Mi basta vederti sorridere

di Nirvana_04
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lui conobbe lei e se stesso... ***
Capitolo 2: *** Lei conobbe lui e se stessa... ***



Capitolo 1
*** Lui conobbe lei e se stesso... ***


Mi basta vederti sorridere
 
 
 
 
Si conobbero.
Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non si era mai saputo.
[...]

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Correvo… senza notare lo sciame di lucciole che c’era intorno a me… Proprio io che desideravo vederle…
Socchiudi gli occhi e le lanci un’occhiata. La vedi rovistare tra i rovi, incurante di conficcarsi le spine. Sana non ha mai paura di ferirsi, attacca tutto e tutti con la sua esuberanza. A volte è davvero fastidiosa!
«Che stai facendo?» borbotti esasperato.
«Devono essere qui da qualche parte!» ti risponde, ancora intenta a cercare.
Guardi l’orizzonte accendersi di luci soffuse e sprazzi di limpido mare. Hai le mani in tasca, per nascondere i sassolini che ti stacchi dal cuore e che lanci all’occorrenza, e il viso imperturbabile perché – diciamolo – mostrare un sentimento è come mostrare un bersaglio a cui puntare e fare fuoco. Il tramonto abbaglia, ti costringe a schermarti gli occhi: fa male vedere qualcosa di così bello. Se non lo vedi, non te ne innamori; e se non ti innamori, non soffri.
Lanci un altro sguardo verso di lei e sospiri. «Adesso basta. La vuoi smettere?» L’afferri per un braccio e la tiri via. Si era praticamente buttata sopra al roveto. «Ecco, hai le mani tutte graffiate!» Perché ti arrabbi? È così facile sbuffarle in faccia, ti piace davvero non deludere le basse aspettative degli altri? Lei, al contrario, ti spinge a svelarti, a lottare – combatte le tue battaglie.
«Sei stato tu tirandomi via» ti rimbecca con una smorfia ironica. Senza farti scoprire, stringi i denti e le lasci andare il braccio, perché lei non lo sa ma è riuscita a centrare il bersaglio, quel frammento incrinato che nel tuo petto non si è ancora deciso a indurirsi. Si lamenta a labbra chiuse per alcuni istanti, sostenendo i tuoi occhi. Non distoglierli!, vorresti supplicarla. «Volevo trovare la loro casa.»
Fastidiosamente esuberante, per l’appunto. «Tieni» le porgi un fazzoletto. A dirla tutta, glielo premi sul dorso della mano, senza lasciarle via di fuga.
«Ahi!» Si libera e ti pianta uno scappellotto nella nuca. Ecco perché mi arrabbio!, sembri rispondere a un vento che ti solletica la faccia: lei lo rende facile. «Com’è che non hai ancora imparato a trattare una fanciulla, eh?»
«Mh?» La fai sobbalzare passandole una mano dietro la schiena, per provocarla. Tutto ciò che riesci a tirare fuori è un ghigno diabolico. «Quale fanciulla?» Lei scalpita – siamo alle solite! – ma tu ti fai di nuovo serio, perché quel ghigno sulle tue stesse labbra ti fa indietreggiare – e se anche lei alla fine scapperà dal figlio di Satana? «Andiamo, forza. Ci staranno aspettando.» Le volti le spalle e cominci a camminare a grandi falcate, così che a lei non resta che seguirti.
 
