Il velo

di Old Fashioned
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


IL VELO




Parte prima

This is the end, beautiful friend…

Il marine Serrano buttò da una parte la pala con cui stava riempiendo di sabbia polverosa un sacco da trincea e disse: “Basta! Già questo è un lavoro di merda. Farlo con quella musica in sottofondo, poi, è peggio che spararsi nelle palle.” Tirò fuori una sigaretta e se l’accese. “Non lo sopporto più,” borbottò poi, espirando una boccata di fumo.

...This is the end, my only friend, the end…

Dalle finestre aperte di una camerata, la canzone rimbombava per tutto il campo.
Il suo commilitone Ayers, che era chinato a tenere aperta la bocca del sacco, guardò in su e replicò: “Datti da fare, dai, non ci tengo a far incazzare il sergente un’altra volta.”
Lo senti?” ribatté l’altro. “È la terza volta di fila che la suona, cazzo. Sempre la stessa. Ma giuro che se non la pianta vado là e gliela suono io, la fine.”
Jim Morrison nel frattempo stava continuando imperterrito a lamentarsi: ...and all the children are insane, all the children are insane…
A quel punto, alle loro spalle si udì una voce profonda proclamare: “Questo stronzo pensa di essere a casa sua.”
I due si girarono e ritennero opportuno non replicare: era comparso il marine Clement Boyle, un mezzo maori di due metri per centotrenta chili di peso, praticante di varie arti marziali, dal carattere notoriamente pessimo e portato allo scatto d’ira.
Questi fissò la finestra aperta della camerata come un toro avrebbe fissato un torero particolarmente molesto, quindi partì a grandi passi in quella direzione.
I due rimasero a seguirlo con lo sguardo fino a che non scomparve all’interno dell’edificio.
Ora lo ammazza,” commentò a quel punto Serrano con un’alzata di spalle. Si mise la sigaretta all’angolo della bocca, raccolse la pala e ricominciò a riempire il sacco.

Il marine Brian Everett era sdraiato sulla sua branda con addosso solo i pantaloni e la maglietta. Teneva le braccia dietro la testa e le gambe accavallate, e si godeva la sua canzone preferita, ovvero The End, dei Doors.
Non era tipo da mezze misure, e quando ascoltava la musica gli piaceva farlo a tutto volume, e insistere finché una certa canzone non finiva per annoiarlo. La consumava, in un certo senso. La acquisiva.
Era un concetto filosofico di cui andava molto fiero.
Quando sentì il trambusto in anticamera, sulle prime pensò a un assalto nemico, e istintivamente abbandonò la posizione rilassata per guardarsi intorno alla ricerca di fucile e scarponi.
Non fece in tempo a reperire nessuna delle due cose: la porta si aprì con tale violenza che rischiò di saltare dai cardini, e nel riquadro comparve la preoccupante mole di Boyle.
La vogliamo piantare?” ringhiò il nuovo arrivato.
Ehi, stavo solo ascoltando un po’ di musica,” ebbe la pessima idea di replicare Everett.
L’altro fece un minaccioso passo avanti, poi disse: “No, la faccenda è un po’ diversa: tu stai rompendo i coglioni a tutti con la tua musica del cazzo.”
Io ascolto quello che mi pare.”
Boyle fece un altro passo avanti. Afferrò lo stereo, lo strappò dal muro con la presa e tutto, e lo lanciò fuori dalla finestra, mandandolo a fracassarsi contro l’edificio che si trovava dall’altra parte del vialetto, poi incrociò le braccia sui poderosi pettorali e lo fissò torvo. “Ascoltala adesso, la tua fottuta musica,” disse.
Senti, frustrato di merda...” cominciò l’altro, scendendo dalla branda con la lenta determinazione di chi è intenzionato a cantarle chiare all’avversario una volta per tutte, “si può sapere che cazzo di problema hai? Quello era il mio stereo.”
Vuoi fare la stessa fine, stronzo?”
Una volta che si fu alzato in piedi, Everett dovette piegare la testa all’indietro per riuscire a fissare negli occhi l’interlocutore. In tono già meno deciso, protestò: “Non ne avevi il diritto.”
E tu non hai il diritto di rompere le palle a tutti con la tua musica del cazzo.”
Questa volta, l’altro non trovò nulla da eccepire. Si limitò a grugnire qualche vaga protesta, poi raccolse gli scarponi e abbandonò la stanza.
Padrone del campo, Boyle si guardò intorno. Dalla branda accanto a quella di Everett, il marine Andy Vaughan aprì un occhio e disse: “Ciao, Clem.”
L’altro rilassò i muscoli e abbandonò le braccia lungo i fianchi, poi premuroso disse: “Scusa, Orange. Ti ho svegliato?”
In tono pacato, l’altro osservò: “Col casino che hai fatto, avresti svegliato anche i morti.”
Scusa,” ripeté Boyle contrito, “mi aveva fatto incazzare.”
Ma sì, ti capisco,” rispose Vaughan tranquillo. Sbadigliò. “Dava un po’ di fastidio con quella musica.”
Un po’ di fastidio? Ma se faceva tremare i vetri!”
Beh, non tanto, in fondo.” L’altro si alzò dalla branda, si stirò come un gatto e propose: “Andiamo in mensa a bere qualcosa?”
Ok.”
Si incamminarono.
Ma come cazzo facevi a dormire?” chiese Boyle strada facendo.
Boh, come si fa a dormire? Ti metti lì e chiudi gli occhi, no?” Poi, dopo una pausa: “Come faccio a spiegarti come si fa a dormire?”
E dai, Orange.” protestò Clem Poi, dopo una pausa: “Un giorno me lo dirai perché tutti ti chiamano Orange?”
Un giorno, magari...”
Birra?”
Ok, birra.”

§

Arroventate dalla calura del primo pomeriggio, le baracche di Camp Courage sembravano tremolare nell’aria torrida e immobile. I vialetti di terra battuta si erano trasformati in miraggi, e pareva che in fondo a ognuno di essi ci fosse un'invitante pozza d'acqua. Le lamiere degli automezzi erano così calde da ustionare.
Orange, biondo rossiccio, occhi azzurri e pelle refrattaria all’abbronzatura, tirò fuori un tubetto di Protezione 50 e se ne applicò una generosa quantità sul naso spellato e sulla fronte, poi inforcò un paio di occhiali da sole. “È un po’ caldo, oggi,” commentò. Porse la crema a Clem. “Vuoi?”
L'altro lo fissò critico. “Per fare dieci metri all’aperto?”
Uhm. Ripensandoci, sei un mezzo maori, quindi non ne hai bisogno. E poi sei talmente grosso che me la consumeresti tutta.” Si rimise in tasca il tubetto.
Raggiunsero l’aula briefing, fuori dalla quale era affisso un cartello che recitava: Seminario di cultura islamica, a cura della professoressa Irene Simmons.
Nella sala stavano entrando solo maschi.
I due presero posto, e poco dopo la porta venne chiusa. Un proiettore da diapositive si accese, e dalla porta riservata agli ufficiali fece il suo ingresso una procace mora con una quarta naturale e lunghe gambe affusolate.
La giovane donna salutò l’uditorio e con voce flautata annunciò: “Oggi parleremo dell’arte islamica.”
Come vorrei che invece mi parlassi dell’arte di fare i pompini...” mormorò qualcuno, stando ben attento a non farsi sentire dalla docente.
La professoressa prese una di quelle canne che si usano per indicare.
Sì, puniscimi, maestra...” sussurrò un altro. Seguirono delle risatine soffocate.
Imperterrita, o forse solo serenamente ignara, la docente cominciò a disquisire di arte omayyade, mostrando immagini della grande moschea di Damasco.
Orange era piuttosto soddisfatto della scelta artistica, perché le moschee erano generalmente dotate di minareti, e quando la Simmons alzava quella sua bacchetta per indicarli, le tette si comportavano in maniera interessante.
Per un po' rimase a scrutarle, cercando di capire se fossero naturali o rifatte, ma non riuscì a raggiungere un verdetto. Diede un colpetto col gomito a Clem e sottovoce gli chiese: “Secondo te sono vere?”
Cosa?”
Le cupole della Simmons.”
Il mio minareto pensa di sì.”
Il solito milord.”
Sei stato tu a cominciare.”
La docente nel frattempo stava mostrando una costruzione di pietra chiara.
Ehi, quella l'ho già vista,” sussurrò Orange. “È poco fuori città.”
...e questo è il mausoleo di al Mansour, risalente all'ottocento dopo Cristo.” disse la Simmons. “Come potete vedere, il monumento è stato realizzato sulle fondamenta di una costruzione più antica...”
Qualcuno alzò la mano.
La docente smise di spiegare, si voltò in quella direzione e disse: “Sì...?”
Signora, cosa c'è dentro?”
L'altra gli fece il sorriso della mamma che spiega al bambino che non può aprire il coniglietto per vedere come mai si muove e respira. “Non è aperto ai non musulmani,” rispose candidamente. “È un luogo sacro per la loro religione.”
Ma allora, signora, potrebbero esserci dentro anche dei terroristi?”
È un luogo sacro,” ripeté l'altra, dando l'idea di considerare la risposta perfettamente esaustiva.
Orange si voltò verso il compagno: ormai lo conosceva, e sapeva perfettamente che un discorso come quello della Simmons aveva il potere di scatenare la più feroce delle sue incazzature. Allungò una mano per toccargli il braccio, ma prima che il gesto riuscisse a giungere a compimento, Boyle saltò in piedi e chiese: “Quindi, signora, siccome quello è un luogo sacro, noi non ci possiamo entrare?” I suoi occhi fiammeggiavano in modo inquietante.
La docente rimase con la canna a mezz'aria, vagamente intimidita dalla mole del marine. In tono suadente rispose: “È un luogo di culto. Per rispetto alla loro religione, abbiamo scelto di non violarlo.” Fece una pausa, poi, con il sorriso indulgente di chi sta ascoltando le preoccupazioni fuori luogo di una vecchia signora un po’ isterica, soggiunse: “L'Islam è amore.”
Non l'avesse mai detto.
Clem letteralmente strabuzzò gli occhi, poi con voce tonante replicò: “Beh, lasci che le spieghi, signora, che qui siamo in guerra, altro che amore del cazzo! E mentre noi stiamo qui a farci le seghe sul rispetto e sulla tolleranza, quegli stronzi ci violano il culo tutti i giorni, per usare parole sue, e noi non possiamo fare un cazzo, perché arrivano certi idioti dalle Università, e dopo aver passato il tempo a farsi canne e a scrivere cazzate sulla pace e sul rispetto, vengono qui in Iraq, dove ci facciamo il culo tutti i giorni, a dire le imbecillità di chi non ha mai sentito un colpo di fucile in vita sua! Venga un po' a portare a spasso le sue tette in una missione di pattugliamento, signora, poi riparliamo della pace e del rispetto!”
A quel punto si scatenò l'inferno: tutti saltarono in piedi, alcuni volenterosi afferrarono Clem per le spalle e cercarono senza successo di portarlo fuori, ma la maggior parte cominciò ad acclamarlo, a ripetere spezzoni della sua requisitoria e a urlare slogan patriottici. Volò anche qualche sedia.
Entrarono nella stanza quattro MP, ma a quel punto tutta la conferenza era già piombata nel caos e nessuno prestava più attenzione alle pur pregevoli tette della docente, e meno che mai all’arte omayyadi. L'unico che manteneva una calma olimpica era Orange, che sedeva tranquillamente e contemplava la diapositiva proiettata sul muro, ovvero una planimetria del famoso mausoleo.
Si alzò adagio, e schivando i commilitoni raggiunse la cattedra. La professoressa stringeva a due mani la bacchetta, con l'aria di una dama vittoriana capitata in mezzo a una masnada di marinai ubriachi. Il marine esibì un sorriso soave e disse: “Signora?”
L'altra lo fissò come si potrebbe fissare un pompiere in un incendio. “Sì, soldato?”
Forse è meglio che io la accompagni fuori, signora.” Le porse il braccio con la galanteria di un gentiluomo della Virginia.

