Edith Elric - Cuore d'Acciaio

di Flos Ignis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo passo verso l'inferno ***
Capitolo 2: *** Occhi con il fuoco dentro ***
Capitolo 3: *** Alchimista d'Acciaio ***
Capitolo 4: *** Tempra esplosiva ***
Capitolo 5: *** Verità spietata ***
Capitolo 6: *** Siamo solo umani ***
Capitolo 7: *** A qualunque costo ***
Capitolo 8: *** Ferro, Acciaio, Ossigeno ***



Capitolo 1
*** Il primo passo verso l'inferno ***



Il primo passo verso l'inferno





L'Alchimia è la scienza della comprensione, della scomposizione e della ricomposizione della struttura della materia.

Tuttavia, non è onnipotente: è impossibile creare qualcosa dal nulla. 

Se si desidera ottenere qualcosa, bisogna dare in cambio qualcos'altro che abbia un medesimo valore. Questo scambio equivalente è alla base dell'alchimia.

Agli alchimisti è vietata la trasmutazione umana, è un'operazione impossibile... e proibita.




-Edith, qui c'è scritto che la trasmutazione umana è proibita: potrebbe essere pericoloso. Sono un po' spaventato.-

-Lo so Alphonse, ma è l'unico modo per rivedere la mamma, per abbracciarla di nuovo. Sei con me, Al?-

-...va bene, facciamolo, sarà il nostro segreto!- 

Fratello e sorella si sorrisero, chinando i loro sguardi dorati sulle pile di libri di alchimia che aveva lasciato in quella stanza il loro padre, ormai sparito dalle loro vite da alcuni anni.

Era con quel breve scambio di battute che tutto era iniziato, che la grande ruota del destino aveva definito una volta per tutte il suo percorso: gli ultimi, fondamentali ingranaggi erano stati ultimati e inseriti del perscorso degli eventi, anche se loro... no, non potevano ancora saperlo.



Edith e Alphonse Elric erano cresciuti circondati dall'amore della loro madre, dal calore del suo incommensurabile affetto e dai suoi sorrisi resi luminosi dall'ogoglio che nutriva per la precoce intelligenza dei suoi figli, che avevano imparato da soli la scienza più complessa esistente al mondo quando erano molto piccoli.

Una brutta epidemia al villaggio di Resembool, tuttavia, aveva inesorabilmente spezzato la bolla di pace in cui erano vissuti in quei primi anni di vita. Trisha Elric era venuta a mancare ancora giovanissima, lasciando i suoi figli soli al mondo, con il padre disperso chissà dove, quando avevano appena otto e sette anni.

Avevano studiato il più possibile, incrementando le loro conoscenze di Alchimia sotto la guida di Izumi Curtis, che aveva accettato di prenderli come allievi. Era stata veramente dura, specialmente per Alphonse: era più lento di sua sorella maggiore a imparare e mancava del suo talento innato che sconfinava nella genialità, ma Edith l'aveva spronato ogni giorno affinchè non si demoralizzasse, molto più fiduciosa del fratello nelle capacità dello stesso.

Avevano passato tre anni sotto la sua guida, ma ancora non erano pronti: ci erano voluti esattamente altri trecentocinquantanove giorni dal loro rientro a casa prima che la formula per la trasmutazione umana fosse completa.

Quando Edith aveva posto la sua firma a quanto avevano costruito con grandi fatiche fin dalla morte della madre, avevano esultato per ore, troppo felici di essere a un passo dal tragardo per provare anche solo a mitigare un po' la febbrile eccitazione che sentivano sotto pelle.

Ma nessuno dei due avrebbe mai immaginato ciò che sarebbe accaduto in seguito. 

Gli eventi di quel giorno, Edith Elric li avrebbe rivissuti quasi ogni notte in terribili incubi che l'avrebbero tormentata per molti anni a venire, mentre il senso di colpa verso il fratello cresceva in lei, annidandosi nel profondo della sua anima. Perchè Alphonse non poteva più sognare, mangiare, piangere o provare dolore, al contrario di lei che era solo rimasta menomata della gamba sinistra come prova del suo peccato. Il suo fratellino aveva pagato davvero troppo la superbia che Edith attribuiva solo a sè stessa, perchè era stata lei a convincere il timido Al a compiere quella folle impresa. Lei e solo lei avrebbe dovuto essere punita.

Per la perdita del braccio destro invece non riusciva a provare dispiacere, solo un senso di macabro orgoglio e bruciante sollievo per essere stata capace di richiamare l'anima di suo fratello e legarla ad un corpo artificiale, un'armatura che il loro padre aveva lasciato in quella stanza.

Se avesse perso anche lui, Edith non sarebbe sopravvissuta, lo sapeva. Era il suo unico e amato fratellino, tutta la famiglia che le era rimasta: se non fosse riuscita a salvarlo non avrebbe avuto alcun motivo per resistere al dolore che aveva provato perdendo braccio e gamba, si sarebbe lasciata andare.

Ma poi aveva sentito la sua voce chiamarla, confusa e un po' filtrata dal metallo dell'armatura, ma era chiaramente quella di Al. Aveva dunque combattuto contro l'oblio più che aveva potuto, ma il soccorso di nonna Pinako, fortunatamente intervenuta appena in tempo, era piuttosto confuso nei suoi ricordi. 

Non che se ne lamentasse... Aveva saputo da Al di essere stata un po' febbricitante in quei giorni, ma il suo piccolo e giovane corpo aveva reagito bene all'operazione e le sue ferite si erano rimarginate senza problemi.

Quelle fisiche, per lo meno.

Nella sua mente continuava a rivivere quei terribili momenti, il corpo del fratello che veniva trascinato nel portale, la sua gamba che spariva, il desiderio di rivedere la loro madre che si concretizzava in un esperimento fallito in cui avevano turbato il suo riposo eterno per nulla...

Continuava a rivedere quel... mostro ovunque posasse i suoi occhi dorati, di solito così vispi e intelligenti, ma ora spenti e disperati. 

Alphonse faceva del suo meglio per cercare di farla parlare, ma anche lui si stava adattando con fatica alla sua nuova condizione: nonna Pinako e Winry, la loro amica d'infanzia, non li lasciavano soli un solo minuto e di questo i fratelli Elric sarebbero stati loro grati in eterno.

Edith continuava a insultare incessantemente la sua stessa stupidità, il suo stato emotivo oscillava dal senso di colpa immane che provava per suo fratello al tormento che la divorava al pensiero di aver costretto l'anima della sua amata mamma in quel corpo fatiscente.

Non le importava niente del suo stesso corpo, ma avere davanti agli occhi il risultato dei suoi errori, del suo terribile peccato d'orgoglio, non le consentiva di trovare nemmeno un secondo di pace.

Questo circolo di sofferenza la tormentò per settimane, rendendola completamente muta. L'unica eccezione avvenne uno dei primi giorni in cui la febbre decise di lasciarla in pace, in cui aveva detto solo poche parole a suo fratello:

-Ti chiedo perdono... non era questo che volevo.-

Nonostante il suo corpo stesse guarendo grazie alla bravura di Pinako Rockbell, chirurga e meccanica di automail, la sua anima ancora languiva, come se fosse morta quell'infausto giorno in cui avevano osato entrare nel territorio del divino.

L'unica cosa che le strappava seppur minimi cenni di contentezza era vedere che Alphonse riusciva a ridere, seppur raramente, grazie all'impegno e alla costanza con cui Winry si dedicava a farlo sentire meglio.

Ma l'alchimista unidcenne si sentiva sconfitta, impotente, stupida come mai aveva sperimentato. Edith non era ancora entrata nell'adolescenza, ma la sua vita sembrava senza più alcuno scopo.

Questo, fino al giorno in cui non arrivò lui.




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Capitolo 2
*** Occhi con il fuoco dentro ***


Occhi con il fuoco dentro




Roy Mustang aveva assistito a tanti orrori in guerra, molti dei quali erano stati provocati da lui stesso con la sua Alchimia di Fuoco. L'odore dei corpi bruciati, ancora a distanza di anni, aveva il potere di tormentarlo nei sogni, interrompendo bruscamente il suo riposo.

Alle volte, quando intravedeva qualcosa di rosso ai margini del suo campo visivo, aveva l'impressione di cogliere delle iridi rosse d'ira bruciante come le sue fiamme, gli occhi del popolo di Ishval che lo accusavano, nei suoi peggiori incubi come nei suoi ricordi.

Da quando era giunto al termine lo sterminio, perchè era giusto chiamare quelle azioni ignobili con il loro nome, Mustang aveva assunto alcuni atteggiamenti particolari, nulla di troppo evidente per un'occhio poco allenato, ma la sua impareggiabile assistente, Riza Hawkeye, non aveva mancato di notarli. Però, santa donna, non aveva fatto commenti.

Roy l'aveva silenziosamente ringraziata per non aver etichettato come mera "stupidaggine" il ribrezzo che provava davanti alle pratiche d'ufficio, ricordando come un semplice foglio, l'ordine 3066 firmato dal Comandante Supremo King Bradley in persona, avesse decretato la fine della guerra civile e l'inizio del massacro.

Le era altrettanto grato anche per l'indulgenza che aveva nei suoi confronti quando si lamentava della troppa luce che filtrava nel suo nuovo ufficio a East City, che tanto gli faceva pensare al sole del deserto che aveva ospitato quell'incubo. Avevano lavorato per settimane in penombra per colpa di quel suo problema, ma poi l'impianto elettrico era stato fortunatamente ripristinato. E poco importava che il sole  di quella tarda estate non fosse torrido come quello dei loro ricordi, la fredda illuminazione artificiale sarebbe stata sempre preferibile.

Per questo e per mille altri motivi la sua assistente, promossa a maresciallo subito dopo la guerra nonostante la giovanissima età ed ora suo fidato tenente, era la migliore guardia del corpo che potesse desiderare...

-Colonnello, è sicuro di ciò che sta facendo?-

...anche quando dimostrava in modo tanto palese il suo disappunto per le idee del suo superiore.

Lui sospirò, decidendo di esporle chiaramente i suoi pensieri, o lei avrebbe continuato a fissarlo con la stessa disapprovazione negli occhi castani che gli palesava da diverse ore, ossia dal momento stesso in cui si erano messi in viaggio quella mattina.

-Sì, tenente, è necessario. Molti Alchimisti di Stato sono scomparsi dopo la guerra, se riuscissi a trovare anche solo un buon elemento per rinforzare le nostre file, ciò mi gioverebbe notevolmente.-

Lei non commentò oltre, ma comprese il suo ragionamento perchè rimase in silenzio per diverso tempo, controllando alcuni documenti che si era portata dall'ufficio per non restare indietro con le pratiche.

Era incredibile come quella ragazza potesse essere tanto precisa e marziale.

Chiuse gli occhi, deciso a riposare almeno per un'oretta: in fondo, il viaggio fino a Resembool era abbastanza lungo e confortevole da consentirgli di rilassarsi, certo di poter contare sulla protezione dell'Occhio di Falco.




-Cosa diavolo è successo qui dentro?-

In seguito, l'Alchimista di Fuoco non avrebbe saputo dire se a pronunciare quella frase fosse stato lui o il suo tenente: ciò su cui non avrebbe avuto dubbi però, fu l'impellente necessità che il macabro scenario davanti a loro fece sorgere con prepotenza nel suo animo, tanto che lo espresse quasi involontariamente, pur con voce strozzata.

-Dove sono...? Dove sono i fratelli Elric? Dobbiamo trovarli immediatamente!-

Perchè non aveva alcun dubbio: il cerchio alchemico, il sangue, le pergamene che contenevano il numero preciso di... ingredienti per un corpo umano...

Hanno tentato una trasmutazione umana.

Non era facile descrivere il suo stato d'animo in quel momento: una piccola parte di lui si compiacque di aver visto giusto sul maggiore dei fratelli Elric, un giovane alchimista che si diceva fosse un talento naturale, un vero e proprio genio. Ciò che aveva davanti agli occhi in quella stanza non faceva altro che avvalorare le voci che gli erano arrivare e l'alchimista che era in lui, interessato alla ricerca e alle scoperte di quella scienza, ribollì di piacere nel vedere quanto ingegno ci fosse in quel cerchio alchemico. 

Ma fu soprattutto l'orrore a imporsi sulla sua anima: per il tabù che era stato infranto... e per le conseguenza che potevano esserci state. 

Il tenente Hawkeye non conosceva nulla di Alchimia nonostante gli studi del padre e il tatuaggio con i risultati delle sue ricerche che portava sulla schiena, perciò era rimasta piuttosto impressionata dalle complicate formule disegnate sul pavimento, ma guardando al suo superiore doveva aver intuito che nulla di buono fosse uscito da quell'opera alchemica.

Perciò si affrettò a seguire il suo superiore quando uscì da quella casa come un tornado, alla ricerca disperata di quegli irresponsabili, mettendo una mano alla fondina della pistola per sicurezza.




Accade questo a chi osa entrare nella sfera del divino?

Seduto davanti a una tazza di tè, il più giovane Colonnello di sempre del Distretto Est ascoltava la storia di come quella autoritaria vecchietta, tale Pinako Rockbell, avesse trovato i fratelli Elric qualche settimana prima.