 
La stanza è affollata e il ronzio delle voci è un sottofondo che ignori facilmente. Fingi di staccarti da tutto e tutti: finisci la ciotola di riso e allunghi la mano per averne una seconda; gusti la trota affumicata e ignori il resto. Terence chiacchiera spensierato con gli altri, ride e ti dà di gomito; e tu che fai se non regalargli un’occhiata truce?
Ah, piccolo Heric, quando ancora racimolavi le voci come fossero caramelle era il gusto della liquirizia quello che mandavi giù. «Levati dai piedi, mostriciattolo!»… la risenti la voce di tua sorella, vero? Forse è la stessa che ti accompagna di sottofondo a ogni passo che fai, a ogni scambio di battuta che ti concedi, a ogni sguardo rubato quando lei non ti guarda – e prontamente lo distogli non appena ti scopre, sorpresa.
Non capisce niente, pensi frustrato.
È vero, Heric, non ti capisce, o forse non vuole farlo? «Figlio del demonio!», non è questo che Nelly ti ha sempre detto? Chi meglio di lei, che ti ha visto crescere, può definirti? Lei conosce la tua anima, sa quello che hai fatto. E se Sana guardasse nei tuoi occhi e lo scoprisse? Allora è meglio pensarla come una fata ignorante: bellissima e all'oscuro di tutto.
Finisci di mangiare tra le risa degli altri, mentre la tua anima ammutolisce nella consapevolezza dei tuoi peccati.
Quanto chiasso che fanno gli altri nella tua camera! Dovresti esserci abituato, con Nelly che non perde occasione di urlarti contro, ma questi suoni sono diversi. George sta massacrando a forza di cuscinate Terence, gli altri ragazzi sghignazzanti gli danno manforte. Senti come ridono, Heric? Si stanno divertendo… senza di te. È più facile con te ai margini, lontano da tutti, in silenzio… Tu puoi solo guardare e soffrire, o puoi girarti dall’altra parte. Non potrai rovinare qualcosa se non la tocchi.
Ma non c’è mai silenzio nella tua vita.
«Ehi, Heric.»
Apri un occhio e tiri via il braccio dalla fronte per metterlo sotto la nuca. «Uhm?»
Terence è strisciato fuori dalla mischia. Per un attimo lanci uno sguardo verso la tua banda e vedi che quegli idioti si sono completamente dimenticati del loro obiettivo, ingaggiando una lotta senza quartiere.
«Guarda» dice tutto eccitato. Recupera una scatola dalla sua borsa e te la mostra. «Alyssa me li ha dati prima di salire sul bus, stamattina. Cioccolatini!» Che idiota, ha gli occhi che luccicano e il sorriso da ebete che devi sopportare di continuo. «Te ne do uno se vuoi.»
Ne vuoi uno, Heric? No è la risposta, ma gli strappi comunque la confezione dalle mani e inizi a mandare giù il primo cuoricino. Dopotutto, è questo quello che sai fare meglio: dare credito alle parole di tua sorella, non deludere le peggiori aspettative dei tuoi amici.
«Oh» si lamenta agitato, «non mangiarli tutti.»
Mandi giù il secondo, perché devi essere convincente nel tuo ruolo di bullo, anche se ti trovi in mezzo ai tuoi compagni. Se è così semplice essere arrogante e prepotente, allora forse lo sei davvero. Prendi il terzo, lo lanci in aria e ti prepari a riceverlo a labbra dischiuse.
«Sai, Alyssa ha detto che lei e le ragazze sarebbero andate a caccia di lucciole questa notte. Nel giardino di fronte la loro stanza» specifica.
La tua bocca si chiude e il cioccolatino cade tra le tue gambe incrociate, un altro cuore che affonda. Terence è fatto così: il minuto prima si lamenta e piange – si farebbe calpestare, quel ragazzo! – e il minuto dopo inizia a parlare. Semplicemente, parlare. E la cosa sorprendente è che parla a te, lo fa da quando andavate all’asilo, senza sosta, senza paura. Distogli gli occhi, ma non puoi fare a meno di ascoltarlo parlare. Anche lui è fastidioso, a volte.
