Twister of Names

di eliseCS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


Soulmate: il nome della propria anima gemella tatuato fin dalla nascita su una parte del corpo
Prompt: giocare a twister



- Twister of Names -







«In a land of mith, at the time of magic, the destiny of a...»
 
«Ma dico la sentite? Queste storie le fa sembrare delle tragedie epiche...»
«Hanna ti prego...!»
«No, Althea: secondo me ha ragione lei...»
«Robin...»
«Sì?
«...»
«Diego smettila di ridere!»
 
*L’Autrice si schiarisce la voce*
«Come stavo dicendo: in una terra mitica, in un’epoca dominata dalla magia, il destino di un...»
 
«...di un gruppo di poveri, innocenti – e sfigati – ragazzi sottostà al volere di un’autrice volubile e indecisa che siccome ha un sacco di tempo da perdere si inventa i modi più assurdi per farli appaiare perché quelli classici a quanto pare non vanno più di moda»
«Hanna per l’amor del cielo...»
«Tesoro, ho il tuo nome tatuato addosso da quando avevo 10 anni...»
«E io il tuo, Robert»
«No, non chiamarlo così, che poi inizia a lamentarsi dicendo che si sente vecchio”
«Diego, tu è meglio se stai zitto”
 
*L’Autrice rinuncia ed esce dalla scena – tanto con le introduzioni è pessima in ogni caso*
 
 
§
 
 
Prendete un mondo in cui le anime gemelle esistono sul serio.
Prendete il sito fanwriter.it e andate nel generatore casuale di promt a tema soulmate.
Aggiungete un destino che ovviamente ci mette lo zampino perché ammettiamolo: se trovi la tua anima gemella non è perché ti è piombata addosso cadendo dal cielo – ma magari sbilanciandosi durante una partita a twister sì...
Unite le tre e otterrete la storia che, spero, state per leggere.
 
 
 




 
Parte Prima
 


Althea si guardava nervosa allo specchio: i suoi vestiti potevano andare bene per la festa di compleanno di un perfetto sconosciuto?
Ancora non riusciva a capire come Hannah fosse riuscita a convincerla – anche se a pensarci bene, conoscendo le doti oratorie e di convincimento dell’amica, forse non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto.
 
Lei e la sopracitata ragazza erano amiche praticamente da sempre come nella più classica delle storie: i loro genitori erano amici fin da giovani e le due bambine, nate lo stesso anno a distanza di solo un paio di mesi, avevano passato un sacco di tempo insieme già dalla culla.
Qualcuno avrebbe potuto dire fossero sorelle talmente erano legate e inseparabili; erano un duo praticamente perfetto e bilanciato.
 
Tutto in Hanna suggeriva di avere davanti una persona esplosiva, a cominciare dal suo aspetto: non era molto alta pur rimanendo nella media, ma la sua bassezza – come diceva qualche volta Althea quando voleva prenderla in giro – veniva compensata dalla folta chioma di capelli ricci e scuri, color dell’ebano, che la ragazza portava quasi sempre sciolti e, da quando i suoi glielo avevano permesso a patto che fosse lei a gestirseli, lunghi fino a metà schiena.
Aveva la fortuna di avere una carnagione che sembrava perennemente abbronzata – merito probabilmente delle origini mediterranee dei genitori – e curve che le facevano spesso guadagnare occhiate di apprezzamento da parte degli esemplari dell’altro sesso, soprattutto da quando aveva cominciato a crescere.
Aveva un personalità allegra e scoppiettante, tendenzialmente festaiola e sempre pronta a vedere il lato positivo di ogni situazione. Cosa molto utile dal momento che Althea, al contrario, spesso e volentieri preferiva vedere quello negativo: era sempre stata, anche quando era più piccola, più tranquilla e posata rispetto ad Hannah, e crescendo il suo carattere era rimasto, per così dire, impostato in quel modo.
Prima il dovere e poi il piacere, prima lo studio e poi – se proprio doveva – la festa.
Althea non si era mai fatta problemi a dire che tra restare a casa a leggere un libro e andare ad una festa lei avrebbe scelto la prima senza pensarci due volte.
Hannah diceva sempre che era colpa di quel suo atteggiamento se non aveva ancora trovato la sua anima gemella e lei in risposta sbuffava e alzava gli occhi al cielo ogni volta.
 
