Lucky Family

di yasiacrazyland
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4.1 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4.2 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 4.3 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Nulla viene senza costo e i vecchi abitanti di quella casa dovevano averlo compreso molto bene. Taye spostò la tenda ed entrò con cautela dal buco che un tempo aveva sostenuto una finestra. La bella villa era abbandonata, una di quelle abitazioni in cui i bambini si sfidavano ad entrare. Giravano diverse storie sul perché non fosse stata riacquistata o demolita, e tutte potevano essere riassunte con la parola infestata. Da che cosa, dipendeva da a chi lo si chiedesse. Taye le conosceva tutte e lei e Miles avevano fatto ricerche, anche dentro l’edificio stesso. Se entità infestavano davvero la villa non erano frequentatrici assidue, o almeno non quanto lei e il fratello. E se non avevano avuto loro la fortuna di incontrare qualcosa Taye dubitava che fosse capitato ad altri.

Mentre procedeva sul marmo impolverato, verso le scale, sperava di avere un altro tipo di fortuna. Non era stata una bella giornata, e nemmeno un bell’anno, ma non si sarebbe perdonata se non avesse provato a cercare anche in quel posto. Salì le scale, tenendosi ai bordi più stabili dei gradini, e arrivò alla loro stanza. Era la prima porta verso la destra ma non si erano mai preoccupati che qualcun altro potesse scoprirla. Delle assi erano posizionate in modo strategico e Miles le impolverava ogni volta che le rimettevano a posto. Non che fosse necessario, ma a loro piaceva l’idea di tenere il posto nascosto. Taye le tolse e aprì la porta che, un tempo, doveva essere stata giallo regale ma era diventata semplicemente giallo lurido. Le si strinse il petto alla vista della loro tana sicura. La libreria piena di opere moderne, i divani barocchi rovinati  ma puliti, la finestra ancora intatta che dava sul giardino interno. Quando erano più piccoli Miles a volte le diceva di vedere qualcuno da sotto il portico nel tentativo, non troppo vano, di terrorizzarla. Ma Miles non era più lì, come non era a casa, o a scuola, o all’accademia militare o da nessun’altra parte che fosse rintracciabile. Taye non voleva crederci ma a quanto pare era arrivato il suo momento.



 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Taye bussò sulla porta trattenendo il respiro. Dall’altra parte si sentiva solo il ventilatore che andava. Lei si guardò attorno nella stanza buia e bussò con più urgenza. Nessuna risposta.

Allora tirò fuori il telefono e prima ancora di sbloccarlo accese la torcia. Selezionò velocemente il numero di Holly e cercò di stare calma. Il telefono nell’altra stanza suonò e a ogni squillo il cuore di Taye diventava più rumoroso. Nel frattempo cercava di illuminare tutti gli angoli bui della stanza. Era stata un’idea stupida, ma molte lo erano se uscivano dalla testa di sua sorella. L’unica cosa che Taye in genere poteva fare era decidere se partecipare o meno all’idiozia. Gli squilli finalmente smisero e lei portò il cellulare all’orecchio, lasciando una gran parte della stanza molto al buio. Grazie al cielo dall’altra parte venne una voce roca e familiare.

“Già finito?”

“Perché ci hai messo tanto e perché diavolo non hai risposto quando ho bussato?” Sussurrò, anche se non aveva motivo di farlo.

L’altra ridacchiò. “Rilassati, ero solo... assorta.”

Sospirò. “Okay, ma adesso esci da lì. Subito.” La sua voce stava diventando isterica mentre si guardava le pareti di buio che la circondavano.

La linea cadde ma subito dopo la porta davanti a lei si aprì. La folta chioma riccia e il sorriso diabolico di Holly erano illuminati dalla candela che teneva in mano. Taye si sentì rabbrividire e, spegnendo con un soffio la candela, trascinò la sorella fuori dalla porta. Illuminando con la torcia le scale uscì velocemente dal condominio, ma non lasciò mai andare l’avambraccio reticente dietro di lei.

Lanció un ultimo sguardo all’appartamento per poi allontanarsi. Si trovarono su una via principale, anche se non particolarmente popolata. Dopotutto erano le tre del mattino e pochi erano svegli. Taye si diresse verso la fermata degli autobus, nella vana speranza che qualcosa ancora andasse, ma Holly oppose resistenza.

Quando le lanciò un'occhiata accusatoria, simile a quella che aveva riservato all’appartamento, la sorella quasi sorrise. Si trattenne però, parendo capire, o prendere in considerazione per una volta, lo stato d’animo di Taye.

Si riavvió la chioma e con una smorfia chiese. “Che ne dici se mangiassimo qualcosa?”

Taye immaginó per un momento di colpirla e trascinarla per i capelli in un ospedale. Magari lí avrebbero saputo cosa farsene di lei.

“Coraggio, non passa niente adesso.” Holly la tiró un poco nella direzione opposta. “Andiamo, ci rimpinziamo di zuccheri e grassi, aspettiamo la mattina e torniamo a casa.”

La logica era comprensibile, e l’idea di un posto con altri esseri umani e luce era invitante, ma non voleva comunque cedere. La cosa doveva leggerlesi in volto.

“ Poi, quando siamo a casa, dormiamo per tutto il giorno.”

Taye cercó di vedere meglio il suo viso nel buio, e realizzò che l'altra sapeva già di aver vinto.

Alzó un’ultima protesta. “Non sarebbe giorno di studio per te?”

“Le eccezioni sono la parte interessante della vita.”



 

Scelsero uno dei piccoli tavoli di plastica davanti alla cassa. Il posto non era grande e la luce gialla faceva male agli occhi. I menù attaccati alle pareti piastrellate davano l’impressione di locandine d’ospedali.

Holly si sedette dopo aver urlato l’ordine direttamente in cucina. Appoggió gli avambracci sulla superficie probabilmente appiccicosa e vi lasció cadere la testa sopra. Il suo sguardo si concentrò sulla minore da sotto le folte ciglia.

Taye non passava spesso del tempo con la sorella e il suo scrutinio la metteva a disagio. Ogni volta che andava a visitarla era a qualche festa o evento, circondata da amici e compagni di università. Si rese conto di non sapere come o di cosa parlare e si sentì condannata alla banalità.

“Vieni qui spesso?” Domandó schiarendosi la gola.

In risposta lei scoppiò a ridere. “Non devi conquistarmi sai?” Inclinò ulteriormente la testa appoggiata sulle braccia, come un cervo curioso. “Difficilmente ti mollerei qui da sola, anche se tu facessi battute molto squallide.”

Taye non ne era sicura. Istintivamente avrebbe voluto sorriderle ma cercó di ricordarsi che era maggiormente irritata con lei. Il silenzio si protrasse, dai rumori metallici che venivano dalla cucina. Voleva togliersi di mezzo il pensiero.

“Perché lo hai fatto?”

“Mi pare un po’ troppo tardi chiedere. Ormai hai partecipato.” Holly sistemó nuovamente le ciocche scure. “Credevo sapessi di cosa si trattasse.”

“Lo sapevo, lo so. Non capisco Perché, però, chiunque vorrebbe farlo.”

“Per provare.” Uno sbuffo esasperato. “Vedere se c’è un dopo o se qualcuno volesse contattarmi. Inoltre il rituale dei tre re è fra quelli più sicuri.” Concluse con una voce gentile.

Lei si sentí impotente, dopotutto aveva poche possibilità di fermare le trovate di Holly. “Sono giochi pericolosi quelli.”

“Sono stata attenta, e poi avevo te.” Sussurrò poggiando una mano fredda sulla sua. Taye finalmente lasció andare un sorriso.

“Quindi… hai visto qualcosa nei riflessi. Non mi hai risposto subito.”

Una voce maschile le informó che il cibo era pronto ma Holly non vi badó. I suoi occhi avevano assunto un nuovo grado di intensità. Taye non era brava nelle gare di sguardi ma quella volta non credeva di voler perdere.

Poi Holly sbatté velocemente le palpebre, si alzò e disse ridendo. “Niente.”

Taye perplessa la guardò allontanarsi.

Tornó con un vassoio pieno di patatine, tre hamburger, due sacchetti chiusi, una Sprite e una bottiglietta d’acqua. Non aspettó prima di disporre tutto sul tavolo e iniziare a ingurgitare cibo come se fosse il suo ultimo pasto.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La parte posteriore della sua testa faceva male. Si dimenó cercando di mettersi più comoda ma qualcosa le impediva di girarsi completamente. Tastó verso la parte bloccata del proprio corpo, accarezzó pelle morbida. Corrugando la fronte aprí un occhio contro la luce per poi richiuderlo, una massa di ricci le ostruiva la visuale. Consideró di tornare a dormire ma era troppo scomoda per rilassarsi nuovamente. Si diede una spinta con le mani mettendosi seduta, senza comunque aprire gli occhi. Non era mai stata sbronza ma credeva di capire come ci si sentisse in quel momento. Si portó la mano alla nuca e tolse l’elastico impigliato nei capelli. Il mal di testa diminuí immediatamente dandole sollievo, le sue ciocche scure le ricaddero sulle spalle.

“Che ore sono?” Gracchiò Holly dal cuscino, la voce ancora più graffiata del solito.

Taye allungó una mano sbirciando, solo da una fessura tra le palpebre, i propri movimenti. Prese il telefono goffamente e accese lo schermo.

“Ora che io vada, devo lavorare.” Si alzò dal letto tirando giù la maglietta che la sorella le aveva prestato come pigiama. Raggiunse il bagno, evitando accuratamente di passare davanti alla terza porta chiusa della stanza.

L’acqua gelata sul viso fu lo shock di cui aveva bisogno per svegliarsi. Nello specchio sopra al lavandino sembrava malaticcia con le labbra secche e le guance quasi pendenti. Una versione più minuta e meno sicura di sé di Holly. Si passò le mani tra i nodi dei capelli e sorrise. Qualunque cosa potesse non apprezzare nel proprio aspetto i suoi capelli rimanevano sempre la sua cosa preferita. Non importava che fossero una massa informe, la adornavano in modo artistico ed avevano volume, tanto volume.

A volte credeva di essere fissata con i capelli, trovandosi a osservare con sguardo critico le acconciature e la qualità delle ciocche di estranei.

“Sei ancora una cameriera in quel posto squallido, quella specie di pub irlandese?” Dal suono della voce Holly non si era mossa di un centimetro, la faccia ancora ficcata nel cuscino.

“No, adesso lavoro in un piccolo hotel cinque turni a settimana. Aiuto anche a pulire alcuni pomeriggi lo Royal London Museum, ci abito vicino.” Si sentiva abbastanza stupida del tono orgoglioso con cui lo disse ma le piacevano davvero i suoi lavori.

Mettendosi i Jeans e le scarpe da ginnastica senza calze decise di aver superato il limite di tempo che poteva rubare alla sorella. “Io corro, ti restituisco la maglietta appena posso!”

Fu fuori dalla porta con lo zaino in spalla e un borbottio di Holly, attutito dalla porta che si chiudeva dietro di lei.



 

Inspiró l’odore di pulito della stanza angusta. Era una fragranza familiare, come lo era anche il tessuto morbido della camicia che le scivolava sulla pelle. L’uniforme nei primi due mesi era stata distraente, il corpo non abituato a certe sensazioni. Taye aveva poi iniziato a sentirsi una persone diversa, elegante e al di sopra della mondanità, di altri tempi come lo erano i vestiti. I proprietari dell’Hotel Schmaltz lo avevano fondato unendo due abitazioni vicine. Avevano mantenuto gli arredi originali, restaurandoli e cercando oggetti d’epoca qual’ora quelli già esistenti fossero irrecuperabili. Si notava ancora chiaramente dove finiva una casa e iniziava l’altra, lo stile architettonico che variava di un paio di decenni. Entrambe d’epoca georgiana erano schiacciate tra altre abitazioni su una strada secondaria.

Volendo mantenere un’atmosfera antica tutto il personale indossava abiti eleganti, recuperati da antiquari e poi ritoccati.

Taye infiló la camicia bianca nei pantaloni che erano un po’ troppo aderenti al suo sedere e alle cosce, dopotutto pensati per uomini e modificati solo in seguito per le donne. Sistemó il reggiseno, lisciando sopra la camicia e indossando il panciotto grigio. Si stava riaccorniandolo lo chignon quando il suo telefono emise un pigolio.