«Marine ha chiesto dei barattoli di vetro e un retino. Sana si è messa in testa l’idea di catturarle. Quella ragazza…»
Si è completamente scordato dei cioccolatini. È un treno in corsa che nessuno può più fermare. Parla della sua Alyssa, dei piani folli delle ragazze, della loro strana idea di divertirsi, della tua Sana…
«… pensa che l’ho vista indossare un kimono propiziatorio pochi minuti fa. A detta sua, serviva per attirare le lucciole…» ride, e parla, e ride ancora, in quel modo borbottante che riesce sempre a impensierirti. «Dove stai andando?»
Scappi via da quel pensiero che ti ha per un attimo assalito. «A vedere se Alyssa vuole un po’ di compagnia.»
Non ne puoi fare a meno, il ruolo del diavolo è perfetto per te. Muovi la mano prima ancora che lui possa eruttare come un vulcano e gliela pianti in testa. «Uhm, non è il mio tipo» ricontratti e gli lanci la scatoletta mezza vuota. «Vedete di calmarvi, voi!» Schiocchi la lingua e la nuvola di piume plana sul pavimento, le fodere dei cuscini ormai flosce. Non li trovi buffi, George e gli altri che ti guardano sorpresi e sull’attenti? Forse, ma te ne esci comunque con la tua solita espressione impenetrabile.
E adesso cosa farai, Heric? Il corridoio è vuoto, le luci accese nelle stanze ti tengono fuori, lontano dalle confidenze che si scambiano i tuoi compagni di scuola. Anche nella solitudine c’è tanto rumore, lo sai bene: è la distanza che ti separa dagli altri, che vibra e si trasforma in un’eco assordante. Vuota, rumorosa.
«… e dicono che domani ci porteranno in spiaggia.»
«Faremo un falò? Oh, quanto mi piacerebbe!»
Marine ha la voce delicata di chi teme di essere ascoltata. Sana dice che è timida, ma ogni volta che la incontri vedi solo paura nei suoi occhi. Odi incontrarla, perché lei riflette la parte peggiore di te, un ricordo tatuato sulla pelle che ti rinfaccia tutte le volte che scappa via. Cerchi di cambiare strada ma è troppo tardi. Lei ti vede, sgrana gli occhi, soffoca – sei capace di uccidere con uno sguardo, lo sapevi, mostriciattolo? – e lascia cadere ciò che ha in mano. La sua amica la porta via, lontano da te; e a niente serve che tu abbia recuperato i bastoncini di stelline scintillanti per restituirglieli. Lei non c’è più. Adesso sono tuoi, ladro di vite.
Sai, un mostro come te dovrebbe gioire della paura che incute. Allora perché sei spezzato dentro, perché vaghi come un condannato per quei corridoi blu?
Ma certo: vuoi una nuova preda!
È ancora in giardino, immersa per metà nei cespugli. È perfettamente da sola e indifesa.
La osservi: è infantile, testarda, luminosa.
La ascolti: parla al vento, alle piante, alle falene, a persone che non sono lì con lei.
Sana ha la delicatezza di un dinosauro e la vitalità di un tornado: fastidiosamente letale. Ma tu l’hai vista piangere e sai che potresti ferirla facilmente. Che aspetti?
Sì, ecco, bravo. Avvicinati, fa piano! Non deve sentirti arrivare!
«… e quando ne prenderò una, vedrai, Heric…»
Sussulti, ti ha sorpreso ancora una volta. Parla con un te che non è lì, ma nei suoi pensieri, un te premuroso e protettivo che lei pensa di aver visto da qualche parte. Quant’è sciocca, non è vero?
«Ehi.»
