- Mentre voi cercavate di farvi massacrare da Avery, Piton ha già iniziato a prendere gli ingredienti ed ora il suo calderone non è più vuoto, – spiega Frank veloce e qualcosa mi dice che dopo la partita, non potrebbe sopportare un’altra sconfitta. 
- Mentre il nostro lo è, vuoto, – aggiunge Mike, come se non fossimo tutti stretti proprio attorno al calderone e non lo vedessimo da soli che è vuoto. – Completamente, inesorabilmente vuoto.
- Oh Godric, perderemo, – mormora Mary disperata e questo non è lo spirito combattivo di prima.
- No, non esiste, - replico decisa, perché nessun Serpeverde oggi uscirà da quest’aula con il mio premio, in nessun modo. – Ascoltate: abbiamo tutto il tempo, fate quello che vi dico e vinceremo. Potter, rifletti attentamente: preferisci darmi il tormento o strappare il premio dalle grinfie di Piton?
Piton suona così anomalo sulle mie labbra, ma, per quanto Potter sia competitivo, non posso pretendere di avere la sua attenzione se uso la parola Severus. 
Potter mi soppesa per qualche secondo, per poi annuire deciso.
- D’accordo, Evans: sforniamo la miglior pozione Repellente della storia e vinciamo quel premio.
- Restringente.
- Mh?
- È la pozione Restringente che dobbiamo preparare. 
- Sì, quello che è.
 
*

 
- Lizzie, hai finito con quelle radici?
- Lizzie?
- Cosa?
- Le radici, hai finito di tritarle?
- Sì, sì, ecco.
Porgo velocemente la finissima polvere violacea ad Allison, sistemandomi una ciocca dietro l’orecchio. Minus, al mio fianco, inizia a leggere ad alta voce il prossimo passaggio ed io non riesco a concentrarmi sul significato delle sue parole.
Continuo a rivedere lo sguardo di James, pochi minuti fa, quando l’intera classe si è zittita per seguire il suo alterco con Avery. 
Ce l’ho stampato negli occhi e si sovrappone alla pozione scura che bolle nel calderone, il modo in cui ha guardato Evans quando lei ha tenuto testa al Serpeverde, il modo in cui è scattato non appena Avery ha posato gli occhi su di lei.
E Alice mi ha fatto la domanda sbagliata, perché quello che mi chiedo non è se James Potter mi considera la sua ragazza, ma se mi guarderà mai come guarda lei.
 
*

 
- Se mi dici cosa stai cercando, Evans, posso aiutarti.
Evans sta fissando l’interno dell’armadietto delle scorte  da un tempo considerevole ormai, immobile e perfettamente concentrata, come se ci vedesse dentro la risposta ai misteri dell’universo.
C’è qualcosa in lei che riesce a farla sembrare intelligente anche mentre fissa lo stesso punto da cinque minuti senza venirne a capo, ma sono piuttosto sicuro che non stia facendo nulla di astuto al momento, a parte non riuscire a trovare qualunque cosa stia cercando.
- Se vogliamo impedire alla tua incapacità di sabotare la pozione, è fondamentale attenersi al piano, Potter: e il piano è limitare il tuo contributo al puro e semplice trasporto degli ingredienti da qui al tavolo, niente di più, - replica impassibile, senza staccare gli occhi dalla dispensa di Lumacorno. Devo fare violenza su me stesso per non esternare la mia disapprovazione per l’utilizzo di incapacità in riferimento alla mia persona, ma dal calderone di Piton, in fondo all’aula, si alza già un fumo rosastro, il che è per lui una cosa positiva, a detta di Evans. Ed estremamente negativa per noi quindi. Sospirando, mi tiro su le maniche del maglione della divisa, accaldato: ormai tutti i gruppi hanno acceso il fuoco sotto i calderoni e l’aula sta iniziando a diventare soffocante, altro motivo per cui odio Pozioni.
- Ora le trovo, dammi solo un attimo.
È quello che ha detto anche cinque minuti fa, così mi sporgo oltre la sua spalla e do una veloce occhiata alla lista di ingredienti che stringe tra le mani. 
- Sono proprio davanti ai tuoi occhi, Evans, – commento allungando il braccio oltre di lei ed afferrando delle strane radici violacee, catalogate sotto il nome di asfodelo. Solo dopo qualche secondo, realizzo che Evans non sta guardando le radici tra le mie dita, ma ha gli occhi fissi sul mio avambraccio scoperto, accigliata. Vorrei pensare che è solo impressionata dalla definitezza dei miei muscoli e stuzzicarla, ma la realtà è che non avrei proprio dovuto tirarmi su le maniche e mostrarle i segni di una notte passata a correre per la foresta proibita con un lupo mannaro.
- Che hai combinato, Potter?
C’è la rete infinita dei minuscoli graffietti bianchi causati dalle spine e dalle piante, le macchie di pelle arrossata per gli sfregamenti contro le cortecce, i tagli più profondi, quelli degli artigli. Probabilmente ai suoi occhi ora spicca di più anche il taglio che mi spunta dal colletto della camicia, dietro il collo. E questo è esattamente il momento di trovare in tempo record una spiegazione a tutto questo che non comprenda in alcun modo la luna piena e l’essere un Animagus non registrato.       
- È stato un gatto, – replico con un’alzata di spalle, esibendomi nella mia miglior faccia di bronzo. Non è così irrealistico in fondo, conosco un sacco di gatti che potrebbero ridurre qualcuno in questo stato senza motivo. Alcuni sono teneri ed amabili, quelli grassi di solito, che probabilmente sono troppo impegnati a mangiare per preoccuparsi anche di essere malvagi, ma la maggior parte sono come Mrs Purr e non vedono l’ora di lacerare la pelle degli esseri umani e poi trotterellare via col pelo tutto gonfio. Il sopracciglio di Evans tuttavia non sembra molto convinto, a giudicare da come si inarca sospettoso.
- Hai un gatto?
- No, è solo un gatto che ho trovato nel parco, - replico immediatamente, prima di aggrottare la fronte, crucciato. - Ma potrebbe essere il mio gatto e non ci sarebbe nulla di strano, perché lo dici come se non potessi avere un gatto?
- Non sembri il tipo da gatti, - commenta lei indifferente, estraendo una scatolina sigillata dalla credenza e piazzandomela tra le braccia. E almeno ora non ha più quello sguardo alla stai mentendo e scoprirò cos’hai fatto questa notte, che non era particolarmente piacevole. - Voglio dire, non sembri in grado di prenderti cura di un altro essere vivente.
- Io mi prendo cura di esseri viventi tutto il tempo, Evans. Non faccio altro, - ribatto stizzito, ed in effetti a casa, a Godric’s Hollow, ho effettivamente un gatto, anche se da quando Sirius sta da me non lo vedo più tanto spesso; lui dice che probabilmente avverte la sua natura canina, ma io sono abbastanza sicuro che sia per la volta in cui ha provato a rinchiuderlo nello sgabuzzino. - Potrei mettere su un allevamento di gatti, se volessi.
- No, non potresti.
- Oh sì, invece.
- No, dico, non potresti, - insiste Evans, aggiungendo al mucchio tra le mie braccia un contenitore con dentro degli strani viscidi esseri, che secondo l’etichetta sono lumache cornute e della cui vicinanza farei volentieri a meno. Ho già detto che odio Pozioni? - È concesso un solo animale per studente.
- Si fa per dire, Evans, non ho intenzione di mettermi sul serio ad allevare gatti.
- Tu provaci.  
- Sirius, non origliare.
- Non sto origliando, sto prendendo la polvere di asfodelo dall’armadietto, - Sirius è alle mie spalle, braccia incrociate e sguardo ostile, reso in realtà un po’ ridicolo dai ciuffi neri appiccati dal vapore sulla sua fronte in modo tutt’altro che dignitoso. - E ti ritrovo a cospirare di allevamenti di gatti.
- Perché loro prendono direttamente la polvere e noi le radici, Evans? – sbuffo lanciando un’occhiata all’armadietto: effettivamente, poco distante dalle radici, ci sono dei barattolini con quelle già tritate. - Ci divertiamo a fare passaggi in più?
- Ci divertiamo a vincere, Potter, e saltare i passaggi non è il modo migliore per farlo, - commenta distrattamente Evans, senza staccare lo sguardo da Sirius, accigliata. - Ha graffiato anche te?
-  Cosa? – Sirius la guarda perplesso, ma il sottile taglio che gli attraversa una guancia e parte del naso è molto eloquente invece.
- Il gatto. Ha graffiato anche te?
L’espressione di Sirius dice chiaramente ad Evans per diversi interminabili secondi sei pazza ed io non so di cosa stai parlando ed ora lei non ci crederà mai, ma non appena incrocia il mio sguardo, che gli sta invece gridando a gran voce coglione, reggimi il gioco, si illumina di comprensione, sbattendosi teatralmente una mano sulla fronte.
- Ah, giusto, il gatto, - annuisce convinto, esibendosi in un’espressione insofferente che gli riesce particolarmente bene. – Non che siano affari tuoi, ma sì, ci è saltato addosso senza motivo. Animali spregevoli, i gatti.
Non sono convinto che Evans stia propriamente credendo ad ogni parola di quello che diciamo, è probabile anzi che si stia solo divertendo a vederci arrampicare sugli specchi, ma non è un grande problema in fondo, perché da ‘non sono stati veramente assaliti da un gatto’ a ‘hanno passato la notte a fare compagnia ad un licantropo’ il passo non è così logico e immediato.
- Lasciatemi indovinare, il gatto ha graffiato anche Lupin? – Una voce fredda e strascicata alle mie spalle mi informa improvvisamente che questo armadietto sta diventando davvero troppo affollato. - È per questo che non si vede in giro oggi?
- Capisco che, vista la sua abnormità, sia difficile per te, Mocciosus, ma che ne diresti di smettere di ficcare il naso ovunque?
 
*

 
- Abbiamo finito qui, andiamo, - Ovviamente quando, dopo essere partita decisa verso il nostro gruppo, mi volto indietro, Potter non è affatto dietro di me. E a dire il vero non essere seguita da Potter è generalmente tutto quello che chiedo dalla vita, perché quando non è vicino a me, non devo vedere la sua faccia o sentire la sua voce e sì, insomma, è abbastanza piacevole. Il fatto è che non essere seguita da Potter adesso vuol dire che non sono seguita nemmeno dagli ingredienti che mi servono per preparare la pozione migliore della classe e metterla in quel posto ai Serpeverde, così sono costretta ad andare contro tutti i miei principi e tornare indietro, afferrare Potter per il braccio e trascinarlo lontano da Severus, interrompendo i loro tentativi di uccidersi con gli occhi.
- Oggi non riesci proprio a fare a meno di me, Evans, eh? – commenta Potter con un ghigno e probabilmente ad un certo punto le pile della sua deficienza si scaricheranno e lui chiuderà la bocca. – A pranzo posso sedermi vicino ai miei amici o vuoi metterti in braccio a me?
- Quando queste due ore saranno finite e il premio sarà nelle nostre mani, Potter, - replico mentre raggiungiamo gli altri e lui posa gli ingredienti sul tavolo. – Farò in modo di incontrarti così raramente che ti dimenticherai persino che viviamo nello stesso castello, hai la mia parola.
Avrò bisogno di non sentire la sua voce per almeno tre giorni di fila prima di riacquistare la mia calma interiore dopo questo.
- Ora: Frank, tu occupati delle radici di asfodelo. La polvere non deve venire troppo sottile, ecco, fai così, - Frank segue la mia veloce dimostrazione, prima di prendere il mio posto e continuare tranquillo; è senz’altro quello che se la cava meglio dopo di me, quindi non dovrebbe avere problemi. – Mary, scalda il sangue di drago nel paiolo a parte: continua a girarlo sempre in senso orario e sempre alla stessa velocità e soprattutto non fermarti nemmeno per un secondo; non appena cambia colore, avvertimi. Se fai esattamente come ti ho detto, non esploderà.
Mary pare lievemente preoccupata, ma annuisce decisa, afferrando la provetta, mentre alle nostre spalle Peter Minus ha appena fuso il calderone per aver lasciato troppo tempo il sangue di drago sul fuoco. E fuori uno. Considerando che una lumaca cornuta è appena strisciata fuori dal calderone dei Serpeverde dall’altra parte dell’aula, ed è ora grande il doppio di prima, possiamo dire tranquillamente fuori due. A questo punto siamo praticamente noi contro il gruppo di Severus. O dovrei dire contro Severus e basta, dato che non sta lasciando avvicinare nessun altro al calderone.
- Mike, tu prepara le ali di scarabeo smeraldino, mentre io penso alle lacrime di unicorno.
È a questo punto, mentre anche Mike si mette al lavoro ed io stringo tra le mani il contenitore di cristallo con le lacrime, che mi costringo a sollevare lo sguardo, sentendomi osservata.
- D’accordo, Potter, - sospiro allungandomi verso la scorta di ingredienti e spero davvero di non dovermene pentire. – Tieni il Frullobulbo: devi solo separare i germogli dal resto della pianta e non riesco proprio a immaginare come potresti fallire.
 
 

- Potter, come diavolo sei riuscito a ridurli così?
- Li ho solo staccati dal resto della pianta, Evans, come mi hai detto.
- No, li hai massacrati.
- Sei tu che mi hai dato il coltello.
- Dieci minuti alla consegna, ragazzi.
- Oh Godric santissimo, Potter, vai a prendere un altro Frullobulbo, ora, subito, corri. Ti avvelenerò, mi hai sentito? Se perdiamo, preparerò un perfetto Distillato della Morte Vivente e lo verserò nel tuo succo di zucca! Mike, aiutami, mescola qui. Oh Godric, io lo uccido. Potter, muoviti! Lo uccido e non sarà per niente veloce e indolore.
 
*

 
Erano friabili, davvero.
Si sbriciolavano con estrema facilità e questo è così lontano dall’essere in alcun modo colpa mia.
In ogni caso Evans è riuscita a tagliare i nuovi germogli e aggiungerli alla pozione giusto in tempo – quelli non si sono sbriciolati, ma probabilmente la mia era una pianta difettosa, è l’unica spiegazione.
- Vediamo un po’ cos’ha combinato il primo gruppo di Grifondoro, - Lumacorno inclina la provetta contenente la pozione di Sirius e gli altri sul primo dei quattro banchi perfettamente uguali in fila di fronte a lui. La pozione, che è parecchio più azzurrina rispetto alla nostra, scivola dal vetro con estrema facilità, dimostrando di essere anche molto più liquida. Non appena entra in contatto con la superficie liscia del banco, quello inizia a restringersi, per poi fermarsi dopo appena pochi centimetri. Non è che ci sia una gran differenza rispetto a prima e questo è esattamente il motivo per cui le pozioni fanno schifo: perdi ore rinchiuso in una stanza afosa, piena di fumi dagli odori bizzarri, a toccare cose viscide e disgustose, per poi non ottenere assolutamente niente. È una materia inutile e noiosa, ecco cos’è.
- Oh, beh, si poteva fare di meglio, - commenta pacato Lumacorno, afferrando subito un’altra provetta, una dei Serpeverde questa volta. Se crede che quella sia meglio, gli effluvi delle pozioni devono avergli dato alla testa: è rossa, il che deve aver contrariato non poco i Serpeverde, considerando che, oltre a non essere affatto il viola richiesto dalla pozione, è il colore della nostra Casa. Il banco questa volta non accenna nemmeno a rimpicciolirsi, anzi aumenta notevolmente di dimensione e subito un ghigno soddisfatto mi si dipinge sulle labbra, mentre Lumacorno sospira. – No, decisamente no. Dovete aver confuso l’asfodelo con l’aconito, peccato, un vero peccato.
Quella che Lumacorno stringe ora tra le dita grassocce è la nostra pozione, che fa la sua bella figura con la perfetta sfumatura violacea identica a quella illustrata nel libro. Quando la inclina sul banco, sento i miei compagni trattenere il fiato e poi Lumacorno inizia ad applaudire soddisfatto.
- Ottimo! – Commenta deliziato, gli occhietti acquosi puntati sulla miniatura del banco ai suoi piedi. – Bravissimi, ragazzi.
Ho come la sensazione che ‘ragazzi’ sia un modo per dire ‘Evans’, ma non è questo il punto.
Il punto è che l’ultima provetta rimasta è quella di Piton e qualcosa mi dice che lui non ha confuso l’asfodelo con l’aconito.
Quel banco farà bene a non diventare più piccolo del nostro. Lumacorno continua ad elogiare la nostra pozione e sembra non essersi reso conto del fatto che non frega niente a nessuno: lo sappiamo già che è perfetta, il banco è diventato minuscolo e non c’è molto altro da aggiungere. Quello che tutta la classe vuole sapere ora, il motivo per cui tutti gli occhi sono puntati ansiosamente su di lui, è a quale Casa andranno i cinquanta punti, che sono molto più concreti delle pompose lodi di Lumacorno. Quando il professore si decide ad inclinare la provetta sul banco, le dita di Frank si serrano attorno al mio braccio, bloccandomi la circolazione in modo alquanto spiacevole e se non fosse che non posso staccare gli occhi da quel banco, glielo farei notare. Ma il banco ha iniziato a rimpicciolirsi velocemente e non è come se a me importasse qualcosa del mio braccio ora: quello che conta è che si fermi al più presto facendoci vincere.
Nessuno muove un muscolo, mentre Lumacorno si china concentrato a raccogliere i due banchi, apparentemente uguali. Li soppesa entrambi con aria accigliata, accostandoli, prima di sollevare la testa con un sorrisetto.
- Cinquanta punti a Grifondoro!
La parte rosso-oro dell’aula esplode all’istante in un boato trionfante, cosa che probabilmente sarebbe successa anche se avessimo vinto solo due punti: è più lo sbattere in faccia la nostra vittoria ai Serpeverde che altro. Frank mi passa immediatamente un braccio attorno al collo con un ululato, per poi tirarmi verso di sé con tutta la sua forza, il che è fondamentalmente un tentativo di strangolamento, ma anche se non posso respirare, riesco ancora a vedere le espressioni seccate dei Serpeverde di fronte a noi, quindi va bene così.
 
*

 
Non appena Lumacorno getta l’aula nel caos più totale annunciando la nostra vittoria, Mary mi lancia le braccia al collo, emettendo un suono che con tutta probabilità ha appena danneggiato per sempre il mio udito. Ma ehy, posso fare una pozione per quello: sono o non sono la migliore pozionista al mondo? Beh, di Hogwarts almeno. Della classe diciamo, Christy Brown del settimo ha praticamente imparato prima a fare pozioni che a camminare. 
Lumacorno si guarda attorno un po’ spaesato, interdetto dall’incontenibile esultanza di tutti i Grifondoro: chissà se si è reso conto che aspettavamo di poter festeggiare così dal giorno della partita contro Serpeverde, quando siamo tornati dal campo scornati e con la coda tra le gambe, raggiunti dalle grida di gioia dei Serpeverde. La faccia di Avery è di un rosso molto intenso ora, che si abbina perfettamente alle nostre cravatte. Ci metto qualche secondo per realizzare che riesco a vedere il viso di Avery davvero molto bene, senza dover nemmeno inclinare la testa verso l’alto, come se lui si fosse improvvisamente abbassato. In realtà l’espressione inferocita di Avery dista come al solito quasi due metri dal suolo e sono io ad essermi alzata improvvisamente. I miei compagni esultano e allungano contenti le mani verso di me, intonando cori in mio onore ed io mi ritrovo a pensare che un Prefetto dovrebbe sempre evitare che le persone intonino cori in aula e di fronte al professore, ma allo stesso tempo mi ritrovo anche ad incitarli quei cori, sollevando in aria le braccia e stringendo il mestolo che qualcuno mi ha passato nella foga. Ed improvvisamente mi rendo conto che è piacevole aizzare la folla e che se avessi una spada in mano, al posto del mestolo, allora potrei istigare il mio esercito e prendere possesso di tutta Hogwarts.
Ma naturalmente non voglio davvero saccheggiare la scuola, non sono quel tipo di Prefetto. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità e tutte quelle cose. Sto riflettendo distrattamente sulle possibilità che mi si aprono davanti al momento, ascoltare Lumacorno e tornare a terra, oppure cavalcare a tutto spiano verso la barricata nemica e colpire Avery sul naso col mio mestolo, quando noto un dettaglio che fa crollare immediatamente i miei sogni di gloria e rende questa situazione totalmente inaccettabile. Non sto volando e non ho davvero un cavallo, questo lo sapevo. Sono seduta su delle spalle e le mie gambe penzolano contro il petto di qualcuno e fin qui tutto bene. Il problema è che la mano che mi tiene per una caviglia è attaccata ad un braccio e quel braccio è ricoperto di graffi, come se una tigre lo avesse appena usato come affila unghie. Ed oggi c’è un solo studente in quest’aula che sostiene di essere stato aggredito da un gatto ed è anche l’unico che non avrà mai e poi mai il permesso di impersonare il mio cavallo.
- Rimettimi a terra, Potter, ora.
 
*

 
- D’accordo, potete andare. Su, su, via quelle facce, ragazzi, avrete altre occasioni per rifarvi sui vostri colleghi, - Lumacorno, dopo aver tentato in tutti i modi di placarci, pare essersi infine rassegnato al fatto che nessuno gli presterà più attenzione fino alla fine dell’ora. Non sembra invece avere la minima idea di non poter riferirsi a noi Grifondoro come colleghi mentre sta parlando con i Serpeverde, le cui labbra si storcono come se avessero appena addentato un limone, che è in realtà l’espressione che hanno da quando sono stati stracciati. Ed è l’espressione che dovrebbero avere sempre, tutto il tempo, perché è così soddisfacente. I Serpeverde sono i primi a raggiungere l’uscita, rapidi e stizziti, e subito vedo Sirius seguirli, trotterellandogli praticamente alle costole con un ghigno compiaciuto: evidentemente non vuole perdersi la sfilata della vergogna. È un’idea potenzialmente suicida, ma fantastica, così faccio per raggiungerlo, ma dopo nemmeno un passo Lumacorno mi richiama.
- Signor Potter, aspetti, - Oh che altro c’è ora? Ha già avuto due ore della mia vita, adesso voglio rivedere la luce del sole e respirare aria non filtrata dagli effluvi delle pozioni. – Signorina Evans, anche lei. MacDonald, Paciock, il gruppo vincitore da me, per favore.
- Beh? – Lumacorno sorride, spostando lo sguardo compiaciuto su ognuno di noi, ma le dieci sono scoccate in questo momento e tecnicamente lui non ha più il diritto di costringerci ad ascoltare quello che dice. - Ve ne andate senza il premio?
Ripensandoci, posso aspettare qualche minuto.
- Sono sicuro che tutti voi conosciate il mio esclusivo gruppo di ritrovo. Una sorta di club, per così dire, Lumaclub, precisamente, - Lumacorno ridacchia deliziato e non pare aver notato che i nostri sguardi sono passati dall’eccitazione all’indifferenza più totale. Sirius in questo esatto momento si sta godendo le espressioni umiliate dei Serpeverde ed è inammissibile che invece io sia bloccato qui dentro. O forse Sirius è stato accerchiato, picchiato e lasciato agonizzante in qualche corridoio oscuro dei sotterranei ed anche in quel caso io non dovrei essere qui. – Bene, sarete felici di sapere che da questo momento fino alla fine della vostra carriera ad Hogwarts...
Gli occhietti acquosi di Lumacorno passano velocemente sui visi di ciascuno di noi, durante quella che dovrebbe essere una pausa ricca di suspense e che invece è solo molto, molto seccante.
- Siete automaticamente invitati ad ogni seduta o festa del Lumaclub.
Nella mia testa risuona un lungo grido straziante, ma grazie alla multifunzionalità del mio cervello e al mio ultra sviluppato istinto di sopravvivenza, le mie labbra si muovono da sole e la mia voce riesce in qualche modo a sovrastare il grido di orrore che continua a riecheggiare nella mia mente.
- Ho distrutto i germogli del Frullobulbo.
- Come, signor Potter? – Lumacorno mi guarda perplesso, ma con un sorriso conciliante e non credo che abbia notato il panico nella mia voce, né il gelo che è calato sui visi dei miei compagni.
- Li ho disintegrati, professore, completamente, con il coltello, e li ho resi inutilizzabili, - continuo rapido, cercando di assumere un’espressione pentita. E lo sono davvero, pentito, di essere venuto al mondo. - E quello è stato il mio intero contributo alla pozione. Non merito il suo premio, davvero: non sarebbe giusto nei confronti degli altri. 
- Anch’io non ho fatto molto ad essere sincero, - interviene prontamente Mike, una nota di comprensione nello sguardo. – Sul serio, ha fatto tutto Lily.
- È vero, non possiamo prenderci il merito per il suo lavoro, – aggiunge Mary rapida, mentre Frank annuisce convinto. Evans sospira rassegnata, senza dire una parola: lei dopotutto è già automaticamente invitata ad ogni riunione del Lumaclub più o meno dal terzo anno.
- Una squadra è una squadra, - commenta Lumacorno con un sorriso bonario, palesemente convinto di farci un favore, mentre in realtà non fa che mandare in frantumi le speranze di tutti noi: non ci salveremo. – Perciò smettete di fare i complimenti ed accettate il vostro premio. E chissà, signor Potter, che sapendo che sarà presente anche lei, il signor Black non si decida ad accettare qualcuno dei miei inviti.
Oh, quindi mi sta usando per arrivare a Sirius e non ha nemmeno la decenza di nasconderlo, ottimo; la vittoria non ha mai avuto un sapore tanto amaro. L’unico vantaggio di essere pessimo in Pozioni è sempre stato che Lumacorno non mi ha mai stressato con gli inviti alle sue ridicole festicciole, a parte quella volta al quinto anno, subito dopo che sono stato nominato Capitano della squadra di Quidditch, ma il giorno dopo la mia Pozione della Pace ha fatto esplodere due file di banchi e lui non mi ha invitato mai più, grazie a Godric. Nemmeno Sirius è un asso in Pozioni, ma Lumacorno ha cercato di prenderlo sotto la sua ala nel momento stesso in cui ha messo piede in aula, al primo anno: una delle tante conseguenze del portare il nome dei Black.
- Possiamo andare ora? – chiede Frank con un sospiro, non riuscendo particolarmente bene a mascherare la delusione. – La lezione di Trasfigurazione sta per iniziare.
- Naturalmente, ora vi mando subito da Minerva. Solo un attimo ancora, - Lumacorno si dirige baldanzoso verso la cattedra, per poi tornare da noi con un barattolo tra le mani. – Non penserete che fosse solo questo il premio, vero? O la signorina Evans resterebbe a bocca asciutta.
Lumacorno ridacchia di nuovo e qualcuno dovrebbe davvero dirgli che non è così divertente. Io d’altro canto sono troppo impegnato a fissare sospettoso i piccoli semini dai colori sgargianti contenuti sul fondo del barattolo di vetro; automaticamente inarco un sopracciglio, perplesso. Dei piccoli, apparentemente inutili semi non sono la prima cosa che mi viene in mente quando penso ad un premio, ma peggio del Lumaclub non possono essere di sicuro.
- Forza, prendetene uno a testa.
Porge il barattolo verso di me ed io infilo lentamente la mano al suo interno, circospetto. Sfioro con le dita il fondo, smuovendo i semini, che non sembrano avere denti con cui strapparmi le unghie, come una parte del mio cervello aveva dato per scontato, poi ne stringo uno a caso e lo estraggo dal contenitore. Subito gli occhi di tutti si puntano sul piccolo seme dal guscio nero e lucido sul palmo della mia mano e Lumacorno emette un verso compiaciuto.
- Ottima scelta, signor Potter.
Non so perché il seme nero sia stata un’ottima scelta, quando a parte il colore sembrano tutti uguali ed inutili allo stesso modo, ma improvvisamente il grosso faccione di Lumacorno è un po’ troppo vicino al mio ed i semi passano in secondo piano. Sto per dargli un pugno e poi scappare da quest’aula, perché questo è quello che bisogna fare quando il tuo professore di Pozioni col triplo mento prova a baciarti, ma poi sento la sua voce uscire in un sussurro appena percettibile proprio accanto al mio orecchio e dopotutto pare che non sarò molestato.
- Questo seme contiene in minime dosi una variante di mia invenzione della pozione Polisucco, signor Potter. Le permetterà di assumere la forma di chiunque lei voglia, senza bisogno di ingerire capelli o altre parti del corpo: le basterà concentrarsi sul pensiero di quella persona prima di ingoiare il seme, – Ora, questo è quello che io chiamo un premio. È anche qualcosa che probabilmente un professore non dovrebbe dare ad uno studente e questo rende il tutto ancora più memorabile; vale quasi la pena di sopportare gli inviti al Lumaclub per il resto della mia vita ad Hogwarts. - Ovviamente mi aspetto che lei lo usi per fare uno scherzo innocuo ai suoi amici e nulla di più: confido nel suo buonsenso e nella brevissima durata dell’effetto della pozione, una decina di minuti o poco più.
Oh. Dieci minuti. Questo riduce l’epicità dei progetti futuri, ma troverò comunque il modo di infrangere quante più regole possibile anche in un arco di tempo così breve. E in fondo va bene così, non vedo perché mai dovrei desiderare di essere qualcun altro per più tempo, quando essere me è già più che soddisfacente.
- Vada pure, signor Potter, non faccia aspettare Minerva, – mi incita Lumacorno, mentre è Mike questa volta ad infilare la mano nel barattolo. Faccio appena in tempo a vederlo estrarre un seme di un arancione sgargiante, poi Lumacorno sposta di nuovo lo sguardo su di me ed io sono costretto a lasciare l’aula. E ti pareva, anni a sorbirmi intere noiosissime lezioni senza poter uscire da qui e vengo buttato fuori proprio ora che le cose si fanno interessanti.
 
 
**********

 
 
- Secondo me non funziona, - commento critico, avvicinandomi il seme agli occhi e studiandolo accigliato. – Dev’essere una specie di trappola architettata dai professori, così possono vedere se li usate e mettervi in punizione. Voglio dire, sicuramente è contro le regole diventare un’altra persona.
Peter, seduto di fianco a me, ha la bocca talmente piena di pollo da non poter parlare, ma, da come ha improvvisamente spalancato gli occhi, capisco che mi sta credendo.
- Magari lo mangerai ed improvvisamente ti ricoprirai di brufoli, così loro lo sapranno, - continuo spedito, senza staccare gli occhi da James. È lui quello da convincere, non Peter. – Lasciamelo: lo assaggerò io per te. 
- Sirius.
- Non ringraziarmi, per gli amici questo ed altro.
- Giù le zampe dal mio premio.
Con un sbuffo, restituisco il seme a James, che lo piazza di fianco al suo piatto e riprende a mangiare soddisfatto. Questo è ridicolo. James ha ricevuto un premio per Pozioni, lo stesso James che ha causato più danni all’aula, al professore e ai suoi compagni di chiunque altro abbia mai messo piede ad Hogwarts. È riuscito a far esplodere persino la Pozione Rasserenante, che sanno fare anche i bambini del primo anno; e nonostante questo Lumacorno gli ha dato un seme. Credo che se James ha ricevuto un seme, allora tutta Hogwarts dovrebbe ricevere un seme.
- Possiamo rubare il barattolo, - rifletto ad alta voce, prendendo un sorso di succo di zucca. A quel punto avrei non solo un seme, ma un sacco di semi.
- Non era pieno, in realtà. Credo fossero contati, giusti per il gruppo vincitore, - James fa un sorrisetto compiaciuto e quello che sta per aggiungere è così prevedibile ed inutile alla causa del troviamo un seme anche a Sirius. – Che, guardacaso, è il mio.
Le mie labbra sono già schiuse per sottolineare la mia piena disapprovazione per questa situazione, quando un ciao, James che sembra invece pieno d’approvazione mi precede ed una chioma bionda si frappone per un attimo tra me e il viso del mio migliore amico. Poi Lizzie gli si siede accanto, dall’altro lato e James ha ancora gli occhi fissi nei miei, anche se sembra non vedermi. Posso percepire gli ingranaggi del suo cervello lavorare perplessi per qualche secondo, per capire da quando Lizzie lo saluta premendo le labbra sulle sue ed io vorrei rispondere al suo cervello che probabilmente è da quando lui ha baciato lei di fronte a tutta la Sala Comune, esattamente ieri.
Alla fine James sembra decidere che va tutto bene e che non c’è nulla di strano nel fatto che le sue labbra stiano incontrando sempre più spesso quelle della ragazza al suo fianco, così si volta verso di lei e la saluta tranquillo.
- Ehy, Lizzie. 
Lei ha notato il seme sul tavolo e stanno parlando di quello ora e ridono e scherzano e lei pende come al solito dalle sue labbra, cosa che fa chiaramente piacere all’ego di James. Li osservo accigliato per qualche altro secondo, prima di notare con una nota di stupore che non sono l’unico: persino Peter si è reso conto che James sta facendo un casino.
 
*

 
Godric in persona dovrebbe risorgere dalla tomba, farsi strada scavando con le dita scheletriche attraverso metri e metri di terra e venire a stringermi la mano, perché ho appena salutato James con un bacio a stampo, come se fosse lecito, come se fosse qualcosa che faccio tutte le mattine, come se fosse il mio ragazzo, e questo è senz’altro il famoso coraggio dei Grifondoro di cui tutti parlano. Certo, non gli ho proprio chiesto se è il mio ragazzo o meno, perché sarebbe da pazzi usare le parole mio e ragazzo quando ci siamo baciati per la prima volta due giorni fa, checché ne dica Alice Prewett. Mi prenderebbe per pazza, cosa che in parte sono, ma a volte bisogna fingere di avere una pazienza e una dignità che in realtà non si hanno affatto e non pronunciare le parole mio e ragazzo. E dopo un interminabile secondo di perplessità in cui ho immaginato nella mia testa diversi scenari apocalittici, James mi ha semplicemente salutata ed ora parla con me come se niente fosse, quindi suppongo che gli vada bene. Essere baciato da me, intendo. Perché se non gli andasse bene, si sarebbe scostato o mi avrebbe detto Carson, smettila di baciarmi e lasciami in pace. E non mi avrebbe baciata lui per primo, ieri, di fronte a tutti. Non si baciano le persone a caso, no? Voglio dire, io non lo farei. Il punto è che James forse lo fa, forse ogni tanto semplicemente decide di entrare in Sala Comune e baciare la prima ragazza bionda che si trova davanti, o la prima che indossa delle scarpe nere o la prima che vede e basta. Non l’ho mai visto farlo, a dire il vero, ma non l’ho mai nemmeno visto entrare in Sala Comune, baciare una ragazza e diventare il suo ragazzo.
Sta continuando a parlare ed è bellissimo e sta guardando me, ma la verità è che non posso concentrarmi sul significato delle sue parole, perché ho bisogno che qualcuno mi dica esattamente, per filo e per segno, perché mi ha baciato e cosa questo significa. Qualcuno che non sia lui, perché ripensandoci Godric può restare nella sua tomba, dato che non sono così Grifondoro da chiederglielo e rischiare di mandare tutto all’aria, sembrando paranoica e appiccicosa. E forse un po’ lo sono, paranoica e appiccicosa, ma una persona non dovrebbe sempre apparire esattamente come è in realtà, no?
Black è seduto di fianco a James, dall’altro lato, e sicuramente lui sa come funziona la sua mente: sa perché mi ha baciato e sa tutto quello che potrei mai chiedermi sul suo amico, anche quello che James stesso non sa. Solo che non riesco proprio a immaginarmi Sirius Black assicurarmi di non riferire nulla a James di una nostra eventuale conversazione ed in realtà sono abbastanza sicura che dire una cosa a Black equivalga a dirla a James stesso. Oltre al fatto che mi scoppierebbe a ridere in faccia, perché è quello che Black fa per la maggior parte del tempo, ridere in faccia agli altri.
Minus ci sta fissando da un po’ ed ha l’aria di essere più confuso di me, quindi anche lui non è una buona opzione.
È lampante che la buona opzione non è seduta a questo tavolo, ma ha dei capelli biondicci, due occhi ambrati e una smisurata passione per la cioccolata esattamente come me, oltre che quell’adorabile cosa chiamata filtro, che gli permetterebbe di risolvere i miei dubbi amletici con gentilezza senza poi riferire ogni parola a James.
Il problema è che Remus Lupin è in Infermeria da ieri e a detta dei Malandrini non è nelle condizioni di ricevere nessuna visita.
 
 
**********

 
 
Ci sono tre borse a tracolla colme di libri appese al mio collo, le cui stringhe mi sfregano in maniera spiacevole contro la pelle e mi rendono davvero ingombrante e difficile raggiungere la Sala Comune, con tutti che non fanno che venirmi a sbattere contro: a quanto pare è proibito occupare più di un certo spazio vitale all’interno di questo castello. Peter e Sirius mi hanno smollato la loro roba per andare a prendere Remus in Infermeria e mentre attraverso la Sala Comune, con gli occhi di due ragazzini del primo anno puntati fastidiosamente addosso, accarezzo vagamente l’idea di gettarmi sul letto a recuperare il sonno mancato, invece di andare incontro ai miei amici: tanto devono comunque tornare in camera. D’altro canto, mi piacerebbe essere sveglio quando Remus - quando Remus aprirà la porta della nostra stanza trovandola completamente sotto sopra e leggerà l’enorme scritta che torreggia sul muro al di sopra del suo letto. Ibrido.
Non sto respirando, lo realizzo solo dopo diversi secondi passati a fissare immobile lo sfacelo di fronte a  me: non mi ero nemmeno accorto di aver trattenuto il fiato. Il baldacchino di Peter è rovesciato su un lato, attorcigliato nelle pesanti tende scarlatte in parte strappate, mentre un groviglio di coperte e cuscini è a terra, proprio vicino alla soglia. La superficie di legno lucido della scrivania è perfettamente sgombra, come il primo giorno in cui siamo arrivati ad Hogwarts: tutto quello che c’era sopra è sul pavimento, insieme ai cassetti che sono stati sfilati e gettati alla rinfusa nella baraonda di oggetti e pergamene stracciate che ricoprono il pavimento dell’intera stanza. Il contenuto dei bauli, neanche a dirlo, è a terra insieme al resto. C’è un boccino d’oro che svolazza a scatti traballanti per la stanza, incredibilmente più lento del normale: ha un’ala strappata, ripiegata su se stessa e si regge a malapena per aria. È proprio davanti a me, ma è solo una macchia sfocata ai miei occhi, puntati sull’imponente scritta scarlatta tracciata sul muro al di sopra del letto di Remus.
La verità è che c’è un’intera Casa che ce l’ha con noi, perché ci siamo recentemente divertiti a seppellire loro e la loro Sala Comune nelle Caccabombe e non è come se non ci aspettassimo un loro contrattacco. Non è nemmeno una gran cosa: con la magia possiamo sistemare la camera in meno tempo di quanto ne hanno impiegato loro a togliersi l’odore di merda dai vestiti.
Il fatto è che avrebbero potuto farlo in qualunque altro momento, sarebbe stato normale reagire diversi giorni fa, subito dopo il nostro attacco e invece hanno aspettato proprio oggi, la mattina dopo la luna piena. E potrebbe essere stata un’idea di Avery o di Rosier o di qualunque altro Serpeverde, ma c’è scritto ibrido e questo è il modo in cui Severus Piton si è firmato.
Afferro il boccino con uno scatto nervoso, stringendolo tra le dita così forte da piegare anche l’altra ala. Prendo un respiro profondo, senza staccare gli occhi dalla scritta sul letto di Remus, che è l’unica cosa a tenermi ancora incollato qui e che mi impedisce di voltarmi e andare a sbattere la faccia di Piton contro i muri di pietra dei sotterranei così forte da fargli dimenticare non solo della notte in cui ha visto Remus trasformato, ma anche della sua stessa esistenza. Lo odio così tanto che per un attimo ci penso davvero a voltarmi e uscire da qui, perché ogni parte del mio corpo freme per scattare verso il suo naso enorme e spezzarlo come le ali del boccino che stringo tra le dita. Sto tremando e ho un bisogno quasi fisico di trovare Severus Piton all’istante e insegnargli i limiti che non può superare, i miei amici, per la precisione. Ma poi resto qui e continuo a respirare finché non smetto di tremare, perché loro arriveranno da un momento all’altro, Remus arriverà, e quello che devo fare ora è far sparire quella scritta.
Piton può aspettare.
Evitando i mucchi di cianfrusaglie sparse a terra, mi avvicino al letto di Remus ed impugno la bacchetta. Le lettere scarlatte continuano a fissarmi con aria di beffa dalla superficie bianca di fronte a me anche dopo che ho pronunciato l’incantesimo e questo non va bene. Mi schiarisco la voce e ripeto il Gratta e Netta, ma la scritta non viene nemmeno scalfita. È solo dopo aver tentato con tutti gli incantesimi di pulizia che conosco che capisco.
È Piton ed è un genio a Pozioni.
E quella scritta non l’ha tracciata con la magia, ma con uno dei suoi fottuti intrugli, il che vuol dire che mi serve una pozione per cancellarla e anche se oggi tecnicamente a lezione l’ho stracciato, nel mondo vero continua ad essere lui quello bravo in Pozioni, mentre io continuo ad essere quello che fa esplodere l’aula. E questo vuol dire che sono nella merda più di quanto non lo fossero i Serpeverde che abbiamo bersagliato con le Caccabombe dopo la partita.
Sto seriamente considerando l’idea di prendere il muro a testate così forti da farlo crollare ed eliminare alla radice il problema della scritta, quando all’improvviso realizzo che c’è un motivo se oggi tecnicamente ho stracciato Piton a Pozioni ed è che in effetti lui non è il pozionista più bravo del nostro anno.
 
*
 
 
 
- Ehy, Evans.
Potter continua a chiamarmi ed io continuo ad ignorarlo, dirigendomi a passo sostenuto verso il buco del ritratto; l’ho quasi raggiunto, quando l’operazione ignora gli individui molesti fallisce miseramente, nel momento in cui Potter mi si para di fronte, sbarrandomi la strada. Mi aggiusto meglio sulla spalla la borsa a tracolla carica di libri, prima di prendere un profondo respiro, come è bene fare prima di parlare con un idiota.
- Senti. Tu sei un Prefetto, giusto? – inizia Potter non appena poso i miei occhi su di lui, senza lasciarmi il tempo di aprire bocca. - Evviva le regole e tutte quelle cose, no? Aiutare i primini a trovare le aule giuste e non dirottarli sulle scale che cambiano, essere noiosi, togliere punti, ma anche essere solidali con gli studenti, soprattutto con i compagni di Casa. Mantenere l’ordine, non fare esplodere le cose, aiutare...
- Potter, – lo fermo, riducendo gli occhi a due fessure. Stavo andando in Biblioteca a studiare con i miei amici ed ora invece c’è questa persona, che davvero non mi piace, che continua a blaterare senza preoccuparsi di seguire un filo logico e a sbarrarmi la strada: bisogna stroncare questa situazione sul nascere. 
- Sì?
- Continui a ripetere aiutare, - sottolineo, corrugando la fronte. - Quello che stai cercando di dirmi, con mille ridicoli giri di parole, è che ti serve il mio aiuto?
- Beh no, non la metterei così, – replica istantaneamente Potter, quasi sconvolto dall’idea; si esibisce anche in una risatina veloce, come a sottolineare l’assurdità di tale ipotesi, prima di fissarmi corrucciato. - Ma se fosse esattamente così, per assurdo, la tua risposta sarebbe...?
- Davvero non riesci a immaginarla?
Potter stringe leggermente le labbra, senza staccare gli occhi dai miei. Posso quasi sentire gli ingranaggi del suo cervellino lavorare alla ricerca di una soluzione a qualunque sia il suo problema – beh, il suo problema del momento, dato che è evidente che di problemi ne ha molti, a partire dalla sua stessa esistenza su questa terra.
- D’accordo, lo capisco: ti ho sempre rifiutata in tutti questi anni ed ora perché mai dovresti aiutarmi? - commenta infine, dando voce al meglio che il suo cervello ha saputo trovare. Come dicevo, tanti, tanti problemi. - Ma se mi fai questo favore, ti giuro che sabato prossimo verrò ad Hogsmeade con te.
Senza degnarlo di una risposta, lo scanso e riprendo spedita il mio tragitto, avendo cura di dargli una spallata nel farlo, anche se non è stata una buona idea e ho il sospetto di essere l’unica ad aver risentito del colpo.
- Ok, aspetta, – Potter mi richiama subito, improvvisamente agitato.
Un sospiro esasperato mi esce dalle labbra mentre mi volto di nuovo verso di lui, ma i suoi occhi evitano i miei, spaziando attorno a noi in un chiaro segno di disagio. E forse è questo che mi induce a fermarmi, appena un po’ incuriosita, perché è evidente che non sono l’unica che preferirebbe trovarsi in qualunque altro posto in questo momento. E James Potter in difficoltà non è cosa da tutti i giorni. 
- Cinque minuti, Evans, -  sospira incrociando finalmente il mio sguardo. È difficile decifrare la sua espressione, quando sono abituata a vedere sul suo viso sempre la solita aria beffarda, ma questa volta non si sta impegnando nemmeno un po’ a fingersi perfettamente padrone della situazione. Sembra spazientito e forse anche irritato, perché non vuole essere qui più di quanto lo voglia io, e c’è qualcosa di supplicante nel suo sguardo e nel modo in cui inclina lievemente il capo di lato. Posso quasi sentire tra le dita il manico del coltello che forse per la prima volta in sei anni è tra le mie mani ed è proprio Potter a porgermelo, con tutta la rassegnazione e l’orgoglio ferito che non riesce a nascondere. – Non ti chiedo altro.
Una parte di me freme per afferrare quel coltello e conficcarglielo dritto nel petto, perché non mi ricapiterà più un’occasione come questa di sgonfiare il suo ego e magari convincerlo a girarmi alla larga, se non altro per dimenticare l’umiliazione. È solo che c’è qualcosa di serio nei suoi occhi e se esiste qualcosa in grado di convincere Potter a mettere da parte il suo orgoglio e fargli supplicare il mio aiuto, sono dannatamente curiosa di scoprire di cosa si tratta.  
- D’accordo, - sospiro combattuta e so già che me ne pentirò. – Hai cinque minuti per convincermi, a partire da ora.
- Ok, seguimi, – Potter si accende come un bambino che si avventa sui regali di Natale e l’aria frustrata di pochi secondi fa svanisce dal suo viso come se me la fossi sognata. Mi rendo conto dell’errore stratosferico che ho appena compiuto nel momento stesso in cui lo vedo imboccare le scale che portano ai dormitori maschili, perché pochi minuti fa stavo andando tranquillamente in Biblioteca a studiare ed ora invece mi ritrovo a seguire James Potter nella sua camera.
Pessimo, Lily, davvero pessimo. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


 

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CAPITOLO 21.

 

 

 

 

 

Evans entra in camera subito dopo di me e non emette un suono.
Vedo le sue labbra socchiudersi e i suoi occhi spaziare per tutta la stanza e soffermarsi qualche secondo in più sulla parola tracciata in rosso sul letto di Remus: se la scritta la sorprende, non lo dà a vedere.
- Quindi i Serpeverde si sono, prevedibilmente, vendicati per la storia delle Caccabombe nella loro Sala Comune, – commenta infine, riportando lo sguardo su di me. – C’è un motivo in particolare per cui non hai chiamato un professore?
- Servirebbe a qualcosa? – replico scettico, inarcando un sopracciglio. Chiamare un professore. Solo ad un Prefetto poteva venire in mente un’idea simile.
- Cancellare la scritta, tanto per cominciare, - risponde immediatamente lei, avvicinandosi lentamente al letto di Remus.
- Già e poi la McGranitt saprebbe che siamo stati noi, quando...
- Quando vi vendicherete, – conclude contrariata, sospirando. So esattamente cosa sta pensando e mi preparo già a sentire una ramanzina indispettita sull’infantilità di tutte queste ripicche, ma lei si limita a sfiorare le lettere scarlatte con le dita, corrucciata, prima di voltarsi di nuovo verso di me. – Non è difficile, Potter. Una comunissima pozione Solvente la farà sparire: puoi chiedere a chiunque altro del nostro anno che non sia negato come te, non ti serve la più brava del corso.
Negato è un’esagerazione totale, perché potrei preparare anch’io una pozione Solvente, se volessi, se avessi più tempo e se non fossi sotto pressione. Ma non avrei la certezza di non sciogliere anche i muri e questo sarebbe sospetto, oltre al fatto che non gioverebbe ai nostri rapporti col vicinato e la nostra camera e quella di Frank, Mike e Daniel diverrebbero un tutt’uno. Il fatto è che Evans è tutto quello che si pone tra me e l’espressione mortificata di Remus nel momento in cui leggerà quella scritta e non è il momento di puntualizzare i dettagli.
- Sì, ma mi serve prima di subito, - insisto e probabilmente questo non è il modo esatto di chiedere un favore, ma non è una cosa in cui mi sia richiesta bravura, questa. Sono io a fare favori agli altri di solito, a cominciare dal favore che faccio al mondo semplicemente esistendo.
- Frank è perfettamente in grado di prepararla nel tempo minimo indispensabile, – Evans si affretta verso la porta, scoccandomi un’occhiata veloce. - Mi sta aspettando in Biblioteca con Mary ed Alice, te lo mando su.
 
*
 
Frank sarà felice di aiutare Potter.
Per qualche strano motivo, non trova la sua compagnia insopportabile come faccio io. Alice sarà un po’ meno felice di vedere il suo ragazzo defilarsi per occuparsi di affari misteriosi, ma una soluzione che mi permette di fiondarmi alla velocità della luce fuori dalla camera dei Malandrini, lontano da Potter, non può che essere la soluzione migliore. La mia mano si è appena stretta attorno alla maniglia, quando la voce di Potter si frappone per l’ennesima volta tra me e i miei piani.
- Evans. 
Non è come se non avessi mai ignorato Potter in vita mia, non è come se lui non passasse il tempo a chiamarmi senza motivo, ma questa volta è diverso. C’è qualcosa nella sua voce che mi costringe a voltarmi e il suo è lo sguardo di qualcuno che preferirebbe ingoiare un doxie vivo piuttosto che tenere questa conversazione.
- Non è proprio un insulto a caso, no? – sospira combattuto, accennando alla scritta alle sue spalle. – L’ho chiesto a te perché non mi stai facendo domande.
Non gli chiedo cosa gli ha dato la certezza che non gliele avrei fatte. C’è quel nome che aleggia tra di noi, quel ragazzino dai capelli neri che mi riempiva la testa con le sue teorie assurde su Remus Lupin, che poi così assurde, l’ho sempre saputo, non erano affatto. E se mi sono sempre costretta a cambiare argomento ed ignorarlo e non controllare mai, nemmeno una singola volta, il calendario lunare, non ho potuto impedirmi di notare le cicatrici sottili e i graffi nuovi, quelli freschi, una volta al mese. Ed è questo, quel qualcosa così importante per Potter da fargli mettere da parte l’orgoglio. È un qualcuno ed è il suo amico. 
- D’accordo, - acconsento con un sospiro, appoggiando la borsa coi libri sul letto più vicino. – Trovami gli ingredienti ed in dieci minuti la faccio sparire.
- Fantastico, - Potter si illumina, scattando subito verso la porta ed inciampando in un baule rovesciato. Finisce per terra e si rialza all’istante, arrancando, con la stessa espressione sollevata e agitata al tempo stesso. Si aggrappa alla maniglia, prima di voltarsi verso di me.
- Tu, - mi indica e sembra che abbia paura che io mi smaterializzi da un momento all’altro. – Non ti muovere, vado e torno. C’è il vecchio calderone di Peter da qualche parte, puoi cercarlo intanto.
Il rumore della porta che sbatte alle sue spalle copre il mio tentativo di richiamarlo. Incrocio le braccia al petto con un sospiro, continuando a fissare la porta. Diversi secondi dopo, quella si riapre e la testa arruffata di Potter fa capolino nella stanza.
- Non mi hai detto cosa ti serve.
-Infatti, - commento accigliata, afferrando da terra la pergamena più vicina a me e scrivendo velocemente la breve lista di ingredienti con una piuma spezzata a metà. – Fa’ in fretta.
Potter sparisce di nuovo, lasciandomi sola, il che è un lieve miglioramento. Lascio vagare sconfortata lo sguardo a terra, dove a malapena riesco a scorgere tracce di pavimento, figuriamoci un calderone. E va bene, Lily. Nessuno merita quella scritta, tantomeno Lupin, che è sempre gentile ed educato, a parte quando fa esplodere le aule insieme ai suoi amici. Fallo e basta. Così prendo un profondo respiro e mi metto a gattoni, pronta a frugare tra le cose dei Malandrini: questo non è per niente come la mia giornata doveva essere.
 
*
 
È la terza volta che attraverso la Sala Comune in tutta fretta ed è la terza volta che sento gli occhi di due ragazzini del primo anno fissi su di me. La prima volta ho dato per scontato che volessero semplicemente vedere se sarei per caso inciampato in una delle tre borse che portavo, cadendo per le scale ed ammazzandomi, la seconda ero troppo impegnato a gettare il mio orgoglio in pasto ad Evans per farci caso e la terza volta è quella in cui noto che, mentre seguono i miei movimenti ad occhi spalancati, sembrano terribilmente in ansia. Mi fermo di scatto di fronte al ritratto della Signora Grassa, prima di uscire, e punto i miei occhi su di loro, immobili, l’uno di fianco all’altro sulle poltroncine più lontane dal fuoco. Immediatamente abbassano lo sguardo con aria colpevole. Sono due primini, la Sala è vuota e loro non si sono fiondati ad occupare le poltrone più vicine al fuoco, che sono sempre occupate dai ragazzi più grandi e sono per questo il sogno segreto di ogni singolo primino. Ognuno, nessuno escluso. E loro invece se ne stanno là, lontani, come in punizione, anche se la Sala è vuota e potrebbero darsi alla pazza gioia accanto al camino. Ed improvvisamente so come hanno fatto i Serpeverde a scoprire la parola d’ordine della nostra Sala Comune. Gli riservo la mia occhiata più indignata, perché questa è la cosa meno Grifondoro che un Grifondoro abbia mai fatto, a parte quella volta che Sirius è scappato gridando per quel finto pagliaccio assassino, ad Halloween, ma non è questo il punto.
- Ci hanno detto che ci avrebbero trasfigurato le orecchie in tazzine da caffè, - mormora flebile uno dei due, abbassando lo sguardo.
Vorrei rimanere qui a spiegargli che andarsene in giro con delle tazzine da caffè al posto delle orecchie è per un Grifondoro più dignitoso che aiutare dei Serpeverde ad entrare nella nostra Sala Comune, oltre che in qualche modo potenzialmente utile, ma sono passati già diversi minuti da quando ho usato lo specchio per dire a Sirius di tenere Remus lontano da qui il più a lungo possibile ed ora devo sbrigarmi.
 
*

 
La fa facile James, trattieni Remus, quando tutto quello che vuole Remus è tornare in camera a stendersi un po’ a letto. L’ho lasciato cinque minuti fa nelle cucine con Peter, ma non credo che questo ci abbia fatto guadagnare chissà quanto tempo. La cosa frustrante di tutta questa faccenda, oltre al fatto che anche io, avendo dormito solo due ore in tutta la notte, vorrei gettarmi sul letto, è che non so nemmeno perché sia così importante tenere Remus lontano dalla nostra camera. Ma James sembrava serio, agitato ed incazzato e tutte e tre le cose insieme, oltre che ridicolo per via dei capelli, che smorzano sempre qualunque sua espressione dignitosa. Così ho dovuto fidarmi e basta, ma ora ho intenzione di scoprire con i miei occhi cosa sta succedendo nella nostra stanza che Remus non può vedere.
Oh.
Faccio un passo in avanti all’interno di quella che una volta era la nostra camera come ipnotizzato, prima di sbattere il piede contro qualcosa e rischiare di finire a terra. Non che ci sia una terra su cui finire, in tutto questo casino. Questa è guerra. Attorno alle lettere che formano la parola ibrido sul letto di Remus, ci sono tracce di schiuma e incisioni, segno che James ha già provato in tutti i modi a cancellarla, inutilmente. Severus Piton è un uomo morto in tutti i modi in cui un uomo ancora vivo può essere già morto. Credo che potrei andare a cercarlo ora, subito, immediatamente, perché Peter si sta occupando di Remus, James si sta presumibilmente occupando della scritta e a me non resta che occuparmi del funerale di Piton. Ma un lieve sciabordio proveniente dalla porta socchiusa del bagno attira la mia attenzione: subito la apro, aspettandomi di trovare James e non aspettandomi invece di trovare Lily Evans, inginocchiata a terra, che riempie d’acqua un piccolo paiolo dentro la nostra vasca da bagno. 
- Che stai facendo, Evans? – chiedo sospettoso, inarcando un sopracciglio. 
- Gioco a tennis, Black, - replica e anche il suo sopracciglio si inarca. Ma se vuole fare a gara con me, dovrà impegnarsi più di così. – A te che sembra?
- Non usare il sarcasmo con me, Evans, - Il mio sopracciglio ha appena raggiunto la massima inarcatura possibile e lei non potrà competere con questo. Credo di aver esagerato leggermente, perché ora il mio occhio sinistro ha iniziato a socchiudersi e questo sicuramente non mi aiuta a mantenere un’espressione intelligente. - Il sarcasmo è la mia cosa.
- Il sarcasmo non è una tua prerogativa: è un mezzo nelle mani di tutti quelli che hanno a che fare con degli idioti, come me in questo momento.
- Almeno ne sei consapevole: sembri davvero un’idiota chinata a fare cose losche nella nostra vasca da bagno.
- Non sono io l’idiota, io sono quella che ha a che fare con l’idiota, che per la cronaca sei tu. Oh, lascia perdere, sono un’idiota, anch’io: una persona intelligente non avrebbe accettato di aiutarvi, - Evans, a cui io, ci terrei a sottolineare, non ho chiesto proprio nessun aiuto, scuote la testa con un sospiro, prima di lanciarmi un’occhiata scocciata, il che è assurdo, perché non sono io che sono sconfinato nel suo territorio. - Dove si è cacciato il tuo compare?
- James?
- Potter.
- Sono la stessa persona, sai. 
- Non importa, Black, il punto è che non sono qui. 
- Intendi non è.
- Mi stai confondendo.
- Tu mi stai confondendo, Evans. E la vera domanda non è perché James non è qui, ma perché tu ci sei invece, – La nostra camera è stata depredata dai Serpeverde, Severus Piton respira ancora e c’è un Prefetto nel nostro bagno: tutto questo è così lontano dall’essere anche solo vagamente accettabile. - Sei nel mio bagno e non mi piaci nemmeno.
- Il sentimento è reciproco.
- Bene.
- Bene.  
Restiamo a fissarci a braccia incrociate per diversi secondi, poi lei sospira, passandosi una mano tra i capelli, che stanno iniziando ad arricciarsi per via del vapore che riempie il bagno.
- Senti, Potter è nei sotterranei da diverso tempo: forse dovresti controllare che non sia stato catturato e legato nudo da qualche parte o qualunque altra cosa vi facciate voi e i Serpeverde di solito.
- Va bene. Non so perché James dovrebbe essere nudo o perché la cosa dovrebbe interessarti, ma andrò a controllare, - stabilisco avviandomi, prima di voltarmi verso di lei con un sorriso sornione e puntualizzare l’ovvio. – E comunque, Evans, io piaccio a tutti. 
 
*
 
Quando attraverso il buco del ritratto, le braccia cariche delle strane sostanze elencate nella lista di Evans, i due primini sono ancora là nell’angolo che mi fissano spaventati. Mentre gli passo davanti spazientito, le mie labbra canticchiano qualcosa di molto simile a culla dei coraggiosi di cuore, audacia, fegato, cavalleria, fan di quel luogo uno splendore, giusto per sottolineare il disonore totale che rappresentano per la nostra Casa. Poi Sirius sbuca dal nulla e mi viene a sbattere contro, proprio in cima alle scale e mentre rotolo da un gradino all’altro, in una cascata di radici azzurrine e zampe di rospo, forse nemmeno io sono il massimo esempio di dignità ed onore cavalleresco. Mi rialzo stordito e con la risata di Sirius che mi riecheggia nelle orecchie e lui è un altro che il Cappello deve aver sbagliato a smistare, la dannata serpe in incognito.   
- Non è divertente, - informo il mio migliore amico, raddrizzandomi le lenti rettangolari sul naso e chinandomi a raccogliere velocemente tutto quanto. – Piantala di ridere e vai a fare il palo di fronte al ritratto: se Remus arriva prima che la stanza sia a posto, dovrai fingere di soffocare o qualcosa del genere. Ho detto che non è divertente.
 
*

 
Ho le ginocchia scomodamente premute contro il pavimento duro e gelido di un bagno, che non è nemmeno il mio bagno, e questa non è esattamente la situazione più indicata per preparare una pozione, non c’è davvero bisogno di leggere un manuale per capirlo. Come se non bastasse, avverto gli occhi nocciola di Potter fastidiosamente puntati su di me, come se poi riuscisse sul serio a seguire i miei passaggi: se anche stessi preparando un Distillato della Morte Vivente da far filtrare nel muro della sua camera in modo da avvelenare lui e i suoi amici, non se ne accorgerebbe comunque. Per un attimo la parte più sadica ed esasperata di me sfiora vagamente l’idea, ma dopotutto sono qui per aiutare, non per avvelenare.
- Smettila di fissarmi, - sospiro sbriciolando velocemente una foglia di Orclumpo nel calderone, sospeso per aria a qualche centimetro dal suolo, appena sopra le fiammelle azzurrine che escono dalla bacchetta di Potter, seduto a terra a gambe incrociate di fronte a me.
- Il mio sguardo ti deconcentra, Evans? – commenta lui con ghigno, la voce leggermente affannata e le guance ancora rosse per la corsa dai sotterranei. – Lo so, faccio quest’effetto.
- Non costringermi a versarti la pozione bollente addosso, Potter, o dovrò rifarla da capo, - commento pacata, dando un’ultima precisa mescolata. - E ora passami i semi di Formicaleone.
Il braccio di Potter si tende verso di me al di sopra del calderone e le sue labbra si muovono, ma io sono troppo impegnata a fissare i semi grassocci e marroncini che mi tende per permettere alla sua voce di farsi largo nella mia mente. Quindi è questo che succede ad aiutare gli altri, ti ritrovi sul pavimento gelido di un bagno, insieme alla persona che odi più al mondo e che non sa nemmeno distinguere dei semi di Formicaleone da dei Fagioli Sopoforosi. Mi ritrovo a chiudere gli occhi per un attimo, prendendo un profondo respiro, perché la voglia di rovesciare davvero il calderone in faccia a Potter o semplicemente lasciarlo qui e abbandonarlo al suo destino è tanta. Ma non è colpa di Lupin se il suo migliore amico è un idiota e fa schifo in Pozioni, giusto? Giusto. Così afferro i fagioli, li getto a terra e piazzo tra le dita di Potter il mestolo. Lui mi guarda perplesso, inarcando un sopracciglio.
- Che c’è?
- C’è che sei stupido, ecco che c’è, - replico alzandomi e battendomi rapidamente le mani sulla gonna della divisa, nel tentativo di lisciarla. – Ora però dovrai cercare di non esserlo almeno per qualche minuto e non fare esplodere la pozione, mentre io faccio una corsa a  prendere i veri semi di Formicaleone. Credi di esserne in grado?
Potter guarda me, per poi spostare gli occhi sulla sua mano stretta attorno al mestolo, come se non la riconoscesse nemmeno. Quella non è la faccia di qualcuno che ha fiducia nelle sue capacità di non far esplodere nulla. Ma certo, l’unica volta in cui sarebbe utile la sua eccessiva sicurezza di sé, Potter decide di esitare, mi sembra ovvio.
- Potter, - sospiro, afferrandogli decisa la mano che stringe il mestolo ed iniziando a girare lentamente in senso orario. Sento la pelle graffiata delle dita calde sotto le mie, nascoste dal vapore che si leva dal calderone, e di nuovo mi chiedo che diavolo abbia combinato per ridursi così. – Devi solo continuare a mescolare, niente di più. Non prendere nessuna iniziativa, non fermarti per passarti la mano tra i capelli o applaudirti da solo, lascia la bacchetta a terra e cerca di non darti fuoco.
- Posso passarmi l’altra mano tra i capelli, Evans, - commenta lui, dandomi una dimostrazione pratica, come se fosse questo il punto. – Ma ho recepito il messaggio, ci penso io qui.
- Fammi vedere come lo fai, – Lascio scivolare la mano dalla sua e resto a fissarlo critica mentre lui continua a mescolare la pozione, concentrato come se stesse risolvendo contemporaneamente tre problemi di Aritmanzia.
- Ok, continua così, cinque minuti e torno.  
Mentre mi chiudo la porta del bagno alle spalle, ho un pessimo presentimento, perché un piano che prevede James Potter con in mano un mestolo raramente finirà bene. Il pessimo presentimento si rafforza non appena parto di corsa verso la porta, per poi inciampare nella baraonda di oggetti che ricopre il pavimento e finire dritta per terra, con qualcosa di fastidiosamente appuntito conficcato nella pancia e il mento spiaccicato sulla copertina rigida di Storia del Quidditch. Dannato James Potter.
 
*

 
Io ed Allison siamo appena tornate in Sala Comune, dopo che Black si è finalmente deciso a lasciarci passare dal buco del ritratto: continuava a chiederci se per caso avessimo visto Lupin, che in realtà nessuno vede da ieri mattina.
- Okay, racconta, - Allison si siede su un divanetto un po’ in disparte dagli altri e mi punta gli occhi addosso, con un sorrisetto impaziente. Credo che mi abbia visto sedermi accanto a James a pranzo, perché di solito non è così eccitata di vedermi dopo appena mezz’ora di lontananza. – Lo hai salutato con un bacio e questo è assolutamente contrario al piano del lasciagli fare la prima mossa che avevamo concordato, ma insomma, lui ti ha baciato per primo, ieri, di fronte a tutta la Casa, quindi suppongo che vada bene lo stesso.
Allison ha detto racconta, ma tecnicamente è lei che sta parlando ora, non che la cosa mi dispiaccia: non ho la minima idea di cosa passi per la testa di James e non so nemmeno se ci sia qualcosa da raccontare, oltre al fatto che se le nostre labbra continueranno ad incontrarsi così, il mio cervello esploderà e finirà per macchiare la tappezzeria che ricopre le pareti della Sala Comune.
- Ha risposto al bacio o è rimasto immobile? Certo, era un bacio a stampo e conoscendoti ti sarai staccata subito, ma si è sporto un po’ verso di te almeno? Ha spinto le labbra contro le tue?
C’è una ragazzina del secondo anno, su una poltroncina non molto distante da noi, che guarda Allison con gli occhi sgranati e l’aria vagamente rapita e quando la vedo voltarsi all’improvviso verso le scale dei dormitori maschili, perplessa, automaticamente la imito. Allison pare essersi accorta che non le sto prestando particolare attenzione e sta sbuffando infastidita ora, ma i miei occhi continuano ad essere puntati altrove. Non so se posso considerare James Potter il mio ragazzo, probabilmente no, ma se per assurdo lui lo fosse davvero, allora Lily Evans sarebbe appena uscita in tutta fretta dalla camera del mio ragazzo.
 
*

 
Sto per entrare senza permesso nell’aula di Pozioni e saccheggiare la credenza di Lumacorno e questo probabilmente non è qualcosa che un Prefetto dovrebbe fare. Ed è questo che succede a dare retta a James Potter, Lily, finisci nei sotterranei ad infrangere le regole.
- Sei un po’ troppo lontana dalla tua torre, Grifondoro, non credi?
La porta dell’aula è a solo due corridoi di distanza da me, quando una voce gelida e beffarda mi fa bloccare. Le lezioni pomeridiane sono finite da un pezzo e gli unici ad aggirarsi per i sotterranei, oltre agli idioti come me che si sono lasciati coinvolgere in affari che non li riguardano, sono i Serpeverde. Avery avanza lentamente, lo sguardo di un gatto che punta la preda, ed improvvisamente realizzo di non essere così sveglia come ho sempre pensato, perché una persona intelligente avrebbe tirato fuori la bacchetta dalla borsa abbandonata sette piani più sopra, nella stanza dei Malandrini, e se la sarebbe infilata in tasca prima di avventurarsi nei sotterranei, che sono notoriamente territorio ostile a noi Grifondoro.
E quindi eccoci qui.
Io, Avery, i sotterranei deserti e niente bacchetta.
Con tutta probabilità quello che seguirà entrerà nella top ten dei peggiori quarti d’ora della mia vita.
- Sai, hai ragione, - replico spedita, incrociando le braccia al petto e sostenendo decisa il suo sguardo. – Credo che toglierò subito il disturbo.
Voglio dire, non posso rubare nulla dalla dispensa di Lumacorno se c’è un Serpeverde a fissarmi, no? Ed entrare nell’aula, con Avery che potrebbe seguirmi e chiudersi dentro con me, è l’idea meno allettante del secolo ed in fondo devo essere viva e vegeta per finire la pozione Solvente. Ed entrare lì dentro con la possibilità che Avery faccia lo stesso non è il miglior modo per assicurarsi di restare viva e vegeta. La ritirata è la scelta migliore, poi mi farò dare da Potter il suo stupido mantello dell’invisibilità e potrò portare a termine la mia missione. Sono sicura che Black riuscirà a distrarre Lupin per un altro po’, lui è così bravo ad attirare l’attenzione su di sé e distogliere la gente dai suoi pensieri grazie alla sua idiozia. Quindi, la ritirata è la scelta migliore, è lampante. Il problema è che Avery se ne sta proprio nel mezzo del corridoio da cui sono venuta, tra me e la via di fuga, il che non è un bene. E avvicinarmi ad Avery non sembra una buona idea, dato che il fine ultimo è proprio quello di allontanarmi da lui.
- Che aspetti, Evans? – Avery si scosta con l’accenno di un ghigno, portandosi vicino al muro e mostrandomi la strada libera con un braccio. - Prego.  
È così palesemente una trappola ed io ci sto così totalmente cascando, penso mentre mi avvio a passo spedito verso di lui, tenendomi il più vicina possibile alla parete. Ma a volte non ci sono alternative possibili al cadere in trappola e questa è una di quelle volte.
Il braccio di Avery mi sbarra improvvisamente la strada ed io mi fermo di scatto, sentendo davvero tanto la mancanza della mia bacchetta. Il palmo posato sul muro di fronte ai miei occhi  è grande quasi quanto la mia testa e non perché io abbia una testa piccola, ben inteso. Quando lui parla e sento il suo respiro contro il mio collo, mi ritrovo a riflettere sulle possibilità che Potter si accorga che ci sto mettendo troppo e venga a controllare che succede, ma la realtà è che tutte le sue limitate funzioni cerebrali al momento saranno concentrate sul continuare a mescolare la pozione, perché sa che se smette di farlo, allora probabilmente Lupin leggerà la scritta e lui non vuole questo, perché a quanto pare Potter, oltre ad essere l’essere più egocentrico, esibizionista, irritante, infantile e presuntuoso di Hogwarts, è anche un buon amico. E quindi Avery mi ucciderà per colpa dell’unico pregio di James Potter ed ora lo odio persino più di prima, se possibile.
- Non fai più tanto la sbruffoncella, quando non ci sono i tuoi amichetti a difenderti, eh, sanguesporco? – Sento il fiato del Serpeverde proprio dietro il mio orecchio ed automaticamente mi irrigidisco, continuando a guardare dritto di fronte a me, verso la fine del corridoio.  – Perché non mi ripeti ora quello che hai detto stamattina a lezione?
Mi chiedo se Avery si riferisca a Potter, con amichetti, o a Lumacorno e non so davvero decidere quale delle due ipotesi mi indigni di più. E poi c’è quel sanguesporco, sputato fuori con superiorità e disprezzo, che mi spinge a voltarmi verso di lui e incrociare i suoi occhi, a pochi centimetri dai miei.
- Analizziamo la situazione, Avery, - inizio decisa e vagamente accomodante, una vena vibrante di rabbia appena percepibile nella mia voce. Lui continua a stare chino su di me, gli occhi ridotti a fessure. – La natura ti ha dotato di un corpo molto più grande e forte del mio, ma non di un cervello, cosa che io invece ho. Quindi sarò gentile e ti aiuterò a riempire il vuoto che c’è all’interno della tua scatola cranica: non c’è nessuno qui a parte noi ed io non ho la bacchetta e questo a quanto pare ti dà la sensazione di essere onnipotente. In realtà sei solo molto stupido, perché a meno che tu non abbia intenzione di uccidermi e marcire ad Azkaban, allora prima o poi qualunque cosa tu troveresti divertente farmi finirà e ad un certo punto io mi riapproprierò della mia bacchetta. E poi ti verrò a cercare, ti caverò gli occhi dalle orbite e mi ci affaccerò per contemplare il vuoto cosmico.
Un sorrisetto mi si dipinge sulle labbra, perché so che questo farà infuriare Avery più di quanto già non lo sia e vedere la sua faccia che arrossisce d’ira e si contorce in espressioni rabbiose è in qualche modo appagante. Probabilmente non particolarmente positivo per me, ma comunque soddisfacente.
Ma Avery si limita ad estrarre lentamente la bacchetta, impassibile.
- Anche la tua amica era sicura che non le avrei fatto nulla, Evans, - Sento le unghie premermi dolorosamente contro i palmi delle mani, tanto le sto stringendo forte, mentre i miei occhi non si staccano da quelli quasi neri del Serpeverde. - Continuava a dire che sarei stato espulso, che era magia oscura, che non potevo. E lo sappiamo entrambi com’è finita.
La parola di Mary contro quella di Avery e lei che non ha avuto il coraggio di mettere piede fuori dall’Infermeria per settimane. Mary che trema ancora ogni volta che Avery è nelle vicinanze e non si spoglia mai di fronte a me e Alice per non mostrarci le cicatrici sottili che le percorrono la pelle lattea della schiena, ecco com’è finita.
- Sei patetico, – sibilo, mentre la punta della sua bacchetta mi sfiora il collo. Poi le dita di Avery sono sul mio petto ed io rifletto su quale eleggere a mia prossima mossa, dargli un calcio nelle parti basse e poi correre, oppure provare a strappargli la bacchetta di mano con uno scatto. Intanto lui ha strappato la spilla dal mio petto e se la rigira tra le dita per qualche secondo, prima di gettarsela alle spalle.
- Ho sempre pensato che i sanguesporco come te non dovrebbero essere nominati Prefetti, – commenta e la bacchetta premuta sempre più forte contro la pelle della mia gola è l’unica cosa a trattenermi dal procedere con la mossa alla babbana.
- Io ho sempre pensato che i deficienti come te non dovrebbero venire al mondo, che ci vuoi fare, – replico immediatamente e quando le sue labbra si contorcono in preda all’ira ed iniziano a pronunciare un incantesimo sconosciuto, mi dico che ne è valsa la pena.
Poi Avery si interrompe, la bacchetta ancora puntata su di me, e il suo sguardo si abbassa confuso: sui pantaloni della sua divisa si è improvvisamente aperto uno strappo all’altezza della vita ed ora sono arrotolati attorno alle caviglie, lasciando in bella vista le gambe pallide e muscolose che spuntano dai boxer.
- Per l’amor di Godric, Avery, copriti, - commenta una voce sarcastica alle sue spalle ed è la prima volta in vita mia che sono felice di sentirla. -  Se volessi vomitare, mi ficcherei direttamente due dita in gola.
Il Serpeverde non pare altrettanto felice ed emette un ringhio feroce, voltandosi e chinandosi a raccogliere i pantaloni, lasciandomi libera la visuale. Sirius Black se ne sta di fronte a me con la bacchetta stretta in mano, i capelli che gli ricadono a ciocche scure sulla fronte e un’aria ostentatamente annoiata.
- Black.
Avery ringhia e dalla punta della sua bacchetta escono scintille nere e violacee, mentre sposta la traiettoria sul ragazzo.
- Sì, sì, so come mi chiamo, grazie, - Black rotea gli occhi al cielo, avanzando apparentemente tranquillo verso di noi. - Ora gentilmente prendi il tuo brutto muso e sparisci, io ed Evans abbiamo da fare, non possiamo giocare con te. 
- Cosa devi fare, Black? Sistemare la cameretta? - Avery ghigna, mentre io aggrotto la fronte, nello stesso momento in cui Black assottiglia gli occhi. È stato lui quindi. A parte la scritta, che era così palesemente la calligrafia di Severus, come se il fatto che fosse tracciata con una pozione Indelebile non fosse già una firma sufficiente. – Stavamo aspettando voi a dire il vero, non Evans. Dove hai lasciato, Potter? Senza quel vostro mantello dell’invisibilità non ha il coraggio di scendere qua sotto?
Black spalanca gli occhi, perché evidentemente sia lui che Potter sono stati troppo impegnati a preoccuparsi della scritta per accorgersi della sparizione del mantello. Avery sembra piacevolmente sorpreso dall’aver preso Black alla sprovvista e a questo punto sono quasi sicura che la scritta sia stata tutta opera di Severus, aggiunta solo alla fine, una volta rimasto solo.
- Che c’è, pensavate che vi avessimo semplicemente messo in disordine la stanza? Dopo che ci avete ricoperto di Caccabombe? Mi stupite, Black, se io avessi un mantello così, lo terrei d’occhio meglio, – Avery scoppia in una mezza risata che riecheggia per i sotterranei, prima di voltarsi verso un punto alla sua sinistra ed alzare la voce. – Non ho ragione, ragazzi?
- Oh sì, questo mantello è grandioso.
Sentendo una voce rispondere ad Avery, sussulto istintivamente e avverto Black irrigidirsi al mio fianco, mentre Walden MacNair ed Evan Rosier compaiono all’improvviso a pochi metri da noi, sfilandosi il mantello argenteo di Potter di dosso. La mano di Black si stringe così forte attorno alla bacchetta da fargli sbiancare le nocche, gli occhi grigi puntati sulla stoffa argentea tra le dita di Rosier: immagino che questo sia un bell’affronto per i Malandrini. Io continuo a non avere una bacchetta e siamo ancora in netta minoranza, ma Black fa un passo in avanti e sembra abbastanza incazzato da mettere al tappeto tre Serpeverde contemporaneamente.
Poi Antonin Dolohov spunta dall’angolo in fondo al corridoio, la bacchetta già sguainata, e non è da solo. E a quanto pare sono appena finita nell’imboscata che mezza Casa di Serpeverde ha preparato per i Malandrini e questo, questo è quello che succede a dare retta a James Potter.

 
*

Quanto sono bravo.
Evans se n’è andata da un sacco di tempo e la pozione non è ancora esplosa. Sento una sensazione di onnipotenza risalirmi lentamente le dita e spargersi per tutto il corpo; credo che alla prossima lezione Lumacorno si accorgerà del mio cambiamento e sarà costretto a tramutare tutti i miei voti in Eccezionale: James Potter ha infine appreso anche l’arte del non far esplodere le pozioni, signore e signori.
Certo, è comunque una noia mortale.
Questa pozione è piattissima e non emette nessuno sbuffo o rumore divertente, come invece fanno sempre le mie, prima di gorgogliare, strabordare e corrodere il calderone o altre amenità simili. Questa pozione non fa nulla di interessante ed io ormai ho un bisogno quasi fisico di alzarmi e correre lontano da qui, all’aria aperta, dove ci sono persone con cui parlare e oggetti da lanciare, ma sono bloccato in questo bagno, la mia vita indissolubilmente legata a questo calderone noiosissimo tramite il mestolo di legno. Evans dice tanto a me, ma anche lei a quanto pare non è poi così brava a riconoscere i semi di Formicaleone o non ci metterebbe una vita a trovarli. La verità è che mi sto annoiando così tanto e sono così concentrato a continuare a mescolare sempre nello stesso identico modo la pozione, che ho perso la cognizione del tempo: mi sembra di essere qui a mescolare da mesi. Il non sapere quanto tempo ancora dovrò stare qui a terra a respirare gli effluvi della pozione è terribilmente frustrante, così mentre con una mano continuo a mescolare, con l’altra estraggo da una tasca lo specchietto e chiamo Sirius. Una volta, due volte, tre volte, quattro volte. Ma niente, continua a non rispondere e questo è bizzarro, perché Sirius risponde sempre e non vedo perché non dovrebbe farlo ora, quando in teoria è ad annoiarsi insieme al ritratto della Signora Grassa. So che Evans disapproverebbe, ma il mio braccio è indolenzito e Sirius non risponde, quindi non è come se avessi altra scelta. Dieci secondi e torno, la pozione non esploderà per questo, ormai si è creato un rapporto di fiducia tra di noi. Continuando a mescolare, mi alzo lentamente, per poi mollare il mestolo di scatto e correre in camera; evito i mucchi di roba sparsi a terra e raggiungo il letto con l’agilità che mi contraddistingue, poi sollevo leggermente il materasso e ci infilo sotto una mano, a tastare la rete. Pochi secondi dopo sono di nuovo seduto accanto al calderone in bagno, una mano intenta a mescolare e l’altra che spiega la Mappa del Malandrino di fronte a me.
Come prima cosa controllo l’entrata della Sala Comune ed in effetti Sirius non è più lì. Un classico. I miei occhi si spostano quindi sulle cucine, localizzando in fretta i puntini di Peter e Remus. E bravo Peter, a quanto pare sta riuscendo a prendere tempo; spero solo che non imploda per il troppo cibo ingerito. C’è ancora la possibilità che Sirius ed Evans siano stati risucchiati in un vortice spazio-temporale però, così continuo a perlustrare la mappa velocemente: a questo punto Evans dovrebbe essere sulla via del ritorno, così inizio a percorrere con lo sguardo la strada dalla Sala Comune fino all’aula di Pozioni, senza trovarne traccia. Poi arrivo nei sotterranei e i miei occhi incontrano i puntini di Evans e Sirius, l’uno accanto all’altro, circondati da altri nomi. Nomi di Serpeverde. Troppi nomi di Serpeverde.
Le mie dita si stringono immediatamente attorno alla bacchetta ed io scatto in piedi, lasciando la mappa aperta sul pavimento ed iniziando a correre.
 
*
 

Frank, amore, vai a controllare che fine ha fatto Lily, per favore?
Ma certo, Alice, Frank amore si fa subito quattro piani di scale per andare a controllare che fine ha fatto Lily, perché Frank amore non può proprio continuare a vivere e a scrivere il suo tema di Incantesimi senza sapere che fine ha fatto Lily. Frank amore non ci dorme stanotte se non va subito a scoprire perché Lily non si è presentata all’appuntamento in Biblioteca.
A detta delle poche persone presenti in Sala Comune, Lily è uscita correndo diversi minuti fa, diretta verso destinazione ignota. Questo renderà la mia ricerca più lunga e complicata del necessario, quando tutto quello che chiedo è poter tornare in Biblioteca in modo da finire i miei compiti prima di sera, senza perdere la concentrazione; ho in mente una frase perfetta per concludere il mio tema e devo continuare a ripetermela per paura di dimenticarla. Come se non bastasse, c’è una ragazzina del primo anno che continua ad insistere di aver visto il Prefetto di Grifondoro scendere dalle scale dei dormitori maschili, il che è assurdo ovviamente. È così assurdo che potrebbe essere vero, così inizio a salirle, pronto a bussare in tutte le porte e a chiedere informazioni, ma non arrivo nemmeno al terzo scalino che James Potter, che chissà dove deve andare così di corsa, mi piomba addosso ed ora Frank amore è a terra dolorante. James non sembra eccessivamente turbato dallo scontro ed in una frazione di secondo è di nuovo in piedi, pronto a riprendere la sua corsa. Ma se la ragazzina dice che Lily stava correndo ed ora anche James sta correndo, allora forse le due cose sono collegate, così lo afferro per un polso prima che possa sgusciare via, approfittandone anche per ritirarmi su.
- Capitano, sai che fine ha fatto Lily?
James incrocia il mio sguardo per una frazione di secondo, prima di rispondere un’unica parola, liberarsi dalla mia presa e ricominciare a correre. Ha già raggiunto il buco del ritratto, quando parto di scatto anch’io, cercando di tenergli dietro. Ho la sensazione che non riuscirò a finire il mio tema tanto presto, perché tra tutte le risposte possibili, Serpeverde è l’ultima che volevo sentire, specie se accompagnata da quel tono agitato.

 
*

 
Ho deciso di non contare i Serpeverde, perché sono troppi e credo che sarebbe masochista e scoraggiante dare un numero preciso alla loro superiorità. Quello che ho deciso di fare, d’altro canto, è stato schiantare Rosier, prima che chiunque avesse il tempo di aggiungere altro ed ora i Serpeverde sono uno in meno di prima, il che è positivo. Anche il fatto che le dita di Rosier abbiano lasciato la presa sul mantello, aprendosi inermi verso il soffitto, è piuttosto piacevole. Quello che è meno positivo, invece, è che ora i Serpeverde, che continuano ad essere troppi, si stanno lanciando contro di me tutti insieme ed io mi ritrovo ad alternare incantesimi di difesa e di attacco ad una velocità eccessiva per continuare a capirci qualcosa ancora a lungo. La nota positiva è che Evans non se n’è stata immobile a fissare la scena, ma è sgusciata verso il corpo svenuto di Rosier per sfilargli la bacchetta ed ora siamo due contro, beh, più di due. La nota negativa è il taglio che uno di questi bastardi mi ha appena aperto lungo tutto l’avambraccio e che fa un male cane, ma potrebbe andare peggio: ho ancora entrambe le braccia e questo non è così scontato quando sei un Grifondoro circondato da più Serpeverde che quadri.
Il getto di luce rossa uscito dalla bacchetta di MacNair mi colpisce quasi in faccia e riesco a spostarmi per un pelo, prima di mandarlo gambe all’aria con un Impedimenta. Con la coda dell’occhio vedo Selwin puntarmi la bacchetta contro e dopo pochi secondi viene colpito contemporaneamente dal mio Pietrificus Totalus e dallo Schiantesimo di Evans, il che è spettacolare e piacevole da vedere, perché vola per aria rigidissimo, prima di atterrare sulla schiena; ma colpire lo stesso avversario mentre si è in minoranza non è esattamente un colpo di fortuna e non appena il getto di luce parte dalle mie mani, un altro mi colpisce di striscio, facendo volare la mia bacchetta proprio tra le dita di Avery.
E per oggi ne ho avuto abbastanza di vedere le mie cose tra le mani dei Serpeverde.
Se solo il Ministero non la facesse tanto lunga con la storia del registro degli Animagi riconosciuti legalmente, come se fosse chissà quale reato non esservi iscritti, allora potrei semplicemente dare retta al mio istinto e trasformarmi, per poi partire a quattro zampe verso Avery e affondare i denti nelle sue palle, dando finalmente un senso a questa giornata.
Sto ancora cercando di convincermi che trasformarmi di fronte ad un Prefetto e a due Serpeverde non è una buona idea, quando una fattura di Evans fa finire Avery contro il muro, ma nello stesso momento l’Expelliarmus di Nott la colpisce in pieno ed ora siamo nella merda. Mentre Avery si rialza a fatica e inizia a camminarci lentamente attorno, asciugandosi un rivolo di sangue dal naso e tenendoci sotto tiro, io mi concedo una veloce occhiata ai Serpeverde svenuti attorno a noi. Non male: tecnicamente siamo riusciti a riportare la situazione alla parità, dato che in piedi ne sono rimasti solo due. Certo, se lo avessimo fatto riuscendo a tenerci le bacchette sarebbe stato meglio.   
- Che dici, Black? – Mentre Nott tiene sotto tiro Evans, Avery mi si avvicina, puntandomi la bacchetta in mezzo alla fronte, le labbra piegate in una smorfia feroce. – Ora ce l’hai il tempo di giocare con me?
Nello stesso momento, un rivolo di sangue caldo inizia a colarmi su un sopracciglio e poi più in giù, costringendomi a socchiudere l’occhio. 
- Oh, non saprei, Avery, sei sicuro di farcela? - commento beffardo, ignorando il bruciore della pelle a contatto con la sua bacchetta. – Due contro due, non sarà troppo rischioso? In quanti eravate, sette? Lo prendo come un complimento.
- Guardalo, Theodore, si sente così sicuro di sé il traditore, - ghigna derisorio Avery, prima di abbassare la bacchetta contro il mio petto, gli occhi gelidi fissi nei miei. -  Vediamo se con questo ti passa la voglia di fare lo spiritoso.
Non so cosa intenda Avery con questo, perché nell’esatto momento in cui schiude le labbra per pronunciare chissà quale incantesimo, nulla di eccessivamente piacevole suppongo, lo vedo spalancare improvvisamente gli occhi, mentre viene sollevato da terra per qualche secondo. Poi vola a tutta velocità contro il muro alla nostra sinistra e ci si schianta contro con un rumore secco piuttosto gradevole; quello deve aver fatto male.
- Allora, Black? Passata la voglia di fare lo spiritoso? 
James, la bacchetta ancora stretta tra le dita, mi si piazza di fronte a braccia incrociate, lanciandomi un’occhiata a metà tra il divertito e il preoccupato.
- Veramente no, soprattutto ora che ho i tuoi capelli davanti.
 
*

 
Quando io e James arriviamo nei sotterranei, lo spettacolo che ci si presenta di fronte fa bloccare per un secondo ad entrambi il fiato in gola: ci sono alcuni Serpeverde a terra, incoscienti, e uno dei due ancora in piedi pare proprio sul punto di lanciare una maledizione a Sirius. Non ho davvero bisogno di vedere l’espressione di James per sapere che Avery non resterà in piedi ancora a lungo.
La bacchetta di Nott vola nelle mie mani nell’esatto momento in cui Avery vola attraverso il corridoio, prima di sbattere contro il muro e cadere a terra con un tonfo. Terribilmente prevedibile.
Ci sono diverse regole da ricordare per non avere problemi con James Potter: non toccare la sua scopa, tanto per cominciare. Un'altra cosa che è bene tenere a mente è che chiunque tu sia, qualsiasi cosa stia accadendo, per nessun motivo al mondo devi interferire con gli allenamenti di Quidditch della squadra di Grifondoro.  Non sederti vicino a lui durante le lezioni di Pozioni, anche. E la lista è ancora lunga, oserei dire infinita: in effetti, il solo fatto di conoscere James Potter è già di per sé un problema, come dimostra il mio essere finito in mezzo a un duello all’ultimo sangue tra Grifondoro e Serpeverde solo perché lui mi ha investito mentre salivo le scale.  Ma c’è una regola che sta sopra a tutte le altre: non si tocca Sirius Black davanti a James Potter.
 
*

 
- Ti avevo detto di continuare a mescolare, Potter.
Nott ha saggiamente battuto in ritirata verso la sua Sala Comune, Sirius sta disegnando cose sulle facce dei Serpeverde svenuti sotto lo sguardo accigliato di Frank, che ripete tra sé e sé nozioni e frasi bizzarre che potrebbero far parte di un tema di Erbologia, ed Evans mi fissa a braccia incrociate, come se non avessi appena salvato il destino dell’intero mondo magico. Beh, di lei e Sirius comunque.
- Prego, Evans, e no, davvero, basta così, non c’è bisogno di ringraziarmi, un’occhiata al tuo tema di Storia della Magia per la prossima settimana sarà una ricompensa più che sufficiente, - commento spedito, prima di ricordarmi che a questo punto Peter starà letteralmente rotolando sul pavimento delle cucine e Remus starà iniziando ad insospettirsi. – Comunque sia, hai preso i semi?  
- No, ero impegnata a finire nella trappola preparata dai Serpeverde per voi, - sbuffa lei, accennando con la testa al corpo privo di sensi di Rosier, a pochi passi da noi. Lo scruto perplesso per qualche secondo, prima di notare, abbandonata proprio accanto al suo braccio, una cascata di stoffa argentea, che non dovrebbe proprio essere qui. Subito scatto in avanti e mi riapproprio del mio mantello, stringendolo al petto scandalizzato: un Serpeverde ci ha messo sopra le sue manacce e questo è inammissibile; dovrei legare Rosier ed abbandonarlo nel punto più sperduto dei sotterranei, dove il suo cadavere verrà ritrovato solo tra un milione di anni, quando Gazza si deciderà finalmente a dare una spazzata qua sotto. Dovrei davvero, perché i Serpeverde sono andati decisamente oltre e la loro punizione richiede tempo ed inventiva, oltre che un sacco di rossetto. Ma la situazione richiede anche e soprattutto dei semi di Formicaleone, così mi affretto a seguire Evans nell’aula di Pozioni.
- Formicaleone, Potter, vedi? – Evans, riemergendo dalla credenza di Lumacorno, porge verso di me una manciata di semi perfettamente identici a quelli che avevo preso io e probabilmente si è inventata tutto solo per poter passare più tempo insieme a me. – Non somigliano affatto ai Fagioli Sopoforosi, non so come tu sia riuscito a...
- Che ci fa lei qui, Potter? – Evans si zittisce improvvisamente, mentre io mi irrigidisco al suo fianco, voltandomi lentamente verso la direzione da cui ci ha raggiunti una voce gelida e strascicata. - Non sei nemmeno in grado di sistemare da solo i tuoi casini? 
Severus Piton mi fissa beffardo dal fondo dell’aula, una maschera di impassibile freddezza tradita dalle labbra sottili premute l’una contro l’altra così forte da farle sbiancare: vedere Evans che aiuta me lo manda fuori di testa, ci scommetto.
- Potter, muoviamoci.
La voce glaciale di Evans mi arriva distintamente alle orecchie ed una parte di me conviene con lei che ignorare Piton e andare a finire la pozione è assolutamente quello che è di primaria importanza fare ora, ma quella parte di me non sono le gambe: quelle, d’altro canto, mi stanno portando sempre più vicino al Serpeverde, senza un reale contributo da parte mia. I suoi occhi neri come il petrolio si soffermano sulle mie mani strette a pungo per qualche secondo, prima di piantarsi dritti nei miei.
- Che c’è, Potter? – sibila, l’accenno di un sorrisetto trionfante a piegargli le labbra sottili. - A Lupin non è piaciuta la nuova decorazione?
Evans mi chiama di nuovo, perentoria, ma Piton non stacca gli occhi dal mio viso, bevendosi ogni minima contrazione di rabbia, le dita pallide tese accanto alla tasca esterna del mantello, pronte a stringersi sulla bacchetta. E non è il fatto che esiste, non è mai stato solo quello, è che non è stupido, è maledettamente furbo e scaltro in realtà e sa esattamente dove colpire per fare male. E sa che l’unico modo per arrivare a me è toccare i Malandrini. Quello che non sa, d’altro canto, è che è inutile che se ne stia pronto a tirare fuori la bacchetta nel momento in cui io dovessi estrarre la mia, perché la mia mano sinistra, stretta a pungo, è scattata dritta verso la sua smorfia saccente senza nemmeno sfiorare la tasca del mantello in cui tengo la bacchetta. Sento l’osso duro del mento e le labbra contro le mie nocche e il rumore del banco alle sue spalle che striscia contro il pavimento, mentre lui ci finisce contro ed io gli sono sopra in un attimo. I suoi occhi neri sono spalancati e mandano lampi furiosi, ma io avverto a malapena le sue unghie graffiarmi una guancia, lo sguardo puntato sul labbro spaccato sotto di me e il rivolo caldo del sangue che mi cola tra le nocche, mentre carico il secondo pugno. Evans ha iniziato a gridare il mio nome e la sua voce copre lo scrocchio del naso di Piton contro la mia mano, ma lo schizzo di sangue che ne esce è appena più chiaro della pozione che ha usato per tracciare la scritta ed io non riesco proprio a fermarmi. Sento lo zigomo duro contro le mie dita per l’ultima volta, poi delle braccia che mi afferrano da dietro e la voce di Sirius appena dietro il mio orecchio e il suo petto contro la mia schiena, mentre mi trascina lontano dal Serpeverde. E Piton è comunque tutto quello che riesco a sentire e vedere per qualche secondo ed il mondo si riduce all’odio che provo per lui, alla voglia annientante di continuare a fargli male. Poi la mia schiena sbatte contro il muro di pietra dell’aula, gelido oltre la camicia sottile della divisa, e Sirius è davanti a me, le mani contro le mie spalle e il mio nome sulle labbra.
- Là fuori non sarà così, Potter, – Piton, una mano a coprirgli il volto sanguinante, arranca malfermo verso la porta, scoccandomi un’ultima occhiata rabbiosa. Gli occhi grigi di Sirius, di fronte a me, sono spalancati, come se stesse cercando di inglobare i miei e ricoprire il mio intero campo visivo, tagliandone fuori Piton, ed io mi concentro su di lui fino a quando la porta dell’aula non sbatte alle spalle del Serpeverde. A quel punto le mani di Sirius scivolano via ed io prendo un respiro profondo, cercando di calmarmi. Come l’adrenalina inizia a calare, la mia mano sinistra decide di informarmi che non ha gradito affatto lo scontro con la faccia di Piton ed io piego lentamente le dita, giusto per assicurarmi che funzionino ancora. Trattengo a stento una smorfia di dolore, prima di alzare lo sguardo ed incrociare quello verde di Evans, molto meno omicida di quanto mi aspettassi.
 
*

 
- Sei mancino, Potter?
Black e Potter sembrano entrambi alquanto perplessi e suppongo che questo non sia quello che ci si aspetterebbe che dicesse un Prefetto dopo aver assistito ad un pestaggio in piena regola. Soprattutto quando il pestato era il migliore amico del suddetto Prefetto. Ma Severus ha sputato quel là fuori con così tanta rabbia ed odio e soprattutto desiderio da farmi rabbrividire. Perché quello che c’è là fuori è la guerra, sono i Mangiamorte che uccidono innocenti per le loro assurde convinzioni di superiorità. Là fuori, da qualche parte, ci sono anche quelli che hanno ucciso i miei genitori e Severus lo sa. Lo sa, ma non mi ha nemmeno guardata, perché il fatto che questa guerra appena agli inizi mi ha lasciata orfana è meno importante per lui del suo bisogno di rivalsa su Potter. E la verità è che è un dannato peccato che Black lo abbia fermato.
- No, Evans, ma la destra è la mano con cui prendo il boccino e ci sono delle priorità da rispettare.
Potter mi parla come se io fossi un po’ tarda e lui stesse esponendo una verità universale piuttosto scontata, quando sono abbastanza sicura che non ci sia nulla di ovvio nel riuscire a mantenere abbastanza lucidità da pensare al Quidditch anche nella totale assenza di lucidità. Perché sì, forse per la prima volta in sei anni, ho visto James Potter perdere totalmente il controllo e dimenticare di mostrarsi troppo al di sopra del resto del mondo per essere toccato da qualsiasi cosa: è stato quasi come vedere un estraneo, perché senza quell’accenno perenne di ironia a piegargli l’angolo delle labbra, il viso di Potter non sembra per niente il viso di Potter. E questo, in particolare oggi, non può che essere un bene, perché è da tutto il giorno che la sua faccia continua ad infilarsi nel mio campo visivo e questo è contrario al piano generale: passare i miei sette anni ad Hogwarts il più lontano possibile dai suoi sorrisetti odiosi e le sue battutine. Rispettare il piano è l’unico modo per sopravvivere e non morire soffocata dall’ego che si espande attorno a lui, schiacciando tutti e spezzando vite innocenti. Alice dice che a volte esagero quando parlo del piano, ma la verità è che cose orribili accadono a chi istituisce piani generali e poi non li segue.
Black, che evidentemente ha sofferto molto per aver dovuto indossare una maschera di serietà per quasi un minuto intero, fa il verso a Potter ed ora stanno bisticciando per non so quale idiozia, apparentemente tranquilli, come se niente fosse successo.
- Vi rendete conto che Lupin potrebbe tornare in camera da un momento all’altro, sì? – commento ad alta voce, estraendo velocemente dall’armadietto diversi contenitori: la pozione, grazie alla pessima combinazione di Serpeverde e fato avverso, è stata ferma per troppo tempo ed ora dovrò rifarla da capo; non che ci voglia molto, ma questo cospira contro il mio piano di levarmi Potter da sotto gli occhi il più presto possibile. – Ora prendete questi e muoviamoci. 
 
*

 
Evans ci precede impettita fuori dall’aula di Pozioni, dopo averci piazzato tra le braccia una piccola montagnola di ingredienti a testa. Oh, quindi bisogna rifare tutto? Meraviglioso. Stupide pozioni: non puoi lasciarle sole per dieci minuti che si sentono abbandonate e muoiono, ridicolo. Hanno la maturità di un bambino di due anni, ecco cosa.
- Chi ha deciso che comanda lei? – Sirius mi guarda perplesso, prima di seguire Evans lungo il corridoio, crucciato.
- La mia abilità in Pozioni lo ha deciso, Black.
- Tu non porti niente, Evans? – chiedo affannato, chinandomi a raccogliere una provetta che è scivolata dal mucchio e ha iniziato a rotolare lungo il pavimento di pietra. Nell’esatto momento in cui riesco ad afferrarla, tenendo malamente in equilibrio tutti gli altri ingredienti con un braccio solo, un altro piccolo contenitore cilindrico sfugge dalla pila.
- Io porto il peso del mio cervello, oltre che la responsabilità del successo o meno della missione.
Evans è molto convincente, ma le sue mani continuano a sembrarmi abbastanza vuote e probabilmente dovremmo rivedere la distribuzione dei compiti.
- E la responsabilità è pesante? – commento, riuscendo finalmente a recuperare tutto e affrettando il passo per raggiungere lei e Sirius, che sono già arrivati alle scale che portano al piano terra, lontano da questo luogo di morte e distruzione.
- Abbastanza, - replica Evans impassibile, mentre io mi rendo conto dello spiacevole contenuto del barattolo trasparente proprio in cima alla pila, all’altezza del mio viso. - Ma mai quanto la tua compagnia.
- Evans, c’è qualcosa che mi sta fissando. È normale?
- Sono gli occhi di Girolacco e non ti stanno fissando, Potter.  
- Sono sicuro che lo stiano facendo.
- È morto, le cose morte non fissano, - replica Evans seccata, aumentando ulteriormente il passo, come se il suo inconscio le stesse suggerendo di seminarci. - E non parlano nemmeno, prendi esempio.
Non vedo perché dovrei prendere esempio da qualcosa che è morto, quando se il Girolacco fosse stato così tanto furbo, allora forse sarebbe riuscito a tenersi gli occhi incollati alla testa, cosa in cui io invece eccello.
- Allora, Evans, questo sabato o il prossimo? – chiedo dopo qualche secondo di silenzio.
- Di che parli?
- La tua ricompensa per averci aiutato: un appuntamento ad Hogsmeade con me, - replico con un’alzata di spalle e subito la risata di Sirius riecheggia per il corridoio, coprendo lo sbuffo incredulo di Evans, che non si volta nemmeno, aumentando ulteriormente il passo. - Sembri aver bisogno di divertirti, soprattutto  dopo il disastroso appuntamento con Philips.
- Quando vorrò essere internata al San Mungo, Potter, te lo farò sapere: il modo più veloce sarà senz’altro passare un’intera giornata in giro con te, - risponde lei impassibile, prima di aggiungere con una punta di stizza: - E l’appuntamento con Dean non è stato affatto disastroso.
- Ti ha portato da Madama Piediburro. È stato disastroso, - ribatto deciso, perché Dean Philips è sicuramente la noia fatta a Corvonero e non ha idea di come intrattenere una ragazza. - La parte più emozionante della vostra uscita dev’essere stata quando hai incontrato me ad Accessori per il Quidditch.
- Non so perché tu ti sia erroneamente convinto che il mio appuntamento con Dean sia affar tuo, Potter, ma su una cosa devo darti ragione: vederti gattonare a terra terrorizzato da Mulciber è stato divertente.  
- Non ero terrorizzato, Evans. Ero appena un po’ teso.
- Sì, teso verso la via di fuga più vicina.
- Si chiama istinto di sopravvivenza, - puntualizzo accigliato. Non mi piace la piega che sta prendendo questa conversazione. - E per la cronaca...
- Godric, avete intenzione di prendere fiato di qui alla Sala Comune? Perché sto per gettarmi nel vuoto.
Sirius sposta eloquentemente lo sguardo da me ed Evans al corrimano della ringhiera accanto a lui, che lo separa da un volo di diversi piani con atterraggio nella Sala di Ingresso. Sembra un po’ seccato.  
- Se sporchi il pavimento di sangue, sarò costretta a toglierti dei punti, Black, ma ogni tua mossa suicida gode di tutto il mio appoggio, lo sai.
 
**********

 
 
 - Cos’è questa, Potter?
Sul pavimento del bagno, proprio accanto al calderone, c’è una grande pergamena ingiallita ricoperta di linee fittissime e piccole scritte in continuo movimento e sono abbastanza sicura che prima non ci fosse. Incuriosita, mi sporgo verso di essa, allungando una mano, ma in una frazione di secondo Potter ci si getta letteralmente sopra ed io faccio appena in tempo a ritirare il braccio, prima che venga schiacciato tra la sua ingombrante idiozia e il pavimento.  
- Fatto il misfatto, - Potter, mezzo steso al suolo, estrae velocemente la pergamena da sotto il suo corpo e ci punta contro la bacchetta, fulmineo. Non appena finisce di parlare, mi sembra di vedere l’inchiostro ritrarsi sempre di più, mentre Potter non perde tempo a ripiegare in tutta fretta la pergamena e a infilarsela in tasca. Poi, come se nulla fosse, si volta verso di me con l’espressione innocente meno credibile di sempre. - Niente, non è niente, Evans.
Vorrei far notare a Potter che sono qui con lui e che ero qui anche tre secondi fa, quando lui ha pronunciato distintamente fatto il misfatto, cosa che rende davvero poco credibile il suo niente. Quella pergamena è palesemente qualcosa e con tutta probabilità qualcosa su cui un Prefetto dovrebbe indagare, ma ci sono momenti in cui un Prefetto ha priorità più importanti che sondare ogni possibile effrazione del regolamento, priorità come smettere di essere nel bagno di James Potter insieme a James Potter.
- Va’ ad aiutare Black a mettere a posto la stanza, non mi servi qui.
 
*
 

Evans non sa di che cosa sta parlando: io servo sempre, a tutti, in qualunque luogo. Sono la personificazione stessa dell’utilità ed è oltraggioso che io sia appena stato sbattuto fuori dal mio stesso bagno, quando mi pare di aver dimostrato perfettamente di poter stare nella stessa stanza di una pozione Solvente senza farla esplodere.
Sirius non sta mettendo a posto la camera, per l’appunto.
Sta cercando, in modo piuttosto pietoso, di arrotolarsi una maglietta attorno al braccio a mo’ di benda, stringendo la stoffa tra i denti in maniera ridicola. Non ho davvero bisogno di vedere il piccolo boccino dorato ricamato in un angolo per sapere che è la mia fottuta maglia del Quidditch quella che lui ha intenzione di imbrattare di sangue, perché questo è quello che succede sempre ai miei vestiti in questa stanza: i miei amici se ne appropriano e li usano in modi sconvenienti tutto il tempo, ormai ci sono abituato. Con un sospiro lo raggiungo e metto la mia maglietta in salvo, perché non posso diventare il più bravo Cercatore al mondo con la bava del mio migliore amico sulla divisa. Poi gli afferro il polso e studio corrucciato il taglio che gli si apre sull’avambraccio, aggiustandomi gli occhiali sul naso.
- Stai sanguinando.
- Il tuo spirito d’osservazione mi commuove, Prongs.  
- Intendo che stai continuando a sanguinare. È buona norma smettere ad un certo punto. Remus deve avere del dittamo da qualche parte, - commento guardandomi attorno perplesso, prima di estrarre la bacchetta. – Accio dittamo.
Dal mucchio informe di oggetti sparsi sul pavimento nei pressi del letto di Remus si leva effettivamente una boccetta scura, solo che la vedo partire verso di me con un po’ troppa foga e faccio appena in tempo ad abbassarmi per evitare che mi si schianti proprio in faccia. Sirius, d’altro canto, ha i riflessi di una puffola pigmea morta, così mentre la boccetta mi cade finalmente tra le dita, lo vedo portarsi entrambe le mani alla fronte con un gemito.
- Quindi non va bene se il mio braccio sanguina, ma procurarmi una commozione cerebrale è ok?  
Sirius continua ad accusarmi di tentato omicidio per tutto il tempo in cui gli spalmo il dittamo sul taglio e lo avvolgo con bende trasfigurate che nessuno dovrà poi indossare alla prossima partita di Quidditch contro Tassorosso, mentre dalla fessura sotto la porta del bagno inizia ad espandersi uno strano fumo azzurrino e forse Evans sta dando fuoco al bagno o forse no. Mentre Sirius, che dopotutto non morirà dissanguato, inizia a frugare tra la roba a terra, nel tentativo di ripristinare il contenuto originale del suo baule, io lancio un incantesimo di Levitazione al pesante baldacchino di Peter, prima di farlo riatterrare dalla parte giusta. La priorità è che Remus non legga la scritta che deturpa il muro sopra al suo letto, certo, ma la verità è che se riuscissimo anche a evitare di fargli scoprire che i Serpeverde si sono vendicati non sarebbe male: le possibili rappresaglie sono uno dei motivi che Remus ci elenca sempre per distoglierci dai nostri scherzi ai Serpeverde e probabilmente prima che noi lo trascinassimo nell’assalto alla loro Sala Comune ci aveva avvertito che qualcosa di simile sarebbe successo. Non che Remus sia il tipo di persona che dice ve lo avevo detto, ma i suoi occhi, le sue sopracciglia, il suo naso e persino l’aria attorno a lui lo fanno.
- È pronta.
Evans esce dal bagno stringendo tra le mani un asciugamano sgocciolante, imbevuto nella pozione Solvente. Subito io e Sirius ci immobilizziamo, puntando gli occhi su di lei: se non funziona, allora dovremo ridipingere tutta la parete della stessa identica sfumatura di rosso della scritta, che sono sicuro essere proprio lo stesso colore del sangue di Piton. Poi Evans sfrega leggermente l’asciugamano contro il muro e le lettere scarlatte iniziano a sbiadire, facendomi trarre un sospiro di sollievo. 
- Funziona! – commento sorpreso, mentre Sirius si lascia andare ad uno strano ululato di trionfo, che suona molto come un richiamo d’accoppiamento canino a dire il vero ed è un bene che gli unici animali permessi ad Hogwarts siano gatti, rospi e gufi.
- Certo che funziona, Potter, - sbuffa Evans, continuando a strofinare con forza contro il muro e rendendo definitivamente illeggibile la scritta. – È quello che le pozioni fanno, funzionare, quando non le si fa esplodere prima.
Non è assolutamente vero ed Evans mente sapendo di mentire: in sei anni ho preparato così tante pozioni e non tutte sono esplose, ma nessuna ha mai funzionato in ogni caso. Quando sarò conosciuto in tutto il mondo magico per la mia carriera nel Quidditch e la mia opinione sarà influente a livello internazionale, convincerò il Ministro ad abolire le pozioni e sostituirle con incantesimi appositi, più veloci e meno esplosivi, per un mondo migliore in cui gli studenti non saranno costretti ad avere a che fare con cose viscide e occhi in scatola.
- Abbiamo detto questo sabato ad Hogsmeade per la ricompensa allora, sì?
- Potter, - Evans mi punta gli occhi addosso e non ha l’aria felice: forse preferisce sabato prossimo. - È così tanto al di là delle tue capacità limitarti a dire grazie come una persona normale?
- Certo che so dire grazie, Evans, non faccio altro che ringraziare le persone, tutto il tempo. Guarda: Sirius, - Il mio amico si volta verso di me con un sopracciglio inarcato. - Grazie.
- Quando vuoi.
- Vedi? Tutto il tempo.
- Ora me ne vado, - stabilisce Evans e non sembra particolarmente convinta dalla mia dimostrazione. - Se vuoi ricompensarmi dell’aiuto, cerca di non rivolgermi la parola per il resto dell’anno.
- Come vuoi, Evans, ma sabato sarà una noia passare tutto il giorno insieme in silenzio, – Sorrido sornione, mentre lei si dirige spedita verso l’uscita senza degnarmi di uno sguardo. - Ma sarà sempre più divertente dell’appuntamento con Philips! – aggiungo alzando la voce, mentre la porta della stanza si chiude alle sue spalle con un po’ troppa forza. - Madama Piediburro, ma per favore.
Nella stanza cala il silenzio ed io avverto improvvisamente lo sguardo di Sirius fisso su di me: se ne sta lì, le braccia conserte e un sopracciglio lievemente inarcato, circondato da un’aria beffarda del tutto fuori luogo.
- Che c’è?
- Niente, – replica vago con un’alzata di spalle, chinandosi a rovistare all’interno del suo baule con un sorrisetto enigmatico in volto. Oh, ma certo, guardiamo James con aria sospetta e poi liquidiamo il tutto con il niente meno credibile della storia, perché no: sono qui apposta.
Dannato bastardo.
 
**********

 
- Credo che prenderò un’altra fetta di torta, Moony, ti dispiace?
Siamo nelle cucine da più di un’ora e sono abbastanza sicuro che se Peter ingerirà altro cibo, sarà la sua pancia quella ad essere dispiaciuta. E di conseguenza, a lungo termine, anche io sarò dispiaciuto, dal momento che condivido il bagno con lui.
- Pete, - lo chiamo pacato, incrociando le braccia al petto e studiandolo assorto al di sopra del tavolino che ci separa. - Puoi smettere di mangiare, dico davvero.
Peter mi guarda perplesso, ma anche con un lieve barlume di speranza, perché, arrivato più o meno alla quarta fetta di torta, ha evidentemente smesso di trovare questa situazione confortevole.
- Se non possiamo salire in camera, resteremo qui, non importa, - sospiro, grattandomi per l’ennesima volta un polso: questa notte devo essere finito in una pianta d’ortica o qualcosa del genere. – Solo, James e Sirius ti hanno dato un limite di tempo in cui trattenermi? Perché se non te lo hanno dato, dovresti trovare il modo di comunicare con loro e scoprire se hanno finito di fare qualunque cosa susciterebbe la mia disapprovazione o passeremo qui il resto delle nostre vite.
Peter spalanca gli occhi, agitato e terribilmente colpevole.
- Non ti sto trattenendo, Moony, perché dici così? - nega immediatamente, guardandosi attorno alla ricerca d’ispirazione ed incontrando solo i grandi occhi a palla degli elfi domestici che ci circondano. – James e Sirius non stanno facendo nulla che tu non approveresti e noi possiamo salire in camera quando vogliamo: sono solo stato colpito da un attacco di fame, tutto qui.
- Peter, – Assottiglio lo sguardo ed inarco al tempo stesso un sopracciglio e questo basta per farlo crollare.
- D’accordo, ti sto distraendo, - sospira Peter rassegnato, allontanando da sé l’ennesima fetta di torta appena portatagli da uno degli elfi. – E no, non abbiamo concordato un tempo preciso. Era qualcosa come il più a lungo possibile.
Come temevo.
- D’accordo, - rifletto, appena un po’ preoccupato, chiedendomi cosa diavolo stiano combinando i miei amici: il giorno dopo la luna piena di solito se ne stanno tranquilli, per non stancare me e perché anche loro sono a corto di energie, avendo passato la notte a zonzo per il parco. - Qual è il territorio off-limits? Se ti prometto che non salirò in camera, possiamo almeno andare in Sala Comune?
Peter mi fissa incerto con i suoi occhietti liquidi, soppesando la mia affidabilità.
- Così tu puoi fare una corsa in stanza a vedere se hanno finito di fare qualunque cosa io non debba vedere, – continuo ragionevole, vedendo il mio amico sempre più allettato dall’offerta.
- Mi prometti che aspetterai di sotto? – Peter mi guarda esitante, mordicchiandosi un labbro: non vuole fallire il suo compito. – Niente scatti improvvisi verso i dormitori?
- Hai la mia parola, – confermo, alzandomi finalmente dalla sedia di cui le mie natiche hanno ormai preso la forma. – E non potrei fare scatti nemmeno volendo al momento, lo sai. 
Peter lo sa, perché è lui che è venuto a prendermi in Infermeria ed è da sei anni che lo fa e non è mai successo una singola volta che io mi mettessi a correre come se nulla fosse il giorno dopo il plenilunio, eppure continua a lanciarmi occhiate sospettose per tutto il tragitto dalle cucine alla torre di Grifondoro, come se si aspettasse di vedermi partire ai duecento all’ora da un momento all’altro. Quando il ritratto della Signora Grassa scorre di fronte a noi, per un attimo mi aspetto di trovarvi al di là caos e distruzione, ma dei miei amici nemmeno l’ombra e tutto sembra tranquillo. Tutto tranquillo a parte Evans, che d’altro canto se ne sta proprio di fronte a noi, colta evidentemente nell’atto di uscire dalla Sala e che mi fissa non solo stupita, ma palesemente agitata.
- Lupin, - esclama, gli occhi leggermente spalancati. Subito si schiarisce la gola, sistemandosi meglio la cinghia della tracolla sulla spalla, tentando di darsi un tono. – Lupin, ciao. Io sto andando a studiare in Biblioteca, dove mi aspettano i miei amici. Perché fino ad ora sono stata impegnata a non fare nulla, nella mia stanza. A non fare nulla e questo non è davvero un comportamento da Prefetto, converrai con me. Buona giornata.
Evans mi supera e si allontana spedita prima che io faccia anche solo in tempo a sbattere le palpebre, figuriamoci a risponderle. I miei amici non vogliono che io salga in dormitorio ed Evans si comporta in modo bizzarro: qui sta così palesemente succedendo qualcosa ed i miei compagni non hanno la minima idea di come si tenga un segreto; sono fortunati che sia io ad essere un licantropo perché tutti loro sarebbero stati scoperti nel giro di tre secondi dal resto della scuola. Peter mi spinge quasi di peso su un divanetto e mi passa anche un cuscino dorato, prima di lanciarmi un’ultima occhiata ammonitrice e sparire di corsa sulle scale dei dormitori maschili.   
- Lupin, - È la seconda persona nel giro di trenta secondi che pronuncia il mio nome come se fossi una qualche sorta di apparizione mistica, ma questa volta sono io a sobbalzare, perché non mi ero proprio accorto che fosse Lizzie quella seduta sul divanetto accanto a me. – Remus. Sei qui.
- Sono qui, - confermo pacato, anche se forse sarei dovuto restare nelle cucine, perché i Grifondoro oggi hanno tutti degli sguardi allucinati ed agitati che delle persone sane di mente non dovrebbero avere. – Ciao, Lizzie.
- Ciao, Remus Lupin, - ripete lei, senza staccarmi gli occhi di dosso. – Tutto bene? Sei uscito dall’Infermeria?
- Sì, sono qui, - confermo, cercando di non farmi trascinare nell’improvvisa incapacità di tutti di tenere una conversazione sensata. - Non sono più in Infermeria.    
- Questo è fantastico, perché ho così tanto bisogno di te ora, - replica Lizzie entusiasta, stringendo con entrambe le mani il cuscino sul mio grembo. Automaticamente mi ritiro contro il divanetto, lievemente in allerta. - E perché vuol dire che ora stai bene, certo. Soprattutto per quello, non sono una di quelle persone egocentriche che pensano solo a se stesse. Però ora ho davvero bisogno di esserlo, quindi mi puoi dare il permesso di essere egocentrica e non chiederti cosa ti è successo e perché sei così pallido? Voglio dire, posso chiedertelo, ma non ascolterei davvero la risposta, perché è da ieri che non so più pensare lucidamente. Non che io sia generalmente una campionessa di lucidità, certo.
- Hai il mio permesso, – dichiaro e se ogni mese tutti decidessero di non chiedermi cosa mi succede, la mia vita sarebbe migliore. – Che problema hai?
- Il mio problema, - inizia Lizzie e dal suo tono di voce capisco che ha in realtà diversi problemi al momento. – È che Lily Evans è appena uscita,
 per la seconda volta dalla tua camera, che è anche la camera di James, che è soprattutto la camera di James. Lo stesso James che ieri sera, mentre tu eri disperso, mi ha baciata di fronte a tutta la Sala Comune. 
- James ti ha baciata, – ripeto atono, decidendo di non soffermarmi su Evans che esce dalla nostra camera perché non è un’informazione che il mio cervello può elaborare senza andare in confusione.
- Sì, di fronte a tutti, – conferma Lizzie, quasi gridando, e la cosa evidentemente la sconvolge molto. Io non sono particolarmente sorpreso a dire il vero, perché James è fondamentalmente un idiota ed era ovvio che prima o poi sarebbe successo. – E non ho idea del perché, te ne rendi conto? Non me lo ha detto. Ed oggi non si è spostato quando io l’ho baciato a mia volta e questo cosa vuol dire? Tu lo sai?
Faccio per aprire bocca, ma Lizzie continua a parlare con una certa foga e le mie labbra sono costrette a richiudersi.
- E poi Alice Prewett mi ha chiesto se sono la sua ragazza. Di James, non di Alice, lei sta con Paciock, lo sanno tutti. E perché dovrebbero essere affari suoi poi? Ma a quanto pare lei ha il diritto di chiedere queste cose: è una sorta di informatrice ufficiale della scuola, tu lo sapevi? Hai mai parlato con lei della tua vita sentimentale? Lo trovi sensato? Oh, non importa. Il punto è: ti sembro la ragazza di James? Guarda la mia faccia, è cambiata dall’ultima volta che mi hai visto? Ti sembra la mia solita faccia oppure è la faccia di una che è appena diventata la ragazza di James?
Lizzie ha portato il volto a due centimetri dal mio, gli occhi spalancati ed interrogativi fissi nei miei. E i Grifondoro sono tutti pazzi, nel caso non lo avessi chiarito prima.
Il fatto è che vorrei avere un libro in questo momento, un enorme e dettagliato manuale dell’amicizia con tanto di esempi e casi eccezionali ed illustrazioni da consultare per almeno due ore prima di rispondere a Lizzie. Perché ho una non così vaga idea delle motivazioni che possono aver spinto James a baciarla e tutte hanno a che fare con il suo essere un idiota e nessuna di esse ha invece a che fare con l’essere seriamente preso da lei. È qualcosa che ha a che fare con il suo orgoglio e con la cosa,  il fatto innominabile, quello che non gli sfiora nemmeno la mente, quello che a dire il vero a volte si affaccia alla sua coscienza e pretende di essere riconosciuto e baciare Lizzie è un modo come un altro per zittirlo e ricacciarlo nell’oblio. E se James fosse un po’ più consapevole di quello che sta facendo, allora le cose sarebbero più facili anche per me, perché potrei limitarmi a dargli uno scapaccione e a ordinargli di dire lui stesso a Lizzie cosa succede. Ma James in realtà di quello che gli passa per la testa non ne sa molto di più della ragazza seduta affianco a me e questo complica le cose, perché anche senza il manuale dell’amicizia,  so di non dover essere io a dirgli di smettere di provare a tutti i costi a farsi piacere Lizzie. Lo so e basta, come lo sa Sirius, come lo sa persino Peter, perché un giorno James, Godric volendo, aprirà gli occhi, ma non possiamo essere noi a forzargli le palpebre.
- Credo che dovresti parlarne con James, – sospiro infine, ignorando la spiacevole sensazione che mi stringe lo stomaco nel vedere l’espressione delusa di Lizzie. – È il mio migliore amico, voglio dire, non posso, ecco. Non è il caso, no? Posso darti della cioccolata.
Estraggo dalla tasca del mantello la tavoletta che mi ha dato Madama Chips e gliela porgo, dandomi mentalmente dell’idiota, perché esistono dei momenti in cui la cioccolata non è la soluzione a tutto. Quando sono stato morso, i Medimagi continuavano a portarmi tavolette di cioccolata e per quasi due giorni ho pensato che fossero la cura per la licantropia, prima che mi spiegassero che per quella non c’era nulla che si potesse fare. Lizzie, comunque, ha afferrato la cioccolata, anche se la guarda un po’ corrucciata.
 - Grazie.
- Mi dispiace, - mormoro a disagio, mentre lei scarta distrattamente la stecca. E mi dispiace davvero, perché vorrei essere più utile di così e perché quella era la mia ultima tavoletta. – Non ti ho aiutato, lo so. Ma dovresti sul serio parlarne con James.
- Hai ragione, forse lo farò, – sospira Lizzie ed io ho l’impressione che non lo farà affatto, perché James non è il solo ad essere un po’ idiota e a quanto pare ignorare i problemi aspettando che scompaiano da soli è la tattica preferita dai Grifondoro.
- Ehy, Moony, - James, come appellato magicamente, scende all’improvviso le scale, le mani in tasca e un’aria svagata e disinvolta che equivale a scriversi colpevole sulla fronte a lettere cubitali e lampeggianti, visibili anche da miglia di distanza. - Peter dice che ti sei convinto di non poter salire in camera, che assurdità. Sali pure quando vuoi. Ciao, Lizzie.
- Ciao, James, – replica lei nervosa, mentre io mi alzo dal divano e le rivolgo un silenzioso cenno di saluto.
- Allora io salgo, – informo James, lanciandogli una breve occhiata sospettosa: non ci sono segni di bruciature sui suoi vestiti e nemmeno sangue. Forse non hanno combinato nulla di così catastrofico.
- Certo, – Il suo sorriso tranquillo si allarga ulteriormente, le spalle rilassate e un braccio a indicarmi la via dei dormitori, come se non la conoscessi perfettamente. La scritta colpevole sulla sua fronte lampeggia più che mai.
Quando apro la porta della nostra camera sembra tutto a posto e a quanto pare Peter, che ora è chiuso in bagno a pentirsi dell’ultima fetta di torta, è riuscito a trattenermi abbastanza a lungo. Sirius è steso sul letto con una mano a reggergli il capo e uno sguardo così flemmatico ed ostentatamente rilassato da risultare ridicolo: inutile dire che la scritta colpevole risalta anche sulla sua fronte.  
- Che hai fatto al braccio? – chiedo immediatamente, puntando gli occhi sulla benda che gli fascia il braccio sinistro e che quando è venuto questo pomeriggio a prendermi in Infermeria insieme a Peter non c’era affatto.
- Quale braccio?
Sirius non si smuove di un millimetro, impassibile, perché Sirius è il genere di persona che può prendere le distanze da una parte del suo stesso corpo senza sentirsi o sembrare un idiota.
- Il tuo braccio, – insisto, inarcando un sopracciglio, perché per quanto Sirius sia bravo a mentire, il suo braccio è ancora innegabilmente attaccato al resto del corpo.
- Non ho nessun braccio.         
Nella stanza accanto Peter tira lo sciacquone e la scritta colpevole sulla fronte di Sirius spicca più che mai.
 
*

 
James si è appropriato di uno scacchetto della cioccolata offertami da Lupin ed ora sorride appagato, gli occhi appena più chiari della tavoletta ancora tra le mie mani e i capelli scuri che gli sfiorano la fronte. Si è lasciato cadere sul divanetto accanto a me e il suo sguardo vivace, quello che proprio non riesco a togliermi dalla mente, si sposta dalle mie labbra ai miei occhi e probabilmente Lupin ha ragione. Dovrei allontanarmi un po’ da lui, mettere dello spazio o almeno un cuscino tra me e quei suoi occhi troppo grandi, in modo da riappropriarmi di tutte le funzioni del mio cervello e poi chiedergli di fare chiarezza nel suo di cervello, in modo da farla poi anche a me, nero su bianco. Senza più baci e sorrisi che possono voler dire tutto e niente.
È solo che non lo voglio davvero, perché ho sempre pensato che lui non mi avrebbe mai nemmeno guardata ed ora invece lo sta facendo ed è così vicino ed è così bello. E forse questo sguardo è l’unica cosa che avrò mai di James Potter e prendermi una cotta per lui è al primo posto nella lista di cose stupide che ho fatto da quando sono arrivata ad Hogwarts, è probabilmente il titolo stesso della lista. Solo che può succedere, a volte, che qualcuno sorrida in quel modo e allora tu non hai davvero altra scelta se non prenderti una cotta di dimensioni epiche. Non è qualcosa che posso controllare, come James non può impedirsi di puntare istintivamente gli occhi oltre la mia spalla, verso l’entrata della Sala Comune, mentre la voce di Evans che si lamenta degli orari troppo restrittivi della Biblioteca ci giunge alle orecchie. È solo qualche secondo e poi i suoi occhi sono di nuovo fissi nei miei e probabilmente è così abituato a guardarla non appena entra in una stanza che non si è nemmeno accorto di averlo fatto.
E mentre lui mi chiede di scendere insieme a cena, la voce di Allison, che è ora nella mia testa la voce della ragione e questo è un chiaro segno di quanto la situazione sia grave, si sovrappone alla sua e risponde per me no, no, e ancora no.
Perché, voglio dire, lui nemmeno lo sa.
Non è il genere di cosa con cui si può competere, no? 
Ma le mie labbra non sono mai state davvero collegate al cervello ed è la mia voce quella che risponde sì, certo ed è la voce della stupidità.
Poi lui sorride di nuovo e l’unica voce che sento ora è la sua.
 

 
[Just gonna stand there and watch me burn,
but that's alright because I like the way it hurts 
Just gonna stand there and hear me cry,
but that's alright because I love the way you lie]

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


 

Avevo una mezza idea di aggiornare il 31 Ottobre, per ovvi e poco allegri motivi che tutti conosciamo, ma una casa di studenti fuorisede può essere un posto pericoloso e imprevedibile il giorno di Halloween e quindi niente, ho fallito e vi posto oggi quello che è l’ultimo dei capitoli scritti mille ere glaciali fa. 


  

 

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CAPITOLO 22.

 

 

 

 

- James, apri gli occhi. 
- Non posso, non ho occhi. 
- Li vedo, sono proprio sulla tua faccia.  
- No, no, non capisci, Moony. Sono delle ferite, ok? Due squarci sul mio viso e tu non puoi chiedermi di riaprirli. Sanguineranno. Smetteranno di cicatrizzarsi ed io non guarirò mai. 
- Stai delirando: tendi a farlo più del solito appena sveglio. Gli occhi non sono una malattia.  
- Sono incollati, ok?  
- Se fossero davvero incollati, ci sarebbe della colla sul comodino di Sirius e lui sarebbe qui a scattarti delle foto. 
- Perché è un bastardo. Il mio migliore amico è un bastardo. La mia vita fa schifo, la vita in generale fa schifo.  
- James. 
- Resterò per sempre in questo letto. È caldo e morbido. Non vedo perché alzarsi: dammi una sola buona ragione. 
- Ti lascerò dipingere la faccia di Sirius.  
- Baffi rosa?  
- Rosa shocking.  
- E non gli dirai nulla? Lo lascerai andare a colazione così? 
- Non. Una. Parola.  
- Rosa shocking, eh?
 


*
 


La Sala Comune è mezza vuota quando scendo le scale, soffocando uno sbadiglio. James e Remus stanno ancora cercando di buttare Peter fuori dal bagno ed io ho troppa fame per aspettarli. Due ragazze del quinto, appostate su un divanetto, non appena mi vedono attraversare la Sala iniziano a sorridere, scambiandosi un’occhiata complice ed io ammicco nella loro direzione, prima di raggiungere il ritratto. Anche per i corridoi, diversi gruppetti di ragazze non fanno che sorridermi: devo essere più bello del solito oggi. Ricambio distrattamente il sorriso di qualcuna di loro, prima di realizzare che in realtà non sono solo le ragazze a sorridermi. E a pensarci bene, non li definirei proprio sorrisi, quanto piuttosto risate trattenute.  
In effetti, ogni singolo abitante di questo castello mi sta ridendo in faccia.  
Ora, se sei un Malandrino e le persone ti fissano ridendo, le cose sono due: o hai appena combinato qualcosa di particolarmente divertente o i tuoi migliori amici sono da qualche parte che ridono di te. Sono sveglio da troppo poco tempo per aver fatto qualsiasi cosa, quindi, i miei migliori amici sono dei bastardi.  
Ostentando la massima indifferenza, faccio improvvisamente dietro-front e mi dirigo a passo spedito verso il bagno più vicino, dove lo specchio mi svela la drammatica realtà dei fatti. 
Baffi rosa, bene. Benissimo. 
È questo che succede ad avere degli amici.  
- Potter, – ringhio nello specchietto appena estratto dal mantello, trovandomi di fronte dopo pochi secondi il ghigno del mio migliore amico.  
-Sì, Sirius?  
- I tuoi capelli. Quando meno te lo aspetti.  
Senza attendere una risposta, rimetto lo specchietto al suo posto, riportando gli occhi allo specchio del bagno. Oltre alla mia espressione contrariata, quello riflette la porta che si apre alle mie spalle, lasciando entrare due Corvonero che mi fissano perplessi.  
Credo che abbiano notato i baffi.
Subito mi schiarisco la gola e mi sistemo i capelli allo specchio, prima di voltarmi impassibile verso di loro.
-Sì, baffi rosa, sulla mia faccia, esattamente. È questo che mi è successo, - dichiaro con aria di sfida, mentre loro indietreggiano interdetti. – Siete liberi di commentare, ma poi dovrò schiantarvi.
 
 

 

 


**********
 
 

L’ultima lezione prima delle vacanze di Natale è finita da pochi secondi, quando realizzo che la decisione di restare ad Hogwarts è stata la peggiore che potessi prendere: Lumacorno sorride soddisfatto da sotto i suoi baffoni, mentre ricorda a me e agli altri eletti il suo invito alla festa di Natale del Lumaclub. La mia media in Pozioni quest’anno, come tutti gli anni, vacilla fra Troll e Scadente e questo dovrebbe mettermi automaticamente in salvo dal temibile Lumaclub, ma Lumacorno è convinto di essere stato così generoso a premiare con l’accesso illimitato al suo club tutto il gruppo e non solo Evans, quando sicuramente anche lui sa che il merito della pozione Restringente che ha vinto la scorsa settimana è stato solo suo. E così ora mi ritrovo un seme pieno di Polisucco abbandonato da qualche parte in camera, ancora inutilizzato, ed un invito per quella che si prospetta essere la serata più noiosa dell’anno: una festa con Lumacorno, qualche vecchio professore prossimo alla morte ed il suo club di ruffiani, sai che divertimento.
- Basta non andarci, James, tanto che può farti? – esclama Sirius con un’alzata di spalle mentre raggiungiamo la Sala Grande, con un’aria un po’ troppo divertita per uno che vuole essere davvero d’aiuto. – Insomma, non può nemmeno abbassarti il voto: non esiste nulla al di sotto di Troll, no?
 Sirius è un bastardo ed ha la pelle arrossata in modo ridicolo tra le labbra e il naso, lì dove deve essersi sfregato a lungo prima di liberarsi dei miei baffi, ma ha anche ragione: tecnicamente non posso andare peggio di così. Certo, c’è stata quella volta, al terzo anno, quando il mio mestolo è rimasto incastrato nella pozione per quanto era solida, in cui Lumacorno mi ha assegnato esasperato una I, che stava a detta sua per Imbarazzante, ma non credo fosse nulla di ufficiale.
- Oppure ci andiamo, – esclamo all’improvviso, colto da un’illuminazione. – Ci andiamo tutti e due e portiamo dei Frisbie Zannuti, il mantello e uno dei nuovi cuccioli di Snaso di Hagrid.
Sirius è evidentemente intrigato dalla mia idea, che è oggettivamente un’idea stupenda e che darà una svolta positiva alla serata di domani; Remus, d’altro canto, non sembra felice, a giudicare da come ha immediatamente impugnato una forchetta, subito dopo aver preso posto accanto a me, e me la sta ora puntando contro. È uno dei miei migliori amici, ma non trovo davvero nulla di amichevole nel modo in cui ha deciso di minacciarmi con una forchetta.
- James, no, - Remus scandisce lentamente, come se stesse parlando con una puffola pigmea particolarmente ritardata. – Almeno questa volta, ok? È Natale.
Lo so che è Natale.
Io adoro il Natale.
Perché è risaputo che a Natale sono tutti più buoni e quindi, soprattutto, sono prede più vulnerabili: tutti così convinti che l’allegra atmosfera natalizia sia in grado di placare anche gli istinti più distruttivi e faccia scomparire la voglia di seminare panico e disordine all’interno della scuola. Ed in linea di massima è così in effetti, ma i Malandrini non sono mai rientrati nella linea di massima.
- James, dimmi che non farai nulla.
- Ok, come vuoi, - commento indifferente, alzando le mani. - Non farò nulla di nulla.
- Non fare la voce con me.
- Quale voce?
- La voce da sì, sto annuendo e ti sto dando ragione, ma sto anche pensando a cosa infilarti nelle mutande non appena ne avrò l’occasione.
Questo è ridicolo. Come se avessi bisogno di pensarci, è ovvio che sarà dentifricio.
- Io non...
- È vero, Prongs, - Interviene Sirius pacato, riempiendosi il piatto di patate arrosto. - Quella era indubbiamente la voce. E avevi anche lo sguardo.
- Oh finitela, non è che passo tutto il mio tempo a infilare cose nelle mutande delle persone, - sbuffo indignato, scoccando un’occhiataccia ai miei amici. - E il primo anno non conta, quindi state zitti.
 

 

 


**********  
 


Non è che detesto il Natale.
Il Natale è ok, davvero.
Anche essere un Prefetto non è male: gli altri studenti ti guardano con un misto di ammirazione, fiducia o paura, a seconda di quanto è sporca la loro coscienza.
Quello che non è bello è essere un Prefetto a Natale, in particolare l’ultimo giorno di lezioni prima delle vacanze.
Perché quello che un Prefetto deve fare in questo periodo dell’anno è controllare che tutto vada bene, che le carrozze che devono portare gli studenti all’Hogwarts Express arrivino in tempo e soprattutto che ogni studente che si è segnato nella lista per tornare a casa sia presente ad aspettare le carrozze all’orario stabilito.
E non succede mai, mai da che ho memoria, che tutti gli studenti siano al posto giusto all’ora giusta: ne manca sempre qualcuno, ce n’è sempre almeno uno che è improvvisamente disperso in qualche parte del castello a fare qualcosa che avrebbe potuto fare in qualunque altro momento dell’anno, ma che ha deciso essere di vitale importanza fare proprio nello stesso esatto momento in cui partono le carrozze da Hogwarts. Per non parlare di quelli che cadono dagli allori e ti guardano stupiti quando gli dici che le carrozze sono arrivate e stanno aspettando di partire e allora è una corsa sfrenata a fare le valigie e tu, che non li conosci nemmeno e che hai solo avuto la sventura di essere stata nominata Prefetto, sei costretta ad aiutare uno sconosciuto ad infilare calzini e mutande alla rinfusa dentro il suo baule in tempo record.
Tutto questo, che può essere riassunto con l’espressione idiozia media di uno studente di Hogwarts, è il motivo per cui mentre i miei compagni se ne tornano beati in Sala Comune a posare i libri per l’ultima volta, pronti a dare inizio al cazzeggio più totale, io devo invece correre da una parte all’altra del castello, alla ricerca di tutti gli studenti che hanno intenzione di tornare a casa, per assicurarmi che si ricordino di farsi trovare di fronte al cancello alle sei di questa sera, con i bauli già pronti.
- Mason, questa sera alle sei, mi raccomando, – esclamo, mentre la Battitrice di Grifondoro mi passa accanto in corridoio, alzando gli occhi al cielo.
- È il terzo Prefetto che me lo ricorda, Evans, ti giuro che ci sarò, ok? – commenta esasperata, e sì, lo so che la nostra organizzazione potrebbe essere migliore, ma i professori ci hanno semplicemente dato una lista con tutti i nomi, di tutti gli anni e di tutte le case, per poi sguinzagliarci come cani da caccia. – Il prossimo Prefetto che me lo dice lo prendo a mazzate.
Nello stesso momento in cui lei finisce di parlare, i Malandrini girano l’angolo e Lupin le ricorda di farsi trovare alle sei in punto di fronte al cancello. Probabilmente Lupin, essendosi subito anche lui le raccomandazioni infinite dei professori, avrà già torchiato il suo amico abbastanza, ma l’unica cosa che so io è che Peter Minus è sulla lista e quindi è un obiettivo.
- Minus, alle sei di fronte al cancello, non tardare, – dico automaticamente, prima di scambiarmi una veloce e solidale occhiata con Lupin, che è anche lui un Prefetto e quindi in grado di capire la drammaticità di questa giornata. Minus annuisce ed io supero il gruppetto, gli occhi puntati sulla lista: c’è questo Samuel Thomas che non ho mai sentito prima in vita mia e che potrebbe essere chiunque per quel che mi riguarda. Forse dovrei semplicemente iniziare a gridare a chiunque la frase di rito, alle sei in punto, e allora beccherei per forza anche lui. È mentre rifletto se questo sarebbe considerato troppo dispendioso, che l’unica persona che potrebbe rendere questa giornata persino peggiore di quello che già è mi si affianca.
Il nome di James Potter naturalmente, dato che Godric mi odia, non è sulla lista, ergo dovrò sorbirmi la sua presenza per tutte le vacanze di Natale. In particolare sembra che io debba sorbirmi la sua presenza in questo preciso momento, anche se fino a due secondi fa stava andando nella direzione opposta alla mia insieme ai suoi amici ed ora invece se ne sta in piedi proprio di fronte a me, bloccandomi il passaggio.
Momento sbagliato, Potter, momento sbagliato.
- Guarda, Evans, - commenta lui con un sorrisetto equivoco, lanciando una veloce occhiata sopra le nostre teste. – Pare proprio che...
Non ho nemmeno bisogno di alzare lo sguardo, per capire. Quella che alzo, d’altro canto, senza staccare gli occhi da quelli di Potter, è la mia bacchetta e pochi secondi dopo lui è costretto a fare un salto indietro, mentre un vischio in fiamme cade tra noi.
C’è una ragazzina del primo anno che fissa la scena perplessa e probabilmente dovrei spiegarle che questo non succede a tutti i vischi che lei e i suoi compagni hanno amorevolmente intrecciato e appeso per tutto il castello con l’aiuto di Madama Pince.
- Evans, hai bruciato il Natale.
Potter fissa sconvolto il vischio ai miei piedi che continua ad annerirsi e accartocciarsi sempre di più e per un attimo mi perdo anch’io a contemplarlo, immaginando che al suo posto vi sia la testa di Potter stesso. Poi scorgo in fondo al corridoio Sam Douglas, un altro nome della mia lista, e senza esitare mi precipito al suo inseguimento, ignorando la voce canzonatoria di Potter che riecheggia per il corridoio.
- Mi devi un bacio, Evans, il vischio ha parlato!
 

 

 


 
**********   


- Ok, andata per la piscina con l’acqua calda allora, - stabilisco fermandomi di fronte al tratto di muro che nasconde la porta della Stanza delle Necessità. Peter partirà questa sera per le vacanze, dato che la signora Minus preferirebbe strangolarlo e poi seppellirlo a mani nude piuttosto che sapere che suo figlio sta passando il Natale ad Hogwarts invece che a casa con la sua famiglia, così abbiamo deciso di fare un salto nella Stanza e passare l’ultimo pomeriggio insieme facendo qualcosa di diverso dal solito. – Tutti d’accordo, sì? Non è che poi qualcuno all’ultimo decide di avere bisogno di qualcos’altro e la Stanza impazzisce come l’ultima volta, giusto?
- Ma possiamo andare nel bagno dei Prefetti per quello, hanno anche le bolle colorate, - sbuffa Sirius, appoggiandosi al muro, contrariato. Sirius che è stato quello a proporre l’idea della piscina in primo luogo, ci terrei a specificare. – Chiediamo qualcosa che possiamo fare solo qui.
Remus resta in silenzio, ma la sua espressione mostra chiaramente come una parte di lui vorrebbe sottolineare che il bagno dei Prefetti è in realtà di esclusiva dei suddetti Prefetti: è molto protettivo con la schiuma e le bolle colorate.
- Okay, che proponi allora? – chiedo con un’alzata di spalle, perché se Sirius non ha voglia di nuotare, allora passerà il tempo a tentare di annegarci e questo non è come io e i miei polmoni vogliamo passare il pomeriggio. Il mio migliore amico schiude le labbra, pronto a rispondere, prima di bloccarsi e puntare perplesso lo sguardo alle mie spalle. Contemporaneamente qualcuno si schiarisce la gola, proprio dietro di me, ed ora dovremo fare un Oblivion a chiunque sia, perché essere beccati nel bel mezzo di discorsi sospetti proprio di fronte alla Stanza delle Necessità non è il modo migliore per mantenerla segreta.
Solo che l’intruso, quello che ci fissa impassibile a braccia conserte, probabilmente non ha nemmeno sentito quello che stavamo dicendo, da lassù, dove sono situate le sue orecchie, così lontano dal pavimento e dal resto del mondo.
- Sono Alec Clegane, – si presenta ed io devo fare forza su me stesso per non contraddirlo, quando è così evidente che lui è sicuramente il fratello segreto di Hagrid.
- Piacere, Alec, – replica la voce gentile di Remus di fianco a me, perché il suo primo istinto è sempre quello di essere educato, anche con le montagne inquietanti che spuntano dal nulla. – Possiamo aiutarti in qualche modo?
- Vi conosco, - continua impassibile l’ammasso di muscoli e loquacità targato Tassorosso, a giudicare dai colori della sua cravatta. È naturale che sia un Tassorosso, sono sempre loro a fare cose sospette: tutta la scuola li sottovaluta e li ritiene innocui e loro nel frattempo, chiusi nella loro Sala Comune accanto alle cucine, creano pian piano delle macchine da guerra come questa qui davanti a noi. – Siete quelli che hanno attaccato i Serpeverde l’altro giorno.
Attaccato i Serpeverde è così riduttivo.
Noi abbiamo letteralmente seppellito loro e la loro Sala Comune sotto le Caccabombe, ecco cosa abbiamo fatto. Ma soprattutto lo abbiamo fatto in totale segretezza e non è un bene che questo tipo lo sappia: se lo sanno persino i Tassorosso, allora il rischio che la voce arrivi anche ai professori è tangibile. Credo che dovremo proprio fargli un Oblivion, ammesso che gli incantesimi funzionino su di lui.


*

 
- No, non siamo stati noi a dire il vero, – replico incerto, dal momento che nessuno dei miei amici ha l’aria di volerlo precisare: privarsi del merito di aver fatto qualcosa ai Serpeverde va contro i loro principi, punizione o meno. E non sembrano particolarmente inclini al dialogo al momento: Sirius pare essersi incantato in modo del tutto inappropriato sui bicipiti di tale Alec, che sono in effetti piuttosto ipnotizzanti e non fanno che guizzare ad ogni suo minimo movimento, mentre Peter si è appiattito automaticamente contro il muro e non sembra particolarmente a suo agio. James, d’altro canto, ha completamente perso il controllo della sua faccia, che sta dando voce ad ogni suo minimo pensiero e spero che il Tassorosso di fronte a noi non se ne sia accorto, perché i pensieri di James variano dal perplesso, all’indignato, allo stizzito e non so quanto tempo passeremmo in Infermeria se Alec fosse un tipo permaloso. 
- Certo che siete stati voi, lo sa tutta la scuola, - insiste Alec, perché certo che siamo stati noi, siamo sempre noi. La spilla da Prefetto sul mio petto si fa improvvisamente più pesante. – Ed è per questo che sono qui: voglio unirmi ai Malandrini.
Gli occhi di James si spalancano almeno quanto quelli di Sirius si assottigliano e quando saremo soli dovrò ricordarmi di insegnare ad entrambi come dissimulare le emozioni, perché quello non è il modo di reagire ad una proposta, specie se fatta da qualcuno che potrebbe abbracciarci tutti e quattro contemporaneamente con un solo avambraccio e questo per non pensare a ipotesi più violente. Peter, d’altro canto, sta cercando di fondersi con il muro alle sue spalle e questo è altrettanto inappropriato.
- Intendi, – mormoro incerto, cercando di non far trapelare la mia estrema perplessità.
- Sì, insomma essere dei vostri e aiutarvi a fare quello che fate.
- Quello che facciamo?
- Picchiare i Serpeverde e cose del genere, no?
- Non, - mi sento dire e la mia spilla da Prefetto ora è davvero molto, molto pesante: nella Sala Comune dei Tassorosso siamo conosciuti come quelli che picchiano i Serpeverde. Questo è così disdicevole. - Non esattamente.
- Senza offesa, – inizia James al mio fianco, schiarendosi la gola.
Oh no, James sta per dire qualcosa di incredibilmente offensivo.
  

*

 
Sto per far presente alla montagna umana di fronte a me che non può semplicemente spuntare dal nulla e chiedere di entrare nel gruppo, quando per essere un Malandrino bisogna avere una serie infinita di requisiti che nessun Tassorosso sicuramente ha e il più importante dei quali è essere me, Sirius, Peter o Remus.
Solo che non appena inizio a parlare, Sirius mi fa un lieve cenno con la testa, accompagnato dall’appena percettibile sgranarsi degli occhi, ed il silenzio prende immediatamente il posto delle mie parole, perché quello è il segnale che significa smetti di parlare. Non sono sicuro del perché esista un segnale del genere tra di noi, probabilmente è perché a volte fatico a distinguere le espressioni delle persone e capita che io confonda una faccia alla sono ammirato e affascinato dal tuo discorso con una alla che diavolo stai dicendo e come è possibile che le tue labbra si muovano così velocemente.
C’è da dire che questo segnale ha evitato diverse situazioni di potenziale imbarazzo, ma Sirius si diverte a usarlo anche quando non ce n’è motivo, solo per godere della mia istintiva reazione a chiudere la bocca, anche mentre sono interrogato in Trasfigurazione o cose del genere.
Fottuto bastardo.
Il punto è che Alec, anche se ci sta in pratica offrendo la sua collaborazione, ci guarda molto più minaccioso che ammirato e questo, oltre a provare le mie teorie sui Tassorosso, significa che forse Sirius ha ragione e non è il caso di essere completamente sinceri con lui.
- Lo prenderemo in considerazione, – stabilisco infine bonariamente, anche se la mia espressione con tutta probabilità sta dicendo l’esatto contrario. Cerco di fermarla forzando le mie labbra in un sorriso, perché non mi piace che la mia espressione si permetta di contraddirmi in pubblico, ma quelle fanno uno strano scatto di lato, come se qualcuno le avesse tirate all’improvviso con un filo ed io le addento per punizione, prima di lanciare un’occhiataccia al Tassorosso.
- Sì, - interviene Remus, vedendo che Alec non si muove di un millimetro e continua a fissarci dall’alto a braccia incrociate. Inizio a sentire il bisogno di fargli esplodere qualcosa in faccia e questa non è una cosa positiva, perché poi dovrò correre molto veloce. – Dacci qualche minuto per riflettere, ok?
Dopo aver rivolto un ultimo sorriso rilassato alla montagna, Remus ci trascina a qualche metro di distanza, impassibile.
- E’ pazzo, - sussurra non appena siamo lontani abbastanza perché non possa sentirci, lanciandosi un’occhiata guardinga alle spalle.
- È un Tassorosso, certo che è pazzo, – commento ragionevolmente:  prima o poi arriva per ogni Tassorosso il momento del crollo psichico, costretti come sono a resistere tutto il giorno per sette anni agli odori invitanti che li raggiungono dalle cucine, così vicine alla loro Sala Comune. 
- A me piace, - interviene Sirius con un’alzata di spalle. - Vuole picchiare i Serpeverde.
Sirius non ha tutti i torti: chi siamo noi per impedire a un altro studente di usare i Serpeverde come sacchi da box? Voglio dire, è un suo diritto farlo e sicuramente questa è una di quelle iniziative da incoraggiare, così come tutte le iniziative che comprendono cravatte verde e argento sporche di sangue.
Forse dovremmo farci portare il naso di Piton come segno di buona volontà.
- No, no, queste cose non finiscono mai bene, - Remus scuote deciso la testa, con fare esperto, come se avesse un lungo passato di gente che gli si offre per percuotere i suoi nemici. – Al di là del fatto che picchiare i Serpeverde è contro le regole ed io sono un Prefetto, arriverà il momento in cui si stancherà e deciderà di picchiare anche noi. Arriva sempre.
Non so perché Remus continui a parlare come se tutto questo gli fosse già successo e sto per indagare al riguardo, quando Peter ci riporta alla realtà con un’acuta osservazione.
- Ma se gli diciamo di no, si sentirà rifiutato e allora ci picchierà subito.
Il silenzio segue le sue parole e probabilmente anche gli altri stanno immaginando come dev’essere venire pestati da una montagna: probabilmente qualcosa di molto simile a quella volta al quarto anno in cui Hagrid è inciampato sopra Thor e mi è caduto addosso. Esperienza che non ci tengo a ripetere, per l’appunto.
- Beh, qualcuno deve dirglielo, – sottolineo, perché non è ammissibile che un Tassorosso se ne vada in giro a sostenere di essere un Malandrino. – È troppo alto per essere uno di noi, non mi piace essere guardato dall’alto in basso. E non ci ha nemmeno portato una prova tangibile del suo valore: magari non ha mai infranto una regola in vita sua, che ne sappiamo? E poi quattro è il numero perfetto.
- Tre è il numero perfetto.
- Perché devi essere così disfattista, Padfoot? Siamo in quattro, perché non possiamo fingere che sia quattro il numero perfetto, mh?
- Perché è tre, lo sanno tutti.
- Allora propongo di buttarti fuori dal gruppo, così resteremo in tre e sarà perfetto.
- Io sono il gruppo, non potete buttarmi fuori.
- Ti ostracizzeremo dalla nostra stanza e sarai costretto a chiedere asilo a Frank.
- È la mia stanza, sono l’unico ad averla marcata qui.
- Non è nulla di cui andar fieri, Sirius. È stato disgustoso.
- Era la mia prima trasformazione, scusa tanto se non ho sempre saputo perfettamente come funziona là sotto per i cani.  
- Ragazzi.
- Come pensavi che funzionasse esattamente?
  

*


James e Sirius sono impegnati in uno dei loro soliti bisticci, come se non ci fossero due mesi di ricovero in Infermeria ad attenderci con aria sempre più spazientita a pochi metri da noi e non fosse urgente fare qualcosa a riguardo.
- Ragazzi, - ripeto, riuscendo finalmente ad attirare la loro attenzione. – Almeno uno di noi deve andare lì e dirgli di no, d’accordo? 
- Solo uno?
- Sì, insomma, se la prendesse parecchio male, - replico leggermente imbarazzato, prima di schiarirmi la gola. - Come dice Sirius, è tre il numero perfetto in fondo. 
- Quindi il piano non è uscirne tutti vivi, ok, - James non sembra particolarmente entusiasta, ma ci sono momenti in cui si può essere eroici e Grifondoro fino al midollo e momenti in cui invece bisogna essere furbi e limitare i danni il più possibile. - Chi va?
- Io balbetterei, - replica immediatamente Peter, annuendo col capo come a darsi ragione. - La sua altezza, il suo essere apparentemente composto di roccia e metallo e la sua espressione da vi picchierò tutti se mi contrarierete mi mettono ansia e quando sono in ansia balbetto, lo sapete. Sto già balbettando.
- Non stai balbettando. Non  stava balbettando, - Sirius ha lo sguardo fisso in fondo al corridoio, all’angolo che Peter ha appena svoltato in tutta fretta e non sembra felice della fuga del nostro amico. - Ora me ne vado anch’io. 
Prima che chiunque possa aggiungere qualcosa, Sirius è sparito a sua volta e questo non è stato per niente valoroso da parte sua. È successo qualcosa di profondamente sconveniente qui, che non ha nulla a che vedere con l’amicizia e con l’affrontare le disgrazie uniti ed ha tutto a che fare invece con i pessimi riflessi miei e di James, che si guarda attorno perplesso.
- Se ne sono andati, - constata stupefatto, prima di incrociare il mio sguardo. - Li seguiamo?
Probabilmente nella testa di James li seguiamo? suona in modo molto più eroico di ce la diamo a gambe anche noi?
- No. Non ti muovere, - sibilo, gli occhi puntati alle spalle di James: l’aspirante Malandrino pare aver notato la ritirata tattica di Peter e Sirius e i suoi occhi si sono fatti particolarmente attenti ai nostri movimenti ora. - Ci sta guardando: non ci lascerà andare via entrambi. Uno deve restare e affrontarlo.
– Beh, dovresti essere tu, - commenta James passandosi una mano tra i capelli. - Io proverei ad essere affabile, ma finirei comunque per dire qualcosa di potenzialmente offensivo e lui si innervosirebbe. Tu invece sei pappa e ciccia con la diplomazia.
È vero, James è pessimo in tutto ciò che riguarda il non offendere a morte gli altri e il non indurli a picchiarlo, mentre io sono in grado di ragionare lucidamente ed essere cortese anche in situazioni di pericolo imminente.
- Tu corri più veloce.
Ed il mio cervello ora, dopo aver analizzato rapidamente la situazione presente, ha stabilito che è il momento perfetto per uscire di scena. 

  
*


- Oh, ma a quanto pare anche tu te la cavi bene, Moony! – grido indignato al corridoio ormai vuoto, mentre i passi veloci di Remus spariscono in lontananza. Tutto questo è inaccettabile.
Saranno tutti declassati dal ruolo di amici a quello di semplici compagni di stanza: non si meritano nulla di più.
Avrebbero dovuto informarmi che era in corso una gara di velocità, perché in quel caso avrei vinto sicuramente; ed invece io non me ne ero accorto e così ora c’è questa montagna, alla mie spalle, improvvisamente troppo vicina, che si schiarisce la voce spazientita.
- Beh, quindi, Alec, eh? – Mi volto verso di lui sfoderando il mio sorriso più accattivante, perché questo è il modo migliore per mostrare alla montagna che sono troppo bello per essere picchiato. - Ecco, vedi, al momento siamo, come dire, al completo. Sì, al completo. Ma se dovesse liberarsi un posto, sarai il primo a saperlo. Davvero, non vedo l’ora. Sirius ha la passione delle moto babbane, sai, dei grossi cosi che vanno fortissimo e da cui cadere è potenzialmente mortale. E, detto tra noi, lui è pessimo in tutto ciò che prevede il non precipitare. Hai ottime possibilità, dico davvero.
Alec mi fissa impassibile, assottigliando solo leggermente gli occhi. Credo che a questo punto del discorso ci starebbe bene una pacca sulla spalla o qualcosa del genere, ma non voglio davvero ridurre la distanza tra noi, senza contare che dovrei mettermi in punta di piedi per arrivare alle sue spalle e questo non sarebbe dignitoso.
- Ma nel frattempo puoi sempre continuare la tua attività per conto tuo, picchiare i Serpeverde e cose del genere, - aggiungo passandomi nervosamente una mano tra i capelli, chiedendomi perché ora non dice più nulla. Tassorosso pazzo che non è altro. - Con la nostra, sai, approvazione.
Ci fissiamo in silenzio per qualche altro secondo, poi io inizio a correre.
 

 

 


 
**********
  

- Alfiere in H6.
- James, devo andare.
- Non puoi andartene mentre io sto per farti scacco matto, Moony, non esiste.
- Ma devo andare, ho la ronda tra esattamente due minuti.
- E te ne sei ricordato proprio ora che sto per polverizzarti? Certo, molto conveniente, – James mi soppesa scettico, ma le sue sono accuse senza fondamento. Beh, sta effettivamente per vincere, ma io ho davvero la ronda. E poi credo che abbia corrotto in qualche modo le mie pedine, perché è la prima volta che vedo la regina suicidarsi. - Non vi insegnano a perdere a voi Prefetti durante quelle vostre infinite riunioni?
- Continua la partita con Sirius, gli cedo il mio posto, - propongo frettoloso, ignorando volutamente il fatto che Sirius, steso sul divanetto accanto al fuoco, le palpebre visibilmente sempre più pesanti, è più di là che di qua. – Io devo correre.
- Sì, corri, corri: ti riesce così bene.
James sta ancora facendo un l’offeso con noi, in parte perché lo abbiamo abbandonato con il Tassorosso ed in parte perché abbiamo finto di non averlo fatto. Soprattutto per l’ultima cosa, in effetti. Non è stata propriamente una mia idea, io ero totalmente propenso ad assumermi le mie responsabilità, ma poi Sirius ha detto Cosa? Quale Tassorosso? Che ti sei fumato, James? e Sirius è così bravo a negare l’evidenza e lo fa sembrare così semplice e naturale, così io e Peter abbiamo finito per dargli manforte. Non è qualcosa che un Prefetto o anche solo una persona matura e responsabile dovrebbe fare, dare corda a Sirius Black e negare l’evidenza con assoluta convinzione, ma d’altro canto una persona matura e responsabile non passerebbe nemmeno tutto il suo tempo con i miei amici.
- Sei in ritardo, Lupin, – sottolinea Evans, non appena la raggiungo fuori dalla Sala Comune, senza sembrare in realtà eccessivamente contrariata. – Più tardi iniziamo la ronda, più tardi potrò andare a dormire. E sai questo che significa?
- Che più tardi inizieranno le mie vacanze di Natale, - Evans dà per scontato che io non lo sappia e mi illumina prima che io possa anche solo aprire bocca, procedendo spedita per i corridoi del settimo piano. -  Ed ho davvero bisogno delle vacanze. Proprio un sacco. 
- Perdonami, i miei amici volevano fare una partita a scacchi magici ed è durata un po’ più del previsto, - commento pacato, costringendomi a dare un’occhiata in giro: a volte noi Prefetti abbiamo così tanta fretta di finire la ronda, completando il giro in tutti i piani, che ci dimentichiamo di controllare effettivamente che non ci sia nessuno a zonzo per il castello, che sarebbe poi il vero scopo del tutto. Evans stringe impercettibilmente le labbra, perché è questo che fa sempre quando nomino i miei amici; succede più o meno ogni volta, non appena trascorriamo qualche minuto chiacchierando amabilmente e lei inizia a rilassarsi e a ritenere visibilmente piacevole la mia compagnia, arriva inevitabilmente il momento in cui io li nomino, perché è difficile non nominare i miei amici, quando hanno una così pesante, rumorosa ed esplosiva incidenza sulla mia vita. E lei puntualmente si ricorda perché noi invece non lo siamo affatto, amici, e perché le nostre chiacchierate si limitano ai momenti in cui siamo effettivamente forzati a stare insieme per i nostri ruoli da Prefetto, nonostante gli interessi in comune, come l’amore per i libri e per il non appendere gli altri studenti a testa in giù.
Per un tempo indefinito il silenzio è interrotto solo dai nostri passi, il che è carino da parte sua, perché stare in silenzio è un modo come un altro di non chiedermi se i miei amici hanno abbastanza cervello da capire come funzioni una scacchiera, come probabilmente una parte di lei vorrebbe fare. E invece non lo fa, perché non fa parte del nostro tacito accordo: io non insulto i tuoi amici quando sono con te e tu cerchi di non nominarli troppo spesso in mia presenza.
- C’era anche Frank, – aggiungo schiarendomi la gola, giusto per mascherare lievemente il fatto che non sto per niente tenendo fede all’accordo. D’altro canto non è qualcosa che abbiamo mai stabilito o esplicitato a voce, ma mi piace pensare di essere una persona che onora tutti i tipi di accordi, vocali e non.
- Tu non sei un idiota.
Evans inclina il capo verso di me per guardarmi in faccia, pensierosa, mentre continua a camminare al mio fianco, ed io non sono sicuro di come interpretare la sua frase. È senz’altro meglio di tu sei un idiota, ma non è nemmeno in cima alla lista dei complimenti più entusiasmanti che io abbia mai ricevuto. Non che la gente mi faccia chissà quanti complimenti, ma posso comunque vantarne diversi che suonano molto meglio della semplice constatazione della mia non idiozia.
- Beh, grazie, - dico infine, perché non sono davvero nessuno per giudicare la bravura altrui nel fare i complimenti e sarebbe veramente scortese da parte mia non ricambiare. - Nemmeno tu sei un’idiota, Evans.
- Quello che mi chiedo, – riprende lei spedita, ignorandomi. E questo un pochino scortese invece lo è. – È come mai allora passi tutto il tuo tempo con degli idioti.
Mi sento improvvisamente un po’ tradito, perché più che un complimento alla mia persona quello di Evans vuole evidentemente essere un insulto ai miei amici, il che è contrario alle condizioni del contratto che non abbiamo mai davvero stipulato e che io per primo continuo a violare. Non ci sono delle gran basi per una buona difesa mia e dei miei amici, me ne rendo conto, ma le mie labbra si schiudono comunque e forse loro hanno qualcosa di intelligente da dire, qualcosa che il mio cervello ancora non sa. Evans d’altro canto non sembra interessata a quello che le mie labbra hanno da dire, perché continua senza lasciarmi il tempo di replicare. E lei sicuramente ha l’aria di una persona le cui labbra e il cui cervello sono sempre in collegamento costante, uno stretto rapporto di collaborazione in cui non c’è spazio per iniziative individuali. Dev’essere bello vivere in un ambiente del genere e una parte di me si appunta mentalmente di impegnarmi di più in futuro per creare un clima più amichevole tra il mio cervello e tutte le restanti parti del mio corpo.
-Non mi sembri un idiota, almeno, - si corregge Evans, prima di corrugare la fronte dubbiosa. - Non lo sei, vero?
-Sì. Voglio dire, no, non lo sono. Sì, nel senso che è vero che non lo sono, - La mia voce riecheggia per i corridoi vuoti e vagamente spettrali e sicuramente ci sono stati momenti migliori per farlo, ad esempio quando pronuncio discorsi intelligenti e sensati, legati da un filo logico, il genere di discorso che è dignitoso sentir riecheggiare nei corridoi deserti di una scuola e non questi balbettii sconclusionati. - Beh, non sono un idiota la maggior parte delle volte.
Non questa, evidentemente.
Mi sento lievemente a disagio a sostenere ad alta voce che non sono un idiota, quando c’è una parte di me che sta gridando silenziosamente che idiota è esattamente la parola giusta per descrivermi. Non sono d’accordo naturalmente, perché non sono io qui quello che ha iniziato a fare discorsi bizzarri ed assolutamente inappropriati sull’idiozia della gente, d’altro canto non riesco proprio a metterla a tacere, né quella vocina né Evans.
- Siamo d’accordo, quindi: non sei un idiota, - conferma Evans ed è bizzarro che io sia riuscito a convincerla facendo mostra di imbarazzanti doti oratorie. - E allora spiegamelo, perché io davvero non capisco.
Anche Evans non eccelle in quanto ad eloquenza, perché continua ad omettere i soggetti e a dare per scontate informazioni che di solito bisogna esplicitare, ma anche senza che lei lo dica, ora ho capito.
È quel momento dell’anno.
Credo che Evans abbia in generale una buona opinione di me, per la mia affabilità e per il fatto che se dovessi scegliere tra dare fuoco alla nostra Sala Comune o scrivere su un singolo libro della Biblioteca, farei scivolare il tappeto rosso ed oro vicino al camino e questo è il genere di azione che una persona come Evans può apprezzare, lo so. Non tanto la parte piromane, quanto il non deturpare i libri, che sembra invece uno dei passatempi più quotati dal resto della scuola. So perfettamente che per lei, come per il resto del corpo docenti, è difficile capire come una persona come me, amante della tranquillità, dell’ordine, del rispetto per gli altri e del non andare in giro nudi, possa passare volontariamente e senza nessuna bacchetta puntata alla gola tutto il suo tempo con individui come i miei amici, che sono invece la personificazione stessa del caos e dell’andare in giro nudi. E questo è semplicemente il momento dell’anno in cui Evans mi esplicita la sua perplessità, come ha già fatto l’anno scorso, pochi mesi dopo la nostra nomina a Prefetti. Non ero consapevole che questa fosse una tradizione annuale e temo che quest’anno, esattamente come lo scorso, non sarò in grado di fornirle alcuna risposta sensata, ma devo assolutamente appuntarmi da qualche parte di trovarne una entro Dicembre dell’anno prossimo, così da non essere colto impreparato almeno all’ultimo tentativo.
- I miei amici, quindi, - sospiro tentando di riacquistare un’aria intellettuale. – Vuoi parlare di questo?
- Non particolarmente, - replica Evans con un’alzata di spalle. – Non è, non dobbiamo farlo tutti gli anni, se non ne hai voglia. Se ti comportassi in modo stupido ogni tanto, non te lo chiederei. È che continui ad avere sempre quell’aria intelligente e ad un certo punto il grande quesito si riaffaccia alla mia mente.
Evans ritiene che io abbia un’aria intelligente e per questo devo ringraziare la non trasparenza della mia fronte: sono sicuro che se potesse vedere cosa c’è dentro la mia testa per la maggior parte del tempo, non avrebbe più dubbi sul perché io non passi il mio tempo con persone più pacate, serie e vestite dei miei amici.
- No, va bene, facciamolo, - concedo, perché in fondo non posso darle una risposta peggiore di quella dell’anno scorso, quando colto completamente alla sprovvista, ho cercato di valorizzare i pregi dei miei amici, tirandone fuori qualcosa di molto simile a i capelli di James sono buffi, Peter ha sempre un sacco di dolci e la risata stonata di Sirius mi mette allegria. - In sintesi, i miei amici ti sembrano degli idioti, dico bene?
Evans annuisce, in attesa.
- Comprensibile, certo. Beh, sono degli idioti. Probabilmente sono ancora più idioti di quanto tu possa immaginare, – Evans assottiglia lo sguardo, perplessa, e questo probabilmente non è un buon inizio. La parte peggiore è che non ho nemmeno idea di come proseguire, perché non ho mai steso una lista di motivi che rendono James, Sirius e Peter gli amici ideali e mi viene difficile spiegare con chiarezza argomenti su cui non ho mai scritto liste. Probabilmente c’è un motivo se non ho mai scritto una lista del genere ed è che è difficile trovare punti a favore di un’amicizia con persone la cui azione più innocua in sei anni di convivenza è stata infilarmi un rospo vivo nelle mutande. È solo che sono abbastanza sicuro che sia molto più semplice di così e che ci sia una spiegazione logica e sensata, impigliata da qualche parte, in un punto imprecisato tra il cervello e le labbra, al mio desiderio di continuare a sopportare i miei amici ancora e ancora, anche se inseriscono rettili nella mia intimità. Ed è mentre penso a come tramutare questa sensazione così giusta in parole comprensibili anche al resto del mondo, Evans in particolare, che mi si affaccia alla mente l’esatto momento in cui ho iniziato a sentire che i tre idioti che continuavano a far perdere punti a Grifondoro con trovate assurde erano di fatto i miei idioti e che andava bene così. Era appena iniziato il secondo anno e il mio peggior incubo si era appena avverato ed io ora ripeto ad Evans le parole che James disse a me quella volta, perché mi erano sembrate così chiare ed esplicite e lampanti. – Ma va bene, no? Sono loro. Siamo noi.
Evans continua a fissarmi perplessa e probabilmente era il contesto a renderle convincenti o forse solo la voce di James, che è così bravo a far suonare convincente e sensata anche la più assurda delle idee.
Con tutta probabilità ora Evans ha capito perché passo tutto il mio tempo con quelli che secondo lei sono degli idioti: perché ora anche io sono un idiota ai suoi occhi. Ma va bene, non è mai stato importante che gli altri capissero.
- Non è stato illuminante, vero? – commento con un sospiro, mentre raggiungiamo le scale.
- Non particolarmente, - replica lei con un’alzata di spalle e non sembra sorpresa dal mio fallimento. – Ma non ti abbattere, forse il prossimo anno andrà meglio, mh? Io controllo il sesto piano e tu il quinto?
 


- - -
 

 
Hogwarts 1973 – Dormitorio di Grifondoro, Secondo Anno.
  

- Lo direte a tutti?
- Cosa?
- Quello che avete scoperto. Quello che sono. Un-
Sto per dire la parola, quando James mi interrompe, ed ora gli occhi sconcertati di tutti sono puntati su di lui, perché che Peter non ha un’ottima forma fisica è lampante, ma non vedo il senso di sottolinearlo in questo momento, né come possa c’entrare qualcosa con la mia Licantropia.
- Peter è grasso, – ripete James convinto, ignorando i nostri sguardi perplessi. - Così grasso che se lo spingessimo fuori dal cancello di Hogwarts rotolerebbe fino ad Hogsmeade. E ruba sempre la mia porzione di budino a cena, come se io non lo vedessi.
Le guance di Peter stanno assumendo velocemente un colorito roseo e Sirius studia James assorto, gli occhi socchiusi come se ci fosse qualcosa scritto proprio sulla sua fronte e lui non riuscisse a leggerlo.
- E Sirius ha un pessimo senso dell’equilibrio, non pronuncia mai due parole di fila senza essere sarcastico e rifugge il contatto umano peggio di un unicorno, – prosegue James, gli occhi nocciola fissi nei miei, mentre l’ultimo chiamato in causa aggrotta la fronte. – E non riuscirebbe ad afferrare una Pluffa nemmeno se gliela lanciassi direttamente in mano.
Ed io ho fatto esplodere ogni singola pozione abbia mai provato a fare dal primo anno ad ora, senza nessuna eccezione e credo che Lumacorno abbia paura di me. E potrei volare anche senza scopa perché sono un pallone gonfiato, senza contare che i miei capelli sfidano le leggi della gravità, e tu adori la gravità e le leggi e tutte quelle cose noiose.
Tu invece hai un piccolo problema peloso, sei terribilmente paranoico e lasci le carte delle Cioccorane in giro per tutto il dormitorio, anche nel mio letto – e davvero non capisco come facciano a finire sotto le coperte. E c’è il serio rischio che tu diventi Prefetto un giorno e allora sarai ancora più rompiscatole di adesso. Ma va bene, no? Siamo noi.
E alla fine capisco, lo capiamo tutti, che questo è semplicemente il modo di James per dirmi che è ok, anche se sono un Licantropo. Che andrebbe bene qualunque cosa, per ognuno di noi.
Ed è strano che la cosa più bella che qualcuno mi abbia mai detto sia composta principalmente da quelli che la maggior parte delle persone catalogherebbe come insulti.
È strano, ma va bene. Perché siamo noi.
 


*


 
- Tocca a te, Pad.
- Ho sonno, - mormora Sirius con voce impastata, rigirandosi stancamente sul divanetto di fronte a me, lanciando un’occhiata svogliata alla scacchiera in mezzo a noi. - Tanto sonno. Sonno sonno.
- E a me non importa nulla, - replico atono, rinunciando al proposito di concludere la partita, dato che Sirius non sembra avere la forza necessaria per sollevare un braccio, muovere un qualsiasi pezzo e farsi stracciare. Non è un bene, perché ora passerò tutta la sera con la voglia di trionfare su qualcuno, dato che ero così palesemente sul punto di vincere, come d’altro canto faccio sempre. – Proprio nulla. Nulla nulla.
- Sei un pessimo migliore amico, - si lamenta Sirius, la testa abbandonata contro un cuscino dorato e lo sguardo perso nella tappezzeria scarlatta del soffitto. - Peter non mi tratterebbe così: quando tornerà dalle vacanze di Natale lo promuoverò a mio nuovo amico principale. Ed ora portami a letto per farti perdonare.
- Non sei il mio tipo, - replico corrucciato, estraendo la Mappa del Malandrino. Non sono nemmeno le dieci di sera e il mio migliore amico si sta addormentando, mentre l’altro mio amico è un Prefetto che se ne sta in giro a far rispettare le regole: tutto questo è inammissibile. - E distruggerò il tuo letto, sappilo. Per puro divertimento.
- Dormirò nel tuo, se lo farai, – biascica Sirius e ho l’impressione che non dormirà proprio in nessun letto questa notte, a giudicare da come le sue palpebre calano sempre di più.
- Qualcuno potrebbe pensare che tu ci stia provando con me, Black, - replico vago, prima di lanciarmi un’occhiata guardinga attorno e puntare la bacchetta sulla mappa. – Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.
Sirius mi sta dando le spalle ora e lo sento appena borbottare qualcosa d’incomprensibile contro lo schienale scarlatto del divanetto. Mentre ripiego la mappa e mi avvio baldanzoso verso l’uscita del ritratto, sotto gli sguardi sospettosi dei miei compagni che danno così tanta importanza al coprifuoco, rifletto vagamente sulle elevatissime possibilità che Sirius si ritrovi con la faccia dipinta due volte nello stesso giorno: addormentarsi in una Sala piena di Grifondoro annoiati è un errore da principianti.


 
*


 
È da qualche minuto che ho iniziato a sentire dei passi.
Mi sembrano piuttosto vicini a me e soprattutto li sento solo mentre sto camminando: in effetti potrebbero essere i miei passi e questo spiegherebbe perché continuano a seguirmi e a sparire non appena mi fermo. Ha senso, ma non è una spiegazione che sono disposta ad accettare, non quando la scuola è piena di studenti che non aspettano altro che lo scattare del coprifuoco per iniziare a girovagare per i corridoi senza scopo alcuno, giusto per provare il brivido del proibito sulla loro pelle. E raggiungete le cucine e chiudetevici invece che seguire me se volete il gusto del proibito, no? Almeno oltre a quello, sentirete anche il gusto delle crostate di mele degli elfi domestici, che è molto più sfizioso del proibito, parola mia. Ma no, chiunque sia uscito dalla sua Sala Comune questa sera pare proprio aver deciso che è più soddisfacente seguire me. Perché sì, qualcuno mi sta seguendo, a questo punto ne sono convinta. Non negherò di poter essere appena un po’ paranoica, perché è esattamente questo il compito di noi Prefetti: essere paranoici e sventare tutte le infrazioni al regolamento, a partire da quelle che non esistono. Mi piacerebbe pensare che al quinto anno veniamo scelti in base a chissà quali mirabili capacità che i professori vedono in noi, ma credo proprio che sia questo l’unico criterio con cui ci scelgono in realtà: tu sei paranoico abbastanza, eccoti la spilla, tu no, sei troppo rilassato, sparisci, invece tu sospetti anche della tua ombra, mi piaci: magari ti faccio direttamente Caposcuola.
- Hominum Revelio, – Indipendentemente dal fatto che la McGranitt le abbia viste o meno tuttavia, ho anche altre qualità che mi rendono il Prefetto ideale, oltre all’essere paranoica: la mia lieve tendenza al comando è una ed i riflessi pronti sono un’altra. Sono piuttosto soddisfatta del mio scatto repentino: l’incantesimo non è andato proprio a segno, d’altro canto la mia bacchetta ha effettivamente rivelato qualcosa, sferzando l’aria alle mie spalle. Non ha toccato nulla, ma l’armatura a pochi passi da me sta vacillando pericolosamente ora, dopo che qualcuno ci ha evidentemente sbattuto contro nel tentativo di allontanarsi da me prima di essere toccato. E c’è solo una persona ad Hogwarts che passa la metà del suo tempo ad essere invisibile – e a parer mio non è comunque sufficiente, che se si incollasse permanentemente quel suo mantello alla pelle Hogwarts sarebbe una visione migliore.
- Attenta, Evans, - La testa spettinata di Potter spunta improvvisamente dal nulla, subito seguita da una spalla e parte del collo ed io mi ritrovo a sperare che la situazione resti questa almeno per un po’, perché se devo passare da una paradisiaca condizione caratterizzata dall’assenza di Potter ad una in cui invece sono costretta a sopportare Potter nella sua interezza, allora credo che dovrebbe essere perlomeno un processo graduale. - Volevi cavarmi un occhio per caso?
- Non negherò che mi arrecherebbe un grande piacere mutilarti, Potter, - ammetto immediatamente, abbassando la bacchetta: tanto non esistono incantesimi in grado di bloccare la sua idiozia. - Anche se io inizierei dalla lingua, così magari staresti zitto.
Tagliare la lingua ad una persona non è un’azione pulita, ne sono sicura: dev’essere coinvolto un sacco di sangue e ci sarebbe di mezzo anche della saliva e sarebbe appropriato indossare dei guanti protettivi, anche se la plastica renderebbe il tutto ancora più scivoloso e disagevole. Il fatto è che essere la persona a cui la lingua viene tagliata dev’essere ancora peggio e nessuno sano di mente la riterrebbe un’esperienza piacevole, ma ora io ho detto lingua e Potter sta sorridendo sornione, quasi sopraffatto dal bisogno di replicare. Non riesce a credere che io abbia detto lingua davanti a lui e nemmeno io ci riesco, perché è stato davvero un errore da principianti e mentre Potter si sporge verso di me, scoprendosi ulteriormente, incrocio rassegnata le braccia al petto con un sospiro.
- Tutto quello che ho sentito, Evans, - Potter scandisce bene le parole, enfatizzando ogni movimento delle labbra come a prolungare questo momento il più possibile. - È che la mia lingua ti arrecherebbe un grande piacere.
- Sì, lo so, Potter. C’era una mutilazione di mezzo che il tuo cervello ha censurato, ma è ok, non è colpa tua se sei nato così: non ti arrivava abbastanza ossigeno quando eri nel pancione o qualcosa del genere, - replico spedita, perché io invece non ho alcun interesse a prolungare questo momento o qualunque altro momento in cui non ci sono almeno tre piani tra me e l’individuo qui presente. - Quello che invece è colpa tua è il fatto che sei qui, fuori dalla nostra Sala Comune, oltre il coprifuoco.
- Anche tu con questa storia del coprifuoco? – Potter rotea teatralmente gli occhi al cielo, sistemandosi meglio il mantello argenteo sulle spalle e facendo ripiombare buona parte di sé nell’invisibilità. Bravo, continua così e sparisci nell’oblio. – Non capisco perché siate tutti così fissati. Che succede alle nove esattamente? La scuola pullula improvvisamente di creature mostruose che divorano chiunque metta piede fuori dai dormitori?
- La scuola pullula già di creature mostruose, Potter, - replico con un sorrisetto falso, fissandolo intensamente, giusto per fargli capire che ogni allusione gli sembri di cogliere è totalmente voluta. – E quello che succede è che, a differenza di tutto il resto del giorno, posso trascinarti dalla McGranitt non appena mi spunti davanti e stare a guardare mentre vieni punito.
- E perché dovremmo svegliare la McGranitt? – Potter spalanca platealmente gli occhi, come se gli avessi appena proposto di svaligiare la Gringott. E anzi, a pensarci bene quella è un’offerta che lui potrebbe anche accettare. - Se vuoi passare un po’ di tempo con me, basta chiedere, Evans: certo che ti tengo compagnia durante la ronda.
Potter mi supera di qualche passo, prima di voltarsi verso di me con un sorriso che nelle sue intenzioni dovrebbe essere allettante.
- Stavi andando di qua, no? Vedrai, non ci sfuggirà nessuno, - continua entusiasta, passandosi una mano tra i capelli. - Consegneremo alla giustizia tutti i poco di buono che violano il coprifuoco e Hogwarts sarà di nuovo un luogo sicuro.
- Certo, Potter, - replico impassibile, senza muovermi di un passo. - Ti ci vedo a catturare il tuo amico Black.
- Oh, magari, Evans, magari: in questo momento è in catalessi su in Sala Comune, mentre probabilmente i bambini del primo anno gli disegnano cose disdicevoli sulla faccia, - Potter scuote la testa abbattuto, un’aria contrariata sul volto. – Dev’essere stato morso da un Tassorosso ed ora si sta trasformando in una mezza calzetta, non c’è altra spiegazione.
- Facciamo così, Potter, - sospiro chiudendo gli occhi per un momento, spingendo in un angolo della mia mente il fatto che sono un Prefetto e che questo non dovrei farlo. – Se sparisci immediatamente sotto quel mantello e te ne torni subito in Sala Comune, lasciandomi continuare la ronda in pace, fingerò di aver passato gli ultimi due minuti a parlare con quest’armatura, d’accordo?
Potter punta pensoso gli occhi sull’armatura scintillante alle mie spalle, in particolare sulle spalle possenti e corazzate e subito punta il petto all’infuori, assumendo un’aria gongolante.
- Sì, Evans, sì: noto una certa somiglianza.
- Potter, – sibilo esasperata, iniziando a provare una sottile invidia per Black: sarei disposta a lasciarmi disegnare attributi maschili sulla faccia dall’intera Casa di Grifondoro pur di potermi abbandonare da qualche parte e spegnere il cervello fino a domattina.
- Ho capito, non riesci a resistermi se mi vedi, - annuisce Potter comprensivo, prima di sparire completamente in un baluginio argenteo. – Così va meglio?
- Va sempre meglio quando non ho la tua faccia davanti, - replico riprendendo per la mia strada, spedita. – Se tieni anche la bocca chiusa fino alla fine del giro potrei dimenticarmi della tua esistenza.
- Non sono uno che si dimentica facilmente, - La voce di Potter continua ad arrivare forte e chiara alle mie orecchie, nonostante l’apparente assenza di un corpo, ed evidentemente lui vuole finire in punizione, non c’è altra spiegazione. - Come funziona, Evans? Se catturo qualcun altro che è in giro, portiamo lui dalla McGranitt ed io mi riscatto?
- Sei già libero, Potter, ok? – sbuffo e non dovrei rivolgergli la parola, perché il suo tono è palesemente divertito e tutto quello che sto facendo io è dargli corda. – La mia insofferenza nei tuoi confronti è così alta che mi porta persino a farti favoritismi: lasciami finire la ronda senza la tua voce irritante che fa da sottofondo e siamo a posto.
- Totalmente a posto? Verrai ad Hogsmeade con me?
- Potter, hai sentito o no? Sei libero, su, vai, vola, corri, via, sciò!
Potter sta borbottando qualcosa a proposito del suo non essere un cane, quando io mi blocco all’improvviso, sentendo dei passi scendere veloci le scale e una voce sussurrare concitata il mio nome.
- Lily, eccoti!
Dean mi si para di fronte, le lentiggini chiare che spiccano sulla pelle arrossata delle guance e gli occhi marroni fissi nei miei. E se persino i Corvonero iniziano ad infrangere il coprifuoco, io allora regalo il mio distintivo da Prefetto a Potter e vado a vivere di sole bacche e funghi nel cuore della foresta proibita.
- Cosa fai qui, Dean?
- Ti stavo cercando.
I miei occhi si spalancano automaticamente, perché c’è stato un tempo in cui erano i Prefetti a cercare quelli che infrangevano il regolamento e non il contrario.
- Lo so, il coprifuoco è scattato da un pezzo ed io dovrei essere nella torre dei Corvonero, - ammette immediatamente lui costernato, iniziando a giocherellare imbarazzato con una ciocca biondiccia. - Ma è da questa mattina che voglio chiederti una cosa e non ti ho trovata da sola nemmeno per un attimo. Ci avevo rinunciato, ma poi ho ricordato che mi avevi detto di avere la ronda questa sera. Vi hanno proprio sfiniti a voi Prefetti oggi, eh?
- Sì, organizzare la partenza per le vacanze è sempre un dramma, - commento, evitando di far notare a Dean che la ronda servirebbe appunto a punire quelli come lui che non se ne stanno buoni nella loro Sala Comune, ma il mio cervello è troppo stanco al momento per togliere punti a persone così sorridenti. La McGranitt disapproverebbe tutto questo. Persino io disapprovo tutto questo. – Ed è proprio per questo che se incontriamo un altro Prefetto non chiuderà un occhio: siamo tutti stressati e con istinti omicidi. Cosa volevi?
- Beh, ecco, - inizia Dean esitante, improvvisamente agitato e forse non avrei dovuto fargli così fretta. Ma ho sonno e c’è troppa gente fuori dal proprio letto in questo momento, compresa me, soprattutto me. Godric, quanto vorrei essere a letto. – So che Lumacorno ti invita ogni anno alla sua festa di Natale, lo ha fatto anche quest’anno, sì? E so che è uno dei pochi inviti del Lumaclub che accetti e so tutto questo perché la tua amica Alice me lo ha detto, non perché ti ho spiato o cose del genere.
Da quando Alice parla con Dean? Beh, Alice parla con tutti in realtà: succede quando non fai altro che muovere ininterrottamente le labbra da mattina a sera. Ma da quando Alice parla con Dean di me a mia insaputa? Questo non infrange qualcosa come mille regole del manuale dell’amicizia?
Sento improvvisamente il bisogno di tornare in dormitorio e soffocare la mia migliore amica con un cuscino. O con qualsiasi altra cosa, non è il mezzo il punto, quanto l’atto in sé, l’aria che non riempie più i polmoni di Alice e la sua pelle che si raffredda gradualmente, fino al gelo totale e bluastro del sonno eterno. Non so perché le fantasie violente si delineino sempre con così tanta dettagliata prontezza nella mia mente, ma un giorno probabilmente finirò ad Azkaban.
- Quindi, mi chiedevo se hai intenzione di portare qualcuno con te, - prosegue Dean leggermente nervoso, accennando un sorriso. - Perché in caso, mi piacerebbe essere quel qualcuno.
Capisco il dilemma di Dean, perché se fosse stato un po’ più bravo a Pozioni, allora Lumacorno avrebbe invitato anche lui alla festa e lui avrebbe potuto limitarsi semplicemente ad invitarmi, mentre ora, non essendo stato invitato, è costretto ad invitare me ad invitare lui, il che è un po’ meno lineare e cavalleresco. Ho già detto che ho sonno e vorrei essere a letto, sì?
- Sul serio? La festa di Lumacorno, tu sì che sai come far divertire una ragazza, Philips, – Capisco il dilemma di Dean anche e soprattutto ora, mentre la testa di Potter spunta improvvisamente dal nulla e Dean si ritrova a fare un balzo all’indietro, sbigottito. – Perché non la inviti in Biblioteca la prossima volta?