Anima gemella.
 
Quella era un’altra delle differenze tra loro due: se da una parte Hanna ci aveva sempre creduto assiduamente e incondizionatamente, perdendosi in progetti tanto sdolcinati quanto improbabili su quello che avrebbe fatto una volta che avrebbe trovato la sua, Althea non ci aveva mai attribuito molta importanza, affermando tra le varie cose di stare benissimo così com’era.
Non poteva dire di non crederci, quello no.
D’altra parte sarebbe stato difficili non farlo quando ogni persona aveva tatuato addosso il nome della sua presunta anima gemella già dalla nascita, e lei non faceva eccezione.
Quelli che quando era piccola sembravano solo degli scarabocchi messi lì a caso si erano mano a mano trasformati e poi completamente definiti quando aveva compiuto dieci anni: il nome che aveva scritto in un bel corsivo tondeggiante sulla schiena, che le occupava tutto lo spazio tra le scapole, era impossibile da non notare.
 
 
Althea sospirò guardandosi la schiena allo specchio per assicurarsi che tutte le lettere che formavano il nome Robert fossero ben coperte dal top che indossava; non le piaceva andare in giro lasciandole in vista.
Hannah era stata di certo più fortunata di lei avendo il nome nella parte interna del braccio destro, anche se al contrario suo la mora non mancava occasione per metterlo in mostra.
 
«Ti prego dimmi che non hai davvero intenzione di venire via così»
Althea sussultò accorgendosi solo in quel momento che la sua migliore amica era appena entrata in camera sua.
«Ciao anche a te Hannah. Sto bene, grazie per averlo chiesto» le rispose sarcasticamente.
Il suo abbigliamento non aveva nulla che non andava.
Borbottando qualcosa a mezza voce la riccia l’aveva fatta spostare per poi raggiungere il suo armadio.
Dopo averci frugato dentro per un istante ne riemerse stringendo qualcosa tra le mani.
 
Oh no, ci risiamo...
 
«Si può sapere perché non metti mai questa?» domandò brandendo una maglietta davanti a sé come se fosse stata un’arma. «Cosa ti ha fatto di male?»
L’indumento in questione era stato proprio un suo regalo, ma era più forte di lei, non riusciva a metterlo.
E la cosa dipendeva largamente dal fatto che la maglietta era progettata per lasciare completamente scoperta – eccetto che per un paio di lacci che si intrecciavano – la schiena di chi la indossava.
 
«Non eravamo in ritardo?» domandò retoricamente Althea dopo essersi guardata un’ultima volta allo specchio per accertarsi che il trucco fosse a posto per poi afferrare con una mano la pochette con la tracolla appoggiata sul letto e il braccio di Hannah con l’altra.
«Non avevo capito che eri così ansiosa di andare... se l’avessi saputo sarei passata a prenderti prima!» commentò la riccia non appena furono fuori dopo aver salutato i genitori dell’altra.
Althea non rispose salendo in silenzio sull’auto nuova di zecca che i genitori di Hannah avevano regalato alla figlia per i suoi diciotto anni.
«Prima arriviamo, prima andiamo via» esalò alla fine mettendosi la cintura di sicurezza, ma con un tono così basso che l’altra non la sentì nemmeno.
 
Il festeggiato, da quello che aveva capito lei, doveva essere l’amico del fidanzato di una delle ragazze che frequentavano il corso di fitness con Hannah.
In altre circostanze la mora non avrebbe insistito così tanto per poter essere invitata, ma si dava il caso che il ragazzo in questione si chiamasse Diego, e lei non poteva certo lasciarsi sfuggire l’occasione per scoprire se per caso non fosse proprio il  Diego di cui aveva il nome tatuato sul braccio.
 
 
Althea si era sempre chiesta come si facesse ad essere sicuri di aver trovato la persona giusta.
Dopotutto chissà quante Kate o quanti Jack c’erano nel mondo... come si fa a capire se quello che incontri è proprio lui?
Aveva provato a chiederlo ai suoi genitori una volta, ma tutto quello che aveva ottenuto erano state occhiatine dolci e sorrisi sdolcinati tra i due, accompagnati dalla vaga spiegazione «Quando incontri la persona giusta lo capisci» e lei aveva velocemente lasciato la stanza prima che le venisse il diabete – o peggio...
 