In realtà la sua concentrazione era alqualto labile, i suoi occhi neri non riuscivano a staccarsi da quei due alchimisti tanto talentuosi quanto sconsiderati... soprattutto il maggiore, che gli era stato presentato semplicemente come "Ed". Sapeva che stava andando a incontrare un giovane genio, ma si trattava solo di un bambino di undici anni, per il Fondatore!

Eppure era stato in grado di compiere una trasmutazione umana, per quanto incompleta e di legare l'anima di suo fratello minore Alphonse all'armatura che in quel momento aiutava quel piccolo corpo menomato a stare seduto dritto. Osservò i movimenti meccanici che compì per portargli alle labbra la tisana che aveva preparato la bionda nipotina della padrona di casa, che in quel momento era andata a servire il suo tenente nella sala d'ingresso.

Il rumore di ferro e acciaio dei passi di quell'armatura fece da sottofondo ai suoi pensieri, facendolo riflettere sul da farsi.

Non sapeva di essere andato ad arruolare un bambino, l'idea lo ripugnava profondamente: se era diventato un soldato in primo luogo era stato per il proposito di difendere gli innocenti.

Ma per la prima volta si permise di sondare gli occhi dorati di Ed. Fu sorpreso di quanto vide...

Quando l'aveva visto, privo di un braccio ed una gamba, seduto su quella sedia a rotelle, non era riuscito ad andare oltre alla rabbia che gli era montata in corpo per il terrore. Come aveva potuto quel bambino osare tanto? Aveva la minima idea di ciò che sarebbe potuto accadere? Per quanto si sapeva, al posto di riportare indietro l'anima della madre avrebbe potuto trascinare la propria e quella di tutti gli abitanti del villaggio all'inferno.

Ma poi l'armatura si era rivelata per chi era, aveva tremato mentre chiedeva perdono, a lui, uno sconosciuto in divisa che si era presentato alla loro porta dopo ciò che avevano passato. Questo l'aveva riportato a più miti consigli.

Ma ora che aveva potuto studiare in tutta tranquillità quel bambino, tanto sofferente e segnato da sembrare sul punto di lasciarsi andare del tutto, prese la sua decisione.
Perchè anche se in quel momento Ed aveva occhi spenti e vuoti, specchi d'ambra cristallizzata che stringevano il cuore solo a vederli, Roy Mustang capì che nascondevano ben altro. Sentiva che la loro vera forma era un'altra, più viva e selvaggia e che non tutto era perduto.

-Io credo che tu, Ed, abbia tutte le qualifiche per diventare un Alchimista di Stato. Dovresti prestare servizio militare, in caso di emergenza, ma avresti accesso a ricerche avanzate altrimenti proibitive per te, potresti persino trovare il modo per recuperare il tuo corpo e quello di tuo fratello.-

Non distolse i suoi occhi neri da Ed nemmeno per un secondo, non badò nè all'anziana donna nè all'armatura che ora costituiva il corpo di un bambino di appena dieci anni. Tutta la sua attenzione era per quel piccolo corpo pieno di fasciature, per quel volto pallido incorniciato da fini capelli dorati, ma soprattutto per quegli occhi ancora troppo vuoti.

-Non intendo obbligarvi, vi sto solo offrendo un'opportunità. Andare avanti, o restare dove siete: vivere nella disperazione, o cercare nuove prospettive. Dato che avete una possibilità, per quanto remota, di riavere i vostri corpi, io credo che dobbiate tentare. Anche se la strada che dovrete percorrere è un lungo fiume di fango.-

Forse era stata solo una sua impressione, ma in quel momento Mustang fu certo di vedere qualcosa nello sguardo del giovane alchimista. 

Interesse? Sfida? Coraggio? Risoluzione?

Anni dopo, quando tutto sarebbe stato risolto, Edith sarebbe stata disposta a giurare che furono le parole di sfida del Colonnello a catturare la sua attenzione, facendola riemergere dal suo stato di apatia. 

Ma in quel momento Mustang non seppe il motivo per cui improvvisamente l'ambra si sciolse e divenne oro liquido e caldo, che celava un fuoco di indomabile testardaggine. La mancanza di una risposta non gli impedì affatto di godersi il cambiamento, ma si impegnò a non darlo a vedere.

A quel punto si congedò piuttosto rapidamente, sicuro pur senza alcuna prova che non appena ci fosse stata la possibilità le loro strade si sarebbero incrociate nuovamente.

Avrebbe atteso con pazienza di vedere la risoluzione di quel piccoletto, e quanto essa avrebbe cambiato le vite di tutti coloro che avrebbe toccato.

Ebbene, Ed... i tuoi occhi hanno il fuoco dentro, che arde vivo e indomito. Come Alchimista di Fuoco, non posso certo permettermi di lasciar perdere una fiamma splendente come la tua...






Nota d'autore:

Salve a tutti! Sono qui per precisare una cosa che ritengo importante e che mi è stata fatta notare.
Siccome ho utilizzato il punto di vista del nostro amato Colonnello Mustang, mi sono riferita volontariamente a Edith come se fosse un maschio, dato che l'alchimista di fuoco non sa che lei in realtà è una femmina. Perciò, state tranquilli, è un errore voluto!
Bene, ora che ho specificato questo particolare, vi lascio alla lettura, sperando sia piacevole! Bacioni a tutti, e grazie per chi continuerà!

Flos Ignis

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Capitolo 3
*** Alchimista d'Acciaio ***


Alchimista d'Acciaio




-Sei certa di quello che stai per fare, Edith?-

La bambina sospirò mentalmente: quella era almeno la decima volta che la sua amica Winry le poneva tale domanda e, sinceramente, non ne poteva più di ripetere la risposta. Per amor di pace però si costrinse a ripetersi, dicendosi ancora una volta che quella sarebbe stata l'ultima.

-Sì, ormai ho deciso. Non intendo tornare indietro: diventerò un'Alchimista di Stato e troverò il modo di ridare ad Alphonse il suo corpo.-

-Nee-san, ricordati che quando accadrà anche tu riavrai il braccio e la gamba che hai perso!-

La ragazza sorisse al fratellino, felice di averlo al suo fianco a sostenerla in quella decisione. Impiantarsi due automail alla sua età era tutto meno che piacevole, ma non era la prima nè l'ultima a doversi sottoporre a un tale intervento. Poteva farcela, doveva farcela.

-Quanto ci vorrà tra intervento e riabilitazione?-

-Direi almeno tre anni.- Pinako Rockbell lo disse con una certa calma, non aspettandosi sicuramente proteste. Ma non aveva calcolato la determinazione della maggiore degli Elric.

-Me ne basterà uno solo.-

E non ascoltò la logica dell'anziana donna, come ignorò la preoccupazione di Winry e le sue lacrime.

La bambina aveva i capelli di un biondo più chiaro di quello dei fratelli Elric e due occhi di un'incredibile azzurro cielo, ma per l'affiatamento che avevano creato i tre fin dalla culla si sarebbe pensato facessero tutti parte della stessa famiglia. E, in qualche modo, così era.

Edith la prendeva spesso in giro per la sua tendenza a essere un po' piagnucolona, mentre Alphonse si preoccupava di consolarla, ma la verità era che entrambi tenevano a lei come se fosse una sorellina. La conoscevano da sempre e quando i suoi genitori, i dottori Rockbell, erano morti avevano portato il lutto insieme all'amica.

In quel momento però, Edith non poteva permettersi di assecondare le paure dell'altra bambina: aveva scelto la sua strada e niente e nessuno le avrebbe fatto cambiare idea. Sapeva che lei e sua nonna stavano cercando di proteggerla, ma per quanto fosse loro grata non era questo ciò di cui aveva bisogno.

Necessitava di una soluzione, ed essa era giunta in un modo totalmente inaspettato, nelle vesti blu di un Colonnello dell'esercito. Le sue parole non erano state come le mani tese nel buio per sostenere lei ed il fratello come quelle delle due persone che ora si stavano affaccendando accanto a lei, ormai rassegnate al fatto che non le avrebbero mai fatto cambiare idea.

No, la sua venuta era apparsa come un raggio di luce, come una scintilla: l'oscurità ora non era più senza fine, Edith sapeva che c'era un'uscita da qualche parte e il fuoco che quell'uomo aveva riacceso in lei con quelle parole tanto dure quanto veritiere l'avrebbe guidata e spronata a cercare la via.

L'ultima cosa che pensò prima che l'anestesia facesse effetto fu che un giorno, quando sarebbe riuscita a rimediare al suo immane errore riottenendo il corpo di suo fratello, avrebbe dovuto trovare dentro di sè il coraggio di fare qualcosa di piuttosto difficile per lei... ringraziare di cuore.

Non sono mai stata brava a parole, accidenti a me.




*****




Un anno dopo




-Dunque, come mai sei qui a Central, amico mio?-

-Sono venuto ad assistere agli esami di Alchimisti di Stato, come ti ho già detto.-

-Mhm... non so perchè, ma credo che tu non me la stia raccontando giusta, mio caro Roy.-

-Hughes, fai un favore a me e al mondo intero: impara a non impicciarti dei fatti altrui.-

-Faccio parte del reparto investigativo, "impicciarmi dei fatti altrui" è il mio lavoro!-

Il Colonnello Mustang sospirò stancamente, rinunciando a vincere una diatriba verbale con il suo amico, per l'ennesima volta. Da quando l'aveva conosciuto in Accademia, in quella che sembrava un'altra vita tanto pareva lontana nel tempo, non era mai riuscito a spuntarla con lui.

Anche solo ribattere brevemente era un incredibile dispendio di energie mentali.

-Comunque io ho del lavoro da sbrigare, non posso venire ad assistere insieme a te. In compenso, ho saputo che sarà presente il Comandante Supremo in persona!-

-Un comportamento insolito da parte sua...-

-Hai ragione. Ho sentito dire che si è interessato agli esaminandi di oggi perchè è presente una ragazzina di appena dodici anni.-

Dodici anni?

L'Alchimista di Fuoco salutò distrattamente l'amico, che tanto avrebbe rivisto quella sera stessa a cena, per poi dirigersi verso il luogo prestabilito seguito a pochi passi di distanza dalla sua immancabile guardia del corpo, che era stata rispettosamente in silenzio fino a quel momento.

Era passato poco più di un anno da quando aveva fatto visita ai due fratelli Elric nel paesino di Resembool ed ormai Ed doveva aver compiuto anche lui i dodici anni. Pensare che una ragazzina della stessa età stesse per partecipare a quell'esame gli aveva fatto pensare immediatamente a lui e ai suoi occhi dorati.

La loro fiamma sarà tornata a divampare?

Era capitato spesso, nei momenti in cui rientrava dal lavoro e si trovava in casa sua con la sola compagnia di un libro, che il suo pensiero corresse a quel bambino che tanto l'aveva colpito.

Se per il minore aveva provato una forma di tenerezza mista a compassione, per il maggiore le cose erano differenti: gli era montata un'ira che difficilmente aveva provato in vita sua alla vista di quel maledetto cerchio alchemico, ma al tempo stesso il rispetto per una mente tanto geniale si era timidamente affacciato nel suo animo.

Una parte di lui era impaziente di rivederlo, curioso di scoprire che tipo di persona fosse. Era certo che si sarebbero incontrati molto presto e il suo intuito raramente sbagliava.

Ma in quel momento non sapeva quanto aveva ragione...





Non è possibile...

Dagli spalti su cui aveva preso posto, il Colonnello Mustang godeva di una vista privilegiata. C'erano pochi altri soldati accanto a lui, mentre al piano terra, al centro di un'ampia sala vuota, stavano due caporali incaricati di scortare gli aspiranti Alchimisti di Stato quando giungeva il loro turno. 

Il Comandante Supremo, accompagnato da diverse guardie, aveva preso posizione davanti alla scrivania che c'era vicino alla parete opposta all'ingresso, costituito da un ampio portone di metallo. Rimaneva in piedi, con l'unico occhio che gli era rimasto leggermente socchiuso e l'espressione pacifica, come se si trovasse in vacanza invece che al Quartier Generale di Central City.

In una situazione normale, ciò avrebbe fatto quantomeno infastidire l'alchimista moro, ma tutta la sua attenzione era stata calamitata da una scintillante treccia dorata che dondolava leggermente ad ogni passo della piccola figura vestita di nero che aveva attarversato la soglia.

-Vieni pure avanti, Edith Elric.-

Quel nome mise fine a tutti i suoi dubbi. Il ragazzino che un anno prima stava seduto su una sedia a rotelle, con gli occhi spenti e due arti mancanti sembrava solo un ricordo.

Ora egli stava orgogliosamente in piedi sulle sue due gambe e la giacca mostrava entrambe le braccia: probabilmente si era fatto installare due automail, era una soluzione perfettamente logica, anche se per quanto ne sapeva lui i tempi di ripresa sarebbero dovuti essere molto più lunghi dei mesi passati dal loro primo incontro.

Quel ragazzo era una fonte di sorprese non indifferente.

Era proprio curioso di vedere come si sarebbe comportato davanti ad un personaggio tanto in vista. E ora che ci pensava, non aveva nemmeno mai sentito la sua voce...

Certo che Edith è proprio un nome da ragazzina. Capisco perchè si fa chiamare semplicemente Ed...

Il tempo di quella considerazione era stato sufficiente a distrarlo da quanto avveniva sotto di lui, ma l'improvvisa luce di una trasmutazione lo risvegliò dai suoi pensieri.

