La maschera

di Nahash
(/viewuser.php?uid=202487)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il brutto anatroccolo ***
Capitolo 2: *** Incubo ***
Capitolo 3: *** Amicizia ***
Capitolo 4: *** Trincea ***
Capitolo 5: *** Regan ***
Capitolo 6: *** Famiglia ***



Capitolo 1
*** Il brutto anatroccolo ***


Disclaimer: La storia che vi apprestate a leggere è di proprietà della rispettiva autrice, così come i personaggi in essa contenuti, fatta eccezione per quelli citati che fanno parte della trascorso storico e della cultura popolare.Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale, non voluto e senza alcuno scopo di lucro.I personaggi presenti nella narrazione sono fittizi e per lo più maggiorenni. Ciò che li riguarda nella trama non violerà il contenuto del regolamento di EFP.

Note: Ciao a tutti! Mi sono lanciata in questa nuova avventura grazie al suggerimento e all'incoraggiamento di una scrittrice presente anche qui su EFP e sto parlando di Ita rb.
Lei che ha letto: "La ballata dei petali caduti" mi ha detto: "Perché non scrivi una piccola storia dove racconti alcuni momenti fondamentali della vita di Ludwig?"
Ecco, io l'ho presa in parola! Ho tanto da dire suoi miei personaggi, semplicemente perché creo menti e caratterizzazioni complesse (eh le cose facili non mi piacciono haha) e quindi mi sembrava l'occasione giusta!
Chiarisco subito che questa storia può essere letta anche separatamente, non dovete aver letto per forza la "ballata", in caso questa mini long vi incuriosisca e vi porterà a leggere anche la storia principale, non potra che rendermi felice!
Detto tuuuutto questo, vi lascio alla lettura, sperando che possiate lasciami un commento che vi piaccia la storia oppure no =)
Ps: la storia è già stata tutta scritta, l'aggiornamento sarà costante. Una volta a settimana (salvo complicanza e imprevisti della nostra cara e amata vita xD) il capitolo dovrebbe arrivare di domenica!

 

Image and video hosting by TinyPic

 

 

 

 

 

«Allora, Natthasol, che storia vuoi che ti legga?» Ludwig aveva appena avvicinato la poltrona al letto di suo fratello. Quasi tutte le sere, con la scusa di non addormentarsi, Natthasol lo pregava di leggergli qualcosa e, senza neanche dover faticare molto, Ludwig accettava.

«Non lo so, sono indeciso!»

«Tra cosa?»

Natthasol si era salito sul letto, aveva tirato a sé le coperte e si era messo sotto di esse. Dopo essersi posizionato bene con la testolina sul cuscino disse: «Non lo so... sono tutte così belle, non so se voglio leggere "Biancaneve" o "Il brutto anatroccolo"»

«Decidi bene e in fretta che devo andare a dormire anche io... Cosa ci vuole a scegliere una fiaba? E poi non puoi fartela leggere dalla tata?»

Nel sentire nominare la tata, Natthasol si spinse in avanti e afferrò il braccio di Ludwig «Non puoi dirmi una cosa del genere! Si vede chiaramente che lei non ha la minima voglia di leggermi queste storie. E poi, Ludwig, non ha intonazioni! Invece, tu sei bravo!»

«E tu sei un ruffiano! Avanti, scegli una storia!»

«Scelgo "Il brutto anatroccolo" perché ho paura che fai fare la fine della matrigna a papà! Sia mai che a forza di sentirla ti convinci!»

«Hai davvero una linguaccia, Natthasol! E poi non sarebbe male come idea...»  Ludwig sembrò fermarsi un attimo nel pensare davvero a quella possibilità, ma sapeva di non esserne in grado in fondo.

«Ludwig! Non lo dire neanche per scherzo!»

«Avanti! Sdraiati una volta per tutte e preparati ad ascoltare questa storia, sennò me ne vado e basta!»

«Va bene, va bene faccio, il bravo! Sono tutto orecchie!» Natthasol si accucciò sotto le coperte, nascosto fino al mento, tutto intento ad ascoltare suo fratello, il suo adorato fratello, leggergli quella tanto attesa storia.

Non ci volle molto affinché Natthasol si addormentasse; Ludwig non era arrivato neanche a metà storia, ma era meglio così, per Ludwig che aveva altri piani e progetti per la propria serata ─ sarebbe uscito a divertirsi, almeno era quello che sperava.

Chiuse piano il libro,  fece attenzione ad alzarsi e a sistemare la poltrona per non far rumore. Non avrebbe voluto svegliarlo. Uscì dalla camera, chiuse la porta dietro di sé accostandola lentamente, e quasi non trasalì nel sentire suo padre che, con tono perentorio, lo chiamò: «Sei ancora sveglio?»

«Scusami, Natthasol mi ha chiesto di leggergli una storia... Per questo mi sono trattenuto.»

«Oh, Ludwig, le tue giustificazioni non mi interessano... Per tuo fratello Natthasol, come per Lancelot, ci sono le tate apposta. Tu devi stare a letto perché domani mattina ti devi svegliare presto, come sempre.»

«Sì, lo so, mi devo svegliare all'alba perché dormire è per chi non eredita niente, devo essere fresco perché devo prima dedicarmi all'attività fisica e poi allo studio.»

«Ecco, visto che sei così preparato, che hai anche il coraggio di rispondere, ti inviterei ad andare a dormire, invece di sfidare ancora la mia pazienza.»

«Con permesso...» disse, prima di congedarsi e recarsi al piano di sopra nella sua stanza.

 

Aveva un appuntamento con il suo amico Elger verso mezzanotte. Per quell'ora tutti dovevano essere a letto, eccetto suo padre che, spesso e volentieri, usciva. Il che, a dirla tutta, sarebbe stato ancora meglio per Ludwig

Non vedeva l'ora di uscire da quella camera, da quella casa, svagare un po' la mente, divertirsi un po'.

Guardava insistentemente l'orologio, si era messo perfino a leggere, così da trovarsi avvantaggiato per il giorno dopo, finché non sentì il segnale fatidico: dei sassolini che battevano contro la finestra.

Si alzò di scatto, tirando piano la sedia.

«Elger, adesso scendo! Prendi la scala» gli disse dopo aver aperto la finestra.

Elger aveva annuito e si era prodigato a portare sotto la sua finastra la scala che avevano  accuratamente nascosto.

«Sei riuscito a scappare anche oggi!» Elger rise e gli diede una pacca sulla spalla.

«Non vedevo l'ora di scappare e c'è un mancato un pelo che saltasse tutto, mi ha beccato alle dieci che ero ancora sveglio. Sacrilegio, secondo lui!» Ludwig scosse la testa: quando mai si sarebbe potuto addormentare alle dieci della sera? La notte era l'ultimo momento dell'intero giorno dove poteva trovare un po' di pace, quasi non si sentì affine al povero Foscolo. Scacciò quel triste pensiero in un istante.

«Sta parlando dell'esercito, ultimamente l'ho sentito parlare con qualcuno per farmi arruolare da qualche parte. Non so cosa voglia fare, cosa abbia in mente. So solo che sogna un futuro glorioso per il nostro casato e io ne devo pagare le conseguenze.»

«Ovviamente, amico mio, ovviamente» gli disse Elger come se volesse schernire tutta quella situazione, non di certo Ludwig.

Ludwig si arrestò improvvisamente in mezzo alla strada e si mise una mano sul petto pronto a fare la più grande e magistrale imitazione di suo padre: «Ludwig che cosa pensi che io ti abbia cresciuto per farti fare il nullafacente? Sei un nobile, non voglio che tu sia un fannullone! Tu sei l'erede, e pertanto devi sapere tutto, tutto ho detto! E mi raccomando non devi mai piangere, palesare emozioni in pubblico ─ se non a qualche evento di beneficenza dove noi siamo obbligati a mostrarci clementi ─, non devi avere un atteggiamento promiscuo, non devi bere, avere vizi, fumare; ma devi sapere amare, o meglio, saperti tenere una donna, perché un giorno avrai una moglie ed erediterai tutto!»

«Respira, amico mio, mentre lo deridi così apertamente!» Ludwig ed Elger scoppiarono a ridere.

«Non credo che lui respiri mentre dice tutte queste stupidaggini!»

«No, neanche secondo me. Ma adesso non ci pensare, faremo tutto quello che non ti ha detto di fare!»

 

Ludwig tremò quando vide sorgere il sole, sapeva di aver fatto troppo tardi e che a quell'ora sarebbe già dovuto essere dentro una tinozza a farsi il bagno, pronto ad affrontare un'intensa nuova giornata.

«Ludwig, vorrei sapere dove diavolo sei stato tutta la notte!»

Nel vederlo tardare di due minuti ─ due soli minuti ─ Achill si era messo ad aspettarlo sull'uscio della porta con tutta l'aria di qualcuno che era davvero furibondo.

Non sapeva proprio cosa rispondergli, non aveva scusanti, perciò tacque.

«Sei stato ancora in giro con quel miserabile?»

«Non è un miserabile, è un mio amico!»

«Non puoi familiarizzare con la gente che non fa parte del tuo stesso rango! Te l'ho sempre detto! Vuoi forse male odorare dopo essere stato affianco a lui! »

«Sono sciocchezze queste! Non lavora in una miniera, è solo figlio di modesti cittadini!»

«Per l'appunto, modesto non fa parte del nostro rango. Non voglio sentire più scuse, né altre parole dopo queste! Più tardi verrai punito.» Si spostò facendolo entrare in casa.

«Ci risiamo: una storia che si ripete.»

«Ti farò punire dalla servitù, vista la tua insolenza. Mi chiedo dove tu abbia appreso certi modi! Forse, a furia di stare con gente zotica e modesta.»

Ludwig cercò di non sentirlo, era stato già condannato da una punizione esemplare.

«Adesso fila a lavarti, per l'amor del cielo!»

Lo aveva fatto punire dai servi; Ludwig, c'era ormai abituato. Se c'era qualcuno della servitù che lo guardava con fare apprensivo, altri quasi ci godevano nel picchiarlo. Persone che odiavano i padroni, che odiavano le classi più elevate, nonostante Ludwig, a loro, non avesse mai fatto nulla di male.

Era dolorante, a malapena riusciva a stare seduto sulla sedia. La testa gli girava, chiudeva gli occhi, si sarebbe voluto lasciare andare, abbandonarsi sulla sedia e lasciarsi svenire. Ma solo l'idea di venir punto di nuovo gli faceva riaprire gli occhi di scatto e fissare lo sguardo sul libro che teneva aperto sotto di lui.