 
*

 
- Potter?
Philips mi fissa perplesso e il suo spirito d’osservazione ha del grandioso: dev’essere grazie a quello che riesce a individuare e colpire i bolidi durante le partite di Quidditch, senz’altro.
- No, la fata turchina, – replico con un sorrisetto tirato, mentre lui sposta quei suoi ridicoli occhi a palla da me ad Evans, interrogativo.
- È uno dei motivi per cui non dovresti uscire dalla torre dopo lo scattare del coprifuoco, - sospira lei, senza staccare gli occhi dall’espressione vagamente ebete del Corvonero. - Si fanno pessimi incontri.
- Infatti, Philips, dovresti proprio tornare nella tua torre, - commento convinto, sistemandomi meglio il mantello sul collo: credo che sia più allarmante per lui vedere solo la mia testa che galleggia per aria, apparentemente priva di qualunque appoggio. - Essere qui è così contrario alle regole, non riesco a credere alla tua totale mancanza di rispetto per questa scuola.
Philips non dà segno di avermi sentito e continua a non staccare gli occhi da Evans, che a sua volta ricambia il suo sguardo ed io inizio a sospettare di essere invisibile del tutto, non solo dal mento in giù.
- In realtà non sono così male questi incontri, sai? – mormora Philips piegando le labbra in un sorriso zuccheroso, gli occhi fissi su Evans in un modo così privo di dignità che dovrebbe essere vietato.
- Oh, tutto questo è così romantico, - commento stucchevole, trattenendo l’impulso di gettare il mantello su entrambi e coprire questa scena penosa. - Ora scusatemi un attimo, vomito la mia anima in quel vaso e torno.
Evans rotea gli occhi al cielo e quando sposto lo sguardo da lei, noto che Philips si sta avvicinando a me ora, con il suo solito sorrisetto pacato.
- È un mantello dell’invisibilità, giusto? Bello, davvero. Utile, soprattutto, - esclama rilassato, portandosi di fronte a me. – Ti dispiace?
Esattamente come mi succede sul campo da Quidditch un attimo prima di stringere le dita attorno al boccino, vedo la sua mano avvicinarsi alla mia spalla come al rallentatore e il mio cervello riflette distrattamente su come questa non possa essere la tanto decantata intelligenza della sua Casa, perché nessun Corvonero riterrebbe astuto prendere il mio mantello e coprirmi semplicemente la faccia con esso. A giudicare dalla sua improvvisa rigidità, Philips pare aver capito che la sua non era un’idea fattibile, perché il mio braccio d’altro canto non si è mosso a rallentatore proprio per niente e la mia bacchetta è puntata in modo piuttosto soddisfacente sul suo petto.
- Non toccare il mio mantello, Philips, - scandisco lentamente, serafico, senza staccare gli occhi dai suoi. – Con tutto il miele che coli, lo appiccicheresti.
Philips assottiglia gli occhi e fa per ribattere, ma la sua attenzione viene improvvisamente attirata da qualcos’altro: Evans mi ha appena strattonato il mantello di dosso in modo molto poco aggraziato ed ora se lo sta arrotolando tra le mani e quello non è assolutamente il modo opportuno di piegarlo.
- Ora tu, - le dita di Evans si stringono decise attorno al mio polso, mentre inizia a tirarmi spedita verso la direzione opposta a quella in cui stavamo andando. – Mi segui nella Sala Comune di Grifondoro o giuro che do fuoco al tuo stupido mantello.
- Non prende fuoco, Evans, - commento divertito, lasciandomi tirare senza opporre resistenza. I miei occhi si fissano beffardi su Philips, che ci segue con lo sguardo, perplesso, ormai da qualche metro di distanza. - È ricoperto da un incantesimo ignifugo.
- E allora do fuoco ai tuoi capelli, Potter, chiaro? – sbotta Evans, prima di fermarsi e voltarsi con più calma verso Philips. - Mi dispiace, Dean, sto morendo dal sonno e lui mi dà sui nervi, ci vediamo domani mattina, d’accordo?
- Ok, va bene, - annuisce lui subito, visibilmente e piacevolmente abbattuto. - Non preoccuparti.
- Buonanotte, Philips! – gli grido dietro beffardo, un sorrisetto ironico sulle labbra, mentre Evans ricomincia a tirarmi via. E nel momento stesso in cui la mia voce riecheggia per il corridoio, lei si ferma di nuovo.
- Un’ultima cosa, Dean, - Evans continua a stringere il mio braccio, senza guardarmi, e la sua voce è appena più dolce ora. – Ci verrei volentieri alla festa con te, grazie.
Philips sorride e la parete di pietra alle sue spalle gli crolla improvvisamente addosso, centrandolo in pieno e separando la sua testa dal resto del corpo in un mare di sangue e organi vitali schiacciati a terra, ma tutto questo solo nella mia testa.
Nella realtà Philips continua a sorridere, Evans ricambia il sorriso ed io sto per accasciarmi al suolo per la pateticità della scena.
Stupido Philips.  
Stupido Philips e stupida Evans e stupido Lumacorno e stupida Hogwarts e stupido Natale.
Per un attimo, ma solo per un attimo, mi sento un po’ stupido anch’io.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Ho in mente questo capitolo da talmente tanto tempo che quasi non ci credo che lo sto effettivamente postando.
E non posso che dedicarlo alla mia Catta,
perché aver conosciuto te è il motivo principale per cui sono felice di aver sconfitto il temibile html e pubblicato il prologo di CAS sei anni fa.
(E perché so che questo capitolo non lo vorresti leggere, così te l’ho scritto infinito apposta.)
Sei anni potrebbe essere un modo di dire, ma stando a EFP ho effettivamente pubblicato il primo capitolo di CAS il15/12/09 e questo vuol dire che alcuni di voi stanno aspettando che succeda qualcosa tra James e Lily da esattamente sei anni,
senza avermi ancora mandato a quel paese e senza aver messo in atto nessuna delle minacce che mi avete mandato per mail, recensioni e piccioni viaggiatori ed io davvero non me ne capacito.
(Grazie.)


 

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CAPITOLO 23.

 

 

 

 

- No.
- In che senso no?
- Nell’accezione negativa del termine.
- Beh, lo so quello, non è come se avesse altre accezioni. Voglio dire, come puoi dirmi di no?
- Esattamente come sto facendo.
- Sei il mio migliore amico.
- E sono anche il genere di persona che preferirebbe essere arsa viva piuttosto che mettere piede ad una di quelle noiosissime festicciole di Lumacorno, quindi, no, James non accetterò il suo invito, - Sirius, che ha appena ufficialmente smesso di essere la mia persona preferita al mondo, se ne sta bellamente appollaiato sulla poltroncina più vicina al caminetto acceso e non ha l’aria costernata che uno dovrebbe avere mentre rifiuta favori al proprio migliore amico. - Tu piuttosto, perché diavolo ora ci vuoi andare?
- Non ci voglio andare, - preciso con uno sbuffo, passandomi nervosamente una mano tra i capelli. - Ma non ignorare quello che lui crede sia un grande onore e farmi vedere alla sua festa potrebbe essere d’aiuto alla causa arrivare almeno ad ottenere Scadente in pozioni.
- Non fare esplodere tutte le pozioni che prepari sarebbe utile alla causa, - Sirius mi rivolge un sorrisetto accondiscendente e non ha evidentemente idea di cosa sta parlando: le mie pozioni falliscono in una vasta gamma di modi diversi, che non comprendono sempre una banale esplosione. - E comunque l’ultima volta che ne abbiamo parlato non volevi andarci.
- Ero giovane e stupido.
- Era ieri.
- Esatto, ventiquattr’ore fa, un’infinità di tempo: sai quanti boccini sarebbe in grado di acchiappare Roderick Plumpton in tutte quelle ore? – Io lo so, per inciso, come so tutto quello che riguarda il miglior Cercatore di Quidditch al mondo. In via potenziale, ecco, se avessi qui una pergamena ed una piuma potrei calcolarlo, partendo dal suo tempo minimo di tre secondi e mezzo per cattura, ma non credo che a Sirius tutto ciò interessi particolarmente. - Ed ora dimmi che verrai, almeno non sarà totalmente noioso.
- Non ci vai con Lizzie?
Sirius mi guarda perplesso ed io aggrotto le sopracciglia, corrucciato.
- Sì, Sirius, ma non ti sto proponendo di venire come mio accompagnatore, lo hai capito, sì? Avevamo bevuto entrambi troppo Whiskey Incendiario quella volta al quarto anno, pensavo fosse chiaro.
- Non menzionare la volta al quarto anno, James. Noi non parliamo della volta al quarto anno, - Sirius si sporge verso di me abbassando la voce e pare piuttosto convinto di quello che dice, ma a me sembra proprio che ora ne stiamo effettivamente parlando. - Ciò che succede al quarto anno, resta al quarto anno.
- Stai dicendo quarto anno davvero un sacco di volte per essere quello che non lo vuole menzionare.
- Voglio dire, - Sirius chiude gli occhi per un attimo spazientito ed io trattengo un sorrisetto soddisfatto. - Lizzie è così noiosa se tu hai bisogno che ci sia anch’io?
- No, Godric, no, non è quello che intendevo, - replico immediatamente, scoccando un’occhiataccia al mio migliore amico, perché Lizzie è divertente ed è l’unica ragazza in tutta Hogwarts con cui vorrei andare alla festa di Lumacorno. Proprio l’unica, neanche sforzandomi riesco a pensare a qualcun’altra che avrei potuto invitare; e perché dovrei sforzarmi poi, quando è già tutto così perfetto e lei non fa che dirmi sì, sì e ancora sì? - Ma ci sarà Lumacorno e tutti i suoi amici che hanno l’età di Silente quando aveva già duemila anni e saranno tutti noiosi al punto tale che servirà quanta più gente divertente possibile per contrastare la loro ondata depressiva.
- Quindi ti stai esplicitamente appellando al mio grandioso senso dell’umorismo, - Sirius mi fissa con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra e una parte di me sa che non c’è davvero nulla che io possa dire in questo momento per farlo smettere di gongolare prima di stasera. – È questo che stai facendo?
- Non esplicitamente.
- D’accordo, ma implicitamente sei in ginocchio di fronte a me e mi hai appena eletto a persona più divertente dell’intero creato, sì?
- Sto riconoscendo il la tua bravura nel nasconderti sotto il mantello dell’invisibilità e tirare giù i pantaloni ai Serpeverde, fattelo bastare.
Sirius non è il tipo che si fa bastare le cose, soprattutto quando gli viene detto di farlo, ma ha quello sguardo ora, quello che gli compare in viso solo quando si parla di lasciare i Serpeverde in mutande ed esposti al pubblico ludibrio, ed io so che è fatta.
- Levati quell’aria vittoriosa di dosso, Prongs, non ho ancora detto sì.
- La tua faccia l’ha detto.
- Lo saprei se la mia faccia avesse detto qualcosa, - sbuffa Sirius, dando prova di grande ingenuità: la sua faccia non fa che dire cose a sua insaputa per la maggior parte del tempo. Tendenzialmente cose offensive, ma non in questo caso: ora la sua faccia dice solo che non vede l’ora di movimentare la serata e infilare cibo nei vestiti della gente. – Ma mettiamo che io decida di venire, farai una cosa per me prima?
- Qualunque cosa, - accetto allegro, prima di ricordare che quando si lascia carta libera a Sirius le cose non finiscono mai bene, senza feriti e con tutti i vestiti ancora addosso. - A parte un sacco di cose, probabilmente quasi tutte quelle che stai pensando, ma dimmi.
Le labbra di Sirius restano immobili, il che non è esattamente quello che intendevo con dimmi, ma i suoi occhi si fanno improvvisamente molto eloquenti ed io sospiro rassegnato prima di alzarmi dal divanetto.
- D’accordo, ma saliamo in camera: non possiamo farlo qui.
 

*
 
- Ehy, Remus, 
Sono a pochi passi dalla mia stanza, quando Frank spunta dalla porta accanto e mi si piazza di fronte, con l’aria di chi ha proprio intenzione di intraprendere una conversazione di dubbia lunghezza con me. La mia vescica sta scoppiando ed io ero così vicino, così vicino. Ma ormai Frank mi ha salutato e le norme sociali mi impongono di fermare la mia folle corsa verso il bagno, ricambiare il saluto ed interessarmi educatamente alla vita del mio compagno di Casa, anche mentre sto in realtà immaginando vividamente l’effetto che farebbe una macchia umida che si allarga sui miei pantaloni.
- Ciao, Frank, tutto bene? 
- Sì, bene. No, non proprio in realtà, ma senti, tu sei un Prefetto: sai per caso come funziona questa sera con quella cosa?
- Intendi la festa di Lumacorno? – domando pacato, ignorando la mia vescica che subito decide di ricordarmi con una fitta spiacevole che alle feste si serve da bere e tutte le bevande sono allo stato liquido, che è lo stato che mi sta creando così tanto disagio al momento.
- Sì, ma non dirlo, ok? Lasciami solo fingere per qualche altra ora che non è lì che andrò stasera.
Non sono l’unico a non essere a proprio agio al momento: Frank sembra piuttosto sconfortato, come d’altro canto più o meno tutto il gruppo che all’ultima lezione di Pozioni ha vinto un invito automatico ad ogni futura iniziativa del Lumaclub, gruppo di cui io non faccio parte: la mediocrità a volte ha i suoi vantaggi.
- Mi dispiace, Frank.
- È ok. Insomma, ci sono cose peggiori al mondo, no? Ora non me ne viene in mente nessuna, perché persino passare la serata con la testa infilata nella tazza del water senza respirare sembra più allettante che spendere due ore della mia vita a vedere Lumacorno che lecca il culo agli ex celebri membri del Lumaclub e gli attuali membri che lo leccano a lui, ma sono sicuro che da qualche parte qualcuno stia avendo una giornata peggiore della mia.
- Mia zia Astrid ha la dissenteria, - annunciano le mie labbra prima che io possa fermarle, cercando di rendersi utili in qualche modo. Frank mi guarda perplesso ed io mi sento costretto a specificare: - Mia madre mi ha mandato una lettera questa mattina.
- Non volevo portare la conversazione a questo punto, - commenta Frank, sembrando ancora più abbattuto di prima. - Volevo solo sapere se io e Alice rischiamo per caso di prenderci una punizione al ritorno.
- Oh, no, è tutto apposto con il coprifuoco, - lo tranquillizzo, prima di rendermi conto che probabilmente questo non è per niente quello che voleva sentirsi dire. Ho appena privato Frank della sua unica scusa per non presentarsi alla festa, ma la mia vescica è troppo piena per permettermi di esserne dispiaciuto. - Lumacorno ha già fornito la lista degli invitati ai Prefetti di ronda.
- Ah. Che fortuna, – commenta Frank con la stessa energia vitale di Ruff, che è eccessivamente morto persino per essere un fantasma. Io gli rivolgo un sorriso comprensivo, mentre guadagno velocemente terreno: la mia mano è a pochi centimetri dalla maniglia della camera ora.
- Si aspetterà che anch’io faccia il ruffiano? – La voce pensosa di Frank mi fa bloccare con le dita attorno alla maniglia gelida e questo è il momento in cui la mia vescica decide di iniziare ad inneggiare all’anarchia totale all’interno del mio corpo, cospirando per rovesciare tutto il sistema su cui si basa e riordinare le priorità, ponendo se stessa al primo posto e l’educazione all’ultimo. - Devo per caso fargli un complimento sulla lucidità dei suoi baffoni o qualcosa del genere? Perché davvero non voglio farlo.
- Credo che tu possa limitarti ad auguragli un buon Natale, Frank, - mi costringo a replicare gentilmente, sedando faticosamente ogni rivolta interna. - I suoi baffi non sono poi così lucidi.
Frank annuisce lentamente e pare improvvisamente immerso in un mondo tutto suo, dove al centro ci sono i baffi di Lumacorno e la mia presenza è solo un dato marginale, così mi affretto a fiondarmi in camera, richiudendomi la porta alle spalle. Mormoro un saluto veloce ai miei amici, prima di fiondarmi in bagno ed è solo mentre mi lavo le mani, godendo del tepore dell’acqua sulla pelle fredda, che mi ritrovo a corrugare la fronte.
- Ho solo una domanda, – annuncio tornando in camera e trovando che nel frattempo la scena non è mutata di una virgola. – Perché proprio sul mio letto?
- Non volevamo riempire i nostri di peli, – spiega James con un’alzata di spalle, le dita ancora affondate nella pelliccia folta del cane nero che, steso a pancia in su e con la lingua umida che gli penzola di lato, si gode una sessione di carezze e grattini sul mio baldacchino.
- Capisco. Come ti ha convinto?
 

*
 
- Quanto durerà? Due ore? Tre? Il cibo è buono almeno? Ci sarà del cibo, sì? – Alice continua a marciare sbuffando per la stanza, afferrando oggetti a caso e cambiando loro di posto secondo una logica a me sconosciuta; Mary, che è nel bel mezzo del suo sonnellino pomeridiano, più tardi si chiederà con tutta probabilità come mai le sue pantofole non sono più ai piedi del letto, ma sono sicura che ci sia un motivo per cui Alice ha deciso che stessero meglio sopra la scrivania. Io continuo a sfogliare distrattamente il manuale di Incantesimi, provandone pigramente qualcuno: a parte lei stessa, sono l’unica persona sveglia in questa camera, quindi tutto lascia pensare che Alice si stia rivolgendo proprio a me e il tono interrogativo della sua voce fa presumere la necessità di una qualche risposta da parte mia, solo che non è davvero così. Tutto, e con tutto intendo il fatto che non mi sta dando il tempo di aprire bocca, lascia intendere che le domande di Alice servano solo ad arricchire il suo infinito monologo. – Ma dovevi proprio essere così brava in Pozioni? Voglio dire, non potevi sbagliare almeno per una volta? Frank non è mai stato invitato da Lumacorno ad una delle sue feste, mai, nemmeno una singola volta, ma è bastato che finisse in gruppo con te l’altro giorno ed ora è tutto perduto: invitato automaticamente e per il resto della sua carriera scolastica. Ma perché? Quale mente perversa lo considererebbe un premio? Tu quanti inviti accetti all’anno? Qual è il numero minimo per non finire sul libro nero di Lumacorno? Due, almeno due sicuramente: questo vuol dire almeno altri tre inviti, contando l’anno prossimo. Oh Godric, dammi la forza. Sarebbe tremendamente vile da parte mia rifiutarmi di accompagnarlo, vero? Certo che lo sarebbe, non posso abbandonarlo così: nella buona e nella cattiva sorte, no? Ed ora che mi metto? Tu che ti metti? Non possiamo andarci in divisa e basta?
Alice mi sta guardando ora ed ha effettivamente fatto una pausa più lunga di due secondi, il che significa che è infine richiesto il mio contributo alla conversazione, ma tutto quello che riesco a fare io è trattenere a stento un sorriso, gli occhi socchiusi.
- Hai appena detto nella buona e nella cattiva sorte?
- Cosa?
- Nella buona e nella cattiva sorte. Come ai matrimoni, no? – Le mie labbra smettono di combattere il sorriso ed io mi raddrizzo sul letto, allontanando il libro da me. – Stai per caso già fantasticando di sposare Frank?
Alice mi fissa perfettamente immobile per diversi secondi, prima di spalancare le labbra in una smorfia scandalizzata molto poco credibile.
- L’aria natalizia ti ha dato alla testa? Mary, svegliati, Lily sta delirando.
In qualche lingua a noi sconosciuta, il grugnito assonnato di Mary sta a significare che una mia eventuale pazzia non è nemmeno lontanamente considerabile una ragione sufficiente a farle interrompere il sonnellino prima delle due ore abituali. Il che è un bene, credete a me: nessuno vuole avere a che fare con una Mary privata delle sue ore aggiuntive di sonno.
- Comunque sia, credo che siate tutti troppo melodrammatici, - stabilisco con un sospiro, chiudendo definitivamente il libro: Prefetto o no, non è dignitoso passare il primo giorno di vacanze a studiare. – È solo una festa e non sarà nemmeno così noiosa, ok? Non più di due ore consecutive di Storia della Magia, in ogni caso, con la differenza che Ruff non ci ha mai offerto ananas candito e idromele.
- Non è che Ruff sia un gran termine di paragone, Lil: la stramaggioranza delle cose esistenti sono meno noiose delle sue lezioni.
- Vero anche questo, - concedo con un sorrisetto, prima di lanciare un’occhiata alla finestra. – Ma ora piantala di fare la melodrammatica e seguimi: sento che è giunto il momento di ridare vita a Mr Snow.
Lo so, Mr Snow è il nome più banale possibile per un pupazzo di neve, ma non è questo che conta: l’importante ora è farlo risorgere dalle sue ceneri come una fenice, dopo che Minus l’anno scorso, durante l’ultima nevicata dell’anno, ci è finito sopra per sbaglio, schiacciandolo senza pietà. Se n’è pentito poi e se non fosse stato per l’intervento tempestivo di Madama Chips Minus avrebbe probabilmente perso un occhio a causa della carota: Mr Snow, nato a suon di neve e incantesimi, non era tipo da soccombere senza combattere.
 

**********
 
Remus non parla, Madama Pince non parla, nessuno parla ed il silenzio ormai è così intenso da perforarmi i timpani. Il mio labbro inferiore è saldamente intrappolato tra i denti, perché se non mi assicuro di tenere sigillata la bocca, allora griderò con tutto il fiato che ho in gola solo per coprire la totale assenza di rumori oltre al pigro grattare delle piume contro le pergamene. Non so nemmeno perché debba esserci una Biblioteca a scuola: tutto questo non è sano, dei ragazzi giovani e forti non dovrebbero semplicemente starsene chiusi in enormi stanze polverose piene di libri senza spiccicare parola, quando al di là di queste mura c’è la vita, l’aria fresca, il cielo, il campo da Quidditch, persone che parlano, rumori, il campo da Quidditch, il campo da Quidditch, il campo da Quidditch.
Non sono sicuro del perché io non mi trovi al campo da Quidditch ora come ora, quando quello è così chiaramente il posto in cui dovrei essere adesso ed in qualunque altro momento della mia vita, ma il mio non essere là ha definitivamente qualcosa a che fare con Remus e il suo essere uno scaltro ed infido Prefetto: quando siamo tutti e quattro il potere del gruppo riesce a contrastare il flusso oscuro che emana la piccola, lucida spilla ben in vista sul petto del nostro amico, quell’energia misteriosa che lo pervade e offusca l’aria attorno a lui, affollandola di parole come responsabilitàregoleconseguenze delle proprie azioni. Ma Peter è a casa per le vacanze e Sirius, subito dopo essersi goduto la sua dose immeritata di grattini, si è defilato per fare uno spuntino nelle cucine, così io sono rimasto solo con Remus e la sua spilla da Prefetto. Sono stati bravi, non c’è che dire: non ho nemmeno ascoltato tutte le innumerevoli parole che sono uscite alla velocità della luce dalle labbra del mio amico, ero più che altro ipnotizzato dal bizzarro luccichio della sua spilla. Ed è questo che succede a restare soli con Remus e distrarsi mentre lui parla: ci si ritrova imprigionati in Biblioteca con un manuale di Pozioni di fronte e un rotolo di pergamena vuoto da riempire. Non ne vedo il senso, davvero. Qualcuno ha già scritto su questo libro tutto quello che è necessario sapere sulla Pozione Dilatante, quindi perché mai io dovrei riportarlo su questa pergamena con parole mie e poi consegnarla a Lumacorno? Certo, scriverlo con parole mie porterà tutto ad un livello superiore, dato che sono sicuramente più divertente e brillante di Augustus Salamander, che per avere il tempo e la voglia di scrivere 1200 pagine di Pozioni Avanzate non deve aver avuto una vita molto entusiasmante.
- Moony, mi passeresti quella piuma? Perché ficcarmela in gola e soffocare dev’essere meraviglioso in confronto a questo.
Remus mi passa la piuma senza nemmeno staccare gli occhi dal suo libro e questo non è per niente carino da parte sua.
- Sul serio, sto avendo una reazione allergica a questo posto: dobbiamo uscire da qui.
- Non appena finisci il tema ce ne andiamo, – mormora pacato Remus, sempre senza guardarmi, il che è quasi più frustrante dell’atmosfera depressiva di questo posto. La sua pergamena è ricoperta di fitte righe d’inchiostro ed io mi chiedo come sia possibile che ci sia così tanto da scrivere sulla pozione Dilatante: serve, sorpresa delle sorprese, a dilatare gli oggetti. Fine.
- Speravo che la Mappa sbagliasse e invece siete davvero in Biblioteca il primo giorno di vacanze. Sono in imbarazzo per voi.
Sirius si lascia cadere sulla panca di fianco a me con uno sbuffo ed io non sono mai stato così felice di sentire la sua voce.
- Oh, grazie a Godric sei venuto a salvarmi: Remus mi ha colpito in testa e mi sono risvegliato qui.
- Non ho fatto nulla del genere, - precisa Remus, alzando finalmente gli occhi dal libro e assumendo un’aria contrariata nell’esatto momento in cui incontrano il muffin al cioccolato che Sirius tiene con venerazione tra le dita. – Se ti vede Madama Pince, sei morto, Pad. E poi hai finito di mangiare cinque minuti fa, hai davvero intenzione di continuare?
- Anche tu hai appena finito di respirare, Moony, eppure mi sembra che tu stia continuando a farlo.
Sirius affonda con un sorrisetto compiaciuto qualcosa come metà faccia all’interno del suo muffin e subito un fiume di briciole si riversa sulle pagine intonse del mio libro.
- Ma io non respiro muffin e cosce di pollo.
La voce di Remus si fa appena più stizzita nel momento in cui io soffio con forza di fronte a me e le briciole vanno a finire nel suo spazio vitale, mentre Sirius e il suo muffin si adoperano per procurarmene altre.
- Perché hai quell’aria compiaciuta comunque?
Gli occhi di Remus si sono fatti sospettosi ora, mentre scrutano Sirius in allerta ed il loro proprietario si porta istintivamente sul ciglio della sedia.
- Ho fatto una cosa che non ti piacerà, – replica Sirius, piegando impercettibilmente un angolo delle bocca verso l’alto ed iniziando immediatamente a grondare compiacimento da ogni poro: posso quasi vedere la soddisfazione colargli dal naso e dalle orecchie e spandersi nell’aria attorno a lui in un modo che mi incuriosisce e che sta invece allarmando Remus.
- Hai riempito il mio letto di peli.
- Sì, beh, intendo un’altra cosa che non ti piacerà.
- La maggior parte delle cose che fai non mi piacciono, Padfoot, – puntualizza Remus piccato ed io ridacchio divertito.
- Stai dicendo che non ti piace la mia imitazione di James?
- Tu fai cosa?
Sicuramente ho sentito male: è il mio migliore amico e non farebbe mai una cosa del genere.
- Quando sei agli allenamenti ed io mi annoio, - Se non fosse che questo è esattamente il genere di cosa che farebbe Sirius. - È un ottimo modo per passare il tempo, anche se poi farmi tornare i capelli normali è dura.
E quindi è così. È questo che succede mentre io sono ad allenarmi, costruendo mattone dopo mattone il mio glorioso futuro da miglior Cercatore al mondo: Sirius si scompiglia i capelli, sicuramente in maniera del tutto esagerata, e rovina in segreto l’epicità della mia vita.
- Non ci posso credere. Mi sento così tradito ora.
- Oh andiamo, tutti a scuola hanno fatto almeno una volta la tua imitazione.
 
*
 
Sirius sbatte gli occhi con un sorrisetto innocente, mentre quelli di James si sbarrano in preda all’orrore: ora sarà davvero difficile, se non impossibile, farlo stare zitto per le prossime ore. Sirius dovrebbe imparare a tenere a freno la lingua.
- Potremmo tornare a quello che hai combinato, Padfoot? – intervengo immediatamente, approfittando del fatto che il cervello e le labbra di James sono momentaneamente troppo sopraffatti dall’indignazione per dare segni di vita. - Se sta per esplodere un’ala del castello, gradirei saperlo.
- Non essere melodrammatico, Moony, - Sirius rotea gli occhi al cielo nel tentativo di darsi un’aria sdegnata, riuscendo solo a sembrare ancora più colpevole. – Ero al quarto anno, non era un’ala intera e non l’ho fatto apposta, come ho già spiegato a Silente e all’intero corpo docenti. Comunque, tornando alla cosa fatta...
- Cosa intendi esattamente con tutti? – A quanto pare James non si è slogato la mascella, il che è notevole, considerata l’apertura raggiunta dalla sua bocca nella smorfia di sdegno tenuta finora. - Tutti i Grifondoro? Tutta la scuola? Tutta la Gran Bretagna? Tutti chi?
- Diciamo che potrei essermi imbattuto in un gruppetto di Tassorosso del settimo anno poco fa e dato che sono un gentiluomo mi sono intrattenuto un po’ con loro, come richiede il galateo.
- In quel tutti sono compresi anche i Corvonero? Loro non hanno senso dell’umorismo, come è possibile che...
- E tra una chiacchiera e l’altra, il discorso è caduto casualmente sulla festa di Lumacorno di questa sera, e diciamo che Marlene McKinnon potrebbe o non potrebbe aver avuto l’impressione che ti farebbe piacere accompagnarla.
Cosa? Per quale assurdo motivo avrebbe avuto un’impressione del genere?
- Anche Mocciosus? Mocciosus osa imitarmi?
- Potrei inavvertitamente averglielo fatto intendere io.
Sirius mi guarda con un sorrisetto per nulla dispiaciuto e James si alza di scatto, facendo strisciare la sedia sul pavimento e puntando spedito verso l’uscita della Biblioteca, evidentemente stanco di essere ignorato. Credo che se il portone non fosse due volte più alto di lui e incredibilmente pesante, se lo sarebbe sbattuto alle spalle, giusto per rendere noto a tutti che è ufficialmente offeso. Sirius lo segue con lo sguardo per qualche secondo, poi si volta verso di me ed imita la sua faccia indignata e lo scatto da primadonna che ha fatto per alzarsi. Anche se due ragazzi ci stanno lanciando occhiatacce dal tavolo accanto, non riesco a trattenere una risatina sommessa. Poi ricordo che non è il momento di ridere.
- Non so cosa ti passasse per la testa, Sirius, ma vedi di mettere in chiaro con Marlene McKinnon, a cui peraltro non ho mai rivolto la parola in vita mia, che non ho alcun desiderio di accompagnarla alla festa di Lumacorno, a cui peraltro non sono nemmeno invitato, cosa di cui mi rallegro profondamente.
- Sei quasi sexy quando dici peraltro, lo sai, Moony?
 

*
 
Cammino spedito per i corridoi di Hogwarts senza una destinazione precisa. Ovunque mi giro vedo studenti e non posso fare a meno di immaginare ognuno di loro nell’atto di imitarmi. Tutto questo è ridicolo ed inammissibile: dovrei fare esplodere un gavettone di puzzalinfa in faccia ad ognuno di loro, ecco cosa. A partire da Remus e Sirius: odio essere ignorato. È semplicemente innaturale, non fa parte dell’ordine naturale delle cose che io non goda della totale attenzione di tutti.
Dopo qualche minuto, mi rendo conto che i miei piedi mi hanno portato nella Sala di Ingresso ed io mi congratulo con loro, perché è stata un’idea brillante: fa freddo fuori, quindi saranno tutti chiusi dentro il castello al calduccio e questo vuol dire che il parco è esattamente dove voglio andare ora, lontano da tutti gli altri esseri umani; sono sicuro che gli animaletti del parco non si sono mai divertiti a fare la mia imitazione.
Come metto piede all’esterno, realizzo di aver sbagliato. Non sugli animaletti, su di loro si può sempre contare, ma sulle persone: fa effettivamente freddo fuori, un freddo cane, ma la terra è ricoperta da uno spesso strato bianco, così attraente agli occhi di qualunque ragazzo giovane e pieno di vita. E quindi il parco non è vuoto per niente, ma questo è ancora meglio: lancerò la mia indignazione addosso alle persone condensata in durissime palle di neve, ecco cosa farò.
 

*
 
Sto modellando con cura gli occhi di Mr Snow, chinata in ginocchio sulla neve fresca, quando improvvisamente qualcosa di freddo e bagnato si schianta contro i miei capelli, facendomi spalancare gli occhi. C’è una battaglia di palle di neve a pochi metri da me e non dovrei essere così stupita, d’accordo, ma questo è un colpo basso. Alle spalle, come il più vile dei moscerini. Questo non dovrebbe accadere tra i Grifondoro e soprattutto non dovrebbe accadere a me e non mentre sto aiutando Mr Snow a tornare alla vita. Con una calma glaciale infilo la carota nella testa del pupazzo di neve, dandogli un’ultima accurata sistemata, poi mi volto e mi preparo a far sputare sangue a chiunque mi abbia implicitamente dichiarato guerra.
La verità è che le persone si dividono in due enormi categorie: quelle che hanno il permesso di lanciarmi una palla di neve in testa e quelle che invece non ce l’hanno.
E poi c’è James Potter, che è una categoria a sé stante e che ha appena firmato la sua condanna a morte.
Un gesto rapido della mia bacchetta ed un compatto cumulo di neve più alto di lui si solleva da terra, colpendolo con forza dopo qualche secondo e facendolo cadere all’indietro con un suono sorpreso, subito soffocato dalla valanga che lo travolge e sotterra completamente. Dove un attimo fa si stagliava James Potter, ora si stende un uniforme manto bianco ed immobile e questo è il più bel regalo di Natale che potessi desiderare. Se solo fosse sempre così semplice, farlo sparire nel nulla senza lasciare traccia, la pace dei sensi non sembrerebbe un obiettivo tanto irraggiungibile per me. Sono sicura che non sia nemmeno così antisociale, desiderare che il terreno risucchi e inglobi perennemente un altro essere umano, perché in fondo Potter è lontano dalla normale definizione di essere umano ed è in realtà un ammasso rarefatto di presunzione e idiozia intrappolate per sbaglio in un involucro di carne e capelli. Capelli ridicoli, per l’esattezza, come quelli che stanno rispuntando proprio ora da sotto la neve: oh dannazione, Godric, una cosa ti ho chiesto per Natale, una e invece no, nemmeno le profondità della terra sopportano Potter e lo stanno risputando fuori.
- Questo, - Potter si interrompe per tossire e probabilmente insieme alla neve sta sputacchiando via anche pezzi del suo già esiguo cervello: verrò messa in punizione a vita per averlo reso più stupido di quanto già non fosse. - Questo si chiama barare, Evans.
- Questo si chiama seppellirti vivo, Potter, ed è quello che dovrebbe succederti ogni volta che apri bocca, – puntualizzo soddisfatta, sostenendo il suo sguardo indispettito. Beh, non che io veda effettivamente i suoi occhi: c’è una spessa barriera bianca depositata contro le lenti rettangolari a schermarli. Sto per consigliargli di andarsene sempre in giro così, perché la neve che copre il luccichio arrogante nel suo sguardo è decisamente un miglioramento alla sua immagine complessiva, ma le sue labbra stanno assumendo lentamente una sfumatura violacea, in pieno contrasto col rossore acceso di guance e naso e forse questa volta sono davvero riuscita ad uccidere James Potter. La McGranitt mi ringrazierà sentitamente e poi mi espellerà, ecco cosa succederà, ma tutto quello che riesco a pensare ora è quanto il ragazzo di fronte a me sia assolutamente ridicolo, mentre si passa la mano nuda tra i capelli carichi di neve, prima di ritrarla con uno scatto, come se si fosse scottato.
- Dannazione, Evans, ho neve ovunque, – si lamenta scrollando forte la testa, una vaga traccia di disperazione nella voce. Mentre io decido di non indagare sull’esatta natura di quell’ovunque, un pezzo di neve spropositatamente grosso si stacca da una ciocca inzuppata e colpisce in pieno il mio naso, facendomi arretrare di un passo: i capelli di Potter, in questo momento più dotati di vita propria del solito, mi hanno appena lanciato una palla di neve e questo non va bene.
- Non in bocca a quanto pare: continuo a sentirti parlare, – replico impassibile, cercando inutilmente di asciugarmi il viso con la lana umida dei guanti. Potter nel frattempo si sfila gli occhiali per pulirli, rivelando gli occhi nocciola resi lucidi dal freddo che spaziano attorno a lui, evidentemente in cerca di un cartello luminescente che gli indichi un panno per occhiali o anche solo un pezzo di stoffa asciutta magicamente evocato dal nulla.
- Morirò qui e tutto per la tua slealtà, - sospira infine, abbandonando gli occhiali a terra e divincolandosi convulsamente nel tentativo di riesumare anche la parte inferiore del suo corpo. Resosi conto della sconfitta, inizia a tastare freneticamente la neve alla ricerca della bacchetta, senza risultato; credo che per la prima volta in vita sua, Potter abbia ragione: morirà qui ed il mondo mi appare di colpo più bello. - È la regola, Evans: non lanciare addosso agli altri più neve di quanta tu sia in grado di sollevare con le tue sole forze.
- Non colpire persone che vogliono ucciderti sarebbe una regola più utile alla sopravvivenza, Potter. Così, giusto per informazione.
I suoi occhi si puntano sospettosi sulla punta della mia bacchetta e probabilmente la stessa immagine si sta affacciando ad entrambe le nostre menti: è ora del colpo di grazia. Siamo circondati da Grifondoro impegnati a giocare con la neve, se non fosse che nessun Grifondoro è in grado di giocare e basta, il che vuol dire che questo è in realtà un campo di battaglia ed ogni presente è nel mezzo di una competizione all’ultimo sangue, totalmente indifferente ad un eventuale omicidio che si compia a pochi metri da lui. Le mie labbra si schiudono prima ancora che io abbia deciso effettivamente se liberare Potter o spingerlo ancora più a fondo nella neve, ma un rumore sinistro, fatto di un numero indefinito di piedi che corrono veloci verso di noi e cori sinistri, mi induce a voltarmi. Potter, al mio fianco, trattiene il fiato e riesco a sentire anche tutti gli altri Grifondoro acquietarsi poco alla volta, finché il silenzio totale non conquista tutti i presenti, ora immobili con lo sguardo rivolto al castello. Un soffio esce involontariamente dalle mie labbra, assumendo la forma inequivocabile di un ‘oh merda’, mentre Potter resta in silenzio, probabilmente perché l’ibernazione è ormai ad un livello troppo avanzato perché lui possa di nuovo muoversi, ma sono sicura, dal suo sguardo, che sia d’accordo con me.
C’è una specie di ondata verde e argento, perfettamente sincronizzata ed implacabile, che si muove a velocità disumana verso di noi, con l’aria di chi sta mettendo in atto un attacco premeditato ed organizzato nei più minimi dettagli. Devono aver passato giorni a mettere a punto il piano e la formazione, consultandosi ed esercitandosi in attesa della prima nevicata: probabilmente hanno riempito interi rotoli di pergamena con vari schemi d’attacco, nulla a che fare con la spontanea ingenuità che ha fatto ritrovare qui quasi tutti i Grifondoro. Azzardo una veloce occhiata alle mie spalle, nella vana speranza che qualcuno stia reagendo in un modo più produttivo del semplice spalancare la bocca in una smorfia d’orrore, ma nessuno si muove: Frank, a cavalcioni su un inerme Mike, si è immobilizzato nell’atto di spiaccicargli una palla di neve in faccia e quella, abbandonata nel suo palmo levato in aria, sgocciola pigramente sulle guance di Mike, che non sembra farci caso, anche lui con gli occhi puntati sull’esercito nemico.
- Ci attaccano, - mormora Alexis Mason, Battitrice di Grifondoro, parlando più a se stessa che altro, prima di alzare di colpo la voce, uno scintillio deciso ad animarle gli occhi castani. - I Serpeverde ci attaccano! Prepararsi alla battaglia! Tutti ai propri posti!
Sono abbastanza sicura, e i movimenti scomposti dei miei compagni ne sono una conferma, che nessuno abbia una minima idea di quale sia il proprio posto di battaglia, dato che nessuno ci ha mai veramente informati che ci sarebbe stata, questa battaglia. Quello che so è che quello occupato da me e Potter è sicuramente il posto peggiore in cui trovarsi, esattamente tra l’orda barbarica di Serpeverde, sempre più vicina, e gli altri Grifondoro che vagano senza meta, scontrandosi l’uno contro l’altro in preda al panico più totale.
- Ci uccideranno! – grida una vocina esile, appartenente con tutta probabilità ad uno studente del primo anno. E i primini sono sempre la voce della verità. – Sono troppi, dobbiamo scappare!
Questa è un’idea intelligente, mi ritrovo a pensare, prima che un’ondata di dissenso si diffonda rapidamente e prevedibilmente alle mie spalle: è un’idea sensata e pertanto non può essere accolta tra le fila dei Grifondoro.
- Meglio la morte della fuga, - proclama qualcuno di particolarmente ispirato, mentre le grida dei Serpeverde, ora non più così lontani, si fanno improvvisamente distinguibili. Decido di non soffermarmi sulla parola più ricorrente che mi giunge alle orecchie e che assomiglia tanto a morte, dato che non vedo proprio perché un branco di Serpeverde dovrebbe gridarla ferocemente mentre ci corre incontro con espressione omicida: è più probabile che stiano gridando torte o qualcosa del genere. Forse non vogliono ucciderci, ma solo proporci di fare merenda tutti insieme.
- Che nessuno abbandoni il campo, siamo Grifondoro! - La voce di Frank si eleva improvvisamente al di sopra delle altre, incredibilmente ferma. – Se è la nostra fine, allora faremo una grande fine!
Non tutti sono convinti, ma è sufficiente che qualcuno lanci un grido di battaglia e subito gli altri lo seguono, infervorandosi: la verità è che possiamo fingere che la nostra Casa sia caratterizzata da onore, fegato, cavalleria, lealtà ed orgoglio, ma l’unico motivo per cui il cappello ci ha spediti tutti a Grifondoro è quella vena di follia ed esaltazione che ci prende nel momento in cui la situazione si fa disperata, il sottile istinto suicida del scegliere sempre e comunque il combattimento, per quanto disperato e senza speranza, quando l’alternativa è la fuga. C’è anche quella storia riguardo al fatto che siamo schiacciati tra i Serpeverde e la Foresta Proibita e non è come se avessimo effettivamente una direzione in cui fuggire, ma sono sicura che questo dettaglio verrà omesso negli epici racconti futuri di questa giornata.
- Tutti dietro ai fortini, presto! – Alexis corre a ripararsi dietro una delle piccole barricate di ghiaccio e neve ammonticchiati a mo’ di trincea, non proprio in posizione strategica per fronteggiare in modo compatto un attacco frontale, dato che sono nati in una rilassata atmosfera di tutti contro tutti in cui nessuno rischiava davvero morte e mutilazioni varie. – Non cedete terreno! Ogni Grifondoro che cadrà dovrà portare con sé quanti più Serpeverde possibile!
Io e Potter siamo un po’ più distanti dal resto dei nostri compagni, ma fortunatamente c’è una piccola barriera abbandonata a pochi metri da noi, piuttosto bassa e sbilenca a dire la verità, pressoché inutile, ma sempre meglio di nulla. In men che non si dica mi ritrovo a correre a fatica nella neve alta per raggiungerla, mentre i cori ostili e velatamente offensivi dei Serpeverde si fanno ancora più forti: arrivano. Se non altro saranno stanchi, dato che si sono fatti tutta la strada dal castello ai duecento all’ora e correre sulla neve, come sto constatando tra una falcata e l’altra, è tutto meno che facile. 
- Colpite alle gambe! – grido agguerrita, mentre mi getto dietro il fortino ed inizio ad assemblare palle di neve alla velocità della luce. Cadranno tutti come birilli ed impareranno che Grifondoro è la Casa sbagliata contro cui organizzare imboscate. – Sono già deboli, abbattiamone il più possibile a distanza!
Godric, lo sapevo: le mie doti da stratega tornano a farsi sentire.
Se solo avessi un esercito, dannazione.
- Capitano, che stai facendo? Levati da lì!
Continuo per un tempo indefinito a preparare un numero dignitoso di palle di neve, sola dietro la mia barriera di fortuna, l’eccitazione che mi scorre nelle vene, prima di realizzare che c’è una sola persona a cui un membro della squadra di Quidditch potrebbe rivolgersi con ‘Capitano’. E così ricordo di aver appena abbandonato Potter mezzo sepolto nella neve ed in prima linea di fronte all’ondata di Serpeverde che sta marciando verso di noi con grida da invasati. Devo fare violentemente forza su me stessa e concentrarmi a lungo sulle braccia muscolose di Alexis, che mi picchierebbe con la sua mazza da Battitrice se il suo Capitano finisse in Infermeria a causa mia, prima di riuscire a catalogare l’informazione come negativa e non motivo di gioia ed orgoglio. E poi ho sempre voluto provare a farlo.
- Accio Potter.
Che è stata una pessima idea, lo realizzo nel momento stesso in cui pronuncio l’incantesimo, prima ancora di affacciarmi oltre il fortino per vedere se sta funzionando. È il modo in cui suona sulle mia labbra, Accio, che serve per richiamare, e Potter: è così palesemente qualcosa di sbagliato, di innaturale, quando l’unico incantesimo che dovrei accostare a quel nome sarebbe Repello. Ed infatti vengo immediatamente punita per aver assecondato una tale follia e sia mai che Potter, una volta richiamato, non si precipiti ad infastidirmi. Per la precisione, il suo corpo, appellato con una forza inaspettata, sfonda la barriera di ghiaccio e neve che doveva essere la nostra ancora di salvezza e mi finisce addosso dolorosamente, in un ammasso di arti e neve e capelli tutt’altro che piacevole. E me lo merito, non c’è scusa che tenga, merito di essere schiacciata da Potter e non so quanti chili di neve gelida e durissima, merito il dolore della botta ed i rivoli di ghiaccio che mi si infilano sotto i vestiti, scorrendomi lungo la pelle calda della schiena e facendomi rabbrividire. Ho dei capelli non miei in bocca, un labbro spaccato, neve in parti del corpo che non sapevo nemmeno di possedere e non riesco assolutamente a muovermi e questo è esattamente quello che mi merito per aver appellato James Potter.

 
*
 
Cazzo.
Questo ha fatto male.
- Cosa, - le mie labbra, che potrebbero essere benissimo le labbra di qualcun altro per quanto non riesco assolutamente a sentirle, si muovono a fatica contro la neve che c’è sopra la mia faccia, mentre non oso aprire gli occhi. Non che vedrei comunque qualcosa, senza occhiali. – Cosa è appena successo?
Ero quasi riuscito a liberarmi dalla neve ed ero pronto a scappare a gambe levate, dal momento che ogni Malandrino sa riconoscere il momento propizio per battere in ritirata, quando è successo. Avevo già perso la sensibilità delle mani e stavo morendo di freddo, con le gocce gelide che dai capelli mi scorrevano lungo il collo e per tutta la schiena: non la definirei una situazione piacevole ed ottimale, ero già nella merda fino al collo, ma non quanto lo sono ora. Perché adesso il mio collo, oltre ad essere sommerso nella merda più gelida e bianca di sempre, è anche spezzato e l’unica spiegazione logica è che Evans ha appena tentato di uccidermi, seriamente questa volta. Non sono sicuro di quanto c’entri effettivamente lei, ma è la sua voce quella che ho sentito gemere di dolore, subito dopo essere stato strattonato da una forza misteriosa ed essere finito contro un ammasso di ghiaccio e neve che mi è crollato addosso. Ci sono parti di me che sono sepolte dalla neve e parti di me che sono invece a contatto con il vento gelido e tagliente ed infine ci sono parti di me abbandonate su qualcosa di caldo. Potrebbe essere il mio sangue che si allarga al suolo uscendo dall’enorme squarcio sotto la mia testa, o potrebbe essere Evans.
- Ho fatto una cosa stupida, – dice una voce da un punto imprecisato sotto di me e a meno che il sangue non mi stia parlando, allora è Evans. – Me ne sto pentendo.
Anche ogni singola parte del mio corpo se ne sta pentendo.
- Ma almeno ora sappiamo che non è una buona idea appellare una persona, - Credo di sentire le labbra di Evans muoversi proprio contro la mia nuca, ma potrebbero anche essere le dita della morte che mi solleticano dolcemente prima di stringersi ferree attorno al mio collo e trascinarmi giù negli inferi. - Credo che possa essere un’informazione utile per il futuro.
- Ma io ed il resto del mondo lo sapevamo già, Evans, che non è una buona idea appellare qualcuno quando tra te e quel qualcuno c’è una barriera di ghiaccio, – ci tengo a precisare, troppo frastornato per inserire il giusto livello di biasimo nel mio tono, mentre cerco inutilmente di capire che fine hanno fatto le mie braccia: credo che ce ne sia uno pressato spiacevolmente tra me ed Evans, in una posizione non del tutto naturale, mentre l’altro sfugge ancora al mio radar.
- Sono sicura che tu hai fatto cose più stupide in vita tua, - commenta Evans decisa, prima di premermi con forza una mano sulla spalla. - Ed ora spostati: sto mangiando i tuoi capelli. Non posso mangiare i tuoi capelli. Non voglio avere i tuoi capelli dentro di me.
Sono vagamente consapevole di come questo sia assolutamente il momento di dire qualcosa a riguardo, qualcosa di disdicevole e ammiccante sulla volontà o meno di Evans di avere parti di me dentro di lei, ma la metà del mio cervello adibita alle battutine è congelata e l’altra metà, adibita alle battutine anch’essa, dato che tutto il mio cervello lo è, è ancora stordita per la botta.
- Lascia stare i miei capelli, - mormoro dolorante, provando ad alzare un braccio: c’è della neve sopra di me che me lo impedisce e questo non va affatto bene. – Non trovo più le mie gambe, Evans, come faccio a spostarmi?
- Potresti provare a muoverle, - suggerisce lei ed io giro la testa di lato, cercando di sfuggire alla neve che sta cercando di violentare la mia bocca. - Ho sentito dire che tendono a non allontanarsi troppo dal resto del corpo.
L’ho sentito dire anch’io, così attuo il consiglio di Evans, scoprendo che la mia gamba destra è parzialmente libera: c’è neve solo sotto il polpaccio e non sopra, così che dal ginocchio in giù posso muoverla liberamente, principio di congelamento permettendo.
- Ho il sospetto che se mi muovo, ci crollerà un sacco di neve addosso, Evans, - stabilisco localizzando cautamente la posizione di quasi ogni parte del mio corpo. – Forse non così tanta da ucciderci, ma probabilmente almeno un dieci percento dei ghiacciai di tutto il mondo. Dobbiamo coordinarci.
Apro gli occhi e con il collo girato al massimo, riesco a vedere una parte del suo viso: non sembra felice. Lo capisco: di tutte le cose da cui potrebbe dipendere la nostra sopravvivenza, la coordinazione tra me e lei è la peggiore. Siamo parecchio coordinati nell’alternare insulti e battutine, sguardi omicidi e smorfie sarcastiche, ma quando si tratta di non essere sepolti vivi dalla neve non abbiamo dei gran precedenti.
- Senti, - Evans ha il tono pratico e deciso di chi ha un piano, ma le parole le muoiono in gola nel momento stesso in cui il mondo esterno si fa strada nel nostro angolo di neve e disperazione e con mondo esterno intendo l’orda di Serpeverde inferociti che ci ha colti nel momento peggiore di sempre. È più o meno come finire in uno di quei vortici che si creano a volte sul fondo del Lago Nero, con la differenza che questo non è formato d’acqua, ma da neve, ghiaccio e altri oggetti indefiniti di eccessiva durezza. I miei sensi mi informano della possibilità che un numero indistinto di Serpeverde si sia semplicemente gettato di peso sopra di noi, mentre altri bersagliano con scariche potentissime di palle di neve o forse sassi dipinti di bianco ogni parte del mio corpo che non sia già sepolta. Sento le mani di Evans strette attorno alle mie spalle e la sua voce nelle orecchie e non è l’unica che sta gridando: credo di essere io quello che continua a ripetere ‘Time out, time out’, prima che la neve si faccia improvvisamente largo tra le mie labbra soffocandomi e a quel punto mi rassegno a soccombere.
E poi la voce di Frank, che è ufficialmente il Grifondoro più degno, eroico ed ammirevole sulla faccia della terra, sovrasta tutti gli altri rumori ed il suo grido agguerrito, presto raggiunto da quello di Alice e tutti gli altri, parte alle nostre spalle e si avvicina sempre di più, finché non resta nessun Serpeverde ad infierire sui cadaveri inermi che siamo diventati io ed Evans. Mentre mi rialzo a fatica, riemergendo dalla neve e cogliendo di fronte a me le figure sfocate dei miei compagni di Casa che si lanciano in un coraggioso corpo a corpo con i Serpeverde, mi riprometto di impegnarmi con tutte le mie forze a non schiantarmi contro Frank mai più: so che sotto sotto è frustato dal suo pessimo tempismo che lo fa sempre rimanere vittima di incidenti e investimenti per i corridoi del castello.
- Convincerò Alice a sposarlo.
Evans, a quanto pare sopravvissuta anche lei oppure finita nella mia stessa bizzarra dimensione alternativa, riemerge dalla neve al mio fianco e la sua voce è pervasa dalla medesima gratitudine che anima ogni mia cellula.
- Lo sposerò io, – commentano le mie labbra prima che io possa fermarle. La battaglia di fronte a noi è ormai troppo in là perché possa apparire ai miei occhi privi di lenti qualcosa in più di un grande ammasso indistinto di corpi sfocati, così mi volto verso Evans, che, seppur più vicina, assomiglia comunque a un insieme di colori dai bordi indistinti. Poi la macchia rossa di fianco a me starnutisce e l’incantesimo di appello che richiama subito dopo i miei occhiali non è, a mio avviso, una scusa sufficiente per avermi inondato la faccia di schizzi bavosi.
- Sei imbarazzante, Evans, – commento piccato, spingendomi sul naso gli occhiali miracolosamente integri e riacquistando finalmente il dono della vista. Lei sbuffa ed io provo un’istintiva sensazione di rifiuto, mentre metto a fuoco la visuale di fronte a me, la linea ondulata di ogni singolo capello rosso punteggiato dai fiocchi di neve e il verde assoluto degli occhi. È davvero ridicola, col naso gonfio e più neve sui capelli che nel resto del parco, e sono sicuro di avere un aspetto migliore di lei e questo è seriamente frustrante, perché non riesco proprio a distogliere la mente dal contrasto tra la sua pelle bianca e il rosso che le accende le guance, appena più chiaro di quello del sangue che le colora il labbro inferiore. È irritante, perché dovrei smettere di fissarla e correre in soccorso dei miei compagni, o correre e basta, al caldo e al sicuro dentro il castello, e invece non riesco a soffocare la sensazione che sia di vitale importanza l’esatta sfumatura di ogni colore che si scontra sul viso di Evans. Tutto questo è ridicolo e riesco a sentire la risata di Sirius persino da qui.
I tuoi capelli sono imbarazzanti, Potter, – replica lei stizzita, prima di starnutire di nuovo, anche se questa volta io mi alzo di scatto, allontanandomi appena in tempo, perché nessuno può starnutire in faccia a James Potter due volte di fila.
Non c’è davvero nulla che io possa ribattere, perché la gente trova i miei capelli imbarazzanti la maggior parte del tempo, anche quando non sento di avere otto chili di acqua e neve in testa. Ha sicuramente qualcosa a che fare con l’invidia che le persone provano per me e per la capacità dei miei capelli di annientare ogni legge della fisica, quando invece quelli degli altri sono così mosci, banali e poco divertenti. Non che i capelli di Evans lo siano, banali, quando c’è a dire il vero qualcosa nel loro colore di ancora più importante di tutto il resto e di tutti gli altri colori, ma è la parte congelata del mio cervello a parlare ora e ad essere così fissata con i colori delle cose e non è un bene che i cervelli congelati pensino.
- James! Sei vivo! – Lizzie mi corre incontro, la chioma bionda che spicca sul candore della neve attorno a lei, ma non abbastanza da ispirare bizzarre sensazioni nella parte ibernata del mio cervello, il che è un bene, è rilassante e piacevole e assolutamente non sconcertante. – Al castello dicono tutti che sei stato ucciso dai Serpeverde.
Al castello hanno ragione, perché mi sento come se fossi stato ucciso dai Serpeverde. Probabilmente ho anche l’aspetto di chi è stato ucciso dai Serpeverde, a giudicare dall’urgenza con cui Lizzie preme le sue labbra sulle mie, sfregando il naso caldo contro il cubetto di ghiaccio particolarmente freddo che ha sostituito il mio. È solo ora, nel trovarmi di fronte una persona calda ed asciutta, che non ha interi blocchi di neve all’interno dei vestiti, che realizzo quanto il mio corpo non sia per niente felice del gelo totale che lo attanaglia e mi stringo automaticamente le braccia al petto, senza accumulare particolare calore in realtà, dato che i miei vestiti ora sono composti quasi totalmente da neve e acqua.
- È successo due minuti fa. Come è possibile che ne stiano già parlando al castello? – Evans, che ha iniziato a battere lievemente i denti e parla come se questo le costasse grande sofferenza, sposta perplessa lo sguardo da Lizzie a me, accigliandosi. – Da qui nemmeno ci si arriva al castello in due minuti.
È una cosa che so e che mi procura grande sconforto: prima di arrivare alla porta d’ingresso di Hogwarts innumerevoli parti del mio corpo si saranno staccate e saranno cadute nella neve avvizzendo.
- Non guardarmi così, Evans, non è colpa mia, – preciso con un’alzata di spalle, perché lei mi fissa come se questo dettaglio sospetto fosse la prova della mia colpevolezza di non si sa cosa, quando io sono invece troppo impegnato a ibernarmi per essere colpevole.
- Mike è corso a chiedere rinforzi, - spiega Lizzie puntando gli occhi su Evans ed improvvisamente il gelo sembra spandersi ulteriormente. – Ha detto che voi due eravate intrappolati e prossimi alla morte.
- Ah, - Evans si stringe nelle spalle, l’aria vagamente perplessa. - Beh, lo eravamo.
- Lo siamo ancora, - preciso, mentre Lizzie afferra la mia mano, cosa di cui mi accorgo solo dopo diversi secondi, non avendo più alcuna sensibilità in nessuna parte del corpo. E questo non va bene, perché posso vivere senza sentire gambe, naso, labbra, persino senza il cervello, ma non esiste che io perda il tatto nella mano destra, che passerà il resto della sua vita a chiudersi attorno alle ali fruscianti dei boccini d’oro tra le acclamazioni della folla negli stadi di tutto il mondo.
 

*
 
- Rientriamo? – Lizzie Carson, dopo avermi rivolto la più breve e glaciale delle occhiate, torna a mangiarsi Potter con gli occhi, stringendogli una mano e puntando dritta al castello. Una parte di me si è resa conto che non le sto molto simpatica e che è probabile che mi seppellirebbe viva nella neve, se potesse, solo che non riesco a rendere l’informazione importante: quello che conta ora, quello a cui non riesco a smettere di pensare, è quanto debba essere calda la sua mano in confronto a quella di Potter. E quindi in confronto alla mia. E insomma, d’accordo, mi odi e hai una cotta palese per lui, ma anche io sto congelando e tu hai due mani, non potresti prestarmene una? Non posso farlo, lo so. Anche se sarebbe moralmente legittimo, mi rendo conto che se le afferrassi l’altra mano, lei non lo troverebbe appropriato. E anche abbracciarla nel tentativo di assimilare il suo calore corporeo o rubare i suoi vestiti asciutti non sembrano azioni che un Prefetto dovrebbe considerare, ma vi stupireste di scoprire cosa un Prefetto completamente zuppo ed esposto al gelido vento dicembrino riterrebbe fattibile.
Non mi stanno inseguendo e questo è un bene, perché sono inciampata due volte nel giro di pochi secondi e anche se mi sembra di star correndo da ore, probabilmente mi sono allontanata solo di qualche metro. Non è nulla di cui vergognarsi, non vedo perché una Grifondoro del sesto anno dovrebbe essere brava a correre nella neve alta: ci sono altre qualità da considerare in una persona, come ad esempio l’abilità che ho dimostrato nell’afferrare di scatto il berretto di lana di Lizzie e partire come un razzo alla volta del castello. Rubare è sbagliato, su questo concordiamo tutti, ma le mie orecchie ora sono al caldo e sarebbero disposte anche a rapinare la Gringott per mantenere la situazione tale, se non fosse che sono orecchie e le orecchie non rapinano le banche. In ogni caso è solo un prestito, precisiamo: una volta al riparo da questo vento sferzante che sembra aprire un milione di piccoli tagli sul mio viso, le restituirò il cappello e lei avrà finalmente un buon motivo per odiarmi.
 

*
 
Evans si sta allontanando a passo di lumaca, arrancando a fatica nella neve e cadendo ripetutamente in modo tutt’altro che aggraziato. Quando, nell’attraversare la battaglia ancora in atto, la vedo rotolare agilmente a terra per evitare una palla di neve, sento finalmente la mia mascella tornare al suo posto.
- Il Prefetto di Grifondoro ha appena rubato il mio cappello per poi scappare? È questo che è successo?
James, al mio fianco, pare perplesso quanto me, mentre continua a seguirla con lo sguardo.
- Così pare, - commenta ed io notifico mentalmente a me stessa che dovrebbe essere ridicolo, con i capelli impastati di neve e irrigiditi in pose assurde, le labbra violacee e il naso rosso come un pomodoro. Ridicolo è la parola, Lizzie, non attraente. James Potter non è affatto più bello del solito e tu devi proprio smettere di stringere la sua mano, ringraziare che Evans vi abbia lasciati soli e fissare le goccioline di neve sciolta che scorrono dalle punte dei suoi capelli scuri fin sotto il colletto del maglione. Non seguire mentalmente il tragitto di tali goccioline lungo il collo e le scapole e sempre più in basso, Lizzie, non lo fare, perché non è dignitoso né accettabile e non ti aiuta ad avere un’aria intelligente, così come non lo fa fissare tanto intensamente le sue labbra invitanti che lui non riesce nemmeno a sentire ora come ora, sicuro, e che sarebbe del tutto inutile baciare quindi. Oh, e ora perché mi guarda così intensamente? Allora vuole essere baciato.
- Senti, sarebbe così poco virile se ti supplicassi di darmi i tuoi guanti?
 


*
 
Lo sapevo che dovevo farmi gli affari miei e restare in Biblioteca, era così chiaramente la scelta migliore, ma quelle ragazzine continuavano a dire che James era stato totalmente ucciso dai Serpeverde e finire il tema di Pozioni non mi è sembrato il modo più appropriato di reagire alla notizia della morte di un amico. James non è stato ucciso, per la cronaca, o comunque non in modo permanente: me lo sono trovato di fronte poco dopo aver raggiunto la Sala D’Ingresso. Non l’ho esattamente visto, perché avevo – come ho ancora, d’altro canto - sugli occhi la lana rosa del cappello che Evans mi ha infilato in testa, correndomi di fianco e gridandomi qualcosa a proposito del restituirlo a Lizzie da parte sua.
- Moony! – ha gridato la voce di James subito dopo, con un entusiasmo a mio parere eccessivo e questo ci riporta alla situazione attuale. Sono riuscito a spostarmi il cappello dagli occhi quel tanto sufficiente a scoprire che non sono l’unico Malandrino ad indossare qualcosa di rosa: riesco a vedere la mano sinistra di James, con la coda dell’occhio, proprio sulla mia spalla, ed è avvolta da un guanto di lana di fattura chiaramente femminile. Non sono sicuro al cento per cento di cosa stia succedendo, ma sono sempre più convinto che sarei dovuto restare in Biblioteca.
- Ti voglio bene anch’io, James, - mi costringo a mormorare, perché non importa se indossiamo entrambi indumenti rosa, siamo nel bel mezzo di una Sala affollata e tutto ciò è terribilmente inappropriato, non sono comunque il genere di persona che si sottrae all’abbraccio di un amico, per quanto fradicio, invadente e fisicamente doloroso esso sia. – Però credo che tu mi stia incrinando una costola.
- Non ti sto abbracciando, Moony, - dice James, immediatamente smentito dai suoi stessi capelli che continuano a sgocciolare proprio contro la mia guancia, cosa che non sarebbero in grado di fare se lui non mi stesse effettivamente abbracciando. - Voglio dire, sì, ma non voglio il tuo affetto: voglio il tuo calore corporeo.
Ha senso, certo. Questo spiega perché i miei vestiti stanno diventando sempre più umidi e freddi e la mia pelle comincia a rabbrividire: c’è troppa neve in questo abbraccio, una quantità tale che mi stupisco di come James sia riuscito a giungere fin qui e non si sia semplicemente accasciato al suolo sotto il suo peso.
- Per pura informazione, se me lo avessi chiesto, non ti avrei dato il mio consenso, - preciso sconfortato, tentando inutilmente di fare un passo indietro, ma la morsa gelida e bagnata in cui sono intrappolato è troppo forte. – Se potesse aiutarti, te lo darei, ma abbracciarmi non è la soluzione alla tua ipotermia, davvero. Toglierti i vestiti fatti di neve e ghiaccio lo è. Non qui chiaramente, in camera, nelle vicinanze di una doccia, che è un oggetto dalle infinite potenzialità ed ha molto più calore da offrire di me.
- Lo stai esaurendo, dannazione, - James geme disperato, stringendomi ancora di più nel tentativo di risucchiare l’ultimo grado centigrado dal mio corpo. - Dov’è Sirius? Lui deve avere un sacco di calore in eccesso.
- È perché ora anche i miei vestiti sono bagnati, - spiego pacato, nello stesso momento in cui decido che non voglio assolutamente sapere perché secondo James Sirius ha più calore corporeo rispetto agli altri esseri umani. - Si sarebbe potuto evitare, davvero.
- Bel cappello, Remus.
Lizzie mi sorride da oltre la spalla di James e le mie labbra si muovono prima che io possa fermarle.
- Grazie, - Non è quello che avrei dovuto dire, perché il cappello rosa sulla mia testa non è assolutamente di mia proprietà, ma i miei riflessi sono perennemente impostati all’educazione e non c’è proprio niente che io possa fare per frenarmi. – Voglio dire, è il tuo cappello. Non l’ho rubato e se tu mi staccassi James di dosso, te lo lascerei riprendere senza opporre resistenza.
- A dire il vero ti dona molto, Remus, - Lizzie mi guarda pensosa, portandosi una mano al mento e non so se si stia riferendo a James o al cappello. - Capisco perché Evans lo abbia dato a te.
- Prongs, ascoltami. Ho un berretto rosa e tu mi stai abbracciando da un tempo indefinito: prova solo a immaginare cosa succederebbe se Sirius passasse di qui adesso, - Non riesco a vedere la faccia di James, ma sento l’agitazione irrigidirgli i muscoli contro di me e questo vuol dire che ci sta pensando. – Non possiamo permettere che questo accada, no?
- No, certo che no.
- E allora fidati di me: lasciami e corri nel dormitorio. Non cercare altre persone da abbracciare, concentrati sui vestiti asciutti. Quella è la priorità, il calore verrà da sé, - Entra molta più aria nei miei polmoni, ora che James mi ha lasciato andare: riesco a vedere la sua faccia, un concentrato di colori del tutto bizzarro, solo per qualche secondo, perché non appena smette di annuire convinto, parte ai trecento verso le scale che portano al primo piano, lasciandosi dietro una scia di impronte bagnate. In un punto imprecisato tra qui e la torre di Grifondoro scivolerà e si romperà l’osso del collo, è l’unico esito possibile. - E sia chiaro che mi riferisco ai tuoi di vestiti!
Pochi secondi dopo Frank entra correndo dalla porta che dà sul parco e imbocca di tutta fretta il corridoio, gridando qualcosa di molto simile a ritirata, poi scivola sulla scia umida lasciata da James e finisce a terra. Alice e altri due Grifondoro, altrettanto scarmigliati e di fretta, non riescono a frenare in tempo la loro corsa e si uniscono a Frank in un groviglio di braccia e gambe sul pavimento scivoloso, in cui viene coinvolto anche un ignaro Corvonero di passaggio. La Sala d’Ingresso viene immediatamente percorsa da numerose risate, poi la figura infuriata e possente di Rosier si staglia sulla soglia, la luce biancastra del pomeriggio dietro di lui e la mazza da battitore ben stretta tra le mani gocciolanti, e la folla si disperde in un batter d’occhio. E io con lei.
 
 
 
 
 

**********
 
 
- Lizzie.
- Mh.
- Lizzie, stai benissimo, smetti di fare quella faccia.
- È la mia unica faccia e non posso controllarla.
- No, certo che non puoi, hai perso il controllo del tuo corpo al primo anno credo, - Allison, bella comoda nelle sue pantofole morbide e il pigiamone caldo, mi infila una delle poche ciocche sfuggite alla coda dietro l’orecchio, studiandomi attenta. - Ma non dovrebbe essere quella la tua faccia ora, no? Stai per andare ad una festa con James Potter.
- Una festa organizzata da Lumacorno, non dirlo come se fosse chissà cosa, – puntualizzo automaticamente, senza smettere di fissare la mia immagine allo specchio oltre le spalle di Allison. Capisco perché non è soddisfatta della mia espressione: pare che io sia appena stata baciata da un Dissennatore e questo non è senz’altro lo spirito di affrontare il secondo appuntamento col ragazzo per cui hai una cotta da una vita. Vorrei davvero avere un’altra faccia a disposizione, completa di cervello, perché a quel punto mi sviterei semplicemente la testa dal collo e la sostituirei con una nuova, più leggera e meno incline ad immaginare scenari apocalittici. Ma nel mio armadio ci sono solo vestiti e calzettoni e se svitassi sul serio la mia testa, sarei costretta a rimpiazzarla semplicemente con un paio di mutande, cosa che non migliorerebbe in alcun modo la situazione.
Con James Potter, - ripete Allison, come se io non ne fossi perfettamente a conoscenza, come se non ci stessi pensando ininterrottamente da ieri. - Come sua accompagnatrice ufficiale. Perché la tua testa non sta esplodendo?
- Forse lo ha fatto, - commento lasciandomi cadere all’indietro sul baldacchino, rimbalzando mollemente, come mi pare di star facendo da giorni. – Solo perché non c’è sangue e materia cerebrale sulle pareti, non significa che la mia testa non sia esplosa.
- Mh? Come un’esplosione interna? – Lo sguardo di Allison si illumina impercettibilmente e l’accenno di un sorriso incerto le piega le labbra. – Quindi sei felice, sì? Anche se all’esterno non sembra?
Il baldacchino cigola mentre lei si siede affianco a me, puntandomi gli occhi addosso in attesa. C’è una parte di me che sta per dirle che sì, i piccioni che volano abitualmente all’interno del mio stomaco al posto delle farfalle stanno ballando la conga e che sono semplicemente troppo felice perché la mia espressione mi tenga il passo, perché senz’altro quel mezzo sorriso sulle labbra di Allison allora diverrebbe come quello eccitato che mi rivolse al primo anno e che mi spinse subito a sedermi accanto a lei al banchetto d’apertura. Ma è la mia migliore amica e a parte la volta in cui ho copiato parola per parola il suo tema di Incantesimi per poi negare, non le ho mai mentito in vita mia.
- Non lo so, - confesso mordicchiandomi l’unghia del pollice e forse potrei semplicemente continuare, divorarmi un braccio e poi il resto del corpo e allora nessuno si aspetterà più che io esca da questa camera, perché le persone senza corpo di norma vengono lasciate in pace dal resto del mondo. - Voglio dire, sto indossando dei tacchi. Esiste una ragazza davvero felice con addosso dei tacchi?
Allison schiude le labbra, ma io la precedo, perché so perfettamente che lei è la ragazza più felice del mondo quando può zampettare in giro e guardare il mondo da qualche centimetro più in alto del solito, ma non è nemmeno questo il punto.
- E ho un vestito. Sono dentro un vestito, mi vedi? Uno di quelli con la gonna larga.
- A balconcino, – mi corregge automaticamente Allison, dal profondo della sua anima.
- A balconcino! – ripeto con fervore, battendo le mani sul materasso e facendoci molleggiare lievemente entrambe, gli occhi puntati sulla stoffa blu scura che mi imprigiona. – Da quando indosso gonne a balconcino? E quale sarebbe poi la somiglianza tra questa gonna e un balcone? E perché mai qualcuno vorrebbe assomigliare ad un balcone?
Allison fa per parlare, ma di nuovo glielo impedisco, perché nemmeno questo è il punto, anche se in futuro torneremo sull’argomento e le lascerò chiarire i miei dubbi a riguardo.
- Ed in realtà mi piace questa gonna, il suo colore, i tacchi e tutto quanto, - proseguo mentre Allison non stacca gli occhi dai miei, nel tentativo disperato e ammirevole di seguire il filo illogico delle mie parole. - Credo che mi stiano davvero bene, in realtà.
- Ti stanno bene, – conferma con un sorriso affettuoso e quando la tua migliore amica di sedici anni inizia ad avere l’aria materna quando parla con te vuol dire che l’internamento al San Mungo è vicino.
- È solo che felice non è la prima parola che mi viene in mente. Direi più, non so, hai presente quella sensazione che si prova dopo essere rotolati all’improvviso per tre rampe di scale consecutive, senza mai fermarsi?
- Non sono mai caduta per tre rampe di scale.
No, certo che no. Allison non è il tipo di persona a cui capitano cose del genere.
- Beh, è qualcosa che ha serie ripercussioni sullo stomaco e sul cervello, che non fa che sbattere contro la scatola cranica per tutto il tempo ed ammaccarsi. E mentre dei Corvonero di passaggio ti portano in Infermeria, devi anche ignorare il dolore e inventarti di essere inciampata su qualcosa di diverso dai tuoi stessi piedi, perché altrimenti loro ti guarderebbero con quell’aria compassionevole che stabilisce la loro assoluta intelligenza rispetto al resto del mondo ed in particolare i Grifondoro idioti che inciampano su...
- Lizzie.
- Lo so, sto divagando.
La luce esasperata negli occhi castani di Allison la fa sembrare una cosa negativa, ma non sono affatto d’accordo con i bulbi oculari della mia migliore amica: credo che il divagare sia tutto sommato una forma di abilità, perché non tutti ne sono capaci. Non puoi semplicemente passare da un argomento all’altro senza la minima connessione: dev’esserci un filo, più o meno logico, e creare all’istante infiniti fili che portano da un discorso all’altro deve essere un’abilità. Inutile e snervante per chi ti sta attorno, certo, ma pur sempre qualcosa che non tutti sono in grado di fare. Come quelle persone che riescono a dire tutto l’alfabeto ruttando: è senza dubbio qualcosa di inutile e piuttosto sgradevole, ma solo pochi eletti possono. E che dire di chi sa scoreggiare a comando? Disgusto e gloria al tempo stesso.
- Stai continuando a divagare in silenzio, vero? Per l’amor di Godric, Lizzie.
- Sto distraendo la mia mente, - confesso velocemente, senza guardarla. - La verità è che io sono felice di andare ad una festa con James Potter, sarei felicissima di andare ovunque con lui o anche non andare, stare da qualche parte e basta a baciarlo per ore o solo guardarlo e contare le cose sulla sua faccia, come fanno le persone innamorate e prive di dignità.
Cosa vorresti contare sulla faccia di James Potter?
Allison mi fissa perplessa e lievemente sospettosa, le sopracciglia aggrottate.
- No, non dico che voglio, solo che potrei, se non avessi una dignità. Potrei e sarei felice lo stesso, - Non sono sicura del perché nella mia testa tutto sembri avere una qualche parvenza di senso, ma non appena si trasforma in parole questo svanisca nel nulla più totale. - E non lo so, di solito sono le lentiggini, ma lui non le ha.
- Okay, - Allison ha la stessa aria decisa e concentrata di quando si prepara con tutta la buona volontà di cui è capace a tradurre una frase di Antiche Rune. - Ed è questo il tuo problema ora? Che James Potter non ha le lentiggini?
C’è un motivo se Allison ha Scadente in Antiche Rune.
- No, no, non stai afferrando il punto.
- Neanche di striscio.
- A chi importa delle lentiggini? Ha delle pagliuzze dorate negli occhi, lo sai? Risaltano appena sull’iride nocciola, ma sono abbastanza per essere contate.
- Non te lo lascerò fare, Lizzie, - annuncia Allison, la stessa quantità di disgusto e fermezza nella voce. - Tu non conterai le pagliuzze dorate negli occhi di James Potter.
- No, certo che no, sarebbe ridicolo. C’è della dignità dentro questo balconcino, - annuisco con una mezza risata, mentre lei continua a fissarmi guardinga. - E perderei il conto a ogni battito di palpebra, no?
- Prenderò il soffione della doccia e te lo infilerò nella gola, ecco cosa farò, - stabilisce Allison, alzandosi effettivamente dal letto. - E tu non potrai dirmi niente, perché è praticamente legittima difesa. E perché avrai la bocca piena.
Non ho mai fatto la prova, ma non credo che il soffione della doccia sia abbastanza piccolo da entrare nella mia cavità orale senza la necessità di squarciare prima le guance, così lo dico e basta, perché nonostante i colori bizzarri che assumono a volte, sono affezionata alle mie guance.
- So perfettamente cosa provo io per lui, ma non riesco a capire se lui è felice allo stesso modo quando sta con me. Questo è il mio problema.
Allison, in piedi di fronte a me, i capelli scuri sciolti sulle spalle che contrastano con il pigiama scarlatto, mi fissa a lungo ed io riesco a vedere il soffione della doccia svanire dalla sua mente.
- Ti ha invitata ad Hogsmeade e poi alla festa, no? È evidente che gli piace averti attorno, - commenta cauta. - Non ti sembra felice quando sei con lui?
Nella mia mente appare automaticamente il sorriso di James, quello allegro che mi rivolge praticamente per tutto il tempo in cui stiamo insieme, rilassato e divertito, sempre con quel pizzico d’entusiasmo perenne. Ma subito affiora anche un’altra immagine, quella dello stesso identico sorriso, altrettanto radioso, solo visto da più lontano, quando io non sono accanto a lui. E le due immagini si sovrappongono e sfumano l’una nell’altra, perché non ci sono reali differenze tra loro. La verità è che non ho il potere di entrare in una stanza e cambiare l’umore di James Potter, non come lui cambia il mio.
- Sì, sembra contento, - replico lentamente, alzandomi dal letto, incerta sui tacchi. È quasi ora ormai. – Ma lui lo è sempre, no?
 

*
 

- James, allontanati da quello specchio: i tuoi capelli non diventeranno normali, è inutile che continui a fissarli.
- I miei capelli sono perfetti così come sono, Moony, - preciso passandoci un’ultima volta la mano in mezzo, prima di voltarmi verso i miei amici. - Sono grandiosi. Sirius, diglielo.
- Non vuoi davvero che io dia voce ai miei pensieri sui tuoi capelli, credimi, - Sirius reprime un sorrisetto, finendo con calma di abbottonarsi la camicia nera. Gli farei notare che non ha esattamente finito, ma se il mio migliore amico vuole sedurre Lumacorno, chi sono io per fermarlo? – Andiamo?
- Andiamo, - annuisco. - Moony, mi raccomando: non aprire la porta agli sconosciuti mentre siamo via, intesi?
- Non è come se da quella porta potesse entrare qualcosa di più pericoloso di voi due.
- Ho lasciato lo specchietto sul letto, - aggiunge Sirius sollecito, ignorando con maestria le insinuazioni ignominiose di Remus. - Se arrivi al punto in cui non riesci più a sopportare la nostra assenza, usalo: ti faremo sentire le nostre voci o qualcosa del genere.
- Cercherò di resistere.
Remus sospira impercettibilmente, senza staccarci gli occhi di dosso, in attesa. Se ne sta a braccia incrociate sul suo letto ed è così evidente che sta fremendo dalla voglia di rimanere solo ed in silenzio per darsi a qualche nefanda occupazione da studente modello. È frustrante non poter restare qui ed impedirglielo, perché ora sicuramente darà fondo a tutta la sua Prefettaggine, come se sei anni in nostra compagnia non avessero mai lasciato il segno e non c’è davvero nulla che possiamo fare per fermarlo.
- Non studiare, - tento comunque, la maniglia già stretta tra le dita. - Non in questa stanza.
- Ora vai, - ribatte Remus pacato e già riesco a vederlo mentre apre otto libri contemporaneamente e scrive tre temi allo stesso tempo. - O studierò Pozioni sul tuo letto.
 
*
 
Il fatto è, perché i ragazzi non vanno alle feste con i ragazzi e le ragazze con le ragazze? Sarebbe più semplice.
Se ad esempio il mio accompagnatore fosse James, che sta scendendo ora le scale insieme a Sirius, io potrei alzarmi da questo divanetto, dirgli che quella camicia bianca gli sta una favola o qualcosa del genere, prenderlo a braccetto e avviarmi con lui verso il buco del ritratto, dopo aver speso solo pochi minuti della mia vita ad attenderlo. Ed invece no, dovrò restare qui seduto per un tempo imprecisato che si colloca da qualche parte tra mezz’ora e tutta l’eternità, perché è questo il tempo che serve ad Alice per prepararsi. E con lei non basterà sputare qualche complimento a caso sul suo vestiario, perché dietro ogni ingenuo ‘che bel vestito che indossi’ si celano insidie e fraintendimenti pericolosi, che la porterebbero a tradurre le mie parole in un mortale ‘che bel vestito che indossi oggi, a differenza del solito’.
- Ehy, Frank, – James mi dà una pacca sulla spalla e prende posto sulla poltroncina qui davanti, mentre Sirius opta invece per lasciarsi cadere di peso su di me, per poi fingere di essersi accorto della mia presenza solo dopo avermi schiacciato, come fa ogni singola volta dal terzo anno. Per la cronaca, io quella volta non lo avevo visto per davvero e mi sono scusato un’infinità di volte, ma suppongo che ormai lo faccia più per abitudine che altro.
- Ciao anche a te, Sirius, – sorrido pacato, prima di spingerlo via con forza e sistemarmi meticolosamente ogni minima piega comparsa sulla camicia. – Dove ti eri cacciato oggi? Ti sei perso una battaglia epica.
- Mmm, la battaglia di neve, sì, ho sentito, - Sirius arriccia le labbra in una smorfia di sufficienza, sistemandosi meglio sul divanetto al mio fianco. - Sono rimasto al castello, sai. Caldo, cibo, niente assideramento, assenza di contatto umano con i Serpeverde. Il genere di cose che mi piace trovare nei miei pomeriggi.
- È l’inverno che gli fa quest’effetto, - interviene James con aria saputa. - Mangia e dorme di continuo, è una noia assurda. Il suo corpo crede di dover andare in letargo, sicuro: presto inizierà ad accumulare grasso per tenersi ancora più al caldo.
- Non posso credere che vai a dire in giro che accumulo grasso, – Sirius incrocia le braccia al petto con un’aria da primadonna oltraggiata che gli riesce particolarmente bene.
- Stai benissimo così, – replicano le mie labbra automaticamente, perché da quando sto con Alice le mie abilità sociali sono molto più raffinate ed io sono diventato incredibilmente bravo a cogliere l'esatto momento in cui i sentimenti di qualcuno vengono feriti. Poi vorrei non averlo detto, perché James e Sirius mi guardano in modo strano ora ed in effetti loro hanno quel particolare modo di comunicare, un modo bizzarro e non universalmente interpretabile, un oscuro linguaggio in cui ‘accumuli grasso’ non implica necessariamente dei sentimenti feriti.
- Comunque sia, Sirius, ti sei perso la disfatta totale dei Serpeverde, - riprende James con una scrollata di spalle, puntandomi addosso due occhi pieni di gratitudine. – Frank è stato l’eroe del giorno.
- Io? Tu e Lily lo siete stati, – replico convinto, animandomi ancora al pensiero della battaglia. – Davvero, un piano geniale: non ce l’avremmo mai fatta senza di voi.
James mi fissa perplesso, evidentemente deciso a fare il finto modesto, il che è atipico per lui.
- Piano?
- Il vostro piano, tutta quella sceneggiata di te che sei intrappolato nella neve e poi il fortino che crolla, è stato un diversivo fantastico: si sono concentrati su di voi proprio come volevate, così noi abbiamo potuto coglierli di sorpresa, - racconto entusiasta, anche se Sirius non sembra affatto impressionato. - Siete stati grandi. Non so come vi sia venuta un’idea del genere, perché onestamente, non avrei mai pensato che i Serpeverde ci sarebbero cascati: ancora mi chiedo come abbiano sul serio creduto che tu fossi così idiota da restare incastrato nella neve e poi abbattere il tuo stesso fortino. Assurdo.
La risata di James si unisce alla mia con qualche secondo di ritardo, molto più alta e forzata del solito, ma prima che io possa anche solo pensare di indagare, il mio olfatto mi informa che il profumo preferito di Alice è ora nella stanza e poco dopo ho la piacevole conferma che anche le sue labbra sono qui.
 
*
 
Continuo a ridere da solo per diversi secondi dopo che Alice è spuntata e ha rubato la faccia ed in particolare le labbra di Frank, prima di realizzare che ora posso smettere. C’è silenzio ora, ma loro non si sono ancora staccati: suppongo che sia il motivo per cui a lei non verrà rinfacciato il ritardo questa sera. Poi Sirius, seduto proprio di fianco a Frank, decide di tentare di unirsi al bacio, producendo versi osceni con le labbra e a quanto pare questo rovina l’atmosfera, perché Frank e Alice si staccano. Lei ci saluta tranquillamente, poi prende il suo ragazzo per mano e si avvia verso l’uscita della Sala, subito seguita da Sirius che si diverte sempre molto a fare il terzo incomodo con le coppiette. Li seguo con lo sguardo mentre spariscono oltre il buco del ritratto, Sirius in mezzo a loro, le braccia a circondare le spalle di entrambi, e nel momento stesso in cui il ritratto si richiude, smetto di sorridere e sospiro frustrato, perché non mi piace aspettare senza fare nulla ed ora lo sto facendo da un secondo intero. Per questo non appena sento dei passi provenire dal dormitorio femminile, sollevo di scatto gli occhi, ma non è Lizzie e non è Lizzie per ben quattro volte, di cui una è Evans, a cui non dovrebbe essere permesso indossare gonne diverse da quella scura e spessa della divisa o mettersi attorno agli occhi quelle buffe cose che le ragazze si mettono per farli risaltare, perché non è quello che Evans fa, così come spegnersi non è quello che il mio cervello fa, se non fosse che questa sera è proprio quello che è successo. Sto fissando gli arabeschi arzigogolati del tappeto persiano con interesse eccessivo da un tempo indefinito, quando un gruppetto di bambine del primo anno trotterellano nel mio spazio vitale e prendono posto di fianco e di fronte a me, come se non esistessi. Questo non è il timore reverenziale che gli studenti del primo anno provano naturalmente per quelli del sesto e del settimo, ma loro sembrano troppo impegnate a discutere con espressioni gravi di non so quale fatto per dare corda alle tradizioni scolastiche.
- E nel bigliettino c’era scritto se voleva essere la sua morosa: sì o no, - spiega la bimbetta con le trecce bionde seduta di fronte a me, mortalmente seria. E lei deve essere la loro leader o qualcosa del genere, a giudicare dall’attenzione con cui tutte le altre pendono dalle sue labbra. – E dopo tutto quello che è successo, dopo la storia delle Cioccorane e il resto, lo sapete lei su cosa ha messo la crocetta?
La ragazzina al mio fianco sta fremendo per l’attesa ed io mi ritrovo ad aspettare la risposta con la stessa ansia delle altre, coinvolto in questo bizzarro clima di solenne suspense. Poi la ragazzina bionda incrocia i miei occhi indispettita ed io sento che persino le sue trecce mi stanno giudicando, così mi costringo a spostare lo sguardo, voltandomi di lato e incrociando le braccia al petto con noncuranza. Non riusciranno a farmi sentire un intruso: ho il diritto di anzianità su questo divano, oltre alla precedenza per il semplice fatto che sono qui da prima.
- Niente, non gli ha risposto niente, perché il bigliettino non le è mai arrivato: l’ho intercettato prima io.
Un coro di ammirazione si diffonde tra le ragazzine e mio malgrado sono costretto a riportare gli occhi su Treccine, perché intercettare messaggi d’amore e boicottare le relazioni altrui già ad undici anni è un atto degno di una vera malandrina. Le farei i miei complimenti, se non fosse che Lizzie è appena comparsa al mio fianco e non posso farmi vedere mentre socializzo con quelle del primo.
- James? Ti disturbo?
- No, stavo solo, - La mia mano volteggia vaga verso le mie indesiderate compagne mentre mi alzo, ma si interrompe non appena noto con la coda dell’occhio che ora tutti i loro piccoli occhietti sono puntati su me e Lizzie, con l’aria concentrata di chi osserva un documentario scientifico.
- Hai iniziato tu ad origliare, – si giustifica Treccine con un’alzata di spalle, quando incrocio il suo sguardo.
- Non è vero, io non stavo, - mi difendo indignato. - Cosa mai dovrebbe interessarmi, poi. Ero solo lì e...beh, ora me ne vado. Così potete discutere dei vostri bigliettini.
-Ah! Hai sentito, lo sapevo: stavi ascoltando. 
Treccine mi guarda trionfante ed io decido di ignorarla, passare un braccio attorno alla vita di Lizzie e dirigermi verso il buco del ritratto con aria di superiorità, come ogni saggio e maturo studente del sesto anno farebbe.
- Non stavo ascoltando, - mi sento in dovere di precisare poco dopo. - Ero solo lì e loro erano lì e anche le mie orecchie erano lì, no? Non potevo non sentire.
- No, certo che no, – Lizzie sorride ed io realizzo improvvisamente che questo è il momento in cui ci si aspetta che io dica qualcosa di carino sul suo vestito o sulla sua faccia o qualcosa del genere. – Ma non è un problema, davvero: sotto sotto siamo tutti curiosi di sapere di cosa parlano quelli del primo anno.
 


*
 
- Siamo sicuri che sia qui? Non si sente nulla.
Frank lascia vagare perplesso lo sguardo per i sotterranei silenziosi, illuminati solo dalla fioca luce delle torce e automaticamente stringe Alice a sé: probabilmente gli sta passando per la mente che l’ultima volta che siamo stati qui è stato nel bel mezzo di un’imboscata dei Serpeverde.
- Ci sarà un incantesimo insonorizzante o qualcosa di simile, - Lancio un’occhiata alla porta chiusa dell’ufficio di Lumacorno, che ora è senz’altro vuoto e per questo molto allettante, prima di svoltare l’angolo e imboccare un corridoio leggermente più illuminato. – Ecco qua.
Frank e Alice osservano stupiti la luce calda che interrompe la penombra del corridoio uscendo da una porta spalancata a pochi metri da noi e sembrano sinceramente sorpresi che io li abbia effettivamente guidati alla festa e non in un angolo sperduto dei sotterranei per poi abusare di loro. Potrei quasi offendermi per la loro mancanza di fiducia, se non fosse che sono troppo impegnato a chiedermi che dolci ci saranno al banchetto, oltre a quell’orribile e onnipresente ananas candito.
- Allora è vero che ci sei già stato.
- Certo che è vero, ho passato gli ultimi dieci minuti a raccontarvelo! – sbotto scandalizzato mentre oltrepassiamo la soglia e subito il silenzio del corridoio viene sostituito da un allegro brusio di voci. - La mia prima ed ultima volta, al terzo anno, con la Mandragola, quella Corvonero isterica e tutto il resto. È stata una storia emozionante, dov’eravate?
- Senza offesa, Sirius, ma tu dici un sacco di cose.
- Questo suona offensivo, amico.
- Ha ragione, Frank, era un po’ offensivo, - Alice dà qualche pacca consolatoria sul braccio del suo ragazzo, prima di rivolgersi a me. - Ma davvero, Sirius, non dovrebbe stupirti così tanto che la gente applichi il ‘falso fino a prova contraria’ alle tue storie. Voglio dire, sei convinto che i tuoi genitori abbiano maledetto tutte le gelatine tutti gusti+1 passate, presenti e future per farti trovare sempre e solo gusti orribili.
- Oh, questo è assurdo. Ovviamente non hanno maledetto tutti i pacchetti di gelatine esistenti, hanno maledetto me.
- Sì, ma non è credibile, no? – Alice usa un tono eccessivamente ragionevole, come se stesse cercando di spiegare qualcosa di lampante a un bambino di cinque anni, e non ha chiaramente la minima idea di che cosa sta parlando. Né lei né Frank, che annuisce grave, ce l’hanno: non sono loro ad aver mangiato una caramella al gusto di cadavere, mi pare. - Le gelatine se ne stanno lì, nel pacchetto, da prima che tu le prenda in mano, non possono semplicemente cambiare gusto quando entrano a contatto con la tua lingua.
- E allora è la mia lingua che è maledetta, no? Fa reazione con la sostanza che ricopre le gelatine e...
- Ehy, voi due, ma state scherzando? – Il braccio di James si posa improvvisamente sulle mie spalle e pochi secondi dopo i miei capelli vengono scossi da una violenta arruffata, perché a quanto pare non è più sufficiente per il mio migliore amico spettinare i suoi di capelli, deve invadere il mio spazio vitale e cercare di sconvolgere anche i miei. - Vi lascio con lui cinque minuti e voi tirate fuori l’argomento proibito? Lo sapete che poi si agita.
- Scusa, James, mi è uscito, - replica Alice mentre io allontano stizzito da me il braccio nemico. - Lizzie, ciao! Bel vestito!
Lizzie, che stringe la mano libera di James tra le sue, come noto distrattamente, ringrazia incerta Alice, senza smettere di fissarmi perplessa.
- Sirius crede di avere un problema con le gelatine, – le spiega James chinandosi verso di lei e abbassando la voce.
- Non dire crede, come se fossi pazzo, - soffio seccato, portandomi deciso di fronte a Lizzie: non riusciranno a mettermi contro un’altra persona in questo castello. Qualcuno prima o poi dovrà darmi ragione. - No, sul serio, non ascoltarli e dimmi se ti sembra possibile che in sedici anni di vita io non ne abbia mai beccata una al gusto fragola o mirtillo o che so io.
Lizzie ricambia incerta il mio sguardo, ma poi James si china a sussurrarle qualcosa all’orecchio e lei si focalizza su un punto imprecisato alle mie spalle.
- Ignoralo, non sa quello che dice, - insisto spingendo via il mio migliore amico. - Ascolta me: sedici anni e mai un gusto che una persona si infilerebbe volontariamente in bocca. Ti sembra possibile?
Continuo ad illustrare accorato le mie ragioni per un tempo indefinito, godendo del fatto che nessuno mi sta più interrompendo, prima di realizzare che non mi stanno nemmeno guardando. In effetti, non sembrano dare segno di essere a conoscenza della mia esistenza su questo pianeta.
- Ragazzi?
Fottuti bastardi, lo stanno facendo di nuovo: fingono di non vedermi né sentirmi fino a quando non cambio argomento. O fino a quando non faccio esplodere qualcosa in faccia a qualcuno, ho recentemente scoperto che anche quello funziona ed è più divertente.
 
*
 
Con la coda dell’occhio vedo Sirius fissarci indispettito per qualche altro secondo, prima di sospirare rassegnato.
- Ok, ok. Ho smesso di parlarne, d’accordo? Esisto di nuovo ora?
- Padfoot! Ma sei qui? – esclamo fintamente sorpreso, riportando gli occhi su di lui. – Dov’eri finito?
- Ah ah. Divertente. Davvero, siete tutti molto maturi, - Sirius dedica ad ognuno di noi un’ultima occhiataccia, prima di indicare uno dei tavolini in fila a ridosso di una parete, dalla parte opposta del lungo buffet affollato. – Ora portatemi del cibo là e potrete tornare ad essere miei amici.
- Ananas candito, vero?
Sirius piega gli angoli delle labbra verso l’alto in una smorfia sarcastica e mi fulmina con gli occhi, perché naturalmente odia l’ananas candito.
- Buona idea, - annuisce Alice prendendo Lizzie e Sirius a braccetto. - James, Frank, perché non fate i gentiluomini e andate a prendere da bere per le vostre lady?
- Sirius è la mia lady o la tua, per la cronaca? – chiedo a Frank mentre i tre si allontanano verso un tavolino vuoto.
- E lo chiedi anche?
- Giusto.
 

*
 
- Ti ho già detto che sei bellissima?
Dean giocherella con la punta rossa della mia treccia, sorridendomi imbarazzato ed io sento le mie labbra piegarsi a loro volta verso l’alto: pare che non facciano altro quando sto con lui.
- Una volta o due, – commento divertita, anche se ormai ho perso il conto effettivo, ma è senz’altro più alto di così. Non sono una grande amante dei complimenti in realtà, ma sulle labbra di Dean non mi dispiacciono, a essere sincera: suonano bene e basta, più veri, come se sentisse intimamente il bisogno di farmeli e non semplicemente perché è quello che si richiede ad un ragazzo in un’occasione simile. – Allora, avevo ragione o no sull’ananas candito? Cercherai di entrare nelle grazie di Lumacorno per goderne ancora?
Dean fa sparire in un boccone l’ultima fetta rimasta nel suo piattino, soddisfatto.
- Oh sì, potrei quasi impegnarmi per diventare il migliore della classe in Pozioni e farmi eleggere membro permanente del Lumaclub, - annuncia deciso, lanciando un’occhiata vaga al buffet, prima di aumentare il passo in direzione dell’angolo bibite. - Certo, per trasformare il mio Accettabile in un Eccellente dovrei farmi dare ripetizioni da qualcuno di incredibilmente bravo in Pozioni. Ti viene in mente nessuno, Lily?
- Beh sai, la maggior parte degli invitati qui si sono guadagnati l’invito a suon di radici d’asfodelo e ali di scarabeo, - commento con un sorrisetto. - Sono sicura che se ti guardi bene in giro, troverai qualcuno di qualificato.
- O magari posso semplicemente continuare a farmi invitare da te, mh? - Dean mi guarda di sfuggita con un sorriso vago, mentre inizia a riempire due calici. - Punch?
- Sì, grazie, Philips.
Potter sorseggia amabilmente il liquido rosato dal calice che ha appena sfilato da sotto il naso di Dean, apparentemente molto soddisfatto di sé. Se ne sta lì, nella sua stupida camicia bianca e i capelli scompigliati come al solito e sembra trovare l’intera situazione molto divertente, a giudicare dalla luce canzonatoria nei suoi occhi. Ma probabilmente Potter avrebbe quell’aria sorniona anche ad un funerale, perché la sua faccia si è semplicemente dimenticata come si fa ad assumere altre espressioni. Il sospiro che esce dalle labbra di Dean invece è tutto meno che divertito, così gli poso una mano sul braccio, precedendolo.
- C’è un motivo in particolare per cui sei qui, Potter?
- Oh, beh, lo sai come vanno queste cose, no? – Potter si stringe nelle spalle, posando sul tavolo il bicchiere ora vuoto. - Le api, i fiori, la cicogna, gonne come la tua...
- Non mi interessa quale sciagurata serie di eventi abbia portato alla tua nascita, Potter, - sospiro. - Intendo qui, a questa festa, in questa precisa parte di sala, a stretto contatto col mio spazio vitale.
- Oh, quello, - Il suo sorriso si allarga, perché è quello che fa sempre, allargarsi quando sembrava che avesse già raggiunto l’espansione massima. - Sono solo venuto ad assicurarmi che tu non avessi bisogno di me, Evans. Sai, non vorrei che mi appellassi.
Il suo sguardo diviene particolarmente eloquente mentre pronuncia le ultime parole e per un attimo nella mia mente al suo sorriso si sovrappone l’enorme schermo che segna il conto, appena salito ad uno, delle innumerevoli volte in cui me lo rinfaccerà. Dean, palesemente infastidito, sembra sul punto di replicare, ma io scuoto appena la testa, prima di riportare gli occhi su Potter, in silenzio. Non posso definirmi un’esperta, perché James Potter non è una scienza esatta, ma se c’è una cosa che ho imparato in questi sei anni è che l’unico modo per incrinarlo è la totale assenza di reazioni: il silenzio, il fingere che lui non esista, queste sono le armi da usare, non le parole, perché lui non fa che prenderle, rivoltarle, caricarle di significati inappropriati e rigettarle contro di te. Potter mi fissa in attesa per qualche altro secondo, accigliato, prima di incrociare le braccia al petto e confermare ancora una volta che non è fisicamente in grado di stare zitto per più di dieci secondi di fila.
- Non fraintendermi, non è che non mi aggradi finire appiccicato a te, ma ci sono molti oggetti fragili qui e non è il caso.
Dean, da bravo Corvonero, ha intuito la mia tattica di combattimento al volo e la sta eseguendo, ma la sua faccia non è particolarmente abile nel mostrarsi indifferente all’esistenza di Potter, che ovviamente se n’è accorto e pare sempre più divertito, mentre spizzica cibo qua e là dal banchetto senza smettere di dare aria alla bocca.
- Quindi, la prossima volta che non riesci più a fare a meno di me, dimmelo e basta, ok?
Ad un certo punto starà zitto, per forza. Nemmeno Potter può continuare a parlare da solo all’infinito, per quanto sia innamorato del suono della sua voce.
- Vedo che non sei andata in Infermeria a farti sistemare il labbro, Evans. È perché te l’ho fatto io, vero? Conservi quel taglio come reliquia del nostro momento di estrema vicinanza?
- Oh Godric, Potter, non dirlo come se ci fosse una storia scabrosa dietro: mi hai dato una testata in faccia e mi hai spaccato il labbro, ecco com’è andata.
- Non l’ho detto in nessun modo, Evans, - Potter inclina il capo di lato, visibilmente compiaciuto di essere riuscito a rendersi abbastanza fastidioso da non poter più essere ignorato. - Sei tu che proietti le tue fantasie erotiche su di me.
- Ti ha dato cosa?
- Una testata, - dico e non mi stupirei se ora gli occhi di Dean rotolassero via dalle sue orbite: sembra che ci sia qualcosa, dentro la sua testa che sta provando in tutti i modi a spingerli fuori. - Ma non in modo malvagio, lui...
- Era una testata passionale.
- Potter.
- Amichevole?
Testata amichevole? È per questo che sei così stupido? Tu e Black passate il tempo a...
- Non possiamo tornare ad ignorarlo, per favore? – Dean mi lancia un’occhiata implorante e Potter gli lancia uno sguardo di sufficienza.
- Oh, mi stavi ignorando, Philips? Non me n’ero accorto.
- Ignorarlo non funziona, non ignori le invasioni di gnomi nel tuo giardino, no? Le estirpi, - Potter vuole la guerra? E guerra sia: è giunta l’ora di tirare fuori l’armeria pesante. – Mi passeresti le arachidi, Dean? Grazie.
Dean mi porge con aria perplessa una delle tante ciotoline presenti sul tavolo ed io ci immergo immediatamente le dita, guardando Potter con sfida. Lui alza un sopracciglio, ironico, mentre io mi infilo la prima arachide in bocca: se tutto è andato secondo i piani, dovrei avere un’aria estremamente minacciosa nel masticarla lentamente e con un particolare piacere dovuto al tenere tra le labbra qualcosa che, se assunto a giuste dosi, può uccidere Potter.
- Non è così che funzionano le allergie, Evans. È inutile che mi sventoli la ciotola sotto al naso: posso toccarle senza prendere fuoco.
Lo so come funziona. Era un avvertimento, - preciso. - Tradotto a parole: sparisci o te le ficco in gola con tanto di ciotola.
- Bene. Benissimo. Vi lascio, sono sicuro che abbiate un sacco di cui parlare, - sbuffa Potter ed io riesco quasi a sentire le campane intonare l’Halleluja. Non sono felice che per colpa di questo ragazzo ora ci siano delle campane immaginarie nella mia testa, per l’appunto. - Comunque sono commosso, Evans: se lo ricorda a malapena Sirius che sono allergico alle arachidi e lui vive con me, sai.
Conosci il tuo nemico! – gli grido dietro indispettita, lanciandogli un’arachide contro la schiena mentre si allontana. Poi ricordo che degli elfi domestici dovranno pulire e mi chino a raccoglierla, perché non voglio che si vendichino sulla mia colazione o cose del genere. – Bene. Benissimo. Dov’eravamo? L’ananas candito, sì?

 
*
 
- Allora, tu e James.
Oh no, non di nuovo.
- Lei e James cosa?
Black, seduto al mio fianco, alza perplesso lo sguardo su Alice.
- Esatto, - annuisce lei senza smettere di guardarmi, le mani incrociate sotto il mento. - Tu e James cosa?
- Cosa? – dice Black.
- Cosa cosa? – dico io.
- Intendo, – dice Alice.
- Black, cosa dicevi riguardo alle gelatine? – dico io. – Mai una gustosa in sedici anni? Davvero?
- Ok, hai vinto, - Alice alza le mani con un sorrisetto sconfitto, mentre Black parte ad espormi a raffica tutte le sue esperienze di vita con le gelatine. – Bella mossa. Astuta. Ora però devi aiutarmi a spegnerlo.
- E quella è stata la prima volta in assoluto in cui ne ho mangiata una, - continua Black convinto, ignorando i tentativi di Alice di interromperlo. - E sapeva di cacca di piccione. Cacca di piccione, riuscite a immaginarlo?
Ci dev’essere un motivo per cui Black sa così bene qual è il sapore della cacca di piccione e se il mio cervello stesse ancora ascoltando, saprei anche perfettamente qual è questo motivo, perché lo sta spiegando proprio ora, senza la minima parsimonia di parole. Ma il mio sguardo è stato attirato come una calamita dal buffet dall’altra parte della sala, dove Frank sta riempiendo un piatto di stuzzichini vari e James sta armeggiando con dei bicchieri di punch, proprio accanto ad Evans.
- E mi sono detto, magari questa è la volta buona, no? È così gialla e lucida ed invitante e profuma di limone, come può essere cattiva? Profumava di limone. Ho pensato che fosse limone.
E le sta parlando. Le sta solo parlando, è una nostra compagna di Casa ed era proprio lì, accanto al punch, e non c’è nulla di strano in tutto questo. È solo che è così lampante e lui si ferma sempre, anche se solo per prenderla in giro. Come se non fosse fisicamente in grado di lasciarla passare senza andare da lei, senza provare a sfiorarla.
- Nessun ragazzino di nove anni dovrebbe mangiare qualcosa che sa di caccole, non il giorno del suo compleanno. È stato allora che ho iniziato a capire della maledizione.
C’è un ragazzo in piedi accanto ad Evans che continua a spostare lo sguardo da lei a James; non indossa la divisa, ma dovrebbe essere un Corvonero, se non erro. Ha l’aria sconcertata e vagamente a disagio e non credo che James gli stia molto simpatico. Interviene raramente, non appena James ed Evans gli lasciano un secondo di tempo per inserirsi e ho l’impressione di averlo già visto da qualche parte, forse sul campo da Quidditch. E non dovrebbe sembrarmi lui il terzo incomodo.
- Ho giurato a me stesso che non ne avrei mai più mangiata una, ma non è così facile, sapete? Sono letteralmente ovunque. Sembra che la gente non faccia altro che offrirtele, tutto il tempo.
E poi mi viene un’idea.
Nasce da un punto indefinito dentro di me e si fa strada sempre più velocemente, fino a quando diviene il centro di ogni mio pensiero, assorbendo su di sé tutta la mia concentrazione, sempre più allettante ai miei occhi, perché è così palesemente un’idea stupida e che non porterà a nulla di buono, che la Grifondoro che c’è in me non può che gettarvisi a capofitto. Dura davvero poco la battaglia interiore tra la Lizzie che vuole farlo e basta e quella che insiste perché io resti seduta qui a considerare la moralità della cosa e le conseguenze che ne seguiranno: Black non è nemmeno arrivato agli anni di Hogwarts con il suo dettagliato resoconto, quando io mi alzo improvvisamente, facendo strisciare la sedia a terra, proprio mentre James e Frank ci raggiungono.
- Vado un secondo in bagno, scusate.
Incrocio per un attimo lo sguardo confuso di James, poi mi volto ed esco a passo spedito dalla sala, il brusio dei miei compagni che copre a malapena il ronzio fisso che mi risuona nelle orecchie.
Vomito! Bel modo di iniziare il primo anno, eh? E chi diavolo metterebbe sul mercato una caramella al gusto vomito, poi? 
 


 
**********
 
 
- Remus? Che ci fai qui?
Lizzie, la maniglia ancora stretta tra le dita, mi guarda perplessa e per una frazione di secondo mi sento come se fossi stato colto con le mani nel sacco. Poi il lume della ragione si fa strada in me e ricordo che sono sdraiato sul mio letto a rileggere il mio tema di Pozioni, approfittando della tranquillità che regna sovrana in assenza dei miei amici, e che non c’è assolutamente nulla di illecito in questo.
- È la mia camera, – puntualizzo, posando tatticamente la pergamena sulla coperta di fianco a me, proprio sopra la mia cioccolata da studio: non fa parte dell’ordine naturale delle cose offrire la cioccolata da studio, troppo scura, vellutata e fondente al cento per cento per essere condivisa.
- Giusto.
Credo che un’esperta di cioccolata come Lizzie potrebbe semplicemente fiutarla ed è per questo che sono così in allerta, mentre la osservo indugiare sulla soglia della camera, ma la verità è che lei sembra avere altro per la mente: i suoi occhi spaziano nervosamente per la stanza, indugiando qualche secondo in più sul cumulo formato dal cuscino di Peter nascosto sotto il suo piumone.
- Peter è tornato a casa per le vacanze e Sirius ha cercato di ricrearlo perché non mi sentissi solo questa sera, - spiego notando le sue sopracciglia aggrottarsi perplesse. Non funziona, per l’appunto: conosco alla perfezione la forma della pancia di Peter sotto le coperte e non è per niente simile a quella; ho il sospetto che agli occhi di Sirius il nostro amico appaia appena più tondeggiante di quanto in realtà non sia. – Perché non sei alla festa comunque?
Per favore, per favore, non rispondere che James e Sirius hanno dato fuoco a qualcosa o qualcuno e la festa è stata sospesa; è la mia serata tranquilla, non è giusto che venga interrotta da un incendio doloso ad opera dei miei amici, proprio no. Non ci sono segni di fuliggine sul vestito di Lizzie comunque e questo è un buon segno, ma la sua espressione è tutt’altro che rilassata: continua ad evitare il mio sguardo e passano diversi secondi prima che lei si decida a parlare, un sorriso dall’aria forzata sulle labbra.
- James mi ha mandato a prendergli una cosa.
 


*
 

- Mi hai fatto male.
- Non ti ho fatto male.
- Hai preso il mio braccio e lo hai storto tutto dietro la schiena.
È quello che ho fatto, sì, ma Sirius e la sua aria indispettita lo fanno sembrare più grave di quanto in realtà non sia: a volte un migliore amico deve semplicemente fare cose spiacevoli, per il bene di tutti.
- Ti stavano pregando, Pad, e tu continuavi lo stesso a parlare.
- Sembrava che non saresti stato zitto mai più, - mi dà manforte Frank, annuendo. – È stato spaventoso.
- Beh, non è stato comunque carino da parte vostra, – insiste Sirius, ostentando un’aria eccessivamente afflitta, mentre fissa il suo piatto ora vuoto. So cosa sta facendo.
- No, non lo è stato, – concorda Alice, cascandoci in pieno e spingendo verso il mio amico la sua dose di stuzzichini a mo’ di consolazione. – Ma parlando di cose serie: perché Marlene McKinnon continua a lanciarti occhiatacce?
Mentre Sirius, improvvisamente di nuovo allegro, inizia a spettegolare con la bocca piena, lascio correre lo sguardo verso l’entrata della sala: Lizzie è sparita da una considerevole quantità di tempo ormai e suppongo che, in quanto suo accompagnatore, ci si aspetti da me che io la vada a cercare a questo punto. Lancio un’occhiata veloce alla camicia nera di Sirius, chiedendomi se sia possibile che ci sia nascosta la mappa lì sotto, ma quando lui mi accusa a voce spropositatamente alta di guardargli le tette, decido di fare alla vecchia maniera e così mi avventuro per i sotterranei. Non è la parte del castello che conosco meglio, perché fa freddo qua sotto ed è sempre buio, anche in pieno giorno, senza contare che ci si annidano ragni grandi come Acromantule e che se io volessi compiere un omicidio o nascondere un cadavere, è qui che verrei; e poi sono il punto di Hogwarts con il più alto tasso di concentrazione di Serpeverde, il che basta e avanza a tenermi lontano da qui il più possibile. Comunque sono abbastanza sicuro che ci sia un bagno da queste parti, alla fine di questo corridoio, se non sbaglio. E di solito io non sbaglio.
Sto studiando accigliato da qualche secondo la spessa porta di quercia scura di fronte a me, chiedendomi se sia o meno l’entrata di un bagno, perché non lo sembra poi molto, quando improvvisamente avverto dei passi alle mie spalle. Mi volto di scatto, pronto a far fronte all’aggressione di qualche Serpeverde allo stato brado e nel suo habitat naturale, ma tutto quello che vedo è Evans. Cammina sicura verso di me, sola, la leggera gonna a pieghe che ondeggia ad ogni suo passo, ed io sto per chiederle dove ha lasciato Philips, ma le parole mi muoiono sulle labbra, perché improvvisamente lei mi passa una mano dietro la testa, allacciando decisa le dita ai miei capelli, e mi tira verso di sé. Deve avere delle arachidi nell’altra mano e probabilmente ora me le infilerà in gola, proprio come anticipato, sperando che io prenda fuoco, perché, checché ne dica, non ha la minima idea di come funzionino davvero le allergie. Solo che non è la sua mano quella contro le mie labbra, non sono arachidi e non è niente che faccia parte di questo mondo.
Ci metto diversi secondi a realizzare che Lily Evans mi sta baciando.
Che il sapore ferreo che sento sulla punta della lingua è quello del sangue che le esce dalla pelle, che è il suo naso ricoperto di lentiggini quello che sfrega contro il mio, che sono suoi gli occhi che vedo di fronte a me, chiusi, le ciglia scure a sfiorarle le guance, mentre i miei si spalancano. Sono le labbra di Lily Evans quelle che premono contro le mie e questo non ha senso in nessuno dei mondi conosciuti, ma è anche l’unica cosa che ce l’abbia. Il mio corpo è in qualche strano modo più avanti di me, perché prima ancora che io capisca cosa stia succedendo, lui si è già proteso verso di lei come se da questo ne andasse della mia vita e la mia mano destra è stretta con urgenza tra i suoi capelli ora, anche se non ricordo di averla mossa.
Ci metto diversi secondi a realizzare che Lily Evans mi sta baciando e quando lo faccio lei si è già staccata da me e la mia mano ricade inerte lungo il fianco. Sento ancora il sapore del sangue sulla lingua e mi ci aggrappo quasi spasmodicamente, quando vedo il graffio sulle sue labbra rimarginarsi all’improvviso. Aggrotto le sopracciglia come ipnotizzato, mentre la stessa ciocca sanguigna di capelli che pochi istanti fa mi sfiorava la guancia inizia a sbiadire, lasciando il posto a un colore infinitamente più chiaro. Diventa bionda tra le mie dita, e quando sollevo gli occhi tutto quello che incontro è l’iride azzurra di Lizzie, la delusione cocente che vi si rispecchia.
E improvvisamente so che sette piani sopra di noi, nel comodino accanto al mio letto, manca qualcosa. Che il seme di Polisucco vinto a Pozioni la settimana scorsa non è più lì.
- Lo sapevo. Voglio dire, è sempre stato evidente. Solo che lo volevo così tanto, ti volevo così tanto che ho chiuso gli occhi.
E Lizzie mi sta parlando e ha la voce rotta, ma non riesco a renderlo importante, non ora.
Lizzie se ne sta andando e forse si aspetta che io la fermi, ma il fatto è che tutto quello che riesco a pensare è com’è stato avere le labbra di Lily Evans contro le mie. E com’è non averle più, non averle mai avute.
E sento il mondo scivolarmi dalle dita per la prima volta in vita mia, perché non sono mai stato così fottuto come lo sono adesso, in piedi tra le pietre in penombra di questo corridoio dei sotterranei.
Io, James Potter, magnifico e perfetto per definizione, assolutamente, totalmente, inesorabilmente fottuto.
Sono innamorato di Evans.
Cazzo.
 
 
 
 
 
 
 
 

**********
 
- Ehy, Sirius!
- Non ora, – Non mi volto nemmeno a scoprire chi ha cercato di attirare la mia attenzione e continuo dritto verso l’uscita della sala a passo spedito, schivando i miei compagni: non mi avranno un minuto di più, oh no.
Ananas candito.
Quale persona sana di mente ingerirebbe una diavoleria simile? Non io, certo, non quando non c’è Lumacorno a due centimetri da me che continua ad offrirmelo e a insistere perché io non faccia complimenti, come se ne andasse della sua vita che io decida di mangiare il suo disgustoso concentrato di zuccheri puri oppure no. È successo, per l’appunto. Non mi avrebbe più lasciato andare, se non ne avessi ingoiato a forza almeno una fettina. È sembrato molto compiaciuto poi ed io ho potuto approfittarne per blaterare qualcosa e fiondarmi lontano dalle sue grinfie. Dannato assillante tricheco, ora ricordo perché dopo l’unica volta al terzo anno ho rifiutato sistematicamente ogni suo invito. E soprattutto dannato James Potter che mi ha convinto a venire: ora scopro dove si è cacciato e lo costringo a ingerire arachidi per tutta la notte, così si ricoprirà di bolle disgustose ed io tornerò di buonumore.
- Giuro solennemente di non avere buone intenzioni, – sussurro dopo aver lanciato un’occhiata circospetta al corridoio vuoto. La mappa del castello si disegna tra le mie dita e subito inizio a sondare i sotterranei con lo sguardo, solo per constatare che né James né Lizzie sono presenti, mentre d’altro canto i puntini di Anthea Bishop e Xenophilius Lovegood sono in un’aula poco distante da qui, quasi sovrapposti l’un l’altro. Un ghigno si dipinge automaticamente sulle mie labbra: il vecchio Xeno le starà sicuramente facendo vedere i suoi Nargilli. Sempre pensato che tutta quella storia del fingersi pazzo funziona alla grande con le ragazze. Il puntino di Lizzie lo trovo poco dopo nella nostra camera, insieme a Remus, e questo è bizzarro, ma non attira particolarmente il mio interesse: dove si è cacciato James?
La risposta arriva quasi dieci minuti dopo, perché questo castello, anche in scala, è maledettamente grande e affollato, e l’illuminazione dei sotterranei è penosa. Un’altra cosa che gode della mia disapprovazione è l’eccessivo numero di scale che si stagliano sempre di fronte ad ogni studente che voglia raggiungere un obiettivo qualsiasi e quando riesco finalmente ad arrivare alla Torre di Astronomia ho quasi il fiatone. Aspetto qualche secondo all’interno, giusto il tempo di regolarizzare il respiro e non farmi prendere in giro da James, che corre sempre da una parte all’altra e non ha la minima idea di cosa sia l’affanno, poi apro la porta e vengo investito dall’aria gelida della sera.
E questo è probabilmente l’esatto momento che, tra qualche giorno, in punto di morte, ricorderò come quello in cui mi sono preso la polmonite che mi ha stroncato. James se ne sta a pochi passi da me, a terra, la schiena contro il muro di pietra della torre e lo sguardo fisso di fronte a sé. Ha le maniche della camicia arrotolate sui gomiti e mentre mi avvicino circospetto mi domando distrattamente se non sia per questo che non si è ancora voltato verso di me, se non sia per caso congelato e impossibilitato a muoversi. Poi lui parla, sempre senza guardarmi, e tutto si fa chiaro.
- Sono innamorato di Evans.
E quindi ci siamo.
Ignorando il mio corpo che trema leggermente e mi suggerisce di rispondergli d’accordo, ma possiamo andare dentro?, mi porto al suo fianco, in silenzio, lasciandomi scivolare contro il muro. La spalla di James è calda contro la mia ed è a questo punto che lui si volta a guardarmi, con una nota di confusione negli occhi.
Perché sono innamorato di Evans?
Non gli rispondo, così come non rispondo alla pelle scoperta del mio collo che, mentre il vento gelido l’accarezza facendomi rabbrividire, si chiede a gran voce perché lui non possa essere innamorato dentro.
Quand’è che mi sono innamorato di Evans? Tu lo sai? – James ha smesso di guardarmi ora ed è tornato a fissare il vuoto di fronte a sé, come in trance. - Perché diavolo non mi hai avvisato che mi stavo innamorando di lei? Avrei potuto fare qualcosa, ad esempio smettere.
Sospiro, lasciando correre per abitudine gli occhi a cercare la mia stella, Sirio, che buca il manto nero della notte a ottomila anni luce da qui. Per qualche strano motivo sento la mia voce lontana risuonare tra le stanze ampie di Grimmauld Place e ripetere a menadito all’educatore il paragrafo sulla costellazione del Cane Maggiore, parola per parola, sotto lo sguardo inflessibile di mia madre.
- Sirius, - James mi chiama con un’improvvisa nota d’urgenza nella voce, come se non fossi proprio accanto a lui. - Sirius.
- Sono qui, – rispondo quieto, perché è vero ed è così che sarà sempre.
- Sono fottuto, – dice James ed è vero anche questo.
- Sì.
James resta in silenzio per un po’, prima di sollevare la testa di scatto, come colto da un’illuminazione improvvisa.
- Sirius.
- Sì?
- Tu non sei innamorato di Evans.
E lo dice come se fosse una grande rivelazione.
- No.
- Insegnami.
- Cosa?
- Insegnami a non essere innamorato di Evans, - James mi piazza quei suoi occhi nocciola in faccia, l’aria di uno che ha appena trovato la soluzione a tutti i problemi dell’universo. - Tu ci riesci, no? E anche un sacco di altre persone lo fanno, per tutto il tempo, non essere innamorate di Evans, persino Peter, quindi non vedo perché proprio io, tra tutti, non dovrei riuscirci.
- James.
- Sì.
- Sta’ zitto.
E James sta zitto, perché in fondo deve saperlo anche lui che ho ragione e che è una frana nel non essere innamorato di Evans. Ci prova da anni, ma avrei più speranze io di trovare una gelatina tuttigusti+1 che sappia davvero di caramella.
E sappiamo tutti che io sono maledetto.

 
 
 
 
 

 

 

 



 

 



 

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Ok, il fatto è, non pensavo che sarei mai arrivata al punto della storia in cui James scopre effettivamente di essere il protagonista di una Jily e invece dopo mille anni lo ha scoperto.
Suppongo che non arrivarci avrebbe lasciato incompleto quello che è stato un gran divertimento (e molto altro) per la me sedicenne. E ora invece -ora che con la me sedicenne ho in comune unicamente CAS- ho chiuso il cerchio e mi sarei anche fermata qui, se devo essere sincera, perché per dirlo anche a Lily che questa è una Jily ci metterei altri millemila anni e insomma, la vedo dura.
Ma non avevo calcolato che ci fosse ancora così tanta gente ad aspettare e a...tenerci. Le recensioni, i commenti sul gruppo, i messaggi privati -non riesco a esprimere bene a parole che cosa mi avete fatto col vostro entusiasmo, tutti quanti.  
Ritrovare la passione per questa storia è stato bello, scrivere i nuovi capitoli è stato un po’ come tornare a casa dopo tanto tempo. Ma scoprire che la casa non era vuota e che eravate in così tanti ad aspettare e festeggiare il compleanno di CAS, e poi quell’orgia dopo che ci siamo ubriacati tutt...no, quella no, aspettate. Beh, il succo è che non mi aspettavo tutto questo e mi sento un po’ travolta e felice e ispirata e quindi grazie.  

  

 

 

 

         

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CAPITOLO 24.

     

 

 

 

 


     

James ha gli occhi nei miei, ma non mi vede nemmeno.
Ha l’aria di essere appena stato colpito in faccia con qualcosa di molto pesante, che è probabilmente la stessa aria che ho avuto io tutte le volte che lui mi ha baciato, e dovevo avere le labbra di Lily Evans perché questo accadesse anche a lui.
Una volta tanto il fatto che il mio corpo non ascolta il cervello ed ignora i suoi ordini è un bene, perché anche se sarei rimasta a fissarlo ancora un po’, solo per imprimermi a fondo la sua espressione in mente, le mie gambe hanno deciso che è ora di ritirarsi. Colgo con la coda dell’occhio la luce che arriva dalla sala della festa, ma ci passo davanti senza fermarmi, a passo spedito. Il mio cervello non dà particolari segni di vita e non si oppone quando inizio a salire le scale quasi di corsa, senza un obiettivo preciso. Il più lontano possibile da qui andrà bene.



 
 
° ° ° 
 
- Chi è quello?
Allison, la bambina che da pochi giorni dorme nel letto accanto al mio, segue la direzione del mio sguardo verso la fine del tavolo di Grifondoro, dove un ragazzino del nostro anno sta facendo levitare una caraffa di succo di zucca. Ha i capelli più spettinati che io abbia mai visto, un paio di occhiali rettangolari sul naso e il labbro inferiore, piegato in un sorriso, stretto tra i denti per la concentrazione. Non sono l’unica a fissarlo: il bambino biondiccio che durante l’attraversata del lago è quasi caduto dalla barca è al suo fianco e ridacchia ammirato.
- James Potter, – Allison si raddrizza compiaciuta contro lo schienale della sedia, servendosi un’altra porzione di patate arrosto: a pochi giorni dallo Smistamento, ha già fatto amicizia con quasi tutto il primo anno e non manca mai di sottolinearlo. – A sentir lui il prossimo anno entrerà nella squadra di Quidditch come Cercatore.
Quando la caraffa si rovescia improvvisamente sulla testa di un ragazzino di Serpeverde dall’aria smunta, la Sala Grande viene percorsa da schiamazzi e risate e quella di James Potter è la più forte di tutte. È mentre il Prefetto di Grifondoro lo riprende e sottrae i primi rubini dell’anno dalla clessidra e James continua a ridacchiare divertito che decido che non tutti i maschi sono antipatici e noiosi.
Poi Allison mi passa il foglio con i nostri orari scolastici ed io le sputo il succo di zucca in faccia. Tre ore consecutive di Storia della Magia? Qui sono tutti pazzi.
 


° ° ° 
Sono al secondo anno ed Allison è quella che potrei definire la mia migliore amica. Non sarei qui con lei in Infermeria, se così non fosse: Madama Chips mi fa un po’ paura, senza contare che sono abbastanza convinta che quelli sulla schiena della mia amica siano solo brufoli e non il primo segno di qualche infezione mortale, ma non c’è stato verso di convincerla.
- Allora? Qual è il problema?
Il Prefetto di Grifondoro dice che non dobbiamo avere paura di Madama Chips, che anche se è un po’ brusca e sembra che odi gli studenti, non lo fa davvero. Quella che li odia sul serio, a detta sua, è Madama Pince.
- Non davanti a lui, – mormora Allison arrossendo, un dito ad indicare il ragazzino nel letto alle spalle di Madama Chips. Lei rotea gli occhi al cielo ed indica alla mia amica la porta del suo ufficio. Allison si avvia e prima di seguirla Madama Chips rivolge un’ultima occhiata severa allo studente alle sue spalle.
- Finisca la sua cioccolata e non provi ad alzarsi da quel letto, signor Potter, intesi? E per oggi non voglio più sentire altri ma da lei.
James Potter, che ha un braccio fasciato e i capelli che sembrano seguire le linee dello scarabocchio di un bambino persino più del solito, segue con lo sguardo la giovane strega, lievemente imbronciato. Nel momento stesso in cui la porta dell’ufficio si chiude alle spalle di lei, sguscia fuori dalle coperte e punta deciso verso l’uscita dell’infermeria, facendomi segno di tacere.
- Posso finire io la tua cioccolata? – chiedo prima che abbia raggiunto la porta, gli occhi fissi sulla tavoletta intonsa abbandonata sul comodino.
James alza le spalle.
- Prendila pure.
Pochi minuti dopo, con le grida di Madama Chips nelle orecchie e il sapore dolce del cioccolato che mi si scioglie sulla lingua, stabilisco che James Potter mi sta proprio simpatico. E che Madama Chips gli studenti li odia davvero, checché ne dica il Prefetto di Grifondoro.
 


° ° °  
Siamo al terzo anno e James Potter è riuscito davvero a entrare in squadra. Ora i miei occhi, come quelli di tutta Hogwarts, sono puntati su di lui. Si è appena lanciato in una picchiata improvvisa e la cronista, una Corvonero del quinto anno, è letteralmente impazzita e sta incitando con la voce amplificata il Cercatore avversario a fare lo stesso. Dalla tribuna rosso-oro si levano vaghe proteste, perché lei dovrebbe essere imparziale in teoria, ma io e la maggior parte dei Grifondoro al mio fianco siamo troppo impegnati a seguire la linea della scopa di James che si avvicina sempre più all’erba bagnata del campo, subito seguita dal Cercatore di Corvonero. Charles Davis raddrizza la scopa con un secondo di ritardo e mentre James riprende quota, senza sembrare più alla ricerca di nulla, il manico del Cercatore avversario sfiora il suolo e lui viene sbalzato a terra, ruzzolando tra la polvere. Lo stadio esplode in un boato, la McGranitt prende improvvisamente il posto della cronista, che ha gridato alcune parole di cui non conosco nemmeno il significato, e il Grifondoro del sesto anno al mio fianco sospira un ammirato “Una finta Wronsky, uno del terzo. Non ci credo”, prima di unirsi a gran voce al coro di ‘Potter!’ che si leva dagli spalti. Non ho la più pallida idea di cosa sia successo o di cosa sia un Wronsky e se si mangi, ma quando pochi minuti dopo, prima ancora che Davis si sia ripreso, James stringe le dita sul boccino d’oro e leva il braccio per aria, mi unisco anch’io al coro esultante dei miei compagni, gridando forte il suo nome.
Non ho una cotta per nessuno, come regola generale, ma se un giorno decidessi di prendermene una, forse sceglierei James Potter.
 


° ° ° 
È l’inizio del quarto anno ed insieme ad Allison sto cercando di spiegare ad Emmeline Vance, purosangue da generazioni, l’esatto funzionamento del telefono, quando la voce di James Potter risuona per la Sala Comune. Diverse teste si voltano nella sua direzione e qualche ragazzo del settimo anno alza gli occhi al cielo con un mezzo sospiro, ma i più piccoli pendono letteralmente dalle sue labbra. Ha detto ‘Ehy, Evans’ e gli occhi della nostra compagna di Casa si puntano scocciati su di lui solo dopo diversi secondi.
- Che c’è?
- Ci vieni ad Hogsmeade con me sabato?
Sento Allison trattenere il fiato.
I ragazzi degli ultimi anni lo fanno sempre, darsi appuntamenti romantici ad Hogsmeade e tenersi per mano, offrirsi Burrobirre e tutte quelle altre cose buffe. Anche Alice Prewett, che è del quarto come me, è stata invitata proprio due giorni fa da Frank Paciock e ha detto sì. Non è la sola, è successa la stessa cosa anche a due Corvonero e una Serpeverde della nostra età; Allison dice che è al quarto anno che si comincia tutto.
Ma James Potter non ha ancora mai invitato nessuna ragazza e quando Frank Paciock ha chiesto ad Alice di uscire non lo ha fatto a voce così alta e di fronte a tutti. I ragazzi più grandi non sembrano minimamente sorpresi o interessati alla faccenda, ma ogni Grifondoro dal quarto anno in giù sta fissando Lily Evans ora. Lei non sembra essersene resa conto, perché non ha spostato gli occhi da James, che a differenza sua sembra perfettamente consapevole degli sguardi di tutti.
- No.
- Come?
- No, non ci vengo ad Hogsmeade con te, Potter.
Ora persino i ragazzi più grandi stanno ridacchiando, mentre diverse ragazzine mostrano la stessa espressione sconvolta di James Potter, che decisamente non si aspettava un rifiuto. Credo di avere la sua stessa faccia ora, perché non vedo come mai qualcuno non vorrebbe passare una giornata con lui: è sicuramente il ragazzo più divertente del nostro anno, di certo più simpatico di quel Serpeverde con cui Evans passa tutto il suo tempo e che non fa che lanciare occhiatacce a tutti noi Grifondoro.
- Come vuoi, Evans.
L’espressione sorpresa è sparita dai lineamenti di James ora e mentre si dirige impettito verso il buco del ritratto, pare aver incassato bene il rifiuto. Più precisamente, sembra averlo totalmente schivato.
Marlene McKinnon, una Tassorosso del quinto anno, accetta l’invito di James Potter poche ore più tardi.
Quella notte in sogno sento ‘Ehy, Carson’ e tutti si voltano a guardarmi, proprio come con Evans, ma la scena finisce in modo diverso, perché non riesco proprio ad immaginare un solo motivo al mondo per cui dire di no a James Potter. Gli dico sì, glielo dico quella notte e molte altre notti ancora, ma di giorno lui non mi chiede mai nulla.
 


° ° ° 
Il mio quinto anno è quasi alla fine ed io e Mike Muller siamo stati insieme per sei mesi.
Siamo andati ad Hogsmeade, ci siamo tenuti per mano, mi ha offerto una  Burrobirra e tutte quelle altre cose buffe che i ragazzi e le ragazze fanno, solo che ora non le considero più così bizzarre. È stata la storia più lunga che io abbia mai avuto ed in effetti è stata l’unica, se non contiamo quella volta quando avevo sette anni e il bambino che viveva accanto a casa mia mi ha toccato una mano per sbaglio. Ci siamo preoccupati molto, ma dopo esserci disinfettati le mani più volte, abbiamo concordato che non abbiamo mai avuto una storia, così posso dire con abbastanza sicurezza che Mike è stato il mio primo ragazzo.
Quando io e Mike ci siamo lasciati, qualche mese fa, la cotta per James Potter era ancora lì, dov’è sempre stata. Non se n’è mai veramente andata, perché non ce n’è stato bisogno: non pensavo a James quando ho dato il mio primo bacio nel parco di Hogwarts, all’ombra di un faggio al limite della foresta proibita. Non ci ho pensato mai, nei sei mesi in cui sono stata con Mike, come d’altro canto non ci ho mai pensato più di tanto neanche prima, perché James Potter non ha mai vissuto nemmeno sul mio stesso pianeta.
La verità è che la mia cotta per James Potter assomiglia molto a quella che ho per il chitarrista dei BlackWizards e sono entrambi così lontani da me e irraggiungibili che nessun ragazzo potrebbe essere geloso di loro. Ho una specie di cotta per James Potter da sempre, ma non fa male che lui a malapena sappia chi sono, perché in fondo nemmeno io so davvero chi è lui.
 



° ° ° 
Ed è esattamente qui che ho sbagliato.
Ho avuto una cotta per James Potter più o meno da quando sono arrivata ad Hogwarts, ma non ha mai fatto male e non ha mai avuto particolare importanza, perché è sempre stato chiaro che tale sarebbe rimasta, una scontata, prevedibile, adolescenziale cotta non corrisposta per il ragazzo più popolare del mio anno. Lo stesso ragazzo che ho sempre dato per scontato che non mi avrebbe mai considerato ed è questo che ha reso tutto allegro e spensierato, perché nessuna ragazzina si chiude in camera a piangere perché il cantante dei BlackWizard non la considera. È l’ordine naturale delle cose e certe cotte sono solo bei visi disegnati su dei poster o sorrisi ammirati in lontananza. Il problema è quando il cantante dei BlackWizard decide di uscire dal poster e presentarsi in carne ed ossa alla porta di casa della ragazzina, invitandola a uscire. Questo, oltre ad essere probabilmente pedofilia, dato che nonostante quel faccino Johnny Rems ha ventisette anni, è l’errore: James Potter non doveva finire in coppia con me a Pozioni all’inizio del nostro sesto anno, non doveva calcolarmi, non doveva trovare piacevole la mia compagnia, non doveva avvicinarsi. Ma James Potter ha fatto di peggio, mi ha invitata ad Hogsmeade, quando la sua voce che lo chiede a me, proprio a me, sarebbe dovuta restare confinata nel dominio dei sogni, quelli che non racconto neppure ad Allison e che svaniscono così facilmente dalla mia mente durante il giorno. E mi ha baciata, come neppure avevo mai immaginato potesse fare. Questo è stato l’errore.
Questo ha trasformato la mia cotta platonica, la stessa che potrei avere per un cantante qualsiasi, in qualcosa di molto più vero, tangibile e reale. Ed è per questo che ora fa male.
Perché è stato il sogno più reale e lungo di tutti, ma è ora di svegliarsi.
È stata una simpatica parentesi de la vita ad Hogwarts di Lizzie Carson, ma ora si torna alla realtà, l’unica e sola, in cui quelli come James Potter non si innamorano di quelle come me.
Quando entro in Sala Comune, non sto piangendo. Perché non importa quanto io abbia voglia di farlo, non sarò quella ragazzina che piange perché il cantante dei BlackWizard sorride plastico nel poster appeso alle pareti della sua stanza e non la vede nemmeno.
Sarò quella ragazza che sale a scusarsi con il suo amico per essere stata un’idiota e avergli mentito. E poi sarò quella ragazza che vedrà se tale amico ha per caso otto chili di cioccolato fondente da offrirle.
 


**********


Se James e Sirius sapessero quanto ho studiato non mi rivolgerebbero la parola per giorni.
Non sapevo di essere in grado di assimilare così tante informazioni in poche ore, potrei praticamente non aprire più libro fino ai M.A.G.O. del prossimo anno e li passerei comunque a pieni voti, perché non esiste una singola cosa al mondo che io ora non sappia. Eccetto tutte quelle che riguardano il campo dell’Erbologia, certo, perché Sirius ha dato fuoco al mio libro per sbaglio e non ho potuto inglobarlo in queste due ore di estrema produttività insieme al resto della libreria. Credo di aver sempre sottovalutato il mio cervello, ritenendolo tutto sommato nella media, ma ora scopro che con il silenzio è in grado di lavorare a velocità praticamente subsoniche. Naturalmente questa non è davvero un’informazione che mi sarà utile in futuro, perché non accadrà mai più che io riesca a passare due intere ore col solo frusciare delle pagine in sottofondo: le persone ad Hogwarts non hanno la più pallida idea di cosa sia il silenzio, hanno sempre qualcosa da dire o da gridare o da far esplodere o da lanciarsi. C’è sempre qualcuno che dice qualcosa di divertente e allora tutti scoppiano a ridere e anche quando la cosa detta non è affatto divertente, ridono comunque per prenderlo in giro e ora che so che il mio cervello lavora molto meglio senza grida nelle orecchie la mia permanenza in questo castello, in questa stanza in particolare, sarà ancora più dura, perché ora conosco la grandezza della mia mente, so di cos’è capace se posta nelle giuste condizioni di calma, ma è una grandezza che è destinata a rimanermi preclusa. E l’improvviso bussare alla porta non fa che confermare questa amara consapevolezza: il tempo del silenzio è finito. Si ricomincia.
- Chi è? – chiedo senza alzarmi dal letto e subito mi do dell’idiota, perché se ci fosse uno dei miei compagni di stanza fuori da quella porta, allora io gli avrei appena servito su un piatto d’argento una vasta gamma di risposte ironiche e tendenti al demenziale. D’altro canto James e Sirius non busserebbero mai prima di entrare nella loro camera o in quella di chiunque altro.
- Sono Lizzie, - Nel sentire la voce che arriva oltre la porta chiusa, traggo un sospiro di sollievo: almeno il passaggio dalla quiete alla normalità non sarà così burrascoso e traumatizzante come lo avrebbero reso James e Sirius. Mi piace la gradualità, dovrebbe essercene di più al mondo. - Sei nudo?
- Sì, - rispondo, perché la mia mente, che si è abituata in queste due ore ad essere grandiosa, aveva già anticipato la domanda di Lizzie successiva al suo identificarsi, che doveva essere posso entrare? e allora sarebbe stata la risposta corretta. Ma lei invece ha detto sei nudo? e la mia mente non si sente più così grandiosa ora. È un bene che lo abbia infine realizzato, perché non sono James, che è perfettamente in grado di continuare a sentirsi grandioso in ogni situazione e contro ogni evidenza, ed è un bene che io stia tornando coi piedi per terra. – Voglio dire, scusa, stavo studiando: entra pure.
- Oh. Beh, ma posso aspettare che tu ti rivesta, prima di entrare, no? – La voce di Lizzie è parecchio esitante ora ed io mi rendo conto all’improvviso di come questa conversazione non stia andando nel modo previsto. - Non sarebbe…meglio?
- Non sono nudo. Non studio nudo, - chiarisco e mi chiedo perché la mia vita mi abbia portato al punto di doverlo specificare.  – Ho la divisa. Lo giuro. Puoi entrare.
Tutto questo è così sbagliato.
È qualcosa che dovrebbe accadere a Sirius, ritrovarsi a dover giurare di star indossando dei vestiti, e probabilmente in quel caso starebbe anche mentendo. È Sirius quello della nudità gratuita, non io.
Sono solo così grato che lui non sia qui ora e che non stia assistendo a questo scambio di battute. Probabilmente, ovunque sia, un brivido gli sta percorrendo la schiena proprio in questo momento, perché è quello che gli succede tutte le volte che perde l’occasione di prendere in giro uno dei suoi amici per il resto della vita.
- Sei vestito, - dice Lizzie affacciandosi alla soglia e sembra un po’ troppo sorpresa perché io non mi senta vagamente offeso: ho sempre pensato di essere una persona di cui fidarsi, una di quelle che possono sostenere di essere vestite senza che gli altri dubitino della loro parola. Ma a quanto pare no. – È una cosa che ti capita spesso, ammettere per istinto di essere nudo quando invece non lo sei?
- Sì, - dicono le mie labbra prima che io possa fermarle. – No. No. Assolutamente no. È che mi hai preso nel momento sbagliato: ho appena passato le ultime due ore ad essere davvero, davvero intelligente ed ora non lo sono più. 
- Li hai letti tutti oggi?
Lo sguardo di Lizzie si sofferma impressionato sui libri sparsi sul mio letto e impilati con cura sul comodino al mio fianco. Li ho studiati tutti, li ho divorati, polverizzati, resi parte di me, ecco cos’ho fatto. Vorrei dirglielo, perché ho fatto tutto questo in due ore e la cosa mi suscita uno sfrenato moto d’orgoglio, ma poi mi limito ad annuire, perché questo non sono io, dev’essere il gel per capelli di James a parlare in questo momento: mi è entrato nel naso quando lui se l’è spruzzato addosso ed ora sta cercando di trasformarmi nel suo proprietario. Dev’essere senz’altro così, perché se non ci fosse un gel che cerca dall’interno di trasformarmi in James Potter, avrei notato già da diversi secondi l’espressione bizzarra di Lizzie e il modo in cui continua a spostare gli occhi da un oggetto all’altro della stanza, come se non potesse stare ferma.
- Tutto bene? – E mi ricordo improvvisamente che Lizzie dovrebbe essere alla festa e che è già la seconda volta che è qui, quando dovrebbe essere là e questo è sospetto.
- Tra me e James è finita, - dice lei, fissandomi dritto negli occhi. – Non che fosse mai iniziata o che qualcuno qui, compresa me, sappia di cosa io stia effettivamente parlando, ma qualunque cosa fosse è finita.
- Oh, – dico, perché ho esaurito le mie due ore di intelligenza poco fa. Se solo fosse entrata qui prima, sarei sicuramente stato in grado di dire qualcosa di incredibilmente illuminante e risolutivo, ma lei è qui ora e oh è tutto quello che ho da offrirle.
- Beh, – dico e non so se sto per aggiungere qualcosa di sensato, ma lei fortunatamente non mi lascia finire, così posso fingere che avessi davvero qualcosa di brillante da dire.
- E ti ho mentito. Non è stato James a chiedermi di prendere il suo premio di Pozioni, ho fatto tutto da sola.
Lizzie abbassa lo sguardo a terra, vagamente colpevole, e nella mia mente iniziano a farsi strada diversi scenari, uno più tragico dell’altro, di come questa serata possa essersi conclusa.
- D’accordo, - inizio lentamente, studiandola attento. – Hai mentito, va bene. Le persone mentono, è quello che fanno. Che facciamo. James lo sa?
- Che le persone mentono?
- Che hai preso tu il suo seme, - dico e poi mi sento in obbligo di precisare. – Di Pozioni. Il seme di Pozioni.
Non mi sono mai sentito così socialmente inetto in tutta la mia vita, ma Lizzie sembra troppo persa in una qualche sorta di battaglia che si sta combattendo all’interno della sua testa per farci caso.
 - Ora sì, - Dice molto lentamente, lo sguardo a terra. - Non vedo come potrebbe non saperlo.
Non sono sicuro di voler chiedere come sono andate le cose esattamente, perché di solito le cose tendono ad andare nel modo peggiore possibile e questa doveva essere la mia serata tranquilla. Ma Lizzie sembra fraintendere la mia espressione accigliata e me lo dice lo stesso, con una certa urgenza nella voce.
- Mi sono trasformata in Lily Evans e l’ho baciato.
Ed eccoci qua.    
Mi ritrovo a fissare Lizzie con le labbra socchiuse e gli occhi spalancati in quella che sicuramente non è nella top ten delle mie espressioni più intelligenti. Quindi è così, è questo che succede quando Remus Lupin decide di prendersi una serata libera: il resto della scuola va a rotoli; gli equilibri si spezzano, Lizzie dà di matto e James viene baciato da Evans, che non era affatto Evans in realtà, ma questo non cambia nulla, perché James ha creduto di essere baciato da Evans. Questo è un disastro di dimensioni epocali. Non oso immaginare come stia reagendo alla cosa e se ci saranno di mezzo delle aule che vengono fatte esplodere: Sirius ha la mappa e questo vuol dire che ora è sicuramente con lui, ma non so quanto ciò possa essere un bene: per James lo è senz’altro, ma per il benessere della scuola la presenza di Sirius non è mai stata una gran garanzia. È solo che non posso preoccuparmi del benessere della scuola e di quello di James e di quello di Lizzie e tutti allo stesso tempo, semplicemente non posso. La mia testa esploderà.
Una cosa alla volta.
- Quindi, James, lui, come...
- Non ha detto una parola, - dice Lizzie. – Ma la sua reazione è stata molto eloquente. Voglio dire, la sua faccia, il modo in cui mi ha guardata quando avevo ancora gli occhi di Evans. Beh, lo sai.
Ed in effetti lo so, perché riesco ad immaginare perfettamente l’espressione di James e dopotutto è un bene il fatto che Sirius sia con lui ora.  
- Tu...
- Sto bene, - Lizzie alza le spalle con un mezzo sorriso, infilandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio. – E potrei ripeterlo con più convinzione con la bocca piena di cioccolata. Così, giusto perché tu lo sappia.
Sorrido.
- James tiene la sua scorta di Cioccorane sotto il letto. Così, giusto perché tu lo sappia.
 



**********


- Piuma di fenice.
Il ritratto della Signora Grassa scorre davanti a me, rivelandomi la Sala Comune vuota. Quando le dita di Sirius hanno iniziato a cambiare colore, l’ho convinto a rientrare; non che avessi realmente bisogno di convincerlo, nel momento stesso in cui ho spezzato il silenzio dicendo entriamo? lui è scattato in piedi. Non gli piace il freddo. Ora è nelle cucine a prendere della cioccolata calda da portare su in camera. Mentre salgo le scale, mi chiedo distrattamente se sia possibile che Remus stia ancora studiando e la risposta mi si para davanti agli occhi quando apro la porta della camera. No, per l’appunto. Ci sono i segni delle sue recenti perversioni coi libri, che sono davvero troppi per un paio d’ore e scommetto che se li è semplicemente spalmati addosso senza nemmeno aprirli, per una qualche depravazione da Prefetto, perché non esiste che una persona riesca a leggere così tanto in così poco tempo. Ma in questo preciso momento Remus non sta più studiando e si sta dando alla sua altra perversione, la cioccolata, e, cosa peggiore, lo sta facendo insieme a Lizzie.
È la mia camera, per l’appunto. Non devo certo sentirmi in colpa perché ho infine deciso di tornare nella mia stanza, eccetto che lo sto facendo. Sento le mie labbra schiudersi, ma dopo un istante di smarrimento lei è saltata giù dal letto e punta decisa verso di me. Ora mi prenderà a schiaffi ed io ho solo pochi secondi per decidere se schivare il colpo grazie ai miei riflessi ultra-sviluppati o essere educato e lasciarglielo fare. In entrambi i casi, sarà imbarazzante.
- Giusto. È la tua camera, – dice invece e in un batter d’occhio è sparita. Sbatto le palpebre e anche Remus lo fa, ma poi il suo sguardo si concentra su di me e lui scatta in piedi, guardandomi come se avessi una spada infilata al centro del petto e stessi sporcando il pavimento col mio sangue.  
- James, mi dispiace, è colpa mia, - inizia con l’aria di chi ha appena squartato un cucciolo di puffola pigmea ed io aggrotto le sopracciglia perplesso. - Gliel’ho dato io, ma non avevo idea, lo sai che non l’avrei mai fatto, no? Anche se pensavo che ti stessi comportando da idiota, perché ti stavi comportando da idiota, non avrei mai...mi dispiace così tanto, avrei dovuto capire che c’era qualcosa di strano, sono stato stupido. È tutta colpa mia.
Fisso il mio amico in silenzio per diversi secondi, studiando la sua aria colpevole e le labbra sporche di cioccolata. Io sono innamorato di Evans e Remus è convinto che sia colpa sua: un classico. 
- Moony, ti rivelerò un segreto: non tutto quello che accade ad Hogwarts è colpa tua, - Spalanco gli occhi e batto platealmente le mani con una melodrammatica smorfia di sorpresa. - Strabiliante, vero? Ma sul serio, non è fisicamente possibile che sia tutto colpa di una sola persona, ok? E se anche fosse, sappiamo entrambi che quella persona sarebbe Sirius.
Remus accenna un sorriso e annuisce appena.
- Va bene. Lo sapevo che non eri arrabbiato con me, in realtà. È molto sconveniente, ma lo sapevo e basta. È solo che a volte le persone hanno più bisogno di scusarsi di quanto tu ne abbia di ascoltare le loro scuse. Così e basta, - Remus mi sta guardando da quando ho messo piede nella camera, ma man mano che continua a parlare vedo i suoi occhi che iniziano a sondarmi con sempre maggiore attenzione e poi le sue labbra si muovono di nuovo, perché non ce la può proprio fare a non dirlo. - Come...
- Hai detto bene, non sono nemmeno lontanamente arrabbiato con te, - Lo interrompo deciso. - Ma se hai davvero intenzione di chiedermi come sto, allora sarà solo tua la colpa dell’occhio nero che ti ritroverai.
Le labbra di Remus restano socchiuse per qualche altro secondo ed io riesco a vedere lo sforzo sovrumano del suo trattenersi, ma alla fine le richiude. Probabilmente questa notte avrà gli incubi e si sveglierà gridando nella notte come stai, James, come stai? 
- Bene, - dice Remus, prima di accennare alla porta ancora aperta alle mie spalle. – Dovresti...
- Lo so, – annuisco.
Resto fermo a fissare Remus in silenzio per qualche altro secondo, perché non è proprio una cosa che io muoia dalla voglia di fare quella che sto effettivamente per fare, poi i suoi occhi ambrati mi sgridano in silenzio ed io mi volto ed esco dalla camera, come ogni maturo e responsabile Grifondoro del sesto anno farebbe.
 



**********


Ci sono tre tazze che volteggiano placide accanto alla mia testa ed una bella calda stretta tra le mie dita e tutte e quattro rischiano di finire a terra quando una voce risuona improvvisamente alle mie spalle, facendomi sobbalzare.
- Sirius! – ripete Frank entusiasta, salendo di corsa gli ultimi gradini che portano al primo piano, la mano di Alice nella sua. Ha gli occhi lucidi e le guance più colorite del normale e deve essere un po’ brillo, perché non è così felice di vedermi di solito. – Sirius! Dov’eri finito? Ti abbiamo cercato ovunque. Ovunque.
- Ti sei ubriacato alla festa di Lumacorno, Frank, sul serio? Chi farebbe una cosa del genere? – Mi porto prudentemente indietro di qualche passo, subito seguito dalle mie tazze volanti: non permetterò che restino coinvolte nell’energico gesticolare del ragazzo qui davanti. - Come, tra l’altro? Non c’era...
- Si è ubriacato col punch, - Non sono sicuro se Alice si stia rivolgendo a me o a se stessa, perché i suoi occhi sono fissi su Frank e il suo tono di voce è stranamente adorante. Sembra particolarmente innamorata ora, le labbra piegate in un sorriso perso, e ha l’aria di essere la fidanzata di uno che ha appena salvato due neonati e un gattino da un incendio e non di quello che si è ubriacato col succo di frutta. - Non è adorabile?
- Volete sapere chi è davvero ubriaco? – Frank sorride a trentadue denti ed io lo studio attentamente, assottigliando gli occhi: a me non sembra adorabile. – Lumacorno!
- Oh sì, Sirius, dovevi vederlo, - Alice annuisce convinta, mentre Frank si piega in due dal ridere, la testa contro la pancia della ragazza. – È stato stupendo, ha iniziato accennando qualche passetto di danza qua e là ed ha finito per cantare a squarciagola.
E mi riesce piuttosto facile in realtà immaginarmi Lumacorno che volteggia leggiadro tra gli invitati, come un tricheco che scivola sul ghiaccio. Lui sicuramente non ha bevuto quel punch annacquato, questo è sicuro.   
- Forse ci alzerà il voto in Pozioni se non lo raccontiamo troppo in giro, – considera Alice pensierosa, le dita tra i capelli di Frank. Poi incrocia il mio sguardo e la sua espressione pentita aggiunge silenziosamente ma ora lo abbiamo detto a te e tutta Hogwarts lo saprà.
Ha ragione, per l’appunto.
Non appena avrò i dettagli, ad esempio le mosse precise e la canzone scelta, allora inizierò a diffondere la notizia come se non ci fosse un domani, così impara a ficcarmi di traverso quel suo orribile ananas candito. Se il cibo che uno ama dice molto su una persona, allora cosa diavolo dice l’ananas candito di un professore ultraquarantenne e col triplo mento, mh? Niente di dignitoso, ve lo dico io.
- Tu hai un sacco di tazze, – mi informa Frank ritirandosi su. – Perché?
- Oh Godric, Frank, non puoi semplicemente chiedere alla gente perché ha tante tazze, d’accordo? Nemmeno se sei ubriaco, - Alice passa un braccio attorno alla vita di Frank, riprendendo a camminare. – Ma in effetti, Sirius, dove te ne vai con tutta quella cioccolata?   
- La porto ai miei sudditi, - replico prima di prendere un lungo sorso dalla tazza tra le mie mani. Oh sì, questo è un dolce per gente onorevole, altro che l’ananas candito. - Nel caso qualcuno avesse ancora dubbi sul fatto che sono l’amico migliore del mondo.  
- C’è comunque una tazza di troppo, - insiste Alice e non mi piace che la gente si metta a contare le mie tazze di cioccolata: lo trovo intrinsecamente sbagliato ed invadente; il numero di tazze di ognuno di noi è qualcosa di estremamente intimo e personale. - Peter è a casa per Natale, no?
- Peter, – Frank alza la testa di scatto come se avesse appena avuto un’illuminazione ed io aumento il passo, perché ci manca solo che spunti fuori Gazza, attirato dal rumore. – È da un sacco che non lo vedo.
- È a casa sì. E quattro meno uno fa tre, come le tazze che sto portando su: è tutto in regola.
Alice fissa le tre tazze che volteggiano al mio fianco, poi quella tra le mie dita e non pare convinta.
- Sono quattro, Sirius. Ne hai una tra le mani. La tua non è quella?
 - Questa non è la mia tazza, - sbuffo, prima di prendere un altro lungo sorso. - È quella la mia tazza.
- Capisco. Quindi possiamo dire che hai due tazze.
Frank ride e Alice ostenta un’aria soddisfatta, ma a me non piace affatto il modo in cui ha banalizzato il tutto. Non è affatto così. Ci sono dei meccanismi dietro, ragioni e processi raffinati che non possono essere ridotti a una tale offensiva semplicità.
- Non hai capito: questa è la mia cioccolata da viaggio, - spiego con un sospiro, alzando la tazza di fronte a me. – E la bevo ora, perché sono in viaggio. Quella è la mia cioccolata da camera. E la berrò quando sarò in camera.
- Hai anche una cioccolata da bagno? – Il sorrisetto di Alice mi suggerisce che non sta prestando alla questione la dovuta serietà. Certamente Frank non lo sta facendo.
- Hai comunque due tazze, non girarci attorno, – riprende Alice non appena Frank smette di blaterare sul fare tutti insieme un bagno nella cioccolata.
- Punti di vista.
- Matematica.
- Alice, - Quando mi fermo di scatto, Frank mi sbatte contro e per la seconda volta nella serata la mia cioccolata rischia di finire a terra. – Il tuo ragazzo sta per collassare e tu sembri più interessata a contare le mie tazze che a lui. È perché ne vuoi una, vero?
- Non immagini quanto.
Dannazione.  
Si fanno incontri pericolosi in questa scuola dopo lo scattare del coprifuoco. Bocche, bocche da sfamare ovunque.
- D’accordo, prendi quella di James allora.
 



**********


Lizzie è quasi arrivata alla cima delle scale che portano ai dormitori femminili e per un attimo prendo in considerazione l’idea di voltarmi e tornare in camera, perché in fondo non sarebbe in alcun modo colpa mia, ma sua che cammina troppo veloce e nemmeno gli occhi accusatori di Remus potrebbero rimproverarmi nulla. Poi il mio aspetta risuona per la Sala deserta e lei si ferma, perché non sarà James Potter a portare la vigliaccheria nella Sala Comune di Grifondoro. E non ho affatto paura, in realtà, solo che non muoio dalla voglia di tenere questa conversazione. Preferirei parlare con Ruff della guerra delle cento bacchette, di cui non so nemmeno una data. Ma non è come se Ruff ascoltasse davvero quello che dicono gli studenti poi, no?
- Che c’è?
Lizzie sembra un po’ scocciata e anche se so che è quello che succede alle ragazze quando le baci e poi però ti riveli innamorato di un’altra, lo trovo comunque bizzarro e innaturale, perché sono abituato a vederla pendere dalle mie labbra.
- Puoi scendere?
Credo che la distanza e l’essere letteralmente su due piani diversi sarebbero solo un bene in realtà, ora come ora, ma devo prendere tempo, perché non ho ancora ideato un vero e proprio piano. Lei inizia a scendere i gradini ed io cerco di azionare il cervello per capire come dirlo: so che ci sono persone che lo dicono e basta, ma devono avere senz’altro una tattica segreta per farlo, perché non è così semplice. Non posso solamente schiudere le labbra e pronunciare quella parola come se niente fosse. Non funziona così, ci sono dei meccanismi dietro, ci dev’essere un modo per dissociare il cervello e il resto del corpo dalle labbra mentre formulano quella parola, così che non sia nulla più di quello, uno stupido insignificante insieme di lettere e non un’ammissione di sconfitta e umiliazione.
Lizzie è davanti a me e non ha l’aria di chi aspetterebbe cinque minuti qui, il tempo di risalire in camera e farmi spiegare da Remus come si fa e poi tornare. Lui lo sa sicuramente, lui è un asso in questo, lo fa tutto il tempo, letteralmente, tutto il tempo, anche senza motivo.  
Mi passo velocemente la lingua sulle labbra per prepararle o per continuare a temporeggiare, una delle due. Persino Peter lo sa fare, santo Godric. È assurdo che lui sia più bravo di me in qualcosa, mi chiedo chi glielo abbia insegnato; sono io quello che sa fare le cose nel gruppo di solito e invece ora sono quello che si passa la mano tra i capelli e si schiarisce la gola a disagio. So perché non ho idea di come funzioni tutta questa storia, non è colpa mia, è semplicemente che non ho mai motivo di farlo, perché sono James Potter, sono fantastico e tutto quello che faccio tende ad essere perfetto. Poi però le mie labbra si muovono e dirlo mi viene più naturale di quanto mi aspettassi, forse perché il mio ego non può accettare di non riuscire in qualcosa che persino Peter sa fare o forse solo perché qualcosa negli occhi di Lizzie fissi nei miei me lo strappa letteralmente di bocca.
- Scusa.
Lei resta in silenzio per diversi secondi e nessuno inizia ad applaudirmi per la mia prova di abilità. È stato uno scusa modello, senza incrinature né patetismi, sentito al punto giusto e credo sia stata un’ottima prima volta.
- Ok, – dice Lizzie e c’è solo una cosa che non mi è chiara. Io ho detto scusa e lei ha detto ok e questo vuol dire che ha accettato le mie scuse. Che se ho fatto qualcosa di sbagliato, ora è finita. Posso andare in pace. Ma non mi è chiaro perché allora continuo a sentire uno strano disagio e una spiacevole sensazione da qualche parte in fondo allo stomaco. Le arachidi non le ho nemmeno toccate, quindi dev’essere senso di colpa, qualcosa di cui sono ancora meno esperto rispetto alle scuse. Ho sempre creduto che fosse più una leggenda metropolitana che qualcosa di reale, una sensazione che vive solo nelle fiabe, nelle parole della gente e in ogni parte di Remus, di certo non in James Potter. E invece ora è qui, quasi palpabile. È qui ed io non riesco a mandarlo via.
- Credo che sarebbe fantastico essere innamorato di te, - dico quando Lizzie fa per andarsene e non so se è quello che un ragazzo dovrebbe dire in questa situazione, ma le mie labbra sembrano avere un piano e stanno facendo tutto da sole. O più probabilmente si stanno lanciando nel vuoto e non sanno nemmeno cosa sia un piano. - Sceglierei te ad occhi chiusi, se potessi. Sei, sei il genere di persona di cui qualcuno si vorrebbe innamorare.
Lizzie chiude gli occhi e fa una specie di sorriso che non ci assomiglia poi molto.
-Beh, tu no, - mormora con una punta d’amarezza, riportando gli occhi chiari nei miei. - Nessuna vorrebbe innamorarsi di un ragazzo completamente perso di un’altra.
Completamente perso. Devo fare forza su me stesso per frenare la sensazione di rifiuto che percorre all’istante ogni centimetro del mio corpo e impedire alle mie labbra di negare ancora e ancora e ancora. Completamente perso.
- Lo dirai...
- A tutta la scuola? – Lizzie mi interrompe con una risata incredula. - No, non dirò a tutta la scuola che hai continuato a baciare me mentre vedevi solo lei.
- Volevo dire a lei, non lo dirai a lei, vero?
E il fatto è che so che non lo farà e questo non fa che ravvivare la spiacevole stretta allo stomaco, perché io starei già appendendo gli striscioni per tutto il castello al suo posto.
- No, - sospira e credo che abbia solo voglia di salire in camera a raccontare alla sue amiche di quanto io sia stronzo. Forse dovrei smettere di trattenerla e salire in camera anch’io a raccontare ai miei amici quanto sono stronzo, ma i miei amici lo sanno già in effetti. - Non rendiamo le cose più imbarazzanti per tutti, eh?
Non so come le cose potrebbero essere più imbarazzanti di quanto lo siano già, ma annuisco.
- Mi dispiace.
E l’ho detto di nuovo, persino in una nuova variante. E di nuovo sono felice che siano tutti alla festa o a dormire e di nuovo non serve a nulla.
- Ho capito, - dice lei. - Non l’hai fatto apposta.
- L’ho fatto apposta, – ribatto, perché mi ci sono impegnato davvero tanto, negli ultimi mesi, a non pensare. Era tutto quello che volevo e ci sono riuscito alla grande, perché è quello che faccio di solito, riuscire nelle cose. E l’ho decisamente fatto apposta. 
- Ok, - Lizzie annuisce lentamente, poi si volta e riprende a salire le scale. Una volta in cima si sporge dalla ringhiera e prima di sparire nel dormitorio aggiunge con una punta di soddisfazione: - Remus mi ha dato la tua scorta di Cioccorane e l’ho finita tutta.
Resto a fissare le scale ora vuote per diversi secondi, spiazzato. Sirius, quando decide di atteggiarsi a conoscitore massimo di ogni cosa nel mondo e di donne in particolare, sostiene che le ragazze si ingozzano di gelato e cioccolata quando hanno problemi nella loro vita amorosa, ma non ha mai specificato che la cioccolata è quella del ragazzo che causa loro tali problemi; è qualcosa che non avrebbe dovuto omettere.
Passano pochi altri secondi e un rumore di passi attira il mio sguardo verso la scala del dormitorio maschile. Ora, non voglio insinuare che Remus stesse origliando, perché non sembra il genere di cosa che farebbe, ma il suo perfetto tempismo è a dir poco sospetto. Mi raggiunge e di nuovo gli leggo negli occhi quell’insopportabile voglia di chiedermi come sto. È quasi eroico il modo in cui si trattiene.
- Lo sai che le Cioccorane erano di Sirius, sì?
Remus mi guarda spiazzato.
- Erano sotto il tuo letto.
- Ci sono un sacco di cose sotto il mio letto, - replico con un’alzata di spalle. – Anche il tuo libro di Erbologia, se guardi bene.
Remus sembra sempre più disorientato.
- Credevo che Sirius gli avesse dato fuoco.
- Non ho detto che è integro, Moony, solo che c’è, - preciso. - E a proposito di Sirius, è sceso nelle cucine a caccia di zuccheri, ma non ha nemmeno il mantello. Vado a prenderlo.
- Vengo con te? – chiede immediatamente Remus ed io gli lancio un’occhiataccia, perché quello è semplicemente un modo come un altro per esprimere comunque il suo bisogno di chiedermi come sto.
Pochi minuti dopo sono fuori dalla Sala Comune, intento a sistemarmi per bene il mantello addosso, sotto lo sguardo tollerante della Signora Grassa che mi ha appena visto sparire nel nulla di fronte a lei per l’ennesima volta. Faccio in tempo ad allontanarmi appena di pochi metri che dei sussurri divertiti risuonano improvvisamente per il corridoio buio. Mi volto e li vedo avvicinarsi senza fretta al ritratto, continuando a scherzare tra loro alla luce del Lumos di lui. Non so perché mi sono fermato e sto continuando a guardarli oltre la stoffa argentea del mantello, invece di riprendere per la mia strada. Ma lui deve aver deciso di smettere di essere così noioso proprio in questo momento, perché lei continua a ridere come se le avesse detto la battuta del secolo e le parole di Lizzie mi rimbombano improvvisamente in testa. Completamente perso.
L’ha accompagnata davanti alla Sala Comune come un perfetto gentiluomo, come il cretino totale che è, quando tra i due l’unica che in teoria ha il permesso di starsene fuori a quest’ora è lei. L’ha accompagnata fin qui e questo è il momento di salutarsi, ma lei non si è ancora decisa a pronunciare la parola d’ordine per entrare ed è sempre più vicina  a lui.
Quando la Signora Grassa inizia a borbottare scandalizzata qualcosa sulla pubblica decenza e loro non la sentono nemmeno, mi volto di scatto, imboccando deciso il corridoio che mi porterà all’arazzo dietro cui si cela la scorciatoia per il quarto piano. Cammino veloce, la stoffa liscia e fredda del mantello che ondeggia come seta sul mio viso e le mani strette a pugno. Ed improvvisamente non mi sento più così perfetto, perché Lily Evans sta baciando Dean Philips e non me. Perché sarà sempre così, sarà sempre chiunque altro, piuttosto che me. Ed è semplicemente l’ordine naturale delle cose, come sono sempre andate e sempre andranno, ma non riesco a togliermi dalla testa che è comunque tutto totalmente sbagliato.
Si fotta l’ordine naturale delle cose, dovrei essere io.
 

 

 



         

 

  

 

 

 

 

 

 

 

   

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


CAPITOLO 25.

   


 


 
Nel momento stesso in cui poso il primo piede a terra, scendendo dal treno, l’immagine del mio libro di Erbologia abbandonato sulla mia scrivania a casa si materializza di colpo nella mia mente ed io mi congelo sul posto. Ecco cos’ho dimenticato. Riesco già a sentire la voce di mamma sfondarmi i timpani tramite la strillettera che riceverò non appena si accorgerà che è successo di nuovo, nonostante i suoi infiniti ‘Peter, tesoro, sicuro di aver preso tutto? Sicuro? Sicuro sicuro? Ma sicuro sicuro sicuro?’. Non è nemmeno colpa mia a dirla tutta: nessuna persona al mondo riuscirebbe a connettere ancora il cervello dopo l’ennesimo sicuro sicuro sicuro? pronunciato con una tonalità ascendente sempre più acuta e vagamente dolorosa. A parte Remus, certo, ma lui sarebbe in grado di pensare e connettere e tutte quelle cose intelligenti anche con due strillettere appiccicate alle orecchie: è la sua specialità, far funzionare il cervello anche in condizioni avverse al ragionamento. Così come è specialità di James afferrare un boccino minuscolo prima degli altri, specialità di Sirius riuscire a mangiare anche a testa in giù e specialità mia farmi spintonare e prendere a male parole dagli studenti bloccati sul treno dietro di me, sui cui gradini ho ancora l’altro piede, quello che non è a terra. Non sono Remus, pensare lucidamente ed in fretta anche mentre tutti mi stanno gridando contro non mi riesce particolarmente bene, ma nonostante ciò, giungo abbastanza in fretta alla conclusione che la mossa migliore da fare ora è spostarmi, lasciando tutti liberi di uscire. Funziona, per l’appunto: non appena porto a terra anche l’altro piede, spostandomi di lato, il folto gruppo di studenti che sono rientrati a casa per le vacanze di Natale si riversa sull’asfalto grigiastro della stazione, puntando subito in direzione dell’uscita, dove ci aspettano le carrozze per Hogwarts; non c’è nessuno da salutare qui, è domenica sera e questo vuol dire che a nessuno studente di Hogwarts è permesso essere ad Hogsmeade, nemmeno per dare il bentornato ai propri amici.
I miei amici, per l’appunto, non sono nessuno studente di Hogwarts.
Sono i Malandrini e questo è il motivo per cui, prima di poter fare anche solo un passo, sento improvvisamente delle dita che si chiudono attorno al mio braccio strattonandomi di lato e subito dopo una stoffa fresca e liscia come seta scorrermi rapida sul viso. 
 
*
 

«Peter!»
James, nell’eccessivamente entusiasta intento di abbracciare il nostro amico, mi dà la terza gomitata sul naso da questa mattina, quando è stato deciso all’unanimità – in cui unanimità sta ad indicare che ogni parte di James era convita della cosa – che saremmo stati degli amici spregevoli e infami se non fossimo venuti a prendere Peter alla stazione di Hogsmeade. Forse ha ragione, lo saremmo stati: amici spregevoli e infami e col naso intatto e non dolorante per le infinite gomitate e perfettamente in linea col regolamento scolastico, ad attendere comodamente Peter all’entrata del parco di Hogwarts insieme a tutti gli altri e non spiaccicati l’uno contro l’altro sotto un mantello dell’invisibilità in un posto in cui non ci è assolutamente concesso di essere. Credo che sia stata una buona idea quella di lasciare la mia spilla da Prefetto al castello, l’unica buona idea della giornata.
«Cazzo, James, ahia, spero che tu muoia nel sonno, figlio di puttana. Sta’ fermo, fermo» Sirius, d’altro canto, non ha la mia stessa predisposizione a ricevere in silenzio le gomitate altrui. «Peter. Petey Pete. Sei proprio tu? Sei tornato davvero, dopo tutto questo tempo?»
«Sono stato via solo venti giorni.»  
«Pensavamo ci avessi abbandonato per sempre, è così bello vederti.»
«Sei ancora come ti ricordavamo, come se non fosse passata un’eternità.»
«Venti giorni.»
«Anni luce!»                                                                                                                        
«Quella non è un’unità di tempo» Qualcosa nel nucleo stesso del mio essere mi costringe a precisare, mandando in frantumi il mio proposito di non intervenire nel melodrammatico teatrino di James e Sirius. Davvero, non vedo il punto di stare sotto un mantello dell’invisibilità se poi si ha comunque intenzione di schiamazzare in questo modo. «Bentornato, Pete. Sei mancato anche a me.»
«Mente» dice Sirius intercettando con un gesto deciso la mia pacca di saluto a Peter. «Sotto il suo materasso ha i moduli da compilare per partecipare alle selezioni del Malandrino sostitutivo: ha iniziato a distribuirli dopo appena due ore dalla tua partenza. Ha una spilla da Prefetto al posto del cuore, te lo dico io.»
«È vero» annuisce James con aria grave. «Ci ha impedito di portare in camera il topo che abbiamo catturato nei sotterranei.»
«Avete catturato un topo?»
«Certo, perché a noi mancavi davvero.»
«Più grande di me?» si informa Peter sospettoso e quando James nega pare rilassarsi: a quanto pare il fatto che i tuoi migliori amici provino a rimpiazzarti con un roditore qualsiasi è offensivo solo se suddetto roditore ha una stazza maggiore della tua. Affascinante.
«In ogni caso era malvagio» aggiunge Sirius. «Continuava a cercare di morderci.
«Troppo tempo passato nei sotterranei» sospira James. «La sua lealtà era segnata: era un topo Serpeverde.»
«Era?»
«Remus lo ha ucciso.»
«Non l’ho mai nemmeno sfiorato il vostro topo, da persona sana di mente quale sono.»
«Ci hai costretto a liberarlo, la morte di Wormtail secondo è sulla tua coscienza.»
«Non pensavo di dovervi ricordare io di controllare che non ci fosse Mrs Purr nei paraggi prima di liberarlo.»
«Ha cercato di mangiare anche me una volta» sospira Peter con lo sguardo nel vuoto, perso in ricordi lontani.
«Bene» esclama Sirius battendo le mani. «Voto per allontanarci da qui: mi sono rotto di stare sotto questo mantello con voi tre appiccicati addosso come bavose.»
«Ti vogliamo bene anche noi, Padfoot» James fa un sorrisetto sarcastico. «Comunque io voto per andare ai Tre Manici.»
«Anch’io.»
«Sì, una Burrobirra la prenderei volentieri.»
«Io voto per tornare al castello.»
«Tutti d’accordo quindi, sì? Nessuno contrario?»
«Io voto per tornare al castello.»
«E Tre Manici sia!»
 
 
 

«E poi le ho spinto forte sul petto e la prozia Betty ha sputato l’osso di pollo in faccia a mamma» Peter sorseggia compiaciuto la sua Burrobirra, visibilmente orgoglioso. «E tutti hanno iniziato ad applaudirmi.»
«È stato molto eroico da parte tua, Pete, davvero» commento pacato, scaldandomi le mani contro la tazza di cioccolata fumante. E nonostante abbia le labbra ancora immerse nella schiuma della sua Burrobirra, il versetto contrariato di Sirius mi giunge chiaro alle orecchie.
«Ho fatto la stessa identica cosa con mia zia Druilla e tu l’hai definito immaturo, non eroico.»
«Le hai infilato un osso di pollo in gola con la magia: non è per niente la stessa cosa» preciso. «È la differenza tra un salvataggio e un tentato omicidio.»
«Non è tentato omicidio sotto gli undici anni: non avevo nemmeno la bacchetta ancora.
«Ha ragione, Moony» annuisce James, che tende a dare ragione a Sirius come regola di vita. «La magia non intenzionale non conta, lo sanno tutti.»
«E quello è stato il momento più emozionante delle mie vacanze» riprende Peter ignorandoci. «Cos’avete combinato voi invece?»
Sirius smette di guardarmi vittorioso solo per voltarsi verso Peter, accigliato. Anch’io mi volto verso di lui. James no. Sorseggia la sua Burrobirra con aria distratta, ignorando che ora sia i miei occhi che quelli di Sirius sono su di lui. Poi Sirius torna a guardare me ed io guardo lui e poi guardiamo di nuovo Peter, che pare piuttosto confuso. Per qualche secondo l’unico rumore è quello del chiacchiericcio tranquillo degli altri clienti e il tintinnare dei boccali contro il bancone del locale, poi Peter solleva le sopracciglia e spezza il silenzio.
«Beh? Non è successo niente di niente in venti giorni?»
Passano diversi secondi e sembra che nessuno mai risponderà a questa domanda, ma alla fine Sirius lo dice e basta.
«James lo sa.»
«Certo che lo sa, è rimasto qui con voi» borbotta Peter, che non ha evidentemente colto la solennità dell’annuncio. «Sono io che non lo so.»
«No, James lo sa. È questo che è successo.»
«James sa cosa?»
«La cosa.»
«Quale cosa?»
«La cosa. Quella.»
«La cosa che noi sappiamo e che James non sa» intervengo io, perché Peter continua ad avere un’aria perplessa. Quando finisco di parlare spalanca gli occhi, guardandomi incredulo.
«La cosa?»
«Sì, quella.»
«No, aspettate, non credo che abbiate capito a quale cosa sto pensando io» Peter assottiglia gli occhi, spostandoli da me a Sirius come se cercasse di leggere attraverso le nostre fronti. «Non può essere quella.»
«È quella.» 
«Ma quella quella?»
«Hai capito perfettamente.»
«La cosa che noi tre sappiamo e che James non sa? Quella? James lo sa ora?»
«Lo sa. Da quasi tre settimane.»
«Lo sa? Lo sai? È incredibile» Peter lancia un’occhiata sconvolta a James, che è ancora impegnato a sorseggiare la sua Burrobirra e a fingere di non essere seduto a questo tavolo con noi, perché è quello che fa quando non vuole che si tenga una conversazione. Peter riporta gli occhi su di noi, un sorrisetto incredulo sulle labbra. «E ne stiamo parlando? Quella è la cosa di cui non parliamo, ora possiamo farlo invece?»
«Non ne sono sicuro» commento, azzardando un’altra occhiata nella direzione di James. Non riesco ad essere particolarmente intelligente riguardo a tutta questa storia, perché nemmeno Sirius sa bene come comportarsi e questo è inusuale. Non che Sirius sia di solito un modello di comportamento da imitare naturalmente, ma quando si tratta di James è l’unico in grado di fare luce fino in fondo in quello che si nasconde sotto quel groviglio di capelli dotati di vita propria. «Forse non la chiameremmo la cosa se ne potessimo parlare.»
«Possiamo parlarne» dice Sirius. «Non parlandone.»
«Oh Godric, ragazzi, piantatela» James sbuffa, battendo esasperato il boccale vuoto della sua Burrobirra sul tavolo. Ed io potrei prendere la sua aria spazientita molto più sul serio se non ci fossero quei baffi di schiuma proprio sopra le sue labbra. Non sono l’unico ad averli notati e prima di riprendere a parlare, James si leva con uno scatto nervoso il tovagliolo che Sirius gli ha appiccicato sotto il naso. «Sono proprio qui davanti a voi. E non c’è nessuna cosa, non chiamatela la cosa, lo fate sembrare il punto attorno a cui gira tutto l’universo conosciuto. Non lo è. È un fottuto incidente di percorso.»
«Fottuto incidente di percorso è il nome in codice quindi?» chiede Peter, con l’aria di chi vorrebbe avere una pergamena su cui prendere appunti. «Ufficialmente parlando?»
«No» dice James e non ha l’aria di chi sta galleggiando a tre metri dal suolo che ha di solito. «Non ci serve un nome in codice, perché non c’è alcun bisogno di parlarne: è un problema totalmente risolvibile di cui mi occuperò al più presto. Un errore di distrazione. Seccatura momentanea. Beffa del destino. Anomalia correggibile.»
Ho come l’impressione che James stia ancora mormorando tra se e sé bizzarre definizioni del suo essere innamorato di Evans mentre si allontana in direzione del bancone, senza più degnarci di un’occhiata. Peter lo segue con lo stesso sguardo che dedica di solito ai miei appunti di Aritmanzia, poi si gratta il naso, dubbioso.   
«Siete sicuri che lo sappia, sì?»
«Lo sa» dice Sirius, che quella notte mi ha buttato giù dal letto alle tre e mi ha trascinato in bagno solo per bisbigliarmi lo ha detto, Remus, lo ha proprio detto.
«A me sembra in fase di negazione» insiste Peter, prendendo un sorso di succo di zucca.
«No, ha ammesso di essere innamorato di Evans» dico io. «Quello che non accetta è continuare ad essere innamorato di lei. È convinto che ora che ne è consapevole, potrà applicarsi e farsela passare.»
«Quindi non lo sa davvero.» 
«Oh, non lo so, Pete, è James, lo sai com’è.»
«Io lo so, ma lui lo sa?»
 
*
 

- Ecco a te, James.
Rosmerta, la giovane figlia del proprietario dei Tre Manici, fa scivolare la Burrobirra di fronte a me con un sorriso sfavillante, prima di riprendere a spolverare il bancone qui vicino. Io mi sistemo meglio sullo sgabello, appoggiando un gomito al bancone e bagnandomi le labbra nella schiuma, trattenendo un sospiro seccato: tutto questo non dovrebbe accadere a me. Riscoprirsi innamorati pateticamente di una che non ti vorrà mai è qualcosa che si addice di più ad un Tassorosso sfigato, come quel Butler del quinto anno che passa tutto il tempo a cercare farfalle nel parco da aggiungere alla sua collezione; lui ha sicuramente una cotta senza speranza per qualche sua compagna che non se lo filerà mai, ci metto la mano sul fuoco. È scontato e prevedibile che cose del genere accadano a tipi come lui, è l’ordine naturale degli eventi ed è giusto così. Quello che non è affatto naturale o sensato o giusto è che succeda a me, a James Potter, che sono il Grifondoro meno Tassorosso che esista e non ho mai collezionato farfalle in vita mia. Mi fanno schifo le farfalle, a dirla tutta: tutti ad ammirare i disegni e i colori sgargianti delle ali e mai nessuno che si soffermi su quelle zampette nere e disgustose che se ne stanno proprio lì nel mezzo a contorcersi. Ho sempre trovato le farfalle repellenti, ogni istante della mia intera vita, e quindi perché ora sono innamorato di Evans?
Non c’è alcuna logica in tutto ciò. Non dovrebbe succedere a me e ci dev’essere qualcuno a cui posso dirlo, una qualche figura che stia a capo di queste cose e che controlli che sia tutto nella norma, da cui posso andare e spiegare con il mio charme inenarrabile che è stato commesso un errore. Che è Butler quello innamorato di Evans, non io.
Rosmerta continua a spolverare e a lanciarmi occhiatine di sfuggita, mentre io fisso attentamente il liquido chiaro nel mio boccale. Inizio a trovare insopportabile il restarmene semplicemente qui seduto senza fare nulla, quando è così chiaro che è necessario trovare una soluzione a questa intera situazione al più presto, solo che nessun piano preciso riesce a prendere forma nella mia mente. Non essere innamorato di Evans, ovviamente, ma questo è più un obiettivo che un piano. Ora devo solo capire qual è la mossa giusta da fare per raggiungerlo, una mossa diversa dal tornare al castello e prendere Butler a pugni finché non ammetterà di essere lui quello innamorato di Evans, così che io possa tornare alla mia vita felice e spensierata in cui l’unica persona di cui sono innamorato è Roderick Plumpton, Capitano dei Cannoni di Chudley e miglior Cercatore al mondo. Credo che sarebbe soddisfacente prendere a pugni Butler e costringerlo a dichiararsi ad Evans, anche se lui non ha la più pallida idea di chi sia lei probabilmente, perché sarebbe comunque fare qualcosa, qualcosa di diverso del sorseggiare la mia Burrobirra sotto lo sguardo insistente di Rosmerta.
Lei ha una cotta per me, è abbastanza evidente.
Ha una cotta anche per Sirius, credo, e per ogni ragazzo di Hogwarts sufficientemente carino a cui serve da bere, ma sono abbastanza sicuro di essere io il suo preferito. Questo perché Rosmerta è una ragazza normale ed è questo che le ragazze sane di mente fanno: preferire me. Riconoscere la mia indiscussa bellezza, simpatia, bravura in praticamente tutto ed eleggermi a loro esponente preferito del genere maschile. Voglio dire, non sono tutte innamorate di me, è chiaro, e checché si dica in giro non sono così arrogante da non saperlo; e tuttavia io piaccio a tutte, almeno un po’, suscito in loro una simpatia istintiva, perché è quello che le persone come me fanno, piacere agli altri. Ma Evans non è normale, è stata per cinque anni la migliore amica di Severus Piton e questo è un chiaro segno di quanto lei sia totalmente fuori di testa. Apprezzare Piton e odiare me, chi farebbe una cosa del genere? A parte i Serpeverde, certo, ma lo sanno tutti che loro non sono vere e proprie persone, quanto piuttosto bizzarri scherzi della natura formati da frecciatine velenose e battutine sprezzanti, il tutto condito con costanti sguardi di superiorità.
 
Siete uguali voi due.
 
Lei è completamente fuori di testa, è evidente. Voglio dire, anch’io tendo a guardare il resto del mondo dall’alto in basso come alcuni Serpeverde, d’accordo, ma non perché il sangue che scorre nelle mie vene rispetta stupidi canoni di purezza, semplicemente perché sono più bello, più brillante, più divertente e più talentuoso della maggior parte della gente. C’è differenza. Io non vado in giro a chiamare le persone Sanguesporco o...
- Ti porto altro, James?
Rosmerta è davanti a me ora ed io sbatto le palpebre perplesso, prima di realizzare che non è rimasta neppure una goccia di Burrobirra nel mio boccale.
- No, grazie, Ros, - le sorrido, prima di ricordarmi una cosa. – Anzi, mi daresti una caraffa da portare al tavolo?
- Certo. Con cosa?
- Quello che vuoi.
 

