Deficienti sui mezzi pubblici e dintorni di Kim WinterNight (/viewuser.php?uid=96904)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il (quasi) suicidio delle pantofole mascoline ***
Capitolo 2: *** Puffy non mangia! ***
Capitolo 3: *** Intern ***
Capitolo 4: *** Tutta colpa dell'autista! ***
Capitolo 5: *** Anna dai capelli rossi ***
Capitolo 6: *** Che tristezza... ***
Capitolo 7: *** Tutti in traghetto! ***
Capitolo 8: *** La Peste ***
Capitolo 9: *** Brochure e vivavoce ***
Capitolo 10: *** Mademoiselle ***
Capitolo 11: *** Alzheimer ***
Capitolo 1 *** Il (quasi) suicidio delle pantofole mascoline ***
ReggaeFamily
Cari
lettori, sono qui per una piccola premessa: come già accennato
nella presentazione della storia, tutto ciò che racconterò
in questa raccolta di scempiaggini mi è capitato davvero;
questa è la dimostrazione del fatto che la realtà è
sempre peggio di ciò che è frutto della nostra fantasia
o immaginazione!
Quindi,
vi dico: tenetevi forti, perché me ne capitano davvero di
tutti i colori, nonostante io non salga tutti i giorni sui mezzi
pubblici. Bastano un paio di volte a settimana per creare una
raccolta molto variegata e ben imbottita di scene raccapriccianti
che, siccome non posso dimenticare perché non ho la memoria di
un pesce rosso, mi trovo costretta a condividere con voi :D
Buona
lettura e grazie per aver scelto di viaggiare sulla mia compagnia di
pullman/treni/aerei totalmente gratuita XD
-
- - -
Il
(quasi) suicidio delle pantofole mascoline
Autobus
extraurbano, primo pomeriggio
Fa
freddo, ho l'impressione che alla prossima fermata salirà a
bordo del bus un pinguino in cerca di calore.
Io,
mia sorella e una nostra amica siamo sedute comodamente su alcuni
sedili poco distanti dal posto di guida. Fortunatamente sul pullman
c'è il riscaldamento al massimo.
Mentre
stiamo parlando tranquillamente di tutto e di niente, l'autobus si
ferma e le mie speranze di conoscere un pinguino si spengono quando
fa il suo ingresso sul mezzo una signora attempata che si regge a
malapena in piedi.
La
prima cosa che mi colpisce sono le sue pantofole di panno, sono
piuttosto ingombranti e di pessimo gusto, sospetto si tratti di un
modello da uomo di quelli che mia nonna usa in casa perché
dice che sono comodissimi. Peccato che quest'esemplare di donna non
si trovi in casa sua, e ai piedi porti anche un paio di deliziose
calze bianche da calciatore.
Non
riesco a capire come riesca a stare al mondo, sta di fatto che smetto
di prestarle attenzione, almeno per un po'.
Il
mezzo si rimette in movimento e noto che la donna si è seduta
sul primo posto davanti, proprio accanto all'autista. Si regge con
mano tremante al sostegno di fronte a lei e rimane immobile per
almeno metà tragitto.
Un
passeggero dietro di lei le pone una domanda sulla prossima fermata e
lei si volta nella sua direzione. Si schiarisce la gola e risponde
con voce roca e quasi incomprensibile.
«Scusi
signora, come dice? Qual è la prossima fermata?» ripete
il tipo dietro di lei.
«Non
lo so eh, chiedi all'autista...» tossisce l'anziana.
Da
quel momento in poi il tranquillo viaggio in autobus si trasforma in
un'apocalisse mai conosciuta dall'uomo: la donnina innocua con le
pantofole mascoline diventa all'improvviso uno scaricatore di porto
con sembianze di lama, e comincia a deliziare noi passeggeri con
accessi di tosse e creazione di caramelle non commestibili e
pienamente vomitevoli. Intanto, si passa una mano di fronte alla
bocca, e poi la posa sul sostegno posto dinnanzi a sé.
Devo
ricordarmi di non sedermi assolutamente in quel posto quando prenderò
il pullman per il rientro, non si sa mai che possa essere lo stesso.
Mi
viene da vomitare e la vecchietta trascorre i dieci minuti che ci
separano ancora dalla nostra meta a produrre catarro per sfamare
un'intera popolazione in fase di denutrizione.
Quando
finalmente scendo dall'autobus, mi sembra di essere sbarcata sulla
Luna: la mia felicità raggiunge livelli incontrollabili e sono
contenta di essere scampata al pericolo.
L'avventura
sembra finita, almeno così penso, ma...
Stazione
degli autobus, tardo pomeriggio
Tra
poco tornerò a casa e non vedo l'ora. Ho freddo, voglio il mio
pigiama in pile e le ciabatte intonate, con tanto di calzettoni al
ginocchio. L'inverno mi piace, sul serio, ma specialmente quando non
devo mettere il naso fuori casa, il che capita molto di rado.
Il
sole ormai sta tramontando, ma ancora tinge la stazione dei pullman
di tinte arancio e giallo acceso. Tutto idilliaco, ho perfino
dimenticato ciò che è capitato durante il viaggio di
andata, finché non la rivedo.
La
donna/lama raggiunge a tentoni la piattaforma su cui anche noi stiamo
aspettando l'autobus, così posso ammirarla in tutto il suo
splendore sotto la luce del sole: indossa le suddette calze e
pantofole, abbinate a un gonnellone nero sformato e una giacca di
lana vecchia più di lei. La brezza spazza via ogni cosa,
compreso l'orlo del suo abito, che rischia pericolosamente di
mostrarci le sue vergogne e lascia intravedere un mutandone bianco in
pizzo risalente alla Prima Guerra Mondiale.
Sembra
infastidita dal sole, così pensa bene di scendere dal
marciapiede e di dirigersi, borbottando tra sé e sé,
verso un punto ombreggiato. Peccato che stia attraversando il
piazzale in cui i bus fanno il loro ingresso e che gli autisti
utilizzano per far manovra e fermarsi alla banchina prestabilita.
«Che
cazzo sta facendo?» domanda la mia amica con profonda
confusione.
«Vorrà
suicidarsi...» suggerisco.
Poco
dopo, un controllore fuoriesce dal suo ufficio e soffia all'interno
di un fischietto, poi grida: «Signora, dove crede di andare?
Torni indietro, è vietato attraversare il piazzale! Si sbrighi
a tornare sull'apposita postazione d'attesa!».
Lei
si volta e, con estrema semplicità, senza muoversi dal
pericolosissimo punto in cui si trova, proclama: «Stavo solo
andando all'ombra, eh!».
Il
controllore, spazientito, ripete: «Torni indietro».
Lei
sbuffa e riprende a borbottare tra sé; fa appena in tempo a
risalire sul marciapiede, che il mio pullman entra sfrecciando
all'interno della stazione.
Sono
spaventata all'idea che quell'essere immondo possa salire nuovamente
a bordo del mio stesso mezzo, ma fortunatamente lei rimane a terra e
io tiro un lungo sospiro di sollievo, vedendo bene di non sedermi sul
primo sedile accanto all'autista.
-
- - -
E
rieccoci alla fine di questa prima perla (?) della raccolta
Deficienti sui mezzi pubblici!
Che
ve ne pare?
Vi
giuro che quel giorno ho rischiato di vomitare, visto che –
oltre allo schifo di questa “donna” - soffro di mal
d'auto e tutto ciò ha contribuito al mio malessere, tenendo
conto che avevo finito di pranzare da neanche un'ora... vi lascio
immaginare come stavo XD
Io
ora vi chiedo: perché le persone anziane credono di essere
padrone del mondo solo perché sono anziane e quindi hanno
vissuto più degli altri? Me lo sapete spiegare?
Ringrazio
chiunque abbia trovato la forza di aprire questa mia nuova raccolta,
e vi annuncio che gli aggiornamenti – salvo imprevisti –
saranno ogni lunedì :)
Alla
prossima e ricordatevi che i deficienti sui mezzi pubblici sono tra
noi! ♥
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Capitolo 2 *** Puffy non mangia! ***
ReggaeFamily
Puffy
non mangia!
Autobus
extraurbano, tardo pomeriggio
All'andata
tutto è stato tranquillo, per quanto tale parola si addica ai
viaggi in pullman che mi ritrovo a dover affrontare.
Ma
ovviamente le cose non possono mai andare bene del tutto,
altrimenti che senso avrebbe creare una raccolta come questa?
In
ogni caso, sono seduta in uno dei primi posti dietro l'autista, siamo
sempre in inverno e io trovo molto confortante stare dentro l'autobus
con il riscaldamento acceso. Il desiderio è sempre lo stesso,
comunque: casa, pigiama in pile, calzettoni e pantofole a stivaletto
super felpate.
Due
fermate dopo di me, sale una ragazza. È tutta impettita,
nonostante sia magra come un manico di scopa, mostra il suo
abbonamento all'autista e si siede sul primo sedile che trova, ovvero
quello alla sinistra della porta d'ingresso.
Sospira
pesantemente e sbuffa, per poi cominciare ad armeggiare con il
cellulare. Mentre il mezzo si rimette in moto, noto che la fermata si
trova proprio accanto a un pub; da come è abbigliata la tizia,
immagino lavori proprio lì.
Poco
dopo, sobbalzo quasi nel sentirla parlare da sola, poi capisco che
sta intrattenendo una conversazione telefonica e, ovviamente, sta
urlando e mettendo tutti i passeggeri a conoscenza dei fatti suoi.
Ovviamente,
chi non lo farebbe?
«Ciao
ma', sono appena uscita dal lavoro! Sono sul pullman! Come sta?»
comincia. «Oh no, davvero? Anche oggi non ha mangiato? Ma come
sarebbe a dire? Come faccio? Sono disperata!»
strilla poi.
Suppongo
sia preoccupata per suo figlio o fratello minore, però a noi
non interessa granché, forse non le è chiaro. Anzi,
senza forse.
«Ascolta...
ed è andata... di corpo?
Come sarebbe a dire no?
Oddio, allora è grave...»
Mi
sento veramente a disagio e non capisco perché certa gente non
si renda conto di quanto è ridicola e inopportuna. Siamo su un
mezzo pubblico!