 

Ayn: “Non vengo questo fine settimana, verró il prossimo”

Ayn: “Ho da studiare, esami lunedì. Gruppo di studio”

 

Taye visualizzó il messaggio e continuó a prepararsi. Per ultimo si mise la nera giacca a coda di rondine, che la faceva sentire meno a disagio per le proprie gambe, e le scarpe eleganti. Si controlló nel grande specchio vintage della stanza per poi dirigersi verso la reception.

Non era esattamente in ritardo ma quando si era presentata per il turno lo spogliatoio era ormai vuoto.

Prima ancora di raggiungere la postazione all’entrata Amanda aveva già pronto il suo cartellino.

“Oggi lavori in sala.” Le disse, registrando la sua presenza.

Taye mormoró un grazie appuntandosi la spilla sul petto con sopra scritto il suo cognome.

Nel salone dei pasti tutto era già pronto per la cena. Lei entró in cucina, in cerca di qualcosa da fare. Nessuno commentó sul suo inusuale quasi ritardo, erano tutti raggruppati a campana nell’angolo vicino alla porta.

Uno dei cuochi le sorrise, scuotendo la testa. Il personale che non aveva a che fare direttamente con gli ospiti non riusciva a capacitarsi di molti dei comportamenti degli inservienti.

La semplice verità era che il loro hobby preferito era farsi gli affari degli altri. Chi più chi meno erano tutti dei pettegoli e il loro eccitamento significava che qualcuno di importante o carino era arrivato.

Lei non contribuiva spesso ai loro discorsi ma se ne trovava inevitabilmente assorbita. Si avvicinò al gruppo e Cherish, una piccola bionda con il caschetto, le fece spazio.

“Sono in due e condividono la stanza.” Squittí Kyla saltellando, un luccichio malizioso negli occhi incorniciati da lenti sottili.

“No, non puó essere. Sarebbe uno spreco!” Le urlò nell’orecchio Cherish.  

L’altra si mise la mano davanti alla bocca, come per trattenere un segreto.“Ma sarebbe romantico, pensateli insieme.”

“Se per romantico intendi piccante, concordo.” La risatina fu di un volume certamente inferiore rispetto a prima, anche se Cherish era incapace di essere silenziosa.

“Ragazze, per favore, datevi un contegno.” Si lamentó Al, l’unico cameriere maschio della sera.

“Poi non possono mica essere tutti gay, sarebbe ingiusto.” Intervenne la rossa e voluptuosa Andrea.

Taye cercó di chiedere: “Scusate ma, non sto seguendo.”

Gli occhi di Andrea si allargarono. “La volta scorsa quello moro ci ha provato con me.”

Il ragazzo esile le diede una pacca sul braccio. “Ma fammi il piacere.”

“Secondo voi ci saranno stasera?” Continuò Cherish.

“Speriamo!”

“Così potrai di nuovo metterti in imbarazzo Andrea?”

“O magari stanno insieme e basta.”

“No.” Esclamarono due voci insieme.

Cadde il silenzio.

“Di chi state parlando?”

“Ah Taye, è vero che non c’eri due settimane fa. Ti sei persa uno spettacolo.” Disse Cherry come se fosse una buona notizia.

“Sono estremamente carini.” Aggiunse Andrea.

Kyla buttò dentro. “Sono qui per qualche sorta di convention. I loro nomi sono Owen e Charlie.”

“Anche se non siamo sicuri chi sia chi al momento.” Concluse Al.

Poi Cherry si abbassò, come per dirle un segreto. Non sapeva davvero cosa volesse dire sussurrare. “E la loro ditta ha, credo, un arrangiamento con i grandi capi, quindi probabilmente li vedremo spesso.”

“Ma non vedrete la vostra paga se non la piantate subito. Stiamo per aprire.” Li informò annoiato il capocuoco.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4.1 ***


La sala era quasi piena, un piacevole brusio aleggiava nell’ambiente insieme agli aromi provenienti dalla cucina.
Il ristorante era abbastanza noto da attrarre anche turisti non residenti dell’hotel.
Taye prese il suo vassoio con entrambe le mani. Era un lunedì sera quindi il posto non era esattamente pieno, ma era anche stagione di vacanza.
Depositó sul tavolo il vassoio posando i piatti davanti agli ospiti. Si ricordó di sorridere prima di andarsene.
Qualcuno schioccó le dita alla sua sinistra. “Mi scusi signorina, ci mancano i menu.”
Lei prese un respiro profondo, sorridendo quando avrebbe voluto rispondere male. Cercó di ricordarsi che qualcuno che non avesse mai lavorato nel catering non poteva capire quanto dessero fastidio certi comportamenti.
“Arrivano subito.”
Li consegnó ai due ragazzi mentre era di passaggio promettendo che sarebbe passata presto. Non si era fermata ad osservarli ma aveva una buona idea su chi potessero essere.
Dopo aver preso l’ordine di un altro tavolo e consegnato altro cibo venne nuovamente richiamata dallo schiocco delle dita.
La testa iniziava a farle male, percepiva più acutamente i capelli tirati dall’elastico.
Tiró fuori dal taschino interno della giacca il taccuino. “Pronti ad ordinare?”


... to be continued ...

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Capitolo 5
*** Capitolo 4.2 ***


 

Un paio di occhi incredibilmente chiari catturarono il suo sguardo.
“Si, io lo spezzatino e il nostro ragazzone qui, che apparentemente è a dieta, l’insalata di patate.” Disse l’altro uomo seduto al tavolo, ridendo, ma Taye non riusciva a staccarsi dal colore degli occhi del ragazzo moro.
Lui si schiarì la gola, distogliendo lo sguardo solo un attimo. “Ma non sappiamo cosa prendere per dessert.” Non era decisamente solo un ragazzo, la sua voce pareva provenire da una caverna.
“Siamo indecisi tra meringa e torta al cioccolato.” L’altro, che lei finalmente guardò, era altrettanto attraente. Un sorriso splendente era poggiato su una mascella squadrata, anche i suoi occhi erano chiari ma di un azzurro limpido. La testa bionda perfettamente pettinata all’indietro.
La voce profonda si intromise. “Tu sei indeciso, a me piacerebbe un consiglio spassionato.”
“Le opzioni più popolari sono la meringa e il Plumcake, con crema di zuppa inglese sopra.” Recitò lei a memoria, cercando di non sembrare strana
“E meringa sará.” Il biondo chiuse il menu porgendoglielo.
Anche il moro le diede il menu. “Invece, tu cosa mi suggeriresti?”
Non era sicura di essere in grado di rispondere qualcosa di sensato neanche se la sua vita ne dipendesse.
“... Gli scones?”
Le labbra di lui, fino a quel momento imbronciate si incurvarono leggermente. “Va bene, e scones siano.”
Taye annuì, non fidandosi della propria voce e camminò via.
Mentre si allontanava però sentì: “Piantala di provarci con tutte.”
Lei fece finta di non vedere un ospite che la chiamava, si sentiva stupida e infantile. Voleva solo nascondersi. Non era nata ieri per comportarsi a quel modo.

... to be continued ...

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 4.3 ***


Scrisse giù l’ordine poi lo attaccò alla cordicella appesa in cucina, davanti alla postazione del capocuoco. Si avvió velocemente a recuperare l’ordine che aveva ignorato, ringraziando il fatto che Andrea fosse di servizio nel giardinetto in fondo al salone. Al però aveva notato e, mentre le passava accanto, le fece un occhiolino.
Avrebbe dovuto concentrarsi altrimenti piatti sarebbero caduti e ordini presi male.
Finalmente, dopo essere passata diverse volte davanti al loro tavolo, portó loro il cibo.
“Se avete bisogno di altro chiamatemi.”
La bocca del moro si aprì ma si bloccò bruscamente e lui lanciò un’occhiataccia all’altro. Il biondo gli aveva tirato un calcio e Taye ridacchió.
Il resto della serata passò velocemente. Mentre consegnava ordini e ripuliva i tavoli vide i due uomini discutere, o meglio il moro sgridato da biondo.
Quando serví i dessert ricevette solo dei grazie borbottati e un’occhiata esasperata da quei occhi chiari. Si sentiva nuovamente in controllo di se stessa ma anche grata dell’attenzione, non le accadeva praticamente mai.




 

Lo spogliatoio era pieno di voci e risate. Era stato stancante per tutti ma non abbastanza da renderli silenziosi. Al e Cherry stavano gareggiando su chi avesse avuto il tavolo peggiore, se la famiglia con tre piccoli mostri di lei o la coppia anziana razzista di lui.
Taye ogni tanto si domandava che genere di difficoltà Al vivesse, con la sua pelle mogano, di cui lei nemmeno aveva idea. Con la sua pelle olivastra e capelli ricci Taye credeva che nella sua famiglia ci fosse stato qualcuno non esattamente inglese, ma nessuno badava davvero al suo aspetto.
Mentre si cambiava, senza alcuna vergogna ormai per la presenza del collega, qualcuno arrivó da dietro abbracciandola.
“Allora, cosa hai scoperto su quei due?”
Lei si scostò da Cherry tirando su i pantaloni fino alla fine.
“Niente.” Rispose mentre controllava il telefono per non doverla guardare.
Kyla era immediatamente al loro bianco. “Sono una coppia?”
“Aspetta, erano a un tuo tavolo?” Il tono di Andrea era oltraggiato. “Non è giusto.”
“Sembra anche che tu non sia tanto speciale per il moro Andrea, era abbasta interessato alla nostra piccola Taye.” Disse Al raggiungendole, così Taye si trovò circondata. Aprí i messaggi che avevano una notifica, sperando che Ayn le avesse scritto di nuovo. Era invece un numero sconosciuto.
“Smettila di guardare lo schermo nero, e concentrati su di me.” Andrea la prese per le spalle, ignorando Al, e facendola guardare via dalla foto nera che si era caricata nella chat. Era ora di cambiare telefono, iniziava a farle scherzi strani.
“Che cosa sai?”
“Beh… sembrano intimi, potrebbe anche avere ragione Kyla.” Borbottò.
Un grugnito generale sottolineó l’idiozia della sua affermazione. Finalmente tutti si allontanarono un po’.
Poi Cherry sorrise. “Ok, missione: scoprire quale nome appartiene a chi.”
“E trovare un fidanzato a Taye. Era così carina mentre arrossiva.”
Lei protestó. “Io non stavo arrossendo.”
Al si piegò avvicinandosi alla sua faccia. “Come una patata bollita.”

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 5 ***


5.1

Piccole briciole di pulviscolo danzavano davanti al sguardo. Avrebbe voluto acchiapparne una ma non credeva di averne l’energia. Aveva frugato in ogni angolo, camminato per tutta la casa e fatto arrabbiare i piccoli abitanti della vecchia villa ma non era riuscita a trovare niente. Si era illusa che Miles avesse potuto lasciare qualcosa, un messaggio o un indizio, anche solo scarabocchi senza senso, in passato era successo. Ma i graffiti che aveva osservato erano vecchi e non aveva trovato niente di nuovo. Si era quindi buttata sul divano con metà del viso schiacciato su un cuscino imbottito.
La sua unica speranza era di setacciare la gonfia libreria. L’aveva lasciata per ultima e se ne stava pentendo, non aveva semplicemente l’energia fisica o emotiva per farlo. Non era nemmeno sicura che sarebbe riuscita a riconoscere un indizio se ne avesse visto uno. Forse avrebbe potuto convincere Holly a cercare con lei. Della sua famiglia Taye era l’unica che non era riuscita a finire la scuola e Miles era di gran lunga il più intelligente dei suoi fratelli, quindi forse la sorella avrebbe saputo vedere qualcosa che lei non riusciva. La più piccola Ayn era un genio in matematica e fisica, un po’ meno in chimica, ma era comunque riuscita a entrare in una prestigiosa accademia con una borsa di studio parziale. Loro madre in qualche modo provvedeva per le spese in eccesso.