 
Remus non grida, quando gli rovescio l’acqua gelida sulla testa, sotto gli sguardi perplessi di Sirius e Peter; si limita ad arpionarsi al tavolo con le dita e a trattenere il fiato per diversi secondi, immobile. Quando riapre gli occhi, le goccioline intrappolate tra le ciglia e il maglione completamente zuppo, io ho già ripreso posto sulla mia sedia, proprio accanto a lui.
- Andava fatto, - informo i miei amici con un’alzata di spalle. – Uno di voi tre andava punito per dare l’esempio agli altri: la conversazione di prima non era tollerabile.
- E hai scelto me perché? – sibila Remus con rabbia trattenuta, ancora senza spostare le mani dal tavolo. Alle sue spalle Rosmerta ci lancia un’occhiata a metà tra il perplesso e il divertito, mentre l’anziano signore al bancone ha l’aria di chi ha appena confermato tutti i suoi peggiori pensieri sulla gioventù odierna.
- Sirius si sarebbe messo a piangere e Peter è appena tornato dalle vacanze, non sarebbe stato carino nei suoi confronti.
- Io cosa? – Sirius, che non ha chiaramente la minima consapevolezza dei versi bizzarri che emette quando viene colto di sorpresa, mette su un’espressione oltraggiata da manuale, ma Peter decide saggiamente di cambiare argomento.
- Comunque, parlando di cose che non ci faranno finire con l’acqua anche dentro le mutande...
- Ci?
- Che non faranno finire Moony con l’acqua anche dentro le mutande, d’accordo, - Peter si corregge, mentre Remus inizia a far uscire aria calda dalla sua bacchetta lanciandomi un’occhiataccia; non me lo ricordavo così permaloso. – In treno sono finito in scompartimento con un gruppo di Tassorosso del quinto ed ora sono incredibilmente informato sulla vita mondana di Hogwarts: non indovinerete mai con chi si è fidanzata Sherry Mills, la Corvonero stratosferica dell’ultimo anno.
Il sorrisetto eccitato di Peter si protrae più a lungo del previsto e Sirius inarca un sopracciglio.
- Hai intenzione di dircelo ad un certo punto o la pausa per la suspance durerà in eterno?
- Con il Tassorosso del quinto, quello strano.
- Chi?
- Dai, Padfoot, quel tipo buffo che colleziona farfalle.
- Butler, - sospiro. – Si chiama Charlie Butler.
E io odio Charlie Butler.
 








 
**********
 
- Alice.
- Mh?
- La stai fissando di nuovo.
Alice continua a seguire con lo sguardo Lizzie Carson fino a quando non sparisce oltre le scale che portano ai dormitori femminili insieme ad Allison Ross ed Emmeline Vance e solo allora si volta verso di me con un’alzata di spalle.
- Non la stavo fissando, - si giustifica chinandosi a prendere una Cioccorana dal tavolino di fronte a noi; non è ben chiaro di chi fossero in principio, ma nessuno dei Grifondoro che passano regolarmente ad infilare la mano nel pacchetto pare sentirsi minimamente in colpa. È una di quelle regole non scritte, ma universalmente valide dai tempi dei fondatori, che se lasci del cibo incustodito nella Sala Comune di Grifondoro quello diviene automaticamente un bene comune di tutta la Casa ed in quanto Prefetto è mio dovere far rispettare questa regola. Un ragazzino del quarto è spuntato poco fa a reclamare il pacchetto, ma dato che non poteva provare di essere il vero proprietario, è stato deciso all’unanimità che avrebbe potuto prendere una sola Cioccorana, come tutti gli altri. – Non è fissare, se lei non mi vede.   
- Credo che lo sia, in realtà, - commento, ricontrollando distrattamente il mio tema di Difesa per le vacanze: il professor Mason è dannatamente puntiglioso ed è in grado di togliere un voto per la minima sbavatura: rientrare dalle vacanze di Natale e trovarsi lui alla prima ora non sarà esattamente il massimo. – E poi perché ti importa così tanto?
- Sono solo curiosa, - dice Alice e questa è la sua risposta praticamente a tutto, perché ha sempre avuto questa tendenza a dover sapere ogni cosa che accade ad Hogwarts o in qualunque altra parte del mondo. – Insomma, è strano, no? Prima gironzolava sempre attorno a Potter, sembravano sul punto di mettersi insieme e ora sembra che lei faccia di tutto per evitarlo.
- Io non lo trovo così strano, – commento pacata, perché evitare Potter è la cosa più sensata al mondo e se Lizzie Carson lo ha finalmente capito vuol dire solo che è rinsavita.
- Dev’essere successo qualcosa alla festa di Lumacorno, - continua Alice con l’aria di chi sta parlando più a se stessa che alla persona al suo fianco. – Un attimo prima erano lì con noi ed erano carinissimi...
Non replicare, Lily. Se la tua migliore amica vuole definire una coppia di essere umani di cui uno è Potter carinissimi che faccia pure: non puoi pretendere che tutti sappiano che l’unico modo in cui Potter risulterebbe carinissimo sarebbe mentre cade dalla scopa e si sfracella al suolo.
- E poi lei è sparita e dopo un po’ è scomparso anche lui e il giorno dopo non si parlavano più, - Nello sguardo pensieroso di Alice c’è quasi una nota di frustrazione ora. - Sono così curiosa.
- Tu sei sempre curiosa. 
- Tutti lo sono, - dice Alice. – Solo che io lo ammetto apertamente.
Alice ha un sorrisetto sicuro sulle labbra ora e sono abbastanza sicura che lo pensi davvero, che nella sua testa sia impossibile concepire il non essere particolarmente interessati alla vita amorosa degli altri. Lo capisco, è un po’ come quando io non riesco proprio a immaginare come alcune persone non trovino affascinante preparare pozioni, passare ore a tagliuzzare e mescolare e creare una magia senza nemmeno l’utilizzo di una bacchetta, in un modo così naturale e istintivo da dare l’impressione che persino un Babbano potrebbe farlo. Solo che alcune persone davvero lo trovano difficile e noioso e davvero altre persone non si lasciano coinvolgere dagli intrighi amorosi degli altri ed è questo il caso, specie se è coinvolto Potter, che è così palesemente in grado di provare amore solo per il suo riflesso allo specchio.
- Comunque sia, ho la ronda, - Cambio decisa argomento, alzandomi dalla poltroncina e porgendo il mio tema ad Alice. – Me lo porti tu in camera quando sali?
- Sì, ora vado, devo dormire almeno dieci ore prima di essere in grado di affrontare il rientro dalle vacanze con Mason, - Alice sbadiglia in quel suo modo bizzarro simile al ruggito di un leone, prima di alzarsi a sua volta e stiracchiarsi, gli occhi appena un po’ lucidi. - Notte, Lil. E salutami la ronda.
- Oh, taci.   
 


 
**********
 
- Frank.
Sto sfogliando distrattamente le pagine del manuale di Difesa, appollaiato comodamente sulla poltroncina più vicina al fuoco, quando una voce mi fa sobbalzare.
- Ehy, James.
Gli sorrido, chiudendo il libro, un dito tra le pagine a tenere il segno, ma James non pare nemmeno sentirmi e quando parla il suo tono è accigliato e vagamente accusatorio.
- Perché ti sei innamorato di Alice?
- Cosa?
- Voglio sapere, - sospira James, come se dovesse spiegare qualcosa di molto semplice ad un bambino particolarmente stupido e la cosa lo stesse spazientendo. - Perché un bel giorno hai deciso di innamorarti di una ragazza invece di non farlo.
Per qualche secondo l’unico rumore nella Sala Comune è quello del fuoco che sfrigola accanto a noi e quello del gruppetto di ragazzi che giocano a Sparaschiocco sul tappeto, ed io mi chiedo se devo rispondere davvero o se ora spunterà Sirius e mi farà un gavettone in faccia.
- Non credo di averlo deciso in realtà, - replico cautamente, sperando che questo sia quello che James vuole sentirsi dire. - È successo e basta.
- Ma certo, nessuno decide mai niente in questa scuola, - sbuffa James ed evidentemente non era quello che voleva sentirsi dire. Lo sapevo che dovevo andare dormire cinque minuti fa, quando sono saliti anche Mike e Daniel. – E quindi che hai fatto? Lo hai accettato e basta, finita così?
- Credo di sì.  
- Ma questo non ha senso, - insiste James ed io sono d’accordo con lui. - Perché non hai cercato di smettere?
- Smettere? Di essere innamorato di Alice, intendi? – Le mie sopracciglia si inarcano notevolmente, ma il mio Capitano annuisce convinto, spalancando leggermente gli occhi, come se fosse ovvio. – Perché non ne vedevo il motivo. Voglio dire, non lo vedo ancora, non c’è un solo motivo al mondo per cui io non dovrei essere innamorato di lei.
- Ti distrae dal Quidditch, - dice James immediatamente, a bassa voce e piuttosto velocemente, come se gli fosse semplicemente uscito dal cuore e probabilmente è così. – Ma d’accordo, vuoi essere innamorato di Alice, ho capito: contento tu, contenti tutti. Ora fingiamo per un attimo che tu non lo voglia.
- Ma io voglio.
- Sì, ma immagina di non volerlo.
- Non riesco a pensare ad un motivo per cui in via ipotetica potrei non voler essere innamorato di Alice, - Vorrei essere in grado di aiutare James con qualunque cosa lo affligga, davvero, ma è dal quarto anno che non immagino più la mia vita senza lei e tutto questo mi sta mandando in confusione.
- D’accordo, pensa a questo: lei è innamorata di Sirius e quindi tu non vuoi più essere innamorato di lei. Cosa fai?
- Alice è innamorata di Sirius? 
- No, Frank, è tutto in via teorica, - James scuote frenetico le mani come se stesse cercando di scacciare una mosca, lievemente esasperato. - Immagina solo che lei lo sia, che cosa faresti tu per...
- Sì, ma perché hai detto Sirius? E non, che so, Remus? – chiedo diffidente, studiando attentamente la sua espressione. - Perché credi che in via teorica Alice si innamorerebbe di Sirius?
- Ma che ne so, Frank, possiamo farla innamorare di Remus, se preferisci, non è quello il punto.
- Io preferirei che la mia ragazza non si innamorasse di nessuno dei tuoi amici, – ci tengo a puntualizzare, raddrizzandomi sulla poltroncina. Stavo tranquillamente ripassando Difesa in vista della prima lezione dell’anno, domani mattina, ed ora la mia immaginazione si ritrova ad essere forzata e spinta violentemente in scenari spiacevoli. 
- Perfetto, allora si innamora di Charlie Butler, il Tassorosso del quinto; lui non è mio amico, va bene? – vorrei far presente a James che il mio problema con tutta questa storia è il presupposto stesso che Alice debba innamorarsi di qualcuno che non sono io, amico suo o no, ma lui non mi lascia replicare e mi posa le mani sulle spalle, scuotendomi con forza. - Frank, Frankie, ascoltami. Devi solo immaginare. Immaginazione. Irrealtà. Via ipotetica. Quelle cose lì, ok? Ora, in questo mondo ipotetico e così lontano da quello vero, talmente lontano che tu smetti di focalizzarti sulla tua gelosia irrazionale e mi ascolti davvero, ecco, in questo mondo, cosa fai per smettere di essere innamorato di Alice?
D’accordo, concentrati, Frank.
Concentrati e dai a James la risposta che vuole, così poi smetterà di chiamarti Frankie e costringerti a immaginare la tua ragazza che se la fa con tutta Hogwarts e tu potrai andare a letto.
- Beh, se io volessi smettere di essere innamorato di Alice, - inizio pensoso, riflettendo seriamente sulla questione, gli occhi di James fissi su di me con attenzione. – Quello che farei sarebbe, come prima cosa, senz’altro, beh...oh, dannazione, James, ma che razza di domande fai? Ma ti pare che uno può semplicemente decidere di non essere più innamorato di un’altra persona? E i milioni di libri, poesie, canzoni, tutti che parlano della sofferenza dell’amore non corrisposto, sono tutti ebeti secondo te? Idioti che si divertono a continuare di proposito ad essere innamorati e non ricambiati? 
James ha fatto un salto all’indietro sulla sua poltroncina e ora mi guarda un po’ spiazzato. Fa per aprire bocca, ma questa volta sono io a prenderlo fermamente per le spalle, scuotendolo appena, non troppo forte però, perché i suoi capelli mi spaventano già così come sono.  
- È chiaro che non si può decidere come, quando, perché e di chi innamorarsi, lo sanno persino quelli del primo anno, - continuo deciso, accennando con la testa ad una bambina dall’altra parte della Sala. - Se vai da quella ragazzina del primo laggiù, quella con le treccine, scommetto che te lo dice anche lei che uno non può semplicemente smettere di essere innamorato di Alice! O di qualcun altro, voglio dire, in generale, certo.
- Sì, ok, ma non è così ovvio, - insiste James, convinto. -  La maggior parte della gente non sa come fare una finta Wronsky, ma io sì. E quella ragazzina con le treccine ti direbbe che è impossibile fare una finta Wronsky senza spaccarsi il collo, ma non è vero: alcuni giocatori di Quidditch più bravi degli altri possono. E allo stesso modo, solo perché la maggior parte della gente non riesce a smettere di essere innamorata di qualcuno, non significa che anche altri, particolarmente talentuosi e portati per la vittoria e il raggiungimento degli obbiettivi, non possano riuscirci.
James sembra profondamente convinto di quello che dice, come sempre d’altro canto, ma allo stesso tempo mi fissa con uno spasmodico bisogno di conferma negli occhi. Ed io poso il mio manuale di Difesa sul tavolino di fronte a me con un sospiro, perché è inutile imparare come difendersi dalle arti oscure quando il vero pericolo sono le crisi esistenziali delle dieci di sera dei miei compagni di Casa.  
- Posso elencarti diversi nomi di gente in grado di eseguire una perfetta finta Wronsky, tra cui tu, - replico pacato. - Ma non conosco nessuno che abbia stabilito a tavolino un piano per disamorarsi che sia effettivamente riuscito.
- Quindi quello che stai dicendo è che una persona si innamora, e basta, è finita? - James fa una mezza risata, a metà tra lo scettico e l’indignato. - Non importa quanto sia brava e fortunata e abile, non c’è niente che può fare per smettere di essere innamorata?
- È quello che penso.
- Beh, io lo trovo ridicolo.
- D’accordo, – accetto con un’alzata di spalle, perché se ascoltare i tentativi sistematici di James Potter di annientare l’amore è il modo in cui il mio millenovecentosettantasette ha deciso di iniziare, allora devo solo prenderlo così come viene.
- Come se poi smettere di essere innamorati fosse più difficile di eseguire una perfetta finta Wronsky, ma per favore.
- James.
- Mh?
- Non ti sei innamorato di Alice, vero?
 
*
 
Dopo aver rassicurato Frank che nessuno dei Malandrini ha in programma di rubargli la ragazza, decido di salire in camera, sbuffando tra me e me: Frank non è stato per niente d’aiuto. Nessuno in questa scuola lo è, meno tra tutti Charlie Butler, che è pure dannoso. Lui e le sue stupide farfalle.
Peter e Sirius stanno già russando, il che è ridicolo, perché di sotto ci sono bambini del primo anno che si occupano della loro vita sociale e la metà degli abitanti di questa stanza è invece già nel mondo dei sogni, mentre l’altra metà si divide tra Remus, che è ancora sveglio a leggere, ma comunque già nel letto, e me, unico raggio di lucidità in questo castello di folli. Restare innamorato, che razza di consiglio è? Privo di senso, totalmente, ma è quello che a modo loro mi stanno dando anche i miei Malandrini, con tutti i loro ridicoli Lo sa? Non lo sa? Ma lo sa lo sa? Lo sa davvero?
Il rumore dell’acqua che scorre copre il mio ennesimo sbuffo, mentre il getto caldo della doccia mi colpisce in pieno il petto, facendomi rilassare all’istante. Non è affar mio se nessuno in questo castello sa gestire un innamoramento indesiderato in modo astuto: che continuino pure a sospirare sulle loro cotte irrealizzabili, io non ho nessuna intenzione di farlo. Sono innamorato di Evans, d’accordo, mi sono distratto un attimo, un paio d’anni forse, ed è successo. Ok. L’unica ragazza che mi odia, un classico. Qualcuno lassù deve trovarlo molto divertente, ma la storia finisce qui. Non importa cosa dice Frank, io sono James Potter e se non voglio essere innamorato di Evans, e non lo voglio, allora io smetterò di essere innamorato di Evans. Semplice così.
Ho trovato il modo di diventare un Animagus a quindici anni e aiutato a farlo anche Peter che a malapena riusciva a trasfigurare una piuma, figuriamoci se non trovo il modo di smettere di pensare ad Evans e a Philips che si baciano davanti alla fottuta entrata della fottuta Sala Comune. Dannazione.
Spingo con uno scatto la manopola della doccia, restando immobile a gocciolare in mezzo al vapore.
Posso farlo, a partire da ora. Se adesso mi cancello dalla mente le braccia di Evans attorno al collo di Philips e il fastidio violento che mi provoca l’immagine, allora potrò rinfacciarlo a Frank e al resto dell’umanità per tutta la vita. Il muro della doccia è liscio e freddo contro il mio palmo bagnato e un brivido mi percorre la schiena, mentre le gocce continuano a scivolarmi piano sulla pelle. Proverò a me stesso che posso smettere di essere innamorato di lei e lo farò qui, nudo, in piedi nella doccia chiusa, in questo esatto momento. E lentamente i miei occhi si chiudono e alle labbra di Philips si sostituiscono le mie ed Evans non è più davanti al ritratto della Signora Grassa, è in piedi in un corridoio poco illuminato dei sotterranei, con le fiaccole che le accendono riflessi di fuoco sui capelli e le dita perse tra i miei. E le labbra scorticate e premute forte sulle mie sanno di sangue e non sembrano aver intenzione di lasciarmi libero tanto presto. Dannazione.
 





**********
 
- È la seconda volta questa settimana che ti becco fuori dalla Torre dopo lo scattare del coprifuoco, Philips.
La luce biancastra che esce dalla punta della mia bacchetta illumina distintamente il sorriso di Dean, disegnando riflessi chiari sui suoi capelli biondicci e rispecchiandosi negli occhi marroni appena socchiusi.                                                                                                                                                                                  
- Davvero? 
La sua voce è un sussurro appena percettibile nel silenzio del corridoio vuoto alle sue spalle e mentre mi si avvicina lentamente non sembra per niente pentito, in barba al nero e al blu che spiccano sulla sua cravatta perfettamente annodata.
- Già, – mi sento mormorare, mentre una parte di me cerca disperatamente di rendere importante la piccola spilla dorata appuntata sul mio petto che reca chiaramente la lettera P. P come Prefetto, P come Persona responsabile che fa rispettare le regole e che certamente non usa le ronde serali come scusa per incontrarsi in privato con ragazzi dal viso spruzzato di lentiggini e gli occhi grandi e scuri, P come Perché mai dovrebbe importarmi di una minuscola spilla dorata quando è così buio e si legge a malapena cosa c’è scritto sopra? - Sicuro di essere un Corvonero?
- Assolutamente, - dice Dean allargando il sorriso. – Sono solo stato traviato da cattive compagnie: è vero quello che dicono di voi Grifondoro, che...
Non so cosa dicano di noi Grifondoro nella Torre dei Corvonero, anche se non mi è difficile immaginarlo, perché le mie labbra hanno infine incontrato quelle di Dean, come tendono a fare piuttosto spesso ultimamente, dopo quella prima volta la sera della festa di Lumacorno: eravamo proprio di fronte al ritratto della Signora Grassa, che mi ha lanciato occhiate scandalizzate per giorni dopo, e non era davvero il momento, non era il caso e non era assolutamente nei piani di quella serata, ma è stato piacevole ed ha continuato ad esserlo anche nei giorni a seguire, per tutte le vacanze di Natale, perché le labbra di Dean sono sempre morbide e fresche contro le mie e sarebbe davvero un peccato non baciarle di tanto in tanto.
- Lily, - Ed io non rispondo, perché a volte Dean si limita a sussurrarmi il mio nome sulle labbra, ma questa volta lui continua. – Xeno mi ha chiesto dove stavo andando prima.
- Sì?
- Beh, le esatte parole sono state ‘Hai trovato il nido dei nargilli al sesto piano, vero? È lì che vai sempre?’, ma mi chiedevo...
- Se possiamo andare a cercarlo? – finisco io per lui, annuendo. - Perché non c’è, ho già controllato. E non guardarmi così, chiunque abbia mai rivolto la parola a Lovegood si è fatto incantare almeno una volta.
- Lo so, al secondo anno ho passato un intero pomeriggio a cercare il Ricciocorno Schiattoso dietro la capanna di Hagrid, - ammette subito Dean, passandosi imbarazzato una mano tra i capelli. E non lo fa apposta per scompigliarseli e darsi un’aria ribelle, è un gesto quasi inconscio che tradisce l’agitazione, è dolce e inconsapevole e mi fa sorridere automaticamente. - Ma quello che mi chiedevo è se, per dire, io gli avessi risposto di avere un appuntamento con la mia ragazza, questo sarebbe stato strano?
- Non esiste nulla che Lovegood troverebbe strano.
- Non Lovegood, tu. Lo troveresti strano?
- Dean, - dico lentamente, dopo qualche secondo di silenzio, di nuovo con quel sorriso che con lui non riesco mai a trattenere. - C’era davvero bisogno di tirare in ballo Lovegood per chiedermi se puoi definirmi la tua ragazza?
- No, quello ero semplicemente io che andavo nel panico. E quando sono nel panico tiro in mezzo Xeno, a volte, - Dean si schiarisce la gola, facendo vagare lo sguardo per il lungo corridoio in penombra, prima di riportare gli occhi dritti nei miei. – E questa invece sembri proprio tu che tergiversi per non rispondermi, dico bene?
- Può darsi. Tergiverso a volte. Mi piace tergiversare. Anche la parola stessa, ha un bel suono: tergiversare. Molto bello, sì, - annuisco tra me e me, tergiversando palesemente. Il mio ragazzo. Dean, il mio ragazzo. Il mio ragazzo Dean. Lily Evans e Dean Philips. Anche questo non suona male. Credo che possa andare, sì. Le labbra e le lentiggini e il modo in cui mi guarda sempre e il voler passare un sacco di tempo a baciarlo, l’ignorare la mia spilla da Prefetto per infrattarmi nei corridoi più sperduti, probabilmente fa tutto parte del pacchetto ‘avere un ragazzo’. E ora puoi prenderlo, Lily, oppure puoi buttarlo via. Una delle due, proprio ora, in questo esatto momento. Scegli. Le lentiggini o la spilla da Prefetto. - Dovrai abituartici, se vuoi essere il mio ragazzo.
- Credo di potercela fare, - Le labbra di Dean si aprono in un sorriso raggiante e anche questo fa parte del pacchetto ‘avere un ragazzo’. Mi piace questo pacchetto. Non tutti i pacchetti hanno occhi così grandi ed espressivi e tutte quelle lentiggini chiare e sorrisi così dolci e non tutti i pacchetti mi posano le mani sui fianchi in questo modo. Ottima scelta, Lily, ottima scelta: finalmente il mio cervello inizia a rendere anche sotto pressione e in poco tempo. - C’è altro?
- Alice, - annuncio, giocherellando distrattamente con i suoi capelli. Sono lisci e morbidi sotto le dita, il mio tocco li fa spostare per pochi secondi e poi tornano subito al loro posto. Persino i suoi capelli sono quelli di un Corvonero e mi piacciono davvero; sono ordinati e intelligenti, per quanto dei capelli possano esserlo: sanno qual è il loro posto e non cercano di sfuggirvi e di distruggere le leggi della gravità, perché riconoscono l’importanza della fisica nel mondo e sono così pienamente consci del loro ruolo, che li vuole lì, attaccati alla testa di Dean e non in un costante tentativo di fuga in ogni direzione, cosa che invece non si può dire di tutti i capelli al mondo. Probabilmente sono pochissime le persone che hanno il totale controllo dei loro capelli e Dean è una di quelle. - Ci costringerà a prendere parte ad un appuntamento a quattro con lei e Frank se scoprirà che sei passato da ‘Corvonero che bacio molto spesso’ a ‘Corvonero che definisco il mio ragazzo’.
- Non c’è problema, - sorride Dean con un’alzata di spalle. - Frank è ok e devo ancora cronometrare Alice per capire esattamente quante parole è in grado di pronunciare in trenta secondi.
Le mie labbra sono in procinto di replicare che il numero esatto dipende da innumerevoli fattori come l’argomento, l’interlocutore e il fatto che abbia o meno bevuto il suo caffè mattutino, ma poi le labbra di Dean replicano silenziosamente che a lui non importa poi molto di quanto veloce parli la mia amica e lo fanno posandosi sulle mie. E sì, continua ad essere piacevole, anche l’ennesima volta. Credo proprio che sarà sempre piacevole baciare Dean Philips.
- E niente più Madama Piediburro, – aggiungo in un sussurro deciso non appena lui si stacca da me, perché se c’è qualcosa che non è e non sarà mai piacevole, d’altro canto, è il ricordo di quei putti danzanti che mi attorniavano coi loro liuti luccicanti.
- Mi dispiace per quello.
- Lo so.
- Pensavo che a voi ragazze piacesse.
- Tazze a forma di cuori rosa e putti danzanti.
- Mi dispiace tanto.  
In pieno contrasto con le sue parole, Dean sorride ed io lo bacio di nuovo, perché ultimamente baciare Dean Philips è tutto quello che faccio. La mia spilla da Prefetto inizia a diventare sempre più pesante sul mio petto e per un attimo mi chiedo se è così che si sente Lupin per tutto il tempo, ma prima di tornare in Sala Comune tolgo dieci punti a Grifondoro e a Corvonero e la P sul mio distintivo smette di sembrarmi così accusatoria.
 
 








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Difesa Contro le Arti Oscure.
Non è così traumatica come prima lezione dopo le vacanze di Natale: tolto il fatto che non essere più libero di dormire fino a mezzogiorno è di per sé traumatico, sarebbe potuta andare peggio: avrebbe potuto essere Pozioni e invece è solo Difesa. È qualcosa che mi serve, difendermi, ora come ora. Difesa contro le labbra di Evans e Difesa contro la mia testa, ma tutto questo fa in qualche bizzarro modo parte delle arti oscure, quindi è ok: insegnatemi a difendermi dalle arti oscure e poi io mostrerò a tutti come ci si difende da una cotta indesiderata e non corrisposta. È un buon piano. Potrei persino ascoltare quello che sta dicendo il professore, se non fosse che è Mason e che la sua sola voce mi dà sui nervi. E disegnare un boccino d’oro sulla mia pergamena mi sembra qualcosa di molto più importante da fare in questo particolare momento della mia vita.
- Mi permetta di informarla, signor Potter, che questa è una scuola e questa è una lezione. E si dà il caso che lei sia tenuto ad ascoltarla, questa lezione.
E il professor Mason, naturalmente, ritiene fondamentale rompere le palle a me, in questo come in ogni altro momento della sua vita, perché non mi sopporta. C’è qualcosa di detestabile nella sua voce, nel modo in cui fa suonare viscida e sgradevole ogni parola, come se parlare gli provocasse la nausea. E quando hai un tale neo peloso proprio nel mezzo della faccia, dovrebbe essere il guardarti allo specchio a provocarti la nausea, no? Ma no, quello è perfettamente naturale e guai anche solo a proporgli di nasconderlo con un incantesimo: un mese di punizione per aver cercato di aiutarlo, bel ringraziamento. Fatto sta che quando articola il mio nome, la sua voce ha l’abitudine di suonare ancora più ripugnata e le sue labbra si muovono come se stesse masticando un limone. E perché se il mio nome sa di limone continua a ripeterlo, mh? Potrebbe semplicemente fingere che io non esista, e invece no, signor Potter di qua, signor Potter di là...
- Signor Potter.
Per l’appunto.
- Mi dica, professore.
Non so cosa sia più perforante tra il gomito ossuto di Remus che si fa rapidamente e violentemente strada tra le mie costole o lo sguardo affilato del professor Mason. Fortunatamente Sirius, pochi banchi più indietro, si esibisce nella sua sghignazzata idiota e gli occhi di Mason saettano fulminei verso di lui, lasciandomi la possibilità di riattivare le mie facoltà cerebrali.
- Volevo dire, ho capito, professore.
Visto che Mason ritorna all’istante a guardarmi come se stesse cercando di farmi evanescere con la sola forza del pensiero, mi sento in dovere di continuare a parlare.
- Ascolterò la sua lezione, - Godric santissimo, persino il suo neo abominevole mi sta fissando. - Professore.
Vorrei pronunciare anch’io il suo nome come se avessi un limone in bocca, ma immagino che sia una tecnica che si apprenda con l’età, con l’esperienza e con l’essere dei viscidi ed odiosi bastardi.
Non appena Mason mi dà le spalle per tornare alla sua postazione, ovviamente dopo un’ultima occhiata sprezzante alla mia persona, mi rilasso sulla sedia e rivolgo un sorrisetto a Remus, al mio fianco.
- Secondo te quanti punti mi toglie se trasfiguro il suo neo in un limone?
Le labbra di Remus restano immobili, ma i suoi occhi mi ordinano chiaramente di stare zitto e fermo. Nello stesso momento una pallina di pergamena mi colpisce la nuca e questo è il modo in cui Sirius mi informa che si sta annoiando; sto per voltarmi verso di lui per fargli una boccaccia, quando Mason riesce inaspettatamente ad attirare la mia attenzione.                 
- Ora, per quelli di voi che hanno ascoltato il mio breve riepilogo dei principali incantesimi di difesa le prossime due ore passeranno in modo più piacevole e potenzialmente meno doloroso rispetto agli altri, - E anche se non mi sta guardando direttamente, il tono compiaciuto con cui pronuncia l’ultima parola non lascia adito a dubbi su chi siano questi altri. - Se pensavate di tornare dalle vacanze natalizie e rilassarvi sui banchi, gli occhi da pesce lesso fissi su di me e il cervello scollegato, vi siete sbagliati di grosso: verrete messi alla prova oggi stesso e riceverete una valutazione ufficiale.
Nell’aula inizia a diffondersi un basso mormorio di protesta, ma basta un’occhiataccia di Mason per farlo morire sul nascere.
- Silenzio, - ordina inflessibile, l’aria di chi vorrebbe massacrarci tutti seduta stante ed io mi chiedo perché non ci sia anche un corso che ci insegni a difenderci dal professore di Difesa. - Le arti oscure non aspettano che voi vi siate ristabiliti dalla fiacchezza prima di piombarvi addosso. Nessuna creatura o mago oscuro si degnerà di darvi il minimo preavviso prima dell’attacco: io ve lo sta dando adesso, di diversi minuti, ed è più che sufficiente. Vediamo quanti di voi, ad oggi, sopravvivrebbero a un ambiente insidioso.
I miei compagni si lanciano occhiate vagamente preoccupate e un po’ perplesse, probabilmente in cerca di tale ambiente insidioso; non so cosa abbiano da cercare, quando siamo imprigionati in un’aula con i Serpeverde e Mason ed io non riesco a immaginare nulla di più insidioso di questo. E a rendere il tutto ancora più rischioso ci si metta la chioma rossa di Evans, che spicca a pochi banchi dal mio e che non è più così facile da evitare come lo è stata per tutte le vacanze di Natale, quando non ero costretto a passare la mattinata chiuso nella stessa stanza con lei.     
- A due e due attraverserete questa porta, bacchetta alla mano e nient’altro, - Mason indica con un cenno la porta alla sinistra della cattedra, che in teoria sarebbe l’entrata del suo ufficio e che nella pratica deve essersi divertito a trasfigurare in un modo per uccidere i suoi studenti del sesto anno. – Se vedo un’altra occhiatina complice scambiata col vostro compagno di banco vi manderò dentro da soli, e questa non è una prova da sostenere individualmente, di questo potete starne certi. Non aspettatevi di essere colti di sorpresa sempre quando siete in compagnia del vostro migliore amico: dovete imparare a fare gioco di squadra con chiunque nelle situazioni di pericolo. Ergo, scegliete la persona che meno sopportate in quest’aula.
Oh, ma a quel punto tutta la classe starebbe in coppia con te, sadico bastardo.
- E questo vuol dire che mi aspetto molte accoppiate Grifondoro-Serpeverde, non provate ad aggirarmi perché non sono nato ieri.
Chissà di che colore diventerebbe la sua faccia se mi andassi a mettere in coppia con Sirius. È qualcosa che andrebbe fatto, io credo, per la scienza o qualcosa del genere: sono disposto a sacrificarmi e a sacrificare anche Sirius; ma poi forse il cervello di Remus esploderebbe e non sarebbe carino. Con un sospiro, azzardo diffidente una sospettosa occhiata alla parte verde-argento dell’aula, dove i Serpeverde stanno facendo lo stesso con noi, ognuno congelato al proprio posto in preda ad una crisi esistenziale. Per una frazione di secondo incrocio gli occhi neri di Piton e subito entrambi spostiamo lo sguardo di colpo come se ci fossimo scottati, perché non esiste al mondo che io entri lì dentro con lui. Mason non è così attento ai suoi studenti, non sa davvero quale Serpeverde io o qualunque altro Grifondoro odiamo con un’intensità maggiore rispetto al classico odio di routine nutrito come regola di base per tutti loro: gli basterà non vedere due membri della stessa Casa insieme. Quindi, il meno peggio, forza. Prendi il Serpeverde meno odioso prima che lo facciano gli altri. Il problema è che non è così facile individuare un Serpeverde meno odioso: se dovessi trovare il più odioso, quello sì che sarebbe facile, ma non è come se potessi davvero guardare in faccia chiunque di loro senza ripensare a qualcosa di particolarmente abietto sulla loro persona.
Il silenzio carico di tensione che aleggia nell’aula viene improvvisamente spezzato dalla sedia di un Grifondoro che striscia a terra, mentre lui si alza e si dirige a testa alta verso la barricata nemica.
- Tu non mi piaci,  – annuncia Frank ad Avery, fissandolo dritto negli occhi.
- Tu ancora meno, - replica Avery gelido ed ora che si è alzato non sono più alti uguali, il che gli rende particolarmente facile guardare Frank dall’alto in basso, sovrastandolo.
- Perfetto, Avery e Paciock in coppia, - stabilisce Mason, vagamente annoiato. – E voialtri sbrigatevi o scelgo io.
Altri studenti si alzano incerti ed io sono già quasi arrivato al banco di Rosier, quando cambio improvvisamente idea; fare coppia con lui e poi affatturarlo e farlo sembrare un incidente continua a sembrarmi un’idea allettante, nonché l’unica cosa realmente giusta da fare, ma con la coda dell’occhio ho intercettato un movimento a pochi metri da me e le mie labbra hanno avuto un’altra idea, mettendola in atto senza nemmeno farla sondare al cervello.  
- Professore, - esclamo a voce alta, attirando su di me lo sguardo seccato di Mason, che non è mai particolarmente felice quando gli ricordo della mia esistenza su questa terra. - Evans mi odia. Più di qualunque Serpeverde in quest’aula.
- Non fatico a crederci, signor Potter, - commenta lui lentamente, prima di indicarmi a lei con un cenno del capo. - Signorina Evans, forza.
 
*
 

È appena successo qualcosa di tremendamente sbagliato in quest’aula. Ero letteralmente a due passi da Janice Baker, Prefetto di Serpeverde, che è una ragazza perfettamente a posto e che mi aveva già rivolto un conciliante cenno d’assenso, quando l’universo ha deciso di andare a rotoli. E ha deciso di avvisarmi che lo avrebbe fatto con la voce di Potter naturalmente, perché la voce di chi altro è più adatta della sua ad annunciare caos e disgrazie? Non ho realizzato subito cosa stava succedendo, in un primo momento mi è quasi venuto da sorridere, perché sentire Potter annunciare al mondo il mio odio per lui è semplicemente giusto e rilassante, perché certo che lo odio. Ma subito dopo Mason mi ha guardato e mi ha fatto cenno di raggiungere Potter e c’è così evidentemente qualcosa di sbagliato in lui e in questa scuola e nella mia vita e nell’intero cosmo. È qui che mi hanno portate tutte le mie scelte di vita? A dover raggiungere Potter? A dover entrare in un ambiente insidioso per fare gioco di squadra con lui? Sul serio? È per la torta della madre di Alice, per forza. Credevo di averla scampata e invece il destino viene a prendermi così, a distanza di due settimane dal giorno di Natale in cui ho aperto per sbaglio il pacco della mia amica e non ho poi avuto la forza di richiuderlo e rimetterlo al suo posto. E in fondo non era l’unico pacco, era solo una delle mille cose che la signora Prewett ha mandato alla mia amica e che sarà mai se la torta di mele me la sono mangiata tutta io per poi fingere che non sia mai arrivata? Non è stato l’esempio massimo di lealtà, certo, ma non credo comunque di meritarmi Potter per questo.
- Professore, - Credibile, Lily, faccia credibile, tono credibile, occhi credibili, persino il tuo naso deve essere credibile, da brava. Puoi farcela. Infinocchialo come se non ci fosse un domani e come se non fossi un Prefetto. – Non gli dia retta, sta scherzando: io e James, io e Jamie, noi siamo molto amici in realtà. La nostra intesa è perfetta e quindi non credo davvero che dovremmo lavorare insieme, lo dico solo per il bene dell’esercizio e...
- Signorina Evans, – ripete il professor Mason ed io mi trattengo a stento dal fargli notare che questo è semplicemente il mio nome e non può essere usato come argomento contro di me, indipendentemente dal tono con cui viene pronunciato. Ma non è così in realtà, perché Mason è il professore ed io la studentessa e questo vuol dire che se vuole chiudere la questione articolando semplicemente il mio nome, allora può farlo. E lo fa infatti, eccome se lo fa.
- Muovetevi voi, entro cinque secondi vi voglio tutti accoppiati, - aggiunge rivolgendosi ai miei compagni, prima di tornare a fissarmi. -  Forza, Potter ed Evans per primi. Davanti alla porta, ora.
Ma certo che siamo noi due i primi, perché Mason odia Potter e Merlino odia me.
È difficile convincere le mie gambe che muoversi in direzione della porta dell’ufficio di Mason sia la cosa giusta da fare, soprattutto perché Potter è già arrivato e riesco a sentire il suo sguardo soddisfatto su di me. Mi porto al suo fianco ed i miei occhi si fissano ostinatamente sulla porta chiusa di fronte a noi, ma quando il suo sussurro divertito mi giunge alle orecchie non ho bisogno di vederlo per sapere che sta sorridendo sornione.
- Credevo che Jamie fosse solo per i momenti di intimità, Evans.
Magari ora sentirò un dolore al petto e poi mi accascerò semplicemente a terra e morirò di morte naturale e questo sarebbe un così netto miglioramento della situazione presente.
- E ricordate, il voto è a squadre, - riprende il professore e se riesco ancora a sentire la sua voce vuol dire che non sono morta e che sono ancora intrappolata in questa situazione con Potter. - Non importa se ne uscite senza un graffio, se il vostro compagno muore, voi prendete il suo stesso voto: T per la precisione.
Nell’aula si leva un mormorio vagamente preoccupato, ma io sono abbastanza sicura che Mason intenda morire in via ipotetica, unicamente nell’ambito della prova e non in via totale e irreversibile. Non ci metterei la mano sul fuoco, ma voglio essere ottimista, perché morire e prendere T non è accettabile.
- Non ti azzardare a morire, Potter, – sussurro estraendo la bacchetta, quando di solito congedarsi dalla vita è tutto quello che consiglierei all’individuo al mio fianco. Dannato gioco di squadra, vorrei proprio sapere chi l’ha inventato; chi ne ha bisogno, poi? L’individualismo, il cavarsela solo con le proprie forze, il non essere in coppia con Potter, queste sono le cose belle della vita.
- Non era nei miei piani per oggi, Evans. E per la cronaca, ho Eccezionale in Difesa, sei tu quella che rischia di rovinarmi la media.
- Anch’io ho Eccezionale.
- Sì, ma Mason mi odia: il mio Eccezionale vale molto di più.
Non credo che esistano Eccezionali più eccezionali di altri, ma d’altro canto è lampante che Mason nutre un odio spropositato nei confronti di Potter, che è poi il motivo per cui stiamo per entrare qua dentro per primi; lo capisco, anch’io odierei Potter se fossi un professore, o in generale se fossi un essere umano, cosa che in effetti sono e difatti lo odio.
- Silenzio voi due, - Il professor Mason ha chiaramente le idee un po’ confuse, perché fino ad ora è stato tutto un evviva il gioco di squadra, a morte chi non collabora, ed ora si arrabbia nel vederci comunicare. – E ora dentro, forza. Cercate di arrivare alla fine del percorso nel minor tempo possibile e...
Il professore sta ancora parlando quando Potter spalanca la porta di fronte a noi e ci entra di gran carriera: evidentemente deve ritenere qualunque cosa ci sia là dentro preferibile alla voce di Mason. Con un sospiro mi costringo a seguirlo, anche se seguire Potter va totalmente contro il mio istinto di sopravvivenza, e per un attimo il buio riempie il mio intero campo visivo ed io mi aggrappo all’idea di essere sul punto di svegliarmi nel mio baldacchino nella torre di Grifondoro. Poi il Lumos sussurrato di Potter mi giunge alle orecchie e il bagliore dorato della sua bacchetta mi induce a socchiudere gli occhi, accecata. Non appena mi abituo alla nuova visuale, lancio un’occhiata alle mie spalle, dove dovrebbe esserci la porta ancora aperta dell’aula, ma naturalmente è sparita e tutto quello che riesco a distinguere nella penombra sono le sagome indistinte di alberi lugubri e cespugli di rovi.
- Ci ha mandati nella foresta proibita? – azzardo perplessa, accendendo a mia volta la bacchetta e guardandomi attorno spaesata. Non trovo il senso di tutto questo, impedire agli studenti l’accesso alla foresta e poi farli piombare qui durante le lezioni: c’è una coerenza di fondo che manca palesemente, ma suppongo che il professor Mason sia troppo impegnato a cercare di uccidere le sue classi in tutta legalità per preoccuparsi anche di essere coerente.
- Non è la foresta proibita, – afferma Potter sicuro, studiando attentamente lo spazio attorno a noi, ed io evito di chiedergli come faccia a distinguere questo intrico di piante e fusti da una qualsiasi parte della foresta che circonda Hogwarts, perché in fondo che conosca alla perfezione qualcosa che ha proibita nel nome è esattamente quello che mi aspetto da Potter. Quando il suo sguardo si ferma su un punto a diversi metri da noi, seguo la traiettoria e mi ritrovo a fissare l’inizio di un sentiero sterrato e striminzito che si perde nel fitto della boscaglia; non ha per niente l’aria invitante ed è senz’altro il percorso che Mason ha preparato per noi.
- Di qua, – Subito mi dirigo decisa in quella direzione, la bacchetta alta di fronte a me, ma la voce contrariata di Potter mi induce a fermarmi.
- Vuoi seguire il sentiero, Evans?
Non so perché lo dica con quel tono, come se seguire il sentiero fosse l’idea più assurda di sempre e non l’unica cosa sensata da fare.
- Certo che voglio seguire il sentiero, Potter, - replico con tono ovvio, mentre lui mi guarda come se gli avessi annunciato di voler appiccare un incendio; se non fosse che con tutta probabilità Potter appoggerebbe l’idea di appiccare il fuoco agli alberi e scappare, anche solo per infastidire Mason. - Perché, tu no?
- No, - dice Potter ed io mi chiedo come questa prova possa andare a buon fine, quando quello che disgraziatamente è il mio compagno non me la lascia nemmeno iniziare. - Voglio dire, Mason si aspetta che noi seguiamo il sentiero, ce lo ha messo di fronte apposta: avrà preparato tutte le sue insidie lungo i margini, così da farcele subire una dopo l’altra fino alla fine. Ma se noi evitiamo il sentiero, evitiamo anche le  trappole.
La luce della sua bacchetta proietta riflessi giallastri sulle lenti rettangolari di Potter mentre lui mi fissa in attesa e non ha completamente torto; il sentiero è chiaramente la trappola delle trappole, ma allo stesso tempo non lo è affatto: è il presupposto da accettare per sostenere la prova, come il semplice attraversare la porta dell’aula, perché evitare il sentiero renderebbe semplicemente impossibile valutare le nostre abilità di difesa e aggirarlo è un modo come un altro per indispettire Mason. E non ho intenzione di prendermi una T perché James Potter si diverte a provocare il nostro professore di Difesa.
- Seguiremo il sentiero, Potter.
- Tu dici?
Il suo è il sorrisetto di chi si getterebbe in un burrone piuttosto che imboccare quel sentiero e darmela vinta; mi chiedo perché diavolo debba sempre trasformare tutto in una sfida, quando io sto solo proponendo di non inoltrarci a caso in una selva oscura che non conosciamo assolutamente e non morire di fame nel bosco evocato da Mason, che di sicuro non ci verrebbe a salvare prima di qualche anno.
- Facciamo così, - sospiro, sperando con tutto il cuore che il professore non ci stia guardando ora, perché questa non è esattamente la definizione stessa di gioco di squadra. – Sasso, carta o forbici: chi vince decide.
Potter accetta immediatamente, eccessivamente sicuro di sé; fa roteare con decisione la bacchetta per aria in contemporanea alla mia ed io so già come andrà a finire prima ancora che il foglio perlaceo che ha evocato si avvolga attorno all’immagine sfumata del mio sasso, stritolandola, perché sicuramente barare a giochi come questo è quello che ogni Malandrino ha imparato a fare nei primi cinque secondi ad Hogwarts. Ma non è un problema, perché io non mi chiamo James Potter e per me vincere non è il punto: nel momento stesso in cui le sue labbra si piegano in un sorriso trionfante ed ogni molecola del suo corpo si prepara a rinfacciarmi la vittoria, io scatto in avanti e gli strappo la bacchetta dalle mani, prima di iniziare a correre più veloce che posso verso il sentiero.
E se questi sono i riflessi di quello che si autoproclama il Cercatore più veloce di Hogwarts, beh, inizio a capire come Grifondoro abbia perso l’ultima partita.
 
*
 

Questo è stato incredibilmente antisportivo da parte di Evans.
Mentre il buio mi avvolge, ora che non ho più la mia bacchetta, mi annoto mentalmente di aggiungere questa sua slealtà alla lista infinita di motivi per cui è disdicevole essere innamorato di lei: ricordarla mentre corre via lasciandomi con l’aria tra le dita come un cretino mi aiuterà sicuramente a farmi passare questa cotta vergognosa, ne sono certo. Ma ora non è il momento di pensare al problema Evans in astratto, ora devo pensare al materialissimo problema Evans che scappa con la mia bacchetta nel momento in cui più di ogni altro ne ho bisogno per impedire a Mason di uccidermi e farlo sembrare un incidente. Dopo appena qualche secondo di immobile perplessità le sono dietro, solo vagamente conscio di come correre a tutta velocità lungo il sentiero della prova non sia probabilmente il modo migliore di stare in guardia dalle insidie sicuramente seminate lungo il tragitto. Dovrebbe interessarmi, potrebbe importarmi, se non fosse che sto correndo dietro ad un’altra persona, il che vuol dire che sono a tutti gli effetti nel bel mezzo di una gara, e quindi ciò che conta non è evitare di farmi uccidere, ma vincere. I capelli rossi di Evans che sbattono al vento si fanno sempre più vicini, così come il bagliore luminoso che esce dalle bacchette strette tra le sue dita e prima che lei possa seguire la svolta a sinistra del sentiero, la raggiungo e la supero, fermandomi per sbarrarle la strada con aria trionfante.
- Non riesco a credere che tu l’abbia fatto, - dico, ben attento a nascondere ogni traccia d’affanno nella mia voce. - Come puoi dormire la notte, Evans?
Un secondo prima Evans ha l’aria di voler dire qualcosa e l’attimo dopo ha l’aria di chi vuole attentare alla mia vita, perché la sua mano si alza di scatto e da entrambe le bacchette parte un getto di luce azzurra che punta proprio contro di me, mentre nell’aria si leva improvviso uno strano, lugubre, lamento prolungato. Il raggio azzurrino mi passa proprio accanto all’orecchio e quando mi volto di scatto c’è una sottile piuma nera che volteggia per aria e il rumore d’un battito d’ali che si allontana veloce nel buio. 
- Hai ragione, Potter. Quello che ho fatto a quell’Augurey è stato orribile: impedirgli di staccarti la testa, - Evans sospira melodrammatica, porgendomi la bacchetta. - Non ho idea di come riuscirò a guardarmi di nuovo allo specchio.
Non sono sicuro che un Augurey possa davvero staccare la testa ad un essere umano, ma d’altro canto non sono nemmeno sicuro di cosa sia un Augurey esattamente, così prendo la mia bacchetta senza ribattere, rigirandomela tra le dita.
- Pensavo odiassi la mia testa, – commento con un sorrisetto. Evans alza gli occhi al cielo e mi supera senza rispondere, la bacchetta alta di fronte a sé e lo sguardo che perlustra attento la vegetazione ai lati del sentiero. Subito la imito, guardandola di sfuggita.
È bella, d’accordo. Posso capire perché sia lei e non, ad esempio, Alice, che è tutto sommato carina, ma non ha quegli occhi così verdi da sembrare finti. I riflessi color sangue accesi dal bagliore dorato della bacchetta sui suoi capelli hanno un effetto vagamente ipnotizzante su di me, e ok, lo capisco, il rosso mi piace, è il colore della mia Casa e Evans ha dei bei capelli, questo è evidente. È il minimo che possa fare, avere bei capelli, quando i miei sono così fantastici. Probabilmente non c’è una sola ragazza ad Hogwarts o nel resto del mondo che abbia degli occhi più verdi dei suoi e questo non è nemmeno lontanamente un fatto positivo, perché il verde d’altro canto è il colore di Serpeverde, solo che il suo è più simile a quello dell’erba del campo da Quidditch che a quello acceso delle divise nemiche. E io l’erba del campo da Quidditch di solito la calpesto smontando dalla scopa, senza neppure farci caso, quindi, davvero, tutto questo non ha senso. Potrei capire se avesse gli occhi azzurri, come quelli di Lizzie, come il cielo limpido di quelle giornate perfette per un allenamento extra, quando mi alzo in volo e il vento mi solletica il viso e ogni cosa è al posto giusto. Quelli sono occhi seri, occhi di cui innamorarsi, occhi che non calpesterei scendendo dalla scopa. E però non sono gli occhi di Lizzie quelli che continuano a infilarsi nella mia testa anche quando lei non c’è e non sono gli occhi di Lizzie che mettono in crisi ogni mia convinzione e non sono gli occhi di Lizzie che mi fanno venire voglia di prendere a pugni il muro.  
Sono passati diversi minuti dall’ultimo attacco e probabilmente questo sarebbe il momento di spegnere il cervello e concentrarmi sulla prova, ma non riesco a farmene una ragione: non possono bastare dei bei capelli e dei begli occhi per fare questo a me, no? Quelli sarebbero abbastanza per Butler e i suoi amici Tassorosso, ma James Potter non si lascia fregare così facilmente. Lei deve aver fatto qualcosa, qualcosa di subdolo e malvagio e sleale, come correggermi il succo di zucca con l’Amortentia ogni mattina, sin dal quarto anno; questo ha senso, questo spiega come mai io non riesca a smettere di fissarla anche se dovrei guardarmi attorno per evitare di farmi mangiare la testa da bizzarri animali col nome buffo. Non mi piace l’idea della mia testa che viene mangiata, così come non mi piace essere innamorato di Evans e ho come l’impressione di non poter evitare nessuna delle due cose.
Mason ha fatto le cose per bene e ad un certo punto si alza persino un venticello freddo, che fa frusciare forte le piante accanto a noi e fa irrigidire lei, le dita serrate attorno alla bacchetta. L’Amortentia è una buona spiegazione, io credo: è un’ottima Pozionista, Lumacorno non fa che ripeterlo. Forse ha somministrato dell’Amortentia anche a lui e questo spiega la sua palese predilezione nei suoi confronti. Dev’essere colpa dell’Amortentia e di quelle labbra. Non vedo cosa ci stiano a fare lì sul suo viso, quando è così chiaro che sono del tutto fuori posto: quando una persona ha già dei capelli troppo rossi e degli occhi troppo verdi, piazzarci anche delle labbra così è privo di ogni logica, è strafare, è perdere l’occasione di metterci una bocca più sottile e anonima ed evitare a ragazzi come me di arrovellarcisi su più del dovuto, quando lei non è nemmeno la ragazza più bella di Hogwarts a ben vedere. C’è Kate Logan, che ha il fisico di una modella e lineamenti perfetti, capelli lunghi e color mogano che non hanno proprio nulla da invidiare a quelli di Evans; c’è Sherry Mills, che è il sogno erotico di ogni studente dal terzo anno in su, compresi quelli che ancora non sanno nemmeno cosa sia un sogno erotico, ma che sanno comunque che ha a che fare con quelle sue labbra carnose; c’è Marlene McKinnon, il cui seno è la causa principale della sconfitta di Corvonero contro Serpeverde di due anni fa, quando i diversi metri di distanza non sono bastati a evitare che il Portiere della squadra nera e blu si distraesse. E potrei continuare, perché Evans davvero non è la ragazza più bella di Hogwarts e glielo direi ora, con una punta di stizza, se non fosse che risulterebbe un po’ fuori contesto e lei già pensa che io sia pazzo. Azzardo un’altra occhiata con la coda dell’occhio nella sua direzione e a stento trattengo un sospiro frustrato, perché non è affatto la ragazza più bella di Hogwarts, questo è assodato, ma allo stesso tempo lo è. Le sue gambe fasciate dai calzettoni a righe rosso-oro della divisa non sono chilometriche come quelle di Sherry Mills, ogni centimetro della sua pelle sembra essere ricoperto di lentiggini come una di quelle bambine pestifere delle favole babbane e probabilmente Peter ha più tette di lei; a guardarla si direbbe che un pittore ubriaco si sia lasciato sfuggire di mano la tavolozza delle tempere ed ora lei si ritrova troppi colori in faccia, il rosso acceso dei capelli che fa a pugni con quel verde così intenso da risultare quasi ridicolo in contrasto con la pelle bianca spruzzata del rosa più scuro delle lentiggini. Non c’è alcuna misura o dosaggio e questo per una Pozionista come lei non è affatto coerente; e nonostante tutto è lei, non è Sherry Mills, non è Marlene McKinnon e di certo non è Peter, è lei e non vuole lasciarmi in pace.     
- Che stai facendo, Potter?
Per l’appunto.
- Non lo so, cosa sto facendo? – Aggrotto la fronte perplesso, perché sono abbastanza sicuro di non stare facendo nulla ora come ora.
- Sei in silenzio da più di tre minuti. Non ti ho mai visto stare zitto tanto a lungo, - Evans mi lancia un’occhiata vagamente sospettosa. - Quindi, cosa stai facendo?
 
*
 

Non è che non mi piaccia non sentire la voce di Potter, perché mi piace infatti, mi piace molto. Solo che preferirei non sentirla perché lui ha un bavaglio sulle labbra o perché l’Augurey di prima gli ha strappato la lingua con gli artigli, mentre così è solo inquietante, perché se Potter ha ancora la capacità di parlare e non lo fa, allora è probabile che presto succederà qualcosa di orribile e dannoso, perché è questo che accade di solito quando lui sta zitto troppo a lungo, come quella volta al terzo anno, quando si è seduto di fianco a me senza dirmi una parola e poi i miei capelli sono diventati viola.
- Sto pensando, Evans.
Non ha un’aria colpevole, solo molto assorta e vagamente assente, il che non è esattamente il massimo nel bel mezzo di una prova di Difesa.
- A cosa?
C’è qualcosa di risentito oltre le lenti rettangolari dei suoi occhiali ora e suppongo che sia per il tono vagamente scettico che ha assunto automaticamente la mia voce nel porgli la domanda. Ma non è colpa mia se lui ha la reputazione di quello che non pensa, no? No. È colpa sua che se ne va in giro tutto il tempo con un ghigno sulle labbra ad appendere la gente a testa in giù e parla sempre ad alta voce per attirare l’attenzione di tutti su di sé.
- A Sherry Mills, - replica con un’alzata di spalle, prima di passarsi una mano tra i capelli; deve avere una calamita nel palmo della mano ed una impiantata proprio al centro del cranio che spingono costantemente per riunirsi, perché non è possibile che senta davvero il bisogno di farlo così spesso. – Forse le chiederò di uscire. 
 So chi è Sherry Mills, perché Alice sa chi è Sherry Mills e di conseguenza anche io. E in fondo tutta la scuola sa chi è lei, perché quando entra in una stanza tutti gli individui di sesso maschile si voltano a guardarla ed è difficile non notarlo. So anche che durante le vacanze di Natale si è inaspettatamente fidanzata con un Tassorosso più piccolo e più anonimo di lei ed ora la componente maschile del settimo anno è in lutto.
- Sta con Butler.
Potter non sembra turbato dalla notizia e un sorriso sornione scaccia le ultime tracce dell’aria assente di poco prima. 
- Solo perché non l’ho ancora invitata io.
Mi trattengo dall’alzare gli occhi al cielo, perché in fondo è colpa mia che l’ho risvegliato dal suo coma e ora lui sta solo facendo quello che James Potter fa di solito, ovvero essere odioso.
- A meno che non ci voglia venire tu ad Hogsmeade con me, - aggiunge con tono casuale qualche secondo dopo, scacciando con la mano un Doxy dall’aria inviperita appena sbucato dagli alberi. – O ci vai già con Philips?
- Ci vado con Dean, sì.
- Quindi state insieme o cosa?
Sono affari tuoi o cosa? È questo che penso subito ed è questo che sto per dire quando dei piccoli denti affilati si infilano nella mia spalla, oltre la stoffa del maglione, causandomi un gemito. Subito mi volto di scatto ed un attimo dopo quel bastardo di un Doxy finisce contro il tronco di un albero poco distante, preso in pieno dal mio Stupeficium.
- Ahia, cazzo, ahi.
Non c’è più un solo Doxy ad infastidire Potter ora, ma tre, ed io faccio appena in tempo ad alzare la bacchetta prima di rendermi conto di quanto sia effettivamente alto il ronzio che proviene dalla boscaglia. Troppo alto. Il mio libro di Cura Delle Creature Magiche fa appena in tempo a ricordarmi, da un punto molto remoto della mia mente, che i Doxy hanno l’abitudine di deporre fino a cinquecento uova alla volta e ora mi ricordo anche che il nostro professore di Difesa è una sorta di serial killer in incognito che odia gli studenti e quindi quella nube scura che sta uscendo dagli alberi è esattamente quello che sembra.
- Corri! – grido, solo per rendermi conto che in effetti Potter se l’è già data a gambe e mi ha distanziato di diversi metri. Bastardo infame.
- Sto corrrendo! – mi grida Potter in risposta, senza voltarsi e senza rallentare minimamente, come se non lo vedessi da sola adesso che lui sta correndo, mentre io cerco disperatamente di raggiungerlo, le risatine malefiche dei Doxy che si avvicinano sempre di più alle mie spalle. – Fuoco o acqua?
- Cosa?
- Fuoco o acqua, quei cosi, cos’è che li manda via?
- Non ne ho idea! – replico affannata, prima di schiaffeggiarmi forte il collo, dove un altro di quei mostriciattoli ha appena affondato le sue due file di dentini aguzzi. Per chi mi ha preso Potter? Ho scritto ‘esperta di Doxy in fronte’? D’accordo, so quanti denti hanno e quante uova depongono, so che sono della stessa famiglia delle fate e in quale anno sono stati inseriti nell’elenco delle creature fantastiche e so persino da chi, ma non so assolutamente nulla di utile, nemmeno un singolo incantesimo che sia in grado di metterne fuori gioco così tanti in una sola volta, né quale sia la loro debolezza. L’istruzione magica ha fallito ed io ne sono la prova vivente: se sopravvivrò mi ritirerò dagli studi e mi proporrò ad Hagrid come sua aiutante, così quando uno degli strani esseri che alleva mi staccherà la testa a morsi almeno non dovrò subire la perversa ironia di conoscere un sacco di informazioni inutili sul suo conto.
Potter sta ancora correndo di fronte a me quando io, senza smettere di scappare, mi volto indietro per capire tra quanti secondi esattamente sarò investita dallo sciame, ma quando torno a guardare davanti scopro che Potter non sta più scappando, ma che si è fermato e che la sua schiena non è una superficie piacevole contro cui schiantarsi.
- Evans, cazzo, no, – Lo sento imprecare, un attimo prima di rendermi conto che probabilmente Potter si era fermato perché non c’è più nessun posto dove andare, nessun sentiero da percorrere e nessun terreno da calpestare durante la nostra fuga. Se mi avesse avvisato, allora mi sarei fermata anch’io, ma lui è stupido e parla sempre tranne quando dovrebbe davvero farlo, così ora l’aria fredda mi sferza violentemente il viso, mentre precipitiamo entrambi a testa in giù nel vuoto. Usa la bacchetta, usa la bacchetta, grida una vocina nella mia testa; ora muoio, ora muoio, grida un’altra, molto più convincente ed in tutto ciò io riesco solo a rallegrarmi del fatto che almeno morirò tra atroci sofferenze una frazione di secondo dopo Potter, che non è la migliore delle prospettive, ma è comunque meglio che spiaccicarmi al suolo prima di lui e lasciare questa vita senza aver passato neppure un istante sapendo cosa significa vivere in un mondo senza James Potter. Mentre le vocine nella mia testa litigano tra loro, tuttavia, le mie dita decidono che non sono ancora pronte per morire e le sento stringersi forte attorno alla bacchetta, preparandosi a muoverla nel modo giusto e richiedendo la collaborazione delle labbra. Faccio appena in tempo ad aprire la bocca per pronunciare un qualche incantesimo, non necessariamente un Avada Kedavra con cui colpire Potter, che la mia pelle inizia a bruciare e formicolare tutta, in seguito all’impatto col suolo. Lo realizzo dopo qualche secondo che il suolo non è davvero un suolo, anche se per un attimo mi era parso altrettanto duro, e che è per questo che sono ancora viva, e quando il mio cervello suggerisce alle mie labbra di restare chiuse è troppo tardi, perché ho già provato a respirare qualcosa come mezzo litro d’acqua ed ora non mi resta che affogare. Ora muoio, ora muoio insiste la vocina di prima, che ha acquistato ancora più credibilità, il che è bizzarro, perché penseresti che non c’è una situazione più mortale di te che precipiti da una rupe, no? E invece te che ti stai strozzando con l’acqua e senti l’impulso di respirare e tossire al tempo stesso e non hai idea di quale sia il sopra e quale il sotto è persino peggio. C’è solo nero attorno a me ed io mi ritrovo a muovere braccia e gambe senza una logica e senza sapere se mi sto avvicinando alla superficie o al fondale, anche se con tutta probabilità sono ferma nello stesso posto. Sto iniziando a considerare le probabilità che Mason si decida a interrompere la prova ed evitare che io anneghi, quando un bagliore dorato si accende improvvisamente poco più in alto di me e un attimo dopo una figura si avvicina veloce. Non so perché Potter sembri così tranquillo e per nulla provato dall’incidente, come se gli capitasse tutti i giorni di essere spinto giù da una rupe e finire in un lago, e un’altra cosa che non so è perché se ne stia lì a fissarmi senza fare nulla per salvare la mia vita ed evitare una T ad entrambi. Sto per afferrare la sua dannata bacchetta ed infilargliela su per il naso, quando realizzo improvvisamente che sto tossendo, che riesco a sentire perfettamente il rumore che produco mentre lo faccio e che c’è dell’acqua che mi sgocciola sulla fronte e sul mento. E sto respirando.
Potter, la bacchetta illuminata ancora puntata su di me e la testa racchiusa a sua volta in una bolla d’aria, inarca le sopracciglia e mi guarda interrogativo, come ad assicurarsi che io abbia riacquistato il pieno possesso delle mie capacità mentali ed io annuisco decisa, iniziando subito a nuotare verso quella che ora riconosco come la superficie del lago. Ma delle dita mi bloccano stringendosi attorno al mio polso e Potter inizia a fare degli strani e frenetici gesti che non hanno alcun senso in nessuno dei mondi conosciuti, ma alla fine capisco comunque: non ci sono dentini aguzzi che ci trafiggono la pelle. Acqua, dunque, non fuoco: i Doxy non sanno nuotare.
Accendo la bacchetta a mia volta, riflettendo sul da farsi, quando Potter mi punta di nuovo la sua contro e poi mi si avvicina con una bracciata, infilando la testa nella mia bolla come se nulla fosse e sorridendomi allegro a pochi centimetri dalla faccia.
- Ehy, Evans, - mi saluta spensierato, e non lo sta per fare, non lo sta per fare, e invece lo fa: le dita della sua mano destra emergono veloci dall’acqua e si gettano tra i suoi capelli ancora sgocciolanti, incasinandoli ancora di più e schizzandomi alcune gocce addosso nel processo. - Sei viva?
- Potter, dannazione, esci dalla mia bolla.
- È la nostra bolla ora, - replica, quasi sfiorandomi il naso col suo, perché nessuno gli ha mai insegnato il concetto di spazio personale e lui non ha la minima idea di non potersene semplicemente andare in giro ad invadere quello altrui unendo bolle che dovrebbero restare divise. - Le ho fuse così posso sentire quello che dici. Ti ho visto muovere le labbra, ma...
- Lumos, ho detto Lumos e stavo parlando con la mia bacchetta, non con te.
- Gioco di squadra, Evans, - canticchia lui canzonatorio, prima di chinarsi a trafficare con la sua cintura. Ci metto qualche istante a capire cosa sta facendo, ancora a due centimetri da me, ed è a quel punto che provo a schizzarlo e farlo annegare, solo che la bolla respinge l’acqua e Potter può finire di sfilarsi i pantaloni in tutta calma. – Che c’è? – aggiunge poi innocente, vedendo la mia espressione. – È per nuotare meglio, non ho mica la gonna io. Ma se vuoi spogliarti anche tu, io non ho nulla in contrario.
Com’è successo? Questa mattina mi sono alzata, ho fatto colazione, sono andata a lezione di Difesa Contro Le Arti Oscure ed ora sono in un lago a due centimetri da James Potter in mutande che mi incita a spogliarmi a mia volta. Non è normale, no? Non dovrebbero succedere cose del genere in una scuola.
- Okay, - sospiro, gli occhi fissi in quelli nocciola di Potter, più vicini e grandi del solito, e probabilmente anche più inutili, dato che sembra aver perso gli occhiali durante la caduta. – Muoviamoci, d’accordo? Mason ha detto di raggiungere la fine del percorso il prima possibile e noi ci stiamo mettendo un’eternità.
Potter ha già la bocca aperta, pronto a dire qualcosa di cui non importa niente a nessuno, ma quando io lo spingo fuori dalla bolla e lui se la ritrova piena d’acqua è costretto a tacere, prima di puntarsi la bacchetta in viso e far comparire un’altra sfera d’aria. Compiaciuta di avere di nuovo la mia bolla privata, inizio a nuotare veloce, la bacchetta tesa di fronte a me ad illuminare la via. Per diversi minuti non succede nulla e inizia a sorgermi il dubbio che siamo finiti fuori dal percorso e che è per questo che non c’è nessun pericolo in questo lago, poi una luce rossastra alle mie spalle mi induce a voltarmi, giusto in tempo per vedere Potter affatturare un Avvincino dalle lunghe dita scheletriche strette attorno alla sua caviglia. Quello si ritrae immediatamente nei fondali scuri e sabbiosi ed io mi giro di nuovo, pronta a riprendere per la mia strada, solo che c’è una specie di orrida scimmia ricoperta di squame a sbarrarmela ora. Dev’essere un Kappa, a giudicare dalla forza con cui serra i denti sottili attorno al mio braccio: nel manuale di Difesa c’è scritto che questi esseri si nutrono principalmente di sangue umano ed ora posso confermare che è vero. Trattenendo una smorfia di dolore, mormoro uno Schiantesimo e il Kappa viene respinto lontano da me in un’onda violenta, solo che non mi stupisco di vederlo pronto a tornare all’attacco dopo pochi secondi, il muso sporco di sangue, perché c’è solo un modo per respingere un Kappa e non è questo. Fortunatamente Potter deve essersi distratto qualche volta dai suoi infiniti complotti con Black durante le lezioni di Mason e deve avergli prestato attenzione per sbaglio durante la lezione sui Kappa, perché prima che io possa evocare un Protego, un cetriolo trasfigurato vola oltre la mia spalla e colpisce la scimmia squamata proprio sul naso, mettendola in fuga all’istante. Potter nuota con un sorriso gongolante al mio fianco, alzando due dita in segno di vittoria mentre mi supera ed io ringrazio il fatto che siamo sott’acqua e non posso sentirlo mentre si loda da solo per la sua abilità. Il resto dell’attraversata acquatica passa più o meno tranquillamente, disturbato solo dall’attacco facilmente sventabile di due Kelpie e di qualche altro Avvincino, e dopo pochi minuti ci ritroviamo ad arrampicarci sulla riva. Tira un vento gelido che Mason si poteva proprio risparmiare, perché di certo non è magia oscura né nulla da cui dobbiamo imparare a difenderci, e che mi fa rabbrividire e stringere le braccia al petto, nell’inutile tentativo di assorbire un po’ di inesistente calore dai miei vestiti fradici e ghiacciati. I boxer neri di Potter sono appiccicati alla sua pelle in modo totalmente inappropriato e a giudicare dalla pelle d’oca che gli percorre i polpacci pallidi ora sente la mancanza dei suoi pantaloni. Non dovremmo perdere neppure un secondo ad asciugarci e cercare di arrivare alla fine del percorso nel minor tempo possibile, ne sono consapevole, ma quando Potter si china per trasfigurarsi dei nuovi pantaloni non protesto, approfittandone per puntarmi contro la bacchetta e godermi l’aria calda che ne esce. Mi ritrovo ad abbassare le palpebre e godermi questi pochi secondi di pace, cullata dal calore che mi accarezza dolcemente asciugando pian piano i miei vestiti grondanti, tutto questo fino a quando non avverto una lieve puntura proprio a lato del collo, nello stesso punto in cui poco fa mi ha morso un Doxy. Dev’essere semplicemente il pizzico di prima che si fa sentire, perché quando apro gli occhi non vedo nulla oltre a Potter che è ancora impegnato nella trasfigurazione, così li richiudo subito beata, tornando alla mia unica momentanea ragione di vita: il getto caldo che esce dalla bacchetta e mi fa credere per un attimo di essere sotto la doccia bollente del mio dormitorio e non intrappolata nella fantasia omicida di Mason insieme a Potter. E funziona, sto così bene che quasi mi sembra di galleggiare dolcemente per aria.
- Evans? Che diavolo...
Se non fosse che sto galleggiando, nel senso letterale del termine, come scopro non appena apro gli occhi, risvegliata dalla voce perplessa di Potter. Mi guarda dal basso, il collo piegato verso l’alto e gli occhi spalancati fissi nei miei, ancora mezzo chinato nell’atto di infilarsi i suoi nuovi pantaloni. C’è un momento di immobile perplessità da parte di entrambi, perché non è una cosa normale che una persona inizi a levitare senza motivo e serve del tempo per accettarlo. Poi il mio corpo si allontana ulteriormente dal suolo e Potter si sporge verso di me, allungando una mano ad afferrare la mia e reggendosi i pantaloni solo con l’altra. Le sue dita mi stringono forte, ma la forza invisibile che mi attira verso l’alto non si blocca e la mia mano inizia a scivolare dalla sua. C’è questo interminabile momento, in cui Potter sposta lo sguardo dalla sua mano che sta perdendo la presa su di me a quella che invece regge ancora i pantaloni, come per soppesare le priorità; infine pare decidere che non lasciarmi partire per orbite sconosciute ha la precedenza sul non andare in giro in mutande, così porta in alto anche l’altra mano e mi afferra deciso per un polso, mentre i pantaloni gli ricadono sulle caviglie. È a quel punto che il vento mi spinge deciso tutta a sinistra come se fossi un palloncino senza peso, e Potter, che continua a stringermi forte e continua ad avere i pantaloni arrotolati alle caviglie, inciampa e finisce a terra, ancora appeso a me. E poi la mia forza di gravità all’incontrario fa staccare dal suolo anche lui e questa è la fine, passerò il resto dei miei giorni a orbitare per l’universo con James Potter.
- Evans, che stai facendo?
- Sto levitando, Potter, non si vede?
- E perché?
Già, perché? È qualcosa che dovrebbe accadere a lui questa: se dal nulla i suoi piedi si staccassero da terra e lui iniziasse a galleggiare per aria io non mi stupirei, anzi, noterei a malapena la differenza, perché in fondo che Potter è un pallone gonfiato è cosa nota e sono certa che il suo ego è abbastanza potente da sconfiggere la forza di gravità. Ma io cos’ho fatto per tramutarmi in un dannato palloncino? La mia mente inizia a ripercorrere velocemente le mie scelte passate che possono avermi condotto a questo, mentre l’erba scura si fa sempre più lontana man mano che continuo a prendere quota, con Potter appeso a me in maniera instabile e fastidiosa. E poi ricordo quel paragrafo di tre righe scarse sul manuale di Difesa, quello che aveva all’interno espressioni come insetto piccolissimo e scarsa pericolosità, che mi hanno indotto a non leggerlo con attenzione, ma ora che ci penso anche parole come vertigini e levitazione e forse non avrei dovuto prendere il Billywig così sotto gamba. Scarsa pericolosità un corno, stupido libro. Se avesse scritto almeno discreta pericolosità forse mi sarei degnata di leggere la parte dedicata al contro incantesimo e non sarei ormai a una decina di metri dal suolo.
- Ma sai solo andare in alto, Evans? – si informa Potter, che ha un’aria curiosa ed eccitata che non si addice per niente ad uno che è aggrappato in malo modo ad un palloncino umano a diversi metri da terra. – Non riesci, che so, a sterzare o ad aumentare la velocità?
- Mi hai preso per la tua scopa, Potter?
- No, certo che no, la mia scopa sa curvare: è una Tornado, - dice lui fiero, perché evidentemente non ha ben chiaro che l’unica cosa che si frappone tra lui e una picchiata con atterraggio mortale sono io. – E questo è ancora meglio, stai volando senza scopa! Come fai?
Nello sguardo di Potter c’è una chiara punta di invidia ora e questa è la prova definitiva che è completamente fuori di testa; mi fissa come un bambino a cui viene sventolato il più bel regalo di Natale di sempre sotto il naso e dato che non è in grado di non esprimere la sua eccitazione anche in maniera fisica, inizia ad agitarsi e per poco la sua presa non scivola dal mio polso.
- Attento, Potter, - lo redarguisco, perché non mi prenderò una T perché lui non ha il minimo istinto di sopravvivenza. – Non puoi tenerti alle gambe? Mi stai spezzando il polso.
Potter non se lo fa ripetere e ora il peso del suo corpo e della sua testa montata ricade solo sulle mie ginocchia. Poi il calzettone sinistro della mia divisa, tirato su fin quasi alla coscia, cede improvvisamente sotto la sua presa e scivola veloce fino alla caviglia, portando Potter giù con lui. Già me lo vedo spiaccicato al suolo, con Mason che mi dà T e tutta la scuola che mi accusa di averlo fatto cadere apposta, ma dopotutto non è così pessimo in quanto a riflessi e dopo un attimo le sue dita sono contro la pelle nuda della mia gamba. Siamo quasi a venti metri da terra quando lui incrocia il mio sguardo, rivolgendomi un sorriso sornione dal basso.
- Lo sai, Evans, se mi vuoi sotto la tua gonna, basta chiedere.
E in fondo basterebbe un piccolo calcetto, un lieve Stupeficium e niente più Potter per tutta la vita. Che sarà mai una T in Difesa in fondo? Non è colpa mia se la sua stupidità aumenta con la quota, no?
Poi lui decide di tentare il suicidio da solo, togliendomi l’imbarazzo della premeditazione: il suo sguardo viene attirato improvvisamente da una macchia dorata che sfreccia di fianco alla mia gamba e lui si sporge di colpo, reggendosi con una sola mano e lanciandosi di lato, un braccio teso davanti a sé e lo sguardo concentrato di un cane che punta la preda.
- Potter, sei fuori di...
- Di qua, di qua, Evans! – esclama lui agitato, dandosi forti spinte di lato col petto come a cercare di manovrarmi. – Dai, sta scappando!
Decido di non far notare a Potter che non posso scegliere come spostarmi nell’aria, perché è inutile fare notare le cose alle persone pazze, e seguo perplessa la traiettoria del suo sguardo ossessivo: c’è un piccolo uccellino dorato a pochi metri da noi, con ali piccole e sottili come quelle di un coleottero che sbattono frenetiche e gli consentono di spostarsi a una velocità impressionante. I suoi occhietti rossi ci sondano sospettosi da lontano per qualche secondo, poi lui sparisce dalla mia vista e Potter tenta un’altra mossa suicida, allungando il braccio con uno scatto che ci fa ondeggiare pericolosamente entrambi per qualche secondo; continuo a non vedere l’uccellino, ma ora una piuma dorata volteggia a poca distanza dalle dita di Potter.
- Dannazione, Evans, c’ero quasi, - si lamenta frustato, perlustrando frenetico lo spazio attorno a noi. – Come faccio a prenderlo se tu non ti muovi per niente?
- Non sono la tua scopa, Potter, - ribadisco seccata, chiedendomi perché io mi ritrovi a doverlo sottolineare, quando ho sempre pensato che le differenze tra me e una scopa fossero pienamente visibili ad occhio nudo. - Se fossi un oggetto sarei un palloncino, ok? E quello non è un boccino d’oro, che ti è preso?
- È un Golden Snidget, Evans, non vedi? – dice Potter quasi scandalizzato, gli occhi che si muovono di scatto da un punto ben preciso ad un altro, come se lo stesse ancora seguendo con lo sguardo. – Quando il boccino d’oro ancora non esisteva, i Cercatori dovevano acchiappare lui.
Penso sempre di aver scavato abbastanza a fondo nella biblioteca di Hogwarts per saperne quanto i miei compagni purosangue sul mondo magico, poi immancabilmente uno di loro se ne esce con storie assurde che a quanto pare è scontato tutti conoscano e realizzo che non è così, non ancora. Potter ha smesso di parlare e continua a fissare a distanza l’uccellino, con l’aria di chi non ha altro da aggiungere ed evidentemente è convinto di aver già spiegato il suo precedente attacco di follia. Non so nemmeno da dove iniziare a esprimere il mio disappunto, se dalla totale barbarie di dare la caccia per puro divertimento a un uccellino che se ne sta per i fatti suoi o dal fatto che lui decida di mettersi a giocare a Quidditch ora, tra tutti i momenti possibili.
- Beh, li hanno inventati i boccini adesso, sì? – domando retorica, con ben chiara in mente l’immagine di Potter che si mette in mostra con quella sua pallina dorata in ogni angolo del castello. – Lascia stare il Golden Snidget e aiutami a trovare un modo per scendere da qui.
- Non posso, Evans, - replica lui, gli occhi ridotti a fessure puntati alla nostra sinistra, le labbra premute forte l’una contro l’altra. – Mi sta sfidando.  
Come vorrei essere davvero un palloncino ora: almeno potrei bucarmi e sfracellarmi al suolo, trascinando con me quest’idiota.
- Nessuno ti sta sfidando, Potter, piantala di vedere sfide ovunque.
- Certo che mi sta sfidando, è nella sua natura. Guardalo, continua a volarmi attorno e a fissarmi, - insiste, mentre io sondo lo spazio attorno a noi e rifletto dubbiosa se sia una cosa da Cercatori, il fatto che lui riesca a seguire i suoi movimenti e io no, o se si stia semplicemente immaginando tutto e il Golden Snidget se ne sia andato da un po’. Propendo per la seconda in effetti. - Ma è sleale e vigliacco, si tiene sempre ad almeno un centimetro fuori dalla mia portata.
Diversi minuti dopo, Potter ha un’aria sinceramente ferita e tradita in volto e ancora non riesce a capacitarsi del fatto che il Golden Snidget sia infine volato via, sottraendosi alla competizione; dovrei essere più stupita di così del fatto che quell’uccellino grande come un’unghia abbia dimostrato più buonsenso di Potter, ma in realtà non lo sono per niente.
- Quindi tu sei sicura di non poterti spostare in avanti, giusto?
 - Sono sicura, sì, - confermo con un sospiro, perché l’unica cosa di cui non posso dirmi certa al momento è quanto ancora reggeranno le mie gambe, prima di staccarsi semplicemente all’altezza delle ginocchia e precipitare a terra con Potter. – Piuttosto, quante possibilità ci sono che tu conosca il contro-incantesimo per il pizzico di un Billywig?
- Sei stata punta da un Billywig? Perché non l’hai detto subito, Evans? – Potter mi punta immediatamente contro la bacchetta con aria trionfante e per un attimo i miei istinti omicidi nei suoi confronti svaniscono totalmente, perché sta per togliermi dalla mia condizione di palloncino umano e questo è fantastico; poi lui mormora qualcosa, una luce viola mi illumina per un secondo ed infine stiamo tutti e due precipitando ad una velocità considerevole. Ed è questo che succede quando Lily Evans non odia James Potter dunque, muoiono entrambi spiaccicandosi al suolo: che i posteri prendano nota.
 
*
 

Stiamo precipitando di nuovo, per la seconda volta nel giro di pochi minuti, e questo è divino. L’aria fredda mi sbatte forte contro il viso e mi agita i capelli, mentre le mie dita scivolano via dalla pelle morbida delle gambe di Evans e si abbandonano al vento, tese verso l’alto; è incredibilmente rilassante e mentre stendo le braccia gettando la testa all’indietro, mi concedo per un attimo di abbassare le palpebre, consegnandomi senza remore alla sensazione assoluta del volo, proprio come quando mi lancio in picchiata con la mia Tornado prima di afferrare il boccino. Farlo senza scopa è persino meglio ed accentua ulteriormente la sensazione di abbandono e totale libertà della caduta, ma d’altro canto accentua anche il pericolo di morte, e morire senza pantaloni non sembra la cosa più dignitosa da fare, così stringo appena le dita attorno alla bacchetta e do un lieve colpetto verso il basso. L’erba fresca ed umida mi solletica il collo, mentre la mia schiena affonda dolcemente in quello che fino a qualche secondo fa era un terriccio compatto e che ora ha la consistenza di un cuscino imbottito e molleggiante. Apro gli occhi nella notte illusoria di Mason proprio mentre vengo fatto rimbalzare in alto e subito decido di approfittarne per rimettermi in piedi con un salto agile, così da impressionare Evans, solo che Evans non è ancora atterrata ed è esattamente sopra di me, troppo impegnata a cercare di uccidermi per lasciarsi impressionare. Ora ti schiaccia, mi comunica con lucidità disarmante una vocina all’interno della mia testa ed io non posso che darle ragione, perché la terra che ho reso molleggiante e divertente mi sta spingendo proprio verso Evans, che invece è spinta verso di me dalla forza di gravità e questa non può che essere la fine per il mio bellissimo naso. Poi Evans si blocca semplicemente per aria, a pochi centimetri da me, e io finisco con le ginocchia e i palmi a terra, perché la possibile morte per schiacciamento mi ha distratto dal mio proposito di essere affascinante ed atletico. Un’altra persona potrebbe avere un’aria ridicola al mio posto, inginocchiata a terra con le mutande al vento e le dita affondate nell’erba, ma probabilmente non è il mio caso, perché raramente assumo un’aria ridicola e se anche ora lo stessi facendo, Evans non potrebbe comunque vedermi. Lei d’altro canto è piuttosto ridicola, i capelli mossi che quasi sfiorano il suolo e la caviglia appesa per aria, vittima del suo stesso Levicorpus. Mentre mi rialzo, sfrego le mani l’una contro l’altra nel tentativo di ripulirle e cerco allo stesso tempo di imprimermi nella mente l’immagine di Evans a testa in giù a pochi metri da me: credo che possa aiutarmi nel mio proposito di smettere di provare questa cosa disdicevole per lei, perché cosa mai potrebbe spingere una persona astuta a lanciarsi un Levicorpus da sola? Solo che lei è a testa in giù e la sua gonna è scivolata verso il basso scoprendo la parte superiore delle sue cosce per qualche secondo di troppo, prima che le sue mani scattino a rimetterla a posto ed io per un attimo mi dimentico perché esattamente non posso essere innamorato di lei.
- Lo sai, Evans, esistono un sacco di incantesimi in grado di bloccare una caduta per il verso giusto, - la informo con un sorrisetto, osservandola rimbalzare a sua volta a terra dopo aver annullato la fattura. - Così, per la prossima volta. 
- Beh, lo so, - dice lei, mentre i suoi capelli provano chiaramente il contrario, perché non starebbero cercando di sfuggire dalla sua testa in un modo molto simile ai miei se lei non si fosse affatturata da sola. – È solo il primo incantesimo che mi è venuto in mente nella foga, forse perché qualcuno a caso non fa che gridarlo per i corridoi.
- Lieto di essere sempre nei tuoi pensieri, Evans.
Lei alza gli occhi al cielo per l’ennesima volta da che siamo qui ed io devo fare forza su me stesso per non puntarci la bacchetta contro e incollarle le palpebre, in modo che smettano di sottolineare costantemente il loro fastidio per la mia presenza. Non che ad Evans servano davvero gli occhi o le parole per comunicarmi quanto la secchi l’avermi attorno, come ricordo non appena ci rimettiamo in marcia: è il modo in cui cammina automaticamente e con una certa fretta dalla parte opposta del sentiero, il più distante possibile da me, come se fossi una qualche sorta di buco nero che risucchia lo spazio e il tempo ed ogni altra cosa attorno a sé e lei non volesse essere aspirata a sua volta; è il suo sguardo che tende sempre ad evitarmi con cura, saltando da una parte all’altra della sua visuale senza soffermarsi neppure per una frazione di secondo su di me, nemmeno fossi un fottuto Basilisco. Non ti pietrificherò se incroci i miei occhi, vorrei dirle, ma a quel punto la sua mascella si tenderebbe e gli angoli delle sue labbra si contrarrebbero in modo impercettibile, come accade ogni volta che sente la mia voce, perché basta quella per suscitare in lei un istintivo moto di fastidio. È tutto qui, come sempre, il modo universale in cui ogni singola parte di lei mi detesta, più o meno consciamente, ed è talmente evidente che mi ritrovo di nuovo a dare dello stupido a Frank e anche ai miei Malandrini, che non fanno che lanciarmi occhiate scettiche da Natale, come se io mi stessi cimentando in qualcosa di assurdo, quando, sul serio, cosa dovrei fare? Smettere di essere innamorato di Evans è l’unica mossa possibile, è lampante, perché l’alternativa, restare innamorato di Evans, è così palesemente un’idea stupida. Come potrebbe qualcuno anche solo prenderla in considerazione, quando lei non riesce nemmeno a condividere la mia stessa aria? Se non fosse proprio lei, se non fossi proprio io, potrei soppesare la faccenda, considerare ogni opzione, ma è lei e sono io e semplicemente non può essere, perché lei non vuole. Lei non lo vorrà mai e quindi perché dovrei volerlo io? Sarebbe stupido e controproducente da parte mia.
E James Potter non è né stupido né controproducente e soprattutto non si è appena trovato di fronte un ragno grande quanto un cavallo. Una delle tre affermazioni è chiaramente falsa e vorrei essere stupido e controproducente in questo momento, ma non è così, mentre d’altro canto la cosa mostruosa qui davanti ha zampe spesse quanto il mio braccio ed alte come me, ognuna ricoperta da un folto strato di peluria nera dall’aria urticante. È quella dannata peluria scura che si confonde con la notte ciò che mi preoccupa maggiormente, ancora più che la dimensione assurda del ragno, perché è sbagliato, semplicemente, non dovrebbe essere così che vanno le cose al mondo: ci sono gli animali e poi ci sono gli insetti. E gli insetti non dovrebbero avere diritto nemmeno a un singolo pelo sui loro corpi orribili e sulle loro zampette sottili che si contorcono sempre senza motivo, come se i loro proprietari vivessero in perenne agonia. Dirò di più, se fosse per me gli insetti non avrebbero nemmeno il diritto all’esistenza e sparirebbero semplicemente nel nulla, tornando nel luogo orribile da cui provengono, un qualche inferno di un universo alternativo in cui sono accettabili tutti quei mostriciattoli disgustosi e zampettanti, ragni in primis. C’è un solo fatto positivo riguardo ai ragni, ed è che non volano e di solito sono considerevolmente più piccoli di me, cosa che mi permette di allontanarmi da loro senza il timore di essere raggiunto e rifugiarmi in zone sicure finché Sirius non smette di sfottermi e fa il suo dovere di migliore amico. Non c’è Sirius ora e quella cosa d’altro canto è grande come un miliardo di ragni cuciti insieme, è probabilmente la regina di tutti gli aracnidi e se mi voltassi e iniziassi a correre mi inseguirebbe e mi divorerebbe, infilzandomi con quelle sue orribili tenaglie appuntite. Muoversi è fuori discussione, perché cose orribili accadono ai maghi che si muovono di fronte a ragni giganti e d’altro canto non credo che il mio corpo collaborerebbe se io provassi a spostarlo: gli infiniti occhietti gialli del ragno, grandi quanto palline da tennis, mi inchiodano a terra ed io riesco a malapena a respirare.
C’è una porta alle spalle del ragno, noto distrattamente, una porta che spunta dal nulla proprio nel bel mezzo del sentiero, e quella è senz’altro la fine del percorso, solo che se Mason pensa che io farò un passo verso quella bestia immonda per raggiungere l’aula, allora è chiaramente pazzo. Un’altra persona pazza è Evans, che mi ha appena superato e si dirige guardinga ma decisa verso l’orribile mostro dei mostri, ignara che muoversi è tutto quello che non bisogna fare di fronte ad un aracnide di quelle dimensioni; quella cosa la divorerà ora, è così evidentemente l’unico epilogo possibile a questa situazione. Ed in fondo non è un brutto epilogo, rifletto: Evans che viene mangiata non è necessariamente un male, perché se lei sparisse tra le fauci di quella cosa e venisse poi digerita, smettendo di esistere, allora io non sarei più innamorato di lei e forse rivedrei persino la mia opinione sui ragni. Solo che il mostro non sembra trovare Evans appetitosa, perché non ha ancora iniziato a masticarla, ed anzi, quando lei fa un passo nella sua direzione, pare decidere di non trovare nemmeno più consona la veste di ragno e inizia a mutare forma quasi all’istante, restringendosi ed allungandosi fino ad assumere le sembianze di una figura incappucciata.
Il vento fa ondeggiare il manto scuro di quello che, ora mi è chiaro, è solo un dannato Molliccio e non la regina degli aracnidi, ed io sento le mie membra rilassarsi: non so perché Evans si sia irrigidita ora, mentre fissa la maschera argentea che spunta da sotto il cappuccio scuro, quando quello è solo un uomo. Non comprendo la sua esitazione, perché dagli esseri umani ci si può difendere, a differenza che dai ragni: puoi muoverti e persino lanciare incantesimi, non sei costretto a immobilizzarti e reggere il loro sguardo molteplice ed agghiacciante. Sto per alzare la bacchetta, quando la figura solleva lentamente una mano pallida e stringe le dita attorno al bordo della maschera perlacea, nell’atto di sfilarsela; è a quel punto che Evans scatta come se fosse stata punta e il Riddikulus risuona chiaro e senza esitazione tra gli alberi. Il manto scuro si accascia improvvisamente al suolo come svuotato ed io lo supero immediatamente, puntando di tutta fretta alla porta davanti a noi, perché il mio molliccio si è appena trasformato in un ragno di fronte ad Evans ed è improvvisamente di vitale importanza uscire da qui il prima possibile.
- Potter.
Ecco.
Trattengo un sospiro, le dita serrate attorno alla maniglia già abbassata.
- Sì, Evans, quello era il mio molliccio e no, non è divertente.
- Lo è in realtà, ma non è questo il punto. Non è come se fosse una grande rivelazione, sai: c’ero anch’io al terzo anno quando Black ti ha inseguito per tutta la Sala Comune con quel ragno finto.
Ma certo che c’era anche lei, perché a quanto pare quel giorno, in quell’esatto momento della giornata, in quell’esatto punto del castello, c’erano tutti; l’intera scuola raggruppata casualmente nella Sala Comune di Grifondoro giusto in tempo per assistere alla mia pubblica umiliazione con sadico tempismo.
- Qual è il punto allora?
- Sei ancora in mutande, Potter, - dice Evans con aria molto seria e molto ironica allo stesso tempo e non mi è ben chiaro come ci riesca. - Credevo volessi saperlo, prima di entrare in un’aula piena di Serpeverde.  
- Oh.
- Già.
- Evans.
- Sì?
- Non era finto.
I suoi occhi si assottigliano appena, le labbra si piegano in una smorfia divertita e mentre apro la porta  e vengo investito dal calore luminoso dell’aula e dalla voce puntigliosa di Mason, penso che dopotutto posso concedermi di restare innamorato di Evans ancora per un po’. Qualche giorno al massimo e poi, checché ne dica Frank, rimetto tutto a posto.
 
 
 
 






 

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


CAPITOLO 26.












- Tu passi in mutande più tempo di quanto sia lecito, James.
Alle mie parole Peter tenta vanamente di trattenere una risatina, ottenendo come unico effetto quello di sputare pezzetti di pollo dalla bocca. Frank, seduto proprio di fronte a lui, fissa accigliato il cibo masticato che galleggia nel suo bicchiere di succo di zucca e credo che la sua giornata sia appena peggiorata sensibilmente.
- Oh, andiamo, Moony, questo non è vero, - sbuffa James, spostando impercettibilmente il suo piatto verso di me, lontano da Peter. - Non è colpa mia se le circostanze lo hanno richiesto.
- Forse hai ragione, - annuisco, servendomi dal piatto al centro del tavolo un’altra coscia di pollo. C’è così tantopollo. È strano, è qualcosa a cui non sono abituato e che ha senz’altro a che fare con l’assenza di Sirius, scomparso misteriosamente dopo l’ultima lezione della mattinata. - Ma resta il fatto che nessun altro si è volontariamente tolto i pantaloni durante la prova di Difesa. Penso che questo voglia dire qualcosa.
- Beh, Frank in realtà...
- Una pianta carnivora me li ha strappati di dosso, non è stato volontario, - Frank si agita appena sulla sedia, una smorfia addolorata in viso. – Quella cosa ha cercato di inghiottire la mia chiappa sinistra. Mason non ci ha insegnato nessun incantesimo per quello.
- Certo che no, Mason non desidera altro che sangue e mutilazioni per i suoi studenti. Fottuto bastardo.
- James, piantala, - sospiro. - Sei solo risentito perché non ti ha fatto tornare dentro a cercare il Golden Snidget.
- È chiaro che sono risentito, - James impugna la forchetta come un’arma letale e la infilza con forza nella bistecca che nella sua mente è senz’altro appena stata sostituita dalla faccia del nostro professore di Difesa. - Non avrebbe tolto tempo alla sua lezione, ho aspettato che finissero le due ore per chiederglielo. Avrebbe dovuto lasciarmelo fare, ora quel dannato pennuto penserà di avermi battuto, quando in uno scontro leale lo avrei preso in dieci secondi al massimo.
-  Sai, l’anno scorso abbiamo soppesato seriamente l’idea di regalartene uno per il tuo compleanno, - lo informo. - Poi ci siamo messi una mano sulla coscienza e abbiamo concluso che dare un Golden Snidget a te sarebbe stato il peggior maltrattamento d’animali immaginabile.
- Quando sarò un Cercatore famoso scordatevi i biglietti gratis per le mie partite.   
James pare convinto di averci appena detto qualcosa di molto cattivo, così io e Peter ci sforziamo di assumere un’aria afflitta, anche se Mary MacDonald ci ha appena passato la torta alle mele ed è davvero difficile continuare a sembrare abbattuti ora. Frank riprende a raccontarci degli svariati modi in cui Avery ha tentato di ucciderlo durante la loro prova, svelando un’astuzia ed un’inventiva del Serpeverde che sinceramente ignoravo, ma verso la fine del pranzo James alza di scatto la testa, lo sguardo fisso ad un punto imprecisato di fronte a sé e l’aria pensosa.
- Ho come l’impressione di aver dimenticato Sirius chiuso da qualche parte.
Potrebbe essere una scusa come un’altra per defilarsi prima dell’inizio delle lezioni pomeridiane e saltare Pozioni, ma la presenza di tutto questo cibo al tavolo dei Grifondoro è così chiaramente un segno che Sirius è impossibilitato a venire qui. Mi lancio un’occhiata guardinga attorno, poi sfilo la mappa da una tasca interna del mantello e ci punto contro la bacchetta, ben attento a tenerla nascosta sotto il tavolo.
- Sgabuzzino delle scope del secondo piano.
- Giusto, – dice James, prima di alzarsi e uscire baldanzoso dalla Sala Grande. Non gli chiedo perché ha chiuso Sirius nello sgabuzzino delle scope: so che quando sembra impossibile chiudere la sua bocca è molto più fattibile rinchiudere direttamente lui da qualche parte; e dopo che il Molliccio di James si è trasformato in un ragno, chiudere la bocca di Sirius dev’essere parso pura utopia.
- E sono abbastanza sicuro che quando ha cercato di Schiantarmi per la quarta volta, lo Schiopodo alle mie spalle fosse già a terra, - Frank continua la sua invettiva contro Avery, che, c’è da dire, riesco a vederlo anche da qui, esibisce un occhio nero niente male. Con la mischia che c’è stata, non è ben chiaro se glielo abbia procurato la coda dello Schiopodo, quella pianta, oppure Frank, ma qualcosa, probabilmente la vena d’odio nella voce del mio compagno di Casa, mi spinge a propendere per l’ultima opzione. Mentre Peter si lancia nel resoconto di come invece Mulciber lo abbia salvato da un enorme serpente a tre teste senza neppure sembrare troppo seccato, il mio sguardo viene attirato da tre ragazze che si allontanano dal tavolo di Grifondoro chiacchierando tra loro, dirette all’uscita della Sala.
- Ehy, Lizzie.
Emmeline Vance ed Allison Ross proseguono incerte verso l’uscita, mentre Lizzie si ferma ad aspettarmi, voltandosi verso di me con un sorriso.
- Ciao, Remus. Tutto ok?
Non mi aspettavo di trovarla con gli occhi rossi e i capelli arruffati, completamente abbandonata a se stessa ed intenta a struggersi nel dolore per James, ma la sua aria allegra mi lascia per un attimo lievemente interdetto.
- Sì, certo, - annuisco pacato. - Volevo solo chiederti se dopo le lezioni hai da fare, mi piacerebbe mostrarti una cosa.
- Non ho ancora nemmeno iniziato il tema di Storia della Magia per domani, ma no, non ho nulla da fare, - Si stringe nelle spalle. - Nulla che farei realmente, almeno.
- Ottimo, ci vediamo più tardi in Sala Comune, - Faccio per tornare al tavolo, poi ci ripenso e mi volto di nuovo verso di lei. - Beh, non proprio ottimo, dovresti trovare il tempo di scrivere quel tema. So che molti prendono sottogamba il sesto anno perché si trova esattamente tra i G.U.F.O. e i M.A.G.O. ma non c’è errore più fatale, credimi, - Il Prefetto che c’è in me continua a parlare a ruota libera per un tempo imprecisato, poi il suo sguardo perplesso e vagamente preoccupato si fa largo nei miei occhi ed io mi scuso sentitamente con lei, prima di tornare al tavolo dove Frank sta ancora parlando delle cose che farebbe ad Avery se solo non fossero illegali. Probabilmente non metterebbe mai in atto nessuna delle sue dettagliata fantasie, ma è in questo momento che io, Peter e Mary MacDonald prendiamo consapevolezza che Frank Paciock sarebbe un ottimo serial killer, se solo non fosse di indole così generalmente pacifica.
 
 
 
 
 
- Tempo scaduto, ragazzi, - Lumacorno passeggia pacifico tra i banchi e i suoi occhietti liquidi vagano attenti da un calderone all’altro. – Lasciate la provetta sul banco e svuotate i paioli.
Facendo attenzione a non scottarmi, riempio con cura la mia provetta e faccio Evanescere il liquido violaceo all’interno del mio calderone con un colpo di bacchetta, prima di notare con la coda dell’occhio che James se ne sta immobile a fissare il suo, l’aria di chi non sa quale sia il proprio posto nel mondo.
- James?
- Mh?
- Tutto bene?
- Benissimo. 
- Cos’è quella roba?
- La mia pozione.
Un sospiro triste mi sfugge dalle labbra, perché certo che è la sua pozione: quando qualcosa in questo castello ha un’aria strana, indefinita, pericolosa e lievemente patetica, di solito si rivela sempre essere la pozione di James. Non è tanto il fatto che è la cosa meno viola che io abbia mai visto, e dovrebbe essere viola, è più che altro il fatto che, essendo una pozione, tutti gli indizi lasciano pensare che dovrebbe quantomeno essere liquida. Decido di comune accordo con le mie labbra di non fare presente nulla di tutto questo a James, perché non sono una persona che infierisce sugli amici o in generale su qualunque caso perso, ma i miei occhi paiono sfuggire a questo accordo e comunicano lo stesso tutti i miei pensieri a James, che irrigidisce lievemente la mascella e alza appena il mento, offeso.
- Non è solida come sembra.
- James, il mestolo è incastrato.
- Toglilo tu, se sei così bravo.
Ed io ci provo davvero a sfilare il mestolo di ferro dal blocco giallognolo e compatto incrostato nel paiolo del mio amico, ci proviamo insieme fino a quando il mestolo non comincia a piegarsi e la pozione di James continua a non incrinarsi, oggetto inamovibile che non ha ancora incontrato la sua forza inarrestabile. Nello sguardo di Lumacorno, quando lo punta dentro il calderone del mio amico, si susseguono varie emozioni, dalla confusione ad un lieve disgusto ed anche un vago interesse.
-  È la prima volta che vedo una cosa del genere, signor Potter, - commenta infine accigliato, prima di afferrare la mia provetta e allontanarsi con un sospiro che mi ricorda in qualche modo il male di vivere.
- Poteva benissimo essere un complimento, - si difende James, perché i miei occhi tendono a rimproverare i miei amici indipendentemente dalla mia volontà. Non è una cosa di cui vado fiero, credo che gli occhi delle persone dovrebbero starsene fermi e buoni e non avere così tanta iniziativa, ma non è nulla a cui posso rimediare in un modo diverso dal togliermeli con un cucchiaino.
- D’accordo ragazzi, solo un’ultima cosa e poi vi lascio liberi, - Lumacorno raggiunge la cattedra e subito nell’aula si alza un lieve brusio e sfregare di sedie contro il pavimento, mentre io mantengo diligentemente gli occhi sul mio professore. - Mi rendo conto che avete sostenuto i G.U.F.O. l’anno scorso e il prossimo avrete i M.A.G.O e vedete in questo sesto anno l’occasione per rilassarvi e prendere una boccata d’aria, ma mi vedo costretto a rovinarvi i piani: mi è indispensabile un piccolo esame di fine corso anche quest’anno, in modo da avere qualcosa di ufficiale su cui basarmi per ammettere o meno alle lezioni dell’ultimo anno chi tra voi deciderà di voler conseguire un M.A.G.O nella mia materia. Sapete che non è mia abitudine basarmi su una singola prova per valutare il percorso totale di uno studente, ma temo di dover porre anch’io, come i miei colleghi, una votazione minima da raggiungere per poter accedere alla classe dei M.A.G.O.
Grifondoro e Serpeverde si uniscono senza distinzione in un mormorio contrariato di sbuffi e mestoli sbattuti nei calderoni con troppa forza ed anche se è a due banchi di distanzia dal mio, il sospiro infastidito di Sirius mi giunge forte e chiaro alle orecchie.
- Accettabile mi sembra onesto e ragionevole per tutti. Pertanto, quelli di voi che si ritengono già in grado di raggiungere un simile voto per tutte le pozioni in programma non hanno che da continuare così, chi invece ha più difficoltà e crede comunque che un M.A.G.O. in Pozioni potrebbe fargli comodo una volta fuori da Hogwarts, è bene che si dia da fare sin da ora, perché non farò eccezioni: Accettabile è il requisito minimo, chi non lo avrà raggiunto alla fine di quest’anno non sarà in alcun modo ammesso al corso successivo. Per oggi è tutto, potete andare.
James, al mio fianco, punta la bacchetta contro il suo calderone con aria pensosa, facendo Evanescere la sostanza bizzarra al suo interno, poi raccoglie la sua borsa a tracolla da terra con la stessa espressione. Conosco James abbastanza bene da sapere che quell’aria accigliata è l’equivalente di una abbattuta, solo che il suo viso non sa davvero come assumere un’espressione scoraggiata e finisce così per tradurla in una infastidita, per comodità od orgoglio, non mi è chiaro. Mentre usciamo dall’aula lancio un’occhiata a Sirius, che sta ora discutendo animatamente con Lumacorno, l’aria convincente che lo circonda quando si impegna a proclamare la propria innocenza e lo scintillio divertito negli occhi di quando è assolutamente colpevole; Severus Piton è accanto a lui, rosso dalla rabbia e due provette tra le dita. Non so cosa Sirius stia dicendo o come risulti questa situazione agli occhi di Lumacorno, ma se ci aggiungiamo Peter che li fissa ridacchiando dal fondo dell’aula, è praticamente scontato che Sirius ha cercato di scambiare la sua provetta con quella di Piton o semplicemente di sabotargli la pozione.
- Accettabile non è un traguardo impossibile, James, - mi decido a commentare mentre imbocchiamo le scale per il primo piano, cercando di togliermi dalla mente l’immagine di quel blocco solido che doveva essere la sua pozione. – L’anno scorso ti è bastato esercitarti qualche settimana con me e Sirius per raggiungere Scadente al G.U.F.O. di Pozioni. Per un Accettabile dovremo iniziare da ora, ma puoi farcela, ne sono sicuro.
- Non dire Scadente con quel tono orgoglioso, Moony, - James si dà una veloce occhiata in giro, poi solleva l’arazzo dorato di fronte a sé e si infila nella scorciatoia per il quarto piano, subito seguito dal sottoscritto. - Non è come se avessi vinto la coppa del mondo, lo dice il nome stesso: Scadente.
- Lo so, ma non è Troll, - Seguo James lungo il tunnel stretto, affrettando sensibilmente il passo. Non mi piace particolarmente prendere questo passaggio, mi dà una fastidiosa sensazione di claustrofobia ed è terribilmente buio ed umido, ma ormai mi sono abituato a mettere a tacere certe sensazioni: ho l’impressione che i miei amici sarebbero disposti ad arrampicarsi su una parete rocciosa a mani nude se questo servisse ad accorciare il tragitto verso la Sala Comune anche solo di qualche secondo; ma suppongo che sia più il gusto di usare passaggi che nessun altro conosce che il risparmiare tempo. – È a un solo voto di distanza da Accettabile. E la tua pozione non è esplosa durante l’esame, è rimasta dentro il calderone. Questo è qualcosa.
È più di quanto si possa dire del novanta percento delle pozioni preparate da James, ma lui non ha l’aria di considerarlo un gran risultato. E lo capisco, perché non è come se conoscesse mezze misure o voti diversi da Eccezionale e Oltre Ogni Previsione per quanto riguarda le altre materie: la verità è che James tende davvero, in barba al suo ego, ad essere il migliore in quasi ogni cosa che fa, senza bisogno di un particolare impegno da parte sua, mentre quando si parla di Pozioni si trasforma in un impedito totale. Il fatto che la materia in cui lui è negato coincida con quella in cui Severus Piton eccelle d’altro canto non lo aiuta a prenderla per il verso giusto.
- Non so come dirtelo, Moony, - James sospira mentre risbuchiamo nel corridoio al quarto piano, sotto lo sguardo perplesso di due Tassorosso. - Ma l’unico motivo per cui la mia pozione non è esplosa ai G.U.F.O. è che Frank era proprio accanto a me durante l’esame e quando la mia pozione ha iniziato a sgorgare dal calderone ci ha lanciato dentro qualcosa. E poi ci ha messo dentro cose per quasi tutto il tempo, ogni volta che l’esaminatore non guardava verso di noi.
- Oh, - commento stupidamente e potrei risultare più convincente nel persuadere James che non è un caso perso, se solo ne fossi convinto io per primo. È che davvero, una materia in cui è richiesta calma, precisione, misura e pazienza non può fare per lui, che sembra sempre aver appena subito una scarica di adrenalina liquida nelle vene. - Non me l’avevi detto.
- È chiaro che non te l’ho detto, Moony, continuavi ad indossare la tua faccia da sono così orgoglioso di te e avevi passato ore a leggermi libri su come non far esplodere le pozioni.
- Non indossavo nessuna faccia, io non indosso facce, - preciso, solo per poi realizzare che probabilmente l’ho fatto invece. – Beh, forse, ma non ero l’unico: anche Sirius aveva quella faccia.
- La faccia di Sirius diceva più so cosa hai fatto durante il G.U.F.O. di Pozioni, per come l’ho interpretata io, - dice James ed io non mi stupisco, perché Sirius sicuramente sa tutto riguardo al barare durante gli esami. Ho anche la sensazione che io ed i miei amici dovremmo iniziare ad affidare le nostre conversazioni alle parole e non alle nostre facce, perché le nostre facce non sanno quello che dicono per la maggior parte del tempo. - E poi imitava anche un po’ la tua per sfotterti, credo.   
- Crine d’unicorno, - Il ritratto della Signora Grassa scorre placido davanti a noi ed io lascio immediatamente cadere la borsa carica di libri sul divanetto più vicino, prima di seguirla a mia volta. – Comunque sia, James, sono sicuro che Frank non avrebbe problemi a preparare qualche pozione insieme a te, ogni tanto. Lui se la cava molto meglio di me e Sirius, probabilmente saprà come aiutarti meglio di noi.
- Non dire assurdità, Moony, Frank non può.
- Sono sicuro che se glielo chiedessi, non avrebbe problemi.
- Certo che lo farebbe, è Frank, - La borsa di James atterra sul tappeto con un tonfo secco, mentre lui affonda nel cuscino al mio fianco. - Ma non posso permettere che si distragga dal Quidditch per dare ripetizioni a me, non ora che Serpeverde ci ha battuti: per arrivare alla coppa dobbiamo non solo vincere, ma stravincere tutte le prossime partite o sarà la fine per il mondo come lo conosciamo noi. E poi le mie pozioni esplodono, lo sai, Frank non può perdere un braccio proprio ora. È un Battitore, mi serve il suo braccio.
James ha un’aria molto seria, la stessa che ha sempre quando si tratta di Quidditch, e mentre lo guardo, senza nessuna ragione in particolare, si accende all’improvviso qualcosa da qualche parte nella mia testa, un qualcosa di indefinito, ma molto temerario ed ispirato.
- Beh, allora Lily, - dice quel qualcosa servendosi della mia voce.
- Cosa?
- Lily, puoi chiedere aiuto a lei.
James socchiude appena le labbra, mentre le palpebre dietro le lenti rettangolari calano lievemente a rendere il suo sguardo più affilato e vagamente perplesso. C’è un che di scandalizzato nella piega che assume l’angolo della sua bocca quando si decide a parlare.
- Sei impazzito, Moony?
- È la migliore del corso e ti piace, - replico con il mio tono più pacato e ragionevole, per nascondere il fatto che sono effettivamente impazzito. Gli occhi di James si spalancano come se l’avessi morso e subito si lancia occhiate guardinghe attorno per assicurarsi che nessuno dei presenti ci stia prestando attenzione. - È perfetto. Se accetta, riuscirai a farti ammettere ai M.A.G.O. e in più potrai passare un po’ di tempo con lei che non sia a lezione o quando la incroci per i corridoi.
Non appena finisco di parlare, prendo vagamente in considerazione l’idea che James possa darmi un pugno ora.
- E tutto questo, Moony, come esattamente dovrebbe aiutarmi nel mio proposito di smettere di essere, - La faccia di James si contorce in un’espressione impacciata e disgustata al tempo stesso, come se stesse cercando di masticare qualcosa scaduto da mesi. - Quella cosa di lei?
Tra le altre cose, il mio cervello ha la capacità di individuare i momenti in cui sarebbe più opportuno tacere ed indicarmeli con striscioni lampeggianti; il mio cervello mi sta mostrando un’ottima occasione per tacere proprio ora e i Prefetti dovrebbero sempre seguire i consigli del proprio cervello. Ma ci sono momenti in cui Remus Lupin deve essere un Grifondoro ed un Malandrino prima ancora che essere un Prefetto, momenti come questo, che definiranno con tutta probabilità la parvenza o meno di una qualche normalità nel dormitorio maschile del sesto anno di Grifondoro per i mesi a venire.
- Hai mai preso in considerazione, - inizio lentamente, conscio che da qui non si tornerà più indietro. - L’idea di noncercare di smettere di avere una cotta per lei, ma tentare piuttosto di far smettere lei di odiare te?
James resta immobile per qualche secondo, poi sbatte le palpebre. E quindi questa è la sua faccia nel momento in cui viene messo a conoscenza dell’alternativa; assomiglia incredibilmente alla sua espressione durante l’unica lezione di Aritmanzia che l’ho convinto a seguire, l’anno scorso, quando ha passato tutta l’ora a fissare la lavagna senza muoversi, sbattendo solo saltuariamente le palpebre. Ha continuato a rivolgermi quello sguardo vuoto per tutto il giorno poi, ogni volta che provavo a rivolgergli la parola, e così non gli ho più nominato Aritmanzia in vita mia. Ma ora gli ho suggerito di non cercare di combattere la sua cotta per Lily Evans ed eccolo di nuovo lì, quello sguardo, proprio come se gli avessi gridato ‘Aritmanzia’ in faccia o gli avessi direttamente scaraventato addosso la lavagna coperta di calcoli e scritte.
- Magari, - riprendo lentamente, in allerta, lo sguardo teso su James per cogliere l’effetto della voce umana sulla sua espressione; non sembra che il sentirmi parlare renda la sua aria ancora più persa, così continuo. - Se vi trovaste a passare più tempo insieme, non so, tra i miliardi di cose stupide che dici abitualmente in sua presenza, esiste la vaga possibilità che ti uscirebbe per sbaglio dalla bocca anche qualcosa di non totalmente stupido. E così lei saprebbe che non sei proprio sempre così tanto James Potter.
Un barlume di vita pare riaccendersi nel mio amico, una piccola scintilla di confusione negli occhi nocciola, un lieve aggrottarsi della fronte e infine la voce.
- Così cosa?
- Così James Potter. 
- Ma certo che sono sempre così James Potter, Moony, - E a riprova delle sue parole, la mano scatta veloce ai capelli. - Sono James Potter.
- Sì, lo so questo, - annuisco sbrigativo. - È che quando parli con lei, le rare e brevi volte in cui questo accade, seipiù James Potter di quanto in realtà tu non sia.
- Non ti seguo.
- Certo, perché tu non lo sai. Ma io lo so.
- Lo sai.
James mi fissa perplesso e non ha evidentemente la minima idea di cosa io stia parlando. C’è una parte di me che sta immaginando di prendere la sua testa tra le mani e sbattergliela contro lo schienale rigido del divanetto fino a farlo diventare più reattivo, ma c’è un’altra parte di me, più incline al dialogo e meno alla violenza, che costringe le mie mani a restarsene ferme sul grembo.
- Sì, io lo so, - Ripeto. - Lo vedo. Da fuori si vede. Io lo vedo, Sirius lo vede, Peter lo vede. Tu no, perché sei miope in tutti i modi in cui una persona può esserlo, ma è una cosa che fai quando c’è lei, lo hai sempre fatto, senza rendertene conto: non mi è chiaro il perché, ma Lily Evans ti rende più te stesso di quanto sia normale, una versione eccessiva ed esasperata di James Potter. Non che tu non sia già di tuo una persona eccessiva, ma attorno a lei diventi praticamente James Potter elevato alla seconda.
James, che continua ad avere l’espressione di chi sta ascoltando qualcuno parlare in una lingua sconosciuta e morta da secoli, chiude gli occhi per un secondo, prima di riaprirli con un sospiro sconfortato.
- Le potenze, Moony? Ti ho detto che non ti sto seguendo e tu decidi di tirare in ballo le potenze?
- E parliamoci chiaro, - aggiungo, ignorandolo. - Un James Potter alla seconda sarebbe un po’ troppo da reggere per chiunque.
- Moony.
- Sì, sì, James, ho tirato in ballo le potenze, ma ti sto analizzando in silenzio da sei anni senza dire una parola ed ora devi concedermi le potenze, ne ho diritto. Anche le moltiplicazioni e le sottrazioni, se mi garba, - La mia voce non ha più il tono maturo e pacato di qualche istante fa ed io lo noto distrattamente, mentre le mie labbra continuano a muoversi senza un vero contributo da parte del mio cervello. - Non ho mai fiatato anche se vedevo in cosa ti stavi cacciando perché era giusto così e tu non lo sapevi, ma ora che lo sai non puoi farmi stare zitto, non potrai farmi stare zitto mai più.
- Mi stai facendo paura, Moony, - mi informa James, raddrizzandosi e guardandomi con una vaga allerta negli occhi; non credo che lo farà, ma se ora prendesse la sua borsa carica di libri e la sbattesse sulla mia fronte, non ne sarei del tutto sorpreso. - C’è già Sirius che non sta mai zitto, non puoi cominciare anche tu, ci sono degli equilibri da rispettare e tu li stai sovvertendo. Sono molto scosso.
Questo non è come questa conversazione doveva andare, ma non è come se l’avessi davvero pianificata e soprattutto non è che io abbia mai creduto che James avrebbe reagito alle mie osservazioni in modo diverso dall’ignorarle abilmente.
- Fallo e basta, d’accordo? – sospiro. - Chiedile se ti può aiutare in Pozioni e se dice di sì, allora passerete del tempo insieme e forse lei ti odierà un po’ di meno oppure ancora di più, non ne sono sicuro. Ma fallo, perché questo è il mio consiglio ed i miei consigli non ti hanno mai portato a finire appeso nudo fuori dalla torre di astronomia, a differenza di quelli di Sirius.
- Vado a prenderti della cioccolata, Moony, - stabilisce James, alzandosi deciso dal divanetto al mio fianco.
- D’accordo, - annuisco, mentre lui è già arrivato alle scale del dormitorio, senza naturalmente aspettare la mia risposta, perché ora crede che io sia pazzo e perché dopo che ho cercato di analizzarlo mi eviterà per il resto della giornata o forse della vita.   
- Beh, quello è stato un tentativo coraggioso, Moony, - La voce e la faccia di Sirius spuntano improvvisamente da dietro il divanetto ed io faccio un salto sul posto, portandomi spaventato una mano al petto; eppure sono sei anni che condivido la stanza con lui, dovrei esserci abituato ormai, al fatto che se ne salta sempre fuori di colpo e con nonchalance dai posti più impensabili. - Alquanto patetico, ma coraggioso.
- Dove diavolo eri?
- Proprio qui, - Sirius mi guarda serafico, battendo una mano sullo schienale del divano. - C’è un motivo se mi chiamate Padfoot.
- E perché ti nascondevi?
- James mi ha dimenticato chiuso in uno sgabuzzino per venti minuti questa mattina: quando torna giù fai finta che non ci sia nulla di diverso nei suoi capelli, d’accordo?
Sirius ghigna, prima di scavalcare il divanetto e prendere posto accanto a me, schiacciando senza ritegno la mia borsa a tracolla. Il mio cervello decide di farglielo notare e di chiedergli anche che fine abbia fatto Peter e se Lumacorno abbia tolto o meno punti a Grifondoro, ma le mie labbra lo ignorano e procedono nuovamente per conto loro.   
- Credi che si sia arrabbiato con me?
- Beh, suppongo che lo scopriremo molto presto, - replica lui con un sorrisetto ed in effetti ha ragione: James è più facile di Sirius. Se si arrabbia con te, non sei costretto ad impiegare giorni per rendertene conto e per scoprirne il motivo e il modo in cui potresti rimediare: semplicemente un giorno ti svegli con del ghiaccio nelle mutande e sai che James è arrabbiato con te e che potrebbero o non potrebbero esserci delle foto di te che dormi con i pantaloni bagnati appese per tutta la Sala Grande, a seconda del grado esatto di arrabbiatura. E finisce tutto lì, senza bisogno di scuse o scenate varie, e presto o tardi le persone si stancheranno anche di chiamarti piscialletto.
Sirius, d’altro canto, sarebbe capace di ignorarti per giorni, continuando tranquillamente a sostenere che non c’è assolutamente nulla che non va. Certo, le tue mutande resteranno asciutte, il che è indubbiamente piacevole, ma un’occhiataccia di Sirius vale più del gelo nelle parti basse. Quindi, tutto sommato, aver forse fatto irritare James non è la cosa peggiore che mi potesse capitare.
- Comunque no, Moony, certo che non è arrabbiato con te, non essere melodrammatico, - aggiunge Sirius e detto da quello che si nasconde dietro i divani per fare cose illecite ai capelli del proprio migliore amico è piuttosto paradossale. – È arrabbiato con Evans.
 È ridicolo naturalmente, perché non c’è motivo di arrabbiarsi con qualcuno solo perché ti ha fatto inavvertitamente innamorare di sé, ma guardando dritto negli occhi grigi di Sirius realizzo che questo è in effetti il genere di pensiero che avrebbe senso nella testa di James.
- Giusto, - concordo, mentre il ritratto della Signora Grassa si scosta di nuovo, lasciando entrare altri gruppetti di Grifondoro; i miei occhi si soffermano in particolare su una di loro. - Ora scusami, ma ho promesso a Lizzie che le avrei mostrato una cosa dopo le lezioni.
- Prego, Moony, vai e mostrale tutte le cose che devi.
 Il modo in cui l’angolo della bocca di Sirius si piega appena verso l’alto, in concomitanza con il lieve abbassarsi delle palpebre, è persino più rumoroso e inappropriato della sua voce melliflua.  
- Non lo fare, Padfoot, non cercare di rendere le mie frasi ambigue ripetendole con quel tuo tono insinuante e quello sguardo disdicevole.
- Le tue frasi sono ambigue di per sé, Moony.
- Il tuo cervello è ambiguo.  
Sirius incrocia le braccia al petto ed io me ne vado, prima che la sua leggendaria espressione offesa riesca a farmi scusare per cose di cui nessun essere umano dovrebbe scusarsi mai, come la volta al primo anno in cui  gli ho chiesto scusa per non aver fatto un rumore abbastanza divertente rotolando a terra dopo il suo sgambetto.
- Ehy, Lizzie, - dico e poi il cuscino lanciatomi da Sirius si schianta con un tonfo contro la mia nuca, rendendo il tutto meno dignitoso.
 
 
 
 
 
- Quella porta è appena comparsa dal nulla o è una mia impressione?
Quando smetto di camminare avanti e indietro e riapro gli occhi, trovo Lizzie che scruta piuttosto perplessa un punto del corridoio alle mie spalle, una riga sottile a corrugarle la fronte. Non ho bisogno di voltarmi per sapere cosa sta fissando.
- È apparsa dal nulla, - confermo, prima di portarmi esitante una mano ai capelli. – Si chiama, beh, noi la chiamiamo Stanza delle Necessità; compare solo se evocata. L’ha trovata per caso Sirius al terzo anno, mentre cercava un posto in cui nascondersi da Gazza la volta in cui ha allagato il suo ufficio.
- Oh, era stato lui?
- Come regola generale, quando un posto viene allagato qui ad Hogwarts, di norma è Sirius.
- Eppure mi sembrava di ricordare che fosse stato punito Avery per quello.
Lizzie mi guarda pensosa ed automaticamente abbasso lo sguardo, pentendomi intimamente delle mie parole.  
- Ah sì? Non ricordo, onestamente, - mormoro vago, cercando di cancellare dalla mente il ricordo di come ho aiutato i miei amici ad incastrare il Serpeverde: è stato molto subdolo e immaturo da parte nostra, ma dopo che Avery si è vendicato rinchiudendoci in uno sgabuzzino con Mrs Purr, abbiamo stabilito che neppure io sono autorizzato a sentirmi in colpa.
– Non lo dirai in giro, vero? – aggiungo indugiando di fronte alla porta di quercia alle mie spalle. - In teoria non dovrei mostrartela, è un segreto di noi Malandrini, ma credo che gli altri non avrebbero nulla in contrario: insomma, dopo come si è comportato James, te lo dobbiamo.
- Perché parli al plurale, Remus? – Lizzie ride e forse sta ridendo di me o forse no. - Tu, Black e Minus non mi avete fatto niente. È un po’ inquietante, come se vi consideraste un’unica entità.
- Beh, lo siamo, - Sbatto le palpebre, perplesso. – Voglio dire, anche il resto della scuola ci considera così: quando James e Sirius fanno perdere troppi punti alla Casa la gente guarda male anche me, e quando James prende il boccino, la gente mi sorride e mi dà pacche sulle spalle come se l’avessi preso anch’io, quando di fatto non saprei acchiappare nemmeno una mosca con un’ala sola.
- Stai dicendo, - Lizzie parla lentamente. - Che ti va bene considerarti responsabile delle azioni dei tuoi amici?
- Sì, - dico, in procinto di aggiungere una spiegazione più sensata, salvo poi rendermi conto di non averla. - Beh, sì.
- Ok, - annuisce, con un’alzata di spalle. - Non considerarti responsabile di quello che è successo tra me e James, però. E sto bene, se lo vuoi sapere. Non è come se ci conoscessimo da anni, no?
Le mie labbra si socchiudono, forse perché una parte di me vorrebbe sottolineare come in questo castello stiano tutti incredibilmente bene, come se avere una cotta non corrisposta fosse la cosa più divertente al mondo, ma prima che i miei pensieri si trasformino in parole, Lizzie ha ripreso a fissare la porta alle mie spalle con curiosità.
- Hai detto che si chiama Stanza delle necessità, - dice. - Noi di cosa abbiamo bisogno ora?
La fisso in silenzio per qualche altro secondo, poi porto una mano sulla maniglia e spingo a fondo la porta, rivelando la stanza di fronte a noi.
- Oh.
 
*
 
- Oh, - mi sento dire di nuovo, mentre faccio un passo in avanti. – Oh.
Il fatto è, per quanto Remus Lupin sia generalmente una persona intelligente e acuta, dotata di un cervello ben al di sopra della media di Hogwarts che gli permette spesso di fare o dire la cosa giusta al momento giusto, resta comunque un ragazzo.
E semplicemente, in quanto tale, ha questa ridicola convinzione impercettibilmente radicata in lui di come qualcuno dovrebbe reagire ad una tremenda cotta tremendamente non corrisposta: lo vedo dal modo in cui continua a guardarmi dalla festa di Lumacorno, ed è passato quasi un mese, le continue occhiate circospette e vagamente allarmate, come se avesse a che fare con un malato terminale o con una persona che si sta lentamente dissanguando a morte.
Il punto è, non mi sto dissanguando.
James Potter mi ha sorriso, invitata ad uscire, baciata e degnata giusto il tempo di far schizzare alle stelle la mia cotta per lui, che era già a livelli piuttosto stellari a dire il vero, solo per poi rivelarmi con ogni suo gesto che in effetti lui è troppo occupato con la sua cotta non corrisposta per poter ricambiare la mia. È quello che è successo, è un dato di fatto e potrei effettivamente aver pensato per qualche giorno, due o tre, o forse quattro o cinque o magari di più, di essere sul punto di dissanguarmi lentamente fino ad accasciarmi al suolo e morire, ma ad un certo punto mi sono semplicemente resa conto che non lo stavo facendo, che la mia faccia continuava ad essere lontana dal suolo, le mie lenzuola insistevano ad essere linde e non affatto sporche di sangue – a parte per quell’incidente della settimana scorsa che non ha nulla a che fare con James Potter e di cui le mie compagne di stanza mi hanno promesso non faranno mai parola con nessuno – e che, in fondo, non ero prossima alla morte.
La mia cotta epocale mi ha rifiutato, ma non sono morta.
Allison ed Emmeline avrebbero potuto aprire la porta della nostra camera e trovare il mio cadavere a terra e invece non è successo e alla fine abbiamo concordato all’unanimità che se non era accaduto la prima settimana, allora probabilmente non sarebbe accaduto mai più. Ed avevamo ragione, non come quella volta che ci siamo convinte di poter gestire un allevamento di puffole pigmee nel dormitorio senza essere scoperte, no, questa volta abbiamo avuto ragione davvero, perché in effetti sono ancora qui. Scoprire che James Potter non mi ricambia non mi ha, dopotutto, ucciso.
È stato quasi un sollievo, in realtà, passati i primi giorni, perché se c’è una cosa peggiore di sapere che il ragazzo per cui hai una cotta non ti ricambia, è, beh, non saperlo. Passare le giornate a chiederti cosa vogliano dire i suoi gesti e i suoi baci e i suoi occhi su di lei, senza sapere mai se puoi effettivamente sperarci o no, quello è stato frustrante.
Non è come se vederlo per i corridoi che si arruffa i capelli e ride con i suoi amici non mi facesse ancora stringere e arrotolare qualche organo vitale su se stesso, dalle parti della pancia, ma ora lo so e beh, come ho già detto, non sono morta, la cioccolata ha ancora lo stesso buon sapore di sempre, Allison continua ad essere la mia migliore amica, Emmeline continua a rubare le mie pantofole ogni mattina e le scale di questo castello continuano a spostarsi proprio quando io ci sto per salire sopra, rischiando di farmi precipitare per sette piani.
Ora, questa è una cosa che uccide, cadere dal settimo piano e atterrare sul pavimento di pietra della Sala D’ingresso, col cervello che ti schizza dal naso e le ossa che vanno in frantumi, non James Potter che ha una cotta per Evans. Quello non uccide, ma Remus Lupin chiaramente non lo sa, perché è un ragazzo e i ragazzi d’altro canto hanno una tendenza più spiccata a morire quando non sono corrisposti. Loro forse sporcano le lenzuola di rosso, mentre si dissanguano lentamente fino alla morte, quindi è normale per loro pensare che sia una reazione comune a tutti.
È per questo che Remus non riesce a capacitarsi del mio essere ancora viva e vegeta e continua a lanciarmi quelle occhiate ansiose e cerca di distrarmi in tutti i modi, senza contare i suoi tentativi di farsi perdonare, come se tutto questo potesse essere anche solo vagamente colpa sua.
Il fatto è, sono felice che Remus Lupin sia un ragazzo e che sia convinto che io stia morendo dissanguata e abbia bisogno di aiuto, anche se non è vero, perché il modo in cui ha scelto di fermare la mia inesistente emorragia interna è stato portarmi in una stanza dove spicca su tutto un’enorme piscina con al centro una fontana di cioccolato.  
E di tutti i modi che esistono al mondo per morire, cadere nel tranello delle scale e sfracellarsi al suolo, dissanguarsi per una cotta non corrisposta, deturpare un libro di fronte a Madama Pince, beh, tuffarsi nel cioccolato e lasciarsi annegare li batte tutti.
Certo, riemergere, respirare e continuare a vivere sarebbe ancora più carino e apprezzabile, ma non è come se io avessi ancora una qualche forma di controllo sul mio corpo in questo momento, no? Se ce l’avessi mi ricorderei del momento preciso in cui ho preso la rincorsa e mi sono tuffata e invece tutto quello che so è che ora sono immersa in un mare di cioccolata e non esiste nessuno in tutto il mondo che sia felice a parte me.
Poi però realizzo che se in effetti ci fosse un qualcuno di più felice, sarebbe sicuramente qualcuno che dopo essersi tuffato è riemerso e ha nuotato fino al centro della piscina per poi mettersi a bocca spalancata sotto la fontana e insieme a questa realizzazione arriva anche la consapevolezza che quel qualcuno devo assolutamente essere io.
Non sono mai stata una nuotatrice particolarmente brillante, ma dopo appena poche bracciate mi ritrovo con un braccio saldamente ancorato alla base della fontana e l’altro che mi tiene quell’ammasso fangoso che sono diventati i miei capelli lontano dalle labbra, mentre con la testa inclinata verso l’alto lascio che il nettare degli Dei si riversi senza limiti nella mia bocca spalancata. È più o meno a questo punto che mi ricordo della presenza di altri esseri umani sul pianeta terra ed in particolare in questa stanza, così apro un occhio e scruto la figura ancora all’ingresso che mi osserva in silenzio.
- Dimmi che non ti stai ancora sentendo in colpa al posto di James e che c’è un altro motivo per cui non ti sei già tuffato, ti prego.
La mia voce suona un po’ nasale a vagamente attutita, probabilmente per tutto il cioccolato che mi tappa le orecchie e la narice sinistra. E potrei essere più interessata di così alle conseguenze di una quantità eccessiva di cioccolata che entra all’improvviso nel mio corpo da più punti, ma non lo sono.
- No, no, non mi sto sentendo in colpa, - dice Remus, prima di aggiungere automaticamente: - Non più del solito, almeno, - E dovrei essere più stupita di così, ma in realtà è una delle cose di Remus Lupin che tutta la scuola sa, la sua tendenza ad assumersi la responsabilità di qualunque disgrazia al mondo, grande o piccola  che sia, come quando i Formicaleoni che abbiamo piantato al terzo anno durante Erbologia sono tutti morti per una malattia misteriosa diffusasi improvvisamente nella notte e lui ha cercato per ore di convincere la professoressa Sprite che il tutto era partito senza dubbio dal suo Formicaleone, quando due giorni dopo è saltato fuori che era tutta colpa di Black e di uno strano incantesimo che voleva testare. – È che, vedi, non è la prima volta che evoco questa piscina: è stato il primo desiderio che ho chiesto alla stanza non appena Sirius ce l’ha mostrata al terzo anno ed è stato divertente, siamo rimasti qui dentro tutto il giorno e l’hanno trovata tutti un’idea geniale, solo che per i miei amici è finita lì, mentre per me è stato qualcosa di più.
Remus ha un’aria molto seria e vagamente affranta ed io cerco di comunicargli silenziosamente il mio pieno appoggio e la mia completa serietà a riguardo, solo che ora ho di nuovo la bocca spalancata sotto il getto di cioccolata e probabilmente questo non aiuta.
- I miei vestiti hanno iniziato ad odorare di cioccolata sempre più spesso ed i miei amici se ne sono accorti: è difficile tenere dei segreti con loro. All’inizio ci hanno riso su, ma ben presto si sono resi conto che la situazione mi era sfuggita di mano, - Remus ha ancora quell’aria contrita, come se stesse raccontando qualcosa di molto drammatico ed impressionante, ed io ho ancora la bocca piena di cioccolata e sono ancora la persona più felice del pianeta, cosa che mi rende difficile essere solidale come vorrei. - Sgattaiolavo qui sempre più spesso, non appena avevo un’ora buca o un attimo libero, non potevo farne a meno. È stato nello stesso periodo in cui Sirius ha iniziato a dare nomi ai brufoli che mi spuntavano in faccia, mi pare, che nella nostra camera è stata indetta una riunione d’emergenza. Con tre voti favorevoli ed uno sfavorevole, il mio, si è deciso che mai più avrei dovuto evocare piscine di cioccolata per via della mia mancanza di autocontrollo o qualcosa del genere.  
Autocontrollo? Dev’essere quella cosa che ti permette di fermarti e toglierti almeno le scarpe prima di gettarti a bomba nella cioccolata, suppongo.
- Beh, Remus, immagino che sia tutto molto sensato, il non volersi tuffare e rischiare di ripiombare nella dipendenza eccetera, - commento vaga, nuotando lentamente verso il bordo più vicino a lui. – È solo che non riesco a sentirti bene, perché c’è della cioccolata nel mio orecchio. Cioccolata. Nel mio. Orecchio. E questo è in qualche modo più importante del senso e delle parole e delle votazioni e del non cadere in tentazione, io credo.
E poi le mie braccia lo fanno e basta, nonostante sia subdolo e irrispettoso, si muovono di scatto e nel momento stesso in cui gli schizzi raggiungono il volto di Remus, tra cui una goccia particolarmente densa proprio sulle sue labbra, qualcosa nei suoi occhi cambia, un lieve barlume di ribellione nell’iride ambrata e l’attimo dopo uno scroscio al mio fianco mi informa che Remus Lupin è infine stato corrotto e al diavolo le votazioni.
                                        



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Sono a pochi passi di distanza dalla mia camera quando mi sento sbattere improvvisamente contro qualcosa di duro e caldo. Il mio primo istinto è naturalmente quello di eliminare fisicamente l’ostacolo, perché non si sta ponendo solo tra me e la cioccolata necessaria a distrarre Remus, ma anche tra me e la mia scopa, ergo tra me e i miei allenamenti e non è una cosa saggia da fare quando la cruciale partita contro Tassorosso è sempre più vicina. I miei istinti più violenti non si traducono in niente di diverso da uno sguardo perplesso però, perché quello che vedo di fronte a me è solo il corridoio vuoto del dormitorio maschile, che continua fino all’ampia finestra in fondo e sembra essere vuoto. Per una frazione di secondo soppeso seriamente l’idea che non sia Remus quello fuori di testa, perché ho appena avuto un’allucinazione sensoriale, ma quando alzo di nuovo le mani di fronte a me trovo che c’è effettivamente qualcosa a bloccarmi la strada, anche se invisibile agli occhi.
- Ma che diavolo...
- James, scusami.
- Frank?
- Sì, sono io, mpf, era la mia bocca quella, questo è il mio naso, James, smetti per favore, non è igienico.
- Scusa, - Lascio ricadere le braccia lungo i fianchi. - Sei invisibile. Sai di essere invisibile?
- Sì, è l’effetto del mio seme, il nostro premio di Pozioni, sai, - mi informa la voce di Frank da un punto imprecisato di fronte a me. - Il mio fa questo, rendere invisibili per dieci minuti.
- E tu lo usi per passeggiare nel corridoio del dormitorio maschile? 
- Non l’ho fatto apposta, - L’aria di fronte a me emette un sospiro sconfortato. - Volevo tenermelo in serbo per qualcosa di davvero utile e speciale, ero quasi riuscito a convincere Alice ad usarlo mentre noi, sai, hai capito. Così, per provare qualcosa di diverso.
- Io davvero non lo volevo sapere.
- Beh, ora non potremo più però: l’avevo messo dentro il mio pacchetto di calderotti per evitare che il gatto di Mike se lo mangiasse, ma alla fine me ne sono dimenticato e l’ho mangiato io per sbaglio. Il seme, non il gatto.
Mi concedo qualche secondo per riflettere su cosa abbia fatto sentire Frank in dovere di specificare, come se io fossi una qualche sorta di divoratore di gatti che avrebbe pensato subito a quello, poi alzo le spalle.
- È abbastanza credibile come storia, - Mi sporgo verso di lui per dargli una pacca amichevole sulla spalla, ma il risultato assomiglia di più a uno schiaffo a quello che dovrebbe essere il suo orecchio sinistro. - Bravo.  
- È la verità.
- Beh, io non lo so se lo è, - replico. - Se avessi deciso di usare il seme per venire qui a spiare gli altri ragazzi mentre si fanno la doccia non me lo diresti, no?
- Ma...
- Non sto dicendo che è una scusa, solo che se lo fosse, sarebbe credibile, - specifico pacato. - È una buona cosa, è importante essere bravi a inventare storie plausibili.
- Sono d’accordo, ma io sul serio non stavo...
- Era un complimento, Frank, accettalo.   
- Okay. Grazie, James.
- Prego.
Cala il silenzio per qualche secondo, ma quando inizio a sospettare che Frank se ne sia andato, la sua voce risuona di nuovo di fronte a me.
- Tu hai già usato il tuo seme? Cosa faceva?
- Danni. Solo danni, - replico all’istante, sforzandomi di ignorare il ricordo delle labbra di Evans sulle mie che subito mi si riaffaccia alla mente, solo che non erano le labbra di Evans, erano quelle di Lizzie e questo mi ricorda che devo trovare il tempo di rinchiudere Lumacorno da qualche parte e dare fuoco ai suoi baffi. - Questi semi non servono a nulla, avrei preferito in premio una E in Pozioni piuttosto. Gli altri li hanno già usati?
- Mary ha intenzione di usarlo durante la prossima interrogazione di Aritmanzia: le permette di leggere nella mente delle altre persone, così Alice guarderà tutte le risposte sul libro e lei prenderà Eccezionale. È un buon piano.
- Molto astuto, sì.
Anche se ancora più astuto sarebbe mollare Aritmanzia: sono abbastanza sicuro che neppure il professor White che la insegna abbia una minima idea di quello che tratta quella materia incomprensibile.
- Mike lo ha usato durante le vacanze di Natale per fare uno scherzo a sua madre invece, - continua Frank. - Il seme lo ha fatto tornare per una decina di minuti a quando aveva tre anni, ma sua madre non l’ha riconosciuto ed ora lui è convinto di essere stato adottato.
La verità è che non c’è motivo di appiccare il fuoco ai baffi di Lumacorno quando posso legarlo e dare fuoco alla sua intera persona, ora che riesco a vedere tutto il disegno generale del suo subdolo piano: regalare semi incredibilmente dannosi a ben tre membri della squadra di Quidditch di Grifondoro spacciandoli per premi, in modo da distrarci e sbatterci del tutto fuori dalla competizione per la coppa. Maledetto tricheco Serpeverde: quando salirò al potere sarà il primo ad essere licenziato.  
- Non so a cosa serva il seme di Lily invece: non l’ha voluto dire ad Alice perché sostiene che lei glielo ruberebbe, se sapesse, - riprende Frank. - Naturalmente questo ha costretto Alice a cercare davvero di rubarlo, ma ancora non è riuscita a capire dove l’ha nascosto.
Non mi piace che ci sia ancora uno di quei dannati semi in circolazione e mi piace ancor meno il fatto che ce l’abbia Evans, cosa che in qualche modo rende il tutto potenzialmente ancora più pericoloso, ma ci sono due occhi che mi fissano dal vuoto ora e questo è bizzarro.
- Stai ricomparendo, Frank.  Vedo i tuoi occhi.
- Oh no, di già? - Il naso di Frank ricompare lentamente sotto gli occhi, seguito a breve distanza dall’orecchio sinistro. - Stava iniziando a piacermi questa cosa dell’essere invisibile.
- Ma non stavi facendo nulla a parte chiacchierare con me.
- Sì, ma nel frattempo facevo smorfie e fingevo di metterti le dita nel naso e tu non potevi saperlo, - confessa allegro. - Ho anche finto di darti un pugno per vedere se grazie ai tuoi sensi da Cercatore avresti avvertito lo spostamento dell’aria o qualcosa del genere, ma non ti sei accorto di nulla. È stato divertente.
Non so perché Frank trovi divertente il crollo di ogni mia certezza sui miei sensi ultra sviluppati, ma ora ho la sua intera faccia di fronte a cui mostrare il mio disappunto.
- Vatti a preparare, Frank, - sospiro. - Tra dieci minuti dobbiamo essere al campo.
Frank aggrotta la fronte.
- Non era mezz’ora?
- Dieci minuti, - replico. - Nove, ora.
- Avevi detto alle quattro e mezza.
- Questo era prima che tu mi mostrassi che non avvertirei la presenza di un boccino nemmeno se questo cercasse di prendermi a pugni, - preciso. - Vai a prendere la scopa, forza. E avvisa gli altri.
Frank mi fissa immobile per qualche altro secondo, ma pare infine decidere che non è saggio opporsi agli allenamenti anticipati a così poca distanza dalla partita contro Tassorosso, così annuisce e si allontana di qualche passo, salvo poi voltarsi di nuovo verso di me con aria perplessa.
- Avete litigato?
- Chi?
-Tu e Sirius, - dice e i suoi occhi continuano ad essere puntati un po’ troppo in alto, ai miei capelli per la precisione; ma la gente fissa spesso i miei capelli, perché sono grandiosi e ipnotizzanti, così mi limito ad alzare le spalle.
- Non che io sappia.
Lo sguardo di Frank si abbassa finalmente dai miei capelli ai miei occhi.
- E allora perché Sirius non è qui? O tu là?
- Là dove?
- Ovunque sia Sirius.
Ottima domanda. Perché non sono là?
- Ora vado, - dico. – Tu muoviti: cinque minuti.
Frank si affretta verso la sua stanza, lanciando un’occhiata al suo orologio.
- Sono sette, Capitano. Continui a mentire.
 
 
 
 
Sirius è nella Sala Comune, appollaiato sul divanetto più vicino al fuoco esattamente dove ho lasciato Remus, che ora si è invece volatilizzato.
- Padfoot, - Lascio cadere il mio borsone del Quidditch accanto a lui e gli sbatto piano la tavoletta di cioccolata sulla nuca a mo’ di saluto, appoggiandomi allo schienale del divanetto. – Che fine ha fatto Moony? Hai notato che è diventato pazzo? Era prevedibile che sarebbe successo prima o poi, ma pensavo avrebbe resistito fino al settimo anno.
Sirius piega il collo all’indietro, fissandomi dal basso con un sorrisetto compiaciuto.
- È andato a raccogliere la scia di feriti che ti lasci dietro.
- Cosa?
- Lizzie.
- Oh, - dico, mentre una familiare, spiacevole sensazione mi attanaglia lo stomaco. Giusto, Lizzie, la ragazza che ho inavvertitamente illuso alla grande; colpa di Evans anche questa: non era previsto che io fossi innamorato da lei, non sarebbe stato illudere se lei non si fosse messa in testa di infestare la mia mente peggio di un poltergeist. D’accordo, è colpa mia, ma è anche colpa degli stupidi capelli rossi di Evans. - Oh. Chiaro. È con Lizzie, certo.
- Già.
- È spesso con Lizzie, ultimamente, - noto pensoso. - Cosa credi che si dicano per tutto il tempo? Le elenca i miei difetti per farla stare meglio o qualcosa del genere? Le mostra foto dei miei capelli di notte?
Sirius sorride.
- James, - inizia e il suo tono lo eleva automaticamente al di sopra di me, spingendomi in fondo nella scala sociale e dandomi silenziosamente dell’idiota; non mi piace quando il mio migliore amico mi dà dell’idiota semplicemente pronunciando il mio nome e non credo che dovrebbe farlo così spesso, davvero. - Le persone non parlano dei tuoi capelli tutto il tempo.
Non è esatto, ne sono certo, tant’è che anche ora Sirius lancia una lunga occhiata compiaciuta ai miei capelli, prima di tornare a guardarmi negli occhi.
- E Moony ha cose più importanti a cui pensare, cose come la cioccolata, - aggiunge un attimo prima di lasciar cadere lo sguardo sulla tavoletta ancora stretta tra le mie mani. La fisso anch’io in silenzio per qualche secondo, perché Remus nei fatti non ha aspettato la cioccolata che gli avevo promesso e questo è bizzarro, poi alzo le spalle e la porgo a Sirius.
- Beh, ho gli allenamenti ora. Tieni, fanne buon uso. Vieni?
- Faccio un salto più tardi forse, - Sirius fa sparire la tavoletta nella tasca interna del suo mantello e se sono fortunato ad un certo punto si dimenticherà di averla, la lascerà sciogliere e se ne andrà in giro con una macchia marrone sui vestiti. - Ora devo controllare Wormtail, è sparito di nuovo con quella Tassorosso del quinto: dovrà presentarcela ad un certo punto.
Peter pare convinto che lo metteremmo in imbarazzo e questo è ridicolo, perché noi non siamo assolutamente quel genere di persone; naturalmente quando finalmente capiremo chi è esattamente la ragazza in questione saremo costretti a traumatizzarla al punto che non rivolgerà mai più la parola a Peter, perché è questo che succede a diffidare dei tuoi più cari amici. 
- Okay, tanto ci alleneremo per sempre, - Annuisco, afferrando la mia borsa del Quidditch e mettendomela in spalla. - Puoi passare tra otto miliardi di anni e noi saremo ancora lì, freschi come il primo minuto, perché non accadrà che perderemo di nuovo.
- Vero, Frank? – aggiungo alzando la voce, mentre Frank arranca dalle scale con la scopa in spalla.     
- Sì, Capitano! Otto miliardi di...aspetta, cosa?
 
 
 
 
- Mike, dannazione, – La pluffa sfreccia fulminea accanto alle mani del mio Portiere, sfiorandogli la punta delle dita e finendo dritta nell’anello di sinistra per la terza volta consecutiva, facendomi emettere uno sbuffo esasperato. – Venti giorni di vacanza e tu ti dimentichi come si para, davvero? È questo che stai cercando di dirci mancando ogni singolo lancio?
Dannate vacanze di Natale, andrebbero abolite. Chi ne ha bisogno poi? Non la squadra di Quidditch di Grifondoro, questo è certo.
- Ok, di nuovo, forza.
Al mio cenno Sam, dall’altra parte del campo, inizia a sfrecciare verso la porta con la pluffa sotto braccio, facendo qualche veloce passaggio con Anne. Schiva senza la minima difficoltà il bolide lanciatogli da Frank, cosa che mi suscita un istintivo moto d’orgoglio e contemporaneamente un immenso sconforto, perché posso vedere un successo nel fatto che il mio Cacciatore sappia schivare i bolidi oppure posso notare che il mio Battitore non riesce a mandare a segno i suoi colpi. Mentre riservo un’occhiata ammonitrice a Frank, Alexis non perde tempo e in un attimo ha già rispedito il bolide contro Sam, costringendolo a una violenta sterzata poco prima del lancio.
Mike si getta in avanti con uno scatto repentino e la corsa della pluffa questa volta si ferma proprio tra i suoi guantoni scarlatti, il che è fantastico, perché finalmente il mio Portiere fa quello che ci si aspetta da un Portiere, ma è anche drammatico, perché non vinceremo mai la coppa se i miei Cacciatori non sono in grado di fare centro.   
- Sam, che diavolo era quello? Persino mia nonna sarebbe riuscita a pararlo e lei è chiusa in una cassa sotto tre metri di terra.
Non che fosse così male in realtà. Infatti, era un buon tiro.
Ma in quanto Capitano della squadra, l’unica cosa da evitare sempre e comunque è mostrarmi soddisfatto.
- Scusa, Capitano, ma questa pluffa è bagnata, mi è praticamente scivolata dalle dita, - commenta Sam con tutta l’aria di chi si sta giustificando, totalmente dimentico della regola fondamentale secondo cui ogni frase che assomigli anche solo vagamente ad una giustificazione è abolita durante gli allenamenti. - Dev’essere il sudore della balena che ci è colato sopra.
- Io e Frank giochiamo con palle vere, pel di carota, - sbuffa Alexis, indirizzando un bolide verso Sam a riprova delle sue parole. Nella sua frase c’è qualcosa di molto ambiguo e fraintendibile che tutta la squadra si impegna ad ignorare, perché Alexis ha un innato talento per le uscite dubbie. – La tua pluffa non l’ho nemmeno toccata.
- Confermo, quello è il mio sangue, Sam, - interviene Daniel, il cui naso sta effettivamente continuando a colare, perché evidentemente quello è un naso che non ha chiare le priorità e non distingue i momenti in cui si può permettere di sanguinare da quelli in cui invece deve solo starsene zitto e buono nel mezzo della faccia del mio Cacciatore e lasciarlo allenare in pace. - Alexis mi ha quasi rotto il naso con il bolide di prima.
- Oh sì, quello è stato grandioso, - Non riesco a trattenere un fremito d’orgoglio nella voce, ripensando a quel perfetto colpo da manuale. Poi lo sguardo di Daniel è su di me e pare vagamente interdetto, probabilmente per la parte in cui io definisco grandioso il suo naso che viene distrutto da un bolide. – Voglio dire, hai capito.
- Sono i Corvonero quelli? – Mike si porta una mano a schermargli gli occhi, lo sguardo puntato al castello in lontananza. Subito lo imito, scorgendo effettivamente una macchia bluastra che avanza lentamente in direzione del campo. – Non ci credo, sono di nuovo in anticipo.
- Aspetteranno, abbiamo ancora dieci minuti, - stabilisco, tenendo a freno la parte di me che mi incita a strappare di mano la mazza a Frank e tendere un agguato alla squadra avversaria: scommetto che vogliono spiare i nostri schemi di gioco in vista della futura partita, ma grazie alla mia lungimiranza li abbiamo già provati tutti a inizio allenamento. – Lanci liberi, forza!
 
 
 
   
C’è ancora della schiuma sul mio braccio sinistro, ma quando Frank, stanco di aspettare, è entrato completamente nudo nella mia doccia, ho deciso che era il momento propizio per uscire. Non è qualcosa che dovrebbe accadere a me questa, credo invece che un Capitano avrebbe diritto a stare sotto la doccia intere ore senza che i membri della sua squadra dicano una sola parola o lo spingano via di peso o facciano irruzione con le palle al vento e credo anche che dovrebbero esserci più docce in questi spogliatoi. Le ragazze ne hanno molte di più e sono solo in due, non capisco perché non vogliano fare a cambio con noi: probabilmente trovano piacevole immaginarci accatastati in cinque, nudi e ricoperti di schiuma, in due misere docce, dannate pervertite.
Trattenendo uno sbuffo, mi chino in avanti e sfrego con forza l’asciugamano contro i capelli, frizionandoli a fondo. Quando mi ritiro su, Sam è sulla panca di fronte a me che fissa i miei capelli e ridacchia ed io non ho bisogno di uno specchio per sapere che ora sono semplicemente gloriosi.
- Sam, - dico invece, tamponandomi via le ultime tracce di schiuma di dosso e afferrando la mia camicia. – So cosa hai fatto.
Sam interrompe perplesso l’allacciatura delle sue scarpe, aggrottando la fronte.
- La doccia?
Il mio Cacciatore continua a guardarmi dubbioso ed io assottiglio gli occhi, imprimendo nel mio sguardo tutta l’autorità di cui sono capace. Poi Mike passa sgocciolante proprio in mezzo a noi e rovina l’atmosfera.
- Intendo durante le vacanze di Natale, - preciso e Sam spalanca gli occhi con improvvisa consapevolezza. – Quale parte di niente relazioni all’interno della squadra non ti era chiara?
Sam boccheggia per qualche secondo di fronte alla mia miglior occhiataccia – Godric, sono così autoritario, vorrei che Remus fosse qui per vedere quanto mi batto per il rispetto delle regole, - poi punta di scatto il dito verso Daniel, appena uscito dalla stanza delle docce.
- Beh, Daniel è cotto di Anne!
- Ehy!
- Ma Anne è cotta di Sirius, grazie a Godric, - replico e questa volta l’ehy indignato di Daniel pare diretto a me. - Scusa Daniel, - aggiungo, prima di rivolgermi di nuovo a Sam. - Ed Anne non lo ricambierà mai, quindi non c’è pericolo che infranga la regola. Scusa, Daniel. Tu ed Alexis invece vi siete messi insieme e questo è...
- Frank, vieni a vedere! James lo ha scoperto!
Dopo  un’occhiata di profonda disapprovazione a Mike, che continua imperterrito a rovinare ogni atmosfera di terrore che provo ad instaurare, mi rigiro verso Sam, salvo poi richiudere spaesato la bocca, perché ormai ho perso il filo del discorso.
- Come lo hai scoperto? – sospira lui.
- Sirius.
Non ho nemmeno chiesto al mio migliore amico quale losco affare l’abbia condotto nella stessa aula abbandonata in cui Sam ed Alexis si erano dati appuntamento dopo il coprifuoco: la sua capacità di spuntare sempre nell’esatto posto in cui stanno avvenendo cose che la gente vorrebbe tenere segrete è ormai nota a tutta la scuola.
- Dannato figlio di... – Qualcosa nel modo in cui i miei occhi si assottigliano suggerisce a Sam di non completare la frase e lui sbuffa incredulo. -  Gli ho dato un sacco di Cioccorane perché non te lo dicesse. Mi aveva dato la sua parola!
- Se crederai a tutto quello che un Malandrino ti dirà, ad un certo punto finirai nudo e legato da qualche parte, Sam, - lo informo e Frank, appena apparso alle sue spalle, annuisce con aria consapevole e vagamente pentita. – Ed ora veniamo al punto: tu ed Alexis non potete comportarvi come se la vostra vita amorosa non fosse un affare di tutta la squadra, perché lo è infatti.
- Ma...
- Perciò, considerata la vostra assoluta scorrettezza nel non chiedere a tutti noi il permesso prima di mettervi insieme, vi restano solo due possibilità: vi lasciate ora, in questo esatto momento, senza che la cosa abbia la minima ripercussione sugli equilibri interni della squadra, - Faccio una pausa di qualche secondo, giusto nel caso Sam volesse scegliere questa prima e mia preferita opzione, ma lui continua a fissarmi in attesa. – Oppure non potrete rompere prima della fine del mio settimo anno, quando lascerò la spilla da Capitano al più meritevole tra voi. Nessuna depressione post-rottura che intacchi le vostre capacità, nessuna pausa di riflessione che vi distragga, niente di niente: resterete insieme per il bene della squadra.
- La seconda, la seconda è la scelta migliore.
- Non l’ha chiesto a te, Mike, devo decidere io.
- Oh no, è una bella idea, - intervengo compiaciuto. – Faremo a votazione. Quanti a favore della prima opzione?
- Daniel, abbassa quella mano o te la taglio. Non puoi avercela con me solo perché Anne non ti considera!
- Quanti a favore della seconda? – Frank, Mike e un riluttante Sam alzano la mano. – Ottimo, e seconda sia: complimenti Sam, puoi informare Alexis che ora siete ufficialmente fidanzati per i prossimi due anni.
- Che cosa romantica.
 
 
 
 
Per qualche bizzarro motivo che ha a che fare con un Sirius molto annoiato e un me stesso molto distratto, la mia grande, morbida e calda sciarpa è in questo momento appesa al lampadario del nostro dormitorio e affondare il mento dentro il colletto della mia felpa non basta a pararmi dal vento tagliente, gelido contro i miei capelli ancora umidi. Stavo chiacchierando con Frank quando siamo usciti dagli spogliatoi dirigendoci verso il castello, ma quando lui si è egoisticamente rifiutato di condividere la sua sciarpa con me ho aumentato il passo fino a seminarlo ed ora posso finalmente trarre un sospiro di sollievo, mentre attraverso l’alto portone di quercia dell’ingresso e vengo investito da una piacevole ondata di tepore. Pochi secondi dopo Evans finisce di scendere le scale che portano al primo piano e mi supera senza degnarmi di uno sguardo, puntando dritta al portone alle mie spalle, e nella mia testa risuonano improvvise tre voci distinte: una, che suona vagamente come quella di Sirius, sussurra maligna che Evans sta senza alcun dubbio andando ad assistere agli allenamenti della squadra di Corvonero, di cui Philips è inspiegabilmente il Capitano; un’altra, parecchio simile a quella di Peter, insiste ad attirare la mia attenzione sull’odorino invitante che proviene dalla Sala Grande, dove evidentemente sta già venendo servita la cena: pollo e patate arrosto, a giudicare dal profumo; la terza voce, più pacata ma anche più forte delle altre, assomiglia molto a quella di Remus e continua a blaterare cose sulle pozioni, le potenze e il non finire appesi nudi fuori dalla torre di astronomia. Preferirei che il mio cervello non comunicasse con me tramite le voci e le parole dei miei amici, che sono tipi rumorosi e poco adatti a vivere nella testa delle persone, ma tant’è.
I passi di Evans risuonano alle mie spalle mentre lei inizia a scendere i pochi gradini che danno sul parco ed è solo allora che realizzo di essermi fermato. Spiazzato, lancio un’occhiata interrogativa ai miei piedi, perché forse loro sanno cosa sta succedendo, ma la risposta è no, i miei piedi non sanno nulla; poi il mio sguardo si sposta circospetto dalle scale di fronte a me alla porta della Sala Grande alla mia sinistra, da cui continua a provenire quell’odore invitante e un leggero chiacchiericcio e infine mi ritrovo a fissare Evans, che ha appena posato il primo stivaletto sull’erba umida del parco e si sta allontanando, salvo poi fermarsi quando qualcuno chiama il suo nome.
Passano diversi secondi ed è solo quando il suo sopracciglio si inarca interrogativo che ricordo di essere io quel qualcuno.
- Che c’è, Potter?
Il vento le smuove i ciuffi rossi sfuggiti alla stretta avvolgente della sciarpa di Grifondoro – lei non ha amiche che la legano ai lampadari, evidentemente – e lei ci affonda ancora di più il mento, stringendosi nel mantello e non accennando a tornare dentro, perché nel suo mondo da ragazza totalmente fuori di testa il freddo è preferibile alla mia vicinanza. Una parte di me freme per farle un gavettone e scappare, ma la solita vocina simile a quella di Remus inizia quasi a strillarmi contro cose sull’essere un James Potter alla seconda, così decido di lasciar perdere l’acqua e le piume.
- Senti, Evans, - E la mia mano è improvvisamente tra i miei capelli. - Io non ti piaccio molto, giusto? Però questo non mi porterà a finire nudo fuori dalla torre di astronomia, come mi ha detto qualcuno di molto saggio, quindi tanto vale farlo.
Non appena finisco di parlare, aggrotto la fronte, perché non sono sicuro di cosa le mie labbra abbiano appena fatto. Anche Evans sembra perplessa.
- Cosa ti sei fumato, Potter?
Oh, al diavolo.

*
 
- Pensavo, - Il tono di Potter è più infervorato del solito ed è perché individui come lui si mettono a pensare che accadono tante disgrazie al mondo. - Dato che tu hai una palese cotta nei miei confronti e segretamente agogni a passare del tempo in mia compagnia, se vuoi posso offrirti su un piatto d’argento il pretesto per farlo.
Gli occhi di Potter si allargano lievemente dietro le lenti rettangolari degli  occhiali, come ad incitarmi a saltare di gioia, ed io mi sistemo meglio la sciarpa in modo che mi copra anche il naso, continuando a fissare impassibile la persona pazza che mi importuna dal portone d’ingresso.
- Una scusa ufficiale, sai, così che Philips non si ingelosisca, - aggiunge ed io incrocio le braccia al petto, gli occhi ancora su di lui per captare il momento propizio per la fuga: è meglio evitare movimenti bruschi o scatti improvvisi, perché esattamente come un cane, il riflesso istintivo di Potter sarebbe quello di corrermi dietro e forse azzannarmi. D’altro canto la sua soglia d’attenzione non è famosa per essere particolarmente alta o duratura e non appena qualcuno starnutirà alle sue spalle o una mosca gli volerà affianco, lui smetterà di fissarmi in attesa ed io potrò allontanarmi indisturbata.
- Evans, riesci a vedermi? – Potter inizia a muovere lentamente le mani davanti a sé. - Sono invisibile e nessuno me l’ha detto?
- Ti vedo, Potter, - dico e non posso fare a meno di pensare che se però facessi scorrere la sciarpa ancora un po’ più in su, fino a coprirmi gli occhi e le orecchie, allora smetterei di vederlo e sentirlo e la mia vita sarebbe nettamente migliore, almeno fino a quando non centrerei in pieno un tronco o qualcosa del genere.
- Meglio per te, Evans, - È vedendo il sorrisetto sornione allargarsi sulle labbra di Potter che capisco che ignorarlo non servirà a nulla.
- D’accordo, - sospiro, risalendo velocemente gli scalini fino al portone: non posso affrontare sia lui che il vento gelido allo stesso tempo. – Che cosa vuoi adesso?    
- E perché ora pensi che io voglia qualcosa? - Potter sbuffa, poi incrocia i miei occhi e abbassa lo sguardo, portandosi la mano ai capelli per la terza volta in pochi secondi. E non credo che lo sappia, quello che è successo ai suoi capelli. - Beh, non ho mai preso Accettabile in Pozioni, a parte una volta al secondo anno, ma poi si è scoperto che Lumacorno aveva confuso le provette e quella era la pozione di un altro. E mi sono detto, probabilmente Evanssa come far prendere Accettabile a qualcuno che non lo ha mai preso. Per via della tua strana fissa per le Pozioni e le zampe di rana, sai.
- Non ho alcuna fissa per le zampe di rana, - nego immediatamente. - Sono solo molto utili. E molto verdi.
- Un bel verde, - mi sento in dovere di precisare, mentre Potter continua a fissarmi senza particolare convinzione. - Acceso.
La gente è così influenzabile, dannazione: solo perché alla fine del mio secondo anno la zip della mia borsa si è strappata nel bel mezzo della stazione e ne sono uscite tutte le uova e le zampe di rana che stavo cercando di portare a casa per far impazzire Petunia non significa che io abbia una fissa per le zampe di rana.
Poi le parole di Potter non riguardanti le zampe di rana mi tornano in mente ed io aggrotto la fronte.
- Che vuoi fare, Potter?
- Ora? – Sorride e alza le spalle. - Conosco un passaggio segreto che ci farà essere ad Hogsmeade in dieci minuti.
- Dopo Hogwarts, - preciso. - Cosa vuoi fare?
Potter mi guarda interdetto per qualche secondo, poi pare capire.
- Quidditch, - risponde sicuro. - Diventerò il miglior Cercatore al mondo o qualcosa del genere.
- Capisco, - dico. - E serve un M.A.G.O. in Pozioni per diventare il miglior Cercatore al mondo?
- No, Evans, sono abbastanza sicuro che basti prendere il boccino prima di tutti gli altri.
- Quindi perché vuoi continuare Pozioni? – Cinque lunghi anni di pozioni che esplodono da sole e numerosi compagni di classe, tra cui io, finiti in infermeria e Potter decide di averne bisogno l’unico anno in cui potrebbe semplicemente mollare la materia. Tipico.
Passano diversi secondi e qualcosa nello sguardo di Potter mi suggerisce che non ha particolarmente voglia di rispondere alla mia domanda, ma poi pare realizzare che mi sta chiedendo aiuto e non può davvero rifiutarsi di dirmi almeno il perché.
- Nel caso non giocassi a Quidditch, - commenta infine lentamente.
Il mio sopracciglio si inarca.
Oh oh, cosa abbiamo qui? Dopo una lunghissima vacanza a venti metri dal suolo James Potter ha deciso infine di riscendere tra i comuni mortali?
- Stai per caso prendendo in considerazione l’idea di fallire?
- No, certo che no, - Come non detto. Da quaggiù riesco quasi a intravedere la suola delle sue scarpe, mentre lui volteggia sicuro tra le nuvole sospeso dalla forza del suo ego. - Se decidessi di giocare a Quidditch, riuscirei ad entrare in qualunque squadra volessi. Mi hai visto giocare, Evans?
Aspetto educatamente che Potter finisca di tessere le proprie lodi, poi lo incalzo di nuovo: a quest’ora di fronte a me dovrebbe esserci Dean che si allena, non Potter che divaga e che ha dei capelli persino più ridicoli del solito.
- Se decidessi?  E quale sarebbe l’alternativa? Perché ho sempre avuto l’impressione che non ci fosse niente che ti piaccia quanto giocare a Quidditch, a parte appendere la gente a testa in giù, ma nessuno ti pagherà mai per quello, sai.
Potter accenna una smorfia sarcastica e infastidita, come se fosse scontato che lo sappia, quando io non ci metterei per niente la mano sul fuoco; non mi stupirei anzi se lui ritenesse di dover essere pagato e ringraziato per il semplice fatto di respirare.
- Probabilmente giocherò a Quidditch, Evans, ma ho ancora due anni, non devo decidere ora. E il M.A.G.O. in Pozioni è richiesto in quasi tutti gli ambiti, quindi, - Potter si stringe nelle spalle. - Lumacorno non mi ammetterà ai MAGO se non arrivo ad Accettabile, perciò o questo o imparare come sedurlo. E in quel caso l’esperta saresti comunque tu.
Le labbra di Potter si piegano lentamente in un sorriso sornione ed io mi chiedo in quale manuale del ‘Come chiedere favori a qualcuno che ti odia’ ci sia scritto che il modo migliore per farlo è insinuare al tempo stesso che tale qualcuno abbia una relazione col proprio professore di Pozioni ultracinquantenne. Le mie labbra sono già schiuse per comunicare a Potter che è stato fregato con quel manuale e che dovrebbe farsi restituire i soldi, ma improvvisamente due dei suoi neuroni vaganti si incontrano casualmente e gli ispirano un breve momento di lucidità, giusto il tempo di realizzare di essere un idiota.
- Sto scherzando, - dice ed io chiudo la bocca, scrutandolo sospettosa. - Dissimulo il mio non voler essere qui a chiederti aiuto scherzando, è quello che faccio.
C’è qualcosa in questa situazione che mi sfugge: Potter non vuole essere qui, certamente io non voglio essere qui, e dunque perché diavolo siamo ancora qui?
Una persona intelligente non sarebbe ancora qui.
E tuttavia Potter è proprio di fronte a me, a portata di mano ed in precario equilibrio sul suo piedistallo dorato ed io sono a tanto così dal fare un passetto in avanti, dargli una spintarella e farlo rotolare a terra. Non è una possibilità a cui posso semplicemente voltare le spalle per andare ad assistere agli allenamenti di Quidditch di Corvonero: Dean è carino nella sua divisa blu, ma spingere Potter giù dal trono ha semplicemente più attrattiva. Farlo finire con le ginocchia per terra e poi abbandonarmi a una metaforica risata trionfale mentre lo guardo dall’alto è un’immagine troppo allettante perché Dean su una scopa, per quanto apprezzabile, possa competere.
- Dillo.
- Cosa? – Potter inarca le sopraciglia interrogativo, senza accorgersi del piedistallo che trema sotto i suoi piedi.
- Che sei un disastro in Pozioni, dillo.  
- Non sono un...
- Potter.
L’eloquenza nel mio tono spegne immediatamente l’indignazione nel suo e lui abbandona ogni tentativo di protesta.
- D’accordo, - sospira e lascia vagare lo sguardo attorno a sé, senza incontrare il mio neppure per sbaglio. - Non sono bravo in Pozioni.
Eccolo che scivola e si aggrappa ostinatamente al trono; riesco a sentire il rumore disarmonico delle sue unghie che strisciano contro il metallo freddo e dorato nel disperato tentativo di non precipitare: musica per le mie orecchie. Ed ora apri le mani e lascialo andare, Potter, da bravo.
- No, di’ che sei un disastro, - continuo imperterrita. - Voglio vederti scendere da quel piedistallo tra noi comuni mortali e allora forse ti aiuterò.
Gli altri invisibili interlocutori di Potter paiono congedarsi tutti improvvisamente, perché lui torna infine a guardarmi negli occhi, dove non può che scontrarsi con la mia straordinaria fermezza, essendo io la più ferma delle persone. Essendo invece Potter la più testarda delle persone, continua a fissarmi per qualche secondo, probabilmente soppesando se può distrarmi in qualche modo o trovare un’altra scappatoia, ma alla fine pare arrivare all’unica conclusione possibile: deve mettere una scarpa giù dal piedistallo.  
- Ok, - Il suo tono è ostentatamente leggero, come se questo non gli costasse alcuno sforzo; anche le sue spalle cercano di esprimere disinvoltura, facendo un piccolo scatto verso l’altro, mentre tutto in lui mi comunica l’esatto contrario. - Sono, - È a questo punto che il corpo di Potter decide di boicottare Potter e lui inizia a scuotere lievemente il capo, come a negare le sue stesse parole, prima di mordersi un labbro e sospirare frustrato. Poi la sua mano scatta ai capelli e lui lo dice e basta. - Sono un disastro in Pozioni.  
Il suo tono rispecchia perfettamente lo sguardo, con lo strato superficiale di sfida e orgoglio che lascia intravedere appena quello retrostante e ben più profondo di totale sconfitta e tutto questo è coperto dall’assordante, paradisiaco rumore della sua caduta dall’olimpo personale in cui si è posto.
Bam. Culo per terra, Potter, culo per terra.
E deve aver fatto male da lassù.
- Bene.
Soddisfatta, prendo la mia vittoria e il ricordo di essa che mi accompagnerà fino alla tomba e mi volto senza aggiungere altro, attraversando nuovamente il portone d’ingresso, questa volta con una miglior predisposizione nei confronti della vita, perché vivo in un mondo in cui a volte anche quelli come James Potter precipitano al suolo e il loro ego non basta per attutire del tutto la caduta.
- Evans?
Potter, per l’appunto, è ancora fermo oltre il portone con un’aria parecchio perplessa e quando mi volto a guardarlo interrogativa inarca le sopracciglia.
- Quindi, - inizia lentamente, vagamente guardingo. - Hai intenzione di aiutarmi?
- No, a dire il vero no.
Per la terza volta in pochi minuti, mi ritrovo a dargli le spalle e imboccare la via per il campo da Quidditch e finalmente riesco a fare diversi passi senza essere richiamata. Ottimo, davvero ottimo, penso esultante, salvo poi fermarmi lo stesso con un sospiro.
E quando mi volto trovo che Potter non si è mosso di una virgola e se ne sta lì, zitto e immobile a fissarmi con un’espressione che mi impedisce di riprendere a camminare. Voglio dire, non può avere quella faccia, come se io lo avessi appena pugnalato al petto e lui non riuscisse a crederci. È totalmente inammissibile e ridicolo che lui si permetta di assumerla; che razza di senso ha? Perché sono tutti matti tranne me in questa scuola?
- Beh, e ora perché mi guardi così? – Chiedo ragionevole, salvo che la mia voce per qualche bizzarro motivo esce fuori più agitata e tendente all’isterico del previsto. - Cosa ti aspettavi da me? Sì, certo, tizio che mi dà il tormento da sei anni, fremo dalla voglia di aiutarti? - Quella ridicola espressione da angioletto tradito continua a restare incollata alla faccia di Potter e le mie labbra continuano a muoversi. - Non sei così preso da te stesso da non esserti davvero accorto che non ti posso vedere, no? Dimmi che il tuo ego non è a quel punto, Potter.
Nulla cambia per qualche altro secondo ed io inizio a pensare che d’ora in poi Potter se ne andrà semplicemente in giro con quella faccia, paralizzato per sempre in quell’espressione quasi più fastidiosa dei suoi sorrisetti sornioni, poi lui aggrotta la fronte.
- Ti do il tormento, - mi fa eco accigliato, come se fosse l’unica parte che ha sentito.  
- Sì, Potter.
- Io, il tormento. A te.
È incredulità quella? È questo che sta succedendo? James Potter non sa di darmi il tormento? Ha battuto la testa così forte cadendo dal suo piedistallo?   
- Beh, di certo non sono io a darlo a te, - sbuffo con tono ovvio, come se poi avessi bisogno di specificare certe cose. In che razza di universo alternativo sono finita?  
- Oh, ma davvero?
E quella era una mezza risata, una mezza risata in cui Potter ha impresso tutto lo scetticismo di cui è capace; sembra anzi che l’incredulità gli riempia tutta la scatola cranica, spingendo forte contro gli occhi e filtrando da ogni centimetro della sua pelle. Nessuno è così bravo a recitare da coinvolgere anche le molecole della propria pelle, luidavvero crede che sia io a dare il tormento a lui e non il contrario, non c’è altra spiegazione: Potter, come ogni indizio mi ha sempre portata a pensare, è davvero, indiscutibilmente e clinicamente fuori di testa. Matto come un cavallo.
- Stai sul serio sostenendo che sia io a tormentare te e non il contrario? Questo non sta succedendo, non è possibile, - Naturalmente il modo migliore di trattare con persone che arrivano a vette di follia come quelle appena raggiunte da Potter è quello di non trattarci affatto, ma sono troppo indignata per dimostrarmi saggia e limitarmi ad andarmene in silenzio, perché è sì vero che certi silenzi sono più rumorosi di tante parole, ma è anche vero che altre parole sono più rumorose di certi silenzi. O qualcosa del genere. - Elencami una sola volta in cui io ti sono venuta a infastidire.
Userò la razionalità per dimostrargli che è pazzo, alla fine dovrà ammetterlo lui stesso.
Potter ha tutta l’aria di chi vuole replicare, riesco in realtà quasi a scorgere la risposta sulla punta della sua lingua, poi si blocca, preme infastidito le labbra l’una contro l’altra e sposta lo sguardo alla sua sinistra con un sospiro. Seguo automaticamente la direzione dei suoi occhi, giusto per controllare se ci sia effettivamente qualcosa oltre al cielo scuro e l’erba umida del parco nel punto che sta guardando con tanta intensità, seccato, ma naturalmente lì non c’è proprio nulla, perché non c’è mai una spiegazione a quello che Potter fa, dice o guarda.
- E comunque non è come se non mi avessi già aiutato in passato, - se ne esce dopo pochi secondi, più pacato.
Lo fisso perplessa per diverso tempo e proprio quando mi sono quasi convinta che ha semplicemente deciso di dire cose a caso, capisco.
- Quello era diverso.
Dovrebbe saperlo da sé il motivo, ma le sue sopracciglia che si inarcano mi comunicano che naturalmente non lo sa, perché quando mai Potter sa qualcosa che non sia quante Caccabombe servirebbero per ricoprire l’intero pavimento della Sala Grande?
- Quello che hanno scritto in camera vostra era sbagliato, - dico. - Lo avrei fatto per chiunque e tecnicamente stavo aiutando Lupin, non te.
Potter sostiene il mio sguardo e non sembra avere intenzione di aggiungere nulla, così decido di provare, l’ultima e definitiva volta, ad andarmene; gli do le spalle e mi allontano nell’erba scura e umida del parco per nemmeno due metri prima che la sua voce spezzi il silenzio.
-  L’accademia Auror.
- Cosa? – Mormoro mentre do di nuovo le spalle al parco.
- L’alternativa al Quidditch, - specifica. - Entrare nell’accademia Auror. Perché anche quello che sta succedendo là fuori è sbagliato. E se davvero è solo all’inizio, come dicono, potrei voler usare le mie infinite doti per aiutare a fermarlo.
Dall’interno del castello alle sue spalle proviene un chiacchiericcio indistinto che si confonde con i colpi e le grida che arrivano in lontananza dal campo di Quidditch, ma più forte e chiaro di tutto risuona nelle mie orecchie il sottile rumore di qualcosa che si incrina improvvisamente sotto i miei piedi.
Passano diversi secondi, poi la mia voce rompe il silenzio.
- Domani pomeriggio alle sei nell’aula di Pozioni. E sii puntuale.
Potter sorride ed io gli do le spalle, lasciando che i miei piedi mi portino lontano da qui una volta per tutte; non è un buon posto dove stare questo: le ombre della notte si infrangono contro l’arancio caldo delle fiaccole oltre il portone e creano degli strani giochi di luce, tanto che per una frazione di secondo James Potter mi è quasi sembrato un essere umano decente. Fenomeno bizzarro queste illusioni ottiche, non c’è che dire.
Anche questa volta tuttavia non vado lontano, perché c’è solo un limite massimo di tempo in cui una persona può fare finta di nulla. 
- Potter.
- Sì?
- I tuoi capelli sono blu.
- Cosa?
- I tuoi capelli sono blu, - ripeto, studiando attentamente la sua espressione perplessa. - Davvero non lo sapevi?
Non lo sapeva, è evidente. Proprio come dicevo: clinicamente fuori di testa.
- Ma certo che lo sapevo, Evans. Non è come se avessi appena passato due ore ad allenarmi insieme alla mia squadra e nessuno me l’avesse detto, - Sostiene il mio sguardo scettico per pochi secondi, poi lascia perdere. - D’accordo, nessuno mi ha avvisato.
Osservo Potter afferrare il cappuccio rosso scuro della sua felpa e tirarselo su con un gesto stizzito, nel tentativo infruttuoso di coprire ogni ciuffo bluastro che si ritrova in testa, poi riprendo per la mia strada e questa volta non mi volto più indietro.
Completamente fuori di testa, come volevasi dimostrare.
 
 
 
 
 
 
 
**********
 
- Io il tormento a lei, ma ti pare? Sono io che l’ho baciata senza in realtà essere io? Ti risulta, Sirius? Ti risulta che mentre lei si faceva gli affari suoi, le mie labbra sono spuntate dal nulla e l’hanno baciata? Perché a me sembrava che fosse successo il contrario, ma forse mi sbaglio. Mi sbaglio, Sirius?
- Tecnicamente non erano le sue labbra, James.
- Tecnicamente erano le sue labbra, Remus. Aspetta, Remus?
- Sirius si è addormentato cinque minuti fa. E solo perché avevano l’aspetto delle sue labbra, non vuol dire che fossero le sue labbra. Erano, infatti, le labbra di Lizzie.
- Lo so che erano le labbra di Lizzie, perché ne stiamo parlando? Avevamo stabilito di non parlarne, Moony, e allora non parliamone, no? Smetti di ritirare fuori questa storia, voglio dormire.
- Tu.
- Cosa?
- È dal primo anno che cerco di stabilire chi sia il più idiota tra te e Sirius: tu.
- Grazie.
- Non era un complimento.
- Beh, ho vinto, lo prendo come un complimento, Moony.
- D’accordo, ma ora dormi.
- Perché Peter non era in gara?
- James, è l’una di notte.
- Ha dato un nome ai suoi calzini, io credo che dovrebbe essere in gara.
- Prongs.
- Ok, ora dormo. Ma non dire Prongs con quel tono intimidatorio: non funziona e basta, non sei una persona intimidatoria, Moony. Moony. Scusa, era solo una prova. Come lo hai trovato? Sembrava minaccioso, sì? D’altro canto io sono una persona intimidatoria. Ma sono l’unico a sentire odore di cioccolata? Non hai ricominciato coi bagni, eh, Moony? Lo sai che poi ti vengono i brufoli e diventi iperattivo. Ehy? Oh, certo, la tecnica dell’ignorarmi, davvero maturo da parte tua, Moony, proprio maturo, sì. Prefetto, come no. Scommetto che l’hai rubata quella spilla.









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Capitolo 28
*** Capitolo 27-28 ***


CAPITOLO 27.

 

 
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- Ti ha detto di sì? Davvero?
Remus sembra così dannatamente sorpreso.
- Perché hai quella faccia, Moony? Sei tu che mi hai detto di chiederglielo, perché avresti dovuto farlo se non ti aspettavi che andasse a buon fine?
Non ho mai visto in Remus il genere di amico che complotta alle mie spalle e mi dà consigli deleteri apposta per vedermi fallire e ridere di me, sono sempre stato sicuro di avere quel genere di amico in Sirius soltanto, eppure qualcosa in tutta questa storia non mi torna. È naturalmente ridicolo e inaspettato che Evans abbia acconsentito ad aiutarmi con Pozioni, che significa fondamentalmente respirare la mia stessa aria senza esserne obbligata e probabilmente persino parlare con me e il tutto senza che ci sia la vita di nessuno in gioco e senza essere ricattata. È davvero poco credibile, me ne rendo conto, ma non dovrebbe esserlo per Remus, che ieri ha indossato la sua faccia da ‘io sono così saggio e so qual è la cosa giusta per te e chiunque altro in questo castello’ e mi ha spinto dritto da Evans, convincendomi che fosse una mossa vincente. Subdolo, subdolo Prefetto.
 - Non lo so, James, non sono sempre al corrente del motivo per cui faccio o dico qualcosa, - Remus ha quella sua solita aria giudiziosa e ragionevole che lo fa sembrare agli occhi di tutti il perfetto bravo ragazzo, amico impeccabile, studente impegnato e Prefetto dai sani principi, ma la realtà è che sta prestando più attenzione all’operazione di spalmare il burro d’arachidi sul suo pane tostato che a me che svelo il suo inganno e questo non è per niente quello che un amico impeccabile farebbe. - Credo che tu possa capirmi.  
La mia testa annuisce automaticamente, perché succede spesso che le mie labbra facciano cose senza il mio pieno consenso, quindi certo che lo capisco, poi realizzo che in effetti quello di Remus non era proprio un complimento e aggrotto la fronte.
- Lo sai, Prongs, - Mentre sto per far presente a Remus qualcosa di molto sagace, Sirius scavalca la panca e prende velocemente posto al mio fianco, iniziando a riempirsi il piatto senza perdere altro tempo. - Avermi chiuso in bagno non renderà i tuoi capelli meno azzurri.
Non sono così azzurri come Sirius lo fa sembrare, davvero. Quell’individuo spregevole che si spaccia per il mio migliore amico ha usato un incantesimo così potente che ho dovuto passare ore a sfregarmi i capelli e puntarci contro la bacchetta per far sparire il blu acceso di ieri, ma ad un occhio allenato sono ancora visibili varie tracce e riflessi azzurrini sulla mia testa e questo non è dignitoso. Remus dice che non si notano particolarmente, ma ho recentemente scoperto che Remus non sempre pensa quello che dice e non sempre sa perché dice le cose che dice, dunque intrappolare Sirius nella doccia è stata una mossa pienamente giustificata.
- Come ti sei liberato?
La bocca di Sirius è impegnata con un pancake che sono abbastanza sicuro di aver visto nel mio piatto fino a pochi secondi fa e la sua testa indica con un cenno Frank, che ha appena preso posto di fronte a noi.
- Ho sentito delle grida mentre scendevo a colazione, - spiega Frank, che in realtà non entra in camera nostra a vedere cosa sta succedendo ogni volta che sente delle grida, dato che la cosa tende ad essere una costante. C’è qualcosa di molto sospetto nel fatto che abbia deciso di indagare proprio la volta in cui le grida erano date da un Sirius nudo e bloccato dentro la doccia, ma credo che farò semplicemente finta di credergli. – Ieri sei venuto agli allenamenti con i capelli blu e la mattina dopo sento Sirius gridare disperato: ho fatto due più due.
Peter, che non recupera mai la totalità delle sue funzioni cerebrali prima della fine della colazione e non ha spiccicato parola da quando si è seduto, ridacchia divertito e Sirius lo segue a ruota. Anche Remus nasconde un sorrisetto dietro la sua tazza di caffelatte ed io mi ritrovo a trattenere un sospiro: ma certo, rinfacciamo alla gente il colore dei propri capelli già di prima mattina, forza.
- Per l’appunto, Frank, avresti potuto dirmelo ad un certo punto delle due ore che abbiamo passato insieme, sai.
- Ho fissato i tuoi capelli e ti ho chiesto esplicitamente se avevi litigato con Sirius, - Frank pare convinto che questo risolva la questione e la parte frustrante è che ha ragione: avrei dovuto capirlo. – Come potevo essere più esplicito di così?
- Oh, non lo so, ma forse ehy, James, i tuoi capelli sono blu sarebbe stato un bell’indizio
- Non mi sento a mio agio a dare notizie del genere alle persone, - conclude pacato Frank, che invece pare sentirsi perfettamente a proprio agio nello spostare due dei miei pancake dal mio piatto al suo. Ma certo, fate pure, qualcun altro vuole servirsi direttamente la colazione dal mio piatto? James Potter è qui per questo dopotutto, non ha mica bisogno di energie per allenarsi in vista della partita che rischia di sbattere Grifondoro definitivamente fuori dalla competizione per la Coppa, no. - Ma se preferisci saperlo, hai ancora delle ciocche azzurrine.
- Che ti dicevo, Prongs? Si notano tantissimo, solo che mentre ieri eri palesemente la vittima di uno scherzo, ora la gente potrebbe realmente pensare che le hai fatte apposta, - Sirius ghigna compiaciuto e lo sciroppo d’acero che gli cola sul mento rendendolo ridicolo è una magra consolazione. - Diremo che vuoi lanciare una nuova moda o qualcosa del genere.
La mia mano va a colpire decisa il fianco di Sirius, ma il buonumore che gli provoca il vedermi iniziare la giornata in modo imbarazzante fa scudo al suo corpo e lo protegge dal dolore. È passato troppo poco tempo da quando ho disegnato baffi rosa sulla sua faccia perché io possa mettere in atto una vera e propria rappresaglia nei suoi confronti, ma se continua così dovrò semplicemente legarlo e abbandonarlo nei sotterranei, aspettando che i Serpeverde si sbarazzino del suo corpo come meglio credono.
- Senti, Prongs, lo mangi quel pancake?
Peter pare infine essersi nutrito abbastanza da aver riacquistato il dono della parola, ma non abbastanza da non insidiare le colazioni altrui, e dal modo in cui sta guardando il mio piatto quasi vuoto, suppongo che la risposta alla sua domanda sia no, Pete, questa situazione non finirà mai con me che riesco a mangiare il mio dannato pancake e lo sappiamo entrambi. Devo iniziare a considerare seriamente l’idea di vendere i miei amici e comprarmene di nuovi; dei Tassorosso preferibilmente, sono sicuro che loro non ruberebbero mai la mia colazione.
- Quasi dimenticavo, - Sto sondando il tavolo giallo-nero alla ricerca di possibili candidati quando Frank mi distoglie dalla mia operazione di ricerca. – Indovinate un po’ chi darà una festa clandestina proprio qui in Sala Grande?
 