 
 
«Eccoci!» esclamò Hannah richiamando la sua attenzione mentre si sfregava le mani eccitata.
Althea sperò per lei che il Diego della festa fosse quello giusto.
«Ho mandato un messaggio a Judy per dirle che siamo arrivate, così ci fa entrare» aveva intanto continuato l’altra.
Lei sorrise incoraggiante e scese dall’auto.
Nonostante fossero solo le otto di sera la festa sembrava già nel pieno del suo svolgimento – e sì che non sarebbe dovuta essere iniziata da più di mezz’ora.
«Lo sai che apprezzo che tu sia venuta con me, vero?» le domandò Hannah mentre percorrevano il vialetto che attraversava il cortile.
«Se farti trovare la tua anima gemella servirà a non farmi più partecipare a questo genere di feste sono più che contenta di dare il mio contributo» scherzò Althea facendole una mezza linguaccia.
«Questo è lo spirito giusto ragazza... Judy, ciao! Grazie ancora per l’invito...»
 
Nelle ore che seguirono Althea si costrinse a non pensare al fatto che sarebbe potuta essere a casa a studiare per il test di ammissione del college e a divertirsi.
Fortuna che chiunque avesse deciso di improvvisarsi dj quella sera aveva dei gusti musicali decenti, si ritrovò a pensare mentre suo malgrado si lasciava andare al ritmo della musica.
Le era sembrato di vedere un ghigno soddisfatto sul volto di Hannah l’ultima volta che si erano incrociate, ma a causa della scarsa luminosità non avrebbe potuto giurarci.
 
Ad un certo punto della serata cominciarono i giochi: la bottiglia, hai mai... Althea si tenne a debita distanza ogni volta che venivano scelti i giocatori, limitandosi a fare il tifo per Hannah che invece sembrava aver deciso di non perdersi neanche un giro pur di restare vicino a quello che doveva essere Diego.
All’annuncio dell’inizio dell’ennesimo giro di obbligo o verità Althea avvisò che sarebbe uscita un attimo a prendere una boccata d’aria.
Ormai si andava verso l’estate, mancava meno di un mese alla fine della scuola, ma l’aria della notte era comunque fredda.
Althea rabbrividì: indossava un paio di shorts a vita alta e una maglia con le maniche a tre quarti che però le lasciava scoperta una buona porzione di pelle tra la fine dei pantaloni e l’orlo della maglietta.
Meno male che non aveva messo la canottiera con la schiena fuori che le aveva regalato Hannah.
La luna non era altro che una sottile falce nel cielo scuro, ma nonostante quello i lampioncini piantati nel giardino che circondava la casa sopperivano in modo abbastanza adeguato alla mancanze di luce naturale.
La musica dall’interno non arrivava attutita come avrebbe voluto e la testa le rimbombava discretamente anche se era stata attenta a non bere più di un paio di bicchieri.
Non aveva alcuna intenzione di ubriacarsi, lei.
 
Si appoggiò al bordo di una delle grandi fioriere che erano posizionate subito davanti al patio della casa distendendo le gambe davanti a lei, fissandosi poi le caviglie.
Quella destra in particolare.
 
 
 
Inizio flashback
Era una giornata piovosa, la quarta consecutiva quella settimana e ancora non si riusciva ad intravedere uno sprazzo di bel tempo.
Non che ad Althea importasse più di tanto, quel giorno poi ancora di meno.
Durante l’allenamento di quel pomeriggio Federica, l’allenatrice, aveva finalmente annunciato i nominativi delle ginnaste che avrebbero partecipato da titolari alle nazionali, e lei era tra quelle.
Per di più era una delle due che avrebbe partecipato sia nella gara a squadre che nelle individuali.
Avevano persino cominciato a imbastire la sua coreografia con le clavette – che erano il suo attrezzo preferito, seguite a ruota dal nastro – e lei non sarebbe potuta essere più felice di così.
Non vedeva l’ora di dirlo ai suoi genitori.
 
