Amore e Guerra

di TheWhiteSoldier
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una terribile notizia ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Gli strinsi forte la mano insanguinata, rigando il mio volto sporco di sangue e polvere con le lacrime, che scendevano copiose, e non ne volevano sapere di fermarsi. -Sveglia! Ti prego!- gridai, aumentando la stretta, che si fece più vigorosa. -Ti prego- ripetei mormorando.
Dopo diversi secondi, lo vidi aprire lentamente gli occhi, incrociando il suo sguardo stanco con il mio che, da disperato e supplicante, fu attraversato da una scintilla di speranza e gioia, che lo resero luminoso. 
Era vivo.
Sorrisi commossa, lanciando un'occhiata alla sua ferita, che mutò del tutto la mia espressione, facendola tornara preoccupata. -Me l'hai promesso!- esclamai con voce rotta. Lui mi sorrise debolmente, prima di accarezzarmi delicatamente la parte superiore dell'indice con il suo pollice, e farmi scoppiare in un devastante pianto. Avvicinai il volto al suo, bagnandolo con il frutto del mio patimento. -Per favore, non posso vivere senza di te- gli sussurrai in preda ai singhiozzi, per poi posare la testa nell'incavo del suo collo.
Sentii il suo lento ed irregolare respiro infrangersi contro il mio viso, quando rialzai il capo per guardarlo dritto negli occhi, affondando ancora una volta nel blu delle sue iridi, che mi ricordavano il colore dell'infinito ed indomabile oceano.
Intorno a me c'era solo morte e distruzione: cadaveri sporchi di terra, polvere e sangue, in mezzo a macerie e proiettili; inoltre, si udivano le grida strazianti dei feriti, il rumore degli spari, delle bombe che esplodevano, del fuoco che scoppiettava, e le voci esasperate dei soldati che continuavano a lottare, anche se non più per la patria, ma per la loro vita. Nonostante tutto, in quel momento c'eravamo solo io e lui.
-Io...- iniziò il mio superiore, ma io lo interruppi. -Ti amo-
Posai le mie secche e screpolate labbra sulle sue, assaporandole per un'ultima volta, prima che chiuse gli occhi, lasciandomi sola in mezzo a quell'inferno.





 

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Capitolo 2
*** Una terribile notizia ***