*

- Sarà la più grande festa che Hogwarts abbia mai visto. Non nella Sala Comune, no, quella è roba da dilettanti: la Sala Grande. Quando mai si è visto un party segreto in Sala Grande, eh? Se ne parlerà per anni. Diventeremo una sorta di leggenda e tutti gli eversivi del futuro guarderanno indietro a noi e diranno ammirati cose come ‘certamente erano entrambe di Grifondoro, solo così si spiega un tale coraggio e sprezzo del pericolo’. 
Ora, è mattina e Alice sta parlando piuttosto velocemente da una quantità indefinita di tempo e non ogni parte del mio cervello è attualmente in grado di seguirla, ma sono comunque riuscita a cogliere due fondamentali errori nel suo piano vaneggiante: punto uno, è il mio compleanno. E mio compleanno vuol dire mia festa epocale e quindi mia leggenda, non vedo perché la mia migliore amica dovrebbe essere inserita nei racconti dei futuri studenti di Hogwarts; non è egoismo o altro, sono sempre felice di dividere le cose con lei, il banco, il bagno, la spazzola, a volte i libri, c’è stato persino uno spiacevole incidente riguardo ad un ragazzo che entrambe fingiamo non sia mai accaduto, ma ecco, la gloria eterna no, quella non è condivisibile per una semplice questione logistica: mio compleanno, mia festa epocale, mia gloria. Semplice così.
Oh, e poi c’è naturalmente quella storia riguardo al mio essere un Prefetto che non darà di certo nessuna festa epocale in Sala Grande.
- Guarda che oggetto bizzarro mi sono ritrovata addosso questa mattina, Alice, - Mi batto un dito sul petto, all’altezza della spilla dorata appuntata sul maglioncino della divisa. – Per cosa credi che stia la P? Pancetta affumicata? Pallina da tennis? Per favore, dai una festa segreta in Sala Grande e fatti espellere?  
Alice fissa la mia spilla, poi fissa me, poi di nuovo la spilla e infine spalanca gli occhi come se avesse appena avuto la più illuminante delle illuminazioni, solo che in realtà non l’ha avuta.
- Prefetto, - sussurra con l’aria di essere in preda ad una crisi mistica. - Hai ragione, sei un Prefetto! Nessuno sospetterà mai di te, è geniale. Se ti scoprono, puoi semplicemente smettere di ballare e divertirti e metterti a rimproverare gli invitati a voce alta e poi dire ai professori che stavi facendo la tua ronda quando hai scoperto una festa clandestina in Sala Grande. Voglio dire, possiamo entrare nella leggenda e tu non sarai nemmeno espulsa.
È bizzarro come Alice vari dal singolare al plurale a seconda che si parli della gloria eterna o dell’essere scoperte dai professori, calibrando attentamente la sua partecipazione all’organizzazione della festa proporzionalmente agli eventuali benefici o svantaggi; credo che sia abbastanza contrario al codice morale dei Grifondoro e anche a quello delle amiche, ma se c’è una cosa che ho imparato in questi sei anni è che entrambi i codici sono estremamente mutevoli e vaghi.  
- Quindi ritiri la precedente idea degli striscioni con la mia faccia dipinta sopra o fingiamo che non aiuterebbero in alcun modo la McGranitt a capire chi ha organizzato la festa? – Una parte di me sta cercando di aggrapparsi disperatamente al mio sopracciglio sinistro per impedirgli di inarcarsi nel modo che Alice definisce da so-tutto-io, ma sono troppo impegnata a non farle notare come la sua proposta di fottere tutti i miei invitati e venderli per salvarmi il culo sia troppo disonesta persino per un codice indefinito come quello dei Grifondoro. Non che non sia un buon consiglio per chiunque dovesse effettivamente trovarsi in una situazione del genere, ma mi piace pensare di non essere il tipo di persona che dà feste segrete in Sala Grande e poi viene scoperta. Già un Prefetto non dovrebbe dare feste e basta, ma essere un Prefetto amorale e incapace sarebbe semplicemente troppo da accettare.
- Quella non era una proposta seria, Lil, - dice Alice. - Non avevo ancora bevuto il caffè e ci conosciamo da sei anni: dovresti sapere che non escono mai proposte serie dalla mia bocca prima del caffè.
- Oh, non lo so invece, perché io non ho ancora bevuto il mio caffè, - puntualizzo, alzando a  mo’ di prova la tazzina ancora piena di fronte a me. - E come posso sapere qualcosa, qualunque cosa, prima di berlo? Tu dovresti sapere questo piuttosto, ci conosciamo da sei anni.
Alice fissa me, io fisso Alice, poi Mary si siede di fronte a noi e inizia a spandere il suo naturale buon umore lungo tutto il tavolo, come è sua abitudine.
- Buongiorno, raggi di sole, che si dice? – trilla contenta, in quel suo bizzarro modo di non odiare il mondo come ogni essere umano normale alle otto di mattina fa. 
- Lily darà una festa epocale in Sala Grande. 
- In Sala Grande? Ma è fantastico, la scuola ne parlerà per anni! Sai già chi invitare? Vorranno esserci tutti, ci scommetto. Inizio a spargere la voce? Oh, devo assolutamente spargere la voce. Sarò quella che ha sparso la voce ed entrerò nella leggenda.
- No, fermi tutti, - Quanti altri nomi possono infilarsi nella mia leggenda prima che diventi semplicemente la leggenda di ‘quel gruppo di Grifondoro’ e si perda il dettaglio che era una festa di compleanno? Non che questo sia il punto naturalmente, dato che non ci sarà nessuna festa e nessuna leggenda. - Alice sta delirando, non farò nulla del genere.
- Ma certo che lo farai, - Alice agita una mano nella mia direzione come per scacciare una mosca, poi torna a rivolgersi a Mary. – Certo che lo farà, è solo che non può saperlo ancora perché non ha bevuto il suo caffè.
- Vi do la mia parola che non lo farò.
- In effetti, Lily, non hai bevuto il tuo caffè, - conclude Mary con gli occhi fissi sulla mia tazza fumante. – Non puoi ancora sapere quello che non farai. Alice, d’altro canto...
E gli occhi azzurri di Mary questa volta si posano sulla tazzina, ora completamente vuota, di Alice. Ed è fatta, non c’è nulla che io possa fare o dire in questo momento per cancellare il fatto che la mia amica ha ora più credibilità di me, perché lei ha bevuto il suo caffè e io no.
 - Cos’è che Lily non farà?
Frank schiocca allegro un bacio sulla guancia della sua ragazza, chinandosi su di lei da dietro mentre Black gli sfreccia alle spalle quasi correndo; automaticamente avvicino a me il piatto in cui si trova l’ultimo muffin presente al tavolo di Grifondoro: Black ha questa bizzarra convinzione di poter vantare chissà quali diritti speciali sui muffin, quando nella realtà se scendi a colazione dopo trenta minuti che è iniziata, non hai diritto nemmeno alle molliche di pane tostato, figuriamoci ai muffin al cioccolato, che vengono depredati nel corso dei primi tre minuti. È proprio mentre gioisco per il colore perfettamente dorato del mio muffin, interrotto da quelle deliziose gocce scure di cioccolato fondente, quelle che si sciolgono in bocca confondendosi con l’impasto morbido in un tripudio di piacere che...ecco, è mentre ammiro adorante il mio muffin che perdo l’occasione di rispondere a Frank al posto di Alice.
- Dare una festa epocale in Sala Grande, - sta giusto dicendo la mia sciagurata amica. – E lo farà in realtà, solo che non lo sa ancora.
- Se c’è una cosa che so nella vita, è che non darò mai quella festa, Frank, credimi.
La mia voce risulta sicura e piuttosto attendibile, ma Frank si concentra più sul cenno del capo di Alice che sulla mia estrema fermezza e credibilità, così ora anche lui sta fissando scettico la mia tazza di caffè piena fino all’orlo. Dannazione.
- È la regola del caffè, Lily, scusa.
E con un’alzata di spalle si allontana alla ricerca di un posto a sedere, ignorando il mio accorato appello di non riportare i vaneggiamenti di Alice a nessuno, come d’altro canto sta invece facendo Mary con Emmeline Vance, proprio qui davanti a me.
Dannazione, perché non ho semplicemente bevuto subito il mio caffè?
 

*
 
- Ma non può farlo.
Nonostante abbia reso i miei capelli più azzurri di quanto sarebbe dignitoso e in questo momento tutto vorrei meno che concordare con lui, Sirius ha centrato perfettamente il punto.
- Infatti, - Annuisco. - È ridicolo. Perché non ci abbiamo pensato noi? Ragazzi, perché non ci abbiamo pensato noi?
Qualcosa nell’espressione di Remus mi suggerisce che lui non è particolarmente dispiaciuto che nessuno di noi se ne sia mai uscito con quest’idea, ma ho recentemente deciso di non soffermarmi mai più su ciò che Remus o la faccia di Remus hanno da dire.
Una festa notturna in Sala Grande, perché non ci abbiamo pensato?  Nessuno l’ha mai fatto prima, nessuno in tutta la storia di Hogwarts, perché scegliere come luogo la Sala Grande, quando ce ne sono tanti altri più sicuri e meno in vista, è in effetti una mossa molto stupida e avventata, un modo come un altro per comprarsi un biglietto di sola andata per l’espulsione. Non è un’idea particolarmente brillante a pensarci bene e posso capire perché Remus sia sollevato che non ci abbiamo mai pensato, ma ehy, più è alto il rischio, più alta è la gloria in caso di riuscita ed è universalmente riconosciuto che il pericolo rende tutto più divertente. Sirius ripete spesso che il rischio è il pepe per noi Malandrini e se ignoriamo il fatto che a tutti e quattro fa in realtà schifo il pepe e che Peter è pure allergico, cosa che rende Sirius un idiota dai paragoni idioti, ha in realtà centrato il punto, di nuovo.
- Giusto, perché non ci avete mai pensato? Suona come qualcosa che avreste dovuto fare ad un certo punto in tutti questi anni, - Frank alza le spalle. - In ogni caso, Lily lo farà, statene certi: la sua tazza di caffè era piena.
Non so cosa Frank voglia dire con questo o cosa c’entri il caffè ora, ma non sempre so cosa Frank vuole dire quando dice le cose che dice, quindi non è un problema. Il problema ora è far capire ad Evans e al resto della scuola che nessuno può infrangere le regole in modo così eclatante senza risponderne ai Malandrini: abbiamo una reputazione da difendere.
- Nessuno tranne noi dovrebbe infrangere le regole qui ad Hogwarts, - sta giusto dicendo Sirius, che è sempre la voce dei miei pensieri, tranne quando parla dei miei capelli. - Andiamo a marcare il territorio, forza.
E ci alziamo davvero tutti e quattro, sotto lo sguardo spaesato di Frank, anche se nessuno di noi ha esattamente idea di che cosa intenda Sirius con ‘marcare il territorio’, probabilmente nemmeno Sirius stesso. Spero solo che non c’entri il fare la pipì di fronte o sopra ad altre persone.
- Il piano non è uccidere Evans, giusto? – si informa cautamente Remus mentre ci facciamo largo nella fiumana di studenti che si sta riversando verso l’uscita della Sala.
- Certo che no, Moony: sembrerebbe che la temiamo e non è così.
- James, - Remus sospira e non sembra particolarmente soddisfatto della mia risposta, il che è bizzarro, perché penseresti che no, non uccideremo la nostra compagna di Casa sia esattamente quello che un Prefetto vorrebbe sentirsi dire, ma a quanto pare no. - Per il futuro, la risposta corretta quando qualcuno ti chiede se stai per assassinare una compagna è no, non sono un assassino, non no, sembrerebbe che la temiamo. Senti la differenza? Come la prima risposta suona da persona equilibrata e rispettabile e la seconda da potenziale serial killer represso?
- Perché è così petulante stamattina? – Lancio un’occhiata perplessa a Sirius e Peter, prima di spostarla dubbioso su Remus. - C’era più caffè che latte nel tuo caffelatte, Moony? Lo sai che non puoi metterci più caffè che latte.
- Non ci ho messo più caffè che latte, - dice Remus e mente sapendo di mentire. - Non sono petulante. Tu sei petulante, anche senza il caffè.
- Infatti, io sono quello petulante. È il mio ruolo nel gruppo, ho il permesso di esserlo.
Non è il mio unico ruolo naturalmente e non sono nemmeno così petulante come i miei amici lo fanno sembrare, ma in quanto capo di tutti loro è mio dovere assecondarli; non ho una spilla per questo, non è come con quella da Capitano della squadra di Quidditch e l’unica volta che ho espresso ad alta voce la mia carica di leader dei Malandrini i restanti Malandrini mi hanno lasciato appeso in mutande fuori dalla finestra del dormitorio per quasi venti minuti, così ora devo fare finta di nulla, perché c’è solo un numero di volte in un anno in cui uno studente può presentarsi in Infermeria con un principio di congelamento, ma va bene così, la mia supremazia non ha bisogno di essere annunciata: è una di quelle cose che sappiamo e basta anche senza dirle ad alta voce, come quando Sirius si è svegliato dentro l’armadio e sapevamo tutti che ce lo aveva rinchiuso Remus durante la notte, anche se lui ha sempre negato.
– Il fatto che non ti soffiamo più in faccia ogni volta che parli senza prendere fiato non significa che hai il permesso di essere petulante, Prongs, ma solo che i tuoi amici sono diventati bravi a ignorarti.
Sirius è così poco amichevole alle volte.
È stata sua l’idea di iniziare a soffiarmi in bocca ogni volta che secondo lui parlavo troppo, al secondo anno, e per quasi un mese non sono riuscito a finire un concetto senza che qualche studente a caso si sentisse autorizzato a soffiarmi i suoi germi tra le labbra nel tentativo di sedare la mia parlantina; sembrava che sarebbe durato per sempre, poi una piccola ma violenta tromba d’aria nata chissà come tra i corridoi di Hogwarts ha fatto finire alcuni ragazzi in Infermeria e la gente mi ha finalmente lasciato in pace, eccetto la McGranitt che per qualche motivo ha sentito il bisogno di mettermi in punizione, nonostante non ci sia scritto da nessuna parte nel regolamento della scuola che non si possono evocare trombe d’aria nel castello.
- Eccola.
Peter fa un cenno verso l’uscita della Sala Grande, dove localizzo immediatamente Evans appoggiata al muro lì accanto, intenta a frugare all’interno della sua borsa. 
La fisso per qualche secondo in silenzio, aggrottando appena la fronte, giusto per controllare che la mia imbarazzante cotta nei suoi confronti sia ancora lì e non sia per caso guarita da sola, come quella volta che mi è spuntata una coda a ciuffo mentre cercavo di diventare Animagus ed è rimasta lì per tre giorni, prima di sparire semplicemente nel nulla una notte. È esattamente così che finirà questa storia con Evans, i disdicevoli e irragionevoli sentimenti che sembro provare per lei finiranno nello stesso posto invisibile di quella codina a ciuffo ad un certo punto, non c’è dubbio, solo che pare non essere oggi quel punto, perché in questo momento la guardo e ho ancora voglia di prendere a pugni Philips e morderle le labbra fino a sentire di nuovo il sapore amaro di quel bacio che non è stata lei a darmi.
- Ehy, Evans. 
 

*

- A domani sera allora!
Alice è scomparsa da tre minuti circa e questa è già la quarta persona che mi passa affianco uscendo dalla Sala e mi strizza l’occhio con aria eccitata ed eloquente. Il fatto che una di queste quattro persone fosse del secondo anno, come se alla festa che non darò potrebbero mai essere ammessi dodicenni, non è nemmeno la parte peggiore. La parte peggiore è Potter, che mi si è piazzato davanti e non sta continuando a camminare verso un posto lontano da qui e da me, mentre alle sue spalle i Malandrini al completo mi fissano con aria combattiva.    
- Ehy, Evans, - dice e il suo tono è meno giocoso del solito e vagamente ostile.
- Che altro c’è, Potter? – replico e mi sforzo di rendere a mia volta la mia voce il più scocciata possibile, perché se lui ha intenzione di essermi ostile senza motivo, allora io gli dimostrerò che in questo sono molto più brava di lui e di chiunque altro, io che passo tutte le mie estati con Petunia Ostile Evans. E quell’altro tattico, piazzato lì casualmente, forse gli ricorderà che proprio ieri ho accettato di cercare di risolvere il suo problema con le Pozioni e che sono l’ultima persona sulla faccia della terra con cui lui ha il diritto di usare quel tono seccato.
- Non essere così prevenuta, Evans: non tutti i Malandrini vengono per nuocere. Infatti, si dà il caso che siamo qui per affari.
Ed improvvisamente realizzo che quello di Potter non è in realtà un tono ostile, ma solo il suo tono serio, il modo in cui suona la sua voce quando non ci imprime strani doppi sensi, risate trattenute e quella perenne vena a metà tra il supponente e l’ironico che lo pervade di solito. È raro che Potter parli e basta, senza impercettibili note beffarde o divertite nella voce, qualcosa che accade una o due volte all’anno al massimo, almeno in mia presenza, ed è logico quindi che io non possa riconoscere il tono serio di Potter dal tono ostile di Potter. Il problema è che la realizzazione mi lascia  per un attimo spiazzata e ci metto qualche secondo a elaborare a pieno il significato delle sue parole.
- Affari? Non ho affari con voi, Potter, che vai blaterando?
- Ma certo che li hai, Evans, - interviene Black con un tono così ovvio che per un attimo mi fa sorgere il dubbio. Voglio dire, sono abbastanza sicura di non aver mai fatto affari con i Malandrini da sveglia, ma posso dire lo stesso della notte? Alice mi avrebbe avvisato se avessi ricominciato con gli episodi di sonnambulismo, no? Probabilmente sì, ma posso dirlo con certezza? Beh, in realtà posso, perché se fossi uscita dalla mia camera da sonnambula, sarei precipitata dalle scale rompendomi il collo molto prima di arrivare nei dormitori maschili per stringere misteriosi affari con i Malandrini. Quindi Black mente e Potter si inventa le cose, tutto nella norma. - Non puoi fare una festa in Sala Grande senza avere affari con noi.
- Ma io non farò...
- Infatti, Evans, non puoi, - annuisce Potter, ignorando il mio tentativo di parlare. – Le persone non possono semplicemente infrangere regole mai infrante prima nella storia di Hogwarts e pensare che questo non ci riguardi. E tu sei una persona.
Potter continua a fissarmi con quella sua bizzarra aria seria, come se quello che ha appena detto avesse una qualche sorta di senso in almeno uno degli universi conosciuti, mentre Black al suo fianco non cerca di nascondere l’accenno di un sorrisetto compiaciuto, perché forse lui invece è consapevole della generale mancanza di senso di questa situazione e ne è felice. Minus, alle loro spalle, annuisce lentamente, le braccia incrociate al petto e un’aria vagamente minacciosa, se non fosse che è più basso di me di almeno due spanne e sono abbastanza sicura che in uno scontro alla babbana gli farei il culo.
- Fatemi capire, - dico lentamente mentre i miei occhi ritornano a posarsi su Potter. – State seriamente prendendo la mia festa di compleanno come un affronto personale a voi quattro?
Gli occhi di Potter si allargano come a dire ‘Non è ovvio?’ e certo che è ovvio, perché quando mai Potter non trasforma tutto in una sorta di competizione? Probabilmente ha anche sfidato a duello tutti gli altri studenti di Hogwarts che si chiamano come lui per dimostrare di essere il James migliore o qualcosa del genere.
- Sono terribilmente dispiaciuto, - mi informa Lupin e non sono sicura se si riferisca a questa storia o alle sue amicizie in generale.
- No, non lo è, - Lo liquida subito Black. - Ha solo messo più caffè che latte nel caffelatte.
- Era più latte che caffè.
- Io ho bevuto succo di zucca.
Fisso Minus negli occhi per qualche secondo, senza sapere bene come reagire a questa sua ultima comunicazione e quando Potter apre bocca mi aspetto per un attimo che anche lui voglia mettermi al corrente della natura della sua colazione, ma a quanto pare no. Non che poi abbia veramente bisogno di parlare per rivelare al mondo la sua colazione, quando ha uno sbaffo di marmellata sul mento che nessuno dei suoi amici sembra intenzionato a fargli notare.
- Ci sono due modi in cui questa storia può andare a finire, Evans, - inizia pratico ed io ho la sensazione che nessuno dei suoi due modi includerà la mia bacchetta infilata nel suo naso, cosa che li rende automaticamente poco validi entrambi. – Puoi organizzare la tua festa senza coinvolgerci e allora saremo costretti a sabotarla per rendere noto a tutti che non è consigliabile sconfinare nel nostro territorio, oppure possiamo collaborare con te e mettere la nostra esperienza e le nostre infinite risorse, oltre al mio ineguagliabile charme, al tuo servizio.
Potter sorride sornione con quella che lui deve senz’altro ritenere un’aria allettante e che ha il solo risultato di far scattare in me un campanello d’allarme, perché nessuna faccenda che faccia sorridere Potter in quel modo può essere buona.
- Non che io non apprezzi la vostra offerta, o ricatto, o quello che è, ma siete tutti vittima di un enorme malinteso, - preciso. – Non darò nessuna festa.
- Frank dice che lo farai, - ribatte Potter sicuro, come se Frank fosse l’oracolo di Hogwarts e questo chiudesse la questione. - Che non hai bevuto il tuo caffè o qualcosa del genere.
Al suono della parola caffè la mia espressione esasperata si rispecchia immediatamente in quella di Lupin, che incrocia il mio sguardo con aria comprensiva e forse ad un certo punto fonderemo insieme un’associazione contro la discriminazione in base alla quantità di caffeina ingerita.
- E comunque lo sa già tutta la scuola, non puoi disdire ora, - aggiunge Black, che fa concorrenza ad Alice in quanto al suo essere costantemente aggiornato su tutto quello che la gente dice o fa in questo castello.
- Ma certo che posso, vedete? – Mi chino a raccogliere platealmente la mia borsa da terra, le sopracciglia inarcate. - Prendo la mia borsa, esco di qui, vado a lezione, e tutto questo senza organizzare nessuna festa. E senza nessuno sforzo!
- Beh, tecnicamente puoi, Evans, - Potter mi trotterella dietro come se non avesse niente di meglio da fare mentre esco dalla Sala Grande ed in effetti siamo in classe insieme, quindi suppongo che né lui né i suoi amici abbiano effettivamente altro da fare oltre che venire a lezione. - Ma non puoi davvero.  
- Potter, i tuoi capelli sono ancora azzurri, - sottolineo fermandomi, giusto per rendergli chiaro che lui è l’ultima persona al mondo a potermi dire cosa fare o non fare, che anche se non sono infallibile le mie decisioni almeno non mi hanno mai portata a finire con strani colori in testa, un lusso che evidentemente non è concesso a tutti.
- Lo so, Evans.
- Lo sai?
- Questa volta lo so.
- Bene. È un passo avanti.
Riprendo per la mia strada certa di averlo azzittito, ma tacere non è una delle abilità presenti nel repertorio di Potter e subito lui me lo ricorda.
- In ogni caso, sarebbe davvero disdicevole ritirarti ora, Evans: nessuno crederà che non volevi fare la festa sin dall’inizio, sai. Diranno che non ne eri in grado e che hai avuto troppa paura di essere scoperta.
- Non necessariamente, - sta iniziando Lupin, che ha un’aria molto sollevata da quando la mia volontà di non fare nessuna festa è venuta allo scoperto, ma nello stesso momento Alice svolta l’angolo e mi si piazza di fronte.
- Lily, Kate Logan sta dicendo a tutti in corridoio che non lo farai mai.
Lupin sospira, Black inarca un sopracciglio piantandomi in faccia uno strano sguardo d’attesa e Potter ha di nuovo il suo sorrisetto sornione.
Anche Alice mi guarda con una strana aspettativa negli occhi ed io ricambio il suo sguardo impassibile.
Non nutro particolare simpatia per Kate Logan, d’accordo, non sarei particolarmente afflitta se una parete di mattoni le crollasse addosso, ma non sarei nemmeno io quella che l’ha fatta crollare: è un’antipatia superficiale, di quelle che non ti portano a crogiolarti in fantasie omicide, di quelle che ti lasciano perfettamente in grado di ammettere quando l’altra persona ha ragione. E Kate Logan ha perfettamente ragione: non darò una festa in Sala Grande, semplice così.
Non so cosa questa strana gente che mi fissa si aspetta che io faccia, ma evidentemente non sono consapevoli del mio elevato grado di maturità, se pensano che io possa infastidirmi per così poco.
- Principalmente per due motivi, a suo dire, - continua Alice ed io colgo con la coda dell’occhio il sorrisetto di Potter allargarsi ulteriormente. Che problemi ha quel ragazzo, si può sapere? – Uno, non ne saresti capace. Due, avresti troppa paura di essere scoperta.
È ridicolo. 
È solo la gente che parla e blatera come fa sempre e le loro chiacchiere hanno la stessa influenza sulla mia vita di una farfalla che batte le ali dall’altra parte del mondo. Oh no, esempio sbagliato. Beh, comunque, non hanno importanza. Non sono mica James Potter io, che si sente in dovere di marcare il territorio per dimostrare di essere il migliore ad infrangere le regole e non intaccare la sua reputazione; a me non importa cosa dice la gente, se sarò ricordata come la Grifondoro che in barba alla sua spilla da Prefetto ha dato una festa epocale in Sala Grande o come quella che ha avuto troppa paura della sua spilla per farlo. Voglio dire, potrei: se c’è una persona in questa scuola in grado di riuscire in un’impresa del genere, ci sono buone probabilità che sia io, perché no? Me la cavo con gli incantesimi silenziatori, sono in possesso dei turni di ronda dei Prefetti, posso semplicemente convincere qualcuno che ha il giro al piano terra a fare a cambio con me e...beh, è inutile entrare nel dettaglio, perché non sto seriamente pensando di fare questa cosa. Solo che se volessi, potrei. E non avrei paura di una spilla sul mio petto. Cosa c’è di temibile in una spilla? Mi ci sono tagliata una volta e mi è uscito un sacco di sangue, ma avevo solo quindici anni ed ero maldestra ed ingenua. Ora ne ho sedici, sono sulla soglia dei diciassette, e so tutto di questa spilla, so come combatterla e come appuntarla sulla divisa senza squartarmi un dito, non mi fa paura. Ho instaurato il mio pieno controllo su di lei, al punto tale che potrei sfoggiarla alla mia festa clandestina senza esserne affatto intimorita. Se volessi festeggiare il mio passaggio alla maggiore età con una festa illecita in Sala Grande, lo farei e basta, perché non ho paura. Semplicemente non è una cosa che suscita in me alcuna attrattiva, quindi non lo farò. E non importa cosa dirà la gente, non devo dimostrare nulla a nessuno. Rischiare l’espulsione solo per non dare soddisfazione a Kate Logan sarebbe la cosa più stupida mai fatta da un essere umano e non ci tengo ad ottenere quel primato.
- D’accordo, dite a tutti che la festa si farà.
Oh, andiamo, sono sicura che da qualche parte nel mondo ci sia qualcuno che ha fatto qualcosa di più stupido di questo. Ad esempio lì c’è un ragazzino del terzo anno che sta facendo rimbalzare sul pavimento uno di quei palloni di puzzalinfa esplosiva che vendono da Zonko, sono abbastanza sicura che lui si meriti il primato molto più di quanto faccia io.
Una parte di me è per un istante molto soddisfatta di questa conclusione, mentre l’attimo dopo tutte le altre parti di me sono ricoperte da una sostanza calda e urticante che mi fa gemere di dolore, proprio come ogni altro studente presente nel corridoio. Con gli occhi appannati dalle lacrime riesco a intravedere Frank che svolta l’angolo di corsa, la bacchetta alla mano e un’espressione preoccupata in viso, salvo poi inciampare nell’armatura fatta cadere a terra dall’esplosione e finire sul pavimento con un tonfo sferragliante.
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- Sono cieco.
- Non sei cieco, James.
La voce di Remus arriva da un punto imprecisato nel buio totale che si estende tutto attorno a me e sta così palesemente mentendo.
- Sono cieco, - ribadisco in preda al panico, tentando di sovrastare con la mia voce il rumore dei miei sogni di gloria che si infrangono al suolo. Un Cercatore cieco? Ma quando mai? Come faccio a prendere il boccino? Perché Remus non afferra la portata tragica della situazione e suona così calmo? Crede che io sia così bravo ed incredibilmente talentuoso da non aver bisogno di vedere il boccino per afferrarlo? Beh, non che non sia lusinghiera e fondata la sua alta opinione di me, ma...  
- Apri gli occhi, James.
Quello di Remus è un consiglio quantomeno ridicolo, perché aperti o chiusi non fa differenza quando il mondo si è ormai trasformato in un’infinita distesa oscura priva di forme e colori, ma eseguo ugualmente e c’è, in effetti, ancora della luce al mondo. La luce bianca e vagamente innaturale che inonda sempre l’infermeria per la precisione; corre per le pareti linde e colpisce le lenzuola ancora più bianche, con un effetto quasi accecante sul mio unico occhio.
- Ho un occhio solo, - prorompo agonizzante, portandomi immediatamente una mano al viso e assistendo nuovamente alla disintegrazione dei miei sogni di gloria, perché quando mai si è visto un Cercatore con un occhio solo?
- James, non essere melodrammatico, - continua Remus di nuovo con quel suo tono troppo pacato, come se qui non ci fosse in ballo il destino dell’universo. - Ti è solo entrato qualche schizzo di puzzalinfa nell’occhio, Madama Chips dice che domattina al massimo potrai togliere la benda. 
Oh, ma certo, qualche schizzo, domattina al massimo, questo è esattamente quello che direi io se non volessi mandare nel panico un Cercatore con un occhio solo. Non mi fido di Remus, del suo tono pacato e del suo viso pacato che mi fissa pacato da un lettino di distanza dal mio, occupando con la sua pacatezza inopportuna la visuale dimezzata che mi rimane, ma mentre tasto cautamente la stoffa che mi ricopre l’occhio non sento alcun vuoto sospetto al di sotto e forse c’è ancora un occhio dentro la mia orbita e non il nulla cosmico.
- Sembri un pirata, Prongs, - ridacchia Peter ed io ci metto qualche secondo più del necessario a localizzarlo, dovendo ruotare completamente la testa per favorire la visuale al mio unico occhio superstite. Suppongo di non avere la faccia meno comica dell’infermeria, con questa benda che attenta alla mia vista e mi costringe a spalancare l’altro occhio per compensare, ma Peter è una fottuta mummia, con le braccia ricoperte di bende e la fronte ricoperta di bende e le labbra più rosse del normale che spiccano su, indovinate un po’, altre bende. E non è l’unica mummia nella stanza, a dire il vero, sono circondato da aspiranti mummie più o meno talentuose eppure tutte continuano a ridacchiare di gusto come se fossi io quello ridicolo qui.
- Siete tutti ridicoli, - li informo stizzito facendo correre il mio unico occhio dall’ammasso di garze che è Peter a Remus e Alice, un po’ più umani ma con comunque più stoffa che pelle allo scoperto e infine Evans, che ha una benda che le ricopre interamente la bocca e davvero, in che razza di mondo sono finito se persino le persone prive di bocca ridono di me, mh? – Anche tu Frank. Sembra che ci sia una seconda testa che spunta dalla tua testa. Ridicolo.
Una delle due teste di Frank, che non è ricoperto di bende, ma ha un bernoccolo in fronte così grande da ipnotizzarmi per qualche secondo, sembra sul punto di voler rispondere qualcosa, ma in quel momento la porta dell’infermeria si apre e Madama Chips interrompe i suoi sospiri seccati per dare piena voce alle sue lamentele.
- Entri, forza. Solo lei ci mancava, signor Black, solo lei. Veda di non essere chiassoso come suo solito, mi sono spiegata?
Sirius, che non è una mummia ed ha entrambi gli occhi, rivolge un sorriso smielato a Madama Chips mentre lei sparisce ancora borbottando tra sé dietro le tende candide di un letto dall’altra parte della stanza, trafficando con una provetta tra le mani.
- Salve a voi, miei deboli amici, - Sirius ghigna, eccessivamente compiaciuto di essere l’unica persona sana nella stanza, e si lascia cadere sul letto di Remus facendolo rimbalzare leggermente. Remus non è compiaciuto.
- Non aver usato Peter come scudo umano per salvarci non ci rende deboli amici, Padfoot, - commenta seccato, mentre io ricordo che quella è stata effettivamente una delle ultime scene che ho visto prima di essere accecato per sempre dall’esplosione di puzzalinfa. – Ci rende amici ed esseri umani decenti.
- Non è quello che è successo, - dice Sirius alzando le spalle, mentre tutte le mummie attorno a lui iniziano ad emettere versi scettici. – Non è andata così, ho detto. Stavo cercando di spostarlo, non...oh, ma certo, c’è un’esplosione di puzzalinfa e tutti come prima reazione decidono di guardare cosa sto facendo io? Non mi stupisce che siate in infermeria, onestamente.
Nonostante io abbia un solo occhio a disposizione, il mio cuscino colpisce Sirius con una precisione millimetrica. Poi ne sento un po’ la mancanza, perché era un cuscino molto comodo, come lo sono sempre quelli dell’infermeria, ma anche il verso indignato di Sirius è piacevole.
- Vi state rendendo ridicoli più di quanto quelle bende vi costringano ad essere, davvero. Non è colpa mia se sono quello con i riflessi più veloci.
- Io sono quello coi riflessi più veloci, - preciso. - Solo che ho anche un’anima.
- Oh, piantatela, - Sirius salta giù dal letto e inizia a passeggiare tra noi, studiando interessato le ferite di ognuno, come se fossimo in uno zoo. Dannato bastardo. - Pete non ce l’ha con me. Pete morirebbe per me. Vero, Pete? Diglielo.
- Ce l’ho con te.
Un coro di approvazione si leva dal branco di mummie, ma la testa di Madama Chips rispunta da dietro le tende ed io la invidio vagamente mentre usa entrambi i suoi occhi per promettere morte e distruzione. Il silenzio torna a regnare nell’infermeria e Sirius si china su di me, avvicinandosi al mio viso con aria assorta.
- Cosa c’è sotto la benda?
- Un occhio.
- Ne sei sicuro?
No, dannazione.
- Certo che ne sono sicuro.
- Posso vedere?
- No che non puoi.
- Dai, solo un’occhiata: giusto per accertarmi che non ti abbiano messo un boccino d’oro al posto dell’occhio.
È ridicolo naturalmente e lui è un dannato bastardo, ma non suona come qualcosa che Madama Chips non farebbe.
- Padfoot, lascialo stare o ricomincerà a fare il melodrammatico.
- Non sto facendo niente, Moony. Voglio solo vedere quanto è messo male.
- Non puoi vedere, - dico seccato, ma il mio unico occhio deve comunicare altro, perché Sirius avvicina le dita ai bordi della mia benda ed io non faccio nulla per fermarlo, perché come posso davvero sapere cosa c’è sotto la benda, se nessuno guarda sotto la benda?
- Signor Black, non si azzardi a spostare quella garza.
Sirius sospira e si siede rassegnato sul mio letto, abbandonando il suo proposito. Madama Chips aggiunge qualcos’altro sul non toccare i suoi pazienti prima di sparire di nuovo dietro le tende, il tutto con un’aria molto minacciosa, e questo non è certamente il modo meno sospetto per convincermi che non ho davvero un boccino d’oro infilato nell’orbita al posto dell’occhio.
- Propongo un’azione disciplinare nei tuoi confronti, - dico poi, decidendo di sfogare tutte le mie frustrazioni sul mio migliore amico, che è una pessima persona e mi fa dubitare della presenza dei miei occhi sulla mia faccia. – Il concilio si riunisca, prego.
Remus e Peter si raddrizzano nei loro lettini e ruotano appena il busto verso di me, mentre io sono già qui e Sirius pure. Bene, concilio riunito.
Alice, Evans, ed entrambe le teste di Frank ci fissano perplessi.
- Che stanno facendo? – chiede la prima testa di Frank, mentre Evans emette uno strano mugugno attutito dalla benda sulle sue labbra. Approvo, per l’appunto, trovo che se ne dovrebbe andare sempre in giro con le labbra fasciate, invece di mostrarmele per tutto il tempo, come se niente fosse, a ricordarmi costantemente come io non le abbia mai davvero baciate pur avendole effettivamente baciate.
- Silenzio in aula, grazie, - dico nello stesso momento in cui Sirius cerca di sottrarsi alla giustizia. 
- Non puoi indirlo tu, è Peter la parte lesa. Finché lui non lo richiede...
- Lo richiedo.
- Dannazione.
Mi sforzo di trattenere un ghigno compiaciuto e cerco di far assumere al mio unico occhio visibile un’aria estremamente seria e professionale.
- Messer Padfoot, lei è oggi nel presente luogo formalmente accusato delle seguenti effrazioni del codice non scritto ma universalmente valido dei Malandrini: alto tradimento ai danni di un confratello, alta vigliaccheria in una situazione di pericolo e alta, altissima menzogna, - inizio solenne, ignorando il fatto che la mia gamba destra si è appena addormentata sotto il peso di Sirius. Lo spingerei giù dal letto con una spallata, se non fosse che ogni assalto fisico è severamente proibito durante le sedute ufficiali del concilio. - Come si dichiara l’imputato?
- Innocente dell’accusa di alta, altissima menzogna, - replica immediatamente Sirius. - In quanto Malandrino, ho il dovere e non solo il diritto di negare sempre e comunque. Mi appello all’imparzialità del concilio perché questa accusa insensata e ridicola sia fatta cadere all’istante.
Segue un fitto scambio di sguardi con Remus e Peter, alla fine del quale entrambi fanno un lieve cenno d’assenso. Sirius tende ad approfittarsene eccessivamente, ma negare sempre e comunque è effettivamente uno dei principi basilari con i quali i Malandrini operano.
- Richiesta accolta, - concedo infine, cogliendo con la coda dell’occhio gli sguardi estremamente perplessi dei non Malandrini in questa stanza. Sembra quasi che non abbiano mai assistito a nulla del genere, il che è ridicolo se volete la mia opinione, perché come risolvono i problemi interni al loro gruppo di amicizie se non così, mh? – Permangono le accuse di alta vigliaccheria e alto tradimento.
- Per l’accusa di alta vigliaccheria mi appello al mio ruolo di Malandrino immagine del gruppo, - Sirius si sistema meglio sulla mia gamba e a me sorge il sospetto che lo stia facendo apposta, farmi concentrare sulla possibilità di perderne l’uso per sempre e distrarmi così da quello che dice. Potrei accusarlo formalmente di questo, ma poi si aprirebbe un’altra seduta in cui sarei accusato di aver diffidato di un membro della fratellanza, che è una tra le accuse più gravi e disonorevoli, così resto in silenzio mentre Sirius dondola allegramente le gambe continuando a bloccare il flusso di sangue nella mia con le sue natiche. – Il Prefetto di Corvonero del quinto ha palesemente una cotta per me e anche quella di Tassorosso del sesto. Quante volte ci hanno coperto grazie a questo? Perdere l’integrità della mia faccia avrebbe significato perdere quel vantaggio. La mia faccia ci serve. Tutti voi traete beneficio dalla mia bellezza disarmante. Preservarla non è stata vigliaccheria, ma puro buonsenso.
Non sono completamente d’accordo, ma Sirius ha appena svelato la corruzione di ben due Prefetti di fronte ad un altro Prefetto, che seppur impossibilitato a parlare non ha nessuna benda sulle orecchie, così mi affretto a cambiare argomento.
- D’accordo, sei assolto dall’alta vigliaccheria, ma resta l’accusa di alto tradimento nei confronti del qui presente Messer Wormtail, - Sirius fa per parlare, ma io lo precedo, perché c’è solo un numero limitato di accuse da cui gli imputati hanno il diritto di difendersi e quella di alto tradimento non è tra quelle. – Quale azione disciplinare propone, Messer Moony, tesoriere, segretario e vicepresidente?
Non so perché Remus abbia così tanti titoli, tra cui addirittura vicepresidente, quando a dirla tutta non c’è nemmeno un presidente a cui fare da vice, ma i titoli sono stati assegnati al primo anno e nessuno di noi si ricorda veramente su quali basi.
- Ma che diavolo...
- Shhh, voglio ascoltare, Frank.
- Dunque, - Remus si schiarisce la gola, lisciando accuratamente le pieghe del suo lenzuolo con aria assorta. - Propongo che l’imputato, il qui presente Messer Padfoot, sconti la sua pena fornendo alla parte lesa i compiti di una materia per un totale di tempo quantificabile in, diciamo, una settimana. Questo, aggiunto all’umiliazione di aver subito un pubblico processo, lo ritengo sufficiente.
- Non sono umiliato, - ci informa Sirius nello stesso momento in cui Peter esclama eccitato ‘Astronomia, può farmi i compiti di Astronomia’.
- Dichiaro aperta la votazione, - annuncio. - Alzi la mano chi è a favore.
La mia mano scatta in aria e così quella di Peter, Remus, Alice, Frank, Evans e un Tassorosso del quinto anno a qualche letto di distanza da noi.
- Loro non possono votare, - protesta Sirius. – E nemmeno Peter che è la parte lesa.
- Obiezione accolta.
Tutte le mani si abbassano, a parte la mia e quella di Remus.
- Alzi la mano chi è contrario.
Io e Remus abbassiamo le mani e Sirius alza la sua.
- Con due voti favorevoli contro uno contrario l’imputato è condannato. Astronomia, una settimana, umiliazione pubblica eccetera eccetera. La seduta è sciolta. Potete andare.
Seguono diversi momenti di silenzio in cui nessuno si muove ed io mi ricordo che in effetti siamo in un’infermeria e nessuno se ne può veramente andare.
- Oppure, beh, potete restare. Come volete.
La solennità nell’aria svanisce lentamente, ma Frank continua a fissarci vagamente affascinato.
- Lo fate spesso?

*

 C’è una benda sulle mie labbra che mi impedisce di respirare decentemente, oltre che parlare. Non è solo appoggiata, è tesa al massimo, premuta con forza, mi blocca letteralmente la bocca e non ne vedo il motivo, davvero: nessun altro in quest’infermeria è stato bendato in questo modo, quindi la faccenda dev’essere personale, una cosa tra me e Madama Chips. Non ricordo di essermi mai attirata le sue ire in alcun modo, ma forse è solo una di quelle antipatie a pelle: il suono della mia voce la infastidisce e così ha deciso di tapparmi la bocca. Lo capisco, posso persino rispettarlo, non posso sostenere che nella sua posizione non approfitterei anch’io del potere per tappare senza motivo le bocche delle persone che odio, ma sulle labbra di Potter non c’è nessuna benda e la sua voce continua a riempire l’infermeria, pomposa ed eccessivamente alta come al solito. Ora, com’è possibile che quella voce non infastidisca Madama Chips? La mia sì e quella di Potter no? Poco credibile, ve lo dico io. 
Il punto è, nessuno qui si chiede perché la mia bocca sia stata tappata? Quali verità scomode potrei rivelare sul conto di Madama Chips? Perché io non posso, chiaramente, avendo già il mio bel daffare a respirare solo dal naso, ma Alice? Frank? Lupin? Nessuno? Ore a disquisire su cosa possa esserci o non esserci sotto la benda di Potter e nessuno che si chieda se le mie labbra siano state per caso catapultate via dalla mia faccia contro il muro di pietra del corridoio? Questo, a pochi giorni dal mio compleanno, è davvero deludente.
Per l’ennesima volta cerco di attirare l’attenzione di qualcuno emettendo degli strani versi attutiti dalle bende che si confondono subito con i lamenti che provengono dal lettino dall’altra parte della stanza, dove Madama Chips sta facendo chissà cosa al ragazzino che ha fatto partire il tutto. È indubitabilmente sospetto: perché le tende tirate? Perché così lontano da noi? Probabilmente odia anche lui e sta eseguendo sul Corvonero un qualche intervento totalmente superfluo e senza anestesia, per puro divertimento. Mi viene in mente la parola ‘vivisezione’ e se da una parte mi preoccupano le cose strane che stanno avvenendo in quest’infermeria, dall’altra spero che Madama Chips ci vada giù pesante, che non ci crede nessuno che un Corvonero non avesse previsto gli effetti del far rimbalzare a terra un pallone di Puzzalinfa. Tentato omicidio, ecco cos’è stato. Odia tutti noi o almeno uno di noi così tanto da essere disposto a fare esplodere la sua stessa faccia pur di colpirci. Effettivamente, inizio a capire perché Madama Chips lo ha piazzato il più lontano possibile da noi.
L’occultamento del Corvonero dall’altra parte della stanza non è nemmeno la faccenda più bizzarra: Black ha appena subito un processo ed è stato condannato e non pare minimamente turbato dalla cosa. Lupin sta ora spiegando a Frank ed Alice i meccanismi di questi strani processi che a quanto pare sono piuttosto frequenti tra i Malandrini, mentre Black sta di nuovo cercando di spostare la benda dall’occhio di Potter ed io decido che questo è il momento migliore per agire. Alice non si volta subito verso di me quando i miei mugugni stizziti le si avvicinano, ma quando le afferro il braccio cimentandomi nella mia espressione più disperata va completamente in panico e questo è ciò che si merita per avermi ignorato così a lungo.
- Oh Godric, Lily! Che c’è, perché sei così rossa? Frank, non respira, aiuto. Sta soffocando!
D’accordo, forse tutta la storia del gesticolare e l’accasciarsi tra le braccia di Alice rovesciando gli occhi verso l’alto è stata un po’ eccessiva e non del tutto necessaria, ma è di fatto quello che sarebbe potuto accadere se loro avessero continuato ad ignorarmi per un altro paio d’ore. Le persone non sono fatte per respirare solo col naso e il soffocamento è sempre dietro l’angolo, per noi Evans in particolare: lo zio Algernon lo sa bene e tra una benda premuta sulle labbra e un ossicino di pollo incastrato in gola la differenza è minima.
Sento dei passi affrettati e sia Frank che Alice stanno ora cercando di rimuovere la benda dalla mia bocca, anche se è difficile separarla dalle altre, sovrapposte in una fastidiosissima prigione di stoffa. Frank mi dà già per spacciata, lo capisco dal tono rassegnato della sua voce, e potrei effettivamente smettere di fingere di essere priva di sensi, ma una parte di me vuole che Alice viva a pieno questi momenti di tensione convinta che io sia ormai trapassata, giusto per ricordarle in futuro di non ignorare più la sua migliore amica per dare corda a Potter. Ed è nel momento esatto in cui la benda viene strappata e la voce di Potter si fa entusiasticamente portatrice di parole come ‘respirazione bocca a bocca’ che decido di porre immediatamente fine alla faccenda, aprendo gli occhi e tirandomi su di scatto, una mano alta di fronte a me nel caso Potter avesse deciso di attuare l’impensabile. Poi è tutto molto confuso e vagamente doloroso, perché la mia testa sbatte contro qualcosa e Frank geme di dolore, portandosi le mani alla fronte già gonfia da prima e nello stesso momento Potter precipita sul letto con un verso da animale agonizzante e una mano sull’unico occhio visibile, dentro cui ho appena ficcato un dito. Non l’ho fatto apposta, ma vedendolo rotolare lentamente sul letto, invadendo la mia postazione tra le braccia di una sempre più perplessa Alice, mi compiaccio di averlo fatto.
- Scusa Frank, - dico massaggiandomi la testa, mentre Potter mormora lamentoso qualcosa a proposito della sua totale cecità, continuando a rotolare. Qual è il punto di quello comunque? Nel mondo di James Potter rotolare ferma il dolore?
- Apri gli occhi, James, - sospira Lupin, in piedi accanto al lettino. Anche Black è qui ora, mentre Minus fissa la scena ancora sdraiato nel suo letto ed io prendo nota del fatto che una mia eventuale morte per soffocamento non consisterebbe per lui in un motivo sufficiente per alzarsi. Voglio dire, non siamo particolarmente amici, d’accordo, diciamo pure per niente, due chiacchiere di cortesia all’occorrenza e via, ma è cortesia anche mettersi almeno seduti per guardare le persone quando quelle stanno fingendo un’intensa agonia, giusto? Ci dev’essere scritto da qualche parte, nel galateo o nel grande manuale delle norme per un vivere civile, di non ignorare la gente che soffoca o che finge di farlo, specie nel caso di una performance realistica come la mia.
Potter non è cieco, per l’appunto, lo capisco dal modo in cui il suo occhio, dopo numerosi stropicciamenti, si apre e si viene a posare subito su di me, indispettito.
- Evans, - inizia dopo un po’ e non mi piace il suo tono, ma non mi piace mai in effetti. - Per farti perdonare, guarderesti cosa c’è sotto la mia benda?
- No, Potter, - dico subito, perché se lui non fosse stato così vicino a me allora il mio dito non sarebbe finito nel suo occhio e quindi, come sempre, è solo colpa sua. Ma prima ancora di finire di parlare realizzo di essermi effettivamente chinata su di lui, che se ne sta ancora abbandonato a pancia in su sul grembo di Alice come uno straccio usato, e le mie dita scattano a sollevare piano i bordi della sua benda, perché Madama Chips ha detto di non farlo, come se questo potesse nuocere in qualche modo a Potter, il che è onestamente tutto quello che chiedo dalla vita. E poi non sono sicura che i vaneggi di Black sul boccino al posto dell’occhio fossero totalmente infondati, che Madama Chips ha appena cercato di soffocarmi e sta ora facendo cose sospette al Corvonero là in fondo, cose così sospette e malvagie da non affacciarsi nemmeno dalle tende per ordinarci di fare silenzio. C’è un momento prolungato di silenzio teso, in cui Frank smette di lamentarsi per la testata e il letto di Minus scricchiola appena mentre lui si mette in ginocchio sporgendosi verso di noi – ma certo, ora si degna di alzarsi.
I capelli di Alice mi sfiorano la guancia mentre si china anche lei a vedere cosa ci sia sotto la benda di Potter e Black sale quasi in braccio al suo amico per guardare.
- Oh Godric, - esclamo inorridita tirandomi indietro all’improvviso, mentre Black trattiene rumorosamente il fiato. – Oh Godric.
- Cosa? Cosa c’è? – Potter si tira a sedere di scatto, spostando frenetico lo sguardo da me al suo amico. – È un boccino? Ci ha messo un boccino?
- È disgustoso, - Il lettino molleggia quando Black si lascia cadere accanto a Frank, scuotendo la testa e portandosi enfaticamente una mano alla fronte. – E tutto questo solo per un po’ di puzzalinfa. Orribile.
- Questo cosa? Oh Godric, lo sapevo, si è presa il mio occhio e ora Corvonero vincerà la coppa. Ho i capelli azzurri e un occhio solo e Corvonero si fotterà la mia coppa!
Potter sembra indeciso se svenire o mettersi a piangere ed io sono sul punto di rincarare la dose, perché pare che Potter si dimentichi di essere odioso ed altezzoso quando pensa che la sua vita sia finita, ma Lupin decide infine di intervenire. Molto maturo da parte sua, certo, ma anche un po’ guastafeste: avevo pronta una bella storia su un enorme vermiciattolo molliccio che avrebbe fatto dell’orbita vuota di Potter la sua nuova casa.
- James, - sospira rassegnato, prendendo posto nello sgabello affianco al letto. – Ti stanno prendendo in giro. Il tuo occhio è normalissimo, solo un po’ rosso.
Per qualche motivo, Potter non sembra fidarsi particolarmente di Lupin e lo scruta sospettoso a lungo, prima di incrociare con lo sguardo il ghigno compiaciuto di Black che rende immediatamente inutili i miei sforzi di restare impassibile.
- Divertente, - dice Potter, ma non suona affatto divertito. - Proprio come sarà divertente quando Remus sarà l’unico tra di voi ad avere i biglietti gratis...
- Per le tue partite quando sarai un Cercatore famoso in tutto il mondo, - lo interrompe Black roteando gli occhi al cielo. - Sì, Prongs, lo sappiamo. 
- Io non ho fatto nulla, - puntualizza Frank, che dalla sua postazione  non aveva in effetti un’ottima visuale.
- Sei stato omertoso, Paciock, di nuovo.
- Ma non riuscivo nemmeno a vederlo il tuo occhio da qua, come potevo sapere...
- Allora avrai un posto talmente lontano dal campo da cui non vedrai nulla.
- Ma...
- Frank, - interviene Lupin, improvvisamente autoritario. - Noi, io, Sirius e Peter, cerchiamo di non dargli corda quando parla del suo futuro da celebrità.
Frank annuisce, mentre io aggrotto la fronte. Quindi i suoi amici ci provano a contenere l’ego esorbitante di Potter nei limiti dell’umano, o almeno all’interno dei confini di Hogwarts. Questo è quasi eroico da parte loro, oltre ad essere vagamente inquietante: se questo è l’ego di Potter sottoposto a restrizioni e controlli da parte dei suoi amici, quanto più vasto sarebbe se lasciato allo stato brado?
- Hai appena perso il tuo biglietto, Remus. Sai cosa, comprerò lo stadio e vi impedirò l’accesso.
- James, siamo a tre. Un’altra e scatta la punizione.
- Cosa?
- Di regola gli sono concesse al giorno un massimo di tre allusioni a quando sarà un Cercatore di fama mondiale. Se arriva a quattro abbiamo il diritto di imbavagliarlo e rinchiuderlo in un’armatura, - mi spiega velocemente Lupin, che è una persona alquanto misteriosa e impenetrabile, perché penseresti che lo stesso ragazzo che va contro a tutti i suoi doveri di Prefetto rifiutandosi di mettere in punizione i suoi amici si rifiuterebbe anche di imbavagliarli e rinchiuderli nelle armature, ma a quanto pare no.
- Una regola, Potter? Quale persona ha bisogno di una regola del genere? – sbotto incredula, mentre l’altra metà del mio cervello inizia immediatamente ad elaborare un piano per indurlo a cianciare ulteriormente della sua gloria futura, perché c’è qualcosa di attraente nell’immagine di Potter intrappolato in un’armatura con un bavaglio sulla bocca. Suona come qualcosa da vedere prima di lasciare Hogwarts.
– No, lui non, insomma, non la infrange quasi mai in ogni caso, - Lupin interviene frettoloso, improvvisamente a disagio. – Di solito non arriva nemmeno a due, davvero.
E annuisce deciso, come a rendere convincenti le sue parole, mentre io sono improvvisamente conscia dell’intensità con cui gli occhi azzurri di Minus sono fissi su di me. Le labbra di Black sono contratte in una specie di ghigno trattenuto ed io sposto lo sguardo dall’uno all’altro perplessa. Questi devono essere gli effetti di stare attorno a Potter tutto il giorno, per forza. Quel ragazzo spande la sua pazzia tramite i capelli ed è per questo che se ne stanno tutti così sparati verso l’alto in tutte le direzioni, come se cercassero di fuggire dalla sua testa. Anch’io cercherei di fuggire dalla testa di Potter se ci fossi attaccata, per l’appunto.
- Non mi interessa, Lupin, - puntualizzo, prima di schiaffeggiarmi mentalmente perché questo è l’effetto che mi fa dare risposte piccate a Remus Lupin. Credo che sia una cosa universale in realtà, è semplicemente che certe persone hanno una certa faccia, una certa voce e non puoi semplicemente essere scortese con loro. – Voglio dire, è interessante, grazie dell’informazione, - Ora tutti mi stanno guardando come se fossi pazza, forse per via delle bende che mi ricoprono la faccia o per le cose senza senso che stanno uscendo dalle mie labbra, così decido di cambiare argomento. – Guardate là, credo che Madama Chips stia vivisezionando il Corvonero che ha fatto esplodere la puzzalinfa.
Gli occhi di tutti si spostano sulle tende tirate dall’altra parte della stanza, da cui continuano a provenire bassi lamenti, e a giudicare dalla sua espressione allarmata credo che Frank mi abbia preso troppo sul serio.
- Ah! Era un Corvonero? – Potter esulta trionfante, facendo sobbalzare Alice. - Lo sapevo che non sono tutti così intelligenti, lo sapevo.
- Certo che non sono tutti intelligenti, Potter, - commento alzando gli occhi al cielo. Sei anni ad Hogwarts e ancora mi tocca sentire questi ridicoli stereotipi sulle Case, come se si potesse capire tutto di una persona semplicemente dal colore di un cravattino.
- E tu lo sai meglio di tutti noi, vero, Evans?
Il sorrisetto sornione di Potter mi suggerisce da subito l’intento offensivo delle sue parole, ma ci metto qualche secondo a realizzarne il significato. E a quel punto la replica nasce spontanea sulle mie labbra.
- Non saprei dirti se il quoziente intellettivo di Dean sia all’altezza della media della sua Casa, Potter, ma almeno lui non ha bisogno di ripetizioni per raggiungere Accettabile.
Per un secondo ho la sensazione che anche i lamenti del Corvonero su cui Madama Chips sta sperimentando nuove tecniche di tortura si fermino, mentre Frank smette di cercare di convincere Alice ad andare a sbirciare cosa sta accadendo dietro quelle tende tirate ed entrambi si zittiscono, lanciandomi un’occhiata di sfuggita, prima di spostare lo sguardo altrove a disagio. Non ho bisogno di vederli per sapere che gli occhi di Black, Lupin e Minus sono fissi su di me ora.
D’accordo, non è stato particolarmente leale da parte mia.
Quando la McGranitt l’anno scorso mi ha assegnato una ragazzina del secondo anno a cui fare da tutor per evitare che venisse bocciata in Incantesimi, la prima cosa che mi ha raccomandato è stata di non farle pesare la sua mancanza, di non farla sentire stupida per aver bisogno di aiuto in una materia. E sono quasi scoppiata a ridere in faccia alla mia Capocasa, perché, sul serio, c’era bisogno di specificarlo? Che razza di persona farebbe leva sul punto debole di qualcuno per farlo sentire un idiota, invece di chiarire che è normale essere portati per certe cose e negati per altre?
Io, a quanto pare.   
Solo che questo è Potter e non è assolutamente la stessa cosa. Mi costituirei di mia sponte da Madama Chips pregandola di imbavagliarmi di nuovo e in modo permanente per il bene comune se avessi appena messo in imbarazzo di fronte a tutti per una cosa simile Hestia Jones, la Tassorosso del secondo anno a cui ho fatto da tutor e che ora è convinta io sia la sua sorella maggiore, o in generale se lo avessi fatto a qualunque altro studente di Hogwarts. Davvero, non avrei problemi, mi alzerei da questo lettino e mi offrirei come cavia a Madama Chips al posto del povero Corvonero, perché me lo meriterei, solo che non è questo il caso, perché è Potter. E Potter è chiaramente l’eccezione, a lui non si applicano le regole di decenza e comportamento che valgono con tutti gli altri, perché è così che funziona: lui usa le mie debolezze e io le sue. Lui comincia, sempre, ogni singola volta, e io ho il diritto di finire. È sempre stato un gioco sporco tra noi due, perché è così che lui ha voluto sin dall’inizio e non l’ho mai visto risparmiarsi un colpo o una frecciata, mai in sei anni, su qualunque cosa, quindi se lui ora mi svela un suo punto debole e poi mi passa un coltello dalla parte del manico, io lo afferro e lo accoltello, perché l’assurdità vera sarebbe se non lo facessi.
E non è come se Potter fosse un’insicura ragazzina del secondo anno comunque e prima di poter arrivare a lui le mie parole devono scontrarsi con gli innumerevoli strati di ego ed eccessiva sicurezza di sé che lo avvolgono, quindi, davvero, i suoi amici potrebbero smettere di fissarmi così, sono piuttosto sicura che il mio coltello si sia frantumato molto prima di sfiorare anche solo la pelle del ragazzo che mi sta di fronte.
Potter, per l’appunto, mi fissa per un attimo palesemente a disagio e preso alla sprovvista, ed io lo guardo a mia volta spiazzata, perché che diavolo sta facendo? Non può guardarmi così. Poi lui si ricorda di essere Potter e non quindi il tipo di persona che si fa toccare da certe cose, dove con tipo di persona intendo qualunque altro essere umano a parte lui, e tutto torna alla normalità, dove con tutto intendo Potter e con normalità intendo stronzo.
- Non misurerei l’intelligenza con la riuscita o meno in Pozioni, Evans, contando che i più bravi della classe siete tu e Mocciosus. E voglio dire, restando amici l’uno dell’altro per cinque anni non vi siete dimostrati particolarmente brillanti.
Come volevasi dimostrare.
Debolezza per debolezza, proprio come dicevo, senza risparmiare colpi.
Con la differenza che lui non si fa il minimo problema ad accoltellarmi e rigirare la lama nella piaga: lo capisco dal sorrisetto insopportabile con cui lo fa e dal suo tono sprezzante, che di certo lui non prende in considerazione nemmeno per mezzo secondo l’idea di farsi imbavagliare da Madama Chips mentre dice queste cose e anzi, se la gode fino in fondo. Perché è James Potter e questo è quello che fa e quello che è e la prossima volta che prenderò in considerazione l’idea di farmi vivisezionare da Madama Chips per colpa sua dovrò ricordarmelo.

*

Ho sempre saputo che i miei amici sono degli idioti e che James in particolare è un idiota, ma improvvisamente mi sento fisicamente e psicologicamente così sopraffatto dalla constatazione di quanto sia effettivamente idiota da scordarmi come si fa a respirare. E quando la persona che si è scordata come si respira non è la più idiota nella stanza, allora è semplicemente merda. Scura, melmosa, maleodorante merda.
Persino Sirius sta pensando che James è un idiota ora, lo vedo dal modo in cui lo guarda vagamente accigliato, come se se ne fosse appena reso conto, e quando Sirius è in grado di riconoscere l’idiozia nei comportamenti altrui allora significa che siamo alla frutta.
Peter non lo ha capito invece.
Nutre troppa ammirazione per James per capire che la risposta alla sua domanda, quella che ha scritta sul volto confuso, ovvero perché fa così se è cotto di lei?, è che è un idiota.
Sono anche io un idiota naturalmente.
Quello che ho dato a James è il peggiore dei consigli, ora riesco a vederlo. Perché poteva essere plausibile che passando più tempo con lei, ora che è finalmente consapevole dei suoi sentimenti, James iniziasse a mostrarle più James e meno Potter, ma pare che stia accadendo l’esatto opposto: ora che lo sa, ora che è conscio della sua debolezza per lei, James si sta impegnando ancora di più per conformarsi alla tremenda immagine che lei ha di lui. O forse, e questa è la cosa peggiore, non si sta impegnando affatto.
Il punto è, cosa può fare Remus Lupin in tutto ciò?
Offrire a James della cioccolata, picchiare James con della cioccolata, mangiare da solo la cioccolata e lasciare in pace James, nessuna di queste ipotesi sembra anche solo vagamente utile. E non mi piace non essere in grado di aiutare i miei amici ad essere meno idioti, perché è fondamentalmente quello che farei per tutto il tempo, aiutare i miei amici, ma a volte non posso e basta e devo accettare di starmene in un angolo a guardare Sirius che beve il terzo bicchiere di Firewhiskey in una sera, anche se so già che questo lo porterà a ficcare la lingua nella bocca di quella Serpeverde che sembra un buldog e disperarsi per giorni poi, devo vedere Peter infilarsi la terza fetta di torta in bocca in una mattinata e poi ascoltarlo lamentarsi in bagno per il resto del pomeriggio, anche se io sapevo che sarebbe successo, e a quanto pare ora devo stare in silenzio mentre James fa di tutto per farsi odiare ulteriormente dalla ragazza di cui è perso, perché a volte non c’è nulla che un Remus Lupin possa fare per salvare i propri amici dalla loro idiozia, semplice così.

*

Evans guarda James come se fosse lo sporco che resta a volte intrappolato sotto le unghie e pare sul punto di dire qualcosa di molto poco carino, a cui poi James risponderà in modo ancora meno carino e così via all’infinito fino a quando la testa di Remus non esploderà.
- Allora, Evans, - Non sono il tipo da interrompere un litigio sul nascere, perché la gente risulta più interessante ai miei occhi quando si insulta, ma James è tremendamente in imbarazzo ora, cosa che nessun altro pare notare, dal momento che il suo imbarazzo tende a tradursi in sorrisetti passivo aggressivi e battutine aspre, e onestamente non è divertente quando non sono io ad imbarazzare il mio migliore amico, così decido di attirare l’attenzione su di me. – La festa: parliamone. 
- Giusto, la festa, - annuisce Alice, altrettanto entusiasta di cambiare argomento. – Mary ha già informato le Tassorosso del quinto: tempo qualche ora e lo saprà tutta la scuola.
- Le Tassorosso del quinto sono invitate? – chiede Frank perplesso ed io alzo gli occhi al cielo, ricambiando l’occhiata esasperata di Alice: quanta incompetenza. – Non mi piacciono le Tassorosso del quinto, ho sempre la spiacevole sensazione di essere giudicato quando finisco nel loro campo visivo.
- Perché è esattamente quello che fanno, amore, - spiega Alice, mentre tutti, a parte Evans e James che stanno ancora litigando silenziosamente con gli occhi, aggrottano la fronte, confusi. È assurdo che nessun altro in quest’infermeria sia in grado di cogliere i meccanismi fondamentali alla base della vita sociale di Hogwarts, nemmeno fossero così difficili da afferrare: dare una festa senza invitare le Tassorosso del quinto, che razza di assurdità. – Ma quale sarebbe il punto di dare una festa senza invitarle?
- Dare una festa, invitare i nostri amici e, beh... – Frank finisce la frase, ma qualcosa nel suo tono incerto mi suggerisce che è ora consapevole del suo errore. - Divertirsi?
Alice ha l’aria di voler proseguire nel suo commovente tentativo di spiegare al suo ragazzo come funziona il mondo, ma io la precedo, scuotendo la testa spazientito. 
- Frank, per favore. Non fai i compiti di Trasfigurazione per poi nasconderli alla McGranitt, no? Glieli consegni. A meno che tu non sia un vigliacco. Ti sembriamo dei vigliacchi? Ecco. Ora, Evans,- La mia mano blocca  con noncuranza qualunque cosa Frank volesse ribattere e Alice mi guarda grata. - Hai intenzione di aiutare o devi fissare James ancora a lungo?
Dopo aver indugiato per qualche altro secondo sul mio amico con uno sguardo di fuoco, Evans si gira infine verso di me con un sospiro. –  Qualcuno mi ricorderebbe di nuovo cosa c’entrate voi quattro con la mia festa?
- Beh, Evans, vedila in questo modo: se l’avremo organizzata noi, la riuscita sarà merito nostro e saremo meno tentati di sabotarla.
- Ed ecco che la mia leggenda va in fumo, - Evans borbotta sottovoce tra sé, scuotendo la testa contrariata. – Quel gruppo di Grifondoro, ecco cosa diranno.
- Non raggiungeremo la fama eterna senza di loro, Lil, - Interviene Alice, per nulla turbata dal fatto che la sua amica si sia messa a parlare da sola. - Non con soli due giorni a disposizione per organizzare il tutto.
- Fama eterna, Evans? – E questo è James, ovviamente. - Tu aspiri alla fama eterna ed io sono l’egocentrico?
- Lo sai, Potter, il fatto che possano esistere al mondo altre persone egocentriche non rende te meno egocentrico, ne sei consapevole, sì? – La sensazione che nessuno qui si renderà utile e che la festa sarà organizzata interamente da me e Alice si fa di colpo più forte, proprio come il mio odio per il genere umano. - O sei così egocentrico da pensare di essere l’unico egocentrico in tutto il mondo?
James pare molto offeso dall’accusa di Evans e fa per ribattere, salvo poi bloccarsi e aggrottare la fronte perplesso.
- Cosa?
- Esatto, Potter, esatto.
- Non usare il tono trionfante con me, Evans, non stai trionfando, ok? Non puoi trionfare, perché nulla di quello che stai dicendo ha senso. 
- La tua faccia non ha senso, Potter.
- La mia faccia? - James ha la stessa espressione di quando è entrato in camera sua la volta in cui avevo deciso che sarebbe stato divertente sostituire tutti i suoi poster dei Cannoni di Chudley con quelli delle Vespe di Winbourne. È stato divertente, per l’appunto, e la signora Potter alla fine gli ha anche impedito di farmi dormire davvero in giardino quella notte. – Avete sentito cosa mi ha appena detto?
James continua ad emettere quei buffi versetti che fa quando è sopraffatto dall’indignazione e lascia correre lo sguardo attorno a sé per controllare che siano tutti sconvolti quanto lui dall’ardire di Evans, salvo poi incontrare solo sguardi estremamente perplessi e tornare così a rivolgersi a lei.  - E la faccia di chi avrebbe senso, Evans? Sentiamo. La faccia di Philips ha senso?
- Se proprio vuoi saperlo, Potter, sì, la sua faccia ha perfettamente senso, grazie dell’interessamento.
Evans incrocia le braccia al petto con ostentata indifferenza e James accenna una risata incredula.
- E cosa ci sarebbe di così sensato nella sua faccia? Gli occhi da cane bastonato? Quelli avrebbero senso solo se qualcuno gli stesse colpendo ripetutamente le palle, Evans, mi dispiace dirtelo.
- Oh, ma certo, Potter, come se i tuoi occhi avessero un senso invece, mh?
- E il naso? Che senso ha quello? Sembra una fusione tra una patata e una pera, dov’è il senso in questo? Se sei un naso, allora sii un naso e basta, no? È questo che fanno i nasi sensati, essere ciò che sono. E se proprio vuoi assomigliare a un ortaggio, allora scegli, o una patata o una pera, non puoi essere entrambi.
- La pera è un frutto, Potter, dove vivi?  
- Ma no, perché mai uno dovrebbe aspettarsi determinazione e coerenza dal naso di Dean Philips dopotutto. È chiedere troppo. Quella è la tua idea di senso, Evans? Wow. Non so nemmeno con che coraggio lo faccia chiamare naso, davvero.
- Oh, vogliamo parlare di nasi? Pensi che il tuo naso abbia un senso invece, Potter? – C’è qualcosa di bizzarro e vagamente affascinante nel modo in cui James è appena riuscito a far regredire Evans ad un’età mentale non superiore ai dieci anni ed io li osservo entrambi come ipnotizzato. – A starsene proprio lì, in mezzo alla tua faccia, come se niente fosse?
- Il mio naso? Il mio naso non avrebbe senso, Evans? Spero tu stia scherzando.
James si passa veloce una mano tra i capelli, dimenticandocela poi in mezzo come fa sempre quando si infervora e gli occhi di lei indugiano sulle dita abbandonate tra le ciocche scure un po’ troppo a lungo, come se fosse lì lì per fargli notare quale altre parte del suo corpo manchi palesemente del minimo senso. 
- No, non sto scherzando.
- Oh, andiamo, guardalo, è perfetto. Cos’avresti da ridire sul mio naso?
- Beh, è, - James, che si è tolto gli occhiali e si sporge verso Evans col naso per aria e gli occhi chiusi, mostra un’espressione concentrata piuttosto fuori luogo, perché nessuno dei suoi sforzi influirà minimamente sulla fisionomia del suo naso, ma Evans è troppo occupata a fissare suddetto naso nel tentativo di trovarvi un difetto per notarlo. Poi James fa un salto indietro con un gemito ed Evans riacquista l’aria trionfante, riabbassando la mano con cui ha appena dato un cicchetto al naso del mio amico. – È debole, ecco cosa. Grande utilità avere un naso perfetto, ma debole, Potter, come no.
C’è qualcosa di eccessivamente melodrammatico nel modo in cui James getta la testa all’indietro portandosi entrambe le mani alla faccia, come se fosse appena stata colpito da un bolide e stesse sprizzando sangue ovunque, e a un certo punto, mentre incrocia per una frazione di secondo il mio sguardo, pare rendersi conto persino lui della totale non credibilità della sua recitazione, tant’è che lascia perdere la voce dolorante che sicuramente aveva già intenzione di sfoderare e ne tira fuori una stizzita.
- Non puoi toccare il mio naso, Evans, ok? – James mi cerca di sfuggita con gli occhi ed io annuisco impercettibilmente per comunicargli la mia approvazione per il repentino cambio di rotta. Remus, alle sue spalle, scuote impercettibilmente la testa, perché è contrario alla sua natura concordare con me. - Le persone che aspirano la faccia di Philips non possono toccare il mio naso.
James sta nominando Philips un po’ troppo spesso perché lui ed il resto del mondo possano continuare a fingere che la sua non sia una patetica e imbarazzante scenata di gelosia, così allargo appena gli occhi in un segno d’avvertimento che si rivela inutile, perché lui ha appena smesso di controllare a intervalli regolari la mia espressione, cosa che mi rende impossibile salvarlo da se stesso. Remus e Peter hanno un’aria preoccupata, ma io smetto di trattenere un sorrisetto beffardo e gli lascio prendere possesso delle mie labbra, perché se non posso impedire al mio migliore amico di rendersi ridicolo, tanto vale deriderlo.   
- Io non aspiro, Potter, forse tu aspiri. Io bacio, come le persone normali fanno, - Evans si alza dal lettino e inizia a dirigersi spedita verso la porta dell’Infermeria, salvo poi fermarsi di scatto e tornare indietro con nonchalance, perché in  effetti sono l’unico a poter uscire di qui quando e come voglio. Adoro questa sensazione di onnipotenza, per l’appunto: usare Peter come scudo umano è stata la cosa migliore che io abbia mai fatto. - E non ho alcun interesse a toccare il tuo naso, potresti anche non averlo per quel che mi riguarda.
- E invece ce l’ho, Evans, – James si alza a sua volta con un lampo di sfida nello sguardo e alle sue spalle Frank si porta entrambe le mani alle tempie con un’espressione molto addolorata o molto concentrata, una delle due. - È anche questo un segno del mio estremo egocentrismo?
- Non mi interessa, Potter: la tua faccia è priva di senso indipendentemente dalla presenza o meno del naso.
James non emette più versetti buffi ora, il che rende il tutto meno divertente e anche un po’ seccante. Annoiato lascio vagare lo sguardo per l’Infermeria, notando che Remus non fa che aprire la bocca per poi pentirsi e richiuderla senza emettere un suono, mentre lo sguardo assente di Alice è fisso su una finestra dall’altra parte della stanza e forse almeno lei si sta rendendo produttiva pensando alla festa. Peter sta parlottando a bassa voce con il Tassorosso che continua a spiarci e credo che stiano mettendo insieme le forze per capire l’argomento del litigio.
- Questo mi rincuora, Evans, perché detto da chi trova sensata la faccia da pesce lesso di Philips può essere solo un complimento, - Dev’esserci nel nome ‘Evans’ una pesantissima offesa nascosta che mi sfugge, perché solo questo spiegherebbe come mai James continui a specificarlo, come se non fosse perfettamente chiaro a tutti a chi si sta rivolgendo, e come mai Evans assottigli lo sguardo ogni volta che lo sente, come se ora anche per lei il suo stesso nome fosse un insulto. Il nome Philips, d’altro canto, ha fatto spalancare gli occhi di Frank con un lampo d’improvvisa comprensione che gli illumina il viso.
Non lo definirei un risvolto positivo, ma ho recentemente deciso di disinteressarmi dell’intera faccenda per la mia sanità mentale, quindi non gli farò esplodere nulla in faccia per distrarlo. E poi ho fame. 
- Oh, ma forse la sua faccia acquista un senso solo se vista da vicino, - continua James, ignaro dello sguardo meravigliato di Frank ora fisso su di lui. - Dimmi, Evans, la faccia di Philips ha più senso mentre cerchi di aspirarla tutta dentro la tua bocca?
Mi sto infilando in tasca le tavolette di cioccolata sparse sui mobiletti accanto ai lettini, pronto per una ritirata tattica verso zone del castello più interessanti, quando la risposta di Evans mi costringe a bloccarmi.  
- Oh, non lo so, Potter, la faccia di Black ha senso quando fai lo stesso con lui?
Non mi piace essere tirato in mezzo contro la mia volontà e sto elaborando una replica che rimetta Evans al suo posto, ma James ora ha ricominciato ad emettere quei versetti increduli che fa quando è sopraffatto dall’indignazione ed è troppo ridicolo perché io possa concentrarmi. Quando fa per parlare considero la possibilità di atterrarlo, ma sono troppo lontano.
- Io cosa? - James pare optare per la negazione assoluta e per un attimo mi sento quasi in colpa per la mia precedente mancanza di fiducia in lui. Solo che poi lui continua a parlare stizzito ed io mi ricordo di avere sempre ragione a diffidare dell’intelligenza delle persone che mi circondano. - Oh, scommetto che tu al quarto anno lo reggevi benissimo il Whiskey Incendiario!
Odio il genere umano così tanto.

*

Sirius si chiude la porta dell’Infermeria alle spalle senza proferire parola e questa notte dovrò controllare che non ci siano piante carnivore o cose del genere sotto il mio cuscino.
- Cosa? - Evans mi fissa perplessa.
- Cosa? - Anche la mia voce suona perplessa.
- Cosa? - dice un Tassorosso a cui non ho mai rivolto la parola in vita mia.
Remus non dice niente e per questo gliene sono infinitamente grato.
- Hai detto qualcosa a proposito del quarto anno e del Whiskey Incendiario, - insiste Evans. 
- No, non è vero.
- Sì, lo hai detto.
- No, Evans, sei pazza, - ribatto sicuro. - E senti le cose. È questo che le persone pazze fanno, sentire le cose e baciare Dean Philips. Sei chiaramente incapace di intendere e di volere. Perché ti sei tolta la benda? Madama Chips ti aveva imbavagliato per un motivo.
- Sì, perché è malvagia e sta vivisezionando quel Corvonero per divertimento, questo è il motivo.
Sto per fare notare ad Evans che Madama Chips sa perfettamente quello che fa, dato che il Corvonero che sta venendo torturato se lo merita a pieno, essendo lo stesso che ci ha fatti finire qui in primo luogo, e per Godric, come può essere un Corvonero se è così tonto da giocare con un pallone di puzzalinfa in corridoio invece di lanciarlo nella Sala Comune dei Serpeverde come qualunque persona dotata di buonsenso farebbe? In ogni caso, Madama Chips mi precede, tirando le tende del lettino del Corvonero con un gesto secco.
- Signorina Evans, la pregherei di abbassare il tono di voce. E il signor Stebbins, dopo che ho passato l’ultima ora ad applicargli unguenti su unguenti, è ora in perfetta forma, come può constatare lei stessa.
Stebbins muove la mano completamente fasciata nella nostra direzione in un segno di saluto ed io lo fulmino con l’unico occhio che la sua incompetenza mi ha lasciato, mentre Evans inizia a balbettare in preda all’imbarazzo.
- Ma certo che sta bene, ma certo. Perché lei è un’ottima Infermiera. Ottima. Lei sa quello che fa, Madama Chips. Sapeva di dovermi imbavagliare. Lei sa. Ha un’altra benda, per cortesia?
- No, signorina Evans, per quanto la riterrei necessaria: la presenza sua e dei suoi amici qui non è più richiesta, siete pregati di lasciare la mia Infermeria, - Madama Chips sospira seccata, lasciando vagare i suoi occhi contrariati e accusatori su ognuno di noi, prima di dirigersi lentamente verso il suo ufficio. - Togliete le bende prima di cena, per quell’ora dovrebbero essere sparite anche le ultime tracce di rossore. Signor Paciock, lei eviti solo di sbattere nuovamente la testa per le prossime ventiquattrore. Forza, andate. 
Non me lo faccio ripetere due volte e in men che non si dica sono alla porta, impaziente di lasciare questo posto: non mi piace l’Infermeria, la perenne pretesa di silenzio e gli odori bizzarri degli unguenti la rendono l’equivalente dei due luoghi più irritanti di tutta Hogwarts, la Biblioteca e l’aula di Pozioni. 
- Lei no, signor Potter, aspetti cinque minuti, - Un altro motivo per cui odio l’Infermeria, è che una volta che sei dentro, non sai mai quando ne uscirai. Primo errore: mai, mai abbassare la guardia. - Finisco qui e vengo a controllarle l’occhio, abbia pazienza.
Madama Chips torna a frugare nell’ampia credenza oltre la porta del suo ufficio con aria impassibile, ma io so che sta trattenendo una risata trionfale e malvagia. Lo ha fatto apposta, ne sono sicuro: poteva informarmi da subito che non ero tra i privilegiati degni di riabbracciare la libertà, ma il suo piano è sempre stato dall’inizio quello di alimentare le mie speranze per poi infrangerle all’ultimo e godersi la disperazione nel mio sguardo. Cinque minuti, dice, come no.
La mia mano vola alla maniglia più veloce di prima, perché devo uscire di qui il prima possibile o non importa se mancano ancora un paio di settimane alla partita contro Tassorosso, la passerò qui legato ad un lettino, perché Madama Chips è subdola proprio così. Solo che Remus e i suoi occhi accusatori si frappongono tra me e la porta e quando lui se ne va Madama Chips è già riemersa dal suo ufficio e mentre si china su Stebbins continua a lanciarmi occhiate guardinghe, conscia della mia troppa vicinanza alla via di fuga. Torno a sedermi sul lettino con uno sbuffo, mentre tutti gli altri escono – Frank non prima di avermi dedicato un lungo sguardo penetrante accompagnato da uno strano sorrisetto. Ricambio perplesso, ma lui si limita ad annuire tra sé e andarsene senza una parola. Tipo sospetto, quel Frank Paciock.
- Alle sei, Potter.
Sto ancora fissando la porta con invidia e quando rispondo ad Evans la mia voce non suona come quella di qualcuno che non è nel bel mezzo di un attacco cardiaco. Non mi ero accorto che fosse rimasta indietro.
- Cosa?
- Tu e il tuo naso, alle sei nell’aula di Pozioni.
La fisso per qualche altro secondo prima di realizzare e a quel punto le mie labbra si muovono da sole.
- Lascia perdere, Evans, ho cambiato idea.
È il suo turno di fissarmi perplessa.
- Cosa?
- Ho cambiato idea, - Continuo incurante con un’alzata di spalle. - Non ho voglia di chiudermi in un’aula a mescolare intrugli anche quando non sono obbligato.
Sto guardando un punto indefinito alle sue spalle, ma vedo comunque la sua fronte aggrottarsi e avverto i suoi occhi su di me per diverso tempo, prima che lei scoppi in una risata incredula.
- Godric, Potter, ti sei offeso davvero?
- Affatto, Evans, - replico subito, offeso come non lo sono mai stato in vita mia. – Avere la visuale dimezzata mi ha semplicemente offerto una nuova prospettiva sulle cose e mi ha fatto capire che non vale la pena perdere tempo prezioso nei sotterranei.
- Piantala, Potter, hai della puzzalinfa in un occhio, non hai rischiato di morire, - Evans incrocia le braccia al petto seccata, scoccandomi un’occhiata spazientita. - E non puoi venire da me a chiedermi aiuto e poi ritirare la richiesta quando ti ho già detto di sì, quindi porta il tuo ego nell’aula di Pozioni alle sei esatte e fai poche sceneggiate.
- Sceneggiate? – esclamo sconvolto, incredibilmente indignato dal fatto che lei si permetta di interrompere così la mia sceneggiata. – Io non faccio sceneggiate, Evans, sei tu che le fai. Io ho solo cambiato idea, non posso?
- Oh, Godric, Potter, sei incredibile, - Evans sospira e non credo che intenda incredibile nell’accezione positiva del termine. La mia espressione dovrebbe comunicarle la mia disapprovazione per ciò, ma lei ha chiuso gli occhi e sta prendendo dei profondi respiri, come se stesse per tuffarsi in acqua. Poi li riapre e sembra un po’ meno esasperata. - Ascolta, non penso che tu sia un idiota perché sei un disastro in Pozioni, ok? Penso che tu sia un idiota perché sei un idiota.
Sono vagamente consapevole di come questo sia il suo tentativo di alleviare la ferita precedentemente offerta al mio orgoglio e sono altrettanto vagamente conscio di come sia bizzarro che il suo tentativo consista nel ribadire quanto lei mi ritenga un idiota, ma soprattutto mi rendo conto che la cosa più bizzarra è che anche solo esista questo tentativo, quando di solito tutto quello che Evans cerca di fare è assicurarsi che le sue offese arrivino dritte a destinazione. È tutto molto atipico e per una volta le mie labbra decidono di non prendere l’iniziativa da sole, così mi ritrovo a soppesare quale sia la reazione più appropriata per qualche secondo di troppo e quando Madama Chips si avvicina incitando Evans ad andarsene io la sto ancora fissando con la fronte aggrottata.
Prima di chiudersi la porta alle spalle alza entrambe le mani di fronte a sé con sei dita sollevate e uno sguardo eloquente ed io sento improvvisamente di odiare Pozioni un po’ meno del solito.
Ammicco nella sua direzione, poi Madama Chips mi strappa la garza dall’occhio con la delicatezza di un serial killer ed io devo trattenere l’impulso di morderle la mano.
 
 
 

Una decina di minuti dopo, uscendo dall’infermeria libero e con entrambi gli occhi nuovamente funzionanti, sono sicuro che non ci sia nulla in grado di migliorare ulteriormente il mio buon umore.
Questo fino a quando non scorgo una figura pallida che percorre il corridoio nella direzione opposta alla mia, portando inconsapevolmente il suo naso adunco sempre più a portata di bacchetta.
- Ehy, Mocciosus, - La sua mano scatta al solo sentire la mia voce e le dita sottili e cadaveriche spariscono nella tasca scura del mantello, sicuramente ad artigliarsi attorno alla bacchetta. Poi i suoi occhi neri sono su di me, assottigliati in un’espressione di disgusto. - Oh no, aspetta, - aggiungo portandomi una mano alla fronte, come se mi fossi appena ricordato di qualcosa. - Non posso parlare con te, scusa: sono impegnato ad organizzare la festa di compleanno di Evans a cui tu non sei invitato.
Un sorriso gongolante accompagna le mie parole e un lampo d’odio gli attraversa il volto per una frazione di secondo.
- Sparisci, Potter, - sibila gelido, ma alla menzione di Evans la sua maschera d’odio e distacco è crollata per un attimo svelando il suo punto debole e tanto mi basta per continuare a infierire.
- Non è niente di personale, davvero, sono sicuro che tu sia l’anima delle feste, - riprendo, notando soddisfatto le labbra sottili trattenere una smorfia d’odio fino a sbiancare l’una contro l’altra. - Ma pensavo di includere nella lista di invitati solo persone a cui la festeggiata rivolge effettivamente la parola.
- E da quando tu saresti tra quelle, mh? – ribatte sprezzante, di colpo più sicuro. - Lei potrà anche non rivolgermi la parola ora, Potter, ma tu non illuderti nemmeno per un istante di poterne approfittare per insinuarti nella sua vita, - Sempre con la mano ben affondata nella tasca a nascondere la bacchetta, fa un passo in avanti, avvicinandosi lentamente a me e continuando a sibilare come una serpe che si prepara ad attaccare. - Accetta il mio consiglio e metti da parte la tua ridicola cotta, perché non c’è verso che lei ti ricambi un giorno o anche solo smetta di trovarti disgustoso.
- Oh, e tu sì che sai tutto su come conquistare una ragazza, giusto? – Mi lascio andare a una risata beffarda, senza indietreggiare di un passo. - Perdonami, ma credo che farò a meno dei tuoi consigli: non mi pare che la tua ridicola cotta ti abbia portato da qualche parte oltre al farti cancellare completamente dalla sua vita.
- Sei patetico, Potter, - Ancora una volta il suo tono distaccato viene scalfito da un fremito d’odio e la mano visibile, quella stretta attorno alla cinghia della sua borsa a tracolla, trema appena. - Sei così felice di quello che è successo l’anno scorso, non è vero? Sei convinto di avere terreno libero adesso, come se lei potesse mai prenderti in considerazione, come se non sapesse esattamente che arrogante bulletto tu sia.
- Terreno libero? Merlino, Mocciosus, in che razza di universo alternativo vivi se pensi che io ti consideri un potenziale rivale? – sbotto incredulo con una mezza risata. - Quello vorrebbe dire che siamo, sai, allo stesso livello, ma a me piace pensare che ci siano un paio di cose a porsi tra noi, cose come l’igiene personale, la parvenza di una vita sociale, il non passare ogni istante del mio tempo libero a inventare maledizioni e a divorarmi ogni singolo libro sulla magia oscura che si trova ad Hogwarts. Pensandoci, di norma non do nemmeno dei sanguesporco ai miei migliori amici.
Se l’odio potesse uccidere senza bisogno di una bacchetta a fare da intermediario, allora gli occhi di Piton mi avrebbero appena spedito all’altro mondo, ma io non ho finito e trattengo a stento un sorrisetto freddo prima di aggiungere il gran finale con tono casuale.
- E naturalmente c’è il fatto che non ho mai mostrato a mezza scuola il mio...
- Ti credi furbo, Potter, - mi interrompe lui con un ringhio, il sangue che sale veloce a colorargli le guance proprio come quel pomeriggio dell’anno scorso dopo il G.U.F.O. di Difesa. - Ma presto la vedrai, la vedrete tutti. I tuoi amici saranno i primi, lo sai, - I suoi occhietti neri si soffermano ad osservarmi con appagamento, ben consci del modo in cui la mia mascella si è irrigidita. - Vi sentite intoccabili qui a scuola, ma là fuori ve ne renderete conto. Mi chiedo solo a chi toccherà per primo, il mostro o il rinnegato, - La voce di Piton è quasi un sussurro ora ed i palmi delle mie mani iniziano a pizzicare lì dove le unghie stanno spingendo così forte da graffiare la pelle. - Sì, forse pensandoci Lupin riuscirà a tenersi stretta la pellaccia un po’ più a lungo, scommetto che ci sono diversi parenti piuttosto impazienti che non aspettano altro che Black esca da qui per...
Non so come Piton avesse originariamente intenzione di finire la frase, ma Protego è il modo in cui la conclude, mentre il lampo di luce azzurra uscito dalla mia bacchetta si infrange in un insieme di piccole scintille contro la sua barriera invisibile ed io sono già pronto a contrattaccare di nuovo. Siamo in un corridoio affollato, una ragazza ha lanciato un grido di sorpresa e tutti gli altri hanno già creato il vuoto attorno a noi con un mormorio concitato; è questione di secondi prima che spunti un Prefetto o un professore e c’è la partita contro Tassorosso a breve, cosa che rende una punizione ora davvero, davvero sconsigliabile e potenzialmente tragica, ma Piton non sta ancora sanguinando e non c’è nulla di più importante di questo ora, del far sanguinare quella sua bocca disgustosa e insegnargli a non pronunciarli nemmeno i nomi dei miei amici.
- Diffindo, - grido e Piton evita il getto di luce per un soffio, mentre la cinghia della sua borsa si strappa e i libri si spargono a terra in un frusciare di fogli. Qualcuno grida ancora e la folla indietreggia appena, mentre il mio sguardo resta fisso su Piton: le labbra sottili non si muovono, ma la bacchetta accenna un movimento nella mia direzione ed io riesco a deviare appena in tempo il suo incantesimo non verbale lontano da me, mandandolo a infrangersi contro un’armatura che subito inizia ad accartocciarsi su se stessa con un rumore assordante.
- Exulcero, – sibila ancora, ma uno scatto della mia bacchetta fa svanire nel nulla il raggio rossastro partito dalla sua e questa volta sono io ad incalzarlo. Il mio Confringo riecheggia per il corridoio solo per infrangersi contro il suo Protego, ma contemporaneamente un Obscuro silenzioso passa inosservato e va perfettamente a segno, facendo comparire una benda sugli occhi di Piton, che subito punta la bacchetta contro il suo stesso viso per mormorare un Finite Incantate. La benda svanisce giusto in tempo per mostrargli il fascio azzurrino del mio Depulso colpirlo in pieno ed ora Piton è esattamente dove deve stare, in ginocchio ai miei piedi, schiacciato a terra da una forza invisibile che potrebbe essere quella della mia fattura o semplicemente quella della mia lampante superiorità nei suoi confronti. Potrei disarmarlo subito, ma l’onore Grifondoro o qualcosa del genere poi mi costringerebbe a fermarmi e sarebbe una vergogna concludere il tutto senza avergli lanciato neppure una Fattura Languelingua o un Gratta e Netta, giusto per ricordargli di dosare il suo veleno quando parla dei Malandrini. Sento ancora l’impulso di prendere la sua testa e staccarla dal resto del corpo a mani nude, perché già riesco a vedere il Marchio Nero sul suo avambraccio, i contorni ben definiti che spiccano sulla pelle pallida, come se fossero già lì, anche ora; vedo quello che diventerà, quello che già è e vorrei fargli di peggio che riempirgli la bocca di schiuma rosa, vedo le bollicine sgorgare dalle sue labbra mentre lui tossisce e vorrei solo lasciare la bacchetta a terra e prenderlo a pugni, perché lo odio così tanto ed è colpa di quelli come lui se le cose vanno così male là fuori, è colpa sua se non faranno che peggiorare.
Ma siamo a scuola e non c’è ancora nulla sul suo braccio, così continuo a tenere la bacchetta tra le dita, le labbra piegate in quel sorriso beffardo che so che lo manda fuori di testa molto più del vedermi furioso.
- Come, Mocciosus? Non riesco a capirti, scandisci bene!
E non c’è nulla di più appagante del modo in cui i suoi occhi lacrimanti per la tosse si riempiono di odio verso di me, quel genere di odio che non si trova di solito tra i corridoi di scuola, quell’odio che gli farebbe pronunciare l’Avada Kedavra senza ripensamenti. E non importa se le sue labbra traboccano schiuma rosata e le mie sono piegate in un ghigno sornione, quell’odio si rispecchia nei suoi occhi e nei miei con la stessa intensità. E il fatto è, quando una persona ti sta rivolgendo uno sguardo del genere, che sottintende la volontà di spellarti vivo e osservarti mentre ti dissangui lentamente, girarti dall’altra parte non è la cosa più brillante da fare. Probabilmente non mi sarei girato nemmeno se la McGranitt in persona avesse chiamato il mio nome: Potter non è una motivazione sufficiente per distogliere lo sguardo da un Severus Piton al massimo del suo odio nei miei confronti. Capitano, d’altro canto, è una motivazione più che sufficiente, perché ho agognato quella spilla dal primo anno e ora che è finalmente mia è semplicemente fuori discussione non rispondere almeno con gli occhi al paradisiaco insieme di lettere che compongono la parola Capitano.
Un attimo prima Mike sta dicendo qualcosa a proposito del non finire in punizione prima della partita e l’attimo dopo Piton sta sibilando qualcosa di strano e che non ho mai sentito prima. Ha appena finito di articolare la parola Sectusempra quando io mi volto di scatto gettandomi di lato, la bacchetta alzata e uno Schiantesimo già sulle labbra. Piton vola all’indietro ed io sono vagamente consapevole del fatto che la sua fattura deve avermi comunque colpito di striscio, perché mentre mi godo la visione del suo corpo che sbatte contro la parete di pietra per poi rotolare a terra sono conscio di un lieve bruciore al braccio sinistro.
Solo che poi non lo è più, né lieve, né solo bruciore.
E ne sono sicuro, ho evitato quel raggio viola quasi totalmente, mi ha malapena sfiorato, quindi non può esserci così tanto sangue, non ha senso. Dev’essere il braccio di qualcun altro quello che sprizza sangue come una fontanella e che fa male come se qualcuno ne stesse incidendo la carne con più coltelli contemporaneamente, quelli sottilissimi e ben affilati che tengono gli elfi nelle cucine. È chiaramente il braccio di qualcun altro, qualcuno che è stato colpito in pieno da una maledizione Cruciatus e non di striscio da un incantesimo sconosciuto, perché nessuna fattura non al pieno della sua potenza può dare la sensazione così esatta della pelle che viene lentamente tirata via dalla carne viva.
Quindi, non è chiaramente il mio braccio.
Da dove dovrebbe uscire poi tutto quel sangue? Qualcuno sta continuando a evocare delle garze e a premercele sopra, ma il rosso si fa largo sul bianco della stoffa con una velocità impressionante e quando la mia vista inizia ad annebbiarsi, giungo alla conclusione che sia meglio non informare Mike che quel braccio non è il mio e che quindi non sono io quello che deve accompagnare in Infermeria.
C’è una porta che si apre di fronte a me, una spalla che non è mia e che sta reggendo gran parte del mio peso, e alla fine lo sguardo di Madama Chips, che passa dall’esasperazione di rivedermi così presto a uno sgranarsi preoccupato di palpebre, e poi anche della mia visuale.
 
 

Quando riapro gli occhi, una quantità indefinita di tempo dopo, lo sguardo di Madama Chips è tornato seccato e basta.
- Di grazia, signor Potter, quando lo capirà che questa Infermeria non è la sua stanza? Non può stare sempre qui.
A quanto pare l’unica eccezione ammessa alla sua insofferenza per me è la presenza di più sangue fuori che dentro le mie vene, buono a sapersi.

**********
 
- E dovrebbero esserci...
- Hai ragione, sì, devono esserci assolutamente.
- E anche...
- Sì, anche quelli, li ho già messi in lista. Che ne dici di...
- Oh Godric, sì, è un’idea fantastica, come ho fatto a non pensarci! Aggiungili, aggiungili! Quanti?
- Quanti ne servono, no?
- Un paio in più, per sicurezza. A chi possiamo chiedere per il...
- Il Corvonero del quinto anno, quel tipo che...
- Thomas Belby, giusto. Per la musica invece per forza i dischi...
- ...babbani del padre di Mike, sì, Frank può rubarli per noi, vero, Frank?
Sirius e Alice interrompono per un attimo la loro fitta sessione organizzativa ed alzano entrambi le teste dalla pergamena macchiata d’inchiostro per lanciare un’occhiata interrogativa a Frank, che sussulta colto alla sprovvista e poi si affretta ad annuire, senza dar voce alla mia curiosità che continua a chiedersi perché un furto è per tutti la scelta più ovvia, quando esiste la possibilità di chiedere in prestito oggetti senza sottrarli di nascosto ai legittimi proprietari.
Quando Sirius e Alice tornano alla loro pergamena, Frank si rilassa nuovamente al mio fianco, ricominciando a fissare ipnotizzato le fiamme che crepitano nel camino, mentre io continuo ad ascoltare gli scambi tra Sirius ed Alice cercando di trovarvi una logica. Non è come se non passassi tutto il mio tempo con James e Sirius che interrompono le frasi a metà quando parlano tra loro e omettono complementi oggetti e soggetti, ritenuti non indispensabili nel loro linguaggio fatto più di cenni e sguardi che parole vere e proprie, eppure non mi capacito di come questi due stiano ora organizzando un’intera festa omettendo di scambiarsi la benché minima informazione, come se fosse tutto estremamente ovvio e scontato.
- Che dici, la invitiamo quella tipa di...
- Ah lei, no no, ma ti pare?
- Per movimentare la serata, no?
- Beh, per movimentare la serata potremmo invitare invece quel Tassorosso del...
- Ah, lui, giusto, ottima idea! E anche quell’altro...
- Sì, sì, segna anche lui.
Vanno avanti così da mezz’ora ormai ed io sono infine giunto alla conclusione che la loro sia solo una messinscena: non sanno davvero di cosa stanno parlando, si comportano come se lo sapessero ma non è così; probabilmente la lista di invitati che sta effettivamente stilando Sirius inorridirà Alice perché non si stavano affatto riferendo alle stesse persone. E quando questo accadrà io sarò lì, con la mia capacità di linguaggio e il mio amore per i soggetti e i complementi oggetti e dirò ‘Ah. Ah.’, proprio così, ‘Ah. Ah. Remus Lupin lo aveva detto’. Non gliel’ho detto, per l’appunto, perché sono impegnato a fingere di non essere qui e non ho intenzione di rivolgere la parola a queste persone impegnate nell’organizzare festini illeciti: è che la festeggiata è il Prefetto di Grifondoro e sono convinto che debba sempre esserci in questa scuola almeno un Prefetto per Casa non coinvolto nell’organizzazione di una probabile espulsione di massa.
- Come facciamo per le bevande? Non è prevista nessuna uscita ad Hogsmeade questo weekend.
- Irrilevante. Faremo un salto io e Remus domani.
Sirius non sa evidentemente quello di cui sta parlando ed io sono lì lì per infrangere il mio silenzio e farglielo presente, quando il ritratto della Signora Grassa scorre di lato e Mike fa irruzione nella Sala Comune con l’aria di chi ha una notizia urgente da comunicarci.
- Ehy, Mike, - lo saluta Frank.
- Ho una notizia urgente da comunicarvi.
- Lo so, - annuisco. – Voglio dire, dicci tutto.
- Il Capitano, James, - dice spostando lo sguardo su me e Sirius. – È in Infermeria.
- Oh, lo sappiamo, - Sirius agita distrattamente una mano per aria, come a scacciare una mosca. – Ma non è davvero cieco, sai. Senti, Mike, hai ancora quei dischi babbani di tuo padre, sì?
- Lo sapete? Di già? – Mike sembra molto perplesso ed io mi chiedo che cosa diavolo gli abbia raccontato James. – Wow, ragazzi, non vi sfugge nulla. Cosa? Ah sì, i dischi, certo, li ho nascosti in fondo all’armadio perché Daniel continua a cercare di rubarmeli, ma lì non li troverà mai: sono avvolti in quegli orribili maglioni di lana che prudono.
Come a riprova delle sue parole, Mike inizia a grattarsi un braccio ed è solo allora che noto la sostanza scura che gli impregna la camicia della divisa.
- Ma è sangue quello?
- Giusto, devo cambiarmi, - Mike si lancia una sbrigativa occhiata alla camicia, prima di incontrare il mio sguardo sconvolto. – Cosa?
- Sembra che tu abbia sventrato qualcuno, Muller. Hai sventrato qualcuno?
Sirius suona più intrigato che preoccupato e questo è solo uno degli innumerevoli motivi per cui non sono felice di dormire a pochi metri da lui.
- No, certo che no, - Mike ci guarda come se fosse maleducato da parte nostra non ignorare tutto il sangue che ha addosso, e quando prosegue lo fa con tono di estrema ovvietà. – È il sangue di James.
- Hai sventrato James?!
Peter si blocca a metà scalinata, il pacchetto di Calderotti che era salito a prendere in dormitorio sospeso a mezz’aria e l’espressione di chi è sul punto di scoppiare a piangere.
Mike continua a fissarci con una calma davvero inopportuna per uno che ha la camicia sporca del sangue del nostro amico e Sirius si raddrizza sul divanetto, accigliato.
- Muller, - dice lentamente, una pacatezza nella voce quantomeno allarmante. - Sei ricoperto del sangue del mio migliore amico e non sembri turbato. Questo è un buon momento per spiegarti o per aggiungerci il tuo sangue, una delle due.
- Ma cosa... - Mike lascia correre perplesso lo sguardo su tutti noi, come se gli sfuggisse qualcosa. – Avete detto che lo sapevate già, perché ora siete sorpresi? James è in Infermeria: ce l’ho accompagnato io e questo è il motivo per cui sono macchiato del suo sangue.
- Aspetta, - inizio allarmato. – James è in Infermeria per della puzzalinfa in un occhio, che c’entra il sangue? 
- Il suo braccio, non so che strana diavoleria fosse, una maledizione o cosa, ma non la smetteva di sanguinare, - spiega Mike, mentre io mi irrigidisco e Sirius si alza di scatto, la mano già a cercare lo specchietto. – Madama Chips ha dovuto penare parecchio prima di riuscire ad arrestare il flusso di sangue. Ma ora sta bene, tranquilli, mi ha cacciato dall’Infermeria solo dopo averlo rimesso in sesto.
- Cos’è successo? – chiedo io nello stesso momento in cui Frank chiede - Quale braccio?
- Il sinistro, fortunatamente, - precisa subito Mike ed è confortante notare come le priorità della squadra di Quidditch di Grifondoro restino sempre invariate negli anni. - Non oso nemmeno immaginare quanto avrebbe dato di matto se fosse stato il destro, a nemmeno due settimane dalla partita.
- E gli allenamenti? Madama Chips ha detto quanto ci vorrà prima che guarisca completamente?
Frank e Mike continuano a parlare tra loro di Quidditch per qualche altro minuto, arrivando non so come alle tecniche difensive della squadra di Tassorosso, ed Alice mi guarda comprensiva scuotendo appena la testa. È solo quando mi schiarisco la gola per la terza volta che Mike si ricorda finalmente della presenza di altre cose e persone al mondo oltre al Quidditch.
- Oh scusa, Remus. Cos’è successo, vuoi sapere? Beh, io non posso sapere cos’è successo, la versione ufficiale è che ho trovato James in corridoio già così, - Il mio sopracciglio si inarca impercettibilmente e Mike continua. – Voglio dire, lo so cos’è successo, ma con la partita in avvicinamento è davvero sconsigliabile che io lo sappia. Madama Chips non ha creduto né a me né a James quando le ha detto di non ricordare nulla e aver probabilmente subito un Oblivion, ma non importa quello che Madama Chips crede o non crede, fino a quando non lo può provare.
Vorrei essere più sorpreso di così del fatto che qualunque cosa sia successa sia evidentemente qualcosa che farebbe finire James in punizione, se confessata. Sto per chiedere a Mike ulteriori dettagli, quando Sirius, spostatosi in un angolo isolato della Sala Comune, inizia a parlare apparentemente da solo ed io lo raggiungo subito, chinandomi a mia volta sullo specchietto da cui fa capolino il viso di James.
- Non lo puoi uccidere, ok? – sta dicendo ed io vorrei che i discorsi dei miei amici non coinvolgessero così spesso l’infrangere la legge.
- Tu sta’ a guardare, - ringhia Sirius con sfida.
- James, stai bene? Chi vuole uccidere Sirius?
- Benissimo, Moony, ma Madama Chips mi ha fatto bere la Pozione Rimpolpasangue più disgustosa della storia ed ora insiste perché io passi qui la notte. Quella donna è pazza, ve lo dico. 
- Non hai risposto alla mia seconda domanda, - insisto, lanciando un’occhiata guardinga a Sirius, che continua ad avere l’aria di una bomba ad orologeria sul punto di esplodere.
- Perché era una domanda stupida, Moony, - replica James. - Senza offesa. Quante persone conosci che Sirius vorrebbe uccidere?
Aggrotto la fronte perplesso, lanciando un’occhiata spiazzata al viso del mio amico riflesso nello specchietto, perché in effetti la maggior parte delle persone che conosco sono persone che Sirius vorrebbe uccidere.
- Piton, - mi illumina Peter, spuntando da dietro la spalla di Sirius. – Ha usato la magia oscura su James.
- Che cosa? – I miei occhi si sgranano increduli e per un attimo mi ritrovo a condividere gli istinti omicidi di Sirius. - E tu e Mike lo avete coperto?
- Beh, - James arriccia il naso infastidito, perché evidentemente non gli piace come suona in questo modo. – Non lo abbiamo coperto, Moony, abbiamo evitato di farmi squalificare dalla partita.
Non è come se non conoscessi di persona la portata dell’odio di Severus Piton per noi ed in particolare per James, ma questa è dannata magia oscura e porta tutto ad un altro livello, qualcosa che non dovrebbe essere messo da parte per non rischiare una partita di Quidditch, ma conosco James e conosco quello sguardo convinto e non c’è davvero nulla che io possa fare per infilargli un po’ di sale in zucca, così mi costringo a ingoiare la mia disapprovazione con un sospiro frustrato, perché anche lui conosce me e il mio sguardo e non c’è bisogno che io lo traduca a parole.
Potremmo farlo espellere, sussurra una vocina da qualche parte nella mia testa e per quanto io la respinga all’istante non posso fare a meno di soffermarmi per un attimo soltanto a immaginare la vita ad Hogwarts senza di lui, senza il costante monito dei suoi occhi neri e pieni di disprezzo, la paura che un giorno semplicemente disobbedisca a Silente e racconti a tutti quello che sono. Ha usato la magia oscura e James ne è la prova e se lo dicessimo a qualcuno l’unica altra persona oltre ai miei amici a conoscenza del mio segreto potrebbe sul serio essere espulsa e non riesco a impedire alla parte più egoista di me di crogiolarsi in questo pensiero, ma poi torno a James e a quello che è successo l’anno scorso, all’ultima partita dell’anno, e al perché ora è così importante per lui non deludere la sua squadra e subito ogni altro pensiero svanisce.
- Possiamo trasfigurare la sua lingua in una serpe velenosa, così gli morderà il naso e lui morirà, - riflette intanto Sirius ad alta voce. – Oppure lo leghiamo e poi lo gettiamo nel lago nero, sì? I dannati Serpeverde potranno vedere il suo cadavere dal soffitto della loro Sala Comune.
- Sirius, - La voce di James è appena un sussurro, segno che non è più solo, ma c’è un che di autoritario nel modo in cui pronuncia il nome del suo migliore amico ed io mi ritrovo a fissare la piega delle sue labbra nel tentativo di carpirne il segreto, perché ora Sirius lo sta effettivamente ascoltando, cosa che non accade mai con gli altri esseri umani. - Non sto dicendo di non voler trasfigurare le parti del corpo di Piton in animali letali, perché lo voglio infatti, con tutto me stesso, e non negherò che quella del lago sia un’ottima idea, perché le dimensioni epocali del suo naso lo farebbero affondare subito e tutto questo è molto allettante, ma non a due settimane dalla partita.
- Non mi farò beccare.
- Lo so, ma Piton non può finire in Infermeria subito dopo di me, ok? Sarebbe troppo ovvio. Già Madama Chips non ha creduto ad una parola di quello che le ho detto, perché mi odia.
- E perché stavi effettivamente mentendo, - puntualizzo.
- Perché mi odia, - insiste James. - Quindi non fate nulla.
Ed ora sta guardando anche me e Peter, ma non è come se io avessi mai preso in considerazione l’idea di annegare Piton nel lago nero. Non per più di due secondi, comunque. È un piano talmente da principianti e Sirius se ne renderebbe conto, se non fosse così accecato dalla rabbia. Quello che continua ad affacciarsi alla mia mente d’altro canto ha a che fare con incursioni notturne nell’ufficio di Lumacorno e sopraffini atti di vandalismo con tracce e indizi inequivocabili e la media di Severus Piton che crolla in seguito ai piccoli, ma costanti incidenti che continuano a capitare ai suoi compiti e con un Lumacorno che lo mette in punizione senza che lui ne sappia nemmeno il motivo ed è tutto molto, molto contrario alle regole e disdicevole anche solo da concepirsi per la mente di un Prefetto, ma è allo stesso tempo giusto e inevitabile e quello che si merita per aver usato la magia oscura su un mio amico, anche se sono sicuro che sia stato James a iniziare, e l’unica cosa che mi frena ora è lo sguardo di suddetto James e lo sguardo che avrebbe se per qualche motivo non potesse giocare alla partita.
- D’accordo, - sbuffa Sirius. – Hai detto che lo hai schiantato almeno, sì?
- Oh sì, dritto contro il muro: avrà mal di testa per giorni, - ghigna James.
- Ho dei calderotti, - annuncia Peter tenendo alto il sacchetto di fronte allo specchio. – Vuoi che te li porti in infermeria, Prongs?
- No, Pete, grazie: sto per evadere.
- Di già?
-  Sono quasi le sei, Moony. Lo sai cosa succede alle sei?
- Uccidiamo Piton? – propone Sirius entusiasta, come se si fosse appena resettato a cinque minuti fa.
Sospiro.
- Cerca solo di non darle fuoco, James, d’accordo?

 
*

- Allora come sta?
 Remus si blocca a metà scalinata per rivolgermi uno sguardo perplesso, mentre Mike lo supera di gran fretta diretto a prendere una pergamena in camera: a quanto pare lui e Frank hanno appena sviluppato una tattica di gioco che metterà i Tassorosso in ginocchio ed è fondamentale segnarla all’istante. Il sorriso che ho rivolto al mio ragazzo avrebbe potuto essere più sincero di così, se solo non sapessi già che quella pergamena sarà cestinata massimo entro sera, in favore di un nuovo e più appetibile schema di gioco. Non so nemmeno a cosa possano servire tutti questi schemi, quando il punto sempre quello rimane: i Battitori si occupano dei bolidi, i Cacciatori e il Portiere della pluffa e il Cercatore del boccino. Servono davvero così tanti schemi per questo? A mio parere no, ma uno dei momenti più bui della mia relazione con Frank è stato quando ho espresso ad alta voce la mia opinione in proposito di fronte a lui e poi tutto è diventato strano e teso e ho pensato che stesse per lasciarmi. Poi per fortuna Mary, che parlerebbe di Quidditch per ore, mi ha aiutata ad inventare uno schema di gioco da regalare a Frank e lui ne è rimasto colpito al punto da attaccarlo alla parete degli spogliatoi, anche se poi James lo ha staccato dicendo che era totalmente da dilettanti e che non poteva stare lì. Suppongo che questo spieghi come mai Mary non sia mai riuscita ad entrare in squadra in tutti questi anni.
- James, cosa dice? – aggiungo in risposta allo sguardo perplesso di Remus, tornato sui propri passi.
- Beh, suppongo di non saperlo, no? Non è come se gli avessi parlato ancora.
- Remus, - Alzo gli occhi al cielo con un sorriso. - Mi dispiace darti questa notizia, ma a volte voi Malandrini sopravvalutate leggermente la vostra capacità di passare inosservati.
- In tre a confabulare in un angolo della Sala chinati su chissà cosa, - aggiunge Frank, un sorrisetto divertito. – Scommetto che era ancora quello specchietto.
- No, noi non...beh, comunque dice che sta bene, ma che la Rimpolpasangue era disgustosa e che Madama Chips è pazza perché vorrebbe tenerlo là tutta la notte.
- Tutta la notte? Sarà il caso che vada ad avvertire Lily, è scesa poco fa nei sotterranei.
- Oh no, non serve, - Remus scrolla le spalle. - A quest’ora sarà già evaso dall’infermeria, non aveva intenzione di darle buca.
A questo punto Frank emette uno strano suono, a metà tra un versetto trionfante e una sghignazzata e sia io che Remus restiamo a fissarlo per diversi secondi, nel caso volesse aggiungere altro, ma lui si limita ad annuire tra sé con le labbra premute forte l’una contro l’altra come a trattenere un sorrisetto.
- Beh, in ogni caso Sirius dice di andare avanti con la lista d’invitati, - commenta Remus dopo un po’ tornando a guardare me, avendo probabilmente deciso che Frank ha semplicemente battuto troppo forte la testa oggi pomeriggio. E in effetti quel bernoccolo non si è ancora sgonfiato minimamente, checché ne dica Madama Chips. - Lui si fa una doccia e scende.
Remus torna alle scale dei dormitori maschili ed io rileggo velocemente la lista stilata fino ad ora da Sirius, soddisfatta. Merlino, è così bello avere finalmente a che fare con qualcuno che sa davvero come si organizza una festa: qualcuno che conosca effettivamente le persone che vivono in questo castello e che non mi interrompa ogni due secondi per chiedermi ‘Chi?’ quando parlo. Qualcuno che abbia ben chiara la differenza tra organizzare una festa e commettere un suicidio sociale. Dovremmo mettere su un’associazione o qualcosa del genere una volta usciti da Hogwarts: potrei arrotondare lo stipendio da Auror organizzando feste a pagamento con lui nel tempo libero e allora sbancheremmo ed io regalerei a Frank un’isola per il suo compleanno.
– Lo sai, oggi credo di aver realizzato qualcosa.
Quando mi volto verso Frank sto ancora riflettendo su che genere di isola potrebbe farlo felice e ci metto un po’ a rispondere.
- Cioè?
- Hai presente quando le persone vengono da te all’improvviso e fanno discorsi strani e astrusi e il tutto perché ti vogliono fondamentalmente chiedere un consiglio, ma allo stesso tempo loro sono pazzi e vaghi e quindi tu finisci per chiedergli se stanno cercando di rubarti la ragazza, no? E poi all’improvviso, a distanza di giorni, capisci cosa volevano dire.
Frank ridacchia tra sé e si è appena giocato la sua isola.
- Non ho presente, Frank, - dico, giusto prima di accorgermi che in realtà ora ho presente cosa significhi avere qualcuno che viene e fa discorsi strani e vaghi e forse, stando al suo racconto, tra qualche giorno avrò l’illuminazione su cosa tutto ciò significhi. - Cosa hai capito?
- Una cosa, - E sorride compiaciuto. - Una cosa che non mi aspettavo. Voglio dire, era un po’ palese, ma così palese da non essere poi affatto palese, neanche un po’, se capisci cosa intendo.
Non capisco affatto, ma il mio ragazzo ha appena preso a martellate il tasto di avvio della mia curiosità con nonchalance ed ora mi sta rodendo dall’interno.  
- Una cosa su chi?
- Oh, no, non posso dirlo, - Frank scuote subito la testa e che io sia dannata se gli comprerò mai anche solo uno sputo di terra in un angolo sperduto del mondo. Avrà solo maglioni in regalo da me d’ora in poi, di quelli enormi e sformati che gli stanno così tanto bene, come qualunque altra cosa in effetti, anche se sono oggettivamente orribili. - Non mi è nemmeno stata esplicitamente detta, quindi sarebbe davvero meschino da parte mia e tutta una serie di altre cose che io non sono.
- No, non le sei, infatti, - convengo. - Ma così è una sofferenza, lo sai che sono curiosa. Non avresti dovuto dirmelo per niente, se non puoi dirmelo del tutto.
- Hai ragione, cambiamo argomento, - Frank annuisce pentito. - Sappiamo già cosa prendere a Lily per il compleanno?
- Oh, certo che lo sappiamo: ci ha lasciato letteralmente gli occhi e il cuore durante l’ultima uscita ad Hogsmeade, - Una parte di me è ancora tentata dall’idea di indagare per scoprire chi, dove, cosa, come, quando e perché, ma se lo scoprissi poi Frank si sentirebbe in colpa e meschino e di conseguenza io mi sentirei in colpa e meschina, così mi lascio prendere dall’entusiasmo per la mia idea per il regalo di Lily e mi getto nel raccontarla a Frank, salvo poi rendermi conto che lui non è molto presente.
- Frank, - dico quando mi rendo conto che ha appena iniziato a ridacchiare tra sé, lo sguardo fisso nel vuoto.
- Mh?
- Stai di nuovo pensando a quella cosa che hai capito?
- Sì, scusami, - dice e poi i suoi occhi tornano quelli assenti di chi sta pensando a tutt’altro. - È che è davvero bizzarra come cosa, anche se è sempre stata sotto gli occhi di tutti: nessuno pensa che sia quello che sembra e invece è esattamente quello che sembra.
Ed eccola di nuovo, quella sghignazzata a metà tra il divertimento e la meraviglia.
- Frank, amore, lo sai che ti amo sul serio, ma se ridacchi di  nuovo con aria persa dovrò trasfigurare questa piuma in una forchetta, conficcartela in fronte e vedere di persona cosa c’è di così assolutamente palese ma non davvero palese in quella tua testolina adorabile, ok?
Frank annuisce, tornando serio.
 - Lo rispetto.

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**********
 
E quindi è così.
È questo che accade quando ci si dimentica di accendere il cervello prima di alzarsi dal letto alla mattina: ci si ritrova in un’aula ad aspettare James Potter e non per colpirlo con un calderone sulla testa e fare sparire il suo corpo, ma per insegnargli a non litigare con le pozioni. Ha senso? Un piano che prevede me e James Potter e il suo continuare a respirare per tutto il tempo, senza mai smettere, e che non prevede invece nessun bavaglio sulla sua bocca, può un piano del genere avere senso?
Non per una persona con il cervello acceso, cosa che io evidentemente non sono più da tempo: non sarei qui e non starei organizzando una festa totalmente illecita per il mio compleanno altrimenti. Non che io la stia poi effettivamente organizzando, dato che Alice e Black lo stanno facendo al posto mio, il che è un’ottima consolazione: sarò anche impazzita, ma almeno la mia discesa nel cammino della perdizione non è per nulla faticosa. Devo solo ricordare loro che se proprio dobbiamo farci tutti espellere in modo così idiota, voglio almeno montagne di muffin alla mia festa, soffici, fragranti muffin ricoperti di gocce di cioccolato fondente. Potremmo fare una festa a tema muffin, con tutti gli invitati costretti a vestirsi da muffin ed io vestita solo di muffin veri. È un’idea strepitosa e subito abbasso lo sguardo a studiare con occhio critico i miei fianchi, cercando di indovinare che taglia porterei in termini di muffin, quando dei passi risuonano per il corridoio fuori dall’aula di Pozioni e non mi piace essere interrotta mentre penso ai muffin, proprio come non mi piace James Potter e vedendolo varcare la porta con quel suo sorriso sornione già stampato sulle labbra non posso impedirmi di pensare che questa è l’ultima occasione per essere processata come minorenne: se colpissi ora, potrei cavarmela con solo un paio d’anni ad Azkaban – e onestamente, quanto possono essere più estenuanti di lui i Dissennatori? Non così tanto, se lo chiedete a me. 
Con quella benda che gli copre l’occhio non dovrebbe nemmeno vedere il paiolo arrivargli addosso, è tutto perfetto, a parte il fatto che la benda si è spostata ed è ora sul suo braccio. La fisso per un attimo, con la bizzarra idea che l’occhio di Potter sia ora proprio lì sotto, sul suo avambraccio, poi scuoto la testa e ricordo che l’occhio di Potter è vicino all’altro occhio, sulla sua faccia, dove stanno normalmente gli occhi delle persone. Dove quell’esplosione di puzzalinfa abbia fatto schizzare il mio cervello, invece, è un quesito ancora privo di risposta.
- Lo so, Evans, lo so, - Non è come se Potter non stesse sorridendo già da quando è entrato, perché è quello che fa sempre, senza motivo, ma ora le sue labbra hanno preso una piega ancora più gongolante e lui solleva teatralmente il braccio, stringendo le dita a pugno e facendo guizzare i muscoli da sotto il tessuto sottile della camicia. - Prenditi il tuo tempo per apprezzare tutto questo: sono qui per te.
Fallo ora, Lily. Tra due giorni sarai maggiorenne e il Wizengamot non sarà così clemente con te.
- Stavo solo constatando la presenza di nuove ferite di guerra sul tuo, per me assolutamente privo di interesse, corpo, Potter, non montarti la testa, - Replico con un autocontrollo degno di un muffin, perché loro sono molto dotati in questo, a mio parere, per il modo in cui riescono a trattenere tutto quel gusto e quel piacere divino nel morbido perimetro della loro massa, senza lasciare che si sparga ovunque nel mondo e provochi orgasmi continui alle persone. - Che hai combinato adesso?
- Piton e le sue dannate maledizioni che nessuno conosce, - Potter sbuffa, lanciando un’occhiata contrariata al braccio fasciato. - Sembra che se le inventi.
- Forse dovresti provare a lasciarlo in pace.
- Non lo vado a cercare, Evans. È lui che è ovunque.
- Ti sembrerà assurdo, ma la maggior parte delle persone cambiano strada quando vedono qualcuno che odiano, non si precipitano a litigarci, - replico, anche se intimamente non posso che dargli ragione: Severus è ovunque, o almeno da quando non ci rivolgiamo più la parola. È chiaro che sia così, è il modo in cui funziona quando cerchi di ignorare qualcuno: il mondo non ci sta, semplicemente, e te lo piazza ovunque. Severus così come Petunia, anche se con lei potrebbe c’entrare anche il fatto che dividiamo la stessa casa e lo stesso bagno.
- Hai ragione, mi sembra assurdo.
Potter ghigna ed io alzo gli occhi al cielo e il mio culo dalla sedia.
- D’accordo, iniziamo, - sospiro lisciandomi la gonna e prima di avvicinarsi lui si chiude la porta dell’aula alle spalle, come se delle ripetizioni di Pozioni fossero un affare losco e che va nascosto alla vista altrui.
Quando me lo ritrovo di fianco mi rendo conto di non avere effettivamente idea di cosa dovrei fare ora e avrei potuto usare questo tempo per preparare un piano invece di pensare ai muffin, ma tant’è.
Potter mi guarda con una certa aspettativa ed io non riesco a pensare quando le persone mi guardano con aspettativa, così decido di guadagnare tempo rimettendolo al suo posto, tanto per cominciare.
- Sia chiaro, Potter: non sono una professoressa, non mi pagano per starti dietro e non ho nemmeno la vocazione spirituale per l’insegnamento, quindi come mi accorgo che sto parlando da sola o che tu non ci stai davvero provando, me ne vado.
Andarmene, questo suona come un piano.
- Evans, così mi ferisci, - La mano di Potter è sul suo petto ora. - Io ti ascolto sempre.
- E cerca di non ricordarmi perché non ti sopporto, Potter, per favore.
- Ma io non lo so perché non mi sopporti.
- Infatti, infatti, - annuisco distrattamente, senza prestargli attenzione, perché ora sto finalmente elaborando il mio piano d’attacco. Conoscere il nemico dovrebbe essere il primo passo per vincere una guerra, e il nemico, che solitamente è Potter, è in questo caso l’incapacità di Potter di preparare una pozione che assomigli a una vera pozione. È un’incapacità eclatante e piuttosto rumorosa, spesso tossica e a volte potenzialmente mortale, come quella volta in cui Lumacorno ha dovuto evacuare l’aula per evitare che qualunque cosa avesse creato Potter nel suo calderone sterminasse l’intera classe. So che una volta al terzo anno il suo mestolo, a contatto con qualunque cosa ci fosse dentro il suo paiolo, ha preso vita e lo ha picchiato forte sulla fronte, lo so perché ho assistito alla scena ed è stato così appagante. Il fatto è, queste sono solo le conseguenze più o meno dannose di qualunque problema abbia Potter con le pozioni e se voglio capire qual è c’è solo una cosa da fare, prima di ogni altra.
- D’accordo, Potter, ora io mi siedo lì e ti guardo-
- Per me è ok, Evans. Vuoi che mi spogli o preferisci il vedo-non vedo?  
- Io mi siedo lì e ti guardo, ho detto, e tu prepari una pozione, d’accordo?
- Va bene. Vestito, giusto? Ahia, Evans, era solo per essere sicuro. Ok, ok, quale?
Potter ha appena alzato gli occhi al cielo esasperato, come se fossi io la matta che lo assalta senza motivo e non lui che continua a fare proposte indecenti. Ora, che problema ha questo ragazzo coi suoi vestiti? È normale che non veda l’ora di toglierseli di dosso? Non lo possiamo rinchiudere in una qualche clinica con persone che possano aiutarlo a risolvere il suo problema o qualcosa del genere? Perché sarei pronta a farmi carico di ogni spesa in caso: Lily Evans è sempre in prima fila quando si tratta di aiutare le persone e di rinchiudere Potter lontano dagli altri esseri umani.
- Vediamo, prova con la pozione della Pace, vuoi?
- Mmm, non mi piace tanto, Evans, - Potter arriccia il naso, scontento. – C’è il muco di vermicoli tra gli ingredienti che appiccica tutto e...
- Riformulo la frase, Potter: prepara la pozione della Pace.
- Ah, quindi questa non è una democrazia, bene, buono a sapersi, - Potter si dirige borbottando tra sé all’armadietto degli ingredienti ed io mi siedo sul banco più vicino, seguendo le sue mosse, accigliata. Quindi è così che funziona nel mondo di James Potter, si vanno a prendere gli ingredienti prima di leggere la ricetta nel manuale, affidandosi alla memoria. Non è necessariamente un errore, forse ha davvero una memoria di ferro, forse gli ingredienti di questa pozione in particolare gli sono rimasti impressi per qualche motivo o forse, forse è un idiota.
È un idiota, per l’appunto, come posso constatare vedendolo tornare al banco con due soli dei numerosi ingredienti previsti dalla pozione.
- Potter.
- Sì, Evans?
- Hai portato il libro di pozioni?
- No.
- E perché, se posso chiedere?
- Perché lo odio, - dice Potter ed io trattengo un sospiro, perché certo che il ragazzo a cui sto dando ripetizioni di Pozioni odia il manuale di Pozioni,  non sia mai. – Non mi piace il suo tono, fai questo, fai quello, non ti azzardare a fare quest’altro. Chi si crede di essere quell’Augustus Salamander, mh? Solo perché ha scritto un libro di Pozioni, ma per favore.
- Augustus Salamander è uno che sa che per la pozione della Pace sono necessari più di due ingredienti, tanto per cominciare, - sottolineo pacata, ignorando tutta la parte dell’essere uno dei più grandi pozionisti dei nostri tempi e ordine di Merlino prima classe per le sue ricerche sulle proprietà del succo di Horclump. – Quindi prendi uno dei vecchi manuali nell’armadietto e leggi che ti serve.
Potter esegue, borbottando tra i denti qualcosa di parecchio offensivo verso Augustus Salamander e il suo nome ed io lo osservo sfogliare con forza le pagine ingiallite e poi lasciar scorrere velocemente lo sguardo tra le righe, impaziente. Quando, dopo essersi caricato gli ingredienti tra le braccia, si dirige spedito verso il calderone in ottone di fronte a me, ignorando quello in rame lì a fianco, trattengo un sospiro. E trattenere sospiri è quello che faccio più o meno per la mezz’ora successiva, mentre studio in silenzio il suo modo di lavorare e la nascita di un liquido giallognolo che nulla ha a che vedere con la densa pozione bianco perla raffigurata sul manuale alla voce “Distillato della Pace”.
- Allora? – chiedo saltando giù dal banco e avvicinandomi al calderone. – Ti è venuta?
- Beh, non è esplosa, - dice Potter, prima di incrociare il mio sguardo e portarsi una mano ai capelli. – Ma suppongo che non sia propriamente una pozione della Pace.
- E da cosa lo capisci?
- Dalla tua faccia.
- E?
- E dal fatto che non assomiglia a quella in foto.
- E?
- E dal fatto che le mie pozioni non vengono mai e questa è una mia pozione.
- No, concentrati. Che odore senti?
Potter si china sul paiolo, perplesso.
- Nessuno?
- Esatto. E che c’è scritto qua?
Il suo sguardo segue il mio dito e Augustus Salamander lo informa che una perfetta pozione della Pace è sempre accompagnata da una delicata fragranza di lavanda.
- Oh. Ok.
- E qui che c’è scritto invece?
Di nuovo i suoi occhi seguono il mio indice e questa volta Augustus Salamander lo informa che una pozione della Pace funzionante è ottenibile solo lavorando con un paiolo di rame o peltro.
- Ah.
- Già, - annuisco, sfogliando le pagine fino a tornare all’elenco degli ingredienti. – E quello vicino agli occhi di anguilla è un tre, non un cinque.
- Mi sono scivolati.
- Ho visto, - commento neutra. - È il motivo per cui non dovresti aprire i contenitori direttamente sul paiolo. Svuoti il barattolo di fianco e li prendi uno ad uno con le dita: perdi qualche secondo in più invece di perdere mezz’ora a preparare una pozione inutilizzabile, scambio equo, no?
Potter arriccia appena le labbra, scornato: immagino che non sia la norma per lui sentirsi elencare uno ad uno i propri errori, soprattutto considerando che è abituato a considerarsi infallibile.   
Ma qui d’infallibile c’è solo la sistematicità con cui ha sbagliato un passaggio dietro l’altro, così continuo imperterrita.
- Il pungiglione di Doxy in qualunque pozione va inserito intero solo se fresco, è a questo che serve la data sul coperchio del barattolo: in questo caso dovevi prima sbriciolarlo col mortaio.
Credo che Potter stia per avere una crisi allergica a questa situazione e forse dovrei chiamare uno di quei ragazzini del terzo che lo venerano come un Dio in terra per riempire il suo serbatoio di lodi e ammirazione, sia mai che il suo ego si sgonfi fino a diventare solo un paio di volte quello di un comune mortale.
- E per finire, non hai pesato la pietra di Luna, che va sempre dosata in base alla capienza del calderone, e hai dimenticato di aggiungere le ali di mosca crisopea alla fine.
- Non l’ho dimenticato, - precisa. - È solo che non mi piace toccare insetti morti. O vivi. Non mi piace toccare insetti punto. Come a tutte le persone normali e che non si chiamano Augustus Salamander.
- Fammi capire, hai volutamente saltato un passaggio perché ti faceva schifo l’ingrediente in questione?
Potter alza le spalle e annuisce come se la sua fosse una scelta ovvia e perfettamente dotata di senso e le mie orecchie da pozionista, che sono anche le mie uniche orecchie, ora stanno sanguinando.
- No, Potter, no, ok? Tu non puoi semplicemente, questo è, - Calma, Lily, calma. Inspira, espira. Come se la mosca crisopea fosse così disgustosa poi, a mio parere è più disgustoso continuare a parlare con Minus quando si dimentica di avere la bocca piena e ti mostra la sua colazione masticata, il che capita praticamente ogni mattina, ma non ho mai visto Potter schifato da quello. – Ripeti con me: Salamander è nostro amico, le istruzioni non sono lì per bellezza e gli ingredienti non sono consigli, non puoi scegliere quali accettare e quali no e...
- D’accordo, Evans, calma, - Potter solleva le mani in aria, vagamente allarmato, come se fosse lui quello ragionevole in quest’aula. - Non pensavo fossi così legata alle mosche crisopee.     
Oh, ora sono quella troppo legata alle mosche crisopee. Di bene in meglio.
- Va bene, Potter, - stabilisco, tornando a sedermi sul banco dietro di noi. – Ora siediti. Lì.
Potter guarda la sedia che gli indico, la sposta di fronte a me e poi ci si siede a cavalcioni, le braccia incrociate sullo schienale e il mento su di esse. Ed è così, io devo insegnargli l’arte delle Pozioni e lui non si sa nemmeno sedere dal verso giusto, perché quando mai James Potter fa qualcosa per il verso giusto, mh?
- Quindi, - esordisco portandomi una ciocca dietro l’orecchio e studiandolo attentamente. Lui ricambia il mio sguardo dal basso. – Da cosa credi che nasca il tuo problema con le pozioni?
Potter alza la testa, portandosi una mano al mento e assottigliando lo sguardo verso un punto alle mie spalle, assorto. Devo fare forza su me stessa per non voltarmi a controllare cosa stia guardando, perché lo so che non c’è nulla e che lui è pazzo.
- Sono abbastanza sicuro che mi manchi l’organo delle pozioni, Evans, - conclude infine tornando a guardarmi, soddisfatto della propria risposta. Pazzo, come dicevo. – Devo averne troppi adibiti all’essere irresistibile e non c’era semplicemente più spazio per qualcosa che mi rendesse in grado di capire Pozioni.
- Non può essere un problema di spazio, - lo correggo automaticamente. – Se ci sta il tuo ego ci potrebbe stare anche uno stadio intero.
- Ok, forse è una maledizione allora. Sirius dice di averne una che gli impedisce di assaporare le tuttigusti, forse io...
- Non sei maledetto, Potter, - Lo informo guardandolo dall’alto e questa potrebbe essere la cosa più carina che io gli abbia mai detto. - E non ti manca nessun gene. Forse qualche neurone sì, ma non esiste un organo adibito alla preparazione di pozioni, quindi non appigliarti alla genetica per giustificare il tuo essere un disastro.
Potter incrocia le braccia al petto, sollevando appena il mento con l’accenno di un sorrisetto.
- Quindi, Evans, posso supporre che tu sappia perché sono un disastro in Pozioni?
- Lo so, infatti, - Mi raddrizzo sul banco. – Non è come se non fosse palese.
Potter inarca le sopracciglia, in attesa.
- Illuminami.
- Tanto per cominciare, sei impaziente. Sembri un’anima in pena che vorrebbe correre ovunque e fare qualunque altra cosa invece che starsene in piedi davanti al calderone, - spiego ripensando al suo modo sbrigativo e distratto di sfogliare il manuale e ai sospiri spazientiti che hanno accompagnato il mescolare sempre troppo rapido. - Ci manca solo che ti metta a saltellare sul posto, Potter.
- Ma io sono un’anima in pena che vorrebbe correre in giro e fare cose invece che stare qui a fissare il calderone, Evans, - puntualizza lui.
- Beh, cerca di non esserlo. Come puoi pretendere di riuscire a preparare una pozione se non ci sei con la testa?
Potter schiude le labbra per poi richiuderle dopo qualche secondo, considerando le mie parole. Oppure sta solo pensando a cosa vorrebbe fare invece di stare qui, una delle due.
- Se ti fossi fermato a leggere con attenzione le istruzioni, senza correre tra le righe come se avessi il fuoco alle calcagna, avresti evitato la metà degli errori, - continuo decisa, approfittando del suo silenzio. – E anche fisicamente, giri sempre troppo veloce, tagli ogni ingrediente o troppo spesso o troppo fino perché non hai voglia di fermarti a considerare il giusto spessore e trascuri i dettagli: un grammo in più non è la stessa cosa, fa la differenza.
- Ora, - mi alzo nuovamente, facendogli cenno di fare lo stesso, e mi avvicino al banco. - Smetti solo per un attimo di pensare al miliardo di altre cose che vorresti fare adesso e concentrati sul calderone. Il mondo esterno non esiste, il campo da Quidditch non esiste...
- Piano con le offese ora.
- Non esiste nulla al di fuori di quest’aula, - insisto. - Fallo, ok? Forza.
- Ok, - Potter sospira. - Fatto. Non esiste nulla.
- E nessuno, - preciso.
- A parte tu ed io, - Sorride e mi fa l’occhiolino.
Io lo fisso interdetta.
- Potter.
- Sto facendo quello che mi hai chiesto, Evans, -  Potter alza le spalle, un sorriso innocente e assolutamente fuori posto sulle labbra. - Niente al mondo a parte quest’aula, quindi solo io e te in tutto l’universo. Nessun altro. Niente Philips e neppure la piovra gigante, - Il suo sorriso furbo si allarga ulteriormente. - Pare che dopotutto dovrai venire ad Hogsmeade con me, Evans.
Il silenzio aleggia nell’aula per qualche secondo, giusto il tempo che serve al mio istinto di autoconservazione per prendere il sopravvento. 
- Okay, è stata un’idea stupida. Io me ne vado.
- Okay, okay, Evans, - Potter mi afferra per un polso, poi i miei occhi si allargano e guardano prima lui e poi la sua mano e lui capisce che questa mossa infrange il grande regolamento che regola tutte le cose che devono essere regolate e mi lascia. - Io e il calderone e nient’altro, d’accordo. Ci sono.
Lo scruto sospettosa per qualche secondo, prima di prendere un profondo respiro. D’accordo, facciamo questa cosa.
- Non il calderone, non ancora, - Lo correggo. - Gli ingredienti. Tu e gli ingredienti
- Quali?
- Tutti
- Tutti.
-Tutti, Potter
- Non dovresti dirmi una pozione e...
- No, non sei pronto per fare una pozione, - Nego decisa, avviandomi verso l’armadietto delle scorte. - Scordati di preparare pozioni fino a quando non saprai maneggiare e dosare tutti gli ingredienti. Ora prendi le radici di asfodelo, forza.
- Evans, sei riuscita a renderlo ancora più orribile. A cosa serve, ora?
- A tutto, Potter. È con gli ingredienti che si preparano le pozioni, sai.
Potter sospira, lanciando un’occhiataccia ai contenitori disposti ordinatamente all’interno dell’armadietto.
- Odio gli ingredienti, - sbuffa. - Sono così noiosi. Se ne stanno lì, fermi con quell’aria...
- Quale aria?
- Quell’aria, dai, - insiste Potter come se fosse tutto molto lampante. -Banale, smorta, monotona. E sembrano tutti uguali.
È così quindi.
Gli ingredienti hanno un’aria noiosa e sembrano tutti uguali.
È questo con cui ho a che fare.
Dannato Potter.
La mia bacchetta si muove decisa verso l’armadietto e subito i tappi dei contenitori si svitano da soli, lasciando liberi i vari ingredienti di uscire e librarsi per aria.
- Che stai facendo, Evans?
Potter segue perplesso i movimenti dei vari ingredienti che iniziano lentamente a descrivere ampi cerchi attorno alle nostre teste.
 - Rendo meno noiosi gli ingredienti, - spiego con un’alzata di spalle, prima di dare un altro colpo di bacchetta. Subito gli ingredienti iniziano a vorticare più velocemente, saettando da una parte all’altra dell’aula, ma sempre senza scontrarsi tra loro. - Ora prendi le radici di asfodelo, se ci riesci.
Il sopracciglio di Potter si inarca notevolmente.
- Se ci riesco?
- Stanno andando piuttosto veloce, - butto lì con un sorrisetto.
- Veloce? - Potter spalanca gli occhi incredulo, prima di emettere uno strano verso dalla natura indefinita, a metà tra uno sbuffo e una risata. - È come se fossero ferme ai miei occhi, Evans.
- Sì? Prendile allora.
Con un’alzata di spalle faccio qualche passo indietro, raggiungendo il banco più vicino. Potter mi lancia un’ultima occhiata perplessa, poi inizia a perlustrare lentamente lo spazio attorno a sé con attenzione; a un certo punto i suoi occhi si assottigliano e iniziano a scattare da una parte all’altra dell’aula, seguendo i movimenti di un paio di radici giallognole che tempo pochi secondi e si ritrovano strette tra le sue dita.
- Quelle sono radici di valeriana, Potter, - lo informo pacata, stroncando sul nascere la sua occhiata trionfante.
Lui le lascia e qualche secondo dopo ha tra le mani altre radici, questa volta di un arancione acceso. I miei occhi non devono essere sembrati molto contenti di quell’arancione, perché questa volta Potter lascia le radici prima ancora che io apra bocca, rimettendosi a scrutare gli ingredienti che vorticano veloci attorno alla sua testa.
- Potter, - inizio lentamente, scendendo con calma dal banco e avvicinandomi a lui. Poi alzo lo sguardo al cerchio di oggetti che continuano a girare a mezz’aria attorno a noi e dopo qualche secondo sollevo un braccio; subito Potter abbassa gli occhi sul mio palmo teso verso di lui e su cui spiccano due morbide radici marroncine, una scintilla di frustrazione oltre le lenti. - Ora, è una fortuna che questa non fosse una competizione, - commento con tono casuale. - Perché se lo fosse stata, avrei appena vinto.
- Oh, andiamo, solo perché non sapevo quali fossero, - Prevedibilmente l’indignazione nel tono e nell’espressione di Potter raggiungono immediatamente una consistenza tale da essere intravista oltre l’ostentato strato di indifferenza. - Se l’avessi saputo le avrei prese in mezzo secondo.
- E allora impara a riconoscerle, Potter, - dico guardandolo dritto negli occhi, di cui il destro non sembra ancora tornato del tutto alla normalità, il nocciola dell’iride che si confonde col rossore che lo circonda. Questo, unito al fatto che anche la pelle delle mie braccia continua ad essere irritata e mi sento le labbra stranamente gonfie, è una prova inconfutabile dell’odio che Madama Chips nutre per tutti noi. Forse lo ha assoldato lei il Corvonero, a questo punto. - Ammesso che sia davvero quello il problema, - Continuo con leggerezza e già lo vedo irrigidirsi: ottimo piano, caporale Evans, ottimo piano. Le mie doti da stratega si riconfermano per l’ennesima volta. - Voglio dire, puoi dirmelo se vuoi che rallenti un po’, non c’è problema: pensavo che andasse bene perché sei un Cercatore e tutto, ma se vanno troppo veloci...
- Oh, vedo cosa stai facendo, Evans, - mi interrompe con una mezza risata stizzita. - Ed è ridicolo: questo non è veloce, non si avvicina nemmeno alla velocità di un Boccino.
- Allora prendi i fagioli sopoforosi prima di me, se sono così lenti, - concludo serafica con un’alzata di spalle. -Ti do un vantaggio di dieci secondi, forza.
- Vantaggio? – Riesco quasi a intravedere l’ego di Potter tremare tutto al suo interno e scuoterlo dalle fondamenta. - A me? Stai scherzando.
- Nove, otto...
Potter cerca di imporre la sua superiorità sul resto del mondo ancora per qualche secondo tramite il suo sguardo indignato, poi si riscuote di colpo e inizia a guardarsi frenetico attorno. Due secondi dopo mi sta porgendo un bezoar in preda all’agitazione ed io inarco un sopracciglio. Il bezoar finisce a terra e lui torna alla sua agitata ricerca.
Alla fine dei dieci secondi non so se essere più impressionata dalla cura con cui ha evitato anche solo di sfiorare con lo sguardo l’ingrediente esatto per tutto il tempo o dalla sua velocità e dal numero di ingredienti sbagliati che è riuscito ad afferrare in così pochi secondi.
- Li usiamo dal primo anno, Potter, - sospiro alla fine stringendo i fagioli con entrambe le mani e piazzandoglieli sotto il naso. - C’è la loro foto nell’inventario degli ingredienti più comuni che ci hanno fatto comprare prima di iniziare la scuola. Io l’ho effettivamente sfogliato, sai, è per quello che so come sono fatti gli ingredienti, non per altro. Ma, - Potter fa per parlare ed io lo blocco con una mano, imperterrita. - In realtà capisco perfettamente perché tu non abbia idea di come siano fatti i fagioli sopoforosi: non è come se questa informazione ti potesse servire a qualcosa nella vita, a parte ad andare bene a Pozioni, ma Pozioni è noiosa e quindi che importa, no?
E nel frattempo una milza di pipistrello gli va a sbattere proprio contro la fronte e non sono sicura se sia stato un caso o il mio inconscio. Potter pare propendere per la seconda opzione, perché stringe le labbra in modo poco conciliante.
- Ora, se tu fossi una persona eccessivamente competitiva potresti sentirti un po’ frustrato dal non poter dimostrare la tua abilità di Cercatore solo perché non sai cosa afferrare, - Di nuovo lui fa per parlare e di nuovo io lo ignoro, stringendomi nelle spalle con un sorriso pacifico.  - Ma per fortuna non è questo il caso.
Potter incrocia le braccia al petto, studiandomi con un mezzo sorrisetto infastidito.
- Evans.
Il suo tono dice so cosa stai facendo, ma i suoi occhi, i pugni chiusi e le spalle tese aggiungono e ci sto cascando in pieno.
- Tutto ti si può dire, Potter, ma non che tu non sappia accettare la sconfitta, - Il fatto è, lo sto aiutando, proprio come ho detto che avrei fatto, e posso dormire sonni tranquilli e ritenermi la migliore tra le compagne di Casa e la più responsabile tra i Prefetti, a parte per la storia della festa clandestina che della gente poco raccomandabile sta organizzando su mio ordine, e contemporaneamente però posso, anzi devo, torturarlo. A volte la vita sa essere così appagante. - Ed è giusto così, tutti perdono qualche volta, no? Ora vieni qui e taglia quei...
- Non ho perso, Evans.
- Hai ragione: l’importante è partecipare, - annuisco accondiscendente, posando i fagioli sopoforosi sul banco di fronte a noi. - Non c’è bisogno di stare a specificare chi è stato più veloce e chi più lento, ora passami quel coltello che ti mostro come tagliarli, forza.
Sento il suo sguardo puntato sulla mia schiena ancora per diversi secondi, poi lui sospira infastidito e mi si affianca, porgendomi il coltello. Gli mostro i vari modi di preparare i fagioli sopoforosi spiegandogli i più indicati per ogni pozione e ad un certo punto sembra che Potter inizi effettivamente a prestarmi attenzione, smettendo di ribollire internamente per il suo spirito competitivo appena calpestato. Quando gli chiedo di ripetere le mie mosse e lui si arrotola ulteriormente le maniche della camicia sulle braccia per lavorare meglio, lo sguardo mi cade su una piccola macchia rossa che ha appena iniziato ad allargarsi sopra la sua benda.
-  Potter, il braccio, - gli faccio notare, perché lui non pare essersene accorto. Subito i suoi occhi scattano verso di me, perplessi, per poi spostarsi sul rosso che gli sporca la benda e che non accenna ad arrestare la sua rapida avanzata.
- Oh, stai scherzando, di nuovo?
Potter impreca, guardandosi attorno come se si aspettasse di trovare una pila di bende nuove proprio dietro di lui, poi lancia un’occhiata contrariata e impacciata alla fasciatura sempre più rossa. Il mio sguardo si stacca dal suo braccio per un paio di secondi appena, giusto il tempo di trasfigurare delle nuove bende a partire dal vecchio manuale di Pozioni di cui forse Lumacorno non noterà la sparizione, ma quando mi volto di nuovo verso di lui con le garze tra le mani mi blocco di colpo, perché la fasciatura è ora completamente zuppa di sangue.
- Potter, - mi sento dire e poi il suo sangue è sulle mie dita, ma io continuo a srotolare le bende umide e calde come ipnotizzata, perché non è normale che ci sia così tanto sangue, non è normale e una parte di me sa perfettamente che cos’è tutto questo.
- Evans, non toglierla, sospetteranno di te se mi dissanguerò qui, lo sai.
La voce di Potter arriva come attutita alle mie orecchie, perché ora ce l’ho sotto agli occhi quel taglio lungo e troppo sottile, all’apparenza innocuo come un graffio fatto con la carta, se non fosse per il colore quasi nero della pelle ai bordi della ferita, se non fosse che so esattamente che cos’è.    
- Potter.
La benda zuppa di sangue atterra sul pavimento di pietra dell’aula con un rumore umidiccio e lui incrocia i miei occhi, interrogativo.
- Com’era?
- Cosa? – chiede distratto, mentre cerca di arrotolarsi attorno al braccio le bende che gli ho trasfigurato, su cui, noto solo ora, spiccano ancora le scritte delle pagine del libro di Pozioni.
- La maledizione, - insisto.
- Non ne ho idea, Evans, - Potter, sempre più pallido, scuote la testa, continuando a trafficare a fatica con le bende. - Qualcosa di strano che non ho mai sentito prima.
- Sectusempra?
Il modo in cui si blocca di colpo, alzando poi gli occhi su di me, è di per sé una risposta.
Non che me ne servisse davvero una.
- Come lo sai?
- Torna in Infermeria, - Le mie dita insanguinate scivolano dal suo polso, lasciandovi un alone rossastro e subito gli sfilo di mano le bende nuove, per poi fasciarlo velocemente alla bell’è meglio mentre lui continua a fissarmi interdetto. - Non si fermerà con le bende e basta.
Un colpo di bacchetta e gli ingredienti smettono di volteggiare per aria, nuovamente risucchiati all’interno dell’armadietto, un altro e la benda insanguinata a terra svanisce.
- Dove vai? – Potter continua a guardarmi dubbioso, l’aria di chi si è perso qualche passaggio.
- Da nessuna parte. Vai da Madama Chips, - insisto, prima di afferrargli la mano e premergliela decisa sulle nuove bende che hanno già ricominciato a macchiarsi. Potter fa per dire qualcosa, ma io lo precedo. - Ti raggiungo tra 10 minuti, ok? Vai.
Potter mi lancia un’ultima occhiata perplessa e pare sul punto di ribattere, poi abbassa gli occhi sul rossore che si sta già espandendo a vista d’occhio sotto il suo palmo e si affretta verso l’uscita.
I suoi passi si attutiscono fino a sparire in lontananza ed io resto sola nell’aula a fissare la porta per diversi secondi, le braccia abbandonate lungo i fianchi e la bacchetta ancora tra le dita. Devo pulirmi le mani e poi devo rimetterla nella tasca del mantello e devo farlo ora, ma le dita scivolose della mia mano destra continuano a stringersi sempre di più attorno al manico sottile della bacchetta ed io chiudo gli occhi, stringendo forte le labbra l’una contro l’altra e chiudendo l’altra mano a pugno. Diversi minuti e profondi respiri dopo, mi chiudo la porta alle spalle, imboccando decisa il corridoio, la bacchetta di nuovo in tasca e nessuna traccia della mia rabbia se non le scintille scarlatte che si sono infrante contro il pavimento di pietra dell’aula.
 

 
 
 
- Lily.
È senza fiato e pronuncia il mio nome come qualcosa di proibito, un sussurro quasi riverente che mi fa accapponare la pelle; gli occhi scuri si illuminano di colpo nella penombra dei sotterranei come se un lampo li avesse attraversati all’improvviso ed è sorpreso tanto quanto è felice.  
Si affretta ad uscire dalla Sala senza degnare di un’occhiata il ragazzino del terzo che lo ha chiamato per me, il muro scorre richiudendosi alle sue spalle e lui continua a guardarmi come se temesse di vedermi svanire da un momento all’altro.
Le labbra sottili si schiudono incerte, ma io non lo lascio parlare.
- Avevi promesso.
Lui mi guarda ed è come se le mie parole ci mettessero troppo per arrivare a destinazione, come se dovessero superare l’invisibile barriera della nostra amicizia passata. Mi guarda ed è come se non vedesse me, ma una bambina che non c’è più e forse non è mai esistita se non nei suoi occhi. Le mie labbra si muovono ma ho l’inquietante sensazione che non sia mia la voce quella che sente.  
- Cosa?
Non capisce e c’è un’impercettibile nota di panico nel suo tono, come se ci fosse ancora qualcosa da rovinare tra noi, qualcosa di non ancora perduto.
- Sectusempra, Severus, - Continuo gelida e un lampo di comprensione gli attraversa lo sguardo. - Mi avevi promesso che era solo per metterti alla prova, che non l’avresti mai usata sulle persone.
- Potter, lui...
Scuote la testa e di nuovo c’è quell’accenno di panico nella voce, come se non dovesse sprecare un’occasione, quando le occasioni le ha già sprecate tutte e non se ne rende neppure conto.
- Cosa, ha iniziato lui? Che grande scoperta, Severus, è sempre lui, e allora? È magia oscura, ho visto cosa fa quella maledizione! Se non lo avessi preso solo di striscio, - Ora sono io a scuotere la testa, incredula e agghiacciata. - Potevi ucciderlo!
E so già cosa sta per dire, perché anche dopo tutto questo tempo continuo a saper leggere il suo viso meglio del mio e la stizza prende immediatamente il sopravvento nei suoi occhi, scacciando tutto il resto.
- Da quando difendi James Potter, Lily?
Mi ritrovo a boccheggiare sconvolta, senza parole, perché è come parlare al muro, perché a lui davvero non importa e non so nemmeno perché diavolo sono ancora qui.
- Proprio non capisci, vero? – Scuoto la testa rassegnata, trattenendo una risata amara. - Hai appena usato la magia oscura ad Hogwarts, hai rischiato di uccidere un tuo compagno di scuola e tutto quello di cui ti importa è la tua faida infinita con James Potter?
- Oh, giusto, perché io sono il peggiore tra i due, vero? Perché avrei potuto ucciderlo, mentre voi Grifondoro siete troppo giusti per spingervi così oltre, sì?  - Il suo sibilo pieno d’odio risuona per il corridoio vuoto ed io assottiglio gli occhi, cercando di capire dove voglia arrivare. - Ti stupirà sapere che Potter e i suoi amichetti così innocenti hanno cercato di uccidere me già l’anno scorso.
- Ancora con quella storia? – Sbotto esasperata, portandomi una mano ai capelli. - Perché non mi dici una buona volta cos’è successo, Severus? Perché quello che so io, quello che sa tutta la scuola, è che James Potter ti ha salvato la vita da qualunque cosa ci fosse in fondo a quel tunnel.
- Non dire qualunque cosa come se non lo sapessi perfettamente cos’era.
Il suo tono è sprezzante ed il silenzio cala tra noi per diversi secondi, mentre io sostengo il suo sguardo insistente.
- Quindi? Lupin ha cercato di ucciderti? È questo che intendi? - E questa volta non riesco a trattenere una risata amara. - Non è stata colpa sua. Non puoi cercare un, - La mia voce si riduce a un sussurro. - Un tu-sai-cosa durante una notte di luna piena e poi accusarlo di aver cercato di ucciderti.
- E come ho fatto a trovarlo? – Sibila tra i denti, ora visibilmente furioso. - Come ho fatto a fermare il Platano per infilarmi nel tunnel? Come diavolo ho fatto a sapere esattamente quale nodo premere per poter arrivare a quel mostro, mh? Me lo spieghi, Lily?
Le labbra di Severus sbiancano l’una contro l’altra, tanta è la forza con cui le stringe ora mentre continua a fissarmi ed io lo fisso spiazzata, senza sapere cosa dire, perché non ho una risposta.
- Qualcuno me l’ha detto evidentemente, - riprende lui, appena più calmo, ma gelido. Non c’è più traccia di paura nella sua voce ora, solo rabbia; non sta più attento a non rovinare tutto e forse si è finalmente reso conto che non c’è nulla di salvabile, che abbiamo già massacrato da tempo quei due bambini che passavano ore a parlare stesi l’uno accanto all’altro sui prati verdi di Privet Drive. - Qualcuno che sapeva esattamente cosa avrei trovato in fondo al tunnel, - continua con un piacere quasi maligno nella voce, ma forse lo sto solo immaginando.  Ed io so solo che non voglio ascoltare la fine di questa storia. - Ora, in tutta la scuola, chi sono gli unici che avrebbero potuto saperlo?
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Madama Chips mi odia in un modo così totalizzante ora. Lo capisco dal modo in cui continua a rivolgermi occhiate assassine ogni volta che esce dal suo ufficio per prendere qualcosa nell’Infermeria e lo capisco anche dal fatto che a un certo punto me lo ha proprio detto, “Io la odio, signor Potter”. È stato molto poco professionale da parte sua, ma tant’è. Continuava a dire che non era possibile che il taglio avesse ripreso a sanguinare così dal nulla, senza che io avessi fatto niente, e credo che alla fine sia giunta alla silenziosa conclusione che io provi un masochistico piacere a riaprirmi le ferite solo per poter tornare qui da lei, perché ho una malsana cotta nei suoi confronti o qualcosa del genere. Non mi piace questa situazione, non voglio che Madama Chips pensi che io sia innamorato di lei perché poi si aspetterà dei cioccolatini per San Valentino o qualcosa del genere ed io non regalo cioccolata a nessuno, a parte Remus, ma non per San Valentino e solo perché lui è sempre molto saggio e meritevole, tranne quando trama ai miei danni. Pensare a Remus mi ricorda che ho degli amici e che tendenzialmente si avvertono gli amici quando si finisce in infermeria ed io potrei effettivamente farlo, perché ho lo specchietto in tasca, ma una parte di me trova disdicevole confessare di essere finito in infermeria per la terza volta in una giornata. Sirius mi prenderebbe in giro per ore e poi andrebbe ad uccidere Piton senza dire nulla a nessuno, perché è il genere di cosa che Sirius troverebbe sensata. E poi Piton maledirebbe anche Sirius oppure Sirius verrebbe scoperto mentre seppellisce il cadavere di Piton nella Foresta Proibita ed in qualche modo io finirei per saltare la partita contro Tassorosso e allora dovrei riaprire volontariamente la ferita sul mio braccio e dissanguarmi lentamente.
Il punto è, mi sto annoiando.
Evans ha detto che mi avrebbe raggiunto, il che è bizzarro e completamente ridicolo, perché non c’è nessun motivo al mondo per cui Evans dovrebbe venire a trovarmi in infermeria, se non per finire il lavoro iniziato da Piton, ma lei sembrava molto agitata e distratta e di fretta e ha detto che sarebbe venuta, e chi sono io per contraddirla e ricordarle che mi odia? Sono passati più di dieci minuti e una parte di me si sta rassegnando al fatto che lei sia semplicemente tornata in sé e si sia resa conto di non avere alcun motivo per cui venire da me, ma tutte le altre parti di me continuano a lanciare occhiate impazienti all’orologio a muro di fronte a me.
Mi ha srotolato la benda dal braccio con una strana espressione e se n’è fregata abbastanza del fatto che così facendo avrebbe accelerato il mio già di per sé rapido processo di dissanguamento, il che è stato molto coerente e molto poco carino da parte sua, ma poi mi ha effettivamente fasciato il braccio e questo è indubbiamente il segno di un grande amore latente in lei, per me o semplicemente per il non uccidere le altre persone, una delle due.
Forse le chiederò se è innamorata di me quando salirà, perché se lo fosse risolverebbe molti dei miei problemi e sarebbe una fortuita coincidenza, essendo io molto innamorato di lei, dove con innamorato intendo semplicemente che vorrei andare ad Hogsmeade con lei e non, che so, un innamorato alla Frank e Alice, che si sposeranno e avranno tanti bambini. Non voglio fare dei bambini con Evans, non credo che potrebbero uscire dei bambini sani di mente da me e lei e che senso ha fare un bambino se poi quello non è abbastanza sano di mente da imparare a essere il migliore a Quidditch, mh?
È molto irritante che ci sia questa parte di me molto disdicevole che sta pensando di non volere dei bambini da Evans, perché le persone normali non pensano a tutte le persone con cui non vogliono avere figli e questo è solo uno dei miliardi di motivi per cui devo smettere al più presto di avere questa cotta imbarazzante per Evans.
Rifletto per un attimo se sia il caso di premermi forte le dita sulla ferita per riaprirla e punirmi del fatto che sto continuando a pensare a lei anche ora, quando la porta dell’infermeria si apre cigolando e il destino beffardo entra a farsi gioco di me sotto le piacevoli spoglie di Evans.
Subito mi localizza e si dirige verso di me e se non fossi così impegnato a negare a me stesso che sto esultando internamente per il fatto che lei sia davvero venuta a trovarmi, noterei il suo strano sguardo perso.
Si siede nel lettino di fianco al mio e non parla, tenendo gli occhi puntati davanti a sé e suppongo che sia un buon compromesso, il suo corpo è venuto a trovarmi, ma la sua testa no, perché avere entrambi sarebbe stato troppo.
Mi godo il silenzio per qualche secondo, lasciando correre i miei occhi da persona ferita e in fin di vita a cui quindi nessuno può rinfacciare nulla su di lei, dalle gambe fasciate dalle calze a righe della divisa al modo in cui la gonna si appiattisce appena contro il materasso morbido sotto di lei e risucchia le cosce lisce sotto la stoffa a pieghe. Deglutisco silenziosamente, costringendomi a sollevare lo sguardo al viso circondato dai lunghi capelli appena un po’ arruffati e a malincuore infrango il silenzio, incerto, perché c’è qualcosa di molto bizzarro in tutto ciò e non ho ancora deciso se sia un qualcosa di positivo o negativo. 
- Evans?
- Avete cercato di ucciderlo?
Ha un tono vagamente assente ed io non ho idea di cosa stia parlando, ma a questo punto direi che negativo era la risposta esatta.
- Cosa?
- L’anno scorso, - continua sempre con quello sguardo vuoto fisso di fronte a sé, in un punto piuttosto lontano dai miei occhi, ed io preferirei che non lo facesse. - Tutta la scuola ha parlato di come tu avessi salvato Severus durante una notte di luna piena. Ho sempre pensato che avesse seguito Lupin per scoprire dove andasse, che si fosse messo in quel casino da solo e tu l’avessi salvato, - E finalmente sposta lo sguardo su di me, incrociando i miei occhi ed assottigliando i suoi, un inorridito lampo di comprensione ad accenderle la voce. - Ma non è così, glielo avete detto voi come arrivarci.
E all’improvviso capisco la fretta di Evans qualche minuto fa e non è più un mistero come facesse a conoscere la maledizione che mi ha colpito.
La ferita sul mio braccio manda un’acuta fitta di dolore facendomi stringere le dita sul lenzuolo ed io odio Severus Piton così tanto.
E non è come se quella notte non ci avesse già inferto ferite peggiori di questa, non è come se la cicatrice tra noi Malandrini non avesse impiegato mesi a smettere di bruciare, ma la verità è che Piton non si stancherà mai di tornare a stuzzicarne i bordi fino a farla riaprire, né ora né mai e tutto perché sono stato io a tirare lui e il suo stupido naso fuori da quel tunnel appena in tempo e questo gli è insopportabile ancora più di quanto lo sia per me.
- Sì, Evans, - Inizio e non mi stupisco di come la mia voce suoni all’improvviso seccata e ostile, perché è così evidente, anche se ogni tanto rischio di scordarmelo, che non c’è nulla che io possa fare, né ora né mai, e nonostante tutto lei continuerà a credere a Piton e non a me, fino alla fine. Non importa come l’ha chiamata e se lui non aspetta altro che uscire di qui per unirsi alle fila dei Mangiamorte, agli occhi di lei continuerò sempre ad essere io il peggiore tra i due e mi fa impazzire. - Ci annoiavamo e abbiamo pensato di rivelare il segreto di Remus a Piton, hai proprio capito tutto, - Si raddrizza sul lettino ed è spiazzata dall’improvvisa aggressività nel mio tono, ma io continuo a guardarla dritto negli occhi, beffardo. - Voglio dire, è stato così vantaggioso per noi, non è come se Piton ce lo rinfacciasse continuamente e Remus dovesse vivere col terrore che un giorno il tuo amico lo dica a tutta la scuola.
Il silenzio aleggia nell’infermeria per diversi secondi e lei non mi corregge, anche se l’ho appena definito suo amico.
- Infatti, - sbotta dopo un po’ con una mezza risata, portando le mani in alto con un gesto impaziente. - Non vedo perché avreste fatto una cosa del genere, non ha senso, ma non ha senso nemmeno che non l’abbiate fatta,  perché Severus ha ragione e qualcuno deve averglielo detto. E chi se non voi? I professori? Silente?
E il fatto è, non mi sta urlando contro e sta cercando di essere ragionevole, più di altre volte, ma non riesco comunque ad ascoltarla sul serio, perché alla sua voce si sovrappone il sibilo sprezzante che Piton mi ha rivolto poche ore fa ed è vero, Piton ha ragione e per quanto lui non faccia più parte della sua vita non ne farò mai parte neanch’io e le mie colpe saranno sempre più gravi delle sue, in un modo o nell’altro.
E allora mi sento ridere, anche se sono sicuro che Madama Chips stia per uscire dal suo ufficio a lamentarsi del troppo rumore.
- Sai cosa, Evans, credi quello che vuoi, non m’importa, - La punta di amarezza nella mia voce è coperta dall’indifferenza e i colpi silenziosi che l’invisibile Remus che vive nella mia testa sta scagliando contro le pareti del mio cervello non mi scalfiscono minimamente, perché voglio solo che lei  se ne vada, perché non sopporto quelle sue ciocche rosse che le sfiorano la fronte e mi ipnotizzano anche ora, e perché la odio per il modo così diverso e peggiore in cui lei odia me. – Visto che ti ha portato così bene, continua a fidarti di Piton, come hai sempre fatto.
*
Non so come mi immaginassi che sarebbe finita questa conversazione e sono effettivamente consapevole che avete cercate di ucciderlo non è il modo più pacifico di iniziarne una, ma c’è tuttavia qualcosa che mi sfugge nell’aggressività improvvisa di Potter e in quella vena di sincera irritazione ben percepibile oltre il suo tono beffardo.
- No, non sto credendo a lui, ok? Sono qui. Te lo sto chiedendo, - replico subito, perché anche se non è qualcosa da tutti i giorni ottenere una reazione irata da Potter, qualcosa di vero oltre le battutine sornione e la barriera di superiorità, come se in fondo esistesse effettivamente qualcosa in grado di toccarlo, non è per questo che sono qui ora. Il silenzio regna tra noi per qualche secondo ed io mi mordo le labbra, trattenendo un sospiro. - Come ha fatto?
L’irritazione sembra essersene andata così com’è arrivata, in un lampo improvviso, ed ora non ce n’è più traccia negli occhi nocciola di Potter, mentre mi osserva a lungo con un’espressione indecifrabile, ma più calma. È solo dopo diversi secondi che sembra recepire anche la mia domanda e subito distoglie gli occhi dai miei, iniziando a guardarsi intorno a disagio. Non so quanto tempo passa nel silenzio dell’infermeria vuota, con io che lo fisso in attesa e lui che evita ostinatamente il mio sguardo, le dita di una mano perse a stringersi tra le ciocche nere e indomabili e le labbra strette l’una contro l’altra, l’aria di chi sta cercando di uscire da un forte contrasto interiore.
Poi la sua voce spezza il silenzio e subito ha la mia attenzione più totale.
- Non lo sapevo, - sospira e c’è un che di rassegnato nel suo tono, ma anche di riluttante. - Nessuno di noi lo sapeva e certamente non Remus. Ce lo ha detto la sera stessa cosa aveva fatto, come se fosse una specie di scherzo. Ho corso, ma non sono arrivato in tempo: quando l’ho raggiunto lo aveva già visto.
Potter tiene lo sguardo fisso davanti a sé, ai piedi del letto, e non c’è bisogno che lui dica il nome, perché se è stato solo uno di loro, io lo so già. Perché l’unico pettegolezzo in grado di soppiantare quello di come James Potter avesse salvato la vita a Severus Piton l’anno scorso è stato quello del misterioso litigio tra i Malandrini, che ha visto uno di loro isolato dagli altri per quasi un mese, senza che nessuno ne capisse il motivo.
-  Black, - sussurro lentamente e Potter non mi guarda.
Ed improvvisamente tutto ha senso, perché mezza scuola ha passato un mese intero a interrogarsi su cosa avesse diviso i Malandrini dopo cinque anni, su cosa mai potesse aver combinato Black di così imperdonabile da farsi voltare le spalle persino da Potter, l’amico inseparabile che stravedeva per lui, mentre ora è la domanda opposta che mi annebbia la mente. 
- Come hai fatto a perdonarlo? – mi sento chiedere, senza fiato.  - Come ha fatto Lupin?
E una parte di me ancora si aspetta che Potter smentisca tutto e dia la colpa a Severus, perché mi riesce difficile credere che già a sedici anni si possa essere così sopraffatti dall’odio al punto da uccidere, perché non dovrebbe essere così, non mentre siamo ancora a scuola, non come se fossimo già le fazioni opposte di una guerra che aspetta solo di travolgerci tutti una volta usciti di qui. Ma ce l’ha scritto in faccia Potter, negli occhi che sfuggono ai miei e cercano una risposta che non c’è negli altri lettini vuoti dell’infermeria, ed è esattamente così che è andata, Black avrebbe potuto uccidere Severus l’anno scorso, proprio come Severus avrebbe potuto uccidere Potter oggi, e noi in mezzo alla guerra ci siamo già, perché è nata e cresciuta con noi ed anche ora ogni mossa, gesto o parola non fanno che portarci più vicini ad essa.
- Non, non voleva ucciderlo davvero. Non stava pensando, - Potter tentenna appena, per poi proseguire spedito e con una strana intonazione vuota, come se fosse qualcosa che ha recitato tante volte e a cui ancora non crede fino in fondo. - Sirius a volte non pensa. Silente l’ha capito.
E risento le parole di Severus e l’odio annientante nella sua voce, il modo in cui si è autoconvinto che siano stati tutti e quattro, contro ogni logica, che anche Lupin fosse d’accordo, e rivedo la scritta sprezzante sul muro della loro camera, quell’ibrido che lui ha potuto tracciare solo grazie a Black, perché Black li ha traditi come Severus ha tradito me. E non riesco a capire come a loro sia bastato un mese quando a me e lui non basterà una vita.
Il mio sguardo deve lasciar trapelare la mia domanda implicita, perché Potter sospira, prima di inclinare la testa, l’aria di chi vuole cambiare argomento.
- Non c’è nessuno a cui perdoneresti tutto, Evans?
No, penso, ma le mie labbra restano immobili e per qualche motivo una parte di me pensa a Petunia, a tutto quello che mi ha fatto e al modo in cui ancora continuo a sperarci. Ed è facile non perdonarla quando è lei la prima a non perdonare me per qualcosa su cui non ho il controllo, ma è mia sorella e se solo se lo ricordasse prima o poi, se mi dimostrasse che non sono solo una macchia fuoriposto nel quadro perfetto della sua vita...Ma il fatto è, non accadrà.
- Devo andare, è ora di cena, - Stabilisco all’improvviso, alzandomi dal lettino e sforzandomi di avere l’aria di una persona estremamente rilassata e casuale, in modo da non dare l’impressione di stare fuggendo. Com’è che siamo arrivati a questo punto? Il suo migliore amico ha praticamente pianificato e messo in atto un tentato omicidio e lui fa domande a me? Dannato Potter. Faccio qualche passo appena verso l’uscita, prima di bloccarmi e lanciare un’occhiata incerta al suo avambraccio fasciato. - Supererai la notte, sì?
Potter mi fissa attonito per qualche altro secondo, prima di sorridere vago.
- Pare di sì, Evans. Ma puoi restare a controllare tu stessa, se vuoi. Tenermi la mano, scongiurarmi di non morire perché sono la tua vita e tutte quelle cose.
E nella mia mente si forma davvero l’immagine di me che resto al capezzale di Potter tutta la notte, aspettando pazientemente il momento propizio per imbavagliarlo e premergli forte il cuscino sul naso.
- Credo che ne farò a meno, Potter, grazie, ma puoi sempre stringerti la mano da solo e ripeterti quanto ti ami, sono sicura che Madama Chips non avrà nulla da obiettare, - Ho già le dita strette sulla maniglia, quando mi ricordo un dettaglio non trascurabile. - E nel mentre, potresti assicurare ai tuoi amici che è solo una coincidenza il tuo essere finito in infermeria subito dopo la nostra lezione priva di testimoni? Non vorrei dovermi guardare le spalle per il resto dell’anno.
- Ci penso io, Evans, tranquilla. Sono sempre felice di guardarti le spalle, lo sai.
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James è evaso dall’infermeria per la seconda volta in un giorno.
Questo è così irresponsabile da parte sua.
Vorrei non essere il tipo di persona che alle undici di sera, la testa già sul cuscino e le coperte tirate su fino al mento, resta sveglio ad arrovellarsi sull’irresponsabilità dei propri amici, ma tant’è. Per amor di cronaca, non è solo questo a tenermi sveglio: da dietro le tende socchiuse del baldacchino accanto al mio proviene una luce fioca e la curiosità mi sta uccidendo. James non è il tipo da leggere a letto, o fare qualunque altra cosa a letto a parte dormire, che quando è cosciente non è in grado di starsene fermo  e seduto da qualche parte per più di due minuti. Il punto è, non importa se la cosa più discreta e rispettosa da fare sarebbe chiudere gli occhi ed ignorare la faccenda senza ficcanasare, perché quando uno dei miei amici si comporta in modo insolito anche il resto della scuola si comporta in modo insolito poi, che sia perché ci sono rane nelle loro mutande o perché diverse parti del loro corpo sono state trasfigurate in pezzi d’arredamento. 
Rabbrividisco appena nel posare i piedi caldi di letto sul pavimento di pietra, le mani alte davanti al viso a farmi da scudo nella penombra. Come la porta del bagno si chiude alle mie spalle, conto lentamente fino a cinque e poi tossisco.
Una volta, due volte.
Conto di nuovo fino a cinque e poi il terzo colpo di tosse.
Non sento i passi, ma dopo pochi secondi la porta si apre e poi richiude silenziosamente e Sirius mi è di fronte, i capelli arruffati e tutti appiattiti su un lato della fronte, ma gli occhi perfettamente svegli.
- Che sta facendo? – sussurro subito.
- Non lo so, - Sirius aggrotta la fronte, prima di accostarsi alla porta chiusa. Un colpo di tosse, poi due. Questa volta sentiamo un lieve rumore dall’altra parte prima ancora del terzo colpo e Sirius abbassa lentamente la maniglia, lasciando entrare un topo grigiastro dagli occhietti neri. Non appena Sirius richiude silenziosamente la porta, Peter si ritrasforma, impaziente.
- Ha un libro di Pozioni, - sussurra. – Lo sta leggendo.
L’espressione più che perplessa di Peter si rispecchia immediatamente nelle nostre e nella stanza cala il silenzio, mentre ci guardiamo sconcertati.
Poi qualcuno bussa alla porta e Sirius apre.
- Siete in tre in bagno, - annuncia James. - Spiegatemi come questo non dovrebbe insospettirmi.
È una fortuna che Sirius sia davanti a me di almeno due passi, perché questo pone nelle sue mani l’onere di replicare. Lo vedo sostenere lo sguardo di James per diversi secondi, labbra e occhi socchiusi nell’atto di spremersi le meningi e forse ad un certo punto dirà qualcosa di intelligente.
Poi le sue mani si stringono sulle spalle di James e con una mossa veloce lo costringe a scambiarsi di posto con lui.
- Voi siete in tre in bagno, - annuncia soddisfatto, dalla sua nuova postazione fuori dalla stanza. - Pervertiti.
Poi chiude la porta e poco dopo il suo letto cigola come se qualcosa di pesante ci fosse appena atterrato sopra.
James mi guarda interdetto ed io guardo interdetto i suoi capelli, poi un rumore simile allo scorrere di un ruscello attira la nostra attenzione.
Ci voltiamo entrambi e Peter alza le spalle.
- Mi scappava.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
...sorpresa!
Solo per oggi al supermercato di CAS offerta speciale: prendi due, paghi uno.
Se non siete morti di vecchiaia mentre cercavate di arrivare alla fine del 27, potete spararvi in vena anche il 28 – mi sembrava cattivo aggiornare a parte con un capitolo interamente flashback. 
Avvertenze per l’uso: il capitolo 28, oltre ad essere atipico per il suo essere ambientato totalmente nel passato (alla fine sono riuscita comunque a tornare a PRIMA che James realizzasse di essere in una Jily, visto?), è atipico anche in quanto unico capitolo della storia a non avere i POV e la prima persona, altro motivo per cui merita di essere bullizzato e non avere un aggiornamento tutto suo.
 
 

 
CAPITOLO 28.

 
«Non lo sapevo. Nessuno di noi lo sapeva e certamente non Remus. Ce lo ha detto la sera stessa cosa aveva fatto, come se fosse una specie di scherzo. Ho corso, ma non sono arrivato in tempo: quando l’ho raggiunto lo aveva già visto.»
Non c’è bisogno che lui dica il nome, perché se è stato solo uno di loro, io lo so già. Perché l’unico pettegolezzo in grado di soppiantare quello di come James Potter avesse salvato la vita a Severus Piton l’anno scorso è stato quello del misterioso litigio tra i Malandrini, che ha visto uno di loro isolato dagli altri per quasi  tre mesi, senza che nessuno ne capisse il motivo.
«Black»  dico lentamente e Potter non mi guarda.
[Capitolo 27]
 

 

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Hogwarts, Novembre 1975 – Quinto Anno.
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Quando James Potter apre gli occhi, quella mattina, ha la sensazione che sarà un’ottima giornata e che tutto andrà per il verso giusto, dalla partita di Quidditch contro Tassorosso alla luna piena.
Ormai lui e gli altri hanno imparato a controllare le loro trasformazioni alla perfezione e ad ogni plenilunio le loro interazioni col lupo sono sempre più pacifiche, come se lui avesse iniziato a ricordarsi inconsciamente di loro e di volta in volta è necessario sempre meno tempo per guadagnarsi la sua fiducia e calmarlo. Essere in grado di tenere a bada un licantropo trasformato fa camminare lui e Sirius con il mento un po’ più in alto del normale e persino Peter passa di fronte ai Serpeverde sghignazzanti con una certa spavalderia. La loro eccitazione è contagiosa e Remus è sul punto di cedere: forse proprio quella sera accetterà per la prima volta di lasciare il branco libero di correre per il parco di Hogwarts e magari anche per la foresta proibita, invece di stare rinchiusi tutta la notte tra quelle quattro pareti di legno buie e polverose. James riesce già a sentire l’erba fresca del parco sotto gli zoccoli e la luna alta sopra di lui: vincerà la partita e festeggerà correndo con i Malandrini sotto la luna piena e scoprendo nuovi passaggi da tracciare sulla mappa e chissà, forse Evans sceglierà proprio quel giorno per cedere al suo fascino. James Potter quella mattina ha davvero un ottimo presentimento e si alza dal letto con un sorriso entusiasta, impaziente di iniziare la giornata.
Per il resto della sua permanenza ad Hogwarts, James Potter eviterà accuratamente di dare il benché minimo ascolto alle sue sensazioni mattutine. 
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Infermeria.
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Madama Chips è stupita di vederlo lì così presto, quando solitamente Remus non si presenta alla sua porta se non prima di pomeriggio inoltrato. Nota il suo colorito pallido e le mani scosse dai tremiti e lo fa stendere immediatamente sul lettino più isolato, in un angolo dell’ampia stanza comunque vuota: Remus si chiede distrattamente se l’infermiera cacci appositamente gli studenti indisposti durante ogni luna piena, poi un’altra fitta potente gli attraversa le tempie e lui smette di pensare a qualunque cosa. Un panno umido gli viene premuto sulla fronte e le goccioline fredde che gli scivolano ai lati del viso bollente si mischiano a quelle del suo stesso sudore. Sbatte ripetutamente gli occhi nel tentativo di snebbiarsi la vista e scorge di sfuggita le espressioni atterrite di James e Peter, fermi in piedi ai lati del letto: non è la prima volta che gli capita di iniziare a soffrire già di prima mattina, ma per i suoi amici è come se lo fosse sempre, una secchiata gelida che li angoscia puntualmente. James indossa già la divisa da Quidditch e la sua scopa è abbandonata sul lettino accanto a quello di Remus, perché la partita inizierà a minuti e Grifondoro rischia di cominciarla senza il neo-Capitano. Ci mette un po’ Remus a convincerlo ad andarsene, che starà bene, e l’operazione è resa più difficile dal suo respiro affannoso e pesante che non sembra collaborare, poi Madama Chips torna con la pozione Sonnifera ed è lei stessa a cacciare i suoi amici, “che il suo paziente ha bisogno di riposo e non di smancerie”.
- In bocca al lupo, - mormora Remus dolorante, il sapore amarognolo della pozione in fondo alla gola e un mezzo sorriso a incurvargli le labbra. La sua voce è poco più di un sussurro, ma James, già alla porta, sente comunque e prima di perdere i sensi Remus vede il suo sorriso divertito, accompagnato dallo sbuffo esasperato di Madama Chips.
Poi le sue palpebre si abbassano e James ha la delicatezza di lasciare l’infermeria senza rispondere ciò che si risponde usualmente.
- Crepi!
A sua difesa, Peter è parecchio agitato per Remus, per la partita e per Sirius che è sparito da troppo tempo, di nuovo in uno dei suoi momenti, e Peter non rende bene sotto pressione.
- Ma quanto sei zuccone, Wormtail?
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Campo da Quidditch.
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Quando James entra correndo negli spogliatoi, la scopa sulla spalla e il fiatone, riesce fisicamente a sentire la tensione che si allenta di colpo e la luce in fondo al tunnel che riporta immediatamente alla vita i suoi compagni di squadra. Alexis, la nuova battitrice, lo colpisce non troppo piano sulla spalla con la sua mazza, perché “Non provarci mai più, Capitano”, mentre Mike continua a cercare di strizzargli le palle in uno strano rituale scaramantico e tutti gli altri continuano a dargli del dannato coglione ritardatario. Questo non è il rispetto che James si aspetta dalla sua squadra, per l’appunto, ma non si ribella agli spintoni e alle arruffate di capelli che gli arrivano da ogni parte mentre cerca di estrarre lo specchietto per contattare Sirius. È sparito poco prima che Remus iniziasse a stare male sul serio, quando un gufo reale gli ha lasciato cadere tra le mani una lettera, subito dopo pranzo; James non ha nemmeno dovuto guardare il sigillo con lo stemma dei Black sulla pergamena per capire chi fosse il mittente: è come se persino i gufi di casa Black osservassero Sirius dall’alto, lanciandogli le lettere con sprezzante superiorità. Non è qualcosa che ti aspetteresti da un gufo, ma dalle poche mezze frasi che James riesce a cavare di tanto in tanto dai denti serrati di Sirius, si aspetta di tutto dai Black. James conosce la prassi, sa che il suo migliore amico getta direttamente le lettere nel camino o le va ad aprire da qualche parte da solo, mai davanti a loro, ma Sirius è via da un po’ ormai e James sa anche quanto quelle lettere lo rendano intrattabile e attaccabrighe. È per quello che vorrebbe contattarlo prima della partita, giusto per assicurarsi che stia bene e che non si stia cacciando nei guai da solo, ma non c’è tempo e la squadra di Grifondoro viene chiamata sul campo prima che James possa estrarre lo specchietto dalla tasca e una volta in mezzo allo stadio, il vento che gli scompiglia i capelli e le urla del pubblico nelle orecchie, riesce a scorgere solo Peter nelle tribune di Grifondoro.
Quando il fischio di inizio partita gli risuona nelle orecchie, James è meno concentrato di quanto dovrebbe e non è per niente contento del fatto che dei suoi tre amici uno sia steso su un letto d’infermeria e un altro disperso chissà dove. E poi è ancora meno contento quando a nemmeno metà partita il battitore di Tassorosso commette il più palese e scorretto nella storia dei falli, rischiando di ammazzargli il Portiere. Madama Chips ci mette qualche minuto ad arrivare e James sa perfettamente perché e quando lei insiste per scortare Mike in infermeria James sa anche che le proteste della squadra e di Mike stesso sono inutili, che con Remus in infermeria Madama Chips non cercherebbe mai di procurarsi un nuovo paziente se non lo ritenesse strettamente necessario. Mary MacDonald, che cerca di entrare in squadra proprio ogni singolo anno  facendo indistintamente il provino per ogni ruolo, si sbraccia entusiasta nella direzione di James, ma è Austin Tatterfield, la riserva del quarto anno, a prendere il posto di Mike come Portiere. Il punto è, James è Capitano solo da un anno e sebbene abbia diretto i provini per i ruoli da titolare a Settembre, non si è preoccupato di cambiare o testare le riserve scelte negli anni passati dallo scorso Capitano.
James prova un’infinita stima per Dorcas Meadow, che lo ha accolto in squadra già al terzo anno e gli ha insegnato un sacco di cose prima di lasciare la scuola, giunta alla fine della sua carriera ad Hogwarts. James sospetta in realtà di avere anche avuto una cotta per lei ad un certo punto, in particolare quando prima di andarsene lei gli ha ceduto la sua spilla nominandolo Capitano e James avrebbe potuto sposarla seduta stante o quando Dorcas ha segnato un punto tirando dall’altra parte del campo e James è quasi svenuto per l’adorazione. C’è una parte di lui che è persino vagamente conscia di aver avuto la sua prima erezione consapevole vedendola chinata a lucidare la sua scopa dopo l’allenamento, nella divisa sudata e stretta sui fianchi, ma non è questo il punto. Il punto è, James si chiede spesso cosa farebbe Dorcas al suo posto quando ha un dubbio su come gestire la squadra, perché lei è stata assolutamente il miglior Capitano di sempre e James le deve così tanto, solo che vedendo Austin Tatterfield subire un goal dopo l’altro, James non può fare a meno di chiedersi come la stessa persona che gli ha insegnato come effettuare una perfetta finta Wronsky abbia potuto scegliere quella chiavica come riserva della squadra. I 10 punti che Daniel porta a casa segnando il rigore concesso da Madama Bumb per il fallo contro Mike non possono nulla contro tutti i punti che la mancanza di un vero Portiere sta regalando a Tassorosso e ben presto James capisce che ora è tutto nelle sue mani, che deve mettere fine alla partita il più presto possibile, nell’esatto momento in cui i suoi compagni riescano a recuperare quel tanto necessario ad assicurargli la vittoria una volta preso il boccino.
È passata mezz’ora e James avrebbe potuto acchiappare il boccino in almeno cinque occasioni diverse, ma Grifondoro continua ad incassare e il suo punteggio sale molto più lentamente di quello di Tassorosso: i suoi Cacciatori continuano a dare il massimo nel tentativo di segnare, ma per ogni goal messo a segno da Grifondoro subito Austin ne incassa altri due e il distacco di punteggio invece di diminuire non fa che aumentare. Frank e Alexis, subito dopo aver impedito per l’ennesima volta alla Cercatrice di Tassorosso di afferrare il boccino grazie a una scarica di bolidi ben piazzata, lanciano un’occhiata disperata a James, che si ritrova a dover prendere la sua prima decisione veramente difficile da quando è Capitano: continuare a impedire alla Cercatrice avversaria di prendere il boccino e tirare la partita per le lunghe nell’improbabile ma non impossibile speranza di recuperare il distacco e vincere, col rischio però di rendere solamente il divario nel punteggio tale da essere sbattuti definitivamente fuori dalla competizione per la Coppa, oppure farla finita subito afferrando il boccino e i suoi 150 punti, perdendo sì la partita ma con una differenza di punteggio tale da restare comunque in gara per la Coppa di fine anno.
Pochi minuti dopo il boccino d’oro sbatte frenetico le ali tra le sue dita e Grifondoro perde 190 a 260.
La squadra comprende la scelta di James e dopo una decina di minuti decidono persino di far uscire Austin da sotto il getto gelido della doccia, rinvigoriti dalla prospettiva di passare il resto dell’anno ad allenarsi come non mai per riuscire comunque a ottenere la Coppa, vincendo in maniera netta sia contro Serpeverde che Corvonero. Austin, per l’appunto, confessa di non aver lanciato nessun Confundus a Dorcas per farsi scegliere come riserva, gli è bastato far presentare al provino Michael, il suo gemello Serpeverde. A quel punto James gli affattura la lingua, ma è abbastanza felice di poter tornare a considerare Dorcas Meadow l’essere più perfetto sulla faccia della terra e di poter dare la colpa di tutto a un Serpeverde.
Allenamenti extra è la parola chiave e per il resto dell’anno nessuno in squadra si lamenterà una singola volta, nemmeno Sam, che ha sempre visto di malocchio gli allenamenti extra e in generale gli allenamenti stessi. La vittoria schiacciante contro Serpeverde li ripagherà di ogni fatica, rimettendoli ufficialmente in gara per la coppa, e a fine anno, prima dell’ultimo incontro, Grifondoro sentirà di avere già la vittoria in pugno e a ben ragione: la squadra di Corvonero sarà quasi già rassegnata a perdere, avendo mandato spesso dei primini a spiare gli allenamenti continui e instancabili di Grifondoro, e James, di nuovo, si sentirà particolarmente positivo riguardo alla partita.
Il piano sarà fondamentalmente prendere il boccino il prima possibile, in modo da vincere con un distacco di quasi 150 punti e poi correre in giro per la scuola con la coppa tra le braccia, più o meno vestiti. Sembrerà a tutti un ottimo piano, fino a quando James non appenderà Severus Piton a testa in giù togliendogli le mutande di fronte a mezza scuola subito dopo i G.U.F.O. di Difesa, a pochi giorni dalla partita, e una McGranitt rossa di rabbia costringerà la squadra di Grifondoro a elaborare un nuovo piano in quattro e quattr’otto, sbattendone il Cercatore e Capitano ad assistere alla partita dagli spalti. 
Grifondoro perderà, le espressioni dei suoi compagni di Casa gli insegneranno cos’è il senso di colpa e James Potter giurerà per la seconda volta a se stesso che non si fiderà delle sue sensazioni positive mai più.
Ma quel giorno James non lo sa ancora e quando Sirius fa quello che fa, lui sarà ancora negli spogliatoi a motivare la squadra dopo la sconfitta. Non sa ancora che perderanno tutti la coppa per colpa sua e del suo odio per Piton, proprio come non sa che quella sarà la notte più lunga della sua vita.
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Guferia.
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Sirius non sa di stare per combinare un disastro.
Non lo sa mai, Sirius, quando è sul punto di rovinare tutto: non c’è una voce nella sua testa, l’attimo prima che lui faccia o dica qualcosa che stravolgerà tutto, che glielo anticipi, che gli dica ‘Ecco, stai per mandare tutto a puttane’. E forse è proprio questo il problema, che in quei momenti non c’è nessuna voce nella testa di Sirius, nemmeno quella dei suoi stessi pensieri, perché qualcosa si annebbia in lui ogni tanto e le parole escono dalle labbra senza prima passargli per il cervello, le fatture sprizzano dalla bacchetta senza che lui debba nemmeno pensarci. È quello che gli è successo sul treno per Hogwarts, al primo anno, quando si è sentito dire “Forse io andrò contro la tradizione”, pur sapendo perfettamente che nessun Black spezza la linea di sangue, che Serpeverde è ciò che gli scorre nelle vene e che tutti si aspettano da lui. È quello che gli è successo quando quel cappello sfilacciato gli ha chiesto il permesso di gettarlo nella fossa dei leoni, letteralmente, e invece di rispondergli che no grazie, a Grifondoro ci può mandare qualcun altro senza aizzarmi la mia intera famiglia contro, gliel’ha lasciata gridare a tutta la Sala quella parola, senza opporsi, e l’attimo dopo si stava dirigendo verso il tavolo sbagliato tra lo stupore generale, già un po’ orfano. È quello che gli succede ogni volta che i suoi genitori gli rivolgono la parola e qualcosa nella sua testa si spegne e lui si ritrova a ribattere e dire sempre, ogni singola volta, la cosa sbagliata, quella che sa li farà infuriare ancora di più ed è solo col sapore amaro del sangue in bocca che si ricorda che le estati a casa Black sono già abbastanza infernali senza bisogno di offrire ai suoi su un piatto d’argento altri pretesti per puntargli contro la bacchetta, altri pretesti oltre alla sua sconveniente esistenza.
È quello che gli succede  per la maggior parte del tempo, gli impulsi che si tramutano automaticamente in azioni, senza che la riflessione abbia una qualche parte in questo, ed è il motivo per cui le persone si arrabbiano con Sirius più che con chiunque altro e le cose attorno a lui tendono ad esplodere con una così alta frequenza. Di tutte le volte che il suo cervello si è spento e la sua bocca ha agito per lui, Sirius non ne ha mai rimpianta neppure una, che è quasi affascinante il modo in cui una singola parola o gesto piazzato al momento giusto possa minare gli equilibri di ogni situazione e far crollare il terreno attorno a lui. Sirius sa di essere un po’ troppo impulsivo anche per un quindicenne Grifondoro e non se n’è mai pentito fino a quella volta, perché quella volta quello che Sirius fa inavvertitamente franare non è la terra attorno a lui, ma quella sotto le sue scarpe, l’unica cosa in grado di tenerlo in piedi in mezzo a tutto. Non sta pensando a loro quando le sue labbra si schiudono e sputano su Piton, insieme all’odio e al veleno, quell’informazione che l’altro accoglie come un dono, incredulo, e che più tardi si trasformerà nel tradimento negli occhi dei suoi amici. Ma non sta pensando ai Malandrini Sirius, ha tra le mani la lettera piena dell’odio sottile ed elegante di sua madre, tracciato in inchiostro nero ancora fresco, e lo sente filtrare attraverso la pergamena e fin sotto la sua pelle, mentre la voce sprezzante di Piton gli riempie le orecchie. Sta di nuovo ficcanasando nei loro affari, perché non fa altro ultimamente, se ne sta lì a sproloquiare su come un giorno scoprirà dove se ne vanno ogni mese e li farà espellere tutti e Sirius semplicemente non è Remus, che si limita a stringere appena le labbra e si sforza di ignorarlo, non è Peter, che finge di non sentire ed aumenta il passo verso la Sala Comune di Grifondoro,  e non è nemmeno James, che alterna risposte beffarde a trasfigurazioni mirate del suo naso per cui finisce puntualmente in punizione. Non è nessuno di loro Sirius, Piton lo ha beccato in un pessimo momento e quello che gli scorre nelle vene è un odio così al di là di una fattura o un pugno ben piazzato che quello che succede dopo è inevitabile.
- Ripeti sempre che scoprirai dove spariamo ogni mese, Mocciosus, ma continui a darci buca. Che c’è, te la fai sotto al pensiero di premere il nodo sulle radici del Platano e vederlo coi tuoi occhi?
Tutti, dai suoi amici a Silente, cercheranno di tirargli fuori la verità, quello che davvero gli è passato per la testa in quel momento. James cercherà disperatamente una spiegazione e alla fine, solo alla fine, arriverà alla conclusione che Sirius non stava pensando, che non aveva previsto le conseguenze, che non lo voleva uccidere davvero.
Sirius non contraddice James, perché è vero che non stava pensando.
Ma poi non è come se ci fosse bisogno di pensare per volere qualcuno morto, e Sirius sa anche questo.