§

Clem si mise in spalla l'M4, che addosso a lui sembrava poco più un fucile giocattolo, e si aggiustò l'elmetto dotato di videocamera. Poi si voltò verso il compagno e chiese: “E quindi, zitto zitto te la sei portata fuori?”
È il motto non ufficiale di noi marines, amico,” rispose fiero Orange. “Improvvisare, adattarsi e raggiungere lo scopo.”
Ma che paraculo,” commentò l'altro scuotendo la testa. “Mentre noi ci prendevamo a cazzotti con gli MP, tu ti sei portato via Miss Tette.” Tacque per qualche secondo, poi s'informò: “Allora, sono vere o finte?”
Non lo so, abbiamo parlato di arte islamica.”
Clem fissò l'amico come se dubitasse della sua salute mentale. “Eh?”
Arte islamica. Omayyadi, selgiuchidi...”
L'altro scosse di nuovo la testa, questa volta con rassegnazione. “Tu sei malato,” sentenziò alla fine.
Così parlando salirono sull'Humvee e si sistemarono sui sedili. “Dove si va oggi?” chiese Clem a voce alta.
Mercato,” rispose l'addetto alla guida.
Merda, odio il mercato,” imprecò il marine, che nei vicoli stretti e debordanti di mercanzie dei suq si impigliava ovunque.
L'auto si mise in movimento, attraversò i cancelli di Camp Courage e cominciò a percorrere le strade polverose e intasate di macchine strombazzanti della città.
Boyle per un po' rimase a guardare fuori, poi chiese: “Senti, ma ti chiamano Orange per il colore dei capelli?”
L'altro fece un sorrisetto. “No, non per quello.”
E allora perché?”
Un giorno te lo dirò.”
Clem alzò le spalle. “Fanculo. Non mi interessa.”
Orange rispose con una risatina, poi disse: “Comunque, l'incontro con Miss Tette è stato interessante. Lo sai che secondo la tradizione quel posto sarebbe collegato alla città da un tunnel?”
Il mausoleo di al Capone?”
Al Mansour. Comunque sì, quello. Ma sembra che non ne sia rimasto nulla. In realtà era un canale che serviva da collettore per le sorgenti che si trovavano sulle colline.”
Boh.”
Portava l'acqua in città.”
Avrebbe fatto meglio a portare della birra.”
Nel frattempo si stavano avvicinando alla zona del mercato, e già la folla cominciava a ingombrare le strade. Passavano donne velate con ceste in equilibrio sulla testa, ragazzini che si trascinavano dietro capre riluttanti, o vecchi che spingevano asini carichi di cesti di paglia. Uno di essi si fermò al ciglio della strada, e quando li vide passare tirò fuori da una tasca sdrucita un cellulare di ultimo modello.
Clem scattò: “Ehi, che cazzo fa quel bastardo?” ringhiò minaccioso.
Orange gli mise una mano sulla spalla. “Sta telefonando.”
Quello è un fottuto detonatore!”
Prima che chiunque fosse in grado di fermarlo, Clem era già scattato fuori, con una rapidità impensabile data la sua mole, e aveva atterrato l'uomo sul marciapiede. Indignata e spaventata, la folla faceva capannello e lanciava invettive.
Scese dall'Humvee il caporale Whilkes, che si avvicinò con un sospiro al marine e sentenziò: “Tu sei un incidente diplomatico vivente, Boyle.” Gli batté una mano sulla spalla per convincerlo a mollare la presa.
Clem non si mosse. “Quello ha un detonatore,” insisté caparbio.
Vista la difficoltà di spostare Boyle quando non voleva essere spostato, Whilkes disse: “D'accordo. Ora chiamiamo gli artificieri e poi se ne occuperanno loro, d'accordo?”
Il telefonino lo tengo io finché non arrivano.”

Ci volle ancora una buona mezz'ora, poi il pattugliamento del mercato poté cominciare.
La voce di quello che aveva fatto Boyle si era sparsa, e la gente manteneva una circospetta distanza dal gruppo di militari.
Si erano lasciati alle spalle il suq degli alimentari, dove le bancarelle di spezie multicolori si alternavano a quelle che esponevano quarti di capra appena macellata, ed erano entrati nel suq degli abiti: dappertutto c'erano stoffe di ogni genere, coperte, jalabiya per uomo, ma anche per donna, ricamate e variopinte, chador scuri, kefiah, ma anche abiti di foggia occidentale, perlopiù provenienti dall'Estremo Oriente, jeans, magliette di improbabili squadre di calcio e altro ancora.
A un certo punto, Orange si fermò e disse: “Guarda lì.”
Clem si voltò nella direzione indicata, ma non notò nulla di particolarmente interessante.
Il velo,” gli fece notare l'altro.
Di veli dovevano essercene in esposizione almeno duecento. “Quale velo?” chiese Clem.
A mo' di spiegazione, Orange disse: “Mia nonna è russa, se mi chiamo Andrej è colpa sua, e quando va in chiesa a fare i suoi riti si mette sempre un fazzoletto in testa.” Annuì convinto, poi soggiunse: “Io dico che quello sarebbe perfetto per lei.”
Clem continuava a vedere solo un assortimento di stoffe dai colori improbabili. “Ma quale?”
Quello là, no?” rispose l'altro, col tono di dire la cosa più ovvia del mondo. Fece un passo avanti, poi con la canna dell'M4 sollevò il lembo di un velo di seta nero con dei disegni viola intenso.
Per me porta rogna,” sentenziò Clem.
In quel momento, dall'interno del negozio si affacciò un uomo di mezz'età, baffuto, con una jalabiya bianca e la taqiyah in testa. Questi si inchinò con fare untuoso e chiese: “Vuole comprare?”
Orange stava già per mettere mano al portafoglio quando la voce del caporale Whilkes lo richiamò all'ordine. “Stasera.” gli assicurò allora il marine. “Finito il servizio, torno qui a comprare quel velo, tienilo da parte.”
Sì, signore,” rispose l'uomo rivolgendogli un altro inchino.
Stasera!”
Si persero nella calca del mercato.
Sei il solito cretino,” brontolò Clem quando si furono allontanati.
L'altro lo fissò ostentando un'aria offesa. “Perché?”
Digli anche in quale baracca di Camp Courage dormi, già che ci sei, e a che ora esci in mutande a pisciare.”
Sei un paranoico.”
Un paranoico?” ringhiò Boyle. “Ehi, stronzo, guarda che qui siamo in guerra. Questi sono nemici.”
Nessuno è nemico, quando gli dai dei dollari.”
Beh, tu gli hai detto che torni qui stasera, finito il servizio. Secondo me ci troverai dieci fotticammelli pronti a farti la festa.”
'Fotticammelli' o 'fotticapre' era il termine con cui di solito Boyle si riferiva agli indigeni di sesso maschile.

Proseguirono con il pattugliamento. Nel frattempo avevano abbandonato il suq degli abiti, e stavano attraversando quello degli oggetti per la casa: vassoi in rame battuto si alternavano a piatti di plastica provenienti dalla Cina, ornati di fiori di pesco e pagode; recipienti tradizionali in alluminio erano esposti accanto a cestini di plastica fucsia o verde acido. Assortimenti di bicchierini da tè dalle pesanti decorazioni dorate brillavano ai rari raggi di sole che penetravano attraverso la copertura del mercato.
Orange prese un piccolo recipiente a imitazione del cristallo baccarat, lo rigirò per leggere l'etichetta che aveva sul fondo e disse: “Ovviamente made in China.” Lo rimise a posto.
Sei peggio di una donna,” grugnì Boyle.
Sono un uomo facoltoso e di buon gusto,” lo corresse Orange, citando i Rolling Stones. Sollevò un sopracciglio con aria di degnazione.
Clem stava per rispondere quando una voce aspra attirò la sua attenzione. Si voltò in quella direzione e vide un uomo di circa cinquant'anni, ossuto, scuro, con un'appuntita barba bianca, che inveiva contro una donna, e intanto la strattonava per un polso.
La donna, completamente velata di nero, piagnucolava e faceva deboli tentativi di liberarsi.
Ehi, che fa quel pezzo di merda?” ringhiò Boyle, ergendosi in tutta la sua altezza. Tese i muscoli.
Orange gli si parò davanti. “Sta fermo, Clem. È il loro modo di dirsi ti amo.”
Ti amo, un cazzo. Non vedi che le sta facendo male? A una donna? Non si toccano le donne!” Poi, rivolto all'uomo: “Ehi, stronzo, che cazzo ti credi di fare?”
Il tizio lo guardò con l'aria di non capacitarsi di quell'intromissione, poi riprese a inveire contro la compagna.
Non si toccano le donne!” latrò allora Boyle, quindi partì a testa bassa, e prima che chiunque si fosse reso conto di quello che stava succedendo, aveva già attaccato al muro l'indigeno. La donna cercava di colpirlo con i pugni, e intanto diceva cose dal suono poco gentile.
Clem si voltò verso il commilitone, e stupefatto domandò: “Ma perché sta picchiando me?”
Serafico, Orange gli rispose: “Te l'ho detto che sono abituati così.”
Fotticammelli di merda, loro e le loro donne.”
Andiamo, dai.”
Ma tu hai visto che quella strega ha picchiato me?”
E dai, si vede che è una di quelle a cui piace prenderle.” Lo spinse in avanti. “Ora muoviamoci, se non perdiamo gli altri.”

§

Orange entrò nella palestra dove Clem si stava allenando e disse: “Andiamo?”
L'altro appoggiò il bilanciere e lo fissò serio. “Andiamo, dove?” Prese l'asciugamano che aveva al collo e si terse il sudore.
A comprare il velo.”
Boyle sbuffò. “Ma perché non lo chiedi alla Barral, che è una donna?”
Sì, figurati, una donna. Quella là deve avere il clitoride più grosso del mio cazzo.”
Allora chiama Miss Tette, no? Tra una discussione di arte islamica e l'altra, andate a comprare il fazzoletto per tua nonna.”
Orange assunse un'espressione di nostalgia e sospirò: “L'hanno spostata a Camp Freedom. Hanno detto che qui creava turbative.”
Troppe tette?”
L'altro gli diede un pugno sul pettorale. “No, troppi cretini che non sanno tenere la bocca chiusa quando è il momento. Allora, andiamo?”
Sono sudato.”
Ci sono cinquanta gradi, sta sudando anche la fotografia del Presidente appesa nella mensa.”
Devo farmi la doccia.”
Aspetterò.”
Sai che sei un bel rompicoglioni, Orange? E non mi hai ancora detto perché ti chiamano Orange.”
Ti do un indizio: il soprannome completo è Agent Orange. E adesso va a lavarti, se no il tizio chiude il negozio.”