Una trasmutazione... avvenuta senza alcun cerchio alchemico.

Quante altre sorprese ancora nascondi, Edith Elric?

Molte, evidentemente, perchè Mustang non ebbe neppure un istante per riprendersi dalla sorpresa che vide il ragazzo partire con un velocissimo scatto in direzione della più alta carica militare dello Stato di Amestris.

Ma lo vuole ammazzare?

Non era paura, quanto più sconcerto e immotivato orgoglio che formavano questo suo pensiero, ma le quattro pistole puntate contro il ragazzo gli fecero istintivamente cercare i suoi guanti nella tasca interna del giubbotto militare. 

Poi però, a rompere quei secondi di stallo, fu la voce limpida di Edith, per nulla spaventata dal suo netto svantaggio. Le sue mani, sia quella di carne e sangue chee l'altra di ferro e acciaio, rimasero perfettamente salde mentre tenevano puntata la lancia alla gola di quell'uomo. 

-C'è gente che potrebbe approfittare di un'occasione simile per far fuori un pezzo grosso dell'esercito. Forse dovrebbe rivedere il suo modo di condurre questi esami.-

Fu allora che Roy potè rivedere finalmente i suoi occhi. 

Erano due polle di oro e ambra, fuoco liquido che non retrocedevano di un millimetro tanto era adamantina la sua risoluzione.

Erano occhi in cui perdersi e fu esattamente ciò che accadde a Mustang.





-Tieni, qui c'è il tuo orologio d'argento che ti qualifica come Alchimista di Stato, il certificato e i regolamenti...-

Porse al ragazzo quanto stava elencando, senza guardarlo direttamente in viso.

Erano diversi giorni che rifletteva su quanto si fosse sentito strano ad incontrare per la seconda volta quel ragazzino, eppure gli pareva la prima.

La persona spezzata e senza spirito che aveva conosciuto era talmente diversa da quella davanti a lui, quasi non credeva si trattasse della stessa che in quel momento stava scompostamente seduta nel suo ufficio a East City, dove era tornato subito dopo una veloce cena di commiato dal suo amico Maes Hughes, la sera stessa dell'esame di Edith.

Fu qualcosa di piuttosto ironico a distrarlo da quei confusi ragionamenti.

-Ma guarda un po', ti è stato assegnato un secondo nome piuttosto divertente... Alchimista d'Acciaio.-

-Sembra importante... lo porterò con orgoglio!-

Il ghigno diabolico che adornò quel viso angelico fu talmente divertente per Mustang che non potè fare a meno di provare un impulso irrefrenabile a prendere in giro il nuovo acquisto dell'esercito, che per suo sommo gaudio sarebbe stato sotto il suo comando.

-Sai, Acciaio, per quanto questo secondo nome sia ironico, trovo che il primo sia ancora più ridicolo... Edith è un nome da femminuccia.-

Fece a malapena in tempo a pronunciare l'ultima sillaba che un poderoso pugno d'acciaio lo colpì sulla testa, facendogli vedere le stelle.

-Ma che fai Acciaio, sei impazzito?-

-Io? Edith è un nome da femmina perchè io sono una ragazza.-

E così dicendo uscì dalla stanza come un tifone, l'espressione del viso furente e due occhi ambrati estremamente irritati, lasciandosi alle spalle un Colonnello piuttosto stordito e con la mascella a terra per lo stupore.







Nota d'autore:

Ok, forse ora mi prenderete per matta, o prenderete Roy Mustang per uno stupido...
Ma ho sognato fin dalla prima parola di questa storia di poter descrivere la scena finale di questo capitolo, in cui si scopre il malinteso!
Lo so che il caro colonnello poteva anche arrivarci sentendo il nome... ma poi che gusto c'era? ahahahahahahha
Scusate per questa piccola nota, ma volevo accertarmi che abbiate apprezzato quanto me questa scena. Dal canto mio, ho riso come se non ci fosse un domani.
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto comunque, dal prossimo si inizia con la linea temporale principale finalmente!!!

Flos Ignis
 

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Capitolo 4
*** Tempra esplosiva ***


-Alzati e cammina. Tu hai ancora due gambe sane su cui reggerti in piedi. Non hai bisogno di aggrapparti a nient'altro che non sia tu stessa.-

Edith disse quelle parole a Rose, la giovane dai capelli scuri e gli occhi pieni di lacrime davanti a lei, ma lo disse anche a sè stessa, alla bambina arrogante che era stata qualche anno prima, desiderando per la millesima volta che qualcuno le avesse mostrato quali terribili conseguenze il suo sconsiderato gesto avrebbe portato.

Volse le spalle a quella giovane donna che si sentiva sperduta e alla città di Reole, in cui le speranze di ridare il corpo a suo fratello Al avevano volato più in alto che mai, libere e leggere con le loro candide ali piumate, per poi essere infrante e venire scaraventate a terra, impattando contro la dura realtà da altezze così vertiginose da far venire i brividi.

Più alta è la torre, più rovinosa sarà la caduta.

Edith strinse le spalle dentro il mantello rosso che indossava da anni in tutti i suoi viaggi alla ricerca della Pietra Filosofale, sperando segretamente che quel colore tanto evocativo avrebbe portato fortuna.

Fino a quel momento gli sforzi dei fratelli Elric non erano ancora stati ripagati, ma questa volta ci erano arrivati davvero vicini. Pur falsa, la pietra che aveva portato al dito quel farabutto di Cornello aveva comunque incrementato notevolmente la portata dell'alchimia usata dal sacerdote di Leto.

Era un risultato, un ulteriore indizio della reale possibilità che quella pietra miracolosa esistesse veramente, o che per lo meno fosse possibile la sua creazione.

La più giovane Alchimista di Stato della storia aumentò la cadenza dei suoi passi, rassicurata dal rumore metallico di quelli del fratello, fiduciosa nella riuscita del suo intento. Se lo sentiva, erano sempre più vicini e lei non si sarebbe mai arresa fino a quando Alphonse non fosse tornato in un corpo di carne e sangue.

Il mondo avrebbe conosciuto la forza di una risoluzione d'acciaio come la sua.

Per il momento però il suo cuore doveva fare i conti con il fallimento, per cui non appena mise piede nello scompartimento del treno che li avrebbe riportati a East City buttò la sua valigia a terra per poi sprofondare scompostamente sui sedili, sperando di poter dormire un po'.

Il combattimento non l'aveva stancata troppo, ma la frustrazione inevitabile che provava aveva fiaccato la sua mente solitamente iperattiva.

-Nee-san, ti sei già addormentata?-

-No Al, volevi dirmi qualcosa?-

-In realtà mi è sorto un dubbio. Perchè ce l'hai avuta tanto con Rose?-

Lei si irrigidì, iniziando a tirare la punta della sua treccia dorata nel suo solito tic nervoso.

-Ma è ovvio, no? Quella ragazza è una sciocca, credere che i morti possano tornare in vita con la preghiera è come sperare che il Sole smetta di sorgere perchè vogliamo dormire più a lungo.-

Non era del tutto una bugia: la maggior parte dell'astio istintivo che aveva provato verso quella ragazza di poco più grande di lei era dovuto alla similitudine di intenti che aveva riscontrato tra lei e la sè bambina che rivoleva la sua mamma. L'idea che qualcuno desiderasse riportare in vita i morti la faceva sempre arrabbiare moltissimo, in parte con l'interlocutore e in parte con se stessa. Il risultato era che quasi sempre suo fratello minore doveva trattenerla dal riempire di botte il malcapitato di turno, scusarsi per il comportamento della sorella ormai quindicenne ma impulsiva come una bambina piccola e riparare ai danni che suddetta sorella aveva fatto.

Negli anni il carattere bellicoso di Edith era tutt'altro che sfumato e i tratti distintivi che già da piccola la distinguevano dal ben più pacato fratellino erano esplosi con l'avanzare del tempo. 

Impulsiva, testarda, determinata, dal temperamento focoso e i nervi facilmente irritabili.

Testuali parole di quel dannato Colonnello!

Come se già non fosse arrabbiata per i fatti suoi, ora ci si metteva anche il pensiero di quel maledetto Mustang a infastidirla maggiormente!

-...Ed? Nee-san?-

-Scusami, Al, mi ero distratta.-

-Perchè pensavi al Colonnello Mustang?-

Quasi Edith cadde dal sedile per la sorpresa. Adesso suo fratello si metteva anche a leggerle nel pensieri?

Il suo volto stupito e la bocca spalancata dall'incredulità furono evidentemente una risposta sufficiente per Alphonse, che rispose con la solita voce gentile e metallica, anche se aggiunse un po' di bonaria malizia per l'occasione ghiotta che gli aveva fornito la sorella.

-Hai fatto la tua espressione alla "Mustang, dannato Colonnello!".... Sai, la fai solo con lui, è tutta particolare.-

-Ma non dire scemenze, Al!-

-Vuoi dire che non stavi pensando a lui?-

-....-

A volte il silenzio era una risposta migliore di mille parole, decise Edith. E poi era davvero troppo imbarazzante pensare al fatto che avesse un'espressione unicamente dedicata a quell'uomo, per quanto mossa dall'irritazione.

-Non mi hai risposto, nee-san. Perchè ce l'avevi tanto con Rose?-

-Ti ho già risposto, mi pare.-

-Non hai detto tutto, però. C'è dell'altro. A me puoi dirlo...-

E quando il suo adorato fratellino usava quelle parole e quel tono di voce supplicante e al tempo stesso pieno di rassicurazione, Edith non poteva fare altro che cedere alle sue volontà.

Gli diede la schiena mentre cercava vanamente una posizione comoda per sprofondare nel torpore che la reclamava da diversi minuti una volta data quella spiegazione estremamente imbarazzante.

-...ato.-

-Scusa, cosa hai detto?-

-...ato!-

-Nee-san, se parli con la bocca premuta sul cappotto non riesco a sentirti.-

-Ho detto che mi dà fastidio che una ragazza debba limitare l'importanza della propria vita all'avere un fidanzato!-

Il silenzio regnò sovrano per sessanta, eterni secondi dopo quell'esclamazione tanto inaspettata.

Persino un paio di ospiti si erano girati a guardare incuriositi quella ragazzina tanto piccola che possedeva però un tono di voce così alto e squillante.

Fu Al a spezzare la breve stasi in cui i due fratelli erano caduti, ma di certo non lo fece nel modo in cui la sorella sperava.

Si mise a ridere. Tanto, davvero tanto e di gusto.

Lei ci vide rosso.

-Insomma Al, ecco perchè non volevo dirtelo!-

-Scusa, scusa nee-san, ma tutto immaginavo meno questo... problema.-

E ricominciò a spandere nell'aria quella risata metallica, così strana per gli altri viaggiatori ma ormai familiare per loro due.

-Puoi darmi torto? Rose praticamente viveva ormai solo per riavere indietro il suo ragazzo! Ma dico io, perchè una deve limitarsi ad avere come aspirazione massima quella di sposarsi e roba simile?-

-Se questo le rende felici...-

-Certo, perchè non conoscono altro che quello! Ma cavolo, siamo nel nuovo secolo da un po' ormai, le donne non sono più obbligate a essere solo mogli e madri. Guarda la maestra Izumi, o il Tenente Hawkeye!-

Il resto del viaggio passò così, tra una risata di Al e le reazioni esagitate di Edith, ormai dimentica di tutta la stanchezza provata quando si era distesa in quel vagone del treno.

Per continuare a sentire la risata spontanea del fratello, si disse, avrebbe continuato a esagerare quell'assurda parodia di discussione.

Tutto, perchè Al non sentisse le medesime frustrazioni che ghermivano il suo animo con i loro affilati artigli.



*****



E pensare che oggi doveva essere una noiosa, ordinaria mattina d'ufficio, e invece...

-Dunque, Acciaio, come mai da queste parti? Non avete trovato la pietra Filosofale?-

Il Colonnello Roy Mustang aveva la ferma intenzione di fare carriera nell'esercito ed arrivare fino in cima alla piramide, da dove avrebbe potuto proteggere tutti coloro che stavano sotto di lui. Per raggiungere il suo obiettivo doveva essere lucido e concentrato, sempre all'erta e privo di scrupoli. Aveva persino reclutato il "ragazzino" davanti a lui quando aveva appena dodici anni, rendendo Edith un cane dell'esercito.

Roy Mustang si concedeva pochi momenti di distrazione dal modus operandi che aveva fatto suo, ma quella era una delle rare eccezioni.

Perchè stuzzicare Acciaio era un passatempo troppo divertente da lasciarsi sfuggire.

Lei infatti lo guardò in cagnesco, pronta a saltargli alla gola. Solo il pronto intervento di Alphonse, che mise le mani sulle spalle esili della sorella, impedì a quest'ultima di scattare davvero contro di lui.

Ma negli anni aveva imparato qualche trucco per fare in modo che neppure tutta la forza del fratello dentro l'armatura potesse trattenere il caratteraccio della sua sottoposta.

-Allora, ragazzino, non rispondi?-

-Ancora non l'ha capito che sono una femmina, stupido Colonnello?- la sua lingua tagliente era battuta solo dal furore di quegli occhi dorati che tanto incantavano l'Alchimista di Fuoco.

Lui mosse la bocca in un ghigno impercettibile: aveva abboccato al suo amo ed ora non gli restava che tirare la lenza.