La ginnastica ritmica era praticamente tutta la sua vita.
Aveva iniziato con un corso propedeutico all’età di quattro anni, e già a sei l’avevano fatta passare ad un altro più serio vedendo quanto fosse portata.
Era stata dura riuscire a conciliare tutto: la scuola e lo studio, le ore di allenamento che aumentavano progressivamente, il tempo libero e gli amici.
Per non parlare della dieta. Il suo fisico slanciato e affusolato non si sarebbe mantenuto da solo.
Era stata dura ma ce l’aveva fatta, riuscendo a dedicare il giusto tempo e importanza a tutto, anche se la ginnastica aveva sempre avuto il posto d’onore.
E finalmente quei sacrifici avevano dato i loro frutti: quell’anno sarebbe addirittura andata alle nazionali!
 
Quasi saltellando Althea uscì dall’edificio che ospitava la palestra aprendo l’ombrello sopra la sua testa per ripararsi dall’acqua che continuava a scendere implacabile.
Fece qualche passo scendendo dal marciapiede per cercare la macchina di suo padre tra tutte le altre che erano parcheggiate lì intorno – altri genitori in attesa dei propri figli – lasciando a mala pena lo spazio necessario se una macchina avesse voluto uscire dalla zona di parcheggio.
 
Come succede sempre in questi casi tutto accadde così in fretta che ebbe a mala pena il tempo di rendersene conto.
 
Ci fu un rumore di stridio di freni, e prima che riuscisse a girarsi Althea era già stata spinta via dalla macchina che l’aveva urtata quando, fuori controllo, aveva sbandato verso il marciapiede esattamente dove si trovava lei.
 
In pochi secondi un sogno era stato distrutto, insieme alla caviglia destra della ginnasta a causa del fatto che nell’impatto il piede le era rimasto incastrato nella canalina di scolo che correva a ridosso del marciapiede.
 
Althea era già svenuta a causa del dolore quando le prime persone avevano cominciato ad accorrere.
Fine flashback
 
 
 
Althea non aveva mai pianto così tanto in vita sua, ma tutte le lacrime che aveva versato non erano riuscite a cambiare lo stato delle cose: non solo non avrebbe potuto partecipare alle nazionali, ma a causa delle brutte fratture che aveva subito e del conseguente intervento non avrebbe più potuto fare ginnastica ritmica.
Era stato un trauma, in tutti i sensi, e nonostante tutti i mesi che erano passati – trasformatisi poi in anni - , nonostante alla fine fosse tornata a camminare senza problemi, il pensiero di non poter più stare in punta, di dover stare attenta a come e quanto fletteva il piede, e soprattutto di non poter più tornare in pedana, la faceva stare male.
 
Solo Hannah e la sua insistenza erano riuscite infine a fare breccia nel mutismo quasi assoluto in cui si era rinchiusa, convincendola – costringendola – ad uscire con lei, a partecipare alle feste, a svagarsi...
Finchè alla fine Althea stessa si era detta che non poteva andare avanti così, e aveva deciso di darci un taglio.
Letteralmente.
Un pomeriggio invece di tornare direttamente a casa dopo la scuola aveva fatto una deviazione dalla parrucchiera che regolarmente le dava una spuntatina per tenere sotto controllo le doppie punte.
Solo che quella volta non si era trattato di pochi centimetri.
I suoi capelli biondi come il grano, sempre lasciati lunghi sia per orgoglio personale che per poter essere agevolmente raccolti quando faceva ginnastica, erano stati tagliati in un corto caschetto che metteva in risalto la linea dolce del suo viso e le spalle dritte e magre forgiate da anni di ritmica.
I suoi genitori erano rimasti a dir poco scioccati ma non avevano commentato.
 
Il secondo passo era stato svuotare la sua camera da qualsiasi cosa avesse potuto ricordarle della ginnastica: il suo borsone, i suoi attrezzi, i body, le mezze punte... persino i poster che aveva appeso alle pareti erano stati sostituiti.
 
 
 
Althea sospirò sfregandosi le mani sulle braccia senza però distogliere lo sguardo dalle sottili cicatrici che perlacee e leggermente traslucide sbucavano dalla scarpa per allungarsi – alcune – fino quasi a metà polpaccio.
Maledetta canalina di scolo.
Nella caduta non si sarebbe fatta un graffio – l’urto con la macchina era stato frenato da un’altra auto che era parcheggiata proprio lì affianco e l’aveva protetta, altrimenti sarebbe stata proprio messa sotto – se solo il suo piede non fosse rimasto incastrato...
 