Urla, urla come solo lei sa fare. Salta fuori dal cespuglio e comincia a correre, per poi tirare il freno e fare marcia indietro. «Sei ammattito? Mi hai fatto prendere un colpo. Senti come mi batte il cuore…» Allunghi una mano verso il suo petto. «Ah, tieni le mani apposto!»
«Sei stata tu a ordinarmelo.»
«Era un modo di dire, idiota.»
«Scusa» sbadigli in un borbottio strascicato, uno di quei suoni molesti e sarcastici che sostituiscono una gioia che non riesci mai a provare, «non lo avevi specificato.»
«E se ti dicessi di buttarti da un ponte, eh?»
«Se vuoi…» Ti volti e… cosa, Heric? Ti lanci davvero? E se non ti ferma, se non le importa…
«Ah, allora sei proprio ammattito!»
Le sue mani intorno al tuo braccio sono un’ancora che ti graffia la pelle e affonda in profondità, trova un appiglio. E tu sei saldo, ancora in balia della corrente, è vero, ma non puoi più scappare, non puoi più lasciarti trascinare dal rumore delle onde. Voltati e affrontala: feriscila, mordila, torturala, uccidila!
«Tieni.» Hai allungato la mano verso di lei, le dita serrate intorno ai bastoncini.
«Cosa?»
Hai un accendino in tasca, lo usi per accenderne uno. La scintilla è timida solo per il primo istante, poi rifulge come impazzita tra di voi. Il fuoco illumina i suoi occhi, quelle venature di luce ti bruciano dentro. Sana è come il sale, come il vento, e non sa che può far male.
«Lucciole» sussurri. È un suono roco, zoppicante, quasi te lo avesse strappato dalle labbra. Vorresti aggiungere qualcos’altro ma la lingua inciampa.
Ti senti vuoto, confuso, incosciente, disorientato. Ma dentro e fuori la tua testa c’è silenzio, un terribile bozzolo vuoto di sconcerto e meraviglia. Il fuoco consuma il bastoncino in fretta, ma nessuno di voi due osa muoversi. Siete fermi, gli occhi aperti che si incontrano, si calamitano. E allora capisci, capisci cos’è che lei è in grado di fare: porta il silenzio. Non ci sono le urla di Nelly né il viso spaventato di Marine. Ci sono le emozioni che hai soffocato contro la felpa grigia, c’è l’immagine di ciò che hai costruito a forza di sassi che si sfracella contro quello che sei – i suoi occhi te lo stanno rivelando: la paura che ti mangia lo stomaco, la perdita di chi non hai conosciuto, il pianto che non hai urlato fuori, i sorrisi che vorresti regalarle.
Sana è una lucciola: t’illumina all’improvviso e si spegne con un soffio. Sana è il tuo segreto: sta chiusa nel tuo cuore e lo fa palpitare. Sana è…
«Sana…» Io non ti farò del male, non permetterò che nessuno te ne faccia, ti scopri a pensare.
E la sua mano si muove finalmente, e si allunga verso di te, e si scontra con la tua intorno alla punta del bastoncino che ancora scoppietta. E la senti vivere, respirare, muoversi. Ti brucia la pelle.
«È bellissimo.» La sua voce riempie lo spazio tra voi.
Cosa fai, Heric, perché non trovi una risposta salace?
La guardi sorridere, sorridere a te! Labbra schiuse e occhi che si tingono d’oro. E ciò che vedi riflesso è solo tutto l’amore che non vedi l’ora di darle. Perché c’è qualcosa di sbagliato in te, Heric, è vero, ma non è il carisma con cui ti fai seguire dai tuoi amici né il coraggio che non riesci a trovare per chiedere il perdono di Marine: è l’incapacità di rinunciare a quel pezzo di felicità che stringi tra le mani.
«Cosa fai, mostriciattolo?»… ma l’eco non trova più risposta.
Continua a sorridere, Sana, sarò degno di te.
Il bastoncino è ormai tutto consumato, lo lasci cadere a terra mentre stringi le sue dita. Adesso sai che sei forte abbastanza per non lasciarla andare via.