-Davvero? Eppure sei così piccola...anzi...-

Con la coda dell'occhio percepì il movimento flebile del sospiro del suo fidato Tenente, certamente la donna sapeva cosa stava per accadere ed era indecisa se fermarlo o meno. Ma ormai era troppo tardi, tutta l'attenzione di Mustang era per quella creatura davanti a lui, con cui la generosa natura era stata abbondante nei doni quanto crudele nella sorte.

Aveva tratti angelici, con quelle labbra fini e il volto appena allungato che si stava lasciando alle spalle i ricordi dell'infanzia, circondato come da un'aureola dai lisci capelli biondi come raggi di sole legati in una lunga e morbida treccia che le arrivava a metà schiena. I pantaloni di cuoio neri erano infilati in grandi anfibi maschili, ma fasciavano le prime curve di quel corpo di donna sui fianchi stretti, mentre il mantello rosso nascondeva a malapena unna canotta nera e una giacca a maniche corte dello stesso colore. In quel momento non erano visibili, ma Mustang sapeva che la ragazza aveva muscoli flessibili e scattanti, le sue piccole braccia erano in grado di picchiare quanto e peggio di un uomo, e non solo grazie all'automail.

L'aveva provato in prima persona, e questo pensiero lo divertiva sempre enormemente.

Quasi quanto ciò che stava per scatenare la sua successiva parola.

-...piatta.-

Ci volle almeno un quarto d'ora perchè Edith desistesse dal suo intento di infilzare la lancia che aveva trasmutato in un lampo negli occhi di quel "dannato Colonnello pervertito", e gli sforzi congiunti di Alphonse, Riza Hawkeye e Jean Havoc, il suo secondo Tenente, per bloccarla mentre era fuori di sè dalla rabbia. Roy rimase semplicemente seduto sulla sua poltrona a godersi lo spettacolo di quello scricciolo infiammato di rabbia, le gote rosse per quanto stava urlando e, sicuramente, anche per l'offesa ricevuta. 

-Suvvia, Acciaio, non dirmi che te la sei presa per così poco.-

-Lei cosa dice?-

-Ammetto che ora sarebbe impossibile scambiarti per un maschio come feci anni fa, ma permetterai che all'epoca era facile cadere in errore.-

-Mpf...-

-Ma dai, ce l'hai ancora con me per quella storia?- Mustang sogghignò, estremamente divertito.

-Ovviamente sì!-

-Ok, non ti scaldare di nuovo... per farmi perdonare, e per ringraziarti di aver posto brillantemente fine al caso di Reole, ti presenterò l'Alchimista Intrecciavite.-

-Perchè dovrebbe importarmene qualcosa?-

-Come sei sgarbata... ho letto nel tuo rapporto che quel sacerdote, Cornello, ha trasmutato delle chimere. Questo Alchimista è il massimo esperto in materia, si chiama Shou Tucker. Venite, vi accompagno da lui.-



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Capitolo 5
*** Verità spietata ***


Verità spietata





-Allora stasera vi farò venire a prendere da Havoc...-

Mustang si accorse subito che la ragazza non lo stava già più ascoltando: nel giro di pochi secondi aveva aperto un libro e dopo le prime parole la sua mente si era ormai estraniata dal resto del mondo.

-I piccoli geni di oggi hanno una capacità di concentrazione sbalorditiva.-

Il Colonnello annuì alle parole del padrone di casa: Shou Tucker, corti capelli castano spento e occhi blu che spiccavano dietro gli occhiali tondi, li aveva accolti senza troppe domande in un primo momento ma, come ogni buon alchimista, aveva applicato la legge dello scambio equivalente con Edith.

Se lei voleva accedere ai suoi libri e alle sue ricerche, avrebbe dovuto fornirgli quantomeno una spiegazione adeguata. Lui aveva cercato di arginare la situazione prima che degenerasse, ma quella pestifera ragazzina l'aveva zittito, affermando di essere d'accordo. Si era tolta i fini guanti bianchi e il mantello rosso che portava per celare il braccio d'acciaio, narrando brevemente quanto era accaduto quattro anni prima.

Mustang non era stato troppo felice della divulgazione di quella storia ad un'ulteriore persona, ma lo era stato ancor meno dell'espressione che aveva assunto la piccola Ed: mentre aveva mostrato un feroce rimorso per il corpo mancante di Alphonse, aveva liquidato la faccenda dei suoi arti come se fossero un dettaglio, qualcosa di esistente ma non rilevante.

Vederla però felice come una bambina alle soglie della biblioteca privata dell'altro Alchimista aveva fatto sorridere di cuore il moro, che si stampò nella mente quell'istante, certo che non gli sarebbe capitato troppo spesso di vederla sorridere in maniera così spontanea e genuina.

Era poi rimasto affascinato dal suo cambiamento: se l'attimo prima si era dimostrata quasi infantile nella sua semplice gioia, nel giro di pochi istanti aveva rivelato un atteggiamento risoluto e maturo, sembrando quasi adulta per via della sua spaventosa concentrazione.

Non si era sprecato in ulteriori saluti nei confronti dei due fratelli, ad eccezione di un cenno di commiato al minore, decisamente più consapevole del mondo intorno a lui rispetto alla sorella. Prima di uscire definitivamente dalla proprietà però, si ricordò di avere una comunicazione per l'Alchimista Intrecciavite.

-Ricordati che la verifica si avvicina.-

Temendo che Riza Hawkeye, insostituibile guardia del corpo a tempo pieno e mastino infernale della burocrazia a giorni alterni, decidesse di andarlo a riprendere da quell'uscita non esattamente autorizzata a pistola sguainata, l'Alchimista di Fuoco si sbrigò a tornare in ufficio.

Non notando in tal modo la scintilla di folle risoluzione che alle sue parole aveva preso vita, per qualche secondo, negli occhi dell'altro.




Non era stato troppo lontano nelle sue pessimistiche previsioni, Roy: la bionda Tenente aveva davvero la pistola in mano quando rientrò un quarto d'ora più tardi, ma era evidentemente di umore magnanimo, perchè decise di non sprecare pallottole per costringerlo a sedersi alla scrivania per lavorare. Aveva persino rimesso la sicura, vedendolo leggere attentamente alcuni fascicoli, pigramente ma per una volta in modo docile.

Le ore erano passate in fretta, ma i pensieri dell'uomo non erano riusciti a distaccarsi per troppo tempo dalla sua ossessione preferita. Avrebbe voluto vedere di nuovo quella testolina bionda così concentrata nei suoi studi, mentre assumeva un'espressione tanto persa quanto vivace.

Mustang stesso si sorprese a pensarlo, ma l'aveva trovata quasi...dolce.

Aggettivo assai poco calzante al caratterino esplosivo della sua subordinata.

Alla fine comunque non resistette alla tentazione e casualmente si scordò di avvertire il Sottotenente Havoc, fumatore incallito, cecchino e suo fidato sottoposto di passare a prendere i fratelli Elric prima di andare all'appuntamento di cui l'aveva sentito parlare con il Sottotenente Breda mentre uscivano dall'ufficio.

Di conseguenza, sarebbe toccato a lui andare a riprendere gli Elric.




-...Fullmetal? Che stai facendo, di grazia?-

Il militare si fece sfuggire quella domanda dalla bocca quasi senza accorgersene, tanto era stato sorpreso dalla scena che si era trovato di fronte una volta giunto nel grande giardino di Tucker.

Sorvolando sulla discutibile idea di fare lo scivolo sulla schiena di Alphonse, gioco alquanto pericoloso per una bimba di appena quattro anni qual'era Nina... che stava facendo, quella folle di Edith Elric, stesa sul prato, con l'automail trasmutato in una tenaglia dai denti arrotondati in modo che non ferisse, e un cane dal peso specifico doppio a quello della ragazza a trattenerla sul nudo terreno?

-Diciamo che ci siamo presi una piccola pausa...- rispose la bionda col filo di voce rimastole dalla lunga corsa a perdifiato che aveva fatto con Alexander, il cagnolone dal manto color panna che aveva preso a leccarle felicemente la faccia.

-Dai, basta! Smettila, non respiro...!-

La ragazza ridacchiò nonostante fosse evidentemente sfinita, la sua treccia dorata si era sciolta per via dei movimenti bruschi, spargendo intorno al viso arrossato dalla corsa un'aureola dorata.

Mustang ebbe un tuffo al cuore a quella visione, ma poi i frammenti d'oro che l'Alchimista d'Acciaio aveva incastonati negli occhi si erano inchiodati su di lui, sul suo sorriso canzonatorio e gli occhi d'onice ridenti, e la solita stizza defromò i bei lineamenti della giovane.

-Dannato Colonnello, che ha da fissare?- 

-Stavo constatando che per battere un cane dell'esercito è stato sufficiente un semplice cane... forse avrei dovuto reclutare lui al tuo posto. Di certo avrebbe obbedito con meno storie.- 

Per quanto la luce che Edith emanava esercitasse su di lui un fascino magnetico, Roy non avrebbe mai rinunciato al suo divertimento preferito... ovvero vedere la ragazza sgolarsi per la rabbia che solo lui sapeva stimolarle con tanta semplicità.

Ignorando i richiami di Alphonse e le risatine della piccola Nina, la giovane affilò il braccio destro con l'alchimia, lanciandosi contro il suo superiore, inviperita.

Lui si limitò a scansarla, ridacchiando per gli improperi che iniziò a lanciargli verbalmente non appena il fratello era riuscito ad immobilizzarla, trattenendola per le braccia.

-Dai, nee-san, non arrabbiarti così! Dobbiamo andare a riposare, ormai è tardi e il Colonnello è stato così gentile da venire fin qui per darci un passsaggio.-

Edith smise di urlare, ma il broncio che aveva assunto era tanto infantile quanto buffo, cosa che le fece notare persino la piccola Nina, scatenando una serie di borbottii offesi.

-Edith, posso chiamarti anch'io nee-san? Mi sono divertita tanto con voi oggi e sono davvero felice che tornerete a giocare con me e Alexander nei prossimi giorni!-

I presenti restarono un po' sorpresi dalla richiesta della bambina, ma Edith le sorride dolcemente, carezzandole il capo come farebbe davvero una sorella maggiore.

-Certo che puoi! Sai, mi ricordi tanto Alphonse da piccolo...- l'ultima frase l'aveva a malapena sussurrata, ma Mustang la sentì lo stesso.

Senza fare commenti si avviò verso la macchina, attendendo che le urla di gioia di Nina scemassero permettendo ai due Elric di raggiungerlo. Ciò non fu possibile fino a quando Edith non accettò di indossare una corona di fiori blu uguale a quella che la piccola si era messa in testa, ma almeno poi erano riusciti a ritirarsi per la notte.

Nessuno dei tre disse nulla durante il viaggio di ritorno, ma guardando dallo specchietto retrovisore Roy notò quanto il blu donasse a quella ragazza, almeno quanto il rosso fuoco che indossava quotidianamente.

Ma questo, se lo tenne per sè.


*****


I giorni scorrevano uno dietro l'altro freneticamente, traformandosi ben presto in settimane.

Lo studio nella biblioteca del signor Tucker per ora non aveva dato alcun tipo di risultato concreto, ma Edith e Alphonse avevano indubbiamente imparato molto sulle chimere e le strutture molecolari organiche di parecchi animali, cosa che li aveva resi incredibilmente entusiasti.

Ma la metà dei loro pomeriggi, dopo le prime ore di studio, veniva occupata da ben più lieti passatempi, che allietavano le loro giornate assai di più rispetto a qualsiasi tipo di scoperta alchemica. Quando Nina si svegliava dal riposino pomeridiano sgattaiolava nella biblioteca, prendeva un libro da colorare e si divertiva per un po' silenziosamente accanto a loro. 

La bimba però era piccola e aveva un sacco di energie, per cui si stancava in fretta di dover stare ferma e zitta per non disturbarli. Allora incitava Alexander ad andare a fare le feste a Edith, che il cagnolone aveva preso molto in simpatia, mentre lei si faceva portare in spalla da Alphonse, che per come la vedeva lei con l'occhio della fantasia era un gigante buono e alto come una montagna da cui non sarebbe mai caduta.

Edith, quando non era troppo occupata a ritrovare il respiro perduto a causa del dolce peso sbavante e peloso che le piombava sempre addosso, si perdeva a guardare il fratello e la "sorellina" acquisita, certa più che mai che l'incontro la piccola Nina fosse una manna dal cielo.

Attraverso il suo volto vedeva il sorriso di un piccolo Al, con i denti da latte che iniziavano a cadere, attraverso quella della piccola dalle trecce castane risentiva la sua squillante voce... e poi, insieme a Nina poteva ricordare la loro infanzia sotto un'ottica diversa, meno deprimente. Sicuramente meno solitaria.

Entrambi i loro padri erano troppo occupati con lo studio dell'Alchimia per badare ai rispettivi figli, per dedicare loro anche solo una distratta carezza. Negli occhi di Nina aveva rivisto il dolore che abitava in quelli di Alphonse e questo ai suoi li rendeva estremamente simili.

Lei era sempre stata diversa, dopo i primi, ovvi dispiaceri aveva imparato ben presto a farsi scivolare addosso l'indifferenza di suo padre, e quando egli era mancato al funerale della sua stessa moglie, Edith aveva cancellato anche l'ultima ombra di fede che aveva riposto in Hohenheim. Si era fatta forza per il ben più sensibile fratellino, aveva scelto da sola di assumere il ruolo di suo punto di riferimento e non se ne sarebbe pentita mai e poi mai.