Non capiva molto di quello che stava leggendo, chiudeva gli occhi tra una riga e un'altra, si chiedeva come avrebbe fatto a tirare di scherma, eppure era certo che suo padre lo avrebbe preteso.

Secondo Achill questo lo avrebbe forgiato nella forza, lo avrebbe reso un vero uomo, ma non riusciva a spiegarsi il perché di tanta apprensione quasi ossessiva verso di lui. Sì, era l'erede, ma suo fratello Natthasol veniva si e no considerato. Se non ci fosse stata la tata o lui stesso avrebbe sofferto la solitudine prima ancora che la vita lo permettesse, mentre suo fratello Lancelot, lasciato totalmente allo sbando, accudito a quattro anni dalla tata, a malapena vedeva suo padre, nonostante vivessero tutti nella stessa, seppur immensa, casa.

Scattata l'ora fatidica si alzò dalla sedia, facendosi leva con le mani che aveva poggiato sulla scrivania.

Respirò a fondo e si fece coraggio. Si incamminò con fare incerto e barcollante verso la palestra. Il suo maestro di scherma lo attendeva ─ sia mai che suo padre si fermasse a insegnargli qualcosa. Lui, però, era sempre presente, sempre pronto a osservarlo e a dirgli quanto non fosse bravo abbastanza, quanto fosse impreciso nei movimenti, quanta resistenza fisica dovesse ancora dimostrare.

«Ludwig, coraggio! Un po' di grinta figliolo, sembra che tu voglia abbandonarti al nemico.»

«No, è solo che...» disse dolorante, mentre parava un fendente del suo maestro.

«Non dire che sei stanco, non lo voglio neanche sentire e non provare a svenire, Ludwig, non ci provare minimamente.»

«Sì, signore!»

«Ecco, bravo ragazzo...»

«Va bene così, Ludwig, per oggi può andare.» Il suo maestro di scherma, intuì perfettamente la situazione e, prima che Ludwig gli collassasse davanti, decise di interrompere la lezione. Erano già da due ore che tiravano di scherma, meno delle solite quattro ore giornaliere.

«Ma come, oggi solo due ore?» s'ì intromise Achill.

«Signore, vostro figlio sta nettamente migliorando. Quasi ha superato il maestro, è un ottimo spadaccino. Deve essere fiero di lui.»

«Ma lo sono, quando si comporta bene lo sono.» Achill batté i palmi delle mani sulle proprie gambe e poi si alzò dalla sua postazione.

«Bene, se il maestro ha detto che basta, va bene.»

Ludwig stava cercando di riprendere fiato. Le percosse lo avevano indebolito parecchio e quelle due ore di allenamento gli erano sembrate interminabili. Così, mentre lui se ne stava con le mani poggiate sulle ginocchia e la testa curva in avanti cercando di immagazzinare più aria possibile, suo padre gli si avvicinò, gli poggiò una mano sulla spalla e gli disse: «Così vediamo se questa sera o avrai la forza di uscire. Pensavo di averti insegnato le cose più importanti e invece scopro sempre di più, con mio rammarico, che mio figlio non è in grado neanche di scegliersi le compagnie.»

Avrebbe voluto urlare, piangere, non ce la faceva più. Era poco più che un adolescente e sopportava tutta quella pressione dalla nascita.

Si limitò ad annuire, certo del fatto che, presto o tardi avrebbe disobbedito ancora una volta.

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Incubo ***


Disclaimer: La storia che vi apprestate a leggere è di proprietà della rispettiva autrice, così come i personaggi in essa contenuti, fatta eccezione per quelli citati che fanno parte della trascorso storico e della cultura popolare.Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale, non voluto e senza alcuno scopo di lucro.I personaggi presenti nella narrazione sono fittizi e per lo più maggiorenni. Ciò che li riguarda nella trama non violerà il contenuto del regolamento di EFP.

Note: Come promesso ecco il secondo capitolo! Aggiornato in una settimana come stabilito. Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto, come spero che questo secondo possa appassionarvi allo stesso modo! Come sempre non esistate se avete voglia di scrivere un commento, bello o brutto è sempre bene accetto.
 

Image and video hosting by TinyPic

 

 

Era più o meno alle cinque del mattino in cui di solito rientrava, nonché l'unico momento in cui riusciva a prendere sonno.

Si era steso, dopo essersi tolto i vestiti di dosso e si era messo sotto le coperte; non ci aveva messo molto ad addormentarsi, solo qualche istante, il tempo di girarsi su un fianco, chiudere gli occhi, ricordare la serata appena trascorsa e lasciarsi andare. Tuttavia si rigirava e rigirava costantemente dentro quel letto perché il sonno sembrava essere decisamente agitato, a causa di un brutto sogno, un sogno talmente brutto da sembrare reale che fu in grado di farlo tirare a sedere sul letto ansante, con il panico che gli aveva attanagliato la gola in una morsa. Sembrava aver dormito ore e invece non erano passati che pochi minuti ─ forse venti, forse trenta, non avrebbe saputo dirlo.

Il cuore gli batteva all'impazzata, gli correva nel petto come un cavallo imbizzarrito. Cercava di fare respiri profondi, ma sembrava che non sarebbe riuscito a calmarsi con niente.

«Calma, Ludwig, cerca di stare calmo! É stato solo un brutto sogno...» cercava di tranquillizzarsi, di ripristinare il respiro e il battito cardiaco, ma niente. Cominciò a girargli la testa come se il sogno stesse proseguendo da sveglio, come se gli fosse appena accaduto tutto quello che aveva visto. «Devo calmarmi... cosa mi sta succedendo?» Strinse le lenzuola nelle mani serrandole in due pugni, era agitato e nervoso. Altre volte gli era sembrato di sentirsi oppresso, di sentire un peso sul petto dopo le estenuanti chiacchiere ingiuste di suo padre, ma non così, quelle sensazioni erano quasi mortali.

Se non si sarebbe alzato da quel letto, però, prima o poi si sarebbe scomodato suo padre in persona per andare a vedere che cosa stesse mai combinato, quale fosse la causa del suo ritardo.

Poggiò i piedi a terra e, cominciando a camminare iniziò a fare dei respiri profondi . Raggiunse il bagno, laddove, come si consueto , trovò ad accoglierlo la vasca preparata dalla servitù. Si immerse nell'acquae si lasciò cullare per qualche istante. Questa ebbe su di lui quasi un effetto calmante.

«Era troppo reale per essere soltanto un sogno, devo vederci più chiaramente...» Duglutì. Aveva la brutta abitudine di riflettere ad alta voce, forse era un vizio che aveva assunto per combattere i pensieri che si affollavano nella sua testa, le preoccupazioni e tutte le ansie che si accumulavano e si annidavano sulla sua schiena. Gi era venuta la brillante idea di parlare con suo padre, di chiedere a lui se quanto aveva appena visto in sogno fosse accaduto oppure no. Tuttavia era quasi certo del tempo che avrebbe sprecato, dell'incomprensione che l'altro avrebbe mostrato nei suoi confronti; eppure doveva essere sicuro al cento per cento che quanto sognato non fosse successo. Qualora invece fosse accaduto veramente avrebbe sperato con tutte le sue forze di dimenticarlo ancora una volta.

Tornato nella sua camera si sbrigò a vestirsi ─ la governante gli aveva steso sul letto i vestiti del giorno. Si specchiò per assicurarsi che fosse ben vestito e che tutto fosse in ordine o suo padre lo avrebbe fatto picchiare anche per questo. Non aveva una buona opinione di suo padre, qualora fosse stato un uomo severo, ma con carattere lo avrebbe rispettato seppur soffrendo, ma la sua debole personalità proprio non la tollerava. Anzi, la considerava quasi un sopruso.

Achill gli voleva insegnare a essere un uomo, ma come poteva un vile, un vigliacco, incapace a picchiare persino suo figlio, insegnare a questi cosa significava a essere uomo? Gli parlava di come si sarebbe dovuto comportare con la sua futura moglie, ipocrisie. Gli diceva che non doveva essere promiscuo e più volte, lo aveva visto entrare con partner che di certo non erano sua madre; sua madre, poveretta, lei si che era una santa donna! Quanto amore aveva da dare. Lo aveva riversato tutto sui suoi figli, ma poi anche lei era venuta a mancare con l'arrivo di Lancelot. Era stato in quel momento che Ludwig si era sentito completamente vuoto, sviscerato di ogni emozione, quando era più piccolo poteva dire di essere triste, ma gli bastava una carezza affettuosa di sua madre o un sorriso a rallegrarlo.  Da quando era morta, invece, si sentiva orfano, totalmente. Ritornava alla realtà dei fatti solo quando suo fratello Natthasol lo pregava di raccontargli una storia.

Accertatosi che fosse tutto in ordine, scese le scale per dirigersi verso la biblioteca grande dove di solito studiava passando le prime ore del mattino.

Sapeva che lo avrebbe trovato lì ─ lo salutava sempre al mattino e poi fortunatamente, almeno per un po', spariva del tutto. Ludwig avrebbe provato a parlare con lui riguardo il suo sogno, il dubbio che potesse essere reale non lo aveva abbandonato un istante.

«Buongiorno, Ludwig. Dormito bene?»

«Affatto, avrò dormito sì e no trenta minuti scarsi»

«Capisco... Devi essere lucido per le lezioni, però.»

«Lo sono, lo sono, ma prima devo chiederti una cosa...»

«Dimmi, mio caro. Non parliamo mai io e te, eppure tra padre e figlio, specie il maggiore, dovrebbe esserci un buon rapporto e un buon dialogo.»

Era in quei momento che Ludwig pensava che suo padre fosse pazzo, a volte le sue parole non rispecchiavano affatto le sue azioni, impossibile da credere, nessuno gli avrebbe creduto se lo avesse raccontato.

«Ho fatto un incubo terribile, ma prima che tu dica qualsiasi cosa, sappi che non voglio lamentarmi di questo, piuttosto di quanto penso a riguardo. Mi è sembrato come se non fosse un sogno, ma come se fosse tornato a galla un ricordo sopito, perché troppo doloroso. Ecco, volevo sapere se quanto ho sognato questa notte è successo davvero, oppure è solo frutto di un sonno troppo agitato dopo aver faticato ad arrivare.»

«Raccontami, ti ascolto.»