«Mmh...
vediamo... tra circa venti minuti dovrei arrivare alla fermata,
quindi... devo chiamare per sapere se è ancora aperto. Sì,
mamma, l'ambulatorio, certo, cosa sennò? Non farmi
innervosire... sì, scusa, hai ragione, ma lo sai che quando si
tratta di Puffy mi viene l'ansia...»
Puffy?!
Ho
paura, ma davvero questa demente ha chiamato così suo figlio?
E per demente intendo la mia compagna di viaggio o sua madre, in caso
si parlasse di suo fratello... sono confusa e vorrei scendere subito
dal bus, questa cosa mi sta indisponendo molto.
«Adesso
telefono, tu tienimi aggiornata. Se mangia o se fa qualsiasi altra
cosa... okay? Ciao, a dopo!»
La
ragazza chiude la conversazione, sbuffa e compone un altro numero di
telefono. Il volume di voce con il quale parla aumenta sempre più,
spero che le manchi durante il tragitto.
«Ciao,
sei Titty? Oh, per fortuna! L'ambulatorio è ancora aperto?
Mmh... a che ora chiude?» esordisce con impeto la tizia,
agitandosi sul sedile.
«Oddio»
mormoro tra me e me. Sono sconvolta.
«A
che ora hai detto? Le otto? Oh, per fortuna! Sono Alessia, sì,
mi avevi riconosciuto? Sarà che non vengo mai da te»
ridacchia stupidamente Alessia, passandosi una mano tra i capelli
ricci.
Sono
contenta di appurare che la mia fermata si avvicina sempre più,
tra cinque minuti al massimo sarò libera da questo scempio.
«Sì,
be', il fatto è che la mia gatta Puffy non mangia, quindi
voglio portarla da te. Mamma mi ha detto che non ha fatto neanche i
suoi bisogni!»
Un
attimo... ho sentito bene? La sua gatta?!
Questa cretina sta facendo tutto 'sto casino per una gatta?
Io
sono la prima ad amare i gatti e ad averne in casa, ma non è
che questa sta un attimo esagerando? Sono certa che se avesse un
figlio, non le importerebbe così tanto di lui. Forse sono
cattiva e cinica, ma sta proprio dando spettacolo e informando tutti
noi poveri innocenti delle difficoltà fisiologiche del suo
animaletto domestico.
Che
poi, io questa povera gattina la compatisco, mi fa pena; se deve
avere a che fare con una pazza come questa, spero per lei che passi a
miglior vita e possa trovare al più presto la pace che merita.
«Sì,
tra poco torno in paese. Il tempo di andare a prenderla e arrivo in
ambulatorio. Grazie Titty, un bacione! Come al solito, mi
salvi la vita!»
Che
dolce, quasi mi commuovo.
Quando
arriva il momento di prenotare la fermata, la vedo: la luce bianca in
fondo al tunnel, il simbolo della mia salvezza!
Sto
per ritornare alla vita, un'aura iridescente mi avvolge e... sono
libera!
-
- - -
E
rieccomi ad aggiornare con questa mia nuova raccolta!
Ora
voglio sapere, anche stavolta, se queste cose succedono solo a me o
se è capitato anche a voi qualcosa di simile XD
Io
ero seriamente sconvolta, non riuscivo a credere alle mie orecchie:
Puffy era un animale e questa stava davvero parlando del fatto che il
suddetto non riuscisse a espletare le sue funzioni fisiologiche...
Non
commento oltre, vi dico solo che, forse, ho davvero intravisto quella
luce in fondo al tunnel, in corrispondenza della mia fermata :D
Grazie
a chiunque si fermerà a leggere e recensire! Se volete
esprimere una qualunque opinione, fatelo, non vi mangio mica ;)
Alla
prossima ♥
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Capitolo 3 *** Intern ***
ReggaeFamily
Intern
Autobus
extraurbano, primo pomeriggio di un venerdì
Stranamente,
non c'è il solito assembramento informe di ragazzini delle
superiori a riempire il pullman. Il venerdì è sempre un
delirio: tizi di prima o seconda superiore se ne stanno stravaccati
sui sedili e li occupano tutti con i loro zaini o poggiandoci sopra i
piedi. A volte è difficile trovare un posto libero, ma oggi
tutto sembra andare per il verso giusto.
Due
fermate dopo la mia, sale a bordo un signore piuttosto anziano.
Indossa una giacca di broccato neanche stesse andando a una cerimonia
importantissima. È abbastanza instabile sulle gambe, ma subito
parte a chiacchierare con l'autista mentre oblitera maldestramente il
suo biglietto.
Io
intanto parlotto con la mia amica, convinta che questo sarà un
viaggio normale. Ah, l'ingenuità dell'essere umano fa quasi
tenerezza!
Il
nonno nota che ci sono altre persone sul mezzo e, casualmente,
si piazza su un sedile accanto al nostro.
Si
può ben immaginare cosa succede ora.
«Eh,
ragazze, dove andate di bello?» attacca, allungando una mano
verso di me come se temesse che io non lo ascolti o non capisca che
si sta rivolgendo a me.
Mi
volto per farglielo capire, non voglio che mi tocchi. «A fare
un giro» dico vaga, regalandogli pure un sorriso.
«Ah,
certo, voi siete giovani, è normale...»
Mi
viene voglia di fargli notare che siamo entrambi sul pullman, quindi
anche lui ha messo il naso fuori di casa e non riesco a capire
l'attinenza tra l'età anagrafica e l'uscire dalla propria
abitazione per qualsiasi motivo.
«Eh
sì...» faccio, sperando non mi rivolga più la
parola.
«Di
dove siete?» domanda.
Ecco,
avevo sperato male. Glielo dico e la mia amica fa lo stesso, e a
questo punto lui comincia a elencare tutte le persone che conosce del
nostro paese, gente decrepita che non ho la minima idea di chi sia o
se sia ancora su questa Terra.
«Io
quando ero giovane, compravo sempre il pane al vostro paese... facevo
tutta la strada a piedi, dieci chilometri al giorno... da noi non
c'erano queste comodità, eh...»
Adesso
capisco perché nelle storie e nei libri gli anziani sono
stereotipati: sono veramente così, parlano soltanto dei vecchi
tempi, di quando c'era la guerra, di quando erano giovani e
lavoravano, e bla bla bla...
Io
vorrei morire e sono contenta che il viaggio duri poco e che stiamo
già per arrivare.
«Certo,
ci credo... prima era tutto diverso...» blatero, sbirciando lo
schermo del cellulare.
«E
poi noi giovani avevamo voglia di fare un sacco di cose! Adesso non è
più così...» continua, infervorandosi.
Perché
devono capitare tutte a me? Vorrei che qualcuno me lo spiegasse. Non
sia mai che trovo gente normale che si fa gli affari suoi, se ne sta
seduta in un sedile in silenzio e non importuna il prossimo.
Impossibile, è matematico che io debba attirare certi
disagiati.
«Sì,
è vero» interviene la mia amica con poco entusiasmo.
«Eh,
i tempi sono cambiati... adesso sono tutti sempre su intern,
quelle cose lì... ah, noi non ci pensavamo, c'era la
guerra...»
La
guerra è un'istituzione, non un avvenimento storico. Davvero
questa gente è convinta che ora la guerra non ci sia? Solo
perché non ci sono carri armati fuori dalle loro baracche in
pietra del Paleolitico e perché i loro figli non sono
obbligati a partire per il fronte...
«Già,
ha ragione...»
Sui
intern non posso dargli torno, in effetti.
Finalmente
dobbiamo scendere e per fortuna lui non scende con noi.
Una
volta sul marciapiede, mi sento confusa.
È
andata anche questa, sono sopravvissuta e non lo rivedrò più.
Autobus
extraurbano, tardo pomeriggio dello stesso venerdì
Siamo
sedute ai nostri posti, in attesa che l'autista rientri. È
ancora presto, ma noi siamo comodamente sedute e al caldo, non avrei
sopportato di stare sulla panchina della stazione degli autobus in
balia delle intemperie. Ha proprio ragione quel signore di prima: non
ci sono più i giovani di una volta, abituati alla guerra...
E
allora lo vedo: zampetta verso l'ingresso dell'autobus, si arrampica
su per i gradini e stringe in mano la busta di un negozio di
abbigliamento che ha un grande punto vendita in questo paese e ne ha
uno più piccolo anche nel mio comune.
Giacca
di broccato grigio topo, pelle raggrinzita e occhi attenti che subito
mettono a fuoco me e la mia amica.
Ho
la peculiarità di richiamare la sfiga come se recitassi una
formula magica, anche se poi non faccio proprio niente. Devo aver
sbagliato a dargli mentalmente ragione un minuto fa.
«Ah,
avete già finito?» ci apostrofa, piantandosi in piedi
proprio di fianco a me.
Mi
ritraggo istintivamente e annuisco. «Sì, e lei?»
replico, cercando di essere educata, nonostante stia vivendo un
incubo. Dio, perché?
«Eh,
sono andato a comprarmi una camicia... di questi tempi costa tutto un
occhio della testa, non si può più acquistare nulla...»
comincia a blaterare, e nel frattempo il pullman si mette in moto.
Lui, tuttavia, non accenna a volersi sedere e io mi sento sprofondare
nello sconforto.
Davvero
vuole trascorrere tutto il viaggio con la faccia a due centimetri
dalla mia?
«Immagino...»
«Di
dove siete, allora?» ripete, avvolgendo la sua mano scheletrica
alla maniglia posta sul sedile di fronte al mio.
Glielo
ripeto meccanicamente, e lui a questo punto comincia a sproloquiare
sull'agricoltura prolifica del mio paese.
«Perché
voi siete in pianura, mentre noi in montagna... è più
difficile vivere di agricoltura, ma ormai non è più
possibile... ormai all'agricoltura non ci pensa più nessuno...
i giovani non sono interessati, scappano... non hanno coraggio, eh...
ai miei tempi si lavorava la terra! Adesso no, mio nipote dice che
lavora su intern...
roba da matti!»
Ho
voglia di spingerlo via, mi sta soffocando e non capisco perché
non si siede e mi lascia in pace. Non riesce a capire dalla mia
faccia che mi sta irritando?
«Eh...
la tecnologia ormai...» fingo di dargli ragione.
Lui
non mi lascia intervenire e continua a blaterare per conto suo, io
ormai non lo ascolto più e spero vivamente di arrivare a casa
il prima possibile.
