Fukai Mori

di xingchan
(/viewuser.php?uid=219348)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A piedi nudi ***
Capitolo 2: *** A piccoli passi ***
Capitolo 3: *** Pianto ***
Capitolo 4: *** Jukai ***
Capitolo 5: *** Espiazione ***
Capitolo 6: *** Finché non si chiudono gli occhi ***
Capitolo 7: *** Odore di donna ***
Capitolo 8: *** Il fiore demoniaco ***
Capitolo 9: *** Umana, troppo umana ***



Capitolo 1
*** A piedi nudi ***



A piedi nudi



Il demone era gigantesco, più di molti altri che Rin avesse mai visto nella sua intensa vita. Le sue sembianze ricordavano un serpente, con una enorme bocca che sparava un veleno mortale, verde e vischioso.
"Rin, dritta al cuore!"
"Sì!"
In groppa al suo fedele drago a due teste Ah-Uhn, la ragazza estrasse una freccia della sua faretra e con poche e rapide mosse esperte la incoccò al suo arco, mentre la voce risoluta di Kagome saettò nella sua mente.
Prendi la mira. E scaglia.
La scagliò non appena prese bene la mira alla fronte del demone. Gli unici freni alla sua forza dirompente erano le catene dell'equipaggiamento di Kohaku e le sue lame appuntite conficcate nella testa del demone.
Si udì un grido stridulo che da assordante diventava sempre più debole, mentre la carcassa si schiantava a terra con un tonfo sordo.
Dopo molte ore di buio causato dalla pesante aura demoniaca dell'essere appena abbattuto, il cielo ritornò sereno e limpido come uno specchio.
"Bravissima!"
Kohaku e Kirara si avvicinarono a Rin e ad Ah-Uhn per complimentarsi, ma il giovane sterminatore improvvisamente fece una smorfia, guardandosi per un secondo la gamba. Mentre rimetteva a tracolla il suo arco, involontariamente Rin indirizzò gli occhi proprio dove li aveva posati il ragazzo, e solo allora si rese conto che il suo amico aveva uno squarcio sulla pelle, appena sotto il ginocchio, che perdeva copiosamente sangue.
"Kohaku!"
Una volta a terra, la giovane scese dalla sua cavalcatura stando ben attenta a non inciampare nel kimono. Afferrò una borraccia, alcune erbe e delle strisce di stoffa dalle bisacce della sella di Ah-Uhn e corse da Kohaku, mentre Kirara era intenta a leccare piano la ferita del padrone. Non appena la vide arrivare, la gatta si accucciò limitandosi a coccolare Kohaku come avrebbe fatto con un cucciolo.
Rin pulì e disinfettò la ferita di Kohaku con delicatezza, e la bendò stretta. Il sangue continuava a scorrere macchiando il tessuto, ma oramai si sarebbe fermato a breve.
"Dovresti andare a casa da Sango e Miroku" propose lei con uno sguardo preoccupato. "E riposarti come si deve."
"No, meglio di no" ribatté lui. "Sango potrebbe darsi pena per niente, e ho ancora..."
"No!" esclamò Rin con forza. "Tu ora ritorni al villaggio con me, e riposi quella dannata gamba!"
Kohaku la fissò dritta negli occhi, con una espressione sorpresa; e la rabbia di lei la abbandonò così come le era venuta, rilassando i lineamenti del suo viso e assumendo un'espressione dispiaciuta.
In tutti quegli anni passati al villaggio di Musashi, Rin non aveva mai visto Kohaku far visita a Sango e alla sua famiglia, neanche una volta.
Le uniche e sporadiche volte che la donna riusciva a vedere suo fratello minore erano quando tornava per parlare con Totosai a proposito di nuove armi sempre più efficaci, quando si fermava alla capanna di Kaede per prendere alcuni unguenti e veleni e quando i suoi nipoti gli correvano dietro per poterlo fermare con le loro manine ed avere dei resoconti sulle sue avventure. Ma Sango non aveva mai occasione di stare con lui e di parlargli per più di pochi secondi, e Rin aveva sempre confidato nel fatto che ci sarebbe stata l'occasione per metterli insieme nello stesso luogo per almeno un giorno.
Sebbene non delle migliori, quella era un'occasione perfetta per costringerlo a stare da Sango, ma sembrava che Kohaku volesse stare lontano dalla sorella maggiore il più possibile.
"Perché non vuoi mai tornare da Sango?" chiese poi, con voce incrinata. Era da tempo che voleva chiederglielo, e ora finalmente lo aveva fatto.
"Rin, è complicato per me."
Kohaku abbassò lo sguardo, determinato a non incontrare il suo; e forse, pensò Rin, determinato a chiudere lì quella conversazione tanto attesa quanto inaspettata.
"Ho la brutta sensazione che la mia presenza le faccia riaffiorare ricordi spiacevoli..."
La ragazza si rabbuiò all'istante.
"In quel momento era posseduto, ma credo che in cuor suo non si capaciti di ciò che ha fatto come se li avesse uccisi deliberatamente."
Ricordava bene la sera in cui il monaco Miroku le aveva spiegato pazientemente ciò che era successo, non omettendole assolutamente nessuno dei tantissimi dettagli che avevano costellato la loro triste storia.
Il senso di colpa per aver ucciso suo padre e i suoi compagni sterminatori non l'avrebbe mai lasciato, di questo Rin era più che sicura. Ma questo non doveva impedirgli di avere un rapporto sereno con Sango. Anche perché la donna aveva accantonato tutto l'accaduto proprio per permettergli di andare avanti.
"Ma no, che stai dicendo?" ribatté la ragazza decisa. "Sango sarà felic..."
La conversazione fu interrotta bruscamente da un urlo di una donna anziana. Rin si voltò repentinamente in direzione del grido, a pochi passi da loro, osservando con sgomento una bambina a terra prona, che non si muoveva, mentre alcune persone - probabilmente membri della sua famiglia - accorrevano sul suo corpicino.
Il demone appena ucciso inaspettatamente aveva tolto la vita a quella bambina con un getto del suo potente veleno, perché le sue gambe erano completamente ricoperte di quella sostanza ributtante.
"Oh, no!"
Come se il suo cervello rispondesse meccanicamente all'esclamazione affranta di Kohaku, Rin si portò una mano alla bocca per arginare un gemito di dolore, come se quella ragazzina appartenesse a lei. O peggio, che fosse lei stessa, anni addietro, prima che Sesshomaru la riportasse in vita.
No, no!
La ragazza andò nella più completa confusione, tentando invano di coprirsi il viso con le mani per schermarsi dall'orrore che si stava consumando davanti a lei.
Improvvisamente dalla sua posizione ancora accovacciata perse l'equilibrio per il tumulto nella sua testa, e per poter far leva sul terreno portò accidentalmente la mano su un'elsa.
Inizialmente non capì. Non portava spade con sé solo il suo arco, lo stesso che le aveva regalato Kagome dopo che lei le aveva soltanto chiesto se potesse esercitarsi un po'. Poi in un lampo comprese.
Tenseiga.
Dopo aver constatato per alcuni anni che oltre al Meido Zangetsuha Tenseiga non offriva nessuna tecnica che potesse dargli la possibilità di rivaleggiare con altri sul campo di battaglia, Sesshomaru aveva deciso che Tenseiga aveva finito il suo compito, così come aveva stabilito suo padre Inu no Taisho. Così aveva preferito concentrarsi nel perfezionamento delle tecniche della sua Bakusaiga, lasciando la spada a Kaede.
D'altronde, cosa poteva fare di male una spada guaritrice in un villaggio di umani?
E poi, aveva già provato ad abbandonarla, in passato.
Lei era l'unica che trovasse Tenseiga utile al suo scopo originario, l'unica che trovasse quella spada qualcosa di estremamente prezioso, proprio per la sua unicità.
E infine aveva deciso di portarla con sé nelle missioni con Kohaku. Non credeva di essere in grado di usarla, ma il fabbro Totosai era stato chiaro: chiunque poteva brandirla.
Afferrò tremante l'impugnatura di Tenseiga e si alzò con lentezza, come se avesse paura di lasciarla cadere. Si avvicinò piano alla piccola folla piangente che si era radunata attorno al piccolo cadavere e con voce atona, come quella di un fantasma, chiese di poter passare. Le persone formarono un piccolo varco, ed oltre quello Rin li vide, attorniati dal buio della morte, quelli che avrebbero portato la bambina nel regno dei morti. Erano piccoli quanto lo era Jaken, e con le loro armi stavano martoriando ancora di più la piccola.
Devo... tagliarli?
Senza attendere una risposta li colpì con la lama, vedendoli poi svanire nell'aria.
Davanti ai suoi occhi ritornò il giorno, e Rin si sentì come se si fosse risvegliata da un lungo sonno.
Per un attimo le sembrò di vedere il volto niveo di Sesshomaru come la prima volta, e in sottofondo le parole di Jaken che non capendo il gesto del suo padrone gli chiedeva con voce incredula cosa avesse fatto, nonostante avesse assistito all'accaduto con i suoi stessi occhi.
"Avete riportato in vita quella bambina?"
Osservò stordita la bambina che si tirava in piedi a fatica fra lo stupore dei presenti, e la donna anziana che prima aveva urlato soccorrerla, aiutandola a sedersi. Ma la bambina sembrava non ascoltarla, anzi. Tentava con tutte le sue forze di voltarsi verso di lei, a cui ora erano indirizzati dei ringraziamenti calorosi. La piccola aveva gli occhi scuri come Rin, e la guardava come lei tanto tempo prima aveva guardato il principe dei demoni: con un'espressione non facile da definire, quasi con venerazione.
Allora... è così che Sesshomaru ha fatto con me?
Mentre lei riponeva Tenseiga nel suo fodero con cura quasi maniacale, Kohaku la raggiunse alle spalle, seppure a fatica, e le posò una mano sulla spalla facendole intendere che approvava pienamente ciò che aveva fatto.
"Vi pagheremo anche per questo!" informò il capo villaggio, sorridente.
"No, non è necessario" replicò Rin imbarazzata. "Non c'è un prezzo, per questo genere di cose."
"Ah, non c'è problema" disse l'uomo, mettendole rudemente in mano un sacchetto di soldi. "Siete dei salvatori, ragazzi. Il mondo ha bisogno di gente come voi."
"Signorina?"
Rin gettò lo sguardo verso chi aveva parlato, era la bambina. Sorridente.
"Dimmi, piccola."
"Grazie mille."
Davanti a quella vocina, gli occhi di Rin si riempirono improvvisamente di lacrime. Si sentiva tremendamente felice, come se avesse finalmente fatto qualcosa per cui valesse la pena vivere.
"Forza!" disse Kohaku con entusiasmo. "Ritorniamo al nostro, di villaggio."
Rin si asciugò gli occhi, avviandosi dove aveva lasciato Ah-Uhn e abbracciò i loro lunghi colli come fosse uno solo, affondando il viso fra le due teste.
Era bello, era dannatamente bello tutto questo. Riportare in vita qualcuno aveva in sé un insieme travolgente di felicità e potenza, di poter fare qualcosa che agli altri era preclusa. L'unica cosa che stonava con quella sensazione idilliaca era che Sesshomaru non era con lei.
Ma sarebbe tornato presto, come faceva sempre. Non l'avrebbe mai dimenticata.
"Signor Sesshomaru, perché vuoi lasciarmi qui?"
Non voleva stare in quel posto, improvvisamente scoprì di odiare quel villaggio più di quello in cui aveva vissuto prima di seguirlo.
Quelle erano persone che avevano aiutato Sesshomaru a sconfiggere Naraku, era vero, ma non voleva separarsi da colui che l'aveva amata così tanto.
La guardò con i suoi grandi occhi dorati con quella che sembrava un'espressione malinconica, poi con la sua voce profonda disse una parola. O meglio, un nome.
"Ah-Uhn."
"Eh?"
"Prenditene cura, finché non farò ritorno. Puoi fare questo per me?"
La bambina comprese immediatamente cosa il demone volesse dire, e sul suo visino comparve un sorriso dopo tanti minuti di lacrime.
"Significa che tornerai?"
Il demone fece un cenno di assenso di rimando, ma per quanto fosse felice di sapere che sarebbe tornato presto da lei a Rin non bastava. Voleva stare sempre con lui, e con quel monello di Jaken, ma chissà cosa aveva detto la sacerdotessa per convincere il signor Sesshomaru a lasciarla indietro.
Era un grande punto interrogativo che la attanagliava ancora a distanza di tutto quel tempo, soprattutto quando, quasi per caso, di tanto in tanto si fermava a pensare a come sarebbe stata la sua vita fino a quel momento se fosse rimasta al fianco di Sesshomaru.
"Kaede è cattiva!"
"Non è cattiva, è solo una gran scocciatrice."
"Inuyasha! Tieni a freno quella linguaccia!"
"Beh, che c'è vecchia? Non ho forse detto la verità?"
Per quanto la reputasse la sola ed unica responsabile della sua separazione forzata da Sesshomaru, con il passare del tempo Rin si era affezionata a quella sacerdotessa sapiente e un po' burbera.
Quella notte, Inuyasha le permise di dormire aggrappata ai suoi capelli, perché entrambi sapevano che in quel momento si capivano più di chiunque altro: ad Inuyasha mancava tanto Kagome, e a lei mancava terribilmente Sesshomaru.
Prima che Kohaku potesse accorgersi del suo fermarsi e le chiedesse qualcosa di più, Rin si affrettò ad aiutarlo a salire in groppa a Kirara. E prese a canticchiare allegramente, di come una volta al villaggio di Musashi avrebbe chiuso a chiave Kohaku, e di come i figli di Miroku e Sango lo avrebbero reso oggetto dei loro giochi.
"Ah, non ci riusciranno stavolta."
"E' da vedere!" ridacchiò lei.
Sorvolarono velocemente la distanza che li separava dal loro villaggio. Anche se Rin si sentiva terribilmente stanca non osava fermarsi neanche un solo minuto: la ferita di Kohaku necessitava di cure che solo Kagome e Kaede erano in grado di darle. Per quanto le due sacerdotesse l'avessero istruita a dovere sulla vita e sulle conoscenze umane, aveva ancora molta strada da fare. Però era già in possesso di un bagaglio culturale enorme; anche perché oltre alla saggezza di Kaede si aggiungevano le conoscenze avanzate del mondo da cui Kagome proveniva. Ed erano cose che nessuno nell'era Sengoku sapeva.
Il pozzo mangiaossa si stagliò in mezzo al prato poco più di un giorno dopo, dando maggiore slancio al volo di Ah-Uhn e Kirara e sferzando con forza i suoi capelli e i lembi del suo kimono rosso scuro. L'ultimo regalo di Sesshomaru, dunque l'unico che avesse ancora addosso il suo odore. Rin non avrebbe mai eguagliato il fiuto sopraffino del principe dei demoni né quello di Inuyasha, ma poteva immaginare che, nascosto fra le pieghe dei kimono, ci fosse ancora il suo odore forte e muschiato, che non aveva niente di tutto ciò che detestava e tutto ciò che amava.
Le due cavalcature demoniache planarono verso la casetta di Kaede, e Rin balzò con agilità sul terreno dando la propria spalla a Kohaku.
"Ancora un piccolo sforzo Kohaku, siamo arrivati! Kaede!" chiamò la ragazza a gran voce "Kaede!"
La donna scostò la tenda di paglia della casa, accorrendo con quel poco di forze che le rimanevano.
"Kohaku è ferito" disse la ragazza, facendolo stendere dentro casa.
"Oh, non è niente!" disse il giovane sterminatore. "Solo un taglietto!"
"Un taglietto, eh?" replicò stizzita Rin.
"Gli hai medicato la ferita con le erbe che ti ho dato?"
"Sì, ma ha bisogno di una benda pulita."
Andarono fuori per prendere alcune piante essiccate, e mentre Rin camminava davanti a Kaede, la donna la riprese.
"Rin, dove sono i tuoi sandali?"
Non coprendendo bene cosa l'anziana donna volesse dirle, gettò subito un'occhiata ai suoi piedi, scoprendoli nudi.
Li aveva persi, un'altra volta. Trovandosi decisamente più a suo agio con i piedi scalzi, non aveva minimamente pensato di riporre i suoi sandali da qualche parte, finendo per lasciarli chissà dove.
"Ormai ho perso il conto dei sandali che ti ho fatto e che tu hai perso!" si lamentò la vecchia sacerdotessa.
Rin abbozzò un sorrisetto di scuse.
Inconsapevolmente Rin aveva conservato quell'abitudine che l'aveva accompagnata negli anni antecedenti allo stabilirsi al villaggio con Kaede e gli altri, dandole quel dettaglio dall'aria fortemente selvaggia che negli ultimi tempi stonava con il suo corpo di adulta coperto dai sontuosissimi kimono di Sesshomaru.
"E' che sono abituata ad essere scalza. Quando ero con Sesshomaru..."
"A proposito, Rin" la interruppe Kaede. "Sesshomaru è stato qui, cinque giorni fa."
Sesshomaru...
"Era qui?" chiese Rin in un sussurro.
Erano due anni che voleva vederlo, e quando finalmente aveva fatto ritorno da lei, lei non c'era, presa dalla foga di voler vedere il mondo oltre le casupole e gli orticelli tutti uguali degli abitanti. Rin era ormai grande, tuttavia Sesshomaru sembrava non decidersi mai a proporle di partire con lui.
Kaede le aveva spiegato che quei kimono significavano solo una cosa, che un giorno Sesshomaru, se lei avesse voluto, l'avrebbe portata con sé in qualità di sua compagna. Ricordava ancora che alla notizia che Sesshomaru le facesse visita e che le portasse doni degni di una principessa, una Kagome appena stabilitasi al villaggio aveva gridato dall'emozione.
La voce di Kaede però la riscosse dai suoi pensieri, trascinandola a terra.
"Inuyasha dice che il suo odore non è ancora sparito, quindi deve essere ancora nei paraggi."
"Davvero?"
Rin prese ad osservare il cielo azzurro screziato di nuvole, sperando di scorgere la figura altera di Sesshomaru che la cercava.
Ma niente. Di lui nemmeno l'ombra. E neanche Jaken si vedeva.
"Probabilmente se ne è già andato via..." disse la ragazza sconsolata. Cadde a sedere addossata allo stipite della porta di casa, pensando a quando era ancora bambina ed era in giro a raccogliere erbe medicinali con Kaede o ad aiutare qualche partoriente: talvolta Sesshomaru arrivava a portarle i suoi kimono per poi sparire subito dopo.
Quando lei tornava a casa e trovava un segno del suo passaggio, sapeva che lui era stato al villaggio, che era addirittura entrato in casa. Lasciava sempre il proprio kimono, sempre ai piedi del suo futon, come a dirle che lui era sempre lì, in attesa, a seguire la sua crescita e a rinnovarle la sua promessa di silente fedeltà con un gesto inequivocabile come quello.
Il suo cuore sussultava di gioia quando succedeva, non poteva negarlo. Ma avrebbe voluto che si fermasse a parlare con lei più spesso, dato che lo faceva di rado. Certo, lei non gli rendeva le cose facili: la prima cosa che faceva quando lui aveva la decenza di stare qualche giorno con lei era di tempestarlo di domande sui suoi ultimi viaggi senza quasi dargli il tempo di risponderle. Stare ferma in un solo posto le aveva provocato una sete inestinguibile di sapere di cosa succedesse là fuori, spenta solo almeno in parte con i viaggi di Kohaku.
La prossima volta cercherò di essere più discreta...
Intuendo che Rin era pensierosa, Ah-Uhn avvicinò i suoi musi per carezzarle la testa. Un segno di affetto e vicinanza come tanti espressi in anni e anni insieme, ma all'improvviso Ah-Uhn sbatté ritmicamente la coda a terra. Rin si riscosse: la stava invitando a salire sulla sella.
La giovane si stava ancora chiedendo per quale ragione la sua cavalcatura volesse che facesse questo, quando un'ombra macchiò il terreno antistante.
"Rin."
Una voce calda e tonante la chiamò, la stessa che avrebbe riconosciuto fra mille. Alzò gli occhi al cielo, riconoscendo la figura imponente di Sesshomaru che la guardava con un sorriso appena accennato.
Rin prese a tremare per l'eccitazione.
Sesshomaru era lì, davanti a lei, e stava sorridendo. E cosa più importante, non si era limitato ad arrivare e sparire. L'aveva aspettata.
Senza staccargli gli occhi di dosso, cercò con le mani le briglie di Ah-Uhn e salì di fretta e furia sul drago.





NDA
Sì, probabilmente è un inizio scontato. Ma anche se conosco Inuyasha dai tempi gloriosi di MTV sono approdata solo in questo paio di mesi sul fandom - praticamente quando ho ripreso in mano il manga e l'anime - e ho letto davvero poche ff in merito. Chi sa chi sono sa che per moltissimo tempo sono stata in pianta pressocché stabile nel fandom di Ranma e FullMetal Alchemist, anche se ultimamente ho scritto anche qui.
E niente, ho cominciato questa cosa. Ma è stato possibile soprattutto grazie al supporto di Napee, che è stata così gentile da rivedermi il primo capitolo e darmi un paio di dritte riguardo alla storia.
Prima di lasciarvi, ho due precisazioni da fare: la prima è che gli aggiornamenti forse non saranno puntuali. Ma i miei non lo sono mai.
La seconda riguarda la storia originale: per chi si sta chiedendo come acciderbola è possibile che Rin utilizzi Tenseiga, è Totosai stesso a dire che la può usare chiunque, sia nel manga che nell'anime. Ora chissà cosa intendeva xD
Fatto sta che sono partita proprio da questo presupposto. E ovviamente mi sono attaccata ad altro che si svelerà nel corso della ff.
A presto, credo.


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** A piccoli passi ***



A piccoli passi




Nel momento in cui si rese conto che la bambina umana aveva preso a sgambettargli al fianco dovunque andasse, Sesshomaru aveva cominciato inconsciamente a contare i giorni che si susseguivano, cosa che non aveva mai fatto prima di allora. Sapeva che per gli umani il tempo era qualcosa che dovevano calibrare, soppesare, definire; e crescere per quella piccola femmina orfana equivaleva a dover ponderare bene quel tempo a sua disposizione.
Perché lo affascinasse un cucciolo di quegli esseri umani che considerava cibo e niente più, non sapeva esattamente dirlo. Sesshomaru si limitava ad osservarla di sottecchi e a farle fare ciò che voleva, impedendo a Jaken di cacciarla via quando il kappa inveiva contro di lei.
"Tu, ragazzina! Va' via, se ci tieni alla vita!"
"Jaken, lasciala stare!"
Era quasi surreale sentire Jaken quasi minacciarla di morte, dal momento che il suo padrone aveva fatto l'esatto opposto. Ma la bambina era intelligente, e doveva averlo capito: lui era il demone maggiore, il piccolo kappa il suo non tanto umile servo. E se il primo le aveva ridato la vita e le permetteva di stare con lui, il secondo poteva anche sbraitare quanto voleva: era sempre il primo a decidere per tutti.
Invece di avere inviso quell'impertinente di Jaken, la bambina cominciò a fargli scherzi, a coinvolgerlo in giochi da umani, a chiamarli entrambi per nome. A darne al drago a due teste che gli fungeva da cavalcatura.
Già, forse era questa la cosa che lo stupì di lei: la capacità di passare sopra a tutti quei rimbrotti, di sorridere sempre come la prima volta, e di darsi tanto da fare per intrecciare dei fiori da regalare a Jaken, nonostante quest'ultimo la riprendesse in continuazione.
Rin non era un demone, era un essere umano. Ma era comunque ben lontana dall'essere simile a loro, perché gli esseri umani erano imperfetti. Troppi vizi, troppi difetti, troppa superbia immotivata.
Rin di difetti ne aveva davvero pochi, e gli aveva dato modo di comprendere appieno come ciò che lui aveva sempre reputato difetti in realtà non lo fossero affatto. La sua dolcezza e il suo altruismo insieme alla sua selvaggia determinazione avevano innescato una serie di scelte da parte di Sesshomaru che facevano parte di un frammento nascosto del suo animo che lui non sapeva neanche di avere.
Prima fra tutte, la compassione verso il cadavere inerte di una bambina umana che in vita si era rivelata diversa da chiunque. Una bambina umana che non aveva paura, che aveva insistito a prendersi cura di un demone nonostante lui rifiutasse il suo cibo umano e nonostante fosse ferita lei stessa.
Rin era unica. Unica fra gli esseri umani, e l'unica per Sesshomaru.
Pensava che Inuyasha avesse preso l'abitudine di stare in mezzo agli umani solo perché ciò fosse dettato da quella parte del suo sangue che non condivideva con lui. Ma non aveva tenuto in conto che anche lui, come Inuyasha, come suo padre, un giorno si sarebbe fatto carico di un essere umano, proteggendolo, amandolo perfino.
Perché aveva scoperto anche questo con Rin. Di avere un cuore; e quando aveva ripreso a viaggiare dopo averla lasciata al villaggio con la vecchia sacerdotessa inevitabilmente questo arrugginiva, ed il tempo diventava d'improvviso tremendamente lento e insopportabile.
Aveva ripreso a calpestare più spesso Jaken per dar modo ai suoi turbamenti di trovare sfogo e placarsi, ma solo quando ritornava al villaggio di Musashi con della stoffa o con un kimono già confezionato per lei riacquistava quella serenità che tanto agognava.
Sentiva l'odore di Rin nell'aria, fra le pareti della casetta della sacerdotessa Kaede, sul suo futon, e il cuore riprendeva a battere.
Nel frattempo, Rin era finalmente diventata una giovane donna.
Ne aveva assunto l'aspetto, e l'odore di bambina aveva ceduto il posto a quello di una adulta senza mutare drasticamente.
Appena due anni prima l'aveva vista da lontano, mentre raccoglieva delle erbe medicamentose discutendo vivacemente con Kaede su quali fossero le più fresche. Si prendeva l'onere di caricarsi sulle spalle la solita alta e pesante cesta di vimini colma di erbe e pezzi di corteccia d'albero, sorreggendo l'ormai anziana sacerdotessa dandole il braccio e incoraggiandola con il sorriso ad arrivare alla loro capanna prima che si scatenasse un temporale.
E in quegli istanti, nella mente di Sesshomaru passò la considerazione che Rin sembrasse essere diventata molto più paziente di lui, in quell'attesa. Negli ultimi anni appariva decisamente sempre più tranquilla e sempre più catturata dalle attività umane. Non era più la ragazzina spaventata dai suoi stessi simili di qualche anno prima e che a distanza di qualche mese gli chiedeva ancora con voce implorante di non lasciarla al villaggio.
"Portami con te."
"Non questa volta, Rin."
"Ma ho tredici anni, adesso!"
"Abbiamo tempo."
Durante le prime visite, in cui lui si fermava ad incontrarla più spesso per non farla sentire abbandonata, Rin stringeva a sé l'estremità della sua coda, e Sesshomaru poteva sentire distintamente l'odore della terribile mancanza che Rin aveva di lui. La stessa, identica sensazione di vuoto che provava il demone stando lontano da lei.
Però, non sarebbe stato esatto affermare che la volontà di Kaede di tenere Rin al villaggio non fosse almeno in parte condivisa da Sesshomaru.
Anche se a malincuore, si era reso conto che per il momento quella fosse la decisione migliore per Rin. La bambina era troppo legata alla dimensione demoniaca, preferendola di gran lunga a quella umana, per la quale covava un pregiudizio troppo radicato. Almeno, queste erano le parole di Kaede.
"Una volta diventata adulta, deciderà lei cosa fare."
Così Sesshomaru aveva reputato giusto concederle completa libertà di crescere, e di assimilare tutto ciò che riguardava la sfera umana. Le aveva lasciato perfino Ah-Uhn in custodia affinché potesse spostarsi da un luogo all'altro senza dover essere costretta a stare in pianta stabile a Musashi.
E poi, correva troppi pericoli stando insieme a lui.
Venuto a conoscenza della piuttosto insolita presenza di una fanciulla umana al fianco di Sesshomaru, quel maledetto di Naraku spesso e volentieri aveva fatto in modo che le sue emanazioni prendessero di mira lei essenzialmente per tendergli delle trappole.
Dopo la sua dipartita, Sesshomaru aveva ricevuto l'importante lezione di dover essere decisamente più cauto quando si trattava di Rin; e lasciarla dove una umana poteva mescolarsi fra umani era l'ideale per smentire le voci che ormai circolavano in giro, che volevano il principe dei demoni assieme a quella che lui stesso in altri tempi avrebbe definito una inutile femmina umana.
Le sue rapide visite inoltre erano atte a non lasciare una scia troppo definita del suo odore dietro di sé, in modo da non attirare a Musashi nessuno che volesse battersi con lui.
Anche se aveva fatto tantissima strada, superando perfino la grandezza di suo padre, Sesshomaru voleva estrapolare dalla sua Bakusaiga tutto il potere di cui disponeva, affrontando demoni sempre più forti finché non fosse diventato invincibile.
E lo era, adesso. Se prima nessuno era riuscito mai a batterlo definitivamente, ora aveva tutto quel potere che gli serviva per preservare la vita di Rin, e sentiva che lei era maturata abbastanza da poter essere considerata padrona delle proprie scelte.
Perché per quanto per un demone longevo come lui quei dodici anni non fossero altro che un battito di ciglia, quella stupida attesa era diventata insopportabile.
Non sapeva cosa le avrebbe detto, né sapeva quale risposta lei gli avrebbe dato. Sapeva soltanto che era arrivato il momento.
Ed ora la stava attirando nel profondo della foresta, come faceva sempre quando aveva intenzione di parlarle personalmente. Ma stavolta si sarebbe fatto avanti.
"Jaken!"
"Sì, mio signore?"
"Ora togliti di torno."
Agitò la sua coda con forza in modo tale che il kappa lasciasse la presa sulla sua pelliccia. In poco tempo Jaken scivolò via - mettendoci più del solito - e sarebbe finito sulla dura terra se Rin e Ah-Uhn, dietro di loro, non l'avessero preso al volo. E nell'arco di pochissimi secondi si ritrovò con le urla festose di Rin, i fastidiosi lamenti di Jaken alle spalle e da terra le grida di gioia dei bambini di Inuyasha e del monaco.
"Ah, Jaken! Sono così felice di rivederti!"
"Sì, ho capito. Ma così mi strozzi!"
"Ma non ti sto strozzando, ti sto abbracciando! Non capisci la differenza?!"
"Dovresti essere più riverente nei confronti del grande Jaken!"
"Volevi dire il piccolo Jaken!"
"Tu, ragazzina ingrata! Non sei cambiata proprio per niente!"
"Sforzati quanto vuoi, tanto è inutile! Sono troppo contenta per portarti il broncio! E so che anche tu lo sei!"
"Aaahh, sto soffocando!"
"Ti sto soltanto abbracciando, stupido!"
"Beh, non ne ho bisogno!"
"Oh, sempre gentile tu!"
"C'è già il padron Sesshomaru a torturarmi dalla mattina alla sera, grazie!"
"Come? Dalla mattina alla sera?"
"Vedi, il padron Sesshomaru è diventato piuttosto intransigente con me da una decina di anni a questa parte."
"Davvero?"
"Jaken, ti ho detto di toglierti di mezzo!"
Erano sul limitare della foresta, e Sesshomaru percepì il volo di Ah-Uhn planare verso il terreno, ma proseguì verso la solita radura per poi fermarsi a sedere sulle solide radici della stessa quercia che li aveva visti scambiarsi tantissime parole.
Udì le zampe di Ah-Uhn fare presa sulla terra e immediatamente dopo i passi di Rin correre e farsi più vicini, e il suono del suo fiato farsi più marcato. Le sue orecchie sopraffine percepirono il cuore della giovane battere, mentre la sua voce lo richiamava ancora, dopo due sofferti anni di lontananza.
"Sesshomaru!"
Il demone cane sentì le braccia della ragazza cingerlo da dietro con estrema tenerezza e tentare di affacciare il volto oltre la soffice coda; e all'improvviso Sesshomaru sentì il calore della sua guancia contro la sua.
Immediatamente la sua mano si posò sulla cascata nera dei capelli di Rin, facendo attenzione a non ferirla con i suoi artigli affilati. Affondò con cautela il naso nell'incavo del suo collo, godendo del suo tepore.
Il suo odore gli era mancato, e doveva necessariamente inebriarsi di esso il più possibile.
In risposta, la ragazza rise piano, rilasciando una tenue scia di imbarazzo nell'aria.
Non erano nuovi a quelle innocenti effusioni.
Era cominciato tutto quando sua madre l'aveva riportata in vita per la seconda volta: dopo avere stretto il suo corpo freddo di bambina dannandosi per non essere più in grado di far nulla per lei, una volta ritornata dal mondo dei morti Sesshomaru aveva sentito il bisogno di carezzarle i capelli per confortare entrambi.
Poi sovvennero gli abbracci, sempre sapientemente calibrati da parte di Sesshomaru, nei sporadici momenti in cui si ritrovavano.
Quel che già li univa da quando lei era bambina con il tempo si era evoluto, e non si limitavano più ad incontrarsi e a parlare. E a piccoli passi, avevano acquisito quella confidenza che rendeva la separazione un po' meno gravosa.
Finché i tentativi di annullare la distanza si conclusero con la fine della formalità.
"Signor Sesshomaru, te ne vai già?"
"Sì. Rin?"
"Dimmi."
"D'ora in avanti non chiamarmi più signore."
Era un privilegio che neanche gli esseri umani concedevano alle proprie compagne; e le barriere che convenzionalmente li vedevano soltanto come umana e demone, povera orfana e principe si dissolsero come se non fossero mai esistite.
"Grazie per avermi aspettata!"
"Eri con Kohaku?"
"Sì, ma si è ferito ad una gamba e così abbiamo fatto ritorno prima del previsto."
Non era contrario al fatto che Rin andasse con Kohaku a cacciare demoni minori e ad aiutare altri umani, anzi. Questo, pensava Sesshomaru, avrebbe fatto sentire Rin meno sola fra gli umani e meno ancorata a lui. Sperava solo che il ragazzo fosse almeno sufficientemente in grado di proteggerla, o stavolta gli avrebbe fracassato il cranio senza pensarci troppo.
"So che hai atteso molti giorni" disse Rin, andandosi a sedere accanto a lui. Nel farlo, si sistemò la spada guaritrice al fianco e l'arco con la faretra, rimasti sulla spalla.
"Non è importante. Hai ancora Tenseiga con te, vedo, insieme al tuo arco."
Già, Tenseiga. Era da molto tempo ormai che Rin la portava nei suoi viaggi con Kohaku, e sapendo della sua natura altruista non se ne era stupito più di tanto.
"Sì!" esclamò lei. "Devo dirti una cosa bellissima."
Incuriosito, Sesshomaru restò in ascolto.
"Io... l'ho usata su una bambina."
Il demone cane si voltò per guardarla con tenerezza. Sapeva che chiunque di buon cuore era in grado di utilizzarla, e non aveva dubbi che Rin prima o poi avrebbe fatto l'esperienza di riportare in vita qualcuno. Esattamente come lui aveva fatto con lei quella notte e che li aveva condotti fino a quel momento.
"E' stato incredibile..."
Le carezzò impercettibilmente il dorso della mano per pochi secondi e, mentre incrociava il suo sguardo con quello sorridente e ancora scosso dall'emozione della ragazza, il demone non vide altro che bontà e innocenza, proprio come anni addietro.
La purezza era nera per Sesshomaru, esattamente come gli occhi di Rin.
"Allora, raccontami tutto! Dove sei stato?"
"Da nessuna parte in particolare, stavolta."
Ed era vero. In quegli ultimi tempi non aveva fatto altro che vagare senza meta il più lontano possibile da Musashi, sempre per evitare che qualcuno attaccasse il villaggio. Proprio per potersi fermare e poter fare il suo passo in tutta tranquillità.
"State cercando un kimono più elegante e raro per Rin, padrone?"
A quello stupido di Jaken non era venuto niente di meglio da considerare.
"Ma come?" chiese lei con una punta di delusione. "Avanti, raccontami cosa hai fatto, quali demoni hai incontrato!"
"Credo che tu abbia visto molti più demoni, ultimamente, oltre che umani."
"Beh, forse" commentò lei. "I demoni commissionati a Kohaku ne erano solo due, però."
Era giunto il momento per lui di sondare il terreno, di poter capire cosa Rin volesse fare. Se rimanere al villaggio o partire con lui.
"E dimmi, cosa hai imparato?"
"Ah", esclamò entusiasta. "Proprio quattro mesi fa Kagome mi ha insegnato a riconoscere la mandragola. Mi ha anche detto di fare attenzione perché alcune sue componenti sono velenose e potrebber..."
Sesshomaru le lanciò un'occhiata allarmata, davanti alla quale Rin si bloccò abbassando gli occhi con un atteggiamento colpevole. Non era una buona notizia per lui sapere che Rin aveva cominciato a maneggiare cose che potevano risultare altamente pericolose.
"Oh, ma non devi preoccuparti" disse lei con rinnovato vigore. "Ci sono anche degli antidoti che Kaede e Kagome conoscono bene, altrimenti non mi avrebbero mai permesso di toccarle!"
Il demone assottigliò gli occhi, sospirando con rassegnazione.
Per quanto fosse dura per lui sapere che c'erano cose fra gli umani che mettevano in pericolo Rin, doveva permetterle di fare anche quel tipo di esperienze.
"Ascoltami, Rin. Non ti impedirò di fare ciò che vuoi, devi solo promettermi che non metterai a repentaglio la tua vita più del necessario."
Della vecchia sacerdotessa si fidava, altrimenti non l'avrebbe mai lasciata alle sue cure. Ma si era comunque assicurato con lei stessa riguardo alla sua incolumità.
"Non intendevo questo, comunque."
"Eh?" chiese, completamente attonita.
La ragazza abbassò la testa, rimanendo assorta per qualche secondo, e Sesshomaru credette di averle domandato qualcosa di troppo difficile.
Da quando lui aveva avuto a che fare con gli esseri umani così da vicino, i suoi confini mentali si erano spezzati mandandolo in confusione, per quanto non volesse ammetterlo. Alla mente di Rin doveva essere successa qualcosa di simile.
"Intendevi gli umani?"
"Sì."
"Ho imparato..." cominciò Rin con titubanza "che gli esseri umani non sono facili da definire: che non sono buoni, ma neanche cattivi; che ciascuno tira fuori il suo lato migliore o peggiore, a seconda della propria natura. Non c'è una distinzione netta. Molti a Musashi mi evitano ancora perché mi vedono in groppa ad Ah-Uhn e sanno che tu vieni a trovarmi, ma non sanno che i demoni hanno davvero poco di diverso dagli esseri umani..."
Non era nuovo a queste considerazioni.
Agli occhi di alcuni abitanti Rin era una ragazza umana senza passato che si era compromessa con un demone, proprio come dicevano i demoni di suo padre per aver fatto la stessa cosa con una donna umana. Come ora forse qualcuno stava dicendo di lui.
Hai ragione, Rin. I demoni hanno davvero poco di diverso dagli esseri umani...
"E questo ti fa soffrire?"
"No, non ci ho mai dato peso. E poi... loro non hanno avuto la mia stessa infanzia, non hanno mai avuto te. E solitamente vanno dietro alle credenze popolari, non sapendo che non sono del tutto esatte."
"Quei ragazzini... ti hanno infastidita ancora?"
Rin scoppiò in una sonora risata.
Un gruppetto di ragazzini umani poco più grandi di lei aveva preso la brutta abitudine di lanciarle contro delle pietre ogni volta che lei era sola nella foresta. Rin non gli aveva mai detto niente per un po' di tempo, probabilmente per non farlo preoccupare. Ma Sesshomaru aveva avuto modo di capirlo da sé durante una sera, quando le si erano avvicinati minacciosamente per farle qualche dispetto di cattivo gusto ed invece della ragazza avevano trovato i suoi occhi freddi e furiosi.
"Succede spesso, sai? Ma quando nei paraggi c'è Ah-Uhn non lo fanno mai. Inuyasha li ha puniti decine di volte, e anche Sango e Shippo."
"No, non ci hanno più riprovato" disse con energia.
"Quindi... sei felice qui?"
Inizialmente frastornata dalla singolare domanda, lentamente Rin si strinse le gambe al petto, abbassando la testa fino a nasconderla nelle ginocchia; e il fiuto di Sesshomaru all'improvviso percepì un abisso di tristezza.
"Non voglio rispondere a questa domanda."
Fu un sussurro affranto e debole, reso ovattato dalla stoffa del suo kimono rosso scuro, ma le orecchie di Sesshomaru la sentirono lo stesso.
Per un attimo il demone restò nell'incertezza - cosa aveva detto di strano per farla sentire così? - ma poi fu come se un lampo gli squarciasse la mente.
"Hai frainteso" disse atono.
La sua coda avvolse la giovane completamente, attirandola al suo corpo quel po' che bastava per non metterla in soggezione. Ma le gote di Rin erano già tinte di rosso e il suo cuore aveva già cominciato a galoppare come un cavallo impazzito, mentre con le mani tentava di aggrapparsi quanto più possibile alla sua armatura.
"Rin, non ho un kimono con me."
"Cosa vuoi dire?"
"Voglio dire che tempo è terminato."
"C... Come?"
Il suo odore all'improvviso si accese di speranza, e prima che potesse spegnersi di nuovo glielo disse; e non credeva che potesse essere così naturale.
"Ti voglio con me, Rin. Ma ricorda: la scelta spetta soltanto a te."
Sesshomaru non intendeva rinunciare a lei, ma se Rin avesse avuto qualcosa in contrario, lui non l'avrebbe mai forzata a seguirlo. Ma non finì di formulare questo pensiero che la ragazza lo abbracciò nuovamente, sussurrandogli qualcosa all'orecchio.
Qualcosa che gli procurò così tanta felicità che sembrava traboccargli dalle vene.
"Io ho già fatto la mia scelta."
Prima che Sesshomaru potesse ricambiare la stretta Rin si allontanò di colpo da lui, gemendo piano e prendendosi la testa fra le mani. Urlò qualcosa di indistinto; e si sarebbe accasciata a terra come un fiore reciso, se lui non l'avesse prontamente sorretta.
"Rin!"
La ragazza, pur avendo gli occhi aperti, non rispose. Sembrava aver perso i sensi.
E Sesshomaru ebbe paura.