«Qualcosa mi dice che anche tu vorresti essere altrove... mi rincuora sapere di non essere l’unico»
Althea si raddrizzò di scatto staccandosi dalla fioriera giusto per ritrovarsi davanti un ragazzo.
 
Era più alto di lei – che era un metro e settantatre – e aveva un fisico niente male, almeno da quanto poteva capire dai jeans e dalla giacca di pelle che aveva indosso.
Aveva i capelli scuri, non neri ma castani, ma quello che subito l’aveva colpita erano stati i suoi occhi.
Anche lei li aveva azzurri, ma quelli del ragazzo sembravano essere del colore più puro e al tempo stesso penetrante che avesse mai visto – ed era tutto dire vista la scarsa illuminazione che c’era.
 
«Non sono mai stata un tipo da feste» si giustificò alla fine immaginando che il ragazzo stesse giustamente aspettando una risposta da lei.
«Nemmeno io, ma a quanto pare a questa proprio non potevo mancare» replicò lui con un sorriso.
Althea si ritrovò a fissarlo quasi in contemplazione: cosa le stava succedendo?
«Ah no?» ribattè cercando di darsi un tono.
Non poteva instupidirsi così per un paio di begl’occhi e un sorriso.
«... potrei essere il fratello del festeggiato; e pur essendo io il più piccolo a quanto pare i nostri genitori ritengono sia quello con più sale in zucca e hanno acconsentito a lasciare la casa libera solo se fossi rimasto io di guardia... e chi sono io per negare una festa di compleanno a mio fratello?» spiegò con una scrollata di spalle.
«Ti hanno incastrato proprio bene insomma» in effetti adesso che l’aveva detto Althea poteva notare qualche somiglianza con il ragazzo che Hannah aveva puntato.
«Già. Qual è il tuo motivo invece?» aveva intanto domandato lui.
Althea emise un verso a metà tra uno sbuffo e una risata sarcastica, rendendosi poi conto di quanto assurda fosse la situazione.
Il ragazzo la guardò incuriosito dalla sua reazione.
«Sai tutta la questione dei tatuaggi e dei nomi...?» si affrettò ad incominciare il discorso. «Ecco, dico solo che Hannah, la mia carissima migliore amica, ha il nome Diego tatuato sul braccio, e aveva bisogno di supporto emotivo... almeno fino al sesto bicchiere di qualsiasi cosa sia la bevanda che danno dentro»
Il ragazzo aveva seguito il discorso serissimo, ma alla fine scoppiò a ridere.
«Mi dispiace per la tua amica, ma temo che il nome che mio fratello si ritrova tatuato addosso sia Lawrence»
Althea scoppiò a ridere a sua volta: Hannah avrebbe decisamente dovuto aspettare ancora.
 
Non sapevano quanto erano rimasti a parlare fuori in giardino, ma apparentemente nessuno dei due sembrava avere intenzione di tornare all’interno.
Ad un certo punto il ragazzo le aveva addirittura appoggiato la sua giacca sulle spalle vedendo che di tanto in tanto si lasciava sfuggire qualche brivido di freddo.
Althea non ricordava di essersi mai trovata così bene con qualcuno dopo così poco tempo.
Avevano parlato di scuola – non si erano mai incontrati prima pur essendo allo stesso anno perché Althea ne frequentava un’altra più vicina a dove abitava –, dei loro amici, dei loro hobby.
Stupendo se stessa era riuscita persino a raccontargli della sua passione per la ginnastica ritmica, di tutti i sacrifici che aveva fatto, gli ostacoli che aveva superato per poi ritrovarsi a non poter più fare quello che tanto amava.
La presenza del ragazzo era stata talmente rassicurante che non aveva neanche sentito il bisogno di piangere come succedeva di solito quando veniva toccato l’argomento.
E un’altra cosa che l’aveva colpita era che sembrava davvero interessato a quello che lei stava dicendo, come se avesse capito quanto la cosa fosse importante per lei, come non era successo neanche con la psicologa che l’avevano costretta a vedere dopo l’incidente durante la riabilitazione.
 
Per non parlare poi del fatto che sembravano avere gusti per lo meno simili in diversi ambiti, dalle letture alla musica al cinema, e persino in fatto di cibo.
 
 
Un ragazzo così potrebbe essere la mia anima gemella...
 