Quando
capisco che la mia fermata è ormai vicina, la sensazione è
sempre quella: luce bianca in fondo al tunnel, sollievo imminente,
rinascita dagli inferi...
«Adesso
dobbiamo scendere, ci scusi» lo interrompo bruscamente, mentre
la mia amica prenota la fermata.
«Eh
sì... statemi bene eh! Voi che siete giovani...»
«Certo,
non si preoccupi. Stia bene anche lei» borbotto, avviandomi
verso la porta d'uscita al seguito della mia accompagnatrice.
Non
appena riesco a evadere da quel luogo asfissiante, tiro un profondo
sospiro di sollievo.
Come
ho fatto a sopravvivere?
-
- - -
Carissimi
lettori!
Scusate,
scusate, scusate se non ho più aggiornato qui, mi sento tanto
in colpa ç___ç
Il
punto è che ero senza connessione fino a qualche giorno prima
di Natale, poi non ho più scritto questa raccolta perché
per i comici bisogna essere predisposti... non voglio giustificarmi,
ma è andata così.
Spero
di riuscire a essere più regolare da ora in poi ^^
Be',
che ve ne pare? Anche quel giorno me la sono vista brutta (?)
Sapete
rispondere a una domanda? Perché capitano tutte a me? O
qualcuno di voi ha vissuto un'esperienza analoga?
Fatemelo
sapere nelle recensioni, sono curiosissima di scoprire se sono
sfigata io o se sono cose comuni :D
Grazie
a tutti coloro che saranno ancora qui tra le recensioni, e
perdonatemi ancora per la lunga assenza!
Alla
prossima ♥
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Capitolo 4 *** Tutta colpa dell'autista! ***
ReggaeFamily
Tutta
colpa dell'autista!
Autobus
extraurbano, primo pomeriggio di un altro venerdì qualunque
Oggi
il bus trabocca di ragazzini in preda agli ormoni che hanno al
massimo sedici anni.
Io,
mia sorella e una nostra amica siamo miracolosamente riuscite a
trovare qualche posto a sedere, ma siamo state costrette a stare a
distanza l'una dall'altra a causa dei marmocchi qui presenti che
hanno occupato tutti i sedili con zaini e piedi. Il solito schifo,
ecco perché la compagnia dei trasporti si ostina a utilizzare
degli autobus vecchissimi e sgangherati, questi sono dei vandali e
sarebbe un vero peccato lasciare i mezzi più nuovi nelle loro
grinfie.
Arrivati
a una fermata nei pressi della stazione ferroviaria, l'autista frena
e, inspiegabilmente, lascia il suo posto e si catapulta giù
dagli scalini.
Non
era mai capitato niente di simile in questa particolare fermata, in
genere certi episodi si verificano alla stazione degli autobus
situata nel paese in cui mi reco di solito.
Mi
guardo attorno e noto che gli adolescenti si stanno innervosendo.
Stavano facendo casino anche prima, ma ora le cose stanno
gradualmente peggiorando.
«Dove
cazzo è andato?!» sbotta un tipo dalla voce piuttosto
sottile e l'abbigliamento da vero rapper americano.
«Ma
è rincoglionito? Che cazzo di problemi ha?» gli fa eco
una ragazzina super truccata con i capelli tinti di biondo platino e
schifosamente lisci e appiccicati in testa.
La
sua vicina di sedile si mette in piedi e sbircia oltre il finestrino
sporco. «Michia, io devo tornare a casa!»
Qualcuno
lancia una bestemmia a sproposito, seguito poi da tanti altri. La
maggior parte della marmaglia informe ha ancora i denti da latte, ma
sfoggia un atteggiamento colmo di superiorità nei confronti
del resto del mondo e una sfrontatezza tipica di chi non sa niente di
come si vive in mezzo agli altri.
Io
mi sento confusa. Perché stanno facendo tutto questo casino?
Magari l'autista aveva bisogno di andare in bagno, che ne so! È
un essere umano, non un robot!
«Adesso
scendo e lo prendo a calci in culo! Ma torna o no questo stronzo?
Cazzone di merda!» strilla la ragazzina bionda, per poi
uscirsene con tutta una serie di bestemmie irripetibili e che,
inoltre, non avevo mai sentito prima d'ora. Che scempio, io vorrei
veramente poter scendere di lì e tornarmene a casa, ma ormai
mi tocca sopportare anche questa.
«Ho
fame, cazzo! Ma questo cosa sta facendo? Siamo qui da un'ora!»
sbraita un altro ragazzino che porta un cappellino da baseball con la
visiera rivolta all'indietro.
«Secondo
me si sta facendo una sega» sghignazza una ragazzina, per poi
scoppiare a ridere sguaiatamente.
«Che
schifo, ma smettila! Così gli vomito in faccia, se scopro
che...»
Questo
è troppo. Voglio cancellare questo momento dalla mia memoria,
voglio dimenticarmi di ogni
cosa e fare finta che il mondo sia un luogo bellissimo dove i
Millennials non stanno
mandando tutto a rotoli.
«Oh,
lo stronzo sta tornando! Era ora, 'sti cazzi!» bofonchia
qualcun altro.
L'autista
sale nuovamente a bordo, ma nessuno di questi dementi ha il coraggio
– neanche a dirlo – di lamentarsi o di insultarlo come
stavano facendo fino a poco fa. Sono allibita.
È
davvero così problematica la situazione? Sul serio devo
condividere il mio spazio vitale con decerebrati di questo calibro?
Voglio
morire, giuro.
Ahimè,
devo condividere il resto del viaggio con questi esseri
insignificanti, pregando che il tempo si consumi con una sigaretta
già fumata per metà.
Autobus
extraurbano, tardo pomeriggio dello stesso venerdì
Sono
nauseata, questo autista guida con i piedi. È lo stesso che
all'andata mi ha lasciato in balia di quei mostri degeneri, quindi
avrebbe come minimo dovuto rendermi un favore.
Siamo
quasi arrivati alla mia fermata e tutto questo mi rincuora, perché
oggi è stata dura.
A un
tratto, sempre nei pressi della stazione ferroviaria, il pullman si
ferma. Sale a bordo una signora piuttosto grassa che si arrampica
maldestramente su per i gradini e si aggrappa come un koala alla
macchinetta obliteratrice.
Vorrei
sapere perché questa gente esce da sola e rischia la vita ogni
giorno in questo modo. Possibile che queste persone non abbiano dei
parenti o qualcuno che si prendano cura di loro?
A
quel punto si siede sul primo sedile libero, ma ovviamente non si
accomoda come dovrebbe, ma si sistema di lato con le gambe penzoloni
sul corridoio.
Ha
il fiatone e fruga freneticamente nella sua grossa borsa. Non appena
il mezzo accenna a muoversi, la sento lamentarsi: «Oh, no,
cado...».
Oddio,
ma non poteva mettersi bene anziché rischiare di ruzzolare giù
come una palla da bowling? Non voglio avere vittime sulla coscienza,
se si fa male io non voglio saperne niente.
Con
il fiato corto, comincia a balbettare: «Scusa, scusate... mi
potete... obliterare...».
Mi
chiedo se si stia rivolgendo a me, ma la mia amica – seduta sul
sedile dietro al mio – mi anticipa e fa il favore alla piattola
di obliterare il suo dannato biglietto.
Perché
questa gente non tiene in mano il titolo di viaggio prima di salire a
bordo e lo oblitera prima
di mettersi a sedere, anziché rompere le scatole agli altri
passeggeri? È così difficile da capire?
Quest'essere
immondo continua a borbottare tra sé e sé finché
io, finalmente, non lascio quel dannato autobus e mi riverso con un
sospiro sul marciapiede.
Questi
viaggi sono tremendamente estenuanti e io non li reggo più.
«Ma
quella balena non poteva obliterare prima di sedersi?» commento
acida.
«No,
altrimenti come potrebbe rompere le palle agli altri?» osserva
con ironia la mia amica.
«Ma
vogliamo parlare dei ragazzini all'andata?» interviene mia
sorella in tono confuso.
Siamo
tutte e tre sconvolte, ma ehi, siamo sopravvissute anche stavolta!
Vinceremo
un premio prima o poi?
-
- - -
Cari
lettori, come va?
Stavolta
vi ho raccontato ben due avventure disastrose sui mezzi pubblici...
il punto è che spesso le cose capitano nello stesso giorno, il
che è inquietante ma terribilmente reale, ahimè :/
Quei
ragazzini mi hanno spaventato, vi giuro... secondo me si tratta di
maleducazione bella e buona!
Non
che quella della piattola che ho incontrato al ritorno non fosse
maleducazione... odio la gente che non si organizza per tempo e perde
tempo a importunare il prossimo in quel modo!
È
davvero così difficile comportarsi civilmente e educatamente
con chi ci sta intorno? E poi quelle signore impertinenti sono le
prime a dare dei maleducati a noi giovani, per motivi molto meno
gravi... mah -.-”
Comunque,
lascio a voi ulteriori commenti e racconti di esperienze simili alla
mia, anche se spero non vi sia capitato niente di così
raccapricciante :D
Alla
prossima e grazie per tutto il supporto che mi state dando anche in
questo folle esperimento ♥
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Capitolo 5 *** Anna dai capelli rossi ***
ReggaeFamily
Anna
dai capelli rossi
Autobus
extraurbano, tardo pomeriggio
Sono
seduta nella terza fila di sedili, sulla destra rispetto all'autista,
accanto a me c'è mia sorella.
Poco
prima di salire, ho notato una signora sulla settantina che attaccava
bottone con un uomo sulla cinquantina. I due sembravano conoscersi.
Il
problema è che sono saliti sul nostro stesso pullman e non ho
capito perché, se stanno chiacchierando, non si sono seduti
uno accanto all'altra.
La
donna si è sistemata due sedili avanti a noi, mentre il tizio
nella fila accanto ma alcuni sedili più indietro. E no, gli
altri posti non sono occupati.
«Eh...
io vado sempre a trovare mio padre nella struttura, prendo il pullman
e vado... però a volte non passa!» racconta la donna con
voce roca e impastata.
Mi
verrebbe voglia di suggerirle che forse potrebbe schiarirsi la gola,
detesto la gente che sembra avere un foglio di carta vetrata al posto
delle corde vocali. Mi irrita tantissimo, non posso proprio farci
niente.