NDA
E... no. Non è svenuta per l'emozione, mi dispiace xD
Se la vostra bocca straborda di carie, sappiate che non era del tutto mia intenzione - se volete vi pago il dentista.
Solo che se provo a considerare l'atteggiamento di Sesshomaru nei confronti di Rin dopo il manga e l'anime dal mio personale punto di vista lo immagino pieno di sentimenti positivi. Non vorrei stravolgere troppo il personaggio, comunque: quello con Rin è un rapporto decisamente esclusivo; e anche se il carattere di Sesshomaru si è evoluto in meglio - o sarebbe meglio dire che ha tirato fuori la sua parte migliore - anche se attenuata la sua stronzaggine c'è e rimarrà, perché mi è sempre piaciuta :P
Prima di togliere il disturbo, vorrei precisare che in un determinato punto ho utilizzato alcune parole del testo della canzone "Fukai Mori", se non erro la seconda ending dell'anime. E niente, i credits si devono mettere.
Se ci sono errori oppure orrori di grammatica, siete liberissimi di segnalarli. A me fa sempre piacere ricevere delle dritte :)
Grazie mille a chi ha il coraggio di seguire questa ff. Siete proprio dei temerari!




Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Pianto ***




Pianto



C'erano dei fiori gialli, appena dietro la folta siepe che dava sull'albero dei passeri. Lo aveva chiamato così Rin, nel segreto della sua mente, perché un pomeriggio arrampicandosi sui suoi rami aveva scorto un nido pieno di piccolissime uova. E pensando fossero passeri - i passeri, anche da adulti, sono piccoli - l'aveva chiamato così.
Le gambe le dolevano per lo sforzo - aveva camminato per tutta la mattina precedente per aiutare la mamma a raccogliere l'acqua al pozzo, e il pozzo distava un bel po' di strada dalla baracca cadente in cui vivevano - ma era determinata a raccoglierli, quei fiori.
Il giallo le piaceva, perché era il colore del sole del mattino; così come l'arancione, il colore del sole della sera.
Così cominciò a correre in direzione del folto della foresta.
Molti al villaggio dicevano che in quella foresta così intricata - dove il sole non batteva quasi mai - non ci si doveva nemmeno avvicinare, perché era frequentata da demoni di ogni sorta. Ma anche Rin frequentava spesso quella foresta, e non aveva mai pensato che fosse un luogo pericoloso. Ci era stata innumerevoli volte, anche contro il volere dei suoi genitori e dei suoi fratelli, e non aveva mai visto demoni là in mezzo.
Ignorò l'assenza di luce che la foresta conservava al suo interno, scavalcò le braccia ritorte dei rami caduti e calpestòl'immenso tappeto verde scuro della vegetazione, finché arrivò con il fiatone ai piedi dell'albero dei passeri e li trovò, i fiorellini, teneri e vivaci, che contrastavano la penombra del crepuscolo con la loro sola debole forza.
Entusiasta, ne raccolse quanti ne potevano contenere le sue piccole mani. Li avrebbe regalati alla mamma, e lei li avrebbe esposti sul davanzale della piccola finestrella della casa. Forse non sarebbe stata felice del fatto che si fosse avventurata l'ennesima volta in quel luogo proibito, ma questo importava davvero poco: quei fiorellini le avrebbero fatto dimenticare la disobbedienza nei suoi confronti.
D'altronde, succedeva sempre. Forse si sarebbe beccata una sculacciata da uno dei suoi fratelli o da suo padre, ma niente di più. Niente che potesse tenersi in mente per tutta la vita.
Si affrettò a ritornare indietro, ma più si avvicinava al villaggio, più si accorse di udire distintamente delle grida di terrore degli abitanti e dello stridio di zoccoli di cavalli.
Una morsa al cuore la trattenne sul posto, impedendole di avanzare oltre, e colta dalla paura si rintanò nella visuale dei fiorellini per poter evitare che la stessa paura continuasse a tormentarla.
Ma i fiori nelle sue mani tremanti appassirono a vista d'occhio, marcirono e diventarono cenere, mentre il suono sordo del terrore puro del suo cuore si impossessò della sua testa.
Avrebbe voluto rimanere nella foresta, ma le voci delle anziane del villaggio che dicevano che era abitata dai demoni suonarono con prepotenza nelle sue orecchie. Così si mise a correre di nuovo, sempre più velocemente, per ritornare a casa, nascondersi sotto le coperte della sua stuoia ed aspettare che tutto finisse.
Ma ora che era arrivata alla periferia del villaggio, come poteva riuscire ad arrivare a casa indenne?
Il villaggio era sotto tiro da uomini in groppa a cavalli bruni, che stavano sterminando gli abitanti del villaggio con le loro spade macchiate di sangue.
Briganti.
Vide finalmente la baracca, dove poco distante c'erano i suoi genitori e i suoi fratelli. Questi ultimi erano riversi a terra, ciascuno nella propria pozza di sangue.
No!
Facendo un violento sforzo di volontà Rin riprese la sua corsa verso di loro, aumentando progressivamente la velocità, mentre il fianco di un cavallo le interruppe la visuale e la respinse, mandandola rovinosamente a terra. Ma Rin, caparbia, si rimise immediatamente in piedi, continuando la sua corsa imperterrita.
Ma si bloccò di nuovo, di colpo.
Proprio nel momento in cui aveva raggiunto la sua casa, il coraggio le venne improvvisamente meno, spingendola a nascondersi dietro una parete esterna.
Spiando oltre il legno, assisté impotente alla scena.
Sua madre urlava, il viso contratto dalla paura.
Non poteva vederlo, Rin, quel viso. Sembrava che la donna non avesse un volto suo. Ma la bambina sapeva che era sua madre, e sapeva anche quale orribile espressione avesse assunto. Un coltello era puntato contro la sua spalla così forte che ne fuoriuscì un rivolo di sangue che macchiò lo yukata grigio chiaro, mentre suo padre era in ginocchio, piangente - anche lui senza volto, ma le lacrime c'erano, ed erano numerose - tenuto per entrambe le braccia da due uomini enormi che aspettavano un solo, misero segnale da quello che teneva in ostaggio sua madre: probabilmente il loro capo.
All'improvviso, Rin avvertì con orrore quelle stesse braccia tenere saldamente le sue esili spalle, facendo così tanta pressione che Rin quasi si sentì schiacciare a terra.
Cosa?
Ma non ci fu il tempo di darsi una risposta. Nel momento stesso in cui sua madre veniva pugnalata alla base della gola, inavvertitamente la bambina sentì qualcosa di freddo e pungente affondare con crudele lentezza esattamente nella stessa, identica zona, squarciando la sua pelle, lacerandole la carne.
Rin percepì il dolore devastarla e farsi sempre più intenso, finché l'ultimo centimetro del metallo non si conficcò nel cuore. E fu in quel momento che la bambina sbarrò gli occhi. Credeva di dover sentire la vita scorrerle via dal corpo. Invece si scoprì più viva che mai.
Il sangue le macchiò la manica dello yukata che indossava, ma non era morta.
Avrebbe dovuto accasciarsi a terra e dissanguarsi, ma non era successo.
I briganti scomparvero, così come i loro cavalli.
Si portò lo sguardo sulle palme delle piccole mani, sentendole umide di liquido denso e provando un indicibile ribrezzo, poi spostò la sua attenzione ai cadaveri dei familiari e degli altri abitanti del villaggio.
Morti.
Erano tutti morti.
Una saetta, più fulminea di un volo d'aquila, gli fulminò la mente. Un enorme groppo le si serrò nella gola, impedendole di urlare.
Ritornò al volto della mamma, e successivamente a quello del padre e dei fratelli. Rin avrebbe voluto toccarli, baciarli, piangere su di loro, ma aveva troppa paura.
Quelli non erano più mamma e papà. Quelli non erano più i suoi fratelli.
Erano cadaveri.
L'orrore crebbe dentro di lei come una pianta corrosiva, e Rin indietreggiò di molti passi incerti prima di voltarsi e correre in direzione della foresta.
Ma qualcuno la fermò, sbattendola con violenza prona a terra.
"Ehi, Rin! Hai rubato ancora, eh?!"
La voce dell'uomo che l'aveva fermata le parve più dura e minacciosa di quel che ricordava.
Ricordava? Ricordava cosa?
"Sappi che ci prendiamo cura di te solo perché non hai più una famiglia!"
Un calcio al fianco le mozzò il fiato; e poi un altro, più forte, più dilaniante. Ma la voce per urlare non usciva.
Dove sei?
Un altro calcio, e poi un altro ancora. Sul petto, sul visino, sull'addome, ovunque. Non sapeva contare, ma Rin era certa che ne fossero davvero molti. Il terreno duro le graffiò la faccia, aggiungendo altro dolore su quello che stava già provando su di sé.
Venne sollevata da terra e schiaffeggiata. Sentì il sapore ferroso del sangue nella bocca, e la faccia doveva essere terribilmente tumefatta a giudicare dal dolore, ma non si lamentò. D'altronde, era impossibilitata a farlo.
"Se lo rifai, ti uccideremo!"
La gettarono ai loro piedi, come si getta uno straccio consunto, ma Rin non fece in tempo a sentire l'impatto con il suolo che udì un ringhio sommesso. Alzò gli occhi, spinta da una folle e malsana curiosità, e vide un ragazzo alto, con i capelli lunghi e neri legati ad una coda, circondato da un branco di lupi affamati. Stava chiedendo qualcosa all'uomo - dove lo aveva visto, quello strano uomo? - che si era intrufolato nella sua baracca, forse per rubacchiare qualcosa, appena qualche minuto prima.
Quando è successo, tutto questo?
Il ragazzo alto con la coda lo uccise; e il sangue dell'uomo si sparse sull'argine del fiume, insozzando l'acqua limpida.
Il ragazzo - il capo, il demone - concesse ai lupi di banchettare con gli abitanti del villaggio, ed alcuni di loro la puntarono suo malgrado, scoprendo i denti aguzzi.
Ma Rin non si lasciò sopraffare dalla paura. Non stavolta. Lesta, cominciò a correre a perdifiato verso l'albero dei passeri, pensando di potercisi arrampicare sopra ed evitare così di essere divorata.
Non era all'interno della foresta che c'erano i demoni, ma fuori.
La paura l'assalì prima che potessero farlo quelle belve fameliche. La raggiunsero e la atterrarono - di nuovo - trascinandola in un vortice di sgomento assoluto.
Sentì i loro denti affilati che si facevano strada nella sua pelle sottile - come la spada del brigante - e contendersi il suo corpicino con ferocia inaudita, azzannandola ora al braccio, ora alla gamba, ora al petto, ora alla gola.
Avrebbe preferito morire subito piuttosto che trascorrere quegli orribili istanti.
Dove sei?
Non c'era nessuno lì che potesse aiutarla; perché continuava a cercare qualcosa che non esisteva?
Si parò il volto con la manica dello yukata per arginare quella brutalità. Ma i lupi erano troppi, troppo grandi e troppo forti.
E lei era troppo piccola e debole per potersi opporre a quel massacro.
La ferivano, la azzannavano e non la uccidevano.
Avrebbe preferito perdere i sensi e morire, piuttosto che sentire tutto quel dolore, quella paura, quell'impotenza.
Sentì qualcosa spegnersi dentro di lei, come si spegne la fiammella di una lampada nel buio della notte.
Ma la sua voce riapparve. Finalmente poteva gridare. E gridò con tutto il fiato che aveva in corpo.
"Aiuto!"
Vide esplodere davanti ai suoi occhi il rosso scarlatto del sangue, e si ritrasse di colpo spaventata a morte, mentre il battito furioso del suo cuore le martellava incessantemente nelle orecchie e una goccia di sudore freddo si unì ad altre che imperlavano la sua fronte, rigandole le tempie.
Focalizzò una figura che troneggiava sulla sua visuale, ancora schermata dal suo braccio, scoprendo che il rosso non era di sangue.
Un fiore.
Era uno dei tanti, piccoli ed elaborati fiori del kimono di seta che indossava, cucito a regola d'arte con fili di ogni tonalità conosciuta di rosso, e con brillante filigrana tessuta a delimitarne i contorni. I ricami ebbero un effetto familiare così immediato che Rin sentì di potersi concedere di chiudere gli occhi esausti, così come i mormorii di gioia delle persone attorno a lei.
Ma il sentore pungente delle lacrime cominciò a farsi percepire e Rin scoppiò in un pianto liberatorio, per sfogare tutte le emozioni che le erano turbinate nella testa fino a pochi istanti prima.
Si nascose fra le braccia protettive di Kaede che lamentava di essersi presa un colpo - non aveva più l'età per reggere simili spaventi - mentre sentiva il tocco dolce di Kagome e quello più grezzo eppure così rassicurante di Kohaku sulla schiena stranamente dolorante - come se avesse vissuto nuovamente quei giorni lontani - finché non ricordò il momento in cui era in compagnia di Sesshomaru, alla radura.
"Ti voglio con me."
Il suo cuore di ragazza innamorata sussultò con violenza, portandola inevitabilmente a cercare il demone cane con lo sguardo appannato dalle lacrime. Lo trovò finalmente - era lui che cercava, nel suo incubo, era chiaro - con i suoi occhi d'oro a fissarla, colmi di apprensione e sollievo allo stesso tempo. Seduto accanto a lui, Jaken era nelle stesse condizioni del padrone, ma si lasciò andare ad una esclamazione esultante.
"Rin, ti sei svegliata finalmente!"
Ma non erano i soli che si erano riuniti a casa di Kaede: Inuyasha e Miroku erano a poca distanza dalle donne che si stavano prendendo cura di lei, con le facce contratte tanto quanto lo erano quelle delle due sacerdotesse.
"Ma cosa è successo?"
Udì la sua voce impastata che faticava a parlare, avvertendo un leggero pizzicore alla gola. Con tutta probabilmente aveva urlato a squarciagola senza che nessuno potesse fare qualcosa per lei.
"Non lo so, Rin" le rispose Kaede, il tono di voce ancora scosso per l'accaduto. "Sesshomaru ti ha portata a casa mentre eri priva di sensi."
"Priva di sensi pur avendo gli occhi aperti, e vacui" intervenne Miroku. "Come se ci fosse un abisso al suo interno."
Gli occhi aperti?
"Kaede e Kagome ci hanno messo un po' prima di riuscire a purificarti."
"Tieni." Kagome le porse una tazza di legno piena di tisana, ma Rin non era dell'umore adatto per bere qualcosa.
"Non ne ho voglia" mugugnò.
"E' malva, ti farà bene."
La sacerdotessa attese con pazienza che lei prendesse fra le mani la tazza tiepida, accompagnandola alle labbra della ragazza. Rin sentì il calore ristoratore della bevanda spargersi per il corpo, e il suo profumo insinuarsi nelle narici, mentre Kagome continuò, cercando di essere il più discreta possibile.
"Ci hai spaventati a morte, lo sai? Gridavi qualcosa a proposito di briganti... E di lupi." Sì fermò, cauta, sapendo che quello era un argomento che Rin tentava sempre di evitare.
"Probabilmente si riferiva a ciò che le è successo da bambina..." suggerì Inuyasha.
"E' così?" chiese Kagome.
Rin deglutì a fatica ripensando a quegli atroci momenti, poi annuì con riluttanza. Kagome sapeva cosa le era successo quando era ancora piccola, così come tutti gli altri: dall'assassinio della sua famiglia d'origine alla terribile notte in cui lei stessa venne uccisa a morsi dai lupi. Ma c'erano cose che non aveva mai raccontato a nessuno, come l'emarginazione nei suoi confronti al villaggio in cui aveva vissuto prima della sua morte, ad esempio.
La sua morte.
Immediatamente ricordò la macanza di sensazioni di tempo e spazio nel nulla della morte, e della piccola che doveva aver provato quel buio e che lei aveva riportato in vita. Quella bambina aveva uno dei volti più dolci che avesse mai visto.
E poi, ricordò Tenseiga. La spada giaceva appoggiata accanto all'ingresso della casetta, con il suo arco e la sua faretra. Rin lo percepì appena, ma le sembrò che la spada piangesse.
Non aveva mai sentito nulla di simile prima.
Avrebbe voluto chiedere a Sesshomaru delle spiegazioni, ma non poté dire nulla, perché la calma fu spezzata dall'arrivo trafelato di Sango.
"Rin! Che cosa è successo, stai bene?" chiese la donna, inginocchiandosi per poterle dare un'occhiata.
"Sì" rispose Kohaku pensieroso "anche se è accaduto qualcosa di strano."
"Lo senti anche tu, non è vero?" chiese Inuyasha rivolgendosi al fratello. "C'è odore di sangue, ed è di Rin."
Senza attendere una risposta da parte di Sesshomaru, Inuyasha si avvicinò alla ragazza, accovacciandosi accanto per poterla annusare.
"Hai perso del sangue" constatò con una cadenza contenuta nella voce. "Da molte zone del tuo corpo. Ma è molto poco, fortunatamente."
Kaede si lasciò sfuggire una esclamazione strozzata pregna di angoscia, così come Kohaku, mentre Kagome le chiedeva dove le facesse male.
"Dappertutto" disse lei con un filo di voce. Ma il dolore era decisamente più intenso all'altezza della spalla, dove la lama del brigante dell'incubo aveva perforato la carne di sua madre - e la sua - fino al cuore; e alla gola, dove un lupo l'aveva assalita con più aggressività rispetto agli altri membri del branco.
"Aspetta, ho visto qualcosa." Kagome la fece girare con delicatezza verso di sé, e le fece scivolare via il kimono dalla spalla quel po' che bastava per poterla esaminare. "La ferita sembra rimarginata da tempo" disse dopo essersi concessa qualche secondo per controllare, "ma è come se le fosse stata inferta poco fa: la sua pelle è un po' macchiata di sangue e il taglio è ancora un po' rosso e gonfio."
"Ti preparo un impacco, Rin" si offrì Sango.
Ma Rin non la ascoltò neppure, perché Tenseiga prese a tremare vistosamente catturando la sua completa attenzione. Avrebbe voluto dire che sentiva distintamente quel richiamo, avvertire qualcuno al riguardo - chiunque - ma Sesshomaru si alzò all'improvviso con movimenti fluidi dal suo posto, attirando su di sé lo sguardo di tutti i presenti. Afferrò con rabbia malcelata Tenseiga per il fodero, e nel momento in cui impugnò l'elsa della spada, questa sembrò respingerlo sprigionando una lingua di fuoco contro la sua mano.
Ma cosa è stato?
"Sesshomaru!"
L'esclamazione incredula di Inuyasha indusse Rin a darsi pensiero per lui.
"Tenseiga ti ha ustionato?!"
La ragazza vide distintamente alcuni filamenti di fumo salire sinuosamente dalla mano del demone cane, mentre lui si guardava la mano bruciata con le sopracciglia aggrottate. Sembrava non capire cosa stesse succedendo. Ma fece come se non volesse lasciarsi turbare ulteriormente dall'accaduto: si ricompose perfettamente, esprimendo soltanto una sua personale e allo stesso tempo amara constatazione, decisamente simile a quelle che Rin nella sua infanzia aveva sentito tantissime altre volte da Sesshomaru.
"Questa spada crea soltanto problemi."
Rin si rabbuiò, ma qualcosa le fece dimenticare le sue parole.
Un volto conosciuto apparve dall'ingresso della capanna, fermando di colpo il passo di Sesshomaru, vestito del solito e povero yukata, e il suo immancabile martello di fabbro demoniaco.
"Mi dispiace, ma non credo che sia la tua spada a darti problemi."
"Totosai."




NDA
Aloha, gente.
Ho voluto staccare perché se avessi continuato con tutto il marasma che dovrei spiegare - o meglio, che Totosai dovrebbe spiegare - il capitolo sarebbe stato troppo lungo e chissà, sarebbe uscito il doppio rispetto a quello che mi sono prefissata come standard. Nella mia paginetta fb ho accennato ad un cambio di rotta: per chi ha avuto modo di leggere il secondo capitolo pressappoco nell'ultima settimana si è reso conto che ho messo la dicitura "horror", perché mentre stavo scrivendo effettivamente stava uscendo una cosa che horror horror non era, ma che si avvicinava molto (vedi sopra), almeno spero. Certo, non sarei mai riuscita a fare qualcosa alla Shining ovviamente, però spero di aver reso l'idea.
Chi credeva che Rin fosse svenuta per l'emozione (ahahahah ve l'ho fatta, seppure inconsapevolmente) ora ha trovato ben altro - il fluff abbestia per ora è accantonato. E niente, mi dispiace xD
Credevo di poter aggiornare domani, ed invece sembra che ci sia riuscita oggi. Benebenebene.
Se ci sono (o)rrori, segnalate pure.
Bye!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Jukai ***