Ma Nina era stata sola. Per quanto la compagnia di Alexander fosse di estremo conforto per lei, nonostante la compagnia e il divertimento che le forniva, di certo non era come avere un fratello.

-Edith nee-san, tornerete anche domani, vero?-

-Sicuro Nina!-

-Ciao Nina, a domani!-




Quel giorno l'azzurro del cielo era stato ricoperto da pesanti nuvole nere cariche di pioggia, per cui Edith e Alphonse si affrettarono verso la casa del signor Tucker.

Sentirono un tuono in lontananza proprio nel momento in cui varcarono il cancello in ferro battuto che delimitava il confine della villa. Sospirarono di sollievo quando la veranda li riparò in parte dalle prime gocce che iniziavano a cadere, e furono ancora più lieti, anche se leggermente stupiti, nel trovare il portone d'ingresso leggermente socchiuso.

Solitamente trovavano Nina ad aspettarli, o per lo meno ad aprire loro, ma non era mai successo che lasciassero la porta aperta. Edith sentì un formicolio sulla nuca, come prima di ogni battaglia, ad avvertirla di un pericolo, ma si dette della sciocca paranoica quando la voce del signor Tucker li invitò a raggiungerli nel suo studio.

-Venite ragazzi: come promesso, intendo mostrarvi la mia opera. Una chimera parlante! L'ho terminata appena in tempo per la verifica... sono salvo.-

Le sue ultime parole vennero a malapena percepite dai due fratelli, troppo sorpresi dalla creatura davanti a loro: era una svolta epocale della scienza alchemica, qualcosa di incredibile!

Edith si avvicinò a quella creatura dal muso canino e... era crine di cavallo, quello? Avrebbe chiesto al signor Tucker.

-Questa ragazza si chiama Edith... su, prova a pronunciare il suo nome.-

-Ed...ith.-

Il suono era cavernoso, ma quella creatura sembrava docile e innocua come un pulcino, tanto che Edith allungò la mano verso di lei per carezzarle il manto bianco e marrone. Provò un'inquietante sensazione di familiarità in quel gesto, ma prima che potesse rifletterci sopra avvertì le successive parole di quella creatutra.

-Ed..ith... nee...san.-

La ragazza, nell'udire quei suoni, avvertì un vortice di negatività distaccarla dal mondo.

Fu come ricevere una scarica elettrica a bruciare le terminazioni nervose che collegavano cervello e corpo. 

Fu come perdere cognizione di ogni cosa in un vasto spazio bianco, ove la mente non trova confini e ivi si perde per sempre.

Fu come sentir sprofondare il cuore in un buco nero infinito, non poter morire e dover quindi sopportare la sensazione di perdere una parte fondamentale di sè per tutta la durata di una vita senza fine.

Tutto era semplicemente troppo.

Le domande che fece a quell'abominevole Alchimista le rotolarono fuori dalle labbra senza che nulla vi si opponesse, ma quelle risposte, dato un un tono assurdamente indifferente, furono solo una conferma superflua. Lei, nel suo cuore, aveva già compreso la crudele Verità.

Due anni prima, egli aveva usato sua moglie per creare una chimera parlante e ottenere quel riconoscimento di Stato che, in quell'infausto giorno, aveva difeso sacrificando persino la sua stessa figlia.

-Dove sono Nina e Alexander?-

Dove siete? Esistete ancora, dentro questa desolante condizione, in cui entrambi non siete voi stessi ma, in parte, esistete entrambi?






Note:
Dunque, in primis mi scuso per avervi fatto attendere un po' più del solito, ma questo capitolo mi ha spezzato il cuore. Ho provato ad alleggerirlo con un inizio leggero, dolce persino, ma la crudele verità è che ho solo rimandato l'inevitabile.
E infatti, per chi è giunto fino in fondo, è arrivato il momento tanto temuto. La piccola Nina...
Come forse avrete notato mancano delle scene finali, ma non temete, arriveranno prossimamente! Se avessi continuato sarebbe venuto fuori incredibilmente lungo come capitolo, perciò ho deciso di smezzare e unire le successive scene di lutto alla prossima vicenda (chi di voi ricorda chi appare adesso?) in modo da legare ancora di più la continuità della storia.
Che dire? Piangiamo insieme la morte di un'innocente dalla purezza senza eguali, per cui tutti noi amanti del fandom abbiamo versato fiumi di lacrime.
Addio, piccola Nina.
Flos Ignis

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Capitolo 6
*** Siamo solo umani ***


Siamo solo umani




Gli eventi che erano seguiti si erano imposti in maniera casuale e confusionaria nella mente di Edith.

Sapeva di aver perso il controllo, di aver semplicemente ceduto all'ira bestiale - ma così tanto umana - che le era sorta nell'anima e in fondo al cuore non se ne pentiva. Quell'uomo non meritava di essere chiamato padre, tanto meno essere umano.

Eppure le ultime parole che le aveva rivolto avevano lasciato un segno in profondità e continuavano a riecheggiarle nella mente, senza tregua.

Guarda il corpo di tuo fratello e il tuo... non è questo il risultato del vostro "giocare con le vite umane?" Hai visto un'opportunità e l'hai colta, anche se sapevi che era proibito... siamo uguali, tu e io...

Siamo uguali, tu e io...

Uguali...


La verità era che quelle parole avevano fatto male perchè si era sentita colpita nel segno.

Ed ora non riusciva a smettere di pensarci, esse continuavano a suonare le corde della sua anima, straziandogliela come fossero tanti vetri affilati. E più ci ripensava più essi affondavano nel suo cuore, facendolo sanguinare.

Con spirito masochistico, invece che cercare di dimenticarle o archiviarle come i deliri di un pazzo, Edith le assorbiva come un assetato nel deserto.

Desiderava solo punirsi.

Per il peccato che aveva commesso da bambina.

Per il fatto di aver coinvolto suo fratello Al.

Per non aver salvato Nina.

Nina, la bambina che aveva "adottato" come sorellina, che le correva incontro non appena la vedeva, che le regalava coroncine di fiori blu ogni giorno perchè diceva che lei somigliava ad un angelo con quel colore sui capelli dorati.

La piccola che aveva lo stesso sorriso e la medesima dolcezza di Alphonse.

Nina, che era stata tradita da chi avrebbe dovuto amarla incondizionatamente e proteggerla a prescindere da qualunque cosa.

Che era divenuta... anzi, che era stata trasformata in chimera.

E di nuovo, le parole di Tucker tornarono a traforarle la cassa toracica, lasciandosi dietro solo un deprimente e oppressivo vuoto che premeva sui suoi polmoni, rendendole difficile respirare.

Non seppe per quanto tempo rimase immobile, seduta sotto una pioggia scrosciante che, misericordiosa, nascondeva le lacrime che le bruciavano come acido sulle guance. Non sentì i vani, disperati tentativi di consolarla di Alphonse, nè i secchi ordini dei militari che urlavano per udirsi a vicenda sotto il frastuono del temporale.

Era tutto incredibilmente ovattato, come una culla di benevolo oblio... al centro esatto dell'inferno.




A riscuoterla dal torpore in cui si era avvolta fu una voce roca e profonda, dal timbro basso e familiare. Fu incredibile come essa squarciò il velo che Edith aveva interposto tra sè e la realtà, nonostante gli urli che li circondavano e i tuoni che facevano sentire le grida di indignazione del cielo per la crudeltà umana.

Eppure lei lo sentì, perchè l'avrebbe riconosciuto anche in mezzo al caos più completo, in ogni luogo, in ogni tempo. Perchè era la stessa voce che l'aveva già ancorata alla vita la prima volta che essa si era mostrata in tutta la sua crudeltà, la stessa mano che avrebbe continuato a impedirle di cadere nell'oscurità. O che le avrebbe offerto l'aiuto necessario a darle anche solo la possibilità di rialzarsi.

-Noi Alchimisti di Stato siamo le armi umane dell'esercito. In caso di necessità dobbiamo essere pronti a sporcarci le mani. Mettendo a confronto il valore che diamo noi alle vite umane con quello che ha fatto Tucker, non c'è poi molta differenza.-

Ecco la conferma che temeva: le voci nella sua testa misero radici in profondità, facendole sanguinare l'anima. Se anche il suo superiore trovava logiche le accuse che le aveva rivolto Tucker, allora si trattava davvero di Verità.

-Anche se ti comporti come un'adulta, sei ancora una bambina, Fullmetal. Dovrai probabilmente affrontare angosce anche più grandi di questa sul cammino che hai scelto, ma tutto ciò che potrai fare sarà accettare la situazione e andare avanti.-

Sentì all'improvviso la mano guantata del Colonnello Mustang poggiarsi sul suo capo: d'istinto scosse la testa, ma egli tornò a farle una veloce carezza sui capelli, imperterrito, ignorando la breve ribellione della sua piccola protetta.

Perchè quel calore confortante non faceva altro che aumentare il suo bisogno di piangere?

-Sei stata tu a scegliere questa strada per recuperare i vostri corpi, Edith. Non importa che tu venga chiamata cane dell'esercito o demonio, devi sempre guardare avanti verso il tuo obiettivo. Non hai il tempo di fermarti per qualcosa di trascurabile.-

E il calore divampò, divenne fiamma e bruciò di rabbia il suo corpo, finalmente scioltasi dalla stasi in cui era caduta. Si alzò con gli occhi dorati che divampavano incontrollati, alla ricerca del paio nero come la notte di Mustang, ancora in piedi accanto a lei.

-Trascurabile? Recupererò i nostri corpi, non importa come verrò chiamata! Ma anche se mi definiscono cane o diavolo, noi non siamo demoni e nemmeno dèi. Siamo esseri umani... insignificanti esseri umani che non sono nemmeno riusciti a salvare una bambina!-

Mustang non abbassò lo sguardo nemmeno per un secondo, limitandosi a subire lo sfogo che aveva sperato di provocare. Se si fosse tenuta tutto dentro, era certo che sarebbe impazzita. Chi meglio di lui, d'altronde, sarebbe stato in grado di farla arrivare al punto da cavarle fuori tutta la furia che aveva immagazzinato?

-Vieni, Fullmetal, o ti prenderai un raffreddore...-

Cercò di prenderla sotto braccio per portarla con sè in un posto più riparato, ma stavolta lei si ribellò con furia, guardandolo con lo stesso odio che provava per Tucker e se stessa. Odiava tutti in quel momento, chi per i peccati che aveva commesso e chi per le giustificazioni insignificanti trovate per essi.

Ma più di tutti odiava Mustang, con la sua faccia così tranquilla e dannatamente comprensiva, perchè sapeva che stava parlando apposta in quel modo per farla stare meglio. Lei però non voleva stare meglio, desiderava soltanto patire il dolore di Nina, perchè non era stata in grado di proteggere la sua sorellina.

In preda ad una rabbia cieca sferrò un gancio destro all'uomo, che non tentò nemmeno di difendersi. Subì il suo pugno stoicamente, lamentandosi appena per l'impatto col suo pugno d'acciaio, ma restò in piedi e tornò subito a cercare gli occhi di Edith.

E questo, per qualche motivo, la fece stare persino peggio. Tutto il suo ardore si spense in un attimo, come la fiammella di una candela sotto quell'incessante pioggia, rendendola solo una bambola inerme tra le braccia del Colonnello, che la accolsero senza indugi. Faceva davvero caldo in quelle braccia, pensò, un secondo prima di abbandonarsi ad esse con tutta se stessa, a metà tra il sonno e la veglia, tormentata dagli incubi che avevano aggiunto un nuovo volto al suo dolore.




Fu una notte infinita.

Il volto di Trisha Elric continuò a presentarsi nei sogni di Edith, tingendo i dolci ricordi d'infanzia che facevano da sfondo in incubi su ciò che sarebbe accaduto in seguito. 

La giovane dai capelli dorati riviveva ogni notte il suo peccato sotto la sguardo perennemente vigile di suo fratello minore, impossibilitato a dormire o riposarsi, costretto ad un'eterna veglia ininterrotta. Il suo corpo fittizio aveva diverse controindicazioni, e di certo la solitudine che provava durante le lunghe notti come quella era una tra le più crudeli. 

Sua sorella dormiva quasi sempre male, si agitava al punto da urtare qualunque cosa avesse intorno e si lamentava come se la stessero pugnalando, più e più volte, sempre nel suo punto debole. Alphonse si sentiva impotente come non mai in quelle ore solitarie, svegliare la sorella non era nemmeno un'opzione da contemplare: in primo luogo se veniva destata contro la sua volontà era capacissima di iniziare a sferrare colpi d'acciaio prima ancora di sollevare le palpebre, in secondo non era per nulla semplice strapparla a quegli incubi avvolgenti come tele di profonda oscurità.

Quella notte non fu diversa dalle altre per il ragazzo costretto nell'armatura, ma Edith provò un tormento ancora più profondo del solito.

Perchè insieme a sua madre, trovò anche la piccola Nina a chiamarla nel sonno, alle volte con la vocina dolce che aveva quando si erano incontrate la prima volta, mentre subito dopo rivelava il tono roco e a tratti animalesco che aveva udito provenire dalla chimera che era nata dall'unione della piccola e del suo fidato amico a quattro zampe.