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Non è come se non fosse già una pessima giornata per James, con la sconfitta contro Tassorosso ancora bruciante e la delusione nascosta in modo pessimo negli sguardi dei suoi compagni di Casa. È ok, suppone, è semplicemente il prezzo da pagare per essere il Capitano: quando la squadra vince è lui quello che si becca più complimenti e pacche sulle spalle di tutti, indipendentemente dal suo contributo nella partita, ed ora che ha perso è su di lui che si concentrano le occhiate sconfortate dei Grifondoro non appena mette piede in una stanza qualsiasi. È logico e in qualche modo persino giusto, ma James continua a trovare spiacevole avere su di sé così tanti occhi quando non sono colmi d’ammirazione. È quando gli sembra di scorgere per una frazione di secondo qualcosa di molto simile al dispiacere in uno sguardo verde puntato su di lui che James decide di odiare Hogwarts e la sua vita in generale. La sua idea era quella di trovare Sirius, ma in Infermeria non c’è nessun Serpeverde e nessuno in Sala Grande sta sussurrando di ale del castello esplose o allagate, quindi dopotutto Sirius non deve aver combinato nulla di potenzialmente preoccupante. La Stanza delle Necessità quel pomeriggio non è altro che una riproduzione fedele del parco di Hogwarts, ma priva degli studenti e dei loro sguardi insistenti, e James nuota fino a sera nelle acque limpide del Lago che la Stanza ha reso tiepide per lui. Lo sa che dovrebbe avvisare i suoi amici, che saltare la cena senza avvisare non è da lui e soprattutto non il giorno della luna piena, ma sa anche che i suoi amici non dubiteranno neppure per un attimo del fatto che alle dieci in punto sarà con loro sotto il mantello, già sulla strada per la Stamberga. Quando, con i capelli ancora umidi, torna in Sala Comune, si stupisce di non trovarvi già entrambi i suoi amici, ma solo Peter con il mantello sul grembo e un’aria impaziente. È stupito, ma non preoccupato, perché è Sirius, è un Malandrino e non importa quanto quel giorno sia di pessimo umore, arriverà a momenti. Solo che i momenti passano, Sirius non arriva e James e Peter decidono di salire in camera a prendere lo specchietto. Di tutti gli eventi a cui un Malandrino può presentarsi in ritardo, il plenilunio è l’ultimo anche solo considerabile e James è appena un po’ scocciato quando chiama il nome del suo migliore amico, tenendo alto lo specchietto di fronte a sé.
Il vetro sottile resta silenzioso e la risposta gli arriva dalla porta alle sue spalle.
James è abbastanza sicuro di aver avuto una brutta giornata fino a quel momento, ma non sa che l’ingresso di Sirius nella loro stanza porterà ad un livello tutto nuovo la sua concezione di brutta giornata.

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Sirius non capisce perché James e Peter lo guardino così ora.
C’è qualcosa nei loro occhi che gli ricorda spiacevolmente il modo in cui lo ha guardato Regulus al suo ritorno a casa, al primo anno, con quel cravattino rosso e oro appeso al collo. Lo stesso sguardo incredulo e tradito di suo fratello e a Sirius davvero non piace.
- Stai scherzando. 
Quando Sirius è entrato, James è parso sollevato e ha afferrato il mantello, intimandogli di sbrigarsi e lamentandosi del ritardo. Sirius si è sentito commentare un distratto ‘Non preoccuparti, Prongs, questa notte Moony avrà comunque compagnia’ ed è allora che i suoi amici hanno iniziato a guardarlo in modo strano. Perplesso dapprima e all’erta poi, quando James si è deciso a chiedere chiarimenti, la voce alta e tesa e l’aria di chi non sa bene cosa stia succedendo. Nemmeno Sirius lo sa bene, se non che dopo la sua risposta, dopo che l’ha detto e basta, il tempo si è come fermato. Peter è impallidito ed ora continua a fissare Sirius come se non lo riconoscesse, incapace di parlare, mentre James è immobile, ogni muscolo del corpo teso come prima di uno scatto.
- Sirius, - dice e c’è qualcosa di supplicante nella sua voce. – Stai scherzando. Dimmi che stai scherzando.
Sirius non si è ancora pentito di quello che ha fatto. Arriverà il momento, quando la parola traditore gli verrà rivolta contro ancora una volta, stuzzicando ferite ancora aperte, quando l’espressione di Remus gli sbatterà in faccia in tutta la sua chiarezza la verità di quella notte, in cui realizzerà quello che ha fatto davvero, non a Piton, ma ai Malandrini, e se ne pentirà come di nient’altro in vita sua, ma non è adesso. Ora Sirius riesce ancora a sentire la soddisfazione feroce e vibrante che lo anima al pensiero di Severus Piton che pensando di camminare trionfante verso l’opportunità perfetta per farli espellere tutti e quattro si sta invece avvicinando a un licantropo trasformato che gli farà gelare il sangue nelle vene e chiudere il becco una volta per tutte. Non si è ancora pentito Sirius, ma basta il tono di James, controllato ma non al punto da non lasciar trasparire una vena di dissimulata disperazione nella voce, basta quello a farlo vacillare e per un attimo, solo per un attimo, Sirius vorrebbe potergli rispondere che sì, sta scherzando e non ha fatto proprio nulla, perché c’è qualcosa di totalmente sbagliato nel tono supplicante del suo migliore amico.
E poi lo sguardo nocciola fisso su di lui si annebbia all’improvviso, trapassando Sirius come se non lo vedesse più, perché James lo conosce meglio di chiunque altro e non gli è sfuggita quell’esitazione. E ora James sa che Sirius non sta scherzando.

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I contorni della stanza sfumano attorno a lui e James si ritrova ad allargare appena le dita tremanti, le mani sollevate e inerti a mezz’aria, nel tentativo irrazionale di fermare il tempo abbastanza a lungo da riuscire a pensare e tirarsi fuori dall’incubo surreale in cui tutti loro sono appena stati risucchiati. Sirius ancora non se ne rende conto, è così evidente, e se il cuore non gli martellasse nel petto così forte da fargli pulsare il sangue nelle orecchie James si prenderebbe il disturbo di cancellargli con un pugno ben piazzato quell’espressione interdetta e confusa dal viso. Ma non c’è tempo per quello e la verità è che ora come ora James trova insopportabile anche solo la vista di Sirius: non riesce a guardarlo in faccia e lo scaccia con forza dalla sua mente, mentre le sue mani sfilano frenetiche la Mappa da sotto il materasso del suo baldacchino. Sirius sta dicendo qualcosa e lui non deve nemmeno sforzarsi di ignorarlo mentre spiega velocemente la mappa meglio che può con il fiato bloccato nel petto e le mani che non smettono di tremare. Ha percorso le linee di inchiostro su quella pergamena giallina così tante volte da sapercisi orientare con estrema facilità ormai, ma in quel momento deve richiamare a sé tutta la sua concentrazione per riuscire a mettere a fuoco i vari piani e i puntini che si muovono al loro interno e che continuano ad attorcigliarsi l’uno con l’altro. E alla fine lo trova, un puntino isolato dagli altri che si sposta veloce, sempre più vicino ai confini di Hogwarts, lì dove il Platano protegge da cinque anni a quella parte il segreto di Remus. Non si accorge nemmeno di averla lasciata cadere, semplicemente la Mappa non è più tra le sue mani e lui è scattato verso la porta, perché non è ancora troppo tardi, può ancora sistemare tutto.
Peter non si è mosso dall’angolo della stanza da cui continua a lanciare occhiate terrorizzate e sconvolte a Sirius, mentre la mano di quest’ultimo si chiude improvvisamente attorno al braccio di James. Ha raccolto il mantello da terra e lo tiene sollevato con l’altra mano, pronto a gettarlo su entrambi, come se non essere visti potesse avere una qualche importanza ora.
- Non mi seguire, non...-  James si libera il braccio bruscamente, evitando accuratamente di incrociare gli occhi del suo migliore amico. - Stammi lontano.
Poi i suoi piedi pestano veloci i gradini della scala a chiocciola dei dormitori maschili di Grifondoro e i tappeti zaffiro della Sala Comune, fino ai passaggi segreti angusti ed umidi dietro gli arazzi. Corre veloce senza mai fermarsi, anche se il cuore gli sta già esplodendo nel petto e quando le suole delle sue scarpe calpestano l’erba umida del parco illuminata dalla luce fioca della luna piena, alta nel cielo, James si sente per un istante quasi sopraffatto dalla fitta di paura che lo inonda come un veleno: Remus ha già lasciato il posto al lupo, Piton sarà già nel passaggio sotto il platano e tutto il suo mondo sta per sbriciolarglisi tra le dita. Ma stringe i denti e continua a correre, sempre più veloce, perché James non lascerà che accada. Non lascerà che succeda questo a Remus e nemmeno al dannato Piton, né a quell’idiota di Sirius. Non lascerà che succeda nulla a nessuno.
Continua a correre e non prende nemmeno in considerazione l’idea di non arrivare in tempo, di non riuscire a fermare Piton prima che veda Remus.
James dovrebbe davvero, davvero imparare a non fidarsi dei suoi buoni presentimenti.

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Remus è quasi a metà della trasformazione e dei Malandrini non c’è traccia.
Ha provato diverse volte ormai a convincerli a non venire ogni mese, eppure ora che lo hanno ascoltato sul serio, ora che non sono lì per davvero non può fare a meno di cercarli con lo sguardo, accucciati in un angolo della stanza a ricordargli in silenzio cosa significhi avere degli amici al mondo.
Non glielo ha mai detto, Remus, che non è la nottata il momento in cui lo aiutano di più: il lupo è distratto dal branco e non infierisce su se stesso, evitando a Remus di svegliarsi con le braccia ricoperte di morsi e tagli sanguinanti la mattina dopo, ma non è il sangue e non sono le ferite: il momento in cui davvero i suoi amici fanno la differenza è quello della trasformazione, quando Remus è costretto a guardare negli occhi la luna e se stesso, senza barriere o parole di conforto tra lui e la maledizione ed è allora che i suoi amici gli dimostrano di esserci, quando il mondo intero smette di esistere e loro non se ne vanno da quella stanzina impolverata, dal teatro degli orrori. Quando tutto, compreso Remus, svanisce e loro restano.
Ma quella notte è come se i Malandrini non fossero mai esistiti e le sue grida sono l’unica compagnia possibile.
La prima volta da quasi un anno e Remus è solo con il lupo.
La pelle tira e si strappa contro le ossa appuntite che continuano a deformarsi lente ma inesorabili, uscendo all’aria aperta ricoperte da una patina di sangue denso e grumoso. Le sue membra sono irriconoscibili ora, nel momento peggiore, quello in cui non è più un umano e non ancora lupo. Il suo corpo che lo divora dall’interno e lui grida così forte da non sentire il cigolio della porta, mentre questa si apre all’improvviso. E per un istante, al di là delle grida e del dolore, il sollievo lo invade, ma non sono loro ad entrare: il viso pallido ed emaciato di Severus Piton fa capolino nella penombra e la smorfia di trionfo sulle sue labbra esangui si trasforma ben presto in una di terrore, non appena realizza cos’ha davanti.
Remus non capisce bene cosa stia succedendo, ma una fitta di panico gli stringe lo stomaco in una morsa, perché è sbagliato, Piton non dovrebbe essere lì e lui sente di star perdendo lucidità. Usa l’ultimo barlume di concentrazione per gridargli di scappare, ma quella che gli esce dalla gola bruciante è la voce del lupo e l’ululato è l’ultima cosa che gli rimbomba nella testa prima di perdere conoscenza. L’ululato e la voce affannata di James.

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Piton indugia con le dita sulla maniglia per diversi secondi, allarmato dai versi inumani al di là della vecchia porta scheggiata. Ha un’idea di quello che potrebbe trovarsi di fronte ed è solo in quel momento che si ferma a pensare a quanto sia stato avventato da parte sua fiondarsi lì senza lo straccio di un piano, senza contare che nessuna situazione che inizia con lui che dà ascolto a Black può concludersi  bene.
È solo quando un altro ragazzo spunta dal fondo delle scale e gli grida di fermarsi che lui non ha più dubbi: Potter non vuole che apra, quindi Piton abbassa la maniglia con decisione.

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Severus Piton è un idiota e James non l’ha mai voluto morto più del momento in cui gli salva la vita.
Lo schiantesimo uscito dalla sua bacchetta respinge la testa di Moony all’indietro esattamente un attimo prima che le zanne umide e affilate affondino nella gola scoperta di Piton, steso a terra e inerme sotto il peso del lupo. È solo con altri due schiantesimi consecutivi che James riesce a sbalzare Moony contro il muro, permettendo al Serpeverde di rialzarsi. Non lo ha ascoltato prima, ma quando James lo afferra per un braccio incitandolo a correre, Piton inizia effettivamente a caracollare per le scale come se non ci fosse un domani, a dispetto del colorito più esangue del solito e dell’aria malferma sulle gambe magre.
Il fatto è, può sembrare una buona idea, correre, quando hai un licantropo con la bava alla bocca alle calcagna, ma la verità è che non esistono buone idee quando un essere del genere è dietro di te: c’è solo un esito, in quel caso, e quello che puoi fare è semplicemente essere raggiunto, dopo un secondo o, se corri particolarmente veloce, dopo una decina di secondi. E poi c’è la parte inevitabile dei denti affilati che ti bucano la pelle, la carne strappata, il dolore lancinante, le grida affogate nel sangue e tutte le altre simpatiche cose che una morte per sbranamento porta con sé. James lo sa questo ed è in quel momento, quando non si fionda giù per le scale dietro a Piton per raggiungere la botola, che salva nuovamente la vita di entrambi: la mano stretta attorno alla bacchetta scatta una frazione di secondo prima di Moony e i suoi artigli si piantano nel legno marcio della porta che ora lo nasconde alla vista. James mormora veloce qualche altro incantesimo per assicurarsi che la porta tremante non ceda sotto i colpi del lupo infuriato, poi si volta e in un attimo è nel passaggio umido al di sotto della botola, lontano dalla luce fioca della Stamberga.
- Un lupo mannaro.
 Lo supera nel buio senza nemmeno fermarsi, ignorando il sussurro stralunato dell’altro.
- State nascondendo un fottuto lupo mannaro a scuola, - Piton deve aver ripreso a camminare, perché anche se James non rallenta, la voce alle sue spalle continua ad essere vicina, sempre più infervorata. – Siete impazziti, Potter? Che cosa pensavate di fare? Credi che sia un gioco, che ti renda furbo, nascondere una bestia del genere in una scuola? Tutti questi anni...avrebbe potuto fare una strage e solo perché tu e i tuoi amichetti poteste divertirvi e sentirvi così al di sopra degli altri per avere un segreto del genere, vero?
- Sta’ zitto.
James affonda le unghie nei palmi delle mani ed accelera, perché vuole solo uscire da quel tunnel e mettere più spazio possibile tra se stesso e Severus Piton, tra se stesso e quello che è appena successo.
- Tu lo sapevi, - Piton aumenta a sua volta il passo, senza demordere, ed ora suona quasi sorpreso. - Sapevi esattamente dove trovarmi, - prosegue pensoso, prima di avere l’illuminazione più inesatta della storia e peggiorare ulteriormente la giornata di James. - Eri d’accordo con Black, tutti voi, Lupin e Minus, avete cercato di uccidermi!
- Nessuno ha cercato di ucciderti, ok? – James si volta di scatto, sperando che Piton non noti la punta di disperazione nella sua voce, sommersa com’è dalla rabbia. Tutto quello non sta succedendo davvero. - Tu hai cercato di ucciderti. Perché diavolo hai dovuto aprire la porta?
- Sarete espulsi, tutti e quattro, - Quando Piton parla di nuovo, è ancora affannato, ma c’è una nota di delizia nella sua voce e James scopre di odiarlo con un’intensità del tutto inedita. - Quando Silente lo saprà, quando saprà cosa avete nascosto proprio sotto il suo naso, per tutto questo tempo, voi tre sarete espulsi e Lupin finirà in qualche gabbia all’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature magiche.
La schiena di Piton sbatte contro la pietra umida e scivolosa che fa da parete all’angusto passaggio e un po’ di terriccio si stacca dalle zolle di terra sopra le loro teste, finendogli sul naso. Ne finisce un po’ anche sui capelli di James, ma lui continua a tenere le mani ben strette attorno al colletto di Piton, gli occhi fissi in quelli neri dell’altro.
- Sta’ zitto, - sibila in preda a un odio bruciante che gli divora la voce, facendola tremare di rabbia. – Ti avverto, non dire un’altra parola.
- Oh, sto zitto ora, Potter, - replica subito lui, quella sottile vena di allegria che continua a percorrergli la voce, così in contrasto con la nota di paura che marca quella di James. - Ma non starò zitto davanti a Silente, puoi giurarci. Quando saprà cos’è Lupin...
- Temo di essere già al corrente della natura del signor Lupin, Severus.
Sono diverse le voci che James non vorrebbe sentire in quel  momento, probabilmente sarebbe più esatto dire che James non vorrebbe sentire voci e basta, a parte quella di Remus che lo avvisa che sta facendo tardi per la partita e che dovrebbe davvero smettere di fare incubi assurdi e alzarsi dal letto, ma tra tutte le voci che James non vorrebbe sentire ora, quella pacata, e tuttavia dura di Silente è in cima alla lista. Se ne sta lì, a scrutarli attento con gli occhi azzurri dietro le lenti a mezza luna e un agitato Peter alle spalle, e James non può fare a meno di chiedersi come quella giornata continui a trovare il modo di peggiorare ancora e ancora e ancora.

- - - -

Piton è furioso, e quella è una consolazione ben più grande per James dei cinquanta punti che Silente gli ha assegnato “per la prontezza e il coraggio dimostrati”. Lo guarda uscire dall’ufficio di Silente, mentre il Gargoyle di pietra si richiude con un tonfo alle sue spalle, e lo segue con gli occhi mentre si fionda a passo sostenuto verso la fine del corridoio, senza posare lo sguardo su James nemmeno per sbaglio. Non è come se non si odiassero già, ma James sa che questo è diverso. C’è qualcosa di più serio, di più adulto e più assoluto nel modo in cui si odiano ora: Piton ha cercato fino all’ultimo di far ricadere la colpa degli eventi di quella notte su tutti e quattro, guadagnandosi diverse occhiate glaciali da Silente nel riferirsi a Remus con appellativi che James continua a sentire anche ora, appoggiato alla pietra fredda nel silenzio del corridoio. Si è aggrappato alla necessità della loro espulsione e al pericolo rappresentato da “quella cosa” fino all’ultimo, quando Silente ha congedato lui e Peter per restare solo con Piton. È quasi arrivato alla fine del corridoio ora, senza che James gli abbia gridato qualche battutina sprezzante come farebbe normalmente, perché dopo quella notte, James lo sa, la normalità sarà tutta da ridefinire. All’ultimo, proprio prima di girare l’angolo, Piton pare tuttavia cambiare idea e ricopre in pochi secondi la distanza che lo separa dall’altro.
- Non ti devo niente, Potter, - gli sibila contro e il rancore nella sua voce e negli occhi bui è più intenso di quanto James lo abbia mai avvertito. - Non m’importa se l’avete fatta franca per l’ennesima volta: io non sono Silente, io ti vedo per quello che sei davvero e quello che hai fatto stanotte non è stato eroico, né altruista né coraggioso. Avete cercato di uccidermi e poi tu hai avuto troppa paura per arrivare fino in fondo. Hai salvato te stesso e quegli scherzi della natura che chiami amici, non me.
In un altro momento, James cederebbe al formicolio che gli percorre le dita e lascerebbe scontrare il suo pugno chiuso contro il naso adunco dell’altro, proprio lì, davanti all’ufficio del Preside, e al diavolo tutto. Ma James ha appena scoperto una dimensione tutta nuova nel suo odio per lui, una sfumatura e un’intensità tali che un naso rotto non basta più.
- Puoi raccontarti quello che vuoi su questa notte, Piton, non m’interessa, - replica calmo, guardandolo dritto negli occhi. - Ma la verità è che oggi ti ho salvato la vita ed ogni respiro che farai d’ora in poi, ogni singolo respiro, per tutta la tua insignificante, misera e patetica esistenza, saprai che è solo grazie a me, - Fa una pausa. - Buona fortuna a convivere con questo.
Il silenzio cade tra loro come un mantello soffocante, mentre a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro continuano a fissarsi per diversi secondi, prendendo atto della nuova forma d’odio appena nata in quegli sguardi muti. Poi Piton, le labbra premute l’una contro l’altra con tanta forza da renderle quasi bianche, si volta e sparisce oltre l’angolo, il mantello scuro a svolazzare nell’ombra.
Vent’anni dopo non avrà ancora perdonato a James di avergli salvato la vita quella notte.

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Non appena resta solo, James esclama ad alta voce “Api Frizzole” e si fionda sulla scala a chiocciola rivelata dal gargoyle, impaziente. Spalanca la pesante porta di quercia senza neppure bussare, perché in fondo non dovrebbe comunque essere lì: Silente, prima della sua chiacchierata con Piton, ha espressamente ordinato a lui e Peter di tornare in Sala Comune e mandargli Sirius da solo. Non è tanto che James non ha alcuna voglia di tornare in Sala Comune, né tantomeno vedere Sirius, o almeno non è solo quello: Piton è uscito dall’ufficio del Preside con un’aria tutt’altro che trionfale e razionalmente James lo sa che Silente, coi suoi anni di esperienza e i suoi occhi saggi dietro le lenti a mezzaluna, non deve aver avuto troppi problemi ad assicurarsi il silenzio di un ragazzino di quindici anni, ma James ha comunque bisogno di sentirglielo dire.
- Mentirei se mi dicessi sorpreso, signor Pott-
- Non lo dirà a nessuno?
James ha appena interrotto il Preside e in un altro momento potrebbe importargliene qualcosa.
- Piton, - specifica impaziente, vagamente consapevole di come la sua voce risulti quasi supplichevole. - Non dirà a nessuno di Remus?
- Non lo dirà a nessuno, - ripete Silente pacato, l’azzurro limpido a scrutarlo attento oltre le lenti a mezzaluna.  
- Come fa a esserne sicuro? Lo odia, Preside, ci odia, lo userà contro Remus, lui-
- Sì, - Silente annuisce grave e stranamente calmo al tempo stesso e James ha la sensazione che stia trattenendo un sospiro. – Userà questa notte per nuocere al signor Lupin in ogni modo che gli sarà possibile. E temo che ne abbia diversi tra le mani, modi di colpirlo su cui nemmeno io posso intervenire, ma rivelare il suo segreto ad anima viva non è tra questi, ha la mia parola.
- Gli ha fatto un incantesimo? – insiste James, perché non importa se Silente gli ha appena implicitamente fatto capire che non intende scendere nei dettagli, lui si sentirebbe così tanto sollevato se solo sapesse che il segreto di Remus non dipende unicamente dal buonsenso di Piton. – Perché sono abbastanza sicuro che il Voto Infrangibile non sia illegale sopra i quindici ann-
- La lealtà verso gli amici, signor Potter, - Il tono di Silente è vago e casuale, come se avesse appena spezzato un lungo silenzio, come se James non stesse parlando fino a due secondi prima. È qualcosa che gli piacerebbe saper fare questa, interrompere qualcuno senza sembrare maleducato e impertinente, che è invece l’effetto che gli sembrano sempre avere le sue parole. Ma probabilmente è un’abilità che non si può imparare, una conseguenza naturale dell’essere un anziano e saggio Preside di Hogwarts dal nome altisonante, ordine di Merlino Prima Classe e tutta un’altra serie di rispettabili cose che James non sarà mai. - È una qualità che ho sempre trovato tra le più ammirevoli in un giovane mago, molto più di qualunque altra capacità, magica e non. È qualcosa di cui il mondo ha bisogno, ora più che mai. – James non è sicuro di dove il Preside voglia arrivare, ma è in realtà perfettamente d’accordo con lui, perché ora più che mai il mondo ha bisogno che quell’idiota di Piton venga legato, imbavagliato e gettato in nome dell’amicizia sul fondo del Lago Nero, dove solo la Piovra Gigante potrà sentirlo qualora gli venisse la malsana idea di aprire la bocca. Ma James è stato in quell’ufficio abbastanza volte da quando è ad Hogwarts da saper distinguere i momenti in cui Silente è bendisposto nei confronti della libertà di parola e quelli in cui invece pretende un attento silenzio in risposta alle sue perle di saggezza. – Tuttavia temo di doverle caldamente rinnovare il mio precedente invito a fare ritorno al suo dormitorio, - conclude infatti e il suo sguardo, ancora più del tono, non ammette repliche. - Il segreto del signor Lupin è al sicuro, è la mia ultima parola sull’argomento. Buonanotte, signor Potter.
È finita, James lo sa perfettamente. Non saprà mai cosa Silente ha detto a Piton per assicurarsi il suo silenzio e l’unica cosa che gli resta da fare è annuire e uscire dalla stanza, fidandosi di lui. Lo sa perfettamente, ma per qualche motivo si ritrova ancora immobile, in piedi con le spalle alla porta e gli occhi fissi in quelli del Preside.
- Sarà espulso? – si sente chiedere all’improvviso, senza aver mai deciso di farlo.
- Naturalmente no, - La sorpresa fa per un attimo dimenticare a Silente che James non dovrebbe ancora essere lì davanti a lui. - Se c’è qualcosa su cui non sussistono dubbi in questa notte, è il ruolo che il signor Lupin vi ha avuto.
- No, non, - James esita, distogliendo lo sguardo a disagio. – Non Remus.
- Sirius, - aggiunge, la voce ridotta a un sussurro.
Il silenzio cala nell’ufficio e anche se non lo sta guardando, James lo sa che Silente sta ora facendo quella cosa con gli occhi, trapassargli la testa come se fosse invisibile e cercare di leggerci dentro. Spera solo che non ci riesca, perché anche se nemmeno James è pienamente sicuro di cosa gli passi per la testa al momento, ha solo una certezza, ed è che qualunque cosa sia è composta prevalentemente da imprecazioni.
- Di questo ne discuterò col signor Black non appena mi raggiungerà.
Ogni risposta che ha ricevuto da quando è entrato nello studio del Preside non ha fatto altro che suggerirgli, più o meno sottilmente, non sono affari tuoi e James deve sopprimere il bisogno di afferrare uno degli strani strumenti d’argento che riempiono gli scaffali e sbatterlo a terra per il gusto di romperlo, perché sono affari suoi. Ma quando Silente gli augura la buona notte per la seconda volta, lo fa con una fermezza tale che è come se gli avesse lanciato un Imperius e James si trova ad abbassare la maniglia prima ancora di essersene accorto.
È già fuori dall’ufficio, pronto a chiudersi la porta alle spalle, quando indugia di nuovo.
- Non lo voleva uccidere, - sussurra, senza voltarsi a guardare Silente. - Lui, non stava pensando.
Non sa se Silente gli creda o meno, perché prima che possa rispondere si è già chiuso la porta alle spalle.
Ma poi non è come se James stesso sapesse cosa credere.

- - - -

Quando Sirius imbocca il corridoio che porta all’ufficio di Silente, James lo sta percorrendo nella direzione opposta.
Sirius rallenta, ma James continua a guardare dritto davanti a sé e gli passa di fianco come se non lo vedesse. Eccetto che lo ha visto.

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Il gargoyle di pietra continua a restare immobile e James sta perdendo la testa.
Ha camminato a vuoto per i corridoi di Hogwarts per un tempo indefinito, prima che i suoi piedi lo riportassero esattamente lì. Ha solo bisogno che Sirius esca da quel dannato ufficio e gli dica di non essere stato espulso, permettendogli di odiarlo in santa pace. Riesce già ad odiarlo in realtà, ed uno dei motivi per cui lo odia così tanto è che è ridicolo anche solo associare la parola odio al suo nome.
Il rumore improvviso del gargoyle che striscia sulla pietra rimbomba nel corridoio silenzioso e l’espressione spiazzata di Sirius è lì dietro, perché non si aspettava che James fosse ancora lì. Neppure James si aspettava di essere ancora lì.
Non è stato espulso.
James non glielo ha propriamente chiesto, ma i suoi occhi devono averlo fatto.
Silente è chiaramente fuori di testa e James potrebbe interrogarsi su che cosa debba fare uno studente esattamente per farsi espellere allora, ma in realtà non gli interessa.
Sirius non sarà espulso e James aspettava solo questa certezza per liberare il pugno che sta trattenendo da tutta la sera. Non ha mai provato un bisogno così forte di colpire qualcuno, eppure quando Sirius lo dice e non c’è più nulla a frenare James, quando può finalmente cedere alla rabbia che lo consuma silenziosamente da ore e farla esplodere in faccia a Sirius, sul suo perfettissimo naso da aristocratico per la precisione, trova che non ne ha davvero voglia. Una parte di lui ha desiderato colpire Sirius per tutta la sera e ora che nulla si frappone più tra lui e il viso del suo migliore amico, sente invece qualcosa sgonfiarsi dentro il petto.
- Abbiamo giurato, Sirius, - L’altro lo guarda spiazzato e probabilmente si aspettava anche lui un pugno. Probabilmente avrebbe preferito. – Era il suo segreto e abbiamo giurato che sarebbe diventato il nostro e che non lo avremmo mai rivelato ad anima viva. Lo abbiamo convinto a fidarsi di noi perché è questo che gli amici fanno e tu, - James si blocca perché non riesce neanche a dirlo. Godric, non riesce neanche a pensarlo. – A che cazzo stavi pensando, si può sapere?
Sirius evita il suo sguardo, sposta gli occhi da una parte all’altra senza tregua. Non lo ha mai visto così a disagio in cinque anni. In effetti, non lo ha mai visto a disagio e basta.
- Piton, lui...
«Non mi interessa di Piton» Forse sta gridando, o forse è solo il corridoio silenzioso che fa riecheggiare in quel modo la sua voce. James non riesce davvero a preoccuparsene ora. – Voglio sapere cosa ti ha fatto Remus. Voglio che mi dici cosa ti ha fatto per meritarsi, - James si blocca di nuovo e cerca di regolarizzare il respiro. C’è un fiume in piena dentro di lui e vorrebbe solo che dall’altra parte non ci fosse Sirius. Proprio chiunque, a parte Sirius. Ma ci sono solo loro due lì ed è per quello che fa così male. – Gli hai detto come superare il Platano, Sirius, gli hai detto come trovarlo, gli... - Gli occhi di Sirius sono fissi per terra e dal grigio chiarissimo non traspare nessuna emozione. Solo la mascella serrata e rigida indica che ha sentito l’incrinatura nel tono di James. – Ci hai tradito.  
Traditore del proprio sangue, è così che lo chiamano i Serpeverde. È così che lo chiamano a casa. James lo sa e sa anche perché è solo a quel punto che Sirius alza gli occhi a incrociare i suoi. Per un attimo, solo per un attimo, è come se quel pugno glielo avesse dato davvero. Lo guarda senza difese ed è spiazzato sopra ogni altra cosa, come se fosse James quello ad averlo tradito ora. Ma è solo un attimo, e poi Sirius fa esattamente quello che James sapeva avrebbe fatto e indurisce la mascella e lo sguardo e di colpo c’è un muro fin troppo visibile davanti a lui. Non dice nulla, ma ogni movimento impercettibile del suo viso, il mento che si solleva leggermente, la vaga luce di sfida negli occhi, ogni cosa dice ‘non mi importa’ e ora James ha voglia di urlare, perché dopo quello che ha fatto quella notte dovrebbe solo ripetere quanto invece gli importi e quanto sia dispiaciuto e così via fino a restare senza fiato. Sapeva che non lo avrebbe fatto naturalmente, perché conosce il suo migliore amico, ma lo fa comunque uscire di testa.
«Quindi?» sbotta infine, le labbra piegate in una smorfia un po’ incredula e un po’ di sfida. «Non hai nulla da dire?»
James è così frustrato dal fatto che nessuno abbia insegnato a Sirius che si può chiedere scusa.  Non è come se delle scuse bastassero per quello che ha fatto, ma lo manda comunque fuori di testa che non ci stia nemmeno provando, che se ne stia lì e basta in silenzio, che quel silenzio con la mancanza di rispostacce sia anzi il massimo che può offrire a un’amicizia che doveva durare una vita.  
Quello che lo frustra di più è che lo sa perfettamente perché Sirius non sta chiedendo scusa.
Non è come se ne avessero mai parlato e non è stato immediato da parte di James, ma dopo cinque anni sa anche quello che Sirius non gli ha detto, come se dopo l’ennesima notte passata a respirare la stessa aria certe cose fossero semplicemente filtrate da sotto la pelle dell’altro e fin dentro la sua. A James hanno insegnato che se si sbaglia, si può chiedere scusa e sperare nel perdono. Non che lui sia famoso per la sua abilità nello ammettere gli sbagli, ma è perché tendenzialmente i cosiddetti sbagli consistono nel far levitare qualche Serpeverde per i corridoi e non è come se a James importasse qualcosa di essere perdonato dalla maggior parte della gente a cui fa dei torti. Perché, non per vantarsi, ma tendenzialmente James non fa torti alle persone a cui tiene. Quando accade però, sa che si chiede scusa, anche più di una volta, e si insiste ancora e ancora per mostrare che ci tieni, e se devi metterti in gioco e renderti vulnerabile nel mentre va bene, perché ci sono persone che ne valgono la pena. James è convinto che questo a Sirius non l’abbia mai insegnato nessuno. È convinto anzi, che sia impresso a fuoco nella mente del suo amico un altro perverso insegnamento, che se sbagli vieni cancellato come un nome su un arazzo e chiedere scusa è inutile e controproducente, quando l’unico modo sensato di reagire è attaccare a tua volta, anche se sai di aver torto. Non si può perdere qualcuno, se gli dai tu le spalle per primo. A James sta bene così e in tutti quegli anni è sicuro di essersi scusato con Sirius qualche volta in più del necessario, anche quando sarebbe in realtà toccato all’altro, e lo ha fatto senza pensarci troppo, perché se è un immaturo egocentrico la maggior parte del tempo, quando ci sono di mezzo i suoi amici mettere da parte l’orgoglio gli viene naturale come respirare. Remus a volte sbuffa e si infastidisce un po’ davanti a questo atteggiamento di Sirius, ma per James è tutto molto semplice: Sirius è il suo migliore amico e se non gli piace scusarsi, allora può farlo James al posto suo. Se non fosse che è proprio la loro amicizia quella su cui Sirius ha sputato senza rendersene conto, James probabilmente accetterebbe le mancate scuse di Sirius anche ora, senza battere ciglio, ma non questa volta. Perché questa volta è una di quelle in cui nemmeno le scuse basterebbero e per la prima volta in tutti quegli anni James non riesce ad accettare la disparità nel loro rapporto, il fatto che lui se ne stia lì con la voce rotta e il respiro affannato e Sirius resti irremovibile nella sua maschera di distacco. Perché quello è, una maschera, e lo sa benissimo, ma per la prima volta a James non importa saperlo e non gli importa sapere perché è lì, e sa benissimo anche quello, ma lo fa impazzire e basta, che Sirius ancora non si fidi di lui abbastanza da ammettere ad alta voce di avere fatto un casino ed essere terrorizzato. Lo taglia fuori e basta, come se avesse qualcuno della sua famiglia davanti, e non lui, come se James portasse quella B al petto per puro caso e non fosse nessuno.
«Non so come faccia la tua famiglia ad odiarti, Sirius: dimostri ogni goccia di sangue Black.»
Forse lo dice solo per dimostrargli che non è come gli altri, che è il suo cazzo di migliore amico e che quella maschera di indifferenza gliela può rompere come e quando vuole. E poco importa se mentre si allontana a passo svelto sa di aver rotto anche qualunque cosa fosse rimasto dei Malandrini dopo quella notte.

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Non è nulla che Sirius non abbia mai pensato guardandosi allo specchio, non è nulla che la sua stessa voce non gli abbia sussurrato nelle notti di insonnia.
Sentirlo con la voce di James, però, fa un po’ più male.
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Infermeria.

Remus sa che qualcosa non va nel momento stesso in cui apre gli occhi.
Ogni singolo osso del suo corpo duole come se fosse marcito all’interno, come se la sua pelle malconcia fosse solo una copertura, tesa sopra un ammasso informe e dolorante di ossa sbriciolate e organi ammaccati, e non è il fatto che si sente peggio del solito, non sono nemmeno le facce tese di Peter e James che si voltano subito verso di lui, è che gli sembrano passati solo pochi secondi da quando perdeva coscienza di fronte al viso terrificato di Severus Piton.
«Ho...» Prova a parlare, ma la voce si trasforma in un rantolio rauco che gli graffia la gola e si ritrova a tossire. Peter gli passa subito un bicchiere d’acqua già pronto sul comodino accanto al letto e nella fretta gli fa cadere qualche goccia sul braccio, ma Remus lo ignora e continua a guardare James spaventato e supplicante. Fa per parlare di nuovo, ma non ce n’è bisogno.
«No» dice subito James. «Non hai fatto nulla. Piton sta bene.»
Non hai fatto nulla, altre parole per non hai sbranato vivo il nostro compagno.
«Non ho morso n-»
«Remus, non hai fatto nulla» insiste James. «Va tutto bene. Piton non lo dirà a nessuno, Silente me l’ha promesso. È tutto ok.»
Piton lo sa, non è tutto ok, è il contrario di ok, è un incubo, ma Remus non ha morso nessuno e la sua schiena si rilassa appena contro i cuscini. Beve un sorso d’acqua solo per scoprire che quello è il massimo che riesce a ingerire. Il vetro fresco del bicchiere gli dà un lieve sollievo contro le dita martoriate, ma non lo sente in maniera uniforme ed è solo allora che abbassa gli occhi a guardarsi: ha le dita quasi completamente fasciate, probabile cortesia di Madama Chips per non fargli vedere lo stato delle sue unghie, come se poi non avesse passato i precedenti dieci anni a svegliarsi con le unghie sbrindellate. Il lupo non è più abituato a stare solo e Remus non ha bisogno di vederli per sapere che quella notte si sono aggiunti numerosi nuovi graffi alle pareti della Stamberga.
Ha una fasciatura più spessa sull’avambraccio sinistro, all’altezza di un bruciore che è lo stesso da quando ha aperto gli occhi, acuto e continuo. Si è morso. Ricorda la prima volta che è successo, dopo la sua seconda luna piena. Aveva cinque anni e il segno fresco e insanguinato dei suoi denti sulla carne lo aveva fatto scoppiare a piangere e non per il dolore. Ricorda di aver chiesto alla mamma se avrebbe iniziato a trasformarsi due volte al mese invece che una.
Piton lo sa e tutto quello che riesce a pensare Remus è che resterà la cicatrice. I morsi lasciano sempre la cicatrice.
I segni dei denti sul braccio saranno un problema d’estate. Può sperare solo di essersi morso più volte, di aver tirato, di aver fatto un po’ di casino. Con un po’ di fortuna non sarà palesemente la bocca di un lupo.   
«Dov’è Sirius?»
Se ne accorge all’improvviso, che sono solo due i Malandrini stremati accanto al suo letto. Ha una fitta continua alla testa da quando si è svegliato e le palpebre gli pesano come pietre, ma percepisce subito la tensione generata dalla sua domanda. Peter abbassa lo sguardo e James socchiude le labbra senza che ne esca alcun suono.
«Sta bene» si affretta poi quando Remus si raddrizza preoccupato. «È...da qualche parte.»
L’aria è pesante e l’ansia si irradia dai suoi amici in silenzio, entrandogli nel naso ad ogni respiro. C’è qualcosa di sbagliato.
«Signor Lupin, ha assolutamente bisogno di riposare ancora» interviene Madama Chips spuntando dal nulla, le mani indaffarate con una fiala. «Questa notte si è conciato molto peggio del solito. Ho già pronta la pozione sonnif- »
«No.»
Remus non è il tipo da dire di no agli adulti, né da rivolgerglisi con un tono così fermo e freddo. Madama Chips è chiaramente spiazzata.
«Signor Lupin.»
«No.»
Remus la fissa dritto negli occhi e non aggiunge spiegazioni, ma c’è qualcosa nel suo sguardo, la stanchezza e la determinazione che si equivalgono, e Madama Chips si allontana in direzione del suo ufficio senza aggiungere altro. 
Remus si volta verso James.
«Dimmi cos’è successo.»
                                                                                
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Febbraio 1975. Hogwarts, Aula di Incantesimi.
 
È la prima volta in due mesi e mezzo che Remus lo guarda negli occhi.
Sirius non rivolge la parola a nessuno dei Malandrini da quella notte e loro non la rivolgono a lui.
Dormono nella stessa camera e condividono tutte le lezioni, ma questo non incrina il proposito di fingere la reciproca non esistenza. Sirius è bravo in questo, ci è cresciuto e ci vive ancora in una casa dove anche i quadri fingono che lui non esista. Sa come farselo scivolare addosso, come mantenere un’espressione distesa quando esce dal bagno e sono tutti lì, sul letto di Peter, così vicini ma irraggiungibili. Cerca di convincere se stesso, prima ancora che loro, come ha sempre fatto, sin da quando era bambino e gli veniva rinfacciato di non essere abbastanza Black. Per la maggior parte del tempo, però, cerca semplicemente di stare in stanza il meno possibile, rientrando tardi alla sera e uscendo presto alla mattina. Passa molto tempo con Frank ultimamente. È l’unico che non gli abbia chiesto nemmeno una volta cosa sia successo.
James gli lancia delle occhiate brucianti ogni tanto, perché lui d’altro canto non ci riesce a fingere sempre. Non lo guarda, ma capita che gli dia una spallata se gli passa troppo vicino. Esce di scatto dalle stanze a volte. Ci prova e spesso è eccezionalmente bravo a fingere che Sirius non esista, ma la sua rabbia scotta troppo per non affiorare puntualmente, irruente. Tutti lo vedono e James è anche quello più irritato dal modo in cui tutta la scuola li guarda e sussurra sottovoce, vagliando un’ipotesi dopo l’altra su cosa abbia spezzato i Malandrini, su cosa abbia fatto Sirius Black di così grave. Su quanto tempo ci metteranno gli altri a perdonarlo, soprattutto.
Peter è nervoso, ma è l’unico a non sembrare arrabbiato. Spesso incrocia gli occhi di Sirius, per sbaglio, e li distoglie di scatto, in maniera vistosa. Anche quando non lo guarda, è sempre dolorosamente chiaro sul suo viso che è conscio della sua presenza. Sembra più a disagio che altro.
Remus non ha detto nulla a Sirius la notte dopo che è successo.
Sirius è arrivato sin davanti alla porta dell’Infermeria prima di tornare indietro. Forse sarebbe dovuto entrare e guardare Remus negli occhi, ma la verità è che non aveva nulla da dirgli. Sirius lo ha tradito e non c’era nulla da dire, e così è tornato indietro e Remus non gli ha gridato contro quando è uscito dall’Infermeria qualche giorno dopo. Gli è passato accanto, entrando in camera, lo sguardo fisso di fronte a sé senza dar segno di averlo visto. In un modo così sottile e naturale, come se non lo stesse ignorando, come se Sirius semplicemente non esistesse davvero.
Sono due mesi che Remus non lo guarda negli occhi e Sirius stesso si sente come se non esistesse, a volte. Lo sa che significa, venire cancellato e basta. Quella di Remus non è la furia bollente di James, è qualcosa di gelido incastrato in ogni particella della sua pelle, è la delusione senza ritorno che Sirius ha già visto negli occhi dei suoi genitori, quella che porterà Walburga Black a bruciarlo via dall’arazzo, come una macchia.  
Due mesi che Remus riesce senza sforzo a non guardarlo negli occhi, fino al giorno in cui invece lo fa.
L’aria si fa di colpo pesante nell’aula, mentre Vitious finisce di pronunciare ‘Lupin’. Sirius è già vicino alla lavagna, bacchetta in mano, ed ha parato tutti i tentativi di disarmo di Alice, uno dopo l’altro. Coglie con la coda dell’occhio James irrigidire la mascella, mentre non stacca gli occhi dal suo banco. Peter lancia un’occhiata a Remus. Non vola una mosca nella stanza, persino i Serpeverde sono tutti con gli occhi su di loro, in silenzio. 
Remus non si fa chiamare due volte dal professore: resta immobile qualche secondo appena e poi si alza, bacchetta alla mano.
Vitious, senza dar segni di aver notato l’attenzione insolita della classe, mostra di nuovo a Remus con la sua voce gioviale il modo corretto di lanciare un incantesimo di Disarmo, poi gli fa cenno di iniziare.
Remus sa perfettamente come si lanciano gli incantesimi di disarmo, anche se il professore li ha spiegati la lezione scorsa per la prima volta e li stanno provando a livello pratico solo in quel momento. Anche Sirius lo sa e sa anche come respingerli. Hanno fatto un po’ troppi dispetti ai Serpeverde negli anni e si sono visti arrivare addosso fatture improvvise un po’ troppo spesso per non essersi già portati avanti con le basi del combattimento tra maghi. Per quello i primi insicuri Expelliarmus lanciati da Alice si sono infranti senza risultato contro la difesa allenata di Sirius. 
Remus è un’altra storia.
Gli si posiziona davanti ed è la prima volta in due mesi che lo guarda negli occhi.
Sirius non ha mai vacillato di fronte alle occhiate di fuoco di James, ma in quel momento deve chiamare a raccolta tutta la sua forza per reggere lo sguardo indecifrabile di Remus senza incrinarsi.
Forse è per quello che l’altro riesce a disarmarlo così facilmente.
L’esercizio, a questo punto, prevede che Sirius raccolga la sua bacchetta, volata ai piedi di un banco in prima fila a qualche metro da lui, si posizioni nuovamente di fronte a Remus, e aspetti un nuovo Expellelliarmus da parare. Ha fatto qualche passo appena nella direzione della sua bacchetta e Vitious si sta complimentando con Remus, quando un altro lampo illumina improvvisamente l’aria e Sirius vola contro l’armadietto con un tonfo assordante, atterrando sul pavimento tra le grida generali.   
Sirius alza la testa, un rivolo di sangue che gli cola dal labbro, e di nuovo incrocia gli occhi di Remus, che ha fatto qualche passo verso di lui e stringe la bacchetta in mano, ignorando completamente i richiami indignati di Vitious.
Non è il momento, ma per un attimo a Sirius viene da ridere.
Con due mesi di ritardo, Remus si è finalmente ricordato che Sirius esiste e di essere furioso con lui. 
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James, come il resto della classe, è pietrificato, gli occhi fissi sui due malandrini e come sordo al trambusto creatosi.
Sirius è ancora a terra, la bacchetta abbandonata inerte e inutile a diversi metri di distanza, ma Remus continua ad avanzare verso di lui ed è quando alza di nuovo la sua, pronto a colpire l’altro disarmato, che James si riscuote. In un attimo supera la prima fila e gli è davanti, piazzandosi esattamente tra i suoi due migliori amici, le dita su quelle di Remus che stringono la bacchetta.
Non dice nulla, si limita a restarsene lì in mezzo, con la bacchetta di Remus contro il petto. Può sentire alle sue spalle Sirius alzarsi, ma non stacca gli occhi da Remus, che pure non lo guarda: ha gli occhi puntati oltre la sua spalla, in quelli di Sirius. Gli trema la mano, ma la abbassa, stendendo il braccio lungo il fianco e continuando a guardare davanti a sé ed ignorare Vitious, come se non lo sentisse, nonostante stia praticamente urlando. Poi si gira di scatto ed esce dalla classe a passo veloce, senza incrociare più gli occhi di nessuno, lasciando James e Sirius in piedi di fronte alla classe.
James non ha idea di cosa sia appena successo e resta lì per qualche altro secondo senza sapere cosa fare o cosa rispondere a Vitious, che sembra per qualche motivo convinto che lui non sia più perso del professore stesso, senza sapere che farsene degli occhi di tutti  su di lui.
Evans è in prima fila e James incrocia i suoi occhi per una frazione di secondo appena, prima di fiondarsi fuori dall’aula a sua volta.
 
 
 
Remus è a un corridoio di distanza, la schiena contro il muro e una mano sporca di sangue, all’altezza delle nocche. Guarda di fronte a sé e non lo vede arrivare, ansima forte, come se non riuscisse a respirare bene e James lo vede portarsi le mani tremanti ai capelli, mentre scivola piano contro il muro.
James affretta il passo e si china subito su di lui, inginocchiandoglisi di fronte, stampandosi un’aria rassicurante in viso che non gli appartiene da mesi e certo non in quel momento.
«Moony, ehy» dice piano e Remus alza la testa, mostrandogli gli occhi lucidi.
James non ha mai visto Remus piangere. Non quando hanno scoperto il suo segreto al primo anno e lui pensava che volessero farlo buttare fuori dalla scuola, non quando si è seduto con loro e ha raccontato per filo e per segno della notte in cui è stato morso e delle giornate successive, della prima trasformazione, del perché delle cicatrici. Remus è sempre stato il più forte tra loro e James lo ha sempre saputo, ed è vedendo le lacrime trattenute nei suoi occhi ambrati e il suo petto alzarsi e abbassarsi veloce, in modo irregolare, che James per la prima volta in quei due mesi non riesce a vedere la luce in fondo al tunnel.
Ha paura di peggiorare la situazione toccandolo e così prova a calmarlo a voce, e si stupisce di se stesso e del modo in cui riesce a dirlo come se ci credesse, come se andasse davvero tutto bene.
«E tu,» Remus lo guarda come se lo vedesse per la prima volta e non ha il suo usuale tono pacato e ragionevole. James riesce a percepire chiaramente l’ansia nelle sue parole.  «È il tuo migliore amico e ora sei arrabbiato con lui, ma non durerà a lungo e allora sarò io quello-»
«No, non è vero» Lo interrompe subito, fermo, guardandolo negli occhi, perché questo lo sa e basta. «Sono con te.»
Remus si concentra sul respiro regolare di James e pian piano smette di ansimare.
 Sospira e guarda il vuoto alla destra di James, gli occhi lucidi che non lasciano scappare nessuna lacrima.
È un sussurro a malapena udibile, ma che non nasconde la disperazione.
«Perché l’ha fatto?»
James non risponde, perché non importa se tutti, lui per primo, si aspettano che lo sappia, perché lo conosce meglio di se stesso e tutto. James non lo sa perché cazzo Sirius lo abbia fatto.
 
- - - -
 
Vitious ha insistito perché passasse in infermeria a farsi vedere da Madama Chips e Sirius non ha protestato, che passare il resto dell’ora con gli occhi di mezza classe puntati addosso non è tra le sue priorità.
Li vede subito, andando verso le scale, a metà del corridoio per Trasfigurazione e si blocca. L’infermeria è dall’altra parte ma Sirius resta fermo per qualche secondo appena e poi parte deciso verso di loro, nonostante non pensare sia stato quello che ha dato l’avvio al tutto in primo luogo. James è il primo a notarlo e subito, quando vede che Sirius non ha intenzione di fermarsi, si alza e gli si piazza davanti.
«Che fai?» lo blocca immediatamente, sulla difensiva.
Sirius lo ignora, gli occhi fissi su Remus, ancora a terra a qualche passo da James, la schiena contro il muro e gli occhi lucidi.
«Voi che fate» replica ad alta voce, con sfida. «Piangi come un poppante, Lupin?»
Le mani di James sono sulle sue spalle prima ancora che abbia finito di parlare e Sirius indietreggia di qualche passo sotto la sua spinta brusca. «Che cazzo fai?»
Sirius lo guarda per la prima volta e gli restituisce la spinta, spostandolo di lato con un braccio.
«Tu non c’entri nulla, levati» dice indifferente, superandolo e raggiungendo Remus.
Remus lo guarda in silenzio e si alza, fermandosi esattamente di fronte a lui. Sirius regge il suo sguardo senza esitazioni questa volta.
«Forza, non c’è nessuno» dice accennando al corridoio vuoto eccezion fatta per loro tre.
Per qualche secondo nessuno si muove, poi Remus fa un passo avanti e arriva il pugno, forte, dritto contro la sua mascella. Sirius volta la testa di lato e strizza gli occhi, il mento in fiamme, poi torna a guardare Remus.
Quando arriva il secondo pugno, James si porta le mani ai capelli e dà le spalle agli altri due, senza saper cosa fare. Se debba fare qualcosa o no.
Non fa nulla e Remus colpisce ancora.
Sirius si porta le mani alla faccia, la visuale annebbiata dal dolore e il sangue caldo che gli cola dal naso e gli imbratta le dita. Sono in due ora ad avere gli occhi lucidi.
Remus lo guarda e non è più lo stesso ragazzo senza controllo che lo ha attaccato mentre era disarmato.    
«Va meglio ora?» chiede, con il tono pacato che è sempre stato suo, solo un po’ più sostenuto.  
«No» risponde Sirius dopo qualche secondo. «Tu?»
Remus sospira. «No.»
Sirius non sa esattamente per quanto restino così, l’uno di fronte all’altro, in silenzio, col sangue di Sirius che lega le nocche di Remus alla sua faccia, poi lo dice e basta.
«Mi dispiace.»
Non ricorda nemmeno quand’è stata l’ultima volta che l’ha detto, ma è abbastanza sicuro che sia stato tra le mura tetre di Grimmauld Place, durante le vacanze di Natale del suo primo anno, le peggiori della sua vita. Quando, lontano dalla Torre di Grifondoro, era stato così spaventato da scusarsi per uno Smistamento che aveva voluto con tutto se stesso. Non è servito naturalmente e Sirius ha rimpianto quel mi dispiace con ogni fibra del suo essere  per anni. Non ha ancora smesso di volerselo rimangiare, ma non è sua madre quella davanti a lui ora. Non è suo padre, non è suo fratello. È Remus.
«Perché?»
«Perché l’ho fatto o perché mi dispiace?»
Remus alza le spalle.
«Entrambe le cose.»
Sirius resta in silenzio. E il fatto è che non lo sa, come non ha mai saputo perché fa le cose che fa, perché è nel modo in cui è. Perché ha avuto un brivido di eccitazione quando il Cappello ha gridato Grifondoro e perché li odia così tanto, se poi è così simile a loro. Perché si sente costantemente nel mezzo, mai completamente da una parte o dall’altra.  
«Non riesco a non rovinare tutto, l’ho sempre fatto» dice lentamente e lo sa che non è una risposta, ma è la cosa più sincera che abbia. «E mi dispiace perché questa volta ho perso l’unica cosa a cui tengo.»
Remus lo osserva in silenzio a lungo, poi annuisce lentamente.
«L’hai fatto» dice freddo, prima di allontanarsi.
Sirius resta immobile sino a quando i passi di Remus sono solo un eco lontano. James è ancora lì e gli dà ancora le spalle, ma non accenna a muoversi. Dalla fine del corridoio inizia a provenire il vociare allegro dei loro compagni, segno che le lezioni sono finite, e Sirius se ne va nella direzione opposta, senza una parola.
 
 
James sente Sirius allontanarsi veloce e chiude gli occhi, trattenendo un sospiro.
Ha voglia di piangere e se la ricaccia in gola a fatica, cercando anzi di strapparsi quell’espressione funerea dalla faccia prima di unirsi alla fiumana di ragazzi diretti alle scale.
Fa qualche passo in avanti, ma indugia nel corridoio vuoto ancora per un poco, perché gli serve qualche altro secondo prima di buttarsi in mezzo alle chiacchiere e alle risate fino alla Sala Grande, dove il pranzo è appena stato servito.
Piton, che era nell’aula di Incantesimi con loro poco prima, non lo guarda neanche per sbaglio, ma si stacca dalla fila diretta alle scale per infilarsi proprio nel corridoio in cui è lui, e gli passa di fianco con l’accenno di un sorrisetto ben visibile sulle labbra pallide.
James scatta nella direzione opposta, andando quasi a sbattere contro Frank nell’immettersi nella corrente.
Ha sempre creduto di odiare Severus Piton, ma è solo ora che inizia ad odiarlo davvero.
                                                                                          
                                                                   
                     - - - -
 
Col senno di poi, nessuno è davvero stupito che sia James a smuovere la situazione.
Dopo quella volta, Sirius non cerca più di rivolgere la parola a Remus né a nessuno di loro e Remus torna a ignorarlo completamente, così come anche Peter, così come anche James stesso, fino a quando invece due settimane dopo, di punto in bianco, non lo trascina nel bagno di Mirtilla Malcontenta e gli insegna, ancora una volta, cosa sia una famiglia, lì tra i cunicoli del bagno delle femmine.  Lo fa come fa sempre tutto, irruente e testardo, e Sirius se lo trova a due centimetri dal viso, spazientito e coi capelli più insensati del solito.
«Piantala» gli sbotta contro.
Sirius inarca un sopracciglio.
«Di fare?»
«Quello che stai facendo.»
Sirius non sa cosa sta facendo e James glielo legge in faccia in mezzo secondo, come se due mesi di silenzio non contassero nulla. «Stai ignorando Remus.»
«Sì, beh, sei in camera con noi, sono abbastanza sicuro che tu sappia che lui sta ignorando me.»
«E allora?» James sbuffa, innervosito. «Non è che siccome lui è arrabbiato con te, tu hai il diritto di lasciarlo perdere.»
«Hai sentito quello che-»
«Sì, ho sentito e Remus ha ragione, lo sai.» James non lo lascia neanche finire, confermando per la seconda volta che due mesi non significano nulla: riesce ancora a rispondere anche a quello che Sirius non dice ad alta voce. «Ma non dev’essere per forza così. Lui non è la tua famiglia, noi non siamo la tua famiglia» Sirius si irrigidisce appena, lo sguardo che si indurisce istintivamente come ogni volta che i suoi amici nominano i Black e una nota d’avvertimento a lampeggiargli nelle iridi grigie. James la ignora senza esitazione, continuando imperterrito: «E loro non ti avrebbero mai perdonato, avresti potuto fare qualunque cosa e non sarebbe mai stato abbastanza. Ma questo è diverso, non puoi semplicemente tagliarci fuori come hai fatto con i Black, perché noi siamo la tua famiglia in un modo in cui loro non lo saranno mai. Avresti potuto fare qualunque cosa e non sarebbe andato bene per loro, ma questa volta puoi farlo, puoi chiedere scusa e cercare di mettere le cose apposto.»
Sirius resta in silenzio, le labbra premute l’una contro l’altra  e la mascella rigida, perché James ha ragione naturalmente, ma Sirius non è quel tipo di persona, che sbaglia e chiede scusa e continua a provarci fino a quando non sistema tutto: quello è James, testardo e leale e senza paura. Sirius non è così, è sempre stato quello che sbaglia e guarda da un’altra parte, aspettando il perdono con ostentata indifferenza, senza mai chiederlo –senza mai aspettarselo. È sempre stato così Sirius e James lo sa, ma ora lo sta guardando negli occhi e gli sta chiedendo di non esserlo.
E Sirius non riesce a ribattere, perché James non gli ha mai chiesto nulla in cinque anni, non davvero.
«Okay? Non me ne frega nulla se non è così che funziona per te, perché questa volta siamo noi e non hai il diritto di arrenderti e basta. Non importa quante altre volte dovrai scusarti e insistere e beccarti un rifiuto, perché era la peggiore paura di Remus ed ora sei tu a doverlo convincere a fidarsi di nuovo di te. E indovina un po’? Non puoi farlo senza fidarti tu per primo di noi. E onestamente, dopo cinque anni trovo anche ridicolo dovertelo dire, che puoi fidarti di noi, del fatto che non importa cosa tu faccia, non saremo mai come i Black. Anche se non ti parliamo da due mesi, anche se ho voglia di prenderti a pugni, anche se Remus finge che tu non esista, non sarà mai come con i Black.»
E una parte di Sirius lo sa che è vero, l’ha sempre saputo. Per il modo in cui James dà voce a paure che Sirius non sapeva nemmeno di avere, per il modo in cui è lì, in quel bagno infestato e fuori uso, ad urlargli contro, nonostante tutto.
Per la B argentata che gli ciondola sul petto e che non si è mai tolto. 
 
Sirius rilassa le spalle e annuisce impercettibilmente, gli occhi fissi in quelli di James.
Le iridi nocciola dell’altro gli stanno ancora silenziosamente dando dell’idiota, ma ha capito.
Sirius è così felice che non ci sia bisogno di parole con lui, perché non saprebbe da dove iniziare.
«Mirtilla ti sta toccando il culo» dice invece, perché quel fantasma ha sempre avuto una cotta imbarazzante per il suo migliore amico.
 
 
 
- - - -
 
Sirius è sollevato di scoprire che il lupo non porta rancore, alla successiva luna piena.
Si becca qualche graffio sul muso, qualche artigliata nella coda, ma nulla più del solito.
Non è una vera sorpresa, perché che il lupo non è Remus lui l’ha sempre saputo.
 
 
Quando Remus apre gli occhi, il sole che filtra dalle crepe oltre le assi che inchiodano le finestre della Stamberga, è solo, ma  non c’è sangue brillante sulle sue unghie, nessuna nuova ferita a squarciargli la pelle, solo il segno sbiadito di denti canini sul suo polso sinistro.
Non ricorda mai nulla delle notti di plenilunio, ma non gli serve aspettare ore e vedere le facce addormentate degli altri e i graffi sulle loro braccia per sapere che i Malandrini sono tornati a correre con lui quella notte: Padfoot gli morde le zampe quando il lupo diventa troppo aggressivo.
Non perdonerà Sirius ancora per diverso tempo, ma per un secondo, solo per un secondo, le labbra gli si piegano leggermente verso l’alto nella penombra della Stamberga, nell’accenno di un sorriso che sparisce subito e non lascia tracce.
 
- - - -
 
Tre mesi e due giorni è la risposta.
Tre mesi e due giorni ci hanno messo i Malandrini a perdonare Sirius Black per qualunque cosa avesse combinato.
Un Corvonero riscuote la vincita per aver azzeccato il tempo esatto, con sommo disappunto e protesta della Tassorosso che aveva puntato su tre mesi esatti, ma le scommesse sulla ragione del litigio non avranno una risoluzione altrettanto definita: dopo qualche altra settimana di speculazione, il resto della scuola si rassegnerà all’impossibilità di scoprire le cause del tutto e la faccenda entrerà a pieno diritto tra i misteri non svelati di Hogwarts, un segreto condiviso solo dai Malandrini stessi e un Serpeverde.
 
Un anno dopo il Serpeverde parlerà e per una Grifondoro del sesto anno non sarà più un mistero.  
Quindici anni dopo il Serpeverde, ora professore, parlerà di nuovo, questa volta di fronte ad Harry Potter.
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Giugno 1975. Londra, Stazione di King’s Cross.
 
Sirius si trascina stancamente il baule verso la barriera del binario, lì dove Orion è appena sparito insieme a Regulus. Nessuno dei due ha guardato nella sua direzione né si sono dati la  briga di aspettarlo naturalmente, ma Sirius sa che se li facesse attendere anche solo un minuto l’inferno delle vacanze estive inizierebbe già dal viaggio verso Grimmauld Place, invece che direttamente sulla soglia.
Ha già salutato i Malandrini, ma quando una mano si chiude all’improvviso sulla sua spalla, facendolo voltare, scopre che James gli è corso dietro.
«Sirius, lo sai che quando diventa troppo, casa mia è aperta, sì?» gli dice affannato.
Sirius sbuffa, accennando un sorriso. Glielo dice ogni singolo anno.
 
Due mesi dopo ha un occhio nero e un baule alle spalle e James gli apre la porta nel cuore della notte, in mutande e dopo essere caduto dalle scale.
«Sei ridicolo,» gli dice Sirius. 
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[...] «Sei ridicolo,» mi informa la figura sulla soglia della porta, tendendomi una mano. I Mangiamorte, così si fanno chiamare, non hanno la voce del mio migliore amico, così afferro la mano e mi lascio tirare su, solo per ritrovarmi davanti il viso sfocato di Sirius. 
[Prologo.]

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***



CAPITOLO 29.
 
 
 
 
 
    
- Lo sa?
- Gliel’ha detto Piton, per forza. Ora lo uccidiamo davvero, sì?
Sirius si tira su con uno scatto dal letto su cui è sprofondato subito dopo pranzo, un lampo d’odio nello sguardo, ma io lo ignoro, tornando a fissare James che dondola sulla sedia della scrivania con aria fin troppo calma per quello che ci ha appena comunicato.
- James, lo sa?
- Lo sa, Moony, sì, ma non è un problema, davvero, lo sapeva già, - Il tono di James è ragionevole e pacifico, come se non si rendesse conto di avermi appena mandato nel panico ancora di più. – Non gliel’ha detto Piton, non esplicitamente almeno: Silente ha i suoi modi e lui sarebbe già stato espulso.
- Lo sapeva già? E tu sapevi che lei lo sapeva?
- Lo immaginavo, ma me l’ha confermato solo quando ci ha aiutati a… – James si blocca di colpo ed io seguo la direzione del suo sguardo, che s’infrange dritto sugli occhi spalancati ed eloquenti di Sirius. Come se questo non fosse abbastanza, Peter inizia a tossire teatralmente, portandosi una mano al petto e rischiando di cadere dal letto. E per forza che la gente scopre il mio segreto, quando è tutta qui l’abilità dei miei amici di non insospettire le persone. – A niente, no, non lo sapevo, Moony, ma è ok, davvero, non lo dirà a nessuno.
- Ma se lei lo ha capito da sola, allora anche altri potrebbero farlo, - dico e la mia voce esce fuori un po’ più lamentosa di quanto vorrei. – Da cosa lo ha capito, James? Te lo ha detto? È stata la faccenda del piccolo problema peloso, vero? Forse dovreste smetterla di chiamarlo così in pubblico.
- Ma che dici, Moony, il piccolo problema peloso funziona alla grande: nessuno sospetta nulla e Frank mi ha chiesto giusto prima come va con Tex, - Sirius pare rilassarsi, le labbra piegate in un sorrisetto sghembo: è sempre così eccessivamente entusiasta di parlare di Tex, quello che per mezza scuola è il mio coniglio con la rabbia. – Se te lo chiede, ora sta meglio, per l’appunto, e aspetta tanti piccoli cucciolotti.
- Cosa? – La voce di Peter vibra d’indignazione. Tutti i miei amici si animano eccessivamente quando c’è di mezzo Tex. – Questo non lo avevamo stabilito!
– Ha ragione, Padfoot, - Interviene James piccato. – Non puoi semplicemente prendere e decidere della vita di Tex senza prima consultarci: ogni nuova svolta nella vicenda va prima votata e approvata da tutti.
– Lo so, ma voi siete noiosi e non avreste mai acconsentito a fargli fare dei cuccioli, siete così deprimenti: quel coniglio è malatissimo da sei anni e voi non volete concedergli nemmeno una gioia.
- Non è vero, c’è stato quel mese in cui sembrava si fosse ripreso del tutto…
- Sì, e poi Pete ha proposto che sarebbe stata un’idea brillante farlo quasi annegare nella vaschetta dell’acqua.
- Quello è stato geniale, Padfoot, - insiste James. – Remus gli ha dovuto fare la respirazione bocca a bocca ed è stato tutto molto eroico, oltre a giustificare i graffi sul collo al rientro delle vacanze.
- Sei solo geloso perché nessuno vota le tue idee, - conclude Peter incrociando le braccia al petto con decisione.
- Esatto.
- No, sono l’unico qui che tiene davvero alla felicità di Tex, a differenza vostra che volete solo colpi di scena e vicende strappalacrime da raccontare.
- Ragazzi, - Sirius ha l’aria di avere ancora qualcosa da aggiungere, ma si zittisce quando io li richiamo all’ordine. – Possiamo per favore concentrarci sulla questione Lily Evans sa e lasciar perdere la paternità di un coniglio immaginario? Grazie, - Sospiro, portandomi le mani alle tempie. – Ora, tu che cosa le hai detto, James?
- Assolutamente niente, Moony, sapeva già tutto lei. A parte, beh, la storia dello scherzo, - Il tono di James nel pronunciare scherzo si fa parecchio esitante e basta una parola per cambiare il clima nella stanza; le mie labbra si stringono forte l’una contro l’altra e le mie spalle si irrigidiscono, mentre Sirius non muove un muscolo. James si porta una mano ai capelli, a disagio. – Credeva che Piton si fosse infilato nel tunnel facendo di testa sua, ma ieri a quanto pare hanno parlato e lui le ha fatto notare che non poteva esserci arrivato da solo, essendo lui come tutti sappiamo un dannato idiota che non arriverebbe da solo nemmeno alla tavoletta del cesso, ma dato che è il più grande ammasso di merda nella storia dell’umanità l’ha messa come se fosse stata una cosa organizzata da tutti e quattro e io le ho solo detto com’è andata veramente.
- Ok, - dico lentamente dopo qualche secondo di silenzio. – Sa dove porta il tunnel?
- No, non credo, - James scuote la testa. – Se Piton non gliel’ha detto. Beh, io non l’ho fatto.
- Ok, - ripeto. – Ok.
 - Remus, calmati. Non l’ha detto a nessuno.
- Lo so, - annuisco. – È solo, lo sai.
- Lo so.
- Bene.  
Restiamo per un po’ in silenzio a fissarci, poi Peter tende una mano nella mia direzione, nel tentativo di essere confortante.
- Tieni, Moony. È la mia ultima ape frizzola.
- Grazie, Pete, - dico, infilandomela distrattamente in bocca. Le ali che sbattono frenetiche mi solleticano la lingua ed io continuo a chiedermi se sia il caso di attirare Evans in un luogo isolato per discutere della questione ed eventualmente ringraziarla di non avermi mai lanciato occhiate disgustate nonostante lo avesse capito da tempo – o per essere stata discreta nel lanciarmele al limite. Questo non è il tipo di pensiero a cui posso dare voce ora naturalmente, perché i miei amici mi infilerebbero dei calzini in bocca per poi chiudermi nell’armadio, proprio come quella volta al secondo anno, quando ho detto ad alta voce la parola mostro riferita a me stesso e Sirius ha fatto quello che ha fatto. Non sarebbe stato così terribile, se non avesse scelto proprio i calzini post allenamento di James. 
Il silenzio un po’ teso di qualche secondo fa si è trasformato pian piano in un silenzio rilassato e i miei amici sembrano ora persi nei loro pensieri tanto quanto me, mentre il sapore frizzantino e amarognolo della caramella inizia piacevolmente a pervadermi la bocca quando la stuzzico con la lingua, colandomi lentamente lungo la gola. Poi una fitta improvvisa.
- Ahi, - Mi ritrovo a gemere, sorpreso. – Mi ha pizzicato.
- L’ho lasciata per ultima perché ho notato che aveva due pungiglioni, - ammette immediatamente Peter ed io mi sento un po’ tradito. – Non ero sicuro se fosse difettosa o cosa.
Sirius scoppia immediatamente a ridere, quella luce di genuina felicità che gli causa sempre la sofferenza fisica altrui e James decide di lanciarmi un cuscino in faccia.
- Stavo pensando, - dice mentre inizia a gettare alla rinfusa guantoni e magliette nella sua borsa del Quidditch ed io scorgo distintamente anche la cravatta della divisa di Peter venir risucchiata nella sacca.  – Dato che ormai Tex ha dei cuccioli, perché Sirius è uno stronzo e non rispetta le regole, ci si aprono nuove infinite possibilità: potremmo finalmente mettere fine all’improbabilità di un coniglio con la rabbia che sopravvive così a lungo e far morire definitivamente Tex, lasciando il ruolo di piccolo problema peloso ad uno dei suoi figli.
Sirius si raddrizza allarmato, mentre io mi porto una mano al mento, pensoso.
- Beh, in effetti renderebbe il tutto più realistico. Quanti anni può vivere un coniglio con la rabbia?
- Non vi permetterò di uccidere Tex, scordatevelo.
– Potrebbe essere in seguito a una complicanza del parto, è plausibile, - concorda Peter, ignorando Sirius. – In fondo Tex sarebbe un maschio, ci sta che partorire gli crei dei problemi.
- Oh, ma per favore! Tex non è più solo un maschio, Wormtail, non fingere di non avere avuto tu quella pessima idea dell’incidente magico. Assumiti le tue responsabilità.
Sirius fissa stizzito Peter, che non ha per niente l’aria di chi è disposto ad assumersi le proprie responsabilità. È saggio da parte sua, credo che nessuno dovrebbe mai accettare volontariamente di essere associato al casino che sono diventate le parti intime di Tex dopo quella storia al terzo anno, nemmeno il diretto colpevole. Ci sono dei disegni che lo illustrano, contenuti nell’agenda in cui sono raccolte tutte le informazioni su Tex e che ci permette di rinfrescarci la memoria e mantenere sempre la storia coerente, e quei disegni sono il motivo per cui l’agenda è protetta da così tanti incantesimi anti-ficcanaso: credo che dovrebbe sempre esserci una barriera invisibile ma invalicabile tra quei disegni dettagliati e i ragazzini dei primi anni, come anche quelli degli ultimi o in generale qualunque essere umano. Mentre io rifletto su immagini che vorrei cancellare dalla mia mente, nella stanza prosegue un intenso scambio di sguardi che stanno lentamente mettendo all’angolo Sirius e il suo desiderio di proteggere Tex: non so cosa dica di lui il fatto che si sia affezionato a un coniglio che non esiste molto di più di quanto faccia con la maggior parte delle persone reali, per l’appunto.
- Piantatela, ok? Non uccideremo Tex, - insiste, mentre James tira infine la zip della sua borsa, dopo averci infilato dentro una sfilza di oggetti e vestiti più o meno utili. Sono abbastanza sicuro che sia finita là in mezzo anche la mia nuova piuma d’oca e questo non mi rende particolarmente felice. – Se lo farete alle mie spalle, lo riporterò in vita: racconterò a ogni singolo abitante di questo castello di come Remus è riuscito a sconfiggere la legge magica numero uno e ha fatto risorgere il suo coniglio.
Ora, questo attirerebbe l’attenzione e ci renderebbe di colpo quattro individui poco credibili, oltre ad assicurarmi un’intervista in prima pagina nel giornalino di Xeno, dove dovrei spiegare cosa mi ha portato a scegliere di usare il mio dono per far risorgere il mio coniglio e non, ad esempio, Shakespeare. Non è nulla di auspicabile e mentre si getta la borsa su una spalla, James cede con uno sbuffo.
- D’accordo, d’accordo, non lo uccidiamo, - Il sorrisetto soddisfatto di Sirius ha vita breve. – Però almeno uno dei cuccioli nascerà morto, sì?
Peter sorride entusiasta.
- Oh sì, e gli altri si mangeranno tra di loro!
- L’unico sopravvissuto lo ucciderà Tex, - aggiungo pacato, perché il lato positivo di essere il padrone di un coniglio che non esiste è che non devo necessariamente essere gentile con lui.
- Vi odio.
 
 


James è andato ad allenarsi – o a vendere la nostra roba che si è più o meno volontariamente infilato nella borsa, una delle due – e Sirius ci sta odiando in silenzio da diversi minuti, quando si riscuote all’improvviso fissandoci sconvolto.
- Che state facendo?
Con la coda dell’occhio smetto di fissare il soffitto sopra il mio baldacchino per controllare se Peter sia per caso impegnato in attività illecite, ma anche lui è abbandonato innocuamente sul letto con una rivista tra le mani. Il mio sopracciglio si inarca interrogativamente e Sirius scatta improvvisamente in piedi, pronto a fingere di non essere stato fino a questo momento anche lui a poltrire.
- C’è una festa da organizzare, forza!  Pete, camera di Frank, ora. Cerca di scoprire da Mike se ha già subito il furto dei dischi babbani del padre, se sì cerca di capire dove li ha nascosti Frank, - Peter non sembra particolarmente entusiasta di abbandonare il suo baldacchino, ma James non c’è ora e quando James non c’è Sirius diventa il punto di riferimento di Peter, così obbedisce. – Moony, seguimi, andiamo in missione.
Non voglio andare in missione, affatto, ma non sempre in questa stanza conta cosa i Prefetti vogliano o meno, così mi alzo a mia volta con un sospiro. So dove ci stiamo dirigendo ed è così disdicevole, spero solo che nessuno riesca a leggermi in faccia quanto sono impelagato in loschi giri con losca gente. Poi Alice e Mary bloccano Sirius nella Sala Comune e i tre iniziano a scambiarsi informazioni come se stessero preparando una strategia militare e non una festa nel punto più in vista di tutto il castello per la quale finiremo tutti espulsi.
- Dovremmo mettere anche dei muffin nel buffet, - Alice suona un po’ contrariata. – Lily continua ad insistere di volere una festa a tema muffin, ridicolo. 
- Sì, è ridicolo, non daremo una festa a tema muffin, - concorda subito Sirius e poi mi guarda di sfuggita e i suoi occhi aggiungono Moony, per il mio compleanno dovete assolutamente organizzarmi una festa a tema muffin. Scommetto che è sconvolto per non averci pensato lui per primo.
Sirius dà le ultime disposizioni, particolarmente compiaciuto di avere effettivamente un gruppo di persone che eseguono i suoi ordini ed io spero solo che questo non si ripeta mai più, perché se Sirius avesse persone che fanno quello che dice per tutto il tempo ad un certo punto di Hogwarts non resterebbero che macerie ricoperte di cenere. Poi litighiamo un po’ su quale sia il passaggio segreto più adatto alla nostra missione e alla fine vince lui, perché a quanto pare aver passato più ore in punizione è ora indice di autorevolezza e non di incompetenza, così mi ritrovo nel bagno del quarto piano a seguire il mio complice in un cunicolo oscuro e accidentato che parte da dietro uno specchio appannato. Capisco perché Sirius abbia insistito per passare da qui e non dalla Strega Orba, che sbucare direttamente nel seminterrato dei Tre Manici è esattamente quello che ci serve ora, ma mentre il terreno scricchiola sotto i miei piedi si rafforza in me la convinzione che se continueremo a passare di qui un giorno ci lasceremo le penne: le pareti e il soffitto di pietra e terriccio non sono più state le stesse dopo quell’incidente con le Caccabombe Esplosive in edizione straordinaria del terzo anno, quando i nostri acquisti di Zonko ci sono esplosi tra le mani durante la via del ritorno. Ancora oggi non siamo riusciti a definire di chi sia stata la colpa e chi abbia spinto chi, l’unica cosa certa è che poi siamo quasi annegati nella merda e dato che continuiamo a tornare nel luogo in cui è accaduto forse meritiamo davvero di morire così, ma non oggi a quanto pare: una ventina di minuti appena e poi siamo circondati da casse impolverate di Idromele e Whiskey Incendiario in quantità, tra le riserve di Rosmerta e suo padre.
- Ripetimi perché questo non è rubare, - sussurro appostandomi vicino alle scale e tenendo d’occhio la fessura di luce calda che filtra da sotto la porta di legno in cima, insieme al chiacchiericcio tranquillo del locale.
- Perché Rosmerta mi ha dato un bacio sulla guancia una volta, - risponde Sirius con tono di estrema ovvietà, frugando tra le casse con la bacchetta pronta a rimpicciolire le bottiglie prescelte. Non sono sicuro di cosa le guance di Sirius possano c’entrare con l’essere o meno degli sporchi ladri che si nascondono nel buio e truffano gli onesti lavoratori, ma non è come se mi aspettassi della logica dai miei amici. – E poi prenderemo quattro o cinque bottiglie al massimo, alla fine abbiamo ridotto di parecchio la lista di invitati.
Quello che la mia coscienza mi impone di chiamare furto procede relativamente senza intoppi, a parte il piccolo dettaglio che d’ora in poi non sarò mai più in grado di guardare la giovane Madama Rosmerta e suo padre negli occhi, ma nessuno si accorge della nostra presenza e mentre ci rinfiliamo nel tunnel Sirius mi sta ancora spiegando la logica secondo cui essendoci meno persone alla festa in Sala Grande il tutto acquisirà un’aria ancora più epica e tutti i non invitati alimenteranno la leggenda con le loro ipotesi su cosa accadrà quella sera.
- L’immaginazione supera sempre la realtà, Moony, si sa, - sta giusto dicendo Sirius con tono molto scaltro, prima di starnutirmi in faccia per la terza volta consecutiva. – Dannata polvere. Ma non puliscono mai là sotto?
Farei notare a Sirius che non è educato da parte di un ladro lamentarsi del livello di pulizia dell’ambiente derubato, lo sto facendo in realtà, sono già a metà frase perché è qualcosa che mi preme sottolineare, che se proprio la vita mi ha portato ad intraprendere la via del crimine almeno voglio perseguirla senza dimenticare le buone maniere, che c’è onore tra i ladri e tutte quelle cose, ma le parole mi si bloccano in gola quando un Frisbee Zannuto sfugge improvvisamente dai vestiti di Sirius e si va a schiantare dritto contro la parete alla nostra destra, poi contro quella a sinistra e dopo ancora contro la fronte di Sirius, contro il pavimento e infine sfreccia un’ultima volta contro il soffitto, conficcandosi in una crepa. Subito un fragore improvviso mi rimbomba nelle orecchie, immediatamente seguito da un forte sfregamento, come se qualcosa di dimensioni notevoli si stesse muovendo attorno a noi. Poi una cascata di polvere, pietre e terriccio inizia all’improvviso a tuffarsi verso il suolo, uscendo da una frattura nel soffitto qualche metro più in là; sento la sabbia entrarmi nel naso e subito dopo Sirius starnutire di nuovo e poi è tutto molto simile a come mi immagino la fine del mondo, col fragore ovunque e la sabbia sottile nell’aria, le pietre che piovono dal cielo e Sirius che mi pesta i piedi. Non c’è cacca e nessuno che affoga nella cacca, eppure è definitivamente peggio dell’ultima volta e quando mi ritrovo steso a terra, alcune pietre e alcune parti del corpo di Sirius a premere dolorosamente contro la mia schiena e la bacchetta alta sopra il mio viso a sostenere una barriera invisibile che impedisce a ciò che resta del soffitto di crollarci addosso, ecco, in questo momento so che me lo sono meritato e che questo è il karma, tempestivo nel ricordarmi che rubare e dare retta a Sirius è sbagliato. Quando il pizzicore in fondo alla gola mi costringe a tossire, scorgo con gli occhi brucianti la barriera tremare appena sotto il peso ingombrante e le macerie avvicinarsi ulteriormente al mio viso, poi una scossa morbida sotto la mia spalla e il braccio di Sirius si solleva accanto al mio, la bacchetta a sua volta stretta tra le dita. Le pietre sopra di noi smettono di tremolare ed io inghiottisco insieme a un po’ di sabbia un te lo avevo detto particolarmente stizzito che continua a salirmi dallo stomaco fino alla gola, perché sono sicuro che il passaggio della Strega Orba sia così ampio, stabile e innocuo in questo momento.
- Guarda il lato positivo, Moony, - Di tutte le voci che vorrei sentire al momento, quella di Sirius è l’ultima, ma suppongo che non ci siano molte alternative quando sei bloccato all’interno di un tunnel crollato insieme a una sola persona. – La tua coscienza è salva: nessuno potrà mai più usare questo passaggio per derubare la povera Rosmerta.
Ho un gomito particolarmente appuntito a detta dei miei amici e questo può essere usato per ferire e pungolare le persone che mi danno fastidio, ricordo improvvisamente. Vorrei mirare alle costole di Sirius, che sono il suo punto debole e lo fanno piegare e arricciare tutto come se fosse un invertebrato, ma ho anche un cervello e sono consapevole che far arricciare Sirius ora sarebbe controproducente, anche se appagante. Mantenere i movimenti al minimo e la concentrazione alta sulle nostre bacchette, questo è quello che ci terrà in vita entrambi. Questo e la collaborazione.
- Non mi rivolgere la parola, - dicono le mie labbra non collaborando con il mio cervello, figuriamoci con Sirius, mentre i miei occhi ruotano quasi completamente all’indietro nel tentativo di vedere quanto sia grave la situazione alle nostre spalle. Forse potremmo semplicemente strisciare all’indietro continuando a mantenere la barriera alta su di noi, lasciandola solo una volta fuori di qui, e allora non dovremmo morire a sedici anni in modo così stupido, oppure potremmo essere bloccati e avere dietro la testa nient’altro che pietre che ci bloccano la strada e ci impediscono di indietreggiare e non morire. Siamo degli sporchi ladri d’alcool e il karma non perdona e così ecco che le pietre si stagliano davanti e dietro di noi, bloccandoci completamente, e si staglierebbero anche sui nostri organi interni se non le stessimo bloccando con la magia. – Non mi rivolgere la parola mai più.
- Oh, davvero, Moony? È così che funziona? Ti faccio crollare un tunnel addosso e improvvisamente non siamo più amici?
- Esattamente, è così che funziona.
Sirius resta in silenzio per qualche secondo, per poi chiedere in modo molto serio:
- Credi che uno scarafaggio possa mangiare un uomo?
Improvvisamente inizio a sentire solletico ovunque e so che miliardi di invisibili esserini silenziosi mi stanno potenzialmente zampettando addosso senza che io possa difendermi. Può uno scarafaggio mangiare un uomo? La domanda di Sirius mi rimbomba nella testa ed io mi chiedo come mai nessun professore si sia mai degnato di comunicarmi la risposta, come se questa non fosse un’informazione importante per un giovane uomo nel pieno dei suoi sedici anni, che è senz’altro il momento della vita di ciascuno di noi in cui la carne risulta più tenera alle fauci degli scarafaggi.
- Moony, c’è uno scarafaggio che cerca di entrare nel mio orecchio.
E subito l’immagine di una piccola macchia nera e sporca che si fa largo nel cranio del mio amico per poi divorargli il cervello prende possesso della mia mente ed io stringo le dita più forte attorno alla bacchetta, mentre anche il mio orecchio sinistro viene pervaso da un solletichio improvviso.
- Moony, dammi segni di vita. Perché non parli?
Perché il mio cervello sta per essere divorato da uno scarafaggio, penso nello stesso momento in cui scopro di non avere più il controllo sul mio corpo. Le mie labbra sono come incollate l’una all’altra e la lieve agitazione nella voce di Sirius è nulla in confronto al panico che si è lentamente impossessato di me nel momento in cui ho iniziato a notare quanto effettivamente sia ristretta la mia libertà di movimento, con pietre sotto e sopra e ai lati e sabbia negli occhi e nei polmoni e che fine ha fatto l’ossigeno? È come se Sirius, nel suo continuare a pronunciare il mio nome, stesse risucchiando dalla sua parte quel poco che ne resta e dalle mie labbra sigillate non passa nemmeno una molecola d’aria, mentre il mio naso è già stato divorato dagli scarafaggi ed ora io soffocherò e basta, semplice così.
Poi un dolore improvviso mi riporta alla realtà, perché ci sono cose peggiori di soffocare o essere mangiato dagli scarafaggi, cose come essere mangiato da Sirius.
- Mi hai appena morso?
- Ciao, Moony, - E questo non assomiglia neanche un po’ al tono di una persona pentita. – Sì, ti ho appena morso. La tua spalla sa di sabbia, uomo della sabbia.
- Non sono l’uomo della sabbia, non chiamarmi uomo della sabbia. Mi hai morso.
- Perché tu continuavi ad ignorarmi.
Non so perché nella testa di Sirius offrire a una persona che ti sta già ignorando ulteriori motivi per ignorarti suoni come una mossa astuta, ma non so nemmeno come uscire vivo da questa situazione e quello che è essenziale fare ora è riflettere sul da farsi, senza recriminazioni varie che servono solo a perdere tempo, tempo prezioso regalato agli scarafaggi e alle loro piccole implacabili fauci.
- Chi è che va in giro con un Frisbee Zannuto in tasca, Padfoot? Chi?
E’ la mia voce questa ed io mi dissocio da lei: riflettere sul da farsi e non piangere sul tunnel crollato, è questa l’unica via che eviterà di trasformare questo luogo stretto e angusto nella nostra tomba; non ho chissà quali grandi aspettative dalla vita, un appartamentino abbastanza vicino ai miei amici, un frigo pieno la maggior parte delle volte e possibilmente un lavoro che stuzzichi abbastanza il mio intelletto, tutte cose a cui posso rinunciare se proprio è stato stabilito che merito di morire ora, ma non mi sento pronto ad accantonare la pretesa di una bara tutta per me, dove poter riposare in eterno in tutta comodità e senza Sirius che si stenda su di me.
- Era il piano di emergenza nel caso ci avessero scoperto, - spiega Sirius e non vedo come questo dovrebbe migliorare la situazione.
- Oh, quindi se Rosmerta fosse scesa mentre noi la derubavamo tu le avresti lanciato un Frisbee Zannuto alla gola? – Vorrei allentare appena la barriera sopra di noi, giusto il tempo di far precipitare qualche sassolino sul naso del mio amico per punizione, ma non sono sicuro che la faccenda non si evolverebbe in un omicidio-suicidio e così desisto. – Come fai a guardarti allo specchio? Come facciamo a guardarci allo specchio?
Mi sono voltato di lato per colpire Sirius dritto al volto con tutta la mia disapprovazione, la sento uscire dai miei occhi come un lampo di luce scottante e mi piacerebbe vederlo coinvolto e devastato, ma ora lui è tutto pervaso da un’aria illuminata e trionfante che poco si abbina al senso di colpa.
- Hai dannatamente ragione, vecchia ciabatta: lo specchio. Lo specchio! – Sono stato chiamato vecchia ciabatta e sto per sottolinearlo, quando Sirius inizia a tastarsi freneticamente il mantello e dopo pochi secondi una piccola lastra di vetro fa capolino tra le sue dita. – Ah! Che cosa diciamo ai dannati scarafaggi, Moony? Cosa diciamo ai dannati scarafaggi?
- Per favore, dannati scarafaggi, non mangiateci?
- Non oggi! Non oggi, dannati scarafaggi, non oggi, - Sirius si agita tutto, perché non sa manifestare gioia per la scampata morte in modo non fisico ed io di contro devo concentrarmi maggiormente per evitare che la barriera sopra le nostre teste ceda per qualche secondo, giusto il tempo necessario a farci diventare un tutt’uno col suolo. – Oggi si digiuna, stronzi!
- Non li provocare, - sussurro, perché non mi posso ancora muovere e nessuno dovrebbe cantare vittoria quando non si può muovere.
- James, rispondi. James Potter a rapporto.
 
 

 
- Quanto tempo credi che sia passato? – Sirius sbuffa per la quarta volta di fila e un altro po’ di sabbia si infila tra le mie ciglia. – Secondo me ci sta mettendo troppo.
James è rimasto incerto su come reagire alla notizia del crollo per diversi minuti, combattuto tra il deridere Sirius per tutta la sabbia nei suoi capelli e la preoccupazione per tutte quelle macerie sospese in modo precario sulle nostre teste. Alla fine ha optato per venire a controllare di persona se la situazione sia divertente o potenzialmente mortale ed è una fortuna che tutto questo non sia accaduto una mezz’oretta fa, perché a quel punto la nostra amicizia sarebbe stata messa a dura prova e James avrebbe dovuto scegliere tra noi e gli allenamenti: mi piace pensare che sarebbe venuto lo stesso a salvarci, ma sono stato comunque incredibilmente sollevato nel veder comparire nello specchietto i suoi capelli bagnati per la doccia post-allenamento.
- E se fosse inciampato riaprendosi la ferita al braccio ed ora stesse morendo dissanguato?
Non mi stupisce che nella testa di Sirius l’unica spiegazione plausibile alla mancata apparizione di James sia la sua morte agonizzante: c’è questa cieca fiducia tra loro e sono sicuro che Sirius non riesca a immaginare James che si distrae a inseguire un boccino apparso dal nulla con la stessa facilità con cui ci riesco io. Non credo che lo stia facendo in realtà, penso piuttosto che la percezione del tempo qui sotto sia dilatata e che siano passati solo pochi minuti dalla nostra richiesta di soccorso e trovo molto ironico dover rassicurare Sirius sulla salvezza di James, quando siamo noi quelli che non possono muoversi e che saranno divorati vivi dagli scarafaggi. Il mio orecchio sinistro ricomincia a solleticare pericolosamente ed io inizio a schioccare forte le labbra per evitare che si pietrifichino di nuovo, anche se poi Sirius inizia a lanciarmi invisibili baci con le mani ed io smetto.
- Ragazzi, a che punto del tunnel siete più o meno?
La voce di James riecheggia all’improvviso tra noi ed io sobbalzo, mentre Sirius reagisce prontamente.
- Quasi a metà.
- Quasi metà?
- Sì, perché? 
- Ho una brutta notizia, - sospira James ed io mi irrigidisco. – Vedo già la frana da qui.
- Definisci qui, - intervengo lentamente.
- Sono all’imbocco del tunnel, appena dietro lo specchio.
 Le mie labbra tornano a bloccarsi di colpo, improvvisamente attratte l’una all’altra con la forza di mille soli ed ora io so che non c’è nulla che io possa fare per staccarle e parlare di nuovo. Intrappolati sotto terra con la nostra refurtiva, è questo che il karma ci ha dato.
- Cosa? Oh merda. È crollato tutto. Oh merda, oh merda, moriremo, non respiro, oh merda.
Sirius inizia ad agitarsi contro di me e le pietre sopra di noi tremano appena, facendoci scivolare addosso altre sottili cascate di sabbia. Sta fermo, grida il mio cervello, ma le mie labbra sono ancora incollate l’una all’altra e così Sirius continua nel suo strano balletto da steso, mentre io fisso il soffitto con gli occhi sempre più sbarrati: chilometri e chilometri di macerie ci separano da altre riserve d’aria e gli scarafaggi stanno arrivando per noi.
– Ok, state calmi. Nessuno è ferito, sì? Non posso passare da qui, dovrei farmi largo con la magia per chilometri e ci metterei una vita, – Il tono pratico e risoluto di James cerca di farsi spazio nel mio panico crescente, ma il solletichio è infine avanzato dal mio orecchio al mio cervello e posso ormai sentire i dentini aguzzi degli scarafaggi farsi largo nell’emisfero sinistro del mio cranio. – Ascoltate, calma ho detto, passerò dalla Strega Orba per raggiungere Hogsmeade e entrare dall’altra parte: magari lì la situazione non è così grave e in ogni caso sarò più vicino a voi. Vi tirerò fuori da lì, ok?
Il tono incoraggiante di James e la prospettiva di un piano effettivo sembrano aver calmato Sirius, che ha ora smesso di ripetere che moriremo e di lanciarmi scompostamente i suoi arti addosso.
- Ok.
- Peter dice che può venire a cercarvi sotto forma di topo, se la cosa vi farà stare meglio, - aggiunge James. Se fossi un topo, ora morderei il naso di Sirius e poi sguscerei via di qui tra un masso e l’altro, ma sono solo un Remus Lupin e ho uno scarafaggio dentro la testa. – Gli ho fatto notare che potrebbe crollargli tutto addosso mentre è un topo e non può proteggersi con la bacchetta, ma si sente molto eroico ora.
– Pete, amico, siamo già stretti in due, non venire, - replica Sirius con una certa urgenza ed io concordo silenziosamente con lui. Concorderei a voce, se solo gli scarafaggi non mi avessero mangiato le labbra. – Vai nelle cucine a prendere un sacco di torte nel caso ci salvassimo. Tutte le torte che hanno, Pete, presto.
- Ora chiudo, - stabilisce James, non trovando evidentemente le torte un affare produttivo. – Ho lo specchietto in tasca, se avete bisogno. Moony sta bene, sì? Perché non parla?
- Sta bene, - assicura Sirius e poi morde la mia spalla per la seconda volta.   
- Ahi, - dicono le mie labbra scollandosi. – Sto bene, James.
- Bene. Mi raccomando: non andate nel panico e non iniziate a mangiarvi a vicenda. È sempre il cannibalismo che ti frega in queste situazioni.
Il silenzio cala di nuovo nel tunnel ed io prendo un profondo respiro, realizzando che c’è in realtà più ossigeno di quanto pensassi qua sotto. Forse non moriremo dopotutto.
- Dovremmo contare ad alta voce per non perdere di nuovo la concezione del tempo, - stabilisce Sirius all’improvviso, animato dall’idea di fare qualcosa. – Un secondo, due secondi, tre secondi, quattro secondi…
Non penso che sia qualcosa che dovremmo fare e aspetto che Sirius arrivi a due minuti senza dare segni di cedimento prima di bloccarlo.
- Padfoot.
- Che c’è? Due minuti e tre secondi, due minuti e quattro secondi…
- Potresti smettere, per cortesia?
- Perché, Moony? Ti mette ansia avvertire il tempo che passa? La vecchiaia che incombe?
- Non passerà mai se fai così. Se proprio vuoi contare fallo in silenzio.
Sirius continua a fissare il soffitto con sguardo concentrato per qualche altro secondo, poi pare realizzare che l’unica attrattiva del contare il tempo era quella di infastidire me, così rinuncia.
- Moony.
- Sì?
- Mi annoio.
- Conta i sassi.
- Un sasso, due sassi, tre sassi…
- In silenzio, Padfoot.
- Okay.
 

- Moony.
- Ti annoi, sì, lo so.
- Raccontami qualcosa.
- Non ci voglio parlare con te.
- Cosa? E da quando?
- Da quando mi hai fatto crollare un tunnel addosso per poi chiamarmi vecchia ciabatta per poi mordermi due volte.
- Beh, non puoi fare l’offeso per quello ora: devi informarmi subito quando stiamo litigando, non dopo mezz’ora.
- Stiamo litigando.
- No, non stiamo litigando.
- Io dico che stiamo litigando.
- Ma non puoi, Moony. È tardi, ormai, sono le regole: o lo dici subito o non sei arrabbiato.
- Chi le ha stabilite queste regole?
- Io, al terzo anno.
- Beh, non sono d’accordo.
- Dovevi dirlo subito allora, ormai è tardi. È la regola.
- Siamo Malandrini, non seguiamo le regole. Non saremmo intrappolati in un passaggio segreto fatto crollare da un Frisbee Zannuto se seguissimo le regole. E se tu non fossi un idiota.
- Può non essere stato il mio Frisbee Zannuto. Non fare quella faccia, non sto dicendo che certamente non lo è stato, ma potrebbe non esserlo stato, ok? Il pessimo tempismo e le coincidenze sono una cosa reale, Moony, esistono. E probabilmente è stato il peso del tuo senso di colpa a far crollare tutto, sembrava che avessimo sgozzato il gatto di qualcuno dall’espressione che avevi.
- Ora perché stai pensando a sgozzare gatti, Sirius?
 

- Moony.
- Che c’è?
- Ti ricordi quella volta al quarto anno quando sei venuto a cercarmi per dirmi una cosa e poi ti sei dimenticato cosa dovevi dirmi?
- Sì.
- Ti sei ricordato?
- No, Padfoot.
- Ok, controllavo solo.
 
 
- James Potter. James Potter. Prongs, a che punto sei? 
- Tutto ok, sono appena entrato nel passaggio dai Tre Manici: qua si è staccata solo qualche pietra per ora, ma sembra tutto molto instabile. Ecco, vedo là in fondo dei massi più grandi, ma non importa, sono vicino, posso farmi strada con la magia. Dieci minuti e sono lì: preparate tutta la gratitudine che avete. 
 

- Beh, Moony.
- Beh?
- No, dicevo: beh, Moony, stiamo per essere salvati. Quindi.
- Cosa stai dicendo?
- Voglio dire, sono gli ultimi momenti di totale solitudine, no?
- Suppongo di sì?
- Quindi.
- Sì.
- Non c’è nulla che dovresti dirmi? Nessun oscuro segreto da condividere?
- No. Perché dovrei…no. Lo sai già il mio oscuro segreto.
- Quello non è un oscuro segreto, Moony, non esagerare.
- Sarei curioso di sapere cos’è per te un oscuro segreto, se essere un licantropo non lo è.
- Beh, ad esempio…
- Ma non lo voglio sapere davvero.
- Sei sicuro? È una storia interessante.
- Non ne dubito. Ci sono gatti sgozzati di mezzo?
- Non sgozzo tutti gli esseri viventi che non mi piacciono, sai.
- È molto maturo da parte tua, Sirius.
- Grazie. Ho dato fuoco al tuo libro di Aritmanzia, è per questo che non lo trovi.
- Cosa?
- Mi sembrava il momento giusto per dirtelo. È il mio oscuro segreto.
 

- Moony. Moony. Dai, Moony, piantala, è successo due settimane fa, non puoi fare l’offeso ora per quello, ok? E poi ho confessato, mentre avrei potuto lasciarti credere di averlo perso. Ora è tutto apposto, no?
 

- Ascolta, se ti dico cos’è successo al tuo libro di Pozioni al quinto anno smetterai di ignorarmi? Perché vedi, io non l’ho fatto apposta a bruciare il libro di Aritmanzia, mentre James d’altro canto non può averlo lanciato nel lago nero con una pietra legata alla copertina per sbaglio.
 

- Moony. Dai, Moony.
 

- Le tue labbra tremano visibilmente quando senti la mia voce, sai. Quindi esisto e tu mi senti e quindi non stiamo più litigando.
 

- Ehy. Ehy, Moony. Ehy.  
 

- Ahia, Sirius!
- Sono contento che abbiamo fatto pace, Moony.
-  Mi hai morso, non abbiamo fatto pace!
- Mi stai parlando, abbiamo fatto pace.
 

- Quanto ci mette? James Potter, - Sirius si avvicina lo specchietto al volto, prima di corrucciare le labbra. – James? Che è successo?
- Abbiamo un problema, - Il viso di James è stranamente pallido alla luce del Lumos che gli esce dalla bacchetta e ha una scintilla agitata nello sguardo, la voce tesa. – Credo di essere vicino e qui non ci sono nemmeno troppi massi da far evanescere, ma sono stato costretto a fermarmi.
- Da cosa? Perché hai quell’aria spaventata?
- Non sono spaventato, - nega subito James. – È uscito da una crepa nel soffitto. Fanno capolino solo due zampe, ma sono, - Si blocca, scuotendo la testa ed emettendo un suono atipico che dovrebbe indicare disgusto oppure pazzia. – Sono marroni. Enormi e ricoperte di peli. Peli marroni. Su Zampe marroni. Un sacco di peli. Lunghi e marroni.
Sirius si volta verso di me ed io ricambio il suo sguardo sconfortato: questo è per forza il karma e noi non possiamo sfuggirgli.
- È seriamente il ragno più grande che io abbia mai visto, - insiste James e questa è assolutamente la fine. – Credo che mi stia fissando. Non sto dicendo che lo farò, ma voglio solo che sappiate che sento davvero forte l’impulso di voltarmi dall’altra parte e correre, perché continua a fissarmi e potrebbero essercene altri, nascosti in tutte queste crepe oscure che mi circondano.
- James, James, ascoltami, - Sirius prende in mano la situazione, sfoderando un tono autoritario e conciliante al tempo stesso. – Tu non vuoi essere lì.
- No, infatti.
- Non ti piace stare lì.
- Assolutamente.
- Quel ragno potrebbe ucciderti da un momento all’altro.
- Lo so, - James deglutisce ed io inizio a chiedermi se Sirius abbia effettivamente un piano diverso dal semplice terrorizzare a morte il suo migliore amico.
- Quindi vattene da lì, ok? Vieni avanti e liberaci.
- Ma voi siete dalla parte opposta a quella verso cui vorrei correre: dovrei passare proprio sotto la crepa, sotto. Non posso passarci sotto, no? Ne approfitterà per lasciarsi cadere e atterrare su di me e mi toccherà con quelle sue zampe pelose e marroni. Ha delle zampe e le userà contro di me, Sirius, non sto scherzando.  
Sirius sa che James non sta scherzando ed è per questo che mi passa lo specchietto con un gesto secco, trattenendo un sospiro irritato: non approva la fobia di James quando non può usarla per ridicolizzarlo.
- James, ascoltami, - inizio pacato e ragionevole. – Hai sedici anni, diciassette tra un paio di mesi, ok? Ogni istante della tua vita da quando sei nato ti ha condotto a questo momento: il nemico e i tuoi amici in pericolo da una parte, la salvezza e la fuga dall’altra, - Faccio una pausa ad effetto di qualche secondo per rendere il tutto più solenne, ma Sirius starnutisce di nuovo e questo rovina l’atmosfera. – Cosa hai intenzione di fare? Lascerai che la tua paura ti spinga a tradire e abbandonare i tuoi migliori amici intrappolati come vermi sottoterra o il senso di lealtà ti spingerà a tirare fuori il coraggio?
- Io, io credo che scapperò, Moony.
- Tu che cosa? – sbotto improvvisamente, mentre lo scarafaggio che continua indisturbato a mordicchiare l’interno del mio cervello prende possesso di me. – Ma neanche per sogno! Ora tu smetti di fare la femminuccia, tiri fuori la bacchetta e dimostri di essere un vero Grifondoro, mi hai capito bene?
La mia voce riecheggia per il tunnel buio e Sirius mi sfila lentamente lo specchietto dalle mani.
- Hai fatto arrabbiare Moony, non ci credo.
- Non sono arrabbiato, - sospiro, riacquistando la mia pacatezza. – Padfoot, passami lo specchietto.
- No, lo hai già spaventato abbastanza. Credo che stia per piangere, - Il sorrisetto sulle labbra di Sirius è eccessivamente entusiasta per la situazione in cui ci troviamo. – Godric, vorrei avere una macchina fotografica.
- James, James mi dispiace, - Lo specchietto mi rimanda lo sguardo vacuo e un po’ perso del mio amico ed io rifletto brevemente sulla linea da adottare. – Mi sento così in colpa. Non sei una femminuccia, ok? Lo sai come la penso sulle fobie, sono irrazionali e assolutamente non divertenti e non è colpa tua. Quel ragno potrebbe ucciderti, hai ragione. Nessuno ti biasimerebbe se ora ti voltassi e ti mettessi in salvo, è la cosa più sensata da fare.
- Io lo biasimerei.
- Ma io ho fiducia in te, ok? – Continuo, ignorando Sirius. – So che farai la cosa giusta. 
- Che è tirare fuori la bacchetta e uccidere il ragno, se non fosse chiaro.
- Era chiaro, Padfoot, non mi serve un traduttore.
- Ti serve e se pensi che James possa cogliere le tue allusioni sottili in questo momento ti serve anche un ritorno alla realtà.
- Ok. D’accordo, - Ho già la replica sulla punta della lingua, quando l’improvviso risveglio di James attira entrambi i nostri sguardi sullo specchietto. – Ho una bacchetta, - dice e alza le spalle, annuendo tra sé e sé. – Non devo avvicinarmi. Ho una bacchetta. Userò la bacchetta da lontano. Posso farlo. Ho una buona mira e una buona bacchetta, non vedo cosa potrebbe andare storto.
Sto per comunicargli la mia approvazione e incoraggiare il suo piano, quando poi realizzo che non è a noi che James sta parlando e dopo qualche secondo la visuale si fa completamente nera, mentre lo specchietto gemello al nostro scivola di nuovo nella tasca del mantello. Lo Stupeficium di James arriva dallo specchietto subito seguito da un grido di sorpresa misto a orrore, poi ci sono grida, un rumore di pietre che cadono, passi che corrono e un numero imprecisato di fatture urlate in preda al panico.
- Dimmi che non era un Incendio quello che ho sentito, - Sirius mi guarda con una punta di rassegnazione negli occhi, mentre dallo specchietto continuano a diffondersi così tanti ed eccessivi rumori, nemmeno James stesse cercando di abbattere un drago. Com’è possibile che lo stia rendendo così complicato?  - Oh, Godric, moriremo qui.
Non ho nulla da ribattere e così aspetto pazientemente che la battaglia finisca. Quando il silenzio cala nuovamente nel tunnel, io e Sirius ci scambiamo un’occhiata incerta, perché non è per niente scontato che sia James ad esserne uscito vincitore. Poi lo specchietto si anima di nuovo e il viso arrossato del nostro amico è di fronte a noi.
- È morto, è morto, - annuncia sfinito, la testa abbandonata contro la parete. – Sono invincibile.
- Bravo, hai fatto quello che un ragazzino del primo anno avrebbe fatto da mezz’ora, - commenta Sirius e c’è da riconoscergli che avrebbe potuto essere molto più crudele di così. – Sono molto fiero di te. Ora muoviti.
- Arrivo, - James si rialza, ancora affannato e parecchio scosso. – In tutta la mia invincibilità. Preparatevi, la mia armatura splendente potrebbe abbagliarvi.  
Lo specchietto torna vuoto, Sirius mi morde nuovamente la spalla senza motivo ed io cerco di immaginare cosa stia facendo in questo momento Mark Abbott, il Corvonero che sin dal primo anno ha sempre cercato di convincermi a entrare nel suo gruppetto di amici. Forse è in Biblioteca a finire il tema di Trasfigurazione per lunedì oppure è in riva al lago a chiacchierare del più o del meno con qualcuno; quello che è certo è che se fossi con lui ora non ci sarebbe nessun segno di denti sulla mia spalla destra, né pietre sopra di me.
- Padfoot, credo di avere uno scarafaggio nel cervello.
 




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Uno penserebbe che se salvi la vita ai tuoi migliori amici, loro passeranno le successive ventiquattrore a portarti in giro sulle spalle e darti pacche sulla schiena e cose del genere, perché tu sei un eroe e loro non possono fare a meno di dimostrarti la loro immensa gratitudine con ogni più piccolo gesto.
No, per l’appunto.
Sirius, che prende sempre ogni festa sul personale, ha passato quasi tutto il giorno a confabulare con Alice e Mary e a dare ordini a tutti, anche a gente che non è stata invitata al compleanno, ed ogni volta che torna a congiungersi al suo vero branco, cioè noi, spreca ogni occasione di  mostrarmi gratitudine per bisticciare invece con Remus, che è molto offeso per qualcosa che riguarda una spalla e dei denti. Il fatto che Peter abbia alla fine effettivamente riempito la nostra camera di torte, prendendo in parola Sirius, è stato un ulteriore motivo di litigio, perché secondo Remus è colpa di Sirius, mentre Sirius dice che è colpa mia. Mi sfugge come abbia ricondotto la cosa a me, perché quando lo illustrava a Remus ero impegnato con la torta di fragole e panna, ma non mi interessa, perché non credo che ci sia nulla di negativo nell’avere una decina di torte sparse per la camera. È questo l’unico motivo per cui sto salendo in stanza così presto, per l’appunto: se gli incantesimi refrigeranti hanno retto, potrò gustarmi un’altra fetta di torta prima di coricarmi. Se non hanno retto, qualcuno dovrà pulire tutto quel macello, uno dei Malandrini ancora svegli, cosa che io, molto furbamente, a quel punto non sarò più. Sirius e Remus sono ancora in Sala Comune che litigano sul fatto di cancellare o meno dalla Mappa il passaggio segreto crollato e credo ne avranno per un po’, mentre Peter sta finendo indisturbato di disegnarci sopra le pietre per segnalare la frana: abbiamo stabilito io e lui che era la mossa migliore e mentre gli altri due continuavano ad azzuffarsi siamo riusciti anche ad applicare un incantesimo che fa sfrecciare il pallino azzurro del Frisbee Zannuto da una parte all’altra del passaggio, tra le macerie stilizzate. È molto artistico e sarebbe stato divertente inserire anche le figurine di Sirius e Remus bloccati là sotto, come eterno monito della loro vergogna e del mio epico salvataggio, ma poi la Mappa sarebbe andata in confusione con un Remus Lupin e un Sirius Black in più del normale.
- No, no, fermatela, presto! James, bloccala, bloccala!
Diverse teste fanno lentamente capolino dalle varie porte affacciate sul lungo corridoio dei dormitoi maschili per capire l’origine delle grida ed è con una certa stizza che noto diversi occhi indugiare qualche secondo di troppo su di me, quando invece è Frank quello che è spuntato dalla sua camera gridandomi ordini in preda al panico. Non mi piace che la gente mi dica cosa fare e se non fosse stato un riflesso istintivo non l’avrei bloccata, giusto per mettere le cose in chiaro, ma prima ancora di sentire la voce di Frank i miei occhi si erano già fissati sulla bizzarra pallina rossa che stava sfrecciando verso di me e che ora non va più da nessuna parte, le zampette a penzolare inermi di fronte al mio viso e il pelo morbido tra le mie dita. Gli occhietti verdi mi fissano incuriositi ed io aggrotto la fronte.
- Ti sei comprato un gatto, Frank? – chiedo senza interrompere il contatto visivo con la palla di pelo, perché ho la sensazione che sarebbe maleducato farlo, mentre Frank mi raggiunge affannato mormorando scuse a tutti e respingendo fisicamente qualche testa dentro le varie camere, tra cui un ragazzino del terzo che in realtà aveva l’aria di aver appena aperto la porta per uscire e non solo per curiosare.
- No, no, non è mia, - Frank scuote la testa, mentre il piccolo esemplare di felino sospeso di fronte a me inizia ad emettere uno strano suono vibrante. È la prima volta che lo sento in vita mia, perché Elvendork non lo fa mai, forse perché non è mai felice o forse solo perché è un gatto riservato, ma so cos’è e so che significa che questo è un felino molto brillante e astuto, perché evidentemente mi ama. Dato che io piaccio a lei, decido che anche lei piace a me, e me la porto al petto adagiandola su un braccio, grattandole l’orecchio con l’altra mano. Le fusa aumentano, lei si ribalta mostrandomi la piccola pancia chiara ed ora io e questa gatta siamo migliori amici. – Non credo nemmeno di piacerle in realtà, continua a cercare di scappare. Grazie per averla fermata, per l’appunto, se fosse arrivata in Sala Comune ora sarei un uomo morto.
- Perché? – Continuo distratto a solleticare il pelo della gatta e le sue unghie premono leggermente contro la mia pelle mentre cerca di afferrarmi le dita con le zampette.
- Non ne ho idea, davvero. Di solito piaccio agli animali, cani, gatti, rospi…solo lo Snaso di mio zio sembra nutrire una certa antipatia verso di me ora che ci penso, ma lui in realtà odia tutti, quindi-
- Intendevo perché non può andare in Sala Comune, Frank, - preciso.
- Oh, quello, - annuisce lui e solo ora noto i sottili graffietti rossi che gli decorano le braccia e un lato del collo. – È che Lily non la deve vedere prima di domani: è il suo regalo di compleanno da parte di Dean, quelli del negozio ad Hogsmeade sono stati così disponibili da portargliela direttamente al cancello del castello.
Le mie dita si bloccano all’improvviso tra il pelo folto e ingannevole della gatta ed io la alzo nuovamente all’altezza del mio viso, studiandola corrucciato mentre Frank continua a blaterare cose di nessuna importanza. Il regalo di Philips, ma bene. Mi sento un po’ tradito ora, perché questa gatta si stava facendo grattare la pancia da me ed ora invece scopro che lavora per il nemico, ma mentre fisso attentamente gli occhietti verdi cercando di capire dove stia la sua lealtà sono abbastanza sicuro che questo felino sia estremamente corruttibile.
- Non capisco perché deve assolutamente essere la prima cosa che vedrà Lily appena sveglia domattina, avrebbe potuto dargliela lui stesso a colazione o qualcosa del genere, ma Alice ha accettato al posto mio e quindi ora devo nasconderla per tutta la notte, - continua Frank mentre io mi riporto la gatta al petto facendole scorrere un dito dalla testolina al naso. Subito lei ricomincia ad emettere quel suono rilassato, spingendo la testa contro di me e il mio cervello inizia immediatamente a lavorare frenetico per capire come volgere questa situazione e questa gatta a mio favore.
- James, ti sei incantato?
Frank mi guarda perplesso, tendendo le mani verso di me per riprendersi la gatta ed io arretro di un passo.
- La tengo io stanotte, - annuncio trattenendo un sorrisetto trionfante. Ottima, ottima mossa James, come sempre. Ormai non hanno scampo, né Philips né Evans.
- Cosa?
- La gatta. La tengo io, - specifico. – Mi piacciono i gatti. Adoro i gatti.
- Ti piacciono…oh, - Frank spalanca di colpo gli occhi, piantandomi in faccia uno sguardo ambiguo e pieno di sottintesi oscuri e indecifrabili. – Giusto. D’accordo allora.
- Oh? Oh cosa?
- Niente, è ok, puoi tenerla tu, - Frank continua a lanciarmi strane occhiate, come se lui sapesse cose che io non so e l’ultima volta che mi ha rivolto quello sguardo è stato perché i miei capelli erano blu e nessuno me lo aveva detto. – Se mi assicuri che Sirius non la getterà dalla finestra però.
- Non la getterà dalla finestra, Frank. Non mentre tutti possiamo vederlo. Ma non puoi andartene così, ok? Cos’era quell’oh?
- Nessun oh, ho solo ricordato che ti piacciono i gatti, per l’appunto, - Frank sta mentendo e non ha idea di non poter fare oh a me senza pagarne le conseguenze. Ora vado, la passo a riprendere domattina. Notte!
- No, Frank, non puoi andartene in giro e fare oh, ok? – Frank deve essere appena stato colpito da una forma acuta di sordità, perché l’unica altra spiegazione al fatto che se ne stia andando sarebbe che mi sta ignorando, che è così chiaramente un’ipotesi ridicola. – Sei fuori dalla squadra, mi hai sentito? Troverò un altro Battitore!
Frank sparisce dentro la sua camera senza voltarsi, mentre un’altra testa si affaccia repentinamente dal corridoio, gli occhi speranzosi fissi su di me. Oh no.
- Stavo scherzando, Davies, non sto cercando un nuovo Battitore.
- Oh, d’accordo. Ci vediamo ai provini l’anno prossimo allora.
- Certo. Come tutti gli anni.
- Mi sto allenando, sai, sento che sarà la volta buona.
- Come tutti gli anni, - ripeto forzando le labbra in una smorfia vagamente simile a un sorriso d’incoraggiamento, o almeno è quello che mi piace credere.
 

 
Le zampette testano per qualche secondo la consistenza del mio baldacchino, che pare soddisfare le aspettative, perché subito dopo ci si lascia cadere sopra e inizia a contorcersi con la pancia all’aria. Soddisfatto mi lascio cadere accanto a lei, evocando una delle torte dal letto di Sirius e studiandola attento: ancora perfettamente integra, di bene in meglio. Ho delle torte che non si sciolgono, un cucciolo di gatto e tutto ciò mi mette di ottimo umore. Mi sta fissando ora e così decido di appellare un’altra torta, lasciando che si posi sul letto esattamente tra noi. La osserva attenta per un po’, prima di intingere la linguetta nella panna. Quando lo fa per la terza volta, mi ricordo improvvisamente che forse questo ucciderà la mia nuova alleata, così faccio levitare la torta fuori dalla sua portata. Non le piace questo risvolto e alla fine sono costretto a far levitare in alto anche la mia fetta, quando lei inizia ad arrampicarsi sul mio maglione per raggiungerla. Subito mi alzo, mentre lei continua a starsene aggrappata alla mia spalla, e inizio a guardarmi attorno in cerca di cibo a misura di gatti: comodino, letto e baule di Sirius sono la mia prima tappa, perché è lì che tende a concentrarsi la maggior parte del cibo presente in questa stanza e anche in questo castello a dirla tutta. Mi infilo qualche Cioccorana nelle tasche, perché ne ha troppe a mio parere, poi sono costretto a spostarmi nella zona di Peter perché Sirius ha solo dolci e non credo che siano l’ideale  per un gatto. Nel comodino di Peter trovo un pacchetto di Calderotti e diverse piume di zucchero e così inizio a chiedermi come mai i miei amici non siano ancora tutti morti di diabete o qualcosa del genere, quando lo sguardo mi cade su Edgar, che se ne sta lì a galleggiare nella sua boccia ed io continuo a fissarlo per diversi interminabili secondi, prima di scartare l’idea, perché Peter mi ucciderebbe. Sto riflettendo se farle sgranocchiare una bacchetta finta alla liquirizia sia una mossa astuta, quando la porta si apre e gli occhi di Sirius sono ora su di me. Remus gli sbatte contro le spalle mentre lui continua a starsene fermo sulla soglia della porta, gli occhi inespressivi fissi sul punto alla mia sinistra da cui la gatta ricambia curiosa lo sguardo.
- Non sta succedendo di nuovo, - stabilisce infine, mentre anche Peter si affaccia da dietro la sua schiena per capire cosa stia succedendo. Sarà una cosa lunga, così mi lascio cadere sul letto, portandomi la gatta al petto e riprendendo a grattarla. – Non potete continuare a farlo.
- Cosa c’è adesso? – Remus riesce finalmente a sgusciare nel piccolo spazio lasciato tra il corpo e l’indignazione di Sirius e lo stipite della porta e subito anche i suoi occhi ambrati sono su di me. – Oh.
- C’è che nessuno rispetta le regole in questa camera. Ne avevamo parlato, no? Non si introducono nuovi coinquilini senza il consenso di tutti gli abitanti. Già siamo in cinque in una stanza da quattro.
Sirius lancia un’occhiataccia ad Edgar e Remus alza gli occhi al cielo.
- È un pesce rosso, Sirius, non ricominciare. 
- È un pesce rosso non autorizzato, non avevamo votato. 
- Non c’è bisogno di votare se è qualcosa che non mina in alcun modo l’equilibrio complessivo della stanza, - replica Remus, mentre Peter lancia un’occhiata a tutti e due prima di raggiungermi sul letto. La gatta annusa allarmata il suo dito per qualche secondo, prima di lasciarsi accarezzare. – Se ne sta nella sua boccia e non corre in giro per tutta la camera come quel geco che avevi portato tu al terzo anno, che fastidio ti dà?
- Mi fissa, Moony. Tutto il tempo. Soprattutto quando sono nudo.
Subito alzo la testa e vorrei informare Sirius che ho più volte avuto la stessa spiacevole sensazione, solo che non posso parlare al mio migliore amico quando ho una gatta clandestina in grembo, così resto in silenzio.
- Forse si chiede perché non indossi mai dei vestiti, - Remus avanza di qualche passo nella camera ed io non posso impedirmi di notare che la torta che ho fatto levitare prima ora è proprio sopra la sua testa, sospesa a mezzo metro da lui. E la mia è una grande, silenziosa prova d’amicizia, perché sarebbe stato così facile. – Ora, se vogliamo parlare di cose che minano gli equilibri della stanza, questo sarebbe un argomento di discussione…
- E nuota troppo, - continua Sirius ignorandolo, mentre si slaccia con una mano la cravatta della divisa. – Si agita sempre e fa schizzare l’acqua facendo rumore, lo posso sentire anche adesso.
Automaticamente tutti si zittiscono e Peter smette di produrre quei ridicoli versetti che stava emettendo nel giocare con la gatta, le orecchie tese a cogliere il più minimo rumore: Edgar galleggia nella sua boccia e fissa immobile il vuoto di fronte a sé, come sempre, senza emettere suono.
- Beh, ora ha smesso perché lo stavamo ascoltando, - stabilisce Sirius. – E comunque è una seccatura, non posso lanciare le cose per paura di rompere la sua boccia.    
Sono abbastanza sicuro che i pantaloni arrotolati sulla scrivania siano di Sirius e siano arrivati lì in volo giusto ieri, ma sono anche abbastanza sicuro di non voler entrare in questa o in qualunque altra discussione: essere rimasti intrappolati l’uno accanto all’altro per quasi un’ora ha risvegliato la vena polemica di entrambi i miei amici ed è molto più divertente assistere e basta.
- Non dovresti lanciare a priori le cose, soprattutto sul comodino di Peter. O in un tunnel pericolante, per quel che importa, - puntualizza Remus e poi Sirius dice qualcos’altro ed io smetto di ascoltarli.
- Sai cosa mangiano i gatti, Pete?
Non ho mai dovuto provvedere al nutrimento di Elvendork, che essendo il mio gatto è naturalmente un cacciatore nato ed è anzi convinto di essere lui a dover provvedere al mio sostentamento, cosa che lo spinge a lasciarmi continuamente lucertole e topi morti ai piedi del letto. Sirius dice che lo fa perché mi odia e vuole spaventarmi per farmi andare via di casa, ma Sirius non saprebbe riconoscere una dimostrazione d’affetto neppure se non ci fossero di mezzo cadaveri in decomposizione, quindi non ha voce in capitolo.  
- Pesce, - dice Peter, prima di lanciare un’occhiata colpevole ad Edgar e correggersi in fretta. – Latte.
- Hai del latte?
- No.
- Andresti a prendermi del latte?
- No.
Subito abbasso lo sguardo, cercando di sembrare molto abbattuto, e proprio quando sto per controllare se Peter si stia per caso sentendo in colpa al punto da scendere nelle cucine, Remus mi chiama e a quanto pare lui e Sirius  hanno ora smesso di bisticciare per coalizzarsi contro di me.
- James, dove hai preso quel gatto?
- È il regalo di compleanno di Evans da parte di Philips, - spiego pacifico e subito Sirius si rilassa, perché non dovrà passare la notte ad illustrarmi i milioni di modi in cui un altro animale in camera gli rovinerebbe la vita. – Alice glielo darà domattina. 
Remus invece non sembra convinto.
- Ok, James, e perché ce l’hai tu? – chiede lentamente ed io lo guardo perplesso.
- Moony, non hai sentito? È il gatto di Evans.
Remus continua a fissarmi.
- Non hai intenzione di fare del male a quel gatto, vero?
- Certo che no, - sbuffo. – Per chi mi hai preso? Farò di meglio. Questa gatta, Moony, passerà la sua prima notte in questo castello con me. Mi amerà. Per sempre. Ed Evans non potrà farci proprio nulla. Né lei né Philips.
 


*

James sorride trionfante come se mi avesse appena illustrato un piano estremamente geniale ed estremamente ovvio al tempo stesso ed io continuo a fissarlo incerto su come reagire, perché non è sempre così immediato immedesimarmi nei miei amici e capire quali processi possano portarli a credere che rapire un gatto sia una mossa decisiva per la loro vita amorosa.
- Insegniamole qualcosa, presto, - continua James eccitato, alzandosi dal letto per sfilare la cravatta già allentata dal collo di Sirius. Come inizia a sventolargliela sopra, la gatta dimentica immediatamente le coccole di Peter e si sporge su due zampe nel tentativo di afferrarla; quando le unghie si infilano nel tessuto e lei si ritrova a dondolare appesa alla cravatta, Sirius decide improvvisamente di essere contrario a questo gioco e inizia a litigarsi la sua cravatta con James e la gatta contemporaneamente, mentre io continuo a riflettere, senza in realtà arrivare ad alcun risultato.
- James, - lo richiamo, decidendo di aver bisogno di più informazioni di così per far luce sulla vicenda. – A che cosa ti serve farti amare da questa gatta? 
- A cosa mi serve? – Ed è tutto lampante nella sua testa, lo vedo dal modo in cui mi guarda, come se fossi un bambino particolarmente tardo. – Mi darà un vantaggio su di loro, ovviamente.
- Ma non è una competizione, - ribatto piano, proprio mentre Sirius approfitta della distrazione di James per placcarlo con tutto il suo peso. Peter emette un suono simile a una ruota che si sgonfia quando i due gli atterrano sopra, spiaccicandolo tra i loro corpi ancora in lotta ed il letto ed io prendo in considerazione per diversi secondi di aver appena assistito alla morte, progettata o meno, della gatta di Evans, poi lei sguscia via dalle braccia di James trascinandosi dietro la cravatta a cui è ancora attaccata una mano di Sirius. Non sembra che farò luce sulla questione in tempi brevi, così do le spalle ai miei amici e mi ritiro nel mio baldacchino, accigliato.
 
 

C’è della bava sul cuscino di Peter e nessuno pare farci caso; se ne sta lì, trasparente e appiccicosa e ad un certo punto la guancia del mio amico dovrà venirci a contatto. Questo non sarebbe successo, se James non avesse detto ad alta voce che la gatta è più brava di Sirius a prendere il boccino, cosa che ha costretto Sirius a trasformarsi per provare il contrario. Non sono sicuro di cosa pensava che sarebbe cambiato, per l’appunto: trasformarsi non ha in alcun modo aumentato la sua abilità e nella stanza continua a risuonare il rumore secco dei denti del cane che continuano a chiudersi sul vuoto, mentre il boccino sfreccia da una parte all’altra della stanza, dirottato solo occasionalmente dagli artigli del felino. Le tende del letto di James non hanno sempre avuto quegli strappi sottili e di nuovo, pare che nessun altro ci abbia fatto caso, come nessuno ha pensato di evocare un incantesimo insonorizzante sulla stanza quando Sirius ha iniziato ad abbaiare. Non è un problema in realtà, sono qui per questo, e il chiasso prodotto dai miei amici mi è diventato con gli anni piuttosto congeniale, al punto da rilassarmi e affinare le mie abilità di pensiero. Ora so quale era il piano di Sirius ad esempio, per via del modo in cui continua a ringhiare e abbaiare appena ne ha l’occasione, sperando di spaventare la gatta e farla scappare in bagno. Non sta funzionando per l’appunto e lei continua a tendergli agguati saltandogli sulla schiena e aggrappandosi alla sua folta coda nera. Il piano di James, invece, continua ad essermi oscuro.
- Mi ama totalmente, guarda, - James mi lancia un’occhiata compiaciuta mentre la gatta attraversa correndo la stanza per saltargli in braccio, subito dopo che lui ha estratto il boccino dalla tasca. Tira alla pallina dorata qualche zampata, per poi gettarsi a pancia in su e lasciarsi coccolare dalle dita di James, deformandosi come se fosse fatta di pasta frolla. Non ho mai avuto un gatto e non sono sicuro che nessuno dei miei amici le abbia lanciato una qualche  fattura elasticizzante, ma forse è solo troppo piccola per avere anche delle ossa in mezzo a tutto quel pelo.
- Perché tu continui a darle del cibo, - puntualizzo mentre James allunga alla gatta l’ennesimo bocconcino del tonno che ad un certo punto è sceso a prendere nelle cucine e per l’ennesima volta io mi chiedo cosa succederà questa notte, quando tutti dormiranno e l’assenza di una lettiera in questa stanza inizierà a sentirsi. Ho proposto a James di trasfigurarne una e insegnarle ad usarla, ma a quanto pare sono concesse solo attività divertenti, perché la gatta deve avere un ottimo ricordo di tutti noi ed in particolare di lui o il piano di James, qualunque esso sia, fallirà: sarà Philips a essere relegato nella mente del felino al ruolo di persona molesta che cerca di imporle dove espletare o meno i suoi bisogni, mentre James sarà il divertentissimo ragazzo che l’ha ricoperta di cibo, coccole e giochi divertenti. La cosa che più mi lascia perplesso di questa situazione è che il preferito della gatta continua ad essere Sirius, nonostante i suoi sforzi per tenersene alla larga; credo che abbia qualcosa a che fare con l’odore di zucchero e liquerizia che aleggia costantemente attorno a lui e ai suoi vestiti.
Gli strani versi che provengono in questo esatto momento dal bagno, per l’appunto, simili a quelli che produrrebbe uno Snaso irritato che sta affogando, sono di Sirius.
 La gattina zampetta veloce dalla porta del bagno e si fionda tra le braccia di James, subito seguita dai piedi nudi di Sirius, lo spazzolino sgocciolante che gli pende da un lato della bocca.
 - Mi ha graffiato, - sbotta indignato, impugnando lo spazzolino come uno scettro e spargendo schizzi ovunque, in particolare negli occhi di Peter. Quella dannata bestiaccia ha degli artigli affilati e li ha usati contro di me!
James studia accigliato i graffietti rossi che spiccano sul polpaccio di Sirius, senza smettere di grattare le orecchie della gatta. – Cosa le hai fatto?
- Cosa le ho fatto? Io? Mi stavo lavando i denti e lei è spuntata dal nulla e mi ha attaccato! Sono io la vittima qui.
- Padfoot, cosa le hai fatto?
Sirius alza gli occhi al cielo, impaziente.
- Era solo un po’ d’acqua, ok? La sua reazione è stata completamente esagerata.
- E tu perché hai dovuto schizzarla?
- Mi fissava, Prongs, - spiega Sirius, senza accorgersi della porta del bagno che si chiude alle sue spalle, interrompendo a metà il suo turno. Scaltro Peter. -  Stava cercando di provocarmi: dovevo fare qualcosa.
James fa per replicare, ma la mia voce lo distrae.
- James, spiegami il piano.
- Quale piano?
- Il piano per conquistare Evans, - preciso. – È quello che vuoi, no? È per questo che hai rapito la gatta.
 - Cosa? Non voglio assolutamente, - Devo aver appena fatto una battuta particolarmente divertente senza accorgermene, perché James scoppia a ridere. Sirius assottiglia gli occhi, un rivolo di saliva e dentifricio che inizia a colargli sul mento. – È fuori discussione. Ridicolo. Voglio solo che la sua gatta si innamori follemente di me. La gatta. Non Evans. Che diavolo c’entra Evans? Moony, a volte fai dei collegamenti logici davvero bizzarri, lasciatelo dire.
James scuote la testa e continua a lanciarmi occhiate di soppiatto, divertito.
La bava di Sirius raggiunge il pavimento e lui inizia a bussare alla porta del bagno con mani, piedi, petto e qualunque altra parte del corpo, gridando contemporaneamente minacce a Peter.
- Perché dovrei voler conquistare Evans, poi? – riprende James con nonchalance, continuando a coccolare la gatta.
È una domanda semplice e la risposta è lampante, ma nulla è mai facile con James, così passano diversi secondi prima che io parli.
- Perché lei ti piace?
- E con questo?
Le molle del baldacchino di Sirius cigolano appena mentre lui ci si lascia cadere sopra rassegnato ed io continuo a fissare James perplesso per diversi secondi.
- Ok, senti, la vedi questa gatta? – Il tono di James è lo stesso di chi cerca di spiegare qualcosa di estremamente semplice a un bambino particolarmente tardo ed io gli presto immediatamente la mia totale attenzione, perché mi sento un bambino particolarmente tardo. – Le piace Sirius, è palese, - continua, prima di prendere la gatta con entrambe le mani e lasciarla atterrare sul pavimento, spingendola verso il letto più vicino al suo. – Ma a Sirius, - Quando il felino inizia ad arrampicarsi sulle coperte del suo letto, Sirius si alza di scatto, iniziando a borbottare e tirare le coperte in modo da farla scendere. – Non piace la gatta, - conclude James soddisfatto, mentre lo spazzolino del suo migliore amico finisce a terra e le imprecazioni di Sirius diventano ora intellegibili. – Sirius odia la gatta. E questo è quello che succede.
James si aspetta che ora mi sia tutto chiaro, lo capisco dall’aspettativa con cui mi fissa.
- Tu sei la gatta e Sirius è Evans? – azzardo lentamente. – È questo che stai cercando di dire?
Peter esce dal bagno e sembra perplesso.
- James è una gatta?
- No, non sono una gatta, - sbuffa James ed io mi chiedo come siamo arrivati al punto in cui lui ha bisogno di specificarlo. – Io sono più furbo della gatta, perché indipendentemente da chi mi piaccia o meno, io non vado da Sirius.
- Perché ce l’hai con me ora?
- James, d’accordo, - inizio pratico, ignorando Sirius. – Ho capito più o meno cosa ti passa per la testa, ma ascoltami solo per un attimo, va bene? Se tu-
- Ora ti soffoco, - mi annuncia James e poi il suo cuscino è sulle mie labbra e il suo peso è tutto su di me. Ed è questo che succede a cercare di portare la logica tra i miei amici, constato mentre il mio corpo affonda nel materasso morbido e le ginocchia di James vanno a compromettere per sempre la funzionalità di molti dei miei organi interni. La federa del cuscino mi blocca il naso e la bocca mentre viene spinta sempre più forte contro la mia faccia e questo è esattamente quello che succede ad usare la logica dentro questa camera.
Che ti serva da lezione, Remus Lupin.




 
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Sono sveglia e maggiorenne da una frazione di secondo e la mia vita è già praticamente spacciata, questo è quanto. 
Le mie palpebre sono ancora abbassate, ma riesco a sentirli, gli esseri sussurranti, proprio sopra di me, a pochi centimetri dal mio viso. Sghignazzano e mormorano tra loro e continuano a starmi sopra, pronti ad attaccarmi nel momento in cui io muovessi un muscolo.
Mamma si pentirà di avermi sempre preso in giro dandomi della paranoica quando le arriverà la lettera di Silente con la notizia del ritrovamento del mio cadavere straziato nel mio stesso letto. Solo che mamma non può ricevere nessuna lettera, ricordo all’improvviso, inghiottendo qualcosa di amaro e invisibile in fondo alla gola, che mi gela il sangue come la prima volta; sono passati mesi e il mio cervello, specialmente nella confusione ovattata del primo risveglio, continua a rimuoverlo, come se loro fossero ancora a casa ad aspettarmi per le vacanze estive, come se ci fosse il solito enorme pacco di dolci e leccornie firmato mamma, papà, Tunia ad attendermi ai piedi del letto. È il primo compleanno senza di loro e quando apro gli occhi non c’è nulla ad aspettarmi, che in fondo la calligrafia è sempre stata quella sfarfallante di mamma, riconoscibile anche nella firma fasulla di Petunia, e non è come se non lo sapessi perfettamente che mia sorella ignora il mio compleanno da ormai sei anni. Il fatto è, non c’è il pacco dei miei genitori e fa male, perché oggi compio diciassette anni e dovrebbe esserci, ma la vista delle coperte vuote ai piedi del letto dura appena qualche secondo, perché gli esseri sussurranti non se ne sono andati, sono ancora sopra di me ad incombere sghignazzanti ed io me lo ricordo quando spalanco le labbra, boccheggiante nel tentativo di far entrare qualche molecola d’ossigeno nel mio corpo, trovando che tutta l’aria attorno a me è stata sostituita da panna. Fresca, morbida, dolce, piuttosto gustosa a dire il vero, ma non respirabile. C’è più panna nel mio naso di quanta ce ne sia nella mia bocca e mentre tossisco allontanando a tentoni il piatto da me, mi premuro di fare in modo che molta di quella panna finisca anche addosso agli esseri maligni e sussurranti che ora se la ridono della grossa. Alice continua a sghignazzare anche mentre le spiaccico manciate di panna e pan di spagna tra i capelli, impiastricciandole le ciocche biondicce e intaccando il candore lindo del suo pigiama; anche Mary ride, fino a quando i rimasugli della torta scivolano di colpo dal piatto che le sto spingendo contro e quello va a schiantarsi contro la sua fronte producendo un suono sordo e potenzialmente doloroso. Provo a scusarmi, ma tutti a scuola conoscono il piglio vendicativo della mia amica e un attimo dopo mi ritrovo schiacciata contro il materasso da tutto il suo peso.
- Buon compleanno, Lil! – esclama allegra mentre forza nella mia bocca due muffin contemporaneamente, il che, giusto per la cronaca, è un tentativo di soffocamento bello e buono, amore per i muffin o meno. Esiste un punto in cui la bocca è così piena che non è nemmeno più possibile sputare fuori il cibo e mentre mi divincolo inutilmente so di aver raggiunto quell’esatto livello; Mary mi blocca entrambi i polsi con una presa di ferro e prima che un’altra torta venga spiaccicata sulla mia faccia sotto le note di tanti auguri a te, mi chiedo distrattamente come sia possibile che dopo sei anni Mary non sia ancora riuscita ad entrare in squadra, quando sicuramente nessuna Pluffa riuscirebbe a liberarsi dalla sua presa.
Poi la glassa soffice mi riempie il naso, qualcuno si stende sulla mia pancia ed io smetto di pensare.
Si direbbe crema chantilly con retrogusto di fragola, la cosa che mi sta soffocando, per l’appunto. Sono sicura che esistano modi peggiori di lasciare questo mondo.
                                      

 
- Sono buonissime, Mary, - sospiro estasiata per la terza volta di fila, la punta di una piuma marroncina stretta tra le labbra. Questa sa di cioccolato al latte e dopo averne sniffato il profumo per qualche altro secondo la rimetto nella scatola insieme alle altre: sono simili alle piume di zucchero di Mielandia, con la differenza che queste scrivono davvero e ce ne sono di tutti i gusti. È dall’ultimo weekend ad Hogsmeade che non faccio che nominarle casualmente in vista di questo esatto momento: adoro che le mie amiche sappiano cogliere i messaggi subliminali. Non c’è stata una vera e propria sorpresa, ma persino le lezioni di Storia della Magia saranno piacevoli d’ora in poi.
- Beh, sono contenta che ti piacciano, - Mary alza le spalle e un grumo di panna si stacca dalla frangia scura per atterrare sul mio letto. – Non ero sicura che le avresti apprezzate, sai. Voglio dire, le hai nominate solo due volte al giorno da due settimane a questa parte.
Un sorriso colpevole mi si disegna in viso.
- Giusto per controllare, ora che Alice non è più qui, continui a non volermi dire cosa sta complottando, giusto? Anche se è il mio compleanno e dovresti stare dalla mia parte?
Mary mi soppesa per qualche secondo, prima di aprirsi in un sorrisetto.
- Scendiamo allora, se sei così impaziente.    
- In Sala Comune? Così?
Non è il fatto che sono in pigiama, sono anzi convinta di avere un pigiama più che dignitoso nella scala dei pigiami, per non dire invidiabile: è stato il regalo di mamma dell’anno scorso e tutto in lui è desiderabile, dal colore rosso acceso, che rappresenta egregiamente la mia lealtà alla Casa – e poco importa se fa a pugni coi miei capelli, al tessuto morbido e felpato, di quelli che ti avvolgono in una confortevole bolla di calore anche solo guardandoli. Ho un pigiama per cui la gente ucciderebbe e ne vado fiera, ma ora è ricoperto di briciole, macchie e sostanze cremose non meglio identificate che sono anche sulla mia faccia e tra i miei capelli e forse questo non è come i ragazzini del primo anno si aspettano di vedere il loro Prefetto.
- È domenica mattina, Lil, il luogo più sperduto al mondo sarà comunque più popolato della Sala Comune di Grifondoro in questo momento.
Mary ha così tanta panna nei capelli che sembra essere invecchiata di colpo, ma ha anche ragione ed io sono curiosa di sapere che cosa sta combinando Alice, così mi infilo le pantofole e la precedo in corridoio.
 


La Sala Comune non è vuota naturalmente.
- Ehy, Evans.
Se ne sta lì, i capelli arruffati più del solito, pantaloni della tuta e una maglietta tutta stropicciata, segno che si è appena svegliato anche lui. E perché si è svegliato, mi chiedo? Perché si è svegliato proprio ora, e perché continua a svegliarsi proprio ogni singolo giorno?
- Potter.
Faccio un impercettibile cenno del capo nella sua direzione, prima di sfilargli davanti impettita, facendo ricorso a tutta la dignità a cui una persona ricoperta di panna può ricorrere. Vorrei continuare a camminare spedita, ignorare Potter e arrivare dritta alla meta, ma più o meno al centro della Sala sono costretta a fermarmi, perché sono in pigiama e non ho una meta, ricordo. Improvvisamente sono conscia di avere delle braccia e di come il loro starsene immobili lungo i miei fianchi sveli subdolamente al mondo la mia mancanza di scopo in questa vita. Mentre mi ostino a fissare un punto imprecisato della Sala, un punto molto lontano dal divanetto da cui lo sguardo di Potter continua a infastidirmi, sento la voce di Mary e poi il lieve rumore di qualcuno che affonda tra i cuscini e la mia amica è ora lì accanto al nemico che fa tutta l’amichevole solo perché spera che lui la lasci entrare in squadra prima o poi.
- Lil, non ti siedi? – mi chiama ad un certo punto.
- No, ho da fare, - replico pacata, prima di riprendere a dondolarmi in piedi in mezzo alla stanza. Prima o poi Alice dovrà tornare, no?
- Evans, - Sono passati appena pochi secondi, oppure minuti, non saprei dire, e di colpo la voce di Potter è più vicina di quanto dovrebbe. Lo sento dal suo tono, ancora prima di voltarmi a guardarlo, che sta reprimendo un sorrisetto: mi squadra da capo a piedi, uno scintillio divertito nello sguardo, ed io sospiro, domandandomi se sottolineerà prima il mio essere in pigiama o il mio essere ricoperta di glassa e panna. – Cos’è quello?
Il suo sguardo è puntato diversi centimetri sopra la mia testa e questa volta sono io a dover reprimere un sorrisetto orgoglioso, perché non vedo l’ora di parlare di quello che c’è sopra la mia testa, anche se l’interlocutore è Potter.
- Questo, - Inizio fiera, accarezzando con due dita il bordo liscio del grande cappello da strega che svetta sulla mia testa, nero come l’inchiostro. – È il regalo migliore che chiunque potrebbe desiderare.  
Il sopracciglio di Potter si inarca visibilmente, perché lui non sa.
- Carino.
E il suo tono è così sarcastico, perché non ha chiaramente idea di che cosa si trova di fronte in questo momento. Trattenendo uno sbuffo, mi sfilo il cappello dalla testa e glielo porgo. La punta nera è afflosciata verso il basso e su un lato è ricamata una piccola scritta dorata: con amore, Frank e Alice.
Il sopracciglio di Potter si inarca maggiormente e le sue braccia restano immobili, mentre squadra il mio tesoro come qualcosa di particolarmente rivoltante.
- Ti ringrazio, Evans, ma non è il mio genere.
- Qui dentro, - inizio trionfante, alzandomi sulle punte per arrivare a infilargli il cappello in testa, ignorando le sue proteste. – C’è il genere di tutti, Potter. Ora pensa ad una canzone, su.
Lui mi fissa frastornato per qualche secondo, una mano appesa al bordo del cappello come se stesse per sfilarselo, ma poi pare fare come gli ho detto, perché improvvisamente per la Sala iniziano a risuonare le note dell’ultimo singolo dei BlackWizard, quel ridicolo gruppo così popolare tra i maghi.
- Oh, bella questa! – Mary batte le mani entusiasta e poi inizia a canticchiare tra sé, accennando qualche mossa col busto, ma sempre senza alzarsi dal divanetto, perché i momenti di slancio di Mary raramente comprendono la totalità del suo corpo, mentre Potter sgrana gli occhi sorpreso, un sorriso a increspargli le labbra.
Poi il cappello è di nuovo tra le mie mani e infine sulla mia testa, perché Alice e Mary mi costringono ad ascoltare questa roba già sei giorni su sette e non ho intenzione di lasciare che il mio preziosissimo cappello si intacchi con le note sgangherate di quei ragazzini ancora per molto. Mi capita spesso di desiderare di fare completamente parte del mondo magico, di non essere a cavallo tra due mondi, sempre lì a stupirmi per le piccole cose che i Purosangue danno per scontate, ma è in momenti come questo che ringrazio Merlino per le mie discendenze babbane: le note di Hey, Jude  prendono dolcemente il posto dei BlackWizard ed io mi ripeto per l’ennesima volta che con la musica i più bravi a fare magie restano i Babbani.
Mary smette subito di canticchiare, lanciandomi un’occhiata a metà tra il divertito e l’esasperato, ed io mi stupisco per l’ennesima volta in sei anni di quanto poco i maghi nati e cresciuti interamente nel mondo magico siano interessati alle creazioni artistiche del mondo babbano, come se esistessero davvero due universi distinti e inconciliabili. Sentire la voce di Paul rompere i confini invisibili e risuonare anche qui nella Sala Comune dei Grifondoro, ad Hogwarts proprio come nel salotto di casa mia, quando la ascoltavo dalle ginocchia di papà, è strano e rassicurante al tempo stesso. Alice lo sa che la musica è sempre stata per me il collante tra i due mondi, il filo vibrante di voci e chitarre che unisce la mia vita prima di Hogwarts al mondo nuovo che mi si è aperto con quella lettera ingiallita sei anni fa. Sa anche che è stato papà a trasmettermi la passione per la musica e che Hey, Jude era la mia ninna nanna e io non ho davvero dubbi su chi tra lei e Frank abbia scelto questo regalo, proprio quest’anno.
Contro ogni previsione Potter non protesta per il cambio di musica e quando realizzo che non sta muovendo le labbra a caso, ma sa effettivamente le parole non riesco a trattenere un’occhiata interrogativa, perché è raro trovare Purosangue che conoscano del mondo babbano qualcosa in più di quel poco che insegnano a Babbanologia.
- Sirius, - esclama a mo’ di spiegazione, cogliendo il mio stupore. – Non fa che ascoltare musica babbana. Sono i Beatles, giusto?
Annuisco ancora un po’ stranita e mi ritrovo a sperare che Alice abbia lasciato a Black il compito di scegliere la musica per questa sera, che se devo fare espellere me e tutti i miei amici, almeno che la colonna sonora sia buona.
- Vuoi ballare, Evans?
Potter sorride sornione, porgendomi una mano e questa volta è il mio sopracciglio ad inarcarsi.  
- Ne farò a meno, grazie tante.
Vorrei naturalmente, sto facendo forza su me stessa da diversi minuti ormai per limitarmi a un lieve ondeggiare del capo e non iniziare a saltellare danzando per tutta la Sala Comune, perché questo è l’effetto che certe canzoni mi fanno sempre, ma dire di sì a Potter è contrario ai miei principi ed è probabilmente una di quelle cose che farebbero collassare l’universo su se stesso, distruggendo il grande disegno logico che regge il mondo, e non sono pronta a prendermi questo genere di responsabilità, soprattutto non ora che sono maggiorenne e verrei processata come tale.
- Oh Godric, lo voglio anch’io.
Un attimo prima la voce di Black è in cima alle scale del dormitorio maschile e l’attimo dopo il mio cappello non è più sulla mia testa e la voce di Paul non riempie più la Sala. Mi ribellerei, ma è Stairway to heaven che ne prende il posto e in fondo chi sono io per contrastare i Led Zeppelin?
- Insomma sta riscuotendo successo il nostro regalo, sì? – Frank scende le scale con un sorriso. – Auguri, Lily.  
- Lo adoro, Frank, - esclamo entusiasta dandogli un veloce abbraccio. – Grazie, grazie, grazie.
Non sono sicura di aver detto abbastanza grazie e continuerei, ma un movimento alle spalle di Frank attira la mia attenzione: Alice scende veloce le scale, le braccia strette al petto su qualcosa di indefinito e immediatamente tutti gli occhi sono su di lei.
- Da parte di un Corvonero del sesto, non so se lo conosci, - Alice ridacchia, piazzandomi tra le braccia una piccola pallina di pelo rossastro dagli occhi vispi. Dalle mie labbra, senza che io possa controllarlo in alcun modo, esce un imbarazzante verso dal significato recondito, di quelli che proprio non riesco a trattenere di fronte ai cuccioli e ai muffin. Non è la prima volta che vedo questo batuffolo di pelo e l’ultima volta è stata quasi un mese fa, all’Emporio del gufo di Hogsmeade, quando lei era ancora più piccola e Dean era accanto a me. Ero convinta di aver mascherato piuttosto bene il mio bisogno estremo di prendere tutti quei cuccioli di gatto e portarli via con me, allergia di Petunia o meno, ma a quanto pare no. Dean è così chiaramente il ragazzo perfetto.
Sono così presa dalla gattina che non mi devo neppure sforzare di ignorare il fatto che Black ha ancora il mio cappello in testa e che si è allontanato di più di dieci passi dalla sottoscritta per raggiungere Mary sul divanetto e complottare di chissà cosa, quando il mio cappello non dovrebbe mai allontanarsi così tanto da me, ma ora ho un cucciolo di gatto tra le braccia e non è come se qualcos’altro al mondo avesse importanza. Poi la gattina raddrizza di colpo le orecchie, puntando vigile gli occhietti su un punto alle mie spalle e un attimo dopo è sgusciata via dal mio abbraccio, zampettando spedita verso Potter. Quando lui la raccoglie da terra, iniziando a grattarle un orecchio, riesco a sentire le fusa anche da qui e questo dev’essere uno scherzo.
- Che dire, Evans, pare che abbiamo un problema qui.
Potter sembra così compiaciuto.
- Quale dei tanti, Potter?
Il suo sorrisetto si allarga.
 - La tua gatta è completamente innamorata di me.
Ma certo che la mia gatta è innamorata di Potter, ma certo. Tipico. Non gli basta che tutti gli esseri umani in questa scuola lo amino, deve conquistare anche i felini. Dannato Potter.
- Lo vedo, - Fingo una certa impassibilità, perché non gli darò la soddisfazione di mostrargli quanto la sua tresca con la mia neo-gatta mi turbi. – E con questo?
- E con questo, - Potter parla lentamente, un sorrisetto compiaciuto che gli piega verso l’alto un angolo della bocca. – Tu non puoi più odiarmi. È la regola: non puoi creare un conflitto di interessi con il tuo gatto.
Il mio primo istinto è come sempre quello di contraddirlo, ma non ho mai avuto un gatto e non sono certa se quello che sta dicendo Potter abbia delle basi scientifiche o meno: questa gatta mi odierà se scoprirà del mio odio per Potter? Perderà il pelo e si rifiuterà di mangiare ogni volta che imprecherò contro di lui?
E perché continua a farsi coccolare da Potter con quell’aria beata, come se fosse sotto incantesimo? Ma certo, un incantesimo. Come ho fatto a non pensarci prima? Potter non si fa scrupoli ad affatturare gli studenti, perché dovrebbe farseli con i gatti?
- Tieni, Evans, fai amicizia con la tua gatta, - Potter tende le braccia verso di me ed io mi avvicino guardinga, ben attenta a riprendermi la gatta senza sfiorare lui nemmeno con un dito. – La tua gatta che questa notte ha dormito con me.
Non so perché la gatta che il mio ragazzo ha deciso di regalarmi abbia passato la notte con Potter e non so perché Potter ostenti quel tono compiaciuto nell’informare tutti di aver diviso il letto con un gatto; quello che so è che questa situazione è estremamente sconveniente e che corrompere i gatti altrui è uno di quei peccati che da soli valgono una visita ai gironi più bassi dell’inferno.
- E qual è il punto?
- Nulla, volevo solo che lo sapessi, - Potter si stringe nelle spalle, un sorriso innocente sul volto. – Perché d’ora in poi, tutte le volte che dormirai con lei penserai che lo ha fatto prima con me, - Una lieve contrazione delle labbra, all’angolo, e di colpo il sorriso perde l’aria innocente. – Siamo praticamente amici di letto, Evans. 
Caro diario, James Potter è ora convinto che io sia la sua amica di letto e questo è il motivo per cui non ho mai tenuto un diario, per non arrivare mai al punto di doverci scrivere sopra cose del genere.
- Dovresti farti vedere, Potter, i tuoi problemi mentali stanno peggiorando, - sospiro, prima di voltarmi perplessa verso il buco del ritratto da cui proviene la voce scontenta della Signora Grassa. – Ma con chi ce l’ha?
- Di solito grida così quando qualcuno prova a entrare senza la parola d’ordine, - commenta Alice pensierosa, prima di illuminarsi di comprensione e rivolgermi un sorrisetto. – Perché non vai a vedere chi è, Lil?
E io vado, perché sono un Prefetto e se qualcuno sta cercando di fare irruzione nella Sala è compito mio stenderlo con un calcio rotante o qualcosa del genere, anche se in effetti potrei limitarmi a togliere qualche punto, ma battermi fisicamente e in modo scenico per il rispetto delle regole gioverebbe molto alla mia coscienza che sta morendo agonizzante in una parte del mio cranio al pensiero di quello che avverrà questa sera. Poi il ritratto scorre di lato e le lentiggini di Dean sono lì che mi aspettano, appena sopra il suo sorriso raggiante. – Buon compleanno, Lily, - mi sussurra dolcemente all’orecchio dopo avermi sfiorato le labbra con le sue.
- È  bellissima, Dean, grazie, - Il suo braccio mi scorre leggero sopra le spalle, le punte delle dita perse tra il pelo rossiccio della gattina, ancora accoccolata tra le mie braccia, ed io ispiro a pieno l’odore familiare del suo dopobarba, la schiena abbandonata contro il suo petto. Le braccia di Dean tendono ad essere uno dei luoghi più confortevoli e rassicuranti di Hogwarts, a mio parere, ma oggi c’è qualcosa di fuori posto che mi fa corrucciare la fronte: improvvisamente aleggia nell’aria un retrogusto troppo dolciastro e quando noto i petali di un giallo delicato fare capolino dall’altra mano di Dean non riesco a sentirmi del tutto sollevata che il mio ragazzo non si spruzzi addosso profumi al gusto floreale. Non perché vorrei effettivamente che lo facesse, nossignore, va benissimo così, e non è nemmeno il fatto che vorrei avergli accennato in queste settimane del mio non entusiasmo per il ricevere fiori in regalo: nulla di male, per carità, se camminando per il parco scorgo petali colorati e sgargianti sono solo che felice, semplicemente fatico a considerare un regalo utile qualcosa che non può essere mangiato, non produce musica e in generale non fa nulla di nulla, se non risultare carino fino al momento in cui non risulta invece morto. Ma non è nemmeno questo che mi fa gelare il sorriso in realtà, perché se fossero fiori e basta la mia esclamazione di ringraziamento suonerebbe meno artefatta di così; è che conosco alla perfezione la forma allungata di quei petali, la conosco fin troppo bene, perché è così che va la vita: tua madre insiste per darti il nome di un fiore ed ecco che improvvisamente ogni ragazzo con cui esci si sente in dovere di regalarti un mazzo di quegli esatti fiori, in preda ad un inevitabile attacco di originalità fulminante.
- Davvero, Philips? Gigli? Lo hai sul serio appena fatto? – Potter se ne sta appoggiato alla soglia del ritratto ed evidentemente la Signora Grassa dev’essere concorde con lui sulla banalità del regalo di Dean, perché non si sta lamentando stizzita di essere costretta a lasciare il passaggio aperto, come solitamente non manca mai di fare quando qualcuno indugia un secondo di troppo sulla soglia. La cosa peggiore è che anche una parte di me è d’accordo con lui ed è risaputo che essere d’accordo con Potter è il primo sintomo di demenza senile precoce. – Qualcuno riesce a pensare a qualcosa di più patetico?
Black, alle sue spalle e con ancora il mio cappello in testa, sghignazza, mentre Alice alza gli occhi al cielo e Frank aggrotta la fronte, riflettendo seriamente sulla domanda.
- In effetti, Potter, sì: ce l’ho davanti.
Il braccio di Dean mi scivola dalle spalle mentre lui fa qualche passo in avanti, portandosi proprio di fronte a Potter, che inarca un sopracciglio con un sorrisetto ironico ed alza appena il mento, come fa sempre quando cerca di spingere il suo ego così forte contro il soffitto da far crollare tutto. Improvvisamente risuona una musichetta che potrebbe essere il sottofondo musicale di un qualunque film western babbano e Black dovrebbe davvero, davvero restituirmi il mio cappello. Detesto che Potter riesca a trascinare Dean al suo livello e sto per prendere il mio ragazzo per mano e trascinarlo via, quando la palla di pelo stretta al mio petto si divincola di colpo dalle mie braccia e zampetta veloce davanti a Potter, il pelo gonfio e uno strano suono sibilante che le esce dai denti, gli occhietti assottigliati e ostili fissi su Dean, che sposta perplesso lo sguardo su di lei e sbatte le palpebre.  
- Beh, almeno ora sappiamo che la nuova gatta di Lily ha un forte istinto di protezione, - commenta Frank, mentre Black fa sapere al mondo di trovare la situazione particolarmente divertente. – È una buona cosa, voglio dire, quando lo rivolgerà anche verso di lei e non solo verso James.
 - Non farci caso, - spiego a Dean scuotendo la testa. – Per qualche motivo si è convinta che Potter sia il suo padrone.
 
 

 
Quando entro in Sala Grande per il pranzo, è subito lampante che sarò espulsa.
Per cominciare c’è il tavolo dei professori, proprio di fronte a me, in fondo alla Sala e anche se non mi stanno guardando e la McGranitt continua a chiacchierare pacata con la professoressa Sproute con un’abilità sorprendente, come se davvero non sapesse, io so che lei sa. Si sta sforzando di non alzare gli occhi su di me per non mostrare la delusione nel suo sguardo, quella che mi nasconderà fino a questa sera quando potrà cogliermi in flagrante con le mani nel sacco, in questa stessa Sala. Mi strapperà la spilla da Prefetto dal petto e poi me la pianterà senza tante cerimonie in un occhio, come monito per gli altri Prefetti di cosa succede a sfidare in modo tanto sfacciato il suo potere.   
Forse dovrei semplicemente confessare, ora e subito, prostrarmi ai suoi piedi davanti a tutti e invocare perdono.
- Lil, cammina, - Alice mi posa le mani sulla schiena e inizia a spingermi verso il tavolo di Grifondoro.
- Perderò un occhio, - la informo lasciandomi spingere e continuando a tenere sotto controllo i movimenti al tavolo dei professori. Chi altro sa? Lumacorno si sta servendo una porzione di porridge eccessivamente abbondante anche per i suoi standard, che sia per consolarsi del fatto che questa sera perderà uno dei membri del suo LumaClub? Mi avviserebbe se così fosse, no? Cercherebbe di salvarmi. Ma c’è troppo porridge nel suo piatto perché io possa ancora fingere che questo non sia il mio ultimo giorno di vita prima che io venga sacrificata sull’altare sanguinoso del ‘prendete esempio’, così faccio per voltarmi e scappare il più lontano possibile da qui, verso la stazione di Hogsmeade, dove potrò saltare su un treno a caso e non farmi trovare mai più, quando dei movimenti sospetti attorno al nostro tavolo attirano la mia attenzione. – Ma che succede?
Dapprima è solo un Serpeverde del quinto che si alza dal tavolo dall’altra parte della Sala, attraversa la stanza con estrema tranquillità fino al tavolo rosso-oro e si china a prendere una torta di mele. Non è qualcosa che un Serpeverde sano di mente farebbe, questa, non senza stringere saldamente la bacchetta nell’altra mano e non senza essere così masochista da agognare un linciaggio pubblico in Sala Grande, eppure la bizzarria non si ferma qui. I Grifondoro seduti attorno alla torta sottratta non accennano la minima protesta, limitandosi ad irrigidirsi e continuando a  mangiare in silenzio, come se nulla fosse successo. Per un attimo il pensiero che la collaborazione tra Case stia diventando una cosa reale mi sfiora la mente, poi noto che gli spostamenti di dolci e pietanze varie dal tavolo di Serpeverde a quello di Grifondoro stanno continuando e stabilisco che probabilmente sto ancora dormendo e questo è solo ciò che il mio cervello bislacco ha deciso di farmi sognare. Le cravattine verdi e argento continuano ad attraversare la Sala per appropriarsi di uno o più piatti e tornarsene al loro tavolo con più cibo di quello che una sola Casa possa mangiare in un pasto solo e i miei compagni continuano a non protestare, per quanto palesemente infastiditi. E poi succede: lo vedo alzarsi dal tavolo verde e argento proprio come i suoi compagni e partire deciso con la sua spedizione verso il nostro tavolo, senza la minima incertezza in viso. Mi sfila davanti e si intrufola tra due Grifondoro del settimo anno per soffiargli da sotto il naso una delle poche riserve superstiti di cosce di pollo e durante tutto questo tempo continua ad essere niente di più che un primino. Torna al suo tavolo con aria soddisfatta e senza che nessuno gli abbia separato la testa dal resto del corpo ed il mondo è ufficialmente finito: un Serpeverde del primo anno si è appena avvicinato di sua sponte a dei Grifondoro del settimo per derubarli del loro pranzo, quando la storia insegna che i primini Serpeverde si volatilizzano più veloci della luce di fronte ai Grifondoro degli ultimi anni, proprio come i Grifondoro del primo non osano nemmeno respirare la stessa aria dei Serpeverde del settimo. È  uno dei principi con i  quali la vita opera e dunque che cosa diavolo è appena successo? Come è possibile che quel primino sia andato contro la sua natura e si sia portato volontariamente nel raggio vitale di Grifondoro più grandi di lui senza la minima incertezza e senza prendere immediatamente fuoco?
- Alice, - sussurro. – Tu lo sai per quale motivo i Serpeverde sembrano convinti di poter rubare il nostro cibo senza scatenare l’apocalisse e perché noi non stiamo effettivamente scatenando l’apocalisse?
Non sono l’unica perplessa. I Corvonero e i Tassorosso, dai loro tavoli, seguono affascinati i movimenti dei Serpeverde, confabulando tra loro. Anche ai professori non sono sfuggiti gli spostamenti inusuali tra i due tavoli più lontani tra loro e sembrano tutti molto basiti dal non dover essere ancora intervenuti a sedare una rissa.
- Stiamo rispettando la nostra parte del patto, - spiega Alice mentre percorriamo lentamente il nostro tavolo alla ricerca di un posto dove ci sia effettivamente qualcosa da mangiare oltre al pane e alla zuppa, apparentemente gli unici piatti superstiti dalle razzie dei Serpeverde. Inutile dire che l’unica bevanda disponibile è l’acqua, mentre le caraffe di succo di zucca al tavolo verde e argento sono raddoppiate. – Due giorni in cui potranno arraffare dal nostro tavolo qualunque cosa li aggradi. Dobbiamo ringraziare Lupin per la clausola in cui è specificato l’obbligo di lasciarci almeno una pietanza e l’acqua, giusto per non permettergli di farci morire di fame: nessun altro ci aveva pensato.
- Ok, - dico lentamente, continuando a setacciare con gli occhi il tavolo desertico: i Serpeverde hanno preso l’accordo in parola a quanto pare e ben presto noto che gli unici piatti sfiziosi ancora presenti al tavolo sono comunque intoccati. Per un attimo mi chiedo perché, poi noto che in corrispondenza di essi, a pochi metri di distanza, vi è la ghignante presenza di un Serpeverde in attesa, pronto a scattare qualora un ingenuo Grifondoro allungasse le mani. Non gli basta semplicemente affamarci non facendoci trovare nulla, ma certo, vogliono sfilarci tutto da sotto il naso. Per un attimo mi chiedo se nell’accordo ci sia anche una clausola che proibisce ai Grifondoro di sputare nei piatti, perché se non ci fosse dovremmo davvero, davvero procedere. – Ed esiste una parte vantaggiosa per noi in questo accordo o ci divertiamo a soffrire?
- C’è stata una fuga di notizie, Lil, - Quando è ormai evidente che non riusciremo a mettere le mani su nulla di meglio, Alice si abbandona di fronte a un piatto pieno di cosce di pollo controllato a distanza ravvicinata da un Serpeverde. Mary è seduta di fronte a noi e non interrompe il contatto visivo con il Serpeverde nemmeno per salutarci, impegnata a mantenere la sua migliore espressione di sfida. – Qualcuno ha parlato ed ora anche i Serpeverde sanno della festa.
Un’ondata di panico mi pervade di colpo perché ora non ci sono dubbi, è come se la mia spilla fosse già piantata nel mio occhio sinistro, posso farlo da sola e risparmiare il disturbo alla McGranitt, poi Alice continua pacata.
- Non si fa la spia, nemmeno tra Serpeverde e Grifondoro, è la regola non scritta e lo sanno tutti, ma non è come se le persone rispettassero le regole, scritte o non, in questa scuola, quindi abbiamo dovuto comprare il loro silenzio. Non pensavo che ce l’avremmo fatta, nessuno voleva offrirsi come portavoce, ma alla fine Lauren Bishop, quella del quinto che sta con il Portiere di Serpeverde, ci ha fatto da mediatrice.
Conosco Lauren e quando la vedo a pochi posti di distanza da noi, a sgranocchiare lealmente un tozzo di pane insieme ai suoi compagni anche se potrebbe farsi ospitare al tavolo del suo ragazzo e abbuffarsi, provo un istintivo moto di gratitudine per lei.
- E per la cronaca, come abbiamo fatto a convincere tutti i Grifondoro, anche quelli più piccoli e non invitati alla festa, a cedere il loro cibo? – chiedo titubante, sperando che la risposta non coinvolga Black che pratica terrorismo psicologico su studenti del terzo anno.
- Grifondoro perderebbe una marea di punti se ci scoprissero, Lil, - dice Alice ed io mi rendo conto che una spilla che mi buca la retina è esattamente quello che merito in quanto Prefetto peggiore dell’anno. – Nessuno vuole questo.
- No, certo, ma potrebbero semplicemente sequestrare te e Black, imbavagliarvi e legarvi in Sala Comune per impedirvi di organizzare la festa, no? Senza stipulare patti col diavolo.
- Lily, devi smettere di essere così paranoica, - sospira Alice, come se io me li stessi immaginando i Serpeverde che continuano a venire qui e che sono così chiaramente presagio di sventura. – Nessuno dei nostri compagni di Casa vuole sequestrare me o Black. Soprattutto Black. Pensa a cosa farebbero i Malandrini a quel punto.
Non so cosa farebbero i Malandrini se uno di loro venisse sequestrato e imbavagliato, probabilmente Lupin ne approfitterebbe per godersi il silenzio ritrovato e studiare un po’, Minus si metterebbe a piangere in preda al panico e Potter, beh Potter dovrebbe staccare gli occhi dal suo riflesso allo specchio per accorgersene, il che non è così scontato.
- In ogni caso tutti ci guadagnano qualcosa, anche chi non viene alla festa, - continua Alice soddisfatta. – Black se n’è occupato: non conosco i dettagli, ma a quanto pare ci sarà uno sconto sui prezzi delle risposte dei compiti in classe delle prossime settimane.
Mary, che sta ancora combattendo una strenua lotta di sguardi con il Serpeverde alle nostre spalle, la interrompe improvvisamente per piazzare gli occhi su Alice.
- Davvero? Devo prenotarmi  assolutamente quelle di Aritmanzia, ricordatemelo, - dice prima di tornare a fulminare con gli occhi il Serpeverde.
- Mary, - La chiamo mentre mi servo qualche cucchiaiata di zuppa ai ceci. Non ho mai pranzato con la zuppa nemmeno una volta da quando sono ad Hogwarts, circondata da leccornie più invitanti, e posso prendere questa esperienza come un’occasione per espandere i miei orizz…oh, chi voglio prendere in giro: odio la zuppa. – Che stai facendo?
- Sono qui dalle dodici esatte. Chi scende a pranzo alle dodici esatte di sabato? Nessuno, ecco chi. E invece erano già qui, tutti loro, tutti, dal primo all’ultimo, i bastardi. Per assicurarsi che nessun Grifondoro mettesse le mani su nulla di gustoso. Mi hanno sfilato da sotto il naso qualunque cosa io abbia provato ad afferrare e questo è l’ultimo piatto di pollo al tavolo. L’ultimo, capite? L’ultima occasione, - Gli occhi azzurri di Mary si assottigliano ulteriormente in direzione del Serpeverde, la fame che alimenta feroce l’odio. – Due metri. È tutto quello che lo distanzia da questo piatto. Quanto credete che ci metterà a coprire questa distanza?
- Due secondi?
- Due secondi, esatto, - Mary continua a sussurrare con l’aria di chi sta complottando un colpo di stato ed io mi sporgo verso di lei per sentire meglio. Come il mio busto si sporge appena oltre il tavolo, più vicino al piatto di pollo, avverto il Serpeverde muoversi alle mie spalle. – Forse meno, se sospetta qualcosa. E lo sospetta, non fa che fissarmi in allerta. Ma possiamo farcela, noi tre, insieme. Al mio via afferreremo una coscia di pollo e ce la ficcheremo in bocca e lui non potrà dirci proprio nulla. Fino a quando il piatto non si stacca dal tavolo abbiamo il diritto di farlo.
- Possono prendersi tutto quello che non è già dentro la nostra bocca, - dice Alice, fissando però le cosce di pollo come ipnotizzata. – Afferrerà quello che resterà fuori e ce lo toglierà di bocca, letteralmente. Sarebbe umiliante.
- Credo di potermi infilare in bocca un’intera coscia di pollo, - mi sento dire improvvisamente ispirata, perché non lascerò che dei Serpeverde mi costringano a pranzare con la zuppa il giorno del mio compleanno. – Io…credo di poterlo fare.
Mary mi lancia un’occhiata ammirata, mentre Alice mi scruta sospettosa.
- Non è fisicamente possibile.
Non lo è, ma è il mio compleanno e chi sono le leggi della fisica per impedirmi di avere il mio pollo?
- Oppure lo posso atterrare,  - propone Mary. – Scavalco il tavolo e lo atterro con tutto il mio peso mentre voi vi buttate sulle cosce di pollo.
- No, no, no, non possiamo infrangere il patto!
- Non infrangerò il patto. Dirò che l’ho atterrato per motivazioni personali che non hanno nulla a che vedere con il pollo. Dirò che odio quel particolare Serpeverde da quando sono ad Hogwarts e che è per questo che l’ho fatto. Non è nemmeno totalmente falso, mi ha fatto lo sgambetto in corridoio al primo anno.
Me lo ricordo, perché poi Mary quella volta si è alzata e gli ha dato un pugno e poi è nato un grande combattimento tra tutti gli undicenni di Grifondoro e Serpeverde presenti sul posto quella volta, più un Tassorosso del secondo anno che nessuno ha mai capito come fosse finito in mezzo alla rissa. So solo che è stato quel Tassorosso a strapparmi una grossa ciocca di capelli dalla nuca e non ho mai più creduto alle dicerie sulla bontà e l’innocenza dei Tassorosso da quella volta.
- Ho un’idea migliore, - sussurra Alice, facendo spuntare furtivamente la punta della bacchetta da sotto il tavolo. – Reducio! Ora!
Le cosce di pollo nel piatto iniziano a rimpicciolire lentamente ed io, Mary e Alice scattiamo contemporaneamente verso di esse. Il Serpeverde scatta subito dopo di noi, afferrando il piatto e allontanandolo dal tavolo, ma quando allunga di nuovo le mani per strapparci via le cosce di pollo, si ritrova a constatarne la sparizione completa nelle nostre bocche. Non è come se Alice le avesse rimpicciolite di chissà quanto e come se le mie guance non dessero l’impressione di essere sul punto di strapparsi da un momento all’altro sotto la pressione dell’osso del pollo, ma osservando lo sguardo spiazzato e indignato del Serpeverde non posso fare a meno di rivolgergli un ghigno trionfante. Poi la coscia rotola via dalla mia bocca e lui la fa levitare lontano da me, ma tanto non mi andava, anzi, muoio dalla voglia di assaggiare la zuppa di ceci. Alice, al mio fianco, continua a tossire in preda al soffocamento e quando ingoio il primo sorso di zuppa e mi viene la nausea, non sono sicura se sia colpa della mia avversione per i ceci o di Mary che fa smorfie in direzione del Serpeverde lasciandogli vedere il pollo masticato all’interno della sua bocca.
 

 
 
Potrebbe esserci ancora speranza per me e la mia neo-gatta.
Io e Dean l’abbiamo portata ad esplorare il parco e credo di essermi così comprata il suo affetto, a parte per l’incidente con la lucertola che le ho impedito di mangiare e di cui non è stata molto contenta. In ogni caso, sono abbastanza sicura che abbia capito che sono io la sua umana.
Ora è abbandonata tra le mie braccia, perché tutte quelle cose che dicono dei gatti, che sono energici, instancabili, che non esauriscono mai la vitalità, beh, tutte menzogne: se i gatti funzionassero a pile, questa qui si sarebbe appena scaricata. Ha la testolina abbandonata contro il mio petto e non fa che giocare con le punte dei miei capelli, tirandoci contro delle zampate, mentre io la trasporto fedelmente per tutte le scale dal primo al settimo piano, fino alla Sala Comune. Penseresti che a questo punto il tuo felino dovrebbe dimostrarti un minimo di gratitudine, invece di iniziare a fare le fusa nel momento esatto in cui metto piede in Sala Comune e lei punta gli occhietti attenti sulla poltroncina più vicina al fuoco.
Odio che la mia gatta ami Potter così tanto.
C’è appena un briciolo di decenza in lei, quel tanto che le basta per non scattare verso di lui e restarsene tra le mie braccia a guardarlo e fare le fusa da lontano mentre io mi dirigo verso un divanetto dall’altra parte della Sala, dove Alice e Mary parlano animatamente di qualcosa che qualcuno ha detto a qualcuno all’insaputa di qualcun altro. Ogni qualcuno ha un nome proprio, per la cronaca, ma nessuno mi dice nulla: chi è tutta questa gente? Perché non la conosco? Ci sono davvero così tante persone ad Hogwarts? Perché a me sembra di vedere sempre le solite quattro facce. Sto pensando a qualcosa da dire per far convergere la conversazione su cose e persone di cui anch’io so qualcosa, quando Potter estrae improvvisamente il suo boccino d’oro dalla tasca e inizia a pavoneggiarsi come suo solito, lasciandolo allontanare sempre di più per poi riacchiapparlo. Non sarebbe particolarmente seccante, non più del solito comunque, se non fosse che la gattina scatta improvvisamente verso di lui, gli occhi improvvisamente svegli puntati sulla pallina dorata. Potter le lancia un’occhiata divertita e riafferra il boccino, mentre lei gli salta in grembo e inizia a fissare attenta il suo pugno chiuso.
- Sembra che qualcuno preferisca i Cercatori ai Battitori, Evans.
Il suo tono è così eccessivamente compiaciuto, come se godere del favore della mia gatta gli desse chissà quale potere sulla mia vita. Metterei in chiaro che non è così, che non sarà una palla di pelo al mondo da nemmeno un anno a decidere chi ha o non ha potere sulla mia vita, ma rivolgergli la parola non farebbe che confermare qualunque idea bislacca gli passi per la testa, così gli do le spalle e torno a seguire con apparente interesse la conversazione di Mary e Alice. Diversi minuti dopo sono riuscita a cambiare argomento, riportando l’attenzione delle mie amiche sul modo in cui verrò assolutamente decapitata dalla McGranitt questa sera, quando l’ennesima risatina adorante mi costringe a un’occhiata furtiva in direzione del camino. Potter è ancora lì che gioca con il suo boccino e la mia gatta, eccetto che ora ha un pubblico e la cosa lo aggrada palesemente, perché quando mai Potter non è felice di essere al centro dell’attenzione? Se ne sta lì a sorridere mentre dà corda alle tre ragazze del quinto che lo hanno accerchiato e che alternano grattini alla mia gatta ad occhiate ammirate alle prese sceniche di Potter ed io incrocio le braccia al petto seccata. Che razza di persona usa il gatto di qualcun altro per rimorchiare? Sono sicura che sia una regola non scritta, il non farlo mai. È moralmente scorretto o qualcosa del genere. E se Potter vuole pavoneggiarsi di fronte a tutti sfruttando un animale ignaro, allora forse dovrebbe farlo con il gatto di qualcun altro.
Dopo qualche minuto di irritazione silenziosa, arriccio le labbra ed inizio ad emettere quel buffo suono schioccante che usa sempre Xeno Lovegood per richiamare i suoi Nargilli immaginari e che sono abbastanza sicura dovrebbe funzionare anche con i gatti. Ne sono sicura fino a quando la mia gatta continua a puntare il boccino dandomi le spalle e l’unica attenzione che attiro è quella di Potter, che subito mi fa l’occhiolino e schiocca un bacio nella mia direzione, cogliendomi alla sprovvista.
- Lily, c’è una spiegazione logica al fatto che tu e Potter vi state mandando baci da una parte all’altra della Sala?
La domanda perplessa di Alice mi coglie ancora più alla sprovvista, perché è così che sembra ad occhi esterni, davvero? Davvero, Godric? 
- Non ci stiamo, - mi affretto a spiegare. – Beh, io non gli stavo mandando baci.
- Lo sembravano.
- No, per niente. È il verso che le persone fanno quando vogliono chiamare un gatto, lo sanno tutti. E non lo stavo facendo a Potter, per la cronaca, se Potter fosse un gatto non lo chiamerei, lo annegherei nella tazza del water e non sarei nemmeno arrestata. Stavo chiamando il mio gatto, per l’appunto, che Potter sta usando per farsi bello con quelle del quinto.
Alice lancia un’occhiata al gruppetto ridacchiante, prima di tornare a scrutarmi perplessa.
- Intendi farsi bello con Amanda, la fidanzata storica del Caposcuola di Corvonero, o con Debbie e Susan, felicemente fidanzate l’una con l’altra?
Alice e Mary mi fissano ed io aggrotto la fronte.
- Aspettate, Amanda sta con il Caposcuola? Amos Diggory? E da quando? Perché sono sempre l’ultima a sapere le cose in questa scuola?
- Me lo chiedo anch’io, Lil, me lo chiedo anch’io.
 