Jukai



"E' permesso?"
Totosai lo scansò con la solita noncurante insolenza che lo caratterizzava, non togliendo gli occhi dalla spada che Sesshomaru teneva nella mano sana e spostandoli poi con incredulità al palmo bruciato. Sulla sua spalla Miyoga fece tanto d'occhi, lanciando una lunga esclamazione di sorpresa.
La mano di Sesshomaru strinse convulsamente Tenseiga avvolta dal suo fodero.
Aveva letteralmente i nervi a pezzi. Non si sentiva così furente dai tempi in cui Naraku non faceva altro che stuzzicare il suo già scarso autocontrollo; e adesso c'era qualcosa in Tenseiga che non andava, qualcosa che aveva ridotto Rin in quello stato. E l'espressione confusa del fabbro non aiutava di certo: era l'unico che conoscesse a fondo tutti i segreti delle armi demoniache, e vederlo così incerto su cosa dire - e probabilmente ancora di più su cosa fare - mandava Sesshomaru in uno stato di collera che avrebbe sicuramente scaricato proprio su di lui se fossero stati da soli.
Ma purtroppo non lo erano, e inoltre Sesshomaru doveva ammettere suo malgrado che senza l'esperienza di Totosai e di Miyoga non ne sarebbe venuto mai a capo. Fu per questo che gli concesse di vivere ancora, nonostante il fremito di vederlo cadere ai suoi piedi con la gola squarciata gli solleticasse la mente già da tempo.
Francamente non era arrabbiato perché quella faccenda li avesse interrotti; era fuori di sé per la semplice ragione di aver visto Rin cadere, di averla vista agitarsi in preda a violenti spasmi senza che lui potesse fare niente e aver scorto dei lividi - lividi che stavano già guarendo, ma che facevano soltanto lontanamente immaginare in che stato fosse il suo corpo fino a qualche istante prima - sul suo viso etereo e gioviale adesso ancora arrossato dal pianto.
Aveva creduto di doverle dire addio anzitempo definitivamente, senza avere la possibilità di riportarla in vita. Un giorno Rin sarebbe morta, era vero, e questo era un tarlo per cui voleva trovare una soluzione pur sapendo che non ce n'erano.
Da quando si era scoperto innamorato di lei si ostinava sul pensiero di allungarle la vita, costantemente, in qualsiasi modo, perché la morte di Rin era una certezza insopportabile a cui lui non era preparato. O meglio, a cui non voleva in nessun modo prepararsi.
Quando suo padre morì, Sesshomaru non aveva provato un vero e proprio dolore. Piuttosto un sentimento di rancorosa confusione dovuta al fatto che gli avesse nascosta la sua tomba e impedita la possibilità di impugnare Tessaiga, che non fosse degno di lei.
Quando invece fu Rin a trovare la morte durante il perfezionamento del Meido Zangetsuha di Tenseiga, per lui non c'era stato niente di paragonabile a quella disperazione.
"Ho sentito il lamento di Tenseiga. Non aveva mai pianto così, prima d'ora."
Ecco perché Tenseiga si agitava.
"Pianto..." si disse Rin in un sussurro che le sue orecchie udirono distintamente, facendogli intendere che anche lei aveva sentito il lamento della spada.
Sesshomaru evitò qualsiasi contatto visivo con la ragazza, abbassando lo sguardo verso la spada. Lasciando Tenseiga al villaggio, l'aveva messo in pericolo - un'altra volta - rischiando di perderla di nuovo.
Perché sapeva perfettamente quanto Rin tenesse a quella spada. Quante volte da bambina gliel'aveva riportata, con le braccia tese a porgerla ed il sorriso sulle labbra, nonostante lui volesse abbandonarla a causa del rancore che provava per quell'eredità assurda e di cui non sapeva cosa fare?
"Non credevo che potesse accadere qualcosa di simile. Che Tenseiga ti rifiutasse, intendo, specialmente ora..."
"Non sai a cosa sia dovuto?"
"Beh, non ne ho idea..." disse il fabbro, e fu come se qualcuno gli avesse dato un pugno in pieno viso, fracassandogli il cranio. Come poteva agire se l'unica fonte di conoscenza a sua disposizione si stava dimostrando totalmente ignorante di ciò che stava succedendo?
Prima che il vecchio Totosai potesse sedersi, Sesshomaru sentì una ben più potente e acuta necessità di incanalare quella rabbia cieca, e il capro espiatorio era proprio lì, davanti ai suoi occhi; quel vecchio amico di suo padre che da grande esperto di armi demoniache proprio ora non sapesse niente di quel che stava succedendo a Rin.
Lo afferrò per il bavero dello yukata verde, e lo sollevò da terra con la stessa mano che Tenseiga aveva ustionato, portandolo a poca distanza dal suo viso con atteggiamento minaccioso. Non sapeva esattamente in che condizioni fosse l'espressione del suo volto, ma era indubbiamente certo che trasudasse un incontenibile odio, che nel frattempo aveva innescato esclamazioni soffocate di sgomento fra i presenti - che aveva bloccato il respiro di Rin e provocato un violento colpo al suo cuore - e aveva fatto scattare in piedi Inuyasha.
"Ti avverto, Totosai: se non cerchi di fare chiarezza nella tua mente di vecchio rimbambito, ti aiuteranno le mie unghie velenose a farla."
"Qui si mette male!"
Miyoga cacciò un grido di paura e si andò a rifugiare fra i capelli di Inuyasha, ed il fabbro urlò qualcosa di incomprensibile, agitando le gambe nel tentativo di liberarsi. L'ulteriore resistenza che si azzardò a compiere fu quella di stringere il polso che lo teneva sospeso in aria nel tentativo di allontanarlo da sé: un gesto di intollerabile sconsideratezza che certamente lo avrebbe portato alla morte se qualcuno non avesse pronunciato due semplici parole.
"Sesshomaru, smettila!"
La nebbia di rabbia che gli offuscava la mente non gli permise di identificare immediatamente quella voce, ma Sesshomaru in qualche modo la riconobbe come amica; quindi le obbedì, docilmente, lasciando cadere a terra Totosai con un tonfo, quasi accompagnandolo sul pavimento di legno della capanna della sacerdotessa.
"La colpa è mia, non del maestro Totosai!"
Si voltò, e vide Rin, ancora pallida e sconvolta - quasi arrabbiata - e protesa verso di loro in un tentativo congelato di avvicinarsi per fermarlo: le due sacerdotesse l'avevano bloccata prontamente sul posto, forse temendo che il gesto avventato di Sesshomaru potesse sfuggirgli di mano generando una qualsivoglia ripercussione sulla ragazza.
Sciocche umane. Pensano che voglia farle del male in qualche modo?!
Vederla così, in abiti sontuosi e circondata dalle donne più importanti del villaggio di Musashi, pareva una principessa immortalata in un dipinto.
Sesshomaru si concesse qualche secondo di contemplazione, finché i suoi occhi presero finalmente il coraggio necessario per posarsi su quelli lucenti di lacrime di lei, ma invece di sortire un effetto rigenerante su di lui gli provocarono un senso di vergogna. L'aveva spaventata a morte, lo si poteva capire dal pungente odore di inquietudine che emanava, sovrastando tutti gli altri, e dal leggero tremore che stava lentamente scemando. Certamente non l'avrebbe atterrita così tanto se non si fosse lasciato trasportare dall'istinto.
"Oh! Mi hai salvato, Rin!" la ringraziò il fabbro con un sorriso riconoscente. "Ma perché hai detto che è colpa tua?"
"Perché ho provocato io, tutto questo" miagolò Rin abbassando gli occhi, e doveva aver perso la testa se solo pensava che tutto ciò fosse colpa sua.
"E' da un po' che porta Tenseiga con sé" spiegò Kohaku, appena dietro di lei. "E l'ha perfino usata, proprio un paio di giorni fa."  
"Che io sappia non dovrebbero esserci problemi" commentò Totosai.
"Ne sono sorti, invece, povera piccola!" si lamentò Kaede ancora scossa. "E' rimasta incosciente per ore e..." La sacerdotessa non finì la frase, lasciando che le lacrime parlassero per lei.
Era inevitabile che si affezionasse a Rin, e doveva aver provato qualcosa di indefinibilmente vicino alla paura di Sesshomaru quando la vide priva di coscienza.
"Sì, ma non era normale. Stava avendo un incubo, questo è certo, ma non era addormentata. Ed era circondata da un'aura maligna molto forte." Il breve ed esaustivo resoconto del monaco fece reclinare la testa del vecchio fabbro e mugugnare fra sé.
Quei dettagli avrebbero dovuto fargli ritornare alla mente qualcosa, ma Totosai non dava segni di avere una risposta per loro. Stette così, apparentemente meditabondo, per poi sedersi sconsolato sul pavimento.
Ma Sesshomaru non si diede per vinto: lo imitò, adagiando la spada in grembo, continuando a fissarlo con gli stessi occhi in tralice che gli aveva dedicato pochi istanti prima, come a dirgli silenziosamente che lo avrebbe seguito in ogni suo minimo spostamento, in ogni sua minima mossa, finché non gli avesse detto cosa stava succedendo a Rin.
"Avete detto che ha avuto un incubo" commentò infine Miyoga. Saltellò sul legno per andarsi a sedere comodamente vicino a Totosai. "Cosa hai visto, Rin?"
Lei non ci mise molto a rispondergli. "Una foresta."
"Una foresta?"
"Sì, quella a pochi passi dal mio villaggio di origine" annuì la ragazza, spostando il suo sguardo nero verso di lui. "Cominciava tutto da quella foresta, Sesshomaru. Quella dove ci siamo incontrati."
Rin allargò le labbra in un sorriso stanco, e il demone cane di colpo ritornò a quei giorni di debolezza in compagnia di quella bambina selvaggia che puntualmente gli offriva del cibo umano senza pretendere nulla in cambio.
"Ma tu non c'eri, e la foresta sembrava decisamente più fitta e buia" mormorò aggrottando le sopracciglia. "E c'erano i briganti che uccidevano i miei genitori, i lupi uccidevano me..." la sua voce si affievolì, rendendosi appena percettibile. "E forse lo avranno fatto con molti altri."
"La tribù Yoro non si ciba più di esseri umani già da molto tempo, ormai" la tranquillizzò Inuyasha.
La notizia inaspettata sortì il suo effetto, perché il volto di Rin si addolcì ancora di più. Era per quello, insieme a tanto altro che caratterizzava la sua piccola Rin, che anche Sesshomaru aveva deciso di non toccare gli esseri umani per farne i suoi pasti.
"Se eri in una foresta che ti ha causato così tanti incubi ed eri pregna di un'aura maligna è probabile che tu sia finita in Jukai" constatò Miyoga con una nota rabbuiata nella voce.
"Che roba è?" chiese Jaken.
"E' un mare di alberi. Una foresta, appunto. Ma è un luogo praticamente inaccessibile. Se Rin è riuscita a raggiungerla significa che qualcuno ha fatto in modo che potesse accadere" proseguì la piccola pulce. "E probabilmente Tenseiga c'entra qualcosa, se ha reagito così male."
"Ma non ha senso, Miyoga!" intervenne sconcertato Totosai. "Jukai apparteneva alla famiglia di Noroi, giusto? E quella stirpe è ormai estinta da molto tempo: Toga stesso uccise l'ultimo di quella discendenza, più di duecento anni fa. Non sarebbe dovuta scomparire?"
Credendo che quel pericolo ormai fosse solo un triste ricordo, Totosai pensava che non ci fosse niente da considerare in merito a Jukai. Sesshomaru si sentì stranamente in colpa per averlo minacciato in quel modo. Avrebbe dovuto minacciare Miyoga, invece, dato che sembrava saperne molto di più al riguardo.
"Questa è la norma, infatti. Ma per quel che ne so potrebbe anche essere tornato in vita."
"Noroi? Chi è, padron Sesshomaru?" chiese Jaken. Gli rivolse un'occhiata interrogativa, ma Sesshomaru lo ignorò completamente.
"Credo che tu sappia chi fosse, Sesshomaru" disse Totosai, rivolgendosi al demone cane. "Forse eri troppo giovane e disinteressato per ricordarti di lui, ma sicuramente avrai sentito parlare del precedente Inu no Taisa."
Sì, lo ricordava. Anche se piuttosto vagamente. Noroi era un sottoposto di suo padre che si era ribellato agli ordini di Toga - anche se il motivo era pressocché sconosciuto - e che aveva pagato con la morte questa sua insubordinazione, insieme a tutta la sua famiglia. Al posto di Noroi era subentrato un altro demone cane che non aveva mai causato problemi a suo padre e che Sesshomaru aveva avuto modo di conoscere meglio subito dopo la guerra contro Naraku.
"E allora? Perché dovrebbe c'entrare quel Noroi?"
"Vedete, potrebbe avere a che fare con la faccenda delle spade..."
"Cosa state cercando di dirmi?" sbottò all'improvviso, decisamente disturbato dal fatto che l'argomento delle spade - ormai una faccenda chiusa - fosse motivo di così tanta ritrosia nel parlarne.
Totosai emise un lungo sospiro rassegnato, segno che non doveva essere facile per lui rispolverare antichi argomenti. "Sesshomaru, tu non eri il solo a volere Tessaiga. Insieme a Sounga, faceva gola a molti. Ma immagino tu lo sappia già."
"Anche Noroi voleva Tessaiga, dunque."
"Bene, signor Sesshomaru! Vedo che il vostro acume si è notevolmente potenziato nel corso del tempo!"
Sesshomaru gli riservò un'occhiataccia. Con quell'eccessivo entusiasmo Miyoga non solo si era tolto l'onere di ricordargli quel capitolo oramai chiuso ma lo stava mettendo in ridicolo - o meglio, stava mettendo in ridicolo il Sesshomaru di anni prima - per di più di fronte a così tanti umani, a Rin, e di fronte a quell'inutile mezzodemone che tutti si ostinavano a ricordargli quale fratello minore.
Colto alla sprovvista, il demone pulce cominciò a sudare freddo, rilasciando una dose odore che sapeva di terrore alquanto spropositata per un essere piccolo come lui.
"Noroi provava invidia per la potenza di vostro padre e voleva entrare in possesso delle sue spade, finché questa invidia non si trasformò inevitabilmente in odio" continuò Miyoga affrontando il timore reverenziale che aveva per lui.
"Quell'odio potrebbe aver generato una vendetta, quella di far accedere in Jukai qualunque essere con sangue umano che avrebbe utilizzato Tenseiga - chissà, probabilmente trasferendo il potere della sua Totsuka in Tenseiga."
"E cos'è?"
"Una spada che colpendo trasferisce la vittima nel mare di alberi. Le fu data in dotazione proprio da vostro padre."
"Credendo che Toga avrebbe accontentato Sesshomaru dandogli Tessaiga, inevitabilmente Tenseiga sarebbe finita nelle mani del suo secondogenito. E siccome questo figlio avrebbe avuto parte del suo sangue umano, utilizzandola sarebbe caduto vittima di Jukai. Sapeva che il signore si era legato ad una donna umana, e ovviamente era ragionevole pensare che dall'unione ne sarebbe nato un mezzodemone - questo prima che la signora Izayoi restasse incinta."
"Forse credeva che Toga avrebbe vissuto abbastanza da vedere con i suoi occhi ciò che sarebbe accaduto sul frutto dell'amore con Izayoi."
"Già. Il signore ne avrebbe sofferto moltissimo: vedere il proprio figlio soffrire fino alla morte è una cosa ben peggiore della morte stessa."
Sentì Inuyasha sussultare a quelle rivelazioni, e strinse a sé Tessaiga. Ma Sesshomaru non avvertì della paura. Piuttosto, una fortissima confusione mista ad incredulità e tenerezza. Probabilmente non riusciva a credere che tutto quel che stava succedendo nient'altro fosse che una vendetta nei confronti di loro padre che in altre condizioni avrebbe potuto ripercuotersi su di lui.
Onestamente, nemmeno Sesshomaru sarebbe arrivato a pensare ad una vendetta così subdola. Ma d'altro canto, come poteva Noroi riuscire a prevalere su Toga se non con una idea del genere?
"Quelle che hai visto Rin sono illusioni che..."
"Illusioni? Tutto qui?" lo interruppe bruscamente Sesshomaru inalberandosi. Come potevano chiamarle semplicemente illusioni se erano riuscite a fare quasi del male a Rin? "E perché Rin è ferita?"
"Potevi farlo finire, Sesshomaru: le illusioni nella Jukai non sono come quelle del mondo a cui apparteniamo: generano delle ripercussioni tangibili sul corpo della sua vittima portandola inevitabilmente alla morte, ma soltanto se umana" spiegò il fabbro. "Sui demoni provoca un senso di malessere, forte o debole a seconda della sua aura demoniaca. Nient'altro. Difatti, aveva effetto solo sui demoni minori."
"Questo potrebbe significare che il padre di Inuyasha e Sesshomaru non si fidasse di lui."
"Probabilmente."
"Come può una spada curativa ospitare questo potere?" lo riprese Sesshomaru visibilmente irritato.
"Beh, potrei osare dicendo che l'accesso a Jukai è perfettamente compatibile con il potere di Tenseiga proprio come lo era Meido Zangetsuha, siccome entrambe collegano questo mondo con quello dei morti. Anche se per Jukai il discorso è un po' diverso" sentenziò il fabbro.
"Quindi pensate che Noroi abbia fatto in modo di dare a Tenseiga il potere di Totsuka affinché fungesse da chiave per Jukai, sfruttando il collegamento con il mondo dei morti?" chiese Kagome.
Miyoga la guardò afflitto. "Non vedo altre spiegazioni."
"Quindi Rin fino a pochi minuti fa era nell'aldilà?"
Sesshomaru sentì una violenta stretta al cuore proprio nel momento in cui avvertì il movimento della manica del kimono di Rin spostarsi sul petto e stringere una mano a pugno sulla scollatura.
"Jukai è solo un'anticamera, altrimenti Rin non sarebbe qui con noi."
"Era sia viva che morta?" intervenne Inuyasha.
"Nessuna delle due cose, per la precisione."
"Allora, era a me che era destinata questa maledizione?! Se è così che stanno le cose, tocca a me vendicare Rin."
"Noroi quindi è vivo?"
"Beh, a questa domanda non saprei rispondere. Però è molto probabile."
In quei duecento anni e più in cui aveva vissuto con la triste idea di avere un fratello minore, di sangue demoniaco solo per metà e che non aveva il minimo senso della misura in nessun campo, mai si era sentito con quella palpitante voglia di abbatterlo una volta per tutte. La parola maledizione troncò di netto la già scarsa pazienza che aveva nei suoi confronti, ed era fortunato - molto fortunato - se in quel momento la priorità di Sesshomaru non fosse quella di farlo a pezzi.
Cosa credeva, quello stupido di Inuyasha? Che quelli del suo clan erano soltanto insetti fastidiosi come lo erano quei demoni minori che di tanto in tanto attaccavano il villaggio, oppure che erano soltanto dei demoni incompleti come lo era quell'inetto di Naraku?
"Non osare interferire, Inuyasha. Questo obiettivo è soltanto mio."
"Beh? Non credi sia all'altezza?" lo sfidò seriamente, non c'era nessun tipo di beffa nella sua voce di ragazzino capriccioso. E Sesshomaru fremette dalla voglia di rompergli l'osso del collo.
"Non ti permetto di seguirmi. Hai già causato abbastanza problemi."
Calmo e severo: il suo tono aveva la precisa intenzione di non permettergli di replicare, ma sfortunatamente Inuyasha non capiva mai quando era il momento di chinare la testa e tacere.
"Stai forse dicendo che sono io la causa di quel che sta succedendo?!"
"Esattamente."
Il mezzodemone sbatté il piede a terra, pronto a scattare contro di lui. Aveva colto la provocazione - non proprio voluta, quasi spontanea - che il suo caro fratellino gli aveva così spudoratamente lanciato, facendogli guadagnare punti in perspicacia.
"Inuyasha, non perdere la testa" si intromise Kagome, afferrandolo per un lembo della casacca. Evidentemente aveva capito che la situazione fra i due stava seriamente sfuggendo di mano. "Per favore, fa' come ti dice."
"La sacerdotessa ha più senno di te, mezzodemone" replicò Sesshomaru con pungente sarcasmo. "Non ficcare il naso in affari che non ti riguardano."
"Questi sono affari di nostro padre. Ed anche di mia madre, perciò sono anche miei!" sbottò Inuyasha. "Tanto più che è per quella mia parte di natura umana che Noroi è riuscito ad alzare un polverone del genere!"
"E' questo il tuo senso dell'onore, mezzodemone?!"
"Cosa?"
"Preferisci agitare Tessaiga invece di difenderla? Non ho rinunciato a quella spada per vederla in mano altrui."
Doveva aver sortito l'effetto che voleva, perché Inuyasha lo guardò con un'espressione perplessa, come se non si aspettasse di sentirgli dire una cosa simile. Che sciocco, eppure erano anni che non era più interessato a Tessaiga.
"Da' retta a tuo fratello, Inuyasha" lo redarguì Totosai. "Tu adesso hai una famiglia, e Noroi è fuori dalla tua portata. E' potente, anche se non quanto tuo fratello. Se dovesse succedere qualcosa a Tessaiga, non sarai più in grado di tenere a bada il tuo sangue demoniaco. E questo lo sai perfettamente."
"Ma..."
"Non te lo ripeterò ancora, Inuyasha. Non intrometterti."
"La venerabile Kaede e la venerabile Kagome hanno impiegato molto tempo per recuperare Rin, rischiando numerose volte di non farcela. Non esiste un modo per permettere a Rin di ritonare da Jukai più facilmente, nell'attesa di trovare Noroi?"
Finalmente una domanda intelligente.
Sesshomaru voltò lo sguardo in direzione di Miroku, il monaco che la sterminatrice durante la battaglia finale contro Naraku voleva salvare a dispetto della vita di Rin. Sebbene Rin gli avesse raccontato con una punta di divertimento come fosse alquanto sensibile al genere femminile, non c'era nulla in lui che non trasudasse esperienza ed ingegno. Un altro elemento della strana combriccola di Inuyasha che tutto sommato meritava il suo rispetto.
"Sì, c'è" cominciò Miyoga. "La pietra Meido può creare un passaggio, anche se ristretto, dato che Jukai è una sorta di vestibolo per i due mondi. In qualità di Gran Generale Cane ora dovrebbe appartenere a voi, signore, dato che siete l'unico in grado di usarla, insieme a vostra madre."
Collegò rapidamente quel gioiello alle vicende che avevano coinvolto Rin anni addietro, e inevitabilmente si soffermò a sua madre e a quella sua ritrosia a consegnargli quella dannata pietra nonostante lui ne avesse pieno diritto. Fece una smorfia di disappunto appena percettibile al pensiero di doverle chiedere aiuto, ma il tono della sua voce non lo tradì nemmeno per un secondo.
"Il passaggio di consegne non è ancora stato fatto" sentenziò soltanto.
"Quindi appartiene ancora a vostra madre?"
"Non sbagli, Miyoga" annuì. "Ma farò in modo che arrivi direttamente in mio possesso al più presto. Tu, Inuyasha" disse rivolto al fratellastro "nel frattempo, proteggi Rin."
"Aspetta un momento!" disse la ragazza, visibilmente contrariata.
La stava lasciando indietro ancora una volta, per di più dopo averle confessato apertamente di volerla con sé; ma come poteva esporla ulteriormente ai pericoli dell'esterno?
"Sesshomaru!" lo riprese Totosai severamente. "Se hai a cuore la sua vita, non dovrai perderla d'occhio neanche un solo istante. Se dovesse inoltrarsi ancora nella Jukai e non ci fossi tu a riportarla indietro in tempo tramite la pietra Meido, Rin si smarrirebbe nel dolore dei suoi incubi, e la morte sopraggiungerebbe prima del previsto."
Se c'era qualcosa di più doloroso di una stilettata per Sesshomaru, di certo era quella prospettiva.
"E poi, fallo anche per salvare la spada di tuo padre" mormorò il vecchio fabbro, con voce più morbida. "Se la spada si lamentava in quel modo vuol dire che sta soffrendo, perché sta infliggendo a sua volta sofferenza contro la sua volontà. Non abbandonarla."
"A me non interessa Tenseiga."
Le parole scivolarono amare, naturali e rapide come gocce d'olio mentre posava i suoi occhi dorati sulla esile figura di Rin ancora una volta.
Quella maledetta spada gli aveva provocato una vasta gamma di sentimenti tutt'altro che positivi nel corso di quei duecento anni: dalla rabbia al risentimento, dal disprezzo alla lucida consapevolezza di quanto fosse inutile quell'arma - che lui un'arma, neanche la considerava.
Era stato suo padre a progettare per lui ciò che era infine diventato. Era stata Rin poi a concretizzare tutto ciò, trascinandolo docilmente fuori dal buco di ossessione di possedere una spada che in fondo non gli apparteneva fin dall'inizio.
Non Tenseiga.
"Hai sempre reputato Tenseiga una spada di poco conto, ed anche dopo che hai avuto modo di vedere da te la sua potenza - e non solo una volta - hai voluto lasciarla indietro." Il rimprovero del vecchio Totosai non era da biasimare dopotutto, ma il suo orgoglio era ancora decisamente troppo grande per poter ingoiare il rospo senza fiatare.
"Come pensi che ora possa fare altrimenti se quella dannata spada mi respinge?"
"Il fatto che ti abbia respinto sembra confermare che in lei c'è qualcosa che non va e che abbia deciso di proteggerti. Rin", la chiamò il fabbro "quando hai utilizzato Tenseiga non ha dato segni di voler resuscitare quella ragazzina, vero?"
"Che volete dire?"
"Ha dato segnali di alcun genere?"
"No."
"Solitamente - e Sesshomaru lo sa - Tenseiga prende a pulsare quando vuole essere usata. Con il suo silenzio, Tenseiga ti stava espressamente dicendo che non voleva essere estratta. Ti stava proteggendo, Rin."
"Ma quella bambina che..."
"Che hai salvato? Lei sta bene, non preoccuparti: Tenseiga non può prescindere dalla sua natura taumaturgica."
Prima che la ragazza potesse rallegrarsi apertamente, Kohaku scattò in avanti catturando l'attenzione di tutti - in particolar modo quella di Sesshomaru. Aveva avvertito la rabbia di Kohaku crescere fino ad esplodere in quel preciso momento.
"Ah, Rin! Quanto sei stupida!" sbottò di colpo, e Sesshomaru si sentì chiamato in causa come se quel ragazzino umano si stesse rivolgendo in modo così altezzoso direttamente a lui.
"Sei in una situazione così tremendamente difficile e pensi ancora agli altri?"
"Tu eri felice quando ho utilizzato Tenseiga. Ora perché fai così?"
Il sentore di rabbia e di forte delusione di Rin si tramutarono in una collera lapidaria nel demone cane che sicuramente non avrebbe lasciato alcun tipo di replica a Kohaku.
"Kohaku, non ti permetto di rivolgerti a lei in questo modo."
Il ragazzo - un giovane uomo, ormai - si zittì immediatamente, e istantaneamente Rin diventò rossa dall'imbarazzo. Doveva aver colto il fatto che ormai lui la considerasse come sua pari, oppure l'aveva semplicemente presa alla sprovvista, abituata com'era a relazionarsi con loro come una ragazza qualunque di Musashi.
"Ma ormai siamo amici fin da bambini!" lo giustificò, agitando nervosamente le mani. "Non c'è bisogno di riprenderlo per un semplice battibecco!"
Lo disse in un modo così disarmante che Sesshomaru si sentì svuotato di ogni sentimento negativo; paradossalmente però ne avvertì uno nuovo, stavolta pregno di incomodo.
Già, troppo buona.
Si alzò, e lasciò Tenseiga accanto all'arco di Rin con la stessa malagrazia di quando l'aveva presa. Poi diede un colpo secco e nervoso alla tenda di paglia, e finalmente uscì dalla casa di Kaede. Trovò Ah-Uhn sbuffare ad una piccola Kirara, e la mucca di Totosai osservarli leggermente reclinata, mentre l'odore della vegetazione attorno a lui e degli abitanti umani di Musashi lo investivano in pieno. Il sole tiepido della sera prese a pizzicargli leggermente gli occhi, e fu in quel momento che realizzò appieno cosa stesse per fare prima che Totosai lo fermasse dentro.
Perché poteva negarlo a chiunque, ma non a se stesso.
Aveva pensato di spezzarla, quella dannata spada.
Aveva pensato di spezzare Tenseiga, la spada che suo padre gli aveva lasciato in eredità, credendo erroneamente che così facendo tutto si sarebbe risolto. Totosai avrebbe considerato una simile idea un autentico abominio, ma se quel gesto che l'istinto gli aveva suggerito avesse avuto il potere di salvare Rin, di certo non si sarebbe tirato indietro.
Udì i passi della ragazza raggiungerlo in fretta, invocando il suo nome affinché si fermasse. Nonostante Rin sapesse che la sua natura demoniaca lo rendeva immune alla maggior parte delle ferite, la nota velata di preoccupazione per la sua mano si fece sentire chiara e distinta. E prima che lei potesse fare qualcosa, Sesshomaru l'anticipò prendendole entrambe le mani - profumate di erbe mediche e un po' rovinate dalle numerose raccolte - già protese verso le sue, avvicinandole a sé. Ne baciò le piccole dita, dolcemente, con gli occhi chiusi, desiderando ardentemente di prendere su di sé quella malaugurata sofferenza soltanto per poterla sottrarre a lei.
Perché tutto ciò che Sesshomaru voleva era che Rin stesse bene. Dall'alto della straordinaria potenza acquisita e dal prestigio del suo rango, l'unica e sola cosa che Sesshomaru bramava di più al mondo era che Rin vivesse magnificamente per il resto della sua vita, con o senza di lui. Anche se per lui la sua assenza sarebbe stata difficile da sopportare.
Percepì una leggera esclamazione di sorpresa da parte di Rin, il suo cuore perdere un battito e una scarica di felicità permeare l'aria e circondarlo. Sesshomaru si sentì quasi cullato da quella sensazione.
Le lasciò le mani soltanto per prenderle il viso, e spinto da un impulso di tenerezza si chinò su di lei per baciarle la fronte leggermente accaldata. Seppure di sfuggita, si ritrovò a pensare che quelli erano i primi baci dati a Rin. Probabilmente non c'era spazio per questo in una circostanza del genere, ma effettivamente non c'era spazio neanche per pensare a queste sottigliezze, non quando Rin aveva bisogno delle sue attenzioni tanto quanto lui aveva la cocente necessità di vedere un suo sorriso.
"Come stai?"
"Bene" rispose lei semplicemente, e dai suoi sensi sviluppati appurò che sì, stava bene sul serio, e che non lo aveva detto per non farlo stare in pena.
Le sue ferite si erano rimarginate quasi immediatamente, e di ciò che le era successo appena poco prima non rimaneva altro che l'odore di alcune macchie di sangue asciutto sulla sottoveste al di sotto del kimono rosso scuro che indossava. Dell'odore del suo sangue fresco ormai non v'era nessuna traccia.
"Allora preparati a partire. Ti aspetto alla radura."
Le lasciò un'ultima carezza prima che Jaken si mettesse a gracchiare il suo nome dietro di lui.
"Padron Sesshomaru, cosa facciamo?"
"Va' a prendere un po' d'acqua al fiume e ritorna a prendere Rin" gli disse soltanto.
"Certo, signore."
Il kappa obbedì immediatamente. Si arrampicò faticosamente su Ah-Uhn mentre Totosai usciva dalla capanna con Tenseiga fra le mani; al seguito arrivarono Inuyasha, Kagome, Kaede e tutti gli altri.
"Tieni" disse il fabbro porgendogli la spada. Sesshomaru la prese senza battere ciglio, anche se non lo fece volentieri. "Un'ultima cosa: non permettere che Bakusaiga venga sigillata."
"Non c'è alcun bisogno di ricordarlo."
"Proteggila a costo della vita, Sesshomaru" disse la vecchia Kaede per nulla intimorita. Lei più di tutti stava soffrendo per Rin: l'aveva vista crescere, come lui d'altronde, ma giorno dopo giorno, senza poterne percepire le differenze della bambina e della ragazza. E Sesshomaru comprese la sua ansia perfettamente, come non era mai successo con nessun altro umano.
"Sesshomaru non è il tipo più simpatico del mondo, ma possiamo contare su di lui" le fece eco Inuyasha. "Mi fido di te, hai capito?"
Spostò lo sguardo impassibile verso il fratellastro, osservandolo per qualche secondo e soffermandosi su quella chioma bianca e quegli occhi così simili ai suoi. Aveva provocato tante noie a quel mezzodemone e ai suoi amici per poi arrivare a sacrificarsi per loro: era inevitabile che Inuyasha trovasse in lui la stessa definizione che Sesshomaru costantemente respingeva. Che fosse per una strana inclinazione sentimentale di stampo umano o una sorta di esigenza personale da parte sua, Inuyasha doveva vederlo come un appiglio su cui contare, sebbene lui non facesse altro che dimostrarsi sempre freddo e scostante.
Scoprendosi alquanto imbarazzato diede un'ultima veloce occhiata a tutti, per poi voltarsi e spiccare il volo verso la collina più vicina per aspettare Rin alla solita radura, appena fuori dal villaggio. Avrebbe dato del tempo alla ragazza per permetterle di lavarsi, fare i bagagli e salutare Inuyasha e gli altri.
"Vieni, Rin. Kaede mi ha detto che hai perso di nuovo i tuoi sandali" sentì dire da Kagome.
"Già" rispose lei.
"Dovrebbero esserci delle paia in più, a casa mia."




NDA
Jukai (letteralmente "mare di alberi") non è altro che il vero nome della più nota Aokigahara, ovvero "la foresta dei suicidi". Niente di inventato: anche se ci ho ricamato molto sopra, questa foresta esiste davvero. Si trova alle pendici del monte Fuji, e vi si recano tutti coloro che hanno intenzione di togliersi la vita. Così come Totsuka è una spada presa dal folklore giapponese.
E anticipiamo un nuovo personaggio, il primo: Noroi (maledizione). Sì, insomma: se c'è la carica di generale, perché non potrebbe esserci quella di colonnello (taisa)? xD
Certo, avrei potuto fare una ff su un bel "vado, l'ammazzo e torno" (mi sarebbe piaciuta) ma niente, ho fatto in modo che fosse rischioso sia portarla che lasciarla a Musashi. Tanto vale...
Inoltre - dato che precedentemente non l'ho fatto - vi faccio i miei ringraziamenti per tutti quelli che hanno messo la ff fra le preferite, le ricordate e le seguite; i recensori e quelli che leggono soltanto - siete moltissimi! :D
Se ci sono errori potete tranquillamente segnalarli.
A presto :)


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Espiazione ***


 

Espiazione

 

 

"Tieni, Kaede."

"Cos'è?"

"La mia parte di denaro dell'ultima missione con Kohaku. Voglio che la tenga tu. Da' un bacio a Shippo, quando ritornerà al villaggio."

Kohaku prese in mano la sua parte di soldi che lui e Rin avevano guadagnato dall'ultima commissione, soppesando velocemente cosa fosse giusto farne. Sarebbe stato più consono darla a Kaede come aveva fatto Rin, ma l'idea di darla a Sango o ai suoi nipoti stava prendendo di gran lunga più spazio nella sua testa.

Se ne erano andati tutti dopo quella riunione, ciascuno a riprendere le proprie mansioni sperando che andasse tutto per il meglio, e dopo aver passato qualche istante con la vecchia Kaede e con Kirara che sonnecchiava tranquillamente al suo fianco il giovane sterminatore decise di alzarsi e rivestirsi con la sua tenuta da combattente alla fievole luce della lanterna, cercando di mettere disperatamente a tacere la ferita alla gamba che gli pulsava per il dolore.

"Dove vuoi andare, tu?"

Kohaku si voltò, colto alla sprovvista, incontrando lo sguardo penetrante e un po' preoccupato della sacerdotessa; e per un momento pensò che le avrebbe dato un'ulteriore pena se lo avesse visto andarsene di volata con quel po' di febbre addosso e con il serio rischio di peggiorare l'infezione. Ma allo stesso tempo si scoprì totalmente indifferente a quella preoccupazione.

"Con Rin e il signor Sesshomaru."

Si annodò con forza l'armatura alla vita, prendendo poi con sé l'arma che Totosai gli aveva forgiato tempo prima e che in tutti quegli anni di onorato servizio non aveva conosciuto la minima scalfittura nonostante le centinaia di demoni uccisi. Tirò le labbra in un sorriso: quella era una delle poche soddisfazioni che era riuscito a procurarsi in quel lasso di tempo.

"Sei ancora ferito, ragazzo" bofonchiò l'anziana donna, e la sua voce lamentosa gli indicò che era sul punto di piangere di nuovo. "Non sei ancora in grado di reggerti in piedi."

"Non proprio, in effetti" asserì lui, sciogliendosi i lunghi capelli e riannodandoli in una coda più stretta e duratura. "Ma non posso starmene con le mani in mano quando Rin corre un pericolo simile."

"Non riuscirai a fare granché. Lo hai sentito Totosai, no? Quello con cui Rin ha a che fare non è uno di quei demoni che sei solito uccidere: con tutta probabilità è un demone maggiore, proprio come Sesshomaru."

Kohaku si bloccò di colpo, soffermandosi sulle parole di Kaede il più razionalmente possibile; ma quel barlume di raziocinio andò in frantumi non appena la sua mente corse alla sua amica. Nel momento in cui la vide prendere arco e faretra gettandoseli sulle esili spalle e montare su Ah-Uhn con Jaken, Kohaku sentì che doveva fare qualcosa per aiutarla. Lei era una ragazza forte, sempre con il sorriso sulle labbra, e vedere quel sorriso spegnersi per Kohaku fu come ricevere una freccia dritta al cuore. E non importava molto se c'era nel mezzo qualcosa di sconosciuto, che aveva poco a che vedere con il suo solito e strettamente materiale metodo di ammazzare demoni malvagi.

"Avete ragione, venerabile Kaede, ma non mi farete desistere."

L'uomo che era arrivato in lui lo aveva reso piuttosto secco e diretto, ma del ragazzino gentile aveva mantenuto l'ingenuità e la determinazione.

Sentì Kirara fargli piano le fusa contro la sua gamba, guardandolo poi con i suoi occhi grandi e apprensivi. Kohaku si chinò per carezzarle la testolina e grattarle il collo, beandosi del suo tepore ancora una volta prima di andare.

"Non ti chiederò di venire con me" disse in un sussurro, ma in risposta Kirara si precipitò fuori e in un turbine di fiamme crebbe di dimensioni, spalancando le fauci in un ruggito.

Kohaku tornò a fissare a lungo Kaede, lasciando il sacchetto di monete fra le rughe delle sue mani nodose.

Da lì a breve anche sua sorella Sango sarebbero diventata così vecchia e pesante. Lo pensò mentre il suo sguardo si perdeva negli anfratti dell'occhio sano della sacerdotessa, offrendole un'ultima possibilità di vederlo bene in faccia e di farsi ricordare come il ragazzo vittima e carnefice al tempo stesso, ma che aveva ben poco del primo e tanto, troppo dell'altro.

Aveva parlato a lungo con Kaede dei suoi crimini, e lei gli aveva sempre donato una comprensione che spesso gli suggeriva quanto in realtà fosse inutile confessarsi.

"Parla con me, Kohaku."

Sango glielo ripeteva ogni sporadica volta ne avesse l'occasione, e lui puntualmente si rifiutava accampando scuse a profusione. Finché cominciò ad evitarla, nonostante sapesse che n fondo questo suo atteggiamento avrebbe potuto ferirla in modo irreparabile. Perché era la sua assenza che dilaniava il cuore di Sango, più di ogni altra cosa - quante volte Rin aveva cercato di farglielo capire?! - ma Kohaku respingeva questa idea pensando che fosse proprio la sua presenza che turbava la pace ormai raggiunta della sorella maggiore.

E se paradossalmente avesse sbagliato le sue supposizioni, allora era la presenza della sorella che tormentava profondamente lui. Se ci fosse stata ancora lei ad occupare la sua visuale avrebbe rivisto il padre sgozzato, i compagni dissanguati e lei stessa pugnalata; e a quel punto niente lo avrebbe ricondotto ancora a Musashi, nemmeno il maestro Miroku, nemmeno i loro figli.

"Questa è per Sango."

"E' un suicidio, Kohaku."

"Può darsi. Addio, Kaede."

La vide tremare vistosamente di fronte ad una tale serenità, tanto che a stento riuscì ad assicurarsi ancora una volta di avere la sua arma alla cintura; e forse anche lui aveva sentito il cuore fremere nel petto a quella parola.

"Andiamo, Kirara."

La soppesava spesso, soprattutto da quando la morte di Naraku aveva spostato la sua attenzione dalla vendetta. Nonostante fosse ormai esperto ed agile ed avesse acquisito piena facoltà della sua mente ancora non riusciva a liberarsi dalla bruciante colpa di aver sterminato la sua famiglia e i suoi compagni, tanto meno riusciva a capacitarsi che l'unica superstite della sua furia omicida volesse vivere e gioire con lui.

Non era così che Kohaku credeva possibile dimenticare un tale misfatto. L'unico appiglio a cui fare riferimento per espiare il proprio peccato era quello di perseguire il mestiere di famiglia, per poter rendere un meritato onore a suo padre e ai suoi compagni deceduti, o almeno così pensava.

Si era dedicato anima e corpo a quello che era diventato una sorta di voto, buttandosi a capofitto nel suo lavoro di sterminatore di demoni con una sicurezza che infine lo aveva portato a farsi un nome nelle zone vicino Musashi. Quel nome raccontava di un giovane sterminatore per il quale spesso la gente si perdeva in particolari romanzati che modificavano sensibilmente la sua immagine, storpiandola del tutto.

Il Kohaku costruito dagli altri era un ragazzo alla ricerca della felicità e della benevolenza dei villaggi a cui faceva visita, o alla ricerca di un compagno con cui condividere la sua vita.

Il vero Kohaku era alla costante ricerca dei demoni più difficili da sconfiggere - riuscendoci con pochissimo sforzo - e di quei villaggi che non potendo permettersi di far fronte a spese esorbitanti per pagarlo, gli offrivano soltanto la loro piena riconoscenza.

Ma non sapeva perché lo facesse in realtà. Per aiutare la gente, ripeteva spesso nella sua testa; e non era del tutto scorretto. Era una strada valida per poter ritrovare quel pur misero surrogato di innocenza che Naraku gli aveva così brutalmente sottratto. I rischi erano alti, perfino per uno sterminatore del suo livello; e molti al villaggio, Miroku e Inuyasha compresi, gli avevano più volte consigliato di non spingersi troppo oltre e di essere più cauto, per il bene di Sango. Kohaku puntualmente li ignorava per un forte senso di ostinazione, e passava al demone più pericoloso senza la benché minima paura o esitazione, perché semplicemente la paura e l'esitazione non c'erano. E se provava a darsi una risposta per quel comportamento, ne trovava solo e soltanto una: Kohaku desiderava la morte nella stessa misura con cui un ragazzo della sua età di norma desiderava un corpo da stringere; e non c'era niente di più rasserenante dell'idea di averla per mano di un demone o di un essere umano posseduto.

Una parte di sé, d'altronde, era già morta da un bel pezzo.

Quando però un giorno di fine estate Rin gli aveva chiesto di poterlo seguire nelle sue commissioni di sterminatore, qualcosa era cambiata.

"Ah, Rin! La tua è solo noia..."

"Io voglio tornare a viaggiare, Kohaku!"

"E il signor Sesshomaru? Cosa penserà se non ti troverà al villaggio?"

"Lascerò detto a Kaede che io lo sto comunque aspettando. Lui capirà, ne sono sicura. Altrimenti non mi avrebbe lasciato Ah-Uhn."

Aveva insistito così tanto che Kohaku aveva infine deciso di portarla con sé. Così, al suono stridente delle catene e dei ruggiti di Kirara si aggiunsero le chiacchiere continue della ragazza e gli sbuffi del drago a due teste; e quella parola che inconsciamente cercava nel fiume di sangue dei demoni venne sostituita da un'altra, dettata dalla voce di una ragazzina che Kohaku nel corso degli anni aveva finito con il reputare come una sorta di sorella minore da coccolare, da proteggere, anche da sgridare, se fosse stato necessario.