«Ho sognato che avevo poco o più che otto anni, non ero in questa casa, mi ero allontanato da questa per uscire con la mamma, probabilmente, ma poi mi sono guardato intorno ed ero in un posto oscuro. Lugubre oserei dire. C'era un odore forte, probabilmente stantio, come se non ci fossero state le finestre e lì ci fosse morto qualcuno...»

«Sei solo all'inizio e già mi sembra raccapricciante.» Achill lo interruppe, disgustato da quello che aveva appena sentito dire, ma poi fece cenno a Ludwig di proseguire così che potesse terminare il suo racconto.

«Sono stato lì per qualche tempo, sentivo lui che diceva che al quinto giorno si sarebbe sbarazzato di me e che mancava poco... Nel sogno sentivo chiaramente la mia preoccupazione, ero in pensiero per la mamma, avevo timore che si preoccupasse e timore che anche tu, papà, potessi pensare di non avere più l'erede con il quale ti stavi impegnando, insomma ero un groviglio di ansie e preoccupazioni. So che provavo dolore, molto dolore, che avevo paura che quest'uomo potesse farmi ancora del male, perché sono certo che me ne avesse già fatto. Poi il vuoto, il sogno prosegue con me che sono tra i boschi, che scappo, che corro e ritrovo la strada di casa... Ed ero triste perché non mi eri venuto a cercare.»

«Non conosco i dettagli della tua storia, Ludwig, ma so che è accaduto. Tu sei scomparso per qualche giorno. Avevo detto a tua madre di non preoccuparsi che saresti tornato prima o poi... Tra l'altro quando ti ho visto arrivare, tu hai cercato di abbracciarmi, e io ti ho abbracciato, ma rammento di averti rimproverato perché ci avevi impiegato troppo tempo e ritrovare la strada di casa ─ eravamo tutti in pensiero.»

Ludwig non riusciva a credere alle sue orecchie, come poteva comportarsi così un padre? Il dolore che aveva in quel momento non avrebbe saputo descriverlo in nessun modo, avrebbe potuto, però, esprimere il tutto con il suo sguardo, quello di un ragazzo abbandonato al suo destino perfino dal suo stesso genitore.

«Non era possibile chiamare la polizia? Magari così io avrei potuto...»

Ludwig venne interrotto subito: «La polizia? Che sciocchezze Ludwig, noi non abbiamo bisogno della polizia, noi siamo i Dubois, sai bene cosa penserebbero no?»

«Cosa avrebbero potuto pensare di un bambino scomparso? Che forse un malvivente lo aveva rapito e si stesse approfittando di lui?»

«No, avrebbero potuto pensare che ce l'eravamo cercata, che ti avevamo dato noi stessi a quell'uomo»

«Ma a che scopo pensare una cosa del genere? Non ha assolutamente senso!»

Con tutta sorpresa di Ludwig, Achill sollevò, tirandoglielo contro, il bastone da passeggio che finì dritto contro la sua spalla. La destra tra l'altro.

«Ti stai forse ribellando? O forse vuoi solo contraddirmi? Ti ho forse insegnato questo io? No, al contrario. Io ti ho insegnato a chinare la testa davanti a me, Ludwig. Sono tuo padre, non osare dirmi quello che ha senso, oppure no, altrimenti conoscerai solo il dolore di questo bastone.»

Ludwig si portò la mano sinistra sulla spalla colpita. Non aveva più parole, non aveva più senso esprimere alcun concetto. Sperava solo di non diventare come lui, di essere un padre migliore un giorno. Quello che realizzò in quel momento fu che suo padre non aveva preso minimamente in considerazione l'ipotesi che lui potesse essere stato rapito e usato da un malvivente in circolazione, che non lo aveva cercato, ma che, anzi, se ne era disinteressato completamente. Non aveva chiamato nessun rinforzo, ma lui a otto anni avrebbe dovuto cavarsela da solo ─ come fece del resto. Spalancò gli occhi il dolore che provava dentro di sé non era niente rispetto al dolore della sua spalla. Voleva solo dimenticare tutto, rispedire tutto nei meandri più remoti della sua mente, altrimenti non avrebbe saputo come andare avanti.

«Ti lascio ai tuoi studi adesso e non voglio più sentire risponderti a quel modo, intesi?» si rivolse a Ludwig ancora una volta perentorio, senza la minima empatia o compassione mostrata nei suoi confronti.

Ludwig si limitò a rispondere con un muto accenno del capo, un'affermazione silente e veloce, sperando che sparisse dalla sua vista il più presto possibile.  Si mise alla scrivania della biblioteca e riprese con gli studi interrotti il giorno prima.

 

A volte si sentiva come una macchina, costretto ad andare avanti a ogni costo, reprimendo i suoi sentimenti, le grida, le lacrime, perché altrimenti suo padre glieli avrebbe fatti ingoiare a suon di bastonate.

«Ludwig, Ludwig...» Una vocina bassa e in cerca di complici distrassi Ludwig dai suoi studi.

Volse lo sguardo verso la porta d'entrata e vide suo fratello Natthasol fare capolino dalla porta; non poteva entrare, suo padre gli aveva proibito di entrare quando suo fratello maggiore stava studiando.

Ludwig, conoscendo le regole, si alzò dalla scrivania e raggiunse suo fratello.

Lo prese in braccio, tirandolo su e Natthasol, prontamente lo abbracciò.

«Cosa devo fare per te questa volta?» domandò Ludwig guardandolo, mentre lo teneva per le braccia. «So che non sei quei solo per i miei abbracci.»

«Ma verrei anche per i tuoi abbracci, solo che non è questo il caso!»

«E sentiamo, quale sarebbe il caso questa volta?»

«Ero con la precettrice... mi stava spiegando storia, l'impero romano...»

«E...»

«E niente, lei è anziana ed è di una noia mortale; allora io, per non addormentarmi, ho pensato alle caramelle e adesso me ne è venuta voglia! Solo che io sono piccino e se mi vede la cuoca mi da le sculacciate. Le caramelle sono nella credenza in alto e tu sei grande e quindi ci arrivi.»

«Quindi mi stai dicendo che devo infrangere le regole perché tu sei piccolo e io sono grande?»

Natthasol gli schioccò un bacio sulla guancia e poi aggiunse: «Ti guardo le spalle!»

Ludwig sollevò gli occhi al cielo, ma poi appoggiò l'idea malsana di suo fratello. Lo mise giù e insieme si diressero verso la cucina.

«Non dica niente al signor Dubois, d'accordo?»

Entrando nella cucina, la cuoca si mise le mani sui fianchi, si sentì invasa nel suo territorio. Ma poi lasciò passare Ludwig viste le intenzioni.

«Signorino, se gli da le caramelle poi non pranzerà!»

«Oh, non si preoccupi, è in grado di mangiarsi l'intera casa se solo glielo permettessero...»

Natthasol aveva fatto come promesso, gli aveva guardo le spalle, ma non sapeva che Achill lo stava osservando dal corridoio in fondo; così attese di vedere cosa stesse succedendo e vide Ludwig porgere le caramelle al piccolo.

«Sei contento adesso?»

«Sì, un sacco! Grazie Ludwig, sarei proprio perso nella noia senza di te!»

Ludwig rise, suo fratello era proprio una lingua lunga.

Achill, contrariato, si slacciò la cinta dei pantaloni, sfilandola dai passanti e raggiunse i figli con passo svelto e deciso.

Ludwig guardò suo fratello Natthasol, si sentì tradito, ma Natthasol lo guardò dritto negli occhi scuotendo la testa. «Io ho fatto la guardia tutto il tempo!» disse a bassa voce.

Achill tese la cinta e si avvicinò a Ludwig e, prima ancora che potesse parlare, sferrò un colto contro le sue gambe. Ludwig trattenne un grido di dolore, sapendo che se avesse aperto bocca sarebbero arrivate delle altre.

«Papà, papà lascialo stare!» gridò Natthasol afferrandolo per la gamba, ma Achill lo spinse via.

«Non osare intrometterti mentre sto punendo tuo fratello, altrimenti ne do anche a te.» Avvicinò la mano con la quale teneva al cinta verso il viso di Natthasol.

«Non osare toccarlo!» Ludwig si intromise, mai avrebbe lasciato che suo fratello subisse quelle angherie, quelle assurde prese di potere, solo per delle caramelle, solo perché erano sfuggiti al suo controllo.

«Stai zitto, vedrai che ti farò urlare dal dolore! Non osare contraddirmi, Ludwig, non hai nessuna voce in capitolo! Non sei niente e nessuno, né tantomeno tuo fratello è una tua proprietà. Io l'ho messo al mondo e io lo educo! Come ti è saltato in mente di dargli quelle schifezze?»

«In realtà non vuoi che io le dia a lui, perché sono tue non è vero? Come i cioccolatini che ti ha fatto recapitare a casa qualche puttana!»

Achill, furioso, gli sferrò contro qualche colpo di cinta, Ludwig si protesse il viso sollevando le braccia, ma cadde all'indietro sotto i colpi.

«Per rispondere alla tua domanda, Ludwig... Ti faccio picchiare dai servi perché non voglio che mi si sporchino le mani come un sudicio come te. E, a proposito, oggi dirò che sarai tu a pulire tutto, tu a cucinare, tu a occuparti delle latrine, dei bagni. Sarai tu a occuparti di tutto!»

«Lascialo stare, sono stato...»

«Natthasol, stai zitto!» l'ammonì Ludwig, o tutte le percosse prese per difendere suo fratello sarebbero stare vane.

«Sparisci Natthasol, tuo fratello ha da fare.»

Achill scavalcò Ludwig in terra per entrare nella cucina e prendere un grembiule che gli gettò contro.

«Forza, alzati e fai quello che ti ho detto. E domani spero di rivedere mio figlio tornato in sé.» Sfogata la sua rabbia e la sua frustrazione, Achill abbandonò i due a loro stessi.

«Ludwig, mi dispiace tanto, non credevo che sarebbe successo tutto questo...»

Ludwig si sollevò da terra, dicendosi che era meglio cominciare a non badare al dolore se non voleva prenderne altre. «Non è colpa tua, è a lui che non va bene niente. E poi meglio a me che a te, tu devi pensare a studiare e a giocare, d'accordo? Prometti?»