Il
tizio, con voce calma e pacata, si sporge verso di lei e le domanda:
«Ah, ma suo padre non era morto?».
A
quel punto sia per me che per mia sorella diventa impossibile non
ridere, ma cerchiamo di trattenerci e di trovare qualcosa da dire che
possa giustificare eventuali risolini incontrollabili.
Mi
chiedo come si possa essere così indelicati. Ma come fa certa
gente a stare al mondo? Sono basita.
«No,
no! Mio padre è vivo, eh... mamma è morta, ma babbo
no!» risponde tranquillamente la signora, senza minimamente
rimanere turbata dalle parole del suo interlocutore.
Il
che mi spaventa ancora di più, perché allora mi rendo
conto che questa qui dev'essere insensibile o qualcosa del genere.
Ci
sono delle volte in cui mi domando se certa gente provi dei
sentimenti. Mi spiego meglio: ci sono situazioni come queste in cui
certe persone mi danno l'impressione di non sapere neanche cosa sia
un'emozione o una reazione umana.
«Certo,
certo... io ero convinto che era morto.»
I
congiuntivi non esistono, chi li ha inventati è proprio un
idiota. Non è più semplice usare l'imperfetto in ogni
occasione? È molto meno complicato. Chi ce lo fa fare? Mah!
«E
tu? Ce li hai mamma e papà?» lo apostrofa la donna.
Ecco,
a questo punto è davvero difficile trattenersi. Fingo di
indicare a mia sorella qualcosa fuori dal finestrino, così
scoppiamo a ridere commentando qualcosa di fittizio che abbiamo
adocchiato in strada.
«La
forma di quel cespuglio è buffa» sibilo.
Ridiamo
senza ritegno per qualche istante.
Che
domande sono? Mi viene in mente la sigla di Anna dai
capelli rossi che, poverina, non
ha una mamma né un papà.
Ho
voglia di sbattere la testa contro lo schienale del sedile di fronte
al mio. Ma perché? Perché?!
«No,
ho solo mamma» bofonchia il tizio.
La
signora non lo sente e grida: «Eh?».
«Ho
solo mamma!» ripete lui, alzando un po' il tono di voce.
«Ah,
e come sta mamma?» vuole sapere lei.
Alzo
gli occhi al cielo. Questa non si fa mai gli affari suoi?
«Insomma...
le ginocchia ormai non ci sono più» racconto in tono
piatto.
MI
irrigidisco sul sedile. L'immagine che mi si forma in mente è
quella di una donna di una certa età senza ginocchia, ovvero
con uno stacco tra la coscia e la gamba; è inquietante perché
avrebbe delle gambe sospese in mezzo al niente che hanno vita
propria.
Lo
mormoro a mia sorella e insieme ridiamo.
A
volte le persone hanno un modo di esprimersi che è veramente
allucinante, mi fa venire in mente immagini raccapriccianti e
inquietanti che vorrei dimenticare subito dopo, ma che poi finiscono
per rimanermi impresse per giorni e non posso fare a meno di riderne
anche nei momenti meno opportuni.
Tutta
colpa della variegata umanità che mi circonda e con cui devo
avere a che fare.
«Eh
certo, ci credo...» commenta la donna, fingendosi dispiaciuta.
La
cosa grave è che, a parte tutto, stanno urlando da un capo
all'altro del pullman e io ancora mi chiedo perché non si
siano seduti vicini. Certo che sono complicati, eh!
«Quanti
anni ha mamma?» indaga ancora la settantenne, sollevando ancora
la voce.
«Ottantadue»
risponde piano il suo interlocutore.
«Quanti?
Settantadue?» strilla lei.
«No,
ottantadue!» ripete lui.
Immagino
che volesse tenere per sé certe informazioni, ma ovviamente
questa qui è sorda e i due sono troppo lontani per poter
intrattenere una conversazione intima.
«Allora
è normale, dai!»
Continuano
a scambiare qualche battuta, ma io smetto di ascoltarli e mi preparo
per scendere, visto che ormai sono quasi arrivata a destinazione.
Anche
oggi il viaggio è stato sfiancante.
La
mia teoria secondo la quale sono vittima di una maledizione durante i
tragitti in autobus si fa sempre più reale e credibile.
Altrimenti non mi spiego perché devo beccare sempre questi
elementi colmi di disagio e di problemi mentali grossi e non
diagnosticati.
Quando
finalmente scendiamo dal mezzo, io e mia sorella siamo contente di
esserci lasciate alle spalle quell'ennesimo scempio.
«Ce
li hai mamma e papà?!» fa lei, scoppiando ancora a
ridere.
«Le
ginocchia non ci sono più, capito?» commento, nella
mente ancora chiara l'immagine di questo corpo staccato dalle gambe.
Scuoto
il capo e mi avvio verso casa. Finalmente potrò mettermi in
pigiama e non pensarci più.
Prima
o poi tutto questo mi farà diventare pazza, me lo sento.
-
- - -
Cari
lettori, ce l'ho fatta ad aggiornare nuovamente questa raccolta!
Scusatemi
davvero per l'incostanza, ma spero di avervi fatto sorridere e che
questo abbia ripagato in qualche modo il mio mostruoso ritardo negli
aggiornamenti ^^
Che
ve ne pare? Io ero sconvolta. Voi direte: non dovresti più
sorprenderti per nulla, ormai ci sei abituata.
In
effetti vorrei tanto che fosse così, ma chissà perché
queste cose riescono sempre e comunque a farmi rimanere senza parole.
Secondo
me questa gente non ce la può fare, credetemi. Non voglio
diventare così: se dovesse succedere, vi autorizzo a prendermi
a mazzate XD
Bene,
fesserie a parte, a voi è mai capitato? Sono sempre curiosa di
sapere i vostri aneddoti, giusto per sentirmi meno aliena :D
Okay,
vi ringrazio tanto per essere ancora qui – se avete avuto la
pazienza di aspettarmi – e per i commenti e il supporto che
sempre mi regalate :3
Alla
prossima ♥
|
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Capitolo 6 *** Che tristezza... ***
ReggaeFamily
Che
tristezza...
Autobus
extraurbano, primo pomeriggio
Si
sa, le notizie si spargono in fretta nei piccoli centri abitati,
specialmente quando finiscono sui giornali locali e le gazzette di
quart'ordine che vengono distribuite gratuitamente nelle case di
tutti i cittadini.
La
gente diventa patriottica quando nota il nome del suo paese su una
qualsiasi testata giornalistica, si inorgoglisce tutta e non fa che
parlare del grande evento per giorni e giorni. Anche nel caso in cui
abbia avuto luogo una tragedia.
Dico
questo perché in questi giorni è capitato qualcosa del
genere nel mio paese; e dove possono svolgersi le chiacchiere più
squallide del mondo? Sull'autobus, è ovvio.
Sono
seduta sul terzo sedile dietro a quello dell'autista, accanto a me
c'è mia sorella, dietro di noi una nostra amica. Siamo salite
da poco e siamo abbastanza tranquille. La verità è che
la maggior parte dei nostri viaggi sui mezzi pubblici cominciano
sempre così: relax, silenzio quasi totale, tutto va bene.
Finché...
Due
fermate dopo di noi, sale a bordo una donnina un po' anziana e
barcollante, e inevitabilmente viene a sedersi proprio di fronte a
noi. Spero seriamente che non attacchi bottone, non ne ho voglia.
Ma
ovviamente le mie speranze si rivelano vane, come c'era da
aspettarsi.
«Ma
voi lo conoscevate quel ragazzo che è morto?» ci
apostrofa subito la signora, voltandosi verso di noi e fissandoci con
sguardo rapace.
Mi
trattengo per non sbuffare, lo sapevo che sarebbe successo tutto
questo, avrei dovuto capirlo fin dall'inizio. La mia intramontabile
quanto dubbia fiducia negli esseri umani è in grado di
sorprendermi ogni volta.
Mia
sorella biascica: «No».
La
donna rincara la dose: «Ah, no? E non aveva la vostra età?
Era del vostro stesso paese, com'è che non lo conoscevate?».
Ho
veramente voglia di sbatterle la testa contro il finestrino, giuro. E
ancora una volta mi chiedo perché. Perché questa
gente disagiata deve sempre attaccare bottone con me? Secondo me la
attiro, c'è qualcosa di afrodisiaco in me, ma non ne sono
consapevole e non ho nemmeno idea di cosa si tratti.
«Non
so cosa dirle...» ribatto, facendo spallucce e sperando che la
smetta. Non perdo neanche tempo a farle notare che noi tre non siamo
tutte coetanee, tanto è inutile.
«Ma
era da solo? O c'era qualcuno con lui?» prosegue la piattola,
tutta presa e infervorata da questo triste accadimento.
Non
voglio ascoltare, sarebbe bello avere dei tappi per le orecchie
sempre a disposizione. Non ho neanche le cuffie con me, per fingere
di ascoltare musica e lasciare che blateri per conto suo.
«Pensate
voi... che brutta cosa... ormai questi ragazzi sono sempre depressi e
si uccidono per colpa dei telefonini...»
Oddio,
non ce la posso fare. Manca ancora troppo prima di arrivare a
destinazione. Questi abbondanti dieci minuti di viaggio sono sempre
troppo lunghi per i miei gusti, specialmente quando ho a che fare con
certi esemplari. Il che, come ben potete capire, mi capita fin troppo
spesso. Non so come posso essere ancora viva.
«Chissà
qual è il vero motivo» commenta la mia amica.
Ecco,
appunto. Come può questa cretina avere la presunzione di
sapere quale sia stato il motivo che ha spinto un giovane liceale a
togliersi la vita? Poco fa ha espresso addirittura un dubbio su ciò
che sia successo, e ora si atteggia a giudice morale. Questa è
scellerata, completamente pazza.
«No,
no! Io so che era sempre attaccato al cellulare e al computer...
quelle cose sono pericolose!» afferma con estrema sicurezza
l'anziana, agitandosi sul sedile. «Aveva sedici anni, dai!»
aggiunge.
«Io
so che ne aveva diciotto» si lascia sfuggire mia sorella,
aggrottando la fronte con fare contrariato.
«No,
sedici!» la contraddice la signora.
Io
neanche apro bocca, perché tanto ho capito che qui le cose
sono veramente gravi.