Il pensiero si era formulato da solo, quasi per scherzo, ma Althea si ritrovò a trattenere il respiro nel rendersi conto che, tra tutti quei discorsi, ancora non si erano chiesti come si chiamavano.
Una domanda così semplice, al limite del banale, ma all’improvviso aveva paura di porla e soprattutto di scoprirne la risposta.
 
Intanto anche l’altro aveva smesso di parlare, quasi si fosse reso conto che qualcosa non andava.
Althea fece un respiro profondo, le lettere tatuate tra le sue scapole all’improvviso sembravano aver cominciato a bruciare.
«Senti, non ti ho ancora chiesto come...»
 
 
«Robin?! Ecco dov’eri finito, ti stavamo cercando!»













Buon pomeriggio a tutti e benvenuti a questo nuovo esperimento.
Puntualizzo che ho riproposto l'introduzione della storia all'inizio perchè nella descrizione non ci stava tutta.
Detto questo, beh, non credo ci sia molto da spiegare.
La sottoscritta si annoia, finisce per sbaglio (o forse no) in un sito che fornisce promt casuali e questo è il risultato.
La storia è strutturata in due parti, quindi un altro capitolo e stavolta ho già finito.
Ringrazio già chi sarà sopravvissuto riuscendo ad arrivare a leggere fino alla fine :)
Proporrei le classiche "due recensioni per la pubblicazione della seconda parte" ma probabilmente la caricherò quando sarò soddisfatta del risultato.
A presto (giuro, prometto che se ho riscontri positivi cercherò di aggiornare il prima possibile!)
E.​

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Capitolo 2
*** Parte Seconda ***


Nuovo titolo! Questa storia era prima intitolata "What's your name"







Parte Seconda

 

 
La parole le morirono sulle labbra, il sollievo e la scarica di adrenalina che aveva provato nel sentire la prima parte del nome si erano esauriti all’instante non appena era stato pronunciato per intero.
Adesso le sembrava solo che qualcuno le avesse dato un pugno allo stomaco.
 
Robin.
 
Dannazione.
 
«Stiamo allestendo il twister, pensavo avresti voluto giocare» avvisò il ragazzo che li aveva interrotti – che altri non era che Diego – prima di rientrare.
Gli occhi di Robin brillarono.
«Vieni anche tu?» domandò alla ragazza tendendole una mano.
Si vedeva che sperava in una risposta affermativa.
Althea assentì stiracchiando un mezzo sorriso: se non altro avrebbe controllato in che condizioni era Hannah e se avesse già scoperto che quel Diego non era il suo.
«Ok, andiamo» concesse, ma senza afferrare la mano del ragazzo.
 
 
Nel salotto tavoli e sedie erano stati tutti spostati addosso alle pareti in modo da lasciare lo spazio libero il più possibile.
Al centro della stanza era già stato steso il tipico tappeto con i cerchi colorati mentre gente mezza ubriaca si accalcava attorno al festeggiato – che aveva la ruota in mano – per essere scelta subito per giocare.
Althea non ebbe bisogno di cercare Hannah visto che fu l’amica a raggiungere lei, anche se prendendola completamente in contropiede.
«Dove ti eri cacciata? Ti stavi per perdere il twister!» le urlò in un orecchio per sovrastare la musica che ancora suonava.
Althea stava già per replicare dicendo che non aveva nessuna intenzione di giocare, ma Hannah aveva altri piani per lei.
«Lei è quella che ha fatto ginnastica ritmica da quando aveva quattro anni, vi straccerà tutti!» aveva infatti urlato trionfante la riccia nel frattempo, e Althea si era ritrovata trascinata al bordo del tappeto contro la sua volontà senza poter neanche opporre resistenza.
 
Non era ovviamente la prima volta che giocava a twister, le era sempre risultato facile vincere contro i suoi amici vista la sua flessibilità, ma era inutile dire che dall’incidente l’unica attività fisica che praticava – e pure con cautela – era quella che veniva fatta a scuola.
Lungi da lei prendere iniziative di qualsiasi genere.
 