 

 
Mary e Alice sono salite in camera da un po’ ormai e questo significa che se voglio farmi la doccia prima di cena devo andare ora, ma staccarmi da questo divanetto non mi sembra un buon piano. Innanzitutto perché c’è Frank ed è sempre un piacere chiacchierare con Frank, in secondo luogo perché se me ne stessi qui fino a domattina allora salterei la parte della nottata in cui la McGranitt fa irruzione alla mia festa altamente contro le regole e mi decapita di fronte a tutti e in terzo luogo perché prima di tornare in camera devo riprendermi la mia gatta, il che implica avvicinarmi di mia sponte a Potter, che non è poi tanto meglio della decapitazione pubblica. Le ragazze del quinto se ne sono andate ora e lui si è mezzo steso sulla poltroncina, con la gatta sul petto e un braccio sollevato in alto a giocherellare col boccino, perché le pile di Potter invece non sembrano esaurirsi mai del tutto.
- Posso riavere la mia gatta ora?
Potter si tira su e me la porge senza protestare. Quando passa dalle mie braccia alle sue, lei non smette di fare le fusa e c’è la possibilità che un po’ voglia bene anche a me.
- Non ce l’ha un nome?
Potter inarca un sopracciglio ed io mi immobilizzo colta da un’illuminazione. Il nome, ma certo. I gatti necessitano di un nome. Ecco cosa mi ero dimenticata.
- Ci sto ancora pensando, - butto lì casuale, riproponendomi di iniziare a farlo davvero, prossimamente. 
- Dovresti chiamarla Elvendork, - dice lui ed è il mio turno di inarcare un sopracciglio.
- È una femmina, Potter.
- Lo so, Evans. Abbiamo dormito insieme, - puntualizza, come se questo pensiero non mi tormenterà già per il resto della mia vita. – Ma è questo il bello di Elvendork: è unisex. Anche il mio gatto si chiama Elvendork. Possiamo fargli fare i cuccioli e poi chiamarli tutti Elvendork, sia i maschi che le femmine.
Davvero, Hogwarts, davvero? È questo il ragazzo dietro cui muoiono maschi, femmine e felini?
- Potter.
Lui mi guarda interrogativo.
- Il tuo gatto ti odia. Lo sa tutta la scuola.
- Il mio gatto non-
- Sì, ti odia. Hai cercato di portarlo a scuola con te e invece lui ti ha graffiato ed è scappato in giardino. Black lo racconta almeno una volta all’anno, - dico. – Pensavo fosse un gatto intelligente e basta, ad odiarti solo perché sei Potter e invece tu lo hai chiamato Elvendork ed ora capisco perché ti odia.
- Il mio gatto non mi odia, Evans, - insiste stizzito. – Sirius non sa quello di cui parla.
Potter mente sapendo di mentire ed io indico la sottile linea bianca su un lato del suo collo.
- Hai anche la cicatrice, proprio dove dice sempre Black.
- Questa? Oh andiamo, mi era a malapena uscito il sangue quella volta, il mio gatto non ha cercato di sgozzarmi, - Potter si porta istintivamente le dita al collo, a sfiorare distratto la cicatrice che non sembra in effetti qualcosa che un gatto potrebbe provocare, quanto piuttosto un lascito di artigli di un animale molto più grande. – Questa è della volta in cui Sirius mi ha legato due Frisbee Zannuti al collo mentre dormivo, perché il mio migliore amico ha cercato di sgozzarmi, non il mio gatto.
Ho avuto dodici anni anch’io e conosco perfettamente il tipo di segni lasciati dai denti affilati di un Frisbee Zannuto, segni che non assomigliano neanche un po’ alla cicatrice di Potter, ma non è come se il modo in cui Potter decide di procurarsi cicatrici mi interessasse particolarmente, così mormoro un ‘come dici tu’ e mi dirigo verso il dormitorio femminile. Sono quasi alla fine delle scale quando la sua voce riecheggia di nuovo per la Sala.
- Ehy, Evans.
- Mh?
- Auguri.
L’orologio appeso al muro batte le sette e mezza proprio ora ed io mi immobilizzo interdetta.
- Potter, - Devo alzare la voce perché lui sta già seguendo Frank verso l’uscita della Sala, pronto per scendere a cena. – Come fai a sapere l’ora esatta in cui sono nata? Potter? Te l’ha detto Alice? Potter!
Un sorrisetto sornione e il ritratto si chiude alle sue spalle.
La gatta tra le mie braccia continua a fare le fusa ed io la scruto sospettosa.
Questa situazione è così lontana dall’essere accettabile. 






********

- Continuo a non capire dove fosse il problema nel portarli tutti qui con il mantello e poi obliviarli.
Sirius lancia un’occhiata corrucciata all’angolo di Sala in cui è sparito Peter poco fa, facendo svanire con sé sotto il mantello anche mappa e specchietto. Non è contento di averglielo dovuto momentaneamente cedere per permettergli di tenersi in contatto con James, che guidato dalla voce di Peter sta conducendo lungo i corridoi bui e in tutta sicurezza i vari gruppetti di invitati dalle loro Sale Comuni alla Sala Grande: potrebbe farlo nella metà del tempo se tenesse lui stesso la mappa, senza farsi guidare da Peter tramite lo specchietto, e se usasse i numerosi passaggi segreti di cui siamo a conoscenza, ma rivelare così i nostri segreti non è il modo migliore per mantenere il primato di magici malfattori di Hogwarts. Non che questo sia in effetti un primato di cui io personalmente vada molto fiero, oserei dire anzi che non mi sento per nulla a posto con la mia coscienza nell’osservare le varie bottiglie di alcolici disposte ordinatamente sui tavoli della Sala Grande sapendo di aver avuto un ruolo così attivo nel loro furto. So che dovrei essere più agitato di così, perché questo va ben oltre il fare un po’ di casino in Sala Comune o lo sgattaiolare in giro oltre il coprifuoco, questo è infrangere le regole in maniera così sfacciata e ostentata da essere un’esplicita richiesta di espulsione, perché davvero, che bisogno c’era di fare tutto questo proprio in Sala Grande?, ma la verità è che sono stato sul punto di essere espulso talmente tante volte e per i motivi più disparati che non riesco davvero ad assumere la stessa espressione ansiosa della mia collega Prefetto. Evans gira per la Sala ancora mezza vuota come un’anima in pena, facendo sparire un muffin dietro l’altro, ed io non so se dovrei offrirle consiglio e conforto in quanto Prefetto che ha imboccato la via della corruzione molto prima di lei o se dovrei invece nascondermi e non mostrarle che cosa diventerà se continua a lasciarsi trascinare in loschi affari dai suoi e soprattutto dai miei amici.
- Sirius! Credo di avercela fatta, vieni!
Sirius segue Frank alla porta d’ingresso, pronto a testare l’efficacia dei suoi incantesimi insonorizzanti. Lo sento iniziare una qualche ghignante allusione al motivo per cui Frank sia così esperto con questo tipo di incantesimi, una certamente sconveniente battuta che ha in qualche modo a che fare con l’intimità di Alice e Frank, poi il mio amico attraversa la soglia della Sala e la sua voce si spegne all’istante, chiusa fuori dall’effetto dell’incantesimo.
- Perfetto! Mike, vai con la musica!
Evans, nella fretta di ingoiare il muffin per poter replicare, per poco non si strozza e quando parla la musica inizia già ad aleggiare per la stanza e le lacrime le appannano gli occhi.
- Aspettate, aspettate! Siamo sicuri che non si senta da fuori? Non è che Black ha solo perso la voce a furia di non stare mai zitto e…
- Non preoccuparti, Evans: so per certo che Sirius non perde mai la voce, - la rassicuro, perché di norma quando non si sente Sirius fare battutine idiote è solo perché è imbavagliato o cose del genere. – Senti, ti posso parlare un attimo?
Non è qualcosa di premeditato, perché è da quando sono qui che mi sto sforzando di smettere di guardarla e pensare a quello che ha detto James questa mattina, ma lei sa e non è come se io potessi davvero smettere di pensarci.
Evans mi segue nella Sala Trofei senza troppe domande ed io realizzo quando si chiude la porta alle spalle di non essermi preparato nessun discorso da pronunciare.
- Beh, quindi, - Mi schiarisco la gola. – James mi ha detto che avete parlato ieri sera. In Infermeria, intendo. E, sì ecco-
- Non lo dirò a nessuno, Lupin, - mi interrompe. Mi guarda dritto negli occhi ed io le credo. – Non l’ho mai detto a nessuno.
- Lo so, - annuisco piano, studiando il suo viso alla ricerca del motivo per cui mi riesce così semplice fidarmi di lei, quando non è altro che una compagna di Casa a cui penso di stare anche un po’ sulle scatole. Ma James si fida di lei e contro ogni logica questo mi basta. – E ti ringrazio. Per questo e per tutto il resto.
- Il resto?
- Beh, sei qui, - spiego a disagio, sforzandomi di non abbassare lo sguardo. – Mi stai parlando.
Lei aggrotta la fronte, perplessa.
- Anche tu sei qui e mi stai parlando.
- Ma tu non sei, - inizio prima di scuotere la testa con un sospiro. Non sei un mostro, conclude un sussurro maligno da qualche parte dentro di me. – Sai cosa sono e mi hai comunque seguito qui, da sola. E non mi stai guardando in quel modo.
- Quale modo?
Il modo in cui mi guarda la signora Clarke quando si ferma rigorosamente sulla soglia di casa a vendere le uova a mamma, gli occhi curiosi e spaventati dei figli che mi spiano da dietro la sua gonna, lo stesso sguardo di tutti quando mi spingo fino in paese. Come se fossi una bestia fuori controllo, un animale con la bava alla bocca e sul punto di attaccare, da abbattere il prima possibile.
- Come è comprensibile guardare quelli come me, - spiego infine e la risposta non pare soddisfare Evans, perché la vedo irrigidirsi appena.
- Lupin, - C’è un improvviso lampo di comprensione negli occhi verdi e anche qualcos’altro, una scintilla indefinita che preannuncia tempesta. – Mi stai ringraziando perché non ti considero un mostro per qualcosa su cui non hai il minimo controllo? Che razza di persona pensi che io sia?
- Scusami, - dico automaticamente, più per la sua espressione offesa che per altro: il fatto è che ai miei occhi non ho detto nulla di offensivo, perché non importa se sono sei anni che James, Sirius e Peter cercano ostinatamente e a volte quasi con rabbia di convincermi del contrario, non riuscirò mai a condannare la reazione di paura e disgusto delle persone di fronte a quello che sono. Dovrei essere più ipocrita di così per fingere che non sia la mia stessa reazione alla mia natura per la maggior parte del tempo. – Mi fa piacere se non ti crea problemi. È solo che non sei obbligata: se volessi evitarmi e tenermi il più possibile lontano da te, questo non ti renderebbe una persona peggiore. Andrebbe bene anche quello, capirei.   
E per un attimo mi sembra di rivedere nella sua espressione quella di James, il modo in cui allarga appena gli occhi in preda all’incredulità prima di scuotere la testa e piegare le labbra in un sorriso esterrefatto.
- Capiresti? Tu… – La sua risata incredula e vagamente amareggiata riecheggia nella Sala vuota e i suoi occhi spaziano sui trofei impolverati che ci circondano, prima di fissarsi di nuovo nei miei, intensi come se fosse la prima volta che mi vede davvero in sei anni di scuola. – Riformulo la domanda, Lupin: che razza di persona tu pensi di essere?
Il brusio proveniente dalla Sala Grande si fa sempre più percepibile man mano che i primi gruppetti di invitati iniziano ad arrivare ed io lancio un’occhiata desiderosa alla porta di quercia chiusa alle mie spalle.
- Lo sai cosa sono, - sospiro dopo qualche secondo, una nota di stanchezza che mi esce incontrollata dalle labbra, come ogni volta che una conversazione prende questa piega. E il fatto è che troverò sempre più facile sopportare lo sguardo pieno di odio e disgusto di Piton e dei miei compaesani piuttosto che quello indignato che ho davanti in questo momento, lo stesso che riempie i visi dei miei amici e dei miei genitori quando non mi mostro pronto come loro a condannare il disprezzo altrui.
Evans mi osserva in silenzio per un po’, poi alza le spalle.
- Sei un mio compagno di Casa, - conclude infine. – Uno studente tendenzialmente responsabile e diligente che per qualche motivo ha infranto più regole di chiunque altro in questa scuola, un Prefetto discutibile che viene meno alla metà dei suoi doveri per coprire i suoi amici, ma che il giorno dello Smistamento non manca mai di riempirsi le tasche di zuccotti di zucca da distribuire ai nuovi Grifondoro, il…non lo so che cosa pensi di essere, Lupin, - Dalla Sala Grande iniziano a raggiungerci le prime note di una musica leggera ed Evans scuote la testa, una luce quasi frustrata negli occhi. – Quello che so è che l’unico motivo per cui qualcuno potrebbe desiderare di starti alla larga è che passi tutto il tuo tempo con Potter e che se io o chiunque altro ti guardassimo in quel modo, non andrebbe bene. Non andrebbe bene e sì, mi renderebbe una persona peggiore di quanto già io non sia a starmene qui in piena notte a dare festini illegali senza motivo.
- D’accordo, Lily, - annuisco con un mezzo sorriso, impaziente di chiudere l’argomento. – Ti ringrazio di pensarla così. E il motivo è il tuo compleanno, sai, senza motivo è stata la volta che Sirius ha-
- Lupin, - mi interrompe. – Mi hai mai sentito ringraziare qualcuno perché non mi guarda dall’alto in basso dandomi della sanguesporco?
La fisso interdetto per qualche secondo, spiazzato dall’ultima parola, prima di sospirare.
- È diverso.
- No, non lo è, - Gli invitati nella stanza accanto staranno ormai iniziando a chiedersi dove sia la festeggiata e se tutto questo non sia un diabolico piano da Prefetti per incastrarli, ma Evans scuote decisa la testa, senza staccare gli occhi dai miei. – Non c’è nulla di diverso. Ci sono solo persone. Io sono una persona e tu sei una persona. E non sei tu tra i tuoi amici quello che la gente dovrebbe avere paura a seguire in una stanza senza testimoni, te lo posso assicurare.
Il fatto è, vivo a stretto contatto con gli allievi di Godric da sei anni e mi è capitato di conoscere Grifondoro non particolarmente coraggiosi, checché ne dica il cappello, mentre devo ancora trovarne uno che non sia testardo a livelli ridicoli. Soppeso per un altro po’ la porta di quercia che ci separa dalla musica e dal chiacchiericcio della Sala Grande, in silenzio, prima di riportare gli occhi in quelli di lei.
- Senti, Remus, non lo so perché ti sei convinto che non abbia importanza, - riprende giocando nervosamente col bordo del suo maglioncino, con l’aria frustrata di chi preferirebbe tuttavia accartocciare la mia faccia. – Che sia accettabile e comprensibile che qualcuno possa ritenersi migliore di te perché una volta al mese non sei te stesso, ma non lo è. Non è accettabile né comprensibile né giusto.
L’ardore e la decisione negli occhi verdi piantati nei miei e la vena vibrante nella voce hanno un che di familiare e forse per la prima volta realizzo perché è lei e non un’altra, per James.
- Perché ti sta così a cuore? – mi sento chiedere dopo diversi secondi, perché non siamo mai stati più che compagni di Casa.
Lily lascia vagare lo sguardo sui trofei impolverati disposti ordinatamente sugli scaffali attorno a noi, come se la risposta fosse scritta su una di quelle etichette sbiadite dal tempo.
- È iniziata, - È un sussurro appena udibile oltre il brusio sempre più alto della stanza accanto, ma so a cosa si riferisce e basta a farmi correre un brivido gelido lungo la schiena. – Il ministero continua a parlare di incidenti e sparizioni slegate l’una dall’altra, ma è sotto gli occhi di tutti ormai: sta uccidendo le famiglie dei Nati Babbani.
Non pronuncia il suo nome, ma di colpo è come se non fossimo più soli nella Sala Trofei. Come se Lord Voldemort ci stesse ora fissando in attesa da un angolo in penombra della stanza, il pallore terrificante tra le glorie impolverate delle vecchie leggende di Hogwarts.
C’è chi non crede nemmeno che esista un mago in carne ed ossa rispondente a quel nome e chi ha iniziato a chiamarlo tu-sai-chi, per l’irrazionale terrore di evocarne l’attenzione al solo nominarlo. C’è chi lo chiama Signore Oscuro con una venerazione delirante e chi giura di averlo visto, chi ha dato origine alle voci su quella pelle cadaverica, il volto dai tratti serpenteschi e gli occhi privi di vita, rossi come il sangue che si lascia alle spalle, una scia scura e grumosa che sparge col mantello nero.
E c’è chi ancora finge di non saperne nulla, come chiunque ai piani alti del Ministero.
- I miei genitori sono morti per questo, perché qualcuno mi ritiene inferiore per qualcosa che non posso controllare, - Lily continua a far scorrere lenta lo sguardo sulle coppe di fronte a noi, prima di tornare a incrociare i miei occhi interdetti. – Perciò non dirmi che capiresti se io facessi lo stesso a te. Non dobbiamo capire o accettare nulla, Remus.
Il silenzio segue le sue parole per diversi secondi, poi dalla sala proviene un rumore di vetri infranti ed io mi volto verso la porta, perché vorrei che ogni parte di me si lasciasse convincere dalla sicurezza nel tono di lei, ma non è così che funziona la mia testa e non è così che si spegne quel sussurro che continua ad articolare la parola abominio, tutto il tempo. Non c’è un modo per spegnerlo, ci sono solo le risate e gli schiamazzi continui dei Malandrini che lo sovrastano e lo mettono in secondo piano, e le loro impronte nella foresta proibita accanto alle mie nelle notti di luna piena a renderlo più sopportabile.
- Sai, forse dovremmo tornare alla festa, prima che Sirius riesca a convincerli che ci stiamo consultando per confessare tutto alla McGranitt e che è pertanto necessario legarci.
- D’accordo, Remus Lupin, - Evans mi scruta con gli occhi assottigliati per diversi secondi, prima di annuire decisa tra sé e sé, una nuova luce nello sguardo, a metà tra il determinato e l’indispettito. – D’accordo, vai, torna pure alla mia festa continuando a pensare sotto sotto di meritarti il disprezzo altrui, cosa che io non approvo, e non è educato fare cose che i festeggiati non approvano alle loro feste, ma d’accordo, vai pure, - Evans mi indica la porta con un cenno della mano ed io le lancio un’occhiata incerta, senza muovermi. Riesco ad avvertire le corde invisibili della sua trappola che si stringono piano attorno a me; non che io sappia effettivamente che cosa lei abbia in mente e non che ci siano davvero delle corde, ma sento che sto per essere fregato. Senza peccare di presunzione, mi ritengo discretamente abile nel leggere le espressioni delle persone e lei ora ha tutta l’aria di aver appena deciso qualcosa. Non mi piace quando le persone prendono decisioni silenziose di fronte a me, senza consultarmi e senza mettermene a parte, perché di solito le persone sono i miei amici e le loro decisioni silenziose coinvolgono spesso parti di questa scuola che esplodono. Lily Evans non è uno dei miei amici e non credo che stia per esplodere nulla, ma resto ad osservarla in tensione, perché il mio intuito mi dice che qualunque decisione lei abbia appena preso non mi piacerà.  
- Ma ti avverto, Remus Lupin, - aggiunge lei nell’esatto momento in cui faccio un passo in direzione della porta e lo sapevo, lo sapevo che era una trappola. Sarei dovuto restare fermo. Istintivamente mi stringo nelle spalle nel sentire il mio nome e cognome, la cui accoppiata suona sempre alle mie orecchie come qualcosa di troppo pomposo e importante rispetto all’insieme di ossa appuntite  e pelle stiracchiata sotto i vestiti smunti che sta ad indicare, e che sarei io. – Guardati le spalle, perché io sarò là, quando meno te lo aspetti, ti proverò che non sei la persona meno umana di questo castello, - continua Lily, molto sicura di sé, ora divisa tra la soddisfazione per i suoi propositi e il dispetto che ancora le aleggia in viso. – Ti dirò di più, non rientri nemmeno tra le dieci meno umane. Te lo proverò in modo oggettivo, facendo sondaggi e liste e raccogliendo dati e un sacco di altre cose matematiche, perché questo è il genere di persona con cui hai a che fare. 
Le mie labbra sono schiuse da diverso tempo come in procinto di dire qualcosa, ma quando lei raggiunge la porta e si volta un’ultima volta a fissarmi in silenzio come per sfidarmi a ribattere, mi rendo conto che non ho effettivamente nulla da dire.
- Tu aspetta e vedrai.
Poi esce e mi lascia qui da solo, a domandarmi cosa diavolo sia appena successo.
 
 
 
Quando abbandono la Sala dei Trofei per ritornare alla festa, qualche minuto dopo, sono ancora piuttosto frastornato e impegnato a cercare un senso nelle cose che mi accadono e nelle persone attorno a me, tanto che realizzo solo quando sono già arrivato da lei che i miei piedi mi hanno portato nella parte di mondo in cui Lizzie sta chiacchierando con un Tassorosso dell’ultimo anno.
Evans è poco distante, in mezzo a un gruppetto di ragazze, e anche se sta parlando con loro la colgo distintamente prendersi il tempo di lanciarmi un’altra fiammeggiante occhiata di sfida, che subito mi fa distogliere lo sguardo a disagio, fino a riportarlo su Lizzie e il Tassorosso, che ora mi fissano entrambi perplessi. Capisco perché sono perplessi, mi sono avvicinato all’improvviso fermandomi proprio attaccato a loro, come per introdurmi nella conversazione, senza però fare il minimo accenno a muovere le labbra. C’è una spiegazione logica per questo, non sapevo di essere qui, ero sovrappensiero per via di Evans e delle sue prove matematiche e non mi sono accorto delle mie gambe che mi stavano portando accanto ad altri esseri umani, quindi, sono ancora una persona rispettabile e sensata all’interno della mia testa. Solo che Lizzie e il Tassorosso vivono all’esterno e non possono sapere quanto io sia rispettabile e logico all’interno ed è il caso di rompere questo silenzio imbarazzante il prima possibile e metterli al corrente del malinteso.
- Non sapevo di essere qui, - spiego, e subito vorrei non averlo detto. – Piacere, Remus Lupin, - aggiungo, allungando la mano verso il Tassorosso. Mentre le mie labbra continuano a muoversi senza pause, una parte del mio cervello nota distrattamente come io non gli abbia dato il tempo di presentarsi a sua volta. Se lui vivesse nella mia testa, saprebbe che non intendevo essere scortese e che ho solo momentaneamente perso il controllo della mia bocca, ma non lo può sapere, perché qua dentro ci sono solo io. – Voglio dire, sapevo di essere qui, a questa festa totalmente illegale, ma non sapevo di essere proprio qui con voi, stavo pensando ad altro. Minacce, persone, prove matematiche. Questo genere di pensieri fuorvianti, - le mie mani ondeggiano vaghe per aria mentre io cerco di esporre le mie ragioni nel modo più chiaro possibile. – Posso spostarmi più in là, se volete.
Ci sono alte probabilità che questo Tassorosso mi abbia appena diagnosticato diversi problemi mentali e date le informazioni in suo possesso lo trovo perfettamente ragionevole da parte sua. Lizzie continua ad avere un’aria molto perplessa e molto divertita al tempo stesso.
- Non vogliamo che ti sposti più in là, Remus, tranquillo, - dice Lizzie, prima di voltarsi verso il ragazzo alla sua destra. – Melvin, questo è Remus, il Prefetto  della mia Casa, Remus, questo è Melvin, mio cugino.
- Remus Lupin, - ripeto automaticamente, allungando di nuovo la mano a stringere quella del ragazzo biondo di fronte a me per la seconda volta nel giro di sessanta secondi, prima di potermi fermare. Gli occhi azzurri come quelli di Lizzie mi scrutano sempre più perplessi mentre anche lui ripete il suo nome. Si sta chiedendo come io possa essere Prefetto e me lo chiedo anch’io.
- Beh, è stato un piacere, Lupin, - mormora incerto quando io realizzo di non aver ancora smesso di stringergli la mano e lascio la presa. – Allora io vado a…
La sua mano disegna qualche gesto indefinito nell’aria e poi lui si allontana, continuando a lanciarmi occhiate dubbiose.
- Scusa, non volevo disturbarvi, - sospiro. – Davvero non sapevo di essere qui.
- Lo so, si vedeva che non eri presente mentalmente. A che pensavi?
- Oh, nulla, cose, - Mi schiarisco la gola a disagio, prima di assumere un tono sorpreso. – Sei qui. Non sapevo che saresti venuta.
- Sono qui, - annuisce Lizzie. – Sono venuta. Non mi sto dissanguando. Farò gli auguri ad Evans, questo è il modo in cui ho scelto di affrontarla, - Non so se Lizzie stia bluffando o meno, ma proprio mentre lei finisce di parlare, Evans si allontana improvvisamente dal gruppetto di ragazze, dirigendosi verso il tavolo dei Professori in fondo alla Sala e passandoci accanto. – Auguri! – le dice subito Lizzie, il tono un po’ troppo alto di chi nasconde qualcosa. Evans non pare notarlo e replica un cortese ‘Grazie, anche a te’, prima di riprendere per la sua strada.
Lizzie aggrotta la fronte.
- Non è il mio compleanno.
- Non farci caso, - la tranquillizzo. – Evans dice cose strane stasera. Deve avere un piano o qualcosa del genere.
- Che tipo di piano?
- Uno di quelli astuti.  
- Ma per fare cosa?
- Pianificare cose, suppongo.
- Non ti seguo, Remus.
- Ho bevuto il Whiskey Incendiario che io e Sirius abbiamo rubato alla povera Rosmerta, temo che sia per quello.
Era solo un bicchierino in realtà ed io reggo l’alcool meglio di tutti i miei amici messi insieme, ma a volte fingersi meno sobri di quel che si è, per quanto disdicevole, è la soluzione.


 
*****

Esistono con tutta probabilità delle feste da qualche parte nel mondo che iniziano solo quando la festeggiata arriva, feste organizzate da persone per bene con cui la festeggiata ha effettivamente dei rapporti, feste organizzate persino dalla festeggiata stessa, che voleva dare una festa in primo luogo e che non nutre sentimenti contrastanti in proposito che la spingono ad immaginare scenari apocalittici di morte e distruzione all’interno di una scuola.
Non è questo il caso, naturalmente.
La prima cosa che noto, uscendo dalla Sala dei Trofei, è il grande portone di quercia della Sala Grande, dietro cui si cela certamente la McGranitt. Ha un’ascia in mano, un’ascia che userà per separare la mia testa dal resto del corpo subito dopo avermi piantato addosso quel suo sguardo a metà tra il deluso e il disgustato, e non c’è niente che io possa fare a riguardo.
La seconda cosa che noto è la totale mancanza di reazioni da parte dei miei invitati, che continuano a chiacchierare allegramente tra loro senza dare segno di aver notato la mia apparizione. Non hanno l’aria di nascondere fuochi d’artificio nei vestiti né sembrano sul punto di inscenare una coreografia in mio onore, il che è nell’ordine delle cose, ma è anche un po’ deludente per la dodicenne che c’è in me che ha sempre sognato di essere catapultata all’improvviso in un musical, uno di quelli dove la gente si mette a ballare e cantare nel mezzo delle conversazioni senza motivo apparente.
Le risate riecheggiano eccessivamente nella Sala immensa e meno affollata del solito, rincorrendosi tra i tavoli spogli. Il buffet è stato allestito proprio in fondo alla sala, nel tavolo dei professori, tanto per sfidare ulteriormente la loro sovranità sulle nostre vite, e l’ascia affilata della McGranitt indugerà nelle mie carni più tempo del necessario per questo, ne sono sicura. La maggior parte degli invitati, che non sono tanti come inizialmente progettato da Black e Alice – il mio perentorio “solo persone con cui ho effettivamente scambiato più di due parole in sei anni” li ha limitati parecchio per fortuna – si concentra proprio lì davanti ed io sento i miei piedi iniziare a portarmi sempre più vicina a quella postazione, gli occhi incollati allo scranno dorato di Silente che troneggia sul tavolo dei professori e sull’intera Sala. È pura follia, nessun Prefetto dovrebbe essere mai così degenere e corrotto da pensare di potersi sedere lassù in alto, sfidando ogni regola e decenza mai esistita, ma se devo essere decapitata dalla McGranitt tanto vale che ne sia almeno valsa la pena. Poserò le mie chiappe lì dove le posa Silente ogni giorno, scrutando la folla dall’alto e parlando al popolo come un glorioso condottiero all’esercito – e forse i miei invitati sapranno anche chi sono, se sono fortunata. È un piano molto astuto ed io aumento decisa il passo, pronta a stringere il potere – e una decina di muffin – tra le dita, ma prima che io inizi a distinguere chiaramente le varie portate sul tavolo vengo intercettata da Emmeline Vance e due mie conoscenti di Tassorosso che evidentemente reputano questo il momento migliore per farmi gli auguri. Devo allontanare per un attimo i miei pensieri dal trono di Silente e dal potere che vi si cela per potermi concentrare e imprimere la giusta quantità di calore nei sorrisi da rivolgere a Christina Talbot, mia collega Prefetto che mi odia sentitamente. Non lo fa alla luce del sole, non mi ha mai rivolto occhiate assassine o cose del genere e Alice dice che in realtà sono io ad essere paranoica, ma è una di quelle cose che si avvertono e basta e il fatto che senta sempre l’urgenza di sorridermi così tanto e con così tanta premura è la prova inconfutabile del suo odio per me. Lei sa che io so, probabilmente per la mia mano che indugia sempre nei pressi della bacchetta quando chiacchiero amabilmente con lei, giusto nel caso decidesse di farla finita e lanciarmi un Avada Kedavra di punto in bianco.
- Non ci credo che lo stiamo facendo, Lily, con che faccia toglieremo punti agli altri studenti d’ora in poi?
Christina ridacchia, seguita a ruota dalle altre e dopo qualche secondo anche da me. Vorrei che la mia risata suonasse più spensierata e noncurante, ma uno strano verso isterico è evidentemente tutto quello che le mie labbra riescono a produrre mentre una parte della mia coscienza si accascia al suolo agonizzante e muore. Emmeline se ne accorge e mi lancia un’occhiata vagamente preoccupata, mentre Christina si compiace internamente del mio disagio, come è evidente dal modo in cui sbatte le ciglia. Chi è che sbatte le ciglia in quel modo, mh? Sospetto, estremamente sospetto.
Susan, l’altra Tassorosso, si mostra improvvisamente molto interessata al coinvolgimento di Black nell’organizzazione della mia festa ed io devo faticare parecchio per convincerla che questo è qualcosa che ha unicamente a che fare con la competitività e l’estrema territorialità di suddetto Black e non con una nostra nuova inaspettata amicizia. Le mie risposte evasive non sono così divertenti come le risate delle altre fanno sembrare e questo mi ricorda perché non mi piacciono particolarmente le feste: c’è questa sorta di regola non scritta e parecchio bizzarra che costringe tutti i partecipanti a parlare con più gente possibile, a mettere nelle parole un’enfasi eccessiva e soprattutto a ridere esageratamente per cose per cui nessuno riderebbe mai in un altro momento. Sul serio, qualcuno potrebbe illudersi e pensare wow, quanto sono simpatico e apprezzato, solo per scoprire poi che no, non sei simpatico e tutti ridono solo perché è quello che la gente fa alle feste, impegnarsi al massimo per mostrare di divertirsi. Ehy, voi, sentite quanto rido forte, guardate quanto mi sto divertendo! Per quello che ne so è una sorta di peccato capitale, andare ad una festa e non fingere di divertirsi.
Il punto è, io non ho bisogno di fingere e ridere per cose che non mi fanno davvero ridere: Lily Evans sa come divertirsi a una festa, senza bisogno di fingere. È piuttosto facile in realtà, perché alle feste c’è sempre un sacco di cibo e chi è che non sta bene quando è circondato dal cibo, mh? In particolare ora ci sono dei muffin, tantissimi muffin, che è onestamente tutto quello che mi serve per essere felice nella vita. Muffin e trono del potere, ecco cosa mi serve.
Dopo aver informato le mie invitate della mia necessità impellente di addentare un muffin, riprendo la mia attraversata in direzione del buffet, interrotta quasi subito da Lizzie Carson, che a quanto pare ora non mi odia più. Buffo, davvero buffo. Come finisco di parlare, sono subito perfettamente consapevole della mancanza di senso della mia risposta istintiva, perché a volte quando cerco di essere educata e gentile mi dimentico di avere senso, ma faccio buon viso a cattivo gioco e mi allontano con aria decisa, come se ci fosse in realtà un significato nascosto dietro le mie parole. A questo punto riesco a intravedere tra le schiene dei miei compagni l’enorme muffin al cioccolato ricoperto di candeline ancora spente, proprio in corrispondenza dello scranno dorato, ed accelero notevolmente il passo, preoccupata dagli avvoltoi che si aggirano attorno al tavolo e continuano a riempirsi la bocca. Poi una mano è sul mio fianco e qualcuno mi volta dolcemente verso di sé, facendo scivolare il padre di tutti i muffin fuori dalla mia visuale.
- Dieci punti in meno a Corvonero, Philips, - sussurro con un sorriso quando lui allontana di nuovo le sue labbra dalle mie. – Non indossi la divisa.
- Imperdonabile da parte mia, presentarmi senza divisa alla festa clandestina della mia ragazza Prefetto, - ridacchia lui.
Io ho la divisa, per l’appunto.
Non è come se questo potesse fermare la McGranitt dall’affondare l’ascia nel mio collo, quando varcherà quella soglia e mi coglierà in flagrante, ma avere la cravatta rossa e oro perfettamente annodata sopra il maglioncino della divisa mi fa sentire un po’ meno impantanata nelle sabbie mobili della via della corruzione. Non sono l’unica ad aver optato per la divisa, in ogni caso: Black e Alice hanno informato tutti gli invitati di indossare abiti e scarpe comode, possibilmente adatti a correre. Non esiste al mondo che verremo scoperti, Lily, non ti preoccupare, però ehy, tutti quanti, tenetevi pronti alla fuga! Certo, un ragionamento per niente sospetto, come no. A chi vogliono darla a bere quei due? Finiremo tutti per contenderci il posto di apprendista barista alla Testa di Porco, una volta espulsi.
C’è tuttavia qualcosa di vagamente liberatorio nel pensiero dell’inevitabile distruzione imminente: se è inevitabile, e lo è, non c’è nessuno scopo nel preoccuparmene ora. Tanto vale godersi gli ultimi momenti di serenità.
- Mi dispiace per il ritardo, - aggiunge Dean mentre ci avviciniamo al tavolo dei professori. – Alice ha detto che Potter avrebbe raccolto gli invitati all’entrata di ogni Sala Comune per condurci qui tramite passaggi segreti e altri trucchi da Malandrino, ma dev’essersi dimenticato di passare dalla torre di Corvonero. Xeno lo ha preso come un segno del destino e ha stabilito che fosse più sicuro restare in Sala Comune, ma si è raccomandato di portarti i suoi auguri, e anche uno strano unguento protettivo che ho nascosto nel vaso di una pianta mentre venivo qui.
- È ancora preoccupato per l’infestazione di Nargilli al secondo piano? – mi informo divertita, decidendo di ignorare la parte in cui il destino manderebbe segnali tramite Potter, come se il mondo non fosse già abbastanza incasinato così.
- Nah, i Nargilli sono innocui la notte, pare che abbiano il sonno pesante, - Dean scuote la testa. – È dei Gorgosprizzi che non si fida: i suoi Spettrocoli non sono ancora pronti.
La cosa interessante degli Spettrocoli, gli occhiali di sua invenzione che Xeno mi ha mostrato una volta, è che sono dotati di particolari lenti in grado di rilevare la presenza dei Gorgosprizzi, altrimenti invisibili ad occhio nudo, solo che non gli hanno mai mostrato nulla, motivo per cui sono in continuo perfezionamento. Una parte di me è fondamentalmente convinta, come il resto della scuola, che Xenophilius Lovegood abbia almeno una rotella fuori posto, ma mentirei se negassi di essere anche sinceramente colpita dalla sua convinzione assoluta che ci sia sempre qualcosa da vedere, e dai suoi continui tentativi di metterla a fuoco, qualunque cosa sia.
- Lil, eccoti! – All’improvviso mi trovo avvolta nell’abbraccio caldo di Alice, che per qualche motivo sta ora fingendo di non essere stata con me fino a una decina di minuti fa. Non che mi dispiaccia, ben inteso: ci sono persone che hanno un talento particolare per gli abbracci, un’abilità innata che permette loro di imprimere un’aura quasi magica al gesto; c’è chi come me abbraccia unicamente col corpo, in modo goffo e la testa impegnata a pensare a dove mettere le mani, a non stringere troppo o troppo poco e poi c’è chi come Alice ti abbraccia a tutt’altro livello, con la stessa naturalezza del respirare. Deve avere seguito un corso o qualcosa del genere. – Hai visto la torta? L’abbiamo fatta io e Mary.
- Nel senso che abbiamo chiesto agli elfi domestici di farla, - puntualizza immediatamente Mary, che sorseggia un liquido dal colore indefinito dall’altra parte del tavolo, stravaccata contro lo schienale felpato di una delle sontuose sedie dei professori.
- Non è la versione che avevamo concordato, -  bisbiglia Alice tradita.  
- Lo so, - Mary annuisce e dissimula il pentimento in una lunga sorsata di quella strana roba scura che ha nel calice. Sono marshmallow quelle cose che ci galleggiano in mezzo? Sembrano marshmallow. Oh, Godric, vorrei dei marshmallow. – Non so perché l’ho detto. È stato più forte di me.
- Comunque li abbiamo aiutati anche noi, - riprende Alice.
- A pulire le uova che avevamo fatto cadere, più che altro.
Alice lancia un’occhiataccia a Mary.
- Più forte di me, - ripete lei con un’alzata di spalle.
- Ho una muffin torta, - annuncio. – Non è come se potesse importarmi se anche aveste schiavizzato l’intero primo anno per farmela avere.
È mentre lancio un’occhiata adorante alle diciassette candeline affondate nell’impasto morbido e dorato dell’enorme muffin a qualche posto di distanza sul tavolo che la coda del mio occhio accoglie nella visuale anche qualcosa di molto meno piacevole.
Ma tu guarda il caso:  c’è un trono dorato che emana un alone di potere e prestigio su tutta la Sala e chi mai potrebbe occuparlo se non l’autoeletto re del mondo James Potter?
Non c’era fino a due minuti fa, ne sono certa, mentre ora se ne sta lì a sgranocchiare patatine e spargere briciole ovunque, sprezzante dell’autorità di Silente e del suo saggio didietro che ogni mattina da che la terra si è formata si posa lì sopra, pronto a emanare consigli e benevolenza in tutta la scuola.
Ed ora le patatine di Potter sono lì e hanno unto tutto, rovinando per sempre la magia mistica di quel trono.
Lo vedo piegarsi in avanti sul tavolo per arraffarsi altre patatine con cui aumentare la sua forza infettiva, permettendomi di scorgere sulla sua schiena i due manici incrociati che spiccano sul rosso scarlatto della felpa, perché ehy, guardatemi tutti, faccio parte della squadra di Quidditch e sono al di sopra di tutti voi.
Come se non lo sapesse già il mondo intero, poi. Sempre a mettersi in mostra.
- Ehy, Lily, auguri, - Qualcuno mi dà una lieve pacca sulla spalla ed io mi volto per sorridere ad Oliver, un Battitore di Tassorosso simpatico e gentile. È un ragazzo adorabile, sempre cortese e di buon umore, e i due manici incrociati spiccano anche sul giallo acceso della felpa della squadra di Quidditch di Tassorosso, probabilmente la prima cosa che gli è capitata sotto mano questa sera.
- Ehy, Evans! – Oh, no. Mi ha visto. Ignoralo, Lily, ignoralo e basta. – Hai già pensato a come fare?
- Come fare cosa? – chiedono perplesse le mie labbra, prima che il comando precedente faccia in tempo ad arrivare dal cervello alla bocca.
- Noi due, intendo, - continua Potter, accomodandosi meglio sul sedile dorato che dovrebbe essere sotto le mie chiappe. – Col fatto che ora tu sei maggiorenne e io minorenne per altri due mesi, sai. Riuscirai a resistere dal saltarmi addosso fino ad allora?
- Ho mai accennato, Potter, - Un sorrisetto forzato deforma subito le mie labbra. – Al fatto che preferirei uscire con la piovra gigante?
- Sì, Evans, so tutto della tua insana attrazione sessuale per i mostri marini.
I miei occhi si assottigliano impercettibilmente mentre sulle labbra di Potter si allarga pian piano un sorrisetto gongolante. Oh, è così soddisfatto della sua risposta. Si crede furbo.
- Beh, - inizio con il tono estremamente sicuro di chi la sa lunga e sta per uscirsene con il più spietato contrattacco di sempre. Sta a vedere, Potter, tu sta solo a vedere. – Beh, - ripeto schiarendomi la voce, perché non mi viene proprio nulla di abbastanza imbarazzante da suggerire come oggetto del desiderio sessuale di Potter. – Ci siamo capiti, - concludo infine annuendo tra me e tornando a dargli le spalle, il tutto con un’aria così consapevole che Potter penserà davvero che ci fosse qualcosa da capire.
Come volevasi dimostrare: questo silenzio che proviene dalla sua parte? È il rumore di Potter che pensa. A cosa si riferiva? Cosa avrei dovuto capire? Ha vinto lei o ho vinto io?
E non saprà mai che aveva vinto lui.
La patatina che addento subito dopo aver raggirato Potter come un bambino è più gustosa di qualunque altra patatina io abbia mai mangiato. È il vantaggio di essere diventata legalmente un’adulta: il mio cervello ha fatto quello scatto in più ed è ora in grado di farmi uscire vincitrice anche quando perdo. Presto inizierò ad avere ragione anche quando ho torto e allora sarò ufficialmente e a tutti gli effetti parte attiva ed integrante della società.
- Lily?
- Mh?
- Stai sgranocchiando la stessa patatina da due minuti e sogghigni in modo inquietante, - mi informa Alice. – È voluto?
- Noi adulti facciamo solo cose volute.
- Questa frase è sbagliata in così tanti modi diversi, - sospira Mary. – E lo è in primis perché tecnicamente non sei ancora un’adulta, - E all’improvviso non sta più parlando a me, ma ha la bacchetta puntata contro la sua gola e la sua voce risuona amplificata per tutta la Sala. – Tutti qua, gente! È ora di spegnere le candeline!
Dean ricompare immediatamente dal nulla, vvicinando misi con in mano un piattino pieno di patatine, dolcetti e noccioline, disposti meticolosamente sulla superficie disponibile in modo da non sfiorarsi l’uno con l’altro neanche per sbaglio. Furbo, astuto Corvonero: ecco perché sto con lui; quando sparisce è perché è andato a procacciarsi il cibo e c’è sempre una logica in tutti i suoi piatti, non come la montagnola indistinguibile di dolce e salato che spunta da uno dei due piattini che Black si porta appresso. Cosa mai potrebbe spingere una persona sana di mente a ricoprire un gustoso, innocente muffin di patatine fritte? Nulla di astuto, ve lo dico io.
Quando Alice inizia a spingermi verso il tavolo sono ancora incantata a fissare il muffin nel piatto di Black, perché forse non è così assurdo come abbinamento, o meglio lo è, ma forse muffin e patatine fritte è qualcosa che dovrei provare anch’io, giusto per assicurarmi che non sia l’accostamento più delizioso al mondo. Continuerei a riflettere sulla questione, ma sono appena stata circondata da una folla rumoreggiante e Mary ha appena finito di accendere con la bacchetta le diciassette candeline sul mio muffin e Black ha iniziato a lanciarmi occhiate sospettose, improvvisamente conscio del mio sguardo invidioso fisso sul suo piatto.
Con gli ultimi sprazzi di agilità che ancora permangono nel mio corpo ormai prossimo alla vecchiaia, mi chino di scatto e mi infilo sotto il tavolo, riuscendo a sbucare dall’altra parte dopo un solo doloroso scontro con un’asse di legno sporgente, che non lascia tracce visibili di sofferenza nel mio sorriso ostentato quando mi risollevo tornando nel campo visivo dei miei invitati. Sembrano un po’ perplessi, ma non sento la risata di Black, quindi nessuno deve aver udito il tonk della mia scatola cranica contro il tavolo, ottimo.
- Potter.
- Sì, Evans?
Potter, alla mia sinistra, mi fissa dall’alto, impettito come un pappagallo sul suo trespolo. Eccetto che quello è il mio trespolo.
- Stai occupando la postazione prestabilita per il mio passaggio d’età, - lo informo in maniera molto pacata e matura.
- Ah sì? – dice lui e non c’è nulla di maturo nella sua voce o nella sua faccia o nel modo in cui non si sposta di un millimetro. Persino il modo in cui respira, dentro fuori, dentro fuori, dentro fuori, persino quello ha un che di immaturo, se devo dirla tutta. Probabilmente crede di essere l’unico al mondo a saper respirare, non c’è altra spiegazione.  
- Forza, Potter, non costringermi ad umiliarti di nuovo.
Qualcuno dall’altra parte del tavolo ridacchia, mentre Potter inarca un sopracciglio in quel modo odioso che ha lui di inarcare le sopracciglia.
- Lo sai, Evans, non è che se fingi di essere uscita vincitrice da uno scontro verbale allora magicamente hai vinto davvero.
L’espressione trionfante mi si congela in viso, perché non mi aspettavo che dalle labbra di Potter sarebbe uscito effettivamente qualcosa di intelligente. Come ha fatto a smascherarmi? Nessuno mi smaschera mai.
- Questo non è assolutamente quello che stavo facendo, - chiarisco subito, testando la mia nuova abilità di adulta di mentire. Ma la verità è che Mary ha ragione ed io non ho ancora soffiato sulle candeline, quindi come posso mentire in maniera convincente? È per questo che Potter continua a sorridermi sornione come se potesse leggermi nella mente.
- E comunque, credo che tu sia sessualmente attratto dai tuoi stessi capelli.
Nelle nostre immediate vicinanze cala il silenzio e non ho bisogno di voltarmi per sapere che ora tutti mi stanno rivolgendo lo stesso sguardo perplesso di Potter. Dannazione, troppo tardi, lo sapevo. Era un contrattacco perfetto, ma avrei dovuto dirlo prima.
- In ogni caso, - Scuoto la mano come a scacciare una mosca. – Sei pregato di abbandonare immediatamente il trono di Silente: devo spegnere le candeline e devo farlo da lì.
Mi rendo conto, nel momento stesso in cui lo dico, che suona poco matura la cosa, come se fosse un capriccio e non una necessità impellente di una neo recluta nel mondo dei legalmente maggiorenni, ma qual è il senso di dare una festa in Sala Grande, accettando di conseguenza la successiva morte  per decapitazione, se poi non si ha nemmeno il privilegio di spegnere le candeline dal trono intriso di millenaria saggezza di Silente?
- Non lo so, Evans, - Potter arriccia il naso pensoso, studiandomi con sufficienza. – Non percepisco delle buone vibrazioni da parte tua in questo momento, - E mi fissa soddisfatto mentre io sono combattuta tra il mandargli immediatamente vibrazioni omicide o iniziare ad emanare subito calma e pace col mondo giusto per contraddirlo. – Non credo sia una buona idea cederti il trono del potere adesso.
- Non chiamarlo così, non è un trono del potere, è solo una sedia, - ribatto, cercando contemporaneamente di pensare a un modo per costringerlo a cedermi subito il trono del potere.
- Ascolta, Potter, - Lo blocco prima che possa aggiungere altro e quella che riempie la mia voce è praticità, pura e semplice, con una spruzzata di maturità e di pazienza. – Sto cercando di diventare maggiorenne e tu mi sei d’ostacolo. Questo è così tipico.
- Sei già maggiorenne dalle sette e mezza.
La piega soddisfatta che gli spinge verso l’alto un angolo della bocca rende totalmente inutile il tono casuale della sua precisazione.
Lo sa che mi uccide non sapere perché lui sa a che ora sono nata, lo sa e se ne compiace.
- Lily? Che succede?
Sto accarezzando l’idea di evocare una pallina dal nulla, lanciarla nel mezzo della Sala e sperare che l’istinto da Cercatore di Potter abbia il soppravvento sull’altro suo istinto, quello di infastidirmi sempre e comunque, quando la voce di Dean mi distrae dai miei propositi.
- Niente Dean, sto cercando di evolvermi in una maggiorenne e la prima difficile prova della mia vita consiste nello spingere Potter lontano dal mio cammino, - spiego prima di mandare all’aria la maturità e passare all’attacco.  
Potter non si aspettava assolutamente di essere aggredito fisicamente e l’effetto sorpresa gioca a mio favore, proprio come programmato: quando entrambe le mie mani si chiudono attorno al suo polso, lui non può fare proprio nulla a parte lasciare che il suo braccio venga sollevato inerme dal bracciolo del trono, sovrastato dalla mia forza sorprendente. Lo sollevo e lo tiro verso di me, mentre dall’altra parte del tavolo si spargono brusii e risatine: probabilmente trovano divertente che il Capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro sia appena stato sconfitto sul piano fisico da una ragazza. Beh, il suo braccio è stato sconfitto. È palese, per il modo in cui  è totalmente in balia della mia presa ferrea e per la smorfia di dolore a malapena trattenuta dalle labbra di Potter, premute palesemente troppo forte l’una contro l’altra.
Una delle cose buffe sulle espressioni facciali degli esseri umani, che sarebbe bene annotarsi da qualche parte per affrontare la vita da adulti preparati ad ogni evenienza, è che a volte le smorfie di dolore e i sorrisi trattenuti sono parecchio simili tra loro, e un’altra cosa ancora più buffa è che a volte puoi vincere la battaglia contro il braccio di un’altra persona, ma non la guerra contro quella persona nella sua totalità.
Io scopro entrambe le cose quando Potter, mentre io continuo a tirare con forza il suo braccio per farlo staccare dal trono o almeno dal resto del corpo, decide improvvisamente di smettere di starsene lì seduto senza muovere un muscolo e china il busto in avanti, nel momento stesso in cui il suo polso fa un piccolo ma veloce scatto all’indietro, facendomi sbilanciare verso di lui.
Mentre precipito in avanti verso Potter e le mie mani vanno subito a puntellarsi contro il suo petto per farmi rimbalzare immediatamente di nuovo all’indietro nel caos del mondo che però non è il caos di Potter ed è dunque preferibile, l’altro suo braccio, quello non schiacciato tra noi, mi scivola veloce attorno a un fianco, girandomi dall’altra parte e imprigionandomi al tempo stesso.
Ed ora riesco a vederli in faccia tutti quei bastardi che ridono senza ritegno, a partire dalle mie cosiddette migliori amiche, come se non fosse una svolta drammatica il fatto che ora tra le mie chiappe e il trono del potere si staglino le gambe di Potter, in mezzo come sempre. Black ha ancora quel muffin con le patatine, riesco a vederlo anche da quassù, e dopotutto forse faceva davvero schifo.
Rinvigorita dal pensiero di un perfetto muffin deturpato e sprecato così, e anche dall’espressione stupefatta e infastidita di Dean, inizio a divincolarmi e ad assestare strategiche e micidiali gomitate a Potter, mentre contemporaneamente cerco di conquistare il mio spazio sul trono, perché  evidentemente Merlino ha stabilito che devo vincerlo in battaglia. È quando la mia coscia sinistra riesce a congiungersi totalmente con  la porzione laterale del sedile sotto di me, dandomi finalmente una base d’appoggio da cui attaccare con ancora più veemenza e iniziare a spingere finalmente Potter fuori dal mio trono e dal mio spazio vitale, che tra le risate sento emergere la voce particolarmente allegra di Frank. “Soffia, Lily!” mi incita mentre spinge l’enorme muffin torta nella porzione di tavolo proprio davanti al trono. Non so perché Frank, che ha la fama di essere una persona sveglia e tendenzialmente attenta ai bisogni degli altri, abbia deciso di ritenere questo come il momento più appropriato per il mio passaggio d’età, né tantomeno so perché lo hanno ritenuto tutti gli altri, che subito hanno iniziato a ripetere a pappagallo la sua frase e a incitarmi a loro volta. Non è come se fosse un mio problema, dal momento che ho tutta l’intenzione di guadagnarmi la solitudine e il primato su questo trono prima di pensare alle candeline, ma quando il busto di Potter inizia improvvisamente a chinarsi in avanti, premendo contro la mia spalla destra, realizzo di colpo che l’elemento folla incitante che si trova proprio davanti a me e l’elemento esibizionismo di Potter che si trova proprio accanto e in parte sotto di me, sono due elementi che si attraggono naturalmente e non possono che fare reazione tra loro, perché quando mai Potter ignora il volere chiamato a gran voce da un numeroso e potenziale pubblico, anche quando non è lui che chiamano.
È una legge della fisica ed io faccio appena in tempo a vedere una fiammella tremare sotto il soffio di Potter, prima di smettere per un attimo di lottare e chinarmi in avanti anch’io, perché nessuno spegne più le mie candeline da quando ero troppo piccola per soffiare forte e nessuno me le spegnerà mai fino a quando non avrò due dentiere e nemmeno una particella di ossigeno rimasta nei polmoni. Ma anche in quel caso, a soffiare per me quando non avrò più denti o fiato non sarà comunque Potter. Le spegnerei a mani nude piuttosto che lasciare spegnere a lui le mie candeline. È questo che sto pensando quando il fumo si solleva dal mio muffin tra gli applausi entusiasti della Sala ed io mi concedo giusto un attimo di tempo, nel frastuono generale, per constatare come io mi sia totalmente dimenticata di esprimere un desiderio, poi delle labbra entrano in contatto con la mia guancia e il mio cervello smette di funzionare.  
Mi volto verso di lui sconvolta e dalla mia bocca spalancata non esce nulla, perché semplicemente non esistono parole per rendere intellegibile la portata della mia indignazione in questo momento.
Il bacio di Giuda. La mia vita da maggiorenne inizia con il bacio di Giuda.

 
*

James ha appena schioccato un bacio sulla guancia di Lily e se esistesse qualcosa di vagamente simile alla logica in quella sua testolina bizzarra ora dovrebbe riflettere su dove questo gesto si collochi esattamente all’interno del suo ridicolo piano per smettere di avere una cotta per lei. A che altezza e in quale lista strategica di mosse ponderate, ammesso che il suo piano preveda delle liste.
Non le prevede naturalmente, è una follia anche solo pensarlo, perché James è palesemente quanto di più lontano esista da un tipo da liste, ma è al di là della mia comprensione come uno possa architettare un piano e sperare davvero nel suo successo senza stendere neanche una lista o una scaletta o almeno almeno una mappa concettuale.
Ma il fatto è che la percentuale logica all’interno dei Malandrini è tutta compressa tra la mia fronte e il retro della mia scatola cranica, che mi piaccia o no, e James non ha fatto liste o scalette perché la sua mappa concettuale sono io.
È per questo che io sono qui a riflettere sulle sue azioni mentre lui sorride spensierato e sguscia via dal seggio di Silente, lasciando Lily a prendersi gli applausi. 
Sogghigna allegro e lascia tutta l’attività di riflessione a me, perché non sono mai riuscito a nascondere ai miei amici il piacere morboso che mi provoca l’intera faccenda: rifletterei per tutto il tempo se fosse per me e poterlo fare su un materiale così vasto e variegato, tutto quello su cui dovrebbero riflettere altre tre teste, è qualcosa a cui non sono in grado di rinunciare.
C’è un sacco di materiale su cui riflettere, proprio qui, proprio ora, come ad esempio perché James sia un idiota, e perché James sia un idiota con ancora tutti gli arti attaccati e nessun segno a forma di mano fiammante sulla guancia, e perché Frank abbia gridato con così tanto entusiasmo e apprezzamento proprio quando James ha deciso di essere un idiota.
Si sta già formando uno schema a diagramma nella mia mente, dove ogni fatto, cerchiato e sottoposto ad un’approfondita analisi piena di grassetti e sottolineature, si collega agli altri con lunghe e sottili frecce d’inchiostro nero, ma a un certo punto la musica si fa  più alta, Sirius mi passa un bicchiere, Alice e Frank mi sbattono contro durante una specie di sgraziato tango improvvisato, James mi sfila la cravatta e poi sto ballando con Lizzie, Peter e Mary nel bel mezzo della squadra di Quidditch di Grifondoro e non solo, troppo impegnato a lanciare scompostamente gli arti da una parte all’altra senza logica alcuna per soffermarmi sul come e il perché la mia cravatta sia ora arrotolata al braccio di uno dei grandi candelabri volteggianti sul soffitto della Sala, a penzolare sconsolata contro le nubi scure e il cielo plumbeo che maschera la volta. Sono in realtà quasi tentato per un attimo di fermarmi effettivamente a riflettere su come James ci sia riuscito senza magia e su come sia il caso di tirarla giù subito, per non rischiare di dimenticarla lì ed essere scoperti nel modo più idiota possibile, ma poi Sirius mi trascina in un trenino movimentato che ha la caratteristica di diventare sempre più veloce e contorto, perché far cadere tutti e fare male a più persone possibile in una volta sola è il genere di idea a cui Sirius non può resistere, e invece di fermarlo stringo forte i palmi sulle sue spalle e gli corro dietro nelle sue svolte e salti improvvisi, seguendolo anche quando il tutto degenera e mi ritrovo a gattonare sotto i lunghi tavoli e sbattere la testa contro il legno e contro altre persone, perché per quanto sia appagante e rilassante riflettere, riflettere per me e per tutti i miei amici messi insieme, a volte è più appagante spegnere il cervello e godersi gli spensierati eventi all’origine di una futura espulsione di massa.
 
Quando Lily a un certo punto mi grida da qualche parte fuori dal mio campo visivo di braccia e gambe che sono sinceramente una bella persona, sono troppo impegnato a non analizzare tutto per ricordarmi perché non dovrebbe essere vero.




 
*******

- Ma non ha senso senza magia, - ripete Sirius per l’ennesima volta, ottenendo da Mary la stessa risposta delle precedenti tre volte:
- Senza magia è l’unico modo in cui abbia davvero senso.
- Sono d’accordo con Sirius, - dice Alice e forse, forse non è vero che questo scambio di battute sta avvenendo per l’ennesima volta, perché altrimenti qualcun altro a parte me ci farebbe caso, invece di continuare a ripetere le stesse cose come in loop. – Come facciamo ad essere sicuri che nessuno bari se non incantiamo i bicchierini?
A meno che non siano troppo ubriachi per rendersene conto, certo.
A meno che io non sia troppo ubriaco per sapere quante volte le cose dette siano state già dette.  
Se solo Remus o James fossero qui, allora potrei chiedere a loro, ehy voi, amici miei migliori di tutto il mondo insieme a Sirius, proprio di tutto il mondo, chi di noi vi sembra ubriaco? Sirius e Mary e Alice che se ne stanno seduti a terra in cerchio a dire le stesse cose da anni oppure io, che sto seduto con loro a fingere che non lo stiano facendo?
- Non possiamo, è quello il bello. Lily, spiegaglielo, ti prego.
- Questo, il gioco della bottiglia ed obbligo e verità simboleggiano l’intera adolescenza, lo sanno tutti, ma solo con le regole babbane: ti metti volontariamente in situazioni imbarazzanti che sai diventeranno sempre più imbarazzanti e per rendere il tutto ancora più imbarazzante ti costringi a dire la verità senza essere in realtà obbligato a farlo.
Evans, il cui soprannome è Lily e che ha appena dato una spiegazione molto strana e complicata di qualcosa di ancora più strano e complicato, è qui. Non ero consapevole che fosse qui, nel cerchio dell’eterno ripetersi.
La verità è che probabilmente sono io quello ubriaco qua in mezzo.
Senza, esatto, - Mary annuisce decisa e la sua testa che fa su e giù, su e giù ha un che di ipnotizzante. – Dici la verità perché sei un adolescente stupido, non perché se non lo facessi un bicchierino ti rovescerebbe del Whiskey sui capelli per poi colpirti sulla fronte.
– Ok, quindi nella versione Babbana si può mentire? – dice Sirius, che ha la cravatta della divisa legata attorno alla fronte e il rosso della stoffa che gli penzola al lato del viso è comunque meno rosso del rosso sulle sue guance. Non so perché sto pensando così tanto al rosso. Il fatto è, non aveva una cravatta della divisa quando è entrato in questa stanza. 
– No! Si deve comunque dire la verità! 
– Allora siamo obbligati, - insiste Sirius, sempre più rosso. Ma forse sono i miei occhi ad essere rossi. Se fossero pieni di sangue, probabilmente qualcuno me lo direbbe.
– Il punto è che siete obbligati, ma non da uno stupido incantesimo, bensì dal fatto che siete ancora, e per l’ultima volta, degli stupidi adolescenti che obbediscono a regole facilmente aggirabili ma troppo sacre per esserlo davvero.
- Ehy! – C’è qualcosa in quello che ha detto Mary, forse la parola stupido ripetuta così tante volte, che mi spinge a riemergere dal torpore in cui sono avvolto da un tempo infinito. Il verso che esce dalle mie labbra è un po’ impastato, ma sufficiente ad attirare l’attenzione.
– Non è un’offesa, Peter, essere degli stupidi adolescenti è magnifico. E questa è l’ultima occasione di Lily, perchè-
– Perché tra pochi minuti verrò decapitata dalla-
– McGranitt, sì, lo sappiamo, - dice Alice, mentre io continuo a riflettere su quello che ha detto Mary. Essere stupidi è magnifico.
– …da oggi entrerà a far parte del mondo degli adulti, quindi dobbiamo farlo per bene, da veri adolescenti e senza magia.
– Quindi non mentiremo per lealtà verso questa sacra regola così facilmente aggirabile, d’accordo, - conclude Sirius e se non fosse che ho un po’ sonno e non ho molta voglia di parlare, direi a tutti che Sirius  mentirà. Lo capisco dalla sua faccia, perché sono suo amico e questa cosa mi fa gonfiare il petto.
– Sirius, - dice Mary, mentre a me scappa un risolino.
– Cosa?
– Dillo come se ci credessi.
– Oh, pensate che mentirò? Con la versione magica del gioco lo vedreste se avessi intenzione di mentire.
– Si vede lo stesso Black, ce l’hai scritto in faccia, - dice Evans detta Lily.
Io rido di nuovo.
- Ma non potete provarlo, - Sirius ghigna.
- Rassegnati, Lily, - Una voce parla dall’alto e i miei occhi si sollevano a cercare il proprietario. È il tipo che sta con Evans, e il suo sorriso bonario si staglia contro il cielo stellato della Sala Grande per qualche secondo, per poi sparire mentre lui si abbassa accanto a me. Accanto a lei. A noi. – I Purosangue le usanze babbane non le capiscono proprio.
Ci sono un sacco di candele che galleggiano a mezz’aria, tra il cielo incantato e la parte inferiore della Sala, proprio a metà. C’è anche la mia testa a galleggiare là in mezzo.
- Ripetimi perché non eri tra i Corvonero che abbiamo appena riaccompagnato alla Torre, Philips?
Improvvisamente anche la testa di James, che è il preferito tra tutti i miei amici e che non vedo da troppo tempo, galleggia insieme alle candele lassù sul soffitto. C’è anche la testa di Remus accanto a lui. Li saluto con la mano e Remus mi fa un cenno con la testa, mentre James non mi vede perché sta guardando il tipo che sta con Evans e che a noi Malandrini non piace, perché sta con Evans.
- Nel caso non te ne fossi accorto, Potter, sono il ragazzo della festeggiata, - dice il tipo che non ci piace e ha un sorrisetto tirato. Non penso che la gente dovrebbe sorridere in quel modo a James. Dovremmo fare qualcosa in proposito e quindi fisso intensamente Remus per comunicargli il mio proposito senza bisogno di muovere le labbra.  
- Nel caso non te ne fossi accorto, Philips, la festa è finita, - dice James mentre io mi rendo conto di star fissando Remus da un po’ senza ricordarmi più il perché.
Il sopracciglio di Remus è inarcato ora. 
- Buffo, sono abbastanza sicuro di aver sentito dire al tuo amico Black qualcosa di molto simile a ‘La festa non è finita finché il Whiskey Incendiario non è finito’ appena cinque minuti fa’, - continua il tipo che non ci piace, mentre James e Remus circumnavigano l’intero gruppo per raggiungere la parte più lontana possibile dal tipo che non ci piace. Sono un po’ triste di essere seduto di fianco a lui e non dall’altra parte con il resto di noi, ma le mie gambe sono fatte di pietra ora e non posso più spostarmi.
- Il suo amico Black lo ha detto, sì, – Sirius sta usando quella sua voce esageratamente cordiale che usa quando vuole offendere qualcuno. – E ora il suo amico Black aggiunge anche che se non fosse per la presenza di un elemento estraneo, noi Grifondoro potremmo prendere le due bottiglie e finire la festa al sicuro nella nostra Sala Comune, dove la tua ragazza Evans non avrebbe motivo di temere di essere decapitata dalla McGranitt da un momento all’altro.
Le due bottiglie sono al centro del cerchio in mezzo a noi. Al mezzo del centro del mezzo. Due bottiglie.
- No, l’ho detto io quello, - Evans scocca un’occhiataccia a Sirius. – Tu hai detto che era più divertente qui, sul luogo del delitto.
- Stavo mentendo? Sto mentendo ora? – Sirius alza le spalle. – Ah, se solo ci fossero dei bicchierini a colpirmi in testa ogni volta che mento.
E sorride sornione.
Qualcuno sbuffa.
Io indico i bicchierini che sono proprio accanto alle bottiglie, ma Sirius ricambia il mio sguardo con aria perplessa.
– Comunque, - dice Remus, in quel modo espressivo e pacatamente autoritario, che è in grado di sottintendere così tante cose e sgridare così tante persone tutte insieme. – Abbiamo raggiunto le Sale Comuni di Corvonero e Tassorosso senza problemi, Gazza gironzola dalle parti della Biblioteca ma non sospetta niente, - Mentre Remus parla sento il petto gonfiarmisi un po’, perché ora tutti lo stanno guardando con ammirazione, perché è un Malandrino e lo sono anch’io e tutti qui sanno che noi siamo quelli che sappiamo come sapere le cose che succedono nel castello e le cose che i professori e Gazza fanno e che non vogliono che nessuno sappia. – Facciamo questa cosa così poi possiamo tornare su anche noi, forza, - conclude Remus sedendosi accanto a Sirius. James si siede accanto a Remus e Alice al suo fianco urla ‘Frank, amore, iniziamo! Ragazzi, qua!’ e io sobbalzo.
Poi si sdoppiano tutti e ora c’è altra gente nel cerchio a forma di sfera che stiamo formando attorno alle due bottiglie e ai bicchierini, gente dalla faccia rossa e oro, culla dei coraggiosi di cuore.


*

Peter è ubriaco, James è geloso e Sirius ha voglia di litigare.
Sono così felice di reggere l’alcool meglio di Peter, che è in realtà in grado di ubriacarsi con solo due bicchieri di qualunque cosa, perché questa situazione avrà bisogno di un Remus Lupin al massimo della sua lucidità mentale, me lo sento.
Peter non è invero un gran problema, non è così ubriaco da trasformarsi in Wormtail davanti a tutti e le sue sbornie, in questa fase, sono in realtà del tutto pacifiche e gestibili: la sonnolenza, lo sguardo perso a vagare tra la Sala e i volti e quell’aria un po’ ebete in faccia, il tutto condito da un amabile mutismo.
Se solo tutti i miei amici fossero così da sbronzi, allora non saremmo stati banditi per sempre dalla Testa di Porco.
Legato attorno alla testa di Sirius c’è il motivo per cui quel Tassorosso che ho accompagnato vicino alle cucine non trovava più la sua cravatta. C’è anche una cravatta rossa e oro e una nera e blu, sempre a spenzolare tra le ciocche nere di Sirius, ed io non voglio sapere. Ha gli occhi lucidi e le guance rosse per tutte le corse immotivate che ci ha spinti a fare prima, ma è solo un po’ brillo, il che è un bene, perché è Sirius che ha fatto quella cosa alla Testa di Porco.
James si è fatto la sua passeggiatina con me nel riaccompagnare alla base tutti gli altri studenti immorali che hanno partecipato a questo festino ed è più lucido che mai, il che non è un bene, perché James tende a fare più danni quando è in sé che il contrario.
- Ecco qua, Remus, - Mary sta distribuendo i bicchierini, piazzandone uno davanti a ciascun membro del cerchio, ora composto dalla totalità dei Grifondoro del nostro anno, ovvero i più immorali di tutti, e Dean, che ha insistito per restare fino alla fine, anche a costo di dover poi tornare da solo e senza scorta dotata di mantello e mappa alla Torre Corvonero. Mary non sta chiamando per nome ognuna delle persone a cui piazza davanti il bicchierino, ma ho la sensazione che la compiaccia particolarmente avermi qui, in bella vista nel degrado e nella degenerazione dei costumi: in quanto Prefetto devo essere un pezzo particolarmente valido della collezione.
- Ok, chi inizia? – chiede Mary mentre Alice finisce di spiegare le regole agli ultimi arrivati. – Vai tu, Frank?
- Io? Oh, certo, io. O anche qualcun altro, come preferite. Qualcun altro vuole iniziare?
- Dai, Frank, inizia.
- Ok. Allora, non ho mai… – Frank lascia vagare incerto lo sguardo per la Sala, per poi fermarsi sulle grandi clessidre piene di pietre preziose. – Fatto perdere punti alla mia Casa.
Mentre svuoto il mio bicchierino insieme a tutti gli altri, approvo intimamente la scelta di Frank. Neutra, scontata, ovvia. Il genere di domanda che non porta a nessuna rivelazione scottante, che non mina gli equilibri di alcuna relazione, che non porta alla luce gelosie e rancori nascosti. Il genere di domanda che ai miei compagni di Casa non può piacere.
- Ecco, magari possiamo evitare le cose troppo…scontate? – butta lì Mary, nello stesso momento in cui Alice dice – Frank, amore, non hai capito niente. Sta a vedere, non ho mai…baciato Lily Evans. E Dean beve, ecco così. Vedi? Questo è più interessante.
- Non necessariamente, - commenta Lily mentre io faccio forza su me stesso per tenere i miei occhi ancorati sul pavimento di pietra davanti a me, impedendogli di correre a indagare il volto di James e quello di Lizzie in maniera palese e sospetta. È che riesco quasi ad avvertire l’ondata di gelo e tensione che proviene dalla loro parte, mentre tutti e tre pensiamo alla stessa cosa.
E non era davvero Lily, quindi probabilmente non sarebbe cambiato nulla, ma è comunque un sollievo non aver incantato quei bicchierini.
- D’accordo, d’accordo, ho capito, - Frank finisce di riempire i bicchierini di tutti, prima di sollevare lo sguardo. – Non ho mai baciato Sirius Black.
- Parlarne aiuta, Frank, - commenta Sirius solidale, mentre Mary ed Allison, l’amica di Lizzie, scolano il Whiskey nei loro bicchierini. Anne, la Cacciatrice di Grifondoro, fissa intensamente il suo, e qualcosa nella sua espressione mi dice che le piacerebbe poterlo bere.
- Io l’ho detto che senza magia non ha senso, - Lo scintillio divertito nello sguardo di Sirius non va a colpire nessuno in particolare, puntandosi invece verso il cielo stellato sopra di noi, ma malcontento e proteste si diffondono all’istante nel gruppo.
- Oh, andiamo ragazzi, non vale barare!
- Chi deve bere, beva, forza.
- Resta tutto tra noi, promesso.
- Come se baciare Black fosse qualcosa di cui vergognarsi, poi.
Pare proprio che ci avessi visto giusto su Anne, ma ben presto la mia attenzione viene attirata dalle due persone che si decidono a bere nello stesso momento.
James riposa il suo bicchierino a terra proprio di fianco a me, ma gli occhi di tutti, miei compresi, sono fissi su quello vuoto di Alice. Lei sta guardando Frank e credo che dopotutto ora non riterrebbe più così poco interessante l’aver fatto o meno perdere punti alla propria Casa.
- È stato al terzo anno e ancora non ci frequentavamo, - dice subito Alice agitata, mentre la bocca di Frank continua a restare spalancata. Nemmeno cinque minuti che è iniziato e già qualcuno ha perso il controllo della propria mandibola: ecco perché non mi piacciono questi giochi.
- Ma noi ci frequentavamo! – puntualizza Mary sconvolta, indicando se stessa e Lily, la cui bocca paralizzata è la perfetta imitazione di quella di Frank. Tutti gli altri ridacchiano, Peter si è addormentato e James ha già furtivamente riempito di nuovo il suo bicchiere.    
- Non c’era nulla da raccontare, è stato praticamente un bacio a stampo, - le liquida Alice, prima di tornare a concentrarsi sul suo ragazzo. – A stampo, Frank, tra due tredicenni. Niente lingua.
È un bene che gli occhi di Frank siano incollati a quelli di Alice e non possano registrare l’espressione scettica di Sirius. La verità è che è difficile immaginarmi un tempo della sua vita in cui riuscisse a tenere a bada la sua lingua. È mentre rifletto su quanto sia molesta la lingua del mio amico, sempre in giro a importunare cose e persone, che avverto con un tremito i suoi occhi fissi su di me ora. Oh, ma se lo scorda. Quello non è stato un bacio.
- Non ho mai appiccato un incendio, - esclamo deciso la prima cosa che mi viene in mente, attirando l’attenzione di tutti. Poi vorrei aver detto qualcos’altro, quando solo io e gli altri Malandrini beviamo sotto gli sguardi inquieti degli altri.
- Non mi sono mai finta malata per saltare gli allenamenti di Quidditch, - continua Alexis, e quando tutta la squadra a parte lei beve imbarazzata, James sbuffa incredulo.
- Capitano, -  La voce di Alexis si fa improvvisamente solenne. – Tra due anni, quando te ne andrai da Hogwarts e dovrai decidere a chi lasciare la tua spilla, promettimi che ti ricorderai di chi non ha bevuto questa sera.
- Pensate davvero che lascerà la sua spilla? – Sirius ride incredulo. Ed è effettivamente un po’ ingenuo da parte loro pensare che James non se la porterà nella tomba. – La McGranitt dovrà così certamente trasfigurarne un’altra.
- Questo non è vero, non si scherza col Quidditch, - James incrocia le braccia al petto corrucciato. – Ne trasfigurerei io stesso un’altra.
- Non ho mai comprato una puffola pigmea rosa, - interviene Mike entusiasta, probabilmente impaziente di distogliere l’attenzione di James dalle mancanze della sua squadra. I miei occhi, come quelli di tutti, si fissano su James e per diversi secondi l’unico rumore nella Sala è il lieve russare di Peter.
- Possiamo stare qui fino a domattina e non toccherò quel bicchiere, - dichiara James impassibile, alzando le spalle. – Non l’ho comprata.
- Okay, non ho mai posseduto una puffola pigmea rosa, - rettifica Mike.
- Non era mia. Dite quello che volete, ma non era mia.
- Non ho mai chiamato una puffola pigmea Pinkie, - prova Anne.
James continua a restare immobile con aria di sfida.
– Non ho mai tenuto in braccio una puffola pigmea rosa di nome Pinkie.
Frank smette di bisbigliare con Alice giusto il tempo di rivolgere un’occhiata trionfale a James. James stringe le labbra.
- Andate al diavolo, - annuncia prima di svuotare sconfitto il bicchiere tra le risate generali.  – Non ho mai fatto trenta giri di campo prima di ogni allenamento da qui al resto dell’anno.
È a questo punto che vengo colpito sul naso da una patatina molliccia e mi ritrovo a sospirare impercettibilmente. Non è che io non capisca, perché capisco, davvero. Rispetto il messaggio di libertà di cui questa patatina e gli altri pezzi di cibo che stanno venendo lanciati dalla squadra contro James si fanno portatori: non usare in modo improprio la propria autorità di Capitano e non confondere le questioni rosa, pelose e personali con gli allenamenti di Quidditch, sarebbe tutto molto bello e condivisibile se non fossi proprio accanto a James, in mezzo alla traiettoria di ogni lancio.
Rappresenta un po’ la mia vita questo esatto momento, i miei amici che ispirano istinti violenti negli altri e io che finisco in mezzo alla mischia.
Non ho mai afferrato a pieno l’impulso alla base delle battaglie col cibo, quella scintilla pericolosa e indicibile in grado di trasformare il lancio di una singola patatina in un intricato schema di voli intrecciati e sempre più aggressivi, capaci di spezzare ogni legame di amicizia, logica e fratellanza. È quella scintilla che parte dalla squadra di Quidditch e dalla risposta fulminea di James che si propaga nell’aria come un virus contagioso e culmina con briciole e pezzi di cibo unticcio e spappolato a ricoprire persino Peter, che quando l’umanità torna al suo istinto primordiale neppure essere momentaneamente incosciente ti esclude dai bersagli. È quasi frustrante il modo in cui questo tutti contro tutti non abbia in realtà nessun motivo di esistere ed è proprio perché lo disapprovo così tanto che i miei lanci sono i più precisi e i più violenti di tutti.


*

- Non ho mai indossato slip in pelle di drago.
C’è un segno rosso ben visibile sul naso del mio Cacciatore, lì dove una delle micidiali patatine di Remus ha colpito, e ho il sospetto che questo c’entri qualcosa con la sua scelta di parole.
Nessuno beve, perché quella che si è diffusa al quinto anno sul suo amore per l’intimo in pelle di drago è solo una voce. La cosa divertente di questa faccenda è che esiste effettivamente la possibilità che la voce non l’abbia messa in giro Sirius.
La mia guancia sinistra continua a pulsare dolorosamente, per l’appunto.
Remus dovrebbe davvero imparare a non prendere così sul serio ogni dannata battaglia col cibo. Credo che nella sua testa si tratti di guerra vera e propria, uccidere per non essere ucciso, o non si spiega perché deve tirare tutto così forte e con così tanta rabbia. Gente pericolosa questi Prefetti.
- Non mi sono mai messa il rossetto, - dice Mary, prima di bere insieme a tutte le altre ragazze. Frank protesta che nemmeno questa è una domanda interessante, ma si blocca quando nota gli occhi di tutti fissi su Sirius.
Anche gli occhi di lei sono fissi sul mio migliore amico ed io ne approfitto per lanciarle un’occhiata di sfuggita.
Philips ha ancora le braccia attorno alle sue spalle, il che è abbastanza gratuito a mio parere. Voglio dire, starle così appiccicato sarebbe dignitoso solo se ci fosse della Magicolla di mezzo, ma poi non è come se io potessi vederla la Magicolla su Evans, anche se ci fosse, perché su Evans c’è già Philips.
- Marlene McKinnon si è messa il rossetto, - Sta recitando Sirius annoiato e non so più quante volte l’ho sentito dirlo. – Marlene McKinnon mi ha baciato. Marlene McKinnon è andata a lezione e io sono andato in giro per Hogwarts senza accorgermi di avere il suo rossetto sulle labbra. Fine della storia, applausi, grazie.
Quello che mi chiedo è: riesce almeno a respirare? Con Philips che le sta addosso in quel modo, riesce a far entrare abbastanza aria nei polmoni o la bocca di Philips che per qualche astruso motivo deve essere sempre così vicino alla sua risucchia tutto l’ossigeno prima che Evans possa respirare? Qualcuno dovrebbe preoccuparsene. Mary, o Alice o Madama Chips. Sono sicuro che non sia igenico stare a contatto con Philips tutto il tempo.
- Ti stava bene comunque, - conclude Mary, mentre io mi sforzo di puntare lo sguardo da un’altra parte. Persino il rivolo di bava che cola dal labbro di Peter e sta lentamente formando una pozzetta biancastra e appiccicosa a terra è meno fastidioso da vedere. Abbiamo capito, state insieme, fantastico, auguri e figli maschi, ma io non vedo Frank abbarbicarsi in quel modo ad Alice.
Questo perché Frank ha una dignità.
Frank non si spalmerebbe mai su Alice o su Evans o su chiunque altro in quel modo.
Frank, tra le altre cose, è un bravo Battitore, a differenza di Philips.
- Non ho mai… – sta dicendo Emmeline Vance.
Vorrei solo che si staccasse da lei, almeno per un secondo. 
- Non ho mai fatto perdere una partita alla mia squadra perché sono così impedito da lanciare un Bolide addosso al mio Portiere.
Tutti si azzittiscono e Philips mi fissa per diversi secondi prima di afferrare il bicchierino con un gesto rigido. Lo svuota senza staccare gli occhi da me e io aspetto impaziente che lui ribatta o si alzi e mi dia un pugno o qualunque cosa, perché non ce la faccio più a stare seduto qui e basta, ma lui non fa niente. Mi fissa e non dice nulla ed Emmeline riprende incerta la parola.
È solo dopo due altri giri che Philips rompe il silenzio e a ripensarci era meno irritante quando stava zitto. 
- Non ho mai fatto perdere una partita alla mia squadra perché sono così egoista da non riuscire a non farmi mettere in punizione nemmeno per una settimana.
Questa volta il silenzio è totale ed io avverto gli sguardi di tutti su di me, mentre bevo alla goccia con uno scatto irritato. Ma in realtà vedo solo Philips e lo sguardo esasperato di Evans ora che anche il suo ragazzo si è abbassato al mio livello.
- Tu non bevi, Philips? – chiedo beffardo riappoggiando a terra il bicchierino con un po’ troppa forza. – Oh, giusto. Quando hai saltato tu la partita Corvonero ha giocato meglio del solito. Mi chiedo cosa voglia dire.
- James, - mi ammonisce Remus e forse ha qualcosa di saggio da aggiungere, ma questa volta la risposta di Philips non tarda ad arrivare.
- Ed è proprio perché sei così tanto più bravo di me, Potter, al punto che la tua presenza o meno determina il risultato di una partita, che uno si aspetterebbe che ti degnassi di non farti squalificare solo per metterti in mostra davanti a tutti. Ma ehy, non sono né un campione del Quidditch né uno che pensa solo a se stesso, quindi, che ne so io.
Philips alza le spalle con un sorrisetto ingenuo ed io inizio ad elencare mentalmente tutti i motivi per cui non posso alzarmi, attraversare il cerchio e prendere a pugni quel suo naso a patata fino a fargli assumere una forma sensata, ma a rendermelo particolarmente difficile c’è il fatto che non me ne viene in mente neanche uno. Non un singolo motivo. Voglio dire, perché non posso? C’è la mano di Remus sul mio braccio, certo, è appoggiata lì in modo apparentemente casuale e se mi alzassi si stringerebbe e poi avrei l’intero Remus addosso a mo’ di koala. Sarebbe difficile fare a pugni con Remus spiaccicato addosso in quel modo, ma sarebbe anche conveniente, perché Philips, essendo un dannato Corvonero irreprensibile e infallibile e maturo e responsabile e dannatamente perfetto per Evans, non reagirebbe per paura di colpire Remus, e diventerebbe il mio sacco da box personale. Vorrei così tanto usare Philips come sacco da box e la cosa più frustrante è che vorrei in realtà usare la mia faccia come sacco da box, perché non è Philips il cretino che si è preso una cotta per la ragazza che lo odia.
Se non avessi appiccato incendi e fatto ogni singola cosa detta da chiunque fino ad ora, allora forse non avrei bevuto così tanto e non mi starei dando del cretino da solo.
È Philips il cretino, non io. Lui e quel suo naso.
– Sì, d’accordo, lo sappiamo tutti com’è finita l’anno scorso e ci siamo già rosi il fegato abbastanza, - interviene Alexis seccata. – Quello che conta è che quest’anno vi faremo il culo.
– Perché ve lo faremo, - conferma Sam e Philips è troppo impegnato a guardare me per ribattere. – Il nuovo schema è…
– Non dirlo, - lo interrompe Alexis.
– Non stavo per dirgli lo schema ovviamente, stavo solo…
– È uguale, non dire nulla. Sei ubriaco.
– Ma non stavo…
– Sam.
– Ok.
Vorrei solo essere di nuovo nell’aula di Pozioni, da solo con lei che mi fa svolazzare ingredienti disgustosi attorno alla testa. E non mi sopporta come al solito, e c’è un sacco di sangue che esce dal mio braccio e forse lei mi lascerà dissanguare a morte, ma non c’è nessuno a parte noi ed è perfetto.
E il fatto è, se io, James Potter, sto desiderando di trovarmi nell’aula di Pozioni, ripeto, di Pozioni, le cose sono due:  ho bevuto troppo oppure Evans ha rotto il meccanismo alla base del mio funzionamento.
In entrambi i casi, è un problema.
- Non ho mai proposto di dare fuoco a un Serpeverde, - butta lì Sirius casuale.
Nessuno beve e persino Philips smette di fissarmi per lanciare un’occhiata perplessa a Sirius. Lui sta guardando eloquentemente Remus, così come Peter che è tornato tra noi, e mi verrebbe da ridere, se non fosse che sono ancora troppo concentrato a reprimere l’istinto irrefrenabile di continuare con le provocazioni a Philips, giusto per togliergli dalla faccia quell’aria da sono maturo e responsabile e superiore alle tue frecciate da bambino.
- Non ho alcuna intenzione di toccare quel bicchiere, sia chiaro, - sbotta infine Remus. – Non era una proposta seria e lo sapete benissimo.
Sirius e Peter non hanno la faccia di chi lo sa benissimo e gli altri sono sempre più incuriositi.
- Avevo undici anni e stavo cercando di adattarmi al vostro strano senso dell’umorismo. Era una battuta. Era…andate al diavolo, - Remus scola seccato il contenuto del suo bicchierino e il gruppo esplode in un applauso, perché è sempre bello vedere un Prefetto così immerso nell’illegalità. La tensione di poco fa si scioglie tra le risate ed io cerco di stendere il viso in un sorriso e ignorare quella parte di me che vuole ancora prendere Philips a pugni, perché non è come se potessi prendere a pugni me stesso o Evans.
Le due bottiglie di Whiskey Incendiario sono quasi finite e gli ultimi giri procedono spensierati e senza intoppi, fino a quando Philips decide di non ignorare più le vibrazioni ostili provenienti dalla mia parte.
- Hai qualche problema, Potter?
Evans trattiene un sospiro.
- Dean, per favore, non ti ci mettere anche tu.
Ed io ho così tanti problemi.
- Sì, Philips, non ti ci mettere.
Qualcosa nel mio sorriso sornione pare smuovere dall’interno il suo animo pacifista e c’è finalmente una luce sinceramente irritata nei suoi occhi quando fa per rispondermi. Solo che subito ci ripensa e si blocca senza emettere un suono. Resta immobile per qualche secondo, lo sguardo assorto fisso su di me, come se non mi vedesse più, poi si decide ed afferra il bicchierino davanti a sé.
- Non ho mai, - Parla ad alta voce e mi guarda dritto negli occhi. – Pensato che la ragazza dietro a cui muoio mi baciasse salvo poi scoprire che non era davvero lei, perché lei non mi bacerebbe mai invece.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 








Che cos’è quello, un cliffhanger? Si direbbe un cliffhanger!
Mi dispiace tanto, ma questo è letteralmente il capitolo più lungo di CAS già così e quello che viene dopo è tutto collegato – avrei potuto finire due paragrafi dopo in realtà, ma ci sarebbe stato comunque un ALTRO cliffhanger (*Sirius I’m looking at you*) quindi non se ne usciva.
E sotto sotto ve lo meritate il cliffhanger, diciamocelo, che prima mi impallate la casella mail pregandomi di aggiornare e poi fate i lettori silenziosi quando posto. SHAME.  
Just kidding, vi voglio bene lo stesso anche se mi ignorate, è solo che mi lasciate nel dubbio se gli ultimi capitoli siano così tanto peggio degli altri o cosa. È James che vi sta antipatico? Non ci sono abbastanza descrizioni dei capelli di Sirius? Lily/Peter dovrebbe essere canon already? Frank dovrebbe prendersi il ruolo da protagonista prima di subito? Non ne ho idea, spero solo che non siano i Jily ad ammutolirvi perché se vi avessi fatto aspettare gli anni per farli interagire un po’ di più solo per poi farvi scoprire che li scrivo di merda sarebbe la trollata suprema.
(Ma sarebbe anche meglio, perché i capitoli pronti li ho quasi finiti e se vi facevano comunque schifo sarà meno traumatico postare l’ultimo.) 
 
 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Quindi dove eravamo rimasti? Ah già.

«Non ho mai pensato che la ragazza dietro a cui muoio mi baciasse salvo poi scoprire che non era davvero lei, perché lei non mi bacerebbe mai invece.»

 

 

 


CAPITOLO 30.

 

 

 

 

 


Nell’istante stesso in cui Philips finisce di parlare, io so, in quanto Prefetto e amico e unica persona in grado di reggere decentemente l’alcool in questa stanza, di dover fare qualcosa.
Il silenzio assoluto e improvviso che si è abbattuto sulla Sala avvolge in modo quasi asfissiante ogni scambio di occhiate all’interno del cerchio.
C’è lo sguardo castano di Philips proprio davanti a me, intriso di sfida e trionfo, così ostentatamente determinato da risultare in realtà abbastanza insicuro, mentre non si stacca dalla mia destra, da James.
Ci sono gli occhi verdi di Lily aggrottati dalla confusione, che cercano una risposta accanto a lei e, ignorati, seguono la traiettoria di quelli del suo ragazzo fino a quel punto alla mia destra, di nuovo.
C’è lo sguardo teso di Frank, che ha sfiorato James solo per un secondo prima di spostarsi da tutt’altra parte, impassibile.
Peter si è riscosso dal suo stordimento quel tanto che basta per afferrare la situazione, ma non abbastanza da non tenere insistentemente gli occhi spalancati e lucidi fissi su James. 
Sono due tuttavia gli sguardi che colgo con la coda dell’occhio e che attirano la mia attenzione, andando a posizionarsi come tasselli di un puzzle da qualche parte nella mia mente: quello sconvolto e indignato di Lizzie, che si è voltata di scatto verso la sua amica di fianco a lei, e quello colpevole di Allison, che fissa a disagio un punto indefinito di fronte a sé.
Sono l’unico a farci caso e dura tutto pochi secondi durante i quali le occhiate interrogative di Alice, Mary e tutti gli altri rimbalzano esitanti da Philips a James.
Il fatto è, nessuno sta guardando Sirius, che dopo un momento di congelamento ha fatto il gesto di alzarsi ed è per questo motivo che Peter non potrà avercela con me per quello che ho fatto. Lui non regge molto bene l’alcool e ha già bevuto parecchio, voglio dire, probabilmente ad un certo punto sarebbe successo comunque; solo che la mia bacchetta si è mossa impercettibilmente verso di lui e allora quel momento è stato adesso. James è ancora congelato e la pozza di vomito che si allarga sul pavimento in mezzo al cerchio, dritta dallo stomaco di Peter, non pare avere alcuna rilevanza per lui, ma tutti gli altri iniziano ad emettere versi disgustati e ad alzarsi di scatto, allontanandosi.
- Sirius, aiutami, - dico mentre afferro Peter per un braccio e cerco di tirarlo su, allontanandolo dalla sua cena di oggi. – Sirius.
C’è ancora questo interminabile momento in cui gli occhi grigi del mio amico indugiano su Philips con una calma glaciale, poi io lo chiamo di nuovo, Peter emette un mugugno dolorante e Sirius si avvicina a noi con un sospiro, afferrandolo per l’altro braccio.
E questo è come Remus Lupin ha salvato la situazione.
Probabilmente non c’è scritto nel manuale del perfetto Prefetto che far rimettere colazione, pranzo e cena ad un amico è il modo appropriato di scongiurare situazioni ancora più inappropriate, ma la verità è che era l’unica mossa possibile ed è stata, indipendentemente dalle apparenze e dall’odore disgustoso, una mossa molto astuta, perché ora Sirius non ha fatto niente di stupido e soprattutto ora gli occhi di tutti non sono più incollati su James nell’unico momento della sua vita in cui non desidera, in effetti, essere guardato.
 

*


Remus è convinto di aver salvato la situazione, glielo leggo negli occhi.
È teso e controllato, mentre sistemiamo Peter su una panca contro il muro fresco, ma è anche palesemente soddisfatto di se stesso.
È stato effettivamente molto astuto e sottile, glielo concedo, nel suo costringermi a non fare quello che ero sul punto di fare senza nemmeno dovermi dire esplicitamente di non farlo.
È una delle qualità che apprezzo di più in Remus, il suo essere così silenziosamente vigile e scaltro, sempre efficace nei suoi propositi.
Un’altra cosa che apprezzo, di Remus, è il modo in cui abbassa la guardia subito dopo la vittoria.
Qualcuno grida di sorpresa mentre il naso di Philips si rompe con un crack appagante contro il mio pugno.







*********

 
Sono il suo migliore amico da sei anni e so che non mi dirà mai ti voglio bene né nulla di anche solo vagamente affettuoso, e che non me lo direbbe nemmeno se mi trovassi in punto di morte, ma so anche che a volte Sirius farà cose come rompere il naso di Dean Philips davanti a tutti con un colpo solo e questo è il suo modo di dirlo.
È successo in un batter d’occhio, un attimo prima stava aiutando Remus a sistemare Peter su una panca, quello dopo ha coperto in poche fulminee falcate la distanza tra lui e Philips e gli ha mollato un pugno dritto in faccia, facendo esplodere il caos.
Philips non ha ancora allontanato le mani dal viso sanguinante e si è subito formato un cospicuo gruppetto attorno a lui. Mike, che professa di voler diventare un Medimago sin dal primo anno, dice ‘Credo che sia rotto’ con lo stesso tono con cui annuncerebbe di aver vinto un milione di galeoni, ed ha un’aria particolarmente eccitata mentre estrae la bacchetta. Sembra persino più felice di me di tutto quel sangue.
L’occhiataccia che Evans lancia a Sirius mentre aiuta Philips a sedersi con la testa rivolta verso l’alto in quanto a biasimo è seconda solo a quella di Remus.
- Sei soddisfatto ora? – Lo sento sibilare stizzito mentre raggiunge Sirius, che al di là della sua espressione apparentemente impassibile puntata sul gruppetto indaffarato sembra soddisfatto.
- Sì, - risponde infatti e poi smetto di prestare loro attenzione, perché se sia Remus che Sirius sono là, allora Peter è probabilmente sul pavimento.
Peter è effettivamente sul pavimento, constato voltandomi.
Continua a russare pacifico anche mentre lo sollevo prendendolo da sotto le ascelle e il suo unico problema al mondo, una volta che l’ho sistemato sulla panca, è che la sua schiena continua a scivolare tutta da una parte non appena provo a lasciarlo.
Così resto qui e basta, a sorreggerlo, perché non è come se avessi altro da fare. Sono in realtà per qualche motivo molto felice di poter stare qui con le mani sulle sue spalle, con uno scopo e un proposito attorno a cui rivolgere ogni mio pensiero.
- Evanesco, - pronuncio tranquillo, facendo sparire ogni traccia di vomito giallognolo e maleodorante dal mento di Peter.
Mi chiedo se Remus negherà di averlo fatto.
- Mbrsv, - mugugna Peter, strizzando le palpebre. Lo fisso in attesa per qualche secondo e rilasso impercettibilmente la mascella quando lui continua a tenere gli occhi chiusi. Sono felice che non si sia svegliato togliendomi il compito di reggergli le spalle, cosa che mi avrebbe costretto a voltarmi di nuovo e trovare qualcos’altro da fare o a cui pensare.
Una delle voci alle mie spalle è quella di Evans. È abbastanza alta e credo che stia litigando con Sirius. La voce di Remus è più calma invece, ma da qui non riesco a distinguere cosa stia dicendo e se stia dalla parte di lei o di lui.
Peter mugugna di nuovo.
- James.
La voce di Lizzie invece è proprio accanto a me e per poco non lascio scivolare nuovamente Peter a terra per la sorpresa. Continuando a reggerlo con una mano, mi volto verso di lei, fermando gli occhi sul suo viso e cogliendo comunque con la coda dell’occhio la scena alle sue spalle: Sirius e Remus da una parte, Evans e Philips di fronte a loro, parecchio agitati, e Alice e Frank in mezzo come a fare da mediatori. Gli altri guardano tutti l’acceso scambio di opinioni al centro della Sala e nessuno fa caso a noi.
A parte Lizzie, che continua a fissarmi in attesa.
- Se lo lascio cade, guarda, - decido di informarla, dandole subito una dimostrazione pratica. Prima che il busto di Peter si sbilanci troppo lo raddrizzo di nuovo e ora Lizzie sa che non sono qui a fare finta di nulla o a perdere tempo, ma che sto svolgendo un compito.  
- Emm, è vero, - Annuisce lei e forse avrei dovuto darle una dimostrazione più approfondita, perché suona perplessa. - Fai bene a tenerlo.
- Già.
- Senti, - mi incalza poi e il suo tono non mi piace per niente, perché è il tono di chi parla per comunicare cose e non è come se io volessi ascoltare cose ora. Non starei qui a reggere le spalle di Peter come se ne andasse del destino dell’universo se avessi voglia di ascoltare le cose che le persone dicono.
- Probabilmente dovrei restare concentrato, sai, - la interrompo, indicando Peter con un cenno della testa. – Senza rumori di sottofondo.
Lei mi guarda spiazzata.
- Non intendevo darti del rumore di sottofondo, - aggiungo subito, perché nella mia testa suonava in modo meno offensivo. – Loro sono rumori di sottofondo, - spiego, accennando alla lite alle mie spalle. - Tu sei un rumore in primo piano. Niente, continua a venire fuori in modo offensivo, non so che fare.
- Non importa, tu non puoi offendermi, - mi liquida in fretta ed io aggrotto le sopracciglia perplesso, incerto di che cosa intenda dire. Non posso? – Ascolta, non ti distrarrò per molto, e nel frattempo posso aiutarti a reggere il tuo amico, ecco. 
E prima che io possa assicurarle che non ho assolutamente bisogno dell’aiuto di nessuno, che reggere il mio amico è anzi tutto quello che desidero dalla vita, lei allunga una mano e la stringe sul braccio di Peter, prima di piazzarmi di nuovo gli occhi in faccia.
- Okay, senza tanti giri di parole: voglio solo che tu sappia che non ho mentito quando ti ho detto che non lo avrei detto a nessuno, - inizia ed io apro la bocca per fermarla, ma lei continua senza prendere fiato. – Il fatto è, ci sono delle eccezioni al nessuno e credo sia una cosa universale. Per esempio, la tua eccezione sarebbero i tuoi amici. E non per motivi loschi, ma solo perché ognuno ha quella persona che non conta, perché è come dirlo a se stessi. E quindi la mia eccezione è stata Allison, perché davvero non contava e dovevo parlarne con qualcuno quella notte.
Fantastico. Reggere Peter non è servito assolutamente a nulla: ne stiamo parlando.
- Ok, non preoccuparti, dimentica... - cerco per la seconda volta di fermarla e per la seconda volta lei mi ignora.
- E ti giuro che gliel’ho detto che doveva restare tra noi e lei davvero non intendeva dirlo a nessuno, - continua sottovoce, lanciandosi un’occhiata circospetta alle spalle. – È che io non avevo considerato che anche lei ha un’eccezione al nessuno, e lei davvero pensava che non contasse perché era il suo ragazzo e non voleva fare nulla di male. È  solo che il suo ragazzo è un Corvonero ed è in squadra con Philips. E pare che anche lui abbia un’eccezione al nessuno e che questa siano i suoi compagni di squadra.
- I suoi? Plurale?
- No, no, lo ha detto solo a Philips, probabilmente quando lui ha iniziato ad uscire con Evans, - Sto cercando di non ascoltarla, ma le mie orecchie non collaborano e la mia testa neppure. E Philips lo sapeva da settimane. È in questo momento che mi accorgo che non tutti gli sguardi sono fissi sulla discussione tra Evans e Sirius: Allison è esattamente dall’altra parte della Sala, ma continua a guardare verso di me con aria colpevole. – Non lo sapevamo, né io né Allison, lei lo ha capito solo questa sera.
- Ok, ho detto di non preoccuparti.
- E se ti può far stare meglio, domattina gliene dirà quattro.
- Lizzie, sto alla grande, - la informo deciso. - Meglio di chiunque sulla faccia della terra, quindi non pensarci più. Anche la tua amica, dille di non pensarci. Se smetteste tutti di pensarci sarebbe perfetto, davvero.
Le sue labbra si schiudono ma la voce che segue è quella di Peter.
- James? Che succede?
Probabilmente si domanda come mai io e Lizzie siamo qui di fronte a lui con le mani sulle sue spalle.
- Ok, allora io vado, - dice lei lasciandolo. Peter questa volta non si sbilancia nemmeno: il mio unico compito al mondo è ufficialmente svanito.
- Perfetto, - concordo e lei se ne va.
Peter mi sta ancora guardando perplesso ed io sto per dirgli qualcosa, quando la sento di nuovo.
- James.
Si è allontanata solo di qualche passo e quando mi volto verso di lei trovo uno sguardo diverso da quello di poco fa.
- Se tu potessi iniziare a pensarci, credo che sarebbe meglio, sai.
Sbatto le palpebre e resto a guardarla mentre raggiunge la sua amica, poi mi volto verso Peter.
- Hai vomitato e poi sei svenuto, - lo informo.
- È stato Remus, vero? Perché fa cose del genere?



***

- Scusa se te lo dico, Lily, ma i tuoi compagni di Casa sono uno più stronzo dell’altro.
Mike ha aggiustato il naso di Dean, ma c’è ancora una nota vagamente nasale nella sua voce, oltre al dolore trattenuto. Lo renderebbe divertente, se non fosse che non posso ridergli in faccia e che ha appena detto una cosa non proprio carina, per quanto veritiera. Frank, che sta sollevando per aria con la bacchetta le briciole dal pavimento attorno al tavolo dei professori qui accanto, gli lancia un’occhiata corrucciata.
- Non ce l’ha con te, Frank, -  sospiro esausta, prendendo un’ultima patatina dal vassoio davanti a me prima di farlo sparire. Mi secca parecchio far evanescere muffin e patatine che potremmo portarci in Sala Comune, ma Lupin dice che nel tragitto di qui alla Torre è più sicuro non essere impacciati da nulla e questa serata ha già preso una piega abbastanza imprevista senza aggiungervi le eventuali catastrofi che deriverebbero dal non dare retta a Remus Lupin.
- Certo che no, è palese a chi mi riferisco, - aggiunge Dean, sorridendo conciliante a Frank. Le labbra di Frank si piegano in qualcosa di molto bizzarro e forzato, che forse doveva essere un sorriso o forse no, poi lui riprende la sua perlustrazione in cerca di briciole con la bacchetta alzata.
- Cos’era quello?
Dean mi lancia un’occhiata perplessa.
- L’ultima fetta del muffin, - risponde osservando lo spazio del tavolo ora vuoto. – Mi dispiace, la volevi?
- No, intendevo, - E in realtà sì, me la sarei anche mangiata l’ultima fetta della mia torta muffin. – Quello. Prima, con Potter. 
- Oh. Intendi la parte in cui lui mi provoca per tutta la sera, o meglio, per settimane, o quella in cui io alla fine rispondo?
- Quella cosa che gli hai detto, - specifico. - La cosa per cui Black ti ha preso a pugni.
- Black mi ha preso a pugni perché è un idiota, - replica con una punta di stizza, lanciando un’occhiataccia dall’altra parte della Sala, dove il soggetto in questione sta aiutando Mike a sciogliere gli incantesimi insonorizzanti dalla Sala.  
- E questo è assodato, - annuisco. - Ma c’era chiaramente un motivo ed è quella cosa assurda che hai detto alla fine del gioco.
Dean mi soppesa dubbioso e resta a fissarmi in silenzio così a lungo che inizio a pensare che non risponderà e basta, ma alla fine sospira e inizia, abbassando la voce.
- Chiunque altro lo avrebbe tirato fuori molto prima, certamente lui me lo sarebbe venuto a sbattere in faccia senza aspettare mezzo secondo, - E sarebbe stato carino se avesse deciso di evitare tutti questi giri di parole e optare per una spiegazione chiara ed immediata, del tipo “Ho detto cosa X riferendomi al fatto X per il motivo X”, il genere di capacità di sintesi che ti aspetteresti da un Corvonero alle quattro del mattino, ma non pare questo il caso. Non pare nemmeno il caso di avere un soggetto. - Ma non l’ho fatto perché non sono come lui. Tutta questa storia, le continue frecciate e le battutine, trovo il tutto ridicolo e infantile ed ero onestamente convinto di essere superiore e perfettamente in grado di ignorarlo, ma sa come trascinare la gente al suo livello, devo concederglielo.
- Stiamo parlando di Potter, giusto?
Voglio dire, nella mia testa è evidente che stiamo parlando di Potter, ma è anche vero che nella mia testa è sempre evidente che il soggetto è Potter quando qualcuno parla male di qualcun altro senza specificarne il nome, come quella volta che la Tassorosso seduta al tavolo vicino al mio in Biblioteca continuava a lamentarsi di come quella sgualdrina le avesse soffiato il ragazzo e la mia testa continuava ad associare in automatico sgualdrina e Potter, perché se una parola ha un’accezione negativa allora dev’essere perfetta per Potter, anche quando chiaramente non lo è.
Non è questo il caso comunque, perché Dean annuisce e i suoi occhi aggiungono ‘non era ovvio?’ e i miei occhi non sanno bene come rispondergli che per me è sempre troppo ovvio, così gli dicono solo ‘continua che ho sonno’, o almeno è quello che mi piacerebbe che i miei occhi comunicassero, se solo io sapessi comunicare con gli occhi.
- Ok, quindi, Potter. Certo. Potter, - ricapitolo quando noto che Dean è troppo impegnato a lanciare occhiate risentite in direzione dei Malandrini per continuare a fare luce sulla bizzarra situazione che ha portato le nocche di Black a scontrarsi con il suo naso. -  Cosa significa che ha pensato che una ragazza lo baciasse? Te ne accorgi no, se qualcuno ti sta baciando? Come fai a scambiarlo per qualcun altro?
È una cosa così stupida da fare. Solo Potter potrebbe farsi baciare da qualcuno e poi scoprire di aver baciato qualcun altro. Come se poi fosse normale farsi baciare così, dalla prima che passa, senza prima scambiare almeno due parole per accertarsi dell’identità altrui.
- Pozione Polisucco, - dice Dean. – La sera del ballo del LumaClub.
- Pozione Polisucco? Ma perché mai qualcuno dovrebbe, - La sera del ballo, lo stesso a cui Potter si è fatto accompagnare da... – Aspetta, Lizzie Carson? È lei che ha preso la pozione? – Dean annuisce ed io subito la cerco con lo sguardo, localizzandola dall’altra parte della Sala con la sua amica Allison. Dopotutto Alice aveva ragione: era successo qualcosa. – L’ha presa e poi ci ha provato con Potter per avere la conferma che a lui non fregava nulla di lei, è andata così? – continuo sottovoce, sentendomi molto intuitiva e molto cospiratoria al tempo stesso. Se solo Alice sapesse che ora io so una cosa che lei non sa… Resta l’interrogativo su come Lizzie si sia procurata la pozione Polisucco, che poi non le serviva nemmeno per scoprire l’ovvietà del secolo: non è come se a Potter fregasse di qualcosa o qualcuno al di là di se stesso e dei suoi amici. – Ma tu perché sai una cosa del genere?
- Sono in squadra e in stanza con Daniel, - Dean sembra convinto che questo spieghi tutto e subito inizio a riflettere su chi possa essere questo Daniel e che ruolo possa ricoprire nella vicenda. Sono quasi giunta alla conclusione che si tratti di un Alice al maschile, colui che si occupa di sapere tutto e far circolare le notizie all’interno della Torre di Corvonero, quando Dean aggiunge: - Il ragazzo della migliore amica di Lizzie.
- Oh, - dico, riflettendo sulla faccenda. - Beh, avresti potuto evitare di dirlo davanti a tutti.
- Prego? – Dean sgrana gli occhi. - Ora non dirmi che non se l’è meritato.
- Ma chi, Potter? – Ed è il mio turno di sgranare gli occhi ora. - Certo che sì, ma non è a lui che hai fatto un torto. Credo che tu abbia messo in imbarazzo Lizzie più che altro, voglio dire, dubito che fosse Potter tra i due a non volere che si sapesse.
Dean mi soppesa scettico, inarcando un sopracciglio.
- E Black mi ha rotto il naso per Lizzie, giusto?
- Black si sentirebbe legittimato a prenderti a pugni anche solo se lanciassi un’occhiata di traverso a Potter, figurati, - sbuffo con un’alzata di spalle. - E tu hai osato tenergli testa invece di subire e basta.
È tutto molto chiaro e semplice, ma Dean mi guarda come se in realtà nulla lo fosse e continua a guardarmi così per diversi secondi, in silenzio, prima di sospirare.
- Lily.
- Mh?
- In chi credi che si sia trasformata Lizzie Carson prima di baciarlo?
- Non lo so, - rispondo perplessa. - Una qualsiasi bella ragazza di Hogwarts o...
- Eri tu.
Le parole mi muoiono sulle labbra ed io lo guardo spiazzata, realizzando.
Lizzie Carson ha usato le mie labbra per baciare quelle di James Potter e questo è così sbagliato in ogni modo in cui la si guardi. Si sono baciati usando la mia bocca ed improvvisamente sento l’urgenza di prenderli a pugni tutti e due.
- La ragazza dietro a cui Potter muore, - continua Dean ed io mi distolgo dalle sensazioni violente che stanno pervadendo il mio stomaco per concentrarmi su di lui. - Sei tu.
Sono ancora frastornata dalla notizia e dall’immagine di Lizzie Carson che si avvicina alla faccia di James Potter con la mia faccia e ci metto un po’ a cogliere del tutto il significato delle sue ultime parole. E quando lo colgo, la mia risata incredula risuona per la Sala, attirandomi l’occhiata ammonitrice di Alice, ora che gli incantesimi insonorizzanti sono cessati.
Dean mi guarda spiazzato.  
- No, scusa, scusa, mi dispiace, - Quando noto una punta d’esasperazione nei suoi occhi, mi sforzo di smettere di ridere e gli poso una mano sul braccio, conciliante. - Voglio dire,  capisco perché lo pensi. È perfettamente logico dal tuo punto di vista, hai ragione.
- Il mio punto di vista, - ripete atono Dean, che chiaramente non afferra la situazione.
- Sì, insomma, tu non conosci Potter e lui non ha fatto che prenderti di mira da quando abbiamo iniziato ad uscire, oltre a tutta la storia dell’invitarmi ogni volta che ci sono le uscite ad Hogsmeade, sempre avendo cura che tutti sentano, quindi davvero, lo capisco: chiunque penserebbe che è geloso.
- Chiunque tranne te.
- Chiunque tranne me, il resto della Casa di Grifondoro e in generale chiunque conosca Potter, - lo correggo. – Ascolta, se fosse un ragazzo qualsiasi, allora avresti ragione. Ma lui non funziona in modo normale, non puoi leggere le sue azioni come interpreteresti quelle di un normale essere umano.
Il sopracciglio di Dean si inarca interrogativo.
- Potter non è un essere umano?
- Esatto, - annuisco convinta, prima di aggrottare la fronte. - Beh, è un essere umano ovviamente, letteralmente parlando, ma tu non puoi aspettarti che agisca come tale.
Quando Dean apre la bocca, mi basta il suo sguardo per capire che qualunque cosa stia per dire non sarà utile alla mia causa e così lo precedo.
- Ok, ok, aspetta, è come con i manici di scopa, no? – Non sono sicura di dove voglio andare a parare con questo, ma Dean è un Corvonero e i Corvonero amano le metafore, giusto? No, chi voglio prendere in giro, sono io che amo le metafore. - Ne esistono diversi modelli e ciascuno con le sue caratteristiche specifiche, ma da ognuno puoi comunque aspettarti un certo comportamento di base, comune a tutti: il fatto che siano scope per esempio, e che rispondano ai tuoi comandi e servano fondamentalmente per volare. Le classiche cose da scopa, no? E queste sono le persone normali, mentre Potter non è solo un modello di scopa diverso, no, lui è proprio tutta un’altra cosa, lui è, lui è… - Mi porto una mano al mento pensosa, lanciando un’occhiata al soggetto in questione dall’altra parte della sala. E poi l’illuminazione. - È un aspirapolvere. 
- Potter è un aspirapolvere?
Dean ha l’aria perplessa, ma io annuisco con convinzione.
- Esatto, - confermo. – Un aspirapolvere.
- Che cos’è un aspirapolvere, Lily?
- È un apparecchio babbano che serve ad aspirare la polvere dai pavimenti e dai tappeti, - spiego pratica. - Una sorta di scopa elettrica che si crede migliore e più evoluta delle altre scope quando in realtà non ci vuole nulla a staccarle la spina e farle abbassare la cresta, e voglio vedere poi quanto è talentuosa e funzionale senza corrente.
- Non ti seguo, - dice Dean e lo dice anche la sua espressione.
- È proprio questo il punto: non puoi, perché non sai nulla di tecnologia babbana o di cosa sia una spina o la corrente e Potter è esattamente questo, qualcosa di a te sconosciuto e di cui non capisci il funzionamento, - concludo.
- Lily, - Dean sospira, portandosi stancamente una mano alla tempia. - Ti chiede continuamente di uscire e ce l’ha con me da quando siamo andati ad Hogsmeade insieme: gli piaci e la tecnologia babbana non può cambiarlo. 
Ed ora sono io a sospirare frustrata, perché ho appena usato così tante parole per rendere chiaro e sensato anche per Dean quello che per me lo è già, quando è proprio a questo che servono le parole, rendere sensate nelle teste degli altri le cose che nella tua lo sono già, e apparentemente è stato tutto inutile, perché c’è come una barriera tra le sue orecchie e le mie labbra contro cui ogni mio ragionamento continua ad infrangersi.
- No, non funziona così, ok? – Insisto, determinata a fargli capire la portata del suo errore. - So perché lo pensi e lo penserei anch’io se non lo conoscessi, ma non è così che funziona Potter: lui non dice quello che pensa e non pensa quello che dice. E la sua, al di là di quello che può sembrare, non è gelosia, è competitività.
Competitività è la parola che riassume l’essenza di Potter meglio di ogni altra e quando la pronuncio quasi mi aspetto che Dean si illumini di comprensione, ma lui continua ad avere quello sguardo a metà tra l’accondiscendente e lo scettico che è l’ultimo che una persona che sta cercando di spiegare qualcosa di basilare vorrebbe vedersi rivolgere.
- Non mi chiede di uscire perché ha sinceramente voglia di passare una giornata ad Hogsmeade con me, vuole semplicemente che io gli dica di sì, perché nel suo egocentrismo non concepisce come qualcuno possa rifiutarlo.
E mentre cerco di far capire a Dean con che soggetto sono costretta ad avere a che fare da sei anni, mi ritrovo a dover scacciare il pensiero dell’ultima volta che qualcuno vicino a me è arrivato a questa conclusione sbagliata. Tu gli piaci, tu piaci a James Potter!
- È come quando da bambino vai al parco con gli amici, - inizio cauta, questa volta più lentamente. Ed è l’ultima metafora ponderata che intendo sprecare sulla questione, dopodiché Dean sarà lasciato alle sue convinzioni, perché questo è peggio di quella volta che ho dovuto spiegare otto volte a quella ragazzina del secondo anno come pestare le radici di valeriana per la pozione rasserenante. - Vai sull’altalena e giochi con gli altri giochi e ignori lo scivolo, perché non ti piace. Ma se qualcuno ci sale, allora improvvisamente vuoi a tutti i costi salirci anche tu e ti senti frustrato se resta occupato per troppo tempo, perché lo vorresti vuoto, lì a tua disposizione.
- Probabilmente tu eri un bambino maturo e responsabile e non ti succedeva, - aggiungo. - Ma è abbastanza comune. E a qualcuno succede anche da adulto, e non solo con i giochi, ma con le persone. Ed è così, semplicemente, a Potter non piace lo scivolo, ma, da bambino viziato quale è, vuole sapere che se volesse, avrebbe campo libero. Se arriva al parco e scopre che c’è un cartello con scritto ‘vietato salire’ appeso allo scivolo, allora ecco che fa di tutto per cercare di staccarlo e salirci lo stesso, solo per dimostrare a se stesso e agli altri che può, che nessun gioco gli è precluso.
È mentre rifletto se sottolineare come un aspirapolvere non potrebbe tuttavia mai riuscire a salire la scaletta dello scivolo confonderebbe Dean ulteriormente, che lui emette un suono a metà strada tra uno sbuffo e una risata trattenuta e scuote lievemente la testa.
- Davvero, Lily, apprezzo i tuoi paragoni fantasiosi, ma fidati di me quando ti dico che a Potter piace da impazzire lo scivolo.
E quindi è così, non importa quanto io possa impegnarmi nel rendere la verità sempre più chiara ed elementare, Dean resterà semplicemente convinto che Potter ha una cotta per me, perché è così che ha deciso. E poi dicono di noi Grifondoro che siamo testardi.
Non mi resta che lasciarglielo credere, se proprio ci tiene, eccetto che noi Grifondoro siamo testardi proprio come dicono e così ci provo un’ultima volta.
- Chi l’ha detto che è cotto di me, Lizzie? – Ed ora sono io a rivolgergli lo stesso sguardo scettico che mi ha tenuto puntato addosso fino ad ora. - Non lo ha mai frequentato prima di quest’anno, non sa nulla che io non sappia. E suppongo che sia più facile per lei credere che il ragazzo per cui ha sempre avuto una cotta non l’abbia voluta perché perso di un’altra, piuttosto che accettare che è solo perché si è presa una cotta per un egocentrico presuntuoso che non vede nessuno oltre a se stesso.
E mi sento un po’ in colpa ora, perché in realtà mi dispiace per Lizzie, che prendersi una cotta per Potter non lo augurerei al mio peggior nemico, eccetto che il mio peggior nemico ha in effetti già una cotta per Potter, essendo egli stesso Potter. Non che Potter sia davvero il mio peggior nemico, quando troverei stupido e ridicolo avere nemici a diciassette anni appena compiuti, ma se avessi un peggior nemico, allora quello sarebbe sicuramente Potter. Potter e quel Grifondoro non ancora identificato che finisce sempre tutto lo sciroppo d’acero a colazione. E per quello che ne so, potrebbero anche essere la stessa persona. 
- Nessuno ama i ragionamenti astrusi e cervellotici più di me, Lily, parola di Corvonero, - Dean sorride. - Ma nonostante questo, se c’è una cosa che Aritmanzia mi ha insegnato, è che la spiegazione più semplice è di solito quella giusta. E se un ragazzo si comporta come se fosse geloso, probabilmente è geloso. E se ti chiede di uscire, è perché vuole uscire con te.
- Un ragazzo, esatto, - concordo. - Ma tu continui a dimenticare il fattore James Potter. Non è un ragazzo e basta. È un aspirapolvere. È pazzo. Ed è il modo in cui opera, il fatto di dover piacere a tutti, di non sopportare di perdere. È la cosa più semplice del mondo.
Davvero, so che non sei convinto, ma è così, fidati di me. Il mio seme, quello che ho vinto a pozioni, ha l’effetto del Veritaserum. Salirei a prenderlo e lo darei a Potter per fartelo dire direttamente da lui che non prova assolutamente nulla nei miei confronti se non dispetto perché non riesce a piacermi. Ma sarebbe un modo idiota di sprecare il mio premio, ascoltare qualcosa che già so, senza contare che poi Potter mi prenderebbe in giro a vita se gli facessi domande sui suoi inesistenti sentimenti per me.
Dean mi soppesa per qualche secondo, prima di spostare lo sguardo su Potter, che armeggia con i dischi di Mike vicino alla porta d’ingresso della Sala. Poi torna a incrociare i miei occhi e accenna un sorriso.
- C’è un motivo se non sei a Corvonero.
Le mie nocche colpiscono il suo braccio con prontezza, ma ora sto sorridendo anch’io.
- Comunque, Lily, - aggiunge piano, avvicinandomi a sé. - Mi bastava solo che dicessi che è a te che non interessa Potter.
- Ora questa è una cosa che non avrò mai bisogno di specificare, - commento con una risata, rigirandomi tra le sue braccia. - Ma se proprio ci tieni, - aggiungo in un sussurro, avvicinando le labbra al suo orecchio. - Non mi piace e mai potrebbe piacermi James Potter.
Dean sorride, prima di baciarmi.
- È tutto quello che volevo sentire.
 
 
 
 

La Sala è quasi tornata al suo ordine originario e quando io e Alice, seguite da Dean, ci avviciniamo al gruppetto formato dai Malandrini ancora in piedi, pare che tutti facciano particolare attenzione a dove posare gli occhi. Potter non li stacca da Alice, come se si fosse avvicinata da sola, mentre Dean sembra deciso a riconoscere l’esistenza di Lupin soltanto tra i Malandrini ed è il solo su cui si permette di posare gli occhi. Il modo in cui Black invece continua a fissare proprio lui, come a sfidarlo a rendergli il colpo, spinge me a riservargli un’occhiataccia.
- Quindi, dato che abbiamo quasi finito di ripulire tutto, mi chiedevo...- inizia Alice, lievemente in imbarazzo. Per quanto possa essere in imbarazzo Alice,  che è in realtà molto poco. -  Se volessimo tornare nella Sala Comune, questo sarebbe un buon momento? Strategicamente parlando intendo.
- Beh, dovremmo controll-pensarci, dovremmo pensarci, - Potter si volta verso i suoi amici. - Chi ha la...voglio dire, chi ha la disposizione d’animo migliore per pensarci? Remus? O...Sirius?
- Ce l’ho io, - risponde Lupin pacato. - Ora la uso, la mia disposizione, e poi vi faccio sapere.
- Ok. Riesci a pensarci meglio da solo, vero? – chiede Potter.
- Sì, mi concentro meglio quando nessuno mi guarda, - Lupin annuisce. - Credo che andrò a pensarci nella Sala Trofei.
Lupin si allontana e un silenzio teso piomba tra noi.
Dopo qualche secondo Alice si schiarisce la voce.
- La...disposizione d’animo di Remus, o come vogliamo chiamarla, qualunque cosa sia, è un metodo sicuro, giusto? Senza possibilità di errori, del tipo ‘la strada è sicura’ e invece non era sicura?
- Nessun margine di errore, - assicura Potter. – La disposizione d’animo di Remus è...molto precisa.
- Questa conversazione è ridicola, - constato.  
- Tante cose sono ridicole, - ribatte subito Black e per qualche motivo ha tutta l’aria di essere una frecciata, così mi volto verso di lui pronta a rispondergli, ma nello stesso momento la porta della Sala Trofei si spalanca e Remus ne esce di fretta, chiamando tutti a voce alta.
- Abbiamo un problema, tutti quanti, ascoltate: la McGranitt sta venendo qui.
- Come lo sai? – Alice spalanca gli occhi, mentre io mi irrigidisco al suo fianco.
La McGranitt sta venendo qui e sta portando la sua accetta con sé. La lama striscia sul pavimento di pietra affilandosi ulteriormente ed emette un rumore metallico che posso  udire al di là del mormorio concitato diffusosi attraverso la Sala alle parole di Lupin.
- Non ha importanza, lo so e basta, - taglia corto Lupin, con tono grave ma controllato, mentre io riesco già a sentire la mia testa meno attaccata al collo ogni secondo che passa. - Sta venendo dritta qui e c’è un Prefetto di Serpeverde con lei, quindi sa che siamo qui: non dobbiamo lasciarle nessuna traccia a cui appigliarsi.
Non lasciare nessuna traccia, mi ripeto automaticamente. Non è il piano che avrei escogitato io per far fronte alla situazione, quello sarebbe stato qualcosa di più simile a correre il più lontano possibile da qui senza guardarmi indietro, ma se c’è una persona che sa come tenere le teste degli altri attaccate al loro collo quella è Lupin e il fatto che i suoi amici hanno ancora tutti e tre delle teste ne è la prova. Osserva Lupin, Lily, da brava, osservalo mentre si tiene la testa sul collo e cerca di imitarlo.
Spero solo di non finire come Nick-quasi-senza-testa, non mi sono mai piaciute le vie di mezzo.
- Mantenete la calma, tutti quanti, smettete, no, fermi, fermi! – Non sono l’unica ad aver eletto Lupin come nuova guida spirituale e quando la Sala precipita nel caos gli bastano poche parole per riportare la calma. - Ok, ora, non rifatelo più, quella cosa del correre ognuno da una parte all’altra in preda al panico, non è così che funziona tutta la storia dell’infrangere le regole e non essere espulsi. Ognuno faccia evanescere più cose che può, presto.
Tutti riprendono a sistemare la Sala questa volta  con molta più fretta ed osservando la calma ed il controllo di Lupin mi concedo per un attimo di credere davvero nell’eventualità che la mia testa resti attaccata al collo. Poi Lupin si volta verso i suoi amici e sempre con la massima calma dice:
- È troppo vicina, non esiste nessun possibile scenario in cui non verremo colti tutti in flagrante ed espulsi.
Mi sento così tradita ora.
- Ma ci siamo quasi, - protesta Alice. - Due minuti appena e avremo fatto sparire tutto! 
Remus scuote la testa.
- Non è quello il problema: non ci stiamo tutti sotto il mantello e la McGranitt sta venendo dritta qui: se non usciamo immediatamente resteremo bloccati.
Osservando Lupin, anche il mio cervello decide infine di attivarsi, e solo per confermare quello che ha già detto lui: siamo bloccati. Non c’è modo di uscirne. La McGranitt è con il Prefetto di Serpeverde, quindi sa e se ce ne andiamo lasciando anche solo una sedia fuori posto sarà l’unica prova di cui avrà bisogno in aggiunta alla soffiata del Serpeverde. E se non ce ne andiamo subito, lasciando ben più di una sedia fuori posto, allora non le servirà alcuna prova, perché ci coglierà sul fatto.
È finita, non esiste più alcun ipotetico finale di questa serata in cui la mia testa continuerà ad essere attaccata al collo.
- Prendi la tu-sai-cosa e portali via, - interviene improvvisamente Potter, rivolto a Lupin. - Resto io a finire.
- Ti aiuto, - dice subito Black.  
- Sirius, ho il mantello, - replica Potter ragionevole. - Remus non può riportare metà Casa di Grifondoro alla Torre da solo con Peter ancora mezzo stordito.
Black pare sul punto di dire qualcosa, ma Lupin lo precede sbrigativo.
- Ha ragione, Sirius, mi servi per i passaggi e possiamo sempre avvisarlo dallo specchietto quando la McGranitt starà per entrare, - Poi si gira verso Potter. - Ma tu non puoi comunque ripulire tutto da solo in tempo, qualcuno...
- Resto io, è la mia festa, - dicono le mie labbra prima che io possa fermarle e quando tutti mi guardano spiazzati è come se la mia testa si fosse già staccata dal collo.
 


 
 
Quando l’alta porta di quercia si chiude alle spalle del gruppetto sussurrante, il silenzio avvolge la Sala, interrotto solo dal veloce strisciare delle sedie che vengono raddrizzate e rimesse al loro posto.
- Sono troppi, - mormoro preoccupata. – Come faranno ad arrivare alla Torre senza che nessuno li veda?
Una parte di me ci terrebbe a ricordare a tutte le altre parti di me che la preoccupazione più imminente al momento dovrebbe essere come farò io ad arrivare alla Torre, che almeno i miei compagni ci stanno andando proprio ora, mentre io resto qui come un’idiota sul luogo del delitto. Le altre parti di me tuttavia sono già troppo in preda al senso di colpa per potersi concentrare sulla possibilità della mia disfatta piuttosto che su quella dei miei invitati: d’altro canto è il mio compleanno e se ci dev’essere una decapitazione è solo logico che sia la mia.
C’è anche il fatto che non mi sento più così agitata, in realtà.
È ridicolo, certo, sono nella Sala Grande nel bel mezzo della notte ricoperta e circondata da segni di evidente colpevolezza, con una furiosa McGranitt diretta qui insieme alla spia Serpeverde e invece di prepararmi al peggio come ogni persona dotata di buonsenso farebbe, mi sto lasciando sopraffare da un insolito senso di calma.
È del tutto irrazionale, ma ora c’è una piccola e tuttavia prepotente parte di me convinta che ne uscirò indenne.
- Ci arriveranno, - Potter scrolla le spalle, facendo evanescere i bicchierini di carta abbandonati sul pavimento. - Sirius e Remus sanno come fare. E anche la metà sobria di Peter.
I suoi capelli sono particolarmente ridicoli in questo momento, con le ciocche che non prendono la stessa direzione nemmeno per errore e quella che sembra una sostanza appiccicosa a incollargli le punte da una parte. C’è stata una battaglia di cibo ad un certo punto e non fingerò di non essere consapevole della possibilità che ci siano liquidi e corpi estranei anche tra i miei capelli, ma resta il fatto che in nessun mondo dovrebbe aver senso trarre calma da una persona con dei capelli del genere, specie se quella persona è Potter. Eppure è esattamente quello che sta succedendo, perché la sicurezza e la totale nonchalance di Potter stanno lentamente filtrando dai suoi capelli ai miei, andando a nutrire la convinzione che in qualche modo ne usciremo sani e salvi.
Deve avere a che fare con la sua arroganza che ha raggiunto livelli tali da diventare contagiosa e con il fatto che Lupin non è l’unica persona ad eccellere nell’arte del non essere decapitato dai professori. È anzi possibile che Potter sia persino più abile di lui in essa, perché senz’altro la voglia e le occasioni che offre ai professori di decapitarlo sono infinite, e nonostante tutto eccola lì la sua testa, gonfia e pomposa e galleggiante a mille metri dal suolo, ma ancora attaccata al collo.
- Sicuramente tu hai fatto cose peggiori di questa, sì? – Cerco di convincermi, chinandomi a far evanescere una patatina spiaccicata a terra. – Senza essere espulso o decapitato.
Potter sta perlustrando la Sala con lo sguardo, alla ricerca di qualcosa fuori posto, e quando si volta infine verso di me c’è qualcosa di stonato e quasi teso nei suoi occhi, in pieno contrasto col tono tranquillo.
- Abbiamo il mantello, Evans. Quando la McGranitt sarà qua fuori ci avviseranno e ci nasconderemo: nessuna decapitazione o punizione in vista, - C’è qualcosa di losco nel modo in cui è così sicuro che gli altri Malandrini sapranno indicargli l’esatto momento in cui la McGranitt starà per fare il suo ingresso, qualcosa di losco e che ha certamente a che fare con la cosiddetta disposizione d’animo di Remus, ma prima che io possa decidere se indagare ulteriormente o meno qualcos’altro di ancora più stonato passa come un lampo negli occhi di Potter ed improvvisamente ecco la sensazione di calma e tregua momentanea sparire dal mio corpo, mentre qualunque cosa i suoi capelli stessero trasmettendo ai miei si rompe con un crack e precipita al suolo. - Certo, il mantello ci avrebbe coperto meglio in due, ma il tuo ragazzo non sa proprio capire quando la festa è finita a quanto pare.
Dean, che ha insistito per restare con me, è intento a far sparire le ultime briciole dal tavolo dei professori, troppo lontano per aver sentito, ed io alzo gli occhi al cielo esasperata: neppure l’ultima trovata di Black ha soddisfatto il suo animo da bambino capriccioso, deve ancora infierire. Sono lì lì per chiedergli scocciata quando compirà almeno dodici anni, ma i miei occhi captano qualcosa di anomalo sul soffitto della Sala ed è un’altra la domanda che mi esce dalle labbra.
- È una cravatta quella?
Potter segue la direzione del mio sguardo fino al pezzo di stoffa rosso e oro penzolante dal braccio di uno dei grandi candelabri dorati che volteggiano contro il cielo stellato e subito annuisce.
- È la cravatta di Remus.
- E che ci fa lassù? Anzi, non importa: come la tiriamo giù?   
- La appelliamo, - Potter estrae deciso la bacchetta, prima di aggrottare la fronte. – Oh, aspetta. Perché è legata? Io non l’avevo legata.
- Beh, qualcuno l’ha legata, - constato fissando la stoffa arrotolata strettamente al candelabro. – Non possiamo appellarla, rischiamo che si porti dietro il candeliere e allora sì che siamo finiti.
- Evanesco? – propone incerto e probabilmente lo stesso spiacevole scenario sta attraversando sia la mia che la sua mente: l’ultima cosa che ci serve è far scomparire per sbaglio un intero candelabro. 
- Da quaggiù? – chiedo scettica, guardandomi attorno alla ricerca di una soluzione. Ci serve solo un oggetto da far volare lassù che possa appigliarsi alla cravatta, oppure... – Dean! Lo sgabuzzino di fianco alla Sala Trofei, presto! – Dean, che stava venendo verso di noi, si blocca perplesso, la porta della Sala Trofei proprio alle sue spalle. – Gazza ci tiene delle vecchie Scopalinde mezze rotte, prendine una!
Continua ad avere un’aria spiazzata, ma la fretta nella mia voce lo spinge a fiondarsi nella Sala Trofei senza fare domande.
- Ci sali tu, - informo subito Potter, che quelle scope hanno più anni di tutti noi messi insieme e se la decapitazione è perfetta per me, la morte tramite caduta è tutta sua.
- Ok, - accetta subito, perché probabilmente è così che ha sempre sognato di morire, oppure perché, checché ne dica, l’ha effettivamente legata lui così stretta quella stupida cravatta.   
Il silenzio aleggia nella Sala per qualche secondo, poi qualcosa dentro di me scatta.
- Devi lasciarlo in pace, Potter, - sbotto all’improvviso, attirandomi un’occhiata sorpresa. – Battutine e frecciatine? Ok, fa’ pure il bambino se vuoi, ma rompergli il naso è oltre il limite.   
Probabilmente non è il momento migliore per affrontarlo e ogni parte di me se ne rende conto,  ma vedere la sua ridicola espressione innocente e quasi indignata non fa che istigare la mia voglia di dargli una testata dritta in faccia, giusto per rendere pari il numero di nasi rotti.
- Fammi capire, sarebbe colpa mia se il tuo ragazzo si fa prendere a pugni da qualcun altro?
Ed ecco che rigira tutto per uscirsene pulito. Tipico di Potter.  
- Non si è fatto prendere a pugni, Potter, - lo correggo irritata. - E non è qualcun altro, è Black, quindi certo che è colpa tua.
-  Wow, Evans, - Potter mi guarda beffardo. - Devi avere un udito eccezionale per essere riuscita a sentirmi dire Sirius, per favore, colpiresti Philips? dall’universo alternativo lontano anni luce in cui è accaduto. 
- Oh, come se avessi bisogno di chiederglielo, - ribatto scettica. – E hai iniziato comunque tu, con le tue frecciate sul Quidditch. Non ce la facevi proprio a goderti la serata senza fare lo stronzo per una volta, vero?
- Era un gioco, Evans, - Potter sbuffa spazientito, come se avesse qualche diritto di essere lui quello scocciato qui. - Se il tuo ragazzo è troppo delicato e sensibile per affrontare qualche battuta forse dovrebbe chiudersi nella Sala Comune di Corvonero e non uscire più.
James, avete finito? È quasi arrivata.
- Per te è tutto un gioco, vero? – Non è il momento, continua a ripetere una vocina dentro di me, una vocina completamente inutile, perché tutto quello che riesco a vedere ora è l’espressione risentita di Potter, la sua faccia tosta che non fa che infiammarmi di più. - Beh, sei pregato di lasciarne me e il mio ragazzo fuori e di risolvere qualunque problema ti causi il vederci insieme per conto tuo. E in silenzio possibilmente, grazie.
C’è un che di soddisfacente nel modo in cui le labbra di Potter si schiudono stizzite solo per non emettere alcun suono, mentre una volta tanto il proprietario resta senza nulla da ribattere. È questione di pochi secondi naturalmente e subito Potter fa per tornare all’attacco, ma di nuovo si blocca e questa volta non perché è senza parole.
 James, cazzo, hai sentito?! Mettetevi il dannato mantello!
C’è questo momento, in cui lo strano rumore di sottofondo che il mio cervello sta registrando già da un po’ senza prestarci vera attenzione acquista improvvisamente un senso e lo vedo nel lampo di comprensione che spalanca gli occhi nocciola di Potter che vale lo stesso per lui. Li abbassa sulla sua felpa, sul punto da cui sembra essere venuta la voce di Black, poi li rialza di scatto a incrociare i miei, nell’esatto momento in cui il grosso portone di quercia della Sala Grande scricchiola aprendosi.
Ho il cuore in gola e gli occhi ancora fissi in quelli di Potter, solo che all’improvviso c’è una specie di velo argenteo tra noi e quando la voce della McGranitt risuona per la Sala capisco cos’è appena successo.
- Signor Potter.

 
*
 
 
L’attimo in cui la voce di Sirius smette di fuoriuscire dai miei vestiti è anche l’attimo in cui realizzo che la voce di Sirius stava effettivamente fuoriuscendo dai miei vestiti e che avrei dovuto farci caso prima, perché se ora non lo sta più facendo vuol dire che la McGranitt è qui.
Evans ha ancora gli occhi spalancati in quello sguardo furente, con la differenza che ora sono allo stesso tempo terrorizzati e quando sento la porta aprirsi lo faccio prima ancora di averlo deciso: estraggo con uno scatto repentino il mantello dal tascone interno e lo lancio davanti a me, sopra di lei.  
Per una frazione di secondo, voltandomi verso la porta, ho paura che l’abbia vista sparire, ma è solo me che chiama.
- Signor Potter, - ripete la McGranitt, la voce vibrante di rabbia trattenuta. – Si spieghi. Che cosa ci fa qui?
C’è il Prefetto di Serpeverde di fianco a lei, il volto ricoperto di orribili pustole gialle, le stesse che dovevano essere la nostra garanzia che avrebbero rispettato l’accordo. Sono disgustose proprio come Remus gliele aveva descritte, enormi e rigonfie di pus, e hanno tutta l’aria di essere parecchio dolorose, ma Lynch continua a sorridere trionfante e la verità è che è stato idiota da parte nostra sottovalutare la portata dell’odio che i Serpeverde nutrono per noi.
In realtà è tutta questa situazione ad essere parecchio idiota, a partire dal fatto che sono in piedi nel bel mezzo della Sala Grande alle quattro di mattina con la mia Capocasa di fronte e tutto perché la mia cotta per Evans mi ha distratto.
- Non ne ho idea, professoressa. Si direbbe, - Mi guardo attorno circospetto. – Che io non stia facendo nulla. Un episodio di sonnambulismo probabilmente.
Il silenzio segue le mie parole e la McGranitt non muove un muscolo, continuando a inchiodarmi con lo sguardo gelido.
-  Lo sente l’odore di Whiskey Incendiario?
Il suo tono di voce è di qualche ottava più basso del normale ed io registro distrattamente il lieve tremolio del labbro superiore. Pessima situazione, James, pessima.  
- Oh, è Whiskey Incendiario questo strano odore dolciastro? – Spalanco gli occhi fingendomi sorpreso. - Mai sentito prima. La burrobirra è già troppo forte per me.
È il modo in cui la McGranitt chiude gli occhi per appena un secondo prima di riprendere a parlare. È il segnale.
- Che cosa le passa per la testa, signor Potter, - Le scosse nel suo tono basso e vibrante aumentano lentamente di intensità ed io devo zittire con forza il mio istinto che sta ora insistendo perché io mi metta a correre. - Per concepire anche solo l’idea di organizzare una festa a scuola? In Sala Grande?
Il segreto, quando tutto attorno a te suggerisce che è il momento di andare nel panico, è non andare nel panico. Alzare le spalle invece di portarsi le mani ai capelli e strapparli. Le labbra piegate in una smorfia annoiata invece che spalancate in un silenzioso grido d’orrore. Come se ci fosse un motivo chiaro solo a te per cui non hai nulla di cui preoccuparti, quando in realtà non c’è nulla a parte la merda in cui annaspare.
 - Questa? - Lascio correre gli occhi sulla Sala immacolata, evitando con cura di posarli sulla cravatta che penzola proprio sopra le nostre teste. - Non mi sembra un granché come festa.
Le labbra della McGranitt ora sono così pressate l’una contro l’altra da non avere più alcuna traccia di colore.
- Il signor Lynch viene da me avvisandomi di una festa in Sala Grande ad opera di diversi Grifondoro e recandomi qui trovo lei, Signor Potter, - Il Serpeverde al suo fianco arriccia un angolo della bocca in un sorrisetto vittorioso, salvo poi contorcersi in una smorfia di dolore quando una pustola pulsa vistosamente. Magari esplodesse e morissi soffocato nel pus, figlio di Morgana. – Vorrebbe farmi credere che si tratta di una coincidenza? 
- Beh, ringrazio il signor Lynch per l’alta considerazione, ma non chiamerei la mia sola presenza qui festa.
- In trent’anni, - L’improvvisa impennata nel tono della McGranitt mi fa quasi sobbalzare. - Non ho assistito a nulla del genere. E mai me lo sarei aspettata, neppure da lei, - Ricordo perfettamente di averle sentito dire qualcosa come ‘Mi aspetto qualunque cosa e qualunque colore da lei, signor Potter’ appena qualche mese fa, quando stavo cercando di convincerla che quella stupida puffola pigmea rosa non era il frutto di un traffico illegale di mia gestione, ma non sarebbe saggio farglielo presente ora.
- Signor Lynch, torni immediatamente nel suo dormitorio, - aggiunge secca e lui non se lo fa ripetere. Poi torna a guardarmi ed io posso quasi sentire i punti che escono uno dopo l’altro dal mio corpo come dalla clessidra di Grifondoro. - Dove posso trovare gli altri? Il signor Black?
- Sirius? - E tutto l’impegno che ci metto nel suonare stupito e confuso non fa che tramutarsi in una nota di panico nella mia voce. Errore da principianti. – Non saprei, suppongo stia dormendo.
Va leggermente meglio ora, la faccia di bronzo è di nuovo al suo posto e ho riacquistato il controllo della mia voce, ma qualcosa nell’espressione della McGranitt si scurisce all’improvviso ed è come se mille punizioni mi stessero colpendo contemporaneamente dritto in faccia.
- Signor Potter, - Ed ecco un’altra punizione tagliente proprio contro il mio naso. – La sua situazione è già abbastanza grave così, la avverto, non tollererò ulteriori mancanze di rispetto, - Due punizioni mi finiscono dritte nell’occhio sinistro, mentre il fiotto di punti persi continua a colarmi copiosamente dal naso, rendendomi difficoltoso mantenere un’espressione impassibile. - Voglio la verità.
La verità è che per un attimo ogni cellula del mio corpo preme affinché io mi volti ed indichi con entrambe le mani la porta socchiusa della Sala Trofei alle mie spalle, che trascinare Philips a fondo con me renderebbe questo momento così tanto più godibile.
Ma se c’è qualcosa che trovo persino più irritante di Philips e della sua stupida faccia, quelle sono le spie e così continuo a dare le spalle alla Sala Trofei.
- D’accordo, conosco l’odore del Whiskey Incendiario, ha ragione.
Tra le labbra sottili della McGranitt, proprio al di sotto della sua occhiata spazientita, riesco a intravedere la sagoma scura e fumosa dell’espulsione e così mi affretto a precederla:
- Ed ho organizzato una festa in Sala Grande, - Sospiro sconfitto con la giusta dose di sincerità, regolando contemporaneamente il pentimento negli occhi. - Ma Sirius non c’entra, davvero. Se va a controllare lo troverà a letto.
Lo scetticismo le ricopre tutta la faccia, ma la sagoma dell’espulsione sfuma lentamente. Uno a zero per me.
- Chi altri è coinvolto allora?
- Nessuno, - E questo è invece un autogol perché è così palese che sto mentendo che impegnarmici troppo la farebbe infuriare solamente di più. - Era una festa altamente esclusiva, c’ero solo io.
- Signor Potter.
E la sagoma nebulosa dell’espulsione riaffiora lentamente dalle sue labbra sottili.
Lo fa apposta, sa che riesco a vederla fare capolino e spera che mi spinga a cedere, ma non è come se non sapessi che non uscirà comunque da là dentro. Lo scherzo a Piton resta ad oggi il momento più buio nella storia dei Malandrini e farei qualunque cosa se potessi in qualche modo cancellarlo del tutto, ma se non altro costituisce un precedente: ha tracciato il limite, quello fino a cui ora sappiamo di poterci spingere senza che nessuno si becchi il cartellino rosso. Perché se Silente ha graziato Sirius quella volta, io devo impegnarmi molto più di così per guadagnarmi l’espulsione.
- Lei è già abbastanza nei guai, signor Potter, non aggravi la sua situazione non collaborando, - Ma il fatto è, l’espulsione non è mai stata la cosa peggiore che la McGranitt potesse farmi. – Credevo che volesse rifarsi quest’anno.
Il suo tono è molto meno adirato ora, quasi sconfitto, ma la saliva nella mia bocca è appena diventata particolarmente densa e difficile da deglutire. No, no, no. Non di nuovo.
- Non traggo alcun piacere all’idea di privarmi per la seconda volta del mio miglior giocatore, ma se non mi viene incontro è esattamente quello che sarò costretta a fare. Per il resto dell’anno, - Non sta succedendo, non sta succedendo, e invece sta succedendo. – Le sto dando la scelta, signor Potter: chi altri è coinvolto?
Il silenzio che segue mi pesa addosso come un macigno ed io sono solo vagamente consapevole di aver smesso di controllare la mia espressione.
Non posso credere di essere stato così idiota da farlo succedere di nuovo.
Philips ha fottutamente ragione ed io non potrò guardare la mia squadra in faccia mai più. Non potrò guardare me stesso in faccia mai più.
- Non c’è nessun altro, - ripeto sconfitto, ma fermo, piantandomi ben a fondo il coltello al centro del petto. Ahi. - Solo io.
Qualcosa di indecifrabile attraversa lo sguardo della McGranitt, qualcosa che soffia via in un sospiro stanco.
- La sua spilla, signor Potter.
 Un cenno della mano verso il mio petto e il coltello affonda di colpo di altri dieci centimetri, trapassando il cuore da parte a parte. Il sangue che schizza fuori a mo’ di fontanella dev’essere particolarmente vistoso, perché le labbra della McGranitt si stringono di nuovo l’una contro l’altra mentre mi guarda negli occhi, come se dovesse ritrovare la fermezza prima di darmi il colpo di grazia.  
- La spilla o un nome, signor Potter, - conclude inflessibile. - Avanti.
La C dorata di Capitano se ne sta sul mio petto come sempre dal quinto anno ed ogni parte di me cerca di spingere lontana la mano che vi si avvicina, ma non sono un traditore e quando la voce di Evans spezza il silenzio la spilla è già sul mio palmo teso verso la McGranitt.   
- Professoressa, l’ho organizzata io la festa: è il mio compleanno, - La porta della Sala Trofei si chiude alle sue spalle mentre Evans avanza decisa verso di noi. - Potter mi ha aiutato, ma solo perché gliel’ho chiesto io.
Gli occhi della McGranitt sono allargati in un’espressione di stupore che le fa ignorare la mia mano tesa verso di lei, ma suppongo che sia nulla in confronto allo shock sulla mia faccia. Dopo qualche secondo la mia mano si ritira automaticamente, le dita che si chiudono protettive attorno alla spilla, ma chiudere la bocca non si rivela altrettanto facile e sono contento che Evans non mi stia considerando di striscio al momento, gli occhi fissi in quelli della McGranitt.
- Ed è stata un fallimento perché nessuno a parte noi è così stupido da rischiare di farsi trovare in Sala Grande oltre il coprifuoco, - Prosegue Evans spedita, mentre io continuo a guardarla incredulo. È davvero appena successo quello che sembra sia appena successo? - Ed è per questo che ci siamo solo noi, può controllare. Se ha intenzione di togliermi la spilla da Prefetto perché non mi crede, allora gliela consegnerò, perché non posso darle i nomi di persone che erano e sono tuttora nei loro letti.
Il tempo si è come dilatato nella mia testa e non saprei quantificare la durata del silenzio che segue, mentre avverto gli occhi della McGranitt sostare anche su di me e non sono assolutamente in grado di ricambiarla con uno sguardo brillante o pentito o qualunque tipo di sguardo dovrei rivolgere alla mia Capocasa che mi becca con le mani nel sacco, gli occhi incollati ad Evans.
Non c’è traccia dell’agitazione di prima né della paura di essere decapitata a cui ha dato voce tutt’oggi mentre sostiene senza esitazione lo sguardo severo della McGranitt. Se non fosse che in realtà riconosco perfettamente la determinazione nei suoi occhi, considererei l’ipotesi che Evans non sia affatto Evans, perché ho imparato a mie spese che a volte quando fa cose che normalmente non farebbe, è perché in effetti non è lei.
Ma Lizzie è partita per la Torre con tutti gli altri e quella di fianco a me che si è appena apparentemente immolata alla McGranitt per togliermi dai guai sembra essere, contro ogni logica, Evans in persona.  
Non sono l’unico ad essere sconcertato.
- Signorina Evans, - dice infatti la McGranitt. - Lei mi sta chiedendo di credere che è stata qui tutta la notte da sola con il signor Potter?
Evans sospira.
- È per questo che sente odore di alcool, professoressa.
 



**********

- Alice, vieni su dai, - Mary mi lancia un’occhiata dalla cima delle scale. - Hai sentito Remus, è meglio se aspettiamo in camera, nel caso la McGranitt venisse a controllare anche quassù.
- Arrivo, - annuisco. Gli altri, su insistenza dei Malandrini, sono già spariti tutti nei dormitori e nella Sala silenziosa restiamo solo io e Frank.
- Frank.
- Mh?
- Mi sa che l’ho capita anch’io quella cosa, - dico. – Quella cosa che hai capito tu, intendo.
Frank smette di studiare corrucciato la macchia sulla sua cravatta per lanciarmi un’occhiata indagatoria, prima di alzare le spalle, vago.
- Oh, io non me la ricordo nemmeno più.
- Giusto.
Restiamo in silenzio un altro po’, poi io gli stampo un bacio sulle labbra e mi avvio verso la scala del dormitorio femminile, mentre lui prende la direzione opposta.
- Sarebbero una bella coppia, - aggiungo imboccando il primo scalino.
- Già, - concorda Frank.


 
**********
 
Ho diciassette anni da poche ore e ne ho già passata quasi mezza in piedi in Sala Grande di fianco a James Potter ad ascoltare la mia Capocasa illustrarmi per filo e per segno come sia sopraffatta dall’indignazione e dalla delusione per il nostro comportamento inaccettabile. Non è probabilmente in nessuna top ten di modi brillanti con cui iniziare la propria vita da adulti, ma è sicuramente sopra a decapitazione o ancora espulsione di massa e dopotutto si tratta solo di stare qui ferma ad annuire contrita, non è come se le parole della McGranitt potessero farmi fisicamente del male o compromettere in qualche modo la mia tranquillità interiore, se io non glielo permetto. È quello che mi piacerebbe credere, ma naturalmente possono, possono e lo stanno facendo.
Sto cercando di non darlo a vedere, ma il modo in cui le sue labbra stanno sparendo l’una contro l’altra, sempre più bianche e sempre più silenziosamente feroci, mi terrorizza: se urlasse e basta sarebbe meglio, ma quella vena vibrante di rabbia trattenuta alimenta la mia voglia di sprofondare nel pavimento e precipitare nelle cucine, dove i visetti amichevoli degli elfi domestici mi conforterebbero con qualunque cosa stiano preparando per colazione. Pensare agli elfi che cucinano sotto di noi mi infonde una nuova sicurezza, che Hogwarts va avanti e non si ferma solo perché la McGranitt mi sta guardando in quel modo, e prima o poi dovrà per forza smettere di parlare e lasciarci uscire da qui.
Che non può tenerci qui per sempre pare ricordarselo anche la McGranitt a un certo punto e si zittisce, iniziando a studiarci attentamente, come a quantificare l’effetto della sua ramanzina sui nostri volti.
- Signor Potter, se nelle prossime settimane la trovo anche solo con la cravatta annodata male, lei non toccherà la scopa per il resto dell’anno, no, per il resto della sua permanenza ad Hogwarts, ci siamo intesi?
Potter annuisce concitato, portandosi nervosamente una mano al colletto della felpa a sistemarsi una cravatta invisibile. 
- In quanto a lei, signorina Evans, alla prossima infrazione del regolamento perderà la sua spilla da Prefetto, è chiaro?
- Non accadrà, professoressa.
Mi esce un tono molto sicuro, ma il modo troppo rumoroso in cui deglutisco subito dopo rovina tutto.
La McGranitt ci squadra in silenzio per qualche altro secondo e pare infine soddisfatta del sottile stato di tensione nervosa e supplicante in cui ci ha gettato.
- Settanta punti in meno a Grifondoro, - Decreta. Ouch. - E vi voglio entrambi nel mio ufficio domani mattina alle nove in punto per discutere i termini della vostra punizione, - Le occhiaie, riesco già a sentire le occhiaie che mi scaveranno la faccia domani. - Ora tornate immediatamente nel vostro dormitorio. Fate una deviazione, una sola, per andare in bagno o qualunque altra cosa, e vi do la mia parola che sarete espulsi.
Subito scuoto decisa la testa, a sottolineare la totale impensabilità di un tale atto da parte nostra, mentre con la coda dell’occhio scopro che Potter sta invece annuendo vistosamente, a sottolineare la sua idiozia e la nostra mancanza di coordinazione.
La palpebra sinistra della McGranitt trema leggermente ed è il momento di congedarsi.
Schiudo le labbra solo per bloccarmi poi a riflettere se sia il caso di dire effettivamente qualcosa e se sì cosa, e se la mia punizione sarà resa più grave dall’augurarle o meno una buonanotte piuttosto che scusarmi o buttare lì un’osservazione sul sole che sta sorgendo al di là delle ampie vetrate della Sala, poi Potter si schiarisce la gola e scappa e così lo seguo.
È solo quando ci sono diversi corridoi e due piani a separarci dalla Sala Grande che mi permetto di rallentare il passo e il respiro, sospirando di sollievo. Bene, non è stato così disastroso. Tra qualche settimana forse riuscirò anche a guardare di nuovo in faccia la mia Capocasa senza sentirmi un insetto che sta per essere schiacciato.
- Mi stupisci, Evans, - Potter armeggia con la sua spilla per riattaccarsela al petto, come se da qui alla Sala Comune potessimo incontrare qualcuno a cui sfoggiarla. Mi chiedo se la lasci sul comodino almeno quando si fa la doccia o se se la appunti a sangue sulla carne nuda. – Sai mentire.
- Non mi ha creduto nemmeno per mezzo secondo, - Preciso, incerta se nell’ottica di Potter saper mentire sia un complimento o cosa. - Era solo una questione di fatti: io le ho fornito una versione palesemente falsa, ma tecnicamente plausibile. E lì c’eravamo solo noi, nella Sala perfettamente pulita. Solo la mia parola contro quella di Lynch, - Alzo le spalle. - E la mia parola è un po’ più credibile della tua.
Potter non ha nulla da obiettare e fino al quarto piano nessuno dice più nulla, poi lui spezza di nuovo il silenzio.
- Perché non sei rimasta sotto il mantello, Evans?
 - E tu perché me l’hai lanciato sopra?
Potter mi guarda corrucciato.  
- Te l’ho chiesto prima io.
Dato che ha ragione, decido di ignorarlo e di nuovo fino al piano successivo nessuno dice più nulla. Questa volta sono io a spezzare il silenzio.
- Perché non sono una stronza totale.
Sento il suo sguardo su di me per diversi secondi.
- Neanch’io sono uno stronzo totale.
- Eccetto che tu lo sei, - Lo correggo dopo un po’. - Uno stronzo totale.
- Ah sì?
- Sì.
- Mh.
Potter rimugina tra sé e non ha l’aria di voler aggiungere altro a qualunque cosa significhi quel mh e così procediamo in silenzio. Siamo quasi arrivati al settimo piano quando pare rendersi improvvisamente conto di qualcosa.
- Evans.
- Mh?
- Dov’è il mio mantello?
- L’ho dato a Dean.
Continuo a camminare per un altro po’ prima di rendermi conto che non ci sono più i passi di Potter accanto a me. Quando mi volto lo trovo fermo diversi metri più indietro, un’espressione attonita in viso.
- Cosa hai detto?
- L’ho dato a Dean, - ripeto, perplessa dalla sua reazione. Voglio dire, non era palese?
- Stai scherzando.
A quanto pare non era palese.
- No che non sto scherzando, Potter, cos’avrei dovuto fare, lasciarlo intrappolato nella Sala Trofei senza vie di fuga e nessuna protezione? – provo ragionevole.
- Sì! - L’esclamazione esasperata di Potter riecheggia nel corridoio vuoto, risvegliando i borbotti infastiditi di alcuni ritratti. - Se avesse seguito me e Remus quando abbiamo accompagnato gli altri Corvonero alla Torre non sarebbe rimasto intrappolato da nessuna parte!
Io lo guardo sconcertata dalla sua reazione eccessiva. 
- Ma si può sapere che problema hai?
- Il mio problema, - Potter chiude per un attimo gli occhi, come a invocare la calma. - È che tu hai dato il mio mantello a quel coglione del tuo ragazzo.
Il suo tono di voce è di nuovo ad un livello tale da non farci rischiare l’espulsione, in compenso ora è il mio a salire di qualche ottava.  
- E tra un paio d’ore a colazione lo riavrai come nuovo, santo cielo. Non è mica infetto, - sbuffo irritata. Non posso credere che stia facendo una scenata per una cosa così stupida. - Avresti preferito che me lo togliessi lì davanti alla McGranitt, così da fartelo sequestrare?
- Sì, avrei preferito che te lo facessi sequestrare piuttosto che darlo a Philips, - Potter pare deciso ad ostentare fino in fondo la maturità di un bambino di otto anni ed è il mio turno di evocare la calma ora. - E avrei preferito ancora di più che non te lo togliessi proprio.
- Beh, sai cosa? - Solo che non mi funziona mai questa storia dell’evocare la calma ed ora è contro di me che stanno borbottando infastiditi i dipinti. - Anch’io. Anch’io vorrei non essermelo tolta, e se potessi tornare indietro resterei lì sotto a guardare la McGranitt sbatterti fuori dalla squadra e ci godrei da matti, Potter, perché è quello che ti meriti. Sono stata un’idiota a volerti aiutare.
I cani che giocano a poker continuano ad abbaiarci contro dalla loro tela ed io ne afferrerei volentieri uno e lo strattonerei fuori dalla cornice, prendendo il suo posto, perché se dovessi giocare per il resto della mia vita a poker con un gruppo di cani di tempera allora vorrebbe dire che avrei comunque a che fare con soggetti più maturi e intellettualmente stimolanti di Potter.
- Esattamente, perché nessuno te lo aveva chiesto, - Sta appunto dicendo Potter, che oggi muore evidentemente dalla voglia di essere colpito in faccia da qualcosa di duro. - La prossima volta fatti gli affari tuoi.
- Godric, quanto non ti sopporto, - sbotto esasperata. - Non so come hai potuto pensare che fossi io a baciarti.
Potter sussulta spiazzato, perché evidentemente non si aspettava che lo sapessi, ma subito si riprende e alza le spalle indifferente.
- Beh, se ci avessi pensato ci sarei arrivato, - ribatte distaccato. - Ma non penso alle cose di cui mi importa meno di zero, Evans.
- Buon per te, Potter, perché per la cronaca, io non ti bacerei mai, - lo informo aumentando furiosamente il passo. - Prima che togliessi le mutande al mio migliore amico di fronte a tutta la scuola, ti ho detto che mi dai la nausea e se la mia intera vita è cambiata da quel momento, quella resta l’unica costante: tu, James Potter, continui a darmi la nausea e non potrei mai, mai baciarti.
- E te ne sono solo grato! E non pensare che io non abbia tratto un sospiro di sollievo quando ho scoperto che non eri tu, perché l’ho fatto eccome.
Tu gli piaci, tu piaci a James Potter.
Vorrei che Severus, Dean e chiunque altro nel pieno delle sue capacità sosterrebbe un’assurdità del genere fossero qui ora, per vedere coi loro occhi quanto James Potter è follemente innamorato di me. Come no. 
Cammina a passi veloci al mio fianco ed è palesemente convinto di essere lui quello col diritto di essere arrabbiato, è palese. Arrogante, viziato e insopportabile Potter.
Stiamo quasi correndo e quando lui si ferma di scatto per poco non gli vado a sbattere contro. Poi, senza degnarmi di uno sguardo, si volta dalla parte opposta e inizia a camminare spedito nella direzione da cui siamo appena venuti. 
- Che diavolo fai ora? – lo blocco perplessa afferrandolo per la manica della felpa.
- Vado a riprendermi il mio mantello, - replica freddo, sfilandosi deciso da sotto la mia presa.
- Ma sei impazzito? – gli sibilo contro. Solo questa ci mancava. - L’hai sentita la McGranitt, vuoi farti espellere? 
E il fatto è, essere ignorata da James Potter, che si allontana come se la mia voce fosse un irrilevante rumore di sottofondo, è in realtà sempre stato uno dei miei sogni impronunciabili, quelli troppo belli da essere anche solo immaginati, ma nel momento in cui succede e lo vedo procedere come se niente fosse, senza neanche degnarmi di una risposta, mi fa semplicemente perdere le staffe, più di qualunque altra cosa abbia mai fatto.
- Lo sai, cosa, Potter, - gli grido dietro infervorata, mentre la sua schiena si avvicina sempre più alla fine del corridoio. - Dean aveva ragione: sei un dannato egoista, e quella spilla non ti servirà comunque a nulla, perché troverai sempre un altro modo per farti squalificare dalla prossima partita o da quella dopo ancora!
E questa volta si gira a guardarmi.
- Esattamente, Evans. Il tuo stupido ragazzo ha ragione, quindi torna alla torre e lasciami in pace.
- È esattamente quello che intendo fare, - replico subito, il calore che mi infiamma le guance per la rabbia.
- E spero che tu venga espulso! – aggiungo in un grido stizzito mentre lui svolta oltre l’angolo alla fine del corridoio. 
Con uno scatto do le spalle al punto in cui è sparito e riprendo spedita dalla parte opposta, il respiro leggermente affannato.
Lo odio, lo odio, lo odio.
Perché deve farmi dire cose del genere, perché nella stessa sera deve coprire me col mantello invece di se stesso, come se fosse in qualche modo consapevole dell’esistenza di altre persone oltre a lui sul pianeta terra, e poi rovinare tutto due secondi dopo?
Non ne sono mai stata così convinta come ora, James Potter è un dannato aspirapolvere ed io raccoglierei la polvere manualmente granello per granello piuttosto che avvicinarmici di nuovo.

 
******
 
Sento l’impulso irrefrenabile di prendere a pugni il muro, ma non sono un idiota che si mette a litigare con un muro di pietra centenario per poi stupirsi di essersi fatto male e così non lo faccio.
Ho il bisogno quasi fisico di prendere a pugni quel fottuto muro, ma non sono un idiota e non farò a pugni col muro.
 
Sono un idiota.



 
 
**********
 
- Sei sicuro? – chiedo per l’ennesima volta a Sirius, prima di dare una piccola scrollata a Peter. – Pete, sveglia. Bevi un altro po’ d’acqua prima di dormire, fidati.
- Sto bene, mh, ho solo sonno, - sbiascica flebile contro il cuscino. 
- La tua testa domattina mi ringrazierà, forza, - insisto aiutandolo a mettersi seduto e porgendogli l’ennesimo bicchiere colmo fino all’orlo d’acqua fresca. Al momento sembrava la cosa migliore da fare e sono ancora convinto che sia stata una mossa molto astuta, affatturare Peter per indurlo a vomitare e distrarre così tutti, ma trovandomi di fronte il colorito pallido del suo viso ora mi sento terribilmente in colpa: non è probabilmente una di quelle cose che un amico dovrebbe fare.
- Sicuro, - conferma Sirius.
Un altro dei miei amici per cui mi sto attualmente sentendo terribilmente in colpa è James, che a detta di Sirius è stato colto in flagrante dalla McGranitt. Di nuovo, al momento sembrava la cosa migliore da fare, convincere Sirius ad aiutarmi a portare tutti i nostri compagni in salvo alla Torre e lasciare James col mantello e la certezza matematica che non sarebbe stato preso, che bastava controllare sulla Mappa quando la McGranitt sarebbe stata in dirittura d’arrivo e avvisarlo tramite specchietto. È quello che abbiamo fatto, ma James non ha risposto e Sirius è ora sicuro che sia stato scoperto, che il puntino suo e di Evans sono stati immobili sulla Mappa di fronte a quello altrettanto immobile della McGranitt troppo a lungo per non essere entrati in comunicazione.
Non è tecnicamente colpa mia, che tutto quello che doveva fare James era rispondere allo specchietto e infilarsi sotto il mantello per tempo, come concordato, ma allo stesso tempo è naturalmente colpa mia, perché se avessi lasciato Sirius con lui allora questo non sarebbe successo.
Sirius ha un’aria scocciata per l’appunto, ma non ha detto nulla riguardo a come l’ho convinto a non restare con James, quindi non mi è chiaro con chi ce l’abbia, o se anche solo ce l’abbia con qualcuno in particolare o in generale con tutti.
- Ti fa male la mano? – Chiedo notandolo mentre si massaggia distrattamente le nocche della mano destra. - Beh, forse dovresti pensarci prima di usarla per colpire la faccia delle persone.
Peter, che non è ancora evidentemente tornato nei ranghi di noi sobri, ridacchia di gusto e dato che sta bevendo emette un suono come di pernacchia e schizza acqua ovunque. Qualche goccia arriva ad aggrapparsi anche al cotone del mio pigiama ed io le accolgo senza nemmeno provare a spostarmi, che è esattamente quello che merito, gocce d’acqua sul mio pigiama.
- O forse le persone dovrebbero evitare di avere il grugno così duro, - sbuffa Sirius. - E perché dici le persone come se fossero una lista infinita: Dean Philips. Ho colpito Dean Philips e se l’è meritato.
Nonostante il peso dei diversi sensi di colpa che mi affliggono al momento, le mie sopracciglia riescono comunque a inarcarsi con grande prontezza.
- Ed esattamente perché se lo sarebbe meritato? Perché non ha incassato senza ribattere?
- Scusa, Moony, forse sei rientrato alla Torre sbagliata? – Sirius mi lancia un’occhiata ironica ed io alzo gli occhi al cielo. - Perché quella di Corvonero sta dalla parte opposta, la trovi sulla Mappa, guarda.
- Ora non essere ridicolo, lo sai benissimo da che parte sto, - sospiro. - Ma questo non mi impedisce di essere ragionevole e ammettere che James non ha fatto che provocarlo per settimane, - aggiungo pacato. - E se prendere a pugni Philips potesse essere d’aiuto a James, stai certo che lo avrei fatto io, sbagliato o no, ma non risolve nulla.
Non so se Sirius abbia o meno qualcosa da ribattere a questo, perché come finisco di parlare qualcuno bussa alla porta e noi ci guardiamo perplessi: l’ultima volta che abbiamo controllato la Mappa James stava tornando alla Torre e dovrebbe proprio essere lui, eccetto che se fosse lui non busserebbe.
Circospetto mi avvicino alla porta, gli occhi guardinghi di Sirius e Peter ad accompagnarmi.
- Potter è un idiota, - mi informa Lily Evans dall’altra parte non appena apro cautamente.
- Emm, - mormoro incerto su come reagire. Voglio dire, non è una notizia così sconvolgente, ma non è qualcosa che le persone si scomodano solitamente a venire in camera nostra per comunicarci. – Ok...?
- E si farà espellere, - prosegue spedita. - E sarei la persona più felice sulla faccia della terra se accadesse, ma se volete fare quello che fate, con quel vostro specchietto, e convincerlo a tornare, ecco, ora lo sapete e potete, perché io ve l’ho detto. Buonanotte.
Sto ancora processando le sue parole quando mi rendo conto che lei non è già più qui.
Questa giornata è così strana.
- Giuro solennemente di non avere buone intenzioni, - dice Sirius, mentre io mi avvicino per vedere coi miei occhi dove e come James ha deciso di farsi espellere. Non sono veloce come Sirius a sondare interi piani in pochi secondi e a districarmi tra le folle di puntini in movimento, ma essendo l’alba i corridoi del castello sono praticamente deserti e quando Sirius decreta che James non c’è smetto immediatamente di cercare.
- James? – Lo chiamo afferrando lo specchietto di Sirius dal comodino. La sua faccia questa volta compare dopo pochi secondi. - Sei sparito dalla mappa, sei nella stanza delle necessità?
- Sì, - annuisce.
- E cosa stai facendo?
- Niente.
Ripeto, questa giornata è così strana.
- E perché?
- Evans ha dato il mio mantello a Philips, - annuncia e di nuovo l’acqua che Peter dovrebbe bere trova la via per il mio pigiama. - Stavo andando a riprendermelo, ma mi sono ricordato che non posso trovare Philips mentre è sotto il mio mantello.
- Giusto, - concordo. Quello e tutta la storia di come nessuno abbia davvero bisogno di un altro faccia a faccia tra James Potter e Dean Philips prima che sorga il sole. - Potremmo cercarlo sulla mappa, ma ormai sarà sicuramente alla Torre.
- Già.
- Già, - ripeto e nessuno dice più nulla per un po’.
- Gli ha dato il mio mantello! – James sbotta indignato ed io avrei sobbalzato, se non fosse che stavo aspettando esattamente questo momento.
- Probabilmente era la cosa logica da fare, ma resta inconcepibile, certo, - annuisco condiscendente. 
- Dovemmo fargliela pagare, - si infervora Peter. – Con delle caccabombe.
- No, non dovremmo, - replico subito. - Bevi l’acqua, Pete.  
- Tra un po’ se la fa sotto, Moony, - commenta Sirius.
- Probabilmente è il suo piano, - aggiunge James dallo specchietto ed io torno a guardarlo. – Non gli è bastato farlo vomitare.
- È venuta a chiederci di usare lo specchietto, sai, - lo informo, ignorando la battuta. - Era preoccupata che ti facessi espellere.
James mi guarda.
Io lo guardo.
- O era preoccupata che trovassi Philips, - decreta infine ed io trattengo un sospiro.  
- Beh, comunque la strada è libera, - dico. - Torna qua.
- Arrivo.
La sua faccia scompare dallo specchietto ed io alzo gli occhi al cielo.
 
 

**********

Sono appena entrato in camera e la faccia di Remus sta già cercando di dirmi così tante cose senza nemmeno aprire bocca che subito sposto stancamente lo sguardo su Sirius, che di solito usa le parole quando vuole dirmi qualcosa. Beh, non è vero, anche la sua faccia dice spesso un sacco di cose senza coinvolgere le labbra, ma di solito non sono cose che non voglio sentirmi dire.
Se ne sta sdraiato sulle coperte del suo baldacchino, una mano a reggergli la testa e un’aria scocciata, annoiata e assonnata in viso. Mi guarda impassibile e non cerca di dirmi nulla con gli occhi, che è esattamente quello che voglio dai miei amici in questo momento.
- Che hai fatto alla mano? – dice Remus mentre mi chiudo la porta alle spalle. Quando torno a guardarlo sposta gli occhi dalle mie nocche arrossate e spellate per inarcare un sopracciglio, divertito. - Sirius fa a pugni e la tua mano somatizza?
Peter, che pare tornato di un colore umano, ridacchia e anch’io sogghigno. 
- Sono stato attaccato da un muro, - spiego poi.
- I muri solitamente non attaccano gli studenti, - replica subito Remus come se fosse un qualche esperto di muri.
- Beh, quel muro ha attaccato me, - sbuffo. - E che ne sai? L’entrata della Sala Comune di Serpeverde è un muro: come minimo starà aizzando i suoi amici contro di noi.
- Perché non hai risposto allo specchietto? – chiede all’improvviso Peter dal suo letto.
C’è un che di accusatorio nel suo tono. Bizzarro. – Sirius dice che Evans ti ha distratto.
Sirius dice che Evans mi ha distratto e così mi volto verso Sirius.
Non sembra particolarmente interessato.
- Evans non mi ha distratto, - nego tornando a Peter. – Sono stato distratto da...altre cose. Cose come la cravatta di Remus.
Remus spalanca gli occhi.
- Oh Godric, la mia cravatta, - geme. - È ancora sul soffitto!
- È ancora sul soffitto, - confermo. – Ma non c’è scritto il tuo nome, potrebbe essere di chiunque.
- C’è il mio odore!
- Non annuseranno la cravatta, Moony, non essere ridicolo.
- Un muro ti ha attaccato, James.
E scandisce le parole con forza, come se questo compromettesse in qualche modo la mia credibilità.
- Possiamo spegnere la luce?
La voce assonnata è quella di Peter, ma potrebbe essere quella del mio subconscio e così la spengo subito, prima ancora di spogliarmi. La stanza resta buia e silenziosa per cinque secondi circa, poi la luce si riaccende.
- Cerco la cravatta di riserva nel baule, - ci informa Remus, mentre Peter risolleva la testa dal cuscino, perché a quanto pare è necessario che supervisioni il suo operato. Sirius è ancora immobile nella stessa posizione di prima e forse il suo cervello si è semplicemente addormentato dimenticando di dare alle palpebre il comando di chiudere bottega. Mi domando se sia normale avere quell’aria contrariata anche nel sonno.
- James.
Remus continua a frugare nel suo baule e non mi sta guardando, ma sono abbastanza sicuro che sia stato lui a chiamarmi.
- Mh? – Tento cauto, abbastanza forte da farmi sentire, ma non abbastanza da non poter fingere che mi stessi solo schiarendo la gola nel caso avessi iniziato a sentire le voci e nessuno mi avesse chiamato.
- Hai dato a Lily il tuo regalo?
Mi blocco a metà nell’atto di sfilarmi la felpa.
- Sei impazzito, Moony? Non ho fatto nessun regalo ad Evans.
- Sì, invece, l’ho visto.
- Quello non è...non era per darglielo, ok? È una cosa simbolica, l’ho fatto per bruciarlo.
- Quindi non glielo hai dato.
- No, certo. Non sono pazzo.  
- James, - Remus riemerge dal suo baule, un’espressione eloquente in viso e una cravatta nella mano. – È passato più di un mese.
Un verso incredulo mi esce dalle labbra.
- Ne stiamo davvero parlando? Di nuovo?
- No, io ne sto parlando. Tu stai evitando l’argomento, di nuovo.
Le labbra di Remus hanno assunto quella piega particolare all’angolo della bocca, quella che assumono sempre quando lui vuole comunicare maturità, ma si è appena infilato la cravatta e se la sta allacciando ed indossa il pigiama e quanto può essere maturo questo?
- Perché non c’è niente da dire evidentemente, - concludo. - Sirius, di’ a Remus di lasciarmi in pace.
Resto in attesa dei rinforzi per diversi secondi, ma quando il silenzio continua a seguire le mie parole mi volto perplesso verso il mio migliore amico.
- Sirius, - lo chiamo di nuovo.
- Sono d’accordo con Remus.
I miei occhi si spalancano e persino Remus sembra sorpreso.
Questo non è normale.
Sirius è d’accordo con me, non con Remus.
Essere d’accordo con me è quello che Sirius fa.
James e Sirius stanno dalla stessa parte, sempre, è una delle grandi certezze dell’universo e ora Sirius è d’accordo con Remus.
- Su, - boccheggio incredulo. - Su cosa, sul fatto che dobbiamo avere a cadenza settimanale una conversazione su quello?
- No, non su quello, - Sirius scuote la testa spazientito. - Non siamo i tuoi fottuti psicologi, Prongs, ed Evans è l’ultima cosa di cui mi diverta parlare.
- Perfetto, - annuisco sollevato e un po’ confuso. - E allora perché ne stiamo parlando?
Sirius lascia scivolare il palmo da dietro la nuca e si raddrizza, mettendosi a sedere, gli occhi di ogni persona nella stanza su di lui. 
- Perché, - Inizia col suo tono un po’ distaccato. - Se c’è una cosa che mi secca più dell’assecondare Remus nei suoi momenti di condividi i tuoi sentimenti, è vedere il mio migliore amico rendersi ridicolo per una ragazza.
Doccia. Gelata.
- Ridicolo, - ripeto attonito.  
- Patetico rende meglio l’idea.
I miei occhi si sgranano lievemente, fissi nel vuoto.  
- Patetico?
- Sì, penoso alla vista.
- Sirius, non credo che...
- Sta’ zitto, Moony. Sto condividendo i miei sentimenti con James, rallegrati.
Remus tace ed io passo i successivi secondi di silenzio tentando di processare.
- Okay, no, non capisco, - Scuoto la testa. - Rendermi patetico è esattamente quello che non sto facendo, evitando di correrle dietro e parlare di lei tutto il tempo, lagnarmi perché mi odia e tutte quelle cose patetiche che la gente patetica fa quando non è corrisposta. Io non lo sto facendo, io non sto facendo assolutamente nulla.
- Appunto, - Sirius alza le spalle. - Non stai facendo nulla. Hai ammesso di essere innamorato di lei e ora, - Sbuffa. - Non fai nulla. Fai finta di niente perché te la fai sotto all’idea di essere rifiutato davvero. Quanto incredibilmente patetico e poco Grifondoro è questo da uno a dieci?
- Sette e mezzo, - risponde Peter.
Remus gli fa cenno di star zitto, mentre i miei occhi sono ancora spalancati.
Se fosse stato chiunque altro a parlare, la quota di nasi rotti sarebbe appena salita a due. Ma è Sirius ed io lo fisso sconvolto.
- Okay, quindi, - inizio lentamente, dopo un po’. – Preferiresti che iniziassi a lagnarmi quotidianamente perché Evans mi odia? Questa sarebbe una reazione più da Grifondoro ai tuoi occhi?
- Ti prenderei a pugni, - mi informa Sirius pacifico e c’è un che di rassicurante in questo. - Tutti e tre ti prenderemmo a pugni: Remus ama le sedute di condivisione solo quando sono organizzate da lui.   
- E allora che cosa vorresti che...
- Chissenefrega di quello che io vorrei che tu facessi, - sbotta, lasciando per un attimo da parte il tono indifferente. - Fa’ quello che vuoi, ma fallo.
Falla innamorare di te, dice subito una voce forte e chiara dentro di me.
Sta’ zitta, replica il mio cervello, e Sirius ha ragione, perché è questo che sto facendo. Perché potrei provarci e invece mi sto ritirando dalla partita prima ancora che sia iniziata, perché non posso accettare di perdere.
E non posso perdere se non gioco.
Resto a fissare gli occhi chiari di Sirius per un tempo indefinito, mentre un ronzio ipnotizzante romba sempre più alto nella mia testa e forse, e dico forse, farmela passare non è stata l’idea del secolo.
- Incredibile, - mormora Remus. - Peter, guardalo. Ci sta pensando. Glielo dico da settimane e mi ignora ed ora basta che Sirius gli dica ‘a’ e lui subito si mette a pensarci.
- Non ci sto pensando, - dico riscuotendomi. - Vado a farmi una doccia.
- Non ci posso credere, - continua Remus a metà tra lo sbalordito e l’indignato mentre io mi allontano verso il bagno. - Ci va a pensare sotto la doccia. Tu apri bocca e lui si fa addirittura una doccia di riflessione.
- Non è una doccia di riflessione, è una doccia igienica, - insisto prima di chiudere la porta. - Andate a dormire e lasciatemi in pace!
- E togliti la cravatta, Remus! – Aggiungo con un grido prima di aprire il getto dell’acqua. - È notte! Indossi un pigiama! Chi si mette la cravatta per andare a dormire?









********* 

 
Ho dormito un paio d’ore appena, mi fa male la testa e la porta di fronte a me continua ad essere chiusa. Questo è così diverso dal modo in cui volevo iniziare la giornata.
- Evans?
Dopo l’ennesima bussata, la porta si apre finalmente con un cigolio, a svelare la camera buia dietro di sé e la figura assonnata di Potter. Si stropiccia gli occhi privi di occhiali e mi guarda confuso, l’aria di chi è stato spinto giù dal letto e i soli boxer e maglietta a provarlo.
Chiaramente non ha idea del perché io sia qui. Estremamente prevedibile.
- Sono le nove meno dieci, Potter, - lo informo fredda, sbattendogli il suo stupido mantello sul petto. – Vestiti e muoviti, ti proibisco di far infuriare la McGranitt un attimo prima che decida anche la mia punizione.
Potter sta chiaramente funzionando a rallentatore e le sue dita si stringono incerte attorno alla stoffa del mantello, mentre anche le mie parole sembrano arrivargli in ritardo. Mi fissa con gli occhi socchiusi per qualche secondo, mentre io cerco di non fissare i suoi capelli che hanno un che di ipnotizzante nel modo in cui sono ancora più strani e ribelli del solito, poi un lampo di comprensione gli illumina il viso provato.  
- Arrivo, - dice e mi sbatte la porta in faccia.
Godric, questo è così diverso dal modo in cui volevo iniziare la giornata.
Resto qui davanti alla porta chiusa per qualche altro secondo, impassibile, poi quella si riapre.
- Ciao, Lily, - Remus, anche lui in pigiama e con i capelli chiari scombinati come non glieli ho mai visti, mi sorride gentile. Ed è notevole il modo in cui riesca a farlo, sorridere così, anche con gli occhi, quando ogni centimetro di lui grida palesemente che è stanco morto e che era nel mondo dei sogni fino ad un secondo fa.
- Buongiorno, Remus, - Sorrido anch’io, anche se le mie labbra stanno ancora dormendo e non credo che il mio sorriso sia venuto bene quanto il suo. – Scusa se ti ho svegliato.
- Oh, non preoccuparti, non avevo comunque più sonno.
Il mio sopracciglio si inarca vistosamente.
- Voglio dire, sto morendo dal sonno naturalmente e non appena James sarà pronto mi ributterò nel letto e non posso giurare che ad un certo punto prima di cena mi alzerò di nuovo, ma non fa nulla, - Remus alza le spalle ed io mi chiedo come faccia a farlo quando ci mette tutto il peso del mondo lì sopra. – Volevo dirti che mi dispiace che la McGranitt ti abbia scoperta. È molto ingiusto, dovremmo essere tutti in punizione.
- Ti dispiace che solo due dei tuoi compagni verranno puniti e non tutti? – commento divertita.
- No, non in quel senso, certo, - Scuote la testa, mesto. - È solo che la festa non è nemmeno stata una tua idea e ora sei in punizione.
- Remus, - Gli lancio un’occhiata eloquente. - Non so che impressione posso averti dato in questi anni, ma se non avessi voluto dare una festa, stai certo che non l’avrei data. E comunque, sono felice di averlo fatto, - aggiungo decisa. - È stato divertente. Beh, io mi sono divertita. Tu ti sei divertito?
- Io? Sì.
- E allora va bene così, una punizione non ha mai ucciso nessuno.
Spero solo che la McGranitt non sappia mai che l’ho detto.
- Puoi tornare a dormire comunque, davvero, - lo rassicuro, perché non vedo il motivo per cui privare del sonno più gente del necessario. – Non c’è bisogno che aspetti con me.
- Beh, allora credo che accetterò il consiglio, - annuisce pacato. – Buona fortuna con la McGranitt e se cerca di spaventarti tirando in ballo la tua spilla da Prefetto, cerca solo di ricordare che è la stessa persona che ne lascia ancora una in mio possesso.
- Lo terrò a mente, - Ed evito di specificare che lo avrei fatto a priori, anche senza che me lo dicesse lui.   
- Ah, Remus? – lo richiamo quando fa per andarsene.
- Sì?
- Ho visto Lynch a colazione, - ghigno. - Le tue pustole sono molto carine.
- Grazie, - sorride malandrino. - Il pus esplode quando qualcuno gli rivolge la parola, - aggiunge con una punta di fierezza prima di sparire di nuovo nell’oscurità della camera.
Devo assolutamente ricordarmi di scambiare quattro chiacchiere con Lynch prima che Madama Chips riesca a curarlo. E di non fare mai arrabbiare Remus, anche.
- Eccomi, - Potter riemerge dal buio e si chiude la porta della camera alle spalle, senza far rumore. Ha un’aria un po’ più sveglia di prima e i ciuffetti all’attaccatura dei capelli visibilmente bagnati, oltre qualche goccia d’acqua a impregnargli il colletto della camicia che spunta dal maglione della divisa. Mi segue in silenzio quando io parto spedita verso le scale, lanciando un’occhiata all’orologio: nove meno cinque.
Non ce la faremo mai.
- Siamo in ritardo, - constato accelerando, troppo agitata per rinfacciargli che è colpa sua. Questa volta non sfuggiremo all’accetta della McGranitt.
Anche Potter controlla il suo orologio, tenendo il passo.
- Abbiamo ancora cinque minuti.
- Appunto, - insisto. - Non ci si arriva in cinque minuti da qui all’ufficio della McGranitt.
- In cinque minuti si arriva dappertutto ad Hogwarts, Evans, basta sapere dove andare.
E con questa affermazione criptica Potter esce dalla Sala Comune e svolta spedito nella direzione opposta a quella che dobbiamo prendere.
- Le scale sono di là, Potter! – protesto, ma correndogli dietro.
- Lo so, - dice svoltando di nuovo in fondo al corridoio ed estraendo la bacchetta. Resto a guardarlo stranita mentre la picchietta contro determinati punti in cui il muro pare leggermente rovinato, poi spalanco gli occhi quando dal nulla si apre un passaggio scavato nella pietra. Questo spiega così tante cose su Potter e i suoi amici e il modo in cui riescono a farla franca la maggior parte delle volte. È anche assurdo, in un certo senso, perché non vedo proprio come qualcuno possa casualmente scoprire qualcosa del genere, o anche partendo già con l’intenzione di trovare passaggi segreti e altre amenità simili, come fai a individuare il corridoio giusto su centinaia di corridoi, la giusta porzione di muro su metri e metri di muro perfettamente identici e i giusti punti di detta porzione da colpire per far accadere qualcosa? Qual è il piano dietro a tutto ciò? Ci si affida alla sorte oppure si va in giro tutto il tempo a colpire i muri per ore e ore? Sarebbe una conversazione interessante da intraprendere, ma non mi piace parlare con Potter in generale e particolarmente non mi piace parlare con Potter ora, senza contare che sono troppo occupata ad avanzare a passo svelto attraverso il cunicolo oscuro senza inciampare, dietro a suddetto Potter che procede spedito come se vedesse nel buio come i gatti o, più verosimilmente, come se conoscesse a memoria ogni centimetro, svolta o discesa. Quando infine sbuchiamo da dietro un arazzo scarlatto mi porto una mano a coprire gli occhi, abbagliati dalla chiara luce mattutina che filtra dalle ampie vetrate di fronte a noi e inonda il corridoio che ora riconosco come quello che porta all’aula di Trasfigurazione al quarto piano. L’ufficio della McGranitt, a qualche aula di distanza, è visibile anche da qui ed il mio orologio segna le nove meno due minuti. Ce l’abbiamo fatta: non siamo in ritardo.
Prima di partire in direzione dell’ufficio mi volto un’ultima volta verso l’arazzo, posandoci la mano sopra e premendo forte, ma tutto quello che sento è la durezza della pietra al di là del tessuto rigido, come se io non fossi appena uscita proprio da qui. Forse si può entrare nel passaggio solo dall’altra parte, al settimo piano, oppure, proprio come per il muro, c’è qualcosa da fare anche qui perché il varco si sveli. Improvvisamente vorrei aver osservato con più attenzione gli esatti movimenti di Potter poco fa.
Certo, c’è chi sa fare delle cose e chi altre.
- La cravatta, Potter.
Siamo proprio davanti al legno scuro dell’ufficio della McGranitt quando glielo faccio notare.
- La cravatta? – Abbassa lo sguardo perplesso e finalmente nota il modo in cui gli penzola dal collo quasi completamente sciolta. – Oh.
Voglio dire, è stato appena poche ore fa che gli ha giurato di non fargli più toccare una scopa se lo avesse beccato anche solo con la cravatta allacciata male e lui si presenta qui con la cravatta praticamente slacciata? Tipico di Potter.
- Non ti fanno proprio alcun effetto gli avvertimenti dei professori?
- Se dovessi ricordare tutti i loro ultimatum non vivrei più, Evans, - Potter alza le spalle, finendo di sistemarsi la cravatta, questa volta stretta in un nodo perfetto. - Ne ricevo un po’ più di te, sai.
E c’è un motivo per questo, che ha a che fare col fatto che la mia pelle non è impermeabile come la sua alle parole dei professori e che le ascolto davvero, aggiungendovi accette e decapitazioni a piacimento, ma poi non è come se non fossi in punizione anch’io ora e così busso alla porta e basta.
- Accomodatevi.
La voce della McGranitt è gelida come raramente l’ho sentita e mentre mi infilo dentro la piccola stanza zeppa di scaffali e sprofondo in una delle due poltroncine cremisi davanti alla scrivania mi trovo a rabbrividire involontariamente. Potter ha la stessa aria rilassata di sempre invece e il suo sguardo vola subito oltre i vetri dell’ampia finestra nella parete di fronte a noi, dove il cielo azzurrino la fa da padrone.
Per quanto riguarda la McGranitt, giurerei che prima dell’inizio della sua tagliente ramanzina i suoi occhi si siano fermati diversi secondi a sondare la cravatta di Potter.
La squadra di Quidditch di Grifondoro è così in debito con me.
 