Natthasol annuì con la testa e, mentre si allontanava da suo fratello, si mise a piangere, mordendosi le labbra per non farsi sentire, sentitosi in colpa per quanto successo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Amicizia ***


Disclaimer: La storia che vi apprestate a leggere è di proprietà della rispettiva autrice, così come i personaggi in essa contenuti, fatta eccezione per quelli citati che fanno parte della trascorso storico e della cultura popolare.Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale, non voluto e senza alcuno scopo di lucro.I personaggi presenti nella narrazione sono fittizi e per lo più maggiorenni. Ciò che li riguarda nella trama non violerà il contenuto del regolamento di EFP.
Note: Siamo già arrivati a quota tre! Sono molto felice di questo, davvero.
Spero che questa vi sia piaciuta fino a qui e che continuarà a entusiasmarvi fino alla fine! Lasciatemi un commento se vi fa piacere o scrivetemi se non vi piace, non c'è problema. Ogni commento se ben argomentato è ben accetto!
Vi lascio alla lettura senza troppe ulteriori chiacchere!

 

Image and video hosting by TinyPic
 

 

«Ludwig, menomale che sei sceso finalmente, vieni, avanti, devo comunicarti delle cose!» Achill aveva appena finito di parlare con un suo amico, progettando tutto il glorioso futuro di suo figlio. Quando era così euforico non prometteva nulla di buono; e Ludwig doveva stare zitto e ascoltare nella speranza che non fosse niente di così eclatante.

Ultimamente si vociferava lo scoppio della guerra dopo l'attentato al principe di Sarajevo e sapeva quanto suo padre sognasse una gloriosa battaglia per lui.

«È giunto il momento, Ludwig! Finalmente potrai unirti alle truppe che molto presto marceranno verso il fronte.» Achill diventata molto teatrale quando era pervaso dalla gioia, per questo  Ludwig lo guardava esterrefatto; se fosse stato in grado di svenire a comando, probabilmente  lo avrebbe fatto, ma sapeva che questo lo avrebbe portato a ricevere punizioni corporali e quindi, forse, era meglio la guerra ─ almeno non lo avrebbe più visto.

«Non sarebbe stato corretto parlarne con me? Voglio dire, magari potrei essere contrario. Non è divertente una guerra.»

Achill rise. «Non dire sciocchezze, figliolo! Quando ci ricapiterà una guerra di questa portata? Mai. E questa, per te, è una grandissima occasione per farti valere, per dimostrare a al mondo quanto vali.»

«Non ho bisogno di dimostrare niente a nessuno, padre. Continuo a non capire perché ti sei così ostinato a riguardo.»

Achill avanzò verso Ludwig e lo afferrò per il colletto della camicia.

 Ludwig aveva imparato a guardarlo negli occhi, a non avere più paura ─ come si faceva ad avere paura di qualcosa che già si conosceva?

«Stammi bene a sentire, figliolo:  tu non hai voce in capitolo, non hai scelta. Andrai in guerra e basta, compierai gesta eroiche e tornerai qui. Al tuo ritorno ti presenterò la tua futura sposa, che nel frattempo io avrò scelto per te.»

«Molto bene, hai già deciso quanti figli devo avere e in che modalità?»

«Non sfidarmi, Ludwig, o mi vedrò costretto a mandarti con gli altri già pieno di lividi.»

Ludwig scrollò le spalle come se la cosa non lo toccasse più di tanto.

 

Non aveva avuto neanche il tempo di riorganizzare le idee, si sbrigò solamente a preparare un sacco, poi gli avrebbero dato qualcosa al reggimento ─ così sperava.

Scendendo le scale, Ludwig vide suo fratello che lo aspettava per salutarlo e  vicino a lui suo padre e suo fratello. Ludwig notò le lacrime solcare le guance di Natthasol, ma non potendo consolarlo scosse la testa come a dirgli che doveva smetterla o suo padre gliele avrebbe suonate di santa ragione ─ e non ci sarebbe stato lui a difenderlo.

Così Natthasol tirò su con il naso, si passò il dorso della mano sugli occhi e cercò di trattenere le altre lacrime che, prepotenti, cercavano di uscire. «Io e Lancy ti aspettiamo, Ludwig» disse.

«Bravi, e non fate troppo i monelli in mia assenza. Promettetelo.»

Natthasol annuì con un forte cenno del capo, mentre Lancelot guardava Ludwig ─ avrebbe voluto abbracciarlo e forse, essendo lui il più piccolo, suo padre glielo avrebbe permesso.

«Ludwig è vero che torni?» domandò Natthasol preoccupato.

«Certo che torno, non pensare che basti così poco a farmi fuori, fratellino. Mi hanno addestrato bene qui.»

Achill non apprezzò quella nota sarcastica nella sua affermazione, ma non disse niente  poiché era felice che suo figlio stesse per rendere glorioso il loro casato ─ come se secoli di storia non fossero già stati più che sufficienti.

«Allora, Lancy, vieni qui, avanti» Ludwig si inginocchiò per accogliere tra le braccia suo fratello il quale lo strinse forte.

«Mi mancherai, fratellone.» Aveva poggiato la testa sulla spalla di Ludwig, come se volesse imprimere tutto il calore di suo fratello e conservarlo per tutto il tempo che sarebbe mancato.

«Anche tu e fai il bravo che sei un vero combina guai.»

Lancelot rise.

Ludwig sorrise a suo fratello Natthasol il quale stava per correre in contro a lui, ma la mano di Achill lo fermò.

«Non puoi abbracciare tuo fratello, sei troppo grande. Non sei un bambino, hai quasi dieci anni, Natthasol!»

Ludwig sospirò, non disse e non face niente perché sapeva che sennò suo padre lo avrebbe punito.

«Stringi la mano a tuo fratello e auguragli buona fortuna, è così che si saluta un uomo.»

Natthasol annuì, guardò Ludwig con occhi colmi di tristezza e paura. Quello sarebbe potuto essere il suo ultimo saluto per Ludwig e avrebbe odiato suo padre per questo.

Ludwig porse la mano a Natthasol, facendo un passo verso di lui per rendergli la situazione meno complicata e sopratutto meno dolorosa. Dopo avergli stretto la mano lo salutò: «A presto, Natthasol. Mi raccomando, fai il bravo finché non ci sarò.»

«Va bene, Ludwig, te lo prometto, tu stai attento.»

Ludwig uscì dalla porta di casa e scese le prime scale, ma sentì dietro lui il rumore dei passi di qualcuno che correva. Si voltò e vide Natthasol correre incontro a lui.

Ludwig apri le braccia e lo abbracciò fortissimo, incurante  di quanto potesse pensare o ribollire dalla rabbia Achill.

«Ti avevo appena detto di fare il bravo, Natthasol!»

«Non mi importa, Ludwig! Può anche lasciarmi morire di fame, ma io dovevo abbracciarti e salutarti prima che tu potessi andare via...»

Ludwig lo strinse ancora più forte tra le sue braccia, gli diede un baciò sulla fronte e lo lasciò andare.

«A presto...» disse solamente, mentre suo padre lo guardava scendere le scale e Lancelot  lo salutava con la manina.

 

Con il sacco in spalla stava seguendo la truppa, il battaglione al quale era stato affidato.  Erano tutti ragazzi, chi più grande o chi come lui. Erano diversi, di ceti sociali differenti, ma avevano la stessa espressione sul viso: preoccupata, spaventata. Ludwig, invece, per quanto fosse consapevole del salto nel vuoto che stava per fare, non provava un vero e proprio sentimento e l'unica cosa che riusciva a sentire era il sollievo per la lontananza da suo padre.

A distoglierlo dai suoi pensieri fu una poderosa pacca sulla spalla. Quasi non sussultò dalla sorpresa e si domandò chi potesse essere così folle da aver rotto le righe.

«Ciao, ti annoi?» domandò il ragazzo che si era avvicinato.

Ludwig si voltò verso di lui, vide un giovane della sua stessa età che camminava con le mani incrociate dietro la testa, del tutto ignaro di possibili rimproveri da parte di superiori.

«Terribilmente» fece Ludwig guardandolo.

 «Come ti chiami?» domandò questi.

A Ludwig stette subito simpatico, gli ricordò Elger per la parlantina e la spigliatezza e, a dirla tutta, ci voleva proprio qualcuno che lo scotesse un po'. «Ludwig, Ludwig Dubois.»

«Ah, il marchese? Io sono solo un piccolo borghese che abita in città, mi chiamo Nail Neumann, piacere di fare la tua conoscenza Ludwig Dubois.»

«Presentazione lunga e complessa, la tua»

«Mia madre lo dice sempre che parlo troppo...»

«Forse ha ragione, ma non mi dai fastidio» gli rispose Ludwig guardandolo più attentamente. Nail era un ragazzo di qualche centimetro più passo di lui, aveva occhi e capelli scuri e portava gli occhiali. Gli occhiali furono un oggetto che saltò subito agli occhi di Ludwig, perché pensò che in guerra potessero essere scomodi e spiacevoli da perdere.

«Dimmi, come mai ti sei arruolato?» gli domandò, ormai entrato nel pieno della conversazione.

«Una questione economica, credo. Forse i miei genitori non avevano soldi per farmi studiare ulteriormente, così ho pensato di arruolarmi e sperare almeno nella carriera militare.»

«Sei coraggioso, mi piace questa caratteristica nelle persone.»

«E tu, invece? Tu sei ricco, che ci fai qui in mezzo al fango?»

«Fosse stato per me non ci sarei venuto. Non perché abbia paura della guerra, ma è contro ogni mio etico principio. Non amo vedere la gente morire, né lo trovo divertente. Ma mio padre ha pensato bene di parlare con alti vertici suo amici per farmi arruolare. Lui sogna futuri gloriosi per la nostra famiglia, dicendo che io, in quanto primo figlio e quindi erede, devo partecipare a queste cose e narrarne le gesta.»

«Un tipo davvero noioso e pesante tuo padre» affermò Nail.

«Oh, non sai quanto» confermò Ludwig.

«Forse non è stato poi male essere qua» proseguì Ludwig sorridendo a Nail.

«Perché dici questo?»

«Perché forse ho trovato un amico» Ludwig era contento di aver legato subito con un ragazzo suo coetaneo che sembrava quantomeno coraggioso. Forse si sarebbe sentito meno solo nonostante la guerra.

 

La trincea era il luogo dove si sentiva più al sicuro e in ansia allo stesso tempo. Quando incombeva l'attacco nemico sperava sempre di non essere colpito e, allo stesso tempo, di mostrarsi valoroso nei confronti dei suoi compagni e verso se stesso. Mai sarebbe voluto sembrare o essere pavido.

Quando invece c'era una tregua, tutti cercavano di rilassarsi come potevano, distendere i nervi, sapendo che quella sera sarebbe potuta essere l'ultima della loro vita.