«Devo confessarti che mi sono chiesto come sarebbe stato giocare a twister contro di te nel momento in cui mi hai detto di aver fatto ginnastica ritmica per così tanto tempo»
Robin era riuscito a raggiungerla, attirando la sua attenzione con un colpetto al braccio.
Avrebbe alzato gli occhi al cielo se solo il suo sguardo non fosse rimasto incollato alla figura del ragazzo.
Si era tolto la maglia che aveva prima sotto la giacca – aveva i capelli tutti scompigliati – ed era rimasto con una canottiera che lasciava veramente molto poco all’immaginazione.
In quel momento non era sicura che il caldo che sentiva fosse dovuto interamente alla temperatura della stanza piena di gente.
«... ci giocavamo un sacco quando eravamo piccoli e vincevo sempre io. Non che io sia chissà che ma Diego era proprio un impedito, ed era troppo divertente vederlo giocare»
Fortunatamente Robin sembrava non essersi accorto che si era bloccata di nuovo a fissarlo in modo imbarazzante, ma Hannah sì.
Si era materializzata al suo fianco senza che se ne accorgesse e le aveva lanciato uno sguardo malizioso.
«Hai capito te... prima fa tutta la timida e poi...»
 
 
Finalmente il gioco iniziò.
I partecipanti dovevano essere le persone più sobrie – o meno ubriache... – tra quelle presenti visto che riuscivano ancora ad associare correttamente la destra e la sinistra alla parte del corpo e al rispettivo colore.
Fu con una soddisfazione che non si aspettava che Althea fece la sua prima mossa, posizionando il piede destro su un cerchio blu.
 
Dopo poco più di quindici minuti le cose si erano già notevolmente complicate, sia a causa dell’alto numero di persone coinvolte – nonostante i concorrenti già eliminati - ma anche e soprattutto perché Diego aveva ben presto messo da parte la ruota per decidere lui quali direttive dare.
Althea non aveva potuto fare altro se non scendere in spaccata per raggiungere con il piede sinistro il cerchio verde che il festeggiato le aveva indicato.
E quello dopo era rimasta in ponte su una mano sola per almeno due turni.
Se non altro a Robin sembrava andare addirittura peggio: era palese che il fratello stesse cercando di fare di tutto per farlo perdere.
 
 
«Mano sinistra su quel blu lì»
Althea deglutì seguendo la direzione puntata dalla mano di Diego.
Era di nuovo in spaccata, il piede destro era stato spostato su un cerchio giallo, e il cerchio blu da raggiungere con la mano sinistra era esattamente alle sue spalle.
Guardo un’ultima volta il suo obiettivo prima di rivolgersi a Diego con atteggiamento di sfida.
Sorprendentemente alla fine si stava davvero divertendo.
Buttò la testa all’indietro arcuando la schiena mentre con il braccio teso andava ad appoggiare la mano dove le era stato detto.
Se la memoria non la ingannava una volta aveva usato una posa del genere per l’apertura di una coreografia con il cerchio.
 
«Robin, Robin, Robin...» Diego era evidentemente soddisfatto della sua mossa ed era passato al giocatore successivo: suo fratello.
«Allora, caro fratellino... mano destra su quel rosso» annunciò in modo per nulla rassicurante.
L’aveva più o meno lasciato in pace negli ultimi turni, in effetti il ragazzo non partiva da una posizione scomoda: aveva i piedi su un cerchio verde ciascuno.
Solo un attimo dopo Althea si rese conto che il rosso era esattamente dall’altra parte del tabellone rispetto al verde e che per raggiungerlo Robin avrebbe dovuto letteralmente passare sopra di lei.
Anche il ragazzo sembrava averlo realizzato e sembrava vagamente in imbarazzo.
Come lei però non aveva intenzione di mollare, non ancora.
Si diede un po’ di slancio e curvandosi sopra di lei raggiunse finalmente la sua destinazione.
Diego ghignò e passò a studiare la posizione del prossimo malcapitato ancora in gara.
 
Nel compiere il movimento la canottiera di Robin era inevitabilmente scivolata verso l’alto lasciandogli il petto interamente scoperto.
Nel momento in cui se n’era accorta Althea aveva distolto lo sguardo in modo da non fissarlo, ma dopo poco la cosa si era rivelata abbastanza difficile da mantenere.
Per la posizione in cui era non aveva molte alternative su dove guardare...
Alla fine aveva desistito: nessuno le avrebbe di certo detto nulla e Robin non se ne sarebbe neanche accorto visto che la canotta gli era finita proprio sul viso.
Si sarebbe limitata a guardare il bel panorama – che in ogni caso sapeva già essere off-limits – finchè il festeggiato non si fosse deciso a farla spostare.
 