La
piaga continua a blaterare cose che solo lei capisce e io la ignoro
finché finalmente non arriviamo a destinazione. Sono libera,
spero veramente che le cose vadano meglio d'ora in avanti.
È
veramente vomitevole il fatto che è un fatto tanto triste e
doloroso diventi soltanto un pettegolezzo da dare in pasto a una
manica di idioti senza cervello.
Autobus
extraurbano, tardo pomeriggio
Il
pullman ospita diversi passeggeri stavolta. In genere è quasi
completamente vuoto. Ci sono varie persone di diverse età,
sparse sui sedili intorno a me.
Dopo
due fermate sale una ragazza sui trentacinque anni che si accomoda
sul primo sedile accanto all'autista e comincia subito a parlare con
il guidatore come se lo conoscesse. Probabilmente si incontrano
spesso sui mezzi o abitano nello stesso paese.
Non
ci faccio troppo caso, anche perché inizialmente si limitano a
scambiarsi convenevoli e a chiacchierare del più e del meno.
Tutto
sembra andare bene, anche se la tizia in questione parla a un volume
di voce un po' troppo alto per i miei gusti.
Finché,
a un certo punto, la sento gridare: «Hai sentito di quel
ragazzo che si è buttato sotto il treno? Oddio, che brutta
storia!».
Oh
no, di nuovo? Io pensavo di essermela scampata! Francamente mi è
bastato avere a che fare con quell'altra ignorante che ho incontrato
durante il viaggio d'andata.
«Sì,
ho sentito. Ma di dov'era?» chiede l'autista, rivelandosi più
pettegolo di lei.
Lei
allora comincia a sproloquiare nomi di paesi del circondario, ma
ovviamente subito mi rendo conto che le sue informazioni sono
sbagliate, quindi ancora una volta frutto di pettegolezzi infondati.
Sbuffo
e do di gomito a mia sorella, la quale alza gli occhi al cielo e
sospira.
«Ah,
e quanti anni aveva?» continua l'uomo, mostrandosi
interessatissimo alla cosa.
«Diciannove,
aveva anche finito il liceo!» afferma la tizia, continuando a
gridare. Ho paura che sul pullman ci sia qualcuno che conosceva il
giovane in questione. Non so se sperarci o meno: se da un lato vorrei
ci fosse un conoscente del ragazzino in modo che insulti chiunque
stia spargendo infamie sulla sua dipartita, dall'altro spero che
nessuno dei presenti gli fosse tanto vicino; potrebbe rimanerci molto
male e soffrire per colpa di due dementi che gridano e sparlano sulle
disgrazie altrui.
Ma
che problemi hanno? Non hanno un minimo di delicatezza, di tatto, di
buon senso. E dovrebbero essere adulti. Mi fanno schifo.
«Si
è buttato sotto il treno, ma secondo me qualcuno l'ha spinto.
So che giocava a un gioco online, capito? Che tristezza, era così
giovane...»
«Io
sapevo che ne aveva diciassette, di anni» replica il guidatore.
«No,
diciannove. Poveretto. Quei giochi sono pericolosi, mi hanno detto
che era in contatto con gente strana e che l'hanno spinto in mezzo ai
binari, doveva farlo come punizione per qualcosa che non è
riuscito a fare nel videogioco... non ho capito bene, ma ti rendi
conto?»
Che
abbia problemi di comprendonio non lo metto in dubbio, ma a questo
punto mi sembra che stiano davvero esagerando. È un incubo
stare qui a sentire certe stronzate.
Ma
che ne sanno loro?
«Certo,
certo... di questi tempi le cose vanno sempre peggio...»
E i
due si lanciano in una serie di frasi fatte e luoghi comuni sui
giovani e la tecnologia, ma logicamente sono i primi a non potersi
separare neanche un attimo dagli smartphone che non sanno neanche
usare.
Quando
finalmente scendo dal mezzo, mi sento veramente destabilizzata e
faccio di tutto per scacciare quei brutti ricordi dalla mia mente.
Non
voglio credere che esista gente tanto cattiva e indelicata.
«Avrei
voluto vedere se fosse successo a qualcuno dei loro parenti. Stronzi»
bofonchia mia sorella.
«Glielo
auguro» sibilo.
Ed è
vero. Certa gente si merita il peggio, tanto finché non prova
certe cose sulla propria pelle, non capisce quanto sia orribile il
proprio comportamento.
Ah
no, questi esseri immondi non capirebbero in ogni caso, in quanto
completamente privi di cervello.
-
- - -
Carissimi
lettori!
So
che questa è una raccolta che generalmente tende a essere sul
genere comico e più leggero, ma la vita a volte ci mette di
fronte anche a situazioni come questa. Mi è successo davvero e
proprio sui mezzi pubblici, quindi l'ho inserito. Voglio che vi
rendiate conto di cosa devo subire quando salgo su quei maledetti
trabiccoli! -.-
Ma
ora voi ditemi: vi sembra normale che la gente si comporti così?
Poi mica stavano parlando di fatti di cronaca accaduti chissà
dove, no; si sono messi a spettegolare su qualcosa che poteva
riguardare anche qualcuno dei passeggeri presenti sull'autobus. Ci
sarebbe potuto essere un famigliare del ragazzo, un suo caro amico,
qualcuno che lo conosceva bene e sapeva cos'è effettivamente
successo.
Ma,
come già detto, chi è privo di cervello non si cura di
certe sottigliezze, figuriamoci...
Come
sempre attendo i vostri commenti e le vostre esperienze, se avete
qualcosa di simile da raccontarmi ^^
Grazie
a tutti per il sostegno e per il supporto che mi date ogni volta,
anche quando aggiorno con mostruoso ritardo! *-*
Alla
prossima ♥
|
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Capitolo 7 *** Tutti in traghetto! ***
ReggaeFamily
Tutti
in traghetto!
Autobus
extraurbano, tardo pomeriggio
Oggi
all'andata tutto è stato tranquillo, quindi so già che
probabilmente non sarà lo stesso al ritorno.
Io e
mia sorella siamo sedute sul primo sedile accanto all'autista, la
nostra amica si è piazzata dietro di noi. Quando stiamo per
lasciare la stazione dei pullman, sale a bordo una tizia che si siede
proprio dietro il guidatore.
Il
mezzo si mette in moto e io cerco di rilassarmi, chiacchierando
sommessamente con mia sorella.
Poco
dopo, però, veniamo inevitabilmente
interrotte dalla quarantenne al nostro fianco. Questa, infatti,
comincia a parlare al telefono, mettendoci al corrente degli affari
suoi.
Ti
pareva...
«Sì,
sì, certo... ascolta, stavo pensando...»
Già
nell'udire stavo pensando
mi sorge qualche dubbio, così do di gomito a mia sorella e lei
soffoca un sospiro.
«Praticamente
stavo guardando i costi del traghetto... se parto alle dieci riesco
benissimo ad arrivare in ufficio nel pomeriggio, però costa di
più... ti rendi conto? Cinquanta euro in più, invece se
parto alle otto mi fanno uno sconto... solo che però devo
prendere il treno per arrivare al porto, e se
parto con il traghetto delle otto è troppo presto e non ce la
faccio...»
Sto
seriamente cominciando a non capirci niente. Non che la cosa mi
interessi più di tanto, ma visto che quest'esaltata sta
sproloquiando ad alta voce e vuole evidentemente metterci a parte dei
dettagli del suo viaggio, tanto vale cercare di decifrare qualcosa.
Magari le posso pure dare un consiglio.
«...
no, poi ho visto anche che se prendo il traghetto alle sei di sera,
mi fanno un ulteriore sconto... però non riesco ad arrivare in
ufficio, arriverei lì alle nove e mezza... ascolta, e se
faccio così? Possiamo andare a mangiarci una pizza appena
arrivo, tanto troveremo qualche posto aperto...»
Mia
sorella è diventata una mummia. Ha la faccia imbalsamata,
visto che sta tentando in tutti i modi di trattenere sospiri e
risate.
Mi
volto nella sua direzione e sussurro: «Interessante».
«Eh,
sapessi...»
«No,
ascolta... sono indecisa! Forse parto di mattina, però alle
dieci non mi conviene... ah per tornare a casa dici? Eh, allora...
arrivo lunedì e poi però mercoledì devo
ripartire, perché se parto venerdì è troppo
tardi perché devo sostituire Mario e non rientro con i
tempi...»
Oddio,
voglio morire. Mi chiedo come possa l'autista stare concentrato sulla
guida con questa pazza che gli grida in testa.
«Sì,
ascolta, parto alle dieci o alle sei? Secondo me
alle sei mi conviene perché spendo di meno, però se
parto alle dieci posso essere in ufficio nel pomeriggio... capito
qual è il problema?»
Vorrei
dirle che sì, lo abbiamo capito tutti qual è il
problema, visto che da cinque minuti non fa che ripetere sempre le
stesse cose. Ma poi, perché sta parlando in pullman dei fatti
suoi? Sono queste le cose che non capisco e non capirò mai.
«Okay,
e ascolta... allora andiamo a mangiare una pizza? Tanto troviamo
qualcosa aperto, dai... una cosa veloce, eh... una pizzetta al volo,
mica voglio cose complicate!» Ride e comincia a frugare in
borsa.
Siamo
solo a metà del viaggio e io vorrei avere a disposizione
un'arma per porre fine a questa tortura. Sarò tragica, ma
certi elementi mi distruggono psicologicamente. Sarà un
problema mio? Sono io che non riesco a vivere in mezzo agli altri?
Le
cose si aggravano quando la scellerata scarta una caramella e se la
mette in bocca.
Nell'ambiente
subito si diffonde un odore nauseabondo che assomiglia a un misto tra
puzza di piedi sporchi e frutta marcia. È un qualcosa di
vomitevole, dolciastro e insopportabile.
Il
mio stomaco si ribella e comincia a ribollire per la nausea.
Generalmente soffro di mal d'auto, ma mi capita solo in strade con
molte curve o se il guidatore è piuttosto spericolato.
Tenendo
conto che stiamo percorrendo un rettilineo, la mia nausea può
essere associata soltanto al
puzzo pestilenziale che proviene da questa orribile creatura che
staziona sulla fila di sedili accanto alla mia.