Ludwig si era messo a leggere un libro: poesie che fossero in grado di compiacere e comprendere il suo stato d'animo; ma venne interrotto dall'arrivo di Nail che si sedette accanto a lui e che da un primo sguardo sembrava piuttosto sereno.

«Ehi, Lud, che leggi?»

«Novalis, poesie.»

«Che allegria... Non ti basta questo paesaggio lugubre che abbiamo qui intorno?»

«Cercavo di ignorarlo, in realtà!»

«Con Novalis? Oh, amico mio, aspetta, ti faccio leggere io qualcosa degno di nota!»

Nail si chinò leggermente davanti per prendere la lettera che aveva messo nella tasca interna della sua divisa e la porse a Ludwig.

«Leggi questa, amico mio, è arrivata oggi, fresca fresca: è la lettera della mia fidanzata! Leggi quanta passione e vedrai che te lo scordi Novalis!»

A Ludwig quasi non venne da ridere e chiuse il libro. Spiegò la lettera e si mise a leggere.  Leggendo, Nail vedeva lo sguardo di Ludwig scorrere riga per riga e sembrava essere davvero molto attento.

«Ammetto che è davvero passionale la ragazza! Sei fortunato amico mio!»

«Tu non hai la fidanzata, Ludwig?»

«Non ancora, ma mio padre ha detto che non appena farò ritorno, mi presenterà colei che diventerà la mia sposa.»

«Ah, ti sceglie pure la moglie? Invadente, è parecchio invadente quest'uomo.»

«Alla fine spero solo che lei mi piaccia e che possiamo amarci: un matrimonio silenzioso e privo di sentimento non potrei tollerarlo.»

«Già, te lo auguro amico mio. Secondo me la meriti proprio un po' di felicità, e poi le ragazze amano i tipi romantici!»

«Non sono romantico, Nail.»

«Oh, no, Ludwig, sei un vero e proprio sentimentale» rise.

I due si divertivano spesso a schernirsi e a prendersi in giro. A Ludwig facevano proprio bene quei momenti di spensieratezza. Era felice di aver trovato un amico come Nail e ogni giorno sperava con tutte le sue forse che la guerra non fosse così tiranna da strapparglielo via.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Trincea ***


Disclaimer: La storia che vi apprestate a leggere è di proprietà della rispettiva autrice, così come i personaggi in essa contenuti, fatta eccezione per quelli citati che fanno parte della trascorso storico e della cultura popolare.Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale, non voluto e senza alcuno scopo di lucro.I personaggi presenti nella narrazione sono fittizi e per lo più maggiorenni. Ciò che li riguarda nella trama non violerà il contenuto del regolamento di EFP.
Note: Siamo già al quarto capitolo, praticamente è passato un mese da quando ho iniziato a postarla o quasi! Non mi sembra vero. Ringrazio tutti i lettori e chi segue la storia. Vi lascio alla lettura del capitolo senza annoiavi troppo con le mie chiacchiare ù.ù

 
Image and video hosting by TinyPic
 
 

«Tocca a te, Ludwig» disse Nail, guardando l'amico. «Sto riflettendo!» fece l'interpellato, ponderando la prossima mossa.

«Suvvia, amico mio, non c'è molto da riflettere... Devi solo tirare una carta!»

Ludwig alzò lo sguardo in direzione di Nail, lasciando che sul suo volto comparisse un sorrisetto, un ghigno così sinistro da far venire i brividi.

«E ora perché fai così? Mi fai venire la pelle d'oca, lo sai!»

«Se ci sto mettendo così tanto a tirare questa carta è perché in mano ho la tua sconfitta amico mio. Voglio che la cosa sia meno dolorosa possibile per te...»

«Ludwig sei sempre così esagerato, decisamente esagerato.»

E, mentre Nail si premurava di dissuadere l'amico dall'esagerare, Ludwig gettò sul banchetto di legno la mossa vincente. «Mi spiace, amico mio, ma io non esagero mai.»

«Maledetto, figlio di Satana!»

Ludwig rise appena, si divertiva sempre quando Nail imprecava a causa della sua vittoria, sapeva che il suo amico non amava perdere. Dopodiché la sua attenzione venne distolta da un loro compagno d'armi che sembrava non essere proprio di buon umore e che anzi andava incontro a loro con tutta l'aria di voler attaccar briga.

Guardando l'espressione improvvisamente seria sul volto di Ludwig, Nail si voltò in direzione dell'altro soldato.

«Non vi fate schifo? Come potete giocare a carte dopo quello che è successo oggi? Dopo quello che è succede ogni giorno.»

In un primo momento Ludwig decise di non dare peso a quelle parole e di ignorarlo, sperando che questi, dopo aver fatto la sua bella ramanzina, se ne andasse.

«Cos'è, hai il coraggio di giocare a carte, ma non hai sufficiente lingua per rispondermi?» Era evidente che lo stesse provocando, e Ludwig non aveva intenzione di cedere a così basse provocazioni. «Rispondimi o devo pensare che sei un vigliacco?»

A quel punto Ludwig si alzò in piedi e destando tutta la preoccupazione di Nail, si sentì dire: «Calmati, amico mio, lascialo stare, è solo provato.»

«Lo so perfettamente, ma questo non lo autorizza a insultarmi.»

«Io non so da dove tu venga...» Iniziò Ludwig andando incontro al suo compagno d'armi. «Ma io vorrei solo essere lasciato in pace. Cosa credi che per me non sia doloroso vedere ogni giorno i miei compagni morire per una guerra insensata? Una guerra che non si sa neppure perché si stia combattendo? Ma cosa dovremmo fare? Lasciarci sbranare dalla paura? Compatire i morti? No, noi preferiamo vivere spensierati le possibili ultime ore che ci rimangono da vivere. Se tu non ci riesci non è un problema che ci riguarda.»

«Sei solo un figlio di puttana, Ludwig, solo il figlio di un bastardo e di una lurida cagna.»

Il ragazzo non ebbe il tempo di finire la frase perché Ludwig gli sferrò un pugno in pieno volto.

Nail si alzò di scatto, mettendosi tra il suo amico e l'altro soldato. «Basta, voi due, che vi è preso?»

«Ci mancavi solo tu, adesso! Che non si sa difendere?» domandò.

«No, Albrecht, al contrario. É proprio perché sono certo che ti potrebbe fare del male che lo sto fermando. Ora, voi due, da bravi, vi sedete e ognuno per conto proprio d'accordo?»

«Resti il figlio di una cagna!» lo insultò Albrecht prima di andarsene definitivamente.

Nail, invece, dovette far fede a tutta la sua forza per tenere fermo Ludwig. «Non ti facevo tipo da rissa, non te ne credevo capace!»

«Sono capace di molte cose, specie quando insultano gente innocente.»

«D'accordo, ma adesso non ci pensiamo più, va bene? Riprendiamo a giocare, voglio la rivincita!»

Ludwig annuì alla richiesta. Vivere nelle trincee, in costante tensione per la guerra, non era quello che si aspettava per i suoi diciassette anni.

 

«Ludwig! È arrivata un'altra lettera! L'ho letta, è più appassionata delle altre!»

«Avrai da che leggere per giorni!» gli rispose Ludwig, schernendolo e porgendogli la mano. Voleva leggerla e attendeva solo che il suo amico gliela passasse!

«Caro Nail, la tua mancanza si sente terribilmente. Questa notte ti ho sognato, ho sognato che facevamo l'amore insieme, come l'ultima volta.» A questo punto Ludwig si fermò perché aveva bisogno di fargli delle domande. «Quando sarebbe stata l'ultima volta?»

«Ci siamo conosciuti qualche mese prima di partire: Quando sono partito le ho detto che sarebbe potuta essere l'ultima volta che si saremmo visti, e così...»

Ludwig scosse la testa e proseguì: «Sono passati due anni ormai. Non faccio che tenere traccia del tempo, dei secondi e dei minuti. La tua mancanza, le tue battute, tutto mi manca di te...» Ludwig si rifermò nuovamente, guardando il suo amico. «Credo che questa ragazza sia eccessivamente zuccherosa.»

«Oh, va avanti, Ludwig!»

«La notte è solitaria e il mattino triste come un cielo d'inverno.»  Ludwig chiude definitivamente la lettera. «Basta, è troppo, dico davvero.»

«Ma poi arrivava la parte scabrosa...»

«Santo cielo! E volevi farmela leggere?»

«E qual è il problema? Praticamente pisciamo insieme e tu ti fai scrupoli sul leggere o meno una lettera?»

Ludwig riaprì la lettera e finì di leggerla.

La ragazza in questione ricordava perfettamente tutto della notte trascorsa con il suo ragazzo, gesto, dopo gesto.

«Ecco, ora so tutto di te: so come mangi, come urini, come ti scopi le ragazze ─ tralasciamo quello che ho visto qui in trincera... Ora posso sei contento?»

«Dovresti essere contento di conoscere il tuo amico alla perfezione!»

«Credo che il tuo sia solo un fatto di ego, sai?»

«Ma no, Ludwig, sei tu quello pragmatico! Non so quasi niente di te.»

«Sciocchezze, ti ho detto tutto ciò che c'è da sapere, e poi muoviti che dobbiamo andare a sistemare i tubi per le armi!»

«Agli ordini!»

 

Quella notte del 24 Ottobre, come i successivi giorni a venire, sarebbe stato davvero faticoso per Ludwig e per tutti gli altri, compreso Nail che era sempre al suo fianco. Alle due del mattino avevano cominciato ad attaccare le posizioni italiane sul monte Rombon alternando lanci di gas a quelli di granate convenzionali. La situazione portava loro in vantaggio, tutti si erano addestrati per vincere e non per il contrario, ma sapevano che la battaglia, anzi, le varie battaglie tra offensive e contro-offensive sarebbero state estenuanti. Solo il pensiero della vita e della vittoria riusciva a farli andare avanti  nonostante le bombe e le granate che esplodevano.

«Una ballerina!» gridò Nail individuando la bomba. Era troppo vicino al loro battaglione, se sarebbe esplosa non ne sarebbero morti in pochi.

Ludwig ebbe solo il tempo di voltarsi dopo averlo sentito gridare che, capendone le intenzioni,lo vide scattare in avanti: voleva lanciare la bomba il più lontano possibile prima che questa potesse esplodere e prima che gli esplodesse in mano.  «Dove vai, idiota!» gli gridò Ludwig. Iniziò a corrergli e quando cominciò a sentire l'aria circostante più calda sgranò gli occhi. Si lanciò verso Nail, lo afferrò per le gambe e si lasciò cadere in terra assieme a lui dopo che aveva lanciato la bomba. Esplose in aria, poco dopo il lancio.