 
N.d.A.

Non mi dilungo troppo qui, perché se non pubblico subito non lo farò più.
Come avrete capito da questo mezzo disastro, è stata la follia di un attimo che mi ha perseguitato a spingermi a scrivere questa storia.
Se siete arrivati fin qui, allora siete più coraggiosi di me.
La storia sarà composta da soli due capitoli, quindi non dovrete sopportarmi a lungo.
Se vorrete lasciare un segno del vostro passaggio, mi rendereste felice.

P.S.
La citazione iniziale è tratta dal libro "Il barone rampante" di Italo Calvino.
"Se non lo vedi, non te ne innamori; e se non ti innamori, non soffri". Questa frase di dubbia origine>.< Direi che è mia, ma potrebbe essersi ispirata a qualcos'altro che ho letto e che al momento non mi viene in mente. Cercando su internet, non viene fuori niente, quindi...
"Sana è come il sale, come il vento; e non sa che può far male" è ripresa dalla canzone "Margherita" di Cocciante.

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Capitolo 2
*** Lei conobbe lui e se stessa... ***






[...]
Lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre,
mai s’era potuta riconoscere così.

 







 
Heric ti ha sorpreso, non è vero? Però ti ha fatto anche arrabbiare. Quel ragazzo non ha misure, ed è per questo che riesce a scoprire le tue debolezze. Sono pozzanghere attraversate dai cerchi concentrici di una goccia, sono spazi vuoti che creano vertigini sotto di te. Durano attimi immensi e poi spariscono; e a te restano rabbia, sorrisi e un’ombra malinconica da nascondere dietro alla tua voglia di vivere.
E adesso come farai a dire a Marine che quell’idiota ha dato fondo ai suoi bastoncini di stelline scintillanti? «Uh, forse avrei dovuto restituirle alla tua amica» ha detto, e se n’è andato con le mani incrociate dietro la testa, lasciandoti con i mozziconi ancora fumanti.
Ed eccoti qui, davanti a una confusa Marine, ad affannarti per cercare una spiegazione. Sospiri sconsolata e le mostri il pacchetto mezzo vuoto. «Te lo ricompro domani» le prometti.
Le tue amiche ridono di te, della tua generosità, dei tuoi buffi modi di prenderti cura di loro. E tu puoi perdonare Heric per la sua sbadataggine, perché è bello ridere insieme con il cuore allegro.
Vi pettinate i capelli, fate arrossire la povera Alyssa cercando di rubarle i ricordi di mani intrecciate e passeggiate lungo viali alberati, mangiate i biscotti che la nonna di Margareth ha preparato. Poi gattonate sotto le coperte, e solo le stelle che si affacciano dalla finestra restano a colorarvi la pelle.
Mentre le guardi, le stelle si specchiano nei tuoi occhi. Sono lì, immobili, sempre uguali, ma hanno la capacità di rendere la notte meno fredda e scura. Ti dà conforto pensarle come lucciole che qualche uomo nero ha catturato: loro, ti dici, hanno saputo consolarlo. E chissà se anche negli occhi di Heric c’è qualche stella che brilla.
 
 
Sei tu che hai smesso di sentire o è il mondo che non parla più?
I giorni sono passati – lenti, veloci… di nuovo veloci, forse qualcuno ha rallentato solo un po’ – e il pomeriggio ti sorprende ad affannarti ancora tra cespugli e tronchi cavi. Non rimane più tanto tempo, non ce n’è più…
«Sana!»
Sono loro che trovano te: Alyssa e Margareth ti chiedono aiuto per scegliere i vestiti da mettere, Marine ti domanda qual è il tuo fiore preferito. «Ad Alyssa sta bene il bianco, tu metti qualcosa di rosso… Sì, quello. Il mio fiore preferito, dici?» Ti fermi un attimo – un attimo immenso – e poi lo riempi con uno dei tuoi sorrisi facendo svolazzare una mano tra di voi. «Oh, certo, per i bracciali… Sai, non ci ho pensato…» Ridi un po’ troppo, ma tu sei fatta così, e lo sai. «Non ha importanza. Ah, ecco! Quello è perfetto, Alyssa.»
Prendi in mano la situazione. Corri per la stanza, afferrando ora questo e sistemando ora quest’altro; e il pomeriggio passa a cercare le scarpe di Margareth che George ha rubato quella mattina e a scegliere gli elastici da abbinare alle fantasie delle magliette. Giocate a fare le bambole – e tu lo sei davvero, in fondo – e poi vi spruzzate un po’ di profumo per camuffare i vostri segreti in fatto di trucchi e ragazzi.
Quando vi riunite agli altri, tu sei quella con la gonna rossa e la magliettina sbiadita, una coda fatta all’ultimo secondo e il tuo immancabile sorriso. Sei fatta così: tu sei Sana, e dai tutto agli altri. Anche il tempo.
Sulla spiaggia non c’è posto dove nascondersi. I ragazzi hanno già accatastato la legna. Vedi i tuoi amici posare vecchi libri o pupazzi, lacci di scarpe e oggetti a cui non sapresti dare un nome o un senso. La professoressa rimesta un po’ e poi corre via. Hai sbirciato, non è vero? Oh, sì che curiosa come sei hai sbirciato, hai visto che era un filo di paglia quello che ha intrecciato a un legnetto. Chissà qual è il suo desiderio…
E il tuo, piccola Sana?
«Tu non vieni, Sana?»
«Arrivo, voi andate.» Le vedi abbracciarsi e ridacchiare, sempre complici. Sono le tue amiche, hanno molti desideri da esprimere questa notte.
E il tuo qual è, piccola Sana?
«Sono solo oggetti. Il fuoco li brucerà.» Heric è un borbottio che ti sorprende alle spalle e ti fa sgranare gli occhi. Sa di sabbia che striscia un po’ più in là per fare posto ai suoi piedi e fresca ombra dentro cui rifugiarti.
«È un gesto carino» ribatti – chi stai cercando di convincere? Lui o te stessa? «Anche se tu non vuoi nascondere niente nel falò, non vuol dire che non hai desideri.»
«E chi ti dice che io non abbia già nascosto il mio desiderio?» ti rinfaccia. «Sempre a saltare in aria per nulla.» Alza un po’ la voce, esasperato.
Lo stai già fissando, prima ancora che finisca di bofonchiare. E sorprendentemente trovi già i suoi occhi puntati verso di te. Li incroci, li fissi. Vi sprofondi dentro. Heric è una roccia contro cui puoi solo sbattere, ma non spostare; è una radice radicata talmente in profondità che non riusciresti mai a sradicare. Ha uno sguardo duro, spietato, che non ti lascia vie di fuga. Non si distoglie da te, non esita: ti ha afferrato con i suoi artigli, e ora li senti perforarti l’anima.
Sospettosa quale sei, prendi le distanze.
«Ti si vedono le orecchie a sventola.» Heric è un crack secco nei tuoi pensieri, una nota che striscia su corde di violino.
«Io non ho le orecchie a sventola!» erutti.
«Quella maglietta…»
«È la mia preferita!»
«… mi piace, però.»
Ed ecco che lo rifà, ti ha lasciato cadere solo per afferrarti al volo, all’improvviso. Heric profuma di erba calpestata e gelsomino, questo ti sorprende, non è vero?
«Ti stanno chiamando.»
Ah, è vero, piccola Sana: esci dal tuo mondo e corri via! Scappa! Heric è tentatore, un predatore che non esiterebbe a spogliarti: se ti prende, non potrai più nascondere le tue paure.
 