5.2

Holly, essendo la più grande, aveva sempre dato l’esempio con voti alti in tutto con predilezione a storia e filosofia. Ma il secondogenito, Miles, lui era il migliore. Non era solo eccellente a scuola ma possedeva una sorta di maturità filosofica che nessuna di loro aveva. Era semplicemente adatto a vivere, una di quelle persone che sono talmente a loro agio che non ti fanno quasi provare invidia, che si abbassano sempre al tuo livello senza fartene rendere conto. Taye invece in qualche modo aveva perso i geni giusti, a volte pensava di soffrire della sindrome del terzo figlio. Non era stupida e quando andava a scuola non andava male ma non eccelleva, non riusciva mai ad uscire dalla zona grigia. Non tutti sanno come sia essere nella zona grigia, nemmeno le persone mediocri su carta ne fanno per forza parte. Taye si sentiva come se il mondo non avesse mai condiviso una battuta con lei, non l’avesse mai fatta sentire partecipe. E a suo parere la cosa più triste era che lei non se ne sentiva dispiaciuta quando invece avrebbe voluto.
La luce stava iniziando a essere molto più calda e Taye doveva lavorare nel pomeriggio quindi si convinse ad alzarsi e a setacciare la libreria.

5.3

Molti libri, un mal di testa e solo un quarto del lavoro svolto dopo non sapeva se ci sarebbe riuscita. Non aveva davvero più tanto tempo prima del suo turno all’hotel così decise di continuare un altro giorno. Le era però venuta in mente un’idea mentre sfogliava i libri, una che non l'entusiasmava ma che percepiva come inevitabile. Chiamare sua madre.
Si posizionò davanti alla finestra per poter osservare lo spettacolo delle piante troppo cresciute del giardino, per sentirsi più serena. Pescò il telefono dalla tasca posteriore dei jeans e digitò il numero. A volte pensava di volerlo cancellare o bloccare ma aveva bisogno di quella linea di comunicazione in caso di emergenze, anche se non era sicura cosa rappresentasse un’emergenza per Minta Loucas.

Dall’altre parte della linea sua madre rispose.
“Ma senti un po’ chi si fa viva, a cosa devo il piacere tesoro? È successo qualcosa?”
A volte Taye si sentiva un po’ in colpa per come trattava sua madre, la donna sembrava sinceramente felice della sua chiamata.
“Niente di nuovo per davvero. Volevo solo sapere se… tu sapessi qualcosa di Miles?”
L’altra non era nè sorpresa e neppure turbata dall’argomento. “No, assolutamente nada. Se fosse il contrario te ne avrei già parlato.”

5.4

Taye non ne era così sicura. “E non sei preoccupata? Ese gli fosse successo qualcosa?”
“Tuo fratello è estremamente indipendente e capace di prendersi cura di se stesso. Solo perché passavate tanto tempo insieme prima non significa che adesso le cose non possano cambiare.” Le rispose lentamente, come se le stesse spiegando qualcosa di complicato.

“Ma non sappiamo assolutamente niente di dove si trovi o cosa stia facendo o cosa gli stia-”
“Oh, andiamo. magari vorrà solo lasciarsi un po’ andare senza essere disturbato da nessuno.” La interruppe esasperata la madre.
“Per nessuno intendi me.” Ma prima che lei rispondesse Taye continuò. “Lascia stare, sai perfettamente che non è così. Non è da lui e entrambe siamo consapevole di cosa questa sparizione potrebbe significare.”
“Forse, o forse no. Rilassati.” Si sentì qualcuno che parlava in lontananza e il ricevitore che veniva coperto per un attimo.
“Tesoro, sai, un’amica molto saggia una volta mi disse questo: i figli esistono per rendere la tua vita migliore, se non lo fanno è ora di sbarazzarsene.
Taye si immaginò che l’albero dall’altro lato del giardino fosse sua madre ma poi fu grata che la donna effettivamente fosse lontana. Non voleva davvero vederla.
“Ora, di certo io non prenderei mai una cosa così crudele alla lettera ma ho sempre cercato di rendere la nostra famiglia priva di drammi. Credo di essere stata attenta affinché nessuno di voi diventasse reciprocamente un peso.” O non ci affezionassimo troppo, così da non preoccuparci quando uno di noi fosse finito male.

5.5

“Siete degli spiriti liberi, come me e come lo era vostro padre. Persino tu, quindi, dovresti capire che se Miles ha deciso di scomparire avrà avuto un motivo valido.”
Taye non credeva di poter ricavare altro da quella conversazione.

“Va bene, ma se si fa sentire o scopri qualcosa fammi sapere.”
“Okay tesoro, stammi bene.”
Attaccò e si ricordò perché interagiva con lei così sporadicamente.

 

Other
L’aveva vista. Era finalmente andato e l’aveva vista e l’aveva osservata. Era rimasto a guardarla mentre lavorava e interagiva con i clienti, mentre sorrideva alle persone più frustranti. E quando i loro occhi si erano incontrati aveva capito, era convinto di quello che doveva essere fatto.

 

~~ Angolo Autrice ~~

“...i figlio esistono per rendere la tua vita migliore, se non lo fanno è ora di sbarazzarsene.” Questa frase è frutto del mio cervello, ciò che è anche stato frutto del mio cervello è stata l’idea dire questa frase a mia madre. Onestamente non mi dovrei lamentare se un giorno mia madre decidesse di sbattermi fuori di casa, gliel’ho suggerito io.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 6 ***


Taye aveva ancora tempo prima del turno al museo quindi decise di andare finalmente a fare la spesa. Vivere di pane e maionese non era il regalo migliore che potesse fare al proprio corpo. Lungo la strada dalla vecchia villa all’appartamento individuò un supermercato. Era a venti minuti dalla sua destinazione ma sapeva, per esperienza, che era meno costoso di quello più vicino a casa. Considerò il fatto che, in fondo, comprava solo per se stessa e quindi la spesa non sarebbe stata pesante.

Entrò accorgendosi solo allora di quanto fuori facesse caldo. Le estati londinesi erano imprevedibili e quella settimana era straordinariamente baciata dal sole.

Taye decise di dirigersi verso le verdure e cercare di prendere qualcosa di salutare. Si ritenne soddisfatta dopo aver preso ingredienti per un paio di insalate e delle zucchine. Non che sapesse come cucinarle, o cucinare in generale, ma era ora di imparare. Poi però si preoccupò di rimanere senza cibo commestibile e prese un paio di mac and cheese prefatti. Nel caso non ne avesse avuto bisogni li avrebbe messi nel freezer come scorta.

Mentre meditava davanti al frigorifero aperto se prendere altro una mano le atterrò sulla spalla.

Una scintilla di speranza si accese, Miles aveva vissuto nella zona, ma quando vide il proprietario della mano i muscoli della mascella le si irrigidirono.

Non si ricordava bene il suo nome ma era sicura iniziasse con la C.

Il viso del ragazzo c’era un sorriso amichevole e Taye si sforzò di indossarne uno simile, una versione più intima di quello che usava all’hotel.

“Taye giusto? Da quanto tempo.” Esclamò lui abbracciandola. Non aveva ancora recuperato il suo nome dalla memoria.

Non irrigidendosi troppo ricambiò l’abbraccio.

Scostandosi ma non abbastanza da restituirle il proprio spazio vitale continuò. “Come stai, come ti va la vita?”

“Bene, va avanti. tu come stai?”

“Più che bene, finalmente è finita ma adesso devo pensare a cosa fare dopo.” Si fermò, dandole la possibilità di intervenire ma quando in risposta ricevette solo silenzio continuò allegramente il discorso.

“E a te come è andata nella nuova scuola?”

Taye abbassò lo sguardo ma non poteva evitare la domanda. “Non… non sono andata in un’altra scuola.” Poi sentendosi ridicola rialzò lo sguardo e sorrise. “Sto già lavorando.”

Il viso di lui era giovane e sbiadito, tipo di qualcuno che non aveva visto troppo solo in un paio d’anni, e il suo mento si stava sforzando di cresce qualcosa. Il occhi di lui le risposero perplessi ma la sua bocca continuò a sorridere amabilmente. Si ricordava questo di lui, la curva delle sue labbra pareva sempre felice.

“Bello, il lavoro per me invece sembra ancora una cosa lontana. Ma hai ancora intenzione di tornare un giorno a scuola o…”

A Taye parve educato completare il suo silenzio quella volta. “Non lo so, per adesso sto bene e mi piace il mio lavoro ma forse in un futuro non troppo lontano…”

Lui fece un passo indietro finalmente dandole lo spazio per essere a proprio agio. Lei però non si aspettava che fosse finita.

“Senti… mi dispiace per l’incidente, davvero. Avrei voluto fare qualcosa ma… e non è giusto che tu non vada più a scuola.” La rabbia nel volto felice di lui sorprese Taye. Non erano mai stati amici e lei ancora non si ricordava il suo nome.

“Fa niente, succede. Io sto bene adesso.” Il ragazzo aprì di nuovo la bocca, forse per protestare o forse per farle domande ma parve ripensarci. Uno squillo breve del telefono di Taye interruppe il silenzio che seguì.

Per qualche strana ragione il ragazzo parve felice del suono. Ruotò il proprio corpo iniziando a frugare nella gonfia borsa a tracolla che gli pendeva dalla spalla. Questo le diede il tempo di studiare meglio i suoi capelli incolore, un misto di marrone e biondo che effettivamente assomigliava più alla cenere, e il suo corpo che non aveva ancora perso totalmente le rotondità giovanili. Era forse sicura che il suo nome fosse Chris, ma non aveva idea se fosse Christopher o Christian e il cognome le sfuggiva totalmente.

Chris nel frattempo aveva tirato un piccolo blocco di fogli gialli e una penna e si era appoggiato sulla superficie di uno degli scaffali a scribacchiare. Una signora anziana di passaggio gli osservò con sguardo consapevole.

Lui si raddrizzò e le porse il foglietto in cima alla pila. Sopra c’era scritto in calligrafia tondeggiante “Chris”, lo sapevo, e un numero di telefono.

“Chiamami ok? Per qualunque cosa.”

Lei non sapeva come rispondere, non erano amici ma lui era stranamente investito nei suoi affari, un senso di disagio non inerente al suo passato iniziava a farsi strada nella sua coscienza.

“Non voglio inquietarti.” Le aveva letto nella mente?

“Voglio solo… mantenere i rapporti. O anche in realtà crearli.” Senza nemmeno prendere respiro continuò. “Mi vergogno per quella cosa, non ho provato a fare nulla, e sono un bravo ascoltatore quindi se vuoi parlare di qualcosa o ti serve una mano per tornare a scuola e studiare io ci sono.” Prese un respiro. “Anche se i tuoi voti sono sempre stati migliori, ma voglio comunque fare qualcosa.”

Taye non si sentiva meno in guardia ma nemmeno minacciata. Lui prese il suo silenzio come un no.

“Davvero, per favore, anche solo per parlare. Mi farebbe sentire meglio sapere come stai, o esserti di aiuto, dopo…”

“Sei davvero insistente.” Non voleva dirlo, ma le è sfuggito.

Lui ridacchiò imbarazzato. “Lo so, scusa. Ma sono serio. Io adesso vado e tu chiamami quando vuoi.” E con un ultimo gesto della mano se ne andò senza spesa.

Taye si sentiva un poco esilarata dall’incontro, non era qualcosa che si sarebbe aspettata da uno dei suoi vecchi compagni di classe.

Non ne incontrava da quando aveva smesso di andare e indifferenza o una distaccata simpatia erano le uniche cose che poteva immaginarsi da loro. Forse lo avrebbe chiamato. Non voleva però davvero pensare alla possibilità di tornare a scuola.

Tirò fuori il telefono per controllare il messaggio e si trovò una foto. Era fatta a un’angolatura strana e prendeva quello che credeva essere un soffitto e parte di una finestra. Una brutta sensazione la pervase ma non riusciva davvero a capire il contesto della foto. Decise di pensarci dopo, quando l’incontro con Chris non fosse più stato fresco nelle sue emozioni. Infilò il telefono e il foglietto nella tasca dei jeans e si diresse alla cassa.



 

Non aveva davvero un’uniforme per il lavoro che svolgeva al museo quindi in genere indossava leggins e t-shirt nera. Tutto nero le permetteva di sporcarsi senza preoccuparsi troppo mentre puliva.