Avevo ancora disobbedito alle regole.
Lo sapevo, ed era anche a conoscenza del fatto che, questa volta, il mio superiore non me l'avrebbe fatta passare liscia, neanche se gli avessi consegnato tutti i Dakrai.
Gli lanciai un'occhiata furtiva, ed incrociai il suo sguardo tagliente ed accusatorio, per poi tornare a guardare dritto davanti a me, deglutendo: no, non l'avrei passata liscia. Ne ero certa.
-Come devo fare con te?-
Si sedette sulla scrivania di legno del suo ufficio, dove teneva tutte le informazioni dei componenti della mia squadra, mentre in mano stringeva dei fogli, contenenti gli ''errori'' che avevo commesso da quando avevo messo piede nell'Ader, uno dei numerosi luoghi in cui venivano addestrati i soldati, per via della leva obbligatoria, che poi sarebbero partiti in guerra, etichettati come ''carne da macello''. 
-Se continui così ti scaccerò da qui a suon di calci!- esclamò, gettando ciò che teneva in mano a terra ed avanzando verso me, ritrovandosi a guardarmi dall'alto, mentre io avevo il suo petto davanti al viso, cosicché potei ammirare le sue medaglie, insieme alla piccola corona dorata che rappresentava il suo grado, in bella vista sulla divisa grigia. Chissà se un giorno ne avrei avuta una anch'io...
-Qui formiamo i migliori soldati di Har, coloro che dovranno affrontare i Drakai, e tu- fece una pausa, indietreggiando così da potermi guardare dritto negli occhi, e puntarmi l'indice della mano destra al centro del petto. -Tu disobbedisci di continuo alle regole-
Era fuori di sé, e la cosa mi inquietava: il Jeskin della mia squadra, ovvero colui o colei che comandava un gruppo di massimo cento uomini e donne, era sempre freddo e tranquillo; invece, in quel momento sembrava che potesse esplodere da un momento all'altro, come se fosse una bomba.
Passò un lungo silenzio di riflessione, che mi parve infinito, prima che il mio superiore enunciò la sua decisione finale: infatti, avevo superato il limite quella volta, e lui aveva il pieno diritto, se non il dovere, di scacciarmi fuori dalla sua squadra. -Sei indisciplinata, testarda, e non mi ascolti mai!- iniziò avanzando di un passo, mettendo le mani dietro la schiena e sollevando leggermente il mento. -Non collabori con i tuoi commilitoni, non rispetti le regole, non esegui correttamente i miei ordini, e la smetto qui o non finisco più!- mi gridò in faccia, com'era solito fare con i suoi subordinati, neanche fossimo sordi. -Quindi...- abbassò il tono della voce, facendomi gelare il sangue nel vene: presto avrebbe detto la sua decisione. -Quindi...- ripeté, mentre io irrigidì i muscoli. -Quindi...-
Ancora?! Ma mi stava prendendo in giro?
-Quindi resti-
Trattenni con difficoltà il sorriso che mi crebbe sulle labbra, contenendo la mia felicità.
-Ma non senza una punizione- aggiunse poi, voltandosi ed andando verso la grande finestra che si affacciava sulla sua scrivania. Mimai un insulto con le bocca, guardandolo male, approfittando del fatto che mi stava dando le spalle.
Qualche secondo dopo si girò verso di me, fissandomi con durezza, e ciò non prometteva niente di buono. -Pulirai le armi e le divise dei suoi compagni per tre settimane-
Ah.
Va bene.
Dovevo scappare.
-Chiaro?!- esclamò improvvisamente, facendomi sussultare. -Sissignore!- risposi. -Puoi andare- mi disse infine, dopo avermi squadrata. Io sbattei il tacco sinistro dello stivale nero a terra, portai il palmo della mano destra sul cuore, facendo un tonfo, e mi voltai, uscendo dal suo ufficio.
Attraversai con passo lento il lungo e largo corridoio, le cui pareti, fatte da dei mattoni bianchi, erano decorate da dei grandi quadri rappresentanti battaglie ed eroi, da una parte, e dall'altra c'erano della finestre ovali distanziate due metri l'una dall'altra. Superai diverse porte situate nella parete con i riquadri, di cui non avevo mai valicato la soglia, per il semplice fatto che erano inaccessibili ai soldati semplici, riconoscibili per la divisa bianca che portavano, decorata da una cintura di cuoio, ed una stellina nella parte sinistra del petto.
Raggiunsi la fine di quel lungo ed interminabile tragitto, quando sentii un sussurro provenire da una porta non distante da me. Mi avvicinai ad essa, origliando. -Dovremmo dirlo a Hans il prima possibile-
Pareva la voce di una donna.
-No. Ne rimarrebbe sconvolto. Non è passato nemmeno un anno da quando...- l'uomo, che dalla voce sembrava il Jik di quel luogo, ovvero un anziano militare che controllava il Jeskin, dandogli consigli o segnalando i suoi errori, venne interrotto dalla sua interlocutrice. -Da ciò che hai scritto sembra che la sua squadra sia più che pronta. Abbiamo bisogno di più soldati al fronte il prima possibile: stiamo subendo troppe perdite. Mi dispiace-
Udii il signore sospirare, e dei passi avanzare verso la porta da cui li stavo spiando. Indietreggiai allarmata, guardando verso destra e sinistra, prima che una donna molto alta apparse davanti a me, fulminandomi con lo sguardo. Sulla soglia si presentò anche il Jik, che scosse il capo con fare rassegnato appena mi vide. -Vedo che la soldatessa qui è molto curiosa-
Il mio cuore perse un battito: notai la divisa nera, decorata da bottoni, spalline, ed una cintura dorata, oltre alle innumerevoli medaglie che portava appese alla parte sinistra del petto, insieme alle tre corone messe in orizzontale, che mi fecero intuire i gradi di quella signora dall'aspetto intimidatorio ed autoritario: era una Gideh, la seconda figura più importante dell'Esercito, colei che affiancava il Worton, e che prendeva con lui ogni decisione.
Avevo gli occhi spalancati. -I...io n...non- balbettai, in preda al panico: non mi ero mai ritrovata difronte ad una persona con un grado così importante.
La donna alzò gli occhi al cielo, prima che io feci il saluto, per poi mettermi sull'attenti. -Chiedo umilmente perdono per aver origliato la sua conversazione involontariamente, Gideh- esclamai, guardando dritto davanti a me. La persona a cui mi ero rivolta mi ignorò completamente, svoltando verso destra, e percorrendo il corridoio fino a raggiungere l'ufficio del mio superiore. Cosa stava succedendo? Cosa ci faceva una Gideh qui?
Sentii un ceffone colpirmi il capo: il Jik non l'aveva presa bene. -Non so cosa fare con te-
-Nemmeno Hans, signore- risposi con un sorriso beffardo, restando sull'attenti. Un altro ceffone, ma più delicato del primo. -Non chiamare i tuoi superiori per nome!-
-Scusi, signore!-
Anche il mio interlocutore se ne andò, svoltando verso sinistra, per poi scendere le scale.
Feci un sospiro di sollievo, finalmente sola, prima di guardare con la coda dell'occhio la porta in fondo al corridoio.
No. Cosa mi era saltato in mente?
Non potevo farlo...
Mi avviai verso il luogo in cui, poco fa, si era diretta quella donna. Camminavo con passo lento ed indeciso, fermandomi di tanto in tanto, chiedendomi se fosse giusto continuare. Pensai alle possibili conseguenze ma, sfortunatamente o fortunatamente, la curiosità vinse sulla paura.
Raggiunsi la destinazione, per poi posare l'orecchio destro sul legno di quercia che costituiva l'entrata dell'ufficio del mio superiore, ed inizia ad origliare. -Non sono pronti, la prego-
-Spiacente, gli ordini sono ordini-
-Ma non hanno completato l'addestramento!-
-Sanno sparare e correre?-
Silenzio.
-Bene. Allora domani dovrete partire per il fronte orientale, raggiungendo i confini Darkian. Il vostro arrivo è previsto per il Du'harum. Non tardate-
Il suo interlocutore non fiatò, sicuramente scioccato quanto me.
-So che per te è difficile, ma so anche che è urgente-
Mi allontanai dalla porta, appoggiandomi alla parete, senza parole e lo sguardo vuoto. Non potevo credere a quello che avevo appena sentito, anche se sapevo che prima o poi sarebbe successo: sarei andata in guerra, sarei morta a diciott'anni.
La mia vita sarebbe finita il giorno seguente, quando saremmo partiti per il fronte, ed io non potevo permetterlo. Volevo vivere.

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