Con lei Kohaku aveva finalmente scoperto come sarebbe stata la sua esistenza - come sarebbe stato lui - se non si fosse macchiato dei crimini di cui era responsabile, e non gli fu difficile promettere a se stesso che l'avrebbe difesa a costo della vita.

Ma per poter prestare la massima attenzione alla ragazza, aveva dovuto desistere da quel suo atteggiamento avventato. Perché quando portava Rin con sé, poteva farlo solo accettando le missioni meno pericolose; e siccome la ragazza voleva lasciare spesso Musashi, di conseguenza Kohaku negli ultimi tre o quattro anni aveva dovuto rinunciare - non senza un certo disappunto - alla ricerca di demoni che avrebbero potuto mettere a repentaglio la vita di Rin.

Inoltre, così facendo, esprimeva a modo suo lo sconfinato rispetto che aveva nei confronti del signor Sesshomaru: lo stimava profondamente, tanto quanto all'epoca aveva stimato l'onorevole Kikyo, e proteggere quella che a conti fatti era la sua protetta e futura compagna lo riempiva di onore, di gratitudine, e di una serie infinita di sentimenti che le parole difficilmente avrebbero potuto esprimere.

"Kirara, segui l'odore di Rin e Jaken."

La gatta aumentò la velocità considerevolmente, inducendo il ragazzo a chinare leggermente il busto per non cadere all'indietro.

La luce della luna era troppo debole per permettere ai suoi occhi di distinguere nelle tenebre del bosco al limitare del villaggio, così il giovane uomo si affidò completamente a Kirara per raggiungere la radura di cui Rin gli aveva raccontato: dalle parole scambiate fra lei e Jaken prima di cominciare il cammino avrebbero incontrato il signor Sesshomaru laggiù.

Kirara doveva averli individuati, perché acquistò terreno appena alcuni metri distanti dal gruppo, e Kohaku scese da lei cercando di fare meno rumore possibile, acquattandosi per carcare di focalizzare al meglio le loro figure nel mezzo del buio. Dovevano essere appena arrivati anche loro, perché Rin e Jaken erano ancora in groppa ad Ah-Uhn, mentre la sagoma bianca e slanciata del demone cane si stagliava di fronte a loro e lentamente si spostava verso il fianco della cavalcatura a due teste per prendere la mano di Rin ed aiutarla a scendere.

Gli sembrò che una scena del genere gli potesse concedere qualche istante necessario per palesarsi ed esternare le proprie intenzioni. Ma non ne ebbe il tempo materiale. Sesshomaru voltò il capo, e la sua voce fu così forte e dura che Kohaku sobbalzò, smuovendo involontariamente la piccola siepe che aveva scelto per schermarsi alla loro vista.

"L'odore del tuo sangue è troppo persistente per poterti concedere il lusso di nasconderti da me. Esci allo scoperto, Kohaku."

Il suo tono non aveva niente che potesse ricordare anche vagamente ad un rimprovero, ma Kohaku poteva percepire la lieve nota di fastidio, probabilmente per aver ricevuto da parte sua un comportamento così sfrontato e irriverente.

I suoi passi così come quelli di Kirara al suo fianco furono accompagnati da un'esclamazione tanto perplessa quanto contrariata di Jaken e da una Rin ancora più impensierita di quando l'aveva vista lasciare il villaggio di Musashi. Ma l'attezione maggiore di Kohaku fu catturata dal principe dei demoni.

Il demone lo squadrò da capo a piedi con i suoi grandi occhi inquisitori, indugiando a lungo sulla gamba che gli tremava per il dolore e su cui il ragazzo deliberatamente si piegò, gettando lo sguardo sul terriccio smosso della radura. Agli occhi di Sesshomaru doveva sembrare patetico come un bambino che vuole giocare a fare il grande - soprattutto dopo aver fatto una prova di forza banale come quella - ma non si scompose, e rimase in quella posizione che non aveva mai assunto da bambino di fronte a lui e che ora acquistava un significato inedito di abnegazione.

"Perdonatemi, signor Sesshomaru. Ho deciso di venire anche io, se voi lo permettete."

Aleggiò un silenzio di tomba fra loro, tanto che il ragazzo fu costretto ad alzare lo sguardo. Anche se desiderava il contrario in cuor suo Kohaku si aspettava che Sesshomaru gli negasse la sua collaborazione. Invece di rispondergli subito però il demone non faceva altro che fissarlo, privo di qualsivoglia espressione, ma il giovane sterminatore sapeva perfettamente che nel frattempo la sua mente stava lavorando - forse valutando - sulla possibilità di aggiungerlo nel gruppo insieme alla sua gatta oppure rimandarlo indietro.

Inaspettatamente però fu Rin ad intervenire al suo posto.

"No, Kohaku! Tu devi restare qui a curare quella ferita e a recuperare le forze", e se non fosse stato dotato di quella volontà di ferro, la sua voce rotta dall'angoscia lo avrebbe fatto subito battere in ritirata.

"Torna indietro" disse finalmente Sesshomaru, ma non era ciò che Kohaku voleva sentirsi dire. "Quella gamba ha appena cessato di sanguinare."

Sesshomaru gli diede le spalle, forse certo di aver concluso quel colloquio, e Kohaku fu cotretto ad incontrare gli occhi scuri della ragazza che si rasserenavano a quelle parole, probabilmente credendo che bastasse solo una parola di Sesshomaru a farlo desistere dal seguirli.

Si alzò in piedi scattando come una molla, come se quello strano linguaggio del corpo che aveva assunto potesse in qualche modo essere di supporto ai suoi propositi, come se così facendo potesse in qualche modo convincere il signor Sesshomaru.

"Riposerà, in groppa a Kirara" tentò di rimediare. Ciò fece voltare nuovamente Sesshomaru verso di lui, ma ci pensò Jaken a dare man forte al suo padrone, puntandogli contro il Nintojo con un gesto stizzito.

"Kohaku, quando padron Sesshomaru dice una cosa è doveroso dargli ascolto!"

Kohaku però era certo di far valere la propria, temeraria intenzione; almeno finché Sesshomaru intercettò quel filo sottilissimo, teso nella sua mente di ragazzo ancora nel fiore degli anni che aspettava con ansia di essere tagliato.

"Vuoi morire, Kohaku?" domandò bruscamente.

Era intelligente, Sesshomaru, proprio come suggeriva la sua natura di demone maggiore e come suggerivano quegli anni di piena maturazione di sé, che avevano chiuso la porta ad alcune questioni ed aperta a tante, nuove prospettive. Miroku e Kagome gliel'avevano raccontata la storia di Sesshomaru e Inuyasha: loro più di altri avevano avuto modo di assistere alle loro scaramucce in prima persona, dettate da quello strano rapporto intriso di cocente frustrazione da una parte e di penosa emarginazione dall'altra e di come quest'ultima si era indurita per far fronte alla prima. Ogni cosa poi si era conclusa con un tacito accordo - seppure constantemente traballante - di non belligeranza, mantenuto saldo prevalentemente sul fatto che il principe dei demoni raramente incontrava il fratello.

Kohaku fece un respiro profondo, quasi impercettibile per gli altri ma di certo vivido e limpido per le orecchie del demone cane.

"No" rispose il giovane sterminatore ma la voce non uscì risoluta come avrebbe voluto nell'affermarlo. "Ma sono qui per servirvi."

"Te lo dissi già una volta, mi sembra: non ho tempo per darmi da fare per te."

"Certo, lo ricordo. Ma non sono più un ragazzino inesperto." Gonfiò il petto con fierezza - era straordinario come riuscisse a ritrovarla lì, tenace e inscalfibile, proprio nell'istante in cui giungeva il momento di dimostrare il suo valore - e lo guardò negli occhi con orgoglio. "Ora sono un combattente."

Il demone lo fissò con un atteggiamento alquanto scettico, e probabilmente questa fu la cosa che punse nel vivo Kohaku dopo moltissimi anni.

"Che ragazzo sconsiderato! Mi stupisco di te, Kohaku!" Jaken lo sgridò nuovamente, e Rin mosse un passo - forse nel tentativo di replicare come il kappa - ma Kohaku le tagliò la possibilità continuando la sua conversazione con Sesshomaru.

"Proteggerò Rin per voi. So bene di essere soltanto un essere umano e di avervi intralciato varie volte durante la guerra contro Naraku ma Rin è come una sorella per me e farei di tutto per lei, esattamente come voi."

Fu come se si fosse liberato di un peso, almeno in parte, facendo leva sulla comune salvaguardia di quella persona così preziosa per entrambi. Perché oramai al villaggio le visite silenziose di quell'imponente demone erano risapute, e ancora più rinomata era la motivazione che di tanto in tanto lo spingeva fin dentro il villaggio di Musashi per dodici anni. Quel motivo aveva i capelli e gli occhi nerissimi lasciata al villaggio anni addietro, e quell'aura di mistero che la circondava - perlomeno, agli occhi degli abitanti - per essere la protetta di un potente demone e della sacerdotessa di quel villaggio: due parti tradizionalmente concepite come una l'antitesi dell'altra, che però avevano trovato una sintesi perfetta in quella ragazzina dolce e testarda, sempre a piedi scalzi e sempre alla ricerca dell'avventura più selvaggia, vestita dei kimono di quello stesso demone che valevano tanto ed anche più dell'intero villaggio.

La ragazza gli si avvicinò di fretta con un'espressione seria sul viso, tanto che Jaken trattenne il respiro in un gemito strozzato stringendo a sé il bastone a due teste.

"Cosa direbbe Sango? Se dovesse succederti qualcosa ne soffrirebbe, ne soffrirebbero tutti al villaggio" sussurrò lei a poca distanza dalla sua faccia.

Kohaku abbassò gli occhi con aria colpevole - Rin sapeva che punti del suo animo toccare, e la odiava per questo - sentendo il calore della vergogna spargersi sulle guance.

"Tu cerchi l'espiazione" aggiunse la giovane a bassa voce, insinuando un velo di coscienza nella sua mente. "E non la troverai in questo modo."

Fu colto sul vivo a quella constatazione, proprio come aveva fatto il signor Sesshomaru appena poco prima, e Kohaku esplose in una combinazione di rabbia e stanchezza tale che dimenticò del tutto il dolore pulsante della gamba.

"E cosa c'è di male in questo?" ribatté, e doveva averci impiegato molta enfasi, perché la testa del demone cane scattò in basso e gli occhi si fecero più ambrati e inquieti, come un toro furente che si prepara alla carica.

"Se ci rimetti la vita nessuno potrà più recuperarla, non ricordi?" proseguì la ragazza, la cui voce diventò così fastidiosamente preoccupata - ancora di più - che l'astio di Kohaku nei suoi confronti si ripresentò tanto e più forte di prima, alla capanna di Kaede.

"Neanche la tua, se è per questo!"

"Smettetela, voi due."

Rin sobbalzò, così come Jaken. Contrariamente a loro, Kohaku si aspettava già da un po' una reazione simile: in un solo ringhio sommesso, quasi crudele, il signor Sesshomaru mise a tacere tutto il gruppo; persino gli animali notturni della foresta avevano smesso di fiatare.

"Puoi venire, e può venire anche la tua gatta. Ma non deludermi, Kohaku" disse poi, esattamente come lo sterminatore voleva - non una nota diversa da quelli che erano i suoi propositi originari. "E tu, Jaken. Metti a tacere i tuoi pensieri, sono fastidiosi."

Rin afferrò le briglie di Ah-Uhn fissandolo tristemente, e Kohaku si sentì in dovere di rassicurarla - l'aveva tribolata molto dopotutto, e ora si sentiva in colpa - dandole un buffetto sulla guancia come faceva sempre. Però stavolta non sortì l'effetto sperato: in risposta Rin carezzò il pelo folto di Kirara, facendogli intendere che quello non era il momento per destarla dai suoi pensieri.

Presero a camminare per il bosco, inoltrandosi sempre di più nella zona più fitta di alberi, di rami e foglie verso l'alto e in un groviglio quasi initerrotto di enormi radici traboccanti dal terreno. Era un luogo totalmente inadatto per poter spiccare il volo senza compromettere l'incolumità di Rin, così Kohaku pensò che il signor Sesshomaru volesse arrivare al limitare della foresta per permettere loro di prendere il volo più agevolmente. E così fu: non appena la folla di alberi si fece via via più rarefatta, quasi inavvertitamente Rin si issò su Ah-Uhn protendendo una mano per aiutare Jaken a salire davanti a lei e Kohaku li imitò salendo faticosamente in sella a Kirara con un gemito che troncò sul nascere.

Sesshomaru si fermò - probabilmente tentando di intercettare un odore - poi prese il volo seguito a ruota dalle due cavalcature alle sue spalle. Volarono per ore, tanto che si fece giorno e poi pomeriggio, con il principe dei demoni alla testa del gruppo, finché arrivarono ad un punto indefinito verso ovest e si fermarono sulle sponde di uno stagno colmo di fiori di loto.

Ah-Uhn atterrò proprio nell'esatto momento in cui il signor Sesshomaru alzò il capo fiero per fiutare nuovamente l'aria, e così fece Kirara dando modo a Kohaku di scendere.

"Restate qui" ordinò il demone, poi riprese a librarsi nell'aria sparendo oltre la coltre di nubi.

Quando furono soli, Rin si avvicinò a lui con un involto, il viso lievemente dispiaciuto. "Cambiamo le bende?" chiese con un sorriso tirato.

Kohaku non comprese subito, ma non appena posò lo sguardo all'altezza della ferita dell'ultima missione si rese conto che il suo sangue aveva imbrattato anche la sua tenuta di combattente. Solo un occhio attento come quello della piccola Rin poteva accorgersene.

Si cambiò lontano dalla sua vista, per poi ritornare con degli hakama verde pallido semplici e sedersi sulla riva leggermente scoscesa del piccolo stagno.

"Bella scenata, eh?" rise per sdrammatizzare mentre Rin si accucciava davanti a lui. "Proprio una bella scenata."

Non voleva che Rin fosse in collera con lui, proprio come non voleva rimanere arrabbiato con lei a lungo. Sapeva che Rin teneva a lui e alla loro splendida amicizia, e Kohaku voleva lasciarsi alle spalle quella litigata più di ogni altra cosa. Ma prima doveva chiarire con lei - lei che lo conosceva più di chiunque altro, insieme a Kirara - e voleva farlo riappacificandosi.

"Ah, Kohaku" sbuffò Jaken. "Padron Sesshomaru ora dovrà perdere tempo pensando anche a te. Ti ricordo che qui non stiamo facendo una gita."

"Già" aggiunse Rin. "Ma si vede che a Kohaku non fa paura proprio niente. E questo mi preoccupa."

"A me infastidisce, invece!" sbraitò il kappa. Era alterato, ma sicuramente lo era di più perché qualcuno aveva trasgredito agli ordini del suo padrone, e non per altro. "Quel che irrita padron Sesshomaru irrita anche me!"

"Sesshomaru non vuole che tu ti metta in pericolo" spiegò la ragazza.

"Rin" la riprese Kohaku, e il suo tono diventò serio, tanto che indusse Rin ad alzare lo sguardo verso di lui. "Forse hai ragione, ma credimi quando ti dico che voglio dare una mano a te e al signor Sesshomaru."

"Certo che ti credo! Però..."

"Se devo rischiare la vita, stavolta voglio farlo per la mia sorellina."

Avrebbe voluto vedere il visino di Rin illuminarsi a quell'appellativo, ma purtroppo Kohaku ebbe l'effetto opposto.

"Mi sentirò tremendamente in colpa nei confronti di Sango se dovesse succederti qualcosa..."

"Adesso smettiamola, va bene? Non mi sono pentito della mia scelta e non mi farai desistere."

Rin sospirò, rassegnata. "Testardo, eh?!"

"Stando con te..." ribatté lui con sufficienza.

La ragazza fece per protestare, ma Kohaku le fece cenno in direzione dello stagno.

"Dovrebbero esserci dei pesci là dentro" l'avvertì, ma l'espressione di Rin non dava segni di voler mutare. Da bambina o comunque in uno stato di cose differente un simile accorgimento l'avrebbe fatta precipitare nello stagno tutta contenta, ma ora l'unica reazione fu quella di alzarsi, calciare via i sandali dai piedi e arrotolarsi i lembi del kimono per non bagnarlo.

Kohaku scattò in piedi, correndo verso l'acqua, e finalmente udì Rin ridere e rimproverarlo al tempo stesso.

"Ma ti ho appena fasciato la ferita, stupido!"

"Non la bagnerò, promesso!"

Rimasto a riva, Jaken lamentò qualcosa sul fatto che doveva essere sempre lui a pensare a tutto, e cominciò a cercare dei rametti per accendere un fuoco; mentre i due ragazzi dimenticarono i loro problemi, seppure per qualche minuto.

Kohaku vide ancora una volta il sorriso dipingersi sul viso di Rin e le sue grida di felicità spargersi sopra i fiori di loto quando riuscì a prendere un pesce per la cena, e anche se confuso nel fumo della spensieratezza del momento, nella sua testa scivolò il pensiero che comunque fossero andate le cose, non sarebbe tornato a Musashi.

 

 

 

 

 

 

NDA

Un po' triste, lo so, ma volendo metterci anche Kohaku, tratteggiandolo dopo un po' di anni dopo mi sono detta: perché non fare un Kohaku ancora tormentato dai sensi di colpa e che vuole avere poco o niente a che fare con Sango? Avevo già accennato al primo capitolo la situazione proprio perché avevo intenzione di farci un pezzo di capitolo - anche se è andato a finire con un capitolo intero. E no, niente triangolo. Come al solito, se ci sono errori segnalate.

E niente, dopo la parentesi mi chiudo nell'armadio. Ma prima vi ringrazio ^-^

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Finché non si chiudono gli occhi ***



Finché non si chiudono gli occhi


Le braci ardenti del fuocherello scoppiettarono con forza, come se volessero richiamare l'attenzione di Rin per invitarla a riavviare la fiamma. Attenta a non far cadere a terra gli iris blu che aveva in grembo, la ragazza fece quanto implicitamente suggerito: gettò nel mezzo due rametti secchi e li rimestò cautamente con un terzo. Era stato Jaken stesso a raccoglierli, proprio per far fronte alle sue esigenze contro il freddo della notte - e tutto questo senza che Sesshomaru gli ordinasse di farlo. Più tardi il piccolo kappa si era accasciato davanti al fuoco, aveva mangiato un po' del pesce che lei e Kohaku gli avevano offerto e si era trascinato sul manto morbido di Kirara per finire addormentato immediatamente dopo. 
Essendo un demone, il suo aspetto non era mutato di un giorno ma la ragazza aveva l'impressione che fosse decisamente più esausto: si era lamentato apertamente di Sesshomaru - quando anni prima faceva la stessa, identica cosa di lei - facendole intendere quanto il demone fosse diventato intrattabile nei suoi confronti. D'altro canto però nelle ultime ore si era dimostrato seriamente preoccupato di ciò che le stava succedendo, esattamente come lo erano Sesshomaru e gli altri. Questo le dava motivo di credere di come il kappa in fondo fosse sempre stato premuroso con lei.
La giovane posò un'occhiata distratta nella direzione dove si erano accampati, e lo vide russare della grossa insieme a Kohaku, rivestito della sua tenuta da sterminatore per essere pronto al minimo inconveniente. Rin sospirò, distogliendo lo sguardo arrabbiato dal giovane. Quell'atteggiamento sconsiderato del ragazzo la preoccupava molto, perché in cuor suo sapeva perfettamente che questo lo avrebbe portato in guai seri, se non peggio. Rin ammetteva a se stessa di non poter capire fino in fondo cosa si provasse a portarsi una colpa così grande per il resto della vita, ma per tantissimo tempo aveva sperato che un giorno Kohaku avrebbe fatto pace con se stesso e con i sentimenti contrastanti che nutriva per la sorella. Ora però, più di ogni altra cosa, sperava che non gli capitasse niente di male. 
Sospirò di nuovo, e tastandosi distrattamente i capelli si rese conto di avere alcune ciocche ribelli ancora piuttosto umide. La pesca improvvisata li aveva resi fradici insieme al kimono così se li portò al petto per offrirli al calore del fuoco, per poi districarli con le dita come le aveva insegnato Kaede insieme a tante altre cose. 
Rin aveva appreso tantissimo grazie alla vecchia sacerdotessa, e molte di queste lezioni erano incentrate perlopiù sulle attività che coinvolgevano il suo stesso ruolo come la classificazione e la preparazione di piante medicinali, il combattimento con l'arco e il saper leggere e scrivere. Rin trovava la conoscenza delle erbe medicinali molto più utile rispetto a tutto il resto: tantissime volte aveva visto bambini e adulti riprendere salute e vigore dopo aver assunto la pianta giusta, e altrettante volte si era curata lei stessa, che fosse colta da un'infezione o da un più banale raffreddore. Finché aveva reso la cura per se stessa qualcosa che prescindeva dalla sua persona, e tutto per lo stesso identico motivo: se le fosse successo qualcosa di grave, seppure una febbre fosse degenerata in morte, non avrebbe più rivisto Sesshomaru; e conseguentemente a ciò lui non avrebbe più potuto farle visita ed un giorno arrivare per prenderla con sé. Sebbene fosse oramai dotata di conoscenze impartite dalle più importanti sacerdotesse della zona di Musashi - a parte i poteri spirituali - e fosse pronta per affrontare da sola il mondo esterno in tutte le sue forme, aveva basato la sua vita sul pensiero della promessa formale di Sesshomaru e vedere quel progetto dissolversi nel vento della morte sarebbe stato difficile da sopportare, specialmente per lui. 
Ora però le sembrava che tutti quegli sforzi fossero stati totalmente inutili. La sua mente ritornò immediatamente all'illusione, a quei volti diventati ormai ignoti dei suoi genitori e dei suoi fratelli, a quelle grida acute che aveva sentito da loro e che per qualche arcano motivo non avevano mai abbandonato i suoi sogni più angoscianti: quella vita che adesso non le apparteneva più si era ripresentata alle sue porte, facendola ripiombare nell'orribile trauma da cui era ormai guarita; e dalle parole del maestro Miyoga e del maestro Totosai c'erano poche probabilità che lei riuscisse a scamparla. 
Ebbe l'impressione vivida di vedere gli iris blu che aveva raccolto con Kohaku sfiorire velocemente proprio come i fiori gialli di Jukai. Le venne l'impulso soffocante di mettersi ad urlare: la voce però le morì in gola, e lei rimase ferma, immobilizzata dal terrore, con le mani sospese a mezz'aria ritirate quanto più possibile dai fiori. 
Ma sembrò riacquistare subito le proprie facoltà motorie, perché in un lampo di piena e consapevole lucidità gettò i fiori nello stagno, per poi prendersi il viso fra le mano soffiando via dalle labbra un singulto. 
Perfetto. Ora li vedo anche da sveglia!
Con il cuore che le batteva come se fosse impazzito, sentì alcune lacrime pizzicarle gli occhi. Ma prima che potesse concedersi libero sfogo udì dei passi lenti e leggeri avvicinarsi che lei riconobbe immediatamente. Si asciugò in fretta le lacrime rimaste intrappolate agli angoli degli occhi, e voltandosi si rese conto che Sesshomaru aveva posato uno sguardo contrariato sul giovane sterminatore placidamente addormentato. 
"La mia decisione di venire a controllare Kohaku di persona è stata saggia, a quanto vedo."
"Lascialo dormire, Sesshomaru. Ha perso molte energie, poveretto." 
Il demone fece suo malgrado come suggerito, e la ragazza lo vide spostare la sua attenzione al bordo dello stagno per osservare i fiori che lei aveva gettato via, sparsi fra i fiori di loto colorati; e Rin intuì subito che Sesshomaru doveva aver interpretato un simile gesto da parte sua come una prova inconfutabile del suo malessere, dal momento che sapeva che lei amava i fiori sin da bambina e che mai li avrebbe gettati se non fosse stato necessario.
Rin avrebbe tanto voluto ricevere un cenno consolatorio da lui, ma non poteva di certo pretenderlo, non in quel momento così critico. Sesshomaru aveva altro a cui pensare: ad intercettare sua madre per avere la pietra Meido ed informazioni su Noroi innanzitutto, e se era tornato senza dire una parola e senza svegliare tutti per spronarli a seguirlo significava soltanto che non ci era riuscito per il momento, ed il suo silenzio indicava che fosse nervoso. Non lo si poteva leggere dall'incurvatura delle sue labbra, né da un qualsiasi segno del suo corpo, però Rin sapeva che quando Sesshomaru era indispettito il taglio già sottile dei suoi occhi si allungava, e l'increspatura nel mezzo si accentuava nello stesso istante in cui la mascella si serrava, seppure di poco. 
Per un istante il pensiero che fosse in quelle condizioni per lei - ancora di più che stesse cercando sua madre nonostante a casa di Kaede avesse espresso un certo disappunto all'idea di vederla - le riempì il cuore di tenerezza; e quel senso di calore nel petto sembrò traboccare nel momento in cui Sesshomaru le si sedette accanto. 
Però tentò di non rendere troppo evidente la felicità per quel gesto così semplice continuando ad asciugarsi le punte dei capelli. 
Non poteva lasciarsi andare a sentimentalismi simili, non quando aveva provocato grane a Sesshomaru. Non era pentita di ciò che aveva fatto - come poteva, d'altronde? Aveva salvato una vita e non poteva essere più fiera di così - ma non sapeva che quella spada potesse ospitare un potere in grado di infliggerle un simile dolore e che questo Noroi - cominciò ad odiare quel nome - fosse con tutta probabilità tornato in vita e avesse così ripristinato l'accesso a Jukai su Tenseiga. 
Vide la spada guaritrice fare compagnia a Bakusaiga al fianco di Sesshomaru, come tanto tempo addietro, e lasciò andare un sospiro affranto.
"Mi dispiace" mormorò con voce sottile.
Proprio quando Sesshomaru era ritornato per portarla con sé dopo un'attesa durata molto più di quanto dettasse la sua maturità sessuale lei rovinava tutto: aveva rovinato quella mattina da soli alla radura, aveva distrutto ciò che aspettava da una vita intera e aveva procurato altri problemi a Sesshomaru invece di alleviare quelli che sicuramente già popolavano la sua esistenza di Signore delle Terre dell'Ovest. 
"Non è stata colpa tua."
Lapidario - come sempre, del resto - ma a Rin non era sfuggito affatto quella leggerissima sfumatura di irritazione, così come aveva colto il movimento fin troppo veloce delle braccia che si incrociavano nelle maniche del suo kimono. Scosse la testa, torturandosi nervosamente i capelli: era stanca di essere sempre giustificata. 
"Jaken ha ragione quando dice che sono un'ingrata."
"Jaken dovrebbe tenere il becco chiuso."
"Ed anche Kohaku ha ragione quando dice che sono una stupida."
"Quell'umano ha voglia di finire ammazzato fin da ragazzino."
La ragazza si voltò, controllando se Kohaku casualmente fosse sveglio e avesse sentito le loro parole. Ma non lo era - anzi, era sprofondato nel pelo di Kirara con la bocca spalancata dalla stanchezza - e Rin ritornò a voltarsi in direzione di Sesshomaru. 
"Vuole la redenzione per i suoi crimini, ma non è mettendosi in costante pericolo che riuscirà a trovarla" rispose tristemente.
Sesshomaru non replicò, continuando a fissare un punto indefinito davanti a sé; ma ora era spuntata una nota pensierosa nel mezzo del suo volto affilato. Per qualche secondo Rin si perse nel rosso del fuoco che gli colorava i capelli, la coda, gli abiti - ogni angolo in cui la luce della fiamma aveva la sfacciataggine di posarsi su di lui - ma una strana associazione con il colore del sangue le allertò i sensi distogliendola da quella che era diventata una consuetudine in quelle poche volte che erano riusciti ad incontrarsi - rimanere incantata ad osservarlo fra una battuta e l'altra finché non avvampava come una sciocca. 
Un brivido di paura le salì lungo la spina dorsale, e i sensi demoniaci di Sesshomaru dovevano averlo avvertito immediatamente, perché il demone ruppe la sua posizione statuaria per voltarsi verso di lei con aria preoccupata. 
"Non è stato niente!" disse Rin quasi urlando, ma il tentativo di rassicurarlo fu troppo energico e troppo spaventato perché qualcuno - chiunque - le potesse credere. 
"Non lo metto in dubbio" replicò lui, ma a Rin quella risposta suonò così impercettibilmente pregna di sufficienza che si sentì in dovere di smentirsi ulteriormente, che quel colpo di paura non era stato nulla per cui preoccuparsi e che non c'era motivo di darsi pena per un'emozione che poteva tranquillamente tenere sotto controllo da sola.
Che ormai era cresciuta e maturata, e non solo fisicamente.
"Ma insomma! Non sono più una bambina spaventata!" 
Sesshomaru allargò un poco le labbra in un sorriso, posando dolcemente la mano sulla sua testa. L'attirò altrettanto delicatamente a sé fino ad averla avvolta nel suo abbraccio, e sebbene fosse un po' imbarazzata e avesse ancora una volta inconsapevolmente ancorato le dita all'armatura Rin si lasciò andare a quel gesto - così semplice, eppure così ardentemente desiderato - perché niente sarebbe stato più rasserenante per lei di Sesshomaru che la cingeva con le sue braccia marmoree. Il calore di Sesshomaru aveva lo stesso effetto del sole che riscalda la neve fino a scioglierla, e Rin credette di sciogliersi sul serio quando finalmente sentì la tensione distendersi e farsi strada dentro di lei qualcosa di più tenero e più forte allo stesso tempo. 
Sesshomaru affondò il viso fra i suoi capelli, e dopo un attimo di sopresa iniziale Rin trovò l'audacia di gettargli le braccia al collo, sorridendo fra sé. Dopo aver rivisto tutto quell'orrore, si sentiva decisamente rincuorata. 
"Non hai nulla di cui avere paura."
Sesshomaru soffiò piano nel suo orecchio con una cadenza consolatoria e rabbiosa insieme, e nello stesso istante le carezzò la schiena salendo lentamente con la mano fino ad infilare le dita affusolate fra i suoi capelli all'altezza della nuca, per poi premere piano per condurre il suo sguardo di pece in direzione del suo, chiaro e liquido come la luce del mattino. 
Quelli che vide erano occhi che la bramavano e che la tenevano stretta nella loro incondizionata adorazione; e inavvertitamente Rin si sentì diversa, come se in quell'istante per Sesshomaru ci fosse solo lei. Niente più preoccupazioni, niente più demoni o esseri umani, niente di niente.
Il martello nel suo petto prese a farsi più dirompente e doloroso, tanto che poteva udirlo direttamente nelle orecchie, rubandole con forza le parole che Sesshomaru le aveva mormorato. Nel mentre le sue mani continuarono a lambirle piano i capelli fino ad arrivare a raccoglierle il viso, mandandolo letteralmente a fuoco. 
"Farò tutto ciò che è in mio potere per liberarti." 
Al pensiero che lui fosse pronto a mettere tutto a sua disposizione una lacrima carica di commozione le cadde lungo la guancia, e subito Sesshomaru calò la testa per raccoglierla con la punta calda della sua lingua. E sarebbe stato meglio se non l'avesse fatto, perché a quel gesto così intimo Rin perse completamente quel già misero barlume di raziocinio che le era rimasto. 
Ma Sesshomaru non si fermò: unì la sua fronte con quella di lei, per poi fare lo stesso con i loro respiri caldi e densi fino a farli diventare uno solo. Rin avvertì immediatamente il desiderio che vi scorreva, scoprendo che era lo stesso che lei aveva covato per anni nel cuore delle notti di Musashi e rimasto in silenzio per non farlo esplodere. 
Le sue palpebre si fecero incredibilmente pesanti e la sua mente diventò completamente leggera, svuotata da ogni cosa e carica soltanto della strana e avida sensazione di pretendere fino in fondo ciò che lui aveva cominciato. E Sesshomaru la esaudì, carezzandole le labbra con le sue finché non proseguì quel contatto con la lingua. 
Completamente ammaliata dalle sue attenzioni, Rin rispose schiudendo le labbra per accoglierlo dentro; e le carezze della sua lingua calda erano troppo forti e troppo sconvolgenti perché lei potesse trattenersi dall'avvicinare il viso di Sesshomaru con una mano per incitarlo ad approfondire e con l'altra dall'aggrapparsi alla sua spalla per non cedere. Fu come se Sesshomaru non aspettasse altro, perché si insinuò ulteriormente nella sua bocca, ringhiando sommessamente dal profondo della gola, con il controllato desiderio iniziale che si trasformava in impazienza, in foga crescente. 
Anche se priva di esperienza, la ragazza tentò di riversare in quel primo bacio tutto l'amore che aveva dovuto reprimere per anni, ma il bisogno di aria la costrinse a gemere contro la bocca di Sesshomaru, e lui la lasciò immediatamente andare, per poi morderla piano con le zanne lungo la linea del viso e lenirla immediatamente dopo, leccandola con un trasporto sempre più languido, sempre più flebile. 
Rin si rese conto che Sesshomaru si stava progressivamente calmando, così alzò il mento in una muta richiesta di proseguire quel gioco dolce e irruento insieme, ma era troppo stordita anche solo per potersi rendere conto che lui l'aveva allontanata da sé; e quando ad un tratto percepì l'assenza del suo alito caldo sul suo collo fino a scomparire aprì gli occhi, scoprendoli offuscati dal desiderio. 
Doveva essersi disegnata sul viso bollente un'espressione di disappunto ridicolmente buffa, perché Sesshomaru emise un verso molto simile al suono di una risata trattenuta.
"Avevi bisogno di respirare" spiegò atono. "E comunque, Kohaku si sta svegliando."
Lo guardò con perplessità, voltando meccanicamente il capo verso il resto del gruppo accampato a poca distanza da loro. Vide Jaken stiracchiarsi vistosamente e lo sterminatore voltarsi su di un fianco e sbadigliare, e non sapeva proprio dire cosa fosse più consono in un frangente simile - se approfittare ancora dei pochi minuti a disposizione o seguire il pragmatismo di Sesshomaru. 
"Voleremo a palazzo non appena mia madre riconoscerà il mio richiamo."
"Va bene."
Rin gli regalò un sorriso prima di rimettersi faticosamente in piedi ed andare ad avvertire i suoi compagni, ma dovette arrestarsi di colpo perché avvertì un dilaniante squarcio spaccarle in due la testa, mozzandole il respiro. 
Rammentò con sgomento la sensazione di morte di Jukai, mentre veniva legata ancora una volta da spire fatte di tenebra; e ogni cosa - lo stagno, il fuoco, persino la figura bianca di Sesshomaru - si oscurò finché nella sua visuale comparvero le venature sinuose della corteccia di un albero. 
Il terrore ebbe la meglio, e Rin sentì i suoi polmoni esplodere in un acuto grido di paura. 