Non si occupava effettivamente dell’interno della casa trasformata in museo, i cui marmi non aveva assolutamente idea di come pulire. Il suo lavoro consisteva nel prendersi cura del giardino, spolverare e accendere o sostituire candele. E per un’abitazione non troppo grande ce n’erano tante.

Si sorprendeva a volte del fatto che non fosse costretta a indossare un’uniforme. Il posto era incredibilmente sfarzoso e lei si sentiva fuori luogo. Il signor Leight, un uomo elegante la cui vera occupazione era un mistero per Taye anche dopo due anni di lavoro al museo, alla sua assunzione le aveva detto che non doveva essere elegante. Poi, vedendo come si vestiva per lavorare, aveva scherzato dicendole che sembrava uno spazzacamino. La cosa lo divertiva.

Quella domenica sera, quando arrivò, c’era una sola visitatrice che girava per le stanze. La guardia, Helen, le salutò all’entrata e Taye andò a svolgere la sua prima mansione. Sostituire candele.

Era un lavoro ripetitivo che la costringeva a mettersi in posizioni precarie per non appoggiarsi sui mobili antichi. Aveva lasciato lo zaino nello sgabuzzino di cui aveva la chiave, e dentro il telefono e il numero di Chris.

Sapeva che la sua mente avrebbe inevitabilmente vagato mentre lavorava ma preferiva indirizzarla altrove.

Ripensò al cliente del giorno prima, Ai suoi occhi incredibilmente chiari e la voce profonda. Per un attimo lasciò che fosse tutto vero. Il suo interesse in lei, la possibilità di qualcosa e una vita diversa. Ma lui sarà già andato via quando il giorno dopo se avrebbe fatto il proprio turno, e Miles era la conferma che una vita diversa non poteva esserci. La sua fortuna funzionava così.

Nella sua mente però poteva lasciarsi andare e quindi lo fece, mentre sostituiva candele in una casa sfarzosa sotto la sorveglianza delle telecamere negli angoli.

 

Angolo Autore

Non sono morta!

O almeno, non fisicamente. Ho iniziato il mio primo anno di università quindi mi sono presa una lunga pausa. Ho anche deciso di cambiare “metodo”: infatti inizierò a pubblicare una volta alla settimana il venerdì e ovviamente saranno capitoli molto più lunghi. Conto ancora di scrivere circa 200 parole della storia al giorno ma così adesso ho la possibilità rileggere meglio i miei capitoli e magari riuscire a pubblicare con meno errori.

In realtà contavo di pubblicare anche questa settimana di venerdì ma ho deciso prima di mettere per iscritto le idee che ho per la storia e… la situazione mi è un po’ sfuggita di mano. 15 pagine di plotting. Non sapevo nemmeno di aver immaginato così tante cose per la storia.

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Capitolo 9
*** Capitolo 7 ***


I lunedì erano delle belle giornate per Taye. Il suo turno all’hotel era nel pomeriggio quindi, mentre persino durante il periodo estivo tutti erano agitati durante i lunedì mattina, lei se li gustava lentamente. Poteva passare la mattinata a guardare un documentario oppure un film mentre beveva tè accompagnato da scones. I lunedì mattina persino le cose brutte erano troppo impegnate per lei.

Con molta calma si avviò verso l’hotel sotto a un cielo gonfio di grigio. Nonostante il fatto che a volte si sentisse sola, passare inosservata per le strade la faceva sentire un’osservatrice. Le piaceva pensare di poter comprendere la vita delle persone attorno a lei solamente guardando le emozioni sui loro volti.

Come sua abitudine arrivo’ a lavoro ben prima del proprio turno. Senza farsi notare, si infilò nello spogliatoio. Trovò un biglietto attaccato al suo armadietto.

La famigliare calligrafia di Cherry la chiedeva di prendersi cura prima della stanza maledetta.

A Taye venne da ridacchiare. Quella che tutti si ostinavano a chiamare la “camera maledetta” non era altro che una stanza angolare, in fondo al secondo piano del lato est, la cui finestra dava su un muro. Questo la rendeva spiacevolmente scura e quando il vento passava tra il muro dell’hotel e quello dell’edificio accanto strani rumori venivano prodotti dalla stretta fessura.

Taye non credeva che qualcuno sapesse della sua famiglia al lavoro ma tutti si erano resi conto che lei non aveva paura della stanza e nulla di strano accadeva quando era lei a pulire la stanza. Per questo, nella rara occasione in cui ce n'era, gli altri inservienti chiedevano automaticamente a lei di prendersi cura della stanza. A lei non dispiaceva.

Cambiatasi nlla propria uniforme elegante, che le dispiaceva indossare nei giorni di pulizia, si diresse a prendere il necessario per pulire in uno degli sgabuzzini.

Mentre portava il secchio con tutto il necessario sulle scale strette, cercando di non danneggiare i muri, senti’ chiamato il proprio nome. Al, che aveva molti turni in contemporanea a Taye. La raggiunse togliendole di mano il secchio.

“Buongiorno raggio di sole, come stai oggi?” Domandò lui, superandola sulle scale.

“Quello non era pesante, sai?”

Senza voltarsi lui portò il secchio davanti alla camera maledetta per mollarlo lí. “Sí, ma non possiamo permettere al nostro raggio di sole di affaticarsi.”

Lei si sfregó le mani sulla faccia consapevole del fatto che c’era qualcosa in ballo. C’era solo una cosa che piacesse allo staff di più che spettegolare. Sapere un segreto che riguardava qualcun altro e rivelare il fatto il più lentamente e dolorosamente possibile.

Taye aveva assistito al processo quando, il mese prima, uno dei cuochi aveva ricevuto una promozione. Prima che la cosa fosse resa nota, in qualche modo,  Andrea lo sapeva già e aveva tormentato per quasi una settimana il povero ragazzo in questione. Alla fine glielo aveva detto giusto prima che i proprietari lo annunciassero.

Al si era avvicinato a lei con un sorriso che gli gonfiava le guance e gli occhi rotondi. “Sembri un maniaco.”

La frase non fece altro che farlo sorridere più forte.

Taye aspetto’ un attimo perché lui parlasse ma quando Al continuo’ a torreggiare su di lei in modo inquietante fece un passo indietro. “Adesso sembri anche sadico, che cosa succede?”

“E chi lo sa, raggio di sole, e chi lo sa.” Senza avere alcun senso se ne andò, lasciandola al suo lavoro.



 

Per le restanti ore Taye, senza incidenti nella camera maledetta, riordino’ le quattro stanze al secondo piano con parecchie interruzioni da parte di Al.

A Taye non dispiacevano le interruzioni, dopotutto non le capitava così spesso di essere in mezzo a quel genere di situazioni da trovarlo fastidioso.

A metà della prima stanza del terzo piano si ritrovò Al appoggiato alla porta con il telefono di lei in mano. Ma quel ragazzo non l’aveva un lavoro da fare?

In quel momento il telefono inizió a suonare mostrando il nome di Holly.

“Apparentemente e’ da un po’ che sta chiamando, ed e’ stata tanto insistente che hanno sentito gli squilli provenire dal tuo armadietto.”

Un brutto presentimento si fece sentire nello stomaco di Taye.

Lei lo prese e rispose, mentre Al si allontanava presumibilmente per darle un po’ di privacy.

“E’ successo qualcosa?”

“No no, va tutto bene.” Taye tiro’ un sospiro di sollievo. “Volevo solo ottenere una piccola informazione.”

“Ed era così urgente da dovermi chiamare ripetutamente? Sono a lavoro, non ho il telefono con me.”

“In realtà era un pochino urgente. Visto che lo hai menzionato, dov’è che lavori esattamente?”

Taye allontano’ il telefono per guardarlo. Ma perché ne Al ne mia sorella sanno cosa sia una conversazione coerente?

“Facciamo finta che questa domanda sia stata fatta nel contesto giusto di una conversazione. E poi non mi sembrava fossi troppo interessata la volta scorsa.”

Holly sospiró. “Intendi quando avevo la faccia interrata nel cuscino?”

“Si, e letteralmente le altre poche volte in cui mi hai chiamata prima di allora.”

“Okay, okay, sono una sorella terribile. Mi dispiace.”

Taye rimase in silenzio.

“Adesso mi dici dove lavori?”

Taye decise di regalare ancora un po’ di silenzio alla sorella.

“All’Hotel Schmaltz.”

“Okay, grazie.” E la linea si interruppe.

Fare schifo nelle conversazioni telefoniche doveva essere una cosa di famiglia.

Siccome le tasche della sua uniforme erano troppo scomode per tenerci il cellulare lei decise di finire la stanza velocemente e poi riportarlo giú.

Quando tutto fu puliti e messo in ordine, e le lenzuola usate messe nel cesto dei panni sporchi in fondo al corridoio, Taye andò velocemente verso le scale. Venne però intercettata da Al.

Lui estese una mano verso di lei tenendo l’altra nascosta dietro la schiena.

“Cominci seriamente a inquietarmi.”

Lui le sorrise ancora di più. “Facciamo uno scambio.”

“Perché dovrei fare a scambio con qualcosa con il mio telefono.”

“Prometto che ne varrà la pena.”

Lei lo fissò, il silenzio sembrava funzionare bene in determinate situazioni stupide.

“Te lo riporto giù io e prometto di non sbirciare.”

Lei con una smorfia poggiò l’apparecchio sul palmo do lui.

“Dovresti ringraziarmi, sono l’unico che ne sa qualcosa al momento.” Borbottò presentandole con l’altra mano un mazzo di girasoli.

“L’ho trovato nella loro stanza ieri pomeriggio. Stavano nell’altra ala al piano terra.” E poi Al scese le scale con il suo telefono in tasca.

Lei trovo’ un bigliettino appeso a uno dei cinque girasoli.

 

“A Taye,

Un raggio di sole nascosto.”



 

Il suo turno era quasi finito quando Al le disse che poteva andarsene prima, e che c’era qualcuno che la stava aspettando all’ingresso.

Lei trattenne il fiato per vedere se Al le dava qualche indizio, in fondo sapeva da parte di chi erano quei fiori. Dopo aver letto il messaggio e collegato il tutto aveva dovuto fermarsi un attimo a respirare.

Al però, sempre sorridendo, se ne andò per la sua strada, a fare qualunque lavoro non stava facendo da tutto il pomeriggio.

Lei prese i girasoli e scese le scalinate per vedere chi fosse, e anche se il fatto che fosse libera di uscire prima non fosse solo una buffonata.

Alla reception quel giorno c’era James, un ragazzo nuovo che lei non conosceva ancora troppo bene. Stava venendo ammaliato dagli occhi scuri e il sorriso raggiante di Holly.

Quando lei si accorse di Taye smise di parlare con James per andarle incontro. “Sorpresa!”

Con i girasoli in mano Taye si sentì incredibilmente stupida.

“Ma che belli questi, vedo che qualcuno ha un ammiratore.” Osservó Holly con sguardo curioso.

Taye non sapeva cosa rispondere. Fortunatamente James intervenne da dietro la reception.

“Taye, sei libera di andare se vuoi. Al rimane qui per un secondo turno e ha detto che finirà la tua ultima stanza.”

Lei sbatté le palpebre e mormorò di doversi andare a cambiare.

Nello spogliatoio quasi considerò di buttare i fiori ma stupidamente non voleva. Quello che desiderava era portarli a casa, essiccarli e magari appenderli poi a un muro. Sapeva che era solo perché era la prima volta che qualcuno le dava attenzioni in quel modo ma non riusciva a non sentirsi eccitata, sotto alla vergogna di sentirsi effettivamente in quel modo.

Si cambiò il più in fretta possibile, trovando il proprio telefono sulla mensola dell'armadietto. Il suo fiato accellero’ di nuovo perché Al sapeva, Al era gentile con lei. Alsi aspettava che qualcosa accadesse tra lei e il ragazzo moro con gli occhi chiari, e lei sapeva che non stava facendo niente per dissimulare la possibilità, ma tutto sarebbe fallito. Avrebbe portato a niente.

Trascino’ via Holly da James che le sorrideva come se si trovasse in paradiso. Forse sua sorella poteva far sentire speciale chiunque lei rivolgesse la parola, come sapeva fare Miles a volte, ma lei non aveva davvero modo per saperlo. Era semplicemente una ricorrenza speciale quando Holly decideva di spendere il proprio tempo Taye.