Mia
sorella tossisce e guarda fuori dal finestrino per evitare di
mostrare apertamente un'espressione nauseata.
La
tipa continua a succhiare beata la sua caramella e prosegue a
programmare il suo viaggio, ripetendo sempre le stesse due frasi in
loop per tutta la durata del tragitto.
Sono
quasi tentata di scaraventarmi fuori dal pullman alla prima fermata,
ma devo aspettare alla terza che è quella più vicina a
casa mia.
Una
volta giunta a destinazione, balzo giù dal pullman e tiro un
profondo sospiro di sollievo.
«Oddio,
ma che cazzo stava mangiando?» sbotta la mia amica in tono
contrariato.
«Forse
era un calzino sporco» brontola mia sorella.
«Io
voglio morire!» concludo in preda all'esasperazione.
Non
riesco a credere che anche stavolta sono riuscita a sopravvivere.
-
- - -
Ragazzi
miei!
Scusate
per il ritardo, ma tra partecipazioni a contest vari e altri
imprevisti, non sono riuscita a scrivere qualcosa per questa
raccolta!
So
che i capitoli sono molto brevi, ma vedete, un comico – per
quanto poi rispecchi nient'altro che la realtà dei fatti che
mi accadono – per me è sempre molto impegnativo da
scrivere.
Per
certe mie long o per One Shot a caso, a volte scrivo capitoli di 3000
parole come se niente fosse; ma se devo dedicarmi a un comico, be',
tutto cambia.
Ma
basta sproloquiare, sennò faccio la stessa fine di questa
“simpatica” quarantenne che organizzava il suo viaggetto
in traghetto sul pullman in cui c'ero IO! ^^”
A
voi è mai capitato? E la storia della caramella poi... che
orrore! Ripensandoci, doveva essere una di quelle all'anice o
qualcosa del genere, ma era talmente puzzolente che aveva proprio il
sentore che ho descritto nel capitolo... e vi assicuro che non è
stato PER NIENTE piacevole!
Vi
ringrazio per essere ancora qui e per il tempo che dedicate anche
solo a leggere 'sta roba :D
Alla
prossima ♥
|
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Capitolo 8 *** La Peste ***
ReggaeFamily
La
Peste
Volo
Ryanair, metà mattina
Le
disgrazie non capitano solo in pullman, ahimè. Viaggio
relativamente poco in aereo, ma ovviamente non può andare
tutto liscio durante quelle rare volte in cui ciò accade.
C'è
da dire che detesto il fatto di dovermi sedere lontano dalle persone
con cui viaggio, visto che quando si prenotano i voli online è
impossibile scegliere dove sistemarsi, a meno che non si aggiunga un
tot a testa per avere questo comfort.
Stavolta
sono capitata in un sedile centrale, in mezzo ad altre due signore.
Quella seduta alla mia destra, dalla parte del finestrino, sembra
piuttosto tranquilla, l'altra già mi indispone non appena si
siede.
Si
volta subito nella mia direzione e si rivolge all'altra, così
capisco che queste due si conoscono. Peccato che non appena apre
bocca, mi rendo anche conto che soffre di una brutta alitosi.
Vorrei
alzarmi e andarmene, mi viene da vomitare, soprattutto perché
le due cominciano a chiacchierare tranquillamente come se io non ci
fossi.
«Allora,
anche tu qui? Come stai?» fa quella alla mia sinistra.
«Eh
dai, bene... volevo fare un viaggetto e ne ho approfittato adesso, e
tu?» risponde la tizia alla mia destra.
«Oh,
bene, io sono andata a trovare mio figlio!»
Come
cavolo può essersi accoppiata e riprodotta? Il suo alito puzza
come uno scarpone da lavoro in piena estate, e tutto il suo essere
emana un odore strano, come se i suoi abiti – e anche il suo
corpo – fossero rimasti rinchiusi in una bara per
centocinquanta anni di fila.
«Hai
un figlio che vive a Bologna?»
«Sì,
Marco. Vive lì con la sua compagna, poi sai, volevo vedere mio
nipotino!» cinguetta la pestilenziale sessantenne.
«Hai
fatto bene! E a scuola come va? Stai ancora insegnando lì?»
domanda l'altra, intenta però a frugare il suo cellulare.
L'aereo
è ancora fermo, così decido che devo fare qualcosa. Mi
schiarisco la gola e chiedo alle due: «Se volete, possiamo fare
scambio di posto».
Quella
alla mia destra dice: «No, grazie, mi piace stare vicino al
finestrino».
La
Peste aggiunge: «No, no! Ho bisogno di aria!».
Mi
trattengo per non sospirare, anche se vorrei tanto farle notare che
anche io ho bisogno di
aria, non dico pulita, ma almeno respirabile.
Mi
appiattisco contro il sedile mentre le due continuano a cianciare
belle e tranquille.
«Allora?
Insegni ancora lì?»
«Sì,
sì! Eh, la pensione per me è ancora lontana... e tu?»
«Io
sì, sono in pensione da un anno. Sono rinata, non puoi
capire... vado più spesso a trovare mio figlio, ho più
tempo per me... e Anna? Come sta? È da molto che non la vedo!»
Quella
alla mia destra sospira. «Eh, Anna... ha avuto un tumore.»
L'altra
inorridisce. «Un tumore? Ma non è morta, vero?»
Ecco,
questo sì che si chiama tatto. Ragazzi, imparate da questa
donna come si sta al
mondo!
Che
poi, a me dispiace per questa Anna, però... obiettivamente...
a me...
«No,
no... pian piano si sta riprendendo. Ora sta meglio, infatti deve
venire a prendermi. Magari la saluti.»
Sì,
così se non è morta per il tumore, crepa per l'alitosi
di questa mummia egizia!
A
volte sono cinica, ma questa gente lo è molto più di
me. Come si può parlare con tanta leggerezza – e di
fronte a un'estranea – di certi argomenti? Se io fossi questa
Anna e sapessi che queste due dementi stanno sbandierando le sue
disgrazie ai quattro venti, come minimo le denuncerei per
diffamazione!
«Certo!
Certo!» accetta La Peste, annuendo come un'esaltata per dare
enfasi alle sue parole.
Quando
l'aereo finalmente si prepara per il decollo, le due smettono di
parlare. Forse La Peste ha bisogno di respirare a fondo – non
troppo a fondo, per l'amor del cielo – in vista del decollo,
anche se non capisco come un essere del genere
possa provare emozioni come l'ansia o la paura, ma tant'è.
Quella
alla mia destra, dopo aver impostato il suo smartphone in modalità
aerea, comincia a scattare foto durante tutto il decollo. Ora capisco
perché le piace stare vicino al finestrino.
Che
poi non si vede niente, che senso ha fare delle foto al nulla? Non
c'è nemmeno il sole, il vetro è lurido e io dubito
fortemente che riuscirà a fare uno scatto degno di nota.
E
continua così per tutto il viaggio, mentre La Peste porta
fuori un libro e comincia a leggere. La sua alitosi mi raggiunge
comunque, anche perché ogni tanto si volta per dire qualcosa
alla sua conoscente.
È
veramente difficile resistere. La nausea bussa prepotentemente alla
bocca del mio stomaco e io devo concentrarmi tantissimo per non
lasciarmi sopraffare da essa. È un incubo, non riesco a
credere che stia succedendo davvero.
Il
viaggio è breve, ma a me sembra passata un'eternità
quando infine ci viene annunciato che l'aereo sta per atterrare e che
dobbiamo allacciare le cinture di sicurezza.
Ovviamente
per tutto il tempo i passeggeri sono stati importunati da un'hostess
che voleva venderci di tutto: da biglietti della lotteria a profumi,
da orologi a golosi snack e bibite; non sto neanche a soffermarmi
tanto su questo aspetto, tanto sappiamo tutti come funziona sui voli
Ryanair. Lo sa anche chi non ne ha mai preso uno.
La
demente alla mia destra continua a scattare foto con il cellulare
anche mentre stiamo atterrando, mentre l'altra sembra piuttosto in
ansia, il che non fa che amplificare il puzzo proveniente dal suo
corpo – che sospetto sempre più essere in
decomposizione.
Il
raccapriccio sta per finire, finalmente l'aereo sta per toccare terra
e io potrò liberarmi di queste due piattole e tornare a
respirare.
Ma
no, al peggio non c'è mai fine!
E
infatti...
Non
appena l'aereo tocca terra, dagli altoparlanti del mezzo si diffonde
una musichetta presumibilmente festosa, che però a me sembra
molto inquietante. È una melodia strana, sembra un misto tra
una canzoncina cinese e un brano in stile film sulla Rivoluzione
Francese. Sopra di essa, una voce maschile registrata parla in
inglese e dice qualcosa a proposito del viaggio che è riuscito
con successo e che la compagnia aerea ci dà il benvenuto a
destinazione.
A
questo punto mi irrigidisco e non faccio neanche in tempo a formulare
la vaga idea di ciò che sta per succedere, che uno scroscio di
applausi imbarazzanti e tremendamente ridicoli esplode tra i
passeggeri.
Ecco,
adesso sì che voglio morire.
Scoppio
a ridere, infischiandomene del fatto che anche le due cerebrolese
sedute accanto a me stanno partecipando attivamente a questo scempio,
e sento da qualche parte dietro di me la risata tonante di mia
sorella.
Non
vedo l'ora di buttarmi fuori da questo inferno, ne ho davvero
abbastanza. È troppo per me.
Quando
finalmente tocco terra, mi trattengo a stento per non chinarmi a
baciare la terra ai miei piedi.
È
stato il viaggio della speranza, l'ennesimo.
-
- - -
Ehilà!
Stavolta
sono riuscita ad aggiornare regolarmente, visto che ho scritto questo
capitolo lo stesso giorno del precedente; avevo una gran bella botta
d'ispirazione per creare qualcosa di comico, quindi...
Okay,
be'... chi ha vissuto traumi simili in aereo?
Io,
ragazzi, non so veramente come posso essere ancora tra voi... questa,
più che una raccolta comico-demenziale su piccole disavventure
sui mezzi pubblici, si sta trasformando nel diario di una
sopravvissuta! ^^”
Allora,
attendo i vostri commenti e vi ringrazio per esserci ancora,
nonostante la mia irregolarità negli aggiornamenti :3
A
presto ♥
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Capitolo 9 *** Brochure e vivavoce ***
ReggaeFamily
Brochure
e vivavoce
Autobus
extraurbano, primo pomeriggio
Stavolta
me lo sento: morirò.