Ti chiamano Agent Orange perché fai morire le piante?”
Oh, che palle. Ma lo sai che quando ti ci metti sei più insistente di un testimone di Geova?”
Stava calando la sera. Le viuzze del mercato, che durante il giorno erano apparse come pittoreschi caleidoscopi di colori e odori, si stavano trasformando in viottoli scuri, stranamente larghi rispetto alla calca della mattina, e fiancheggiati da botteghe sbarrate. Solo nel suq delle stoffe qualche bancarella resisteva ancora, e gli abiti e i foulard superstiti ondeggiavano lievi nella brezza.
Orange avanzò rapido, guardandosi intorno come un furetto capitato in un pollaio. Girandosi sopra la spalla, chiese al compagno: “Tu ti ricordi dov'era?”
Per me questi fottuti posti sono tutti uguali.”
Certo che sei costruttivo, eh?” rispose Orange continuando ad avanzare nei vicoli. Si fermò a un crocicchio, scrutò i dintorni e disse: “Mi sembra di riconoscere il posto, andiamo di qua.” Si infilò in una viuzza col pavimento di terra battuta.
Clem lo seguì grugnendo cose indistinte.
L'intuizione di Vaughan si rivelò giusta, e i due raggiunsero il negozio dei veli, unico ancora aperto in una strada altrimenti buia e deserta. Un paio di ragazzotti stavano togliendo la merce dall'esposizione, la ripiegavano e la mettevano via. In piedi sulla soglia, l'uomo coi baffi sovrintendeva all'operazione.
Ehi!” lo chiamò il marine da lontano, agitando il braccio per attirare la sua attenzione. “Ehi, hai visto che sono tornato?”
L'uomo non parve per nulla felice di vederlo. Fece un sorriso stentato e si agitò a disagio.
Orange lo raggiunse insensibile al suo turbamento, guardò l'esposizione ormai smontata per metà e chiese: “Il mio velo?”
L'altro si inchinò con fare servile. “Quale velo, signore?”
Quello che ti avevo detto di tenermi da parte.” Scrutò l'interno della bottega. “Dov'è, qui dentro?”
Io non...”
Beh, lascia stare: ti faccio vedere io quale voglio,” rispose Orange, e risolutamente entrò nel negozio. Il venditore fece l'espressione di chi ha appena visto cadere le chiavi della macchina nuova in un tombino e gli si precipitò dietro.
Vaughan nel frattempo aveva cominciato a guardarsi intorno come un bambino in una pasticceria. Il negozio era molto più grande di quello che appariva dall'esterno, ed era pieno di stoffe di ogni genere. Vi regnava un odore strano, che un po' gli ricordava quello del laboratorio di chimica del college. Di veli ce n'erano alcune migliaia, ma non vedeva quello viola e nero che aveva adocchiato la mattina.
Dov'è?” chiese.
Si palesò alle sue spalle il venditore, che aveva sul braccio alcune stoffe. “Pashmina?” propose. Spiegò uno dei foulard, e gli mostrò che pur essendo quasi due metri per due, passava agevolmente attraverso un anello.
Orange assisté educatamente alla dimostrazione, ma scosse la testa e disse: “No, grazie. Non è quello che cerco.”
Seta? Qualità migliore!” L'uomo gli mostrò dei veli lucidi e cangianti, dai colori che ricordavano le ali dei coleotteri, ricamati d'oro. “Stesso prezzo di quello, per te.”
No no, non va bene per mia nonna. Voglio quello là.”
L'altro lo abbandonò per frugare in un baule dall'aria antica, poi tornò alla carica: aveva in mano un velo di seta nera intessuta d'argento, con lunghe frange intrecciate. La stoffa aveva un aspetto corposo, opulento, letteralmente colava tra le mani dell'uomo come un materiale fluido. I fili di metallo scintillavano debolmente sotto le luci, dando l'impressione di un brillio diffuso, come quello che produce il sole radente sulla neve ghiacciata. “Stesso prezzo!” proclamò l'uomo.
Orange scosse la testa. “Ma no, ce la vedi mia nonna con questo in testa?” Senza attendere risposta, si addentrò nelle stanze ingombre di stoffe. “Ho capito: me lo cerco io!” proclamò scomparendo nel magazzino.

In piedi davanti al negozio, Clem scrutava dentro con aria sospettosa. Un paio di volte aveva anche lanciato occhiate torve ai ragazzini che stavano portando dentro le stoffe, giusto perché fosse chiaro che non si fidava affatto di loro, del loro capo e in generale di tutti gli iracheni.
Da fuori vedeva intanto Orange – il noncurante, fiducioso e pacifico Orange – che guardava stoffe e scuoteva la testa peggio di una carampana di Beverly Hills che fa shopping.
Poi a un certo punto non lo vide più.
Assunse la sua tipica postura da toro che carica, quindi salì i tre gradini che lo separavano dalla porta e risolutamente entrò. Uno dei ragazzini provò a pararglisi davanti pigolando che il negozio era chiuso, lui si limitò a spostarlo come avrebbe fatto con una tenda. “Orange?” chiamò guardandosi intorno. “Orange?”
Qui!” giunse una voce flebile dalle profondità del negozio.
Clem si mosse in quella direzione, scavalcando pacchi di bisht tradizionali in tutte le sfumature di nero e marrone, tavoli per tagliare le stoffe e manichini semivestiti. “Dove sei?”
Qui, vieni. Li ho trovati. Li ho...” Vaughan tacque all'improvviso.
Orange!” esclamò allora Boyle, di colpo preoccupato, allungando il passo per raggiungerlo. “Orange!” E poi, al protrarsi del silenzio: “Andrej!”
La scena che gli si parò davanti agli occhi era la seguente: un uomo era alle spalle di Vaughan, gli teneva un braccio intorno al collo sbilanciandolo all'indietro, e intanto gli puntava una pistola alla tempia. Nella stanza c'erano altri due uomini, a loro volta armati.
Clem si immobilizzò. Udì un tramestio alle proprie spalle, e un attimo dopo percepì la ben nota sensazione della canna di un'arma che gli veniva premuta fra le scapole.
Una mano gli sfilò la pistola dalla fondina.
Fece mente locale: forse avrebbe potuto disarmare con un calcio quello che gli stava puntando l'arma alla schiena, ma di sicuro non sarebbe riuscito ad arrivare in tempo al suo compagno. Oppure forse, se si fosse buttato in avanti avrebbe potuto deviare il braccio di quello che stava minacciando Orange, ma probabilmente ci sarebbe rimasto secco. Si rassegnò ad alzare le mani. “Tu e il tuo velo del cazzo,” non poté fare a meno di ringhiare. “Te l’avevo detto che portava rogna.”
Un colpo col calcio del fucile in mezzo alla schiena gli strappò un gemito di dolore.


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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


Carissimi,
eccoci alla seconda parte delle (dis)avventure dei nostri due marines, Clem e Orange. Ringrazio sentitamente chi mi ha seguito fin qui, e in particolare ringrazio chi si è fermato a lasciarmi il suo parere, ovvero mystery_koopa, Saelde_und_Ehre, John Spangler, Syila, fiore di girasole, innominetuo, Nina Ninetta ed Enchalott.





Parte seconda

Gli uomini che li tenevano sotto la minaccia delle armi legarono loro i polsi dietro la schiena con manette autobloccanti in nylon, stringendo così forte che Orange non riuscì a trattenere un gemito di dolore.
E state attenti, stronzi!” ringhiò Clem all’udire il lamento dell’amico, poi colpì con una testata uno degli uomini che lo stavano scortando. Si udì un sonoro crack, e l’uomo venne sbalzato all’indietro con il sangue che gli zampillava dal naso.
Vociando nella loro lingua, gli altri cominciarono a colpirlo tutti insieme con i calci dei fucili, cercando di raggiungere la faccia o altre parti dolorose. Uno provò a dargli una botta nelle palle, ma si prese un calcio nello stomaco, e finì a terra rantolando di dolore.
Al secondo uomo a terra, gli altri raddoppiarono il loro sforzi. “Stronzi!” urlò di nuovo Clem, ma fu comunque costretto a raggomitolarsi per evitare almeno che gli colpissero il volto. Una botta sul sopracciglio gli fece vedere tutto nero per qualche secondo, e quando tornò in grado di capire cosa stava succedendo si trovò accasciato alla base di un muro, con i tizi che si accanivano su di lui a calci nelle costole.
Uno gli sputò addirittura addosso.
Pezzo di merda!” esclamò il marine. Fece per alzarsi, ma un ennesimo calcio nello stomaco lo costrinse a raggomitolarsi per terra con un rantolo di dolore. “Mi ricorderò di te,” promise comunque.
Dopo un po’, gli iracheni spinsero Orange e trascinarono lui in una stanza vuota, con due piccole finestre munite di sbarre vicino al soffitto e il pavimento di cemento.
Clem si accasciò ansimando sulla dura superficie. “Stronzi,” ringhiò con voce roca. Un altro calcio nelle costole lo fece gemere, poi la porta si chiuse con un tonfo, e si udì lo scatto di numerosi chiavistelli.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi Orange, col tono di una banale constatazione, osservò: “Proprio non ci riesci a star zitto, eh?”
Figli di puttana,” fu la risposta.
Ah, Clement, Clement. Eppure li hai fatti anche tu i corsi di sopravvivenza: in caso di prigionia, quello che si salva è il gray man, ovvero quello che non si fa notare, che scompare nello sfondo.”
Affanculo tu e il gray man. Questi stronzi devono morire.” Piegò la testa verso la spalla per cercare di asciugarsi sulla maglietta il rivolo di sangue che gli colava dal sopracciglio.
Beh, adesso siamo noi che rischiamo di morire, comunque.”
Li ammazzo prima io, quei pezzi di merda.”
Orange emise un sospiro, poi disse: “Lo sai, alle volte vorrei che tu fossi un po’ più ragionevole.”
E io invece vorrei che tu la smettessi di prendere sempre tutto come Bob Marley che si è fatto troppe canne.”
L’altro alzò le spalle. “Il più delle volte, incazzarsi non serve a niente.”
Clem non rispose, e rimasero in silenzio per un po’. Fuori ormai faceva buio, non si sentivano rumori se non quelli lontani della città. Da qualche parte, una voce di donna stava chiamando qualcuno.
Passò un tempo imprecisato, sembrava che il mondo al di fuori di quella stanza avesse semplicemente cessato di esistere. Con una certa fatica, Boyle si alzò in piedi e andò ad appoggiare l’orecchio alla porta. Rimase in ascolto per un po’, poi disse: “Io non sento niente.”
Orange, che stava sonnecchiando appoggiato alla parete, sollevò lo sguardo e chiese: “E quindi?”
Possiamo provare a scappare.”
L’altro scosse la testa. “E come, di grazia? Siamo legati, disarmati e chiusi a chiave in una cella con la porta di ferro.”
Intanto possiamo provare a liberarci dalle manette.”
Come pensi di fare?”
Coi denti. Io mordo le tue, e poi tu fai lo stesso con me.”
Orange emise un sospiro, poi rispose: “Guarda, accetto solo perché se no cominci a rompere le palle e non finisci più.” Si mise in ginocchio e protese i polsi all’indietro. “Va bene così?”
L’altro scrutò un po’ le manette del compagno, piegando la testa da una parte e dall’altra come per saggiare quale fosse la posizione più comoda per provare a tagliarle coi denti, poi avvicinò la bocca ai suoi polsi.
Non azzannarmi un braccio,” gli raccomandò Orange.
Clem riuscì a stringere fra gli incisivi un angolo della fascetta. Cercò di mordicchiarlo in vari modi, ma la plastica si rivelò più dura del previsto. Si raddrizzò ansante.
Fatto?” gli chiese Vaughan. Fece una breve risata.
Io farei meno lo spiritoso, se fossi in te, mentre sono messo a pecora e con le mani legate.”
E perché? Anche tu hai le mani legate. Non puoi mica sfoderare il minareto.”
Ma i piedi sono liberi. Posso sempre darti un calcio nel culo.”
Certo che tu sei uno con cui si parla bene, eh, Clem?”
Boyle si sedette ed emise un sospiro, poi disse: “Sono troppo dure.”
Te l’avevo detto.”
Un marine motivato fa qualsiasi cosa. Proviamo a strofinarle sul pavimento o contro il muro.”
L’altro emise un sospiro. “E se invece aspettassimo di vedere come si mettono le cose?”
Del tipo? Oh, perbacco, non ci eravamo accorti che foste due marines americani, andate pure e scusate tanto, vi avevamo scambiati per ladri di polli?”
Detto questo, Clem si avvicinò al muro e ne saggiò la ruvidezza, poi cominciò a strofinarci contro i polsi legati. Avendo le mani dietro la schiena e ormai gonfie per il ristagno del sangue, l’impresa si rivelò ben presto impossibile. “Porca troia,” imprecò sedendosi. Sulla pittura biancastra della parete erano rimaste tracce rosse. “Mi serve uno spigolo,” ringhiò torvo, “non c’è un cazzo di spigolo in questo posto?”
Orange si limitò a scuotere la testa.