Fu un caleidoscopio di incubi e terribili sensazioni soffocanti che Edith dovette affrontare nella desolazione della sua anima addormentata, più e più volte, senza un attimo di pace per il suo cuore ferito.

Fu forse una grazia divina a destarla nel grigiore di un'alba piovosa, o più probabilmente il fulmine che aveva illuminato la stanza in cui avevano trascorso quelle inquiete ore.

Edith ci mise diversi secondi a riprendere il controllo di sè, a capire di essere sveglia e no, ciò che aveva sognato non stava accadendo davvero, non di nuovo.

-Nee-san, ti sei svegliata. Ti sei agitata molto stanotte, hai avuto un incubo?-

Lei per tutta risposta nascose gli occhi quasi completamente neri per quanto le pupille si erano dilatate, inglobando il naturale oro in una paura ancestrale e indomabile. Strinse le ginocchia al petto e vi nascose il viso, appoggiandosi con la schiena al muro dietro di sè.

Quando fu certa di non crollare davanti al fratellino, osò alzare nuovamente la testa, ponendo la prima domanda che le passò per la testa.

-Dove siamo?-

-A casa del Colonnello Mustang.-

Questo ebbe il potere di far balzare Edith giù dal letto come una scheggia, rendendola guardinga e attenta come se stesse svolgendo una missione in territorio nemico. Questo strappò una breve risatina ad Al, che però riprese ben presto a parlare per colmare le ore di tristezza che aveva consumato, al buio, senza poter condividere con nessuno dell'orrore cui aveva assistito. Il suo cuore era troppo grande e gentile per venire a conoscenza di certe crudeltà, Edith glielo ripeteva spesso da quando si era unita all'esercito...

-Ieri sei praticamente svenuta addosso a lui, perciò ha voluto portarti a casa sua visto che stava piovendo e che l'albergo era troppo distante. Io sono rimasto qui, mentre lui è tornato subito al Quartier Generale. Credo siano tutti in fermento visto che quanto successo è...-

-...imperdonabile.- fu lei a terminare la frase del fratellino, nuovamente padrona di se stessa e finalmente pronta ad affrontare quanto accaduto.

-Cosa accadrà a Nina, nee-san?-

-Non lo so nemmeno io Al... ma di certo intendo scoprirlo. Vieni, usciamo. Restare in questa casa mi mette ansia, ma il Tenente Hawkeye abita qui vicino: sono certa che se le chiedessimo informazioni non ci saranno problemi. Abbiamo tutto il diritto di sapere.-

Si intrecciò velocemente i capelli, indossò il cappotto rosso con il simbolo della sua maestra di Alchimia sulla schiena e infilò gli stivali. Mentalmente, ringraziò che il dannato Colonnello non si fosse azzardato a cambiarla per la notte, ma si rincuorò pensando che in quel caso Al avrebbe preso in mano la situazione.

Le scocciava da morire dovere un favore a quell'uomo, senza contare che era imbarazzante il modo in cui si era lasciata andare con lui. Arrossì di botto fin sulle orecchie, ma decise che doveva fare qualcosa per Mustang o non ci avrebbe dormito la notte. Si fermò di botto davanti alla porta d'uscita, prendendo la sua decisione.

-Tu vai avanti, ho dimenticato una cosa. Ti raggiungo in un attimo.-

Mentre Alphonse obbediva senza alcun sospetto per la piccola bugia della sorella, Edith si diresse nella camera in cui aveva dormito, constatando che era proprio quella del suo superiore.

Era passata per il salotto con cucina a vista giusto un momento prima, mentre Al era uscito dalla porta in mogano scuro che c'era sulla parete opposta ad una grande finestra che illuminava i pochi, essenziali mobili che componevano l'ambiente che solitamente costituiva il centro pulsante di una casa. Oltre alla stanza che li aveva ospitati c'era solo un'altra porta chiusa, che suppose portasse al bagno. 

La camera da letto di Roy Mustang era molto più semplice di quanto non ci si potesse aspettare, composta solamente da un comodo letto matrimoniale, un armadio in legno scuro, una scrivania bianca ingombra di documenti, una libreria chiusa con le ante superiori in vetro smerigliato e un comodino occupato da una lampada e un libro aperto con la copertina in alto, dimenticato in quel modo chissà quanto tempo prima.

Nuovamente, si trovò ad arrossire al pensiero di aver dormito nel letto che di solito usava quel dongiovanni del Colonnello. Ignorando la breve fitta che la colpì a quel pensiero, si rimboccò le maniche e battè le mani, pronta a ricambiare il favore che le era stato fatto da Mustang.




Sono morti. Entrambi. Sarebbe meglio per voi non vederli.

Le parole di Riza Hawkeye erano state trancianti, talmente crudeli nella loro semplicità che per la seconda volta nel giro di due giorni Edith si ritrovò a fare i conti con le voci che affollavano la sua testa, piene di angoscia, tormento e dolore... crudeltà, follia e disperazione.

Aveva così tanto a schiacciarle il cuore che fu incredula quando notò che i suoi passi erano leggeri e silenziosi sotto la pioggia, passava incredibilmente inosservata in mezzo a quelle poche persone che si affrettavano a cercare un riparo. Lei si limitò a sedersi vicino a una statua un po' discosta in una piccola piazza della città, certa di non venir notata nemmeno avvolta in quel colore sgargiante. Ma persino quel fiero rosso che indossava con orgoglio quel giorno sembrava cupo a causa della pioggia che lo appesantiva... assomigliava al colore del sangue.

-Sai Al, sono davvero una sciocca. La nostra maestra ci aveva insegnato le leggi dell'Alchimia, credevo di averle comprese. Ma in realtà ero talmente piena di me che pensavo di poterle aggirare, di poter comunque riportare indietro la mamma. Allora credetti veramente di aver compreso... ma non sono migliorata nemmeno un po' da quel giorno. Perchè c'è stato un attimo incredibilmente lungo in cui ho iniziato a pensare al modo migliore per riportare in vita Nina. Nonostante sappia qual'è il prezzo di tale operazione e della sua impossibilità. Nonostante tutto, io ancora ho pensato a un modo per salvarla.-

Alzò il viso verso la pioggia, grata del silenzioso conforto del suo fratellino. Alphonse, quanto gli voleva bene... senza di lui sarebbe già crollata.

-Credevo che la pioggia mi avrebbe fatta sentire meglio, ma ogni goccia che mi colpisce mi fa solo deprimere ancora di più. Non lo trovi triste?-

-Lo è, nee-san. Però io non posso nemmeno sentirla, questa pioggia che ci bagna, e anche questo è triste. Io voglio ritornare umano, desidero riavere il mio corpo più di qualunque altra cosa. Anche se ciò significasse andare di nuovo contro le correnti naturali del mondo. Lo trovi egoista?-

-No, Al. Solo umano.-




-Tu sei Edith Elric. L'Alchimista d'Acciaio.-

D'istinto alzò lo sguardo, nonostante la spossatezza che le scorreva nelle vene insieme al sangue l'avesse privata di ogni forza. Alcuni ciuffi di capelli le erano scivolati davanti agli occhi, e la pioggia continuava a cadere incessantemente rendendo difficile vedere bene, ma le fu chiaro abbastanza presto che lei non conosceva quell'uomo dalla pelle scura e con un corpo che esprimeva potenza.

Un tipo di forza distruttrice che si concentrò nella sua mano destra, diretta senza alcun indugio e a gran velocità verso di lei.





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Capitolo 7
*** A qualunque costo ***


A qualunque costo




-Scar?-

-Esatto. Secondo i testimoni ha una vistosa cicatrice sulla fronte, per questo l'abbiamo soprannominato così. Non conosiamo la sua vera identità, la sua provenienza, la ragione dei suoi omicidi... tutto ciò che abbiamo sono dieci cadaveri di Alchimisti di Stato in tutto il Paese.-

L'agghiacciante resoconto del suo amico Hughes aveva reso più chiara la situazione e dato un nome all'assassino di Tucker, ma di certo il loro compito non si era semplificato per questo. Anzi, quel resoconto aveva mostrato il ginepraio in cui Mustang si era involontariamente cacciato, ma come ogni volta, al posto di preoccupazione per la propria incolumità, tutto ciò che era in grado di provare era solo il brivido della caccia: stanare le sue prede non rappresentava solo un lavoro per lui, ma anche un piacere incomparabile.

Ed ora la sua preda si trovava lì a East City, ancora inconsapevole del fatto che venire nella città che era sotto la protezione dell'Alchimista di Fuoco sarebbe stato l'errore più grosso della sua vita.

Fu distratto dall'adrenalina che già gli scorreva in circolo dalla voce del tenente colonnello, che non aveva smesso di ciarlare neppure per un istante, tra le battute ironiche dell'amico e le raccomandazioni serie del militare.

Era talmente sfaccettato quell'uomo da sorprenderlo ancora, dopo più di dieci anni di conoscenza.

-Roy, te lo chiedo come amico: almeno per un po', aumenta gli uomini della tua scorta. A parte Tucker, tu sei l'Alchimista di Stato più conosciuto qui, è probabile che tu sia il suo prossimo obiettivo.-

-Il tenente Hwkeye è la migliore guardia del corpo che potrei avere, con lei al mio fianco qualunque assassino è destinato a fallire. Non sono io quello in pericolo, ci sono altri Alchimisti da...-

La voce gli morì in gola, menrte realizzava sul serio quanto stava affermando. Lui era certo di essere al sicuro con la sua squadra, specialmente grazie alla donna bionda che era al suo fianco fin da Ishval, persino in quel momento, silenziosa presenza confortante... ma Scar era ancora in giro a cercare i suoi obiettivi, e nonostante lui fosse indubbiamente il più famoso della zona, non era di certo il solo.

E qualcun'altro con un nome assai noto si trovava in città in quel preciso istante.

Si alzò con uno scatto felino, comandando a gran voce ai suoi uomini di seguirlo e organizzare al più presto delle squadre da coordinare per la cattura del criminale noto come Scar.

Edith era in pericolo.

Fu inseguito anche da Hughes e il resto della squadra investigativa, ma non ci badò minimamente, tutto ciò che fece fu correre fuori dal Quartier Generale, sotto la pioggia, per giungere poi alla sua macchina il prima possibile, dirigendosi al luogo in cui sapeva che la sua protetta amava rifugiarsi quando era in preda allo sconforto.

Gli ci sarebbe voluta quasi mezz'ora per arrivare fin laggiù in circostanze normali, ma la pioggia incessante di quei giorni aveva svuotato le strade e l'adrenalina e una tremenda paura avevano fatto rompere ogni indugio a Mustang, che superò tutti i limiti fisici e del buonsenso premendo l'acceleratore fino in fondo.

Arrivò al luogo prefissato in quindici minuti scarsi, ma gli parvero un periodo infinito. Gli si affacciarono alla mente alcuni terribili scenari, in cui Edith finiva inevitabilmente per essere sopraffatta da un'ombra ancora senza volto.

Delle esplosioni attirarono la sua attenzione pochi attimi prima che voltasse a destra per una scorciatoia, facendogli decidere in una frazione di secondo di scartare a sinistra per invertire la marcia. Dove c'era un combattimento, doveva per forza esserci anche lei.

E infatti scoprì ben presto di aver avuto ragione… ma avrebbe davvero voluto che così non fosse. Quando ichiodò con la macchina, tutto ciò che vide fu la sua giovane sottoposta bagnata come un pulcino, sporca di fango e con il braccio d'acciaio completamente in pezzi, tanto che ella neppure riusciva a rialzarsi da terra, continuando a scivolare.

Fin troppo vicino a lei si ergeva, imponente, un uomo dalla pelle scura di cui non riusciva a distinguere bene i lineamenti, era troppo distante… eppure, riuscì perfettamente a notare lo sguardo di Acciaio: era terrorizzata, ma anche rassegnata.

Quando la vide chinare il capo si riscosse, mandando al diavolo la prudenza e i rinforzi che non erano ancora arrivati. Nonostante avesse sempre detestato le armi da fuoco, come ogni buon militare non usciva mai senza almeno una pistola. La prese dalla fondina, sentendola estranea come sempre ma, per la prima volta, grato di possederla.

Sparò un colpo a vuoto di avvertimento, attirando l'attenzione degli altri due.

Per un fugace istante si chiese che fine avesse fatto Alphonse, ma in quel momento la sua priorità era tirare fuori dai guai la ragazza davanti a lui, talmente piccola e malconcia da suscitare in lui la stessa tenerezza che aveva già sperimentato durante il loro primo incontro, quando ancora era una bambina.

Si sarebbe preso cura di lei a qualunque costo.

Se lo era promesso anni addietro, quando lei, oltre ogni aspettativa, aveva passato l'esame di Alchimista di Stato giovanissima, entrando ufficiosamente nella sua squadra.

E lui si prendeva cura di chi stava sotto di lui, perché quello era il credo che aveva deciso di perseguire nella sua faticosa scalata ai ranghi dell'esercito.

-Scar, suppongo. Io sono Roy Mustang, desolato di fare la tua conoscenza. Se provi a scappare, ti sparo. Se tenti ad attaccarmi, ti sparo. Se invece sei più stupido di quel che credevo e cercherai di arrecare ulteriore dolore alla mia sottoposta, mando al diavolo il protocollo e ti uccido.-

-Colonnello Mustang!- udire la voce di Edith gli ammorbidì parzialmente i lineamenti contratti, per cui si rivolse a lei con toni ben più pacati di quello letale che aveva adottato contro il suo nemico.