 
Li senti? Stanno ridendo: del falò, dello scoppiettio dei loro desideri, delle chiacchiere che si scambiano. Hanno legato al polso i braccialetti con i fiori: una rosa per Alyssa, un crisantemo per Margareth; Marine ha scelto un fiordaliso. Il fuoco li colora di ombre, li rende traballanti ai margini del tuo campo visivo, fugaci come spire di fumo. È così facile vederli scomparire sullo sfondo del mare. Sei troppo lontana per afferrarli.
E tu? Sorridi, fai una battuta pungente, ammiri ed elogi i braccialetti delle tue amiche; scambi un abbraccio, mandi giù un intero boccale di succo di mirtilli per una sfida lanciatati da qualcuno che non ricordi più. Sei una perfetta bambola, il giocattolo preferito di chi ti sta accanto. Non deludi mai nessuno. Sei troppo lontano e ben nascosta per poterti far guardare davvero.
E quel… Perché adesso sussulti? Qualcosa ti ha raggiunto al centro di quella giostra di specchi e cavalli bianchi.
«Che ci fai qui da sola?» Heric spezza il silenzio, lo fa all’improvviso, colpendoti al cuore.
Non ti sei accorta di essere seduta in riva al mare, con i piedi affondati nella sabbia e la testa tra le ginocchia. Alle tue spalle il falò danza verso il cielo e le tue amiche ridono di un George che è appena caduto. Che strano! L’ultima cosa che ricordi è di aver sfidato la tua insegnante al gioco del limbo e di averle dato del filo da torcere; sai di aver riso e puntato il dito per reclamare la rivincita, un giorno.
Se nessuno mi vede, non serve che io sorrida. Volevo solo vederle… «Guardo il mare.» E aggiungi: «Ci sono tante stelle lassù.» E alzi gli occhi per osservarle, ma trovi i suoi a farti prigioniera.
E poi cos’è successo? Gli amici si divertivano, stavano bene; e non c’era più bisogno che animassi la festa per loro o incoraggiassi Terence a invitare Alyssa a ballare. Sei scivolata verso il mare, sbattendo le tue ali in luoghi desolati dove il tuo sorriso muore, sfociando in mari di incertezze e solitudine. È questa la verità su di te, piccola bambola? Tu ti animi solo se qualcuno ti tocca. Nasci quando la tempesta incombe e come una farfalla vivi nel soffio di un inverno; poi muori sbattendo le ali, affannandoti, senza aver vissuto veramente. Fermati, piccola Sana. Sempre pronta a soccorrere i moribondi, sempre pronta a difendere i deboli. Fermati!
«Sana… stai ancora cercando le lucciole?»
Oh, Sana, non socchiudere le labbra a quel modo. Heric è fatto così: sembra lontano più di tutti, non curarsi di niente, e poi scopri che è lui quell’ombra che credevi essere la tua. Gli basta una parola, e ti è già subito accanto, dentro.
«Ma no» sventoli le braccia, ma sei costretta a fermarti quando lui ti si siede di fianco. Senti la sua spalla contro la tua, il profumo della sua pelle, il calore del suo respiro. Ed è mentre ancora ti guarda che quel sorriso che avevi tirato fuori per l’occasione sfuma in una smorfia. Sussurri la verità, perché è l’unica cosa che Heric vuole da te, e tu dai anche questo: «C’è troppa gente per poterle vedere.»
«Tieni.»
«Cos’è?»
Guarda!
«Non lo vedi? Un uomo mi ha detto che si chiama aquilegia.» Heric è un’ombra pallida che si stacca dallo sfondo del mare e trova vie a te sconosciute per stringerti l’anima, inventa modi per sconvolgerti e trattenerti, ferma, in un punto, con lui. «È strano, quindi va bene per te.»
Sembra una farfalla, non è vero? Viola, cinque petali che si affusolano come aghi e un cuore che sbiadisce verso sfumature di puro bianco. Ha ali e antenne: come te, è teso nello sforzo di percepire il mondo e spalanca il cuore, senza difese. È stravagante, ma adesso che Heric ti aiuta a indossarlo pare avvolgere il tuo polso, trattenerti.
E rimani in silenzio a guardarlo, chiedendoti cosa stia cercando di dirti.
«Io sarei strana?» ti accigli. Sei pronta ad arrabbiarti, perché – ammettilo – ti piace picchiarlo, afferrarlo per le braccia e scuoterlo, sentirlo sulla pelle.