L'inizio della primavera era il periodo in cui Rin accompagnava Kaede quasi tutti i giorni nella foresta per poter fare rifornimento di erbe medicinali da essiccare durante l'estate e conservare durante l'inverno. 
L'inizio della primavera era anche il periodo in cui Rin lasciava Ah-Uhn libero di potersi muovere e di potersi rifocillare come e quanto voleva. E perché no, anche di potersi trovare un compagno. 
Con la cesta sulle spalle, Rin lo vide girovagare per la foresta e chinare di tanto in tanto le teste per poter annusare una pianticella per verificare se fosse commestibile. 
"E' la stagione degli amori!" ridacchiava sempre Kagome quando si schiudevano i primi fiori di ciliegio, e puntualmente Rin si ritrovava a pensare che no, quel genere di cose non le si addicevano nonostante avesse un'indole abbastanza romantica e avesse oramai raggiunto un'età da marito.
Avere quattordici anni significava essere pronte per diventare mogli e madri per la maggior parte delle donne del villaggio, ma quelli che si svolgevano erano quasi sempre dei matrimoni combinati fra famiglie. Secondo Kaede quattordici anni erano troppo pochi, ma era così che andava il mondo. 
Ma quel rito obbligato per una qualsiasi ragazza non riguardava Rin. Lei era una protetta di una sacerdotessa, non una semplice allieva: nessuno l'avrebbe mai obbligata a unirsi in matrimonio con un giovane scelto da altri. Nessuno l'avrebbe mai forzata a vestirsi di un kimono nuziale, né a presentarsi con le guance rigate di lacrime silenziose al tempio dopo aver implorato per tutta la notte precedente la propria famiglia di origine di non cederla a nessuno.
Nessuno l'avrebbe mai costretta ad avere la sorte delle ragazze della sua età. 
Rin non avrebbe mai avuto la sorte dell'ultima sposa del villaggio, Kaoru. Kaoru era una ragazza allegra e bellissima, una delle poche ragazze del villaggio di Musashi - se non l'unica - che non considerasse la protetta della sacerdotessa una demone, anche se i suoi genitori le avevano comunque proibito di rivolgerle la parola. 
Aveva gli occhi grandi ed era esile come un uccellino, proprio come Rin. Era corteggiata apertamente nella stessa misura in cui Rin era ammirata silenziosamente. Il suo sorriso sembrava riempire di luce una casa intera, tant'era luminoso. Rin credeva di averci perso la testa, per quel sorriso. 
Quel sorriso però, si era spento. 
La notte delle nozze di Kaoru, Rin e Kaede avevano sentito delle urla disperate squarciare il silenzio appena poche ore dopo i festeggiamenti. Avevano creduto che fosse un attacco di un demone malvagio, così avevano afferrato i loro archi e le loro frecce per poi sgusciare via dalla capanna, guidate da Inuyasha accorso anche lui come alcuni abitanti di Musashi in risposta a quell'orribile suono di dolore verso la casa della coppia. 
Una volta dentro avevano visto Kaoru con il volto pallido, gli occhi vacui e del sangue che partiva dalle parti intime sporcare il futon nuziale. 
Nonostante fosse ancora troppo piccola per capire cosa fosse successo, Rin si era fatta coraggio nonostante la terribile scena e si era avvicinata accanto al corpo della ragazza, prendendole una mano abbandonata per non farla sentire sola. Nel frattempo Kaede aveva ordinato ad un uomo di andare a prendere dell'acqua fresca e dei semi di papavero per anestetizzarla. 
Il marito di Kaoru, Souma - uno dei nove pastori del villaggio - non sembrava affatto spaventato di fronte a quello scempio: con un sorrisetto soddisfatto dipinto in volto, aveva fissato Rin a lungo puntando i suoi occhi freddi addosso a lei, sul suo seno, sui suoi fianchi. E Rin si era sentita a disagio, come se fosse stata completamente nuda.
"Che diavolo di uomo sei?" 
Kagome lo aveva ripreso, furibonda come poche volte, e Inuyasha lo aveva trascinato fuori urlandogli in faccia quanto fosse stato un emerito bastardo per non aver avuto rispetto nei riguardi di Kaoru e per averla presa con la forza.
Presa con la forza. 
"Cosa vuol dire?"
Kaede non aveva risposto a quella sua domanda, ma lo aveva fatto Kagome per lei - e Rin apprezzava molto il fatto che lei fosse decisamente più diretta. Ma non quella volta, affatto. Quella volta avrebbe fatto meglio a tacere. 
"Significa che è stata violentata."
"Mia piccola Rin" aveva detto Kaoru con voce debole, prima che i semi di papavero facessero effetto "spero con tutto il cuore che il tuo demone bianco sia gentile con te." 
Quale demone bianco? Si riferiva forse ad Inuyasha? Ma lui era solo un fratellone, per lei, al pari di Kohaku.
Rin poggiò la cesta e raccolse tristemente da terra una manciata di fiori di ciliegio caduti dal proprio albero, portandolo al naso per inspirarne il profumo. Avrebbe voluto raccogliere la bella e dolce Kaoru violentemente calpestata, avrebbe voluto salvarla dall'abisso di angoscia e delirio in cui era finita e ridonarle quel sorriso per cui tutti avrebbero fatto follie. 
Chissà se Kaede le avrebbe permesso di portarglieli, nonostante tutto quel lavoro con le erbe da sbrigare. 
Probabilmente no. 
La sera scese di colpo - o forse era lei che non si era accorta dell'ora tarda? - e la vecchia sacerdotessa chiamò il suo nome da una distanza che a Rin parve davvero considerevole.
Rin ripose i fiori nella cesta delle erbe e la recuperò per caricarsela velocemente sulla schiena. Si affrettò per arrivare al punto in cui Kaede l'aveva chiamata, oltrepassando gli alberi contrassegnati da alcune incisioni, rispondendo con la voce per rassicurare la sacerdotessa. 
Ma si rese conto che la voce non riusciva ad uscire. 
Per una frazione di secondo credette con sgomento di averla nuovamente persa - proprio come quando da bambina l'aveva persa per aver assistito all'assassionio della sua famiglia - ma non ebbe il tempo materiale per realizzare pienamente ciò che le stava succedendo, perché un braccio la afferrò con violenza da dietro serrandole la gola, e una mano le tappò la bocca nel tentativo di impedirle di urlare - ma come poteva farlo, se la voce non l'aveva più?
"Sta' zitta, piccola" sibilò una voce minacciosa nelle sue orecchie che lei riconobbe come quella di Souma. "Vediamo cosa succede quando si prende con la forza una principessa dei demoni!"
Strattonò via la cesta, spargendo il lavoro di un'intera giornata a terra - spargendo i fiori che lei aveva colto per Kaoru - e prese ad armeggiare con l'obi del kimono. Non essendo quello di Rin un capo di abbigliamento comune al villaggio, Souma stava impiegando un lasso di tempo molto ampio per slacciarlo; e chiamando a raccolta il suo coraggio e sangue freddo, Rin utilizzò quel tempo afferrando il coltellino delle erbe che aveva nella manica con la mano libera e ferendo Souma alla coscia con un taglio secco e poco profondo. Ne rimase turbata - sebbene fosse poco grave, una ferita simile necessitava di un intervento tempestivo - ma ringraziò comunque mentalmente Kohaku, Kagome e le loro lezioni di combattimento mentre si preparava a correre il più lontano possibile per lasciarsi alle spalle le urla di dolore del giovane pastore. 
"Rin!"
"Rin!"
Le voci di Kaede e Inuyasha le diedero nuovo slancio nella corsa, ma inavvertitamente venne afferrata di nuovo, stavolta per il braccio, e voltata con forza brutale verso il viso di Souma contratto in un ghigno feroce. 
"La sacerdotessa e il demone non riusciranno a proteggerti."
Le inflisse uno schiaffo talmente forte che la mandò a terra facendole lacrimare gli occhi, e d'un tratto sentì la propria voce farsi strada strisciando come un serpente nella sua gola. Urlò con quanto fiato avesse il nome di Inuyasha e di rimando udì distintamente la risposta del fratellone. 
"Sto arrivando, Rin!"
Ne fu rincuorata, ma il sollievo si dileguò quasi istantaneamente.
Vide l'aspetto di Souma cambiare, la sua pelle andare a fuoco e consumarsi come una pergamena mandata alle fiamme, e alzarsi fino a scoprire i fasci di fibre muscolari rosso bruno che celava al di sotto della pelle, lasciando che il sangue racchiuso fuoriuscisse a pioggia andando a bagnare il terreno davanti a lei.
Rin rimase seduta a terra ad assistere alla scena, totalmente paralizzata dal terrore, mentre Inuyasha arrivava con un salto, e scostava via con un'artigliata quell'immagine dalla sua vista, infliggendole lo stesso, lacerante dolore striato e totalizzante che stava riservando a Souma in quel momento. Il sangue di Souma le schizzò sul kimono blu ornato di piccole carpe rosse e bianche. Rin tentò di pararsi il volto con le mani ma fu troppo tardi: sentì il sangue macchiarle la pelle, e quando vide con i suoi occhi le sue mani ormai sporche, il liquido denso e rosso le corrose la pelle. Atterrita, alzò lo sguardo in direzione di Inuyasha, scoprendo che il suo viso era deformato in una smorfia di rabbia. 
Inaspettatamente, una breccia luminosa si aprì davanti a lei, e la collera del volto di Inuyasha si trasformò in disorientamento, e contemporaneamente i suoi tratti mutarono in quelli di un altro demone - Sesshomaru - con un'espressione altrettanto destabilizzata. 




Si ritrovò fra le braccia di Sesshomaru con la fronte imperlata di sudore, il fiato corto e le guance rigate di lacrime mentre l'immagine di Souma le tormentava ancora i pensieri. Si tastò la guancia, laddove Souma l'aveva colpita nell'illusione, sentendola dolorante sotto il tocco della sua mano. Ciò che le fece più male però fu il lamento di Tenseiga, e lo sguardo confuso del demone mentre la aiutava a rimettersi in piedi e la lasciava freddamente fra le braccia di Kohaku. 
Voltò il capo in direzione di Sesshomaru ma lui non la degnò neanche di un'occhiata. Così lo guardò per un tempo che le parve interminabile, cercando di intercettare il suo sguardo che però non voleva saperne di incontrare il suo; e dall'espressione risentita resa ancora più profonda dall'austerità della sua figura, Rin comprese.
Sesshomaru aveva visto ogni cosa, non c'erano dubbi. 
Aveva visto un episodio importante della sua vita al villaggio di Musashi che lei non gli aveva mai raccontato, che aveva preferito tenere per sé per cause di forza maggiore; ed ora doveva essere ferito e decisamente deluso da lei. Ma per quanto stranamente non si sentisse in colpa, Rin si aggrappò con forza alla tenuta dello sterminatore; e nel momento in cui lui la strinse con maggior forza invocò flebilmente il nome di Sesshomaru, sperando erroneamente che l'udito sviluppato del demone lo tradisse esattamente in quel momento. 
"Oh, niente onorifici?" disse una voce femminile vagamente familiare. 
La ragazza si voltò all'indirizzo di quella voce, così come fece Jaken, e rivide con genuino stupore la madre di Sesshomaru: anche se nella mente di Rin il suo viso era oscurato dal tempo, ricordava che le sue fattezze erano molto simili a quelle di Sesshomaru.
"Esatto."
Sesshomaru rispose alla madre con un vago tono di sfida, e d'istinto gli occhi di Rin si spostarono frenetici su di lui, cercando ancora una volta invano un contatto visivo.
"Sospettavo che i kimono fossero per quell'umana" proseguì lei sospirando. "Avresti potuto scegliere fra le ragazze demoni da me indicate, invece di dare la tua fedeltà ad una come lei."
Per Rin fu una stilettata colma di divertita sufficienza, come se, più che non approvare l'unione di suo figlio con lei ne avesse fatto una relazione priva di ogni valore, incentrandosi su un discorso che prevedeva delle candidate ad un matrimonio combinato. 
Proprio come accade fra gli esseri umani.
"Mi sembra di averti già detto che non ho intenzione di incontrare nessuno che mi proponga un contratto di questo genere." 
"Sai che a me andrebbe bene se tu decidessi di non farlo" replicò la sua interlocutrice. "Continuerei ad avere il dominio sui Territori dell'Ovest, anche se dovrò continuare comunque a condividerlo con te."
"Bando alle sciocchezze, madre" replicò freddamente - con un tono quasi ostile - il suo interlocutore. "Voglio la pietra Meido, e delle informazioni." 
"L'hai lasciata qui di tua iniziativa appena qualche anno fa - troppa responsabilità, avevi detto - ed ora la vuoi perché adesso ti fa comodo? Presumo che sia per la tua umana" disse lei scuotendo la testa. Incrociò i suoi occhi dorati con quelli della giovane, e solo allora Rin si rese conto di avere qualcosa al collo - la pietra Meido - che le gravava leggermente sul petto. Si affrettò a sfilarsela, lasciando che Kohaku provvedesse a restituirla a Sesshomaru. 
"Si può sapere come ha fatto a finire in Jukai?" 
"Se ti sei resa conto di come stanno le cose, questa conversazione sarà meno noiosa."
"Quel luogo era stato reso inaccessibile con la morte di Noroi, siccome Totsuka gli fu assegnata come arma."
"Ma non era Totsuka che voleva" azzardò Sesshomaru.
"Sì, conosco la storia..." replicò seccata. "Era Tessaiga, ciò che voleva. Sapeva però che Toga avrebbe dato le sue spade più importanti ai figli: a te l'oggetto dei tuoi desideri e al mezzodemone Tenseiga" concluse, cogliendo appieno l'impazienza di Sesshomaru. "Certamente lo credeva, lo credevano in molti. Anche tu lo pensavi." Osservò il figlio con un'espressione sarcastica e compassionevole insieme, e Rin si chiese come riuscisse a racchiudere due sentimenti agli antipodi nella medesima occhiata. "Solo io e pochi altri sapevano del piano che Toga ti aveva riservato. Personalmente non ho mai messo bocca su questa faccenda, tranne quella volta, quando arrivasti con i tuoi due cuccioli di uomo e mettesti felicemente a repentaglio la tua vita per loro. Anche a dispetto dell'evoluzione di Tenseiga, sebbene ormai avesse acquisito una tecnica offensiva."
"Stavolta non si tratta di una tecnica offensiva. Noroi ha fatto in modo che Tenseiga avesse il potere di Totsuka sul proprio padrone con sangue umano, condannandolo alle illusioni di Jukai" ribatté Sesshomaru utilizzando le parole di Totosai e Miyoga, e Rin si sentì chiamata direttamente in causa, proprio come era avvenuto a Musashi. 
Che Tenseiga la considerasse la sua padrona? 
"Non potrebbe essere possibile. Noroi morì ucciso da Toga qualche tempo dopo aver conosciuto la sua umana..." 
...Izayoi.
Rin annuì mentalmente, seguendo parola per parola il filo precedentemente tracciato da Totosai e Miyoga e che ora la madre di Sesshomaru stava riproducendo, arricchendolo di altri dettagli che la fecero sentire avida di conoscerli.
"Sai perfettamente che quando muore un demone la sua spada perde il suo potere demoniaco, a meno che il padrone non disponga altrimenti come Toga ha fatto per te e per il mezzodemone nato da lui."
"Si chiama Inuyasha!" protestò Rin a voce alta, ma la demone non sembrò minimamente turbata né indispettita da quell'atteggiamento. 
"Inuyasha, eh? Un mezzodemone che ha un nome che risalta la sua parte demoniaca, tuo padre era davvero ironico quando voleva!" 
"Allora vuol dire che Noroi è ancora vivo" constatò Sesshomaru, aggirando il discorso sul fratellastro.
"Potrebbe essere, sì" confermò la demone. "Oppure è egli stesso confinato nella Jukai: non è vivo ma neanche morto."
I tratti di Sesshomaru si assottigliarono nel tentativo di comprendere cosa sua madre volesse fargli intendere, ma Rin credette di comprenderlo subito.
"Né vivo né morto?!"
"Non ci hai pensato?" rise l'altra, e fu una risata così pienamente sincera che Rin si chiese se Sesshomaru ne sarebbe uscito furente o meno. "Avresti dovuto: in fondo la tua umana è in quello stato in bilico fra vita e morte quando è vittima delle illusioni di Jukai. Almeno, finché non le si chiuderanno gli occhi. Quindi anche il fautore di quelle illusioni potrebbe trovarsi nella medesima condizione. D'altronde, non potrebbe essere altrimenti, siccome era definitivamente morto. Potrebbe aver trovato un passaggio da lì."
Finalmente Sesshomaru tornò a guardare Rin per un istante, per poi dire la stessa identica cosa che passò nella testa della ragazza in quel momento. "Dunque potrebbe essere là."
"Ricorda che è solo una ipotesi."
"Se riesco ad entrare in quella dannata foresta posso cercare Noroi con il mio fiuto e mettere fine alla questione una volta per tutte" continuò lui. "Mi basterà usare la pietra Meido per entrare..." 
"Sesshomaru, sei proprio un ingenuo!" La demone scosse la testa, alquanto divertita. "La pietra Meido apre un varco nel regno dei morti, non nel mezzo della linea del confine dove invece si trova Jukai. Se sei riuscito a recuperare la tua umana è stato solo grazie al contrasto diretto della tua aura demoniaca, tanto potente da cozzare contro quella di Jukai fino a sottometterla. Non devi considerare Jukai come un mero luogo pregno di aura demoniaca, consideralo come un vero e proprio demone. Per te non è possibile entrare: solo chi viene colpito da Totsuka può farlo. Tenseiga imprigiona questo potere senza volerlo, utilizzando il meccanismo inverso, e da quel che mi hai detto ti rifiuta. Peccato che anche impugnandola non riusciresti comunque a fare nulla: questo tipo di maledizione è destinato soltanto a chi ha anche una sola goccia di sangue umano." 
"Perciò" intervenne Kohaku, con una voce - fredda, quasi spaventosa - che non utilizzava da anni "se io dovessi usare Tenseiga in questo momento riuscirò ad entrare."
Il cuore di Rin mancò di un battito e la sua angoscia crebbe a dismisura, tanto che protestò apertamente contro lo sterminatore. "Che cosa ti salta in testa, Kohaku?!" gridò, prendendolo per il bavero della tenuta. "Tu non farai niente, è chiaro?"
"Ragazzo, hai idea di cosa dici?" gli disse con aria grave la demone. "Le tue qualità di sterminatore di demoni per quanto eccelse siano non sono abbastanza per cercare un demone maggiore all'interno di un altro demone senza finire succube di quelle illusioni." 
Kohaku abbassò gli occhi, affranto.
"E comunque, non importa quanti esseri umani ci siano per combattere contro nemici di quel calibro: solo la vittima può tentare di sconfiggerlo." 
Rin finalmente capì suo malgrado cosa significasse non sentire più la terra sotto i propri piedi. Comprese immediatamente di non avere alcuna speranza di salvarsi, perché cosa poteva lei, umana e piccola, di fronte ad un potere tanto grande?
Si coperse il viso sconvolto con entrambe le mani, cacciando indietro un singhiozzo, mentre pensava che nonostante lei avesse imparato qualcosa sui demoni malvagi con le missioni di Kohaku sarebbe morta lo stesso, perduta in una illusione che l'avrebbe poi annientata con una facilità disarmante. 
"Rin e Kohaku devono restarne fuori" disse Sesshomaru con voce tonante, e d'istinto Rin alzò il capo per osservarlo con meravigliata fascinazione: la stava proteggendo - nonostante fosse rimasto scosso da ciò che aveva visto nell'illusione - e non solo lei, ma aveva incluso anche Kohaku sotto la sua ala protettiva. Proprio come aveva fatto tanto tempo addietro.
"Solo lei potrebbe, ma non avendo poteri demoniaci le sarà impossibile a priori. Già, è così che funziona questa maledizione. Ecco perché per un essere umano non c'è via di scampo." 
"Dev'esserci un modo!" disse Jaken, sconvolto.
"Un modo ci sarebbe, sì" disse la demone, riflettendo - o fingendo di riflettere - sulla risposta da dare al kappa. "Cercate lo Higan bana."
"Il giglio rosso?!" domandò perplessa Rin, memore degli insegnamenti di Kaede. 
"Che io sappia fra gli esseri umani è conosciuto anche come fiore della morte o giglio rosso - oppure qualcosa che si avvicina molto a queste definizioni - ma ciò che si racconta sono solo sciocchezze. In realtà conferisce potere demoniaco a chi non ne possiede, o a chi non ne possiede abbastanza."
"Quel fiore è velenoso..." asserì la ragazza.
"Soltanto il suo bulbo, non ogni sua parte."
"Dove si trova?" chiese Sesshomaru con impazienza.
"Voglio dirtelo, Sesshomaru, per l'amore che nutro per te in quanto figlio mio. Ma la pietra Meido rimane qui."
"Molto disinteressato e autentico, il tuo amore."
"Forse la tua umana è talmente in balìa dei suoi sentimenti effimeri che non può fare a meno di offrirtelo senza pretendere nulla in cambio, ma io non sono così sempliciotta."
"Adesso basta!" ringhiò Sesshomaru in risposta a quella provocazione, e di contro sua madre lo guardò accigliata. "Lo cercherò senza il tuo aiuto, allora."
"Il fiore ha la caratteristica di nascondere bene la sua aura demoniaca. Non ci riuscirai da solo, se non ne conosci l'odore. La tua umana invece sembra conoscerlo, potrebbe individuarlo con poco sforzo."
Per la prima volta, la madre di Sesshomaru le riconosceva competenza in una materia; e sebbene Rin ne fosse un po' compiaciuta, quel timore reverenziale nei confronti di quella demone rimase a persistere per tutto il tempo in cui lei la fissava negli occhi.
"Non la porterò con me, se non posso aprire un varco per recuperarla."
"Sulle sponde del fiume Tsuya" riprese lei, chiudendo le mani che stringevano la pietra Meido. "Ma questa te la consegnerò solo domani all'alba. Devo rendere noto che il proprietario di questa pietra non è più Inukimi."
"Ho fretta" borbottò Sesshomaru, ma lei scosse la testa alquanto serafica. 
"Sesshomaru, non vedi che la tua umana è stanca? Non avevi fatto preparare degli ambienti per lei? Kyo, vieni qui!"
Rin stava ancora chiedendosi se la storia degli ambienti destinati a lei fossero uno stupido scherzo della madre di Sesshomaru quando dall'interno del palazzo uscì una ragazzina alta, dai folti capelli bianchi raccolti in una crocchia e da lunghi ed evidenti segni demoniaci di un colore scurissimo che le solcavano gli zigomi marcati. Vestiva di un kimono azzurro cielo, molto simile ad uno che Rin aveva lasciato a Musashi. 
I suoi occhi d'ambra scrutarono i presenti con sparuta curiosità, soffermandosi dapprima su Sesshomaru ed infine proprio su di lei: e da come aveva sgranato gli occhi, doveva essersi resa conto immediatamente che lei era una umana.
"Mia signora Inukimi, mio signore Sesshomaru" sussurrò la ragazzina mentre faceva un lungo inchino. 
Inukimi stava per darle disposizioni, ma Sesshomaru la prevenne, facendo un cenno in direzione di Rin. "Conduci Rin nelle sue stanze."
Kyo sembrò scossa dalla voce tonante di Sesshomaru - come se avesse covato paura nei suoi confronti per anni - ma sembrò ricacciare indietro quel timore con estrema facilità quando si avvicinò a lei. Le porse insieme ad una mano un accenno di sorriso che Rin ricambiò spontaneamente. 
"Mia signora Rin, venite con me" disse soltanto, e Rin rimase interdetta da tanta formalità; ancora di più rimase interdetta dall'onorifico con cui aveva accompagnato il suo nome. 
Signora?!
Osservando la totale mancanza di reazioni da parte sua, Kyo la incitò a seguirla sciogliendola dolcemente dalla stretta di Kohaku, e solo il contatto con le mani forti di Kyo risvegliò Rin dal senso di imbarazzo che l'aveva colta al sentirsi chiamare signora: nel farlo, la voce della ragazzina demone non aveva nessuna cadenza derisoria, né carica di sufficienza. Aveva semplicemente il tono pacato e riverente che si deve ad una persona di alto rango. 
Cercò lo sguardo di Sesshomaru per cogliere un assenso o una conferma qualsiasi, e lo trovò ad annuire, stavolta con una leggera nota malinconica malcelata dalla sua quasi perenne impassibilità. 
Si lasciò condurre dalla ragazza demone, cullata dalle sue mani leggere che la sorreggevano saldamente per il braccio, seguita a ruota da Kohaku e da Jaken, mentre la voce dolce di Kyo si insinuò nelle sue orecchie come un balsamo ristoratore. 
"Come avete già sentito, mia signora Rin, io mi chiamo Kyo. Sono la vostra ancella." 
Non appena udì nuovamente la forma di cortesia Rin arrossì, ritornando a sentirsi pesante e stanca. "Non è necessaria tutta questa formalità, Kyo" l'avvertì con voce nervosa. "Puoi darmi tranquillamente del tu!"
"Oh, no!" disse Kyo, quasi spaventata a quell'idea. "Il signore mi ha detto espressamente che voi siete la signora, dunque devo chiamarvi come si conviene! Ma non pensate a questo, ora. Sarete molto stanca, vi preparo un bagno!"
Prima di sparire dentro il castello, Rin si chiese da quanto tempo Sesshomaru avesse architettato tutto questo per lei, ed inevitabilmente si sentì così ingrata - ecco, la voce di Jaken la tormentava anche quando era in silenzio - che alcune lacrime cominciarono a rigarle le guance; ma non ebbero il tempo di rotolare fino al mento, perché Kyo se ne accorse, e le asciugò pazientemente con un fazzolettino di lino. Accortasi del gesto, Rin la osservò, decisamente perplessa da quella premura da parte di una persona appena conosciuta: le riservava una cura che rasentava la devozione, e, cosa più sorprendente, Kyo sembrava addirittura felice. 
"Non preoccupatevi, signora Rin" mormorò Kyo, riponendo il fazzoletto nella manica del suo kimono. "Il signor Sesshomaru vi aiuterà di sicuro."
La portò in un lungo corridoio, dove Kyo fece scorrere una porta di carta di riso ornata di motivi floreali intrecciati fra loro. E non appena Rin posò gli occhi sugli interni, giurò a se stessa di non aver mai visto nulla di simile prima. Mise piede su una piccola sala dal pavimento in legno sormontate da pareti di un giallo tenue, dove in disparte vi erano un tavolo di ciliegio e dei cuscini per sedersi, foderati di seta rossa. La sala terminava con un gradino ampio, che dava inizio ad una piccola scalinata al centro dove svettava quella che doveva essere una vasca in marmo, con uno strano congegno che partiva dalla base di un caminetto posto al lato opposto del tavolo. Ai due lati, due porticine scorrevoli con gli stessi disegni della porta principale dovevano portare a quelle che gli altri avevano definito altre stanze. E difatti, non appena una sorridente Kyo aprì quella a sinistra Rin vide un futon di una piazza brillare di un vivace color arancio stagliarsi al centro della camera. Con il groppo in gola che persisteva fin dall'ingresso in quel piccolo appartamento, Rin indietreggiò di un passo, sentendosi maledettamente a disagio.
"No, io... non posso..." fremette piano, e Kyo si voltò con aria interrogativa verso di lei, così come fecero Kohaku e Jaken.
"Il signore mi ha detto che avete abitato in un villaggio di umani per anni, in poche parole che non siete abituata allo sfarzo del castello" la prevenne Kyo. "Quindi ho provato a rendere le vostre stanze agevoli."
Sebbene fosse imbarazzata e contenta da tutte quelle attenzioni, Rin trovava così distante l'idea di dividere il castello con Sesshomaru che le venne l'impulso di replicare che probabilmente non ci sarebbe stata una seconda volta in quelle stanze, non quando Sesshomaru sembrava arrabbiato con lei. 
Ma non disse neanche una parola.
"Voi due dovete stare fuori" disse Kyo all'improvviso in tono neutro verso Kohaku e Jaken. I due si guardarono per un secondo, e replicarono quasi all'unisono.
"Ho giurato al signor Sesshomaru di proteggere Rin a qualsiasi costo."
"Il padrone mi ucciderà se le succede qualcosa."
"Mi dispiace, ma queste sono le disposizioni del signore" ribatté lei senza scomporsi. "La signora ha bisogno di riservatezza."
"Rimarremo di guardia fuori, allora" sbottò Kohaku verso la ragazza, il cui unico segno di disapprovazione fu quello di aggrottare leggermente le sopracciglia.
"Fate come volete, signor Kohaku."
Kyo chiuse la porta, ritornando al tono cordiale che riservava soltanto a lei. "Vi aiuto a togliervi il kimono." 
"Faccio da sola."
"Vi prego, farò io."
La spogliò con cura, sottraendole dalle spalle la seta del kimono di Sesshomaru con un fruscio così leggero che Rin quasi non si accorse di non avere nient'altro che la sottoveste sudata. La aiutò poi ad entrare in acqua, placando il bruciore che sentiva in tutto il corpo a causa dell'illusione appena avuta - sedendosi a sua volta sul bordo e versando accanto a lei alcune gocce di un'essenza che Rin raccolse a due mani inspirandone il profumo. Orchidea.
"Ho scelto io le vostre essenze. Questa è essenza di orchidea. Qui ci sono iris e loto. Ve ne procurerò delle altre, se lo desiderate!"
Rin sorrise mestamente al ricordo degli iris, ritornando con la mente al bacio di Sesshomaru della sera precedente allo stagno colmo di fiori di loto e pensando che, con la fiducia tradita nei suoi confronti, di baci non ce ne sarebbero stati altri, che tutto quel che avevano progettato in tutti quegli anni non poteva più concretizzarsi, che era stata solo una stupida illusione - a voler pensare che lei potesse nascondere qualcosa di così importante a Sesshomaru senza incrinare il loro legame, senza incrinare la fiducia che Sesshomaru aveva riposto in lei. 
Avrebbe voluto vivere per sempre con lui, o perlomeno, finché la vecchiaia non avesse ceduto il posto alla morte; avrebbe voluto ancora abbracciarlo, baciarlo, fare l'amore con lui sotto le stelle della notte, coperti soltanto dall'oscurità - arrossì a quel pensiero così sfacciato, non potendo fare a meno di pensare alla bellezza scultorea che il demone celava al di sotto delle sue vesti, ma la tristezza lo rese maledettamente lontano. 
Avrebbe voluto stare per sempre con lui, magari passando il proprio tempo all'ombra degli alberi, a pescare pesci e a raccogliere fiori e frutti selvatici circondata da quella stessa natura che Rin amava da bambina e che Kaede le aveva fatto conoscere più a fondo. Sarebbe stato bello vedere la sua bellezza rimanere immutata nel corso del tempo, ancora di più sarebbe stato bello incrociare i loro sospiri come avevano fatto giù allo stagno anche nel loro ultimo giorno. Non avrebbe avuto importanza avere figli o non averli - perché la piccola e fragile Rin non poteva chiedere altro dalla sua vita - ma sarebbe stato bello vederlo amarli, vederlo ignorare totalmente la loro condizione di mezzidemoni. 
Ma cacciando indietro tutte queste prospettive, di cui era stata segretamente gelosa per tanto tempo, Rin pretese da se stessa la ragione di una vita tranquilla a Musashi contro l'irragionevolezza di una vita accanto a Sesshomaru.
Devo dirgli che non mi pento di niente - che l'ho fatto per proteggerlo - e che può anche lasciarmi, se è questo ciò che desidera.
Rin si alzò, facendo scivolare l'acqua calda dal suo corpo avvolto dalla sottoveste e prendendo da sé un'altra lasciata accanto alla vasca per lei.
"Signora, dove state andando?" chiese Kyo. 
"Dal signor Sesshomaru" disse, e l'aver utilizzato una così evidente forma di distacco le fece salire un groppo in gola. 
"Ma siete appena entrata!" gridò Kyo con una massiccia dose di nervosismo. "Devo rendervi presentabile prima che il signor Sesshomaru arrivi!"
"Devo parlargli, Kyo. Mi dispiace" disse, e per un attimo Rin si perse nei suoi bellissimi lineamenti affilati di demone cane. Non poté fare a meno di essere intenerita da lei, dalla miriade di attenzioni che aveva ricevuto da lei in una sola ora passata insieme.
"Grazie." 
Le diede un bacio leggero sulla fronte, e non ebbe il tempo di vederla arrossire furiosamente che la porta principale venne bussata quasi con violenza, rivelando poi un felicissimo Kohaku con in braccio una grossa cesta di pesche. 
"E questa?!" chiese sconcertata. 
"L'ha portata un tipo che doveva essere un inserviente" le rispose Jaken, alquanto commosso. "Ha detto che sono da parte di padron Sesshomaru per noi!"
"Mangiatele voi" rispose Rin distrattamente, ma Kohaku la contraddisse. 
"Non mangi da ieri sera, Rin" le ricordò premurosamente. "Dovresti mettere qualcosa sotto i denti." 
Soppesò cosa fosse più giusto fare, spostando nervosamente il proprio peso da un piede all'altro, mentre il kappa scoppiò a piangere, farfugliando sulla grandissima generosità del suo signore e di come lui lo avrebbe seguito fino alla fine del mondo. Ed il fatto che quell'inserviente non avesse detto nulla in merito a lei in particolare, le fece sentire il cuore di Sesshomaru distante come non era mai successo in quei lunghi dodici anni di separazione.






NDA
Arrivo! *va a sbattere contro il muro*
Avevo detto nella mia paginetta che mi sarei sbrigata a settembre ma sono riuscita ad aggiornare a fine agosto, in barba al computer tanto-decido-io-quando-accendermi-e-quando-bloccarmi-di-colpo.
Perdonate gli errori, ma non ne posso più con 'sto coso. 
Con quello nuovo farò la brava. Promesso. 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Odore di donna ***


Odore di donna


Sesshomaru afferrò i bordi della vasca con le unghie. Tese i muscoli delle braccia e si alzò dalla vasca, facendo scivolare via gocce d'acqua dal suo corpo incurante della scia che lasciava sul pavimento.
"Cosa devo fare con te?" 
"Cosa vuoi dire?"
"Sei sempre stato alquanto ribelle, Sesshomaru, ma ero sicura che avresti adempiuto a tutti i tuoi doveri."
"Ho fatto tutto ciò che il mio lignaggio richiede. madre."

Indossò una casacca bianca, e con gesti decisamente più nervosi armeggiò con l'obi di  hakama blu per chiudere l'abito. Infine, gettò la sua coda sulla spalla.
"In questi ultimi anni ti sei dedicato ad essi con una solerzia davvero invidiabile, lo riconosco. Sei stato dai Signori dell'Est e del Sud, hai rinforzato l'allenza che tuo padre aveva stipulato con loro. Hai poi mosso guerra contro l'avido e pericoloso Signore del Nord, riuscendo brillantemente nell'impresa e inglobando i suoi territori e spartendoli con gli alleati in egual misura. Hai avuto pietà dei tuoi nemici, impedendo così a te stesso di cedere alla tentazione di lasciarti andare alla collera. Hai fatto tutto ciò, Sesshomaru, e molto altro, in questi ultimi anni. Tutto, fuorché accoppiarti con una demone."
Diede un occhio alla finestra della sua camera da letto, osservando con lo sguardo vuoto lo spazio al di là del cielo. Lo stesso che aveva sempre osservato durante la sua vita al di fuori del castello.
"Avresti dovuto farlo almeno cento anni fa, eppure hai preferito andare in giro a cercare una spada che non era nemmeno destinata a te. E guarda a cosa ti ha condotto il tuo inutile viaggio: a provare sentimenti per una umana, trascurando la volontà di tua madre."
"Non ho mai cercato il tuo consenso per andare alla ricerca di Tessaiga, ora non cerco assolutamente il tuo benestare per avere una umana come compagna."
"No, di certo. Ora più di prima, sei dotato di tutto quel potere che ti serve per far valere anche scelte dubbie come queste."