Uscirono fuori nella serata fresca, l’aria sapeva di asfalto bagnato. Taye tenne i girasoli abbassati, dal lato opposto della sorella, sperando che lei non li menzionasse o facesse domande.

“Quindi, cosa c’era di tanto urgente?”

“Niente, ero nei paraggi e volevo vedere dove lavorassi.”

Taye la guardò attentamente. “Come facevi ad essere nei paraggi se non sapevi dove lavorassi.”

Holly distolse lo sguardo ridacchiando. Taye inizió a camminare, era pronta ad andare a dormire nel suo letto.

“Beccata. Però volevo davvero vedere dove lavorassi. E invitarti a una festa.”

Taye si fermó.

“Non essere melodrammatica, è solo una festa e poi sarà a casa mia, non ci saranno tante persone.”

Taye voleva incredibilmente rifiutare, non era davvero il genere di cosa che le sarebbe piaciuto fare con il suo tempo.

“Per favore, vieni. Magari ti divertirai, e poi passiamo del tempo insieme.” Quello era l’unico motivo per cui Taye avrebbe mai accettato.

“Va bene, ma niente riti o altre cose del genere questa volta.”

Holly le piazzò il suo mignolo davanti alla faccia. “Giuro.”

Taye lo ignorò e riprese a camminare, ma un sorriso le comparve sulle labbra. Si sentiva stranamente speranzosa.

“Ma quindi, Al eh? E’ il tipo alto che e’ venuto a dirti che ero venuta?”

“Si, perché?”

“Niente, è solo stato molto carino.” La spintonó leggermente indicando con il mento i girasoli.

“Oh no, proprio no. Hai capito male.”






 

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Capitolo 10
*** Capitolo 8 ***


La musica non era troppo forte ma la quantità di persone nell’appartamento di Holly era soffocante. O almeno lo era per Taye, gli altri parevano parevano essere perfettamente a proprio agio. Nonostante le dimensioni del luogo non era ancora riuscita a trovare sua sorella. Pe un momento rifletté a come Holly riuscisse a permetterselo. Dopotutto, per quanto ne sapesse, non lavorava e la sua borsa di studio era applicabile solo alle spese universitarie. Magari glielo avrebbe chiesto non appena l’avesse trovata, o probabilmente no. Aveva scoperto da tempo, prima con sua madre e poi con il resto dei suoi tre fratelli, che meno domande faceva e meno le avrebbero mentito.

Stare ferma in un angolo non l’avrebbe aiutata a trovare la sorella e cercó, senza spintonare troppe persone, a fare un altro giro dell’appartamento. Non era l’unica della sua età alla festa e, anzi vedeva persone probabilmente più giovani dei suoi diciotto anni che bevevano da bicchieri bianchi di plastica. La maggior parte degli invitati erano però più grandi, coetanei di Holly, e la differenza di età si notava maggiormente quando uomini adulti ridevano accanto a ragazzine minute. La situazione schiacciava definitivamente diversi dei bottoni di panico di Taye.

Lei si rifiutò di entrare nella stanza in cui Holly aveva fatto il rito. La scansionó peró con lo sguardo, trovandovi il letto che era sparito dalla stanza principale e nessuna traccia di Holly. Fece un giro anche nella piccola cucina e dopo aver girovagato ancora un po’, entrando in contatto fisico con un po’ troppe persone, decise di andare verso la porta d’entrata. Magari anche di andarsene.

Con sua sorpresa, a notte inoltrata e con la casa già piena, stavano ancora arrivando persone. Si spostó per farle passare nel vestibolo stretto quando qualcuno la afferró da dietro. Venne trascinata e un alito caldo le si avvicinó all’orecchio. “Stai già andando a casa?”

Lo spavento di Taye diminuì drasticamente quando la voce nel suo orecchio si riveló essere femminile. Giró la testa verso le parole e odorò immediatamente alcol. La pallida ragazza le sorrise, chiaramente inebriata ma Taye non la conosceva, anche se le sembrava familiare.

Questa la trascino’ ancora un po’ di più verso la massa da cui era appena sbucata. “Ciao sorellina.”

“Ci conosciamo?”

“No, o in realtà si, Holly ci ha presentate una volta.”

Taye guardó la porta, desiderando di essere riuscita ad andarsene prima che la ragazza la intercettasse. La ragazza la trascinó ancora di più verso di se.

“Tua sorella mi ha chiesto di starti accanto e introdurti a un po’ di persone.”

“Non ne ho bisogno grazie. Lei dov’e’?”

La ragazza la guardó divertita, poi tiró fuori il telefono e messaggió a qualcuno. Poi le disse “Usciamo, qui si sta riempiendo” sospingendola verso la porta. Taye non fece domande, era semplicemente ansiosa di uscire.

Sulle scale vennero raggiunte da altre due ragazze e un ragazzo. Tutti salutarono Taye come se fossero amici, una delle ragazze la abbracció. La ragazza pallida si presentó come Lise e la introdusse agli altri come “Taye, la sorellina di Holly” mentre uscivano tutti fuori.

“Come mai stiamo uscendo?”

“Andiamo a fare la spesa, quando ci saranno un po’ meno persone e i piccoli se ne andranno organizzeremo qualche gioco.” Spiegò Lisa mettendosi alla guida del gruppo, la ragazza che l’aveva abbracciata fece segno a Taye di seguirli.

Era incredibile quanto loro le facessero sentire la sua età. Un momento era totalmente una pari al lavoro mentre parlava con i residenti dell’hotel e, la stessa sera, diventava la piccolina di un gruppo di ventenni che seguiva senza sentirsi abbastanza matura per intervenire.

Loro parevano abbastanza familiari con la zona perché presero viette strette per sbucare davanti a un piccolo supermercato.

Lisa e il ragazzo si diressero direttamente verso gli alcolici mentre le due ragazze andarono verso gli snack, Taye decise di seguire le ultime.

Entrambe fecero il pieno di orsetti gommosi e patatine di diversi gusti e, con le braccia impegnate, si diressero verso il cassiere dall’aria assonnata.

Impilarono tutto sul bancone in moto precario e, mentre il cassiere iniziava a battere i pacchetti colorati, Lisa arrivó con diverse bottiglie, che tenne in mano per mancanza di spazio. Taye si mise in disparte iniziando a pianificare come arrivare a casa. Sarebbe stata una camminata lunga ma forse ne sarebbe valsa la pena.

Il ragazzo raggiunse il bancone poco tempo dopo, aggiungendo altre bottiglie. Lisa osservò la selezione di snack, strinse le labbra, per poi camminare verso la corsia che ne conteneva altri. Il ragazzo, per farla passare,  si spostò andando contro a Taye. Si scusò ma non si allontanó subito, fissando il suo sguardo su di lei. Lei decise di ignorarlo, dopotutto non sapeva quanto ognuno di loro avesse bevuto, forse stava solo sperimentando qualche sorta di trip mentale.

Lisa torno’ con altri snack e iniziò a discutere con le altre ragazze su come si sarebbero divisi il pagamento. Nel frattempo Taye continuava a sentire lo sguardo del ragazzo addosso a se. Gli lancio un’occhiata e lui non si prese nemmeno la briga di far finta di niente, per poi schiarirsi la gola un paio di volte fino a quando le altre non lo guardarono.

“E se comprassimo un biglietto della lotteria?”

“Perché dovremmo?” Chiese una delle ragazze. Lisa fece di no con la testa.

“Mi sento fortunato, compriamone uno.”

Lisa sospirò mentre le altre due lo guardavano come se fosse un idiota. Taye non voleva muoversi, desiderava che tutti si dimenticassero di lei. Ma ovviamente non era così facile.

“Taye, perché non scegli tu quale prendere?” Chiese lui avvicinandosi.

“O magari vieni qui e mi aiuti con la spesa.” Intervenne Lisa, con un tono di voce più profondo di prima, minaccioso.

“Coraggio, vieni, Lisa vuole solo fare la guastafeste.” La prese per l’avambraccio dirigendola verso il bancone. “Scegli pure quello che vuoi.”

Una delle altre due ragazze Si avvicinò a loro con sguardo allarmato. Cercò di mantenere un tono leggero. “Jack, non so cosa tu stia combinando, ma non dovresti molestare le ragazzine.”

“Non dire idiozie,” e poi con voce più bassa “basta che me ne indichi uno.”

Taye, che voleva allontanarsi da lui il più velocemente possibile, indicó un biglietto a caso di quelli appesi. Con uno sguardo trionfante lui la lasciò andare per pagare. Lei fece diversi passi indietro e Lisa le si mise davanti continuando a mettere via la spesa. Le diete alcuni dei sacchetti e la sospinse verso l’uscita. Poteva quasi tirare un sospiro di sollievo quando uscí fuori.

“Adesso dimmi i numeri.”

“Smettila, e stalle lontano.”

Lui era dietro di lei e si piegò standole addosso. “Coraggio, cosa ti costa.”

Lei cercò di allontanarsi e sentí una delle ragazze uscire dal negozio ma la forte stretta di lui le circondò il polso. “Basta anche solo che li indichi.”

Cercando di non tremare iniziò a passare il dito a caso sul piccolo numero. Lui li cerchió e quando parve soddisfatto si allontanò di nuovo. “Suppongo che tra un paio di giorni scopriremo quanto ho vinto.”

Lisa e le sue amiche nel frattempo erano uscite e stavano guardando con orrore Jack, anche se Lisa probabilmente per un motivo diverso. Probabilmente la ragazza che l’aveva abbracciata prima, le andó incontro prendendole i sacchetti e intrecciando le sue dite con quelle di Taye. Le altre due trattennero Jack piu’ indietro iniziando a borbottare furiosamente, mentre questi stringeva sorridente il biglietto della lotteria. Taye si lasciò condurre indietro verso l’appartamento, sentendosi per tutto il tragitto sotto a un intenso scrutinio.

 

Angolo autore

Hem… prometto che prima o poi (spero prima che poi) riuscirò a non pubblicare un giorno in ritardo. Mi rifiuto ancora di spostare a sabato il giorno.

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Capitolo 11
*** Capitolo 9 ***


La festa si era svolta mercoledì e il giovedì non era davvero esistito. Era rimasta a letto in compagnia della televisione e Friends per tutto il giorno. Una serata spiacevole come quella che aveva passato lei meritava un lungo periodo di riposo. Si era nascosta sotto le lenzuola leggere fino a quando, la sera, non si era assopita con una sensazione spiacevole allo stomaco. Era caduta in un coma da pizza.

Il giorno dopo aveva aperto gli occhi con le galline, pronta a indaffararsi prima ancora che sorgesse il sole, e a fine agosto la luce arrivava presto. Riordinò l’appartamento, e si sentì in dovere di lavare le lenzuola e se stessa. Era ancora un po’ fuori fase ma pronta quando, verso le dieci, uscì per andare all’hotel.

La familiarità del cielo grigio permeato sporadicamente da raggi di luce la permeò. Non voleva ancora rispondere ai messaggi di Holly ma quando arrivò al lavoro era decisamente molto più pronta ad interagire con qualcuno. Nello spogliatoio salutò Kyla che si stava già cambiando. Si avviarono insieme verso la reception dove le vennero assegnati i tavoli.

Quando entrarono nel salone nessuno fece loro caso, tutti preoccupati con le preparazioni per il pranzo. In cucine vennero subito indirizzate da Andrea verso dei tavoli che avevano ancora bisogno di essere sistemati.

La mente di Taye si svuotò mentre lavorava e ascoltava il mormorio degli altri camerieri. In media erano in meno a pranzo rispetto alla sera ma riuscivano comunque a riempire ogni momento con giocosi scambi di parole.

I primi clienti iniziarono ad entrare ancora prima che la cucina fosse davvero aperta, ma non potevano spingere fuori a forza dei vecchietti quindi nessuno commentò.



 

I venerdì erano generalmente più occupati degli altri giorni della settimana ma la situazione iniziava ad essere meno sotto controllo solo verso il pomeriggio, quando arrivavano gli ospiti per il weekend. Il pranzo quindi era stato una successione lenta di ordini e chiacchiere divertite nelle cucine. Probabilmente Al aveva ormai detto a tutti dei girasoli, che lei stava ancora essiccando in mezzo a una costruzione di vecchi libri di scuola. O forse a nessuno importava davvero e lei si stava sentendo un po’ troppo importante.