Ludwig aveva fatto in tempo a coprire il corpo di Nail con il proprio, fortunatamente lontano dallo scoppio. Erano ancora confusi quando capì che c'era qualcosa che non andava. Ludwig sentiva Nail lamentarsi, cosa che lo fece scostare immediatamente nonostante fosse ancora scosso, con le orecchie che gli fischiavano.

Agitatosi lo guardò per vedere che cosa avesse, lo toccò sulla divisa ─ la giacca, i pantaloni ─ alla ricerca di una ferita fin quando non si accorse che Nail era stato ferito da una scheggia alla gamba. Il sangue usciva copioso e Ludwig aveva il cuore che batteva all'impazzata. Erano allo scoperto, nel bel mezzo del campo, un bersaglio allettante per i loro nemici.

Si tolse la giacca e si tirò via, con i denti, un lembo della manica della camicia, affinché che potesse andare a legarla stretta a monte della ferita. «Devi alzarti , Nail. ti aiuto, ma devi cercare di muoverti.»

«Dovremmo strisciare, Ludwig» disse Nail dolorante.

«Come dici?»

«Dovremmo strisciare perché se ci vedessero in piedi, ci mirerebbero per abbatterci.»

«Se becchiamo un'altra bomba, saltiamo in aria direttamente. Dobbiamo alzarci e correre, devi resistere amico mio, stringi i denti finché puoi!»

«Perché hai dovuto fare l'eroe a tutti i costi, Ludwig?» chiese, mentre cercava di tirarsi su con Ludwig che lo aiutava a sostenersi.

«Non ho fatto l'eroe, sei tu quello che si è buttato per prendere una bomba per non farci morire tutti e guarda come sei finito: Zoppo!»

«Già mi dai per zoppo, Ludwig: un po' di fiducia, maledizione.» Risero, gettandosi a terra subito dopo sentendo lo scoppio di un'altra bomba vicino.

«Dobbiamo sbrigarci, ritirati su, avanti. Dobbiamo cercare di arrivare a un riparo il prima possibile, alazati avanti!» Ludwig cercò di sollevarlo con tutta la sua forza, cercando di aiutarlo a stare su, mentre Nail faceva affidamento sulla gamba non offesa.

«E sbrigati a guarire, sennò sai che gli racconti alla tua fidanzata!»

«Oh, non c'è da preoccuparsi per questo. È arrivata una lettera dove mi veniva comunicato il suo decesso per tubercolosi.»

Dopo quella notizia calò il silenzio. A salvarli, a permettergli di raggiungere un luogo sicuro, fu la ritirata nemica.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Regan ***


Disclaimer: La storia che vi apprestate a leggere è di proprietà della rispettiva autrice, così come i personaggi in essa contenuti, fatta eccezione per quelli citati che fanno parte della trascorso storico e della cultura popolare.Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale, non voluto e senza alcuno scopo di lucro.I personaggi presenti nella narrazione sono fittizi e per lo più maggiorenni. Ciò che li riguarda nella trama non violerà il contenuto del regolamento di EFP.
Note: Quinto non che punultimo capitolo! Nel banner di oggi c'è il prestavolo che ho in mente per Regan, sicuramente la conoscerete più o meno tutti e sono consapevole del fatto che sia asulta. Purtroppo non ho trovato foto di lei diciottenne per come la immaginavo, per questo ho scelto di mettere comunque la foto di lei adulta di come, effettivamente, appare nella storia principale ovvero la Ballata dei petali caduti.

Image and video hosting by TinyPic
 
 
 

Aveva appena salutato Nail e già gli mancava. Chi avrebbe riempito le sue silenziose giornate adesso?

Aveva bisogno di quella complicità, di quell'amicizia leale e vera che, negli anni, solo Elger e Nail avevano saputo dargli.

 In serata sarebbe passato a salutare Elger, erano trascorsi quattro anni da quando era partito e non vedeva l'ora di sapere che cosa aveva combinato in sua assenza.

L'unica cosa che consolava Ludwig era la corrispondenza, avrebbe scritto a Nail spesso e volentieri, specie perché preoccupato per la sua salute e perché interessato ai suoi progressi.

Era contento che la guerra fosse ormai giunta al termine, anche se dietro di sé aveva lasciato distruzione e morte, ma il pensiero di ritornare a casa non gli dava per nulla giovamento. Aveva imboccato la via del sentiero di casa, camminava lentamente, pregustando i suoi ultimi istanti di libertà, consapevole del fatto che lo avrebbero atteso soltanto doveri.

«Chissà quanto saranno cresciuti Natthasol e Lancelot» si disse a voce alta, con il sorriso sulle labbra. I suoi fratelli erano gli unici che gli addolcivano l'idea del ritorno. Improvvisamente si fece vivo un pensiero di angoscia. Lungo il tragitto aveva visto case distrutte, persone che avevano perso i propri cari: quella guerra aveva ucciso soldati e civili senza distinzioni. Era preoccupato, frettoloso di rientrare. Sperava che la sua casa fosse ancora lì ad attenderlo, sperava che i suoi fratelli fossero ancora vivi; quanto a suo padre non lo pensò affatto ─ ormai non provava nulla nei suoi confronti se non fastidio. Accelerò il passo, vittima delle sue preoccupazioni, arrivando presto davanti il portico della sua casa. Con sollievo si accertò che tutto era come lo aveva lasciato. Si fermò qualche istante e si lasciò andare a un lungo sospiro di sollievo.  Solo in quel momento si accorse che aveva l'affanno, doveva aver camminato velocemente e quasi senza respirare. Volse lo sguardo verso le scale dell'entrata principale e vide un ragazzetto dai capelli rossi.

Nonostante fosse cresciuto, Ludwig lo riconobbe immediatamente. Gli sorrise.

Natthasol, dal canto suo, ci mise qualche secondo a capire chi fosse il nuovo arrivato, ma quando lo vide sorridere lo riconobbe immediatamente: era Ludwig ed era tornato.

Scese dalle scale così velocemente da neanche accorgersene, correndo così forte per raggiungere Ludwig che quasi non lo travolse quando lo abbracciò.

«Ehi, piano. Non mi hanno ucciso le bombe, vuoi uccidermi tu?» Ludwig rise, accarezzò la testa di suo fratello, scompigliandogli i capelli per poi abbracciarlo ancora più forte di quanto Natthasol non stesse già facendo.

«Mi sei mancato, Ludwig, mi sei mancato così tanto!»

«Anche tu mi sei mancato, Natthasol. Vedo con piacere che sei cresciuto!»

«Anche tu, Lud! Sei ancora più alto!»

«Me ne sono accorto anche io... Ma non ho potuto misurare la mia statura.»

«Sembri quasi un gigante! Gulliver!»

«Oh,  andiamo! Sono tornato e mi prendi già in giro? Piuttosto, spera che nostro padre non ti abbia visto corrermi incontro, sennò ti tocca pure prenderle!»

«Me ne ha date di santa ragione in questi anni, anche quando sei partito ─ subito dopo.»

«Ecco... Me lo aspettavo» disse Ludwig preoccupato per Natthasol. Chissà che cosa doveva aver passato in sua assenza.

«Ma adesso non può averci visto, è impegnato. Sono giorni che risponde a delle lettere, parlava di trattative!»

«Siamo alle solite. Avrà sentito della fine della guerra e della perdita della Germania, quindi o sta cercando moglie per me, immaginando il mio ritorno, o sta insultando tutti i sopravvissuti per aver osato perdere.»

«Ma se sta cercando moglie ti riporterà di nuovo lontano da me?» domandò Natthasol preoccupato, rabbuiandosi improvvisamente.

«Anche se fosse, di certo non la sposerò domani e poi possiamo sempre scriverci. Troverò sempre il tempo per rispondere alle lettere del mio fratellino!»

Natthasol sorrise, lo abbracciò un'ultima volta, prima di rientrare con lui in casa.

 

«Ludwig, mio caro, sei tornato finalmente! Avevo sentito la notizia della fine della guerra, anche se sono triste per la perdita del nostro paese... Ma comunque, figliolo, abbiamo cose importanti a cui pensare!»

Achill si avvicinò al figlio e lo abbracciò. Forse, dopo quattro anni anche a lui era mancato.

«Dov'è la trappola!» sussurrò in direzione di Natthasol che fece spallucce ignaro di quanto stesse progettando suo padre.

«Proprio oggi ho concluso l'accordo per il tuo matrimonio!»

«Ecco dov'era la trappola!» Sussurrò nuovamente per poi rivolgersi serio verso suo padre. «Non hai pensato che potessi essere morto?»

«Sciocchezze, Ludwig. Innanzitutto me lo avrebbero comunicato e poi non ci avrei creduto!»

Sorvolò su tutte le strane idee di suo padre e gli rispose, consapevole del fatto che, presto o tardi, questo giorno sarebbe arrivato. «E quando dovrei incontrarla?»

«Oggi pomeriggio!»

«Ah, giusto il tempo di lavarmi!»

«Ludwig, non mi piace questo tono... La guerra doveva forgiarti, non incrementare il tuo sarcasmo e renderti più insolente!»

«La guerra fa tante cose, ma, ad ogni modo, è effettivamente quello che accadrà, avrò giusto il tempo di rinfrescarmi e cambiarmi, perché poi immagino dovremmo andare a casa di lei, o sbaglio?»

«No, è così, non sbagli.»

«Quindi, come vedi, papà, nessun sarcasmo: dati di fatto, per l'appunto.»

«Va a sistemarti, non vorrai far in modo di non piacerle, spero...»

«Ma posso sapere il nome di questa famiglia, oppure devo rimanere all'oscuro di tutto?»

«La figlia degli Schulz. Regan Schulz»

«Sono pieni di debiti, papà. Cosa intendi fare?»

«Per il nostro casato ci serve qualche piccolo accordo, non ti preoccupare, io ho proposto loro di sposarti in cambio sanerò i loro debiti. Poi tu provvederai alla loro figlia, loro a se stessi. Come vedi non è un contratto a vita con la famiglia.»

«La verità è che nessuno sposerebbe un Dubois se non avesse fame di potere o se non condividesse lo stesso culto.»

«Troppo scaltro, figliolo, troppo scaltro, la guerra ti ha reso troppo scaltro ─ e non so se questo sia un male o un bene.»