Dopo un po’ si udirono dei passi e delle voci dall’altra parte della porta. Clem si raddrizzò come un cane che vede il padrone prendere il guinzaglio, e cominciò a osservare l’uscio serrato con uno sguardo che sembrava volerlo bucare. “Appena entrano io li carico,” disse sottovoce. “Tu sta pronto.”
Alle sue spalle, Orange chiese: “Scusa, pronto a cosa?”
Approfitti del casino e passi oltre.”
E poi? Una volta che sono passato mi sparano nella schiena. Chi pensi che ci sia di là, il circolo del bridge?”
Clem grugnì qualcosa di indistinto.
Subito dopo si udì il rumore dei chiavistelli che scattavano. Il marine si alzò in piedi e si molleggiò sulle gambe come per prepararsi a balzare.
Non fare l’idiota,” gli ricordò Orange.
Questi pezzi di merda mi hanno sputato addosso!”
Vaughan emise un lungo sospiro, poi replicò: “Dammi retta, fa il gray man. Non far capire agli stronzi quanto sei forte o cosa sai fare.” Voleva aggiungere altro, ma la porta si aprì e nel riquadro comparvero due uomini armati di mitra. Uno di essi disse: “Faccia al muro.”
Mentre i due erano voltati, entrarono nella cella altri uomini. Clem si sentì afferrare, di nuovo la canna di un’arma gli si piantò nella schiena. Il marine si obbligò a non reagire, e si lasciò spingere lungo un corridoio scarsamente illuminato.
Da lì arrivarono a una stanza che era una via di mezzo tra un’officina e un laboratorio, nella quale vari uomini lavoravano intorno a ordigni esplosivi perlopiù di provenienza americana. Una parte del locale era chiusa da teli di nylon, dietro i quali si vedevano sagome in movimento.
Nell’aria c’era uno strano odore, che mescolava reagenti, fumo di sigaretta e qualcosa che ricordava il tanfo acre delle interiora. Da qualche parte, qualcuno stava canticchiando.
Merda,” mormorò Clem, e chi lo stava spingendo avanti gli piantò la canna dell’arma nella schiena. “Sta zitto!” disse una voce dal tono aspro.
Fanculo!”
La canna dell’arma scomparve, per venire sostituita un attimo dopo dal suo calcio, contro la nuca. Clem grugnì di dolore.
Gray man,” gli ricordò Orange alle sue spalle, poi anche lui fu costretto a tacere nello stesso modo.

Li fecero salire su un furgone chiuso, che poi si mise in movimento.
Immediatamente, Clem cominciò a osservare ogni anfratto del cassone in cui li stavano trasportando.
Che fai?” gli chiese Orange.
L’altro lo fissò torvo, poi rispose: “Se hanno lasciato che vedessimo quella roba, è chiaro che l’intenzione è quella di farci secchi.”
Questa volta nemmeno Vaughan trovò nulla da eccepire.
Clem non aggiunse altro, e ricominciò a ispezionare l’ambiente. Alla fine annunciò: “Eccola qui.”
Cosa?”
C’è una vite sporgente, aiutami.”
Cosa vuoi fare?”
Segare le manette. Comunque, d’ora in poi il filo di kevlar me lo lego alle palle.”
Orange assunse un tono stupito. “Cosa ti vuoi legare dove?”
Il filo di kevlar serve per tagliare le cose. Ho visto un video nel quale un tizio lo usava proprio per tagliare le manette di nylon.”
Io avrei paura di castrarmi da solo, se lo tenessi dove dici tu.”
Perché sei un imbranato. Comunque adesso aiutami, dai.”

Orange aiutò il compagno per quanto poteva, e nel frattempo si poneva una serie di domande: certo, teoricamente sarebbe stata una buona idea cercare di liberarsi, ma poi? Non sapeva dove li stavano portando, né per fare cosa, ma era ben sicuro che non avrebbero aperto il portello del furgone disarmati.
Il rumore della plastica che si spaccava lo sollevò da ulteriori meditazioni. “Ecco fatto!” esclamò Clem. Si massaggiò i polsi con aria trionfante, e come Orange temeva disse: “Adesso aspetto quegli stronzi, e appena mettono dentro la testa sono cazzi loro.”
E se mettono dentro la canna di un kalashnikov?”
Clem lo fissò quasi con degnazione, poi disse: “Sai dove gliela infilo, la loro cazzo di canna di kalashnikov?”
La domanda rimase senza risposta: il furgone rallentò, si udirono rumore di metallo che sbatteva e voci, poi la consistenza del fondo stradale cambiò, divenendo notevolmente più irregolare.
Clem alzò di nuovo la testa e aggrottò le sopracciglia. “Stiamo rallentando,” disse.
Già.”
Vieni qui, ti libero le mani.”
Orange gli si avvicinò, ma in quel momento il veicolo si fermò e il motore tacque. All’esterno qualcuno disse qualcosa, e un’altra voce rispose.
La chiusura del portellone scattò.
Clem si tese, lo sguardo fisso sulla lama di luce che andava allargandosi. Poi si scatenò l’inferno.
Il marine balzò fuori, si udirono delle urla, una raffica di mitra, tramestio, imprecazioni.
Orange prese in considerazione l’idea di sporgersi per vedere cosa stava succedendo, ma valutò più prudente attendere all’interno del furgone lo svolgersi degli eventi.
Il trambusto frattanto continuava, di nuovo ci fu una salva di imprecazioni di Clem seguita da urla di dolore, questa volta non sue.
Poi cadde un silenzio sinistro.
Orange deglutì, e sogguardò il portello accostato, cercando di capire cosa stesse succedendo all’esterno. “Clem?” osò chiamare con voce sommessa.
Non gli giunse risposta.
Clem?”
Il portello venne aperto del tutto, e nel riquadro comparve un tizio ossuto, con i capelli neri e la jalabiya. Un vistoso livido gli si stava formando sullo zigomo.
Questi gli fece cenno di uscire.
Orange obbedì. Clem era sdraiato faccia a terra, immobile. Il fatto che avesse di nuovo i polsi legati faceva supporre che fosse solo svenuto. Un paio di iracheni erano in piedi e si stavano tamponando ferite, due o tre erano seduti alla base di un muro, chi tenendosi la pancia e chi con un braccio penzoloni. Uno giaceva a terra immobile, e l’angolo innaturale che la testa faceva col resto del corpo faceva capire che non era semplicemente svenuto.
Cammina!” disse un tizio, pungolandolo alla schiena con la canna del mitra. Di nuovo, Orange non oppose resistenza. A parte guardarlo da lontano, non poteva fare molto altro per Clem, inoltre voleva che tutta l’attenzione continuasse a rimanere su di lui e sulla sua tendenza a procurare lesioni traumatiche.
Diede un’occhiata in giro: erano in un edificio antico, fatto di grossi blocchi di arenaria chiara. Il vano in cui era parcheggiato il veicolo che li aveva trasportati, un furgoncino che aveva le insegne di una pasticceria, era una stanza a pianta quadrata, con il soffitto a cupola. Il pavimento era fatto di lastre di pietra consumate da secoli di utilizzo. La porta principale, di un verde sbiadito dal tempo, con punti di ruggine qua e là, era chiusa da una catena.
Qualcuno lo spinse avanti, Orange si limitò ad allungare il passo, senza reagire in alcun modo.
Lo portarono in un’altra stanza, e da lì gli fecero scendere una rampa di scale, anch’essa antica e consumata da secoli di uso.
Raggiunsero un locale quadrato e dal soffitto basso. L’aria era umida, e vi si mescolavano odore di muffa e di sostanze chimiche. Lungo le pareti si aprivano dei vani, alcuni pieni di casse e scatole, altri chiusi da porte metalliche di fattura moderna. Una delle porte fu aperta, poi lo spinsero dentro e la richiusero. Si udì lo scatto della serratura.
Orange emise un sospiro. Il posto era praticamente buio, e dentro non c’era nulla. “Nemmeno un cesso,” disse fra sé e sé. Non aveva più l’orologio, né peraltro con le mani legate avrebbe avuto modo di guardarlo, ma una cosa era certa: gli scappava disperatamente da pisciare.
Considerò l’opportunità di farsela addosso, ma stabilì di tenerla come ultima opzione. Stringendo i denti si piegò in avanti, e cercò di far scendere i polsi legati sotto il sedere. Quando, sudando e sbuffando, ebbe raggiunto il suo obiettivo, si lasciò cadere a terra. Lì si contorse e si agitò, imponendosi di ignorare le fascette che nel frattempo gli stavano tagliando i polsi e la vescica che gridava pietà, finché non riuscì a sfilare le gambe e a passarsi le mani da dietro la schiena a davanti all’addome. A quel punto, si concesse di riposarsi per qualche secondo, quindi si rialzò, raggiunse la porta e pisciò, avendo cura di dirigere il getto in modo che filtrasse all’esterno. Nonostante tutta la situazione, si trattò di un momento di puro piacere.
Una volta che si fu liberato, perlomeno dalle necessità fisiologiche, cominciò a studiare l’ambiente per trovare il modo di tagliare le manette e possibilmente anche la corda.

Clem riprese faticosamente i sensi. Era prono e con le mani legate dietro la schiena, aveva sete e male dappertutto. “Orange?” mormorò.
Non gli giunse risposta.
Orange!”
Di nuovo silenzio.
Il marine si rigirò su un fianco e cercò di capire dove si trovava: era tra mura di pietra, su un pavimento che aveva l’aspetto di terra battuta. Sembrava che accanto a lui non ci fosse nessuno, e non si sentiva alcun rumore. L’unica luce proveniva da fessure tra la porta e la parete.
Si alzò pesantemente in piedi e percorse tutto il perimetro della stanza, poi si avvicinò alla porta e cercò di guardare attraverso le fessure.
Fuori c’era un laboratorio più grande di quello che aveva visto in città. Mentre percorreva con lo sguardo le enormi quantità di materiale esplosivo ammucchiato sui tavoli, non poté fare a meno di ripensare alle parole di Miss Tette: l’Islam è amore.
“’Sto cazzo,” ringhiò a bassa voce.
Mosse le mani ormai intorpidite, reprimendo una smorfia di dolore. La porta era una semplice lastra di metallo, chiusa da una serratura. Se avesse dato un calcio nel posto giusto, con la necessaria forza, l’avrebbe fatta saltare dai cardini. Magari non al primo tentativo, ma al secondo o al terzo era sicuro che l’avrebbe sfondata.
La faccenda avrebbe creato un bel po’ di rumore, naturalmente, e quindi avrebbe richiamato parecchi fotticapre.
La prima cosa da fare, pensò, era liberarsi le mani. Arretrò verso la parete e cominciò a cercare il famoso spigolo su cui strofinare la fascetta di nylon.