Distolse gli occhi d'ambra dal cielo soltanto per uscire dalle sue stanze per avviarsi in direzione di quelle di Rin, mentre le tenebre della notte oscuravano lentamente il cielo.
"Dove stai andando? Ti stai recando da lei? Perché, Sesshomaru? Forse lei ti da' un po' di felicità, ma questa svanirà in men che non si dica. Non vedi come invecchia in fretta? Appena qualche anno fa, quando la portasti da me, non era più di un cucciolo d'uomo. Ora ha un chiaro odore di donna. Appena qualche altro istante e subirà un altro cambiamento, poi un altro ancora più implacabile e distruttivo, e tu sai a cosa mi riferisco." 
Nel corso del tempo trascorso lontanto da Rin, Sesshomaru aveva imparato ad estrapolare da quei pochi minuti con lei al villaggio degli umani tutte le sconfinate sensazioni d'amore e tutta l'immutabile dolcezza che provenivano da lei, ed aveva imparato a serbare tutto nel cuore fino al suo successivo ritorno.
Data la situazione, in cui avevano un tale pericolo davanti e così poco tempo a disposizione solo per loro, Sesshomaru avrebbe passato la serata con Rin, cavandone il piacere della sua compagnia. Ma certamente non era solo per questo che ora si stava affrettando verso la sua porta di carta di riso colma di fiori dipinti: aveva visto il viso della compagna decisamente più contratto rispetto alla prima illusione di cui era caduta vittima, e inoltre aveva percepito una spessa coltre di mortificazione avvolgerla dalla testa ai piedi. 
Aveva rivissuto un momento orribile della sua vita al villaggio, aveva ritrovato la paura di essere violata contro la sua volontà e, come se ciò non bastasse, aveva preso su di sé le ultime sofferenze di quel miserabile verme umano come se fossero state le sue. 
Nella sua lunga esistenza di demone sanguinario, Sesshomaru mai aveva pensato di doversi misurare con una situazione così oscena, malsana e deplorevole; per di più non aveva mai creduto di poter percepire come suo un affronto destinato ad un altro individuo.
Se solo quella maledetta sacerdotessa non lo avesse convinto a lasciarla al villaggio umano, Rin non sarebbe stata neanche sfiorata dall'idea di dover provare un simile raccapriccio; e se soltanto lui fosse rimasto accanto a lei invece di combattere delle guerre di cui non gli importava e di stringere alleanze desiderando di poterla vedere anche da lontano, nessuno avrebbe mai osato trattarla come una reietta. 
Gli esseri umani erano davvero meschini, come d'altronde li aveva sempre dipinti, e le persone come Rin e come Kagome - e quasi si sorprese di pensarlo con una velata amarezza, stavolta - erano solo poche gocce in un mare fatto di odio, di paure e di stupidità. 
Non avevano davvero nulla da sottrarre ai demoni, nonostante ne avessero un cieco timore. Eppure non avevano tutti i torti nel reputare la maggior parte, se non tutti i demoni, tanto pericolosi quanto loro. Probabilmente nel profondo erano consapevoli di cosa entrambe le parti fossero capaci di fare.
Se non ci fossero stati umani malvagi come un tempo lo era stato Naraku, tutta quella storia sulla Sfera dei Quattro Spiriti non ci sarebbe stata; e se non ci fossero stati demoni vendicativi come Noroi, Rin non avrebbe avuto su di sé quella stupida maledizione destinata ad Inuyasha.
L'unica cosa buona in quella storia era che il mezzodemone si era reso utile, una volta tanto. Anche se avrebbe voluto uccidere quel Souma con le sue stesse mani.
"Sei in collera perché Noroi ha fatto un torto a qualcosa di tuo?"
"Sono in collera perché ha fatto un torto a Rin."
"Anche se la maledizione era stata concepita per il mezzodemone? Oh, non fare quella faccia: non si addice ad un tale demone freddo come il ghiaccio. Una volta tornato qui senza i tuoi cuccioli d'uomo, portasti con te una scia lieve dell'odore del mezzodemone insieme ad altri demoni e ad altri umani."
"Abbiamo avuto un avversario molto ostico da combattere."
"Abbiamo? Questo vuol dire che hai combattuto unendo le forze insieme ad altri demoni - o mezzidemoni. Da quando sei un lupo primitivo che ha necessità di vivere in branco?"
"Questa conversazione può concludersi qui!"
"Sarebbe splendido, non lo metto in dubbio. Parlare con te è come bere del sangue particolarmente amaro."

Da un ridotto brusio, le voci dei suoi compagni di viaggio si fecero sempre più distinte man mano che procedeva, e Sesshomaru udì i suoni articolarsi e trasformarsi in parole; ed erano parole di Jaken e di Kohaku che raccontavano le vicissitudini della guerra contro Naraku alla demone cane Kyo, colei che aveva incaricato affinché si prendesse cura di Rin durante la sua permanenza al castello. Percepì ogni sorta di emozione scorrere da ciascuno di essi, e fra il groviglio quasi indistinguibile di sensazioni positive riconobbe quello ancora chiuso e angosciato di Rin. E non poteva e non voleva sopportarlo.
Sesshomaru fece scorrere la porta di carta bruscamente, tanto che i presenti nella stanza ammutolirono subito. Solo Jaken si permise di spendere qualche sfacciata parola di gratitudine, ma il demone maggiore non lo degnò di uno sguardo perché questo andò direttamente sulla figura di Rin, seduta accanto a Kohaku intenta a fissare mestamente la sua pesca intatta. Si era resa conto che lui era arrivato - lo si poteva comprendere facilmente da come il suo respiro si fosse fermato - ma contrariamente a come faceva solitamente era rimasta immobile nella sua posizione, accennando un movimento appena percettibile delle sue dita che sfregavano con nervosismo le palme delle mani. 
"Rin" la chiamò, e rimase alquanto interdetto al lieve sussulto che le procurò. Invece di rispondergli con tutto il calore con cui era solita rivolgersi a lui, la ragazza si strinse nelle spalle esili e scostò gli occhi con una cadenza colpevole e fiera allo stesso tempo. Rin fu sul punto di alzarsi quando Sesshomaru oltrepassò lo sterminatore, si fermò al suo fianco e le porse una mano. Non accennò a nulla; semplicemente e senza alcuna espressione a deformargli il viso la invitò tacitamente a seguirlo. Dapprima titubante sul da farsi Rin finalmente si alzò, senza il suo aiuto, dirigendosi con passo fermo all'uscita, e Sesshomaru poté sentire quanto limpida fosse la sua determinazione e tuttavia quanto distinta fosse la sua tensione in sua presenza. 
Probabilmente si sarebbe tranquillizzata presto, si trovò a pensare il demone cane notando come i segni dell'ultima illusione avessero gradatamente lasciato il suo corpo. 
"Rin è con me ora, continuate pure" biascicò agli altri, prima di chiudere la porta. 
La condusse nella sua ala del castello, costituita da elementi essenziali e semplici, priva di ogni cosa che lui reputasse superflua e superficiale fin da ragazzo. Non c'era mai stato nulla di più importante per lui del potere, delle armi di suo padre e della conquista dei territori, ma ora tutto ciò perdeva di significato. Ora c'era qualcos'altro di gran lunga più importante - si volse ad osservare la sua compagna al suo fianco - dopo una attesa che, per quanto per lui fosse stata estenuante, per lei rappresentava una vita intera. 
Entrarono nella sua stanza principale, invitandola a sedere su uno dei cuscini un tavolo su cui erano già servito il tè in due tazze e del matcha in un contenitore più piccolo. Ne aveva percepito l'odore fin dalla conversazione con sua madre.
Rin parve stupita da quell'accoglienza, ma fece quanto suggerito; e Sesshomaru la imitò immediatamente, dandole modo di prendere la sua tazza fumante servendosi lui per primo con quello che - Rin stessa glielo aveva detto, una volta - era una delle sue bevande preferite. 
"Non male, direi" commentò con un leggero sorriso sulle labbra, posando la tazza.
Ma la ragazza non reagì in alcun modo: continuò a fissare un punto indefinito davanti a sé e alzò il petto in un pesante sospiro, mettendo in dolce evidenza le sue rotondità.
"So che siete arrabbiato, signor Sesshomaru" disse all'improvviso con una voce ferma e per nulla sul punto di incrinarsi. 
Arrabbiato. Certo che lo era, ma Sesshomaru non seppe quale sentimento provare al suono di un onorifico pronunciato da Rin per rivolgergli la parola.
"Ricordo bene il giorno in cui smettemmo con i convenevoli", e la sua voce gli parve troppo destabilizzata per poterla mascherare bene.
"Dovremmo riprenderli."
"E' vero, sono arrabbiato" mugugnò infine con un tono risentito per averla sentita replicare ancora in quel modo "ma non con te, Rin."
Vide le vene delle sue mani tendersi insieme alle sue dita strette a pugno sulle ginocchia coperte del suo kimono, e la vide tremare ed infine scoppiare insieme a due lacrime solitarie rimaste negli incavi degli occhi troppo a lungo. Si voltò verso di lui, e Sesshomaru non poté fare a meno di pensare quanto Rin fosse diventata raffinata, nonostante fosse rimasta comunque una persona spontanea.
"Ed invece sono io quella con cui dovresti esserlo!"
"Finalmente sono ritornato un tuo pari" asserì, ritornando stranamente sereno nel vederla reagire energicamente - e nel vederla abbandonare quella distanza che lei aveva deliberatamente interposto fra loro appena pochi istanti prima.
"Non credevo saresti venuto a saperlo, un giorno." 
"Perché non me l'hai mai detto?"
"Perché non potevo" sospirò, e si lasciò andare ad un singolare singhiozzo - come se non volesse piangere ancora nonostante le fosse quasi inevitabile - che sembrò per Sesshomaru come uno schiaffo in pieno viso: proprio quando Rin aveva bisogno del suo futuro compagno, lui non c'era. 
Anzi, aveva fatto di più: l'aveva lasciata in quel villaggio più del dovuto, quando a quella età le ragazze umane - lo aveva scoperto qualche tempo dopo che lei avesse compiuto quattordici anni - erano già considerate donne. 
"Avrei dovuto portarti via con me prima di quel giorno, salvandoti prima che accadesse."
"Fu Inuyasha a salvarmi. Dopo quel fatto, si è persino addossato l'astio di molti abitanti del villaggio."
"Quell'idiota fa qualcosa di sensato, una volta tanto."
Probabilmente utilizzò un tono decisamente esasperato, perché Rin si era resa conto di quanto tutta quella situazione gli stava stretta come le sbarre di una gabbia. Il solo ricordo di Rin che cercava in tutti i modi di liberarsi dalla presa di quell'umano lo faceva fremere di rabbia dalla testa ai piedi.
"Non potevo permetterti di ucciderlo, perché so che molto probabilmente lo avresti fatto. E non me lo sarei mai perdonata."
In un'altra occasione, l'umano che avesse anche solo pensato di tacere qualcosa di così importante avrebbe pagato l'affronto con la vita. Ma il fatto che fosse Rin a fargli una cosa simile cambiava ogni cosa, e non perché fosse la compagna che aveva scelto per sé. Sesshomaru si fidava completamente di lei, e nulla avrebbe potuto anche solo scalfire quella fiducia: se Rin aveva deciso di tacere qualcosa, lo faceva in virtù di un bene che forse nemmeno lui avrebbe potuto comprendere.
"Non volevi che uccidessi un tuo simile?"
"Non solo per questo. Non volevo che le tue spade venissero sigillate" disse, e al demone cane quasi mancò il fiato.
Lo aveva fatto per lui, dunque.
Gli aveva sempre riservato delle sorprese, la sua piccola Rin, con quell'arguzia davvero troppo matura per una bambina e quella capacità decisionale che trascendeva dalla volontà di Sesshomaru. Ma fu un'autentica meraviglia il fatto che avesse pensato di non dirglielo per preservarlo da se stesso. Fu sul punto di pensarla da cucciolo, gracile e coraggiosa, mentre cercava di soccorrerlo dopo la disfatta contro Inuyasha con del cibo che gli procurava nausea al solo odore.
"Il maestro Totosai mi ha raccontato cosa succede a Bakusaiga e a Tenseiga se dovessi lasciarti prendere dalla collera. Ed io non voglio assolutamente che tu rimanga indifeso."
Sesshomaru emise una esclamazione di sufficienza - e un po' risentita, a dire il vero.
"Dimentichi il veleno dei miei artigli. Hai così poca fiducia della mia forza?"
"No, affatto. Ma il tuo sacrificio durante la battaglia contro Magatsuhi sarebbe stato del tutto inutile."
Sesshomaru rifletté sull'accaduto, e su quanto fosse stato così facile per lui in quel momento gettarsi a capofitto nella battaglia per salvare un gruppo di esseri deboli, non curandosi di se stesso, non curandosi della sua incolumità, con un rischio di morire che sfiorava la certezza, ma che insolitamente per lui rappresentava l'unica via di uscita per loro. L'unica via d'uscita per lei.
"Ascolta, Sesshomaru. Se la tua fiducia nei miei confronti è venuta meno, sappi che puoi scegliere. Come tu hai lasciato decidere a me di cosa fare della mia vita, ora io lascerò decidere te. Se vuoi allontanarmi per non rivedermi mai più fa' pure, io non cercherò di fermarti. Ma ti consiglio di muoverti: gli esseri umani non hanno molto tempo a disposizione, ed io ne ho già sprecato troppo."
Smise di respirare mentre cacciava fuori tutto quel discorso, tanto che Sesshomaru ebbe l'impressione che lo avesse preparato in vista di un suo probabile ripensamento riguardo loro due. Ma Rin non aveva tenuto conto che il demone - proprio come lei - la sua scelta, l'aveva già fatta, a meno che fosse lei a rivendicare la sua vita.
"Sesshomaru non ha mai dubitato di Rin" esclamò, il tono solenne ad incorniciare quelle parole che, tutto d'un tratto, diedero una definizione alla fiducia reciproca di tutti quegli anni, passati avanti e indietro per il villaggio umano. "E mai lo farà."
Percepì il cuore di Rin fare un violento sussulto, e i suoi occhi scuri da cerbiatta ancora bagnati di lacrime rivolgergli uno sguardo stupito e speranzoso allo stesso tempo; e il demone cane pensò a tutte quelle volte in cui aveva desiderato di poterla avere finalmente al suo fianco e godere della vista del suo dolce viso senza doverla lasciare mai. Le rivolse un accenno di sorriso, prima di tornare improvvisamente serio per chinarsi su di lei e prenderle il mento fra le dita.
"Quante volte ancora hai intenzione di salvarmi?"
Rin avvampo' di colpo, e Sesshomaru sentì il fuoco dentro di lei incanalarsi dolcemente per tutto il suo corpo, fino a scendere verso il suo ventre. Ed infine, mentre Sesshomaru inspirava per la prima volta un odore di Rin che non aveva mai sentito prima - fatto di carezze e acerba passione - e che si faceva strada nella nuvola di fiori che la circondava, le lasciò un bacio morbido sulle labbra, forse troppo veloce a giudicare dall'ennesima espressione lievemente imbronciata di Rin. 
Ma lei non lo lasciò senza risposta. La ragazza non esitò un momento a circondargli il collo con le sue braccia, e il demone raccolse il suo corpo istantaneamente, facendola sedere sul suo braccio; e sarebbe stato idilliaco per lui se il sentore di fiori - probabilmente del bagno - non avesse ripreso inevitabilmente a farla da padrone. Il viso di Sesshomaru subì una smorfia di disappunto, mentre quello di Rin diventò interrogativo.
"Questo odore di fiori è nauseante."
"A me piace, invece!" ribatté lei un poco indispettita. Lo lasciò andare, dandogli modo di credere che si fosse arrabbiata. A quanto pareva non aveva compreso dove volesse arrivare. Per quanto fosse estremamente intelligente, sembrava quasi non riuscisse - o non volesse - cogliere i suoi messaggi fra le righe - non che lui ne avesse in serbo molti, in realtà.
"Che cosa hai capito?" mormorò lui, alquanto divertito. "Nasconde troppo il tuo odore."
Si distese sulle guance di Rin un rossore soffuso, ma invece di essere colta nuovamente di sorpresa ora fu lei a baciarlo, sulla guancia decorata dei suoi segni demoniaci, per poi ridere piano ed avvicinarsi piano alla sua bocca sottile con la punta del suo naso. Ma si fermò, prima che toccasse le sue labbra. 
"Senti, Sesshomaru:" lo riprese all'improvviso, con un sussurro colmo di incertezza mentre le sue dita distratte gli sfiorarono il petto "io ho mandato all'aria i piani di tua madre, non è vero?"
Lo colse del tutto impreparato - e considerevolmente contrariato - con quella domanda, soprattutto in un momento come quello che stavano vivendo, in pace e in solitudine. Cosa voleva intendere con ciò? Che volesse prendere su di sé dei sensi di colpa che lui invece non provava affatto?
"Per l'appunto, erano i piani di mia madre, non i miei" precisò lui. "E non sono così importanti come credi. Ora, ciò che più mi preme è avere la pietra Meido", e prendersi carico di quella pietra era motivo di grande responsabilità, ma ora come ora l'importante era che Rin fosse al sicuro da eventuali attacchi di Jukai. Non avrebbe più permesso che lei rivivesse momenti orribili della sua vita passata al villaggio. 
La circondò infine con le sue braccia e la strinse teneramente al suo petto, sentendo quanto sembrasse decisamente più piccola e fragile di quanto già non fosse. Rin fu felice di ricambiare l'abbraccio, e il suo ulteriore slancio verso di lui gli fece conoscere interamente e per la prima volta il tepore del suo corpo morbido e minuto coperto soltanto da una veste da camera: gli fece percepire la sua vita sottile, le forme piccole dei suoi seni solitamente imprigionati nel tessuto stretto dei kimono e divisi dalla possente armatura di lui, e l'odore invitante di una passione primitiva farsi più intenso e definito. Fu come se qualcosa in lui si fosse acceso, e avesse preso a divampare come le fiamme di un incendio. Ma prima che tutto ciò gli ottenebrasse la ragione, stordendolo del tutto, fu colto da un ultimo ed unico desiderio razionale. 
"Sconfiggerò io Noroi, non permetterò che ti affronti e che ti faccia del male."
Sesshomaru era in procinto di affondare il viso nell'incavo del collo di lei, quando Rin sorrise amaramente, allotanandolo quel po' che bastava per guardarlo negli occhi.
"Non metterai a repentaglio la tua vita più del necessario" rimarcò lei con sicurezza, ripetendo le parole che lui le aveva riservato tanti anni prima. "Sesshomaru, sarò io a sconfiggerlo, con l'aiuto di quel fiore. Preferisco così piuttosto che vederti sconfitto."
Sesshomaru ne fu quasi spaventato, e abbandonò del tutto le effusioni cominciate. Non sapeva da dove Rin riuscisse a prendere tutta quella determinazione - forse dalla sconsideratezza - ma come poteva essere tranquillo se la posta in gioco era la vita della sola persona di cui gli importasse veramente? 
Anche se quel fiore avrebbe potuto davvero offrire a Rin delle capacità demoniache, sicuramente dovevano essere scarse in confronto ai poteri di Noroi, così come lo erano comparate ai suoi. Dunque, lui era il solo che potesse proteggere la sua compagna. 
"I tuoi problemi sono anche i miei, Rin."
La giovane sorrise ancora e trovò finalmente il coraggio di prendere l'iniziativa, baciandolo per prima sulla bocca - guardandolo negli occhi - con un trasporto che Sesshomaru accolse senza remora alcuna; ma non appena il bacio si interruppe Rin sbadigliò teatralmente sciogliendosi dal suo abbraccio; e riprese il contatto con lui addossandosi al suo petto ed rannicchiandosi come un cucciolo in cerca di calore. Sesshomaru la riavvolse, chinandosi un po' per poter inspirare l'odore dei suoi capelli.
"Sei stato tu a dire a Kyo di chiamarmi signora?"
"Le ho semplicemente detto che sei la mia compagna" commentò, provocandole una risatina felice e un pizzico di imbarazzo. 
Poi si interruppe, più o meno bruscamente, stringendosi ancora di più su se stessa.
"Cosa intendeva tua madre con donare la fedeltà?"
Sesshomaru fu colto alla sprovvista con quel quesito, e tergiversò deliberatamente - almeno per qualche attimo. 
"Quante domande, piccola umana."
"Tu rispondi, grande demone!" 
Lo scimmiottò, immergendosi in un gioco che non avevano mai iniziato veramente in tutto quel tempo, e che Sesshomaru si scoprì disposto a fare. Farsi prendere in giro non rientrava nelle concessioni che solitamente elargiva, ma con Rin era tutta un'altra cosa.
"Donare la fedeltà vuol dire accoppiarsi."
Rin sembrò quasi squittire di fronte a quella consapevolezza, spargendo un nuovo e più dirompente imbarazzo nell'aria, e con tutta probabilità la sua mente era corsa immediatamente a pochi istanti prima, quando erano intenti ad... amoreggiare.
"Dove sono Kirara e Ah-Uhn?"
"Nelle stalle. Non preoccuparti, sono stati rifocillati."
Rin sbadigliò ancora, e nel ritirare le gambe quanto più possibile vicino al petto le scoprì, forse senza accorgersene.
"Quando tutto sarà finito riprenderemo a viaggiare, non è vero?"
"Certamente."
Il demone coprì le gambe della giovane con l'estremità della sua coda, e avvertì della felicità soffusa di Rin aleggiare un poco su di loro prima che lei si addormentasse. Si concentrò sul battito di Rin che si tranquillizzava progressivamente, e che dolcemente si intrecciava con il suo, perché non poteva affrontare il pensiero di rivederla svanire nel nulla senza che lui potesse fare alcunché per preservare la sua vita.
Ciò che sua madre gli aveva riferito era pericoloso per Rin, tanto quanto lo era stato rimanere al villaggio, ma stavolta Sesshomaru ci sarebbe stato: l'avrebbe protetta interamente, e non avrebbe permesso a nessuno - nemmeno ad un demone maggiore come Noroi - di torcerle un capello.  
Fremette di collera al pensiero di uccidere chiunque volesse farle del male, e Rin doveva aver avvertito qualcosa nel sonno, perché si chinò sulla sua coda - attratta dalla consistenza vaporosa - e la abbracciò d'istinto, stendendosi poi su di essa finendo con lo scivolare via da lui per planare su un'altra porzione di coda rimasta sul pavimento. 
Emise un sospiro rilassato, e Sesshomaru la circondò ulteriormente con la sua coda per non farle prendere freddo. Vederla così tranquilla gli fece inevitabilmente pensare a quanto fossero orribili le illusioni di Jukai per lei, e a quanto  fosse forte nel resistere a quella concentrazione di aura demoniaca per così tanto tempo. 
Negli anni Rin non solo era diventata adulta, ma era anche diventata più forte, coraggiosa e acuta. 
Ma c'era dell'altro.
Osservare in prima persona i suoi ricordi proiettati nell'ultima illusione gli aveva fatto capire per la prima volta in quale modo e in quale misura la vita di Rin si fosse scostata irreparabilmente dalla sua: si era lanciata in tutte le attività umane che puntualmente le si presentavano - dallo studio delle erbe mediche al tiro con l'arco - differenziandosi dal cucciolo d'uomo che aveva conosciuto nella foresta e, in un certo senso, rendendosi decisamente più indipendente dalla sua figura - arrivando persino a decidere di tacere su un episodio grave come quello accaduto al villaggio anni prima.
Paradossalmente, Sesshomaru era deliziato da tutto questo. 
Era alquanto ironico come uno come lui, che nella sua vita altro non aveva conosciuto che la guerra e la brama di potere, si fosse rivelato a se stesso come un essere in grado di amare fino al punto da mettere a repentaglio la sua felicità. 
Perché come si poteva spiegare altrimenti la decisione di dare infine ascolto alla vecchia sacerdotessa?
"Lascia che cresca con i suoi simili, con una famiglia, con una istruzione. Lascia che cresca con delle prospettive davanti a sé, e con la consapevolezza che ci sono altre persone a volerle bene. Se deciderà di seguirti, quando sarà adulta, sarà una decisione autentica."

Era stata una scelta dolorosa per lui, tanto che fin dai primi istanti di separazione aveva più volte pensato di rimanere nei paraggi del villaggio umano finché lei non fosse stata giudicata una donna, ma infine aveva deciso di non farlo - soprattutto per non attirare nemici - e di concludere tutte le missioni che il suo titolo di nuovo Inu no Taisho reclamava. 
Nel frattempo Kaede l'avrebbe allevata secondo i criteri degli uomini, provvedendo inoltre alle quelle necessità a cui spesso né lui né Jaken erano pienamente in grado di far fronte. 
"Rin è una bambina piccola per costituzione, ma non mi è sfuggito il fatto che sia denutrita. Questo potrebbe compromettere la sua salute, oltre che la sua crescita."
E se non erano in grado di procurarle del cibo che la soddisfacesse, figurarsi affrontare altre vicissitudini di cui lui, in quanto demone e maschio, a stento era a conoscenza.
"Un essere umano ha esigenze che non potresti comprendere, specialmente un essere umano donna. Nel corso della sua crescita avrà bisogno di qualcuno che la guidi nelle prime importanti fasi della sua vita e che le insegni a prendersi innanzitutto cura di se stessa."
"Vuoi forse insinuare che ciò che Rin ha trascorso con me sia una menzogna?"
"No, affatto. Ma non posso permettere che ponga altri - chiuunque - al di sopra di sé."

Dopo alcune rimostranze aveva taciuto come uno sciocco davanti alla sacerdotessa, nonostante fosse fortemente contrario, perché l'intenzione di tenerla al sicuro era prevalsa su ogni cosa. Ma portarla con sé fin da bambina non curandosi delle considerazioni della vecchia sacerdotessa sarebbe stato altamente egoistico da parte sua. Gli bastava osservarla ora, per accorgersi che le ragioni della sacerdotessa in fondo erano plausibili, che Rin doveva innanzitutto bastare a se stessa prima di decidere di consegnarsi nelle sue mani. 
Però non l'aveva lasciata al villaggio degli umani, facendo così l'enorme sacrificio di privarsi della sua costante presenza per farle correre pericoli simili.
Inizialmente Sesshomaru non aveva tenuto conto di tutte le implicazioni del caso. Aveva soltanto pensato a fare in modo che la sua piccola Rin si ricordasse che c'era qualcuno che la amava di un amore così forte e assoluto da trascendere il tempo e la lontananza. 
Ma se alla seconda si poteva facilmente porre riparo, non si poteva dire la stessa cosa della prima. Il tempo però era incommensurabilmente lungo per lui, e le tempistiche umane così effimere; così in quegli anni aveva combattuto soltanto per poter tornare al villaggio e per poter cogliere nuovamente quella sfumatura sempre nuova del suo odore che cambiava, del suo corpo che si modellava e della sua mente che diventava sempre più sviluppata. 
E ad accompagnare tutti questi accorgimenti c'era sempre la gioia di trovarla lì, sana e salva, con la prova inconfutabile del suo amore stretto nell'obi e con l'estenuante attesa a cui erano entrambi sottoposti; ma anche con il dolore di lasciarla nuovamente, di far sì che la sua vita si dividesse ancora, senza essere in grado di sapere se l'avrebbe mai rivista.
Le accarezzò la guancia che era stata colpita dall'illusione con il dorso delle dita, mentre nella sua testa campeggiava un solo, unico pensiero.
Non voglio perderti di nuovo.




NDA
Ma ciao! Mi scuso enormemente per il ritardo! Pensavo di combinare qualcosa entro la fine di ottobre ma niente -.-'
Perdonate gli errori che - sicuramente - ci sono xD

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il fiore demoniaco ***




Il fiore demoniaco






Kyo si strinse nelle braccia, sentendo improvvisamente freddo.

Non era da lei percepire quella strana sensazione di disagio, ma annusando l'aria si accorse di riconoscere quell'odore che si propagava attorno a lei.

Masashi, appurò nella sua mente.

Una spira velenosa che saettò al suo fianco le diede ulteriore conferma dell'identità di colui che la stava importunando. Percepì un'altra artigliata - stavolta più densa di miasma velenoso - farsi vicina fino a sfiorarla e si voltò, sentendo il cuore stringersi in una morsa di paura. Il veleno le aveva corroso un lembo del kimono, ma il fatto che non fosse riuscito ad arrivare al suo corpo le era di grande consolazione. Nonostante fosse un demone lei stessa, che avrebbe rigenerato il suo corpo senza il benché minimo sforzo ed in pochissimo tempo, non sarebbe stato molto piacevole provare del dolore.

Udì alcuni passi leggeri incedere con una cadenza lenta e una risata sottile increspare l'aria, ma per quanto avesse riconosciuto il proprietario di quel meschino agguato non riusciva a mettere a tacere quella brutta sensazione di freddo che oramai la accompagnava da qualche istante.

Non poteva nascondergli quel sentimento di timore, eppure Kyo decise di guardarlo con cipiglio furibondo.

Una volta emerso dalla penombra, il demone cane parve divertito da questo sforzo, tanto che per qualche istante sembrò godere della sua vista con un sorriso sghembo dipinto sul bel viso affilato solcato dai segni demoniaci.

“E così, il Gran Generale Cane ti ha affidato la sua umana.”

La demone indietreggiò piano, pentendosene immediatamente dopo perché a quei pochi passi indietro seguitarono il doppio dei passi avanti che fece Masashi.

“Non ti riguarda” replicò lei, mentre sentiva gradatamente venire meno la paura nei suoi confronti.

“Non ha potuto nasconderlo a lungo” continuò l'altro. “E' stato così maldestro da presentarsi qui a palazzo con indosso l'odore di quel cucciolo d'uomo, per poi affezionarsene. Proprio come si vocifera ormai da un po' di anni, ormai.”

“Cosa si dice?”

“Che il Gran Generale Cane sta scuotendo le montagne per salvare una vita destinata comunque ad avere una fine imminente. Un individuo simile non poteva che seguire le orme di suo padre.”

Kyo sentì che le guance le si infiammarono di rabbia, ma lasciò che le sue emozioni parlassero per lei.

Aveva conosciuto il signor Sesshomaru nelle sue vesti più fredde e spietate, e non appena ebbe percepito un sentimento di amore puro, e sì, anche quell'odore di umano - non di sangue - di cui Masashi parlava Kyo aveva sentito la speranza riaccendersi. Mai avrebbe creduto che il figlio del signor Toga avesse raggiunto il proposito di suo padre, tanto meno che un giorno si fosse innamorato di un essere umano. Ma se per lei era stato meraviglioso avere quel genere di notizie, lo stesso non si poteva dire del resto della corte; era triste pensare che nonostante avesse raggiunto gli obiettivi prefissati dal signor Toga, era tuttavia costantemente bersagliato da quel sottile velo di commiserazione da parte degli altri demoni a causa della sua scelta.

La parola debole era quasi da considerare un complimento rispetto a quegli altri epiteti che gli riservavano.

Kyo cercava spesso di pensare che semplicemente le abitudini erano dure a morire, che c'era un codice troppo ferreo sulle relazioni fra demoni, e per quelle che vedevano coinvolte entrambe le parti un codice non c'era affatto, semplicemente perché rapporti fra umani e demoni non erano contemplati. Questo il signor Sesshomaru lo sapeva più di chiunque altro, ed il fatto che fosse proprio una persona del suo rango - da cui ci si aspettava una discendenza nobile e demoniaca insieme - a rompere con quelle norme faceva credere a Kyo che finalmente le cose potevano cambiare, che quel codice stesso poteva essere cambiato. Ciò significava che anche per lei le cose potevano cambiare.

Sorrise d'istinto a quel pensiero e ritornò ad osservare il demone davanti a lei con un guizzo ironico negli occhi, certa che presto il signor Sesshomaru sarebbe stato in grado anche di scioglierla dal vincolo di fidanzamento che la legava a Masashi.

“Cos'hai da sorridere?” chiese il suo interlocutore, evidentemente infastidito che la mente di Kyo vagasse altrove. “Forse sorridi perché credi che le tue scelte verranno approvate, dal momento che anche tu non sei da meno? Dovresti vergognarti, invece. Lo sai questo, no?”

La ragazza fu punta sul vivo, tanto che invece di piegare la sua mente a quella misera sensazione che Masashi voleva che lei provasse cominciò a montare una rabbia atroce, che forse non avrebbe dovuto esternare, ma che aveva una disperata necessità di essere immediatamente sfogata.

“Non me ne vergogno!” esclamò lei, mostrando i canini affilati. “Dovrei vergognarmi di risparmiare la vita agli esseri umani?”

“Il signore ti ha scelta soltanto per questo motivo - per di più un principe caduto così in basso - quindi non mostrare superiorità rispetto al sottoscritto. Ricorda che presto sarai sottomessa a me, e non potrai sottrarti alla mia volontà.”

La ragazza diventò livida di rabbia, e dal momento che quella rabbia doveva pur trovare una valvola di sfogo, iniziò con un suono sommesso simile ad un ringhio. Aveva tanta paura per quella situazione, esattamente come ne aveva tutte le altre volte che Masashi le si presentava soltanto per deriderla e ricordarle che, qualunque cosa lei avesse fatto o detto, rimaneva costantemente vincolata ad un giuramento su cui lei non aveva mai avuto voce in capitolo. Ma mostrarsi impaurita o ubbidiente rientrava giustamente in quei comportamenti da tenersi in presenza del padron Sesshomaru e della Signora Madre Inukimi - d'altronde, erano loro quelli al di sopra di chiunque altro - di certo non con un tipo tronfio di prepotenza come Masashi, nonostante le sue origini nobiliari.

“Sta' attento, Masashi” disse con quanto fiato avesse in corpo - sebbene dovesse sembrare alquanto ridicola con quell'espressione da cucciolo arrabbiato che aveva assunto. “Non ti converrà fare dei passi falsi, o riuscirò ad ucciderti prima che tu possa superare i duecento anni di vita.”

Aggrottò le sopracciglia, senza tenere minimamente in considerazione quel sudore freddo che le stava scivolando via dal corpo: se fosse riuscito a fiutare la sua paura, Masashi avrebbe approfittato dell'occasione per fare la sua mossa, e se prima era riuscita ad evitare uno scontro lo stesso non si poteva dire di ora, che aveva apertamente mostrato l'intenzione di farlo fuori.

“Minacciarmi non ti servirà, e lo sai bene” disse, ma il suo sorriso maligno si spense piano, perché avvertì un odore che ben presto anche Kyo riuscì a percepire.

Benché fosse in grado di riconoscere l'odore del signore ed ora anche quello della signora e degli altri suoi compagni di viaggio, Kyo non era di certo abituata a pensare che lui arrivasse esattamente nel momento in cui era sola con Masashi. Dei passi lenti e quasi impercettibili riempirono le orecchie della ragazzina così come dovevano averlo fatto con quelle del giovane demone, e i sottili e tenui fasci di luce nella penombra del mattino rivelarono il signor Sesshomaru e il kappa che lo accompagnava.

Kyo si fece piccola piccola di fronte a lui, tanto che cominciò ad agitare la coda per il nervosismo, mentre Masashi non sembrava per nulla intimorito dalla presenza del principe. D'altronde non aveva fatto altro che disprezzarlo, ed ora che si era scelto una compagna umana l'astio nei suoi confronti era peggiorato nella misura in cui la fiducia di Kyo per lui era cresciuta.

Il signore aggrottò un poco le sopracciglia all'indirizzo di Masashi, gettando poi una occhiata veloce verso di lei e sulla sua manica del kimono corroso dal veleno che lei tentò ingenuamente di nascondere. C'era una aura di inquietudine che proveniva da lui, e questa sembrava scontrarsi con quella tronfia di Masashi.

Dal canto suo, Kyo si sentì profondamente umiliata per quella situazione, soprattutto perché aveva dimostrato di non essere capace di prendere un attacco di sorpresa con la dovuta attenzione, rischiando di essere ferita gravemente. Come avrebbe potuto prendersi cura della signora?

“Mi dispiace infinitamente, signor Sesshomaru, non accadrà più” annaspò, inchinandosi quanto più possibile nel tentativo di enfatizzare la sua promessa. Il battito del suo cuore era così forte che il signore avrebbe potuto percepirlo a distanza, ma prima che potesse nuovamente rimediare qualche parola a sua discolpa il signor Sesshomaru fu raggiunto dalla signora Rin e dal ragazzo di nome Kohaku.