 

Finalmente Ludwig era rimasto solo con l'acqua per il bagno. L'idea era quella d'immergersi per non pensare più a niente, magari per fantasticare un po' sulla sua futura sposa.

 Non era preoccupato, suo padre era talmente attento all'immagine che non avrebbe scelto qualcuna che non reputasse abbastanza graziosa per stare al suo fianco, l'unico cruccio che si stava ponendo era quello sull'amore: l'avrebbe amata? Sarebbero andati d'accordo, oppure sarebbe stato solo un silente matrimonio celebrato solo a causa di un accordo?

Coccolato dall'acqua calda cominciò a rilassarsi. Chiuse gli occhi e, per un primo momento, cominciò a fantasticare sulla ragazza che quel pomeriggio avrebbe preso. Ma poi furono le mostruose immagini che la guerra gli aveva lasciato in eredità a prendere il sopravvento.

Si addormentò. Un sonno leggero dovuto alla stanchezza. E in pochi attimi, di nuovo le immagini delle bombe, le esplosioni, i suoi compagni d'armi che morivano uno ad uno. Un ragazzo, suo coetaneo, si spense proprio tra le sue braccia, mentre Ludwig cercava di fermagli l'emorragia come meglio poteva. In fine, Nail. L'esplosione che quasi gli aveva fatto perdere il suo amico. Ludwig spalancò gli occhi: il cuore batteva all'impazzata, gli girava la testa e, improvvisamente, sentiva come un tremore che prendeva piede dentro di lui. Era chiaro che fosse ancora visibilmente scosso e che ci sarebbe voluto del tempo prima che si potesse riprendere del tutto.

 

Nel pomeriggio Ludwig, insieme a suo padre, si era presentò a casa degli Schulz.

Si guardò intorno cercando di capire quanto di nobile, almeno in apparenza, fosse rimasto a quella famiglia.

La famiglia degli Schulz aveva ereditato un titolo e la loro fortuna verso la seconda metà del 1800, a differenza loro, non seppe gestite la gloria e il denaro.

Forse, pensò Ludwig, nel corso dei secoli, i Dubois, avevano imparato a restare a galla e visto i matrimoni fatti nel corso degli anni, non poteva pensare diversamente.  Ciò che non comprendeva, però, era perché suo padre lo stesse facendo sposare con una ragazza di un casato così poco brillante, eppure Achill sognava per suo figlio qualcosa di magnifico, glorioso.

O semplicemente non vuole nessuno che lo faccia sentire in imbarazzo, ecco perché mi sta facendo sposare questa ragazza, nessuno potrà mai rinfacciarci qualcosa, semmai sarebbe il contrario.

I pensieri di Ludwig non facevano che confermare l'idea che aveva di suo padre, quello di un essere meschino e abbietto che pensava solo a lui stesso. Ormai, l'unica cosa che poteva pensare, che poteva auspicarsi con tutte le sue forze, era che questa ragazza potesse piacergli nell'aspetto e nello spirito ─ ma quello sarebbe stato un colpo di fortuna magistrale.

Reginar Schulz era un uomo dall'aspetto piuttosto giovane, come suo padre. Il fatto che lui si sposasse più tardi rispetto a loro, secondo Ludwig, lo doveva alla guerra. Suo padre non lo avrebbe mai fatto sposare a distanza, quando ancora era in servizio per il suo paese, sennò tutto il paese non avrebbe potuto parlare di questa unione. Reginar era di bell'aspetto e sembrava conoscere Achill piuttosto bene, cosa che fece insospettire Ludwig, ma alla quale non diede più di tanto peso. Era alto, aveva i capelli biondi e gli occhi di un color miele brillante. A giudicare dal suo aspetto, forse anche sua figlia sarebbe stata piacevole.

«Achill, vecchio mio, finalmente vi vede, vedo tuo figlio dopo tanti anni!» Reginar strinse la spalla di Ludwig come a volergli dare una pacca amichevole sulla spalla, ma meno confidenziale.

Si erano visti prima? Io lo conosco già? Non lo ricordo minimamente, strano. Ludwig era piuttosto confuso, con la guerra e con la maturazione era diventato più lungimirante, quasi riusciva a prevedere gli esiti delle vicende, ma in quel momento era in totale balia del fato.

«Non credi che la guerra gli abbia fatto bene, Reginar?»

«La guerra non fa mai bene a nessuno, specie una guerra come quella che abbiamo appena perduto. Il popolo è alla fame, ci hanno completamente distrutto, ed è un miracolo che tuo figlio sia ancora vivo.» Reginar sorrise a Ludwig.

Gli sembrava diverso da suo padre, anche più umano, ma questo lo avrebbe scoperto con il tempo.

«Posso vedere sua figlia?» domandò Ludwig impaziente.  Era lì e doveva ammettere di essere dannatamente curioso.

«Sì, adesso la faccio chiamare.» Sorrise, forse felice di vedere l'impazienza mostrata dal ragazzo.

Reginar aveva fatto chiamare sua figlia da una governante perché nonostante fossero in rovina teneva ancora la servitù.

Se improvvisamente non dovessimo averla noi in casa, potrei fare tutto da solo, almeno le punizioni sono valse a qualcosa.

Quando lei entrò nella stanza, Ludwig si soffermò a osservarla. Non era di una bellezza travolgente o sconcertante, ma era una bella fanciulla e questo era chiaro: i suoi lineamenti erano precisi, aveva gli occhi grandi, aveva delle belle labbra, i capelli biondi molto lunghi. Almeno di questo, Ludwig ne fu felice. Era contento che non fosse perfetta nella sua bellezza perché questo lo avrebbe annoiato molto presto. Osservandola meglio notò che lei aveva una voglia sul viso, una voglia sulla guancia. A Ludwig piaceva, ne era affascinato.

Si avvicinò a lei e nel salutarla le fece il bacia mano e poi la salutò: «Ludwig Dubois, per servirla»

Regan sorrise appena, non mostro imbarazzo, non fece espressioni svenevoli, né ipocrite, né sorrisetti troppo civettuoli. Quella ragazza gli piaceva.

«Regan Schulz. E lei è molto gentile, Ludwig.»

«Grazie, mia cara, ma non credo sia necessario che mi dia del lei o prenda le distanza. Basterà chiamarmi semplicemente Ludwig.» Le sorrise.

«Va bene, Ludwig, allora per te sarò Regan per te.»

Achill e Reginar guardavano distanti e compiaciuti la scena. «Sembrano piacersi, non trovi?» disse Reginar ad Achill, il quale si limitò ad annuire con il capo per poi rispondere: «Non avevo dubbi, mio caro, era quasi inevitabile.» Sorrise appena in direzione di Reginar.

«Eppure tuo figlio non ti somiglia del tutto, ha qualcosa di diverso.»

Achill sospirò, poi aggiunse: «Ha la tempra di sua madre, mia moglie era una donna molto resistente, devo ammetterla, sebbene io abbia cercato di piegarla ai miei voleri, credo che alla fine sia stata lei a prendermi in giro, a far finta di compiacermi. Per quanto riguarda me, invece, per quanto sono certo che Ludwig non approvi, che gli piaccia o no, qualora avrà anche ereditato da me.»

«A parte la statura, il colore dei capelli?»

«Sì, a parte questo.»

«Allora sono proprio curioso di scoprire di cosa stai parlando, perché al primo sguardo, non sembrerebbe proprio che ti assomigli. Forse avrà ereditato dei difetti, perché pregi non ne hai.»

«Vuoi dire che non ho neanche un pregio?»

«Forse qualcuno ce l'hai, ma non è una cosa che voglio scoprire, se Ludwig l'abbia ereditata o meno.» Achill rise e venne distratto dai due ragazzi che si stavano allontanando.

«Guarda Reginar, sembra che stia per uscire in giardino...»

«Forse li abbiamo distratti!» disse Reginar.

«O forse vogliono stare un po' soli.» Scosse le spalle. Tutto andava secondo i suoi piani.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Famiglia ***


Disclaimer: La storia che vi apprestate a leggere è di proprietà della rispettiva autrice, così come i personaggi in essa contenuti, fatta eccezione per quelli citati che fanno parte della trascorso storico e della cultura popolare.Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale, non voluto e senza alcuno scopo di lucro.I personaggi presenti nella narrazione sono fittizi e per lo più maggiorenni. Ciò che li riguarda nella trama non violerà il contenuto del regolamento di EFP.

Note: Eccoci qui dolci fanciullini e fanciulline! Siamo giunti alla conclusione di questa breve storia. Un viaggio si conclude e spero che vi sia piaciuto o che, in qualche modo, vi abbia intrattenuto. Voi che dite, dovrei scriverne altri riguardo i personaggi della Ballata, ma forse dovrei prima almeno aggiornare il capitolo! Anche quello arriverà prossimamente!

 
Image and video hosting by TinyPic
 
 

Erano corsi in ospedale in terra straniera. Ludwig sapeva che sarebbe dovuto tornare in Germania il prima possibile, ma erano rimasti a Parigi più del dovuto per accontentare Regan; così in fretta e furia avevano dovuto accompagnarla in ospedale.

Ludwig era seduto fuori, nel corridoio, su di una sedia, mentre le preoccupazioni lo divoravano. Si nascondeva il viso nelle mani, mentre pensava che sarebbe voluto entrare con lei ad assisterla durante il parto. Ma non era possibile, così gli era stato detto: agli uomini era vietato entrare.

Anche il piccolo Silas era preoccupato, non riusciva a comprendere appieno la situazione. Era in pena per la sua mamma e avvinghiato alla gamba di Ludwig, cercava di ricavarne protezione. Allo stesso tempo, però, cercava di infondere un po' di supporto al padre. Si strinse ancora di più quando sentì le grida della sua mamma cercando una risposta affermativa sul suo volto, sollevò la testa e chiese: «Papà, la mamma sta bene?»

Ludwig gli accarezzò il visetto e sorrise, poi rispose: «Certo, angelo mio, certo che la mamma sta bene.»

«Allora perché grida?» Il volto di Silas si incupì, rattristato. Gli occhi lucidi, pronti a lacrimare.

«Vedi, piccolo mio, mettere al mondo un bambino non è una questione semplice. Per le mamme è molto doloroso, ma non è niente rispetto alla gioia che riceveranno subito dopo dal loro bimbo.»

«La mamma è stata contenta quando sono nato?»

«Felicissima, mai stata più felice! Vedessi che sorriso aveva!»