§

Credevo che gli americani fossero un popolo civile.”
Orange, che stava freneticamente strofinando la fascetta di nylon su un’asperità del muro, si interruppe.
Si avvicinò alla porta e vide che vi era stato aperto uno spioncino. Al di là c’era un uomo alto e magro, di mezz’età, con la barba nera venata di grigio e una jalabiya scura. Questi, dritto in piedi e con le braccia conserte sul petto, osservava con fare critico la pozzanghera che si era allargata davanti alla cella.
È per non far avvicinare i malintenzionati,” rispose il marine. “Non avendo armi, mi sono arrangiato come potevo.”
L’altro annuì, poi rispose: “Immagino che questo sia un esempio del vostro tanto decantato umorismo.”
Penso proprio di sì, signor…?”
L’altro ignorò la domanda. “Sa perché si trova qui?” chiese poi.
Aspetto di apprenderlo da lei.”
Visto che tra un po’ morirà, perché non dirglielo?”
Vaughan si obbligò a mantenere un tono ironico. “Già, perché no?”
L’uomo rivolse lo sguardo verso lo spioncino, poi disse: “Cercavamo da tempo un modo per entrare nella base americana, e voi due stupidi soldati ce ne avete fornito uno perfetto.”
Orange aggrottò le sopracciglia. “Sarebbe?”
L’altro emise un sospiro, poi spiegò: “Vede, mi è capitato qualche volta di recarmi nel vostro decadente e amorale paese. In una di quelle occasioni sono stato a Washington, e ho visitato il Vietnam Memorial, dove celebrate i caduti di una delle vostre guerre imperialiste.” Fece una pausa, forse aspettandosi che Orange replicasse, ma il marine rimase in silenzio. “Una cosa mi ha colpito,” proseguì allora l’uomo, “ed è la pervicacia con cui raccogliete i corpi dei vostri caduti. Nessuno viene lasciato indietro, giusto?”
A quel punto rivolse lo sguardo all’interno della cella.
Giusto,” rispose Orange.
Molto bene. Quindi è plausibile che i corpi di due marines siano raccolti e portati all’interno del campo per essere poi inviati in Patria, non è vero?”
Non lo so,” rispose vago Orange.
Oh, non finga di non saperlo. Certo che è così.”
Beh, e quindi? Anche se fosse?”
Ha mai sentito parlare del Cavallo di Troia? Qualcuno trova una cosa interessante e se la porta all’interno delle fortificazioni, e poi...” Mimò il gesto di un’esplosione.
Vaughan non rispose. Cominciava a capire cosa stesse per succedere: aveva sentito parlare di corpi bomba, ovvero cadaveri che venivano svuotati degli organi interni e riempiti di esplosivo, ma non aveva mai pensato di essere a rischio di trasformarsi in uno di essi. Deglutì e involontariamente si toccò l’addome.
Guardò attraverso lo spioncino: l’uomo lo stava fissando, ne incontrò lo sguardo grifagno. Si ritrasse verso il fondo della cella, più che mai deciso a liberarsi delle manette e cercare un modo per uscire di lì il prima possibile.
Si chiese dove fosse Clem, se fosse ancora vivo. Certo doveva starcene un bel po’ di C4 in un corpo così grande.
Capiranno che siamo stati svuotati e ricuciti.”
L’altro scosse la testa. “Di nuovo chiederò aiuto alla vostra cosiddetta cultura per farle capire cosa intendo: lei ha presente cosa succede al tacchino il giorno del ringraziamento?”
Nonostante i suoi fermi proponimenti, a quelle parole Orange non riuscì più a fare il gray man, e inorridito replicò: “Ci vorreste svuotare e riempire di nuovo passando dal culo?”
Io mi sarei espresso in termini meno volgari, ma il concetto è quello.”
Dal culo? Ma siete fuori di testa?”
L’altro lo fissò con sussiego. “Curioso che di tutto quello che le ho detto, sia proprio questo particolare a colpirla maggiormente.”
Voi siete fuori di testa,” ripeté il marine. “Voi avete dei problemi.”
Sono d’accordo: il principale di essi è la presenza di soldati americani sul territorio iracheno.”

Rimasto solo, Orange per un po’ non fece altro che pensare con orrore ai talebani che prima lo svuotavano e poi gli infilavano dentro panetti di plastico attraverso il culo. Poi, quando riuscì a raggiungere uno stato di approssimativa calma, tornò a palpare la parete, alla ricerca di asperità particolarmente pronunciate, che gli consentissero di liberarsi finalmente delle manette.
Mentre era così impegnato, udì dei rumori all’esterno. Si affacciò allo spioncino, che era rimasto aperto, e vide che da uno dei vani che si affacciavano sulla stanza stava uscendo un uomo. Questi aveva in mano una torcia elettrica, che spense e appoggiò in una nicchia del muro con un gesto che aveva la naturalezza dell’abitudine, poi scomparve su per le scale.
La cosa incuriosì il marine, che ricordava di aver visto lampadine funzionanti ovunque.
Si trovò a rimuginare su quel particolare, così come sul fatto che la costruzione in cui si trovava aveva un aspetto molto antico. Rimpianse di non aver chiesto a quel tronfio farcitore di tacchini dove si trovassero: era certo che nella sua boria gli avrebbe anche risposto.

§

Le manette di nylon cedettero, Boyle dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non prorompere in un urlo di trionfo. Si massaggiò i polsi e poi aprì e chiuse le mani, compiacendosi di come i muscoli si tendevano sui suoi poderosi avambracci.
Si avvicinò di nuovo alle fessure tra porta e muro e guardò fuori: nel laboratorio non c’era nessuno.
Considerò che doveva essere ormai piena notte, il che significava essenzialmente che il numero di fotticapre presenti nella struttura doveva essere al minimo.
Fissò la porta e assunse l’espressione del toro che si prepara a caricare, poi arretrò di nuovo, prese tutta la rincorsa che l’angusta cella gli consentiva e si lanciò come un treno contro l’ostacolo.
La porta letteralmente esplose. La serratura venne strappata via assieme a tutto il blocco di malta con cui era stata cementata al muro, e finì nel bel mezzo della stanza. L’anta sbatté contro la parete con un rimbombo da fine del mondo.
Clem uscì di corsa, e mentre tendeva l’orecchio a eventuali rumori in avvicinamento, cercò di dare un’occhiata intorno. Lo colpì un tavolo d’acciaio come quelli degli obitori, accanto al quale era pronto un assortimento dei più comuni strumenti chirurgici.
Aggrottò le sopracciglia perplesso, poi afferrò tutti i bisturi e se li ficcò nella tasca che aveva sulla coscia. Continuò a scrutare in giro.
Dei passi in avvicinamento lo richiamarono alla realtà: abbandonò l’osservazione e si nascose dietro una colonna.
Arrivò di corsa un uomo armato di AK-47, che subito si accorse che la porta della cella era aperta. Si affacciò all’interno e constatò che era vuota. Clem si fece avanti, e appena l’uomo si girò per dare l’allarme, provvide a spedirlo nel paradiso di Allah tagliandogli la gola con uno dei bisturi. Poi raccolse il suo Kalashnikov, richiuse la cella meglio che poté, con il fotticapre dentro, e si allontanò rapido.

Un poderoso rimbombo metallico costrinse Orange a interrompere il suo frenetico lavoro di limatura delle manette. Il marine alzò la testa e rimase in ascolto, ma non giunsero altri rumori. Si avvicinò cauto allo spioncino, cercando di capire cosa stesse succedendo, ma fuori c'era solo il silenzio corposo della piena notte. La lampadina fioca che illuminava le scale non mostrava nulla di diverso dal solito.
Pensò a Clem: l'unico che poteva aver fatto un casino del genere era lui. Si chiese cosa gli stesse succedendo, e a quel pensiero le sue dita involontariamente si strinsero sulle due sbarre che chiudevano lo spioncino.
Non che fosse molto religioso, sua nonna aveva provato a portarlo con sé in chiesa un paio di volte, ma lui si era invariabilmente addormentato, e l'avevano mandato fuori perché russava, ma in quel momento gli sorse spontanea una preghiera vagamente modellata sulla celebre invocazione di Conan il Barbaro: “Senti, Dio, non ti ho mai pregato fino ad ora, non saprei come farlo. Però so che questi qua ti vogliono pisciare in testa, e l'unico in grado di impedirlo è il marine Clement Boyle. Per cui, ascolta la mia unica preghiera: fa' che rimanga sano e salvo. E se non lo aiuti, allora vuol dire che non te ne frega niente di essere più grosso di Allah.”
Al piano di sopra si udirono il crepitare di una raffica di mitra, alcune parole inintelligibili, un forte e chiaro “Bastardi!”, altre raffiche e tramestio confuso.
Di nuovo, Orange si aggrappò alle sbarre dello spioncino tentando di guardare fuori, poi riprese a strofinare le fascette di nylon contro una pietra ruvida. Nel movimento si graffiava spesso anche la pelle sottile dei polsi, ma si accorse di non sentire alcun dolore. Intensificò anzi gli sforzi, fregandosene se ad ogni passaggio lasciava sul muro tracce rosse.
Poi sentì un grido belluino: “Orange!”
Il marine interruppe il suo lavoro e rimase in ascolto.
Il grido si ripeté: “Orange, amico, dimmi qualcosa!”
Sono qui!” gridò Vaughan a pieni polmoni. “Qui sotto!”
Dove?”
Le scale!”
Un attimo dopo sentì un tramestio concitato, e sui gradini comparve la poderosa figura di Clem. Il marine imbracciava un Kalashnikov, aveva una Beretta di provenienza americana infilata nella cintura e un grappolo di granate a mano M67 appeso al collo. “Avrò un milione di fotticammelli dietro al culo!” esclamò.
Si girò e sparò un paio di raffiche, poi fece cadere il caricatore vuoto, ne infilò nell'AK-47 uno pieno e raggiunse la porta della cella. “Tutto bene?” s'informò.
Fammi uscire, Clem.”
L'altro si guardò intorno. “E poi dove cazzo andiamo?”
Dall'alto provenivano rochi richiami e tramestio.
Tu intanto fammi uscire.”
L'altro si guardò intorno alla ricerca di ispirazione, poi propose: “Sdraiati a terra faccia in giù in fondo alla cella, io butto una granata contro la porta.”
Sei scemo? Non ci tengo a ritornare a Camp Courage in una scatola da scarpe.”
Sentiamo la tua idea, allora.”
Prova a sparare alla serratura.”
Clem si tolse il mitra dalla spalla. “Poi non ti lamentare se ti arriva qualche pallottola.”
Meglio una pallottola che finire spalmato sulle pareti della cella.”
Esagerato,” disse l'altro, ma la risposta si perse, coperta dalla raffica del Kalashnikov. Alcune pallottole fischiarono minacciose e rimbalzarono contro le pareti, ma la serratura dopo un po' cedette, e Boyle fece il resto a mani nude. Prese uno dei bisturi e tagliò quello che rimaneva delle manette del compagno, poi i due si guardarono intorno desolati. “Non ci sono uscite,” grugnì Clem.
Torniamo su?”
Stai scherzando? Ci sono più fotticammelli che alla Mecca di venerdì.”
Qualcosa di rotondo scese rimbalzando sui gradini.
Cazzo!” urlò Clem, quindi afferrò il compagno e si buttò dentro la cella.
L'esplosione fu così forte che i due si sentirono letteralmente risucchiare l'aria dai polmoni. Il mondo si fece dapprima completamente buio, poi ricomparve una debole luce caliginosa. Sassi e calcinacci rotolarono dappertutto.
Seguirono lunghi secondi di silenzio.
Il primo ad alzarsi fu Clem, che si scrollò di dosso il pietrisco con le orecchie che gli fischiavano, si spolverò alla meglio l'uniforme sollevando dense nuvole grigiastre e disse: “Che cazzo di botto.” Poi si voltò verso il compagno e premurosamente lo estrasse da sotto le macerie. “Orange?” chiamò, dandogli qualche schiaffetto per rianimarlo. “Orange, sei a posto?”
Secondo te?” biascicò l'altro.
Dobbiamo andarcene.”
Ancora intontito, Vaughan mormorò: “Dove?”
Da qualsiasi parte che non sia qui. Tra un po' verranno a vedere se siamo morti.”
L'esplosione aveva fatto crollare una parte del soffitto, e fiochi raggi di luce cadevano dall'alto, delineando i contorni delle cose. Il vano da cui era uscito l'uomo con la torcia era stato sventrato dall'esplosione, e il fondo di esso si allungava in un antro buio. “Qui dentro,” propose Clem.