-Stai bene, Acciaio?-

-Io… che sta succedendo? Al è stato distrutto, e poi il mio braccio… stia attento! Quest'uomo distrugge tutto ciò che tocca con la mano destra!-

-Il colonnello Mustang... Sei forse l'Alchimista di Fuoco? Dio deve avermi benedetto, non sono nemmeno dovuto venire a stanarti!-

-Oh? Dunque mi conosci, eppure sembri ben deciso a scontrarti con me. Accetto la fida!-

Gettò via la pistola, esaltato dallo scontro imminente, tirando fuori i suoi fidati guanti dalla fibra speciale.

I due contendenti camminarono velocemente uno verso l'altro, aumentando la velocità per darsi ulteriore carica.

Questa volta Mustang ignorò la voce di Edith, così come il suono di macchine che stridevano sull'asfalto bagnato, e altrettanto per le voci familiari dei suoi uomini o di altri soldati.

Ignorò tutto, ad eccezione della sua preda.

Fu per questo che venne preso completamente alla sprovvista da un colpo di pistola che lo mancò giusto di pochi millimetri, andando a sfiorare la spalla sinistra di Scar, che si tirò velocemente indietro come una bestia ferita.

-Colonnello...-

Udendo quel pericoloso tono di voce che tanto bene conosceva, automaticamente cercò una via di fuga, ma era troppo tardi. Il calcio di una pistola gli fu sbattuto crudelmente sulla nuca senza che potesse fare nulla per proteggersi, ma sapeva bene di meritarselo quella volta. Si massaggiò il punto leso, senza nemmeno voltarsi: non gli era necessario per sapere perfettamente bene chi fosse la persona che aveva osato tanto.

Riza Hawkeye aveva lo sguardo da cecchino fisso sul suo obiettivo, che al momento veniva tenuto a bada dal Maggiore Armstrong… per qualche motivo, nudo dalla cintola in su. Ma sentiva comunque il suo biasimo come se lo stesse percependo a pelle, dopo tutti quegli anni di lavoro gomito a gomito non gli servivano parole per comprenderla.

-Lei sa di essere stato assolutamente incosciente, vero?-

-Sì, Tenente. Mi scuso, ma avevo premura di venire a controllare che Acciaio non facesse una brutta fine.-

Proprio in quel momento, notò Havoc che copriva la ragazza con la sua giacca, portandola al sicuro tra i ranghi dei soldati. Finalmente potè respirare con più leggerezza, concentrandosi totalmente su quanto stava avvenendo.

Qualcosa che non aveva previsto, e che avrebbe drasticamente cambiato le sorti di molti di loro.

Uno sparo della donna al suo fianco spaccò gli occhiali scuri del loro nemico, rivelando i suoi occhi rossi come il sangue, pieni di desiderio di vendetta.

Egli era un sopravvissuto di Ishval.

Una voragine si era aperta in tutti loro, mentre l'uomo con il braccio destro tatuato con simboli alchemici scomponeva l'asfalto per sfuggire all'accerchiamento che era avvenuto durante lo scontro con il Maggiore Armstrong.

Quella non era una vittoria...

...era solo il passato che tornava, ed esigeva il suo prezzo.



 

Trovarono l'armatura che conteneva l'anima di Alphonse in un vicolo non troppo distante, ma abbastanza da consentire di tenere celato il suo segreto a quasi tutti i soldati presenti. In gran fretta recuperarono i suoi pezzi e lo caricarono sull'auto del Tenente Hawkeye, che l'avrebbe trasportato velocemente alla camera d'albergo in cui risiedevano i due fratelli quando giungevano a East City.

L'armatura sgangherata occupava tutto lo spazio disponibile, per cui Edith fu costretta a salire in macchina con il colonnello Mustang, mentre i suoi uomini restavano a supervisionare la ricerca di Scar.

Verosimilmente non si sarebbe fatto vedere per qualche giorno, considerando le ferite, ma era meglio essere prudenti.

-Stai bene, Acciaio?-

-Non sono ferita... ma nelle mie condizioni non posso fare niente. Ho bisogno di un braccio nuovo.-

-Sai già cosa fare?-

-Dovrò tornare dal mio meccanico a Resembool, farmi fare un braccio nuovo, riparare Alphonse... e poi ricomincerò la mia ricerca. Perchè sono ancora viva, e finchè avrò fiato in corpo potrò continuare ad andare avanti, sperare e costruire un futuro migliore.-

-Sono felice di notare che la ramanzina di tuo fratello minore ha fatto effetto...-

Lei si imbronciò come previsto, ma d'altronde una persona con un orgoglio smisurato come il suo non poteva certo subire una ripassata con tanto di insulti e strepiti dal proprio fratellino e non rimanerne ammaccata.

-Dannato Colonnello, doveva proprio rigirare il coltello nella piaga? Non era necessario che Al si arrabbiasse così tanto!-

-Io credo abbia fatto bene invece. Quando sono arrivato ti ho vista sai? Ti eri rassegnata a morire, tuo fratello ha fatto bene a dirti quelle parole.-

-Quali? "Stupida idiota di una nee-san!" o "se ti azzardi a morire in modo così idiota ti seguirò anche all'infermo per perseguitarti"?-

Mustang le sorrise, notando la smorfia scontenta sul suo bel visino ancora tutto sporco, con i capelli arruffati e la treccia ormai sciolta in un lontano ricordo.

Le scostò una ciocca di capelli ancora umidi dietro l'orecchio per poterla guardare bene in viso, constatando che il blu della divisa le donava moltissimo, anche se continuava a vederla meglio con il rosso fuoco che la accompagnava solitamente in ogni suo passo.

Quando lei gli diede attenzione, scostando la sua mano dal viso con una piccola sberla, lui ridacchiò, per poi spiegarsi.

-In realtà, non mi riferivo a questo. Non che non avesse ragione, beninteso. Sei stata una sciocca a rinunciare alla tua vita, anche se tutto sembra perduto devi aggrapparti con le unghie e con i denti a ciò che hai, se davvero non vuoi mollare. E io so che tu non sei una che molla facilmente.-

Aveva centrato il punto. Il fastidio che lei provava era rivolto a se stessa, perchè non era fiera di come si era comportata.

Però, insulti a parte, Alphonse aveva avuto ragione anche su altro, e Mustang ritenne necessario ricordarlo alla giovane sconfortata affianco a lui prima che arrivassero al suo albergo.

-Ha detto che devi continuare a vivere per recuperare i vostri corpi, anche se siete a pezzi, perchè avete ancora una forte volontà. Che devi continuare a imparare per impedire alle tragedie come quella della piccola Nina di ripetersi. Che ha fede in te e quindi non ti permetterà di lasciarti andare, a qualunque costo.-

Si fermò davanti alla sua meta, spegnendo il motore della macchina.

In questo modo potè guardarla per bene, voltandosi verso di lei per dirle un'ultima cosa prima di lasciarla andare a riposare.

-Mi trovo d'accordo con ogni parola. Ti attende un futuro brillante, non ti permetterò di buttarlo via. Non mi importa se arriverai a odiarmi o disprezzarmi... a qualunque costo, farò di tutto per impedirti di lasciarti andare.-

-Perchè mi dice questo, Colonnello? Lei cosa ci guadagna?-

-La più giovane Alchimista di Stato della storia dalla mia parte, sotto la mia giurisdizione, che fa importanti scoperte alchemiche o opere di pura grandezza darà una bella spinta alla mia carriera...-

-Dannato colonnello manipolatore!-

-... e vedere realizzato il futuro che spero per una giovane molto promettente e per cui nutro grande stima mi porterà un po' di sana soddisfazione personale.-

-Quindi lo fa sia per me che per lei?-

-Per metterla giù in modo semplice, sì.-

-Con lei è sempre tutto dannatamente complicato.-

-E con te tutto è sempre molto rumoroso e caotico.-

-Deve per forza ribattere a ogni mia parola?-

-Dove starebbe il divertimento altrimenti?-

Edith emise un grugnito di esasperazione, cercando di aprire la portiera per andarsene finalmente a dormire. Era stata una giornata sfiancante, praticamente infinita. Prima che se lei ne rendesse conto, Mustang era sceso dall'auto per aprirle la portiera e porgerle una mano con fare galante.

Le guance le si imporporarono leggermente, ma come prima allontanò l'aiuto con una lieve spinta per alzarsi da sola. Ricordava fin troppo bene il calore di quelle mani e come vi si era abbandonata appena il giorno precedente, non voleva pensarci ancora di più di quanto già non stesse facendo.

-Buonanotte, Colonnello. Grazie per... il passaggio.-

In realtà avrebbe voluto dirgli grazie per averle salvato la vita, ma era molto più semplice nascondersi dietro quei piccoli espedienti.

-Non c'è di che, Acciaio. Spero di non doverti dare un "passaggio" troppo spesso però... non con questa tremenda pioggia, comunque.-

Edith sorrise sinceramente per la prima volta da quelli che le parvero secoli. Lui aveva capito, non aveva alcun dubbio. Era confortante sapere che esisteva qualcuno al mondo, a parte suo fratello, che la capiva e accettava per come era. Incapacità di esprimersi compresa.

-Già... in fondo, lei con la pioggia è inutile, vero Colonnello?-

Fu ricompensata da una smorfia infastidita, come un bambino sgridato dalla mamma, e ciò la fece ridacchiare.

-Non è mica semplice creare una scintilla con tutto questo umido!-

-Infatti lei prima non stava affatto cercando lo scontro con un killer di alchimisti sotto la pioggia, sotto cui la sua alchimia è inutile...-

-Non rigirare il coltello nella piaga, Acciaio.-

-E lei non mi rubi le battute, dannato Colonello.-

E quella fu davvero una dolce buonanotte, in cui Edith era certa che gli incubi non sarebbero tornati, che le fiamme sarebbero state solo uno scudo per lei e non più il ricordo del giorno in cui aveva reso cenere il luogo della sua infanzia.

Perchè anche sotto la pioggia, qualcuno era accorso a salvarla, incurante della propria incolumità, impossibilitato a difendersi con l'arma che gli era propria.


 

 


 

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Capitolo 8
*** Ferro, Acciaio, Ossigeno ***



Ferro, Acciaio, Ossigeno




La stazione dei treni quel giorno era meno caotica del solito.

Voci su un pericoloso criminale che aveva dichiarato guerra all'esercito, più specificatamente contro uno dei suoi corpi d'èlite quali erano considerati gli Alchimisti di Stato, aveva fatto passare la voglia di compiere viaggi non necessari alla maggior parte della popolazione.

Nonostante il potere detenuto dall'esercito era stato impossibile mettere a tacere una novità tanto inquietante: questa, a parere di Edith, non era una buona notizia, poichè si rischiava di scatenare inutilmente il panico...

In fondo, erano solo i "cani dell'esercito" gli obiettivi di Scar.

Ma poi il dolore la colpì come una frustata al pensiero che anche Nina era stata uccisa. Non aveva già sofferto troppo per essere così piccola? Perchè la sorte le aveva riservato anche una fine tanto orribile?

La giovane alchimista si passò l'unico braccio rimastole sul viso, cercando di scacciare i pensieri che non la smettevano di arrovellarsi nella sua testa. Avrebbe tanto voluto poter chiacchierare un po' con Alphonse, ma a causa della sua situazione attale era stato ritenuto più prudente chiudere i pezzi della sua armatura in una grande cassa di legno e caricarlo come bagaglio nel vagone merci.

Aveva protestato sentitamente quando il Colonnello Mustang le aveva proposto quella soluzione, appena poche ore prima, ma lo stesso Al aveva confermato che non avevano alternative e che per lui non c'erano problemi.

Per aggiungere la beffa al danno poi, ritrovandosi senza il suo braccio meccanico, era di fatto completamente inerme: non una situazione rosea, con l'uomo di Ishval ancora in circolazione. Questo aveva scatenato una nuova discussione, condita da sentite maledizioni agli avi del militare suo superiore, che si era categoricamente rifiutato di permetterle di partire da sola. Aveva cercato di convincere il Colonnello che il suo paese natale distava poche ore di treno e che quindi lei e Al non correvano grossi rischi, ma l'uomo era stato irremovibile.

Ed ecco il perchè il Maggiore Armstrong in quel momento si trovava al suo fianco come scorta. Non che non le stesse simpatico, l'aveva visto combattere il giorno prima e, nonostante le stranezze che aveva urlato con incredibile orgoglio parlando dell'arte alchemica della sua famiglia, aveva intuito che era un uomo forte e affidabile.

Certo, ancora non si era ripresa del tutto dalla visione dell'uomo a petto nudo - per chissà quale ragione, tra l'altro - che piangeva come una fontana cercando di abbracciarla, inseguendola per tutto l'ufficio del'Alchimista di Fuoco, strillando su quanto fosse commosso dall'amore fraterno che l'aveva portata fino ai limiti estremi dell'Alchimia per cercare di riavere sua madre e in seguito per riportare indietro l'anima del fratellino.

In suo soccorso era intervenuto di nuovo Mustang, che aveva fatto uno strategico passo di lato per coprire a metà Edith col suo stesso corpo, indossando con nonchalance estrema uno dei suoi guanti.