Kyo aveva avuto modo di conoscerlo un po', e cosa più importante aveva avuto modo di annusarlo meglio. L'odore che quell'umano emanava era così pregno di tristezza, eppure la demone cane sentiva di percepire un odore familiare, così simile all'essere umano che anni addietro l'aveva salvata nonostante la sua mansione.

Masashi si rivolse al signor Sesshomaru con un cipiglio decisamente irrispettoso. Ma per quanto questo potesse turbare la ragazza, lo stesso non si poteva dire del signore: con il suo saldo autocontrollo nonostante i problemi che affliggevano la sua compagna umana, fece trasparire davvero poco della sua irritazione.

“Andiamo” le disse soltanto, e senza attendere ulteriori disposizioni Kyo lo seguì, ma non appena fece il primo, nervoso passo che l'avrebbe allontanata da Masashi perché la signora Rin le si affiancò con un sorriso luminoso.

“Kyo!” disse lei con una voce amichevole e posandole una mano sulla spalla. “Ho chiesto a Sesshomaru di venirti a cercare. Sei stata così buona con me, e volevo ringraziarti di cuore prima di andare.”

Imbarazzata e ancora piuttosto scossa, Kyo si portò le mani al petto per tentare di calmarsi, e doveva dire che il viso della signora sortì esattamente l'effetto che desiderava. Le sarebbe piaciuto essere come lei, così lontana dalla vita opprimente di palazzo. Il signor Sesshomaru, con il suo solito atteggiamento terribilmente ermetico, le aveva riferito in breve chi Rin fosse e dove avesse vissuto fino a quel momento. Una volta presentatale - anche se in una situazione tutt'altro che piacevole - Kyo aveva desiderato chiederle di più, e questa sete di sapere era spontaneamente cresciuta non appena era rimasta sola con lei. Ma ovviamente come poteva soddisfare la sua curiosità in un momento come quello?

“Non... non era necessario, signora.”

“Certo che lo era, Kyo” incitò lei, con quel bel viso ad incorniciarle gli occhi felini. Si chinò appena per prenderle la mano e racchiuderla nelle sue, “quando tutto sarà finito, sarò felice di tornare per...” ma prima che Kyo potesse ricordarsi della manica sfregiata del kimono, la signora Rin si interruppe, fermandosi a fissare il lembo di stoffa corroso dal veleno di Masashi.

Kyo mancò di un battito mentre sentiva gli sguardi di tutti i presenti puntati su di lei, ma ebbe la prontezza necessaria per reagire nonostante si sentisse tremendamente impacciata in quel momento.

“Oh, non è niente signora!” biascicò, affrettandosi a sfilare la sua mano artigliata da quella umana della giovane. “Fate buon viaggio!”

Ora ciò che Kyo voleva era rintanarsi nella sua stanza a rimuginare su quanto accaduto, come spesso accadeva quando si imbatteva nella personalità disturbante di Masashi, ma nel momento in cui si rese conto di aver letteralmente scacciato la signora Rin, se ne pentì immediatamente. Ritornò con uno sguardo a metà strada fra l'imbarazzato ed il timoroso sui suoi occhi perplessi e si affrettò a farle un sorriso di circostanza che, sapeva, nemmeno un essere umano avrebbe potuto confondere con uno veramente autentico.

La signora però non si lasciò vincere dalla sua rimostranza, e quasi con un atteggiamento tanto spontaneo quanto sfacciato riafferrò con energia il lembo di kimono avvelenato, pensando a qualcosa che le deformò i lineamenti in una espressione seria e assorta, mentre una idea sembrò illuminare la figura del signore.

“Qualcosa in contrario se ti chiedo di venire con noi?”

Kyo si riscosse, percependo un bagliore di felicità nell'udire quella richiesta. Finalmente poteva allontanarsi da quel palazzo, e soprattutto lontano da quel pazzo maniaco di Masashi. La demone cane infine sorrise, e nel momento in cui annuiva energicamente, la signora Rin rimase alquanto perplessa.

“Ma potrebbe essere pericoloso per lei!”

La signora Rin si voltò in direzione del signore, osservando speranzosa un qualunque cenno di approvazione, per quanto potesse sembrarle quasi invisibile. Istantaneamente anche Kyo reindirizzò i suoi occhi verso il principe: lui conosceva la situazione che intercorreva fra lei e Masashi, e in cuor suo Kyo confidò per l'ennesima volta in quella tenue speranza che si era accesa nel momento in cui era venuta a sapere della relazione del signore con un essere umano.

Il signor Sesshomaru la squadrò per un secondo, guardandola con un lampo negli occhi che Kyo decifrò come compassione - del resto, non poteva essere altrimenti - finché diede un'ultima occhiata alla traccia di veleno sul kimono prima di rivolgersi alla sua compagna.

“Non più di quanto possa esserlo qui” convenne il demone, e ritornò con gli occhi su di lei. “Cambia il tuo kimono con uno in buone condizioni, e riponi questo in un baule vuoto.”

Inizialmente Kyo non comprese cosa il signore volesse fare, ma poi arrivò alla conclusione che il signore volesse isolare l'odore del veleno di Masashi, e magari per poterla aiutare. Per quanto fosse fantasiosa come idea, Kyo le si aggrappò con tutta la sua mente, tanto che un primo accenno di lacrime si affacciò sul suo sguardo.

“Non so come ringraziarvi, signor Sesshomaru.”

“Lo sai perfettamente, invece.”









Volare era per Kyo non solo un modo per spostarsi velocemente da un luogo ad un altro, ma costituiva per lei un valido espediente per sentirsi svincolata da ogni faccenda spiacevole della sua esistenza. Librarsi in aria la faceva sentire anonima, piacevolmente sconosciuta perfino a se stessa, e non la figlia del nuovo Inu no Taisa che si era andato sostituendo a quello vecchio.

La cosa stupefacente in tutto questo era che però una volta a terra Kyo si scopriva ferita e colpevole per questo. Tokuma era un padre affettuoso nonostante fosse sempre distante, ma lei non riusciva a capacitarsi di come questa sua qualità si fosse unita insieme alla decisione di fidanzarla con una personalità glaciale quale era Masashi.

Kyo sapeva perfettamente che quello altro non era che una singola parte di un meccanismo che andava avanti da tempo immemore, e che le sue decisioni come quelle di tutte le femmine non erano nulla al confronto di quelle espresse dai maschi di alto rango; e non contava niente il fatto che ci fosse l'incolumità di un essere vivente, demone o umano che fosse, l'importante è che una volta sposata avesse adempiuto al dovere di creare una prole.

Masashi non solo l'aveva minacciata ricorrendo al suo veleno, ma aveva perfino criticato il suo nuovo ruolo, negandole così a priori la stima e l'affidabilità che un consorte doveva necessariamente nutrire nei confronti della propria moglie se voleva mantenere viva la gestione di un feudo in sua assenza.

Ma prima di ogni altra cosa, Kyo voleva essere la sola a determinare la continuità della sua vita. Non Masashi, non suo padre, e nemmeno il signor Sesshomaru - sebbene in quegli anni avesse custodito la possibilità di essere aiutata proprio da lui - dovevano essere i fautori del suo destino, e in quel momento di frustrazione e rabbia si affrettò ad asciugare una lacrima che nel frattempo aveva lasciato le sue palpebre.

Se i due umani che volavano al suo fianco sulle loro cavalcature demoniache non dovevano aver percepito nulla, il signor Sesshomaru dimostrò di essersi accorto di quel malessere che aleggiava su di lei reclinando il capo nella sua direzione, ma non rilasciando alcuna emozione e continuando a volare in testa al gruppo come se nulla fosse.

Sebbene il signor Sesshomaru avesse sempre avuto quell'austerità, Kyo si rattristò per quell'atteggiamento scostante. Ma poi quella lieve sensazione di essere stata ignorata mutò drasticamente in un severo rimprovero nei confronti di se stessa: ora più che mai doveva pensare a quanto i problemi del signore fossero di gran lunga più gravi dei suoi, così come doveva pensare al fatto che ora c'era una bellissima signora in un pericolo più grande del suo.

“Tutto bene, Kyo?”

Kyo si voltò immediatamente, scorgendo il viso della signora Rin che le sorrise bonariamente mentre teneva saldamente fra le mani le redini del suo demone drago in volo. Se soltanto il suo interesse non si fosse palesato, e se lei non fosse arrossita come un cucciolo, di certo non avrebbe attirato tutta quell'attenzione che ora persisteva fissa su di lei.

“Ehm... sì, non preoccupatevi.”

“Perché non vieni con me in sella? Ti farebbe comodo!”

“Eh no, Rin” sbottò il kappa, seduto in sella davanti alla signora. “Non puoi fare sempre a modo tuo!” Evidentemente contrariato, come lei non si aspettava che la signora le facesse quella proposta, per quanto semplice fosse.

“Smettila, Jaken. Ci stiamo tutti!” replicò la signora.

“No, grazie. Continuerò a volare.”

“Meno male, finalmente una ragazza con un po' di senno!” rispose Jaken con sarcasmo.

“Ah, non starlo a sentire!” commentò Kohaku ridendo. “E' sempre stato un po' scontroso. Qui però c'è più spazio!” si offrì poi, e la sua gatta in risposta emise un ruggito invitante, ma Kyo si ritrasse imbarazzata.

“Davvero, sono in grado di coprire le grandi distanze. Perciò non datevi tanta pena per me.”

Sorvolarono una distesa di colline e successivamente una macchia silvestre, e nel momento esatto in cui il sole sfiorò la sottile linea dell'orizzonte, la signora emise uno sbadiglio che portava con sé della stanchezza accumulata a causa della maledizione.

Per quanto volesse sembrare sempre allegra e piena di energie, la signora Rin era comunque una umana, e considerando ciò a cui era costretta era notevole come riuscisse a riprendersi in fretta e senza alcuna ripercussione duratura.

Questa sua forza almeno le avrebbe consentito di avere possibilità contro Noroi in termini di tempo.

“Sesshomaru, possiamo fermarci?” chiese la signora.

L'improvviso odore dell'acqua limpida e il suono lento e sinuoso di un fiume nel suo letto diedero a Kyo la sensazione di essere proprio al fiume Tsuya, laddove la signora Madre aveva detto di recarsi. Anche il signor Sesshomaru doveva aver avvertito quella sensazione, ma sembrava ancora ben lontano dal rispondere alla richiesta della sua compagna. Soltanto quando un profumo tenue di fiori arrivò alle narici di Kyo, la demone intuì come avrebbe risposto.

“Manca poco al fiume Tsuya” disse infine il signor Sesshomaru. “Sento l'odore dell'acqua, ed uno intenso di fiori.”

La rivelazione risvegliò del tutto la signora Rin dal suo stato di stanchezza, tanto che trillò con un forte odore di speranza ad inondarle il viso.

“Davvero?!”

“Siamo vicini.”

Il principe rallentò per perdere progressivamente quota, ed immediatamente Kyo lo seguì sentendo l'umidità del fiume investirla insieme ad un odore floreale totalmente diverso da quelli sentiti fino a quel momento.

Deve essere quel fiore...

Il gruppo volò ancora per qualche manciata di secondi prima di scorgere una fascia azzurra delimitare una enorme macchia rossa come il sangue, situata alla sponda destra. Nel frattempo il fiume strisciava lentamente, lasciando che il sole riflettesse le dolci increspature che di tanto in tanto le conferivano qualche punto scintillante qua e là, ma ciò che sorprese Kyo - e dove inevitabilmente si spostò la sua attenzione - fu la totale assenza di aura demoniaca in quel posto, tanto meno era presente un'aura demoniaca provenire dai fiori.

“Credo che siano proprio i gigli rossi!” confermò la voce della signora. “Grande Sesshomaru!”

L'entusiasmo rivolto al suo compagno si propagò nell'aria con un odore pregno di riconoscenza, ma in risposta ciò che proveniva dal signore fu la sua preoccupazione che si faceva sempre più pesante, rendendo l'aria quasi irrespirabile. Ma essendo una umana, la signora non si rese conto di ciò che il signor Sesshomaru stesse provando.

Trovare il fiore avrebbe forzato il signor Sesshomaru a farsi da parte, a lasciare campo aperto alla signora Rin nella lotta contro Noroi e a non poter interferire per proteggerla il più possibile.

“Come puoi vedere, Kyo” disse poi la signora, richiamando la sua attenzione “Higan bana quando è in fiore è di un rosso intenso, e quando ci avvicineremo ti renderai conto che il suo aspetto rassomiglia molto a quello di un enorme ragno.”

Doveva aver assunto una espressione decisamente rapita da quella descrizione, perché Kohaku le si affiancò con la sua gatta emanando un sentore di interesse che la metteva in imbarazzo.

“Rin è molto più brava in queste cose che a combattere” le disse, schernendo bonariamente la signora.

“Stupido! Se ti ricordi, durante l'ultima commissione sono stata io a sconfiggere quel demone!”

“Già, con me a coprirti le spalle.”

“Vi sembra il momento di bisticciare?”

Jaken intervenne per sedare quel piccolo diverbio richiamandoli a ricomporsi data la criticità del momento. Da quel che aveva potuto osservare Kyo, il kappa costituiva una figura spesso presa sottogamba dagli stessi signori, eppure aveva una vaga aria di autorità che però non era abbastanza.

Kyo toccò terra come tutti gli altri nel mezzo del campo di fiori, e immediatamente si chinò per poter vedere chiaramente che la descrizione fatta dalla signora Rin non poteva essere più esaustiva. La signora forse non era un'abile combattente, eppure aveva una conoscenza che, Kyo sapeva perfettamente, non tutti gli esseri umani potevano vantare. Vide la giovane signora scendere da Ah-Uhn e percorrere estasiata il campo di qualche passo, fermandosi poi ad osservare con uno sguardo colmo di rammarico il fiume al di là della sponda, forse pensando a qualcosa che le era venuta in mente, oppure qualcosa che le aveva procurato un ricordo spiacevole.

Il signor Sesshomaru lanciò ai fiori uno sguardo perplesso, probabilmente per la totale assenza di aure demoniache di quel posto. Nemmeno Kyo riuscì a percepire niente. Sapevano che quei fiori fossero in grado di nascondere la loro aura, ma non così bene e non così a breve distanza.

La signora raggiunse una serie di alberelli che con le proprie radici toccavano appena la terra umida della riva, e arrivata al di sotto di uno di essi si protese per coglierne uno, ma il signore la fermò con il suono tonante della sua voce.

“Ferma, Rin.”

La ragazza rimase con la mano a mezz'aria, ritraendola appena ma ancora fremente per l'attesa, mentre Kyo iniziò a percepire l'odore dei fiori farsi improvvisamente più intenso, spargendo poi finalmente un'aura demoniaca che però rimase concentrata quasi tutta all'interno del fiore che la signora era sul punto di cogliere.

Kirara cominciò a soffiare piano, pronta a scattare se fosse successa qualcosa - anche lei doveva averla percepita - ma il signor Sesshomaru la precedette. Con movenze accorte si piegò accanto alla signora Rin, affiancandosi al suo viso, e recise con le unghie lo stelo del fiore per poi cercare di sottometterlo.

Le due aure entrambe potenti si scontrarono, provocando un'onda d'urto che fece urlare la signora di sorpresa. La giovane si aggrappò al kimono del signore, non riuscendo però a nascondere gli occhi per la troppa ansia di vedere cosa fosse successo durante quello scontro di aure, mentre la nekomata avvolse Kohaku con il suo corpo per fargli da scudo.

Non dovettero attendere molto affinché il forte vento si dissolvesse piano, lasciando il paesaggio come imprigionato all'interno di una coltre fatta di strisce di nuvole azzurre e rosso fuoco.

“Ecco” disse il signore, richiamando volutamente all'attenzione la signora. Porse il fiore alla giovane donna, e senza esitazione alcuna la signora Rin lo accettò con un sorriso riconoscente.

“Grazie, Sesshomaru.”

Fu soltanto per un istante, ma Kyo avvertì un odore di amore totalizzante e disinteressato provenire dal signore mentre guardava la sua compagna negli occhi; e la signora Rin ricambiò con la stessa intensità, lasciando che il suo amore aleggiasse intorno a lei senza timore alcuno, né paura.

Da soli, diversi, senza alcuna remora fra loro, il signor Sesshomaru e la signora Rin emanavano delle sensazioni tangibili, e non solamente degli odori prodotti dai loro sentimenti. Per strana ironia della sorte, quegli odori amorosi avevano la stessa consistenza dell'odio che intercorreva fra lei e Musashi.

La potenza dell'amore è tanto forte quanto quella dell'odio.

Kyo ne fu assuefatta. Per quanto il loro scambio fosse durato nient'altro che un battito di ciglia, le suscitò una commozione che non poté trattenere. Una lacrima solitaria scivolò via dall'occhio sinistro, mentre lei frettolosamente ma senza avere in mente l'idea di nasconderla l'asciugò con la manica del proprio kimono. Quasi le fece male al cuore, e quale dolore aveva scoperto di avere al solo ricordo che la sua vita sarebbe stata ben differente dalla loro, per quanto ostacolata che fosse.

“Sono felici, se non fosse per tutta questa storia.”

Per quanto avesse sentito dei passi avvicinarsi a lei, seppure distratta dai due signori, la voce di giovane uomo di Kohaku si insinuò nelle sue orecchie con una morbidezza innocentemente fluente tale da spaventarla.

Kyo si voltò, portandosi una mano al viso per soffocare un grido, ma il senso di allerta fu presto sostituito da una tranquillità placida come uno specchio. Kohaku stava sorridendo, probabilmente anche lui rapito da quella visione colma di tenerezza; e doveva averla vista mentre si perdeva nelle espressioni complici della coppia.

Quel ragazzo conosceva la signora Rin fin da bambina, e probabilmente doveva conoscere anche il suo legame con il signor Sesshomaru e comprenderlo fino ad un fondo nel quale lei mai sarebbe riuscita ad arrivare, nonostante percepisse il saldo amore che intercorreva fra i due.

Kyo accennò un sorriso languido, il primo che dedicò interamente a quel ragazzo senza però guardarlo direttamente negli occhi. Sarebbe stato tremendamente imbarazzante per lei dargli più confidenza, tanto più lo sarebbe stato se avesse risposto di sì, che era d'accordo con lui.

Per quanto la riguardasse direttamente, assistere a quella scena aveva per lei un risvolto amaro, fatto di odio e paura, di aggressività e di veleno gettato sul suo kimono a scopo intimidatorio.

“Già” rispose soltanto, come se fosse impazzita, e lo disse immaginando di indossare una maschera teatrale, cercando di non lasciare che le sue emozioni diventassero troppo evidenti e turbassero un animo così particolare com'era quello di Kohaku.

La signora Rin fece per alzarsi, sfiorando appena la mano del suo compagno procurandogli una scarica di turbamento e piacere al tempo stesso. Il signore ripeté i movimenti della ragazza con modi decisamente più lenti, senza distogliere gli occhi dai suoi capelli neri mossi dal vento fresco della sera, venati di un rosso fuoco di cui probabilmente lei non era a conoscenza, ma che agli occhi demoniaci erano come scintille solari calde ed irresistibili.

A testimonianza della personalità lucente che emanava, la signora nascose il fiore all'interno del proprio kimono, prendendo immediatamente con entusiasmo il suo arco dalla propria spalla e con altrettanta agilità estrasse una freccia dalla faretra.

“Ed ora, mio caro Kohaku” disse all'indirizzo del suo amico, incoccando la freccia “ti dimostrerò che ti sbagli, che i tuoi sono solo vaneggiamenti di un ragazzone che ha ancora tanto da imparare!”

Tese l'arco, puntando la punta della freccia in direzione di uno degli alberelli e scagliando il dardo con espressione concentrata. Lasciò che la freccia si liberasse dalla sua presa come se fosse dotata di vita propria, andando a conficcarsi al centro di una fogliolina, l'ultima all'estremità del ramo più sporgente, trascinandola poi con sé sul tronco.

La fogliolina si stagliò, inerme e ferita, contro la corteccia scura dell'arbusto; e così visibile a tutti, Jaken emise una esclamazione di sorpresa.

“Ora non montarti troppo la testa” la redarguì immediatamente dopo, lanciandole una occhiata risentita. “Non sarebbe il momento di riposarsi?”

“Ma io non voglio riposarmi, sto benissimo.”

“Sciocca che non sei altro! In quanto debole umana, dovresti recuperare le forze!”

“Lo dici perché sei tu quello stanco!”

“Sei tu quella stanca, te lo si legge in faccia!”

“Significa che ti preoccupi per me, Jaken?”

La signora Rin sorrise con uno sguardo insinuante al kappa, che nel frattempo sembrava decisamente colto alla sprovvista dalla domanda che gli era stata rivolta. Stando alle parole del signore, Jaken conosceva la signora da anni, fin da quando era una bambina - secondo il computo umano - e probabilmente di quei bisticci ce n'erano stati a centinaia.

“No, affatto!”

Nonostante l'orgoglio di Jaken avesse inevitabilmente preso il sopravvento, c'era qualche sfumatura di ammissione nel suo animo, di una resa di fronte all'evidenza - ma nei confronti più di se stesso che in quelli dell'interessata. Quest'ultima però non cancellò il suo sorriso, semmai lo trasformò in uno ancora più sornione; infine si arrese ma non omise di dimostrare la propria morbida riconoscenza.

“Stavolta accendo io il fuoco, per ringraziarti dell'ultima volta che lo hai fatto a me.”

“Aspetta Rin, ti do' una mano.”

Jaken la guardò stranito per qualche secondo, poi scosse la testa andandosi a sedere ai piedi di un albero. La signora si mise immediatamente all'opera aiutata da Kohaku, mentre il signor Sesshomaru inspirava l'aria fresca cercando di combattere contro alcuni pensieri negativi.

Affranta, Kyo decise di unirsi alla signora e a Kohaku per dare loro man forte, e quando ogni cosa fu pronta si misero in cerchio davanti al fuoco, ognuno cercando di distendersi il più possibile.

Kohaku si controllò la gamba ferita da prima che il gruppo arrivasse a palazzo, e si sarebbe messa ad osservare con forse fin troppa morbosità se un influsso indagatore non l'avesse costretta a voltarsi verso il signore rimasto in disparte, incrociando per qualche istante i suoi occhi. La coda di Kyo diventò immobile, ma non per paura. Si voltò, incerta se farlo o meno, mentre sentiva l'atmosfera farsi più tesa e la sua tensione farsi sempre più palpabile.

Sicuramente era quel sentimento di devozione che aveva imparato a provare nei suoi confronti, non poteva negarlo, ma anche di un forte senso di responsabilità che per la prima volta le fece intendere che per pensare anche soltanto di chiedergli qualcosa di così importante come sciogliere un fidanzamento nobiliare, doveva fargli intendere che avrebbe fatto qualunque cosa per lui e per la sua compagna: che anzi, doveva dare una prova concreta che pur di non deluderlo, sarebbe morta per loro. Sperava soltanto di essere in grado di accontentare le aspettative che il signore aveva nei suoi confronti.

La signora doveva aver visto la sua espressione assorta nelle fiamme, perché la richiamò alla sua attenzione con una cadenza quasi materna, che la fece visibilmente arrossire.

“Kyo” le disse la signora, guardandola negli occhi con bonarietà “c'è qualcosa che non va? E' da quando siamo partiti che sei sovrappensiero.”

“Tutto bene, signora” rispose, come al solito, perché al momento c'era in gioco qualcosa di più grande dei suoi desideri. “Riflettevo.”

“Anche io ho riflettuto molto, soprattutto dopo ciò che visto” commentò intristendosi. “Se non sono indiscreta, posso chiederti chi era quel demone che hai chiamato Masashi?”

Il respiro di Kyo si bloccò al pensiero di quell'essere disgustoso, e francamente avrebbe preferito non parlarne almeno per quel periodo in cui poteva stare lontana dal palazzo, ma dovette limitarsi a stringere le gambe in un abbraccio e rispondere, seppure con un filo di voce, cosa fosse Masashi per lei - o sarebbe stato meglio dire, cosa fosse Masashi per la sua famiglia.

“Lui è... lo sposo che la mia famiglia ha scelto per me.”

Ancora una volta, Kyo sentì la rabbia montarle in corpo esattamente come quando Masashi l'aveva aggredita soltanto per il gusto di stuzzicare la sua pazienza, ma dovette reprimere ogni sensazione per non dar modo al signor Sesshomaru di credere che fosse presa soltanto da quella triste realtà.

“Ma non lo vuoi, vero...?”

“Rin, lasciala in pace!” sbottò Kohaku verso la signora. “Non vedi che la metti a disagio?”

“Sì” rispose la ragazza, per niente turbata dal rimprovero dell'amico. “Ma bisogna fare qualcosa! Non è normale che un ragazzo faccia gesti simili su una ragazza! Ora che ci penso, è stato un bene che il signor Sesshomaru ti abbia portato con noi.” Poi si avvicinò a lei, cercando di mormorare quanto più piano possibile alle sue orecchie.

“Ti prometto che ti proteggerò io” sussurrò, e nonostante Kyo sapesse che non era possibile, che la signora non potesse fare niente e che al contrario, era lei a doversi mettere al suo servizio anche con le faccende più pericolose, ne fu rincuorata.

“No,” replicò lei “devo essere io a proteggere voi.”

“Allora, non sei soltanto una ancella.”

“Sono disposta a fare molto altro, per voi.”

Dapprima leggermente turbata per quella risposta, la signora Rin si voltò in direzione del signor Sesshomaru.

“Sesshomaru ti ha scelto per questo?”

“Kyo è totalmente innocua nei confronti degli esseri umani. Non ne mangia le carni.”

L'intervento di Sesshomaru circa il suo atteggiamento verso gli umani la colse di sorpresa. Avvampò, credendo di rendersi oggetto di una forte discussione all'interno del gruppo come era già successo nella sua cerchia familiare, ma tutto ciò che ricevette furono delle espressioni a metà strada fra lo stupore e la riconoscenza.

“Conosco bene i demoni che decidono di non cibarsi di esseri umani, e spesso è perché ne vengono in contatto in modo positivo” sentenziò Kohaku, accarezzando la testa della nekomata “non è vero, Kirara?”

Kyo gettò un'occhiata al signor Sesshomaru, ricordando che era da un po' che non sentiva odore di sangue umano su di lui.

“Quindi hai conosciuto un essere umano prima di noi!” esclamò la signora, completamente entusiasta di ciò che stava ascoltando. “Perché non ci racconti di questa persona?”

Kyo fu spaventata da quella richiesta, ma ciò che la intimorì maggiormente fu la presenza di Kohaku, l'unico insieme alla signora che fosse più interessato a sapere dettagli di quella storia. Il suo odore le ricordava così tanto quell'uomo che dovette fare appello a tutto il suo coraggio per cominciare quel racconto. D'altronde, non poteva di certo deludere le aspettative della signora.

“Era... un uomo, uno sterminatore per la precisione.”

Kohaku fece tanto d'occhi, e Kyo si maledì mentalmente per aver ceduto all'insistenza della signora, ma lo sguardo sognante della ragazza la incitò a proseguire con più tranquillità.

“Ero circondata da alcuni demoni lucertola che probabilmente non sarei mai riuscita a battere da sola, e nel momento in cui caddi per terra, quello sterminatore mi salvò la vita con un'arma gigantesca chiamata Hiraikotsu.”

Il viso della signora sembrò illuminarsi di una luce cupa, che credette di cancellare del tutto con un sorriso tirato; mentre Kohaku assunse una espressione a dir poco angosciata.

“Aveva il tuo stesso odore, Kohaku. Quindi sicuramente ha il tuo stesso sangue.”

“Era mio padre” rivelò infine il giovane uomo, e il suo atteggiamento diventato improvvisamente freddo ed emanante un odore duro e impassibile la convinse a continuare, facendo finta di non aver notato il suo repentino cambio di umore.

“Davvero? Quindi avrò la possibilità di incontrarlo?”

“Non credo, è morto da molto tempo ormai.”

Kyo non interferì oltre, e rimase in silenzio mentre la triste sensazione di angoscia opprimente aleggiava su Kohaku. Per schermarsi da quell'atmosfera, la giovane demone cane abbassò gli occhi e si strinse nuovamente le gambe al petto, sentendo la colpevolezza farsi strada nella sua testa come un serpente che avrebbe fatto meglio ad uccidere.

Non credeva che quell'uomo fosse morto, e ancora più grave per lei era il fatto di averglielo ricordato a Kohaku. Doveva essere stata una emozione fortemente negativa per lui perdere uno dei principali punti di riferimento della sua vita.

Doveva aver fatto con suo padre cose che Kyo con il suo non avrebbe mai fatto, e il pensiero risvegliatosi doveva avergli fatto tremendamente male anche per la sola e semplice ragione di non poter avere più possibilità di rivederlo ancora.

Sentì i pensieri del signore e della signora prendere la forma della compassione, e percepì il debole stridio dei denti di Kohaku che cercava di soffocare la corsa di una lacrima che però cadde senza cercare alcun freno o consenso.

Kohaku infine si allontanò, ma la sua tristezza era così forte da impregnare quasi l'intero campo di fiori demoniaci.







NDA

Ce l'ho fatta, finalmente!

Ritardo millenario, lo so, e mi dispiace moltissimo. Però alla fine ho mantenuto la promessa fatta sulla paginetta, anche se non avendo controllato potreste trovare strafalcioni enormi - spero di no.

E adesso, il nostro Kohakumaiunagioia ha una gioia in meno, e la situazione peggiora sapendo che non potrà scendere nei dettagli dal momento che si sente responsabile della sua morte. Della serie: maltrattiamo i personaggi.

Grazie mille a chi ha letto e sta ancora leggendo :)

Un bacione a tutti :*

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Umana, troppo umana ***




Umana, troppo umana





Il campo di angurie era stato un colpo di fortuna.

Rin aveva sentito lo stomaco gorgogliare già da un pezzo prima che Jaken riuscisse a trovarle qualcosa da mangiare, e le era sembrato anche che il suo intervento - per quanto lo avesse voluto qualcun altro - le avesse soltanto rallentato la ricerca.

Da sola avrebbe trovato almeno qualche radice da abbrustolire al fuoco senza dover richiedere i favori di Ah-Uhn affinché la accompagnasse in un posto tanto lontano.

Però, mentre dava un morso ad una di quelle angurie, dovette ammettere che ne era valsa la pena.

Ora non aveva niente di cui preoccuparsi, dal momento che davanti a lei si stagliava rossa e lucente la polpa di una anguria dolce e succulenta.

Addentò un altro morso stavolta molto più grande di quello precedente, gustandoselo con una felicità forse fin troppo esagerata perché riuscisse a passare inosservata. Sicuramente sarebbe arrivato qualche commento poco carino da parte di Jaken, perché era improbabile che non intervenisse con la sua voce gracchiante per lamentarsi di lei. Ma il demone era troppo assorto nei suoi borbottii per accorgersi di quel che Rin stava facendo.

Rin interruppe la sua cena appositamente per osservarlo, rendendosi conto che dai suoi enormi occhi cominciarono a scendere alcune lacrime per poi cominciare a piagnucolare con più enfasi un nome indistinto - o che le orecchie di Rin non erano in grado di distinguere.

Di una cosa era sicura. A giudicare dalla sua immensa tristezza, Jaken non voleva stare lì con lei. Probabilmente preferiva essere da qualsiasi altra parte piuttosto che con una “mocciosetta umana”, come era solito additarla; e sinceramente, anche lei avrebbe voluto essere da tutt'altra parte.

Si era affezionata a lui, ed era sempre felice di vederlo; ma le bastava attendere qualche istante per accorgersi che la sua contentezza non era condivisa, che lei era la sola fra i due a provare amicizia e affetto nei suoi confronti.

Jaken non l'aveva mai accettata veramente. Anzi, spesso e volentieri cercava in tutti i modi di liberarsene, anche soltanto per poco tempo.

Per quanto fosse ancora una bambina, Rin sapeva bene che le attenzioni che il kappa le riservava non erano altro che il frutto di una volontà che trascendeva la sua.

La fonte di questa volontà purtroppo però, le era sconosciuta.

Se solo questa entità - qualunque essa fosse - si fosse palesata davanti ai suoi occhi, le avrebbe chiesto di sciogliere Jaken da quello strano vincolo che la legava a lei, in modo da liberarlo del tutto. Così, anche lei avrebbe trovato finalmente la sua strada, un giorno sarebbe diventata adulta e avrebbe continuato a pensarlo - o lo avrebbe dimenticato? - da lontano.

Però non era questo che Rin voleva.

Non voleva essere separata da chi voleva bene.

Smise di mangiare a causa di un groppo in gola e con rabbia gettò via la buccia del pezzetto di anguria che ancora aveva fra le mani.

Portandosi le mani agli occhi che pizzicavano sentì qualcosa di bagnato rigarle le guance. Le lacrime si stavano facendo strada sul suo viso senza che lei se ne potesse accorgere in tempo per provare ad arginarle, ma nell'asciugarle avvertì una consistenza diversa da quella delle semplici lacrime, come se fossero più dense e vischiose.

Rin se ne curò a stento, troppo imbrigliata com'era in quella rete di angoscia e solitudine, ma la vista di un rosso intenso la riscosse dalle sue tristi emozioni.

Atterrita, si portò le dita tremanti sugli occhi per scoprire che stavano grondando sangue. Il respiro le si fece corto, come se le sue stesse urla premessero per uscire senza avere la forza di spingere oltre le sue labbra; ma improvvisamente sentì che le lacrime di sangue diventarono come un fiume in piena, e tentando disperatamente di asciugarsi con le maniche del kimono, queste si rivelarono infine completamente zuppe di sangue.

Cadde indietro, sentendo di essere diventata rigida come il ramo di un albero, ma nella frenesia di attutire la caduta rovinò di fianco, e per poco non le si ruppe un braccio.

Si mise carponi, ansante, con il preciso intento di rialzarsi. Ma prima che potesse farlo, vide sul terreno un volto di ragazza interamente intriso di sangue nell'atto di emettere un grido che però lei non riusciva a sentire.

Dovevano essere le angurie, ad essersi trasformate in facce.

Urlò, stavolta con quanto fiato avesse in gola, e la sua voce finalmente uscì, ampliata e indefinita, come se alla sua si fosse sovrapposta la voce del volto di ragazza e avesse urlato anche per lei.

Si tappò istintivamente le orecchie, sconvolta e impaurita come mai lo era stata ormai da troppo tempo; ma nonostante il suo urlo si fosse interrotto, quello continuava come se fosse dotato di vita propria, cercando di insinuarsi nelle sue orecchie con la stessa violenza di una pugnalata.

Rin scosse la testa e strizzò gli occhi, cercando di scacciare quell'orribile sensazione che assumeva sempre di più i tratti di una angosciante realtà. Ma riaprendo gli occhi e nel muovere la testa, si accorse di essere circondata da centinaia, migliaia di volti, incastrati l'uno all'altro formando una immensa pavimentazione di occhi, pelle, nasi e bocche che si perdeva a vista d'occhio.

Il luogo già tetro e inquietante era sormontato da un soffitto della stessa natura.

Il grido cessò di violare le sue orecchie nel momento esatto in cui emise alcuni gemiti stanchi di paura; così la ragazza finalmente trovò un barlume di coraggio per alzarsi in piedi, ancora con violenti tremori per tutto il corpo, per cercare una via d'uscita.

Il terrore di quel luogo buio sembrava vincerla, sovrastarla come una enorme creatura pronta a divorarla.

Eppure, c'era qualcosa che la spronava a camminare e a raggiungere qualcosa di cui lei non ne era a conoscenza.