Camminarono per un po' tentoni lungo il muro, poi Clem disse: “La stanza non finisce.”
In che senso, non finisce?”
Non c'è il fondo. Ma quanto cazzo è grande?”
Tenendo una mano saldamente contro la parete, Orange allungò l’altro braccio. Per un po' brancolò nel buio pesto, poi le sue dita sfiorarono una superficie ruvida. “Mi sa che l'ho trovato,” disse.
Cosa?”
L’altro muro, è davanti a noi. Penso che sia un tunnel, sto toccando le due pareti.”
Stava per aggiungere altro, ma in quel momento alle loro spalle cominciarono a farsi udire delle voci. Erano vari uomini, e parlavano in arabo. Egli si irrigidì e nel buio cercò di afferrare qualsiasi parte di Clem si trovasse a portata di mano, per evitare che partisse a testa bassa contro gli iracheni in arrivo. Un pennello di luce spazzò l'imboccatura del cunicolo, si udirono dei passi cauti sulle pietre.
Al pur minimo riverbero della torcia sulle pareti, Orange si voltò verso il compagno e gli fece cenno di tacere, poi si appiattì ulteriormente. Un sassolino però gli scivolò da sotto il piede rotolando via con un lieve rumore.
Il pennello di luce, che sembrava già diretto altrove, immediatamente tornò indietro, e ricominciò a percorrere attento il vano.
Andò su e giù due o tre volte, sempre più lento e indagatore, poi si udirono dei passi in avvicinamento. Orange sentì che Clem si svincolava adagio ma inesorabilmente dalla sua presa, e sperò che almeno facesse ciò che aveva intenzione di fare in modo rapido, pulito ma soprattutto silenzioso. Gli rivolse un'occhiata implorante, ma nel buio quasi completo l'altro non la colse. Lo vide frugarsi nella tasca sulla coscia e tirare fuori qualcosa.
Poi si udirono un lieve tramestio, un rumore vagamente liquido e un mugolio un po’ gorgogliante. Qualcosa sussultò un paio di volte sul pavimento, poi si afflosciò e giacque inerte. “Raccogli la torcia,” suggerì Clem sottovoce.
Orange prese l'oggetto e fece scorrere la luce lungo il muro, che a quel punto era schizzato di rosso peggio che in un horror sui cannibali: il fascio si perse nel buio e vi scomparve. “È una galleria,” sussurrò il marine.
Beh, entriamoci,” disse l'altro.
Non sappiamo dove va a finire.”
A quel punto, si fece udire un richiamo. I due si irrigidirono, Orange spense la torcia.
Il richiamo si ripeté più forte, e all'unisono i due soldati abbassarono lo sguardo sul cadavere ai loro piedi. Clem staccò silenziosamente una granata dal grappolo che portava al collo.
L'altro gli fece un inorridito cenno negativo, ma il primo tolse la sicura, mantenendo poi la leva abbassata con la mano.
Dei passi cominciarono ad avvicinarsi, altre torce fendettero le tenebre. Infine, delle figure si affacciarono all'imboccatura della galleria.
Orange si immobilizzò. Clem a quel punto lo afferrò per la collottola, e trascinandolo di peso arretrò nel buio. Si udì il rumore di un oggetto metallico che rimbalzava, poi sembrò che fosse arrivata la fine del mondo: dapprima ci fu un accecante lampo arancione, poi un’esplosione che li scaraventò a parecchi metri di distanza, lasciandoli rintronati e pesti. Con un rombo cupo, la volta della galleria alle loro spalle crollò.
Quando la polvere si fu dissipata, i due si voltarono e si accorsero che il lume del tunnel era completamente ostruito da tonnellate e tonnellate di pietre.


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Capitolo 3
*** Parte terza ***


Ciao cari/e!
Eccoci alla fine di questa movimentata avventura tra le sabbie e i talebani. Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito fin qui, e in particolare chi è stato così gentile da lasciarmi un parere, ovvero Enchalott, John Spangler, mystery_koopa, Saelde_und_Ehre, Syila, Nina Ninetta, fiore di girasole, innominetuo e New Storytellers.





Parte terza

Orange si massaggiò la schiena, indolenzita dall’ennesima botta, poi puntò la torcia verso il buio della galleria che si apriva davanti a loro. Scrutò per un po’ quelle misteriose profondità, quindi con un’alzata di spalle borbottò: “Non ci resta che andare avanti, direi.”
L’altro si erse in tutta la sua altezza, arrivando a sfiorare pericolosamente le pietre della volta. Si guardò intorno aggrottando le sopracciglia, poi ringhiò: “La fai facile, tu: andiamo avanti.” Diede un calcio a un sasso, spedendolo a parecchi metri di distanza. “Andiamo avanti, dove?”
Orange emise un teatrale sospiro e rispose: “Dove ci porterà il destino, caro compagno di mille avventure.”
Clem si sedette con precauzione su un mucchio di pietre, poi disse: “Piantala di fare l’idiota, Andrej.”
L’altro ignorò la minacciosa calma del suo tono di voce. Si spolverò sommariamente l’uniforme e chiese: “Scusa, chi è che ha buttato una granata all’imboccatura del tunnel?”
Non avevamo altra scelta.”
Ok, quindi adesso muoviamoci. Da qualche parte porterà, questa galleria.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Magari è quella di Miss Tette e ci porta dritti in città.”
Si mise a camminare con aria svagata, facendo dondolare la torcia qua e là.
Clem rimase ostentatamente seduto.
L’altro fece una ventina di metri, poi si fermò, si voltò e puntò il fascio di luce nella sua direzione. “Beh?” chiese.
Fanculo.”
Vaughan emise un sospiro. “Cos’è, una delle tue solite incazzature maori? Sbraita piano, però: non vorrei che ci sentissero e capissero che non siamo crepati.”
Io avrò le incazzature maori,” ringhiò l’altro di rimando, “ma tu non riesci a capire quando è il caso di smettere di fare l’idiota.”
Orange annuì grave. “Va bene,” rispose. “Io vado avanti. Tu segui la luce quando sei a posto. Ricordati solo di non fare troppo casino, ok?”
Cosa vorresti dire,” replicò Boyle, “che non sono capace di controllarmi come chiunque altro?”
L’altro lasciò passare qualche secondo, poi rispose: “È inutile che tenti di farmi incazzare, Clem. Lo sai come sono fatto.” Alzò le spalle e prese ad allontanarsi lungo il tunnel con andatura molleggiata, canticchiando: “In every life we have some trouble, when you worry you make it bouble. Don’t worry, be happy...”
Boyle emise un sospiro che sembrava lo sfiato di un capodoglio, e a bassa voce disse: “Uno di questi giorni lo strozzo...” Poi si alzò e si dispose a seguirlo, sebbene a debita distanza.