Sì,
perché sono seduta sul primo sedile alla destra dell'autista,
e posso vedere cosa sta combinando mentre
guida.
È
ovvio. Stare attenti alla strada è troppo difficile per chi
conduce un autobus per lavoro, diventa noioso. Me ne rendo conto.
Ma
forse quest'essere dovrebbe tenere in considerazione che su di lui
ricade una certa responsabilità, ovvero l'incolumità di
noi passeggeri.
Cerco
di non pensarci, di concentrarmi sul panorama piuttosto penoso che si
srotola oltre i finestrini e il parabrezza, ma è impossibile
non notare il conducente che legge un depliant o una brochure, non
sono in grado di capirlo perfettamente.
Cosa
ci sarà di così importante in quel pezzo di carta? Non
lo so, ma mi sento addosso un'ansia terrificante.
Dopo
qualche tempo, il suo cellulare comincia a trillare per avvisarlo
dell'arrivo di numerosi messaggi. Allora lui prontamente molla il
depliant e afferra lo smartphone, cominciando a leggere messaggi su
WhatsApp come se si trovasse nel salotto di casa sua.
Trascorre
così alcuni minuti, e inoltre si impegna a rispondere a tutti
o digitando sullo schermo, o registrando delle note vocali.
Quanto
vorrei che per strada ci fosse un posto di blocco che lo fermi e gli
impedisca per il resto della sua vita di guidare legalmente un
qualsiasi mezzo di locomozione...
L'autobus
rallenta e accelera a caso, visto che l'autista è distratto
dalle sue attività super interessanti. Motivo per cui potrei
anche rimettere il pranzo, ma meglio cercare di non farci caso.
Quando
siamo poco distanti dal paese verso cui siamo diretti, il tizio
riceve una chiamata.
E
indovinate? Risponde!
«Oh,
ciao. Sì, ascolta, per la partita di domenica di' a Fabrizio
di portare quel foglio che ti stavo dicendo ieri... sì, sì,
tranquillo... lui lo porta, tu firmi e basta. Facciamo una foto, così
è tutto chiaro. Sì, tranquillo, è giusto una
cosa burocratica, non preoccuparti. Macché, non pensarci! Dai,
sì, ti ho detto: lui porta il foglio, tu firmi, stretta di
mano, foto, fine. Tranquillo...»
Perché
ho la vaga impressione che tutto ciò che sta dicendo assomigli
a uno scambio illegale di sostanze stupefacenti o di documenti che
potrebbero cambiare il corso dell'intero universo? Sta usando un tono
cospiratorio che non mi piace affatto. Oddio, ci mancava solo questa.
«Sì,
è tutto calcolato, non entrare in paranoia. I ragazzini poi
fanno la partita, il presidente è contento e noi facciamo la
nostra bella figura» continua l'autista, raggiungendo a tentoni
una rotonda che ci permetterà di entrare in paese.
Stringo
le dita attorno alla stoffa del giubbotto, aspettando il momento in
cui ci sarà la curva.
«Okay,
dai, tranquillo. Capito tutto? Ci vediamo domenica verso le tre.
Anzi, alle tre. Puntuale. Ciao.»
Forse
è la volta buona che questo mentecatto si concentrerà
sulla guida. Giusto il tempo di entrare nel centro abitato, e
l'autista afferra nuovamente la brochure, riprendendo a leggerla con
estremo interesse.
Per
fortuna sto per scendere, non ne posso più.
Una
volta all'aria aperta, tiro un sospiro di sollievo. Sono arrivata
anche oggi sana e salva.
Autobus
extraurbano, tardo pomeriggio
Dopo
il viaggio traumatico che ho vissuto all'andata, spero vivamente che
ora vada meglio.
Quando
mi rendo conto che l'autista è lo stesso che ho incontrato
prima, il mio cuore perde un battito.
Posso
solo sperare che abbia finito di organizzare la partita di domenica e
il rito con tanto di foto e firma di chissà quali documenti,
che abbia concluso l'avvincente lettura del depliant e che non abbia
milioni di importantissimi messaggi su WhatsApp a cui rispondere
nell'immediato.
Per
fortuna tutto sembra andare meglio, il viaggio scorre abbastanza
bene, tranne qualche interferenza causata dai messaggi sul cellulare
dell'autista.
Mancano
solo due fermate prima che io possa scendere e tornare finalmente a
casa; ci troviamo di fianco alla stazione ferroviaria, e io so bene
che gli autobus tendono a fermarsi un po' più a lungo in
questo punto. A volte aspettano uno o due minuti, attendendo
eventuali treni in ritardo.
Stiamo
per ripartire, quando un gruppo di sessantenni raggiunge trafelato il
mezzo e si arrampica su per i gradini, facendo un baccano
incredibile. Sembra un branco di ragazzini delle medie in gita
scolastica.
C'è
chi oblitera biglietti, chi ride, chi cerca il posto più
adatto a sé, chi grida da un capo all'altro del corridoio, chi
ammicca con qualcun altro... un delirio. E poi gli adulti hanno anche
il coraggio di criticare i giovani, dando loro dei maleducati? Io
sono basita.
Uno
di questi esemplari di sesso femminile si posiziona a pochi sedili
dal mio, e subito comincia a urlare: «Anna? Anna? Non ti sento!
Tu mi senti?».
Non
riesco a capire con chi stia parlando, finché non sento una
voce metallica provenire dal punto in cui si trova. Realizzo che ha
impostato il vivavoce e che sta parlando al telefono.
Con
l'altoparlante? Ma ha problemi di udito? Non ha delle cuffie?
«Sì,
adesso ti sento! Dove sei?»
risponde la voce di una donna al telefono.
«In
pullman, stiamo rientrando! Ascolta, quando arrivo ti chiamo? No,
aspetta... chiamo Augusto e faccio venire lui alla fermata!»
«Non
fa niente, posso venire anche io! Eh, mi devo cambiare perché
stavo facendo giardinaggio, però...»
Interessante.
Chissà se questa povera vittima di Anna sa che tutto l'autobus
sta ascoltando i fatti suoi.
Per
fortuna non sento più altro, perché finalmente
raggiungiamo la mia fermata e io posso uscire da quell'asilo nido di
voci stridenti e pazzi invasati.
Come
dice Caparezza in un suo brano:
“Vorrei
solo una vita serena, minchia!”
-
- - -
Cari
lettori, sono tornata finalmente a raccontarvi un altro po' di
disavventure sui mezzi pubblici ^^
Non
commenterò oltre, vorrei solo sapere, per l'ennesima volta, se
queste cose succedono solo a me o se posso sentirmi meno sola,
rendendomi conto che magari anche a qualcun altro capitano certi
elementi fuori di testa o.o
Grazie
per essere ancora qui, spero almeno di farvi sorridere con questi
piccoli stralci di vita :D
Alla
prossima ♥
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Capitolo 10 *** Mademoiselle ***
ReggaeFamily
Mademoiselle
[Testimonianza
di mia sorella Soul_Shine]
Autobus
extraurbano, primo pomeriggio
Mia
sorella e una sua amica sono sul bus, è autunno inoltrato e
non c'è tanto freddo.
Fa
piacere stare sull'autobus con il riscaldamento acceso. Loro
ovviamente sperano che tutto vada bene, che il viaggio sia piacevole
e tranquillo.
Ma
ovviamente non può essere così, ormai lo sappiamo
tutti.
Ebbene,
alla seconda fermata dopo la loro, sale a bordo una ragazza minuta e
magra, che indossa un parka verde militare con la pelliccia e un paio
di jeans stretti con il risvoltino e delle dubbie scarpe in tela con
fantasia indefinita. I capelli scuri sono perfettamente lisci e in
ordine, e l'immancabile smartphone da più di cinque pollici
sta ben stretto tra le sue mani.
Dopo
aver adocchiato l'autista, ancor prima di sedersi, esordisce con voce
acuta e squillante: «Ciao! Come stai?».
L'uomo
la saluta di rimando. «Io bene, e tu invece?» le chiede
poi.
«Bene,
dai!» esclama.
Qualche
secondo di silenzio, la tizia oblitera il biglietto e si siede sul
primo sedile alla destra dell'autista.
«Pensa
te, c'è gente che si offende se gli dai del tu come ho fatto
io con te... insomma, cosa cambia? Io posso anche rispettarti anche
se non ti do del lei, e se ti do del lei posso anche mandarti a quel
paese!» riprende a blaterare l'ameba, urlando come se il
conducente fosse sordo.
Mia
sorella e la sua amica si scambiano un'occhiata, trattenendo un
sospiro colmo di disperazione.
«Eh
certo, hai ragione... è normale, perché molte persone
anziane la vedono come una forma di rispetto...» replica
l'uomo, senza distogliere gli occhi dalla strada di fronte a sé.
In
teoria dovrebbe essere vietato parlare con il conducente, o sbaglio?
«Sì,
ma non ha senso! Io do del tu anche alle persone più grandi,
ma mica vuol dire che non le rispetto! Le trovo cose stupide, come in
Francia che usano tutti modi strani... dicono mademoiselle!»
prosegue imperterrita la tipa, continuando a strillare come se non ci
fosse un domani.
«Sì,
è vero» le dà corda l'uomo.
«Ma
tu di che anno sei?» si informa la ragazza in tono stridulo.
«Sono
del '63, ho cinquantacinque anni.»
«Dai!
Non si direbbe, non li dimostri!» civetta lei con falsità.
«E
tu invece? Di che anno sei?» chiede allora lui.
«Del
'90! vedi, posso essere anche giocata al Lotto!» dice, poi
scoppia a ridere per la sua stessa battuta.
È
raccapricciante, mia sorella è senza parole e non vorrebbe mai
aver assistito a un tale scempio.
Dal
canto mio, non capisco cosa avesse questa tizia da ridere.
I
due continuano a chiacchierare con fare concitato, ma ormai mia
sorella non li ascolta più perché sta per scendere, la
sua fermata è ormai vicina.
Una
volta fuori dal pullman, le due sbuffano.
«Ma
questa gente ce la fa a non dare spettacolo?» sbotta mia
sorella.
«No,
è più forte di loro» ridacchia la sua amica.