Al giungere al termine del suo turno si diresse agli spogliatoi insieme agli altri. Non era anomalo che lei non interagisse con i discorsi degli altri quindi loro non le badarono. Ma lei si sentiva comunque diversa, nuova, ma non era sicura che fosse positivamente. Ad aggiungere a quella sensazione c’era anche il fatto che in quel periodo non stava lavorando tanti turni a quanti era abituata. Normalmente ne prendeva sempre di più e i venerdì restava fino alla chiusura del ristorante la sera, quel pomeriggio però aveva deciso di fare una chiamata importante.

Mentre passavano tutti davanti alla reception Amanda richiamo’ la loro attenzione. Si guardò attorno con aria cospiratoria prima di dire piano “indovinate chi ha prenotato per questo fine settimana?”

“Sono loro, sono loro, sono loro, non e’ vero?” Saltellò Kyla contenta. “Ammettiamolo, sono gay, e stanno insieme.”

Andrea le tirò una pacca sulla spalla, forte. “Smettila.”

“No, seriamente credi che abbiano un’altra conferenza così presto?”

Andrea appoggio’ il fianco al bancone incrociando le braccia, le labbra dipinte con precisione di un colore simile a quello dei capelli formarono quasi un cuore. “Non c’è modo che siano gay, non lo accetto.”

Kyla unì le mani con quelle di Andrea e le strinse in solidarietà mentre l’altra cameriera del loro gruppo perdeva interesse e se ne andava verso lo spogliatoio. Taye credeva di doverla seguire ma rimase.

“Immagina, questo sarà il loro posto sicuro, dove non dovranno nascondersi da nessuno e potranno avere attimi di felicità spensierata.”

Andrea cerco’ di liberare le proprie mani. “Ok, ammettendolo ipoteticamente per solo un secondo, non significherebbe che probabilmente hanno delle fidanzate da cui si nascondono?”

Kyla annuì chiudendo gli occhi. “Il mondo non li capisce.”

“E credo non capisca nemmeno te.”

Con occhi grandi e increduli Kyla lanciò un’occhiata a Taye come a significare ma senti cosa dice? per poi comminare via mentre Andrea ridacchiava.

“Credi davvero che potrebbero essere gay?” Chiese Taye cercando di mantenere un tono pacato.

Un mezzo sorriso si formò sulle labbra di Andrea. “Mh? Cosa sento? La piccola Taye è interessata?”

Taye si sentì troppo calda e stretta alle giunture. “No no, me lo stavo solo chiedendo.”

La rossa schioccò la lingua. “Non farlo, lo sai com’è fatta Kyla, e domani sera le proverò il contrario.” Sentenziò andandosene tanto maestosamente quanto l’altra era stata indignata.

Amanda nel frattempo era rimasta ad osservarle con il mento poggiato sui palmi e sorrise a Taye prima di cominciare a schiacciare tasti sul computer, come se nulla fosse successo. Taye si sentiva come se avesse appena evitato di un soffio un veloce camion rosso.


Fuori era un afoso pomeriggio e Taye, mentre lavorava, non si era resa conto di quanto l’aria fosse diventata densa. Dentro le due vecchie abitazioni, nei corridoi e saloni, c’era spesso una sensazione di freschezza, o gelo durante l’inverno, che non lasciava davvero intuire che genere di tempo facesse fuori. Taye si avviò in fretta a casa colma di emozioni indistinte. Non sapeva come sentirsi a proposito dell’arrivo dei due ragazzi e non vedeva l’ora di fare la telefonata ma voleva anche che finisse in fretta.

Arrivata all'appartamento con il pilota automatico mise in carica il telefono. Quando lo schermo si accese controllò le notifiche che iniziarono a sbucare sul suo schermo. Alcune erano di applicazioni che non si ricordava nemmeno di aver scaricato ma una era di un messaggio. Lo aprì e osservò un’immagine marrone e verde. La aprì a schermo intero ma lo scatto era sfocato. Riusciva a distinguere alberi distanti gli uni dagli altri e fogliame. E in mezzo qualcosa di grigio, o forse marrone, forse era un telo o una persona. Taye fissò ancora un po’ l’immagine cercando di decifrarla ma non riusciva a cogliere nessun dettaglio che le desse un po’ più di contesto.

Poi vide l’ora nell’angolo del telefono e si affrettò ad andare a ritroso nei propri messaggi in cerca di quello giusto.

Non ne aveva molti e la madre non le scriveva spesso quindi non fu difficile. Lo aprì e selezionò il numero di telefono nel messaggio per poi schiacciare la chiamata.

Sperò quasi che non le rispondessero ma poi il ricevitore fu inondato di urla e una voce non profonda quanto si aspettava. “Pronto?”

“Salve, sono Taye Loucas, mia madre, Minta Loucas, mi ha dato il suo numero e chiamo per chiederle delle informazioni su mio fratello, Miles Loucas, perché risulta ancora disperso.”

La persona all’altro capo la lasciò terminare. “Va bene, respira, avevo capito anche dopo la prima volta che hai detto il tuo cognome.”

Lei strinse più forte nella mano i bordi del telefono. “Mi scusi.”

“Ascolta, tua madre mi aveva avvisato che avresti chiamata quindi ho chiesto un po’ in giro ai compagni di tuo fratello.”

Taye rimase in silenzio, in attesa del seguito.

“Devi capire che in genere non diamo questo genere di informazioni liberamente, potrei finire nei guai. Questo è stato un caso particolare e tu sei una sorella preoccupata quindi gradirei non subire conseguenze, mi piace il mio lavoro all’accademia.”

Il cuore di Taye si mise sull’attenti. Lui le diede un momento ma lei stava ancora pensando a come rispondere quando lui continuò a parlare.

“Tuo fratello nell’ultimo periodo era un po’... strano. Mi rendo perfettamente conto di quanto l’accademia militare possa essere stressante per i nuovi arrivati ma lui si stava ambientando bene.” La notizia non fece sentire meglio Taye perché sapeva che da lì i fatti sarebbero andati solo in declino. “Poi all'improvviso gli è venuta una forte febbre che si abbassò il giorno dopo, la cosa si è ripetuta due volte. Pensammo a un virus infettivo ma i dottori non trovarono nulla e lui sembrava di nuovo in salute. Lui però stava iniziando a comportarsi diversamente.”

Nel sottofondo le voci si fecero meno intense e una porta venne chiusa. Taye non riusciva a far entrare ossigeno nei propri polmoni per la loro piena capacità. “Pensavamo fosse stressato quindi gli abbiamo solo dato qualche mansione in più quando iniziò a girovagare di notte. La situazione non era ideale ma avevamo un’esercitazione e lo abbiamo lasciato andare con gli altri.” La voce dell’uomo di fece più bassa, Taye non ne sapeva davvero abbastanza di militari per ricordarsi il suo grado quindi non sapeva come chiamarlo per interromperlo o fare domande. “Non doveva essere lui alla guida del furgoncino ma è riuscito a convincere in qualche modo gli altri a lasciarlo fare .Poi abbandonò i suoi compagni tutti a distanza elevata l’uno dall’altro in una città qui vicino.” Si sentì un fruscio di fogli.

“Poi è tornato da solo come se niente fosse e quando lo abbiamo interrogato su dove fossero gli altri ignorò totalmente le nostre domande. Quando riuscimmo a trovarli e lo informammo del fatto ed ebbe una sorta di attacco d’ira. Il giorno dopo era sparito lasciando un biglietto che diceva… loro sono ricchi e voi siete poveri.”

Taye nel frattempo si era seduta e guardava nel vuoto davanti a se. “Ha detto che ha chiesto ai suoi compagni.”

“Si, non posso davvero rivelare troppo dell’investigazione sull’esercitazione ma hanno detto che Loucas aveva iniziato a fare scorta di cibo in scatola che nascondeva da qualche parte. Apparentemente giocavano a poker spesso e Loucas vinceva talmente spesso che molti si rifiutavano di perdere più contro di lui, è forse anche stato quasi aggredito una volta perchè tutti pensano barasse.”

Taye non ritenne possibile difendere Miles, apparentemente qualunque credibilità suo fratello avesse mai avuto era sparita da tempo. Ma lei lo conosceva, l’uomo non stava descrivendo suo fratello.

“Poco dopo la sua scomparsa anche alcune armi svanirono e una delle nostre proprietà sono state danneggiate, ma non sappiamo davvero se attribuire a lui il fatto. Non abbiamo altro al momento che io possa dirti.”

Taye prese un profondo respiro chiudendo gli occhi, non avrebbe permesso alle stupide lacrime di uscire o alla pressione dei suoi organi interni di frammentarla. La sensazione di impotenza a cui si era da tempo abituata le parve più forte e sicura che mai e voleva solo che tutto andasse via e che qualcuno la abbracciasse. Miles, quando ancora lo lasciava, la abbracciava mormorandole baci nei capelli.

La sua voce rauca suonò simile a quella di Holly ma proveniente dalla sua gola era più spezzata del tono maturo della sorella. “Quindi c’è la possibilità che sia armato?”

“Non crediamo alle coincidenze, Loucas sapeva dove si trovavano le armi, ma non abbiamo indizi che sia stato davvero lui.”

Taye non aveva idea se avesse salutato o semplicemente attaccato ma in quel momento aveva bisogno di qualcosa di sicuro. Le lenzuola del suo letto erano morbide quando vi si raggomitolò dentro, e il muro contro la sua fronte fresco. Il suo telefono vibrò, un nuovo messaggio con oggetti sfocati e scuri le era arrivata.

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Capitolo 12
*** Capitolo 10 ***


Il mondo era pieno di rumore. Non era una melodia e nemmeno una cacofonia di suoni abrasivi, solo rumore che risuonava nelle orecchie. Il mondo era anche crudele, nella forma di un sorriso dagli occhi chiari.

Taye non era mai riuscita a camminare via dal rumore, dalle voci che chiamavano e le dicevano cosa era suo compito fare, ma sapeva che quel preciso compito non era suo. Così in quel momento camminò via, semplicemente via, come aveva fatto in passato davanti a situazioni simili. Non le importava essere una codarda, non le importava cosa pensassero gli altri, era semplicemente troppo piena di cose che aveva il dovere di fare e non poteva aggiungerne altre. Quello da cui aveva camminato via non era suo, non doveva sentirsi in colpa. Non voleva che fosse suo. L’ultima affermazione era falsa. Lei voleva che fosse suo ma era trop- “Taye va tutto bene?”

Al era un’altra cosa di cui lei non era responsabile, lui era neutro. Non aveva nessun dovere verso di lui, non ne aveva bisogno e le andava bene. Le andava bene di non avere doveri verso nessuno se non verso la sua famiglia. Loro erano già abbastanza, loro erano già troppo.

Qualcosa di bagnato le toccò la pancia facendole poggiare a terra l’oggetto che teneva in mano. Aveva un problema, e non era solo il sugo che permeava la sua camicia. Non era riuscita a svolgere il suo dovere, le piaceva il suo lavoro e le responsabilità che comportava ma aveva appena camminato via con in mano il piatto di un cliente, che si trovava per terra. Era ormai immangiabile.

Al le tornò accanto insieme a Cherry che le prese la mano, tirandola via dalla sua pancia sporca.

“Hey piccola, cosa è successo?” Chiese sussurrando.

“Ho rovinato un piatto, mi dispiace.”

Cherry si sistemò le corte ciocche bionde dietro le orecchie prima di gattonare più vicino. Le appoggiò la testa sulla spalla, intrecciando le dita di una mano con una delle sue e cingendola alla vita con l’altra. “E poi, cos’altro è successo?”

“Ho sporcato la camicia, non andrà più via.”

Al annuì e prese il piatto da terra, e solo allora Taye si rese conto che non stava annuendo a lei.

Il respiro caldo di Cherry le accarezzava la fronte, proprio come un tempo aveva fatto quello di Miles. “Non vuoi dirmi cos’è davvero successo?”