Senti un po’, ma ti chiamano Agent Orange perché sei un agente segreto?”
Vaughan smise di camminare e si voltò verso il compagno. “Come ti viene in mente una cazzata simile?”
Clem alzò le spalle. “Di solito, i veri agenti segreti sono quelli di cui lo diresti meno.”
Ah, grazie tante.”
Allora, è così?”
Non hai vinto, ritenta.”
Uhm, dovevo immaginarlo,” brontolò Boyle, quindi riprese a camminare.
Stavano procedendo ormai da un tempo imprecisato in un tunnel silenzioso, dal pavimento di terra battuta, con la volta a botte. La struttura, che doveva essere antichissima, era stata consolidata un po’ alla meglio in alcuni punti con dei blocchi di calcestruzzo da edilizia. Ogni tanto si sentiva uno sgocciolio, e un’infiltrazione d’acqua scorreva lungo la parete in una traccia verdastra. Disperatamente assetato, Orange provò a raccoglierne un po’ nel cavo di una mano e a berla, ma il sapore risultò disgustoso.
Chissà dove siamo?” si chiese. Sputacchiò qualcosa che gli era rimasto in bocca durante il tentativo di assaggio e aggiunse: “Quest’acqua fa proprio schifo.”
Come i fotticapre.”
Alla faccia di Miss Tette, stavolta sono d’accordo con te. Lo sai cosa volevano farci?”
No, cosa?”
Orange raccontò la faccenda del tacchino.
Quegli stronzi!” sbraitò Clem scandalizzato. “Perché cazzo non me l’hai detto quando eravamo là?”
Sì, figurati. Come se non ti conoscessi: poi scatenavi l’inferno.”
Certo che lo scatenavo! Quegli schifosi! Quei bastardi! Ci volevano svuotare per il culo e riempire di C4, ma ti rendi conto?”
Orange alzò le spalle. “Don’t worry, be happy...” ricominciò a canticchiare.
Andarono avanti un altro po’, ognuno assorto nei propri pensieri.
A un certo punto, la luce della torcia cominciò a ingiallirsi. “Mi sa che tra un po’ finiamo al buio,” buttò lì Vaughan, come se non fosse poi un gran problema.
Boyle osservò la torcia e in tono risentito disse: “Merda, ci mancava anche questa.” Aggrottò le sopracciglia, poi proseguì: “Questa non ha le batterie, è una di quelle che si ricaricano con la corrente.”
E quindi?”
Quindi è meglio che la spegni e ci teniamo un po’ di riserva di luce per i momenti critici, perché durerà ancora dieci minuti al massimo.”
Uhm.” Orange spense la torcia, e i due si trovarono immersi in tenebre picee. “E adesso come facciamo?” chiese poi
Dal buio giunse la voce di Clem: “Strisciamo lungo la parete e accendiamo la torcia solo ogni tanto, per controllare dove stiamo andando.”
Tanto non rischieremo di sbagliare strada, direi.”
Ricominciarono a camminare, e andarono avanti per un tempo imprecisato. Dopo un po’, Orange disse: “Clem?”
Davanti a lui, la voce del compagno rispose: “Sì?”
Ci sono due spermatozoi nel culo di un frocio, e uno dice all’altro: ma come cazzo si fa a trovare un ovulo in mezzo a tutta questa merda?”
Seguì qualche secondo di silenzio, poi Boyle chiese: “Ma ti sembra il momento di metterti a raccontare barzellette idiote?”
Era per sdrammatizzare.”
Sei sempre il solito cretino.”
Per tutta risposta, Orange cominciò a canticchiare:“In every life we have some trouble, when you worry you make it bouble. Don’t worry, be happy...”
Notò che l’aria si era fatta vagamente umida, e si sentiva uno strano odore come di limo.
E basta con...” cominciò Clem, ma un attimo dopo si interruppe e urlò: “Cazzo!”
Ci fu dapprima un breve e frenetico tramestio, poi, molto più in giù, il rumore di qualcosa di pesante che cadeva in acqua.
Clem!” urlò Vaughan angosciato. “Clem, dove sei?”
Gli rispose un intenso sciabordare.
Clem!”
Porca puttana!” giunse dal basso.
Stai bene? Sei ferito?”
Ho perso le armi, mi sono rimaste solo le granate.”
Ma tu stai bene?”
Fammi luce.”
Orange accese la torcia: la galleria si interrompeva sul bordo di quella che sembrava un’enorme cisterna, con un altissimo soffitto a volta sostenuto da colonne. Lateralmente c’era uno stretto camminamento che sembrava percorrerne il perimetro, ma la scarsa illuminazione permetteva di vederne solo la prima parte. Il resto si perdeva nelle tenebre.
La voce di Clem lo richiamò alla realtà contingente: “Devo trovare un modo di risalire!”
Orange illuminò l’acqua, che era perfettamente trasparente, e dava l’idea di essere anche piuttosto profonda. Colse sul fondo della cisterna la presenza di un antico pavimento, con disegni di creature acquatiche. Il fascio di luce si rifletteva mandando tremolanti riflessi su tutto il soffitto.
Orange, ti dai una mossa?”
Mi sembra di vedere una scala, là in fondo.” Vaughan puntò l’ormai fioco fascio della torcia verso una fila di gradini che dal livello dell’acqua portava verso l’alto.
Boyle la raggiunse a nuoto. “È gelata,” sbuffò.
Sì può bere?”
Avevo una sete che avrei bevuto anche la trielina. Ne ho approfittato.”
Allora scendo anch’io.”
Vuoi farti una nuotata?”
Devo bere, quindi vedi di non pisciarci dentro prima di uscire, per favore.”
Troppo tardi.”
Il solito stronzo.”
Vaughan aggirò con cautela la cisterna. Il passaggio era stretto, e in alcuni punti c’erano stati dei cedimenti strutturali, cosa che lo rendeva ancora meno praticabile. “Ma farci un parapetto no, vero?” brontolò, strisciando cauto con la schiena contro il muro.
Clem frattanto stava uscendo dall’acqua. “Vaffanculo,” ringhiò. “Posto di merda, gente di merda, guerra di merda. Cazzo!”
La voce andava alzandosi di tono.
Porca puttana! Io non ci volevo nemmeno venire, in questo cazzo di paese pieno di sabbia. Vaffanculo!” L’ultima imprecazione si riverberò sulle volte del soffitto in migliaia di echi.
Vaughan aspettò che si fosse ristabilito il silenzio, poi gli chiese: “E che ci fai qui, allora?”
Clem nel frattempo era riuscito a raggiungere il livello del tunnel. Si scrollò come un cane, si strizzò la maglietta e rispose: “Se tu non mi dici perché ti chiamano Agent Orange, io non ti dico perché sono qui.”
L’altro fece una risatina. “Spiacente, amico.”
Lo sai che sei uno stronzo, Orange?”
La torcia si spense.
Oh, no!” si lamentò Vaughan. Azionò due o tre volte l’interruttore, ma non successe niente.
È andata,” disse Clem.
Dopo quel breve intermezzo di luce, le tenebre sembravano ancora più opprimenti. Orange si mise carponi per coprire il percorso che lo separava dalla scala della cisterna, poi scese adagio, un gradino per volta, tastando davanti a sé per capire se era già arrivato all’acqua oppure no. Momentaneamente privo della vista, aveva ormai tutti gli altri sensi letteralmente impazziti: sentiva ogni fruscio, percepiva ogni odore. Coglieva la diversa consistenza delle pietre del tunnel, che dovevano essere di arenaria, e dei gradini, che invece erano di marmo. “Chissà cos’era questo posto,” disse poi, quasi tra sé e sé. Raccolse un po’ d’acqua nel cavo delle mani e la assaggiò. “Sembra buona,” disse.
Dall’alto, Clem rispose: “Magari siamo entrati nelle fogne della città.”
Orange, che per bere più in fretta si era messo carponi e stava sorbendo l’acqua direttamente come uno gnu nei documentari sul Serengeti, si immobilizzò e disse: “Sta’ zitto.”
Che c’è, ti sei schifato?”
No, sta’ zitto. Non senti niente?”
Dall’alto non giunse risposta, segno che anche Clem si era messo in ascolto. “Cosa dovrei sentire?” chiese il marine dopo un po’.
Non lo so. Mi è venuto in mente quando mi sono chinato per bere. Ho pensato alle pecore, e poi ai fottipecore...”
Fotticapre,” lo corresse dall’alto Boyle.
Insomma, quelli. Siamo scappati dopo aver visto il loro laboratorio e tutto quanto. Possibile che nessuno ci stia venendo a prendere?”
Il tunnel è crollato, prima che possano passarci di nuovo ci vorranno delle ore.”
Certo, da quella parte. Ma dall’altra?”
Seguì un lungo silenzio, segno che anche Clem stava ponderando la sinistra eventualità. “Cazzo,” commentò alla fine.
Orange, che nel frattempo aveva finito di bere, ritornò su con cautela e chiese: “Dove sei?”
Qui, amico.”
Vaughan percepì nel buio il lieve sbatacchiare metallico delle granate che l’altro era riuscito a conservare appese al collo. Colse anche un vago residuo di quel dopobarba che l’altro si ostinava ad applicarsi in quantità generosissime nonostante sapesse a suo parere di piscio di gatto.
Allungò le mani e incontrò il suo fisico poderoso. “Beh, che facciamo?” chiese Boyle. Si fece indietro e disse: “E tocca poco, tu. Cosa sei, frocio?”
Manteniamo il silenzio, che ne dici?”
Ma senti questo,” protestò Clem risentito. “Chi è che non stai mai zitto, racconta le barzellette cretine e canta?”
Va bene, va bene. Lo facevo per te, comunque.”
Per me?”
Per intrattenerti.”
Ringrazia che è buio e non vedi la mia faccia.”
Non ringrazierò mai abbastanza per un dono del genere.”
Ehi, come sarebbe a dire?”
La domanda rimase ad aleggiare nelle tenebre.

I due ripresero la marcia. Clem, che camminava davanti, si muoveva lento, rigorosamente contro la parete. Memore dell’esperienza precedente, questa volta tastava col piede prima di ogni passo, col risultato che procedeva molto più adagio.
Senti niente?” sussurrò dopo un po’ Orange.
Si fermò a orecchie tese. Il silenzio era così perfetto che riusciva a sentire i battiti del proprio cuore pulsargli nelle orecchie. Poi iniziò a percepire qualcosa. Un fruscio lontano, forse l’eco flebile di una voce.
Ragionò rapidamente: le uniche armi che aveva a disposizione erano delle granate a frammentazione M67. E le sue mani, ovviamente. Con quelle doveva far fuori i fotticapre, uscire dal tunnel, aprirsi la strada fino a Camp Courage e soprattutto evitare che Orange si cacciasse nei guai, cosa che sicuramente era più difficile delle altre tre messe insieme.
Si voltò verso il compagno. Non lo vedeva, ovviamente, ma poteva immaginarne l’espressione svagata, come di un turista che si sta godendo un bellissimo viaggio nell’Oriente misterioso. Gli vennero in mente tutte le barzellette che raccontavano sulle bionde svampite, e si chiese se funzionassero anche per gli uomini. Non che Orange fosse proprio biondo biondo, più che altro dava un po’ sul rosso, ma la testa, soprattutto all’interno, era quella.
O forse era solo un atteggiamento. Una tattica. Per quanto sembrasse spesso su un altro pianeta, conoscendolo si capiva che in realtà non era affatto così.
Rallentò, si appiattì ulteriormente contro la parete. Abituato al buio completo, aveva l’impressione che le tenebre non fossero più fitte come prima. Strinse gli occhi. Riusciva a cogliere qualche vago elemento di quello che lo circondava o era solo un’impressione?
Poi comparve sul soffitto il pennello di luce di una torcia. L’apparizione fu così improvvisa che quasi lo fece sussultare. Sentì l’adrenalina entragli in circolo, e allungò una mano a toccare Orange, come per ricordargli che non era il momento di fare una cazzata delle sue.
Cercò di elaborare un piano. Cosa c’era di là? Quanta gente? Con che armi? Si acquattò e rimase in ascolto.
Il tunnel faceva una specie di curva a gomito, e oltre quella si sentivano delle voci. Staccò una granata.
Vuoi farci fare la fine dei topi?” gli sussurrò all’orecchio Orange, che probabilmente lo aveva sentito maneggiare l’ordigno.
Hai altre idee?”
Aspettiamo un attimo, no? Diamo un’occhiata.”
Ma certo, e intanto quelli ci aprono il culo.”
Non sanno nemmeno che siamo qui.”
Pensi che siano venuti quaggiù per limonarsi di nascosto?” Senza attendere risposta, tolse la sicura alla granata e la lanciò oltre la curva.
L’ordigno fece un paio di rimbalzi, si udirono delle voci, questa volte alte e in tono concitato, poi ci fu il boato lacerante dello scoppio. Dalla galleria provennero uno sbuffo di polvere e rumore di pietre che crollavano.
Andiamo,” disse conciso Clem. Afferrò il compagno per un braccio e si lanciò in avanti.
Raggiunsero una stanza con una scala che andava verso l’alto. Metà del soffitto era crollata, uno dei muri aveva un grosso buco, oltre il quale si intravedeva un’altra stanza con dentro scaffali carichi di forniture militari. Sul pavimento, in mezzo alle macerie, erano rimasti dei corpi. Boyle li osservò brevemente, poi si chinò a raccogliere un Kalashnikov che giaceva abbandonato accanto a uno di essi, controllò che fosse carico e proseguì.

Vaughan si limitò a seguirlo. Diede a sua volta un’occhiata in giro, individuò un fucile d’assalto AKM e lo raccolse, ma sapeva che quando Clem cominciava ad aprirsi la strada a granate, rimaneva poco spazio per altri interventi.
Seguì il compagno su per la scala. Questi sparò una raffica di mitra, poi buttò un’altra M67. Di nuovo crollarono calcinacci, si udì un rantolo di dolore, poi silenzio.
Una volta su, si guardò intorno: era giorno, tanto per cominciare, e la luce entrava dalle finestre dando corpo all’aria che le esplosioni avevano reso caliginosa. Fuori si vedeva un cortile circondato da edifici di pietra chiara, con decorazioni di maioliche blu, azzurre e verdi che brillavano al sole. “Non mi dire che siamo finiti in una moschea,” disse smarrito, ma prima che Clem potesse rispondergli, cominciarono a riversarsi nel cortile diversi uomini armati.
I due si appiattirono al suolo, poi Boyle azzardò un’occhiata fuori, staccò un’altra granata, la terzultima, dalla sua dotazione e la lanciò. “Ora andiamo,” disse poi. “Dobbiamo trovare l’uscita di questo posto.”
Attraversarono lo spiazzo disseminato di corpi, da uno degli edifici provenne una raffica di mitra che fece rimbalzare loro addosso schegge di pietra del selciato. Clem rispose al fuoco, poi si buttò ansante contro il muro. Si teneva una mano sulla coscia, e un rivolo di sangue gli scorreva tra le dita serrate.
Sei ferito?” chiese Orange.
No, mi si è rotta la bottiglia di ketchup che tenevo in tasca. Ma che cazzo di domande fai?”
Ok, scusa. Fammi vedere.”
Non c’è tempo, dobbiamo andarcene.” Si rialzò con una smorfia di dolore.
Ripresero a correre, si infilarono dentro una porta aperta, attraversarono un androne semibuio e sbucarono in un altro cortile, molto più ampio del precedente, con il fondo di terra battuta. Da un lato di esso erano parcheggiati numerosi veicoli sia civili che militari. C’era addirittura un Humvee americano.
Dall’altro lato c’era un T-72. Clem fece un sorriso soddisfatto e disse: “Prendiamo quello.”
Cosa? Vuoi prendere un carro armato?”
Improvvisare, adattarsi e raggiungere lo scopo. Una volta che siamo lì dentro, sai dove se li possono infilare il loro AK-47 del cazzo?”
Però se per caso hanno un RPG facciamo la fine delle anatre pechinesi.”
Senza rispondere, Clem corse verso il blindato. Nel frattempo si udirono dei clamori alle loro spalle, e uomini armati si gettarono al loro inseguimento. Raffiche di mitra cominciarono a crepitare furiosamente, le pallottole fischiavano tutt’intorno a loro.
Poi Orange sentì un colpo nella schiena, e sulle prime si chiese stupito come avesse fatto uno degli inseguitori ad arrivare così vicino da potergli sferrare un pugno. Improvvisamente sentì che le gambe lo tenevano male, e prima di essersene reso conto, sentì l’impatto del suolo contro la sua faccia.
Poi successe qualcos’altro, e si trovò a ballonzolare come un sacco di patate a circa due metri da terra. Non sentiva dolore, ma era stanco come se fossero due mesi che non chiudeva occhio. “Clem...” mormorò.
Parlami, Orange. Dimmi qualcosa.”
Ma...” Vaughan cercò di articolare una risposta, nonostante si sentisse la lingua più gonfia che dopo una sbronza di tequila boom-boom e whiskey. “Ma se mi dici sempre che parlo troppo?”
Non ti addormentare!”
E chi dorme…” Poi subentrò un barlume di consapevolezza: “Mi hanno beccato, Clem?”
Non è niente, non ti preoccupare,” fu l’immediata risposta. “Starai bene.”
Ormai il T-72 era vicinissimo.
Clem, mi hanno beccato?”
Ora ce ne andiamo, Orange. Starai bene.”
Ma non sento dolore… perché non sento dolore, se mi hanno beccato?”
Ecco, bravo, parla. Non devi dormire, Andy.”
Il marine si sentì appoggiare su una superficie dura e molto calda. “Ahio,” protestò. “Mi hai scambiato per un hambuger?”
Udì il rumore di qualcosa di pesante che sbatteva, poi una gragnola che gli ricordò della ghiaia tirata contro una lastra di lamiera. “Figli di puttana!” imprecò Clem.
Poi l’ambiente cambiò, e da torrido e luminoso, divenne torrido e semibuio. L’aria aveva un odore di olio e nafta, dappertutto c’erano spigoli che gli si infilavano nelle parti molli. “Dove siamo?” mormorò, ma un poderoso rombo di motore coprì la sua voce.
Stabilì che era meglio dormire, molto meglio. Chiuse gli occhi.