Insieme
si allontanano lungo il marciapiede e tentano di non pensarci troppo.
-
- - -
Cari
lettori, oggi capitolo breve, ma dedicato proprio a mia sorella e a
una delle sue disavventure sui mezi pubblici.
Quel
giorno non ero con lei, e guardate cosa mi sono persa, che perla è
sfuggita alla mia attenzione!
Ho
una domanda per voi: ma i discorsi che stava facendo questa tizia del
'90 voi li avete capiti? Che cosa c'entravano? E la sua “battuta”?
Vi
ringrazio per aver letto anche questa volta, e che il raccapriccio
sia con voi XD ♥
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Capitolo 11 *** Alzheimer ***
ReggaeFamily
Alzheimer
Autobus
extraurbano, primo pomeriggio
Ultimamente
non prendo più tanto spesso il bus, così spero che
almeno stavolta le cose vadano lisce e che io non faccia incontri
raccapriccianti come al solito.
Io e
la mia amica, inoltre, siamo pure in ritardo, perché questo
dannato pullman fa orari strani, gli autisti se la prendono con
calma.
Noi
siamo sedute sul terzo sedile alla destra dell'autista e stiamo in
silenzio, godendoci il calore confortante all'interno del mezzo.
Trascorre
circa un minuto e, quando il bus sta per raggiungere la prossima
fermata, un tizio emerge dal sedile dietro a quello del conducente e
comincia a balbettare qualcosa che inizialmente fatico a comprendere.
«Scusi,
eh, si ferma... oh, deve...»
Mentre
parla, rischia di ruzzolare lungo disteso sul corridoio che divide le
due file di sedili, facendo un baccano incredibile.
L'autista
chiede perplesso: «Come?».
«Si
ferma nei pressi dell'ospedale, vero?» continua a biascicare il
tizio, ancorandosi all'obliteratrice per non cadere.
«Sì,
proprio di fronte» lo rassicura l'autista, cominciando a
rallentare e frenare.
Io e
la mia amica ci scambiamo un'occhiata confusa e io non so come faccio
a non scoppiare a ridere.
Se
le cose cominciano così, temo già da ora per la mia
vita e la mia sanità mentale.
Sembra
quasi un miracolo che il viaggio scorra tranquillo, ma forse è
troppo presto per cantare vittoria.
Autobus
extraurbano, tardo pomeriggio
Io e
la mia amica arriviamo giusto in tempo alla stazione dei pullman.
Saliamo a bordo del bus e ci sistemiamo negli stessi posti che
avevamo occupato all'andata.
Cominciamo
a chiacchierare sommessamente, contente di essere sedute comode e al
caldo.
Ma
quell'idillio viene bruscamente interrotto da un essere femminile
alquanto immondo che sale a bordo e si piazza rumorosamente nel posto
dietro a quello dell'autista.
Ancora
prima che il mezzo parta, la tizia – che deve avere all'incirca
cinquant'anni a giudicare dal timbro vocale – comincia subito a
parlare al telefono.
O
forse dovrei dire urlare al telefono, dal momento che la sua voce è
talmente acuta e squillante che si diffonde fastidiosamente per tutto
l'ampio ambiente.
A
bordo sale anche il conducente, seguito poi da qualche altro
passeggero, e il viaggio finalmente ha inizio.
«Mamma?
Sì, stavo dicendo... ero da una mia utente, sai...
praticamente è la madre di Teo, il vicesindaco... no, guarda,
non ti dico! Questa signora sembra una bambina, ha l'alzheimer,
sembra nonno Antonio, mi ha ricordato troppo lui...» blatera la
tizia, mettendo tutti noi al corrente dei cavoli suoi e, cosa ancora
più importante, di quelli altrui.
Io
sono sconvolta, vorrei non ascoltarla, ma è praticamente
impossibile.
«Sì,
mi ha ricordato nonno! Poi ha i capelli bianchi come nonna... sì,
però è come una bambina, ci credi? Gioca con le
bambole! Ma la figlia è fuori di testa, disperata proprio...
sì, praticamente non sa dove mettere le mani, poverina... eh,
mamma, è la sorella di Teo, il vicesindaco! La figlia di
signora Amelia! Cosa? La seguiamo noi perché Teo è
sempre stato molto disponibile, quindi sua madre è un'utenza
molto importante e ci teniamo particolarmente» prosegue,
incurante.
La
cosa più grave è che l'autista, come se non bastasse,
ha pure la radio accesa e all'interno del bus c'è un caos
apocalittico, reso ancora più intenso dall'ingresso di altri
passeggeri nelle due fermate successive.
La
mia amica mi dà di gomito. «Povero autista»
commenta, per poi sospirare.
Annuisco.
«Non lo invidio» dico.
«Sì,
capito? Ah e poi ci ha contattato la figlia di quella tua amica...
com'è che si chiama? Anna Maria, te la ricordi? Non sa come
fare per l'assistenza della madre, è disperata! Ora le abbiamo
consigliato come muoversi per ricevere i giusti aiuti, ma non ti
dico... perché non la chiami? Magari la rincuori un po', era
veramente disperata! Cioè, io mi chiedo, come fa questa gente
a non sapere nulla?»
«Che
peccato non averla tutto il giorno in casa» fa la mia amica.
Ridacchio.
«Quanto è logorroica questa...»
«Sì,
dai, chiamala! Okay, dai mamma, sì... va bene, a domani, ciao
ciao!»
Forse
questa è la volta buona che stia finalmente zitta, mi ha fatto
venire la nausea. Ha detto così tante parole che mi viene
difficile credere che qualcosa del genere sia possibile.
Per
un attimo cala un rassicurante silenzio, interrotto solo dal basso
chiacchiericcio proveniente dall'autoradio.
«Ale?
Sì, ciao, sono io! No, tranquilla, sono in pullman, quindi
sono in relax, possiamo parlare di tutto quello che vuoi»
ricomincia a blaterare la tizia.
Alzo
gli occhi al cielo e la mia amica sbuffa.
«Non
ci credo» bofonchio.
«Lei
è in relax, peccato che non sia così per noi»
ironizza lei.
«Sì,
sì, sto tornando dal lavoro, ero da un utente... ah, sì?
Guarda, non lo so che cosa sia successo a Ornella...»
Per
fortuna il viaggio sta per finire, e io riesco miracolosamente a
smettere di ascoltarla. Questa telefonata dura meno della precedente,
ma ciò non significa che la tizia non parli a raffica.
«Adesso
avrà finito?» sussurro, quando sento che l'essere
immondo saluta anche la sua seconda vittima.
«Speriamo»
commenta la mia amica.
Ma
quando tutto sembrava finito, la cretina comincia a mandare in play
diversi messaggi vocali e si adopera pure per rispondere, mettendoci
molta enfasi e facendo rimbombare la sua voce fastidiosa e irritante
per tutto l'autobus.
Miracolosamente
arriviamo alla nostra fermata e ci precipitiamo in tutta fretta giù
dai gradini.
Per
la prima volta sono felice dell'aria fredda che mi schiaffeggia il
viso, almeno mi può risvegliare da quest'incubo.
Ora
è tutto finito, me lo sento, sono evasa dal manicomio e posso
tornare alla civiltà.
Nei
pressi della fermata, poco dopo...
Io e
la mia amica ci incamminiamo verso casa mia, allontanandoci dalla
fermata del bus.
Siamo
stremate da quell'ultimo viaggio traumatico e non vediamo l'ora di
stare al caldo e riprenderci da quel momento di sconforto.
Attraversiamo
la strada e subito dopo ci accorgiamo che qualcosa non va.
Un
fischio fastidioso e ripetitivo si espande alle nostre spalle,
facendoci sussultare un po'.
Poco
dopo mi rendo conto che a produrlo è qualcuno che cammina alle
nostre spalle. Per un istante mi sento inquietata, ma subito comincio
a ridacchiare senza riuscire a smettere.
Il
tizio continua a fischiare, il motivetto pare familiare, ma non
riesco ad associarlo a un brano preciso.
Un
secondo dopo ci rendiamo conto che il tizio non è solo, più
precisamente nell'istante in cui l'essere smette di fischiettare e
prende a cantare sguaiatamente la sua canzoncina, senza però
articolare le parole. Qualcuno, accanto a lui, comincia a dargli
contro e gli intima di smettere.
«Hai
rotto i coglioni» lo sento rivoltarsi.
«Ecco,
bravo» fa la mia amica, mentre io continuo a ridacchiare.
I
miei poveri neuroni chiedono pietà, eppure pare che nessuno
sia disposto a concedergliela.
«Ma
è ubriaco?»
Scuoto
appena il capo. «Probabile.»
Dopo
circa cinque minuti i tizi finalmente cambiano strada, ma li sentiamo
starnazzare ancora per un po'.
Io
scoppio finalmente a ridere. «Ma cosa stava cantando? Tu l'hai
capito?»
La
mia amica ci riflette. «Mi è sembrata quella canzone che
dice bambola...»
«A
posto!» esclamo.
Per
oggi abbiamo fatto il pienone di mentecatti, voglio solo rifugiarmi a
casa e non pensarci più.
Il
mondo del disagio mi ha accolto nuovamente a braccia aperte, a quanto
pare...
-
- - -
Ehilààààà!!!!
Quanto
tempo è che non ci sentiamo?
Mi
scuso per la mia assenza, ma come ben sapete, per me è sempre
un po' complicato riportare queste testimonianze di vita vissuta e –
ahimè – reale.
Questo
racconto è fresco fresco, accaduto proprio da poco, ed è
stato capace di risvegliare in me l'ispirazione per tornare a
condividere con voi tanto disagio!
Siete
felici? ^^”
Per
chi si stesse chiedendo che razza di canzone stesse intonando
il folle che passeggiava dietro di noi, be', era questa roba, per
intenderci il tizio stava “eseguendo” a ripetizione la
melodia iniziale:
Betta
Lemme – Bambola
Spero
di non trascorrere più tanto tempo lontana da voi, anche
perché leggere le vostre spassose recensioni mi rende
estremamente felice e gioiosa *___*
Detto
questo, attendo i vostri commenti e vi do appuntamento alla mia
prossima disavventura!
Grazie
a tutti coloro che hanno letto finora e che continueranno a farlo, e
a presto (spero) ♥
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