«Hai truccato le tue amiche, e tu indossi le stesse scarpe di stamattina! Hai scaraventato Terence ai piedi di Alyssa, e non balli!» Heric brontola ancora: «Hai scelto un fiore per tutte, tranne che per te! Cosa c’è, Sana?»
Cosa c’è, Sana? Ti senti scoppiare dentro? La senti l’aria soffocarti e le mani prudere? Stai ferma, immobile, e vorresti volare, scalpitare, perché hai paura che se ti fermi l’immagine che ora vedi allo specchio, paradossalmente, diventi sfocata e spezzata, piena di cicatrici e rughe di incertezze? Se ti fermi, gli altri ti passeranno accanto, lasciandoti indietro. Sola, inutile, una bambola…
Lo sapevo. È una goccia che cade e crea cerchi concentrici sulla superficie del tuo cuore. È un’eco acuta che risuona nello spazio infinitamente piccolo tra te e lui. Piangi!
«Stanno tutti bene, e tu piangi! Visto che sei strana?»
«È che… è che ho qualcosa nell’occhio…» ti sfreghi una nocchia. «E non provare a baciarmi!»
Ma lui è già su di te, il suo petto contro il tuo, il suo naso sulla tua guancia, le sue labbra dischiuse e il suo profumo dentro la tua gola. E…
«Va bene se ogni tanto pensi a te.» La sua voce è un soffio caldo che asciuga le tue lacrime, una lama che trafigge le tue ali. Ti sta uccidendo!
No… Le tue mani stringono la sua maglietta. Troppo calore, troppo vicino. «Io…» Io sto bene.
Piccola farfalla che voli sbattendo follemente le ali, il tuo è un cammino lungo, eppure sembri non curartene: dai fuoco alle tue energie in una vampa che sconvolge chi ti sta vicino. È un incendio pericoloso, sai? Le tue ali sono così delicate… Potrebbero sgretolarsi sfiorando anche solo il più piccolo lapillo. Il tuo cuore palpita senza riserve, dai sempre tutto e non conservi mai nulla per te.
Ma tu, piccola Sana, non hai paura di specchiarti.
Hai custodito il tuo passato dentro a un carillon: quando ne hai nostalgia, gli dai la carica e lo fai scattare; e danzi con lui, a piedi nudi per la stanza. Costruisci il tuo futuro vivendo il presente, perché ogni attimo che poco fa era “dopo” è già divenuto “ora”.
Sorridi perché hai coraggio, e non c’è ostacolo o sorpresa che può fermarti. Hai scoperto qual è il segreto per essere felice: donare allegria a chi ti sta accanto. Donare te.
E pur sei farfalla che vola intorno alle fiamme: un soffio di vento, e prenderai fuoco.
Lo sai? Vivere per poi morire è triste. La morte è un tempo troppo lungo, e tu dirai: “Non c’è tempo per la tristezza o la paura”. Ma se non fosse esattamente così? Se tu morissi anche solo per un istante e poi vivessi di nuovo? Allora scopriresti che è proprio dalla tristezza che nasce la gioia e dalla paura il coraggio; e che aprire gli occhi dopo essere stata nell’oscurità fa vedere ciò che la luce aveva nascosto.
La vita è un dono, ma la morte… Morire è l’atto più egoista: ci sei solo tu e la tua più grande paura.
Ah, ma quanto può essere stupido!
Chi? Ah, certo, tu cerchi ancora le lucciole, piccola Sana. Ed Heric è lì con te, in mezzo a quello spazio vuoto, fermo in attesa che quell’attimo infinito ti lasci andare. E ti ritrovi a guardare le stelle dai suoi occhi.
Abbandoni il capo sulla sua spalla – è lì per te, solo per te – ed è la tua bocca che infine trova la sua; e scopri che i sentieri della morte possono profumare di erba pestata e fiori di gelsomino.
«Visto?» mugugna quando sussulti e separi la vostra pelle. «Prima mi dici di non baciarti, e poi sei tu che baci me.» Ti respira dentro, e poi ti risucchia via l’anima. Ti bacia ancora, perché adesso tocca a lui abbandonarsi su di te e morire su prati infiniti e cieli stellati. «Sei strana!» Apre le mani e sorride. Con gli occhi, con le labbra. Sorride per te.
E granelli di sabbia si staccano dalle onde per risalire verso il cielo: le lucciole sono venute fuori dalle sue tasche, alla fine, perché è proprio tra i fiori di gelsomino e dietro a steli d’erba che lui le ha trovate per portarle da te. Ma tu, piccola Sana, non le vedi salire al cielo, verso le loro sorelle immote.
Ti sei appena risvegliata tra le sue braccia.
Ma avevo visto una cosa molto più rara: il sorriso di Heric… Questo mi faceva sentire felice.