Silas sorrise e Ludwig gli diede un bacino sulla fronte per rassicurarlo, poi si strinse ancora una volta alla sua gamba a causa di un altro grido. La paura non sembrava volerlo abbandonare.

Improvvisamente videro un dottore uscire dalla stanza. Questi sembrava agitato, andava di fretta. Da un primo sguardo, secondo Ludwig, era andato a chiamare rinforzi.

Ludwig si alzò e Silas rimase dove era, intento a guardare il padre. Sperò che potesse intervenire perché aveva capito che era successo qualcosa di storto.

Il dottore fece cenno a Ludwig di attendere,così lui si rimise a sedere; ma era preda dell'ansia, e la gamba che muoveva freneticamente lo dimostrava.

«Papà, papà che succede? La mamma?»

«Niente, tesoro, non succede niente. Probabilmente la mamma ha avuto un problema, ma hai visto il dottore? Risolverà tutto.»

Silas annuì, non voleva infastidire ancora di più suo padre con i suoi dubbi e le sue paura, sebbene avesse voluto piangere e correre dalla sua mamma.

 

Videro, dopo circa un paio d'ore, uscire il medico dalla sala parto. Questi muoveva la testa a destra e sinistra per cercare Ludwig che lo raggiunse non appena lo vide.

«Mi dica, dottore, che è successo?»

«Sua moglie ha avuto un collasso uterino. Questo ha causato una profonda emorragia...»

Ludwig era in preda al panico, anche se non lo dava a vedere. Il suo cuore batteva all'impazzato, il corpo gli sembrava come punto da mille aghi. «È viva?»

«Siamo riuscite a salvare sia lei che il bambino. Ma abbiamo dovuto asportare totalmente il suo utero. Alla sua età è un vero peccato, ma non potevamo fare altrimenti.»

A Ludwig quasi non prese un colpo. La sua paura si era trasformata in preoccupazione per Regan. Non osava minimamente immaginare che sofferenza potesse essere, lui non lo avrebbe potuto capire minimamente, per questo avrebbe fatto il possibile per starle accanto. «Posso vederla?» domandò.

«Sì, ma al momento è molto scossa. Non la faccia agitare, non faccia riferimento a quanto è successo.»

Ludwig annuì ed entrò nella stanza.

Nel frattempo, Silas, che era rimasto fuori, si era seduto su una sedia, arrampicandosi quasi, ad aspettare che il suo papà facesse ritorno. Era triste per la sua mamma, non aveva capito quanto il medico avesse detto a suo padre. Tuttavia intuì che fosse accaduto qualcosa. Così speranzoso di buone notizie rimase ad aspettare.

 

Ludwig, non appena entrò, vide Regan stesa sul lettino. Era immobile, non si poteva ancora girare, né alzare a causa del dolore che sentiva.

«Tesoro...» la chiamò.

Lei non sembrò accennare alla minima risposta. Aveva gli occhi socchiusi, lo sguardo un po' vacuo, ed era evidentemente triste. Non disse nulla, non sorrise neanche alla visione di Ludwig.

«Ti porteremo a casa non appena il dottore mi dirai che potrai andare. Vedrai, non ti faremo mancare niente.»

Regan era triste a causa di quanto successo. Non le avevano fatto stringere tra le braccia neanche il figlio appena nato; lo avevano portato subito a pulire e neanche Ludwig lo aveva visto. «Voglio vedere il bambino...» soffiò.

«Il bambino lo porteranno a breve, vedrai. Adesso devi solo riposare.»

Lei chiuse gli occhi pensando solo a riprendersi in attesa di vedere suo figlio.

 

Ludwig uscì dalla stanza e Silas scattò giù dalla sedia. Corse incontro a suo padre e sollevò la testa ─ a volte gli veniva il torcicollo per guardarlo.

Ludwig lo prese in braccio, immaginando che suo figlio avesse bisogno di qualcuno accanto quanto lui.

«Il fratellino? Lo hai visto papà il fratellino?»

«Non ancora, ma lo vedremo presto.»

«E come si chiama? Come si chiama?» domandò curioso ritrovando il sorriso.

«Salazar.»

 

I giorni che seguirono in casa furono giorni tristi e silenziosi. Silas percepiva solo il ticchettio dell'orologio quando non c'era suo padre, e la sua mamma non lo degnava neanche di uno sguardo. Era triste al suo banchetto, intento a disegnare con i suoi carboncini: le manine tutte nere e il disegno che ritraeva una casetta con lui e il suo papà.

Ludwig rincasò e, prima di ogni altra cosa, si accertò di come stesse Silas e di cosa stesse facendo.

«Disegni?» domandò Ludwig.

Silas scosse la sua testolina dai biondi boccoli e annuì. «Sì, questo sono io, questo sei tu e questa è la casa.» Aveva indicato i vari disegni uno per uno e fu in quel momento che Ludwig si accorse di come fossero nere le sue mani.

«Ma che ti sei fatto?»

Silas guardò i propri palmi delle mani. «Ops, sono tutto nero!»

«Già, sei tutto nero. Ora fila a lavartele, forza!»

«Mannaggia, mannaggia!» si lamentò, scendendo dallo sgabello dove lo aveva fatto salire suo padre prima di uscire. Mosse i suoi passi verso il bagno, ma poi guardò Ludwig perché non arrivava al lavandino. Si lasciò prendere per la vita e sollevare.

«Adesso che devi fare?» gli chiese.

«Prendo saponetta e strofino!» e lo fece.

«E poi?»

«E poi passo il sapone anche tra le dita e sciacquo finché non va via tutto il nero!» affermò convinto.

«Bravissimo!»

Silas batté le mani contento di essere stato bravo e per averle fresche e pulite.

«Hai mangiato, cucciolo?»

Silas fece di no con la testa. «Non ho visto la mamma per niente, è sempre con Salazar e quindi non ho mangiato.»

«Vieni, allora, andiamo a mangiare che ti ho portato una cosa. Ma prima la minestra!»

Una volta messo a terra, Silas corse verso la cucina, nonostante sapesse che avrebbe dovuto mangiare la minestra; dopotutto non vedeva l'ora di vedere cosa gli avesse portato il suo papà.

Ludwig si era messo a cucinare la minestra per il suo bambino, ormai badava lui stesso, a Silas. Fosse stato per Regan lo avrebbe lasciato morire di fame. «Ecco qua, il signorino è servito!» disse porgendogli il piatto.

Silas si carezzò la pancia vuota, pronto a divorare la minestra. Prese il cucchiaio e si mise a mangiare.

«È buona?»

«Sempre, papà, la tua è sempre buona!» Spinse il piatto in avanti una volta finito e, in silenzio e sorridente, attese il regalo tanto decantato da suo padre.

«Allora, visto che sei bravo e che hai mangiato tutto, ti do una cosa. Non ti ci abituare, però!» Ludwig tirò fuori una stecca di cioccolato al latte finissimo. A Silas si illuminarono gli occhi ─ non vedeva l'ora di assaggiarla.

«Buona, buona! Buonissima!» Non l'aveva ancora assaggiata e già aveva l'acquolina in bocca. La scartò con le sue manine, aveva tutto l'intento di mangiarla.

«Ti posso lasciare un attimo solo? Vado a parlare con la mamma.»

«Vai, vai papà! Io e la cioccolata andremo molto d'accordo!»

 

Ludwig uscì dalla cucina sorridente e scuotendo la testa. Suo figlio era un bambino buono e dolce, ma più cresceva e più in lui scorgeva un animo birichino. Soffriva, però, nel vederlo allontanato nella sua stessa casa, privo d'affetto da parte di sua madre.Entrò nella parte della casa dove Regan, ormai, si era rifugiata. Salazar dormiva nella culla, beato. Ludwig gli accarezzò la testolina e sorrise. Soffriva nel non potersi godere suo figlio come avrebbe voluto.

«Non toccarlo o finirai per ucciderlo!»

«Non posso ucciderlo con una carezza, Regan! Non dire sciocchezze.»

«Hai quasi ucciso me! Tutto è stato colpa tua, Ludwig. Se non fosse stato per te, io a quest'ora potrei avere altri figli.»

«C'è solo un piccolo problema, Regan. Senza di me, non avresti avuto Salazar, né potresti avere un altro figlio. Anche se li avresti potuti fare con un altro uomo, quello che è accaduto, sarebbe potuto succedere lo stesso.»

«Non dire stupidaggini, è tutta tua la colpa, tu mi hai maledetto.»

«Ti ricorderei che non hai un figlio soltanto, tu che ne vorresti di più, come hai detto, hai lasciato l'altro tuo figlio solo per ore senza neanche farlo mangiare.»

«Dovevo badare a Salazar.»

«Potevi portarlo di là con te senza relegarlo qui dentro neanche fossero le segrete di un castello!» Ludwig cominciava ad agitarsi. Era sempre stato tollerante nei suoi confronti, ma vedere suo figlio soffrire, lo faceva arrabbiare più di ogni altra cosa.

«Non lo porterei mai giù mentre c'è quella creatura nei paraggi. Quella feccia che ancora vive.»

«Sei forse impazzita? È di tuo figlio che stai parlando! Come puoi dire certe cose?»

«Non importa, per me da oggi conta solo Salazar. Baderò soltanto a lu. Ritengo te e Silas responsabili della mia, anzi, della nostra sofferenza.» Si riferiva chiaramente a lei e a Salazar.

«Non puoi dire seriamente... Non lo puoi affermare con così tanta lucidità!»

«L'ho appena fatto, Ludwig. Credo che sia bene che tu lo impregni nella tua mente: non mi avvicinerò più a te, finiresti per ucciderti, né tantomeno toccherò quel mostro. Bada tu a lui se vuoi, da oggi. Ripeto: per me esisteremo solo io e Salazar, il resto è superfluo intorno a noi.»

Ludwig abbandonò quella stanza sconvolto. Non riconosceva più sua moglie, non era la donna che aveva corteggiato, sposato e amato. Da quando aveva messo al mondo il suo secondo figlio, lei era cambiata. Voleva aiutarla, l'avrebbe fatto, ma udire quelle parole, le affermazioni che Regan pronunciava con tanta tranquillità, quasi lo annichilivano nel profondo.

Avrebbe reagito per il bene di Silas,però, visto che ora dipendeva soltanto da lui.

Da quel momento in poi, avrebbe potuto semplicemente attendere una sua ripresa. Una speranza che non si sarebbe mai estinta anche se vana.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3763325