Edith grugnì di disappunto: in un modo o nell'altro, la sua irritazione era sempre legata a doppio filo alla presenza, alle parole o anche al solo pensiero del suo superiore.

Appena poche ore erano passate da quegli istanti di assurda follia, ma Edith ancora si stava chiedendo cosa diavolo gli fosse preso. Perchè aveva cercato di proteggerla da un uomo che poco dopo le aveva assegnato come scorta?

Sospirò, decretando che gli uomini erano decisamente una razza strana cui era molto felice di non appartenere. E di cui Al faceva eccezione, naturalmente.

-Credo ci siano visite per te, Edith Elric.- la voce profonda del Maggiore la distrasse dai suoi pensieri, facendola voltare verso l'esterno del treno che sarebbe partito entro pochi minuti. 

Davanti al finestrino stavano due soldati che le erano molto familiari, ma che non avevano alcun motivo di essere lì.

Stupita, si affrettò a tirare giù il vetro che la divideva dalle sue conoscenze e, soprattutto, da risposte che temeva non le sarebbero minimamente piaciute: -Che cosa ci fate qui?-

Il Tenente Colonnello Hughes le fece un sorriso affettuoso e divertito insieme, sistemandosi gli occhiali rettangolari e scostando un ciuffo corvino dalla fronte con un gesto che alla ragazza ricordò terribilmente il migliore amico del militare di fronte a lei.

-Al quartier generale sono tutti molto indaffarati, perciò hanno mandato me a salutarti.-

-Non ce n'era bisogno, ma li ringrazi da parte mia.-

-Inoltre porto un messaggio di Roy per te: "detesto compilare scartoffie, perciò non azzardarti a morire mentre sei sotto il mio comando".-

L'altro militare, anch'esso moro e con gli occhiali, ma dai tratti molto più giovanili e il fisico che conservava ancora tracce dell'adolescenza, si strinse la testa nelle spalle, quasi imbarazzato dalle parole scortesi del suo superiore.

Una volta di più, Edith si chiese come facesse un bravo ragazzo come Fury ad essere finito nell'esercito e, ancora peggio, nella squadra del Colonnello bastardo, ma c'erano misteri al mondo che evidentemente non toccava a lei svelare.

Ben lungi dall'essere offesa da quelle parole, ma anzi, divertita da quel modo particolare di comunicare tipicamente e solamente loro, rispose.

-Riferisca al suo amico bastardo: "ricevuto, prima di morire mi accerterò che lei sia già stato seppellito!".-

Hughes scoppiò a ridere alla sua risposta e persino il Maggiore Armstrong e Fury azzardarono una risata, sotto sotto tutti sollevati nel notare in Edith lo stesso spirito battagliero di sempre che, dopo la notte precedente, temevano affievolito.

­-Il mondo è davvero pieno di strani e meravigliosi casi umani, e di certo tu e Roy siete due tra i più sorprendenti che abbia mai conosciuto! Se non vi ammazzate prima a vicenda, scommetto che avrete una lunga e interessante vita!-

-Confermo, Tenente Colonnello... ma vorrei sottolineare la postilla del "se prima non ci uccidiamo tra noi".-

Questa volta Edith stessa lasciò libera la sua risata, ma il fischio che annunciava la partenza del suo treno coprì qualsiasi altro suono per un paio di secondi.-

-Beh, è stato un vero piacere incontrarla! Fury, quando torno ti aiuto a riparare la radio di cui mi hai parlato l'altro giorno.-

-In verità, Edith, io non sono venuto solo a salutarti...- il ragazzo sembrava imbarazzato, così sbagliato il suo atteggiamento remissivo dentro quella divisa blu troppo rigida da far storcere il naso a Edith.

-Anche tu porti un messaggio?-

-Non proprio...-

Hughes sospirò, capendo che se non avesse fatto qualcosa lui stesso il treno sarebbe partito prima che il giovane soldato al suo fianco riuscisse a trovare le parole per esprimersi.

Lo afferrò dunque per i fianchi, e all'urlo di: "lo prenda, Maggiore!", lo scaraventò con poca grazia all'interno del finestrino aperto, travolgendo Edith e facendo nascere due urli gemelli di sgomento dalla ragazza e dalla povera vittima del lancio a sorpresa del Tenente Colonnello.

Fury era talmente minuto che un uomo medio poteva tranquillamente sollevarlo, cosa che il suo compagno di squadra Havoc faceva di continuo, ma era dai tempi dei bulli dell'Accademia che nessuno lo usava al posto della palla di piombo usata per il lancio del peso.

Aveva dimenticato quanto fosse deprimente la sensazione, ma almeno il Maggiore aveva avuto i riflessi pronti e lo aveva afferrato al volo, impedendogli di rompersi il naso.

-Beh, buona fortuna per il tuo braccio e per il corpo di tuo fratello, Edith, spero davvero di rivederti presto!-

Furono queste le ultime parole che Edith udì dal militare, dopodichè il treno partì e di lui rimase solo il ricordo del suo ultimo sorriso impertinente e divertito.




C'era voluto un po' di tempo prima che la situazione tornasse ad una parvenza di normalità, durante il breve volo l'attrezzatura che Fury portava sulla schiena si era un po' dispersa e ammaccata, per cui si erano messi tutti di buona lena per raccogliere i vari circuiti e ingranaggi che erano finiti un po' ovunque. La gente accanto a loro in quel vagone li aveva guardati un po' storto, ma quando avevano visto le divise blu dei militari e una bella ragazza bionda senza un braccio si erano sentiti rassicurati e commossi al tempo stesso, lasciandoli con discrezione alle loro faccende.

-Dunque, Fury, adesso mi spieghi cosa diamine ci fai qui?-

-Per farla breve, il Colonnello mi ha ordinato di accompagnarti a Resembool e ritorno.-

-Ci ero arrivata fino a qui, ma perchè? C'è già il Maggiore a farmi da scorta e già questo mi pare troppo, ma tu per quale motivo sei stato mandato?-

-Mi è stato detto che, nel caso in cui succedesse qualcosa, specialmente se Scar si fa di nuovo vivo o se ti trovi in pericolo per qualsiasi altra ragione, io devo essere presente per comunicare subito al Colonnello la situazione in modo che resti aggiornato.-

-Un comportamento insolito da parte del Colonnello. Deve tenerci davvero molto alla tua incolumità, Edith Elric.-

La giovane Alchimista però era di tutt'altro avviso. Quell'uomo voleva controllarla!

E lei aveva controllato la sua rabbia anche troppo, decise.

-Al diavolo Mustang e le sue manie di onnipotenza!- si alzò di scatto, decisa a trovare ovunque Al fosse stato caricato per poter finalmente stare con la sola compagnia su quel treno che riteneva davvero affidabile.

Ah, ma gliela avrebbe fatta pagare cara al bastardo non appena avesse riavuto indietro il suo braccio!

E lei che gli aveva persino lasciato un regalo creato con la sua alchimia, la mattina prima, per ringraziarlo della sua premura.

Altro che preoccupazione, quello è un maniaco del controllo! Non mi lascerò ingannare mai più da quei maledetti occhioni scuri, parola mia!




-Etciù!-

-Si sta forse ammalando, Colonnello?-

-Non credo, Tenente Hawkeye... credo piuttosto che qualcuno stia parlando di me.-

Osservando l'orologio d'argento che lo identificava come Alchimista di Stato, Roy fece un piccolo sorriso soddisfatto che non avrebbe per nulla sfigurato sui lineamenti di un bambino dopo aver rubato la marmellata da sotto il naso della madre.

Sospirando, Riza si disse che conosceva fin troppo bene quell'espressione: applicata al bambino con cui aveva quotidianamente a che fare, poteva significare solo una cosa.

-Non credo capirò mai la sua strana necessità di tormentare quella povera ragazza.-

-Mandarle dietro Fury non è certo un tormento, è stato un atto ragionato.-

-Con un divertente tornaconto personale, dato che sa benissimo quanto sia insofferente all'autorità e al controllo.-

-Touchè, Tenente.-

La donna sorrise al piccolo cenno che le rivolse, sorrise per il semplice motivo che conosceva tanto bene quell'uomo da leggere le parole che quegli occhi scuri e la piega delle labbra le stavano silenziosamente comunicando.

La preoccupazione per Edith, il piano che aveva architettato per tenerla più al sicuro possibile, la copertura che aveva creato per mantenere la sua facciata di divertita indifferenza.

Trovava estremamente tenera la cura che il suo capo aveva nei confronti della piccola alchimista, ma si guardava bene dal dirlo ad alta voce.

Per per quanti anni potessero passare, per quante idiozie compisse e per quanto infantile potesse dimostrarsi, quell'uomo rimaneva per lei il ragazzo pieno di sogni e ideali che aveva conosciuto prima dell'inferno di sabbia che infestava tutti i loro incubi, ma anche l'uomo che da esso l'aveva salvata dandole uno scopo e con il quale cercava redenzione da un peccato imperdonabile.

Si chiese per quale motivo non si fosse innamorata di lui: per quanto poco propensa a quel genere di sentimenti, se le avessero chiesto chi vedeva al suo fianco nel futuro avrebbe avuto solo un nome in mente, ed era quello di Roy Mustang.

Ma se questo per una donna comune avrebbe significato amore, per Riza Hawkeye era tutt'altro.

Era la terra che la sosteneva, l'ideale per cui combattere e la forza che le consentiva di farlo.

Era il rispetto, la fiducia, l'affetto persino, ma più di ogni cosa era la granitica sicurezza di un legame incorruttibile, qualcosa che neppure l'amore avrebbe potuto rovinare o cambiare in alcun modo.

No, Roy Mustang non avrebbe potuto occupare nel suo cuore il posto che sarebbe spettato ad uno sposo, ma questo non significava che quello che rappresentava per lei non fosse altrettanto fondamentale.

-A cosa stai pensando, Tenente? Non è da te essere così assorta.-

-Pensavo al motivo per cui non potrei mai innamorarmi di lei, Colonnello.-

Sincera di natura com'era, non capì il motivo per cui l'uomo quasi si strozzò con la sua stessa saliva alla risposta che gli aveva fornito.

-Ma cosa vai a pensare?-

-Per quale motivo reagisce così? Si sente offeso perchè qualcuna non cade ai suoi piedi?-

-Per carità, non ho mai pensato a te in certi termini! Per questo sono più che felice che tu non sia "caduta ai miei piedi", come dici tu.-

-Allora qual'è il problema?-

-Nessun problema! Solo un moto di sorpresa per l'argomento alquanto... insolito.-

Soddisfatta per la risposta, tornò a prestare attenzione ai documenti che doveva revisionare entro la fine della giornata, ma poi l'unico altro occupante della stanza tornò a distrarla.

-Giusto per curiosità, per quale motivo credi che non potremmo innamorarci, noi due? Non che non sia d'accordo, ma sono interessato alle tue conclusioni.-

Lei si prese qualche secondo per trovare le parole adatte, ma alla fine si scoprì a parlare prima di deciderle razionalmente, nate spontanee nella sicurezza che emanvano.

-Lei, Colonnello, riveste un ruolo di prim'ordine nella mia vita. A volte mi sembra quasi di essere un'estensione della sua esistenza, qualcosa che ha la medesima origine in un certo senso. Ha la mia piena stima e la mia incondizionata fiducia, ma ne abbiamo passate così tante insieme che se a legarci fosse un sentimento puro come l'amore, finiremmo con il corromperlo, e con esso anche tutto il resto verrebbe compromesso. In un certo senso, è un sentimento troppo instabile da aggiungere ad un legame così intenso. Invece che renderlo più forte, spezzeremmo tutto.-

L'uomo annuì, come se quelle parole le avesse ragionate lui stesso e la sua assistente le stesse solamente esprimendo per lui.

Una realtà non così improbabile, dato il loro rapporto simbiotico.

-Capisco benissimo, è esattamente la conclusione a cui sono giunto io stesso. Se la catena che ci lega è ferro, temprato dalle avversità per essere il più resistente in circolazione, l'amore sarebbe per noi ossigeno. Forse ci farebbe respirare, ma corromperebbe il materiale della catena.-

-Immagino siano paragoni da alchimisti.- scherzò lei di rimando.

L'uomo capì il tentativo di distensione e lo accolse con un sorriso grato.

Ma siccome Riza non gli aveva ancora perdonato di aver mandato via Fury senza averla prima almeno consultata, soprattutto visto il momento problematico, decise di prendersi una piccola soddisfazione personale.

-L'oro e l'acciaio non vengono corrotto dall'ossigeno, giusto?-

Egli la guardò in piena confusione, non capendo dove volesse andare a parare, ma irrigidì le spalle d'istinto, capendo dal tono di sottile insinuazione della sua guardia del corpo che avrebbe dovuto incassare un durissimo colpo per qualche grave motivo che ignorava.

-Non avevo finito di dirle i miei motivi per cui non potremmo stare insieme: lei ha già un legame che l'ossigeno non può deturpare, lo sa? Un legame che la unisce a una tempra d'acciaio dagli occhi dorati...-

Stoccata, affondo.

Vittoria per il Tenente.

Non per nulla, riflettè la donna osservando il suo capo boccheggiare alla disperata ricerca di una risposta adeguata che non avrebbe trovato, sono un cecchino. Non manco mai un colpo.



 

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