 
N.d.A.

Ed ecco il secondo e ultimo capitolo!
Ho sempre pensato che in Sana ci fosse una nascosta malinconia che emergesse ogni volta che fosse sola. Abbiamo sempre conosciuto questo personaggio per la sua bontà e voglia di aiutare gli altri, nonchè per la sua vitalità e l'allegria che infonde insieme al suo coraggio. Ma c'è molto di più, ed è quello che Heric vede e che Sana non può nascondergli.
Ho scelto l'aquilegia come fiore per Sana sia per la similitudine con la farfalla, ma soprattutto perché uno dei significati del fiore è "amore nascosto"; e credo sia perfetto per questi due :)
La citazione in alto a destra è il continuo di quella presente nel primo capitolo, sempre tratta dall'opera di Italo Calvino.
C'è un'altra frase che è liberamente ispirata a un dialogo di "Pinocchio", vediamo se la trovate.
Infine, sia la prima frase del primo capitolo sia l'ultima di questo secondo sono riprese dall'anime di Rossana: se notate, una è il seguito dell'altra, e mi piaceva l'idea di racchiudere questa storia nello spazio di queste due battute.
Grazie a chiunque ha letto anche questo secondo capitolo, ai coraggiosi e gentilissimi che hanno recensito il primo e a tutti i lettori silenziosi e di passaggio che hanno apprezzato questo mio piccolo attimo di follia.
A presto!

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