Era una cosa bella, anche se ogni cosa lo era rispetto a quel luogo. Era una cosa che non conosceva, ma che le stava facendo acquisire le sue fattezze di giovane ragazza soppiantando l'aspetto acerbo della bambina che era stata.

Improvvisamente riuscì a recuperare l'autocontrollo necessario per andare avanti, con quel briciolo di felice aspettativa che spesso accompagnava i suoi passi.

Sicuramente quel posto doveva avere un limite, non poteva essere infinito.

Coraggiosa come sempre...”

Una voce giovanile conosciuta la fece rallentare per poi fermare del tutto. Rin si guardò intorno, per quel che la sua vista riusciva a percepire, cercando al contempo di capire dove avesse sentito quella voce che sembrava provenire da un passato non molto remoto.

Kohaku...”

La bocca di Rin si mosse da sola, sillabando piano il nome del proprietario della voce udita con un sensazione strana e inquietante ad aleggiarle intorno, come se avesse evocato un demone, nonostante Kohaku - il suo amico d'infanzia - fosse un semplice essere umano.

La sua figura emerse lentamente dalle tenebre,abbigliata di tutto punto della sua tenuta da sterminatore. In mano brandiva la sua kusarigama che, Rin sapeva, per quanto fosse pesantissima il ragazzo non mostrava fatica nel maneggiarla.

Felice di vederlo, Rin ignorò quell'aura intrisa di inquietudine e cominciò a corrergli incontro come succedeva prima che anche lei viaggiasse con lui.

Ma più si avvicinava al giovane, più emergevano dalle tenebre cadaveri ai suoi piedi.

Erano uomini, e fra loro Rin scorse un volto che - non seppe dire come - riconobbe come il padre di Kohaku e Sango.

Rin ebbe un fremito di orrore.

Molto coraggiosa...”

Kohaku parlò ancora, ora però con una cadenza di voce terribilmente lapidaria, accostando la sua arma al petto come se si stesse preparando all'attacco. La ragazza notò che i suoi occhi erano vitrei, come quelli della carcassa di un animale in evidente stato di decomposizione.

Alzò l'ascia, e in quell'istante Rin provò il terrore del dolore e della morte che il giovane da lì a pochi istanti le avrebbe inflitto. Un groppo le serrò la gola, e sentì che il suo corpo era come di ghiaccio, fermo sul posto, incapace di muoversi.

Vediamo quanto lo sei, adesso...”

Kohaku, no!”

Il ragazzo sferrò il suo colpo con ferocia sovrumana, ma la prontezza di riflessi di Rin lo evitò per un soffio, recidendole soltanto alcune ciocche di capelli. Riprese a correre, stavolta con un ritmo molto più deciso e veloce, incespicando fra i tratti curvilinei delle facce sul suolo.

Riprese a piangere, impaurita e al tempo stesso incapace di comprendere per quale motivo Kohaku facesse così.

Lo capì improvvisamente, mentre il suo respiro divenne troppo affannoso perché potesse riuscire a regolarizzarlo e le sue gambe troppo instabili per la paura e la stanchezza.

Kohaku era posseduto, forse da un demone che la voleva morta.

Non poteva essere Naraku, ma sicuramente qualcuno di altrettanto potente.

Questo pensiero le infuse nuova energia e sperò con tutto il cuore che quegli ultimi estenuanti sforzi l'avessero condotta verso una qualsiasi via d'uscita. Si voltò e si rese conto di aver staccato Kohaku di molto, perlomeno la distanza necessaria per rinnovare la speranza di salvarsi.

Si affacciò all'orizzonte una scintilla di luce che brillava come una stella, come quelle che ogni notte Rin si fermava ad osservare nel cielo con un forte senso di nostalgia ad attanagliarle lo stomaco.

Ringraziò di cuore la sua tenacia, soprattutto quella delle sue gambe, e per quanto le fosse tremendamente faticoso riuscì comunque a rendere più rapida la sua corsa.

Qualcosa però le si aggrovigliò intorno alle gambe, facendola rovinare a terra.

Emise un verso di dolore e di sorpresa, ma soltanto in un secondo momento si accorse con terrore che aveva le gambe legate. Gettò lo sguardo in basso, quasi intontita da quanto successo, notando come il kimono che indossava fosse stretto all'altezza delle caviglie da catene invisibili.

Per quanto fosse spaventata, cercò subito di liberarsi. Estrasse dalla manica del kimono il coltellino spesso utilizzato per recidere le piante che raccoglieva con Kaede e Kagome; ma più tentava di colpire quelle catene invisibili, più quelle sembravano acquistare forza e tenacia; finché apparve finalmente la catena, lentamente, anello dopo anello, fino a condurla con lo sguardo verso il ghigno di trionfo di Kohaku.

Il coltellino si trasformò in un piccolo serpente che lei, ancora una volta sopraffatta dalla paura, gettò immediatamente a terra.

Ritornò ad osservare Kohaku, tentando con frenesia di intuire quali mosse avrebbe utilizzato per coprire la distanza fra loro. La trascinò con forza verso di sé, lacerandole la pelle delle gambe, mentre con pochi passi impazienti arrivò su di lei.

La sua arma scintillò ancora una volta sopra la testa della ragazza, finché lei si rese conto che da quello stesso baluginio si fece strada una luce più intensa, come quella di un pallido mattino dopo una forte nevicata notturna.

Rin la vide, ma improvvisamente le forze e la volontà di immergersene le mancarono.

Afferrò qualcosa di indefinito, all'altezza di quella luce, ma che al tatto sembrava così morbido che avrebbe voluto affondarci per trovare finalmente del riposo. Ma quella sensazione di idillio la mise comunque in una condizione di allerta. Si voltò, per vedere se Kohaku l'avesse raggiunta e se avesse ancora intenzione di ucciderla, ma stavolta la sua espressione aveva assunto una cadenza naturale, quasi premurosa; la catena nelle sue mani scomparve, lasciandole le gambe libere di muoversi.

Rincuorata, si voltò verso la superficie morbida per poterci affondare il viso. Qualsiasi cosa fosse le procurava calore.

Ed era l'unica cosa che voleva, in quel momento.



“Rin!”

“Signora!”

Fra le tante voci che si univano ad esclamare il suo nome, la ragazza udì ancora una volta quella di Kohaku alle sue spalle, quella dolce e apprensiva a cui era abituata. Provò a voltarsi, per accertarsi che lui stesse bene e fosse ritornato quello di sempre, però qualcosa nella sua testa le suggerì di ancorarsi a quella superficie soffice sottraendola da ogni sua volontà deliberata. Ancora tremante, si strinse con più forza a quella che riconobbe come la coda di Sesshomaru cercando di calmarsi per quanto le fosse possibile, ma dovette constatare che quella paura non si sarebbe mai placata se non avesse lasciato la presa su Sesshomaru.

Si scostò da lui per guardarsi attorno, e nel farlo sarebbe caduta a terra se le mani artigliate di Kyo non l'avessero afferrata. Rialzando la testa però oltre alla demone cane scorse le facce angosciate e al contempo sollevate di Jaken e Kohaku.

Li osservò a lungo, con uno sguardo che doveva apparire decisamente assente, perché Jaken per accertarsi che stesse bene le si avvicinò posandole una zampa sulla fronte: un gesto che cancellò di colpo tutte le incertezze provate durante l'illusione.

Jaken...

“Sei accaldata e ferita, Rin. Padron Sesshomaru, forse sarà il caso di fermarci ancora un po'.”

Rin sentì un calore nel petto che la fece traboccare di gioia. Si sporse su di lui e lo abbracciò con affetto, lasciando che qualche lacrima di felicità abbadonasse i suoi occhi. Pianse sulla sua spalla piccola e gracile incurante del giusto sbigottimento del kappa, spostandosi soltanto per carezzare piano la guancia di Kohaku.

Aveva sempre avuto l'impressione che il suo amico portasse con sé un fardello insopportabile per un animo sensibile come il suo, e adesso che aveva provato su di sè i suoi incubi non poté fare a meno di pensare che fosse normale che Kohaku non riuscisse a vedere una via d'uscita da quel suo inferno personale. Sorrise, ma con quel pizzico di amarezza che probabilmente Kohaku colse immediatamente e che ricambiò con una punta di gratitudine.

Sapeva che quegli unici momenti di distensione di Kohaku erano proprio quelli trascorsi con lei.

Improvvisamente ebbe un altro capogiro, questa volta più violento del precedente; stavolta però fu Sesshomaru a prenderla. Senza dire una parola ripose la pietra Meido nel proprio kimono. Prese poi un lembo della sua manica e cominciò ad asciugarle le lacrime mescolate al sangue che aveva versato dagli occhi.

Rin sentì il calore delle dita del demone scivolare lentamente sulle sue guance, e soltanto quando vide il kimono sporco di sangue ricordò di aver sporcato anche la sua coda. Gettò lo sguardo nella porzione di pelo dove aveva immerso il viso qualche istante prima, ma Sesshomaru intercettò ciò che voleva dire scuotendo la testa. Lo lasciò fare, sforzandosi di togliersi dalla testa le immagini dell'illusione e di placare così il tremore che ancora le scuoteva le spalle; ma si aggrappò all'armatura di Sesshomaru in una muta consolazione, e lui in risposta la prese in braccio cominciando ad allontanarsi dal resto del gruppo.

Lei lo ringraziò silenziosamente, con la sola sensazione di estrema gratitudine ad inondarle il petto.

Sesshomaru si sedette sulla sponda del fiume, facendola accomodare più agevolmente distendendola sulla sua spalla delimitata dalla coda; e Rin si fece cullare dai suoi gesti, dalle sue premure, pensando con rammarico di non averne quasi mai avute da lui quando era stata bambina e non per la semplice ragione di essere costantemente lontani: Sesshomaru era troppo attento per potersi permettere più di una carezza o di un abbraccio nei suoi confronti, e adesso ogni cosa per lei - anche quella più banale - sembrava viva, pulsante, estatica, liberatoria. Ogni singola attenzione, i baci, le strette dell'uno sul corpo dell'altra, quello strano ed eccitante confine che li separava da quel qualcosa di più erano già di per sé delle grandi gioie che da ragazzina aveva sempre immaginato e che nella sua ignoranza ed ingenuità aveva trascurato di comprendere appieno come ora.

Crescere era stato un processo lungo, spesso pieno di insidie e di pericoli che la allontanavano sempre di più da lui, e scandito dalle sue visite silenziose palesate quasi soltanto dai colori vivaci delle stoffe e dei kimono che le portava come segno della sua promessa. Era stato ricco di conoscenza grazie a Kaede ma spesso noioso, in attesa, con il tempo che sembrava dilatarsi e prendersi gioco di lei, con il costante pensiero che la sua vita infinitamente breve avrebbe giocato a discapito della sua, più lunga e invincibile.

Che strano.

Per tentare di scacciare il lugubre ricordo dell'illusione aveva finito con l'adottare pensieri altrettanto pregni di sofferenza per lei. L'acuirsi di queste emozioni portarono Sesshomaru che ne era sensibile grazie alla sua natura demoniaca ad alzare il suo braccio quel tanto che bastava per posare la mano sul suo fianco e avvicinarla a sé, controllando con i suoi occhi grandi ed affilati le sue condizioni con un'apprensione più marcata e visibile.

Si rese conto che il demone si soffermò infine sulle caviglie livide e segnate dalle catene dell'illusione, così le ritrasse all'interno del kimono per evitargli di vedere in che condizioni fosse - anche se sapeva perfettamente che riusciva a sentire l'odore del suo sangue ormai rappreso.

“Va tutto bene” disse lei, rimarcando ancora una volta quella tendenza a rassicurare le persone attorno a lei. “Sono soltanto un po' stanca” proseguì, stavolta con una parvenza più fresca, come se in cuor suo volesse smentire con i fatti ciò che aveva appena detto. Si stiracchiò piano, con un sorriso di circostanza disegnato sul viso che avrebbe dovuto riflettere quel poco di felicità tanto agognata a Musashi e di cui sembrava non riuscire mai a raggiungere nonostante fosse proprio lì accanto a lei, a portata di mano.

Ma ancora una volta Sesshomaru sembrò comprendere perfettamente quanto fosse esausta, triste e quanto fossero diventate terribilmente pesanti le sue palpebre.

Non sarebbe stata una cattiva idea dormire un po' lì con lui, d'altronde lo aveva già fatto e la cosa sembrava non disturbasse affatto il demone.

Chiuse finalmente gli occhi, pensando che probabilmente era per via di quanto le stava succedendo se si sentiva così affaticata. Aveva una gran voglia di appisolarsi e di rimanere addormentata per un bel po' prima di riprendere il viaggio, e il calore di Sesshomaru contribuiva non poco a regalarle la tranquillità di cui aveva bisogno. Il demone cane si avvicinò piano a lei per lasciarle un bacio all'altezza dell'occhio destro, facendola ridacchiare nella dormiveglia, ma prima che potesse scivolare nel mondo dei sogni una luce improvvisa rossa come il sangue le avvampò davanti alle palpebre abbassate provocandole se non dolore, qualcosa che rassomigliava ad un fastidioso e potente fuoco che la investì in pieno.

Rin squittì, sorpresa e deliziata al tempo stesso per quella strana quanto piacevole sensazione, e spalancando gli occhi ricordò velocemente di aver conservato il fiore proprio dove aveva sentito quel calore, all'altezza del seno. Sotto lo sguardo attento e preoccupato di Sesshomaru, la ragazza sfilò piano il fiore dalle pieghe del kimono rimirandolo con una espressione incuriosita ad ornarle i lineamenti delicati. Ne carezzò i petali ancora avvolti nella loro aura e la ragazza si rese conto che erano decisamente troppo caldi per poter essere semplicemente scaldati dal suo corpo.

Dunque era stato il fiore a scaldare lei con un fuoco che se non bruciava, l'aveva comunque svegliata definitivamente.

“Cosa è successo?”

Rin si voltò verso Sesshomaru, cercando di dargli una spiegazione - proprio lei, che di demoni e aure sapeva soltanto quel che Inuyasha e Shippo le avevano insegnato, o più precisamente cercato di insegnare - ma quasi non trovava le parole per esprimere ciò che era appena accaduto.

“Non lo so...” mormorò più a se stessa che a lui. “E' come se Higan bana mi avesse... risvegliata.”

“Risvegliata?”

“Come se mi avesse forzato a riaprire gli occhi! No... come se volesse...”

Avvertirmi di qualcosa.

Dopo tutte quelle immagini raccapriccianti doveva essere perlomeno naturale pensare una cosa del genere, eppure per Rin credere che quel fiore demoniaco fosse dotato di volontà propria e volesse darle dei segnali non era una idea così lontana. Per quanto le fosse strana una cosa del genere, la trovava alquanto affascinante e si scoprì addirittura riconoscente per questo.

Ma cosa volessero dire questi segnali, Rin non riusciva proprio a dirlo ed era indecisa se riferire a Sesshomaru le sue impressioni al riguardo e magari rivolgergli qualche domanda. La tensione del demone era palpabile anche per lei che non aveva la facoltà di percepire le sensazioni, eppure lei non riusciva a rimanere senza le risposte che cercava.

Quante volte aveva infastidito Inuyasha o Kagome con le sue continue domande o considerazioni, e quante altre volte le rimproveravano la sua curiosità e perspicacia fin troppo accese per una ragazzina così piccola che proveniva dal nulla?

“Ah, lascia perdere” soffiò soltanto, con un sorrisetto di scuse, mentre continuava a sfiorare il fiore con cura. Magari lo avrebbe scoperto da sé, in qualche circostanza particolare. “Sicuramente sono soltanto sciocchezze.”

Sperava davvero di lasciar cadere l'argomento - anche se in cuor suo sapeva che non ci sarebbe mai riuscita - ma prima che potesse accertarsi che Sesshomaru avesse perlomeno seguito il suo consiglio, lui la strinse a sé con il suo solito atteggiamento protettivo e scostandole la frangetta dalla fronte con una mano le lasciò un bacio così tenue da farle desiderare di riceverne uno più intenso.

Rin arrossì imbarazzata a causa di quella considerazione, mentre si perdeva incantata ad osservare i filamenti dei suoi capelli bianchi che oramai sembravano completamente circondarla. Li carezzò infilando le dita fra le ciocche, e saggiandone la consistenza di seta ammirò il contrasto che creavano con il rosso sangue del fiore demoniaco. Lo ripose all'interno del kimono, sempre accanto al cuore, in qualche modo sicura di ricevere un'altra di quelle calde avvisaglie.

“Niente è una sciocchezza, in questo momento” riprese lui. “Se c'è qualcosa che vuoi dirmi, qualsiasi qualcosa, che ti sembri importante oppure no, non esitare a riferirla.”

“Qualcosa c'è” disse Rin, intercettando lo sguardo dorato del compagno. “Queste illusioni sono strane, oltre che terribili.”

“Cosa vuoi dire?”

“E' come se volessero creare dei dubbi nella mia testa” proseguì lei con una punta di fastidio nella voce. “Tu non ci sei mai, nelle illusioni è come se non ti conoscessi e non ti avessi mai visto. In quest'ultima avevo persino Jaken e Kohaku come nemici, ed anche i momenti più tranquilli diventano orribili.”

Rin tacque appositamente per non permettere alla sua voce di tremare, ma i sensi demoniaci di Sesshomaru dovevano sicuramente aver compreso quale senso di smarrimento e angoscia stesse provando nel ritornare con la mente a quelle visioni.

“E poi, ad un certo punto mi sento strana: come se fossi stanca, ma di una stanchezza dalla quale non basterebbe semplicemente dormire...”

Rin avrebbe voluto continuare, avrebbe voluto dire che neanche morire sarebbe stato riposante; eppure lasciò che Sesshomaru comprendesse da solo cosa volesse dirgli nonostante non fosse propriamente quella la sua intenzione.

Il demone difatti si dimostrò perspicace ancora una volta e come se avesse percepito perfettamente ciò che lei era sul punto di dirle le prese delicatamente il volto con una mano, iniziando il lungo bacio sulle sue labbra che lei aveva desiderato qualche istante prima. Se ne sentì appagata e deliziata, sebbene ci fosse ancora quel lieve senso di imbarazzo dal quale forse non si sarebbe mai liberata. Quella tenue e assurda percezione di calore all'addome che aveva provato nel Palazzo di Sesshomaru scese nuovamente verso il basso, e una contrazione della sua intimità la indusse a infilare una mano sotto il braccio del demone per stringerlo a sé, dando - forse non del tutto consapevolmente - a Sesshomaru l'occasione di osare qualcosa che andasse al di là di quello.

Eppure, nell'intensità decisa di quel contatto mista all'odore composto e allo stesso tempo selvatico di Sesshomaru, Rin non poté fare a meno di avere l'impressione che ci fosse qualcosa di diverso in lui ma che non gli fosse del tutto sconosciuto: qualcosa che lo portò a pretendere ogni singolo tratto delle sue labbra e a desiderare la sua lingua in un modo che Rin seppe definire soltanto qualche momento più tardi come disperatamente ossessivo e che lo indusse ad un movimento impercettibile delle sue possenti spalle che lei non aveva mai sentito prima da lui.

Sentì la sua mano che fino a quel momento l'aveva circondata passare lentamente sulla sua schiena fino ad occuparla quasi del tutto e attirarla a sé, imprimendo una forza che stavolta la colse di sorpresa, perché fra le nubi del dolce stordimento che il suo bacio le aveva procurato Rin si accorse che Sesshomaru stava tremando, e al tempo stesso stava tentando di reprimere i suoi fremiti.

Per la ragazza fu come rivivere uno degli incubi di Jukai, fu come sentire una coltellata in pieno petto e osservare impotente il sangue che ne fuoriusciva.

D'improvviso si sentì tremendamente sciocca per aver pensato tutt'altro, ma la lontananza glielo aveva fatto desiderare così tanto da ignorare completamente i sentimenti del suo compagno in quel momento di angoscia per lui in favore di un approccio amoroso più intimo.

Mai come in quel momento si sentì più debole di quanto già la sua essenza umana le dimostrasse giorno dopo giorno.

Eppure riuscì a spazzare via quella fragilità in un batter d'occhio, come se volesse infondergli quanto più possibile la sua stessa forza.

Probabilmente non ci sarebbe stato niente che lei potesse fare, e l'unica - seppure labile - cosa era quella di aggrapparsi ulteriormente a lui artigliandogli la schiena diventata in qualche modo tremendamente calda, rendendosi conto che con il passare del tempo Sesshomaru sembrò rilassarsi un poco. Lasciò che inspirasse il suo odore personale, accostando il viso sulla spalla di lui in un abbraccio più intimo e profondo, ricordando con una nota di tenerezza - e un pizzico di imbarazzo, a dire il vero - che fino a pochissimo tempo prima non aveva fatto altro che dimostrare rabbia e tensione.

Il suo naso si insinuò ancora fra i suoi capelli fino ad arrivare al suo collo, e Rin avvertì un brivido salirle lungo la schiena e quel languore ormai familiare farsi sempre più intenso.

Si irrigidì di colpo, dandosi nuovamente della stupida per aver ceduto nuovamente al suo desiderio ancora acerbo, ma stavolta non ci fu tempo per perdersi nei propri pensieri.

Si accorse con sorpresa che il suo corpo diventava sempre più caldo, esattamente come quello di Sesshomaru fino a pochi istanti prima, ma la giovane non dovette attendere molto prima di udire il demone soffiare piano nel suo orecchio con un ringhio malcelato fra le pieghe della sua voce profonda.

“Perdonami” disse soltanto.

Il demone allentò la presa su di lei e Rin finalmente poté vederlo in volto. Quel che vide non riuscì in alcun modo a spaventarla, piuttosto le diede motivo di ripescare fra i ricordi le sembianze demoniache di Sesshomaru trovandovi un sentimento di fascinazione che non credeva né pensava di riprovare. Perlomeno, non in quel momento.

La sua espressione, oltre i suoi segni demoniaci deformati, i canini aguzzi e le sclere dei suoi occhi fiammanti come braci ardenti, aveva con sé un connubio di rabbia e paura che aveva già conosciuto un corso e che ora si stava piano piano attenuando. Rin gli sorrise appena, prendendogli il volto fra le mani con esitazione mentre si rendeva conto che la sofferenza di Sesshomaru non gli apparteneva in prima persona, ma era grande tanto quanto la sua.

Incrociando gli occhi con i suoi, Sesshomaru riacquistò il suo usuale aspetto per poi prenderle entrambe le mani per scostarle delicatamente da sé.

“Perdonami” ripeté, questa volta con una cadenza rammaricata.

“Cosa c'è?”

“Nulla, Rin.”

“Non credo che non sia stato niente!”rimbrottò lei, sentendosi in qualche modo offesa. Si erse da quell'abbraccio liberandosi fino a rimanere in ginocchio, racchiusa fra le gambe incrociate di Sesshomaru. “Io dovrei confidarmi e tu dovresti tenere tutto dentro? Pensi che mi stia bene? E non guardarmi in quel modo...”

Voltò il capo ed incrociò le braccia, sottolineando così il suo disappunto.

Il demone la stava osservando con sorpresa e curiosità ma dopo qualche istante, sbirciando con lo sguardo, Rin lo vide distendere i lineamenti in una parvenza di sorriso che le fece abbassare la guardia.

“Mi è tornato alla mente l'odore di Noroi” rivelò lui infine, “e mi sono lasciato andare alla collera.”

Al suono di quel nome, l'attenzione della ragazza prese repentinamente forma. Si sedette con calma sulle proprie gambe - come le aveva insegnato Kaede - sperando che dalle labbra di Sesshomaru uscisse qualsiasi informazione utile al riguardo.

Di Noroi sapeva soltanto ciò che Totosai e Myoga avevano già raccontato al villaggio di Musashi e del potere che aveva modo di sperimentare ogni maledetta volta che le sue illusioni la ferivano con la loro spietata brutalità. Ma più di ogni altra cosa, Rin voleva sapere come trovarlo ed infine eliminarlo utilizzando i poteri demoniaci del fiore, esattamente come aveva detto la madre di Sesshomaru.

Rimase lì in attesa, osservando il demone alzare una gamba per poi poggiarne il braccio sulla sommità del ginocchio. Quei movimenti così informali le diedero motivo di credere che avrebbe lasciato alle spalle la sua ritrosia per aprirsi a lei e confessarle i suoi timori e le sue speranze, ma le diedero anche l'occasione di posare ancora una volta lo sguardo sulle due spade che Sesshomaru aveva al fianco, soffermandosi su quella che l'aveva accompagnata spesso in quegli ultimi anni nei suoi viaggi con Kohaku.

Ma certo... Tenseiga!

“A palazzo Kohaku disse di voler tentare di usare Tenseiga per aprirsi un varco per Jukai” esclamò la ragazza.

“Cosa vuoi dire?”

“Che ora con il fiore posso farlo io!”

“No.”

Rin avvertì una tensione potente intercorrere in quella semplice parola, ma non si lasciò intimorire. Anzi, il divieto ferreo di Sesshomaru la spronò a liberare tutto d'un fiato le sue intenzioni, così da poter avere carta bianca su ciò che doveva fare, soprattutto per non farlo alle spalle di Sesshomaru. Anche perché le sarebbe stato impossibile sottrargliela.

“Voglio usare Tenseiga di nuovo!” tuonò, con la sua voce di ragazzina nonostante fosse entrata nell'età adulta già da qualche tempo.

“Non se ne parla, Rin.”

“Tua madre non ha detto che è impossibile!” ribatté ancora la giovane, afferrandogli il bordo della corazza.

“Quella femmina...” sibilò lui rabbioso, volgendo lo sguardo dorato altrove.

“Pensaci. Se entrerò deliberatamente in quella foresta potrò cercare Noroi, e se dovessi trovare anche Totsuka potrai aiutarmi anche tu. ”

Rin decise di giocarsi quella pedina per convincerlo a cederle Tenseiga. Dopotutto se pensava di aiutarla, Sesshomaru non sarebbe riuscito ad entrare nella foresta utilizzando la pietra Meido, tanto meno poteva impugnare Tenseiga dal momento che la spada taumaturgica sembrava rifiutarlo. Per lui, l'unico accesso poteva essere solo la spada Totsuka.

E poi, come poteva dimenticare le parole di Totosai sul fatto che Tenseiga non volesse essere estratta da lei non dando alcun segnale, per tentare di proteggerla? Questo non aveva fatto altro che instillarle un sentimento di amore nei confronti di quella katana decisamente più forte di quello che già la ragazza provava.

“Stai cercando di ingannarmi, Rin?” la rimproverò lui, probabilmente conscio di quell'impercettibile sussulto che lei aveva provato nel momento in cui l'idea di persuaderlo si era fatta strada nella sua mente. “Tu dici queste parole, ma conosco i tuoi sentimenti.”

Nonostante quella risposta Rin non si sentì affatto lusingata - probabilmente come Sesshomaru pensava. Piuttosto, quello che stava provando fu un senso di sconfitta difficile da digerire.

Sesshomaru sapeva che lei mai e poi mai avrebbe voluto metterlo in una situazione pericolosa, e non soltanto perché glielo aveva confessato al Palazzo. Se coinvolgere Kohaku e gli altri era completamente al di fuori delle sue intenzioni, Sesshomaru doveva aver pensato - e non a torto - che lui faceva parte di quella cerchia di persone che lei voleva proteggere.

“Finiresti vittima delle sue illusioni ancora una volta e andresti incontro alla morte prima che si possa fare qualcosa per salvarti” proseguì il demone, ancora accigliato.

Se ci fosse stato anche un solo modo per convincerlo a lasciarle la strada spianata, non le sarebbe importato granché se questo lo avesse fatto infuriare con lei oppure no.

“Non c'è niente che tu possa fare per fermarmi. Non lo hai capito con le buone, ora tentiamo con le cattive!”

Sesshomaru prese ad osservarla con stupore ancora venato di disappunto. Sicuramente non era stato facile per lui caricarsi del peso dei suoi problemi ed era altrettanto certa che con la testardaggine della sua compagna la sua ansia non faceva che peggiorare.

Ma Rin non poteva permettergli di rovinarsi l'esistenza.

Sperando ardentemente che Sesshomaru non si opponesse a ciò che lei stava per fare, Rin allungò il braccio per poter prendere Tenseiga al suo fianco, accanto a Bakusaiga. Lui però le afferrò il polso prima che potesse anche soltanto sfiorarne l'elsa, premendolo quel che bastava per non farle male.

Rin si vide costretta a fermare la mano ma questa rimase lì, ferma e tesa verso Tenseiga come se aspettasse il momento adatto per prenderla. Forzò per un attimo il braccio in avanti, ma perse l'equilibrio e prima di cadere si appoggiò a terra con la mano libera. Nonostante la caduta rovinosa non desistette dal suo intento. Strattonò il braccio nel tentativo di liberarsi e sebbene fosse sul punto di riuscirci Sesshomaru non si diede per vinto. Il suo sguardo si indurì in un modo che Rin non gli aveva mai visto fare nei suoi confronti e la sua figura maestosa sembrò rimarcare con beffarda ironia la sostanziale differenza con la sua stazza, più piccola e decisamente al di fuori di ogni paragone possibile.

Sesshomaru poteva sollevarla da terra utilizzando soltanto un misero granello della sua forza ma contro ogni ragionevolezza lei si sentì più forte di qualsiasi altra cosa.

“Credi di farmi paura? Anche Noroi pensa di potermene fare” sbottò lei sull'orlo dell'esasperazione. Scosse ancora il braccio per sottrarsi dalle dita affusolate di Sesshomaru, stavolta con successo. “Ho visto molto nella mia vita perciò queste illusioni non mi spaventano.”

“Non ti spaventano?! Emani odore di terrore quando ne cadi vittima, oltre all'aura demoniaca di Jukai.”

Era terrorizzata quando aveva quegli incubi, tanto più che erano così reali da lasciarle i segni sia nel corpo che nella mente - come poter dargli torto? - ma c'erano momenti in cui sentiva di potercela fare, di essere in grado di sfidare chiunque - umano o demone che fosse - e di ribaltare completamente un destino segnato dalla sua stessa natura.

Sentirsi forte non era mai stata una sensazione dettata dalla presenza di persone influenti intorno a lei. Essere sotto la tutela di una sacerdotessa potente e stimata come Kaede le conferiva un'aura di intoccabilità e riverenza, ma di certo non era di aiuto nei momenti in cui qualche abitante del villaggio le manifestava la propria avversione.

Anche se talvolta Rin si sentiva presa dallo sconforto, sicuramente non ricordava di aver versato mai una lacrima per queste sciocchezze - piuttosto lo aveva fatto a causa della distanza che la separava da Sesshomaru.

Come poteva essere altrimenti? Nella sua vita aveva passato esperienze di gran lunga peggiori - cose che gli abitanti di Musashi neanche immaginavano - quindi non c'era motivazione che tenesse di fronte alla morte violenta della sua famiglia, di un intero villaggio - quello originario, di cui non ricordava il nome - divorato dai lupi e dell'oblio della morte provato sulla propria pelle.

Alla fine diceva sempre a se stessa che quelle provocazioni erano fatte da persone che in fondo non aveva nient'altro da fare che importunarla scioccamente, che quella era una forma di debolezza che possedevano in molti mentre lei, nonostante fosse partecipe di quella stessa debolezza in quanto umana, aveva una potenza che forse aveva poco a che fare con quella fisica ma che l'avrebbe salvata da Noroi - l'ennesimo triste individuo che non aveva di meglio da fare che volere spade che non gli appartenevano e condannando gli esseri umani e i mezzodemoni ad una maledizione così infausta.

“Non adesso, immagino!” affermò, guardando il compagno con gli occhi che trasudavano di determinazione. Ci doveva essere anche una forte componente di rabbia ad alimentare quella grinta, ma per quanto le bruciasse dentro non voleva di certo dare a Sesshomaru l'impressione di provare nei suoi confronti la stessa collera che provava per Noroi.

“No” appurò lui, la voce completamente in tensione a dispetto delle labbra distese in una espressione pensierosa “ma non è questo il punto.”

“Il punto è che devo fare qualcosa e... usare di nuovo Tenseiga mi sembra l'unico passo avanti che si possa fare.”

“Sei proprio testarda!”

Se in un primo momento Rin rimase perplessa da quella considerazione, solo successivamente si accorse che era stato il suo tono - non le sue parole - a lasciarla interdetta.

La cadenza vocale di Sesshomaru aveva nuovamente assunto una parvenza animalesca - come un profondo latrato - ma ciò che spaventò la ragazza furono gli occhi tremendamente smarriti del demone e il tentativo brusco di allontanarla da sé. Nello stesso istante in cui Rin cadde a terra, Higan Bana si avvolse di una luce cremisi che sembrava palpitare come un cuore caldo e inconsistente sul suo petto. La ragazza si alzò immediatamente a sedere, riprendendo il fiore dal kimono e ammirandolo estasiata.

Il fascino di quella luce ora non solo le diede la sensazione di essere vigile, ma le offrì in dono anche un odore concentrato e ben definito, che sicuramente non apparteneva al fiore. Era denso, forte, seducente, austero eppure selvatico; simile a quello di Sesshomaru - pensò con una punta di vergogna - ma più antico e remoto, soprattutto sconosciuto.

E colmo di rabbia.

“Rin!”

Si voltò completamente confusa in direzione da cui proveniva la voce di Sesshomaru, notando appena che nel frattempo Kyo, Jaken e Kohaku erano accorsi da loro, probabilmente attirati dalla luce rossastra del fiore.

“Che succede?” urlò Kohaku. Fece per avvicinarsi insieme a Kyo e Jaken, ma Sesshomaru fu più lesto. Piombò all'improvviso su di lei, strappandole di mano il fiore che di colpo perse la sua brillantezza.

“Che stai facendo?” domandò la ragazza stizzita da quel gesto. Cercò di recuperare Higan Bana con la stessa velocità con cui udì un rumore sordo provenire dalle sue stesse orecchie, mentre Sesshomaru accennava a qualcosa riguardo a Noroi che Rin non riuscì ad afferrare finché il demone cane non lo gridò con rabbia e disgusto.

“Sento l'odore di Noroi provenire da questo fiore!”

“Quindi è questo l'odore di Noroi?”

La domanda di Rin suscitò immediatamente una strana occhiata da parte di Sesshomaru, come se gli avesse detto qualcosa che andasse oltre la sua comprensione. Fu nel preciso momento in cui le sopracciglia del demone cane si aggrottarono fissandola con una luce di consapevolezza che sembrava mal sopportare che Rin comprese l'anomalia di cui si era resa inconsapevolmente protagonista.

Ma certo!

Lei era una giovane donna umana.

Da quando era in grado di sentire un odore in modo così intenso da una fonte così insolita, arrivando perfino ad annusare l'odore di uno stato d'animo? E cos'era quel rumore lontano e ovattato che sembrava un colpo di tamburo?

“Sei in grado” riprese Sesshomaru, abbassando lievemente il capo “di percepire gli odori?!”

Rin si riscosse da quello stato ipnotico, gettando lo sguardo nuovamente sul fiore. Ora la sua luce si stava pian piano affievolendo, mentre Rin sentiva l'odore di odio di Noroi sempre più tenue e lontano.

“Io... io non lo so” bofonchiò ancora assorta. “Sembra di sì.”









NDA

Maaaa.... quando è stato l'ultimo aggiornamento? Credo questa estate, oh.

Comunque mi sono attenuta alle tempistiche che mi sono imposta sulla paginetta fb e ho anche pubblicato prima di mercoledì. Traguardone! xD

Però dai, alla fine ho messo un colpo di scena che però tanto colpo di scena non era, dal momento che già Inukimi aveva detto qualcosa al riguardo.

E niente, spero di rifarmi viva. Spero.







Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3764511