 
 

È ridicolo a un livello così ridicolo che non riesco nemmeno a trovarlo effettivamente ridicolo.
Senza fraintendimenti, sono la persona più felice sulla faccia della terra che la McGranitt non ci abbia assegnato la stessa punizione, magari da svolgere insieme –probabilmente l’avrebbe fatto se avesse saputo quanto questo mi avrebbe punito più di qualunque altra cosa, ma questa notte deve averla confusa parecchio sulla mia relazione con Potter –chissà, forse ora pensa persino che siamo amici, come se non ci fossero un miliardo di circostanze diverse che possono portarti a finire intrappolata in Sala Comune in piena notte con qualcuno che odi. Sta di fatto che la fortuna sfacciata di Potter e il modo in cui la sorte gli sorride sempre e comunque ha un che di beffardo, un po’ come quei film in cui il protagonista se la cava sempre e comunque solo perché è il protagonista, e non per qualche suo merito particolare. È frustrante che il protagonista della mia vita debba essere Potter, quando potrei essere, per dire, io. Ma non è così, io sono la comparsa sfigata che si becca la punizione vera e propria, mentre tutto quello che deve fare lui è dare ripetizioni di Trasfigurazione a un paio di ragazzini del primo anno.
La sua punizione consiste in qualcosa che io faccio spontaneamente con lui e questa è probabilmente la norma nella sua vita da favorito dal fato.
Una parte di me ha preso in considerazione l’idea di informare la McGranitt, non dell’ingiustizia cosmica che circonda Potter, ma del fatto che ehy, professoressa, quindi dare ripetizioni è una punizione? Allora io sono già in punizione, perché do ripetizioni a Potter! Allora siamo a posto, sì? Continuo semplicemente a farlo e via. Che fortuna che abbiamo risolto così in fretta, grazie e buona giornata!   Naturalmente a considerare questa opzione è stata la parte di me che considera sempre e solo le azioni più inattuabili, quelle che potrebbero farmi finire senza un arto o senza la testa –come quella volta al secondo anno, con quella pianta carnivora – e quella parte io la ignoro la maggior parte del tempo, quindi ora ho una vera punizione: catalogare e mettere a scaffale la donazione  di un anziano Purosangue alla biblioteca di Hogwarts, un certo Rufus Qualcosa, membro di spicco del Dipartimento Qualcosa al Ministero della Magia. Non so cosa la McGranitt stia cercando di dirmi, assegnandomi alla biblioteca per ogni singola punizione, se mi stia suggerendo un futuro sbocco professionale o cosa, fatto sta che almeno mi ha dato campo libero: essendo la donazione a sua detta parecchio cospicua - e qui devo subito controllare sul vocabolario qual è il limite massimo di libri che può indicare la parola cospicua, perché sono sicura che debba esserci un limite oltre cui diventa obbligatorio sostituirla con, ad esempio, abnorme – non ho una data prestabilita entro cui ultimare il lavoro e posso dedicarmici ogni qualvolta riesca a ritagliare del tempo dallo studio. Ha detto proprio così, come se d’ora in poi la mia vita qui ad Hogwarts dovesse dividersi tra studio e biblioteca e nient’altro, e lì sono andata un po’ nel panico, lo ammetto, ma è proprio in quel momento che ho pensato a Remus che ha ancora la sua spilla e al fatto che io posso quindi ribellarmi al sistema.
Potter continua a lanciarmi delle occhiate indecifrabili mentre torniamo alla Sala Comune.
Non abbiamo preso la sua scorciatoia questa volta, anche se io l’avrei presa, perché non vedo l’ora di ricongiungermi al mio letto, ma Potter non l’ha presa e non credo che quell’arazzo mi avrebbe fatto passare da sola.
È ancora arrabbiato per ieri sera, credo, perché a un certo punto mi lancia un’occhiata di evidente ostilità ed io mi trattengo dall’estrarre la bacchetta e sbattergliela sul naso come un bastone, perché la mia bacchetta è molto sottile e forse si spezzerebbe e perché sono letteralmente appena stata messa in punizione, ma trovo veramente ridicolo che Potter si permetta di essere ancora arrabbiato da questa notte, anche ora che si è ricongiunto al suo stupido mantello, quando a dirla tutta è ridicolo già che si sia arrabbiato così tanto da principio. Ero già arrabbiata con lui, perché lo sono in linea di massima e questa mattina in particolare, ma subito la rabbia di primo grado si evolve in rabbia di secondo grado e gli lancio un’occhiata di fuoco.
 
 
*

Non sono arrabbiato con Evans, ma lei continua a non rivolgermi la parola e a lanciarmi occhiate di sbieco con estrema stizza, quindi lei è arrabbiata, quindi anch’io sono arrabbiato ora.
Non mi piace quando la gente resta arrabbiata con me troppo a lungo, soprattutto quando non vedo perché la gente dovrebbe arrabbiarsi con me in primo luogo.  
Può darsi che la storia del mio mantello in mano a Philips non sia l’unico motivo per cui mi sono arrabbiato ieri sera, d’accordo, e forse la mia frustrazione era più rivolta al fatto che ha dato il mio mantello a Philips perché chiaramente lo conosce, sono amici, sono amici che si baciano, stanno insieme nel modo in cui le persone stanno insieme quando si piacciono ed è tutto molto irritante e sì, forse è stato più per quello che per il mantello in sé, per quello e perché in generale la sorte che mi sorride sempre ieri notte ha deciso di sputarmi in un occhio, e lei questo non lo può sapere, ma non è comunque sensato che lei si arrabbi con me perché io mi sono arrabbiato con lei. Non è una cosa che le persone possono fare questa, lo dico sempre a Sirius, che invece lo fa in continuazione, costringendomi a chiedergli scusa ogni volta che mi arrabbio con lui, ed è così ridicolo dover dire a voce alta mi dispiace essermi arrabbiato con te perché hai messo un rospo vivo nelle mie mutande, scusami. Non dirò nulla del genere ad Evans e non solo perché lei non mi ha mai messo un rospo vivo nelle mutande. Se vuole arrabbiarsi con me perché mi sono arrabbiato con lei allora anch’io mi arrabbierò di nuovo con lei per essersi arrabbiata con me per essermi arrabbiato con lei, e così quando arriviamo in Sala Comune le lancio un’occhiata piena di ostentata ostilità, così ora le è chiaro che non riconosco la legittimità della sua rabbia e ribatto invece con altra rabbia.
Questa mattina quando mi è venuta a chiamare ero ad un livello zero di rabbia, ma ora sono ad un livello uno.
L’occhiataccia che mi lancia lei prima di darmi le spalle diretta al dormitorio femminile è chiaramente di livello due e così un grumo di indignazione e sorpresa inizia ad agitarsi dentro il mio stomaco, perché non esiste che mi riservi della rabbia di livello due quando nessuno è nemmeno finito appeso a testa in giù. Una reazione immediata è d’obbligo, o penserà di aver vinto, e così anche se non provo nemmeno lontanamente una rabbia di livello tre mi ci impegno con tutte le mie forze e mentre sale le scale la fulmino da sotto con uno sguardo che brucia delle fiamme dell’inferno della rabbia del livello tre. Lei sente il calore bruciante dei miei occhi e si blocca all’improvviso, voltandosi e venendo investita in pieno dal fascio di finta rabbia con cui la sto colpendo ostinatamente. Spalanca gli occhi presa alla sprovvista, perché sono un attore dalle doti eccezionali ed ora lei pensa davvero che io abbia raggiunto il livello tre senza che neppure mi rivolgesse la parola. È in difficoltà, lo vedo chiaramente, esita a metà delle scale perché ora non può più andarsene e basta, o sarà finita così, sarò io quello arrabbiato con lei e non il contrario. Non credo sia in grado di raggiungere davvero o fingere una rabbia del livello quattro in questo momento, anche io che sono così bravo in tutto avrei delle difficoltà, ma poi torna di colpo indietro a piazzarsi di fronte a me e forse vuole cimentarsi anche lei in quella del tipo tre, per finirla in parità.
Solo che Evans in realtà vuole solo strapparmi dal petto con uno scatto fulmineo la mia spilla da Capitano per poi correre sulle scale alle sue spalle, lasciandomi imbambolato per diversi secondi. Le mie gambe realizzano cos’è appena successo molto prima del mio cervello e così scatto dietro di lei e poi le mie natiche realizzano che non posso salire le scale del dormitorio femminile molto prima del mio cervello, che a quanto pare è sempre l’ultimo a capire le cose, e così ora mi trovo a terra in fondo allo scivolo che ha preso il posto delle scale, dolorante e ancora più perplesso di prima.
Evans mi guarda trionfante dall’alto, un sorrisetto soddisfatto sulle labbra e la mia spilla da Capitano appuntata sul maglione.
- Che ti serva da lezione, Potter, - dice e se ne va.
Ha appena e senza alcun motivo rubato la mia preziosissima spilla da Capitano e se la sta portando in camera ed ora io dovrei arrivare senza fatica ad una rabbia del tipo cinque, ma qui sul duro pavimento di pietra in fondo a queste dannate scale sessiste l’unica cosa che riesco a percepire aumentare silenziosamente di livello è la voglia di andare ad Hogsmeade con lei il prossimo sabato e quello dopo ancora.
- Ciao James, - mi saluta Alice passandomi davanti e salendo tranquilla i gradini ricomparsi.
- Ciao, - la saluto restando seduto per terra.
 
*
 
Quella parte di me, quella che mi suggerisce sempre le cose più inadeguate da fare e a cui non do mai ascolto, beh, non è vero che non le do proprio mai ascolto.
È che dovevo agire subito, ribaltare la situazione e togliere a Potter quello sguardo furioso ridicolo ed esagerato dalla faccia e non riuscivo proprio a pensare a nessuna mossa astuta da fare e la sua spilla dorata era proprio lì sul suo petto, in bella vista, e quella parte di me semplicemente non se ne stava zitta.
Alice non mi chiede come mai c’è una C dorata sul mio comodino ora.




*********
 
Quando apro gli occhi, James è di nuovo nel suo letto e sembra morto.
Anche Sirius non dà segni di vita.
Peter è in piedi e sta finendo di allacciarsi la camicia.
- Buongiorno, Remus, - mi dice. – Credo che dovreste alzarvi, è quasi ora di pranzo.
- Dovremmo, - concordo, restando immobile a fissare la parte superiore del mio baldacchino, avvolto dal piacevole tepore delle coperte. – Come stai, Pete? Mi sembri in forma.
- Oh sì, sto benissimo, - annuisce vivace. - Quell’acqua che mi hai dato ieri sera è miracolosa. Dove l’hai presa?
- Dal rubinetto del bagno.
 


**********


- Ciao, James.
- Ciao, Alice.
Alice mi supera di nuovo diretta al dormitorio femminile, anche se questa volta sono su un divanetto a rilassarmi dopo il pranzo e non per terra, ma prima che arrivi in cima la richiamo.
- Sai dov’è Frank?
- Non lo vedo da questa notte.
 


 
Busso un’altra volta, ma non ottenendo risposta spalanco la porta e basta.
La stanza è immersa nella penombra e c’è un rigonfiamento sospetto sotto le coperte del baldacchino più vicino alla finestra.
- Frank! Ma stai ancora dormendo? Sono le due!
Il rigonfiamento ha un sussulto.
- Cos...James?
- Le due, Frank, sono quasi le due, - insisto.
Il rigonfiamento ha un altro sussulto e la testa di Frank spunta finalmente da lì sotto, mentre si mette seduto. Ha le palpebre quasi incollate tra loro e non credo che mi veda.
- Beh, è domenica e ho pensato di non mettere la sveglia dopo l’ora che abbiamo fatto ieri, - spiega. -  Ma il mio corpo è progettato per non svegliarsi se non dopo almeno dieci ore consecutive di sonno.
- Appunto: è domenica, - Lo guardo eloquente, ma col fatto che non mi vede è inutile e devo dirglielo e basta. - Tra mezz’ora inizia la partita. 
Un occhio di Frank è aperto ora e lo vedo sbattere la palpebra.
- Oh, giusto, - Alza le spalle. - Beh, non è come se giocassimo noi, - Ed ora ci vede di nuovo, perché la mia espressione sembra recepirla forte e chiara. - Ma non è come se stessi pensando di saltarla, naturalmente. Mi faccio una doccia, rubo qualcosa nelle cucine e vi raggiungo alle tribune. Puntuale.
- Prima che inizi, Frank.
- Prima che inizi.
 


 
 
Frank ci raggiunge effettivamente prima del fischio d’inizio, con una delle ultime ondate di studenti provenienti dal castello.
Le tribune di Serpeverde e Corvonero, le squadre sfidanti, erano gremite già quando sono arrivato dieci minuti fa, mentre la nostra e quella di Tassorosso si stanno popolando con più flemma. Dalla tribuna verde e argento partono ogni tanto cori agguerriti a cui i Corvonero replicano con altrettanta foga, occasionalmente accompagnati da diversi Grifondoro per il semplice piacere di andare contro ai Serpeverde. Nessuno della squadra è tra loro tuttavia: per quanto dare contro ai Serpeverde sia una delle gioie della vita, quando si parla di Quidditch Corvonero è un nemico esattamente come loro, nonché l’attuale favorita per vincere la Coppa.
- Quindi per chi tifiamo? – mi chiede per la seconda volta Remus, che va pazzo per Aritmanzia e i numeri e tutte quelle cose ma di punteggi e tornei di Quidditch non ci capisce nulla. La squadra nel frattempo accoglie tra risate e pacche sulle spalle Frank, ribattezzato per l’occasione bella addormentata.
- Serpeverde, - Peter mi toglie il dolore di doverlo dire ad alta voce, rispondendo al mio posto. – La vittoria di Serpeverde è la meno peggio.
- Sì, - sospiro combattuto. – Hanno perso contro Tassorosso, quindi sarebbe meglio per noi se vincessero loro piuttosto che Corvonero. Ma non dire tifiamo, Moony, noi non tifiamo nessuno, - preciso indispettito. Tifare i Serpeverde, solo a lui potrebbe venire in mente un’assurdità del genere. - Speriamo solo che i Corvonero perdano.
- Giusto, - Remus annuisce, ma i suoi occhi aggiungono chiaramente che è la stessa cosa, quando c’è tutta la differenza del mondo tra tifare per qualcuno e tifare contro qualcun altro. Tutti noi tifiamo contro Corvonero, e questo vuol dire che è preferibile che vinca Serpeverde, certo, ma nessun Grifondoro si sognerebbe mai di tifare per loro.
A parte forse Sirius, che si è allontanato poco fa per raggiungere la sua postazione da cronista e che potrebbe avere un altro motivo per tifare per Serpeverde e non semplicemente contro Corvonero, ma non è come se ne fossi sicuro e non è come se lui non mi strapperebbe la lingua a morsi se sapesse che l’ho anche solo pensato.
- Beh, i Serpeverde hanno Black, - sta dicendo Alexis, l’unica a ritenere probabile una loro vittoria. – Non c’è paragone tra lui e la Cercatrice di Corvonero.
- Sì, ma per quanto riguarda il resto della squadra Corvonero è nettamente superiore quest’anno, - replica Mike, e purtroppo ha ragione. Serpeverde ha da poco guadagnato l’unico Cercatore che mi abbia mai battuto qui ad Hogwarts, ma in compenso ha perso troppi giocatori tutti insieme quando si sono diplomati alla fine dell’anno scorso e non regge il confronto con la formazione stabile e dall’inarrestabile forza sistematica di Corvonero: non c’è tra loro un giocatore in particolare che spicchi per talento, sono tutti validi, ma nessuno è quello che più eccelle rispetto a chiunque altro ad Hogwarts in un determinato ruolo, eppure l’insieme di tutti loro li rende una squadra quasi perfetta.
Madama Bumb ha raggiunto il centro del campo e Sirius sta facendo il solito discorsetto iniziale, questa volta più imparziale del solito, prima che le squadre facciano il loro ingresso, e Frank sta fissando il mio petto.
- James.
- Mh?
- Dov’è la tua spilla?
La squadra si zittisce e tutti iniziano a lanciare occhiate indagatrici alla mia maglia. Anche Remus e Peter, al mio fianco, si sporgono per constatare l’assenza della spilla.
La mia bocca resta aperta senza emettere alcun suono un po’ troppo a lungo perché quello che ne esce dopo possa essere preso sul serio.
- Io l’ho...l’ho messa a lavare, - dico dopo un po’.
- A lavare?
- Sì.
- Dove?
- Nel lavandino.
- Hai lasciato la tua spilla nel lavandino?
- No, no, certo che no. Ce l’ho lasciata di fianco, per farla asciugare.
- Ma è una spilla, quanto ci mette ad asciugarsi?
 - C’è una perdita nel nostro bagno. Piove. Dal soffitto. Proprio sulla spilla, - E mi ritrovo a fare con una mano il gesto delle gocce che cadono in linea retta, per poi mimarne il suono. - Plic plic plic.
Tutta la squadra mi sta fissando in silenzio ora.
- Evans me l’ha rubata, - dico.
C’è chi è perplesso e chi ridacchia.
Io sono tra quelli perplessi, perché non ho ancora ben processato l’informazione. Evans mi ha davvero rubato la spilla quindi? Non è stato tutto un sogno?
-  Evans ti ha rubato la spilla? – Mike trattiene una risata, mentre Alexis no.  
- Sì, - confermo impassibile. - E non è argomento di discussione. Ora concentratevi, sta per iniziare.
Il fischio d’inizio tarda ancora una decina di minuti, durante i quali Alice ed Evans ci raggiungono e prendono posto vicino a Frank, che le saluta rispettivamente con un bacio ed un ‘Ehy’ per Alice e con un cenno del capo ed un ‘Capitano’ per Evans. La squadra lo trova esilarante ed ora la chiamano tutti così. Evans non mi guarda. Remus continua a guardarmi. Peter ha dei popcorn e non so dove li abbia presi, ma non lascia che nessuno glieli tocchi.
Quando la partita inizia smettiamo tutti di cercare di rubarglieli e cominciamo a seguire con il suo crunch crunch nelle orecchie.
La principale speranza di Serpeverde è che Black prenda il boccino a pochi minuti dal fischio d’inizio, chiudendo così la partita prima che i Cacciatori di Corvonero riescano a sovrastare gli avversari e creare un divario netto nel punteggio. Black è l’unica loro speranza e i Corvonero sembrano saperlo bene, tant’è che da subito entrambi i Battitori avversari gli stanno addosso come se fosse l’unico giocatore in campo: il loro solo compito è chiaramente quello di non dargli un attimo di respiro, impedendogli così di concentrarsi sulla ricerca del boccino. I Battitori di Serpeverde, d’altro canto, oltre ad essere meno abili sono anche degli idioti, e mentre Black perde per un soffio il boccino perché costretto a sterzare per evitare un bolide, Rosier lancia l’altro contro uno dei Cacciatori avversari, quando avrebbe potuto usarlo per deviare il bolide diretto a Black e a quel punto forse Serpeverde avrebbe già chiuso la partita. Bersagliare di continuo un solo giocatore, che è quasi sempre il Cercatore, e prenderlo per sfinimento è una tattica prevista dal regolamento del Quidditch e non c’è nulla di veramente scorretto nell’usarla, ma essendo un Cercatore a mia volta e avendola provata sulla mia pelle conosco la frustrazione del non poter giocare perché impegnato per tutta la durata della partita a evitare uno o due bolidi sui denti e automaticamente vedere Philips stoico nel suo non dare tregua a Black neppure per un secondo me lo fa scendere ancora più a fondo nella mia scala di gradimento personale. L’intero stadio trattiene il fiato quando lui e l’altra battitrice mettono in atto un’azione combinata contro Black che riesce per miracolo ad evitare entrambi i bolidi con una capriola azzardata. Istintivamente so che nella scala di Sirius Philips ha appena iniziato a scavare.
La partita si chiude dopo mezz’ora circa con la vittoria schiacciante di Corvonero 290 a 40 e nessuno è davvero stupito del risultato.                          
I Corvonero, incuranti dei nuvoloni densi che hanno rabbuiato il cielo a metà partita e sembrano doversi bucare da un momento all’altro, si riversano festosi al centro del campo, mentre il resto delle tribune inizia frettolosamente a svuotarsi e la squadra di Serpeverde si ritira afflitta negli spogliatoi. Remus e Peter raggiungono Sirius all’uscita dello stadio e si uniscono alla fiumana di studenti che si affretta verso il castello, mentre io resto dove sono anche quando la prima sottile goccia di pioggia mi solletica una guancia.
- Ok, allora, - Quando nella tribuna rosso e oro rimaniamo solo io e la squadra, salgo deciso sulla panca e mi staglio in maniera poetica contro il cielo in tempesta, guardandoli dall’alto. Subito gli occhi di tutti sono su di me in religioso silenzio. - Dopo la scorsa sconfitta contro Tassorosso e dopo questa, Serpeverde è ufficialmente fuori dalla corsa per la Coppa, - annuncio deciso mentre un tuono rimbomba in lontananza e anche i Corvonero rimasti iniziano a disperdersi velocemente. Un'altra goccia mi tocca il naso e la squadra sorride trionfante. - E per quanto vorrei abbandonarmi al godimento che questa notizia mi provoca, devo invitarvi a soffermarvi sulla profondità della merda maleodorante in cui stiamo sguazzando: come ogni abitante dei sotterranei non vedrà sicuramente l’ora di rinfacciarci, siamo comunque sotto di loro col punteggio. – I sorrisi trionfanti svaniscono in un lampo. - Siamo sotto anche a Tassorosso, perché, beh, siamo a zero. Zero, - Mentre ripeto quel numero così insopportabile e fuori posto sulle mie labbra, la squadra si affloscia e così qualcosa dentro di me. - Come dicevo, siamo così tanto a fondo nella merda che nemmeno Frank che è il più alto di tutti noi riesce a vedere o sentire più nulla, perché ha la merda fin dentro gli occhi e le orecchie. Ora come ora, potremmo dire che l’anima stessa di Frank è fatta di merda.
La frase finale riecheggia in silenzio su tutta la squadra, afflosciando le spalle e ammosciando gli sguardi.
 - Capitano, - Alexis mi rivolge dal basso un’occhiata scoraggiata. - Quando arriva la parte motivazionale del discorso?
- Quando sarete abbastanza demotivati.
Li scruto attentamente, sistemandomi meglio gli occhiali sul naso.
- Siete abbastanza demotivati ora?
- La mia anima è fatta di merda, - dice Frank ed è una risposta sufficiente.
- Okay, ora, - Con un salto deciso passo al gradino successivo e poi sulla panca di quello, per essere ancora più in alto. Una goccia mi finisce in un occhio ed io alzo la voce. - Il motivo per cui è comunque preferibile essere noi piuttosto che i Serpeverde è, oltre a beh, tutti i motivi del mondo, che se anche loro sono messi molto meglio di noi a punteggio, hanno finito, - E lo sottolineo con un gesto secco delle mani. - Niente più partite, nessuna possibilità di raggiungerli e rubare la coppa a Corvonero, - Lascio qualche secondo per sedimentare l’informazione, poi continuo. - Mentre noi, dal profondo abisso melmoso in cui siamo sprofondati, con due partite ancora da giocare possiamo comunque intravedere la coppa, - Gli sguardi si riaccendono, Mike annuisce convinto. - Anche Frank, - continuo infervorato, stringendo i pugni. - Anche con i suoi occhi ricoperti di merda, riesce comunque a vedere la coppa!
La squadra esulta agguerrita, Frank alza il pugno.
- Sì, la vedo! – grida esaltato. - Al di là di tutta la merda che c’è dentro e attorno a me, io vedo la coppa!
Tutti gioiscono e iniziano a dare a Frank energici spintoni camerateschi e pacche sulle spalle, incitandosi a vicenda. Poi Frank finisce a terra e gli occhi tornano a me, carichi di aspettativa.  
- Quindi, prima Tassorosso e poi Corvonero: se le vinciamo entrambe, il secondo posto è nostro di diritto, - riepilogo deciso. - E se arriviamo secondi, allora saremo risaliti dalle profondità della merda contro ogni aspettativa, e secondi è così tanto meglio di terzi o quarti, soprattutto quando terzi o quarti sono i Serpeverde. E se arriviamo secondi, - Il mio tono si infervora sempre di più mentre parlo e gli occhi dei miei compagni con esso, incuranti della pioggerella che sta iniziando a bagnarci. - Allora i Serpeverde smetteranno di gongolare per averci battuto alla prima partita, e se arriviamo secondi, - La squadra esulta entusiasta, il sorriso sulle labbra e negli occhi già le facce stizzite dei Serpeverde, mentre la mia voce è sempre più infiammata. - Allora tanto vale annegarci direttamente nella merda in cui siamo, - concludo granitico. Tutti si azzittiscono perplessi, le bocche ancora spalancate in grida di esultanza che non emettono più alcun suono. - Perché mi rifiuto di giocare con l’obiettivo del secondo posto. Non ci siamo allenati tutto quest’anno per puntare a perdere con dignità. Il nostro obiettivo, - Li osservo lentamente uno ad uno. – È la coppa.
Un tuono rimbomba nuovamente, questa volta più vicino, e anche se ora non ci sono più grida trionfanti, gli occhi che scorgo attraverso le lenti appannate e rigate d’acqua sono più consapevoli e determinati.
- Ora, Corvonero è in vantaggio di un mare di punti e se vincerà contro Tassorosso aumenterà ancora di più lo stacco, - Riprendo pratico, passandomi una mano tra i capelli. - Quindi se vogliamo arrivare primi non basta vincere le prossime partite. Non basta che io prenda il boccino.
Tutti mi guardano e l’unico rumore è quello della pioggia che ticchetta lieve sugli spalti e sui nostri vestiti.
- Dobbiamo stracciarli, - dice Frank annuendo lentamente.
- Dobbiamo annientarli.
Il silenzio segue le mie parole, ma gli occhi di ognuno parlano forte e chiaro e dicono qualcosa che i Corvonero saranno costretti ad ascoltare loro malgrado. Evans ha ancora la mia spilla da Capitano, ma io li guardo negli occhi e me la sento proprio qui sul petto, e non ho dubbi che questa, qui davanti a me, è la squadra che si porterà a casa la Coppa quest’anno e quello dopo ancora. È la mia squadra e spazzerà via qualunque vantaggio altrui come un tornado, dimostrando a tutta la scuola che i Grifondoro sono ancora nella competizione.
Poi la pioggerella si trasforma di botto in un acquazzone violento e tutti scappano imprecando.






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Lunedì 2 Febbraio 1976.
 

- Ma perché proprio sette?
- Sirius, ne abbiamo già parlato.
- E non mi hai dato una spiegazione nemmeno l’ultima volta, Moony. Innanzitutto voglio sapere chi lo ha deciso che i giorni della settimana devono essere sette e non otto.
- Sono le otto di lunedì mattina, Sirius. Dobbiamo davvero discuterne adesso?
- Quando, più di ora, posso farti capire l’esigenza di inserire un altro giorno tra la domenica e il lunedì? Per riposarsi prima di trovarsi Pozioni alla prima ora?
- Ma c’è già il giorno per riposarsi. È la domenica.
- La domenica non basta. Inizia e finisce e per tutto il tempo non puoi davvero rilassarti perché sai che il giorno dopo sarà lunedì. Se invece il giorno dopo fosse, mettiamo, Siriodì, allora...
- Ora spiegami perché dovrebbe chiamarsi come te.
- ...allora la domenica potremmo riposarci davvero, senza lo stress del lunedì incombente, perché il giorno dopo sarebbe Siriodì e non lunedì, e il Siriodì non c’è lezione.
- Non avevo dubbi. Si fa qualcosa il Siriodì a parte mangiare e dormire?
- Non dire idiozie, Moony, è vietato fare cose il Siriodì. In particolare, è vietato studiare.
- Ok, quindi la domenica dovremmo fare comunque tutti i compiti per il lunedì che non potremmo fare il Siriodì. Non mi sembra un gran piano, Sirius.
- James, amico, diresti a Remus qui che sono più astuto e brillante di lui e che ho ragione?
James, che si sta trascinando stancamente pochi passi dietro di noi, finisce lo spropositato sbadiglio in cui era impegnato e guarda Sirius ancora mezzo assonnato.
- Sei la stella più brillante in un cielo di stelle brillanti, - annuncia, facendo ridacchiare Peter.
- E ho ragione.
- E hai ragione.
- Grazie.
- Non stava nemmeno ascoltando.
- Impara a perdere, Moony.  
- Perché c’è la porta chiusa? Siamo in ritardo? Non eravamo in ritardo. Perché siamo in ritardo?
- Non siamo in ritardo, sono le otto meno cinque. È Lumacorno che è in anticipo.
- Esatto, che nessuno si scusi per il ritardo inesistente o passeremo dalla parte del torto.
Sirius spalanca la porta.
- Buongiorno, professore.
- Ci scusi per il ritardo, - aggiungo.
 

**********
 
- Per oggi è tutto, potete andare, - Con un colpo di bacchetta Lumacorno cancella due ore di inutili blabla sulle pozioni dalla lavagna e anche dalla mia mente ed io scatto in piedi. - Ricordatevi solo i due rotoli di pergamena sulle proprietà curative delle lacrime di fenice per mercoledì.
- Le due ore più noiose della mia vita, - annuncio lanciando con violenza il libro di Pozioni nella borsa a tracolla. Se c’è una cosa peggiore di fare pozioni, è ascoltare come si fanno le pozioni.
- Lo dici ogni volta, James, - sospira Remus, visibilmente provato anche lui. Lì per lì non me ne accorgo, perché non ci vedo nulla di strano nel sembrare così distrutti dopo due ore di Pozioni, poi noto la sottile patina di sudore freddo che gli ricopre il viso e ricordo che Remus non si lascia mai scalfire dalle lezioni mattutine solitamente.
- Tutto bene, Moony? – chiedo preoccupato, abbassando la voce. – È già iniziata?
- Non lo so, non, - Remus si lancia un’occhiata tesa attorno. – Non è detto che sia per quello. Magari è solo stanchezza.
Non sembra solo stanchezza, ma non credo che Remus abbia voglia di rinchiudersi in Infermeria già da ora quando la luna piena non sarà prima di domani notte, così finisco di preparare la borsa senza aggiungere altro, frustrato perché non c’è nulla che posso fare. Quando me la lancio su una spalla e mi volto per raggiungere l’uscita, Evans mi si piazza di fronte, uno sguardo particolarmente ostile e deciso proprio su di me.      
- Oggi pomeriggio alle tre e mezza faccio il tema di Pozioni, - mi informa con il tono di chi mi sta insultando.
- Emm. Ok?
Sono molto perplesso e lei chiude gli occhi per un attimo come a invocare la pazienza e non mi è chiaro se stiamo ancora litigando o cosa.   
- Se hai bisogno di aiuto, - dice lentamente, come se ogni parola le costasse uno sforzo. - Per fare il tuo, - E mi guarda. – Tema, - Continua a fermarsi, come se volesse che dicessi qualcosa io prima di lasciarla arrivare alla fine della frase e il fatto che non lo sto facendo la irritasse sempre più. - Di pozioni...
- Vuoi. Oh, - E all’improvviso capisco. - Credevo fossi arrabbiata, - E non so perché sto facendo tutte queste pause anch’io ora. - Per ieri.
- Sono furiosa, - E mentre lo dice gli occhi le lampeggiano in maniera pericolosa. - Ma ho detto che ti avrei aiutato.
- Ok, - annuisco incerto, perché in tutto questo mi sono dimenticato se anch’io dovrei essere arrabbiato oppure no. Nel dubbio opto per un educato distacco. – Alle tre e mezza allora. Ci sarò.
- In Biblioteca, - aggiunge e se ne va.
La osservo allontanarsi e uscire dall’aula a passo deciso e una strana eccitazione mi pervade al pensiero di passare altre due ore in un luogo che odio chino sulla noiosissima teoria di Pozioni.
- Sei stato bravo.
Remus è rimasto qui tutto il tempo e mi sta guardando soddisfatto.
- Come?
- Con Lily, sei stato bravo, - ripete tranquillo, precedendomi verso l’uscita, dove Sirius e Peter ci stanno aspettando.
- Ma non ho praticamente parlato, - protesto confuso.
- Appunto, - sorride pacato. - Continua così.
Non credo che sia leale da parte di Remus essere offensivo con me mentre sto portando anche i suoi libri.
 



**********

Potter è arrivato in orario e ha portato il libro, che come ho imparato l’ultima volta non è così scontato. Stiamo lavorando in silenzio da circa cinque minuti, ad un ampio tavolo di quercia alla cui estremità c’è solo un Corvonero del nostro anno chino sull’enorme tomo di Storia della Magia, e l’unico rumore che mi arriva alle orecchie è quello del lieve grattare delle piume sulle pergamene e degli occasionali mormorii degli studenti, questo fino a quando la voce di Potter non mi fa alzare perplessa gli occhi dal libro.
- Ti perdono, Evans.
Ha posato la piuma d’oca accanto alla sua pergamena ancora vuota e mi guarda apparentemente molto sicuro di sé.
- Per che cosa, - chiedo, ma il mio tono non assume alcuna inclinazione interrogativa.
 - Per ieri, - Potter alza le spalle, pacifico. - Per aver dato il mio mantello a Philips.
 - Tu perdoni me, - ripeto senza alcuna intonazione.
- Già. 
Sbatto le palpebre.
Anche Potter sbatte le palpebre.
- Sei un fottuto aspirapolvere, Potter, - concludo dopo diversi secondi di riflessione, riabbassando lo sguardo e riprendendo a leggere. Dalla sua parte non provengono rumori per diversi secondi, e lo so che mi sta ancora fissando e probabilmente si sta chiedendo cosa sia un aspirapolvere, poi le pagine del suo libro ricominciano a frusciare ed io riprendo a leggere per davvero e non solo con gli occhi.
Il silenzio questa volta dura diversi minuti.
- Mi dispiace che il mio essermi arrabbiato a pieno diritto ti abbia fatto arrabbiare.
Di nuovo alzo gli occhi su Potter, estremamente perplessa.
- Sono delle scuse, Potter? – indago cautamente.
Lui sembra spiazzato.
- Vuoi delle scuse?
Mi raddrizzo sulla sedia, presa in contropiede.
- Tu vuoi farmele?
- Mi stai chiedendo delle scuse?
- Me le stai facendo?
- Sì, vuole delle scuse, - sbotta all’improvviso il Corvonero dall’altra parte del tavolo staccando la testa dal libro e fissando Potter. Poi si volta verso di me. - E sì, ti sta facendo delle scuse. Ora potete per favore fare silenzio? Grazie.
E si rimette a leggere senza più degnarci di uno sguardo, anche se noi lo stiamo ancora guardando spiazzati.
- Ma chi si crede di essere, - sbuffa Potter a bassa voce dopo diversi secondi di silenzio. – Non ti stavo facendo delle scuse.
- Infatti io non le voglio le tue scuse, Potter, - lo informo stizzita.
- Bene, perché non te le farò.
Questa volta il silenzio dura quasi un minuto.
- A meno che tu non me le chieda esplicitamente.
- Non le voglio le tue scuse, - ripeto. - Le tue scuse sembrano come se mi stessi facendo un favore dall’alto della tua perfezione.
- Tu non puoi sapere come sono le mie scuse, Evans, - replica Potter indispettito. - Perché non te le ho mai fatte.
Questa volta lo vedo con la coda dell’occhio alzare la testa dal libro prima ancora di sentire la sua voce.
- Ma certo che sì, - Il Corvonero mi lancia un’occhiata esasperata. - Te le stava facendo. Era il suo modo stupido di chiederti scusa, - Poi si volta verso Potter. - E lei te le stava chiedendo, in modo altrettanto stupido.
Di nuovo riabbassa lo sguardo tra le pagine del libro, incurante delle due paia d’occhi indignati fissi su di lui.
- Pensa di essere più intelligente di noi solo perché siamo Grifondoro, - osserva Potter oltraggiato.
- Esatto! – concordo risentita. – Come se avessimo bisogno di un traduttore!
Io e Potter ci scambiamo un’altra occhiata scandalizzata, poi il silenzio torna a reclamare il suo posto. Gli occhi mi cadono sul Corvonero.
- Sta facendo il tema di Storia della Magia, - noto all’improvviso. - Forse lui l’ha capita quella cosa sulla trentaquattresima clausola del Trattato dei Goblin, - rifletto pensosa, prima di alzarmi. - Senti, scusa, non è che mi spiegheresti...
 


**********


Il soffitto della Sala Comune, coi suoi arazzi scarlatti e fitti di ghirigori dorati, ha un effetto abbastanza ipnotizzante di suo, ma il modo in cui la mia testa abbandonata contro lo schienale del divanetto sembra galleggiare e roteare tra gli arabeschi ricamati mentre resto fermo a fissare verso l’alto non può dipendere interamente dai disegni.
Mi sento le guance accaldate e sono abbastanza sicuro che qualche Grifondoro si stia chiedendo perché continuo ad occupare la poltroncina più vicina al caminetto se mi sto palesemente arrostendo, le guance arrossate e il viso coperto di sudore, ma la verità è che mi sto forzando per non tremare ad ogni brivido che mi percorre la schiena.
Ora passa, mi ripeto per l’ennesima volta, chiudendo gli occhi solo per scoprire che è peggio e che la mia testa sembra vorticare anche di più al buio. È il pomeriggio del giorno prima, non è nemmeno ora di cena ancora, ora passa. Non vedo perché non dovrebbe passare, quando la maggior parte delle volte non inizio a stare male davvero prima della mattina stessa. Devo solo smettere di pensarci.  
Peter ha insistito per scendere nelle cucine a prendermi un tè freddo, segno che non sono riuscito a nascondere decentemente il mio malessere. Ho le guance accaldate e le mani gelide e continuo a sudare, e non sono sicuro se dovrei bere qualcosa di freddo o caldo al momento, così gli ho chiesto di portarmelo tiepido. Lui è sembrato molto felice di avere un compito preciso a cui adempiere per aiutarmi e se ci sta mettendo così tanto è perché probabilmente sta scegliendo anche quale dolce sfizioso portare in aggiunta al tè, nonostante sappia benissimo che non riesco mai a mangiare nulla quando sono in queste condizioni. Gliene sono grato, ma la verità è che sono felice che ci stia mettendo tanto, perché l’unico dei miei amici con cui riesco a rilassarmi totalmente quando sono in queste condizioni è Sirius.
Peter è sempre così ansioso di aiutarmi, come se ad ogni contrazione sofferente del mio viso dovesse seguire un suo intervento tempestivo per migliorare la situazione in qualche modo, e James, anche se è più discreto, a volte non riesce a nascondere la preoccupazione nelle occhiate di sbieco che mi lancia, e anche quando riesce ad evitarle mi resta comunque perfettamente chiara la sua frustrazione malcelata nel sentirsi impotente. Sono i miei amici, sono diventati Animagus per me e non si danno pace per quello a cui non possono arrivare, perché vorrebbero superare il limite e fare l’impossibile anche qui, alleviando il dolore fisico che precede e accompagna la trasformazione: è qualcosa di bello e puro a pensarci lucidamente, qualcosa che mi fa sentire fortunato, ma quando la febbre mi annebbia la mente l’unica conseguenza della loro inquietudine è che una parte di me si sente in dovere di non dare segni di sconforto, così che la luna non riesca a toccare almeno loro: nelle notti in cui è piena sono i miei amici che mi afferrano e mi tirano forte lontano dalla sua presa, allentando il suo giogo su di me, ma nei giorni che precedono il plenilunio sono io con i miei cedimenti che rischio di trascinarli nella morsa della maledizione ed è l’ultima cosa che voglio.  
Sirius è tra tutti l’unico di fronte a cui riesco ad abbandonarmi senza freni all’influenza lunare, senza il pensiero di non rendere visibile la sofferenza: non ha la stessa ansia di Peter nell’offrirsi subito di portarmi questo o quello per farmi stare meglio non appena mi vede in difficoltà e non mostra la stessa frustrazione di James nel non potermi aiutare in alcun modo; ha quella muta consapevolezza che è così e basta, che ci sono dei momenti in cui il mio corpo si rivolta contro di me ed è destino che io perda, e che cercare di interferire sarebbe proprio come provare a impedire al sole di tramontare e lasciare il posto alla luna. È stato il primo a completare la sua trasformazione in Animagus, ma probabilmente è anche sempre stato il solo dei miei amici a non illudersi di poter vincere completamente la mia maledizione.
Se ne sta sul divanetto davanti a me e fissa corrucciato il tappeto persiano ai nostri piedi, assorto. Ha la stessa espressione vagamente contrariata e infastidita che ha sempre da un po’ di tempo a questa parte, quella furia in attesa appena visibile oltre il velo grigio dell’iride, la stessa che forse a un certo punto si deciderà a riversare in blocco contro chiunque ne sia la causa invece che offrirne un assaggio mitigato a tutti.
Mi chiedo se James sappia quale sia il problema e se sia una scelta consapevole il suo ignorare completamente le stranezze di Sirius.
- Ehy, Remus, - La voce allegra di Lizzie si distingue improvvisamente dal sottofondo di chiacchiere e risate che riempie la Sala ed io volto la testa verso di lei, trattenendo poi una smorfia per la fitta improvvisa all’altezza della fronte. – Oh Godric, sei orribile.
- Oh, - dico. – Ah. Beh, mi dispiace.
Lizzie sgrana gli occhi.
- Oh Godric no, non intendevo che sei orribile, volevo dire, hai, hai un aspetto orribile, non so perché ho detto sei orribile, chiaramente non lo sei, sei molto, - Lizzie sta parlando in modo parecchio veloce, come sempre, ed il mio cervello appannato fatica a seguirla, ma all’improvviso si blocca e si zittisce per qualche secondo. - Sei nella norma, sì, sei normale. Volevo solo sapere se stai bene, perché sembra di no.
- Sì, sto bene, beh no, credo che mi stia venendo l’influenza, già, -  Probabilmente ora pensa che io stia delirando, così le riservo il mio sguardo più lucido. - Se continua domattina andrò in Infermeria.
- Di nuovo? – Lizzie mi guarda sorpresa. - Non è passato molto dall’ultima volta che sei stato male.
- Sì, sono sempre stato un po’ cagionevole, l’ho preso da mia madre, - spiego con un sorriso pacato. Non sembra nemmeno più mentire ormai.
- Oh, capisco, mi dispiace. Brutta storia le madri, la mia mi ha passato dei baffetti che ricrescono alla velocità della luce, vedi? - Si china appena verso di me, indicandosi un punto al di sopra del labbro.- In realtà non li puoi vedere perché ogni settimana li faccio evanescere con la bacchetta. Uno ad uno, è un compito lunghissimo e noioso, ma so che le babbane se la passano peggio, - Ho sentito diverse cose a riguardo, anche se non ho idea di quanto di vero ci sia nelle storie che girano: probabilmente alcune parti sono vere, ma altre, come la storia della cera bollente, sono una sorta di scherzo comune architettato dalle nate babbane delle diverse Case per prendersi gioco dell’ignoranza della maggior parte dei maghi sulle usanze babbane. - Beh, se sparisci di nuovo magari faccio un salto in infermeria questa volta, per farti compagnia.
 - No! No, non, - Me ne rendo conto solo incrociando i suoi occhi che la risposta mi è uscita un po’ troppo di getto, un po’ troppo sospetta e un po’ troppo brusca. Se solo la mia testa non continuasse a pulsare in questo modo, allora forse il mio cervello potrebbe concentrarsi meglio sulla collaborazione con le labbra, ma non è così e ognuno va per la sua strada. - Non è il caso, davvero. Non mi piace molto ricevere visite quando sono malato.
– Oh. Ok. Certo, - Nonostante la confusione nel mio cervello, quello che resta delle mie abilità sociali registra comunque che sono stato maleducato e che lei ci è rimasta male. Dovrei informarla che la mia testa sta pulsando e che è per questo che non sono più in grado di usare tatto o frasi complesse, ma ora non mi va di informare nessuno delle pulsazioni della mia testa.
- Non intendevo, - sospiro. - Voglio dire, mi farebbe piacere ricevere una tua visita. È solo che non sopporto il dolore molto bene e anche quando ho solo un po’ di febbre ho la forza solo di stare nel letto con gli occhi chiusi a fingere di essere già morto.
– No, certo, è ok.
– E non vorrei farmi vedere così, mentre fingo di essere morto.  
– È tutto ok, Remus, davvero, - mi rassicura Lizzie. - A me, quando sto male, piace avere gente al mio capezzale che mi serve e riverisce e mi permette di fingere di essere in punto di morte e non già morta, quindi ho pensato che anche tu forse volevi fingerti in punto di morte e non già morto, ma non siamo tutti uguali, quindi, ok.
In tutto ciò Sirius non ha ancora alzato gli occhi impassibili dal tappeto e Lizzie gli dedica a intervalli regolari occhiate perplesse.
- Beh, magari quando finirai in infermeria, se ci finirai, e spero di no, sarò io a venirti a trovare, - propongo con un sorriso appena accennato. - E potremo fingere che tu stia per morire.
- Certo, perché no. Mi piacerebbe molto, - Lizzie annuisce, poi lancia un’occhiata dall’altra parte della stanza. - Beh ora vado, Allison mi sta aspettando. Cerca di rimetterti, Remus.   
Quando si allontana il silenzio torna ad avvolgere quest’angolo di Sala, poi Sirius alza gli occhi su di me, un sopracciglio inarcato.
- Non potete andare ad Hogsmeade come le persone normali?
- Cosa?
La mia domanda perplessa non riceve risposta, ma dopo qualche secondo ci arrivo da solo.
- No, non era un appuntamento quello, - spiego. – Quante possibilità ci sono che finisca in Infermeria anche lei?  
- Dovremmo fare qualcosa per i Serpeverde.
- I Serpeverde? – ripeto, spiazzato dal repentino cambio d’argomento.
- Sì, i Serpeverde.
- Qualcosa del tipo? – indago cauto.
- Tu cosa credi? Hanno fatto la spia e hanno fatto finire James in punizione.
- Oh, intendi qualcosa di vendicativo, certo. Ci avevo già pensato: le pustole sulla faccia di Selwyn sono state la nostra vendetta.
- Selwyn è uno, - Sirius mi guarda eloquente. - Che mi dici degli altri?
- Gli altri ad esempio...?
La risposta è immediata e senza esitazioni.
- Piton.
- Piton, - ripeto.
- Piton.
- E cosa vorresti fare a Piton?
- Qualcosa di spiacevole.
- Per quale motivo?
Qualcosa si agita negli occhi di Sirius. La mia testa pulsa di nuovo.
- Da quando ci serve un motivo? – sibila. - È Piton, questo è il motivo.
Piton è Piton e non posso contraddire Sirius su questo, ma non è come se lui potesse contraddire me sul fatto che Piton è Piton anche ogni altro giorno del mese, proprio ogni singolo giorno e non solo oggi che è quello precedente al plenilunio, quando la politica dei miei amici è solitamente quella di starsene calmi, specie se non provocati.
Glielo farei notare, se non fosse che so esattamente come trattare con Sirius quando ha questi attacchi di irragionevolezza ostinata, e cioè non trattandoci affatto.
- D’accordo, - annuisco condiscendente. – Aspettiamo James allora e...
Sirius scuote la testa con aria distratta.
- Ecco Peter, ti ha portato il tè, - dice puntando il buco del ritratto. Ti ha portato il tè è riduttivo in modo tragicomico, perché Peter mi ha praticamente portato tutte le cucine. – Ci vediamo più tardi. 
Sto osservando Peter farsi largo tra gli sguardi avidi e bramosi dei nostri compagni di Casa, già tutti eccessivamente interessati al notevole carico di leccornie tra le sue braccia, e ci metto qualche secondo di troppo a notare che Sirius si sta defilando.
- Sirius, - lo richiamo inquieto. – Non credo che dovresti...
Preferirei che James fosse qui ora, perché mentre si volta verso di me Sirius ha improvvisamente quella sua faccia da prova a fermarmi e c’è definitivamente qualcosa che mi sfugge nel quadro generale, qualcosa che non sfuggirebbe a James, che  saprebbe esattamente cosa dire per fermarlo o saprebbe andare con lui e basta a fare qualunque cosa Sirius voglia fare nel modo migliore e meno distruttivo di farla, ma ci sono solo io con la mia testa pulsante e me ne resto sul divanetto a seguirlo con gli occhi mentre esce dal buco del ritratto.
- Da che torta vuoi iniziare, Moony?
 


**********
 
- Hai capito?
- Sì.
- Bene, allora scrivi.
Potter inizia a scrivere e anch’io riprendo il mio tema.
Siamo da soli ora: il Corvonero mi ha spiegato la faccenda dei Goblin e poi ha preso la sua roba informandoci che cambiava tavolo. Avrebbe potuto fare finta di aver finito e di essere diretto alla sua Torre, per poi piazzarsi in un angolo lontano della biblioteca, ma no, meglio sbatterci in faccia quanto non ritenga due Grifondoro dei compagni di studio soddisfacenti. Benissimo, avanti così.
- Evans.
- Mh?
- È davvero necessario tutto questo? – Oh, Godric, e ora cosa vuole. - Non possiamo prendere una fenice, farla piangere e metterci direttamente sotto il malato a bocca aperta?
Oh Godric santissimo.
- A me sembra più semplice. Perché dobbiamo prendere le lacrime della fenice e metterle in una pozione  e poi darla al malato?
E ne è davvero convinto, lo vedo nei suoi occhi. Godric.
- A che ci serve la pozione? È un passaggio in più.  
E va bene. 
- Allora, punto primo, Potter, - Mi allungo fulminea verso il suo braccio e stringo tra due dita la carne lasciata scoperta dalla camicia arrotolata fino ai gomiti, girando poi velocemente la mano nello stesso modo che ha sempre fatto emettere a Petunia tutti quei versetti striduli.
- Ehy! – Potter non produce versi bizzarri, ma la sua espressione sconvolta è ancora più divertente.
- Dov’è la tua fenice, mh? – lo incalzo.
- Non ho una fenice! – protesta indignato.
- Appunto, - concludo pacata.
Potter mi fissa con la bocca spalancata per diversi secondi prima di richiuderla.
- E c’era bisogno di picchiarmi? – aggiunge poi offeso.
- Oh,  andiamo, - sbuffo. - Non ti ho picchiato, Potter, non essere melodrammatico. Ecco, - Allungo un braccio nella sua direzione. - Dammi anche tu un pizzico e siamo pari.
Non gli dico che tanto non sarà comunque mai micidiale quanto i miei: anni e anni di pratica.
- Non voglio darti un pizzico, Evans: sei tu che sei attratta dalle mie braccia.
Potter crede che io sia attratta dalle sue braccia e quindi lo guardo.
Lui mi guarda.
Il suo avambraccio finisce di nuovo nella mia presa ferrea.
- Ehy!
La sua faccia ora è così divertente.
Non credo di essermi mai divertita tanto in presenza di Potter e questa è la chiave del nostro rapporto: per andare d’accordo con certe persone basta conoscerle meglio, altre, altre devi solo picchiarle.
- Ora, se io ti avessi colpito con un coltello, mettiamo, - riprendo pratica. - Ti troveresti con un taglio sul braccio e potresti versarci sopra delle lacrime di fenice pure e semplici, nel caso tu te ne fossi comprato una fiala. Se invece...
- Quanto costano?
- Dieci galeoni a provetta.
- E quanto costa una fenice? – chiede Potter assorto.
- Non lo so.
- Secondo me conviene comprarsi una fenice, Evans, - decreta infine.
- Può darsi, non è questo il punto, - replico noncurante, cercando di proseguire con la spiegazione. Dove cercando è la parola chiave.
- Voglio dire, puoi farla piangere tutte le volte che ti fai male e puoi farla piangere anche altre volte, così puoi rivendere le sue lacrime, - insiste infatti.
- D’accordo, Potter, però, tornando a...
- No, no, Evans, fermati, - La verità è che inizio a capire perché quel Corvonero se n’è andato. La necessità di Potter di interrompermi è tale che si sta agitando sulla sedia, fremente. - Dobbiamo procurarci una fenice e questa roba non ci servirà più a nulla: metteremo su un allevamento di fenici e diventeremo ricchi, non abbiamo più  bisogno di un’istruzione.
- Non lascerò la scuola per mettere su un allevamento di fenici con te, Potter, - metto le cose in chiaro.  
- Silente ha una fenice, - mi ignora. - Possiamo rubare la sua.
- Non sarebbe nemmeno rubare, sai, credo che abbia un debole per me, - continua senza farmi ribattere e oh, wow, che novità, Potter che pensa che qualcuno abbia un debole per lui. - Quella volta che sono arrivato nell’ufficio di Silente sanguinante dopo che quei dieci Serpeverde mi avevano teso un agguato, lei...
- Avery.
Potter mi guarda.
- Non erano dieci, - spiego. - Era Avery e basta.
- Erano dieci.
- Era Avery.
- Erano dieci.
- Era Avery.
- D’accordo, era Avery, ma Avery è grande come dieci Serpeverde, - si arrende alla fine ed io ripenso a quella mattina del terzo anno, quando è entrato in Sala Grande con un occhio nero: quello è stato un giorno glorioso e indimenticabile. Anche e soprattutto per la storia dei vestiti di Avery che sono scomparsi all’improvviso di fronte a tutti all’ora di cena. Eww. – Comunque mi è volata in braccio, proprio mentre Silente mi stava sgridando senza motivo come i professori sempre fanno, e mi ha pianto su tutta la faccia, che è un chiaro segnale del fatto che preferirebbe me come padrone.
- Potter, - Lancio un’occhiata eloquente alla sua pergamena ancora quasi del tutto linda.
- D’accordo, d’accordo, - sospira riprendendo tra le dita la sua piuma. - Dopotutto perché diventare milionari quando possiamo passare altri due anni qui a riempire infiniti rotoli di pergamena che ci permetteranno di ottenere banali e noiosi lavori sottopagati una volta presi i M.A.G.O.?
- Tu sei l’ultima persona che potrebbe ritrovarsi con un lavoro banale o noioso, Potter.
Lui mi guarda sorpreso.
- Perché?
- Perché non è quello che accade alle persone come te, - chiarisco con un’alzata di spalle. - Tu diventerai famoso per qualche impresa particolarmente stupida o farai qualcos’altro per cui tutta la Gran Bretagna conoscerà il tuo nome, e poi verranno tutti da me a chiedermi “È vero che eri nello stesso anno di James Potter ad Hogwarts?” e sarà tutto molto seccante e tu riuscirai a infastidirmi anche quando non ci rivolgeremo più la parola.
- Io ti parlerò sempre, Evans, - replica subito Potter. - Anche quando tutto il mondo magico conoscerà...
- La Gran Bretagna ho detto.
-  Tutto il mondo magico conoscerà il mio nome ed io mi presenterò sul tuo posto di lavoro almeno una volta a settimana, in groppa al mio stormo di mille fenici, inseguito da giornalisti e fotografi, e continuerò a scriverti lettere e...
- Non mi hai mai scritto una lettera in vita tua.
- Inizierò.
- Ti pagherò per non farlo, - decido. - Probabilmente sarai così ricco solo perché io ti pagherò così tanto per farti stare lontano da me e...Potter, dannazione, smettila di distrarmi! Le lacrime di fenice allo stato puro si vendono e le puoi usare per curarti un taglietto superficiale o cose del genere, ma per avere effetto su alcune patologie vanno combinate con diversi ingredienti ed è qui che entrano in gioco le pozioni. Ora sta’ zitto e scrivi.
Potter mi lancia un’ultima occhiata di sottecchi con l’accenno di quel suo ghigno sornione, poi abbassa finalmente gli occhi sul libro e mi lascia fare altrettanto.
Un allevamento di fenici, ma per cortesia.
Quando poi esistono gli Snasi che sono in grado di trovare e rubare oro.
Ora, questo è un piano.
- Perché sorridi, Evans?
- Non sto sorridendo, Potter, - nego subito, perché non posso condividere con lui i miei progetti di futura ricchezza: non è una persona affidabile e sicuramente lo direbbe a Black, che verrebbe a rubarmi tutti gli Snasi e allora addio oro. E c’è quella storia di tutti i giovani maghi di sesso maschile che non riescono proprio a resistere a quella battuta su cosa uno Snaso troverebbe nelle loro mutande e no grazie. - Sto mostrando i denti, per farti paura nel caso guardassi me invece della tua pergamena.
- Paura, - ripete Potter che sta, infatti, guardando me invece della sua pergamena.
- Paura, - confermo. – Gli animali lo fanno, - spiego e poi scopro ulteriormente i denti in una smorfia aggressiva che realizzo troppo tardi essere più ridicola che minacciosa. Dannazione.
- Beh, anche la tua non fa per niente paura, Potter, - puntualizzo.
- Stavo sorridendo, Evans.
 Giusto.
- Non sorridere, - dico. – Scrivi.
Potter torna serio.
- D’accordo.
Abbassa lo sguardo sulla pergamena a rileggere le poche righe che ha scritto e anch’io torno a rileggere le mie. Poi gli lancio un’occhiata e incrocio i suoi occhi nocciola fissi su di me. Sento un lieve calore salirmi alle guance senza alcun vero motivo e torno a guardare la mia pergamena. Quando sbircio di nuovo si è finalmente messo a scrivere e ha un sorrisetto sulle labbra, perché è così chiaramente uno squilibrato.
 


**********
 
- Va bene, - Evans finisce di leggere il mio tema e me lo passa. – Non è da E, ma non è meno di Accettabile, forse anche Oltre Ogni Previsione, dipende dall’umore di Lumacorno.
- Accettabile è già oltre ogni previsione, Evans, - commento infilando il tema nella borsa. In effetti, è oltre ogni previsione anche solo l’avere il tema per mercoledì già pronto, quando normalmente lo avrei scritto in dieci minuti martedì notte.
- È oltre ogni previsione perché non ti impegni, Potter, - sottolinea alzandosi e iniziando anche lei a infilare i libri nella borsa. – Non ti ho aiutato così tanto, avresti potuto farlo anche da solo, con la differenza che da solo avresti cercato di finirlo in due minuti copiando pezzi a caso dal libro.
- Non pezzi a caso, solo le frasi dove compare ‘fenice’, - specifico.
- Per l’appunto, - annuisce. – Senti, abbiamo ancora un paio d’ore prima di cena, a questo punto tanto vale fare un salto nei sotterranei per provare una delle pozioni curative che faremo mercoledì a lezione, - propone sbrigativa. - Se tu riuscissi a farla quasi decente al primo colpo davanti a Lumacorno, quello sì che sarebbe oltre ogni previsione. E vedrebbe che ti stai impegnando.
- Wow, Evans, è un sacco di tempo da passare insieme oggi.
- Ne sono dolorosamente consapevole, Potter, ma piuttosto che farlo domani preferisco finire tutto oggi e lasciare la giornata di domani incontaminata dalla tua presenza.
- Avremo comunque lezione insieme, sai, - sottolineo, arricciando le labbra contrariato dalla sua scelta di parole. Incontaminata, come se fossi un qualche virus infettivo. 
- Sì, ma non avremo contatti ravvicinati, è diverso.
- Zero contatti?
- Zero.
- Non posso nemmeno avvisarti della carta igienica attaccata alle tue scarpe se dovesse succedere?
- Starò attenta a non farlo succedere, Potter, - mi assicura, prima di fulminarmi con gli occhi in maniera eloquente. - E anche tu starai attento a non farlo succedere.
Non riesco a trattenere un ghigno colpevole.
- Come vuoi, Evans, andiamo.
 


 
Il tragitto dalla biblioteca all’aula di Pozioni procede relativamente tranquillo e senza incontri degni di nota, fino a quando un pallido naso aquilino svolta l’angolo e inizia a percorrere il corridoio nella direzione opposta alla nostra, avvicinandocisi e offrendomi su un piatto d’argento l’occasione di migliorare sensibilmente la giornata.
Subito gli pianto la mia miglior espressione gongolante in faccia, iniziando a parlare a voce forzatamente alta.
- È così rilassante camminare per i corridoi insieme, Evans, non trovi? Diretti in una destinazione comune dove passeremo del tempo da soli e dove tu mi rivolgerai la parola, perché tu mi rivolgi ancora la parola. 
- Potter, ti ha dato definitivamente di volta il cervello? – Evans mi lancia un’occhiata perplessa, poi segue la direzione del mio sguardo e scorge Piton, che sta camminando velocemente a pochi passi da noi, gli occhi fissi davanti a sé e le labbra strette forte l’una contro l’altra. Subito si incupisce. - Sei incommentabile.
- Sì, Lily, mi sembra un’idea fantastica, perché no! Anche tu puoi chiamarmi James, certo! – quasi grido mentre Piton raggiunge la fine del corridoio e svolta l’angolo, sparendo alla vista. Sono così appagato e impegnato a immaginarmi la sua faccia ora che è fuori dal nostro campo visivo che non faccio caso ad Evans fino a quando la sua scarpa non si schianta forte proprio contro il mio stinco.
- Evans, cazzo, ahi!
- Ti ci affogo nel calderone, Potter, - sta borbottando irata, il passo che aumenta sempre più. – Ti affogo e poi preparo una pozione solvente per far sparire il tuo corpo. La so fare, è roba del quinto anno, non credere. Anzi, sai cosa, ti affogo direttamente nella pozione solvente, così la tua faccia inizierà a sciogliersi quando sarai ancora vivo e allora forse diventerai un po’ più maturo.
- In che modo sciogliermi la faccia dovrebbe rendermi più maturo, Evans?
- Qualunque cosa ti renderebbe più maturo, Potter, perché meno maturo non puoi diventarlo, essendo tu già al livello più basso esistente.
- Ok, ma è più sensato che uno dissolvendosi diventi meno piuttosto che più, no?
- Potter, seriamente, lasciami stare. Sono irritata.
- D’accordo, Evans, però calmati, ok? Stavo scherzando, - la rabbonisco. - Non puoi davvero chiamarmi James.
 Questa volta sono pronto e riesco ad evitare il calcio sugli stinchi.
 


**********

Potter è concentrato a mescolare la sua pozione e così le mie orecchie hanno finalmente la possibilità di rilassarsi per un momento. Non credo di aver mai passato così tante ore consecutive a stretto contatto con lui e ho sempre dato per scontato che a un certo punto si scaricasse momentaneamente, dimenticandosi di essere un aspirapolvere e comportandosi a tratti da normale scopa babbana, ma non è così. Non ci sono momenti morti nel suo essere James Potter, lo è proprio a tempo pieno. Forse sta in carica tutta la notte oppure non necessita di carica e basta, fatto sta che la sua autonomia è molto più inesauribile della mia, che dopo un solo pomeriggio con lui è già sull’orlo del collasso. Non ha nemmeno bisogno di parlare per importunarmi, gli basta fare quella cosa con gli occhi, e subito qualcosa si smuove dentro di me, anche quando non mi sta nemmeno guardando; è semplicemente il suo talento naturale nell’infastidirmi e inizio a credere che non dipenda nemmeno da lui.
- Bene, ora aggiungi le zampe di ragno, - lo istruisco dopo aver lanciato un’occhiata all’orologio. Non è un compito particolarmente difficile e così mi concedo di non controllarlo a vista come ho fatto finora, solo che quando mi rigiro scopro che Potter ha trovato il modo di renderlo difficile: sta inclinando l’intera scatola con le zampe al di sopra del calderone ed io riesco a fermare la sua mano appena in tempo, saltando giù dal banco su cui mi stavo rilassando.
- Potter, - Mi porto le dita alle tempie. – Cosa stai facendo?
Alza le spalle.
- Quello che mi hai detto.
- Non ti ho mai detto di rovesciarci l’intera scatola: prendi con le dita solo quelle che ti servono e metticele dentro, come i bambini normali.
- Non posso toccarle, Evans.
Sgrana gli occhi e mi guarda come se fossi pazza.
Non può toccarle, certo. Non. Può. Toccarle.
Godric, davvero? Culla dei coraggiosi di cuore?
- Ho toccato le dannate lumache cornute, con la loro bava viscida e appiccicosa, ma non c’è niente che tu possa dire per convincermi a toccare le zampe di ragno, - continua imperterrito, leggendo evidentemente lo scetticismo nei miei occhi. - Sono disgustose e ricoperte di peli, non vedo perché dovremmo aggiungerle alla pozione. Non ci possiamo mettere qualche altra radice invece? Tipo, l’asfodelo o...
- Potter, - sospiro, sfilandogli di mano la scatolina e rassegnandomi ad aggiungere da sola alla pozione le tre zampe. - Non cambieremo gli ingredienti delle pozioni a seconda della tua fobia per i ragni, non è così che funziona, né Pozioni né la vita in generale.
- Non è fobia, Evans, io non ho paura, è buonsenso. 
- Tu hai definitivamente paura.
- Non essere ridicola.
Potter scuote la testa e prima ancora che abbia finito di parlare ho la bacchetta tra le dita. Il pestatoio di legno sul banco davanti a lui, proprio di fianco alla sua mano, inizia a ricoprirsi lentamente di spessi peli neri e tempo pochi secondi un’enorme tarantola prende il suo posto. 
- Evans, dannazione, cosa stai facendo?!
Mi sono sempre piaciute le tarantole, ancora prima che scoprissi l’effetto di repellente che hanno su Potter. Se ne adottassi una come animale domestico e me la portassi in giro tutto il tempo, lasciandola libera di zampettare sulle mie spalle e braccia, allora forse la mia orbita vitale smetterebbe di scontrarsi con la sua così spesso.   
- Sto provando un punto, Potter.
- Quella cosa abominevole non prova nulla, se non che tu sei folle.
- Prova che hai una fobia.
- Perché ora continui a ripetere quella parola? Cosa ti fa pensare che io abbia una fobia?
- Il fatto che sei spiaccicato contro il muro dell’aula e stai cercando di passarci attraverso perché io ho evocato un ragno, Potter, - rispondo pacata, mentre lui continua a restare appiattito contro il muro dalla parte opposta dell’aula, gli occhi sbarrati che si spostano cautamente da me alla tarantola e viceversa. Questa lezione è così tanto più divertente dell’ultima. - Coraggio, hai paura dei ragni e sei un disastro in Pozioni: possiamo arrivare a tanto o è semplicemente troppo da ammettere nel giro di così poco tempo?
- Sono un disastro in Pozioni, ma non ho paura dei ragni. Non mi piacciono e basta, è diverso. Come il marzapane, ok? Non mi piace, ma nessuno mi accusa di avere una fobia per il marzapane, - Mamma faceva dei biscottini di marzapane divini e mi sconvolge il pensiero che a qualcuno possa non piacere il marzapane, ma d’altro canto non posso aspettarmi dei gusti decenti da Potter: probabilmente è una di quelle persone gnegne che scartano i canditi da tutti i dolci, e insomma non c’è nulla di cui stupirsi se poi fa esplodere le pozioni.  - E se la prossima parola che dirai non sarà Evanesco, la prossima parola che dirò io sarà Incendio, Evans, ti avverto.
- D’accordo, torna qua, - sospiro ritrasfigurando con un colpo di bacchetta la tarantola al suo stato originale di pestatoio. – Guarda, le hai fatte cadere tutte. Accio zampe di ragno.
- Oh beh, sono sicuro che non avrai problemi a trovarne altre, sei così brava a trasfigurare ragni, - Potter si riavvicina indispettito, mentre io vengo bersagliata dalle zampe sottili che si vanno a schiantare fulminee contro le mie guance, una dopo l’altra: mai pronunciare gli incantesimi d’appello in modo brusco, mai. - Davvero, chi te l’ha insegnato? Perché una persona normale dovrebbe voler imparare una cosa del genere? Non potevi imparare a trasfigurare, che so, delle farfalle?
- Non mi piacciono le farfalle, - replico con un’alzata di spalle. - Hanno quel corpo e quella faccia ripugnante nel mezzo, sono praticamente dei vermiciattoli pelosi, ma nessuno ha il coraggio di dirlo perché si sentono tutti in dovere di elogiare le ali colorate. Lo trovo ipocrita.
Potter mi sta ora guardando come se avesse appena avuto un’apparizione e chiaramente non avrei dovuto farlo spaventare così, perché ora il suo cervello non connette più.
- Anche io, - esala infine, a metà tra l’incredulo e l’ebete. – Anche io la penso così, Evans, ho sempre odiato le farfalle! Sono disgustose! – E sembra così felice mentre lo dice. – Sono rivoltanti! Se ce ne fosse qui una ora io la...la...non la toccherei! – Ed è sempre più contento. - Perché mi farebbe schifo!
Potter ha questa luce sinceramente esaltata e trionfante negli occhi e continua a sorridere come il pazzo che è e tutto questo è molto strano.
- Wow, Potter, - commento sarcastica, mentre mi chino ad aggiungere le zampe alla pozione fumante. - Spero per le farfalle che non si trovino mai in tua presenza, dev’essere devastante non essere toccate da te.
- Ci pensi spesso, Evans?
La voce di Potter si fa improvvisamente più profonda ed io mi volto a guardarlo.
- Alle farfalle?
- A quanto sia devastante non essere toccata da me.
Non sono tanto le cose che dice, quanto l’espressione seria e il tono profondo che riesce a mantenere.
- Vieni qua, Potter.
- Così, dritti al sodo?
- No, intendo: vieni qua, chiudi la bocca e riprendi a fare la pozione prima che io faccia evanescere la porta e trasfiguri ogni singolo oggetto presente in questa stanza in un ragno e ti guardi piangere e disidratarti fino alla morte.
 Potter sta riflettendo sulle mie parole e le sta elaborando con il cervello rallentato che gli è rimasto dopo lo spavento di poco fa, e prima che possa uscirsene con una replica fastidiosa gli ho già piazzato in  mano il mestolo, che notoriamente annulla ogni sua singola capacità mentale e di conseguenza ogni eventuale risposta arguta.
- Gira, - gli dico, come se poi non fosse l’unica mossa possibile quando hai in mano un mestolo infilato in un calderone pieno fino all’orlo, ma va’ a capire con Potter.
Dopo qualche minuto aggiungo qualche altra zampa di ragno, poi ripongo la scatolina nell’armadietto delle scorte.
- Quindi fammi capire, Potter, - La mia fronte si aggrotta mentre mi riavvicino alla postazione, pensierosa. - In sei anni non hai mai messo le zampe di ragno nelle pozioni che lo richiedevano, nemmeno una volta?
- No, - Alza le spalle. - Oh andiamo, non guardarmi così. È un ingrediente solo, che cambia? Le pozioni hanno un sacco di ingredienti. 
La mia bocca si apre e poi richiude, perché lo ha detto davvero.
Probabilmente è così che si è sentita la McGranitt al mio primo anno, quando sono rimasta per quasi un’ora dopo la lezione nell’aula con lei a insistere perché mi spiegasse in modo più chiaro come fosse possibile trasformare un oggetto inanimato in un essere vivente e viceversa. ‘Ma allora perché non crea anche un essere umano, professoressa? Sarebbe come Dio!’ continuavo a ripeterle, mentre le sue labbra diventavano sempre più bianchi e sottili e lei cercava di spiegarmi la differenza tra se stessa e il Dio in cui credevo allora. Ricordo ancora il paragone che mi ha convinta a darle pace alla fine, quello sulla cucina e sul medesimo impasto che può assumere forme diverse ma senza mai cambiare la sostanza.
Certo, con tutta probabilità Potter non sa nemmeno cucinare.
- Ok, pensa al Quidditch, d’accordo? – inizio ispirata, attirandomi immediatamente la sua attenzione. - Alla partita del prossimo mese contro Tassorosso per la precisione: ci saranno un sacco di lanci, ma se il tuo Portiere dovesse mancarne uno, scommetto che non alzeresti le spalle pensando che cambia, è solo uno su tanti, dico bene? – Potter mi osserva assorto, ponderando le mie parole o fingendo di farlo. – Quidditch, Pozioni, è la stessa cosa: non importa se ci sono un sacco di ingredienti e un sacco di passaggi, ogni mossa è fondamentale, tutto influisce sul risultato e se tu non metti le zampe di ragno nella pozione, allora Tassorosso vincerà la partita.
Non faccio in tempo a finire che la sua mano scatta veloce verso... – Potter! Che diavolo fai?
- Precauzione, Evans.
 
 
 

- Potter, no, - lo richiamo stancamente. - Te l’ho detto anche l’altra volta, non puoi metterceli così i pungiglioni di Doxie se non sono freschi, li devi tritare.
 Potter si blocca con la punta di un pungiglione già immersa nel rosa perlaceo della pozione e lo ritira fuori senza problemi, sbattendolo sul banco e iniziando a schiacciarlo con il pestatoio. Non ne prende uno nuovo che non sia entrato in contatto con la pozione e non ha quello sguardo da ‘ah, merda, è vero’ che hanno di solito le persone quando gli viene fatto notare un errore in qualcosa che si stanno impegnando ad imparare; ha la solita espressione rilassata e come ogni volta che lo correggo non tradisce alcun interesse con gli occhi. Non alza le spalle fregandosene apertamente e ogni volta fa subito quello che gli dico, ma è come se emanasse comunque un’impercettibile alzata di spalle attraverso la sua espressione impassibile e che lo faccia consapevolmente o meno non riesco a non avvertirla.
È come se fosse in quest’aula, ma non del tutto, come se volesse effettivamente andare bene in pozioni, abbastanza da presentarsi qui e svolgere meccanicamente le mie indicazioni, ma non abbastanza da dedicarvisi fino in fondo, chiamando a raccolta tutte le sue capacità. Non faccio che notarlo sempre più mentre il tempo passa e mi urta questo atteggiamento di implicita superiorità, perché io invece qui ci sono davvero e ci sto provando proprio con tutte le mie risorse a fargli capire il meccanismo alla base di ogni pozione, anche se non siamo nemmeno amici, perché è quello che ho detto che avrei fatto e non mi piace non essere in grado di mantenere la mia parola. Ma è tutto inutile se dall’altra parte c’è il muro invisibile di chi non si abbassa a provarci seriamente e il mio primo istinto è proprio quello di prendermela e mandarlo a quel paese.
- Lo sai, Potter, il fallimento non è la cosa peggiore che esista.
Ma a volte, solo a volte, riesco ad arrivare alla fine dei famosi dieci secondi e continuare a riflettere appena un altro po’ prima di aprire la bocca.
- Cosa? – Potter alza lo sguardo dalla pozione e non ha chiaramente idea di che cosa stia parlando.
- È questo il problema, no? – Scrollo le spalle. - Sei abituato a vincere e ti sei convinto che perdere sia la cosa peggiore che potrebbe capitarti. E quindi non ci provi nemmeno, perché se resti distaccato non ha importanza se poi non riesci, perché tanto non ci stavi davvero provando, - Le labbra di Potter si schiudono lentamente come se volesse interrompermi, ma io continuo imperterrita, anche perché qualcosa nel suo sguardo mi suggerisce istintivamente che non ha veramente qualcosa da ribattere. – Ti opponi automaticamente all’idea di buttarti del tutto in qualcosa che non hai la certezza di poter vincere perché se il tuo meglio non fosse abbastanza ti crollerebbe il piedistallo da sotto i piedi.
- È questo che sto facendo? – Potter inarca un sopracciglio e ogni vibrazione nella sua voce esprime scetticismo. - Non ci sto provando davvero per paura di non riuscire?
- Non lo so, Potter. Dimmelo tu: perché non ci stai provando?
- Ci sto provando.
- Io credo che tu ti sia rassegnato a perdere anni fa e per questo ti trattieni invece di mettertici sotto, - replico risoluta. - Ma il punto è, Potter, non funziona così, non è così che si ottengono le cose nella vita: non puoi lottare solo quando sai di poter vincere.
Non so perché dal fatto che lui non ha tritato i pungiglioni di Doxie prima di metterli nella pozione sono finita a questi livelli di profondità inopportuna e da come mi guarda nemmeno Potter lo sa. Alice direbbe che sono in uno dei miei momenti di spessore fuori luogo, come li chiama lei, e avrebbe ragione, perché sono proprio nel bel mezzo del mio momento e ormai devo concluderlo o mi resterà una spiacevole sensazione di profondità inespressa per tutto il resto del giorno.
- Provaci. Provaci sul serio. E potresti fallire, ma non sarà la fine del mondo. Nessuno a parte te si aspetta che tu sia perfetto in tutto, - E mi trattengo dallo specificare che infatti agli occhi delle persone sane di mente non c’è proprio nulla di perfetto in Potter, a partire dai suoi ridicoli capelli. - Hai chiesto il mio aiuto ed eccotelo qui: vuoi diventare un bravo pozionista, Potter? Impara a perdere.
Questi miei momenti improvvisi hanno sempre il medesimo effetto sulle persone e Potter chiaramente ora crede che io sia pazza e ha ragione, perché solo una persona pazza cercherebbe di indagare la logica dietro alle sue azioni e ai suoi occhi e in generale dietro a tutti i bizzarri meccanismi del suo essere un aspirapolvere.
 

*
 
Evans è chiaramente fuori di testa.
- Triterò i pungiglioni di Doxie non freschi, Evans, - Annuncio lentamente e sa di promessa. – Hai la mia parola.
Lei mi scruta per diversi secondi.
- Bene, - decreta infine. – Ora pulisci tutto e rifletti sui tuoi errori.
Senza più degnarmi di uno sguardo si infila il libro nella borsa e se la getta sulle spalle.
- Ora se permetti, - Mi fa un cenno col capo e mi supera impettita, diretta verso l’uscita, salvo poi fermarsi dopo pochi passi.  
- Lo sai, Potter, - dice, tornando indietro e porgendomi la mia spilla da Capitano. - Per essere il Cercatore migliore della scuola, hai dei pessimi riflessi.
- Sono il Cercatore migliore della scuola? – ripeto subito gongolante.
Evans apre la bocca spiazzata, evidentemente presa in contropiede, poi agita la mano come a scacciare una mosca.
- Prenditi la tua spilla e basta.
Appuntarmi al petto la C dorata sulle due scope incrociate è appagante come sempre e me la rimiro soddisfatto. Evans, intanto, mi sta fissando assorta.
- Quindi dal mantello non puoi separarti qualche ora senza dare di matto, ma la spilla da Capitano me la lasci due giorni senza neanche richiedermela? – chiede inarcando un sopracciglio.
Le sorrido sornione.
- Tu puoi prendere quello che vuoi, Evans.
Mi guarda ed emette uno strano verso per niente attraente, una cosa a metà tra uno sbuffo scettico e qualcuno che si sta strozzando, poi alza gli occhi al cielo e se ne va, lasciandomi da solo nell’aula silenziosa.
E il fatto è, è come con il Quidditch.
Non importa se siamo praticamente fuori dalla competizione e tutti ci danno per spacciati, come se avessimo già perso. Il resto della scuola può guardare al punteggio e alla logica e ai fatti quanto vuole, ma alla fine la metteremo comunque nel culo a tutti e ci prenderemo quella Coppa, stracciando Tassorosso prima e Corvonero poi, perché questo è esattamente quello che i Grifondoro fanno, ignorare il buonsenso e le probabilità e vincere anche quando la partita è già persa.
I Corvonero sono convinti che gli unici rimasti a porsi tra loro e la Coppa siano i Tassorosso, ma saremo noi a sfilargliela dalle mani alla fine, perché Evans ha ragione ed io non so perdere. E checché ne pensi non è un difetto, perché è il non saper perdere che mi fa vincere anche quando dovrei solo accettare la sconfitta.
È il non saper perdere che mi ha spinto a prendere in mano un libro sull’Animagia e a provarci per anni, a dispetto di tutti i ‘‘praticamente impossibile’, ‘magia estremamente avanzata’, ‘pericolo di morte’, a dispetto della frustrazione di tentativi continui ed infruttuosi. Avrei dovuto imparare a perdere allora, quando a Sirius è uscito il sangue dal naso per quasi una notte intera, senza che potessimo spiegarlo a Madama Chips, o quella volta che mi è mancato il respiro fino a farmi svenire e Remus ci ha urlato contro così tanto perché smettessimo di provarci. Avrei dovuto imparare allora a perdere e rassegnarmi a vederlo tornare distrutto e coperto di nuove cicatrici dopo ogni luna piena, come ogni amico o parente di un licantropo ha fatto da che è esistita la maledizione, ma non sapevo come fare e così al quinto anno abbiamo vinto la luna, perché nessuno ci aveva insegnato a perdere.
Ed è lo stesso motivo che ci spinge ad allenarci per ore sotto la pioggia  o contro il vento gelido invece di rintanarci davanti al caminetto della Sala Comune perché tanto ormai siamo fuori dai giochi. Vinceremo quella Coppa perché non possiamo accettare altrimenti, ma Evans non è una Coppa e Sirius ha ragione: il rifiuto di perdere che mi spinge a reagire in ogni altra situazione con Evans non fa che paralizzarmi, ed è patetico e vergognoso e qualunque altra cosa lui abbia detto o pensato.
È patetico e non è come un Grifondoro dovrebbe affrontare la situazione.  
Non affrontare la situazione, non è come un Grifondoro dovrebbe affrontare la situazione, e mi prenderei a pugni perché è esattamente quello che sto facendo: la verità è che non ci sto nemmeno provando. 
E non è qualcosa che mi è mai successa prima, la paura paralizzante di perdere, perché James Potter non perde e basta, e questo è in realtà il vero problema: perché questa partita invece sembra già persa in partenza.
Ma il fatto è, sono James Potter e non c’è nulla che io non riesca a fare. E se per vincere questa partita devo perderla e perderla e poi perderla ancora, allora imparerò a perdere. E perderò meglio di chiunque altro, perché questo è quello che James Potter fa, essere meglio degli altri.
Philips non saprà nemmeno cosa l’ha colpito, sul campo e fuori: ho smesso di ritirarmi prima del fischio d’inizio.
In quanto ad Evans, farà meglio a prepararsi, perché James Potter ha iniziato a giocare. 
 
Se solo non avessi un pungiglione di Doxie conficcato nel dito.
 
 
 
 
 
 
 
 
Durante i suoi anni ad Hogwarts, Harry passerà diverso tempo con gli occhi alzati al soffitto incantato della Sala, a correre tra finte nuvole e candelabri danzanti di fiammelle dorate, ma non noterà mai la cravatta dal rosso sbiadito che vent’anni prima fece finire in punizione suo padre e sua madre.
Quella stessa cravatta che subito si solleveranno a cercare gli occhi di Remus Lupin quando rientrerà in Sala Grande per la prima volta dopo una vita intera, nelle vesti del nuovo professore di Difesa Contro le Arti Oscure: rivedrà James sfilargliela dal collo con quel suo sorriso malandrino, sentirà la voce vibrante di Lily nella penombra di scaffali carichi di vecchi trofei, e la risata di Sirius sarà così forte da rimbombare nella Sala anche a vent’anni di distanza e avrà il sapore di un tradimento impossibile.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 




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... Fun fact: inizialmente lo scorso capitolo doveva finire dopo il POV di Sirius,  con lo schiocco del suo pugno in faccia a Philips. Ero indecisa se includerlo nello scorso o meno, ma in ogni caso sempre col cliffhanger si finiva, però sono curiosa, mi avreste odiato di più o di meno?
Fun fact numero due: no, non è un fun fact, è solo una specificazione che sento il bisogno impellente di fare perché mi avete fatto sentire estremamente in colpa scusandovi per il fatto di fare i lettori silenziosi ecc, quando omg no non scusatevi, quindi --- > Tu, lettore silenzioso che stai leggendo, non ti odio e ti voglio bene lo stesso e non mi devi assolutamente nulla e commenta solo se hai voglia. Ci tengo a specificarlo perché ho sempre trovato ridicolo pretendere recensioni o atteggiamenti simili, anche perché non è che io vi do qualcosa in cambio, nemmeno faccio spogliare Sirius nei capitoli, quindi davvero, con che faccia posso chiedere cose, mi interessava solo farvi sapere una cosa che magari non sapete, ovvero che effettivamente a volte un commento fa la differenza, soprattutto quando come me non parli del fandom di HP con nessuno nella vita reale e quindi non ci pensi nemmeno, e ci stai fondamentalmente lontana il 99% del tempo, e l’unico momento in cui ci penso (sono appena tornata alla prima persona completamente a caso yep) è effettivamente quando posto e leggo poi le vostre reazioni, e per esempio dopo aver letto la recensione infinita e appassionata di Emma (e aver quindi pensato ai malandrini per un’ora intera perché ci ho messo tipo un’ora a leggerla) è successo che il mezzo capitolo che non doveva mai vedere la luce perché era a metà e io non l’avrei finito è invece ora intero, perché quando qualcuno ti ripete così tanto quali sono le cose che ti piacciono della storia capita che magari lo ricordi anche tu  e ti trovi a scrivere la metà di capitolo che mancava e a divertirti nonostante i “gnegne il fandom di HP ormai mi è lontano e indifferente” quindi nulla, il punto era più o meno questo,  non voleva essere una predica o altro, figuriamoci, era solo per darvi un insight di come funziona la mia ispirazione, che si fa un po’ travolgere dall’entusiasmo altrui a volte, non sempre, ma a volte sì, ma che sicuro non si fa contagiare dal silenzio stampa.
*malandrina out*

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***





CAPITOLO 31.









«Sirius!»
Come riemergo alla luce della Sala d’Ingresso, lasciandomi l’umidità buia dei sotterranei alle spalle, individuo subito la figura del mio migliore amico a pochi passi da me. Ottimo.
«Ehy, Sirius!» lo richiamo affrettando il passo per raggiungerlo mentre lui si dirige a passo sostenuto verso le scale, lo sguardo fisso davanti a sé.
«Sparisca, Potter.»
È solo quando mi liquida con un gesto secco della mano e una vibrazione furente nella voce che noto la presenza della mia Capocasa, che sta seguendo impettita Sirius a breve distanza.
«Certo, professoressa,» annuisco subito, sistemandomi automaticamente la cravatta.
Sirius e la McGranitt svaniscono al piano superiore ed io resto impalato come un cretino ai piedi delle scale, chiedendomi se ora posso salire o se la McGranitt lo saprà e appellerà la mia spilla da Capitano. Ci sono due Serpeverde vicino al portone che stanno ancora guardando le scale e parlottano tra loro, cospiratori. C’erano Serpeverde bisbiglianti anche per tutti i Sotterranei, ricordo improvvisamente, rivalutando la strana concitazione che sembrava percorrere i corridoi dall’aula di pozioni fino a qui.
I due fenomeni distinti dei sotterranei in fermento e di Sirius scortato dalla McGranitt non tardano a legarsi nella mia mente e subito vorrei che il contratto sociale di Hogwarts mi permettesse di rivolgere la parola ai Serpeverde, così potrei chiedere a quei due cos’è successo a Piton e quanto male gli ha fatto. Non posso naturalmente e così, dopo essere riuscito ad origliare solo qualcosa a proposito di un vetro, mi avvio verso la Torre, ottimista: considerando le sue abilità pari e, a sua detta, ma solo a sua detta, superiori alle mie in Trasfigurazione, sono abbastanza sicuro che la sua punizione sarà identica alla mia e dare ripetizioni ai primini insieme a Sirius si prospetta senz’altro più divertente che dare ripetizioni ai primini senza Sirius. Ottimo.


«Trenta punti in meno e devo archiviare un miliardo di libri insieme ad Evans.»
Sirius alza le spalle nella sua poltroncina di fianco al camino, con un’aria tutt’altro che sconfortata: è in realtà visibilmente appagato dall’azione fatta e più tranquillo di quanto lo sia da un po’. Assegnare Sirius all’archiviazione invece che alla trasfigurazione è pura follia ed è il chiaro frutto del perfido rifiuto della McGranitt di metterci in punizione insieme, cosa che mi cruccia molto. Anche Remus ha un’aria corrucciata.
«Hai fatto passare Piton al di là della vetrata della Sala Comune di Serpeverde facendolo finire nel lago,» ripete lentamente, gli occhi fissi su Sirius.
«Sì.»
«E lo hai fatto perché...»
Il tono e l’espressione di Remus invitano Sirius a concludere la frase al suo posto e lui non se lo fa ripetere.
«Per farlo finire nel lago,» risponde e io sogghigno.
«Era sconvolto,» ricorda Sirius con una luce sognante negli occhi che mi fa rimpiangere di non esserci stato: dev’essere effettivamente un’esperienza sconcertante essere all’interno della propria Sala Comune, al caldo e all’asciutto, e ritrovarsi all’improvviso nelle profondità scure e gelide del Lago Nero, ma poi già essere Piton e basta dev’essere un’esperienza sconcertante. «Continuava a spingere contro il vetro per rientrare invece di nuotare verso l’alto come chiunque dotato di un cervello avrebbe fatto,» continua. «Guardava dentro la Sala e così mi sono tolto il mantello perché la tentazione era troppo forte: ha rischiato di affogare quando mi ha visto,» Riesco perfettamente a immaginare lo shok e la collera sui lineamenti odiosi di Piton e perché non c’ero, dannazione. «Poi si è lanciato un Testa Bolla, ma a quel punto è arrivata la piovra.»
Questa parte l’ha già raccontata e subito mi unisco al suo sorriso beato, perché quello che è successo è il chiaro segno che Godric o chi per lui dall’al di là ci sorride: a quanto pare Silente in persona è ancora fuori nel parco che cerca di convincere la piovra gigante a lasciare Piton con le buone, per non rischiare di nuocerle con un incantesimo, mentre lei continua a trascinarlo qua e là lungo la superficie del lago, a suo modo delicata ma ostinata nel non mollarlo. È abbastanza atipico perché tendenzialmente non si interessa agli studenti, limitandosi a solleticarli di sfuggita coi tentacoli, ma c’è anche da dire che solitamente gli studenti non si spingono troppo al di là della riva e trovarne uno disgustoso come Piton a tali profondità dev’essere un’invasione di territorio bella e buona. Adoro il fatto che, non essendo Piton in pericolo di vita, Silente abbia deciso di preservare l’incolumità della piovra piuttosto che la sua già dubbia dignità: tutti gli studenti sono stati costretti a rientrare nel castello e Gazza è stato messo a guardia del portone d’ingresso, ma non così in fretta da impedire ad abbastanza studenti di ogni Casa di assistere alla scena e di diffonderla per il castello: nessuno può vederla coi propri occhi ora, ma in ogni Sala Comune sanno tutti cosa sta succedendo e a chi, e soprattutto lo sapranno domattina quando Piton entrerà in Sala Grande per la colazione. Se non fosse che il ricordo della McGranitt che mi chiede perentoria la spilla da Capitano è ancora troppo fresco e terrificante nella mia mente, mi infilerei sotto il mantello e sgattaiolerei nel parco per assistere coi miei occhi al trionfo: i Serpeverde hanno sempre avuto questa ridicola convinzione che il lago e le creature al suo interno fossero in qualche modo legate alla loro Casa, solo perché la loro Sala non ha nemmeno un soffitto che si rispetti e si affaccia su una porzione minuscola di lago, ma da oggi sarà chiaro a tutti che la piovra gigante è Grifondoro nell’anima.
«Quindi ti sei tolto il mantello davanti a tutti subito dopo averlo fatto,» rimugina Remus, la sottile ruga in mezzo alla fronte che non ha l’aria di voler gioire dell’umiliazione di Piton. «Sirius, dovevi saperlo che saresti finito in punizione. »
«E quindi?»
Sirius doveva saperlo e naturalmente lo sapeva e guarda Remus impassibile.
«Quindi,» continua Remus lento, gli occhi attenti a captare ogni reazione di Sirius. «Se lo hai fatto comunque ci dovevi tenere veramente tanto a nuocere a Piton e farglielo sapere.»
«Ok, e quindi?» C’è una nota irritata nel tono di Sirius ora. Io mi raddrizzo sulla mia poltroncina.
«Quindi,» prosegue Remus sempre più lentamente, evidentemente indeciso se continuare o no.
«Moony, è in punizione e allora? » lo blocco, decidendo al suo posto. «Anch’io sono in punizione. Non c’è nulla di male nell’essere in punizione.»
«Lo so, ma mi chiedevo... »
«Come festeggiare la momentanea liberazione da Piton, sì, me lo chiedo anch’io,» taglio corto, perché Remus è veramente fuori di testa se pensa di affrontare l’argomento e per di più la sera prima della luna piena. «Dobbiamo goderci la vista della scuola senza il suo naso untuoso il più a lungo possibile,» stabilisco, prima di alzarmi e portarmi entrambe le mani alla bocca, ad amplificare la voce. «PETER! Pete, scendi, dobbiamo uscire! »
«Muovetevi dai,» aggiungo vivace, prima di bloccarmi con lo sguardo su Remus, sul suo colorito pallido e la schiena abbandonata senza forze contro il divanetto, e darmi silenziosamente dell’idiota. Anche Sirius distoglie il suo sguardo di sfida da Remus per darmi un po’ più rumorosamente dell’idiota. «O magari possiamo stare qui e giocare a scacchi e pensare a Piton che invece non può perché è a mollo tra i tentacoli di una gigantesca creatura marina,» Mi correggo subito, con lo stesso entusiasmo. «Anche questo è un buon modo di festeggiare. PETE, EHY PETE, abbiamo votato! Devi condividere la tua scatola di Mielandia col gruppo, vieni giù! »
Dal corridoio dei dormitori maschili, oltre le scale, proviene un lamento sconfortato.
«Oh no, ma perché! »
«Decisione unanime, Pete, portala giù!» insisto. «E non nascondere nulla! Lo so che ci sono dieci Cioccorane! »
«Nove,» dice subito Remus, mentre io lo guardo interrogativo. «Sono nove ora.»
«Sette,» lo corregge Sirius e a quanto pare sono l’unico con una coscienza qua in mezzo: io gli ho rubato solo qualche zuccotto, perché nessuno si accorge mai se mancano gli zuccotti.


«Sirius.»
Il cavallo di Peter ha appena schiacciato l’alfiere di Remus sotto gli zoccoli, ma lui sembra troppo assorto nei suoi pensieri per farci caso. Sirius alza un sopracciglio interrogativo, distraendosi dalla nostra partita e dandomi così la possibilità di barare per la seconda volta consecutiva.
«Come hai fatto esattamente a far passare Piton attraverso la vetrata?» continua Remus assorto, attirando anche la mia attenzione ora. Sirius lo guarda, ma la sua mano sinistra va a rimettere con decisione al suo posto la torre che gli avevo appena spinto giù di soppiatto dalla scacchiera. «Voglio dire, non è solo vetro: è protetto da innumerevoli incantesimi atti ad assicurare tanto che il peso dell’acqua non lo sfondi quanto che non venga scalfito da qualunque urto o fattura proveniente dall’esterno come dall’interno. È pensato apposta perché niente e nessuno possa intaccarlo, non dev’essere una passeggiata farci passare qualcuno attraverso.»
È un’osservazione intelligente quella di Remus e subito sposto anch’io gli occhi su Sirius, che non ha l’aria di chi si è reso conto di aver trovato una falla a magie lanciate centinaia d’anni prima della nascita di tutti noi.
«Non lo so» dice lentamente, e sembra realizzare solo ora che non sarebbe dovuto essere in grado di farlo. «Ero...credo che sia stata magia involontaria.
«Magia involontaria?» ripete incredulo Remus, mentre io aggrotto la fronte.
«Non succede solo a chi non ha ancora una bacchetta?» chiede Peter confuso e non ha tutti i torti: le esternazioni spontanee di magia accidentale sono frequenti nei bambini, ma da quando il mago impara a canalizzare il suo potere nella bacchetta il fenomeno sparisce completamente nel novantanove percento dei casi.
Dovrei essere più stupito di così che Sirius abbia deciso di far parte dell’uno percento.
«Beh, avevo la bacchetta in mano, » specifica. «Ma non ho pensato a nessun incantesimo, è successo e basta: volevo fargli qualcosa e all’improvviso era dall’altra parte del vetro.
È tutto molto bizzarro ed io ho questo vago ricordo di un paragrafo sulla scuola di stregoneria brasiliana nel libro di mamma sulle scuole magiche nel mondo: se non ricordo male diceva qualcosa proprio su come sia la norma per loro studiare ed esercitarsi nell’utilizzo della magia senza bacchetta, ma non avevo neppure iniziato Hogwarts quando ho aperto quel libro l’ultima volta e non è come se mi fidassi davvero della mia memoria.
«Non saresti dovuto riuscirci, » insiste Remus che trova sempre fastidioso non trovare una spiegazione logica a tutto. «Neppure provandoci volontariamente e con un incantesimo ben preciso in mente, non saresti dovuto essere in grado di far passare nemmeno un granello di polvere attraverso quel vetro: in Storia di Hogwarts c’è scritto che gli incantesimi di protezione lanciati da Salazar in persona vengono rinnovati periodicamente dai presidi in carica per evitare che l’acqua sfondi il vetro inondando la Sala. Quel vetro è probabilmente il punto più protetto e magico di tutta Hogwarts e tu...»
«Aspetta, » lo interrompo all’improvviso, illuminandomi. «Ho capito dove vuoi arrivare. Godric, Moony, sei un genio! »
«Cosa? » Peter mi guarda perplesso. «Dove vuole arrivare?»
«Da nessuna parte, Pete, io... »
«Gli incantesimi di protezione, ma certo! » annuisce convinto Sirius, illuminandosi a sua volta e lanciandomi un’occhiata ispirata. «Che impediscono all’acqua di sfondare il vetro e inondare la Sala.
«È geniale,» ripeto ammirato.
«No ragazzi, che cosa... »
«Abbiamo la mossa di fine anno, » decreta Sirius.
«È ufficiale, » confermo.
«Rompere il vetro e allagare la Sala Comune di Serpeverde,» annuncia Sirius solenne e Peter emette uno squittio deliziato. Quello di Remus sembra un gemito.
«Dopo la partita, » specifico, portandomi protettivo una mano alla spilla. «Quando la coppa sarà già mia. »
«Subito dopo la partita, per annegarli nelle lacrime della sconfitta, » concorda Sirius. «Ma non ci faremo scoprire in ogni caso questa volta. »
«No certo, abbiamo mesi per organizzarlo: sarà tutto perfetto. »
«Moony, è l’idea migliore che tu abbia mai avuto. »
«Ma non l’ho avuta affatto, io... »
«Eccome se lo è. Rompere il vetro e inondare la Sala: non so come non ci sia venuto in mente prima, era così ovvio. »
«Innanzitutto, » Remus prende un profondo respiro, chiudendo gli occhi, e quando li riapre di quell’aria da che idea tremenda e amorale e contro la mia etica non c’è più traccia. «Far evanescere il vetro, non rompere: vogliamo solo bagnare, non trafiggere con enormi schegge mortali,» Ci osserva uno ad uno per assicurarsi che nessuno abbia obiezioni su questo punto, poi prosegue soddisfatto. «E come vi dicevo, non è il vetro in sé il problema, quello è solo vetro: sono gli incantesimi che gli fanno da scudo ad essere teoricamente impenetrabili, quindi se davvero vogliamo impegnare le nostre forze in questa impresa invece che, ad esempio, nello studio, come io consiglierei, sappiate che ci sarà da passare del tempo in biblioteca in ogni caso, perché dobbiamo scoprire ogni quanto vengono rinnovati gli incantesimi e di conseguenza il momento in cui sono meno resistenti. »
«Qualcosa mi dice che verranno rinnovati oggi,» ipotizzo.
«Sì, sicuramente dopo la trovata di Sirius, Silente non aspetterà nemmeno un giorno per rinforzarli, » annuisce Remus. «Sarà perplesso anche lui da come ci sia riuscito. Resta da scoprire ogni quanto li rinnova normalmente, così sapremo quando lo farà la prossima volta: dobbiamo colpire esattamente il giorno prima, quando saranno più vulnerabili.
«Per essere quello che non ha avuto l’idea, Moony, l’hai già pianificata abbastanza nel dettaglio,» ghigno divertito.
C’è del rosso ora sulle orecchie di Remus.
«Beh, se proprio dobbiamo farlo, dobbiamo farlo bene, » si schiarisce la gola colpevole. «In modo che nessuno anneghi sul serio o cose del genere.
«No, certo, sarebbe tragico.»
«Il mondo ha bisogno dei Serpeverde.»
«Piantatela.»
«È ora di cena,» annuncia Peter, che è in silenzio da un po’. C’è un implicito ‘discussione finita, ora mangiamo’ nella sua frase.
«Devo levarmi l’odore dei sotterranei di dosso,» Sirius si alza e io spingo con forza il suo re giù dalla scacchiera, perché nessuno interrompe a metà una partita con me senza essere colpito dalla sconfitta. «Faccio una doccia veloce e arrivo. »
Peter si alza di scatto e lo segue, ufficialmente per riportare la sua ormai alleggerita scatola di Mielandia in camera, ufficiosamente per cronometrare la doccia di Sirius e fargli pressione nel caso il suo stomaco la giudicasse troppo lunga.
Remus aspetta in silenzio ed immobile che spariscano oltre le scale che portano ai dormitori, accompagnandoli con lo sguardo, e non appena restiamo soli inizia a lanciarmi occhiate assorte. Io mi sono spostato sulla poltroncina di Peter davanti a lui per continuare la partita e vincere anche qua, giusto per mettere in chiaro la mia superiorità su ogni scacchiera presente nella stanza, ma qualcosa negli occhi di Remus mi suggerisce che non riuscirò a finire nemmeno questa partita.


*

Tendenzialmente dove c’è James c’è Sirius e non posso davvero sapere quando sarà la prossima volta in cui avrò a disposizione James da solo, così agisco e basta.
«James,» lo chiamo, facendogli alzare gli occhi dalla scacchiera su cui Peter mi stava stracciando e a cui lui si è prontamente appostato: ho sempre trovato singolare come i miei amici siano premurosi al massimo nei giorni precedenti il plenilunio, pronti a servirmi e riverirmi, ma allo stesso tempo non si facciano scrupoli a sfidarmi di continuo a scacchi proprio in quei giorni perché sanno che è l’unica occasione che avranno mai di vincere contro di me.
«Sì? »
«Non…non ti sembra che Sirius ultimamente sia,» Mi blocco pensoso. «Sia un po’... »
«Un po’ come?»
«Come se ci fosse qualcosa che lo cruccia. »
«C’è sempre qualcosa che cruccia Sirius,» James alza le spalle.
«Lo so, intendo...più del solito? » insisto, chiedendomi se io sia davvero l’unico ad averci fatto caso. «Come se ci fosse qualcosa in particolare che lo sta mandando fuori di testa?»
«Beh, sì, c’è, certo.»
James mi guarda impassibile ed io ricambio spiazzato.
«Sì? »
«Sì. »
«Quindi lo hai notato anche tu? » domando contento di non essere pazzo.
«Certo che l’ho notato, Moony, » annuisce. «È da mesi che è così. »
«Oh,» Dico colto alla sprovvista. «Mesi? Non me ne ero accorto,» E subito devo reprimere il senso di colpa. «Ma ne avete parlato? »
«No, non sono stupido,» James mi lancia un’occhiata eloquente ed io assento comprensivo.
«No, certo. Ma sai qual è il suo problema. »
«Sì.»
«Davvero?»
«Sì, è abbastanza palese,» James mi lancia un’occhiata stupita. «Tu non lo hai capito?»
«No.»
«Davvero?»
«Davvero.»
«Oh, » dice, improvvisamente a disagio. «Beh, te lo direi, Remus, ma a un certo punto cercheresti di fare qualcosa o di dargli dei consigli e finireste per litigare, sai.»
«È uno scenario plausibile,» sono costretto ad ammettere. «Quindi, non c’è niente che...»
«Remus,» James mi guarda dritto negli occhi e subito so che è inutile insistere. «Lascia perdere, è meglio,» decreta infatti, prima di tornare a guardare la scacchiera. «Concentrati sulla partita piuttosto, stai perdendo in maniera disastrosa. Se non fosse che sono io ad essere imbattibile, sarebbe veramente imbarazzante per te, Moony. »
Il mio cervello è ancora troppo impegnato a rimuginare su cosa possa essere così palese per James che ai miei occhi non lo è affatto e così non gli faccio notare che è tutta opera di Peter quella e che lui non ha ancora nemmeno mosso.
«Che fai, ti arrendi?»



«Lily, scusa, ti posso parlare un attimo?»
Non sono riuscito a mangiare molto per cena e sarei potuto tornare alla Torre già da un pezzo, ma mi sono attardato con gli altri apposta per aspettarla: non appena si alza dalla panca scatto in piedi anch’io, solo per poi portarmi una mano alla testa e attendere pazientemente che smetta di girare, poi la raggiungo nei pressi dell’uscita.
«Sì, certo, » Fa cenno ad Alice di proseguire, poi torna a osservarmi. «Dimmi tutto.»
«Per la ronda di domani sera, io... »
«Oh, giusto, mi ero dimenticata di avvisarti: è tutto apposto, abbiamo litigato furiosamente ed ora non ci possiamo vedere,» mi informa tranquilla, mentre io corrugo la fronte perplesso.
«Con chi hai litigato?»
«Con te.»
«Con me?»
«Sì, furiosamente,» ripete. «Ed ora non sopporto la tua vista, quindi ho chiesto a Davies di sostituirti domani sera, perché se facessi la ronda con te finirei per prenderti a pugni,» Automaticamente arretro di un passo, perché se Lily volesse prendermi a pugni adesso l’unica cosa che potrei fare a riguardo sarebbe soccombere. «Crede che io sia molto infantile e violenta, ma alla fine ha accettato. »
«Aspetta,» E all’improvviso l’illuminazione. «Tu intendi per finta. Abbiamo litigato per finta? »
«Certo che abbiamo litigato per finta, Remus. Chi mai litigherebbe con te per davvero?»
«Io litigo con le persone,» puntualizzo subito, cercando di pensare a quando è stata l’ultima volta. «Anche violentemente,» aggiungo. Continua a tornarmi alla mente questo ricordo di un me stesso di qualche anno più giovane che sgualcisce stizzito le coperte del baldacchino di Sirius, come punizione per aver finito la mia ultima boccetta d’inchiostro: non c’è niente di peggio di dormire in un letto sfatto. «Aspetta, come sapevi che sarebbe stato opportuno litigare per finta proprio prima della ronda di domani?»
«Beh, non so se questo ora può darti fastidio e portarci a litigare violentemente come tu sai sicuramente fare, ma visto che ne abbiamo parlato esplicitamente, e che ora tu sai che io so, ho pensato che tanto valeva sapere fino in fondo e controllare... » Si lancia un’occhiata attorno, abbassando la voce. «Il calendario lunare, per essere utile in qualche modo.»
Lo dice come se fosse una cosa ovvia da fare ed io non riesco ad articolare una risposta.
«Sai, uno degli indizi più evidenti per me da quando siamo diventati Prefetti è sempre stato il fatto che proprio ogni singolo mese te ne spuntavi con una scusa per saltare la ronda, così ho pensato che sarebbe meno sospetto se d’ora in poi fossi io a chiedere cambi. E senza offesa, Remus, ma tu non sei particolarmente creativo con le scuse, mentre io sono sempre stata portata a inventarne di credibili, quindi... »
Lily si stringe nelle spalle ed io mi trovo a balbettare spiazzato.
«Oh. Beh. Questo è... »
«Questo è nulla,» Lily agita distrattamente una mano a zittirmi. «Per quello che ne sai potrei anche farlo solo perché ho una cotta segreta per Davies e voglio passare più tempo possibile con lui ad ascoltare all’infinito la storia della fantomatica tresca tra la sua trisavola e Merlino. »
«È una storia affascinante,» annuisco.
«Vero? Inizi ad apprezzarla davvero solo alla quinta o sesta volta, perché prima non noti tutte le sfumature.»
«Grazie, Lily.»
«Non è nulla.»
«No, è...è tanto invece,» insisto. «Vuol dire tanto.»
«Prego allora.»
Mi sorride ed anch’io le sorrido e ci guardiamo sorridendo fino a quando invece lei non sbotta:
«Sei così stupido che mi stupisce che tu riesca anche solo a metterti la divisa dalla parte giusta.»
Vorrei solo che non fossero tutti fuori di testa qui ad Hogwarts.
«Cosa?»
«Davies. È appena passato,» bisbiglia, facendo un cenno del capo verso il Corvonero a pochi passi da noi. «Dimmi qualcosa di offensivo ad alta voce, presto.»
«Oh. Emm,»Non sono bravo nell’essere offensivo a comando, quando passo in realtà la maggior parte del tempo proprio a tradurre con parole meno offensive le cose che i miei amici dicono. «La tua faccia sembra il luogo del frontale ad altissima velocità tra due Tornado, prima che vengano raccolti tutti i pezzi.»
Un mormorio perplesso e curioso si spande lentamente attorno a noi, ma Lily sembra soddisfatta e si allontana facendomi un occhiolino complice.
«Abbasso Remus Lupin!» esclama ad alta voce subito prima di uscire dalla Sala.


«Remus, credi davvero che la faccia di Evans sembri il luogo del frontale tra due Tornado?»
«No, James.»
«Oh, ok. Anche perché bisogna essere stupidi per fare un frontale con una Tornado, sai, sono estremamente ricettive ai comandi.»






**********

Martedì 3 Febbraio 1976, Biblioteca.



Madama Pince non è felice che io sia di nuovo qui, alle sue dipendenze per la seconda volta in pochi mesi. Continua a lanciarmi quelle occhiate scontente e a darmi indicazioni con tono di sufficienza, come se la mia presenza qui non le recasse altro che fastidio e mi facesse un favore a permettermi di catalogare e riordinare i libri al posto suo. Lo trovo estremamente ipocrita da parte sua, che non ci credo nemmeno per sogno che non è contenta di avere qualcuno a cui sbolognare il lavoro sporco –e impolverato, e parzialmente ammuffito, e si può sapere dove erano conservati questi libri prima della donazione? Accatastati in una soffitta impolverata? Ho dato retta ad Alice e a quegli squinternati dei Malandrini, d’accordo, merito questa punizione, ma resto dell’idea che Madama Pince dovrebbe essere grata di avere una studentessa sciagurata qui alle prese con questa macchia disgustosa, appiccicosa e puzzolente sulla copertina di un enorme volume ingiallito dal tempo, mentre lei è libera di girovagare tra i tavoli ad effettuare il solito terrorismo psicologico tra gli studenti.
Comprendo e sostengo pienamente invece la scintilla di ostilità che le accende lo sguardo quando Black fa il suo ingresso annoiato, andando dritto verso di lei: se fossi la persona responsabile della biblioteca e di ogni volume al suo interno, anch’io inorridirei a vederci apparire un soggetto dalle potenzialità distruttive di Sirius Black. So perché è qui naturalmente: non sono chiare le dinamiche, ma tutte le voci più autoritarie nel panorama del gossip di Hogwarts, tra cui Alice, confermano che il motivo per cui Severus ieri pomeriggio sia stato in balia della piovra gigante per quasi un’ora c’entri in qualche modo con Black, che è difatti stato avvistato uscire dall’ufficio della McGranitt proprio in quelle ore. Le voci insistono in realtà anche sul coinvolgimento di Potter, che sarebbe stato visto risalire dai sotterranei subito dopo l’accaduto, e non esiterei a crederci, perché quando mai Potter non è coinvolto in qualcosa di contrario alle regole, se non fosse che Potter era in effetti nei sotterranei insieme a me.
Probabilmente, essendo il destino così ingiusto e incline ai favoritismi, Black è stato punito con la stessa non punizione di Potter, che ho visto diversi minuti fa ad un tavolo isolato della biblioteca insieme ai ragazzini delle ripetizioni, mentre andavo a mettere a posto alcuni libri. Gli sono passata alle spalle mentre lui mostrava ai primini come trasfigurare uno spillo in qualcosa di suppongo diverso da uno spillo, e sono stata molto silenziosa nel portare a termine il mio compito, ma il suo ehy, Evans è lo stesso arrivato puntuale e immancabile. Il mio zero contatti, Potter, seguito da una ritirata tattica, è arrivato ancora più puntuale, così come le risatine dei primini, che ora non vedranno mai e poi mai in lui una figura rispettabile da cui attingere sapere e conoscenza, ma d’altro canto non so come avrebbero potuto in ogni caso trovare tale figura in una persona con dei capelli del genere.
Il punto è, il tavolo di Potter è in tutt’altra zona della biblioteca rispetto all’ampio tavolo circondato di carrelli carichi di libri e muffe tossiche in cui sto sprecando i miei anni migliori, quindi non capisco perché Black, dopo un breve scambio con Madama Pince, si stia ora dirigendo proprio qui, verso di me, invece che raggiungere il suo amico e scontare la sua punizione lontano dal mio campo visivo. Si lascia cadere svogliato sulla sedia davanti alla mia, col carrello dei libri alla sua destra, e nessuna apparente intenzione di dichiarare le sue intenzioni. Non ricordo di avere invitato Black al mio tavolo e non ricordo nemmeno un qualche motivo per cui Black dovrebbe voler essere invitato al mio tavolo, e così gli pianto addosso uno sguardo perforante, ignorando le montagne di libri che attendono di essere smistate. Nemmeno Black, che è sempre molto avanti nell’arte dell’ignorare le altre persone, può fare finta di nulla di fronte all’insistenza dei miei occhi e così dopo qualche secondo alza i suoi e inarca un sopracciglio.
«Che c’è?»
«Ti sei seduto al mio tavolo, » lo informo pacata.
Il suo sopracciglio si inarca ulteriormente.
«Davvero?»
«Perché ti sei seduto al mio tavolo?» insisto ignorando il suo sarcasmo. Non so come siano abituati gli altri, ma non è così che funziona nel mio mondo: ci sono linee da rispettare, rapporti e antipatie che vanno mantenuti costanti nel tempo e persone che non si vanno semplicemente a sedere con altre persone senza un motivo preciso.
«Ero in Sala Comune ad annoiarmi e non riuscivo a smettere di pensare a quanto più divertente sarebbe stato venire qui ad aiutarti a riordinare un miliardo di libri che nessuno leggerà mai» Black mi lancia un’occhiata ironica che contiene degli impliciti e offensivi riferimenti alla mia perspicacia ed io mi raddrizzo sulla sedia infastidita. «Seriamente, Evans, cosa credi che ci faccia qui? Sono in punizione.»
«Sei in punizione» ripeto atona, cercando di venire a patti con la cosa. «Qui, con me.
«Quello, o soffri di allucinazioni, una delle due.»
«Informazione estemporanea, Black: c’è un limite di sarcasmo che puoi usare in una sola conversazione prima che ti arrivi un bombarda sui denti, lo sai, sì?»
Non è come se Black non fosse sempre una persona eccessivamente sarcastica, ma oggi sembra esserlo più del solito, un sarcasmo più scontroso e scocciato del normale, e il fatto è, non m’importa se è caduto dal letto questa mattina, non può semplicemente piombare qui e sfogare i suoi malumori su di me solo perché gli gira.
«Informazione estemporanea, Evans: hai la manica sinistra completamente immersa nella boccetta d’inchiostro. Lo sai, sì?»
Oppure, beh, oppure può.



Giovedì 4 Febbraio 1976, Aula di Pozioni.



«Bene, per oggi è tutto» Lumacorno, che si è appena portato via altre due ore della mia vita, si alza e ci rivolge un sorriso stretto tra le guance paonazze, come se poi ci fosse qualcosa di cui essere felici ad insegnare Pozioni. «Consegnatemi i temi sulle lacrime di fenice e poi potete andare.»
C’è in realtà qualcosa di cui essere felici, ricordo all’improvviso, estraendo soddisfatto il tema dalla borsa e posizionandolo sul banco, pronto per essere appellato. È una sensazione strana, avere il tema richiesto quando richiesto e persino della lunghezza richiesta, senza aver usato alcuno stratagemma come la calligrafia enorme o un uso spropositato degli avverbi per arrivarci. È qualcosa che raramente mi è capitato nella mia carriera scolastica e subito avverto un’ondata di diligenza pervadermi da capo a piedi e sono sicuro che persino Lumacorno possa vederla dalla sua cattedra dall’altra parte della stanza, anche se non mi sta affatto guardando. Naturalmente le cose non possono mai essere così perfette dentro l’aula di Pozioni, che è di suo un luogo infausto e di sventura, e così noto subito con la coda dell’occhio Remus irrigidirsi al mio fianco e spalancare gli occhi in preda al panico, perché d’altro canto nella sua carriera scolastica non sono frequenti momenti come questo. Se ne sta lì, con le mani pallide inerti ai bordi del banco e l’aria smarrita, senza neppure fare il gesto di chinarsi sulla sua tracolla, perché evidentemente si è appena ricordato dell’esistenza del tema di Pozioni assegnato qualche giorno fa. Non credo sia un gran problema, perché Remus è uscito dall’infermeria solo ieri sera e onestamente solo quello psicotico del professor Mason potrebbe aspettarsi che si metta a pensare ai compiti il giorno dopo la luna piena quando è già un miracolo che riesca ad alzarsi dal letto il tempo di farsi vedere a cena, e Lumacorno non è Mason, quindi davvero, nessun problema, glielo farà semplicemente recuperare per la prossima lezione fingendo un tono appena un po’ severo davanti ai nostri compagni.
Solo che Remus assumerà quella sua espressione mortificata, perché lui invece è persino più pazzo di Mason e si aspetta eccome da se stesso proprio questo, ricordarsi degli stupidi temi di Pozioni nei momenti in cui nessuno se ne ricorderebbe e quindi la mia bacchetta scatta automatica verso la pergamena giallognola di fronte a me e al posto del mio nome compare il suo, appena un attimo prima che Lumacorno appelli i fogli.
Remus non si accorge di nulla e devo abbassargli di forza il braccio prima che attiri l’attenzione di Lumacorno su di sé per confessare la sua mancanza. Mi lancia un’occhiata spiazzata e a questo punto è il mio braccio ad alzarsi.
Lumacorno non è così stupito della mia mancanza e si limita a una breve lavata di capo, assegnandomi due rotoli di pergamena sugli usi del Bezoar per la prossima volta.
Dovrebbe essere debilitato per la recente luna piena, ma credo che mi comparirà un livido lì dove Remus mi ha colpito.
È nello stesso esatto punto già dolorante del mio braccio che qualche minuto dopo le dita di Evans si stringono con forza intercettandomi nella mia traversata dell’aula, strattonandomi in un angolo lontano dai miei amici e dal fiume di studenti in fuga verso la libertà.
«Potter, ma che diavolo...?» Mi pianta in viso gli occhi stupefatti e nel suo tono sussurrante c’è una chiara nota irritata. «Lo abbiamo fatto insieme quel compito, lo avevi, a che servono le ripetizioni se tu non ti impegni nemmeno a portare il tema a lezione? »
«L’ho dimenticato, Evans, ok?» replico sulla difensiva, perché è mattina, ho ascoltato Lumacorno cianciare per due ore ed ora mi sento così poco apprezzato. «Non l’ho fatto apposta.»
«Beh, potevi dirglielo e fare una corsa a prenderlo» insiste. «Non te ne frega proprio nulla?»
«Non potevo andare a prenderlo.»
«E perché, se lo avevi...»
«L’ho dato a Remus» ammetto, interrompendola.
Lei si blocca perplessa e mi lancia un’occhiata confusa.
«Tra la luna e tutto si è dimenticato di farlo e così ho messo il suo nome sul mio,» spiego abbassando la voce. «Non è come se la mia media potesse peggiorare granché comunque» Alzo le spalle. «E lui ha già le altre materie da recuperare.»
Evans continua a guardarmi spiazzata per diversi secondi, le labbra socchiuse che si muovono appena senza emettere un suono, ed ora sono io quello confuso.
«Oh,» dice alla fine, sempre con quell’aria disorientata negli occhi. «Oh,» ripete. «Beh, ok. Questo è...sei stato…» Si schiarisce la voce, portandosi nervosamente una ciocca rossa dietro l’orecchio. «Comunque, questa sera prima di cena lavoreremo sui due rotoli. »
Non è una domanda e prima che io possa dire qualcosa è già sparita in corridoio, lasciandomi qui come un idiota a chiedermi cosa diavolo sia appena successo.



«James, sei sicuro che non vuoi che te li scriva io i due rotoli?»
«Moony, quale parte di Evans mi aiuterà non hai recepito?»
«Perché lo dici come se fosse Evans farà sesso con me? Non farà sesso con te, Prongs, lo sai, sì?»
«Non l’ho detto in nessun modo, Padfoot, sta’ zitto.»
«L’hai detto in quel modo» concorda Remus, alzandosi dalla panca. «Ma se ne sei convinto credo che andrò a riposarmi un po’ in Sala Comune prima di Erbologia, a più tardi.»
Remus si allontana dal tavolo di Grifondoro e si confonde con il vociare di studenti che affollano la Sala Grande ed io mi volto verso Sirius.
«L’ho detto in quel modo» confesso cospiratorio.
«Certo che l’hai detto in quel modo» ribadisce Sirius.
«Ora posso farlo, sai» aggiungo a bassa voce e causando una notevole inclinazione di Peter verso di me. La sua bocca è troppo piena di pollo per permettergli di partecipare alla conversazione, ma le orecchie sono libere e nel mezzo di un’intensa attività di spionaggio. «Dirlo in quel modo e tutto.»
Sirius inarca un sopracciglio.
«E come mai?»
«Perché ho un nuovo piano» spiego con un sorrisetto gongolante. «Uno di quelli brillanti, persino più dell’ultimo.»
«Beh, allora dev’essere geniale
Chiederei a Sirius se ha mai pronunciato in vita sua un’intera frase senza essere sarcastico, ma poi non è come se avesse senso farlo: sarebbe come chiedere a una persona bionda se ha mai fatto qualcosa senza essere bionda, con la differenza che Sirius non può davvero tingere la sua anima.
«Sembrava brillante al momento» scrollo le spalle. «Ma questo lo è davvero, state a sentire: farò ad Evans esattamente quello che lei ha fatto a me.»
«Chiederai a Lizzie di baciarla con le tue sembianze?»
Il pollo non è più nella bocca di Peter ora ed io mi chiedo perché.
«No, Pete. Quello non rientra in nessuna definizione di brillante.»
«Prongs, sto per finire il dolce» mi avvisa Sirius, che ha sempre un margine d’attenzione misurato da dedicare alle persone che parlano, anche quando le persone sono il suo migliore amico in tutto l’universo tutto.
«Okay, allora: lei mi ha, in un momento imprecisato di questi anni, fatto inavvertitamente prendere una cotta significativa per lei, giusto?»
«Significativa» annuisce Peter.
«Non particolarmente significativa» aggiungo subito sollecito. «Ma sufficientemente significativa, ecco.»
«Sufficientemente» concorda Peter.
«Quindi ora io faccio lo stesso a lei» li informo trionfante.
«Nel senso che vuoi...»
«La farò innamorare di me» annuncio in un sussurro. «Del tipo, perdutamente.»
Peter mi scruta accigliato.
«A mo’ di vendetta?»
«A mo’ di legittima difesa.»
Sirius ha l’aria pensosa e si accorge del mio sguardo fisso su di lui solo dopo qualche secondo.
«Sì» sentenzia infine. «È un piano astuto.»
Alza in alto la mano aperta ed io ci sbatto contro la mia con entusiasmo, prima di cogliere qualche sguardo sospettoso su di noi, perché a quanto pare dopo il terzo anno non posso più dare il cinque al mio migliore amico senza che qualcuno tema un’improvvisa invasione di Snasi nel castello.
«Sì, ma come?»
Peter ha l’aria perplessa.
«Come cosa?»
«Come fai a farla innamorare di te?»
Peter continua a guardarmi concentrato ed io boccheggio, scambiandomi un’occhiata smarrita con Sirius. Che razza di domanda è come? Ho trovato il piano perfetto e Peter chiede come?
«Come sarebbe a dire come?» sbuffo incredulo. Dove sono l’appoggio e la fiducia? Dov’è l’assenza di domande stupide? «In qualche modo, Pete!» spiego con tono ovvio.
«Sì, ma quale modo?» insiste.
«Beh, nel modo migliore, chiaramente» dico lentamente, riflettendoci. «Quello che funzionerà.»
«E quale sarebbe?»
Peter aggrotta le sopracciglia e anche io.
Sirius si serve un’altra fetta di dolce.
«Il modo che funzionerà è...quello che la farà innamorare di me.»
Peter mi fissa.
Io lo fisso.
Lui sbatte le palpebre.
«Oh, ok» dice. «È un buon piano allora, sì.»
«Grazie, Pete» alzo la mano davanti alla sua faccia e subito anche lui mi dà il cinque, lasciandomi un’impronta di unto di pollo sul palmo. Ew.
«Non farete comunque sesso questa sera» ribadisce Sirius.



Siamo appena usciti dalla fiumana di corpi in Sala Grande quando un ragazzino che mi arriva appena al petto si avvicina circospetto a Sirius.
«Ciao, sono Ernie MacMillan, quarto anno» si presenta imbarazzato.
Sirius gli rivolge un sorrisetto sornione.
«E io che ci posso fare, Ernie?»
«Ecco, io» Lancia un’occhiata incerta a me e Peter, prima di abbassare la voce. «La prossima settimana ho il compito in classe di Pozioni e in giro si dice che tu, che voi, insomma» Si schiarisce la voce. «Che potete... aiutare.»
Sia io che Peter ci lanciamo un’occhiata attorno, controllando il perimetro della Sala d’Ingresso: nessun professore in vista.
«Pozioni sta a sette galeoni» sta intanto dicendo Sirius.
Ernie lo scruta dubbioso.
«Mi avevano riferito cinque.»
«Cinque sono gli uffici in superficie» Spiega professionale. «Per quello di Lumacorno dobbiamo scendere nei sotterranei e si aggiunge il rischio Serpeverde.»
«Oh, ok allora» E si guarda attorno a disagio. «Il compito è martedì pomeriggio.
«Aula abbandonata al terzo piano lunedì all’ora di cena, pagamento anticipato e in contanti, non accettiamo Cioccorane o Caccabombe» recita Sirius annoiato. «Fai circolare le risposte tra i tuoi compagni e avverranno trasfigurazioni spiacevoli nelle tue mutande.»
«Non lo farò» Ernie scuote forte la testa, un barlume di preoccupazione negli occhi.
«Lumacorno non si accorge mai di nulla, ma se venissi beccato...»
«Bocca cucita.»
«Esattamente.»
Ernie si sbilancia appena sotto l’energica pacca sulle spalle assestatagli da Sirius e viene così congedato. Peter nel frattempo ha già estratto il quadernetto e lo sfoglia attento alla ricerca della pagina giusta.
«Compito di Pozioni del quarto anno entro lunedì sera per Ernie MacMillan» ripete concentrato tra sé, spingendomelo contro la schiena per tenerlo fermo mentre scrive.
Poi sfoglia di nuovo il quadernetto.
«Qualcuno deve prendere il compito di Incantesimi del settimo anno questa sera, Marlene McKinnon lo vuole per domani» annuncia, scorrendo poi fino all’ultima pagina. «Sta a James.»
«Ok» sospiro programmando mentalmente la spedizione: Vitious pone sempre mille subdoli incantesimi a difesa della sua scrivania ed ha il sonno leggerissimo, cosa che dimezza l’utilità del mantello; l’unica è farlo quando sarà a cena. Il che vuol dire che io non sarò a cena.
«Quanto ci manca?» Sirius si china sul quadernetto, sbirciando oltre la spalla di Peter.
«Con Pozioni sono altri sette» risponde Peter. «La cassa comune è quasi piena di nuovo: altri due lavoretti e possiamo fare rifornimento da Zonko.»
«Bene, perché sono finite anche le ultime Caccabombe.»
«Tra due settimane quelli del quinto hanno Storia della Magia» ricordo soddisfatto. «Diventeremo ricchi.»
«Bene» Peter fa sparire il quadernetto nella borsa e si guarda attorno con gli occhi persi e l’espressione assorta di quando pensa intensamente. «Allora io vado.»
«Allora io vado? E ci hai dovuto pensare?» ridacchio divertito. «Puoi fare di meglio, Pete, avanti.»
«Sì, Pete, dov’è che vai?»
Peter ricambia lo sguardo mio e di Sirius per diversi secondi, dubbioso.
«Nelle cucine» decide infine, il petto in fuori a dar valore alle sue parole.
«Sei sicuro che sia una risposta astuta, Pete? Fossi in te la cambierei, perché ora Sirius potrebbe dire ‘ottima idea, vengo anch’io’ e ti troveresti con le spalle al muro. È qualcosa che diresti, sì, Sirius?»
«Lo direi, sì» Sirius annuisce. «In effetti, credo che andrò nelle cucine.»
«Abbiamo appena finito di pranzare» sottolineo perplesso. «Del tipo, in questo esatto momento.»
«Mi serve un muffin» dichiara. «Non c’erano muffin a pranzo, dico bene?»
«No, non c’erano.»
«Ecco.»
« Ti accompagno allora» stabilisco, perché Sirius che si aggira da solo in prossimità dei sotterranei ora come ora non mi suona come la migliore delle idee. I miei occhi devono avere un’aria meno casuale della mia voce, perché Sirius mi lancia un’occhiata indagatoria. «Pete, noi andiamo nelle cucine. Tu dove vai?»
Peter nel frattempo ha avuto tutto il tempo di pensare indisturbato e risponde subito e con una certa sicurezza.
«In infermeria: ho mangiato troppo e ora ho mal di stomaco.»
«Ora, questa è una risposta astuta» mi complimento. «Nessuno vuole andare in infermeria.»
Peter annuisce soddisfatto.
«Ci vediamo a cena allora, quando starò meglio.»
«Va bene» annuisco. «Pete, ce la devi presentare, hai capito?» aggiungo ad alta voce mentre lui raggiunge il portone d’ingresso aperto sulla luce dorata del parco. «Ti diamo un’altra settimana al massimo e poi ci presenteremo da soli! Sappiamo chi è!»
Peter sparisce all’esterno ed io mi volto verso Sirius.
«Sappiamo chi è, sì?»
«Ci sto lavorando.»



**********
«Che fai?»
Potter, che se n’è stato fino ad ora relativamente tranquillo a riempire il primo rotolo di pergamena seguendo la scaletta che gli ho stilato, alza la testa all’improvviso, stranito, come se si fosse appena reso conto di non essere il solo con una piuma in mano.
«Scrivo» replico laconica, lanciandogli un’occhiata distratta e riprendendo a far scorrere veloce la mano sulla pergamena. Il libro di Pozioni è aperto sul tavolo proprio in mezzo a noi, ma nel mio caso è perfettamente inutile: so tutto del Bezoar, che è sempre stato il mio antidoto preferito. È la risposta praticamente a tutto. Anche quando Lumacorno parla di veleni di cui non hai mai sentito parlare o che forse dovresti conoscere e invece non li ricordi, non importa quanto potenti e bizzarri siano, la risposta è sempre e comunque Bezoar. Magari ci sono anche altre risposte possibili, certo, altri antidoti più specifici e complicati, ma con il Bezoar non si sbaglia mai.
«E cosa scrivi?»
La voce perplessa di Potter mi fa perdere il filo per la seconda volta ed io sollevo gli occhi a incrociare i suoi.
«Una lista di tutte le domande stupide che mi fai» lo informo, causandogli una smorfia contrariata. «Devi scrivere due rotoli di pergamena, Potter. Uno,» Indico la sua pergamena piena per metà. «E due» Ed indico la mia che è già quasi completa.
Potter osserva la mia pergamena e poi il mio viso ed infine si illumina di comprensione.
«Oh, lo stai facendo tu
«Metà tu e metà io, sì» annuisco.
«Quindi stiamo ingannando Lumacorno.
Ed è così divertito e soddisfatto mentre lo dice.
«Quello che stiamo facendo, Potter, è assicurarci di non arrivare tardi a cena. C’è lo spezzatino stasera.»
«Stiamo ingannando Lumacorno!» Potter esulta trionfante e una Serpeverde dal tavolo accanto gli lancia un’occhiataccia. «E per lo spezzatino. Oh, Evans, sei davvero meno Prefetto di quanto pensassi.»
«Questo è ridicolo, non ci sono gradi nell’essere un Prefetto, e se ci fossero li avrei tutti» ribatto subito, facendogli anche segno di abbassare la voce, a riprova delle mie parole e del mio grande amore e talento per l’essere un Prefetto. «E non stiamo ingannando nessuno, perché tecnicamente tu il tema lo avevi scritto, quindi tutto questo è inutile.»
«Lumacorno è inutile, sono così d’accordo con te, Evans.»
«Non è in alcun modo quello che ho detto» specifico incolore. «Ora scrivi, veloce.»
La cena sarà servita tra pochi minuti ed io sono bloccata qui, a fissare corrucciata la pergamena di Potter ed in particolare gli ultimi due centimetri. Vuoti. Dannazione.
«Ho usato un sacco di avverbi, Evans, te lo giuro.»
Basterebbe una frase, solo un’altra frase, ma tutte le frasi pensabili sul Bezoar sono già state usate e quei due centimetri vuoti di pergamena continuano a ricambiare derisori il mio sguardo frustrato.
«Perché scrivi così piccolo, Potter?» sbuffo.
«Non è piccolo, guarda, è larghissimo.»
Ogni lettera è effettivamente larga in modo ridicolo, ma non abbastanza.
«Non abbastanza» puntualizzo infatti. «Hai usato avverbi sufficientemente lunghi?»
È una situazione critica, ma non posso fare a meno di sorridere compiaciuta con me stessa, perché sufficientemente d’altro canto è così lungo come avverbio.
«Per chi mi hai preso, Evans? Sono il re degli avverbi eccessivamente lungi» si vanta Potter, immediatamente smentito da quei due centimetri che continuano a rimanere vuoti. «Ascolta, ho un’idea: tagliamo la pergamena. Sono solo due centimetri, Lumacorno non se ne accorgerà mai.»
«È l’idea più stupida che chiunque al mondo abbia mai avuto» annuncio.
Potter mi guarda ed io guardo lui, e poi guardo invece l’orologio della biblioteca che batte le otto. «Diffindo» aggiungo agitando la bacchetta contro la pergamena e subito quei due centimetri vengono separati con un taglio netto dal resto della pergamena. Non più così spacconi ora, mh?
«Ecco fatto» commento soddisfatta porgendo la pergamena a Potter, che sta invece usando le sue abilità da fuorilegge per rendere con un colpo di bacchetta la mia calligrafia identica alla sua. Getto le mie cose alla rinfusa nella borsa il più velocemente possibile e quando sfreccio a passo sostenuto verso l’uscita della Biblioteca noto con dispiacere che Potter è stato altrettanto veloce e sta tenendo il passo, il che è ridicolo, perché lui non mi è sembrato affatto in ansia all’idea dello spezzatino già in balia dei nostri compagni. Avrei preferito percorrere la strada da qui alla Sala Grande da sola, ma dato che Potter ha altri piani tanto vale cercare di volgere la situazione a mio favore.
«Che cos’ha Black?» chiedo quindi con tono volutamente casuale mentre imbocchiamo il corridoio.
Potter smette di rovistare nella borsa a tracolla e mi fissa spiazzato.
«Prego?»
«Black» ripeto. «Il tuo amico. Sirius Black. Moro, faccia da schiaffi, hai presente?»
«Sì, certo che ho presente. In che senso cos’ha?»
«Nel senso, cosa lo rende più odioso del solito?»
«Sirius non è odioso» replica subito imbronciato.
«D’accordo» annuisco condiscendente. «Ma perché sembra che voglia uccidere tutti più del solito?»
La differenza tra Potter e un pesce fuor d’acqua che boccheggia in modo ridicolo senza emettere suono si annulla all’istante ed io mi rendo conto di quanto il mio interesse risulti inaspettato e fuori luogo senza contesto.
«Voglio dire, non mi aspetto che tu lo dica a me chiaramente e non lo voglio davvero sapere» chiarisco veloce. «È solo che condivideremo la stessa punizione per una quantità considerevole di tempo e se sarà sempre così scontroso a un certo punto la McGranitt dovrà assegnarmi un’ulteriore punizione per aggressione fisica o qualcosa del genere e probabilmente anche lui a un certo punto otterrà una nuova punizione, perché è quello che fate, e allora finiremo di nuovo in punizione insieme e lui sarà ancora intrattabile e ci sarà una nuova aggressione da parte mia e capisci che è un circolo vizioso che solo tu puoi fermare.»
Mi pare tutto perfettamente cristallino, ma Potter mi rivolge un’occhiata sorpresa.
«Io?»
«Tu, certo. Non è compito tuo farlo?»
«Fare cosa, esattamente?»
«Che ne so, qualcosa» Alzo le spalle. «Renderlo meno intrattabile in qualche modo. Non è la cosa logica da fare?»
«Rendere meno intrattabile Sirius la cosa logica da fare, Evans, ti ascolti quando parli?
Potter mi guarda scettico ed io alzo gli occhi al cielo.
«Potter, il tuo amico è pazzo o ha un problema, le alternative sono queste. Ora, se ammettiamo che non è pazzo, e questo è un grande se, e ha effettivamente un problema, la cosa logica da parte tua non sarebbe, per l’appunto, scoprire e risolvere il problema? Non è questo che gli amici fanno?»
Potter mi studia accigliato e prima di rispondere ci pensa per diversi secondi, cosa piuttosto atipica per lui.
«Se ci fosse un modo per risolvere questo fantomatico problema» inizia lentamente. «Problema che io non ho mai detto esistere, precisiamo, non credi che, sempre ipoteticamente parlando, l’avrei già fatto?»
«Non ho idea di cosa tu faresti o non faresti, Potter» dichiaro. «Specialmente da quando ti ho visto mettere la mostarda sui pancake.»
«Quello è stato un incidente.»
«È quello che direi anch’io se avessi dei gusti orripilanti, certo» lo liquido distrattamente. «Fatto sta che quando il castello crollerà sarai l’unico responsabile di non aver parlato a Black.»
«Questo è incredibilmente melodrammatico» ribatte Potter, fermandosi di scatto giusto un attimo prima che la scala di fronte a noi decida di staccarsi dal pavimento per andarsi a congiungere a quello del piano superiore. Ed è questo che è melodrammatico, che le scale di Hogwarts tentino astutamente di uccidere Potter e non ci riescano. «E comunque gli parlo tutti i giorni.»
«Intendo parlargli del suo problema» specifico.
«Parlargli del suo problema!» Potter emette una risata incredula e mi guarda come se fossi pazza, perché certo che la cosa più normale da fare gli suona come una follia, essendo lui l’unico pazzo nei dintorni. «Di cui continuo a non dichiarare l’esistenza, precisiamo.»
«Non è un’idea assurda, Potter» lo informo. «È quello che fanno di solito le persone, parlare delle cose invece di ignorarle.»
Non so cosa mi spinga a insistere nello spiegare ad un aspirapolvere il regolare funzionamento dei rapporti tra esseri umani normali, ma Potter scuote la testa e mi lancia un’occhiata di compatimento, e probabilmente ha ragione, perché se lui è un aspirapolvere Godric solo sa cos’è Black.
«Evans, perché credi che io e Sirius non litighiamo mai?» mi chiede con un sopracciglio inarcato, mentre io ingoio all’istante una vasta gamma di risposte più o meno offensive. «Perché so quando non parlargli.»
«Va bene, non interrompere il circolo vizioso allora» rinuncio contrariata. «Resterò in punizione in eterno.»


*

E poi sarei io il melodrammatico.
Evans ha ancora quell’aria ostentatamente sconsolata, forse perché crede di farmi cambiare idea o forse perché si è dimenticata di averla, ma quando le scale che siamo infine riusciti a prendere cambiano direzione per aria con un brusco scossone spalanca gli occhi ed io stacco subito le dita dal corrimano per mostrarle il mio totale sprezzo del pericolo. Questo la impressiona molto positivamente, anche se non lo dà a vedere, ed io sorrido soddisfatto. Lei mi guarda pensosa ora, gli occhi assottigliati, e quando apre la bocca sono già pronto a rispondere ai suoi interrogativi su come io possa essere così valoroso ed intrepido, ma non è quello che mi chiede.
«Quindi non hai mai litigato con Black? A parte, ovviamente, quella volta» E fa un cenno eloquente con la testa.
«No, non davvero» rispondo subito, perché non riesco a ricordare un litigio vero e proprio con Sirius, a parte, ovviamente, quella volta.
«Mai?»
Ed è così incredula.
«Perché pensate tutti che sia strano, si può sapere? Non vedo perché dovrei litigare con i miei amici quando c’è così tanta altra gente con cui litigare, come ad esempio l’intera Casa di Serpeverde.»
«Mai» ripete scettica.
Sospiro.
«Beh, c’è stata quella volta al terzo anno in cui ero arrabbiato con lui e così pur essendo nelle cucine non gli ho portato la torta al cioccolato, come è regola» ricordo. «Me la sono fatta dare per Remus e per Peter e per me, ma non per lui. Ho detto agli elfi domestici niente torta per Sirius oggi, è uno stronzo, e me ne sono andato. Proprio così, senza voltarmi indietro. È stato un momento molto forte.»
Evans mi osserva in silenzio con un’espressione indecifrabile, evidentemente colpita dalla mia durezza.
«E lui?» chiede infine, aggrottando la fronte.
«No, niente» Agito una mano incurante. «Poi mi sono sentito in colpa e arrivato in camera gli ho dato la mia fetta dicendo che non mi andava. Ma non è quello il punto, è il pensiero che conta, ed io avevo deciso di non portargli nulla» spiego, perché ho la sensazione che Evans si stia perdendo nei dettagli. «È questo il fulcro.»
Evans mi fissa con le labbra socchiuse e gli occhi eccessivamente concentrati ora.
Già che ci sono mi passo una mano tra i capelli, così che si concentri anche su quelli.
«Eri così arrabbiato che gli hai dato la tua fetta di torta al cioccolato?»
Ha un tono molto perplesso e il suo è un riassunto incredibilmente sbagliato e fuorviante della vicenda che le ho appena raccontato.
Mi porto di nuovo la mano ai capelli, questa volta involontariamente, e la mia bocca resta socchiusa qualche secondo di troppo mentre rifletto intensamente alla ricerca di qualcosa di brillante e definitivo da dire, che cancelli questa parentesi imbarazzante.
«Questo è...» Evans mi sta ancora fissando in quel modo strano ed io ho già pronto il anche la tua faccia sulla lingua, perché è la risposta perfetta a qualunque aggettivo offensivo uscirà ora dalla sua bocca. « ...carino. Ci sono delle cose carine in te, Potter. Questo ti rende ancora più odioso, perché potresti essere una persona tutto sommato piacevole e invece non lo sei.»
Qualcosa dentro la mia testa lotta per prendere il sopravvento per diversi interminabili secondi, mentre tutte le altre forze dentro di me lottano per mantenere l’impassibilità e l’immobilità assoluta sul mio viso, e fino a che la cosa non viene placata e ridotta al silenzio la mia faccia resta come sotto l’effetto di un Pietrificus Totalus. Poi il dominio su tutto il mio corpo viene ristabilito ed io socchiudo gli occhi.
«Non sono piacevole?» chiedo stranito.
«No» risponde subito lei, tranquilla.
«Io credo di essere piacevole, Evans.»
« Oh, lo so che lo credi, lo so.»
Siamo quasi arrivati alla Sala Grande ed io la scruto in silenzio per diversi secondi, pensoso.
«Quindi non sono piacevole» ripeto dopo un po’.
«Esatto.»
«Però sono carino.»
«Non è quello che ho detto.»
«Grazie, Evans» concludo compiaciuto, ignorandola. «Anche tu sei carina.»
«Non è quello che ho detto» ripete lei e di nuovo io la ignoro, perché è totalmente quello che ha detto.
È solo quando arriviamo al primo piano che spezzo di nuovo il silenzio.
«D’accordo, parlami di queste cose carine che ci sono in me.»
Evans sospira rumorosamente.
«Te ne ho appena parlato e me ne sono già pentita.
«No, no, tu ne hai menzionata una» la riprendo subito. «Ma hai detto cose carine. Plurale. Quante sono? Puoi almeno contarle o sono troppe?»
Questa volta è lei ad ignorare me, aumentando il passo.
«Una sono gli occhiali, vero?» continuo trionfante. «Sei attratta dai tipi con gli occhiali, lo sapevo. È per l’aria da intellettuale che mi danno probabilmente, non ti biasimo. Se non fossi me anch’io sarei attratto da m−−» Sto spiegando ad Evans la naturalezza del suo essere pazza di me e sono molto immerso nel discorso quando all’improvviso i miei occhiali abbandonano con uno scatto traditore il mio naso, lasciandomi con gli occhi socchiusi per lo sforzo a seguire la macchia sfocata che è Evans correre via.
«Evans! Ehy! Torna qua, sono cieco!»
«Questo mi piace di te, Potter!» La sento gridare in lontananza. «Che hai un sacco di punti deboli!»
«Accio occhiali» mormoro e subito sento le lenti sbattermi contro la fronte con un rumore secco. Ahi.



**********
«Ho visto la tua gatta prima» Frank è una delle poche persone, forse l’unica, in grado di produrre frasi perfettamente intellegibili anche con la bocca stracolma di pollo. «Era di nuovo nel corridoio dei dormitoi maschili.»
«Lo so» sospiro abbattuta, mentre Mary al mio fianco ridacchia. Lei d’altro canto non è Frank, e non è in grado nemmeno di produrre una risata intellegibile con la bocca piena, così Alice le lancia un’occhiata preoccupata per controllare che non si stia in realtà strozzando. «Continua a infilarsi in camera dei Malandrini.»
Cerco di non imprimere alcuna vena accusatoria nella voce, perché non è davvero colpa di Frank, anche se è in realtà tutta colpa di Frank, che l’ha lasciata incoscientemente nelle mani di Potter e le ha permesso di passare la sua prima notte in questo castello proprio nella loro camera. È drammatico, perché ora lei continua a tornarci e a gironzolargli attorno ogni volta che li vede nella Sala Comune, e sembra nutrire un amore particolare per Potter, che chissà cosa le ha fatto quella notte.
È questo il motivo, la sua prima notte nella sua nuova casa l’ha passata tra le grinfie inaffidabili di Potter e il suo amore per lui ne è la naturale conseguenza, nulla di più: non è un gatto stupido, come ho temuto a lungo, un gatto che di sua spontanea volontà ha deciso di affezionarsi a Potter, tutt’altro, è solo un felino vittima delle circostanze.
«Forse non va sempre nella loro camera» interviene Alice. «Magari le piace semplicemente di più il dormitorio maschile.»
«No, va dai Malandrini» insisto sicura, estraendo con un gesto deciso un pezzetto stropicciato di pergamena e stendendolo sul tavolo ben in vista. «Era attorcigliato attorno alla sua coda.»
«Sono uno stupido gatto stupido e se non la smetto di infilarmi nei dormitori altrui sarò uno stupido gatto morto» legge Mary concentrata, prima di lasciarsi andare a una sghignazzata. «Questo è sicuramente Black, hai ragione.»
Lo trovano divertente, a quanto pare, attaccare bigliettini sulla mia gatta ogni volta che sconfina nel loro territorio. L’ho scoperto per la prima volta un paio di giorni fa, mentre in uno dei rari momenti di tenerezza che periodicamente mi concede, me la stavo coccolando sotto le coperte, quando all’improvviso ho sentito tra il pelo caldo la superficie ruvida della pergamena. ‘Ho dormito nel letto di James Potter. Di nuovo’, recitava. L’ho spinta giù dal letto con uno scatto e questo ha distrutto il rapporto di fiducia faticosamente instaurato in precedenza, oltre ad aggiungere un graffio alla mia nuova collezione, come se poi fossi io ad avere colpe in questo rapporto interumano: non sono io che passo le notti nel letto del nemico per poi tornare indietro con la coda tra le zampe.
«A proposito, Lily» dice Frank, pensieroso. «Le hai trovato un nome, poi?»
Non le ho trovato un nome, ma Frank si aspetta che io lo abbia fatto e Frank non è una persona che mi piace deludere, così apro la bocca e sputo fuori le prime lettere che mi vengono in mente. «Emma.»
«Emma è carino, mi piace» approva Frank.
«Emma, Evans? È totalmente privo di originalità.»
La voce proviene dal posto vuoto di fianco a Frank, che improvvisamente non è più vuoto.
«Il tuo gatto si chiama Elvendork, Potter, sparisci.»
«Sei invidiosa, lo capisco: non tutti possono essere inventivi come me nel trovare fantastici nomi unisex per i propri animali» Potter prosegue indifferente, riempiendosi il piatto con le poche pietanze sopravvissute fino ad ora: l’ho lasciato a pochi corridoi di distanza dalla Sala Grande mezz’ora fa e non sembra essere riuscito a trovare la strada per la Sala fino ad ora, a riprova della sua generale incompetenza alla vita. «Te l’ho già detto, ti do il permesso di chiamarla Elvendork se proprio non riesci a trovarle un nome altrettanto bello.»
Avrei così tante cose da dire sulla bellezza del nome Elvendork, ma dalla metà del tavolo di Grifondoro, oltre un folto gruppetto del quinto anno, i Malandrini restanti iniziano a chiamare Potter apparentemente oltraggiati dalla sua postazione lontano da loro e lui afferra subito il suo piatto, alzandosi, mentre io li ringrazio mentalmente.
«I miei amici primari sono gelosi, scusate» ci informa. «Evans, per la storia della tua attrazione nei miei confronti, ne prendo atto e ne riparliamo appena hai finito con Philips, d’accordo? Intanto grazie per la sincerità, la apprezzo.»
La mia bocca è ancora deformata in una smorfia indignata quando lui si allontana senza lasciarmi possibilità di replica e Frank e Alice spostano gli occhi su di me.
«Aspirapolvere di ultimissima generazione» sospiro dopo qualche secondo, incredula. «Apre la bocca e puff, tutta la polvere nel castello sparisce.»
Frank e Alice mi osservano perplessi ed io gli faccio segno di lasciar perdere.







Lunedì 14 Febbraio 1976, Aula di Storia della Magia.




«Pertanto i Goblin, di fronte a un’onta di tale portata, si riunirono in consiglio e stabilirono di dichiarare guerra a...»
Mentre Ruff continua a mormorare la sua nenia soporifera, la mia attenzione viene improvvisamente attirata da qualcos’altro e così non saprò mai a chi i Goblin stabilirono di dichiarare guerra. Non che questa sia poi una gran perdita, quando parliamoci chiaro, i Goblin sono dei gran rompicoglioni che non fanno che dichiarare guerra a chiunque e prendono qualunque fatto mai accaduto al mondo come un’onta vergognosa nei loro confronti. Ora, quella che io considero un’onta vergognosa è venire colpito sulla fronte da un oggetto volante non identificato mentre mi fingo uno studente modello e capto persino qualcosa dei discorsi di Ruff. Mi massaggio infastidito la fronte, poi abbasso lo sguardo sull’oggetto non più misterioso che è atterrato sul mio banco: un aereoplanino di pergamena incantato a cui è legata una tavoletta di cioccolata di Mielandia con doppio strato alle nocciole, la mia preferita. Non più scocciato, spiego allegro la pergamena che si rivela essere un bigliettino di San Valentino piuttosto imbarazzante, come d’altro canto lo è ogni singolo biglietto di San Valentino, che è di per sé una festa imbarazzante e ridicola, ma anche molto utile, perché mi frutta cioccolata alle nocciole nel bel mezzo di Storia della Magia. Poi arrivo alla fine del biglietto, dove c’è un nome e finalmente capisco perché la ragazza a tre banchi dal mio, quella che continua a fissarmi e pare aver spedito il biglietto, non sembra emozionata o allegra, quanto piuttosto seccata e mi fa gesti tutt’altro che carini. Con uno sbuffo spingo la cioccolata e il biglietto sul banco accanto al mio, dove Sirius è nel mezzo di un sonnellino o di un coma irreversibile, una delle due.
«Sveglia, Padfoot, cioccolata per te da una Corvonero con una pessima mira.»
Non posso credere che è San Valentino già da tutta la mattinata e nessuna ragazza mi abbia ancora regalato nulla.
«Sirius» dico mentre il mio amico si riscuote dal suo sonno tranquillo e inizia a scartare avidamente la tavoletta di fronte a lui. «Perché nessuno mi dà della cioccolata quest’anno?»
Lui aggrotta la fronte, riflettendoci su.
«Sei il Capitano di una squadra colata a picco» conclude infine, infilandosi distrattamente uno scacchetto tra le labbra. «Non esattamente quello che le ragazze trovano sexy.»
Sirius continua a sgranocchiare la sua cioccolata con nonchalance, apparentemente ignaro di non poter dare alla gente notizie del genere con tanta leggerezza. È questo che sta succedendo dunque? Sapevo di non essere più accerchiato dalla gloriosa aura dorata di Capitano vincente dalla disastrosa disfatta di giugno scorso, e immaginavo che iniziare il campionato di quest’anno con una sconfitta plateale non avesse migliorato la situazione, ma non mi ero accorto che mi avesse addirittura gettato giù dalla cima della gerarchia di Hogwarts. Non avrei dovuto accorgermene, se fosse davvero successo? Della caduta in picchiata e tutto? Come posso semplicemente perdere la prima partita dell’anno, non accorgermi di nulla e improvvisamente trovarmi ad essere considerato troppo perdente per avere diritto a della cioccolata di San Valentino?
«Lo sai qual è la parte migliore quando una squadra cola a picco?» chiedo all’improvviso rinvigorito dall’oltraggio, la voce vibrante d’orgoglio.
«Che non sia la tua squadra?»
Sirius mi guarda pacifico, le mani colme della cioccolata che la sua posizione ancora salda nell’olimpo sociale gli provvede ed evidentemente così poca voglia di collaborare.
«No» sbuffo spazientito. «Beh, sì, se non è la tua squadra tutto è la parte migliore ovviamente, ma se è la tua squadra, e con tua intendo mia, perché quando mai tu potresti avere una squadra che non sia di, che so, sociopatia agonistica. Beh, in ogni caso, la parte migliore è» Mi blocco per qualche secondo in una pausa tattica per la suspense. Sirius sbatte gli occhi, segno che non sta nella pelle. «Che puoi solo risalire.»
«Ma non è vero» ribatte dopo un po’, lentamente. «Puoi anche restare lì nel fondo, inerte» Ha un tono e un’espressione molto pacata e una parte di me, mentre ricambio impassibile il suo sguardo flemmatico, crede che in realtà stia ancora dormendo, ma lui continua a parlare. «Per sempre. Fino a quando diventi un relitto arrugginito con i pesci che depongono le uova dentro di te.»
Il silenzio segue le sue parole giusto il tempo di farmi venire a patti con la mia vita.
«Ora spiegami perché hai dovuto dire una cosa del genere.»
Sirius aggrotta la fronte, perplesso.
«Era offensiva?»
«No, solo incredibilmente poco incoraggiante» specifico. «Puoi essere più incoraggiante mentre parlo della mia rivalsa contro la scuola e l’universo tutto?»
Sirius assottiglia gli occhi, l’aria vagamente concentrata, e riesco quasi a percepire le sue doti relazionali attivarsi alla ricerca della sequenza di parole più adatta ad esprimere il massimo dell’incoraggiamento possibile da parte sua.
«Non credo che i pesci deporranno uova dentro di te» annuncia infine, guardandomi dritto negli occhi.
Io ricambio il suo sguardo, soppesando le sue parole.
«Grazie» stabilisco soddisfatto, sistemandomi gli occhiali sul naso.
Sostegno incondizionato da parte dei miei amici, sfiducia offensiva e di conseguenza motivante da parte del resto della scuola, la promessa della faccia sconvolta dei Corvonero tutti e di uno in particolare quando gli strapperò la coppa dalle mani, e naturalmente il mio innegabile talento: tutto quello che mi serve per la rimonta più spettacolare nella storia di Hogwarts.
«Me ne dai un pezzo?»
«No.»
*********
«Ehy.»
Lizzie alza gli occhi dal suo libro di Erbologia con aria perplessa, prima di incrociare il mio sguardo e sorridere.
«Oh, ehy Remus.»
La Sala Comune è insolitamente quieta, con lo scoppiettare tranquillo delle fiamme nel camino e il lieve chiacchiericcio proveniente dalle scale che portano al dormitorio femminile. Dalle tende scarlatte filtra l’ancora più insolitamente caldo sole di un atipico pomeriggio di febbraio e non c’è da stupirsi che la maggior parte dei nostri compagni si sia riversata nel parco. Avvicinandomi alla finestra probabilmente riuscirei a scorgere anche da qua le sagome minuscole delle coppiette passeggiare attorno alla riva del lago nero e i gruppetti più folti a gironzolare nel verde dell’erba imbacuccati nei mantelli scuri. Anche noi Malandrini avevamo una mezza idea di confonderci tra gli altri, ma quando Sirius ha estratto il bottino e lo ha finalmente messo sul suo letto a disposizione di tutti l’idea è sfumata e quando trenta secondi fa sono uscito dalla camera l’orgoglio ferito di James stava ancora agonizzando tra le coperte e le cartacce di cioccolatini a forma di cuore.
«Come stai? Ti ho portato della cioccolata.»
«Oh, wow» Lizzie afferra sorpresa la tavoletta che le porgo, l’aria di essere stata colta completamente alla sprovvista. «Grazie.»
«Non è cioccolata di San Valentino» specifico subito, realizzando all’improvviso le implicazioni che il dare della cioccolata a una ragazza il giorno di San Valentino tenderebbe a portare con sé. «Voglio dire, è cioccolata di San Valentino, ma non è mia. È di Sirius.»
Lizzie inarca un sopracciglio, perplessa.
«Black mi ha mandato della cioccolata?
«No, no, Sirius non lo sa nemmeno» scuoto la testa, trattenendo una risata all’assurdità del pensiero. «Ma non è un problema, ogni anno riceve così tanta cioccolata da non opporsi al fatto che una volta entrata in camera diventi proprietà condivisa» spiego e non sto neppure mentendo, perché è effettivamente così che vanno le cose, e non è importante che sia così più per rassegnazione che per vera volontà di condivisione. «Il grosso lo riceve sempre da quelle dei primi anni, per le quali non pare nemmeno più essere Sirius il punto, credo sia una sorta di affermazione sociale tra loro, chi gli regala più cioccolata o chi gli regala quella migliore acquisisce più potere o una cosa del genere.»
«Le solite cose da primi anni, certo» annuisce Lizzie comprensiva.
«A ognuno il suo» commento con un’alzata di spalle. «Ai nostri tempi per noi maschi dipendeva tutto da quanto slacciata portassimo la cravatta.»
Lizzie aggrotta la fronte.
«Non te l’ho mai vista nemmeno allentata.»
«No, infatti al primo anno non trovavo mai posto al tavolo prima di fare amicizia con gli altri» ricordo. «Loro avevano tutti gradi molto alti di ribellione della cravatta, quindi potevano procurarsi il posto anche per me.»
Lizzie sorride, il sorriso appena accennato e accondiscendente di chi aspetta che l’interlocutore smetta di divagare probabilmente, e ha ancora quella tavoletta di cioccolata in mano.
«Quello che volevo dire» riprendo schiarendomi la voce. «È che la nostra stanza è piena di cioccolata e ho pensato che magari te ne andava un po’.»
«Oh. Beh, hai pensato bene» Lizzie si rigira la tavoletta tra le mani, il sorriso che si estende ora anche agli occhi. «Mi va infatti. Grazie.»
«Prego» sorrido.
«Lo sai, non credo che tu sia nella norma» dice Lizzie all’improvviso dopo qualche secondo.
Non mi sembra una cosa particolarmente gentile da dire e subito aggrotto la fronte, spiazzato.
«Nel senso che ho dei problemi? – indago cautamente.
«No, esteticamente parlando, - specifica Lizzie e la mia fronte si aggrotta ancora di più. - Ieri ti ho detto che sei nella norma, ma in realtà non lo sei affatto.
Mi sono guardato allo specchio meno di un’ora fa, prima di uscire dalla camera, mentre mi lavavo le mani in bagno e scrutavo a fondo i miei occhi riflessi come faccio sempre, in quel modo stupido e assolutamente inutile che ho di guardarmi allo specchio, come se avessi un’altra persona davanti e dovessi sostenere il suo sguardo e non potessi invece soffermarmi sulla mia faccia e basta, sulla mia fronte e le mie guance e sui bordi rialzati delle mie cicatrici, nel modo in cui le persone normali si guardano allo specchio, quel modo che ti fa essere conscio di come tutta la tua faccia risulta alla vista e non ti permette di farti cogliere impreparato quando gli altri te lo comunicano all’improvviso.
«Non sono...normale, esteticamente?
E dev’essere la cicatrice, quella lunga e spessa e così perfettamente visibile. Ho sempre pensato di avere un naso strano, piazzato proprio lì nel mezzo, con quell’aria fuori posto, come se si fosse trovato lì per caso, ma deve essere la cicatrice.
«Sei più carino della norma, Remus. Questo ti sto dicendo.»
«Oh» Mi sento dire stupito, le dita ancora a grattarmi nervosamente il lato sinistro del naso, esattamente da dove parte la cicatrice. «Oh beh» Deglutisco allontanando la mano dal mio naso, un po’ perso, perché non è la cicatrice, la cicatrice non ha nulla a che fare con questo e la mia faccia può esistere anche separatamente dalla cicatrice a quanto pare. «Beh, è, beh, è sicuramente, beh, è chiaramente una cosa soggettiva, non...»
Sto dicendo beh più volte di quanto sia socialmente accettabile per un non ovino e una parte del mio cervello inizia subito a lavorare in solitaria per trovare una soluzione in proposito, e forse è perché le parti del mio cervello non lavorano sempre tutte in sincrono che la soluzione non arriva.
«Soggettivamente ti trovo più carino della norma» mi interrompe Lizzie, che è stranamente più decisa e tranquilla rispetto al solito, o forse è solo il contrasto col mio cervello disgregato che la fa risaltare.
«Oh. Certo, è la tua opinione. Soggettiva. Io...» mi schiarisco la gola, cercando di ricompormi, poi realizzo di essere appena stato definito carino e subito sento un calore indesiderato affluirmi alle guance, e più penso a quanto questo calore debba avere anche un colore visibile più lo sento intensificarsi. «Sì, opinione. Soggettività. Queste cose.»
Lizzie ridacchia ed io mi ricordo all’improvviso di non essere un idiota. Sono quello intelligente, ed è per questo che mi sento così strano e spiazzato ora, perché è Sirius quello carino, o altre volte lo è James, ma non sono mai stato io, nemmeno una volta, ma è proprio perché sono quello intelligente che mi rendo perfettamente conto di non poter dirottare un complimento sui miei amici solo perché inaspettato e ricordo anche che ai complimenti si risponde.
«Anche tu hai un’opinione più...più carina della norma.» dico imbarazzato, ma sentendomi di nuovo in controllo delle mie facoltà mentali.
«Un’opinione?
La sensazione non dura a lungo.
«Una faccia» mi correggo subito. «La tua faccia. Soggettività. Devo andare.»
Lizzie ha un’aria molto perplessa, ma non fa in tempo a dire nulla perché io sono già astutamente scappato. La porta della mia camera è ora contro le mie spalle ed io fisso dritto davanti a me, cercando di ricordarmi i fondamenti di tutta quella storia dell’essere intelligente.
«Ehy Moony, dov’eri sparito?
Non lo sto guardando, ma la voce impastata mi suggerisce che James stia ancora dilapidando il patrimonio di Sirius. Ho appena fatto una deduzione e così mi concedo un’occhiata veloce al mio amico per valutare il mio livello attuale di intelligenza: labbra sporche di cioccolata e guance rigonfie. Corretto.
«Ho smesso di pensare» annuncio pratico.
«Cosa?»
«Non sto pensando e dico cose stupide quando non penso, lasciatemi ricominciare a pensare.»
C’è un secondo di silenzio nella stanza, poi i miei amici riprendono a chiacchierare tra loro, mentre io continuo a fissare la finestra e riassegnare i giusti compiti a tutte le mie facoltà mentali, prima di riscuotermi.
«Ecco fatto» annuncio soddisfatto dopo un po’. «Devo andare a scusarmi, scusate.»




Lizzie è dove l’ho lasciata e mi osserva interrogativa mentre mi avvicino a lei e mi schiarisco la gola.
«Volevo scusarmi per prima» inizio mortificato. «Non so se l’hai notato, ma mi sono imbarazzato e ho perso la capacità del linguaggio.»
«Sì, avevo notato qualcosa.»
L’angolo destro della sua bocca è piegato in modo strano, come a trattenere un sorriso o una smorfia. Probabilmente una smorfia.
«È stato fuori luogo, mi dispiace» continuo diplomatico, assaporando il gusto di essere di nuovo al comando del mio cervello. «Nessuno mi aveva mai detto che sono più carino della norma.»
Subito in un angolo remoto di me inizia a vibrare leggero il senso di colpa e la voce di mia nonna mentre ripete a chiunque che bel ragazzo io sia, ma è sempre labile il grado di affidabilità di chi definisce bellissimi e appende al frigo gli scarabocchi fatti da un bambino.
«È stato fuori luogo anche cercare di ricambiare il complimento così velocemente, come a dirlo in obbligo» aggiungo pacato. «Non è qualcosa che fa suonare sinceri i complimenti, mentre io volevo davvero dire qualcosa sulla tua faccia.»
«Che tipo di cosa?»
«Soggettiva» Lizzie inarca un sopracciglio ed io cerco di fare mente locale perché lo sto facendo di nuovo. «E carina.»
«Beh, è il pensiero che conta» Si stringe nelle spalle. «Grazie.»
«Prego.»
Prego è una risposta così appropriata a grazie, una combinazione di botta e risposta chiara e perfetta, a cui ho contribuito con un tempismo notevole nel rispondere la cosa giusta pur non avendo idea di cosa stessimo in realtà parlando, e mi sento così in pace con me stesso per questa nuova ristabilita capacità di dialogo e logica.
E poi succede e basta, all’improvviso, come una bolla di sapone che esplode dal nulla e irrita gli occhi con piccoli schizzi brucianti.
«La tua faccia è come un fiorire di girasoli in un campo assolato di girasoli.»
Lizzie spalanca gli occhi, terrorizzata, e questa volta non ho nemmeno sentito le mie labbra muoversi da sole tanto è stato fulmineo ed estraneo alla mia volontà, mi è arrivata una voce alle orecchie e ci ho messo qualche secondo a capire che era la mia voce.
Gli occhi di Lizzie sono ancora spalancati e fissi su di me, ed esprimono ancora terrore, e non appena quello che ho appena detto mi riecheggia nelle orecchie anche i miei occhi si spalancano.
«Oh Godric, scusa» dico con voce strozzata, prima di voltarmi e correre.




I miei amici stanno ancora chiacchierando pacifici e ignari delle cose terrificanti che accadono all’esterno di questa stanza e quando, dopo essermi fiondato dentro, getto la mia schiena contro la porta appena chiusa e resto così a fissare il vuoto con gli occhi spalancati, mi lanciano un’occhiata incerta.
«Remus?»
«Ti sei scusato?»
Annuisco frenetico, le labbra ben strette l’una contro l’altra.
«E...?»
«E devo scusarmi di nuovo» sospiro afflitto.
«Perché? Che hai fatto?»
«Il mio cervello» spiego, cercando di ricompormi. «Mi ha fatto una finta, non avevo davvero ricominciato a pensare» E mentre lo racconto ai miei amici mi rendo conto che è esattamente questo che è successo, sono caduto in un falso senso di sicurezza: mai abbassare la guardia. «Ora devo andare a scusarmi di nuovo, ma non posso farlo senza uscire da questa camera e non posso uscire da questa camera mai più.»
«Cosa hai fatto, Remus?» insiste James.
Ed è questo, è questo il momento in cui il mio cervello dovrebbe rimettersi a funzionare una volta per tutte e tenere le mie labbra incollate l’una all’altra, perché l’unico raggio di luce nell’orrore che è appena successo è che i miei amici non erano lì ad assistere, che i miei amici non sanno e non dovranno mai saperlo.
«Ho detto a Lizzie che la sua faccia è come un fiorire di girasoli in un campo assolato di girasoli.»
Se non fosse che le mie labbra l’hanno fatto di nuovo.
È un lungo istante di teso silenzio quello che segue le mie parole, poi gli arti e il busto di James iniziano a muoversi in modi bizzarri come se stesse cercando di vincere un incontro di wrestling con il letto e stesse perdendo, e Sirius che è nel baldacchino proprio accanto a lui non pare nemmeno sentire le sue risate, ancora immobile a fissarmi con gli occhi spalancati, gelato in quell’espressione di terrore che è stata anche la reazione di Lizzie. Peter ha la bocca coperta da entrambe le mani e gli occhi equamente divisi tra lo shock e la voglia di ridere.
È quando James, che nel frattempo è finito per terra, si rialza ansimando, aggrappandosi alle coperte per reggersi in ginocchio e si toglie gli occhiali con uno scatto, svelando gli occhi umidi e le guance rigate di lacrime, e Sirius sillaba con un filo di voce ‘Un campo di...’ prima che James emetta un suono acuto che assomiglia alla parola assolato e si ributta per terra, che cerco a tentoni la maniglia e ricomincio a correre.




«Ci sono libri in cui i complimenti sono spesso associati ad immagini della natura ed in particolare ad eventi atmosferici o a fiori» Lizzie è nell’esatto punto della Sala Comune in cui l’ho lasciata e ha ancora lo stesso sguardo terrorizzato che è normale assumere quando le persone paragonano la tua faccia a un campo di girasoli. «Questo naturalmente ha senso nei libri e non nella vita vera. È stato estremamente fuori luogo e le mie labbra hanno agito in totale autonomia, ti prego di credermi» Quando si rende conto della mia presenza e sposta gli occhi su di me, io sono già a metà del mio discorso. «Desidero dissociarmi completamente da quello che è accaduto. Spero che tu possa capire che solo perché vivo dentro la mia testa non significa che io debba per forza avere la responsabilità di quello che esce dalla mia bocca. Devo naturalmente, questo è stupido, mi assumo la responsabilità dei girasoli, ma... » Abortire, abortire l’operazione. «Mi dispiace».
«Ok. Non preoccuparti. È capitato. Può capitare. Girasoli. Volevo dire, devo andare, grazie della cioccolata e buon Natale».
«Siamo a Febbraio».
«San Valentino, volevo dire San Valentino, buon...ciao Remus».
«San Valentino» ripeto facendole un cenno del capo mentre si allontana, prima di realizzare di aver detto San Valentino e non ciao. Il mio cervello ha un’ultima finale convulsione prima di accasciarsi su se stesso.



«Credo che non mi rivolgerà mai più la parola» annuncio rientrando in camera.
«Credo che non ti rivolgerò mai più la parola» replica subito Sirius e non ha l’aria di stare scherzando.
«Un campo assolato di girasoli?» James non è più per terra, ma ha ancora gli occhi lucidi. «Un campo assolato di girasoli?» E lo rende felice ripeterlo, è evidente nel modo in cui si illumina tutto. «Lo sai, Moony, un giorno diventerò campione del mondo di Quidditch e nello stesso momento in cui la mia mano si chiuderà sul boccino che mi farà vincere la Coppa del mondo, batterò contemporaneamente il record di cattura di Roderick Plupmton, diventando così il Cercatore più veloce mai esistito. E anche allora tuttavia il momento più bello della mia vita resterà quello in cui tu hai detto a Lizzie che la sua faccia sembra un campo assolato di girasoli» C’è qualcosa di ammirevole nel modo in cui anche mentre mi sfotte riesce comunque a tirare in ballo il Quidditch. «Il momento più bello della mia vita e non c’ero nemmeno. Oh Godric, perché non c’ero
«Come fa la faccia di una ragazza a sembrare un campo di fiori?» Peter mi lancia un’occhiata corrucciata dal suo letto.
«C’è quella del quinto anno piena d’acne, la sua faccia sembra effettivamente un campo di papaveri. Papaveri pieni di pus».
«Oh, Godric, Sirius».
«Moony, Moony, guardami» James inizia a gesticolare verso di me come se avesse qualcosa di impellente da dirmi. «La mia faccia assomiglia più a un campo di margherite in fiore o a un mare percorso da banchi di pesci variopinti?»
Questa volta anche Sirius e Peter si uniscono alle risate ed io sospiro afflitto, perché questo è esattamente quello che mi merito.
«Mi ricorderesti di nuovo quanta cioccolata hai ricevuto oggi, James?»
«Non funziona, Moony, non è più depresso ora» mi informa Sirius.
«No?» Inarco un sopracciglio interrogativo, mentre James scuote la testa soddisfatto.
«Il mondo mi sorride di nuovo».
«Certo, perché ti sei mangiato tutta la mia cioccolata».
«La vedranno tutti» continua James ignorando il risentimento di Sirius. «Non vedo l’ora che sia San Valentino del prossimo anno, quando avrò vinto la Coppa e sarò sommerso di cioccolata e allora ricorderò questo momento e ad ogni ragazza che vorrà uscire con me dirò sai, forse dovresti procurarti una giratempo e portare questa cioccolata al me stesso del sesto anno, quando non ho ricevuto nulla ed ero solo al mondo. Qualcosa del genere, ma ancora più sagace e velenoso. Si pentiranno».
James sembra molto convinto e lì per lì decido di starmene zitto, che non sono nessuno per giudicare gli altri, considerando che me ne vado in giro a dire cose ridicole sulla faccia delle persone, eccetto che ridimensionare i miei amici quando partono per la tangente è una delle mie principali occupazioni e così procedo e basta.
«James, è San Valentino, nessuno ti ha regalato cioccolata e tu stai già perfezionando la risposta con cui rifiuterai i quintali di cioccolata che hai deciso ti arriveranno il prossimo anno, davvero?»
« Non ho detto che li rifiuterò, Moony, non sono stupido. Solo che li accetterò con sdegno» precisa James, prima di schiarirsi la voce. «Detto questo, non posso essere l’unico ad aver notato che la faccia di Sirius sembra un cielo stell- »
C’è già l’accenno di un ghigno sulle labbra di James prima ancora che finisca la frase, e poi c’è il mio cuscino e il rumore di risate soffocate.




«Davvero non so come tu possa sentirti onesto a sfoggiare quella spilla quando non hai nemmeno intenzione di far rispettare le regole, Moony».
James mi lancia l’ennesima occhiata imbronciata, addentando la sua coscia di pollo con un’aggressività superflua.
«Non sta facendo nulla di male, James» sospiro, lanciando un’occhiata a Philips, seduto all’altra estremità del tavolo accanto ad Evans, una rosa appoggiata sul tavolo tra i loro piatti. «Non posso togliergli punti solo perché ha deciso di cenare con la sua ragazza a San Valentino».
«Non è un Grifondoro, non dovrebbe stare al nostro tavolo».
«Sarebbe preferibile di no» concedo. «Ma non c’è scritto esplicitamente da nessuna parte che è contro le regole».
«Ok, quindi questa è la tua posizione a riguardo» conclude James sbrigativo, un guizzo pericoloso negli occhi. «Tutto quello che non è esplicitamente vietato non è contro le regole e godrà del tuo pieno appoggio».
Questa non è assolutamente la mia posizione a riguardo e sento che è di vitale importanza farlo presente a James il prima possibile, ma Sirius, che ci stava prestando la stessa attenzione che dedica alla maggior parte delle persone, ovvero nulla, ci interrompe all’improvviso.
«Non credo che sia legale, ragazzi» annuncia, gli occhi puntati alle mie spalle «È piccola».
«Fa il quarto anno» replico voltandomi a guardare Peter e la ragazza dai capelli color carota al tavolo di Tassorosso. Non so cos’abbiano tutti i miei amici con le rosse, per l’appunto. «Non è solo lei, vedi, è una cosa generale, ora li fanno tutti più piccoli».
«Mmm» Sirius scruta pensoso la folla schiamazzante sparsa per la Sala Grande, prima di arricciare le labbra divertito. «Può darsi che la ragazzina di prima allora non fosse del primo anno» aggiunge voltandosi verso James, che a inizio cena ha finalmente ricevuto della cioccolata da una ragazzina minuscola palesemente del primo anno. «Forse aveva almeno dodici anni. È una notizia grandiosa, James, vai ancora forte tra le dodicenni».
«Fottiti» scandisce James, prima di puntare la sua bacchetta contro la caraffa di succo di zucca. Oltre i ghirigori disegnati nell’aria dalla scia arancione che si attorciglia in strani giochi acquatici per poi rituffarsi nella caraffa, gli occhi di James mi fissano con sfida.
«James.»
«Ti dà fastidio la mia fontana, Moony? Ah, se solo trasformare una caraffa in una fontana fosse esplicitamente contro le regole»
La fontana di James mi dà fastidio, perché continuano ad arrivarmi dei microscopici schizzetti addosso e perché la scia di succo non forma dei disegni casuali, come mi era parso inizialmente, ma delle parole, parole che nulla hanno a che fare con le regole del galateo. Ma non resta davanti a me a lungo, perché nessuna caraffa di succo di zucca dura mai nello stesso posto per più di qualche minuto a questo tavolo. Frank la passa a Mary e nessuno dei due sembra farsi domande sul perché il succo di zucca sia così volgare questa sera.
Quando Peter torna al nostro tavolo, vorrei chiedergli com’è andata, ma James mi precede e la sua voce è così profonda e coinvolta mentre lo dice.
«Pete, la tua faccia è come un robusto albero da frutta carico di grossa frutta succosa».
«Questa è la cosa più pornografica che io abbia mai sentito» stabilisce Sirius, mentre Frank alla mia destra inizia a tossire convulsamente, aggiungendo altri schizzi di succo ai lasciti della fontana. Lo guardo strozzarsi con la coda dell’occhio per qualche secondo, soffermandomi a riflettere su come sia vedere noi Malandrini dall’esterno per tutto il tempo, senza i retroscena, e infine decido di non soffermarmici affatto.
Non faccio in tempo a riprendere in mano il cucchiaio, che una busta giallognola piomba con uno splash nel mio piatto, dando il colpo di grazia alla tovaglia e al mio maglione. Non so che problema abbiano i gufi di questo castello, o se abbiano un problema tanto per cominciare: ai primi anni pensavo si trattasse di cattiva mira o vista, od entrambe, ma dopo sei anni sono giunto alla conclusione che è voluto, c’è una qualche gara annuale tra i volatili e chi riesce a centrare più piatti e soprattutto più liquidi ha diritto ai posti migliori in Guferia.
La busta, come scopro solo dopo averla ripescata ed asciugata con la bacchetta, non è nemmeno la mia.



«Sono ufficialmente zio» ci informa Sirius, riprendendo la foto che aveva lasciato perplesso sul tavolo prima di leggere la lettera. «E l’ha chiamata Ninfadora».
C’è un che di disgustato nel modo in cui lo dice, e non riesco a biasimarlo al cento per cento, ma c’è anche una luce calda nel suo sguardo mentre si posa sulla foto della bambina, qualcosa di raro e inaspettato negli occhi di Sirius, quasi fuori posto.
È una Black e si vede.
Avrà a malapena un mese, ma un folto ciuffo di capelli neri come l’inchiostro svetta già sulla pelle chiara e gli occhi sono grandi ed espressivi, meno affilati di quelli di Sirius, ma dello stesso grigio glaciale. Non ho mai visto la cugina di Sirius né suo marito, ma non è difficile intuire da chi abbia preso la bambina.
«Anch’io voglio essere zio, chiedi ad Andromeda se posso essere lo zio Prongs» sta dicendo James entusiasta.
«Non funziona così, James».
«Certo che sì, e poi tua cugina mi adora» insiste James, mentre io aggrotto la fronte, cercando di mettere meglio a fuoco la foto: il ciuffo di capelli che poco fa mi erano sembrati così palesemente color petrolio, dello stesso identico ed intenso nero di Sirius, ora non sembra più così scuro. Riguardando la foto, sembra addirittura più castano che nero. «Continuava a ringraziarmi quando siamo andati a trovarla quest’estate».
«Grazie per aver ospitato Sirius non vuol dire ti prego diventa lo zio di mia figlia, James».
«Non aveva gli occhi grigi prima?»
«Cosa?»
Sirius mi lancia un’occhiata perplessa, mentre io gli porgo la foto.
«Prima aveva gli occhi grigi. Ora sono azzurri. È normale?»
Sirius alza le spalle.
«Non ci ho fatto caso onestamente».
«Sei già uno zio modello. Ti ci vedo a tornare dal parco con la bambina sbagliata perché ‘non ci ho fatto caso onestamente’» lo scimmiotta James, che evidentemente spera di guadagnare punti come papabile zio screditando quello vero.
«Aspettate, ora sono verdi. Questa foto è rotta, perché continua a cambiare colore?»
Questa volta Sirius si spreca addirittura a prendermi la foto dalle mani, e dopo averla scrutata per qualche secondo mi lancia un’occhiata di compatimento.
«Moony, stai delirando, sono azzurri, guarda» E il fatto è che, come constato mentre mi mostra la foto, ora sono davvero azzurri, ma fino a venti secondi fa potrei giurare che fossero di un bel verde acceso. «Azzurri come quelli di Ted, il padre. Tutto nella norma.»
Peter e James concordano evidentemente con Sirius, o almeno è quello che mi dicono i loro sguardi perplessi fissi su di me, ed io mi sento molto astuto e molto stupido allo stesso tempo, perché sto notando cose che nessun altro vede e questo mi rende estremamente furbo e intelligente, e perché sto notando cose che nessun altro vede, e questo mi rende pazzo.
«Posso?» chiedo allungando la mano verso la lettera, perché ho sempre avuto questa innata e disdicevole curiosità che mi spinge ad essere eccessivamente attratto dalle cose personali degli altri. Fortunatamente nessuno dei miei amici ha ben chiaro il concetto di privacy e così Sirius annuisce distratto.
Non l’ho mai vista di persona, ma non è la prima volta che leggo una sua lettera e per quel poco che posso dire di conoscerla, mi piace Andromeda. Mi piacerebbe a priori, anche se fosse la persona più antipatica sulla faccia della terra, per il semplice fatto che è gentile con Sirius e gli vuole bene e non lo chiama traditore. Potrebbe mantenersi uccidendo gattini a mani nude e le sarei comunque grato per essere una delle due persone nella famiglia Black a non odiare il mio amico, ma la realtà è che Andromeda non è affatto antipatica e non si mantiene uccidendo gattini, e mi piace davvero.
Ha la stessa inconfondibile ironia un po’ pungente di Sirius, ma è molto più dolce e affettuosa e c’è sempre un che di materno nelle sue lettere, nonostante abbia solo pochi anni in più di Sirius.
Sembra più matura dell’età che ha ed è quando leggo di quanto la madre di Ted l’abbia aiutata durante e dopo la gravidanza che realizzo che ha solo vent’anni e che probabilmente se è così facile dimenticarlo è proprio perché la sua di madre invece non c’è stata dal giorno in cui si è fidanzata con un Nato Babbano, e in un certo senso anche da prima.


La sorella di Ted passa da noi un giorno sì e uno no, ma Dora ha occhi solo per Alphard (così come li abbiamo sempre avuti noi d’altro canto). È qui ora, dice che è contento che sei bloccato a scuola, così può godersi di essere lo zio preferito ancora per un po’, perché appena ti vedrà diventerai tu quello. Ha ragione naturalmente. Mi secca ammetterlo perché gradirei che lo zio preferito di mia figlia non fosse un ragazzino spericolato e con tendenze piromani, ma così è la vita.
Mi renderai una madre apprensiva e seccante, sai, e potrai biasimare solo te stesso perché mi costringerai a sgridarti quando la trascinerai con te in situazioni assurde e totalmente non sicure, quando le porterai regali inappropriati per una bambina e quando non avrai alcun filtro come tuo solito, e dato che allora sarò impegnata a riprenderti voglio dirtelo adesso: grazie. Grazie per tutti i casini che combinerai e per lo zio assolutamente fuori di testa che sarai per mia figlia, perché adesso come negli anni scorsi tu sarai sempre l’unica famiglia di cui ho bisogno.
Con amore,
Meda
P.S. Saluta James e gli altri,


«Ahah! Saluta James e gli altri, James, e gli altri!»
James, chinato su di me, esulta trionfante ed io sobbalzo, mentre Sirius alza gli occhi al cielo.
«Di nuovo, Prongs, è saluta James, non saluta James e chiedigli se vuole diventare zio».
«Hai solo paura che ti ruberei il ruolo di zio preferito. Cosa che farei, chiaramente».
«Finita la scuola mi comprerò una moto, James. Una moto. Sarò lo zio preferito di chiunque nel raggio di miglia».


P.P.S. Ho mandato la foto anche a Regulus e Narcissa.
Lo so, non fare quella faccia: sono un’idiota senza speranza e non risponderanno mai, ma volevo che lo sapessero da me.




«Sirius, tutto nella norma un corno, i capelli di tua nipote sono appena diventati rosa».