“Non ho portato a termine l’ordine, ho fatto arrabbiare dei clienti.” Lei le rispose senza muoversi, le sensazione morbida dell’abbraccio che la avvolgeva.

L’altra le stava per rispondere quando le porte verso la sala si aprirono e qualcuno senza uniforme entrò. Lui le individuò subito e con un poco di esitazione si accovacciò di fronte a loro. Taye cercò di nascondere il proprio stomaco, anche se non era sicura di quanto la macchia nascosta diminuisse il suo stato di imbarazzo, seduta per terra contro il muro della cucina. Gli occhi di lui sarebbero probabilmente stati pieni di compassione e forse lo erano, ma lei non lo sapeva perché era riuscita a sollevare lo sguardo solo fino alle sue labbra, non vi vide nessun sorriso.

Cherry la strinse ancora di più diminuendo lo spazio tra i loro corpi, Taye non aveva comunque intenzione di muoversi. I tre rimasero in silenzio per un po’ nell’ambiente indaffarato, fino a quando qualcuno non andò addosso a lui facendolo di conseguenza quasi cadere addosso a Taye. Lei si ritrasse e lui si affrettò a ripristinare il proprio equilibrio, spostandosi più a lato per non essere d’intralcio. Erano allora tutti coperti dal piano di preparazione, schiacciati contro la parete.

Lui si schiarì la voce, ma parlò piano. “Mi dispiace, non volevo che tu… venissi ferita.”

Taye fece di no con la testa, sfregandola così contro la guancia di Cherry, e sperando che fosse una risposta sufficientemente adeguata.

Lui però continuò a parlare. “Mi rendo conto che ho calcolato male la situazione e mi sento molto in colpa per il fatto. Non volevo che le mie parole suonassero” prese in respiro “in quel modo.”

“Va bene così, non si deve scusare signore, è stato un errore mio.”

Lui corrugò la fronte in risposta.

“Ma cosa diavolo è successo?” Taye si stupì che Cherry si fosse trattenuta fino a quel momento.

Lui si sistemò meglio sedendosi definitivamente sul pavimento. “Io e il mio amico abbiamo gestito in modo indelicato una situazione che ho creato, e le abbiamo causato disagio.”

“A me pareva che la steste umiliando.”

“Non era nostra intenzione, sicuramente non mia.” Si abbassò per catturare lo sguardo di Taye. “Mi dispiace davvero tanto.”

Lui si guardò attorno rendendosi conto che molti li stavano fissando. “Lasciami rimediare in qualche modo.”

Cherry tirò verso di se Taye, facendola allontanare da lui. “Potreste andarvene, o inginocchiarvi in mezzo al salone e chiedere scusa lì.”

Un rumore come l’inizio di una risata gli scappò prima che si inclinasse ancora più in avanti toccando leggermente il braccio di Taye. Del calore si propagò da quel punto. “E’ un qualcosa che vorresti che facessimo?”

Lei scosse la testa, immaginando l’ulteriore imbarazzo che avrebbe ricevuto da una situazione del genere.

“Allora lascia che faccia qualcos’altro.”

Lei scosse la testa di nuovo.

Cherry gli fece segno con la mano. “Okay, puoi anche andare via adesso, ciao.”

“Potrei, ma insisto a rimediare.”

Taye quasi percepì l’occhiataccia che gli indirizzò Cherry.

“Perchè non porto qui il mio collega Charlie, così può chiedere anche lui scusa in un modo appropriato, potrebbe anche strisciare. E poi potremmo trovare un modo di rialzare il morale a te, e rimediamo anche alla camicia.”

Taye finalmente incontrò il suo sguardo volontariamente e lui le sorrise.

Porgendole la mano le chiese “Ti aiuto ad alzarti?” e lei istintivamente fece scivolare la mano sul palmo caldo di lui.

Cherry si alzò con lei e quando furono in piedi lei si coprì nuovamente la pancia. Lui spostó gli occhi per un momento sulla macchia ma non commentò prima di uscire velocemente dalla cucina.

Al si avvicinò a loro guardando ancora preoccupato Taye. “Hey, ci hai fatti preoccupare.”

“Onestamente non so come spiegarlo.”

Al si spostò per far passare qualcuno e poi sembró quasi voler abbracciarla, ma si trattenne. La sua pelle scura si tinse leggermente di rosso quando vide entrare i due uomini in cucina. Si spostò leggermente davanti a Taye e Cherry, e strinse i pugni.

“Quindi cosa è successo? Perché non so davvero se voglio lasciarvi parlare con Taye.”

Il biondo, Charlie, contorse il proprio viso nell’inizio di una risata ma ricevette una gomitata dal moro.

“Mi rendo conto che non ci siamo ancora presentati, io sono Owen e lui è Charlie e siamo qui per chiedere scusa.”

Al non si spostò e Taye sorrise leggermente alla sua schiena, sembrava così maturo e sicuro, nonostante la sua figura secca.

Owen si passó una mano alla base del collo, spettinando i capelli scuri, e si sistemó la giacca.

“Io… ho provato a chiedere informazioni a… Taye? Volevo solo… il punto è che non ci aspettavamo che fosse così tanto giovane.” Si permó guardando Charlie che non aveva ancora alzato lo sguardo da terra. Quando questi si rese conto della pausa sollevò la testa continuando il discorso. “E siamo stati indelicati perché era inaspettato, abbiamo provato a scherzarci su ma… non è stata la migliore delle idee.” Si inclinó leggermente per vedere oltre ad Al. “Dispiace davvero tanto anche a me.”

Lei abbozzò una sorta di sorriso. “Va bene.”

Tutti si girarono a guardarla, la sua voce era stata a malapena udibile.

“Forse l’ho presa un po’ troppo male, accetto le scusa.”

Cherry udibilmente prese fiato. “Stai scherzando? Nel mio libro quello non era reagire male, quello era un totale attacco di panico.”

Taye si sentì calda sulle guance ma non poteva negarlo. Tutti la stavano guardando e lei si concentrò sull’attività in cucina. “È solo che non vedo perché dovremmo farne un problema più grande di quello che è.”

Cherry la abbracció squittendo e Al si spostò con la fronte corrucciata rivolgendosi ai due uomini. “Taye ha diciotto anni, cosa vi da il diritto di prenderla in giro?”

Loro si guardarono a vicenda e Owen parlò. “Assolutamente niente, è solo che ne abbiamo ventisette e la differenza di età…”

Cherry si spostò da Taye dandole finalmente spazio per respirare. “In effetti è una bella differenza per voler fare cosa esattamente?”

Charlie si mise a ridacchiare guardando Owen. Questi arrosí leggermente ma sorrise. “Mi sarebbe piaciuto, o mi piacerebbe ancora, chiedere a Taye di permettermi di portarla fuori.”  Infiló le mani in tasca. “Solo se ovviamente vuoi, e sei disposta a sopportarmi per un intero pomeriggio.”

Tutti si concentrarono di nuovo su di lei e a Taye cominciava a non piacere quella dinamica. Il suo istinto le diceva di no, anche solo perché era circondata da troppe persone. Inoltre le pareva una cosa davvero complicata, e non aveva idea di cosa avrebbero parlato.

Lui la esaminó da sotto le ciglia. “Per favore?”

“E dove è finita la differenza di età?”

Lui parve rilassarsi un po’. “Cercherò di non annoiarti con la mia vecchiaia.”

Charlie alzó la mano, come se si trovasse ancora a scuola. “Io pagherò qualunque cosa mangerai, siccome ho degenerato parecchio la situazione.”

Il rumore stava tornando. “No no, non de-”

“No infatti, devo pagare io, è compito mio.”

Cherry intervenne con voce indignata. “È totalmente in grado di pagare da sola.”  

Owen mise il mento in avanti. “Certo che sì ma non significa che debba.”

Cherry stava per ribattere quando Charlie mise un braccio davanti a lei per fermarla. “Prima di discutere certi argomenti delicati la qui presente…” E guardò Taye con con gesto incoraggiante.

“Taye.”

“... Taye, nome particolare, deve ancora accettare la proposta.”

“Vero, mi dispiace Taye, stavo già presupponendo che avessi accettato la mia proposta, è stato arrogante.”

Cherry sbuffò. “Molto.”

Owen strinse leggermente le labbra ma i suoi occhi pallidi catturarono Taye. Le sorrise con gli angoli della bocca, il labbro inferiore più in avanti e gli occhi più spalancati del normale. Le stava facendo la faccia da cucciolo.

Lei non riuscì a trattenere una risata e annuì d’istinto.

Charlie sfregò le mani in modo cospiratorio. “Perfetto, adesso ci dovremo scervellare su cosa organizzare per il vostro appuntamento.”

Al sospirò e Cherry la abbracciò per ancora un istante prima di lasciarla andare. Spostò di peso Charlie e, a voce inappropriatamente alta, sentenziò trionfante. “E comunque, loro non sono gay!”

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 11 ***


Doveva essere triste l’esistenza di una creatura confinata nel luogo in cui essa sviscerava i passanti. Era ancora più maledetta la sua sorte quando chi la osservava, a distanza di sicurezza, conosceva il suo passato e quello che era stata un tempo. Il rimpianto era uno dei pochi sentimenti che Minta Loucas comprendeva appieno e si domandava se l’ombra alla finestra ne provasse.

Lei comunque non aveva di certo intenzione di entrare in casa ma doveva avvicinarsi per riuscire ad arrivare al giardino nel retro. Si avviò sul ciottolato sperando di non rovinarsi le scarpe nuove e pensando a quante storie spiacevoli, e film di cattivo gusto, si potrebbero evitare seguendo l’istinto. La casa è infestata? Non entrarci. Ci è morto qualcuno prima? Non entrarci. è umida? Non entrarci. Era così facile.

I passi di Minta erano accompagnati dai graffi sul vetro di qualcuno che disperatamente cercava di uscire, come un gatto chiuso in una stanza. Lei sostò ma sapeva di non doversi fermare, ignorare le sue visioni era la cosa migliore. Ecco cosa doveva ricordarsi, erano solo visioni. Tranne quando non lo erano. Continuò a camminare.

Il giardino della piccola casa di periferia era ordinario, circondato da un’alta staccionata che lo divideva da quello dei vicini. L’unica cosa degna di nota era il vecchio albero che, come ogni cosa vecchia, domandava attenzione con la sua figura storta.

Minta si fermò in mezzo all’erba e sperò di non aspettare a lungo, mentre richieste di aiuto cercavano di attirare la sua attenzione da dentro la casa. In quel momento ogni sentimento di empatia che poteva aver provato per la creatura scomparve, i mostri non dovevano essere deboli. E quelli che fingevano di esserlo erano i più pericolosi

Tirò fuori dalla borsa il telefono e lo controllò ma, nonostante i numerosi messaggi, non ne aveva dai propri figli. Lo rimise indietro e sollevò un piede togliendo il tacco dalla terra morbida in cui era sprofondato.

La casa si era fatta silenziosa, o quasi, con solo alcuni fruscii occasionali che potevano anche essere opera del vento. Sì, certo, vento dentro una casa chiusa.

Voleva fissare con anticipazione l’albero ma a ogni suo incontro la lettera le era stata consegnata in un modo inaspettato. L’albero era quindi un’opzione troppo ovvia.

Alzò allora lo sguardo verso il cielo immaginando dove fosse suo figlio. Taye credeva che a lei non importasse ed era giusto così, lei era ancora giovane. Minta però aveva imparato la sua lezione e non si aspettava che quella volta sarebbe andata diversamente da tutte le precedenti sparizioni. Quello però non le impediva di immaginarsi scenari migliori, in cui i suoi figli fossero al sicuro e felici.

Un rumore forte dietro di lei la distrasse dai suoi pensieri, la creatura riposatasi abbastanza da ricominciare a molestare la casa. La borsa in spalla le stava diventando pesante, forse non aveva davvero bisogno di portarsi in giro tutti quei trucchi.

Qualcosa le sfiorò la schiena e lei corrugò la fronte, la cosa dentro la casa non doveva essere in grado di uscire fuori. Si voltò ma non vide niente e per un momento colse con lo sguardo gli occhi dietro la finestra. Le venne allora in mente di controllare la borsa che le era diventata davvero molto più pesante, di solito i messaggeri che la incontravano cercavano di avere meno contatto possibile con lei.