Con fatica, Boyle si ficcò nel posto del pilota, diede il contatto e il motore partì con un ruggito assordante. Non aveva mai guidato un carro armato, ma supponeva non fosse poi molto diverso dal bulldozer di suo zio che guidava da ragazzino. Afferrò le leve che comandavano i cingoli, tolse il freno di stazionamento e diede gas.
Il T-72 si lanciò in avanti, travolgendo qualsiasi cosa si trovasse sul suo percorso. Una jeep cercò di piazzarglisi davanti, ma gli occupanti furono costretti ad abbandonarla in tutta fretta prima che finisse sotto i cingoli del mostro.
Clem diede ancora gas. “Orange, mi senti?” urlò, ma non gli giunse alcuna risposta. “Orange?”
Una raffica crepitò sulla blindatura, udì il rumore di qualcosa che veniva stritolato dai cingoli. Poi si accorse che un uomo armato di RPG si era posizionato a gambe larghe esattamente davanti a lui. “Merda!” imprecò.
L’altro si pose l’arma sulla spalla con ostentata calma, tolse la sicura e chiuse un occhio per prendere la mira. Clem diede gas, il T-72 balzò in avanti sollevando coi cingoli una nube di polvere giallastra. Il marine fissò il terrorista, ed ebbe quasi l’impressione di guardarlo dritto negli occhi, e che anche lui stesse facendo la stessa cosa. Strinse i denti, ignorando la goccia di sudore che gli scendeva lungo la tempia. Si lecco le labbra improvvisamente secche e disse: “D’accordo, figlio di puttana: giochiamo a chi ce l’ha più duro.”
Fissò lo sguardo sull’uomo che stava ancora regolando la mira: sarebbe riuscito a passargli sopra o sarebbe saltato in aria con un missile in faccia?
Adesso sarebbe il momento di raccontare una delle tue barzellette, Orange,” disse, ma l’amico non rispose.
Il missile partì sibilando, Clem si attaccò con tutte le sue forze a una delle due leve dei cingoli, e il carro armato compì una sterzata brutale. Il proiettile passò oltre e andò a impattare contro uno degli edifici, facendolo saltare in aria.
Il marine riprese il controllo del T-72 e lo spinse a tutto gas contro il muro di cinta del cortile, che esplose in un delirio di mattoni, ferri da calcestruzzo e calcinacci. Atterrò su un cumulo di rifiuti, facendo fuggire una frotta di ragazzini cenciosi, poi proseguì sobbalzando, non voleva sapere su che cosa.
Infine si imbatté in un paio di Abrams in assetto di guerra, probabilmente richiamati da tutto il casino che aveva fatto.
Si fermò.
Dall’altoparlante di uno dei due provenne una frase in arabo.
Il marine aggrottò le sopracciglia interdetto, e non fece nulla.
Passarono alcuni secondi, poi la frase si ripeté, in tono più perentorio. I cannoni dei due carri armati brandeggiarono verso di lui.
Per quale cazzo di motivo non parlano una lingua civile?” brontolò. Spense il motore, e all’interno del carro calò un silenzio sinistro e carico di aspettativa. “Orange?” chiamò, ma di nuovo non gli giunse risposta. “Orange, qui rischiamo di essere fatti fuori dai nostri, pensa che fregatura.”
Per la terza volta, echeggiò l’avvertimento in arabo.
A quel punto, Clem perse la pazienza, spalancò il portello e saltò in piedi. “E allora!” sbraitò. “Mi avete scambiato per un fotticammelli?”

§

Sdraiato nel letto dell’ospedale da campo, la gamba fasciata e appoggiata a un paio di cuscini, Clem emise un sospiro soddisfatto, poi allacciò le mani dietro la nuca e disse: “Si dà il caso, Andy, che tu debba al sottoscritto il fatto di poter ancora usare il tuo tablet o qualsiasi altro prodotto della tecnologia umana.”
Un attimo,” grugnì l’altro, sdraiato nel letto accanto.
Che stai facendo?”
Impegnato a digitare freneticamente, Orange non rispose.
Passarono un paio di minuti, poi Clem riprovò: “Certo che sei proprio di compagnia, eh?”
Silenzio.
Quando non ce n’era bisogno, c’era la fiera delle cazzate, non stavi zitto un attimo. Adesso che potresti alleviare la lunga e noiosa degenza del tuo commilitone, non mi guardi neanche. Bell’amico che sei.”
Finalmente l’altro posò il tablet, si voltò verso di lui, e in tono premuroso chiese: “Scusa, stavi parlando?”
Cazzo, Orange, tu devi solo ringraziare che non posso alzarmi.”
Ero distratto,” fu la candida risposta.
Di nuovo calò il silenzio. Clem prelevò una rivista di armi dal cassetto del comodino, la sfogliò lentamente e fece un’orecchia in un paio di pagine, poi la lasciò cadere sulla coperta e disse: “Sai che ti ho salvato il culo, Orange? Avevi un buco nella schiena che a momenti ci si vedeva attraverso.”
L’altro si voltò a fissarlo, con l’aria di non capire come mai stesse tirando fuori l’argomento.
Clem sorrise astuto e gli chiese: “Che ne dici, me la merito un po’ di gratitudine?”
Ancora vagamente incerto, l’altro aggrottò le sopracciglia, poi rispose: “Beh, sì. Certo che sì.”
Il primo annuì soddisfatto. “Allora potresti finalmente dirmi perché ti chiamano Agent Orange, mi sembra un prezzo equo.”
Contrariamente a quanto si aspettava, Vaughan non negò e non cercò di fregarlo con una delle sue solite paraculate. Fece un tentativo di alzare le spalle con fare noncurante, cosa che gli strappò una smorfia di dolore, poi lo avvertì: “Rimarrai delusissimo.”
Correrò il rischio.”
Passò un altro lungo silenzio, come se Orange non riuscisse a decidersi a parlare. Infine si schiarì la gola e gli chiese: “Conosci il cocktail Agent Orange?”
Mai sentito.” Poi, dopo una pausa: “Ti chiamano così perché hai inventato quel cocktail?”
L’altro scosse la testa. “No, che schifo. L’Agent Orange è una parte di vodka e due di succo di carota, servito in un tumbler alto con ghiaccio.”
Clem aggrottò le sopracciglia, poi solennemente proferì: “È la cosa più disgustosa che abbia mai sentito.”
L’altro annuì. “Sono d’accordo. Penso che anche bere il vero Agent Orange farebbe meno schifo”
E allora…?”
Eravamo in libera uscita, e non avevamo altro che vodka e succo di carota. Non ci andava di bere la vodka liscia, per cui...” Ci fu un lungo silenzio, poi Vaughan in tono cupo disse: “La sbronza peggiore della mia vita. Quando sono tornato in grado di capire, avevo un tatuaggio sul culo, delle calze da donna come unico indumento, un pitone al collo ed ero in un ascensore di Las Vegas.” Altra pausa. “Solo che avevo cominciato a bere a Parris Island.”
Clem annuì grave. “Capisco.”
E da allora, sono rimasto noto come Agent Orange.”
Sono esperienze che segnano.”
Passò un altro lungo silenzio, rotto solo dal lieve brusio di un televisore nella guardiola degli infermieri, poi Vaughan chiese: “E tu?”
Io, cosa?”
Io ti ho detto il mio segreto, ora tocca a te dirmi il tuo.”
Clem alzò le spalle. “Niente di che, in realtà. Non volevo più avere fra i piedi una certa persona, così sono venuto qui.”
Orange lo fissò scuotendo la testa. “Ma cambiare casa, no?”
Mi sarebbe venuta dietro.” Fece un sorrisetto compiaciuto, poi soggiunse: “Voglio proprio vederla, a seguirmi qui.”
Mentre stavano parlando, entrò un soldato che teneva in mano un pacco postale. “Chi è Andrej Vaughan?” chiese.
Orange sollevò una mano. “Io.”
Un pacco per te.”
Gli fece firmate la ricevuta, gli consegnò l’involto e uscì.
Clem lo fissò incuriosito: sembrava qualcosa di morbido. “Hai comprato dei vestiti?” gli chiese.
Ho fatto acquisti su eBay.” Strappò la busta e ne estrasse un involto più piccolo di carta velina bianca.
Cos’hai comprato?”
L’altro estrasse l’acquisto: un velo di seta nera, con dei disegni viola intenso. “Ho visto che lo vendevano proprio uguale,” disse compiaciuto.
Per un bel po’, Clem rimase semplicemente a fissarlo incapace di proferire parola, infine chiese: “Bastava comprarlo su eBay?”
Beh, sì. Ne vendono un sacco.”
E allora, per quale cazzo di motivo noi siamo andati nel negozio di quel fotticapre bastardo, se in ogni momento avresti potuto comprare il fazzoletto per tua nonna su eBay?”
Serafico, Orange rispose: “Volevo fare un acquisto etnico.”
L’unica cosa che lo salvò, fu probabilmente che Boyle non riusciva ancora a muoversi a causa della ferita alla gamba. Questi però in tono sinistro promise: “Giuro che appena riesco ad alzarmi ti ci annego, in quel cazzo di cocktail con la carota.”
Orange, che nel frattempo si era messo in testa il velo, si girò verso di lui e gli chiese: “Che te ne pare?” Se lo allacciò sotto la gola.
Mi pare che potrei ucciderti, per una cosa del genere.”
Oh, dai. In fondo abbiamo anche reso un servizio allo Zio Sam, non ci possiamo lamentare. Canta con me: In every life we have some trouble, when you worry you make it bouble. Don’t worry, be happy...”
Orange, ti voglio veder annegare in quel cocktail di merda a base di carote!”
Don’t worry, be happy...”
Cazzo!” sbraitò Clement, con un soprammobile da lancio già saldamente in mano, ma di fronte al compagno che cantava Bob Marley con il fazzoletto da nonna russa in testa, nemmeno lui riuscì a rimanere arrabbiato.

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