**********


Sirius è intrattabile da mesi e febbraio è quasi giunto al termine quando succede quello che era solo questione di tempo che succedesse.
Peter è da qualche parte con Hestia, come sempre ultimamente, il che sarebbe classificabile come tradimento vero e proprio secondo le regole non scritte dei Malandrini, se non fosse che fino a qualche mese fa eravamo tutti convinti che sarebbe morto vergine, quindi per ora possiamo chiudere un occhio. Remus è alla riunione dei Prefetti invece e questo è tradimento a tutti gli effetti, mentre Sirius se ne sta accanto a me con le gambe a penzoloni e la schiena abbandonata contro l’ampia vetrata di una delle finestre del corridoio di Trasfigurazione, gli occhi annoiati che vagano tra i gruppetti di studenti che passeggiano senza meta di fronte a noi.
Le figurine volanti in lontananza sono sparite già da qualche minuto e scorgo ora una piccola processione che si allontana dal campo da Quidditch verso il castello, attraversando il parco illuminato da un sole inaspettatamente caldo. Frank e Mike stanno chiacchierando a pochi passi da me e vorrei convincerli a buttarci in un allenamento dell’ultimo minuto, approfittando del bel tempo e del campo libero, se non fosse che c’è un motivo se sto indugiando qui invece di tornare in Sala Comune: sono quasi le sei, l’ora in cui Evans mi aspetta nell’aula di Pozioni. Sto appunto per congedarmi da Sirius, quando noto che la sua mascella si è irrigidita impercettibilmente e anche se quello è l’unico segno visibile, ora tutto in lui mi trasmette irritazione.
Mentre ci sfilano davanti, Piton lancia un’occhiata velocissima nella nostra direzione, senza soffermarsi precisamente su Sirius, e potrebbe quasi sembrare che stesse solo guardando il parco alle nostre spalle, se non fosse per l’evidente soddisfazione nei suoi occhietti neri. Dura qualche secondo appena e Regulus Black non pare notarlo, mentre continua a camminargli affianco e a parlare con Avery, fino a che tutti e tre non spariscono oltre l’angolo alla fine del corridoio.
Non era così all’inizio, ci ha messo un po’ Piton ad accorgersi che la nuova aggiunta al suo gruppetto infastidiva Sirius, ma da quando l’ha notato – e che l’abbia notato nonostante Sirius non abbia mai detto una parola è solo l’ennesima prova di quanto sia ossessionato da noi – non manca mai di rivolgergli occhiate compiaciute, quasi a sfidarlo a fare qualcosa. E non è solo il fatto che è Piton e che Sirius lo odia, è che tutti qui a scuola sanno cos’hanno in comune lui, Avery, Dolov e ogni altro membro di quel gruppetto, che siano del settimo o del sesto anno: lo sa bene Mary MacDonald, su cui Mulciber ha usato una maledizione senza perdono l’anno scorso, ed è più del semplice interesse per la magia nera, più dei sanguesporco sussurrati con disprezzo tra una lezione e l’altra, e la verità è che ogni tanto viene da chiedersi se non ce l’abbiano già tatuato sul braccio quel teschio spettrale, o se faccia una qualche differenza, che l’abbiano già oppure no.
«Sirius» dico, e sto infrangendo le regole, perché Sirius non ha mai nominato suo fratello da quando se n’è andato di casa e mi ha sempre fatto capire silenziosamente quanto non gradisca alcuna intromissione nel suo fingere di essere figlio unico.
«Non m’interessa» mi taglia subito infatti, scendendo dal davanzale e guardandosi attorno come alla ricerca di qualcosa da fare. «Ho detto che non m’interessa» ripete freddo quando faccio per aprire bocca di nuovo. «Ora piantala di fissarmi e vai a fare esplodere le pozioni in faccia ad Evans, io ho da fare».
«Cosa devi fare?» mi informo cautamente.
«Allagare i sotterranei».
«Adesso?»
Non è che allagare i sotterranei sia sbagliato di per sé, allagare i sotterranei è anzi un’ottima idea, è il nostro piano di fine anno e questo è il punto: è il nostro piano di fine anno, da mettere in atto a fine anno e non ora, tutti insieme e non da soli, quando Remus avrà scoperto le tempistiche con cui Silente rafforza gli incantesimi di protezione del vetro e quando il piano non sarà solo una vaga idea dell’obbiettivo ma effettivamente un piano, articolato e ben studiato in modo da non finire tutti in punizione o annegati.
«Adesso, sì» replica Sirius, a cui tutto questo evidentemente non interessa.
«D’accordo, ma dobbiamo ancora provare gli incantesimi e tutto, e ci servono Remus e Peter» cerco di farlo ragionare. «Non puoi semplicemente...»
«Tu sta’ a guardare» conclude Sirius con sfida, facendo per allontanarsi, perché certo che può invece e non è come se ora io avessi qualche speranza di convincerlo a desistere.
«Sirius, ti prego, non posso farmi mettere in punizione prima della partita» sussurro esasperato, affrettando il passo per stargli dietro. Sirius si ferma e si volta scocciato.
«Non ti ho chiesto di venire».
«Non hai bisogno di chiedermelo» replico infastidito, passandomi nervoso la mano tra i capelli. «Ok, aspetta un attimo» aggiungo con un sospiro, prima di raggiungere il gruppetto qui vicino con una veloce corsetta.
«Frank, amico, avviseresti Evans che non posso andare a ripetizioni oggi? Grazie!»
Prima che Frank abbia il tempo di rispondere sono di nuovo di fronte a Sirius.
«È un suicidio, ma se vuoi allagare i sotterranei adesso, completamente allo sbaraglio e senza uno straccio di piano, allagheremo i sotterranei adesso, completamente allo sbaraglio e senza uno straccio di piano. Andiamo, ho il mantello».




**********

È ora di cena e la Sala Comune è praticamente vuota, ma quando Potter fa il suo ingresso ogni singola testa si volta verso di lui, perché la notizia ha già fatto il giro della scuola.
«È questo che dovevi fare, Potter?» Lupin, che era a qualche poltroncina di distanza da me, si alza non appena vede il suo amico, ma la prima a raggiungerlo sono io. «Allagare la Sala Comune di Serpeverde?»
Non sono mai stata così furiosa con Potter in vita mia ed è una bugia naturalmente, perché sono abbastanza sicura di esserlo stata ad un certo punto, anche più di una volta, che Potter è così bravo a farmi perdere le staffe, ma il punto resta: non sono mai stata così furiosa con Potter in vita mia.
«Evans» inizia stancamente e quello non è il tono di chi sente di doversi scusare o di chi si sente anche solo minimamente in difetto, perché quando mai potrebbe capitare ovviamente. Mi lancia un’occhiata stanca e vagamente esasperata ed io mi sento così stupida. Questo non fa che irritarmi di più, perché non mi piace sentirmi stupida, non sono stupida, sono una brillante e promettente giovane strega, come ripete sempre Lumacorno, e allo stesso tempo la faccia tosta di Potter è proprio qui davanti a me ora ed è la prova lampante e innegabile di quanto io sia in realtà incredibilmente stupida.
«Mi piace scrivere sui muri, Potter» sbotto cercando di abbassare la voce. «Scrivere, disegnare, scarabocchiare, qualunque cosa: mi piace imbrattare i muri. E sai perché? Perché non lo puoi fare quando sei in una casa babbana senza magia» Potter non ha chiaramente idea di quale sia il punto ed è chiaro dal modo in cui mi guarda che si sta sentendo stupido in questo momento, e la cosa mi suscita un appagamento maligno, che nessuno prima di lui mi aveva mai fatta sentire tanto stupida. «Non lo puoi fare perché non si cancella tutto con un tocco di bacchetta, devi uscire di casa, comprare un barattolo di vernice e poi passare la vernice, o guardare i tuoi che passano la vernice, e nessun genitore babbano è felice di passare la vernice e poi aspettare che l’odore lasci finalmente la stanza, ragione per cui ogni bambino babbano sa che non può scrivere sui muri» Ed è così confuso ora. «Questo non accade ad Hogwarts, dove tutti usano la magia anche solo per scaccolarsi, quindi a volte, quando mi gira, disegno sul muro della mia camera e poi cancello tutto con un tocco di bacchetta, in mezzo secondo, senza vernice coinvolta. E ti sto dicendo tutto questo» Potter pareva sul punto di volermi interrompere, ma qualcosa nei miei occhi e nel mio tono deve avergli fatto cambiare idea. Credo anzi di aver appena dato un pugno a Potter con gli occhi. Sembra qualcosa di fisicamente impossibile, ma sono abbastanza certa che questo sia esattamente quello che ho appena fatto, e che fosse un gancio di tutto rispetto. «Perché scarabocchiare sulle pareti della mia camera per poi cancellare tutto è solo uno degli infiniti modi in cui preferirei e avrei preferito passare i miei venerdì sera invece che chiusa nei sotterranei con te che forse vuoi davvero imparare qualcosa o forse no, non è dato sapere, essendo tu un dannato aspirapolvere» A Potter non piace la parola aspirapolvere e di nuovo devo intensificare l’ostilità che emano tutta d’un colpo per impedirgli di interrompermi. «E nonostante questo, ti è sembrato che io fossi in camera mia a scrivere sui muri lo scorso venerdì? Ho fatto anche solo mezzo segno sul muro dell’aula di Pozioni? No, perché so rispettare gli impegni presi. Impegno, cercalo sul dizionario quando hai tempo. Se poi vuoi strafare cerca anche rispetto».
«Questa cosa è incredibilmente melodrammatica, Evans».
E gli basta così poco. Non c’è un perché, certe cose sono così e basta e Potter è sempre stato tra tutti l’unico in grado di risvegliarmi sensazioni così forti, anche più di Deabourn, che era il mio ragazzo, e di Dean, che è il mio ragazzo. E sono sempre sensazioni negative, com’è naturale, agitate, ostili e incontrollabili, ed è parecchio frustrante come proprio Potter abbia il potere di insinuarsi così a fondo negli equilibri del mio controllo, e come gli venga naturale. Vorrei essere più lucida in questo momento, forse per trovare le parole migliori per farlo capire a lui, che davvero non se ne rende conto, o anche solo per realizzare io stessa che non vale la pena infuriarsi con Potter e cercare di spiegargli come ci si comporta tra essere umani decenti.
«Sei viziato oltre il livello del ridicolo» dico e mi trema la voce. «Così tanto che non te ne rendi nemmeno conto, perché ti pare scontato che le persone stiano ai tuoi comodi, come se ti fosse dovuto, pronte a prodigarsi per qualcosa di cui a te per primo importa meno di zero».
«Mi importa, Evans, o non te l’avrei chiesto». E ha di nuovo quel tono vagamente stanco ed esasperato, come se fosse lui quello che sta facendo un favore a me e non il contrario.
«Oh sì, ti importa così tanto che nella tua scala di priorità è subito sotto ad allagare la Sala Comune di Serpeverde» Non è l’aver accettato in primo luogo di aiutarlo a farmi sentire particolarmente stupida, è che quando Frank è venuto da me all’ultimo momento a riferirmi il suo messaggio, io ho effettivamente pensato che Potter avesse avuto un contrattempo. L’ho dato per scontato, sei anni che lo conosco e nonostante questo ho dato per scontato che avesse un vero motivo per darmi buca all’ultimo secondo. Ed è ridicolo che non me lo aspettassi, che sentirlo dal resto della scuola il vero motivo mi abbia spiazzata, perché che Potter semplicemente non avesse voglia e abbia deciso di volersi divertire coi Serpeverde è quanto di più naturale ci sia al mondo e tuttavia non me lo aspettavo, per qualche assurdo motivo io non me lo aspettavo, ed è questo che mi fa sentire così stupida ora, e che mi fa battere il cuore dalla rabbia. «Oggi ho passato tutto il pomeriggio in punizione, perché non sono rimasta sotto quel dannato mantello e il tutto sempre per aiutare te, e subito dopo sono scesa nell’aula di Pozioni, sempre per, indovina un po’, aiutare te e tu non ti sei presentato perché avevi l’urgenza di allagare i sotterranei pare, e poi te ne vieni qui con la tua faccia tosta, senza uno straccio di spiegazione, a dirmi che sono melodrammatica».
Il mio sbuffo incredulo a coronare il tutto dovrebbe aiutare Potter a processare quanto sia ridicola la situazione, ma lui pare essersi perso a metà strada.
«Non ti ho mai chiesto di toglierti il mantello, Evans. Il punto era proprio che te lo tenessi addosso, pensa».
«Ma mi hai chiesto di aiutarti con Pozioni, sì? O forse me lo sono sognata, sto facendo tutto io perché ho questa insana voglia di aiutarti, così a caso». Sbuffo con una risata. «E me lo sono tolta perché pensavo che fosse la cosa giusta, e che sotto sotto fossi in qualche modo una persona decente, e invece mi hai confermato per l’ennesima volta che non ti importa di niente e nessuno, non di diventare Auror, non di non farti buttare fuori dalla squadra di Quidditch e far perdere la tua squadra di nuovo, niente».
E l’ultima cosa la aggiungo solo perché non gliene frega nulla nemmeno di qualunque cosa io abbia detto ed è frustrante che io sia l’unica infuriata tra i due. «Né dei tuoi amici».
«Prego?»
«Black è in punizione e tu no» replico con un’alzata di spalle e un’occhiata eloquente. «Oh, fammi indovinare, ‘non gliel’hai chiesto tu’».
Ed è solo un lampo oltre le lenti quadrate prima che una maschera di freddezza prenda il suo posto, ma finalmente non sono più l’unica ad aver perso le staffe, ed è evidente anche nel modo in cui vibra la sua voce apparentemente calma.
«Wow, Evans. Devi insegnarmi come fai a passare tutto il tempo a giudicare ogni singola cosa e riuscire ad essere comunque tu quella umile tra i due».
Ma certo, rigira tutto.
«Sai che c’è, Potter? Se non interessa a te, non aspettarti che importi a me».


*
È solo quando Lily sparisce oltre le scale del dormitorio femminile senza voltarsi indietro, che James si accorge dei miei occhi puntati su di lui e del fatto che sono stato qui in piedi tutto il tempo.
«Stai aspettando per dare di matto anche tu?»
Sono effettivamente in fila, non lo posso negare, ed ora che è arrivato il mio turno non sono sicuro di cosa dovrei farci. Voglio dire, dare di matto è il primo e naturale istinto che mi ha portato ad alzarmi non appena James è entrato dal ritratto, ma non c’è nulla di più controproducente del dare di matto saltando la fase delle indagini e degli accertamenti.
«Sto valutando».
«Beh, mentre valuti io salgo in camera».
«Oppure potresti dire qualcosa che mi aiuti a valutare» aggiungo seguendolo. «Lo sai, è un’opzione questa. Spiegare le cose alle persone invece di innalzare un muro di ego ferito e frecciatine.»
«No, non è un’opzione spiegare ad Evans che cosa...e non dovrebbe essere necessario con te, lo sai già che cos’è successo, ok? Dovresti saperlo.»
C’è un che di sfiancato nel tono di James che traspare anche dalla linea sconfitta delle spalle mentre mi precede lungo il corridoio del dormitorio, ma c’è anche una nota indispettita ed è così evidente quanto sarebbe più vantaggioso per tutti, lui in primis, se ogni tanto mettesse in pratica il consiglio che gli ho appena dato, quasi evidente quanto il fatto che non lo farà nel corso di questa vita.
La porta della nostra camera si chiude alle mie spalle ed io sospiro.
«Che cos’ha?»
Non sapevo cosa fosse successo fino a pochi minuti fa, ma James ha detto che dovrei saperlo ed in effetti lo so.
«Regulus ha iniziato a girare con Piton e il resto degli altri probabili aspiranti Mangiamorte» risponde e ora che non si sente più sotto accusa è sparita ogni traccia di ostilità dalla voce. «Il che fa di lui un probabile aspirante Mangiamorte.»
E il fatto è che James era così chiaramente l’idiota fino a pochi secondi fa, mentre ora sono io l’idiota. A mia discolpa, non c’è un particolare motivo per cui dovrei far caso alle frequentazioni di un Serpeverde di un anno indietro a noi, eccetto che c’è, eccetto che James a quanto pare lo ha fatto, ed ora Piton che finisce nel lago senza che Sirius tocchi neppure la bacchetta ha molto più senso.
«Dov’è adesso?»
«Dal preside, credo. Il mantello che si è inzuppato ha reso complicata la ritirata e Sirius ha attirato l’attenzione per farmi dileguare» Non ci sarebbe stato nessun mantello fradicio se avessimo aspettato la fine dell’anno e pianificato il tutto come previsto, ma non è come se fosse un’informazione nuova per qualcuno nella stanza. «Pensano che abbia fatto tutto da solo – e non è difficile da credere, visto l’esito disastroso.»
«Lo sa tutta la scuola che non era solo, James.»
«Non lo sanno i professori» James alza le spalle, prima di lasciarsi cadere a peso morto sul letto, ancora con le scarpe.
«Lo sa la tua squadra» insisto e James sposta gli occhi dal soffitto del baldacchino per piantarli nei miei. «Che si chiederà se soffri di bipolarità, dall’impazzire per farti perdonare per l’anno scorso al rischiare tutto così prima della partita più importante.»
«Lo sai perché l’ho fatto.»
«Io lo so perché hai rischiato di mandare tutto all’aria di nuovo, certo che lo so» continuo spedito, vagamente consapevole del mio tono sempre più infervorato. «Ma la tua squadra non lo sa, Lily non lo sa, la McGranitt non lo sa e se ti avesse beccato sarebbe stata costretta a buttarti fuori dalla squadra. E tu sei stato praticamente costretto a farlo lo stesso, anche se non volevi, per il semplice fatto che non riesci a mettere nulla di fronte ai tuoi amici. E Sirius lo sa.»
Si è messo a sedere ora e capisco da come mi guarda che ha capito dove voglio andare a parare e che non gli piace per nulla, ma io non mi lascio interrompere.
«No, ascolta, è anche il mio migliore amico, lo so com’è fatto, ok? Non c’è bisogno che me lo dici. Lo so che a volte non pensa e tutto, è solo che sto aspettando che tu mi dica di non fargli nessuna scenata e lasciarlo stare quando torna da quando sei entrato in questa stanza, perché sappiamo entrambi che è quello che stai per dirmi, quindi se non posso farla a lui la faccio a te, e non perché sono un insopportabile Prefetto, non mi importa nulla delle regole, è che è sbagliato e basta. Mi sento un idiota per non essermi reso conto di Regulus e lo sai che passerò i prossimi giorni a scervellarmi nel trovare una soluzione a un problema senza soluzioni perché è anche il mio migliore amico e gli voglio bene, ma questo non lo giustifica nel fregarsene così degli altri. Di te.»
Il silenzio segue le mie parole per diversi secondi, mentre James si porta le mani alle tempie e chiude gli occhi, sospirando.
«Perché siete tutti così melodrammatici oggi?» scuote la testa, ma c’è un mezzo sorriso a piegargli le labbra mentre mi lancia un’occhiata di sottecchi.
«Si è praticamente consegnato a Lumacorno, Moony» aggiunge.
«Lo so. Non sto dicendo che non gli importa nulla e non so perché sto facendo il melodrammatico.» Forse è perché continuo a pensare all’altra volta in cui Sirius era arrabbiato per via della sua famiglia e ha agito senza pensare, all’altra persona di cui se n’è fregato quella volta, quando mi ha mandato Severus Piton alla Stamberga. «Sarà che ti ho appena visto incasinare ulteriormente la tua già precaria situazione con Lily pur di non tirarlo in ballo, e non è con lui che se la prenderanno i nostri compagni per la tempist...»
«Remus
E il suo tono dice dacci un taglio ed io ce lo do davvero, perché non c’è motivo.
Il fatto che James pensi che Sirius abbia assolutamente ragione o palesemente torto non ha la minima rilevanza: lo difenderà comunque a priori, anche a costo di litigare con tutta Hogwarts, per il semplice fatto che è il suo migliore amico.
Ed essere il migliore amico di James Potter è questo: passare più tempo in punizione che a lezione e ritrovarsi spesso corpi estranei e pericolosamente viscidi nelle mutande, ma anche avere la certezza assoluta che lui sarà al tuo fianco, indipendentemente da quanto grossa tu l’abbia combinata. James riesce a darti quella sicurezza assoluta che ci sarà sempre, la stessa sicurezza di cui Sirius ha maledettamente bisogno.
E una parte di me si sente appena un po’ frustrata da questo, perché è il motivo per cui ho appena fondamentalmente parlato al vento per dieci minuti, ma tutte le altre parti di me si sentono esattamente dove dovrebbero essere, perché è la stessa sicurezza di cui ho bisogno anch’io, la stessa sicurezza che è alla base di tutto.
Forse non è giusto e sicuramente non è un rapporto perfetto, ma il punto dei Malandrini è sempre stato questo, un sorriso in risposta al nostro lato peggiore.



**********
«Quindi tu sei sicuro che non abbia detto nulla su di me» ripeto per l’ennesima volta, fissando corrucciata gli strani caratteri del libro che sto cercando di decifrare da dieci minuti. Vorrei gettarlo nella sezione di Antiche Rune e basta, perché è lì che merita di stare dato che è un unico incomprensibile scarabocchio a partire dal titolo, ma la mia parte più diligente me lo impedisce, perché so che non sono rune, quello che non so è cosa diavolo siano. «E sei sicuro di non aver mai visto questi simboli? Forse è elfico? O maride?»
«Evans, se vuoi che ti dica che non sei più in punizione te lo dirò» Black mi lancia un’occhiata esasperata, ignorando il volume che sto spingendo verso di lui. «Ma la McGranitt non mi ha detto di dirtelo, non mi ha detto proprio nulla infatti». Finalmente Black pare pronto ad aiutarmi e afferra il libro tirandolo verso di sé. Sono ancora corrucciata, ma il suo gesto mi rallegra appena, perché in due riusciremo forse a capire che razza di alfabeto sia questo e in quale sezione ficcare il dannato libro, magari troveremo anche un dizionario di questa strana lingua per poter tradurre il titolo e schedarlo correttamente, e poi la fata turchina scenderà tra noi e trasformerà tutto in zucchero filato. Non sono cose che succederanno queste, scopro mentre Black chiude il libro senza nemmeno sfogliarlo e lo va a nascondere con nonchalance nella mensola più bassa di uno scaffale a pochi passi da noi.
Ho passato abbastanza giorni quest’anno sotto le dipendenze schiavistiche di Madama Pince per sapere che cosa significa non schedare un libro e soprattutto non riporlo nella sezione giusta: quello che è appena successo qui, quello di cui mi sono resa complice con il mio silenzio, è il reato più grave commettibile in una biblioteca. Abbiamo appena ucciso quel libro. Black non è turbato dall’atto commesso, e si risiede anzi al tavolo di fronte a me con una soddisfazione visibile in volto.
«Se Madama Pince scoprisse...»
«Siamo già in punizione, Evans» Black alza le spalle. «A tempo indeterminato. Che cosa possono fare?»
«È esattamente quello che mi chiedo da ieri, Black» E nello stesso momento in cui la mia voce sfiora il tono massimo consentito, sento l’occhiata fulminante di Madama Pince scottarmi la nuca. «Non dovresti essere più in punizione di me? Voglio dire, avevamo la stessa punizione, ma ieri tu hai rischiato l’annegamento tentando di allagare i sotterranei, mentre io non l’ho fatto, ed ora abbiamo di nuovo la stessa punizione?».
Black scrolla le spalle, non particolarmente interessato. «I vantaggi delle punizioni a tempo indeterminato, immagino».
«Se io fossi la McGranitt» continuo pensosa. «E avessi due studenti entrambi in punizione a tempo indeterminato, e uno finisse di nuovo in punizione, ci terrei a marcare la differenza. Nello specifico, farei finire la mia punizione subito, così da raddoppiare il tuo carico di lavoro, conseguentemente al tuo numero di punizioni. Questo è quello che farei» Black non mi sta ascoltando, ma il mio ragionamento fila così tanto da non necessitare della sua attenzione, mentre d’altro canto necessiterebbe invece solo di due sue paroline per tramutarsi in realtà. «Quindi tu mi confermi che la McGranitt non ti ha detto di finire da solo».
«Mh-mh.
«E non ti ha detto che io posso andare».
«Mh-mh.»
«Non ti ha nemmeno fatto il mio nom-»
«Meno parole» La voce piccata di Madama Pince è all’improvviso alle mie spalle e mi fa sobbalzare. «E più libri».
Con un colpo secco prende uno dei volumi dalla pila al mio fianco e me lo piazza davanti, prima di aumentare il passo verso l’ala di Trasfigurazione. «Signor Potter, abbassi la voce!»
Non vedo Potter dall’amabile scambio di ieri sera e in linea di massima non sarei particolarmente felice di condividere la stessa stanza con lui in questo momento, anche se è una stanza molto grande e piena di scaffali e corsie che lo nascondono alla vista, ma d’altro canto Madama Pince è sempre più portata a girare attorno al suo tavolo come uno squalo e lasciare a me un po’ di respiro quando c’è lui: ancora non le va giù che la McGranitt gli abbia dato il permesso eccezionale di usare la magia in biblioteca durante le sue ripetizioni ai ragazzini del primo. Il pericolo di una fattura è chiaramente più spaventoso di quello di un’errata schedatura ai suoi occhi e così mi concedo di stiracchiarmi ignorando il libro davanti a me ancora per un po’, quando Black rompe il silenzio.
«Era un pessimo piano, sai.»
Lui ha sempre qualcosa di arguto da ribattere ogni volta che gli rivolgo accidentalmente la parola e così vorrei ricambiarlo con la stessa moneta ora, se non fosse che sono troppo spiazzata dal fatto che Black mi abbia appena e a tutti gli effetti rivolto la parola di sua spontanea volontà.
«Me ne sono accorta» replico distaccata, sfogliando a caso le pagine sotto di me e simulando indifferenza. Sono in realtà curiosa come una scimmia, perché ci dev’essere un punto a cui vuole arrivare se si mette a parlare con me più dello stretto necessario.
«È perché era pensato per quattro persone, non due» Anche se è lui quello che sta parlando, il modo in cui continua a copiare svogliatamente titoli di libri sulla sua lista senza guardarmi e il tono distratto fanno sì che sembri comunque lui quello meno interessato alla conversazione. Il che è ridicolo, ma è anche probabilmente vero, visto che ora non posso più trattenermi dal lanciargli occhiate di sottecchi: Sirius Black mi sta raccontando del modo disastroso in cui è finito in punizione e non c’è nulla nel nostro comune passato che lo spieghi. «E doveva ancora essere rifinito. Se avessimo aspettato la fine dell’anno, come previsto, avremmo effettivamente annegato mezza Casa di Serpeverde senza bagnarci un dito.»
«Tutto e subito, tipico di Potter.»
Il mio piano era non interromperlo e attendere in silenzio il punto, ma il groviglio di livore e dispetto che mi si accende solitamente all’altezza del petto quando penso a Potter si è fatto più rumoroso da ieri sera.
Black smette di scrivere e alza gli occhi su di me come a soppesarmi, rigirandosi la piuma tra le dita.
«James non aveva voglia di dare l’assalto alla Sala Comune dei Serpeverde con un piano incompleto e potenzialmente suicida» dice dopo qualche secondo, prima di tornare a scrivere. Automaticamente sbircio la sua lista per controllare che non stia scarabocchiando cose a caso, essendo che io ad esempio non sono in grado di scrivere e parlare al tempo stesso, ma la calligrafia elegante forma effettivamente il titolo del libro che ha di fronte e immagino che quello che sta aggiungendo ora sia l’autore corretto. «Non aveva voglia nemmeno di saltare la vostra lezione.»
Lo sbuffo sarcastico mi esce dritto dal cuore.
«Scommetto che gli hai puntato la bacchetta alla gola per costringerlo a venire con te infatti.»
Black alza le spalle.
«Non ho insistito» E smette di nuovo di scrivere per guardarmi. «Non devo mai insistere.»
E pare non abbia altro da aggiungere, ma continua a fissarmi dritto negli occhi ed è come se stesse ancora parlando, perché non c’è l’imbarazzo che dovrebbe per buonsenso esserci quando due tizi se ne stanno seduti in silenzio a guardarsi e basta e non si stanno nemmeno simpatici, e non ho l’impulso di dire nulla né di staccare gli occhi dai suoi, proprio come se stessi ancora ascoltando. C’è qualcosa di anomalo nel modo in cui mi guarda, senza la solita luce distaccata e vagamente beffarda, come se stesse effettivamente cercando di comunicare con me, e all’improvviso qualcosa fa click e c’è Potter sulle scale del terzo piano che mi ride in faccia di fronte al mio suggerimento di parlare con Black di qualunque problema abbia e poi la sua espressione esasperata di fronte alla mia indignazione dopo che mi ha dato buca e Black non ha dovuto insistere.
È come un lampo di luce all’interno di un aspirapolvere e Black riprende a scrivere senza più degnarmi.
«Ah.»



*********
Madama Pince continua a girare attorno al mio tavolo come un dannato squalo ed è incredibilmente irritante. Pensa che non la veda solo perché si nasconde tra gli scaffali, come se non potessi sentire i suoi tacchetti fare tac tac tac sul marmo della biblioteca.
In realtà non li sento da un po’ ora e una parte del mio cervello mi sta infatti gridando di stare in allerta, che è tutto parte di un’imboscata e mi spunterà alle spalle da un momento all’altro, a piedi nudi e con un libro tra i denti, ma tutte le altre parti del mio cervello stanno dando una festa in una qualche stanza del castello molto lontana da qui, così continuo a fissare nel vuoto vagamente consapevole di avere la bocca socchiusa in un modo che probabilmente non mi dà l’aria brillante che si confà alla mia persona.
È il bambino brufoloso coi capelli rossi a destare la mia attenzione, e quando ripete Fantastico James? per la terza volta mi rendo conto che il sottofondo dei loro incantesimi borbottati si è interrotto da un pezzo.
«Sì, Doug, eccomi».
Ci sono due Doug tra questi tre bambini che la McGranitt ha reso miei e non ho ancora capito quali siano e quale invece non sia Doug, ma le statistiche parlano chiaro e così chiamare tutti Doug è per ora la strategia vincente, che ho solo una possibilità su tre di beccare invece Ron. Doug mi guarda con aria perplessa ora, ma questo non significa che non sia Doug, perché questi ragazzini hanno l’aria perplessa tutto il tempo, anche quando non vengono chiamati col nome sbagliato.
C’è un fiammifero di fronte a lui, a distinguersi dagli aghi degli altri due e a proclamare il suo trionfo, così gli do soddisfatto una pacca sulla spalla.
«Bravo Doug» mi complimento prendendo il fiammifero e studiandolo attentamente, prima di sollevarlo per farlo vedere agli altri. «Vedete, Doug è riuscito a trasfigurare il suo ago in un fiammifero perfetto, non è rimasta nessuna traccia di colore metallico o...»
«Ma era già un fiammifero» protesta l’altro Doug. «Ci hai detto di trasfigurare i fiammiferi in aghi! Noi ci siamo riusciti, Doug no!»
Il terzo Doug, che forse è Ron, annuisce convinto, mentre io cerco di non cadere dalle nuvole in maniera troppo evidente.
«Giusto, certo, ritiro il bravo, Doug» Il primo Doug si riprende il fiammifero con aria tutt’altro che felice e lancia un’occhiata ostile agli altri Doug, prima di avere un’idea malvagia e tornare a guardare me. Riesco a vederla mentre gli attraversa la mente come un lampo a ciel sereno e prima che me ne accorga è scoppiata una faida mortale tra i miei adepti.
«Non è vero che era già un fiammifero, tu ci hai dato degli aghi! Ron dice così solo perché è geloso che sono l’unico a cui è venuta la trasfigurazione!».
Ron, che non era Doug, non è d’accordo con questa affermazione e tutti e tre stanno gridando ora. È quando il Doug di sinistra prova ad accoltellare quello centrale con il suo ago che riprendo in mano la situazione – e l’ago.
«No, Doug, fermo, non si fa’! Zitti e fermi. Gli aghi a me, forza. Anche il fiammifero» Non ho un’idea precisa di quali danni fisici potrebbero arrecare con un fiammifero, ma il Doug centrale non sembra aver apprezzato lo sfiorato aghicidio e sta chiaramente bramando vendetta. «Facciamo così, per oggi basta e venerdì mi fate vedere chi riesce a trasfigurare per primo il fiammifero.»
«Sì, ma oggi chi ha vinto?» insiste il Doug di destra.
«Io, sono l’unico che ci è riuscito» risponde subito il Doug centrale.
«No, tu sei l’unico che non ci è riuscito» Ed è un bene che il Doug di sinistra non abbia più il suo ago.
«Oggi è patta» stabilisco. «Non c’è modo di scoprire chi sta mentendo. Esercitatevi per venerdì e vedremo.»
Non è vero che non c’è modo di scoprire chi sta mentendo, non c’è anzi proprio nulla da scoprire, che se anche non mi fossi ricordato che erano effettivamente fiammiferi quelli da trasfigurare, uno degli aghi ha ancora la punta rossa, mentre l’altro ha la consistenza ruvida del legno, chiaro segno che sono stati trasfigurati malamente, ma provo troppa ammirazione per la prontezza del Doug centrale nel rigirare la situazione a suo favore per smascherarlo.
Il solito coro di ciao Fantastico James e poi i Doug si allontanano ancora bisticciando tra loro, lasciandomi a riaccostare le sedie al tavolo con precisione millimetrica, così da non offrire a Madama Pince ulteriori pretesti per puntare alla mia gola.
«Fantastico James?»
Uno dei tre Doug, quello che alla prima lezione e prima ancora di presentarsi mi ha rinfacciato di non aver preso il boccino all’ultima partita, non imprime mai nel suo Fantastico James l’ammirazione e il rispetto dovuti, ma non è nulla in confronto alla mancanza di ammirazione e rispetto con cui lo dice Evans.
«Mi chiamavano Signor Potter» spiego laconico. «Così gli ho detto che potevano invece chiamarmi Fantastico James».
È una storia riduttiva e che salta diversi passaggi, a partire da quando gli ho detto che potevano chiamarmi James e loro hanno iniziato a chiamarmi Signor James, per passare a quando gli ho detto che potevano chiamarmi solo James e loro hanno letteralmente iniziato a chiamarmi Solo James, che era anche abbastanza offensivo, come se James non fosse abbastanza, e in un altro momento illustrerei ad Evans nel dettaglio la genesi di Fantastico James, ma al momento sono troppo impegnato a tenermi sulle mie.
Evans mi fissa in silenzio a qualche scaffale di distanza, mentre io faccio evanescere gli aghi e il fiammifero senza guardarla, ripassando mentalmente il litigio di ieri nel caso stesse per rinfacciarmi qualcosa.
«Ho appena finito la mia punizione» dice invece schiarendosi la voce. «Con Black.»
«Anche io» rispondo vago, iniziando a sondare il suo viso alla ricerca di indizi sul suo piano d’attacco. Sembra non averne uno, il che mi spiazza parecchio. «Con i Doug.»
«I Doug?»
«I miei adepti» specifico accennando al tavolo, come se le loro entità fossero ancora lì sedute.
«Si chiamano tutti Doug?»
«La maggior parte.»
Evans annuisce pensierosa ed ecco di nuovo il silenzio vagamente teso di prima. La fisso in attesa per qualche altro secondo, mentre lei fa scorrere lo sguardo sulle mensole cariche di libri tutto attorno a noi, poi procedo guardingo. «Vuoi qualcosa?»
«Sei un idiota.»
L’indignazione mi assale potente, perché ero pronto e invece è riuscita a colpire a tradimento lo stesso.
«Prego?»
«Black me l’ha detto» continua, indifferente al mio sdegno.
«Ti ha detto che sono un idiota?»
E per un momento Evans rispecchia la mia stessa aria perplessa.
«Che cosa? No, certo che no» scuote la testa. «Mi ha detto...tu perché non me l’hai detto?»
«Oh, io ti dovevo dire che sono un idiota» sbuffo.
Evans apre la bocca e poi pare realizzare la mancanza di senso che ci aleggia attorno e la richiude. «Quindi» dice dopo un po’, come se si preparasse a risolvere un problema matematico. «Apparentemente non avevi pianificato di saltare la lezione di ieri sera» parla piano e c’è un implicito punto interrogativo nel suo tono e nei suoi occhi.
«Apparentemente» confermo cauto.
«E il motivo per cui l’hai saltata» E di nuovo rallenta e mi guarda e se questo è un gioco e si aspetta che io finisca le sue frasi, sto perdendo miseramente. «Non è...mi è stata data l’impressione che non fosse tra i più egoistici al mondo».
Evans parla al rallentatore e anche il mio cervello va un po’ a rallentatore oggi, ma pare che Sirius abbia dato ad Evans l’impressione che il motivo per cui ho saltato la lezione non fosse tra i più egoistici al mondo, e sarei molto curioso di sapere come Sirius possa averle dato questa impressione e perché. Questo è uno dei punti di questa strana conversazione in cui Evans si aspetta il mio intervento e i suoi occhi sono molto espliciti a riguardo, così alzo le spalle e faccio una specie di smorfia che potrebbe voler dire diverse cose, tra cui quella che voleva sentirsi dire Evans pare, perché subito dopo riprende il suo ritmo veloce.
«E non potevi dirmelo?» sbotta infatti, con il tono di chi dice ovvietà. «Capisco non entrare nel dettaglio, ma tentare almeno di dare una qualche spiegazione? Un ‘non è come sembra’?»
«Non è come sembra, davvero? Ha mai funzionato in almeno una situazione al mondo?»
«No, certo che no, perché è una cosa ridicola da dire» ammette subito Evans. «Ma è comunque un tentativo. Una giustificazione ridicola è comunque meglio che startene lì a darmi della melodrammatica come se tu non avessi nulla da spiegare e io fossi la pazza.»
Immagino che Evans abbia anche ragione, ma non è come se questo cambiasse la mia voglia di ricominciare daccapo, che resta pari a zero, così trattengo un sospiro. «Dobbiamo farlo di nuovo?»
«No.»
«Okay» annuisco confuso. «Quindi cos’è questo?»
«Ti sto dicendo che ora so il motivo per cui mi hai dato buca, e che quello non è stata colpa tua, e quindi ci vedremo domani sera, stessa ora, e recupereremo la lezione, perché ho giudicato il tuo motivo stupido ma accettabile. E ti sto dicendo che invece il resto è colpa tua, perché invece di dirmi semplicemente che non potevi spiegarmi il motivo ma c’era un motivo, ti sei messo a darmi della melodrammatica con quella tua faccetta da schiaffi, quindi anche se non è colpa tua, Potter, è comunque colpa tua. Buona giornata.»
Evans non aspetta la mia risposta e d’altro canto se anche non se ne fosse andata immediatamente dopo aver smesso di parlare non credo avrebbe fatto differenza, essendo che sono ancora qui a corrucciarmi sul perché debba essere faccetta e non faccia, e su come questo influisca sulle sue possibilità di attrazione per m-
«Signor Potter se ne vada.»
Madama Pince è così compiaciuta dei dieci anni di vita che lascio cadere sul pavimento della Biblioteca prima di scappare.











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Non mi dilungherò di nuovo su quanto significhi per me leggere le parole di chi ancora dopo tutti questi anni ha voglia di starmi dietro o di chi è appena arrivato, il fatto che questo sarebbe dovuto essere l'ultimo capitolo e invece dopo mesi di nulla ho finito anche il 32 contagiata dal vostro entusiasmo parla da sè. Grazie perchè è stato divertente tornare a muovere questi personaggi (e a sorpresa anche un certo Serpeverde che ma chi sarà mai) e almeno anche James potrà diventare maggiorenne ora (yep, ci sarà tra le altre cose il suo compleanno, nope, Lily non si scoprirà innamorata di lui allo scoccare della mezzanotte).

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


 

CAPITOLO 32.






 




«Non trovi proprio nessuno della tua età disposto a esserti amico, Mocciosus?»


 
La partita contro Tassorosso, nonché attuale evento più importante della mia vita e dell’universo tutto, è a pochi giorni di distanza ed io mi sto dirigendo, borsa in spalla, con un ragionevole anticipo agli allenamenti, quando il mio Battitore fa improvvisamente irruzione nella Sala Comune, fiatone, viso arrossato e occhi che si piantano subito su di me. Lui non ha la borsa già pronta, non posso fare a meno di notare. «Oh, grazie a Godric, James, sei qui!»
 


«Da quando ti interessa chi è mio amico, Sirius?»
«Mocciosus? ‘Amico’? Wow. Bella idea di amico, fratellino.»
E gli dà fastidio che lo chiami così, proprio come quando eravamo piccoli e lui si infuriava insistendo di avere solo un anno in meno di me. È esattamente per questo che lo faccio.
 


Quando Frank mi sbatte una mano sulla spalla mi preparo a una confessione solenne o qualcosa del genere, poi lui si piega in due ansimando e diviene chiaro che si sta solo aggrappando a me per riprendersi da quella che spero essere stata una corsa lunghissima e piena d’ostacoli che giustifichi una tale scenata. Di nuovo, la partita evento della mia vita e dell’universo tutto è a pochi giorni di distanza e una tale mancanza di agilità da parte del mio Battitore non mi compiace. Dopo qualche secondo Frank si ritira su, spostando la mano dalla mia spalla al braccio, tirando appena. «Presto, vieni con me».

 
 
«È evidente che non abbiamo le stesse idee su chi sia un amico degno o meno» Ha una luce fredda negli occhi e le labbra piegate in un sorrisetto falso. È spiacevole, come guardarmi allo specchio. «Come sta Potter a proposito? Si è ripreso dalla sconfitta?» La spilla da Capitano è appuntata sul suo petto proprio a fianco a quella da Prefetto. Non sorride più ora. «O Lupin? Ho sentito che è stato male di nuovo questo mese» Fa una pausa e mi guarda dritto negli occhi. «Proprio come ogni mese.» Mi chiedo se riesca a sentire il mio sangue pulsare. Sembra assurdo che non possa, quando è tutto quello che riesco a sentire io.  Scrolla le spalle, un angolo della bocca piegato in una smorfia sprezzante. «Possiamo risparmiarci Minus, sì?»  
 


Frank è chiaramente fuori di testa se pensa che io possa seguirlo in una parte di mondo diversa dal campo da Quidditch in questo momento, così mi ritraggo dalla sua presa. «’Vieni’ dove?» sbuffo contrariato, aggiustandomi la borsa sulla spalla. Il mio anticipo sta lentamente andando a farsi benedire, così come la mia pazienza. «Ho gli allenamenti, Frank. Anzi, abbiamo.» I pochi presenti nella Sala stanno iniziando a guardarci incuriositi, ma Frank ha occhi solo per me da quando è entrato. «Al diavolo gli allenamenti, James, corri!»
 


«I miei amici stanno bene, Regulus, grazie. Tu invece? Nulla di eccitante nella tua vita? Sei diventato zio, sì? Oh aspetta, non è scritto sull’arazzo quindi probabilmente non lo sei, è così che funziona. Meglio aspettare arrivi da un ramo della famiglia più degno» La rabbia è come un fiume in piena dentro di me e ha rotto gli argini da anni, e brucia e sfonda tutto, ma più le lascio prendere il sopravvento e meno devo sforzarmi per mantenere la superficie piatta e gelida come un lago ghiacciato. «Forse Bella» aggiungo sghignazzando.
 


Frank ha appena detto ‘al diavolo gli allenamenti’ e questo non è accettabile in nessuno degli universi conosciuti e forse è solo per farglielo presente, tramortirlo e trascinarlo di peso al campo da Quidditch che lascio cadere il borsone e gli corro dietro, fuori dalla Sala Comune. Due rampe di scale e diversi corridoi più in là, ancora fieramente privo del benché minimo affanno, inizio a intravedere una folla anomala che blocca il corridoio per le aule di Incantesimi.
 


Regulus non è mai stato il primo a cercare il contrasto, non è nella sua natura. Quello sono sempre io. Anche ora è lui il primo a darmi le spalle, allontanandosi.
È quasi arrivato all’altra estremità del corridoio quando la mia voce riecheggia tra le pareti di pietra, facendolo bloccare, ancora di spalle.
«Ce l’hai già il marchio?»
 


Quando Frank sparisce tra la folla di studenti in fermento ed io rallento appena per farmi largo a fatica sulla sua scia, l’indignazione ha ormai lasciato il posto alla curiosità, perché ci dev’essere qualcosa di incredibilmente interessante per intasare così l’intero corridoio.
È solo quando riesco finalmente a portarmi abbastanza vicino da vedere cosa sta succedendo che la curiosità lascia il posto al panico.
 


Il mio pugno si schianta di nuovo contro la mascella di Regulus e il sangue che mi cola dal labbro e mi riempie la bocca di un sapore metallico gli gocciola addosso, mescolandosi al suo. Ci sono movimenti e grida tutto attorno a noi, ma quelle gocce di sangue sul viso di mio fratello sotto di me sono l’unica cosa su cui riesco a concentrarmi per qualche secondo, poi è di nuovo il vuoto.
 


C’è un’armatura per terra, abbandonata inerte sul pavimento, a qualche passo appena da dove Sirius e Regulus stanno rotolando continuando a colpirsi alla cieca, sotto gli occhi di tutti. C’è meno sangue di quando Piton mi ha lanciato quel Sectuqualcosa al braccio, ma c’è n’è più di quanto sia normale in una rissa alla babbana tra ragazzi. È chiaro perché Frank è corso a chiamarmi ora, ma per diversi secondi resto bloccato a guardarli senza sapere cosa fare, senza nemmeno pensarci, esattamente come tutti gli altri. È quando Sirius schiaccia suo fratello sotto di lui e inizia a colpirlo dritto in faccia, con forza, che mi riscuoto e scatto in avanti.
 


Lo sento divincolarsi sotto di me, spingere per rialzarsi, e sento anche la ginocchiata che mi arriva tra le costole, forte, e so che dovrebbe far male, ma la verità è che non sento nulla realmente a parte le mie nocche scivolose di sangue contro la sua faccia e sono pronto a sentirle di nuovo, quando due braccia mi afferrano improvvisamente da dietro, cingendomi il petto e tirando con forza.
 


Ho quasi sollevato completamente Sirius da suo fratello quando, dopo qualche secondo di evidente sorpresa, si divincola di scatto e con più forza di quanta mi aspettassi, cercando furiosamente di liberarsi. Io non lo lascio e continuo a cercare di allontanarlo da Regulus, fino a quando invece non sono con il culo per terra e gli occhi appannati dalle lacrime.
Resto intontito per qualche secondo ed è più la sorpresa che il dolore improvviso al naso, arrivato forte e fulmineo come il gomito di Sirius.
Sirius che mi dà le spalle ed è di nuovo su suo fratello.
Non sento cosa dice Frank chinato su di me, come non ho sentito distintamente le grida della folla fino ad ora, chiuso in una bolla di suoni ovattati, ma per qualche ragione i mormorii che articolano il nome della mia Capocasa li registro subito distintamente e in una frazione di secondo sono di nuovo in piedi, una manica a pulirmi bruscamente il sangue dalla faccia. Il dolore si acuisce in una fitta più intensa quando mi sfrego sotto il naso, ma quando la McGranitt emerge dalla folla non ci sono differenze visibili tra me e gli altri spettatori.
È il suo sguardo, prima ancora del fatto che ha appena estratto la bacchetta, e il fatto che so perfettamente che Sirius ignorerà anche i suoi richiami, che mi fa scattare di nuovo.
 


C’è di nuovo quella voce troppo vicina a chiamare il mio nome e ancora una volta voglio solo farla sparire e continuare a colpire quel viso troppo uguale al mio, ma subito mi sento tirare verso l’alto, di lato questa volta, ed ora riesco a vederlo. 
È James naturalmente e non è come se non lo sapessi anche prima, ma ora ce l’ho davanti e mi guarda negli occhi e tutto ricomincia a prendere forma, il corridoio affollato, la McGranitt infuriata, il sapore del sangue nella mia bocca.
 


Sirius si lascia spingere via da suo fratello senza più opporre resistenza, come se si fosse appena svegliato, e quando gli lascio il braccio si volta e se ne va dall’altra parte, ignorando completamente la McGranitt che gli ordina di tornare immediatamente qui.
«Inammissibile» la sento sibilare a bassa voce e quando mi volto verso di lei trovo con orrore un rosso irato sulle sue guance. L’ultima volta che ho visto quel colore sulla faccia della mia Capocasa Severus Piton era a testa in giù e senza mutande.
«Le giuro che è profondamente dispiaciuto, professoressa, non intendeva mancarle di rispetto» dico subito agitato, cercando di sembrare convincente e non completamente nel panico. «Le porge le sue scuse. Gliele porgerà di persona, ma faccia come se gliele stesse già porgendo, sì? Profondamente dispiaciuto.» 
«Potter.»
«Sì, professoressa.»
«Faccia silenzio.»
«Ok.»
Il mio cervello inizia subito a cercare altre cose strategiche da dire, ma la mossa più astuta da fare dopo aver accettato di fare silenzio sembra proprio essere fare silenzio, così mi mordo le labbra, solo per scoprire che mi fa male farlo e così mi trovo a nascondere una smorfia perché la situazione è già abbastanza drammatica senza che la McGranitt sappia anche dei feriti casuali.
«Tornate tutti nelle vostre Sale Comuni, immediatamente, non c’è nulla da vedere qui» sta intanto dicendo la McGranitt, a cui fortunatamente non sembrano importare le mie smorfie. « Signor Black, lei vada in infermeria, la raggiungerò lì con il suo Capocasa. Mi aspetto una spiegazione per questa inciviltà.»
Regulus, che si è rialzato e ha l’aria di chi si è tuffato di faccia in un piatto di pasta al pomodoro, annuisce composto e si allontana senza aprire bocca.
A questo punto la McGranitt si volta decisa verso di me, apparentemente certa di trovarmi ancora qui.
«Lo voglio nel mio ufficio tra un’ora esatta, Potter.»
«Ci sarà» annuisco con forza. «Un’ora spaccata. Né un secondo prima né un secondo dopo. E le dirà quanto è profondamente disp-»
La McGranitt non mi sta più prestando attenzione e si allontana, incitando gli ultimi curiosi ad disperdersi, così la mia frase cade nel vuoto. Siamo rimasti io, Frank e l’armatura ora e l’orologio a muro che segna le cinque meno dieci.
«Hai dieci minuti per arrivare al campo, Frank, muoviti».
Frank mi lancia un’ultima occhiata perplessa, poi corre via ed io estraggo la mappa.
 
 
 


Non vedo perché Sirius debba fare l’alternativo in Guferia tra le cacche di gufo quando esiste la Torre di Astronomia con la sua terrazza larga e pulita e la vista sul lago nero a disposizione, ma tant’è.
«Ehy.»
Sto attraversando cautamente la stanza circolare facendo lo slalom tra le macchie di guano e piume che ricoprono il pavimento quando una qualche specie di volatile non identificato attenta alla mia vita, planandomi contro esattamente all’altezza degli occhi. Mi abbasso di scatto e quella che si direbbe una civetta demoniaca atterra tranquilla su un trespolo qualche metro più in là, senza degnarmi di uno sguardo, come se raggiungere quella postazione fosse stato da sempre il suo unico obiettivo e l’accecarmi nel mentre fosse un bonus di nulla importanza. Uno splat disgustosamente liquido a pochi passi da me mi informa che sono sotto attacco anche dall’alto, ma come anni di buste nelle caraffe del latte a colazione mi hanno insegnato, nessuno dei gufi di Hogwarts è familiare con il concetto di mira. Sirius, dal suo muretto, mi lancia un’occhiata impassibile e si limita a un cenno del capo prima di tornare a guardare fuori verso il parco, chiaramente non troppo preso dal fatto che i gufi vogliono la mia testa.
«La McGranitt è nera» lo informo prendendo posto vicino a lui sul muretto, le gambe a spenzolare nel vuoto. Automaticamente porto le dita ad accertarsi della presenza della bacchetta, giusto nel caso la civetta di prima si rendesse conto di che bersaglio incredibilmente facile io sia ora e mi buttasse di sotto.
Sirius sbuffa, un sorriso impercettibile a piegargli appena gli angoli delle labbra. «Immagino.»
«Quando vai nel suo ufficio dille che sei profondamente dispiaciuto, ok?»
«Non mi sento profondamente dispiaciuto.»
«Beh, cerca di sembrarlo» insisto.
Sirius resta in silenzio, continuando a guardare davanti a sé ed io lo imito, lasciando correre lo sguardo lungo il parco illuminato dal sole pomeridiano. Riesco a intravedere il campo da Quidditch in lontananza e le figurine che volano sopra di esso. Le conterei per controllare che nessuno stia facendo il furbo approfittando del mio ritardo, ma sono troppo piccole e veloci. Di tanto in tanto qualche gufo vola sopra le nostre teste per prolungare gli ampi giri di ricognizione anche all’esterno della Guferia, attraverso le aperture alle pareti, ma se ne stanno tutti almeno un metro sopra di noi e nessuno cerca più di accecarmi.
«Ha iniziato lui?» chiedo dopo un po’, con il tono più casuale possibile.  
Sirius risponde subito, continuano a guardare dritto davanti a sé, ed è come se non avesse nemmeno sentito. «Vorrei che non fossi arrivato in tempo per salvare Piton. Vorrei che Moony lo avesse ucciso.»
Il talento innato di Sirius nel dire cose spiazzanti non è esattamente una novità, ma questa volta resto a fissarlo interdetto per diversi secondi, preso completamente alla sprovvista. Poi prendo un respiro profondo e sposto lo sguardo sul cielo azzurro davanti a noi.
«Okay. Questo» Faccio una pausa. «Non lo dire mai più.»
Sirius resta in silenzio, ma sempre con quell’aria indifferente.
«E vaffanculo» aggiungo dopo un po’, dandogli una spinta leggera alla spalla. «Se non hai voglia di parlare puoi dirlo, non c’è bisogno che fai lo stronzo per mandarmi via.»
«Non ho voglia di parlare con te» risponde subito innervosito, voltandosi finalmente a guardarmi. «Vai a fare qualcos’altro da qualche altra parte, grazie.»
«Okay» dico, ritirando su le gambe e alzandomi. «Ho gli allenamenti in ogni caso.»
Salto giù dal muretto e mi sbatto velocemente le mani sui pantaloni per liberarmi da piume e schifezze varie, quando Sirius mi fa bloccare.
«Ecco, allenati così forse riesci a vincere una partita una volta tanto.»
Completamente spiazzato per la seconda volta nel giro di pochi secondi, mi volto con un sorrisetto a metà tra l’incredulo e il divertito. «Cos’era quello?»
Sirius mi osserva in silenzio e vagamente ostile per diversi secondi, prima di sbuffare rassegnato.
«Sto cercando di litigare con te, ma lo rendi difficile.»
«Ah» dico. «Scusa. Non lo faccio apposta.» L’unica risposta è lo stridere di qualche uccello ed io inizio a concentrarmi per trovare una soluzione. «Potrebbe aiutare se ti insultassi?»
Sirius inarca un sopracciglio, scettico.
«La tua cravatta è orrenda.»
«È la cravatta della divisa» replica laconico ed io sbatto le palpebre. «La stessa che indossi anche tu» insiste, prima di scuotere la testa. «Oh, lascia perdere. Litigheremo un’altra volta.»
Poi torna a guardare l’orizzonte ed io mi riavvicino con un mezzo sorriso, prima di riprendere posto sul muretto. Subito mi frugo nelle tasche e tempo due secondi un boccino d’oro dalle ali spiegazzate si libra per aria davanti a me. Quando con uno scatto fulmineo prova a fuggire lo riacchiappo, per poi aprire la mano e lasciarlo allontanare ancora prima di afferrarlo di nuovo. Sirius mi lancia un’occhiata di sottecchi.
«È questa la tua idea di allenamenti?»
Alzo le spalle. «Sono comunque in ritardo.»
Restiamo un po’ così senza parlare, con Sirius che mi osserva giocare con il boccino, poi lo dico e basta.
«Non è colpa tua, lo sai, sì?»
Il silenzio dura parecchio questa volta, poi Sirius si gira.
«Seriamente, Potter, levati dalle palle.»





 
**********

Il sole già un po’ fioco di suo è coperto da nuvole grigiastre che riflettendosi sulle acque del lago danno una connotazione spettrale al paesaggio, spezzata solo dagli schiamazzi occasionali che provengono dal campo di Quidditch. Il vento freddo mi fa rabbrividire appena. Peter, in piedi a pochi passi da me, si stringe nelle spalle affondando ancora di più il viso nella sciarpa ed io gli lancio un’occhiata dal basso, la schiena contro il tronco largo della nostra quercia.
«Sei sicuro che non vuoi aspettarla dentro?»
A parte noi due e qualche altro studente che passeggia attorno al lago, il parco è quasi completamente deserto, essendo che siamo a inizio marzo e l’unico non soffrire il freddo in questa scuola sembro essere io –essermi svegliato una volta al mese per cinque anni completamente nudo sul pavimento della Stamberga Strillante, nella camera vuota e piena di spifferi gelidi tra le ante di legno inchiodate, probabilmente ha aiutato.
Lo stesso non si può dire dei miei amici e difatti la nostra quercia diviene la nostra quercia solo in primavera inoltrata ed estate, dato che Sirius è un animale a sangue caldo, James sopporta le basse temperature senza problemi solo in caso di movimento -movimento che preveda possibilmente il volo- e Peter si sforza di ignorarle solo per farmi compagnia ogni tanto, o forse solo  per controllare che non mi congeli ai piedi della quercia mentre mi godo la tranquillità del parco quando non ha l’attrattiva del sole caldo né della neve, ma solo il rumore placido delle onde create dalla Piovra che si infrangono a riva.
«Eccola» Gli occhi di Peter si illuminano mentre mi indica con un cenno della testa una figura che dal castello si avvicina pian piano, troppo lontana perché io possa distinguere altro oltre ai colori dei Tassorosso.
«Buona passeggiata» sorrido mentre Peter le va incontro lasciandomi solo.
Resto a contemplare le grandi distese d’erba e gli alberi attorno a me e a fingere di riflettere sulle grandi cose della vita per un tempo indefinito, quando un puntino rosso che dal castello inizia a sfrecciare attraverso il verde attira la mia attenzione. Quando è abbastanza vicino da permettermi di identificare i classici colori della divisa di Quidditch di Grifondoro oltre al borsone buttato sulle spalle, capisco perché sta correndo così veloce: gli allenamenti sono iniziati da un bel po’ ormai e chiunque sia quello sventurato che vi si sta dirigendo in ritardo, a pochi giorni dalla partita oltretutto, affronterà l’ira di James.
Non solo di James a dire il vero, grazie alla regola del dover fare tutti tanti giri di campo quanti sono i minuti di ritardo. 
Se non fosse che quello è James.
Tutta una serie di domande prendono immediatamente forma nella mia mente e darei voce ad almeno una di esse, se non fosse che lui sta correndo come se il castello fosse in fiamme e un esercito di Acromantule lo stesse inseguendo e tempo due secondi è già un milione di chilometri più avanti, non più a portata di voce.
Sono curioso, indubbiamente, è la prima volta in sette anni che fa tardi agli allenamenti e non riesco a immaginare uno scenario abbastanza catastrofico che lo giustifichi, cosa che mi spingerebbe a correre al castello e scoprire se ci sono superstiti, e mi spingerebbe anche a correre invece dietro di lui per chiederglielo di persona e soprattutto per assistere alla reazione della squadra, forse ci sarà un ammutinamento e gli faranno fare miliardi di giri di campo fino a quando non morirà, più probabilmente se li farà fare da solo, ma la verità è che tutta la mia curiosità, che pure è vasta e pungente, si limita alla parte alta del mio corpo, il cervello per la precisione, mentre alle mie gambe non potrebbe fregare di meno e così me ne resto piantato qui, immobile contro la quercia, mentre la mia mente vola in giro.
Non riesco più a scorgere nessuna figurina in volo sopra al campo da Quidditch ora e le possibilità sono due, o James è riuscito a mantenere la sua autorità di Capitano e sta facendo fare venti giri di campo a tutti sé compreso o tutta la squadra è scesa a terra per partecipare al suo pestaggio.   
«Sei imbarazzante.»
Troppo perso a contemplare il campo da Quidditch desiderando di potermi separare dai miei occhi con un plop per poi farli volare là a spiare tutto, non avverto minimamente i passi che si avvicinano a me e quando vengo informato con tono deciso di essere imbarazzante perdo dieci anni di vita, sobbalzando e voltandomi di scatto solo per trovarmi Lizzie di fronte.
Sei imbarazzante ha detto ed io spalanco gli occhi mentre cerco di analizzare l’informazione ed eventualmente controbattere, ma non mi trovo realmente in disaccordo e così boccheggio in un imbarazzante, per l’appunto, silenzio.
«Sei una persona imbarazzante» insiste Lizzie ed io prendo nota della specificazione, che universalizza il mio essere imbarazzante come caratteristica continua della mia persona e non come situazione momentanea e di nuovo non mi trovo in disaccordo. Non credo che potrei contraddirla neppure se lo volessi in realtà, non senza risultare maleducato, perché lei ha un’aria e un tono molto determinato e sicuro. «Mi hai detto che la mia faccia è come un fiorire di girasoli in un campo assolato di girasoli» continua e questa volta il panico raggiunge persino le mie gambe pigre, che mi dichiarano a gran voce la loro disponibilità a mettersi in funzione e portarmi lontano da qui di corsa ora che la cosa di cui speravo e credevo non avremmo parlato mai più mi è stata sbattuta in faccia con una tale mancanza di preavviso. La mia gamba destra ha realmente una sorta di spasmo tanto è il desiderio di correre, ma scappare mentre qualcuno ti sta parlando non è un comportamento accettabile e così mi ancoro con le dita all’erba gelida, giusto nel caso iniziassi a levitare per l’imbarazzo e tentassi la fuga via aria. «È la cosa più imbarazzante che chiunque mi abbia mai detto, che chiunque abbia mai detto a chiunque credo.» Devo scappare, è inaccettabile ma devo scappare, dirò qualcosa a proposito dei miei amici che hanno fatto qualcosa da qualche parte ed hanno bisogno che io li vada subito a salvare dalle conseguenze delle loro azioni, ecco cosa dirò, sì. «Ma sai cosa, anche io sono imbarazzante.» C’è solo un attimo, dopo la confessione di Lizzie, in cui continuo a contemplare la possibilità di scappare, perché ora ho un lieve timore che stia per paragonare la mia faccia a un tulipano o qualcosa di simile, ma mentre lei continua a parlare senza tirare in ballo fiori vari sento le mie gambe rilassarsi pian piano. 
«Credo anzi che la maggior parte delle persone dovrebbe essere imbarazzante» continua Lizzie, decisa. «Non mi fido di chi riesce a non esserlo, come se controllasse quello che deve dire da una postazione sicura e molto lontana dall’imbarazzo sociale e dalle facce delle altre persone. C’è una forte possibilità che la maggior parte dei nostri compagni siano androidi o attori che vengono dal futuro e sanno in anticipo cosa tu dirai e così hanno già pronta la risposta da recitare, una risposta che è sempre la meno imbarazzante tra le opzioni e non è mai, che so, la tua faccia è come un campo di girasoli. Quindi, la verità è che tu sei imbarazzante perché non sei un androide. I girasoli sono la prova che non vieni dal futuro. È una cosa positiva. Perciò credo che dovresti smettere di essere così imbarazzato dal fatto di essere stato imbarazzante e di lanciarmi quelle occhiate mortificate ogni volta che mi vedi come se la mia faccia ora fosse un esplodere di caccabombe in un campo maleodorante pieno di caccabombe, perché almeno siamo entrambi esseri umani, senza postazioni elettroniche o altre cose false e dignitose.»
Nel silenzio che segue odo distrattamente risuonare in lontananza gli schiamazzi dal campo: che fossero giri di corsa o un pestaggio quelli in atto, ora è finita e gli allenamenti sono ricominciati.
«Se avessi elaborato questo discorso in precedenza da una postazione sicura tutto questo non sarebbe successo e ti avrei semplicemente detto un dignitoso ‘non preoccuparti, Remus, tutti a volte parliamo senza pensare’, eppure eccomi qui, senza alcuna postazione.»
«Questa è una postazione» specifico subito, senza potermi trattenere. «Siamo...posizionati sotto una quercia, davanti al lago nero e a circa una cinquantina di metri dal castello.»
Lizzie sbatte le palpebre.
«Credo che sia più che altro una posizione».
Ora sono io a sbattere le palpebre.  
«Beh, quello che volevo dire, in realtà, è grazie.»
«Prego.»
«Non ci sono abituato, perché di solito sono quello che pensa, intendo prima di parlare e non dopo, ma grazie. Sono felice di non essere un androide» Non è propriamente vero, non sono informatissimo a riguardo ma sospetto che ci sarebbero diversi vantaggi nell’esserlo, eppure sono sincero nel dire di essere felice, anche se non so bene di cosa. «Puoi sederti se vuoi.»
Lizzie sorride e fa per sedersi, ed io mi trovo a sbattere le mani a terra come a rassettarla, come se il fatto che questa è la nostra quercia mi rendesse effettivamente responsabile di mantenere l’ordine nella zona. 
«Come mai te ne stai qui solo al freddo?»
«Mi piace il silenzio» Alzo le spalle. «Beh, non il silenzio totale, quello assoluto in cui non vola una mosca e tutto è immobile, mi piace quando è tranquillo e c’è abbastanza calma da poter sentire l’acqua e il vento e anche le grida lontane di Peter e la sua ragazza che litigano con la Piovra –glielo avevo detto di non lanciare più i sassi nel lago, per forza che gli tornano indietro poi, e a concentrarsi sui rumori che arrivano dal campo si direbbe che stanno sacrificando in modo dolorosissimo qualcuno sull’altare del Quidditch, ma è tutto lontano e ovattato e riesce in qualche modo a rientrare nella mia definizione di silenzio, se ha senso.»    
Lizzie annuisce con un mezzo sorriso, appoggiando la testa al tronco largo e ruvido della quercia, gli occhi a vagare oltre la distesa azzurra di fronte a noi, tra le chiome scure della Foresta Proibita. Io la imito e ce ne stiamo per un po’ senza parlare, a guardare la Piovra che vicina alla riva opposta del lago schizza giocosamente Peter e Berta, o cerca di annegarli, una delle due. Poi mi giro di nuovo verso di lei.
«Non dobbiamo stare per forza in silenzio. Ho detto che mi piace, ma,» Mi schiarisco la voce. «Mi piace anche quando parli.» 
 




**********

Non so quanto tempo esattamente passi così, Black seduto di fronte a me col suo labbro visibilmente spaccato che trascrive titoli e informazioni di libri impolverati sulla sua pergamena, ed io che lo fisso intensamente senza muovere un dito. Lo sa, è chiaro che lo sa e mi sta ignorando, lo sta facendo anche bene, ma a tutto c’è un limite e così di colpo abbandona la piuma sul tavolo e mi pianta a sua volta gli occhi in faccia.
«D’accordo, vai» sospira rassegnato.
E io vado.
«Continui a finire in punizione mentre sei già in punizione, questa è la terza volta, sei praticamente in punizione il triplo di me e continui ad avere la mia stessa identica punizione. Ti sembra normale? Non dovrebbero lasciarmi libera a un certo punto e far finire il lavoro solo a te? Sai, per premiarmi di non essere più finita in punizione mentre ero già in punizione. Per mostrarmi che serve a qualcosa non finire in punizione.»
È abbastanza liberatorio, come essermi tolta qualcosa dal petto che mi avrebbe altrimenti ostacolato per tutta la durata della punizione di oggi,  ma non totalmente liberatorio, perché continua ad aleggiare su di me l’ingiustizia della situazione e la consapevolezza che se ora io mi alzassi e me ne andassi a picchiare qualcuno, Madama Pince ad esempio, magari con i suoi stessi libri, pesanti e dagli angoli appuntiti, e abbastanza sporchi da infettarle ogni ferita e impedirle la guarigione, o qualcun altro a caso, che ne so, Potter, ecco, la mia punizione peggiorerebbe, lo so e basta, si tramuterebbe in qualcosa di mille volte più grave, sarei costretta a vagare per la scuola con delle catene e dei pesi alle caviglie o non potrei vagare affatto, rinchiusa vita natural durante in qualche cella nei sotterranei, perché questo è il livello di ingiustizia a cui sono sottoposta da questa scuola.    
«Sai cosa, Evans, hai ragione.»
Black mi fissa pensoso a braccia incrociate ed io ricambio spiazzata.
«Ho ragione?»
«Certo» Alza le spalle. «È palesemente ingiusto. Dovresti finire in punizione anche tu e boicottare il sistema.»
«Mi incatenerebbero a questo tavolo» replico subito. «Mi hanno già incatenato a questo tavolo solo perché ho infranto le regole una volta, se le infrangessi di nuovo mi incatenerebbero letteralmente al tavolo» E per far capire a Black la gravità della situazione, sbatto i polsi sul tavolo, facendomi anche un po’ male. «Signorina Evans, da lei non me lo sarei mai aspettato!» Non è una buona imitazione della McGranitt quella che ho appena effettuato, il tono stridulo è più simile a quello di Madama Pince in realtà, ma nella mia testa ormai loro due si confondono sempre più a rappresentare un’unica cosa, il lato ingiusto della vita.
«Ed è esattamente per questo che puniscono più te che me» dice Black ed ha il tono di chi mi sta svelando le grandi verità della vita. Non vorrei ascoltarlo, che nessuna persona sana di mente accetterebbe di farsi svelare le verità della vita da Sirius Black, eppure lui appena qualche ora fa ha fatto a pugni con suo fratello di fronte a un corridoio pieno di studenti, ha ignorato i richiami della McGranitt in persona ed ora è comunque qui alla sua solita punizione, che continua ad essere anche la mia, quindi forse ci sono delle cose che lui sa ed io non so che gli permettono di farlo. «È perché non le hai infrante abbastanza» continua con semplicità, mentre io corrugo la fronte. «Sanno che sei correggibile: ti sei fatta un giretto in Sala Comune oltre il coprifuoco, ti sei appena affacciata nel baratro dell’illegalità e quindi ti trattano col pugno di ferro, per farti rientrare nei ranghi» Ed ha spaventosamente senso, quello che sta dicendo. Sono recuperabile, ma certo. «Ma se tu ti ci tuffassi a capofitto e le infrangessi in modo così plateale da mostrargli che non ti interessa delle punizioni, non avranno più nulla contro di te. E allora non interesserà più neanche a loro.»
Lo ascolto rapita e mi trovo ad annuire lentamente, finché gli occhi non mi cadono sul libro proprio davanti a me, in attesa di essere schedato. È uno scatto repentino, la mia ribellione, e il libro finisce a terra con un tonfo.
Lo guardo mentre giace inerme sul pavimento di pietra, accanto alle gambe della mia sedia, poi alzo gli occhi su Black. Lui scruta il libro impassibile, poi guarda me.
«Evans, ti ho parlato di infrangere le regole in modo plateale e irrimediabile e tu hai gettato un libro per terra? È questo il tuo massimo di anarchia?»
È quando Black dice che ho gettato un libro per terra, che mi rendo conto di aver gettato un libro per terra, e così mi chino in fretta a raccoglierlo, sbattendoci il dorso della mano sopra per pulirlo dalla polvere del pavimento e lasciargli solo la polvere che era già sua.
«Non mi ha visto, vero?» sussurro lanciando un’occhiata preoccupata tra gli scaffali. «Oh, Godric, si è piegata la copertina, guarda! È tutta colpa tua e dei tuoi deliri.»
«Strappalo.»
Lo dice così velocemente che a malapena capisco.  
«Cosa?»
«Strappa il libro. Ti sentirai meglio.»
«Sei pazzo.»
Black si china in avanti, cospiratorio.
«Strappa il libro.»
«Non strapperò il libro.»
«Sono entrato nella Sala Comune di un’altra Casa e ho dato Mocciosus in pasto alla Piovra Gigante. Tu hai dato una festa.»
Non darò retta a Sirius Black, perché dare retta a Sirius Black è il primo passo verso il ricovero coatto, ma devo ammettere che ha un’aria convincente. Lancio un’occhiata attratta al libro di nuovo davanti a me, ma è solo un attimo.
«Ho allagato i sotterranei di Serpeverde e fatto a pugni. E abbiamo la stessa punizione.»
Non ho deciso di vandalizzare il libro, ma è il suono di uno strappo quello che sento ora ed è un angolo di una pagina quella accartocciata tra le mie mani e non più attaccata al resto del volume.
Trattengo il fiato e subito dopo mi volto di scatto verso il bancone di Madama Pince vicino all’entrata, vuoto. Black emette uno strano suono.
«L’ho strappato» dico sconvolta, alzando gli occhi su Black. «Ho boicottato il sistema.»
Ed è così, ho trovato la via: il vandalismo. Ogni volta che sentirò di nuovo quel senso opprimente di ingiustizia qui ad Hogwarts, quando la McGranitt si servirà nuovamente del non me lo sarei mai aspettata da lei, signorina Evans per punirmi più del dovuto, non lo sopporterò in silenzio, ma combatterò e lo farò sfogandomi sulle proprietà scolastiche.
I libri, i muri, è tutto un’arma contro la scuola.
Black emette di nuovo quello strano versetto di prima ed ora che lo sto guardando in faccia capisco che è una risata trattenuta.
«Mi stai prendendo in giro» realizzo improvvisamente, l’indignazione che mi invade alla velocità della luce, perché stavo avendo un grande momento qui e a quanto pare era solo per allietare la sua punizione.
«Un po’» annuisce Black, senza più sforzarsi di non mostrarsi divertito e chinandosi poi di lato per evitare l’angolo di pagina accartocciata che gli lancio contro. «Non mi aspettavo che lo strappassi davvero» sogghigna.      
Con uno sbuffo mi alzo e raccolgo da terra la pagina accartocciata prima che Madama Pince la veda e mi impicchi al lampadario della biblioteca con un qualche cartello infamante appeso al mio cadavere a fare da eterno monito agli altri studenti, poi mi risiedo al tavolo ed estraggo la bacchetta. «Reparo
«Che succede? Si è rotto qualcosa?»
Madama Pince si materializza letteralmente alle mie spalle, gli occhi puntati sulla mia bacchetta ed il mio cuore fa dieci salti carpiati all’indietro prima di riatterrare con un tonfo nel petto. Madama Pince sta ancora guardando la mia bacchetta con quei suoi occhietti accusatori e cattivi e il mio cuore ha un altro doloroso spasimo mentre realizzo che la punta è ancora a pochi centimetri dalla copertina del libro, su cui c’è solo la mia mano sinistra. Black se ne sta lì a mordicchiare la sua piuma di zucchero e non è d’aiuto.
«Un’unghia, mi sono rotta un’unghia» Ho l’illuminazione, alzando la mano e abbassando tutte le dita tranne l’indice. «Ora è apposto.»
Mi sento un po’ idiota con il dito sollevato e l’unghia che catalizza gli sguardi di tutti, e Madama Pince in particolare perde per un attimo la sua solita espressione diffidente, accusatoria e minacciosa tutta insieme per sostituirla con una di genuina sorpresa.
«Funziona sulle unghie?»
«Beh sì, certo, le unghie sono materia morta, quindi funziona, è chiaro» replico subito velocissima, dandomi un tono, non avendo al contempo idea di quale sarebbe l’effetto di un reparo su un’unghia. «Non è come con le ossa, che sono...vive.» Una miriade di immagini terrificanti affollano immediatamente la mia testa e subito mi devo sforzare un po’ di più per continuare a sembrare intelligente. Madama Pince sta ancora contemplando l’unghia del mio indice sinistro e non pare mi stesse davvero ascoltando, poi si riscuote e si ricorda di avere quel palo ficcato là sotto.   
«Le tenga corte, signorina, i libri che state maneggiando sono antichi e l’ultima cosa che mi aspetto è trovarmeli graffiati.»
Si allontana tacchettando fastidiosamente sulla pietra come fa sempre ed io mi abbandono ad un sospiro d’odio, prima di afferrare la mia piuma e ricopiare il titolo del dannato libro. Lo farei, se la punta della piuma non avesse deciso di iniziare a sbriciolarsi a contatto con la pergamena, lasciando una scia di granellini appiccicosi. È mentre la porto al naso annusandola e ne percepisco il profumo dolciastro che incrocio gli occhi di Black e il suo ghigno colpevole si sovrappone alla mia smorfia esasperata. Il suo braccio destro rispunta quindi da sotto il tavolo e mi lancia la mia vera piuma, prima di riprendere a compilare la pergamena succhiando la sua piuma di zucchero. Di nuovo la bacchetta mi viene in soccorso, la mia pergamena torna priva di appiccicumi vari ed afferro la mia piuma d’oca con la mano libera, prima di lanciare un’occhiata dubbiosa a quella di zucchero. Oh beh.
Fatture e rimedi nell’Irlanda del XIV secolo” trascrivo, lo zucchero che mi si scioglie pian piano sulla lingua.
 



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«Giuro che non mi sento più i polmoni.»
Sam si sta lagnando dei suoi mali fisici ed esistenziali esattamente da quando ho dichiarato fine agli allenamenti mezz’ora dopo il previsto, perché checché ne dicano gli altri venti minuti di allenamento senza la supervisione del Capitano e venti di giri di campo di corsa non contano come allenamento, non a pochi giorni dalla partita, e quindi è da quel momento che lo sto ignorando, ma quello che non avevo previsto è che la sua ultima affermazione sarebbe stata accompagnata dal suo crollo improvviso al suolo ed è per questo che ora anch’io sono per terra, essendogli inciampato sopra.
Frank, Mike e Daniel entrano negli spogliatoi subito dopo e vanno dritti a buttarsi sulle panche, evitando con nonchalance i loro compagni a terra, ovvero noi.
Mi rimetto a gattoni con fatica, trascinandomi verso la panca più vicina per arrampicarmici, solo per vedere Mike ignorare completamente il mio tentativo e passare dalla posizione seduta a quella stesa, occupandola completamente. Resto a fissarlo per qualche secondo, valutando la possibilità di arrampicarmi lo stesso e stendermi sopra di lui, poi gattono un po’ più in là e resto seduto per terra, appoggiando la schiena al muro fresco. Ci sono delle docce nell’altra stanza, docce in grado di sparare acqua ghiacciata, ed ora sono vuote come non lo sono mai, completamente a disposizione di chi abbia abbastanza forza da alzarsi e raggiungerle per primo. Mi urta che Sam mi abbia fatto cadere, perché se non lo avesse fatto non avrei avuto bisogno di alzarmi per andare a fare la doccia, dato che sarei già stato in piedi, ed invece ora sono bloccato qui a terra con la componente maschile e mezza morta della mia squadra, incapace di dare il buon esempio. Sam, le guance più rosse dei capelli, ha le braccia completamente spalancate e se ne sta steso a pancia in su a fissare il soffitto. «Sta respirando?» chiedo corrucciato, sistemandomi gli occhiali sul naso.
Frank corruga la fronte, poi strappa dal muro dei vecchi schemi e crea una pallina di carta.
Lo sconforto minaccia di assalirmi quando vedo la pallina finire a terra accanto alla testa di Sam, ma almeno non è Frank che deve fare centro negli anelli. La pallina successiva si va a posare esattamente sulla pancia di Sam e tutti possiamo vederla fare lentamente su e giù.
«Sì, respira» conferma Frank.
«Perfetto» annuisco, chiudendo gli occhi. Se dormo qui, domani sarò super in anticipo agli allenamenti.
«Capitano»
È Daniel.
«Dimmi.»
«Non vorrei dirtelo a pochi giorni dalla partita» Subito riapro gli occhi, perché questo non è un incipit che vorrei sentire a pochi giorni dalla partita. «Ma tu oggi sei arrivato in ritardo e non si verificherà mai una condizione altrettanto favorevole al mio annuncio, tra la stanchezza psicofisica e la vergogna che ti avvolge, quindi non posso rimandare.»
«Non sono stanco e non sono avvolto dalla vergogna» metto in chiaro. «E non accetto annunci a pochi giorni dalla partita.»  
«Quindi, il mio annuncio è il seguente» Daniel si schiarisce la gola, ignorandomi, e forse è il fatto che me ne sto seduto qui per terra a privarmi di ogni autorità. «Ho chiesto ad Anne di uscire e so che è contro le regole, ma non mi aspettavo certo che mi dicesse sì d’altro canto. Solo che mi ha detto sì.»
«Io non lo sapevo» dice subito Frank, che chiaramente lo sapeva.
«Io lo sapevo» ammette Mike, l’unico di cui io possa quasi fidarmi in questa squadra.
«Mi state dicendo che siamo partiti da ‘niente relazioni all’interno della squadra’ ed ora gli unici a non essere accoppiati sono Frank e Mike?» E di nuovo sento che se riuscissi ad alzarmi la mia indignazione sarebbe più credibile. «È un incubo. È un maledetto incubo. Prima Alexis e Sam e ora voi, è una squadra di Quidditch o un bordello, mh? Frank, c’è qualcosa che devi dirmi? Va male tra te e Alice ultimamente? Ti senti irrimediabilmente attratto da Mike ora?»
«Non direi irrimediabilmente» dice Frank e persino Sam aggrotta la fronte.
Sospiro. La verità è che Daniel ha visto bene e non ho le forze psicofisiche e nemmeno la perfezione morale che solitamente mi accompagna per potermi buttare in una filippica sulla degenerazione di questa squadra.  
«Anne non aveva una cotta per Sirius?» ricordo confuso.
Daniel sbuffa, scuotendo una mano come a scacciare una mosca.
«Che c’entra quello, tutti hanno una cotta per Sirius.»
«Io non ho una cotta per Sirius» dico e tutto lo spogliatoio inizia a ridere. Persino Sam sghignazza, mentre la maglia sudata  e arrotolata di Mike mi arriva in faccia.
«Ma se siete praticamente sposati.»
«Non siamo sposati» replico indignato, anche se un pochino siamo sposati, ed è bellissimo. «E se lo volessi, per l’appunto, potrei sposarlo, perché Sirius non è nella squadra e non sarebbe una relazione sportivamente incestuosa come le vostre.»
«Beh, se vogliamo dirla tutta, James, tu avevi una cotta spaventosa per Dorcas» dice Frank, che è sempre così pacificamente pronto ad accoltellarmi alle spalle.
«Prego? Non ho mai avuto nessuna cotta per Dorcas. Era il mio Capitano e non ho mai provato altro che rispetto ed incondizionata devozione per lei.» E a riprova di ciò lancio uno sguardo riverente ad una delle cornici appese vicino alla porta, da cui la squadra del 1974, capitanata da Dorcas, festeggia la terza vittoria consecutiva in tre anni. Anche il me stesso quattordicenne della foto sta guardando adorante Dorcas, gloriosa nel risplendere delle parti dorate della divisa, la spilla da Capitano sul petto e la Coppa lucente tra le mani.
Un sospiro nostalgico mi esce dalle labbra.
«Devozione» ridacchia Mike. «È così che la chiama ora.» 
Di nuovo tutto lo spogliatoio ride di me, perché loro d’altro canto non sanno nemmeno cosa sia la devozione.  
«Sam, mi passeresti la pallina di carta che è sulla tua pancia? Grazie.»
Non mi piace che la mia integrità sportiva venga messa in dubbio e così la pallina si schianta con una certa violenza contro la nuca di Mike.
«Mike, dammi la lavagnetta» ordino poi, perché Dorcas mi scruta dal muro per vedere se sono un successore alla sua altezza ed è fondamentale che io le porti una coppa.
Mike, senza alzarsi dalla panca, tende un braccio verso la lavagnetta appesa sopra di lui e una volta constato che è troppo in alto lo rilascia cadere inerte.
«Mike.»
Questa volta usa una gamba e la lavagnetta gli cade addosso con un tonfo.
«Quindi, abbiamo Serpeverde con centocinquanta punti e nessuna partita da giocare» inizio fingendo di studiare la lavagnetta che in realtà so a memoria. «SERPEVERDE CON CENTOCINQUANTA PUNTI!» aggiungo poi gridando a pieni polmoni e battendo un pugno contro il muro che separa il nostro spogliatoio da quello delle ragazze. «AVETE SENTITO? SERPEVERDE CON CENTOCINQUANTA PUNTI! NESSUNA PART-»
«LO SAPPIAMO GIÀ!» grida Alexis al di là del muro.
«Tassorosso è a centotrenta invece» proseguo. «Con due partite ancora da giocare, di cui una contro di noi, e li distruggeremo, e l’altra contro Corvonero, e li distruggeranno. TASSOROSSO CENTOTRENTA, ANNIENTATAMENTO ALLE PORTE!»
Un colpo fortissimo alle mie spalle mi fa sobbalzare e mi informa che Alexis non ha ancora messo via la sua mazza.
Mi schiarisco la voce. «Hanno sentito.»
«Non credo fosse quello il messaggio, James» dice Frank.
«E ora il tasto dolente» proseguo ignorandolo. «Corvonero.» Mi volto di nuovo verso il muro alle mie spalle. «CORVONERO DUECENT-».
La porta si spalanca improvvisamente e Alexis, i capelli gocciolanti, mi fulmina con lo sguardo.
«Corvonero è a duecentocinquanta, due partite ancora da giocare, il prossimo mese contro Tassorosso e la finale contro di noi» dice spedita, continuando a fulminarmi con gli occhi. «Se vincono contro Tassorosso, il loro vantaggio aumenterà ulteriormente, così come il distacco nei nostri confronti, dato che siamo a zero, motivo per cui nella prossima partita contro Tassorosso dobbiamo accumulare almeno cento punti di vantaggio prima che tu prenda il boccino, che ci porterà altri centocinquanta punti. Io e Frank ti aiuteremo a tenere la Cercatrice di Tassorosso lontana dal boccino fino a quel momento, Anne, Daniel e Sam segneranno a raffica nel minor tempo possibile e Mike darà la vita piuttosto che far passare una pluffa dalla porta. Questo è il piano, come tutti già sappiamo, ora smetti di gridarcelo mentre facciamo la doccia e- che state facendo?»
Alexis fissa perplessa me e Sam sul pavimento e gli altri spiaggiati sulle panche. Nessuno si muove. Non so bene cosa stiamo facendo, così alzo le spalle.
«Lo sai, dovresti bussare prima di entrare, Frank avrebbe potuto essere nudo.»
 



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« Black.»
Non so che cosa io stia possibilmente facendo di male dal momento che Madama Chips non aggiunge altro e si volatilizza di nuovo tra gli scaffali, così sbatto con forza gli ultimi libri nel reparto di Astrologia e me ne torno al tavolo. Le manca comunque qualche rotella, probabilmente continua a spuntare dal nulla sibilando il mio nome in maniera accusatoria senza reale motivo, sperando di cogliermi in fallo. Come se fossi così stupido da non accertarmi sempre della sua assenza prima di sballarle l’ordine alfabetico.
Il tavolo è lì dove l’ho lasciato e una volta tanto non mi dispiace che non sia andato a fuoco o non sia stato colpito da un meteorite o una qualsiasi altra emergenza che avrebbe reso lecito uscire dalla biblioteca; per qualche motivo è in realtà quasi rilassante questo meccanico e metodico ripetersi di gesti noiosi oggi, a cervello semi-spento. 
A interrompere la monotonia è la piuma di zucchero che avevo abbandonato accanto all’ultima pila di libri e che nel momento in cui torna tra le mie labbra si rivela non sapere più così di zucchero. Sa di piuma d’oca, realizzo allontanandola da me con uno scatto e sputacchiando, probabilmente perché è una piuma d’oca.
Evans, che è esattamente a un metro da me e non può non aver sentito, continua a scrivere come se nulla fosse, gli occhi puntati sulla sua pergamena e l’accenno di un ghigno colpevole ad alzarle lievemente l’angolo destro della bocca. Touchè.
È comunque quasi ora di cena, così evito di recuperare un’altra piuma di zucchero dalla mia scorta e riprendo a scrivere, e tutto procede tranquillamente fino a quando Evans si dimentica che non siamo amici.
«Lo sai, sto ancora aspettando che mia sorella faccia qualcosa» dice ed io mi guardo attorno alla ricerca del suo interlocutore, eccetto che ci siamo solo noi. «Perché è la più grande ed è sempre stato così e ancora adesso che non ci parliamo più credo che spetti a lei. Fare qualcosa intendo. Tipo, qualunque cosa.»
Il mio sopracciglio inarcato e ogni muscolo del mio viso continuano a dirle “che diavolo vuoi da me” ancora per diversi secondi, esattamente come hanno fatto da quando ha iniziato a parlare, ma lei continua a scrivere e a non alzare gli occhi dalla pergamena, così non mi resta che comunicarle il mio totale disinteresse per la sua vita a voce.
«Hai una sorella?» mi sento dire invece.
Annuisce. «Già. Ma lei non è una strega.»
Non è come se ci fosse bisogno di specificarlo dal momento che non è qui ad Hogwarts ed Evans non è esattamente un cognome con origini magiche, ma suppongo che non sia scontato che tutti abbiano stampata in testa la cartina dettagliata delle principali famiglie purosangue dal medioevo ad oggi.
«E che le hai fatto perché non ti parlasse più?»
«Non le ho fatto niente» Alza le spalle, smettendo di scrivere. «È solo che non le piace la magia.»
«A tutti i babbani piace la magia» ribatto subito, in automatico.  
«Non a Petunia.»
Se mi chiamassi Petunia, sarebbe mia madre quella a cui non rivolgerei più la parola.
«E ci credi pure?» Incrocio le braccia, scettico.
Evans mi guarda a lungo, prima di scuotere la testa. «No, non davvero» dice con un sorriso amaro. «Hai detto bene, a tutti i babbani piace la magia, fino a quando credono che non possa esistere. Scoprire che è tutto vero, che esiste, ma che tu ne sei escluso...beh, è questo che le ho fatto. È per questo che mi odia.» Si stringe nelle spalle, arrendevole. «Non è colpa mia, ma non è nemmeno del tutto colpa sua.»
Il silenzio torna a riempire la biblioteca ed io continuo a guardarla, impassibile.
«Tua sorella è una rosicona del cazzo, Evans, certo che è colpa sua.»
Evans mi guarda spiazzata per qualche secondo, poi scoppia in una breve risata.
Non sembra avere altro da aggiungere e così mi rimetto a scrivere i titoli di libri che nessuno verrà mai a cercare perché nessuno ne conosce l’esistenza, ma dopo un po’ la sento di nuovo.
«E tuo fratello?» butta lì, casuale.
Subito mi raddrizzo infastidito. «Mio fratello cosa?»
Non abbassa gli occhi sul mio labbro spaccato, ma non mi serve che lo faccia per darmi la conferma che come al solito le notizie viaggiano alla velocità della luce in questa dannata scuola.
«Ce l’ha con te perché sei finito a Grifondoro e lui no?»Il tono volutamente indifferente è smentito dall’occhiata cauta con cui accompagna la domanda. Il mio sguardo si indurisce.
«Mio fratello è Serpeverde fino al midollo e felice di esserlo, Evans» replico annoiato, raccogliendo velocemente le mie cose. «E solo perché tua sorella ti odia e mio fratello mi odia non significa che dobbiamo legare, sai.» E dopo un’ultima occhiata all’orologio, mi lancio la borsa sulle spalle e me ne vado.
 
 


«Ce l’hai già il marchio?»
 
«Te ne sei andato.»
Regulus mi dà ancora le spalle, ma ha smesso di camminare ed io aggrotto la fronte perplesso.
«Eri mio fratello, ma te ne sei andato. Non è più affar tuo cosa possa o non possa esserci sul mio braccio.»
Me ne resto in silenzio per diversi secondi, confuso, gli occhi puntati sulle sue spalle immobili in fondo al corridoio.
«È per questo che mi odi? Perché me ne sono andato?» realizzo infine incredulo, soffocando una risata. «Pensi che avessi scelta? Stavo impazzendo, Regulus. Eri lì, dannazione, l’hai visto cosa mi facevano.»
Regulus si volta, piantando gli occhi duri nei miei.
«E proprio perché lo vedevo non sono mai riuscito a capacitarmi di come tu ogni volta, ogni singola volta, li provocassi e ti impegnassi a dire sempre la cosa sbagliata nel momento sbagliato. Non ce la potevi proprio fare, vero, a startene al tuo posto?»
Questa volta non mi trattengo e la mia risata riecheggia aspra lungo i muri di pietra del corridoio.
«Non dovevo impegnarmi affatto» sbuffo, perché è sempre bastato che esistessi, è sempre bastato solo quello e che Regulus non lo vedesse è quasi divertente. «Qualunque cosa facessi o dicessi era a priori quella sbagliata.»
«Certo, non facevi mai nulla apposta, figuriamoci» sibila rancoroso. «Come quando sei sceso alla cena di Natale di fronte a tutta la famiglia con la cravatta di Grifondoro in bella mostra, o una qualsiasi degli altri milioni di volte in cui li hai provocati apertamente» Regulus scuote la testa, sorridendo di una smorfia così odiosamente simile alla mia. «Ma no, sei tu la vittima circondata da mostri senza cuore. Davvero, Sirius, ci hai mai provato, anche solo una volta, a far passare un giorno intero senza sbattergli in faccia il tuo disprezzo per loro?»
Subito distolgo lo sguardo, perché vorrei con tutto me stesso non averci mai provato, ma non è così.
«Sì, lo so» mormoro annoiato, guardandomi distratto le unghie. «Disonore della famiglia, vergogna per il mio sangue, delusione e bla bla bla. Me ne sono andato proprio per smettere di sentirlo ogni giorno, possiamo evitare?»
Passano i secondi e per un attimo penso che Regulus se ne sia andato e basta, ma è ancora qui, ora più vicino di prima.
«Buffo, e io che pensavo te ne fossi andato perché sei un vigliacco» dice con tono casuale ed io alzo di scatto la testa.
«Tu non hai idea» sibilo prima di fermarmi, premendo forte le labbra l’una contro l’altra e distogliendo di nuovo lo sguardo da mio fratello.  
«Di cosa eri così terrorizzato?» insiste avvicinandosi, gli occhi glaciali che bruciano di rancore. «Che se fossi rimasto ti saresti rivelato proprio come noi? Che-»
«Vuoi sapere perché me ne sono andato, Regulus?» sbotto interrompendolo, a due centimetri dalla sua faccia. «Me ne sono andato perché se fossi rimasto, li avrei uccisi.»
E aver spedito Piton al di là del vetro della Sala Comune di Serpeverde senza neppure la bacchetta in mano non mi ha confuso quanto ha confuso Remus, perché non è stata la prima volta in cui ho fatto esplodere la magia attorno a me in maniera intenzionale.
Quella volta, la prima, c’eravamo solo io e mio padre e lui mi aveva appena colpito ed è stata anche la notte in cui sono scappato di casa. Quella volta mio padre è volato dall’altra parte della stanza, sbattendo proprio contro la parete ricoperta dall’arazzo di famiglia, senza che le mie dita sfiorassero minimamente la bacchetta. È l’ultima immagine che ho di mio padre, prima che gli dessi le spalle e uscissi per sempre da quella casa, il suo sguardo sorpreso e spaventato.
«Chiaro. È sempre qualcosa più grande di te, vero? Non sei mai tu a scegliere. È il cappello che ti ha messo a Grifondoro, non glielo hai chiesto tu. Sei dovuto scappare di casa perché loro te lo hanno fatto fare, non lo hai voluto tu» Regulus annuisce con un sorrisetto accondiscendente. Mi chiedo quante volte li abbia sentiti parlare di me, dall’anno scorso. Ripetono sempre che dei rinnegati non si parla, che si cancellano e basta, ma ricordo anche di aver passato ore da bambino a sentire l’intera famiglia maledire Andromeda “e il suo sporco babbano” quando l’hanno cancellata dall’arazzo. «Dev’essere estenuante scappare di continuo dalle proprie responsabilità.»
Mi chiedo se cambierebbe qualcosa, mostrargli la mia schiena. Se aprirebbe gli occhi, di fronte alle cicatrici. Ma è solo per un attimo, poi sorrido beffardo.
«E quali sarebbero le responsabilità di un Black degno di questo nome, Regulus?» chiedo leggero. «Le stesse di Avery, McNair, Piton? Responsabilità come usare la magia oscura su una nostra compagna di scuola?»
Regulus stringe le labbra, fissandomi in silenzio per diversi secondi, prima di scuotere la testa di scatto e ridacchiare. Per un attimo mi sembra di avere di fronte Bella.
«Vuoi sapere se ce l’ho?» chiede con tono di sfida, srotolandosi violentemente una manica e mostrandomi l’avambraccio bianco. «La risposta è no, non ce l’ho ancora. Ma non appena lo avrò» E mi guarda dritto negli occhi, lasciando sparire il sorrisetto dalle labbra. «I tuoi amici mezzosangue e babbanofili saranno i primi a saperl-»
Il mio pugno si schianta contro la sua mascella prima ancora che finisca di parlare.
 
 





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Domenica 7 Marzo 1976.
Campo da Quidditch, Spogliatoi di Grifondoro. Ore 11:00.
 


Frank lancia l’ennesima improvvisa occhiata alla mazza che tiene nella mano destra, prima di tranquillizzarsi. Ha due cose da ricordarsi, la scopa e la mazza, e le stringe entrambe tra le mani da una decina di minuti, eppure continua a non darsi pace. La mazza di Alexis, che è seduta accanto a lui, continua invece a picchiettare frenetica al suolo, e Sam tiene la testa appoggiata sulla sua spalla, insolitamente silenzioso. Anne sospira rumorosamente per l’ennesima volta, senza interrompere il suo vagare senza meta da una parte all’altra della stanza e la faccia di Daniel continua a restare seppellita tra le sue mani. Mike è l’unico apparentemente tranquillo, anche se sta fissando il vuoto con troppa intensità per essere davvero immune al clima di tensione barra puro panico che si respira tra queste pareti.
Ogni allenamento, ogni discorso motivazionale da quando Serpeverde ci ha sconfitto, ogni calcolo e predizione sui punteggi, tutto si riduce ad oggi: se perdiamo, o se non vinciamo col giusto vantaggio, la prossima partita servirà solo a giocarci il quarto o terzo posto.
Il mio cuore torna a battere più veloce del normale ed io chiudo gli occhi, inspirando piano, le spalle appoggiate alla porta oltre cui riesco già a sentire la voce amplificata di Sirius.
Quando passa a presentare la squadra di Tassorosso lo stadio esplode in un boato ed io afferro la mia Tornado pronta contro il muro accanto a me. Come mi vedono prendere la scopa tutti scattano in piedi, prendendo posto alle mie spalle ed io mi volto a guardarli.
L’ansia non è sparita ed io non ho preparato nessun discorso pre-partita, né avrei tempo di improvvisarne uno ora in ogni caso, ma non c’è solo agitazione nello sguardo che mi restituisce la mia squadra.
«Annientiamoli.»
I miei compagni annuiscono risoluti ed io gli do le spalle, portandomi una mano al collo e tendendo le orecchie. Sirius finisce di presentare i membri della squadra avversaria nel frastuono generale, poi il pubblico si placa ed io stringo forte la maniglia, mentre la B argentata mi ricade libera sotto la maglietta, fredda contro il mio petto.  
«E per Grifondoro invece...»
C’è sempre qualche fischio e buuu in mezzo al coro, ad ogni partita e con ogni squadra, ma mentre avanziamo verso centro campo riesco a distinguerli molto più distintamente del solito. Dev’essere per lo stesso motivo per cui Sirius non deve gridare nel megafono per sovrastare gli applausi e le grida incitanti mentre ci presenta, come ha invece appena fatto per Tassorosso: la tribuna di Grifondoro, che è notoriamente la più chiassosa ed appassionata, non è entusiasta, rumorosa e agguerrita nemmeno la metà del solito. La sottile rassegnazione negli applausi educati e nella mancanza di grida di guerra da parte dei nostri compagni rosso-oro minaccia di demoralizzarmi per circa mezzo secondo, mi indispettisce per altro mezzo, e infine si trasforma in voglia di piantarla coi convenevoli, saltare in sella alla scopa e riguadagnarmi la fiducia della mia Casa con una vittoria schiacciante. A testa alta aumento il passo e mi vado a piazzare di fronte alla squadra di Tassorosso, subito imitato dalla mia, ed è con un moto di orgoglio e soddisfazione che noto il mio stesso atteggiamento nel linguaggio del corpo dei miei compagni, che ora non mostrano più segni visibili d’ansia ma fronteggiano i Tassorosso a petto in fuori.
«Okay, pare che la tribuna di Grifondoro non voglia dare soddisfazione oggi quindi-oh ecco, ora vi sento, cerchiamo di stare sul pezzo, ragazzi, sì? Capitani, stretta di mano, prego.»
David Lynch fa qualche passo avanti e mi raggiunge nella terra di nessuno tra le due squadre, afferrandomi la mano già tesa. Fa il settimo anno, è Capitano da tre e darà del filo da torcere ai miei Cacciatori in porta. Ma non è lui il mio vero avversario oggi, lei d’altro canto non mi ha staccato gli occhi di dosso da quando sono arrivato e non appena il suo Capitano torna al suo posto, anch’io ritorno a studiarla. Lola Griffin, una moretta bassa ed esile, quinto anno nonché nuova recluta: l’ho vista giocare solo una volta, a Novembre, nella brevissima partita contro Serpeverde. La vittoria, così come il vantaggio schiacciante nel punteggio, è stata interamente merito suo: ha preso il boccino mentre ancora i Cacciatori di entrambe le squadre avevano solo iniziato a scaldarsi, a tre minuti e sei secondi dall’inizio della partita. Il mio record è di due minuti e venti e mentre continua a guardarmi con sfida, mi assale forte l’impulso di buttarmi in uno contro uno tra Cercatori e basta, una pura corsa contro il tempo e il boccino e al diavolo i calcoli e la coppa. Chi lo prende prima vince e che importa se centocinquanta punti non sono abbastanza per la squadra, il Cercatore più veloce sarò stato comunque io. Ho imparato a trovare e afferrare il boccino prima ancora che a volare, certamente prima di imparare tutte le regole del Quidditch e il mio primo istinto è sempre quello, prendere il boccino il prima possibile, un principio naturale che sovrasta qualunque quadro generale. 
Al quarto anno Frank mi ha letteralmente lanciato un bolide contro la scopa perché stavo allungando la mano verso il boccino invece di aspettare il punteggio che era stato stabilito, e ricordo ancora quando a fine partita Dorcas mi ha strappato dai festeggiamenti per la vittoria, mi ha sbattuto negli spogliatoi vuoti e ha passato la successiva mezz’ora a farmi vergognare del mio colpo di testa. È in quel momento che ho imparato la differenza tra vincere come Cercatore e vincere come squadra, ed ora so che se continuassi a seguire con gli occhi il boccino che Madama Bumb ha appena liberato e mi concentrassi su quello, potrei prenderlo prima di Lola Griffin e rendere chiaro a lei e a me stesso e al resto della scuola chi è il Cercatore migliore, ma perderei come Capitano, perché non sono solo in campo. E l’unico modo per vincere come Capitano è vincere insieme alla mia squadra, o perdere con loro.
Il boccino sfreccia con un ultimo scatto d’ali verso sinistra, sparendo dal mio campo visivo, e mentre gli occhi attenti di Griffin scattano nella sua direzione, i miei restano piantati su di lei. Il problema ora non è trovare il boccino, ma impedire a lei di farlo per tutto il tempo necessario agli altri a segnare almeno una decina di reti in più dei Tassorosso, e se non avessi davanti Miss Sono l’unica ad aver quasi raggiunto il tuo record sarebbe un obiettivo molto più plausibile.
I bolidi si librano in aria uno alla volta subito dopo il boccino, prima di partire fulminei verso l’alto e tutti montano in sella. Madama Bumb, in mezzo a noi, stringe la pluffa rossa tra le mani e il fischietto tra le labbra, Sirius si diverte a creare tensione nel megafono e poi decine di piedi battono sull’erba nello stesso momento, mentre il fischio risuona per il campo e la Pluffa si solleva in aria diversi metri sopra la testa di Madama Bumb.
Prima che possa cominciare la ricaduta, Anne ce l’ha tra le mani e per un pelo un Cacciatore giallo e nero non le finisce addosso, ma lei è già sfrecciata verso la porta avversaria, ancora scoperta. Lynch raggiunge la sua postazione davanti agli anelli nello stesso momento in cui la pluffa ci passa attraverso e il tabellone segna i primi dieci punti per Grifondoro. Sirius esulta entusiasta nel megafono, prima di passare a descrivere fulmineo la nuova azione dei cacciatori: sono i Tassorosso a farsi strada verso la nostra porta ora, ma a questo punto taglio fuori tutto e restiamo in due soltanto nel campo.
Lola Griffin sta girando lentamente su se stessa mentre perlustra con gli occhi lo spazio attorno a sé alla ricerca del boccino e non sembra nemmeno sbattere le palpebre, completamente assorta nel suo compito ed estranea al mondo esterno.
Il mondo esterno d’altro canto, come scoprirà a breve, sta per fare irruzione nella sua bolla di solitudine, che non mi è mai piaciuto essere ignorato.


 
*****

«SÌ! VAI COSI FRANK! SEI IL MIGLIORE!» Frank ha appena spedito un bolide contro la Cercatrice di Tassorosso, distogliendola per l’ennesima volta dalla sua perlustrazione, e Alice viene di nuovo posseduta da uno spirito invasato che le fa gettare le braccia al cielo e gridare a squarciagola proprio nel mio orecchio. «YUUUUUU-HUUU!»
Normalmente non mi verrebbe da festeggiare vedendo Frank attentare violentemente alla vita di una ragazzina più piccola di noi che si fa gli affari suoi, ma oggi la tribuna di Grifondoro è meno calorosa del solito nei confronti della squadra e così mi sto impegnando per fare la mia parte e sostenere attivamente la mia Casa, nonostante la mia incapacità di gridare senza esprimere rabbia o dolore acuto.
«YUUUUUUU!»
Alice si volta verso di me.
«Perché fai buu?»
«No, era...ho cercato di fare quello che hai fatto tu. Yuuu-huu.»
Alice continua a guardarmi accigliata.
«Ah. Non lo fare, Lils» mi ordina ed io sospiro scocciata, perché non è colpa mia se non so gridare sportivamente, è colpa di quei nostri compagni che si occupano solitamente di queste cose, sempre con devozione ed entusiasmo massimi, e che oggi se ne stanno invece tutti in silenzio a fare i musoni solo perché è passato troppo tempo da quando Grifondoro ha vinto una partita. «Prova a fare, non lo so, tipo... YEAH o qualcosa di simile.»
«Non farò YEAH» metto subito in chiaro.
«No, infat-VAI ALEX, DISTRUGGILI!»
La battitrice di Grifondoro spara un bolide contro la punta della scopa della Cercatrice avversaria, che svolta bruscamente solo per trovarsi la strada tagliata da Potter.
«AAAAH!»
Alice mi lancia un’occhiata di sottecchi, ma ha la decenza di non commentare, perché non è in alcun modo colpa mia: la ‘u’ non va bene a quanto pare, ‘yeah’ non esiste al mondo, credevo che la ‘a’ fosse la soluzione, e invece il risultato finale è più simile a un grido di sorpresa che a uno di incitamento.
«MA CHE CAZZO, APPLAUDITE! Non ci posso credere, ma siete Grifondoro o no?»
Mary non è particolarmente felice della poca partecipazione dei nostri compagni e quando Mary non è particolarmente felice uno scaricatore di porto si impossessa di lei. «Ve ne state lì come amebe, solo perché abbiamo perso una partita. Molto Grifondoro abbandonare la nave quando affonda, MOLTO GRIF-»
«Ma non abbiamo segnato» Il ragazzo nel gradino sotto a Mary, che si sta prendendo tutto il suo biasimo dritto sulla nuca, si volta offeso. «Perché dovremmo applaudire?»
«Perché abbiamo appena impedito a Griffin di prendere il boccino e vincere la partita forse?»
«Ma non aveva visto il boccino, lo stava solo cercando».
«Lo stava solo cercando, e poi lo avrebbe solo trovato e noi avremmo solo perso» Mary incrocia le braccia al petto, due strisce rosse e oro in bella vista sulle guance. «E che importa se fanno qualcosa o no, le altre Case ci sfottono sempre perché noi ogni volta facciamo casino anche quando non succede nulla e guardacaso oggi tutti zitti. Vergognati.»
«Ma -»
«Siete dei tradit-OH GODRIC SÌ, VAI COSÌ ANNE, SPACCA TUTTO!» La pluffa scarlatta sfreccia attraverso la porta di Tassorosso e subito i Grifondoro ritrovano la voce. Il ragazzo davanti a noi applaude e grida con particolare entusiasmo, prima di lanciarsi un’occhiata preoccupata alle spalle, ma Mary è troppo entusiasta per il goal per accorgersene. «Lei è la mia preferita.»
«Certo che è la tua preferita, è l’unica del settimo anno» dice Alice e Mary ghigna colpevole: settimo anno equivale a un posto libero in squadra l’anno prossimo. «Oh merda.»
I battitori solitamente non bersagliano gli altri battitori, perché è un po’ come passargli la palla, solo che la palla è un cannone impestato e se è accompagnato da un altro cannone impestato, quando tu continui ad avere una sola mazza, allora è merda, per l’appunto. È questo che succede a Frank, che si trova improvvisamente entrambi i bolidi sparati contro dai battitori avversari e non perde la testa solo grazie a una rocambolesca e improvvisa giravolta per aria. 
«Si sono incazzati?»
«Si sono incazzati» conferma Alice agitata, senza staccare gli occhi dal campo. Black nel frattempo pare sempre più confuso su cosa commentare, perché ci sono due giochi paralleli che stanno avendo luogo decine di metri sopra le nostre teste, quasi completamente autonomi l’uno rispetto all’altro: da una parte quello di cacciatori e portieri, tutto giocato sul controllo della pluffa e la difesa degli anelli, dall’altra quello serrato di battitori e cercatori, impegnati secondo per secondo in una guerra all’ultimo bolide che ha come obiettivo, rispettivamente, tenere lontana la cercatrice di Tassorosso dal boccino e uccidere i battitori di Grifondoro così che smettano di tenere la cercatrice di Tassorosso lontana dal boccino.
«Per quanto la devono tenere impegnata?» chiedo inquieta, mentre Frank si rifionda senza esitazione verso un bolide. Il colpo secco della palla che si schianta contro il legno viene inghiottito dall’esplodere dello stadio, mentre Tassorosso segna un goal. 
«Finché non li distanziamo di cento punti» spiega Alice senza staccare gli occhi dal suo ragazzo, a cui i bolidi continuano a tornare indietro con più velocità del normale. La differenza tra quelli che arrivano a Frank e quelli che arrivano alla Cercatrice avversaria  è che solo i secondi mirano la scopa  e non la faccia. Si sono incazzati. «Raggiunto il vantaggio di cento punti, James prende il boccino ed è fatta.»
«E se non lo prende?»
Alice smette di fissare il cielo per guardarmi. «Lo prende.»
«Beh, non l’ha preso contro Serpeverde» le ricordo premurandomi di abbassare la voce, che i nostri compagni sembrano ricordarselo anche troppo bene invece.
«Questa volta lo prende» Per poco non sobbalzo, perché anche se ero consapevole della presenza di Remus Lupin qua vicino, non ero consapevole della sua attività di spionaggio. «Metà partita costretto a non cercarlo nemmeno, starà impazzendo» continua con un mezzo sorriso. «Lo prende.»
Lupin pare più certo che fiducioso ed io seguo il suo sguardo che va a perdersi tra le figurine colorate sopra di noi e mi concentro in particolare su quella che porta il numero undici sul retro della maglia. Da quaggiù non riesco a cogliere nessun segnale che indichi che Potter stia impazzendo, come se poi non fosse già poco sano di suo, ma immagino che Remus Lupin non abbia bisogno di segnali per sapere le cose che gli altri non sanno.
«Ehy.» Normalmente non apprezzo quando qualcuno mi compare alle spalle all’improvviso e si infila nel mio spazio vitale senza preamboli, ma la voce di Dean è appena un sussurro quieto accanto al mio orecchio e la sua mano sfiora piano la mia, con dolcezza.
«Ehy» sussurro di rimando, salutandolo con un veloce bacio a stampo, prima di lanciargli un’occhiata divertita. «I tuoi compagni ti lasciano assistere dalla tribuna di Grifondoro?»
Dean alza le spalle, sollevando gli occhi alla partita sopra le nostre teste.
«Oggi non siete il nemico. In verità, tifiamo per voi.»
«Tifate per noi?» ripeto perplessa.
«Certo, per noi è molto meglio che vinciate voi piuttosto che Tassorosso. Loro sono sotto di noi solo di pochi punti, voi d’altro canto...beh, diciamo che se anche guadagnaste un po’ di punti oggi, non sareste comunque un rischio. Quindi, forza Grifondoro!»
Dean alza giocosamente un pugno per aria in segno di incitamento, mentre io lo fisso inespressiva, cercando di capire se è lecito che io trovi incredibilmente offensivo il suo tifare per noi o se è un impulso infantile da Grifondoro che devo domare in nome della maturità.
Mary  non sembra porsi il problema.
«Un po’ di punti?» dice e il suo sopracciglio minaccia Dean come probabilmente nessuno l’ha mai minacciato prima.
«O tanti. Spero tanti» si corregge subito lui, forse rendendosi conto di essere circondato. Mi lancia un’occhiata veloce come in cerca d’aiuto, ma l’inespressività forzata è ancora il massimo che posso offrirgli. «Tifo per voi, davvero.  Avete una bella squadra, se riusciste a vincere con un buon vantaggio e arrivare almeno terzi o addirittura secondi sarei felicissimo.»
Terzi, o addirittura secondi.
Non sono io a fermare Mary quando gli si piazza davanti e parte con un seccatissimo «Sta’ a sentire», perché non si può salvare chi non vuole essere salvato, e chi sale sulla tribuna di Grifondoro, piena di Grifondoro, per dire ad alta voce terzi, o addirittura secondi è chiaro che non desidera la salvezza.
Alice spinge con nonchalance Mary qualche passo più in là e fortunatamente i cacciatori di Grifondoro si lanciano in un’azione congiunta verso la porta avversaria, distraendo così Mary dai suoi istinti omicidi. Io d’altro canto sto ancora cercando di decidere se sia più corretto tenerli a bada o abbandonarmi ad essi, perché sono effettivamente infastidita dalle parole di Dean, a un livello viscerale, e il mio orgoglio continua a chiedere a gran voce di tramutare la mia neutralità in ostilità esplicita, ma la parte più ragionevole di me ci tiene a ricordarmi come la maggior parte dei Grifondoro sia effettivamente rassegnata al terzo o secondo posto al massimo quest’anno.
«Beh, non volevo essere offensivo» dice Dean a bassa voce. «Nemmeno la vostra Casa ha fatto una gran festa prima, pensavo lo sapeste che non state esattamente giocando per la Coppa.»
«Non sono un esperto di Quidditch» Per la seconda volta in pochi minuti devo impedirmi di sobbalzare, perché non sapevo che Remus stava ancora origliando. Ha la mascella rigida e una vena troppo accomodante nella voce per risultare genuinamente gentile. «Ma da quello che posso vedere sono in sette in campo a giocare e non l’intera tribuna, e sempre da quello che posso vedere» La pluffa vola dritta dentro uno degli anelli di Tassorosso tra le grida del pubblico, mentre la Battitrice di Grifondoro colpisce con forza un bolide. «Mi sembra che la coppa sia esattamente quello per cui stanno giocando.»
Un’ondata di soddisfazione mi pervade immediatamente e devo premere le labbra l’una contro l’altra per impedirgli di piegarsi in un sorrisetto vittorioso: non c’è più dilemma ora, né la possibilità di risultare infantile e permalosa, perché se anche Remus Lupin si offende, allora significa che è permesso offendersi, che offendersi è la cosa matura da fare.
Dean sostiene lo sguardo di Remus per diversi secondi, in silenzio, prima di spostarlo al campo di fronte a noi. «Beh, non sempre quello che uno vuole e quello che può realisticamente ottenere sono la stessa cosa.»
Vorrei pensare di non stare litigando con il mio ragazzo per uno sport a cui non so nemmeno giocare grazie al mio notevole autocontrollo, ma la verità è che l’unico motivo per cui non sto litigando col mio ragazzo è che Remus Lupin è qui per farlo al posto mio.
«Beh, a volte» inizia con una passivo-aggressività notevole. «Quello che sembra irrealistico lo è solo fino al momento in cui invece non accade. Oserei dire che tutte le imprese degne di nota hanno un che di irrealistico prima di diventare realtà.»
Le labbra di Dean si piegano nell’accenno di un sorriso altrettanto passivo-aggressivo.
«Immagino che lo scopriremo a maggio.»
«Immagino che lo scoprirai a maggio» ripete Remus pacato, prima di applaudire educatamente di fronte a un altro goal di Grifondoro. Mary emette una strana serie di versi ammirati e gli batte delle energiche pacche sulle spalle, blaterando di lealtà ritrovata all’interno della Casa.
Io trattengo a fatica un sorrisetto soddisfatto, mentre Dean abbassa la testa imbarazzato. 
«Okay, alzo le mani» ridacchia tornando a guardarmi. «La tribuna di Grifondoro non è il posto migliore in cui parlare di Quidditch.»
Non lo contraddico.
«Maledizione» Alice impreca al mio fianco, gli occhi incollati al cielo ed io seguo subito il suo sguardo, giusto in tempo per vedere il battitore di Tassorosso gettarsi sulla traiettoria di un bolide e spararlo lontano dalla loro cercatrice.
«Cosa?» chiedo confusa, perché il bolide non ha colpito nessuno dei nostri e la pluffa è ancora in nostro possesso.
«Hanno capito che stiamo bersagliando solo lei, non la mollano più» spiega Alice ed in effetti entrambi i battitori di Tassorosso, noto, continuano a volarle accanto con le mazze alzate pronte ad intercettare qualunque bolide a mo’ di guardie del corpo, come se fosse l’unica giocatrice nella loro squadra. E so cosa significa questo, prima ancora che Alice lo dica ad alta voce. «È libera di cercare il boccino ora.»
Automaticamente lancio un’occhiata al punteggio: quaranta a novanta per Grifondoro. Siamo appena a metà strada verso il vantaggio di cento punti prima del quale è apparentemente vietato chiudere la partita e così sospiro frustrata.
Non ero salita sulle tribune con grandi speranze per la Coppa di fine anno, affatto, come d’altro canto la maggior parte della nostra Casa, ma ho appena tifato per Lupin mentre rimetteva Dean al suo posto e vederlo smentito nel giro di cinque minuti è inaccettabile.
«E adesso?» chiedo inquieta mentre Lola Griffin si getta improvvisamente all’inseguimento del boccino, tra le grida generali e l’assoluta impotenza di Frank ed Alex, a cui ogni colpo viene rispedito indietro dai due battitori avversari, senza che si avvicini neppure per sbaglio alla cercatrice. I cacciatori continuano nel loro gioco parallelo e nessuno è lì per fermarla.
Alice, tuttavia, non sta guardando lei.
«Adesso sta a James.»


 
*****

Mi rendo conto che lo ha visto qualche secondo prima che se ne accorga anche il resto dello stadio, quando lei si blocca e si tende per una frazione di secondo prima di inclinare la scopa e raddoppiare la velocità in un battito di ciglia, gli occhi fissi su un punto di fronte a sé e la coda di capelli neri che frustano il vento alle sue spalle. Tagliando fuori le grida di mezza scuola e contro ogni mio istinto mi costringo a non seguire il suo sguardo per individuare a mia volta la sfera dorata e gettarmi all’inseguimento dietro di lei, invece scatto dall’altra parte, facendo attenzione a mantenermi fuori dal suo campo visivo. 
Quando le taglio fulmineo la strada, qualche secondo dopo, lei sterza bruscamente e anche se non si ferma subito è immediatamente chiaro dal suo rallentare e dal modo in cui i suoi occhi saettano veloci da una parte all’altra del campo che l’ha perso. Non ero così vicino da rendere impossibile schivarmi e avere anche i riflessi di non perdere di vista il boccino, ma esattamente come sperato l’effetto sorpresa ha fatto il suo: quando stai per prendere il boccino e non riesci a vedere l’altro cercatore di solito è perché è dietro di te che prova a superarti, non certo perché se ne sta andando nella direzione sbagliata ignorando completamente la pallina dorata.
Quando si volta a guardarmi è palesemente seccata, ma dura appena un secondo, poi piega le labbra sottili in un sorrisetto canzonatore.   
«Non sei interessato al boccino oggi, Potter?» Mi guarda dal basso e scende lievemente di quota, mentre Anne ci sfreccia sopra con la pluffa tra le mani. «È un peccato, è da inizio anno che aspetto di misurarmi con te.»
«Sono qui» Alzo le spalle noncurante, mentre la tribuna rosso e oro esulta e Sirius annuncia il nuovo punteggio: cinquanta a centodieci. «Attesa finita.»    
«Sì, sei qui» Mi soppesa scettica, corrucciando le labbra. «Ma non è una gran gloria prendere il boccino prima di te se tu il boccino nemmeno lo vuoi, dico bene?»
«Chi ha detto che non lo voglio?» Sorrido sornione, scendendo appena di quota a mia volta. «La partita non è finita. E quando voglio il boccino, Griffin, me lo prendo.»
Un lampo di sfida le illumina gli occhi alle mie parole e un sorrisetto le piega le labbra, mentre continua a guardarmi, completamente ignara del guizzo dorato a meno di mezzo metro dalla sua testa, a portata di braccio.
Prima che possa replicare o anche solo staccare gli occhi dai miei, sposto lentamente lo sguardo dal lato opposto da quello in cui ho visto il boccino, focalizzandomi su un punto in lontananza dietro di lei e raddrizzandomi sulla scopa, stringendo tanto le dita attorno al manico da farle sbiancare. Nel momento in cui i miei occhi si spostano con uno scatto verso il basso lo stesso fa il resto del mio corpo e riesco a cogliere solo con la coda dell’occhio la sua aria spiazzata mentre mi getto in una picchiata tra gli schiamazzi di tutto lo stadio. Sirius sta gridando incitazioni nel megafono ed io sterzo di scatto, roteando veloce la testa come a seguire un oggetto in movimento, per poi riabbassarla e tornare alla mia picchiata perfettamente verticale. Le grida si fanno più alte e difficili da ignorare man mano che il suolo si avvicina e quando raddrizzo la scopa all’ultimo la punta del manico sfiora i ciuffi d’erba ricoperti di rugiada del campo e l’adrenalina mi scorre forte nelle vene.
Restando vicino al suolo, stacco una mano dalla scopa e sollevo lentamente una gamba, portando la pianta del piede contro il manico di legno, prima di staccare la mano e alzarmi in equilibrio precario, appoggiando anche l’altro piede, le ginocchia lievemente piegate, il busto inclinato e una mano appena poco più avanti dell’altra, come pronta a scattare verso un boccino invisibile. Torno con le cosce ben serrate attorno al manico, di nuovo col petto vicino alla mia Tornado, solo diversi secondi dopo, quando un’altra scopa urta volutamente contro la mia, affiancandomi, e subito alzo gli occhi sopra di me e scatto verso l’alto, riprendendo quota velocemente mentre Grifondoro segna di nuovo.
   
Lola Griffin mi segue alla cieca in giro per il campo senza mai raggiungermi per altri dieci minuti prima di rendersi conto che quello che sto facendo si chiama finta Wronski e che lei ci è cascata in pieno.
 
 
*****
 
«Qualcuno mandi subito un gufo a Dorcas, deve sapere che le ore di vita perse a insegnargli come rendere credibile una finta Wronski sono servite a qualcos- Talbott tenta di segnare, ma Muller para! Vai così, Mike, non passa più nessuno! Come un muro di cemento armato, nemmeno piangendo passano! Dicevo, mandate immediatamente un gufo a Dorcas, usate la metro polvere, qualcuno avvisi Dorcas per Godric, avrà un orgasm-»
«Signor Black, può bastare.»
«E già che ci siete portate un paio di occhiali a Griffin, quindici minuti a cercare di prendere un boccino invisib-»
«Signor Black, si contenga.»
Mi allontano il megafono dalle labbra, inarcando un sopracciglio e lanciando un’occhiata scettica alla mia sinistra.
«Sta ancora sorridendo, professoressa, non è credibile.»
 
 
*****

Il cacciatore di Tassorosso sferra un lancio da manuale verso il nostro anello laterale, con una forza tale che la pluffa pare muoversi più veloce del boccino per un secondo, ma Mike scatta fulmineo e la colpisce deciso con un guantone, mandandola lontana dalla porta e dritta tra le mani di Sam, che senza perdere tempo riparte nella direzione opposta, verso la porta dei Tassorosso. Mi concedo un secondo per lanciare un’occhiata di adorazione al mio portiere, che non fa entrare una palla da metà partita, lasciando i Tassorosso bloccati a settanta punti mentre noi continuiamo a salire. I cacciatori avversari, così come il loro portiere, sono sempre più frustrati dalla situazione e i loro tentativi di rivolta diventano ogni secondo più irritati, ma il punto non cambia: li stiamo stracciando ed io potrei baciare ogni singolo membro della mia squadra – e non in modo casto.
Quando Sam segna l’ennesimo goal i miei occhi scattano al tabellone coi punteggi –che altro non è che un pezzo di pietra sopra cui scintille magiche colorate si muovono a formare di volta in volta i diversi numeri- e accanto al settanta dei Tassorosso, le scintille dorate che segnano il nostro punteggio si muovono a formare un bellissimo centosessanta.
Dieci punti, un singolo goal e poi avremo il vantaggio prefissato e potrò finalmente iniziare a giocare –a giocare davvero, prendendo il boccino e mettendo fine alla partita.
Il cuore mi batte veloce nel petto mentre osservo i cacciatori di Tassorosso avanzare veloci verso la nostra porta, passandosi la pluffa. Quando Anne la intercetta e si getta poi di lato, la palla rossa ancora stretta tra le mani, per evitare un bolide, l’adrenalina mi fa agitare sulla scopa impaziente, mentre con gli occhi inizio già a cercare il boccino per essere pronto, eccetto che nello stesso momento in cui lo individuo, individuo anche Griffin scattare fulminea nella sua direzione, gli occhi fissi sulla pallina dorata.
Anne è ancora lontana dalla porta, con troppi giocatori avversari a pararlesi davanti, ma Griffin ha il boccino davanti agli occhi e non ci sono finte Wronski che tengano ora. Frank ed Alex sono marcati stretti dai battitori avversari che gli rilanciano i bolidi nel giro di pochi secondi, così come stanno facendo da mezza partita a questa parte, e non importa se mancano ancora dieci punti, se non prendo il boccino ora lo prenderà lei e Tassorosso vincerà la partita.
Sirius sta gridando di nuovo nel megafono mentre volo a tutta velocità dietro Griffin, ma questa volta sa anche lui che non è una finta e l’agitazione che non esterno io risuona sincera e amplificata per tutto lo stadio. È bizzarro come lo trovi calmante, essere immerso nelle grida impanicate dei miei compagni e quelle incitanti degli altri, nella confusione più totale, mentre il mio cuore rallenta fino a raggiungere un battito totalmente regolare e una calma decisa mi avvolge mentre giro e inclino la scopa trovandomi sempre più vicino a quella di Griffin. I miei occhi non sono su di lei tuttavia, né sulla sua scopa, ma sulla piccola sfera alata che sfreccia davanti a noi e si fa sempre più visibile e dettagliata, i bagliori dorati e le ali soffici sfiorate da dita bianche che non sono le mie per un secondo appena, prima che la mia mano si chiuda decisa sul metallo freddo.
Nello stesso momento, diversi metri più in alto, la pluffa lanciata da Anne attraversa in pieno l’anello centrale di Tassorosso, mentre il loro portiere si getta a difendere inutilmente quello laterale.
Lo stadio esplode in un boato ed io osservo senza fiato il centosessanta riassemblarsi in un centosettanta per un secondo appena, prima che i centocinquanta punti del boccino lo trasformino in un trecento venti. Esattamente cento punti di vantaggio. Ce l’abbiamo fatta.
«JAMES POTTER PRENDE IL BOCCINO! WOOD SEGNA! GRIFONDORO VINCE CON TRECENTOVENTI A SETTANTA! Corvonero siete i prossimi!»
Le grida trionfanti di Sirius risuonano amplificate per tutto lo stadio, così come quelle di tutta la nostra Casa, ma a me arrivano come attutite mentre smonto dalla scopa e cerco subito con lo sguardo i miei compagni di squadra.
Mike è il primo ad atterrare, gli occhi lucidi e un sorriso incredulo sulle labbra, subito seguito da Frank che ha più sorriso che faccia, poi arriva Anne, il naso rosso per il freddo e gli occhi più felici che le abbia mai visto, e poi Alex e Sam e Daniel e mi devo trattenere per non gettare subito le braccia al collo a tutti, ma va detto ora, prima di mandare al diavolo ogni dignità e proposito per il resto della giornata e iniziare a correre abbracciati in giro per la scuola, così stringo la scopa nella mano destra e mi passo la sinistra tra i capelli, con un sorrisetto trionfante.
«Signori» annuncio solenne. «Siamo di nuovo nei giochi.»
 






 
 
Domenica 18 Marzo 1976.
Hogwarts, Sala Grande, Tavolo di Grifondoro, 10:30.


Il soffitto sereno della Sala Grande, oggi di un celeste chiaro cosparso da qualche nube candida, pullula di gufi indaffarati, ma io riconosco subito il barbagianni marrone che vola verso di me. Posta da casa, perfetto, penso allungando una mano verso Augustus, solo per vederlo zampettarmi davanti senza degnarmi di uno sguardo e fermarsi di fronte a Sirius, che subito posa la sua tazza di caffellatte e gli fa un grattino dietro al collo, prima di sfilargli dal becco la pergamena piegata.
«Non ci posso credere, ancora?» sbuffo scandalizzato. «Ti ha scritto la settimana scorsa.»
«Fa’ silenzio, Prongs, sto cercando di leggere» ribatte Sirius indifferente, senza staccare gli occhi dalla lettera. «E non è colpa mia se sono il preferito di tua madre: sono amabile, non posso controllarlo.»
Sirius non è amabile, affatto, ma è effettivamente il preferito di mia madre.
«Lo so che sei il suo preferito, ma c’è da qualche parte una regola genitoriale che dice che dovrebbe almeno cercare di mascherarlo» puntualizzo offeso. «A me non scrive da tre settimane.»
Sirius alza le spalle.
«Non ne ha motivo, non potresti raccontarle nulla su di te che non le abbia già scritto io.»
I miei occhi si spalancano inorriditi.
«Cosa? Cosa? Padfoot, cosa?»
Remus solleva lo sguardo dalla sua copia della Gazzetta del Profeta e lo punta dritto su di me con un mezzo sospiro, come a sottolineare che ho detto cosa un numero sufficiente di volte, ma la verità è che non l’ho detto abbastanza, perché Sirius riesce comunque ad ignorarmi.
«Guarda, c’è un post scriptum per te, lagna, contento?» aggiunge dopo un po’ tendendomi la lettera, che è così lunga e fitta in confronto alle due righette striminzite dopo il P.S. «Dice di informarti che se stai anche solo vagamente pensando di passare le vacanze di Pasqua e quindi il compleanno ad Hogwarts, dopo che ci hai già passato Natale, non riceverai un solo regalo.» 
Il suono indignato che mi esce dalla bocca non riceve considerazione da nessuno dei miei amici.
«Non che cambi qualcosa, avevo già stabilito che saremmo tornati a casa per Pasqua» riprende Sirius distrattamente. «Mi serve più cioccolata possibile e i nostri gufi possono trasportarne una quantità limitata.»
«È sempre bello essere preso in considerazione, Padfoot, grazie.»
«Quando vuoi, ora passami il bacon.»
 




Lunedì 19 Marzo 1976.
Londra, Stazione di King’s Cross, Binario 9 ¾. Ore 12:30. 
 

Il fischio del treno e il chiacchiericcio dei miei compagni riversatisi sulla piattaforma già pullulante di famiglie mi stordiscono appena, mentre mi trascino stancamente la valigia alle spalle.
La donna che sta venendo a braccia aperte verso di noi è mia madre.
Lo slancio e il calore con cui riabbraccia suo figlio dopo mesi di lontananza è quasi commovente: le tremano le mani per l’emozione e quelli sono indubbiamente occhi lucidi.
«Tesoro, come stai? Mangi abbastanza a scuola? Mi sembri un po’ dimagrito.»
Cara mamma, si preoccupa sempre.
 
Quando mi schiarisco rumorosamente la gola per la quarta volta, mia madre si accorge finalmente anche della mia presenza, smettendo di strapazzare Sirius.

 
 






****************
 
 
Da James Potter a Remus Lupin, Chester, 24 Marzo 1976.
 
 
Sirius è su un albero.
Probabilmente te lo avrà scritto anche lui, figurati se quell’agglomerato di pulci perde un’occasione per lamentarsi, ma la mia lettera ti arriverà senz’altro prima della sua, quindi non sarò io a ripetermi. Questo perché il gufo di Sirius ha palesemente dei problemi mentali, e, checché ne dica il suo padrone, è sempre stato così lento, ancora prima di quell’incidente con Elvendork, che comunque era del tutto prevedibile: non puoi tormentare un gatto per tutta l’estate e poi lasciare il tuo gufo nelle vicinanze. Vorrei scrivere una lettera appassionante e che ti faccia capire quanto ti manco e quanto tu abbia voglia di vedermi e soprattutto di farmi un regalo eccezionale –perché lo so che state progettando qualcosa, o Sirius non si nasconderebbe sugli alberi-, ma d’altro canto devo finire di scrivere la lettera prima che quell’idiota scenda da lassù: voglio essere presente quando tenterà la discesa. Levati immediatamente quell’espressione di biasimo dalla faccia, per favore, e non provare a negare di averla assunta. Sei veramente un malfidato, Remus Lupin. Non ti è neppure passata per la mente l’idea che volessi semplicemente, da bravo amico quale sono, assicurarmi che Sirius non si ammazzasse scendendo, vero? E non ho intenzione di renderglielo così difficile, sai, anche perché sono abbastanza sicuro che non riuscirebbe a scendere in ogni caso. C’è una piccola possibilità che dopo diverse ore, suppliche e foto imbarazzanti io sia persino disposto a portargli la scala che papà tiene in soffitta, e di nuovo smetti di guardare la mia lettera con quell’aria di disapprovazione: Sirius deve capire che se non hai senso dell’equilibrio un albero non è un buon nascondiglio. 
Spero che tu ti stia annoiando un sacco senza di noi, così impari a farti desiderare e a declinare i miei inviti. Ma probabilmente sei troppo impegnato a organizzarmi la più bella festa a sorpresa di sempre per annoiarti: in quel caso sei perdonato, prenditi tutto il tempo necessario, perché mi aspetto grandi cose e grandi regali.
A presto, (cioè al ventisette, quando tu e Peter spunterete qui all’improvviso e contro ogni aspettativa ed io applicherò tutte le mie doti recitative facendo sfoggio della più sorpresa delle espressioni),
 
Il tuo amico preferito,
Prongs
 


Da Remus Lupin a James Potter, Godric’s Hollow 24 Marzo 1976.
 
 
Non ho la minima preferenza tra te e Sirius.
Lo scrivo, giusto nel caso quel genio che si nasconde sugli alberi intercettasse la mia lettera e decidesse di creare un caso di dimensioni epocali sulla mia mancata precisazione. Mi spaventate entrambi allo stesso modo e se avessi un amico preferito, quello sarebbe Peter, che nelle sue lettere, rigorosamente scritta da terra, non cerca di indovinare e pilotare le espressioni della mia faccia.
Non riesco a credere che tu mi abbia scritto una lettera in cui l’unica cosa che dici è che Sirius è su un albero. È l’unica cosa che hai scritto, a parte i tuoi totalmente immaturi propositi di rendergli difficile la discesa, te ne sei accorto? Per curiosità, cosa avevi intenzione di scrivermi prima che Sirius si arrampicasse lassù?
Non stiamo progettando niente, per la cronaca. Non vedo perché cerchi un motivo sensato dietro alle azioni di Sirius: probabilmente voleva solo vedere come sono i tuoi capelli dall’alto. Sono seriamente preoccupato, perché ci resterai male quando il ventisette arriverà solo il mio gufo col regalo e non io in persona, ma suppongo che sia inutile convincerti del contrario. Ma se i tuoi sospetti nascono semplicemente dal fatto che Sirius si comporta in modo strano, allora dovresti proprio riconsiderare gli ultimi sei anni ed elencarmi una sola volta in cui Sirius non si è comportato in modo strano. Voglio dire, ti stava organizzando una festa a sorpresa quella volta in cui lo hai trovato a dormire sotto il letto? No, stava solo dormendo sotto il letto, perché è il genere di cosa che il tuo migliore amico fa. Accettalo.
Moony.
 

 
Da Sirius Black a Remus Lupin, Chester, 24 Marzo 1976.
 

Non sarebbe rapimento, Moony, non capisco perché continui a usare quella parola e a bocciare tutte le mie idee, onestamente. Ti dico che è l’unico modo per coglierlo di sorpresa: un colpo alla testa, si risveglia incappucciato e legato a una sedia e poi lo liberiamo. Non è rapimento se non lo teniamo prigioniero per sempre.
È la mossa più sensata, davvero.
Voglio dire, lui lo sa che gli stiamo organizzando una festa a sorpresa, lo sa sempre, ma se noi lo rapiamo per finta allora lui penserà di perdersi la sua festa a sorpresa perché impegnato a, beh, farsi rapire, e invece sorpresa! Il rapimento è la tua festa!
Riflettici, Moony.
Comunque sia: credo che dovrebbero esserci un sacco di boccini d’oro. Almeno due o tre in ogni stanza e anche in giardino, così potrà acchiapparli all’improvviso mentre parla con gente a caso e diventerà tutto gongolante e sorridente, come tutte le volte che può mettere in mostra le sue doti da Cercatore. Credo anche che a un certo punto gli altri inizieranno a non sopportarlo più, ma è il suo compleanno, quindi non penso che lo chiuderanno da qualche parte come quella volta al terzo anno.
Ora ti lascio, sono su un albero e devo capire come scendere senza ammazzarmi.
Padfoot.
 
 

Da Remus Lupin a Sirius Black, Godric’s Hollow, 24 Marzo 1976.
 

Sirius.
Non rapiremo James, fine della questione.
E comunque se lo aspetterebbe. Godric, chiunque ti abbia nella sua cerchia di amicizie sospetterebbe di te in caso di rapimento.
Moony.
 
PS. Cerca di non morire. Come sei salito puoi scendere: prima un piede e poi l’altro, quello è il segreto.
 

 
Da Sirius Black a Remus Lupin, Chester, 24 Marzo 1976.
 

Penso di avere una pietra conficcata per sempre nelle profondità della mia natica sinistra.
Quell’idiota di Potter non sa nemmeno tenere ferma una scala.
Dovremmo rapirlo per davvero e poi torturarlo.
Passo e chiudo.
Padfoot.
      

Da James Potter a Remus Lupin, Chester, 25 Marzo 1976.
 

Ah ah ah, Moony, ah ah ah.
Devi leggere questo come una risata, la mia risata di fronte ai tuoi ridicoli tentativi di convincermi che non state facendo quello che è così evidente che state facendo. Smetti di arrampicarti sugli specchi, Moony: basta già Sirius ad arrampicarsi sulle cose, davvero: mi state organizzando una festa a sorpresa proprio come tutti gli anni, perché siete prevedibili, ma va bene, non sono vostro amico per la vostra originalità. Sono vostro amico perché tu mi fai copiare i temi di Storia della Magia, Peter mi fa sempre un sacco di complimenti sui miei capelli e Sirius emette versetti divertenti quando cade dagli alberi; è un’ottima base per un’amicizia, non c’è bisogno che mi sorprendiate, sul serio. A parte per quanto riguarda il regalo, quello dev’essere strepitoso o mi troverò dei nuovi amici. Frank è in lizza. Te lo dico, nel caso tu e gli altri voleste ingaggiare un duello all’ultimo sangue con lui per me. 
Il tuo, per sempre amico preferito, Prongs.
PS. La cosa divertente è che Sirius crede che sia stato un incidente.

 
 
Da Peter Minus a Sirius Black, Godric’s Hollow, 25 Marzo 1976.
 

Remus non sospetta nulla?
W.
 


Da Sirius Black a Peter Minus, Cardiff, 25 Marzo 1976.
 

Nulla.
 
 


***********

27 Marzo 1976, Godric’s Hollow.
 

«Guarda, si muovono!»
Alice segue la direzione indicata dal mio dito guantato con un’occhiata molto meno meravigliata della mia, come se vedere una fontana composta da statue viventi non fosse la cosa più eccitante di sempre.
«Lily, passi nove mesi all’anno in un castello magico in cui anche le scale si muovono» mi ricorda, riprendendo a camminare lungo le stradine costeggiate di villette colorate senza degnare la fontana di un altro sguardo, mentre io allungo il collo per lanciarle un’ultima occhiata adorante prima di seguirla.
«Sì, ma dentro Hogwarts è diverso» sottolineo, lasciando correre lo sguardo all’orizzonte, cercando curiosa altre particolarità. Persino le casette, col fumo che esce dai camini spiccando contro il cielo limpido e le piccole finestrelle, hanno un’aria magica in questo posto. «Un’intera città magica, ci pensi che bello vivere qui? Potrei fare un incantesimo proprio ora, in mezzo alla strada e nessuno mi direbbe nulla!»
«Beh, lo puoi fare anche ad Hogsmeade o Diagon Alley ora che sei maggiorenne» sottolinea Alice, che nonostante il sorriso davvero non sembra condividere il mio entusiasmo. «E onestamente, Hogsmeade e Diagon Alley sono molto più carine, non mi pare ci sia nulla qua al di là di quella fontana, campi e case.»
Non è che Alice non abbia ragione, perché sia Hogsmeade che Diagon Alley sono certamente più grandi, spettacolari e piene di questo posto, e difatti sono quasi svenuta per l’emozione anche la prima volta che ho visitato entrambe, anni fa, ma ora le conosco come le mie tasche e nonostante continui a trovarle eccitanti ed uniche proprio ogni singola volta che ci vado, c’è qualcosa qui, nell’intimità di questo luogo, nel fatto che ci sono più case che negozi, nel modo in cui la magia sembra parte integrante della vita quotidiana di un’intera città che me la fa respirare in un modo totalmente nuovo ed entusiasmante.
«Lo sai che Godric’s Hollow è una delle pochissime cittadine interamente magiche in tutta la Gran Bretagna?» dico trotterellando dietro ad Alice, conoscendo già la risposta, perché certo che Alice lo sa, lei ci è cresciuta nel mondo magico e non ha messo piede a Diagon Alley solo il suo primo anno di scuola, non ha visto i quadri parlare e le statue muoversi ad Hogwarts per la prima volta. «Non posso credere che Remus non mi abbia mai detto di vivere in un posto così bello».
«Remus vive in Galles» commenta Alice distratta, lasciando correre lo sguardo in lontananza con la fronte aggrottata, come a cercare di orientarsi.
«Come?» chiedo perplessa, perché sono felicissima di essere qui, ma se Remus vive in Galles, che diavolo ci facciamo noi qui?
«Te l’ho detto, il suo compleanno è stato il dieci» Alice mi lancia un’occhiata, prima di imboccare una stradina che si separa dalla via principale, verso la campagna. Riesco a scorgere un’enorme villa un po’ isolata dal resto delle case e circondata da un ampio giardino già da qui. «C’è un motivo se lo festeggia solo oggi.»
«Perché i suoi amici non erano soddisfatti del fatto che non avesse voluto fare nulla di che e hanno deciso di rimediare organizzandogli una festa a sorpresa a sua insaputa» dico lentamente, perché ero presente quando Frank lo ha spiegato ad Alice qualche giorno fa, quando è venuto a cena a casa sua, e nonostante ciò ho la sensazione di essermi persa un pezzo fondamentale.
«Sì, okay, ma perché proprio il ventisette e non prima secondo te?»
Alice ha aumentato il passo ora che non pare più avere dubbi sulla destinazione e la vedo distrattamente estrarsi dal tascone del cappotto il nostro regalo per Remus, impacchettato e largo appena pochi centimetri. Un colpo di bacchetta e torna alla sua grandezza reale, occupandole il posto tra le braccia, mentre il cancello d’ingresso al giardino verdeggiante della villa si fa sempre più vicino. «È perché la festa a sorpresa non è solo per lui».
Alice ha appena tirato fuori un altro piccolo pacchetto dalla tasca e sta svolgendo ora lo stesso procedimento di prima, ma i miei occhi sono ora fissi sul cartello decorato che svetta sul cancello spalancato. Potter Mansion.
Oh Godric, la sua casa ha un nome, certo che la sua casa ha un nome, James Potter è una di quelle persone che hanno case dotate di nome ed io sono una di quelle persone che viaggiano mezzo paese per andare a casa di Potter, è questo che sono.
«No, no, no» dico subito puntandomi sul posto mentre Alice entra nel territorio proibito senza problemi, prima di dedicarmi un’occhiata esasperata.
«Dai, Lily, sono già tutti qui» dice e non ho idea di come faccia a saperlo dato che siamo ancora all’esterno, la porta della villa è chiusa e non si vede o sente nessuno. «Era comunque ovvio che ci sarebbe stato, anche se fosse stato solo il compleanno di Remus.»
«Certo che lo sapevo» E non so perché sto sussurrando. «Ma è diverso andare al compleanno di Remus, a casa di Remus, dove per puro caso ci sono anche i suoi amici tra cui lui, e andare invece al compleanno di Remus e suo, a casa sua, nel territorio di sua giurisdizione, dove tutto grida James Potter.»
«Non vedo la differenza, davvero» insiste Alice e sta mentendo naturalmente, perché se non l’avesse vista non avrebbe aspettato l’ultimo secondo per mettermi al corrente della cosa. «Gli invitati sarebbero comunque stati gli stessi, anzi, essendo anche il compleanno di James ce ne sono un po’ di più e questo ti renderà più facile ignorarlo. Entra, forza, mi stanno guardando tutti.»
«La differenza è abissale, drammatica, sostanziale» puntualizzo con enfasi, rassegnandomi comunque a lasciarla cadere qui perché Alice non ha evidentemente chiaro il concetto di casa di James Potter. Non posso entrare a casa di James Potter come se nulla fosse, questa è una cosa che non sarebbe mai dovuta succedere perché le case sono un qualcosa di intimo e personale e sacro e dovresti sempre avere dell’affetto a disposizione per la persona nella cui casa stai entrando, cosa che naturalmente io non ho e questo va contro ogni regola delle case, ma Alice non lo capirebbe comunque, perché Alice è d’altro canto convinta che tutti la stiano guardando ora, quando non c’è assolutamente anima viva nel giardino della villa che possa guardarla, così prendo un profondo respiro e mi preparo ad entrare nel territorio nemico, perché d’altro canto non potrei comunque tornare indietro a questo punto. Voglio dire, potrei, ma sono a casa di Alice per le vacanze e non mi sentirei a mio agio a spiegare ai suoi genitori perché sono tornata prima del previsto e da sola.
Mentre attraverso il cancello aperto, entrando ufficialmente nel giardino di James Potter, ho il corpo teso e i sensi all’erta, pronta per il pericolo che sicuramente sta per abbattersi su di me, ma nel momento in cui la mia scarpa si posa sul vialetto non sono comunque pronta all’infarto che mi colpisce nel momento in cui la visione della casa muta drasticamente, accompagnata da musica e vociare improvvisi.
Il giardino è pieno, completamente affollato dai nostri compagni di scuola, in maggioranza Grifondoro ma non solo, che passeggiano e chiacchierano tranquilli, con una maggior concentrazione nei pressi dell’entrata della villa e del buffet.
«Molte case di maghi sono protette da incantesimi schermanti di questo tipo» mi spiega Alice vedendo la mia espressione frastornata. «Da fuori vedi sempre e solo la stessa immagine, e anche i suoni sono bloccati.»
Lo dice come se fosse una cosa normale e non qualcosa di incredibile e dalle potenzialità infinite: subito mi immagino a starmene beata per i fatti miei in giardino mentre qualche ospite indesiderato mi chiama dal cancello, convinto che io non sia in casa mentre io non devo nemmeno stare attenta a non fare rumore per proteggere la mia asocialità. Potrei correre nuda in giardino, se lo vedessi, ed è mentre sono impegnata con questi alti pensieri che Potter, che deve essersi materializzato qui da diversi secondi perché pare aver già accolto Alice,  mi coglie alla sprovvista.
«Ehy Evans» mi sorride allegro ed ora capisco perché ha sempre quell’aria appagata, anch’io ce l’avrei se vivessi in una cittadina del genere, in una villa del genere, con un giardino del genere ed incantesimi ingannevoli del genere. «Sei venuta a festeggiarmi?»
«Non sono al tuo compleanno, Potter» chiarisco subito, perché se devo affrontare un’intera giornata in territorio nemico, per quanto bello -il territorio, non il nemico-, è importante spazzare subito via ogni malinteso.
«Sei proprio qui, riesco a vederti» ribatte lui.
«Ne sei sicuro?» chiedo inarcando un sopracciglio e poi ci fissiamo per qualche secondo perplessi. «Voglio dire, d’accordo, puoi, ma non in alta definizione.»
Potter aggrotta la fronte, aumentando ulteriormente il grado di perplessità nell’aria.
«Cosa?»
«Vedi?» dico, sventolandogli velocemente una mano davanti alla faccia. «Non riesci a vedere bene i contorni.»
«Sì che ci riesco» dice Potter, ma io lo ignoro, continuando:
«Questo perché c’è una barriera invisibile tra noi.»
Poter sbatte le palpebre, confuso.
«La barriera dei compleanni diversi» concludo, con l’aria di chi gli sta svelando un grande segreto.
«Non è una cosa che esiste» dice ed io sbuffo cercando di guardarlo dall’alto, nonostante i suoi occhi siano una ventina di centimetri più in alto dei miei, ma è l’altezza spirituale che conta e lo spirito dei miei occhi è letteralmente sul tetto della sua stupida villa.
«Esiste da miliardi di anni, da prima ancora che l’uomo comparisse sul pianeta terra» insisto.
«Te la sei appena inventata.»
«Miliardi di anni, Potter» ripeto. «E si frappongono tutti tra me e te, proprio in questo spazio qui» E subito inizio a muovere lentamente le mani di fronte a me, come a tracciare il profilo della parete invisibile che si innalza tra me e lui. «Perché io non sono al tuo compleanno, sono a quello di Remus.»
Potter mi osserva senza dire nulla per qualche secondo, poi allunga una mano e mi tocca la fronte. Io faccio un salto all’indietro, colta alla sprovvista.
«Potter!» esclamo indignata. «Non puoi bucare la barriera dei compleanni!»
Potter alza le spalle, con un sorrisetto impertinente.
«È il mio compleanno, posso fare quello che voglio, Evans.»
«No, no, no, è il tuo compleanno» specifico, indicando il terreno ai suoi piedi. «Non qui» Ed ora indico i miei. «Qui è solo il compleanno di Remus.»
Potter fissa le sue scarpe e poi le mie, e poi i miei occhi.
«Quindi ci sono posti dentro casa mia in cui non è il mio compleanno?» chiede scettico.
«Non posti, persone» replico sicura, indicandomi in maniera subdola con entrambi gli indici. «E l’altra cosa che devi sapere riguardo alla barriera dei compleanni diversi, è che è insonorizzante. Taglia completamente fuori l’audio, zero volume.»
Continuo a muovere le labbra per qualche altro secondo, senza emettere suono, poi lancio un’ultima occhiata eloquente a Potter e gli do le spalle, allontanandomi alla ricerca di facce amiche.
 

*****
 
Evans si allontana verso il patio ed io resto a fissarla ancora molto confuso.
Quando dopo un po’ si volta e mi trova con gli occhi ancora fissi su di lei, spalanca i suoi e ricomincia a fare quegli strani gesti circolari di fronte al suo viso, nemmeno fosse un mimo, ed io scuoto la testa con uno sbuffo che assomiglia più a una risata.
È destabilizzante vederla qui, a casa mia. Come se improvvisamente non esistesse più solo ad Hogwarts. È strano e quasi surreale, e mi sento un po’ disorientato, ma non mi dispiace. 
 


 
 
«Okay, chi diavolo è stato?»
Il mio sguardo percorre indagatorio i volti dei miei invitati, mentre le mie dita si stringono con odio attorno al tessuto giallo brillante della maglietta delle Vespe di Winbourne che è appena uscita da uno dei miei pacchetti. Non c’era scritto il nome né nulla ed ora capisco perché. «Vi sembra divertente rovinarmi il compleanno così? Ora, ve lo dico molto chiaramente, nessuno lascerà questa casa finché non mi direte chi...»
Sirius sbuffa, interrompendomi.
«È stato Remus, Prongs, è ovvio. È il genere di atti malvagi che ogni tanto fa.»
Subito i miei occhi scattano su Remus, assottigliandosi.
«Non sono stato io. Lo trovo immaturo e infantile e... » Ed io gli credo, anche mentre si blocca assumendo un’espressione improvvisamente colpevole, perché sicuramente è vero che lo trova immaturo e malvagio e non sa davvero perché l’ha fatto. Ma Sirius ha ragione e Remus ogni tanto fa cose malvagie senza motivo. «Mi dispiace.»
«Ti perdono, Remus» concedo magnanimo, ma senza staccare gli occhi dai suoi, giusto per rendergli chiaro come se fosse stato chiunque altro ci sarebbe del sangue sull’erba ai miei piedi ora. «Non farlo mai più. Chiunque qui abbia problemi con maglie delle vespe di Winbourne che vengono bruciate è pregato di andarsene.» Un gesto della mia bacchetta e la maglietta prende immediatamente fuoco.
Non è stato un buon piano, d’accordo, perché non dovresti mai dare fuoco a qualcosa mentre ce l’hai ancora in mano, ma c’è una maglietta delle Vespe di Wimbourne alla mia festa di compleanno e questo significa che non è lecito aspettarsi lucidità da me.
Anche Frank è molto comprensivo riguardo tutta la storia di me che gli lancio la maglietta in fiamme addosso e la manica della sua camicia che prende fuoco.
 
 
 
 
 
Frank pare una danzatrice del ventre con la mia maglia che gli lascia scoperta tutta la pancia – mi ha accusato di avergliene data una corta apposta, ma non è colpa mia se lui è così alto – ma non ha riportato ustioni ed io questa la chiamo una vittoria.
Quello che mi turba ora è la dimensione ridicola del pacchetto che dovrebbe contenere il regalo più importante di tutti, quello dei Malandrini, e che sembra in grado di contenere a malapena una nocciolina. Lo scarto rendendo palese la mia contrarietà col volto e non appena ci infilo due dita dentro, tastandone il contenuto, mi corruccio ulteriormente, sentendo la consistenza liscia e legnosa sotto i miei polpastrelli. È davvero una noce, maledetti figli di puttana.
Non è una noce, realizzo iniziando a tirare.
È qualcosa dalla forma sottile e allungata che continua a fuoriuscire dal pacchetto senza dare segno di fermarsi, rendendo così evidente l’incantesimo rimpicciolente, ed è qualcosa che non può essere ciò che io penso che sia perché se lo fosse significherebbe che devo gettarmi a terra e rotolare nell’erba in preda alla felicità e non voglio rotolare nell’erba, sto indossando una camicia bianca e si macchierebbe tutta e- oh Godric, è davvero quello che sembra.
«Mi avete regalato la nuova Tornado Delux? È questo che avete fatto?» mi sento chiedere con voce tremante, mentre i miei occhi non si staccano dal manico di scopa sollevato in maniera reverenziale tra le mie mani. Il legno è scuro e perfettamente levigato, liscio sotto la pelle delle mie dita, mentre la parte finale è di un colore molto più caldo, quasi dorato. È bellissima.
«Non respiro, James. Per favore.» È solo sentendo la voce soffocata di Remus così vicina al mio orecchio che realizzo di essere ora arpionato ai miei amici.
«Voi, voi siete le mie nuove persone preferite al mondo» annuncio stringendoli ancora più forte, indifferente ai capelli di Sirius dentro la mia bocca.
«Non lo eravamo già?» La voce di Peter arriva come attutita, perché è schiacciato da qualche parte un po’ più in basso del mio campo visivo e non sono sicuro che sia ancora dotato di una testa.
«No, certo che no. La prima è Dorcas e dopo di lei praticamente mezza squadra dei Cannoni di Chudley” replico ragionevole.
«Abbiamo superato Dorcas? Sono commosso» Sirius non sembra commosso. Lo sento agitarsi violentemente contro di me e automaticamente stringo più forte. Remus emette un rumore strano, come se si stesse sgonfiando. «Puoi lasciarci ora?
«No che non posso: mi avete regalato la nuova Tornado Delux!»
Sirius emette uno strano verso disperato, come se si stesse sgonfiando anche lui ma emettendo dolore e rabbia invece che aria. Poi con uno sforzo estremo estrae un braccio dal groviglio che sono i nostri corpi ed indica il tavolo dove ho depositato con reverenza la mia nuova scopa prima di fondermi con i miei amici.
«La stanno per toccare, James, guarda.»
I miei invitati sono effettivamente radunati attorno al manico di scopa, lo osservano meravigliati e qualcuno sta anche allungando le mani.
«Nessuno la tocchi. Nessuno la tocchi o faccio una strage» La velocità con cui riesco a sciogliermi dai miei amici e porre il mio corpo tra la mia scopa e il pericolo è notevole. «Non ti azzardare, Frank, giuro che se la sfiori ti stacco le dita a morsi. Fate tutti un passo indietro.»




********
 
«Ti piace? Oh sì che ti piace» Sono a una festa e dovrei probabilmente alzarmi e andare a socializzare con gli altri esseri umani, ma c’è un gattone enorme e morbidissimo che sta facendo le fusa e non ho alcuna intenzione di smettere di fargli i grattini, anche se le mie ginocchia stanno iniziando a dolere per la posizione rannicchiata. Ma il suo pelo è così soffice e particolarmente folto e selvaggio attorno al collo, a formare una sorta di criniera grigia tigrata, è come un piccolo grasso leone ed io sono pronta ad essere la sua schiava e accarezzarlo per l’eternità, perché questo è il genere di persona che divento di fronte ai gatti. «Cuci-cuci-cuci.»
Sono solo contenta che non ci sia nessuno nelle vicinanze a sentirmi mentre perdo la dignità.
«È il mio gatto, Evans.»
Nessuno a parte Potter, chiaro.
«Il famoso Elvendork?» Chiedo lanciandogli un’occhiata senza staccare le mani dalla pancia morbida del felino, muovendole come se stessi cercando di impastarlo. Potter se ne sta dietro di me, la camicia bianca ora coperta dalla felpa dei Cannoni di Chudley che gli hanno regalato Frank ed Alice. A quella non ha dato fuoco, che sarebbe una cosa scontata da pensare riguardo a qualunque regalo di compleanno, ma a quanto pare no.
«Lui non è stato invitato al compleanno di Remus, per l’appunto» continua, incrociando le braccia al petto con aria furba. «Voglio dire, lo avrebbe invitato, ma Elvendork non si sarebbe presentato. Non gli piace Remus.»
«Come mai?» Non riesco a immaginare un motivo per cui a qualcuno, umano o felino, potrebbe non piacere Remus.
«È un essere umano» Potter si stringe nelle spalle. «Non gli piacciono gli esseri umani.»
Subito gli lancio un’occhiata scettica, riportando poi gli occhi sul gatto che steso sull’erba di fronte a me si sta letteralmente facendo coccolare da cinque minuti  facendo le fusa così forte da far sfigurare il fischio del treno di Hogwarts
«Io gli piaccio» concludo compiaciuta, alzando le spalle.  
Potter piega appena l’angolo destro della bocca verso l’alto e resta in silenzio per un po’, prima di annuire. «Già» dice. «La tua gatta ama me e il mio gatto te» Il sorrisetto appena accennato si trasforma nel suo classico sorriso sornione. «Mi chiedo cosa stiano cercando di dirci.»
Di riflesso alzo gli occhi al cielo, ma il pelo di Elvendork è troppo soffice sotto le mie dita perché io possa innervosirmi davvero. «Che l’erba del vicino è sempre più verde.»
«L’erba del signor Collins è tutta rinsecchita» replica immediatamente Potter ed io lo fisso.
Lui mi fissa. 
«Ci abbiamo fatto esplodere una pozione per sbaglio, io e Sirius, e non è più stata la stessa» aggiunge dopo un po’ mentre io continuo a fissarlo e qualcosa nei suoi occhi mi dice che sa che non ha senso quello che sta dicendo.
«Ma non era molto verde nemmeno prima» Alza le spalle e finalmente interrompe il contatto visivo, così anch’io torno a concentrarmi su Elvendork.
«Comunque, sono contento che hai deciso di lasciare il compleanno di Remus e venire al mio» aggiunge dopo un po’ e di nuovo i miei occhi scattano su di lui.
«Prego?» Il mio sopracciglio si inarca e le mie mani si allontanano dal gatto pronte a rimarcare l’esistenza della barriera invisibile che mi protegge da lui.
«È inutile che agiti le mani, ora ti posso vedere: stai toccando Elvendork e lui al compleanno di Remus non c’è.» Potter sembra così soddisfatto della sua trovata.
«La barriera dei compleanni non funziona sugli animali, Potter» spiego ragionevole, con grande pazienza, perché dovrebbe essere ovvio. «Loro fanno quello che vogliono, soprattutto i gatti.»
Potter assottiglia gli occhi e mi scruta in silenzio, ma l’ho chiaramente messo con le spalle al muro perché non trova niente da ribattere.
Ritorno ad accarezzare Elvendork e per un po’ l’unico rumore è il chiacchiericcio lontano dei nostri compagni, poi Potter parla di nuovo. «Quindi sei sicura di non voler venire al mio compleanno?»
«Sicurissima» annuisco.
«Ok» Potter alza le spalle, indifferente. «Puoi comunque andare a conoscere Harold, se ti va. Si infila spesso nel cortiletto sul retro.»
«Harold?» chiedo perplessa.
«Harold» conferma Potter, senza aggiungere alcuna informazione, e subito dopo gira sui tacchi e sparisce, perché certo che se ne va nell’unico momento in cui voglio invece che rimanga e si spieghi.
Sono naturalmente tentata di alzarmi e fare uno scatto olimpionico verso il cortile sul retro. Non lo faccio, perché non sono stupida e questo è esattamente quello che Potter vuole: mi sta probabilmente spiando per guardare se vado subito nel cortile. Sarà così compiaciuto se lo farò. Ma se lo scorda, non gli darò la soddisfazione di mostrarmi incuriosita. Che mi importa poi di cosa diavolo è un Harold? Non è come se questo avesse una qualche influenza sulla mia vita.
Godric, devo assolutamente scoprire che cos’è un Harold o non riuscirò a dormire stanotte.
 
 

 
Alice continua a parlare e probabilmente sta anche dicendo cose divertenti, perché Frank e Remus stanno ridendo di gusto, ma io non riesco davvero a cogliere il senso delle sue parole, impegnata come sono a lanciare occhiate al giardino e aggiungere man mano pezzi all’immaginaria planimetria della casa che sto tracciando nella mia mente.
Potter è a diversi metri da me, impegnato a litigarsi una fetta di torta con Black, che sembra volere a tutti i costi quella nel suo piatto nonostante la torta intera sia lì di fianco, e sono abbastanza sicura che non mi stia prestando attenzione in questo momento. Se anche stesse monitorando le mie mosse, come sicuramente sta facendo, per cogliermi in fallo, sono abbastanza sicura di poter raggiungere il cortile sul retro e tornare qui prima che lui si rassegni a cedere la sua fetta a Black.
«Scusate, vado un attimo in bagno» annuncio a bassa voce prima di dileguarmi.   
 
 
 
 
Il cuore mi batte veloce nel petto mentre mi dirigo lentamente verso la porta che dà sul cortile, lanciandomi occhiate circospette attorno. Ho  paura che Harold sia Black travestito da qualcosa. La porta cigola mentre la spingo lentamente, creandomi una fessura appena sufficiente a sgusciare fuori. Che razza di animale può chiamarsi Harold? Sarà qualcosa di grottesco, un esperimento mal riuscito di fusione tra un rospo e un fuoco d’artificio. Forse è pericoloso. Mi morderà e mi attaccherà una malattia.
O forse, realizzo guardandomi attorno nel cortile completamente vuoto, forse Harold non esiste ed io sono appena stata fottuta da Potter senza neppure essere andata al suo compleanno.
Sarà sicuramente qui da qualche parte nascosto pronto a ridere di me.
Presto, agisci Lily, trova qualcosa da fare che giustifichi la tua presenza in questo cortile e che non c’entri nulla con l’inesistente Harold.
Automaticamente mi chino a raccogliere un filo d’erba e me lo piazzo in bocca.
Non è una cosa particolarmente dignitosa da fare, ma far pensare a Potter che ho una segreta ossessione per i fili d’erba e che è solo per mangiarne un po’ in solitudine se sono venuta qui è sempre meglio che dargli la soddisfazione di essere cascata nel suo tranello.
Poi sento uno scricchiolio d’erba e lo vedo avvicinarsi al cancelletto socchiuso.
Solo che non è Potter venuto a ridere di me e non è nemmeno un grottesco animale dalla natura indefinita.
È una delle creature più maestose e aggraziate che io abbia mai visto e mi incanto a osservarla.
L’erba soffice si piega in silenzio sotto il peso degli zoccoli scuri ed io smetto di respirare, cercando di restare completamente immobile per non spaventarlo mentre fa il primo passo all’interno del cortile, il sole che gli colora riflessi dorati sul manto marrone intenso e le corna ramificate che si stagliano maestose contro il cielo azzurro.
Non so cosa sia esattamente a trascinare le mie gambe, se il fatto che è la prima volta che ne vedo uno da vicino o quegli occhi nocciola così strani e per nulla spaventati che sono puntati nei miei da prima ancora che entrasse, ma senza averlo veramente deciso mi ritrovo dall’altro lato del cortile, le dita che si sollevano piano di fronte al muso del cervo. Sento il suo  fiato umido e caldo solleticarmi il palmo della mano mentre la annusa brevemente, prima di rialzare fiero la testa, gli intrecci ramificati delle corna chiarissime, quasi bianche, a disegnare trame ancora più splendide ora che sono così vicina.
Lentamente avvicino la mano al collo del cervo, lì dove la pelliccia è leggermente più folta e scura, quasi come una piccola criniera, e quando non fa cenno di spostarsi sfioro leggermente il pelo, accarezzandolo da prima sfiorandolo appena e poi con più sicurezza.
Non so perché mi renda così felice il fatto che non sia scappato e che paia fidarsi di me, quando probabilmente è solo perché Potter ci ha già fatto amicizia e lo ha abituato al contatto umano, ma una sottile eccitazione mi percorre le vene mentre il cervo mi gira attorno e cerca di nuovo le mie dita nel momento stesso in cui abbasso la mano, lasciandomi una scia umida con la lingua ruvida e calda.
Non è nulla di simile ad accarezzare un gatto o un cane, il manto del cervo è ispido e spesso sotto i miei polpastrelli e la lentezza e fierezza con cui si muove non mi ispirano gli stessi versi imbarazzanti che mi sono usciti di fronte ad Elvendork, ed io non ho alcuna fretta di tornare alla festa. C’è qualcosa di magico ed estraniante in tutta la situazione e il vociare proveniente dall’interno si fa sempre più distante alle mire orecchie, come se fossi in un’altra dimensione. Resterei qui fino a sera, ma per qualche motivo non riesco a sopportare l’idea di che Potter possa piombare qui all’improvviso per gongolare, iniziando a giocare col cervo e bucando la mia bolla di irrealtà. Quando mi costringo a rientrare in casa e le voci di tutti si fanno nuovamente strada nelle mie orecchie è come svegliarmi da un sogno ad occhi aperti. 
 
 
 
 
«Perché hai dato un nome così ridicolo a una creatura così bella?»
Potter non mi ha sentita arrivargli alle spalle e dopo essersi voltato mi fissa spiazzato per qualche secondo, gli occhi nocciola, resi ancora più chiari dal sole insolito, allargati dietro le lenti degli occhiali. Poi pare riprendersi e si stringe nelle spalle con uno strano mezzo sorriso, quasi imbarazzato. Bizzarro.
«Come hai detto tu, è già bello di suo, non ha bisogno di avere anche un bel nome» dice ed io trattengo uno sbuffo divertito. Elvendork, Harold... perché la gente permette ancora a questo ragazzo di battezzare esseri viventi?
«E che ci fa un cervo nel tuo cortile?» indago attenta, perché ci dev’essere un motivo se queste cose accadono sempre agli altri e mai a me, forse sono io che sbaglio qualcosa. Voglio dire, c’entra probabilmente anche la storia di vivere a Privet Drive dove l’unica macchia di verde è data dalle aiuole della signora Jenkins, che non sono neppure così verdi a dirla tutta, ma resta un’ingiustizia che Potter abbia un cervo meraviglioso che gli viene a fare visita in cortile mentre il massimo che ho io è la cacca del cane del vicino che ha scambiato il nostro giardino per il suo bagno privato.
«È mio amico, ogni tanto mi viene a trovare» Sta dicendo Potter, vago. Poi piega le labbra nel suo solito sorrisetto presuntuoso e mi strizza l’occhiolino. “Tra creature bellissime ci si intende, Evans.” Faccio appena in tempo a roteare gli occhi al cielo che subito ha un lampo di sincerità. «Lo compro col cibo» ammette ed io ricordo improvvisamente di essere stata molto maleducata verso Harold, a non offrirgli assolutamente nulla, neppure il filo d’erba che avevo in bocca, ma mi sento anche stranamente appagata perché ah! Io non ho dovuto comprarmelo il suo affetto. Se solo il mio successo generale nella vita dipendesse da quanto mi amano gli animali –quelli altrui, perché la mia gatta ancora mi ritiene poco più che una conoscente – allora sarei già Ministro della Magia.
«Beh, trattalo bene» concludo in fretta prima di girare sui tacchi, prima che anche Potter realizzi quello che ho appena notato io, ovvero il buco appena creatosi nella barriera dei compleanni. Raggiungo Alice in fretta senza voltarmi indietro, perché se nessuno lo va più a stuzzicare il buco si richiuderà in pochi secondi, e perché Alice è vicino a un sacco di cibo.  
Oh, c’è anche Remus. Chissà se lui sa del cervo.
Mi riempio la bocca di patatine e subito inizio a masticare in fretta perché sento la frenesia di raccontare subito a qualcuno del mio incontro nel cortile e di come il cervo si sia fidato subito di me senza che dovessi neppure offrirgli del cibo, il che è chiaramente prova di grandi qualità intrinseche nella mia persona visibili solo agli occhi misteriosi e profondi dei cervi, eccetto che nel momento in cui mando giù tutte le patatine, immediatamente ne afferro un’altra manciata, tappandomi di nuovo la bocca perché, realizzo all’improvviso, provo un’eccitazione bizzarra al pensiero di mantenere l’incontro col cervo segreto. Qualcosa di mio e basta. E, beh, Potter che lo sa già naturalmente, ma Potter non conta, dato che è palese come non capisca nemmeno per sbaglio l’importanza di avere una creatura così bella e sfuggente che si lascia accarezzare, o altrimenti non l’avrebbe chiamato Harold. 
 
 


 
«Stavo pensando» Potter se n’è andato ridendo e chiacchierando di gruppetto in gruppetto fino ad ora, lanciandomi solo qualche occhiata furba da lontano, ma senza mai tentare di fare irruzione oltre la fessura nella barriera, almeno fino ad ora. «La panchina su cui è seduto Frank di che compleanno fa parte?»
Subito mi volto a cercare Frank con gli occhi, trovandolo pacificamente abbandonato su una panchina vicino al limitare del giardino, le mani inerti sulla pancia dove ho visto entrare più torta di quanta dovrebbe essere umanamente possibile. Osservando meglio, il suo sguardo è più rassegnato che pacifico in effetti: deve aver accettato di aver perso la capacità di alzarsi. Spero che Potter gli porti almeno una coperta questa notte.  
«Beh, Frank è venuto ad entrambi i compleanni» rifletto. «Quindi per lui la panchina fa parte di entrambi. Se mi ci sedessi io vorrebbe dire che è al compleanno di Remus.»
Potter mi fissa scettica, scuotendo la testa.
«Non ha senso, è una panchina. Non può cambiare a seconda di chi ci si siede.»
«Il compleanno è negli occhi di chi guarda, Potter» ribatto sentendomi molto filosofica e soddisfatta della mia risposta per circa cinque secondi, prima di pentirmene, perché non ha molto senso. Ha un’efficacia tuttavia, perché Potter mi fissa in silenzio per un po’, evidentemente schiacciato dalla mia logica. Poi riprende a parlare, lentamente, ed è chiaro che sta tramando qualcosa.
«Quindi tu sostieni che se ora ci sedessimo entrambi su quella panchina, continueremmo a non essere allo stesso compleanno?»
«Esatto» annuisco.
«Secondo me invece verresti risucchiata nel mio, alta definizione e tutto.»
«Ridicolo.»
Potter ghigna. «Provalo.»
Inarco un sopracciglio, senza muovermi. Lui si dirige deciso verso la panchina, si lascia cadere accanto a Frank e poi si volta a guardarmi con aspettativa, chiaramente ignaro che può anche aspettare in eterno per quel che mi riguarda.
«Beh, Evans?» Alza la voce allegro. «Vieni o hai paura che questa panchina mi darà ragione?»
Le mie gambe avevano già iniziato a muoversi alla parola paura e così quando Potter finisce di parlare il mio culo è già accanto al suo. Subito gli lancio un’occhiata trionfante.
«Sono ancora al compleanno di Remus, Potter, come volevasi dimostrare.»
Soddisfatta, faccio per alzarmi, ma lui mi appoggia una mano sul braccio.
«Aspetta. Forse serve del tempo per fare il passaggio da un compleanno all’altro» dice in fretta. «Proviamo a restare qui per, non so, diciamo mezz’ora.»
Io lo guardo eloquente. «Potter.»
Lui sorride colpevole.
«Ok» annuisce. «Aspetta qui allora.» E prima che io possa ribattere è sparito dentro casa.
È il momento perfetto per andarmene. Non devo davvero aspettare qui, non ho detto che l’avrei fatto, non è colpa mia se ora lui tornerà qui aspettandosi di trovarmi. Non è come se avessimo un appuntamento o qualcosa del genere. Se avessimo un appuntamento, a dirla tutta, sarebbe solo un ulteriore spinta ad alzarmi immediatamente.
Mentre il mio culo continua a non allontanarsi dalla panchina, mi esce un sospiro frustrato dalle labbra. Che fatica comportarsi da adulti. 
Potter si rimaterializza di fronte a me porgendomi un foglietto giallo e spiegazzato, emanando soddisfazione da ogni poro. È chiaro che qualunque cosa sia si sente molto astuto per averla fatta.
«Che cos’è?» chiedo prendendo cautamente il foglietto tra le mani.  
«L’invito al mio compleanno» mi annuncia orgoglioso, come se scarabocchiare in tre secondi su un post-it fosse stata questa geniale trovata. «Remus non si offenderà se vieni, anche lui è in realtà più al mio compleanno che al suo.»
«Non posso venire al tuo compleanno, Potter» sospiro.
Potter mi guarda confuso, come se davvero non ne avesse idea. «Perché no?»
«Innanzitutto sarei in ritardo e non mi piace arrivare in ritardo ai compleanni, è da maleducati.»
Potter alza le spalle, incurante. «Sono tutti maleducati al mio compleanno, non importa. Guarda Sirius per esempio, ha uno scolapasta in testa.»
I miei occhi seguono la direzione dei suoi e Black sta effettivamente indossando uno scolapasta, constato. Nessuna delle persone con cui sta parlando sembra turbata dalla cosa. Resto a fissare il tutto perplessa per diversi secondi, aspettando un eventuale plot twist in cui almeno uno dei conversanti decida di prendere improvvisamente atto dello scolapasta, ma sento di nuovo lo sguardo di Potter su di me e così riporto gli occhi a lui.
«E non ho portato il regalo.»
Potter si stringe nuovamente nelle spalle, senza staccare gli occhi dai miei. «Puoi prenderne uno dalla pila e fingere che sia tuo.»
«E non siamo amici, Potter» aggiungo ed è bizzarra, la nota imbarazzata che mi vena la voce, come se fosse una colpa o una novità quella che gli sto comunicando e non l’ovvietà ben nota ad entrambi da ormai sei anni. «Ti sopporto a malapena, non ha senso che io venga.»
Potter non fa una piega e continua a guardarmi con espressione indecifrabile per un po’, senza dire nulla. Un attimo prima che il silenzio diventi imbarazzante, alza le spalle.
«Ok, Evans» dice quasi distrattamente, gli occhi che corrono con nonchalance alle mie spalle, verso i nostri compagni. «Se cambi idea, sarò al mio compleanno.»
Di nuovo si allontana senza lasciarmi il tempo di ribattere, non che avrei avuto qualcosa da dirgli ora, anche se fosse rimasto. Il silenzio avvolge me e la mia panchina ed io resto seduta a fissare l’erba curate e ormai scura sotto le mie scarpe, ora che il breve sole di prima è stato sostituito dall’indaco spento del tardo pomeriggio.
«Non sono sicuro che sia regolamentare, Lily.»
L’unico motivo per cui il mio cuore non fa un triplo salto mortale fuori dal mio petto, quando la voce di Frank spezza improvvisamente il silenzio, è che una minuscola parte di me era al corrente, in maniera del tutto inconscia, della sua presenza ancora sulla panchina, nonostante la parte lucida di me l’avesse rimossa.
«Che cosa?» chiedo voltandomi e trovando che sì, Frank è proprio qui sulla panchina, esattamente com’è stato da prima che io e Potter ci sedessimo accanto a lui.
«Quello che hai fatto» risponde laconico, procurandomi immediatamente un’ondata d’ansia ai lati del collo.
«Cosa ho fatto?» chiedo agitata, il che è ridicolo visto che so di non avere fatto assolutamente nulla, ma tra tutte le persone Frank è l’ultima che voglio pensi che io abbia fatto qualcosa, perché lui è sempre così pacato e pacifico che quando punta il dito contro qualcuno do per scontato che abbia ragione e che il qualcuno meriti di avere dita puntate contro o persino infilate negli occhi, anche quando il qualcuno sono io. Cosa sto facendo della mia vita se mi sono attirata il biasimo di Frank?
«Rifiutare un invito a un compleanno durante il compleanno stesso» mi illumina infine Frank ed io lo osservo corrucciata. Oh, è questo che ho fatto per meritare la sua disapprovazione dunque?
«Non penso che ci siano delle tempistiche per rifiutare un invito al compleanno di qualcuno che non è tuo amico» replico ragionevole, perché ora che so cosa ho fatto, mi è più facile rassicurarmi di non avere in realtà fatto nulla.  
«Ma ci sono regole su cosa si può dire durante un compleanno» continua Frank, pacato ma deciso, ed io aggrotto la fronte. «Quel tempo tra l’inizio e la fine della festa dovrebbe essere quello in cui al festeggiato si può dire solo sì. È per questo che Sirius ha uno scolapasta in testa ora.»
 «A me sembra che gli piaccia in realtà» sottolineo osservando Black essere così chiaramente a suo agio nel suo copricapo di plastica gialla.    
«Sì, anche a me» conviene Frank, lanciandogli a sua volta un’occhiata perplessa. «Ma non è questo il punto. Il punto è che rifiutando un invito durante un compleanno potresti potenzialmente peggiorare il compleanno stesso, non trovi?»
«Oh, andiamo, Frank, Potter non si rovinerà il compleanno perché io gli ho detto di no» sbuffo scettica, chiedendomi se sia il caso o meno di introdurlo al concetto dell’aspirapolvere. «Non siamo nemmeno amici, come sai benissimo, mi gironzola attorno per abitudine.»
Mi aspetto che Frank capisca e annuisca, concordando con me, o che insista nella sua idea e ribatta, ma lui non fa nessuna delle due cose. Se ne sta lì a fissarmi in silenzio e basta.
«Frank?» lo chiamo incerta, a disagio. Lui non fa una piega e credo che non stia nemmeno sbattendo gli occhi per non interrompere il contatto visivo.
«Frank?» ritento confusa e poi la realizzazione mi colpisce improvvisa. «Mi stai giudicando?»
Frank non muove un muscolo ed io spalanco gli occhi, terrificata da questa svolta imprevista degli eventi. Il mio cervello si affanna freneticamente per trovare una soluzione immediata alla faccenda, ma Frank si alza e sempre senza dire una parola si allontana verso gli altri invitati, lentamente e camminando all’indietro per non interrompere il contatto visivo.
«Mi sta giudicando» mormoro sconvolta tra me e me.
 
 
***
 
Mi stavo giusto chiedendo dove fosse il mio ragazzo, quando lui mi viene a sbattere contro all’improvviso.
«Frank? Che fai?»
«Un attimo solo, Alice. Sto giudicando Lily da lontano.»
 
 


**********
 
«Ehy, Moony.» L’ennesimo gruppetto di invitati si è appena congedato, essendo che si è fatto tardi, ed io localizzo subito il mio amico in disparte in veranda a raccogliere cartacce e spostare sedie, in quella sua buffa convinzione di essere il responsabile delle pulizie sempre e in qualunque casa. «Hai già avvisato i tuoi che non torni stasera? Ti presto il mio gufo?»
«James, ti ho già detto che non resto qui a dormire.» Remus si distrae dalla sua opera di rassettaggio per lanciarmi un’occhiata ed io non posso fare a meno di notare di avergli appena involontariamente salvato la vita distraendolo: quella che spunta dalla scatola che Remus si stava chinando a raccogliere è chiaramente la coda di Elvendork e Remus si sarebbe fermato qui a dormire in eterno, sepolto sotto il melo di papà, se avesse anche solo sfiorato quella scatola.
«Okay Moony, come prima cosa, Elvendork è dentro quella scatola, quindi fai lentamente dieci passi indietro, niente movimenti bruschi» Remus spalanca gli occhi terrorizzato, portandoli subito sulla coda vaporosa di Elvendork che lo minaccia in silenzio dalla scatola di cartone: essendo il più raziocinante tra i miei amici, è sempre stato anche quello più spaventato dal mio gatto, nonostante sia Sirius quello con la cicatrice. «In secondo luogo certo che ti fermi a dormire, cos’è che devi fare a casa di più importante che passare del tempo con le persone che ami di più in tutto l’universo?»
«James, ci vedremo letteralmente settimana prossima a scuola» dice Remus come se questo influisse in qualche modo sul fatto che questa notte lui si fermerà a dormire qui.
«Remus» ribatto imitando il suo tono. «Peter resta, Sirius resta...»
«Sirius vive qui.»
«...io resto, restiamo tutti tranne te? Che senso ha? Da quando sono tre i Malandrini? Non possiamo restare in tre. Sarebbe un tradimento, sarebbe come dire che tu sei stato ufficialmente demalandrinizzato, non è fattibile: se tu non resti, non possono restare nemmeno Peter e Sirius, glielo dici t-»
«James, Sirius vive qui.»
«Un’occasione per dormire insieme tutti e quattro e tu vuoi semplicemente sprecarla cos-»
«Ho fatto il calcolo, sono più le volte che dormo con voi quattro che quelle in cui dormo a casa e non di poco, in un rapporto uno a-»
«Il calcolo!» sbotto oltraggiato, indietreggiando teatralmente con una mano sul cuore. «Ti sei messo a calcolare con quanta forza sputare sulla nostra amicizia? Hai calcolato in quanti frammenti esatti stai spezzando il mio cuor-»
«Oh Godric, va bene, prestami il tuo gufo che avviso i miei genitori.»
«È di sopra in camera mia» sorrido smagliante. «Dillo prima a Sirius però, deve bloccare il piano prima che parta o non potremo salvarti.»
Remus si congela sul posto. 
«Quale piano, James?» chiede lentamente con quel suo tono che implica silenziosamente che non vuole davvero sapere le cose su cui fa domande.
«C’era un piano per costringerti a rimanere ovviamente» spiego alzando le spalle, perché che Remus non lo avesse previsto è ridicolo. «Ma non ha importanza ora, però corri ad avvisare Sirius, davvero, o sarà doloroso. Del tipo, fisicamente doloroso.»
Remus spalanca gli occhi.  «James, che diavolo avevate intenzione di-sai cosa, non dirmelo, dove si è cacciato Sirius?»
«Soffitta.» Remus mi lancia un’ultima occhiata sospettosa alla precisione della mia risposta e poi si allontana a passo svelto.
«Se incontri Peter abbassati e grida bandiera bianca!» gli urlo dietro, mentre qualcuno si schiarisce rumorosamente la gola dietro di me. Io mi volto ed Evans è  lì che mi fissa determinata.
«Scusa per il ritardo, Potter» dice ed io la guardo perso.
«Cosa?»
«Buon compleanno» continua lei ignorando la mia confusione.
«Buon...» ripeto perplesso, prima di illuminarmi. «Oh. Sei al mio compleanno?»
«Sì, ho deciso di fare un salto, per vedere che aria tira.» Si stringe nelle spalle, casuale.
«Quindi sei qui. Posso vederti? Alta definizione e tutto?»
Evans annuisce, senza guardarmi negli occhi. «Così pare.»
«Niente barriera?» chiedo sollevando una mano di fronte a me come a tastare l’aria.
«Niente barriera» conferma lei e pare più spiazzata di me quando finalmente incontra i miei occhi. Vorrei avere un piano ora, una mossa astuta da compiere o qualcosa del genere, perché è da ore che provo ad abbattere la barriera dei compleanni ed ora che non c’è mi sento come se lei fosse entrata all’improvviso in bagno mentre io, completamente nudo, mi apprestavo ad entrare in doccia.
Ci fissiamo in silenzio ad occhi spalancati e vagamente nel panico per diversi secondi, prima che lei si schiarisca la gola.
«Beh, ora devo andare.»
«Ok» dico subito e già inizio a scrivere mentalmente la lettera di licenziamento per le mie corde vocali perché la mia voce non è così stridula di solito. «Grazie di essere venuta.»
«Di nulla, Potter» dice e fa per andarsene, solo per poi voltarsi di nuovo e porgermi un elastico per capelli che si sfila dal polso.
«Questo è il mio regalo. Non l’ho rubato a nessuno» annuncia, mentre io osservo l’elastico rosa tra le sue dita. «Lo puoi usare come una minifionda per lanciare le cose o per colpire le persone negli occhi, così.» Subito lo tende con le dita, a riprova delle sue parole, ed è una dimostrazione molto efficace dei possibili utilizzi dell’elastico fino a quando non le scivola dal dito e parte a velocità disumana contro il mio occhio, passando sotto la lente e distruggendomi per sempre la pupilla. «Ouch.»
«Scusa» dice subito, senza suonare particolarmente dispiaciuta. Non escluderei che l’abbia fatto apposta. «Beh, ora sai come funziona. Buonanotte.»
Risponderei, ma il mio unico occhio funzionante mi informa che se n’è già andata.
Sorridendo mi chino a raccogliere l’elastico.
 
 
 
 

«Sirius, non ci crederai mai, Evans è venuta al mio compleanno.»
«Lo so, James, è stata qui tutta la sera.»
«No, intendo, ci è venuta davvero. Non al compleanno di Remus, al mio! Mi ha fatto gli auguri e mi ha colpito nell’occhio con questo elastico.»
«È fantastico, James.» Sirius mi strappa l’elastico dalle mani ed un secondo dopo mi entra di nuovo nell’occhio alla velocità della luce. «Coglione» sento concludere Sirius mentre mi accascio a terra per il dolore e per recuperare il mio regalo.
È a quel punto che lo noto, seppure con la visuale dimezzata.
«Perché Remus è a terra svenuto?»
«Il piano era già partito.»
«Oh.»
«Già.»
 

«Credo che Evans mangi l’erba.»






 



 
 
 
 
 







 
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...Fosse stato solo per me il trentaduesimo capitolo non avrebbe mai visto la luce e ci saremmo fermati allo scorso e non vi sareste trovati con “credo che Evans mangi l’erba” come finale di CAS, però poi come sapete mi avete colta alla sprovvista con tutti i vostri commenti e mi avete fatto venire nostalgia e ispirazione e il mezzo capitolo che era lì da eoni si è magicamente finito da solo. E quindi Evans mangia l’erba, che tanto non è che ha senso fare i fighi nei finali voglio dire, è anticlimatico al massimo ma è completamente in linea con il nonsense generale che è sempre stata CAS.
(O molto più semplicemente non essendo mai stato pensato come ultimissimo capitolo  non ho voluto scriverlo come tale, che non mi andava di buttarmi in flashforward e voli simbolici per mascherarlo da finale di qualcosa che era a malapena iniziato).
Non voglio dilungarmi perché credo (spero) di avervi già fatto capire negli ultimi capitoli quanto io sia grata per il vostro amore per questa storia, e credetemi, non l’ho mai dato per scontato, anche se sono awkward as fuck e non lo so esprimere bene a parole e senza sarcasmo ma insomma grazie. Ad ognuno di voi. 
Anche a chi sta scorrendo questi noiosi blabla solo per arrivare alla risposta alla domanda ‘ma il capitolo 33 quindi esisterà mai o no?’ Quando ho ricominciato a postare sarebbe stato un no al cento per cento, lo era, ve lo avevo già detto, dopo la facilità con cui mi avete contagiato con il vostro entusiasmo e ritrascinato nel fandom e in CAS anche solo il tempo di una notte per finire questo capitolo faccio fatica a dire no con la stessa sicurezza. Lo dico comunque eh, però in modo un po’ meno sicuro.
Un po’ come Lily quando dice di non sopportare James.
 
*malandrina out*
 

 

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