Qualcuno doveva essere orgoglioso del grado di asocialità del messaggero perché lei ci aveva visto giusto, una lettera e un pacco erano stati infilati oltre la zip aperta. Minta cercò di mantenere la calma e iniziò a camminare via lentamente. Non appena la sua macchina fu nella sua visuale non si trattenne più e iniziò a correre. Era un’impresa difficile con i tacchi ma non impossibile.

Appena dentro, seduta dietro al volante, chiuse il veicolo. Con un lungo respiro aprì la scatola, in legno pesante, e vi trovò un piccolo insetto rosso. Esso appariva incastonato in una pietra trasparente che era un ciondolo, attaccato a una catenella. Nonostante l’effetto complessivo fosse bello veniva intaccato dalle zampe dell’animale che si muovevano con panico.

Minta richiuse la scatola e aprì la lettera.


Per Minta,

come richiesto dalle Signore sto scrivendo la mia periodica lettera. La collana è un regalo che spero tu apprezzi, Mi è stato infatti riferito che alle donne umane piacciono i gioielli, anche se credo sia un tratto comune a femmine di molte specie.

Anche se a te, credo, non è permesso rispondere alle mie lettere sono felice del fatto di avere una sorta di amica. Ribadisco il desiderio di incontrarci un giorno, così potrò finalmente vedere che aspetto hai. Onestamente ho sempre desiderato interagire a voce con te e sto già pensando a cosa mandarti la prossima volta.

Qui va tutto bene, le signore sono molto impegnate ultimamente ma suppongo sia stagione. Vorrei dirti di più ma è complicato capire cosa mi è effettivamente permesso dirti e cosa no quindi ti saluto. Indossa la collana.

Con affetto,

il tuo amico dell’Altro Lato


Minta ripiegò la lettera e la rimise nella busta. Girò poi la chiave per far partire la macchina e si diresse verso casa. Il suo lavoro la stava aspettando.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 12 ***


Tirò giù il vestito coprendosi le ginocchia e poi si asciugò le mani sudate sulla pelle, non sul tessuto azzurro della gonna. Era seduta su una delle panchine di Hyde Park ed era altamente consapevole di sentirsi fuori posto. Una coppia anziana si sedette dall’altra parte della panchina e Taye si spostò di più verso il bordo, ricordandosi di trascinare con sé anche la borsetta. In genere le stava tutto nelle tasche ma in quel momento non ne aveva. Owen non era ancora in ritardo e non le aveva scritto per disdire ma lei quasi ci sperava, non si sentiva pronta per qualunque cosa sarebbe successa quella domenica pomeriggio. Pensava onestamente che lo scenario migliore possibile sarebbe stato la noia. Dopotutto lei non aveva argomenti interessanti da proporre di cui parlare.

Un’ombra si avvicinò camminando verso di lei e Taye alzò lo sguardo. Prese un respiro profondo e sorrise a Owen, o almeno ci provò. Lui sollevò soltanto l’angolo della bocca ma i suoi occhi erano luminosi.

“Ti ho fatto aspettare tanto?”

Lei dovette inclinare il collo in una posizione scomoda per poterlo guardare in viso e si rese conto che avrebbe probabilmente dovuto alzarsi, quindi lo fece.

Scosse la testa. “No no, in genere sono sempre in anticipo.”

Rimasero in silenzio, Taye non aveva idea di come riempirlo. Lui abbassò lo sguardo prima di fare un piccolo passo indietro e poi le sorrise imbarazzato. “Vogliamo andare?”

Lei annuì e si incamminarono lungo uno dei viali del parco. Era ancora abbastanza vicino al periodo di pranzo da rendere il parco non troppo popolare, il calore del sole stava facendo sudare Taye in modo sgradevole.

“Ti sta davvero bene quel colore.”

“Mh?”

“Il vestito, ti dona davvero il colore del vestito.”

“Ah… grazie.”

Poi proseguirono a camminare nel silenzio.

Il parco era luminoso e verde, il suono della fontana rilassante e il cielo sereno. Tutto poco in sintonia con come si sentiva lei.

Owen schiarì la gola. “Allora, come occupi il tuo tempo libero?”

Oh beh, iniziamo dalle cose difficili. Non potremmo parlare del tempo? “Non molto, principalmente guardo la tv,” cerco di capire dove sia sparito mio fratello, “e ultimamente sto pensando di imparare a cucinare.” Non totalmente vero ma suonava bene.

“E cosa ti piace guardare?”

“Quello che trasmettono al momento.”

Altro silenzio mentre continuavano a camminare. Troppo tardi si rese conto che poteva girare la domanda.

“Ho prenotato una cosa per noi. Inizia tra poco quindi potremmo iniziare a incamminarci verso l’uscita.”

“Okay.”

Taye si domandò se da fuori sembrassero davvero insieme o due estranei che camminavano troppo vicino. Si immaginò quasi che lui avrebbe aumentato il passo e se ne sarebbe andato. Ma lui non lo fece e quando uscirono dal parco le sorrise.

Lei continuò a seguirlo mentre passeggiavano per i marciapiedi assolati. Non era sicura se il loro silenzio dovesse essere riempito o no ma non si sentiva a disagio.

Lui appariva davvero diverso dalle serate in hotel. In un paio di jeans e una t-shirt verde era visibilmente più giovane. Si rese conto che probabilmente si era vestita in modo troppo elegante, era davvero contenta di non essersi messa i tacchi.

Lui si fermò davanti a un piccolo negozietto e le tenne la porta aperta. Dentro le pareti erano decorate da scaffali pieni di statuette e pendoli di vetro. Altre persone erano in fila davanti a un piccolo tavolo dove una commessa registrava i loro nomi.

“E’... carino qui dentro.”

“Ci sei mai stata prima?”

“No, non è una parte della città che visito spesso.” Silenzio. “Ascolta-”

“Tu-”

Si interruppero entrambi e fecero dei passi avanti mentre la fila si muoveva.

Lui si passò una mano dietro al collo. “Dimmi.”

“No, io… non- mi è sfuggito di mente, vai prima tu.”

Lui la guardò in modo strano. “Non prenderla nel modo sbagliato ma sei davvero timida vero?”

“Non lo so… non credo.”

I suoi occhi diventarono grandi dallo shock. “Ho capito, allora semplicemente non ti piaccio abbastanza da parlarmi?”

Lei mise le mani davanti al petto e le scosse in diniego. “No no, è solo che non mi reputo timida.”

La fila intanto si stava muovendo.

“Mh, sei figlia unica? Perchè in genere quella è gente strana che fa fatica a relazionarsi.”

Lei rise. “No, in realtà non lo sono.”

Owen le lanciò uno sguardo perplesso. “Quanti sono, nomi e età.”

“... aspetta un attimo, non credi che abbia davvero dei fratelli?”

“E’ più facile pensare quello, l’alternativa è che davvero non ti piaccia.”

Erano arrivati davanti al tavolo dove la loro prenotazione venne confermata, poi seguirono altri clienti dentro una porta sul retro.

“Stai..” Taye si sentì le guance calde. “Stai cercando di farmi dire che mi piaci?”

“Ma ovvio che no.” Tirò il labbro inferiore un po’ in avanti. “Ma starebbe funzionando nel caso?”

Si sedettero a un tavolo largo insieme a un’altra coppietta e una mamma con la figlia.

“Comunque, si, parlami dei tuoi fratelli. Convincimi che esistono.”

Accanto a loro c’erano ancora due due posti liberi e due ragazze si avvicinarono. Una delle due si rivolse a Taye. “Scusami ma ti dispiacerebbe spostarti dall’altra parte? Ci piacerebbe essere sedute vicine.”

Lei guardò Owen che fece spallucce e un mezzo sorriso.

“Si certo, mi tolgo subito.”

“Grazie mille e scusa ancora.”

Lei si sedette sulla sedia accanto a Owen che aveva appoggiato il mento su uno dei suoi palmi. “Fratelli.”

Lei si aggiustò sulla sedia tirando giù la gonna. “Si, allora, avevi chiesto età, nome e?”

“Puoi anche dirmi dove vivono e numero di telefono, grazie.”

Lei scosse la testa prendendo un respiro. “Credo che quello sarebbe un pochino inquietante.”

Con due dita lui fece una piccola fessura che poi ingrandì. “Solo un po’.”

“Ok, allora, Holly è la maggiore, ha ventitré anni, e studia per diventare un’esperta di letteratura antica o qualcosa del genere. Poi c’è Miles, ha ventun anni e subito dopo ci sono io e… sai già l’età.” Lui strinse le labbra guardando altrove per un momento. “E poi c’è Ayn, la piccolina della famiglia, e crediamo tutti che un giorno andrà nello spazio o aiuterà qualcuno a farlo.”

“Oh wow, avete tutti dei nomi particolari. I tuoi si sono forse risparmiati solo con il nome di Holly.”

“Si, si sono sbizzarriti.”

La piccola stanza si era ormai riempita e non c’erano più posti liberi, tutti stavano aspettando qualunque cosa sarebbe successa dopo.

Lui si mise lateralmente dandole il centocinquanta percento della sua attenzione. “E Miles, tuo fratello giusto? Cosa fa?”

Il disperso. “Militare.”

“Interessante, e come mai?”

Lei giocherellò con uno dei suoi ricci prima di lasciarlo andare. “Non lo so per davvero.”

“Mh, e tu cosa fai?”

Lei non volle più guardare gli specchi pallidi che lui aveva come occhi. “Lavoro.”

La commessa che era seduta al tavolo in negozio iniziò a far alzare i clienti e farli andare a scegliere tra varie decorazioni in vetro.

“No intendevo… non studi?”

Si concentrò sul pavimento. “Non più…” Senza guardarlo. “E tu cosa fai?”

In quel momento la commessa venne a prenderli. Entrarono in silenzio in una sorta di sgabuzzino in cui erano esposti oggetti in vetro trasparente e delle grosse candele. La ragazza disse loro di scegliere delle candele del colore che volevano e uno dei piatti o tazze.

Dopo aver scelto, Taye una candela nera e una ciotola ampia e Owen una candela gialla e un piattino, si risederono in silenzio al tavolo.

La commessa uscì dalla stanza e due ragazze giovani portarono dentro delle scatole di plastica. Le aprirono e tirarono fuori una serie di tubetti di colori diversi, pennelli e bicchieri. Disposero tutto sui tavoli e aggiunsero anche dei rotoli di carta e dei piatti che spiegarono sarebbero state le loro tavolozze.

La commessa, e probabilmente proprietaria del posto, tornò e iniziò a spiegare che avrebbero potuto dipingere i loro oggetti in vetro e che, se volevano, potevano essere coordinati, anche se non necessariamente, alle candele. Disse anche che in circa un’ora e mezza avrebbero preso le loro opere d’arte per portarle in un posto dove si sarebbero asciugate più in fretta, nel frattempo loro avrebbero potuto intagliare le candele. Dopo di che la donna si mise a girare i tavoli dando consigli.

Taye non sapeva se doveva cominciare perchè Owen non si stava muovendo. “Dobbiamo… aspettare che arrivi fino o noi, oppure…” Lei alzò la testa e lui la stava guardando. Era incerta di riuscire a interpretare la sua espressione nel modo giusto, o affatto.

“L’ho fatto di nuovo vero? Ho detto qualcosa di sbagliato.”

Lei strinse i pugni nella gonna. “No, assolutamente no.”

Lui corrugò la fronte.

“E poi,” ridacchiò in modo nervoso, “non dovresti essere bravo in queste cose, o qualcosa del genere?”

“Cosa?” Sbuffò guardandosi attorno incredulo. “Chi… Menzogne! Chi ti ha convinti di queste bugie.”

Lei prese fiato per rispondere ma non lo fece.

“Hai dato il tuo numero a Charlie vero?” Strinse l’aria con un gesto teatrale della mano. “Ma quando diavolo ci è riuscito?”

La prese per le spalle e con sguardo molto serio e le narici dilatati avvicinò il volto a suo, sussurrando. “Non devi credere a una singola parola di quello che dice.”

Lei rimase a fissarlo con la bocca leggermente aperta.

 

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Editerò questo capitolo con il seguito nella prossima settimana.

 

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