Non arrivò al suo turno successivo.
 
I suoi occhi si erano infatti ben presto soffermati sul pettorale sinistro del ragazzo dove, giusto all’altezza del cuore, c’era un tatuaggio.
 
Quel  tatuaggio.
 
E per come erano messi la ragazza non ebbe nessun problema a leggere il nome che vi era scritto, sottolineato da un sottile e semplice arabesco.
 
Le si gelò il sangue e tutto ad un tratto respirare le diventò difficile.
 
Althea.
 
Il nome tatuato sul petto di Robin era Althea.
 
 
 
 
Non sarebbe riuscita a rimanere in posizione un secondo di più.
Non sarebbe riuscita a rimanere a quella festa un attimo di più.
 
Si raddrizzò di scatto, facendo ovviamente spostare e cadere Robin e un altro paio di persone che erano vicino a loro.
Doveva andarsene da lì prima di mettersi a piangere davanti a tutti.
Si rialzò senza neanche fare caso alle esclamazioni indispettite dei giocatori che forse sarebbero stati eliminati a causa sua e senza notare lo sguardo allarmato di Diego e Hannah e quello invece preoccupato e confuso di Robin.
 
Una volta uscita dal salotto si rese conto che non aveva senso uscire: fuori si sarebbe congelata, le chiavi della macchina le aveva Hannah e tornare a casa a piedi non era un’opzione, era troppo lontano.
Bagno.
Aveva bisogno di trovare un bagno e ci sarebbe rimasta chiusa dentro per tutto il tempo necessario.
 
A quanto pareva però quella sera il destino o chi per lui aveva deciso di divertirsi con lei.
Girandosi per ripercorrere a ritroso il corridoio si scontrò contro qualcuno.
E ovviamente quel qualcuno aveva un bicchiere in mano, il cui contenuto si rovesciò completamente sul suo top.
Fantastico.
 
Forse prima avrebbe dovuto chiedere il permesso, ma arrivata a quel punto non le importava più: voleva solo trovare un posto in cui potesse starsene da sola per un po’.
Individuò le scale che portavano al piano superiore della casa e le salì facendo due gradini per volta.
Superò qualche coppietta i cui componenti si stavano allegramente mangiando la faccia a vicenda e finalmente arrivò al piano.
La porta del bagno era aperta e la stanza miracolosamente vuota – almeno quello... – e Althea ci si infilò dentro senza indugio.
Ebbe qualche difficoltà a chiudere a chiave a causa delle mani che le tremavano e delle lacrime che alla fine avevano cominciato a scendere offuscandole la vista.
Quando alla fine ci riuscì appoggiò la schiena alla porta lasciandosi poi scivolare fino a raggiungere il pavimento, tirando a sé le gambe e appoggiando la testa sulle ginocchia sentendo le lacrime sulla pelle.
Non aveva neanche pensato di darsi un’occhiata allo specchio per controllare i danni: quel poco di trucco che si era messa era sicuramente colato – maledetta lei a la sua pigrizia del non voler mai mettere cosmetici waterproof perché ogni volta diventava matta per struccarsi – e non era sicura che sarebbe riuscita a smacchiare la maglia da qualsiasi cosa le fosse stata versata addosso.
 
Perché io? Pensò mentre cercava di soffocare i singhiozzi.
Prima la ginnastica, adesso questo.
Si stava sfiorando il ridicolo, ne era consapevole; Hannah non aveva mai fatto scenate del genere con i due Dieghi che aveva incontrato prima di quella sera, ma per un attimo aveva davvero pensato che quello che aveva davanti fosse quello giusto.
Se l’era sentito.
E invece le sue speranze, la felicità che aveva inspiegabilmente cominciato a provare, tutto era stato di nuovo spazzato via nel giro di un secondo.
Hannah aveva torto.
Non sarebbe stata colpa sua se non sarebbe riuscita a trovare la sua maledetta anima gemella.
Come sarebbe potuto esserlo se ogni volta che metteva veramente il cuore in qualcosa finiva tutto a quel modo?
Lei ci provava.
Ci aveva provato.
 
 
 
§
 
 
 
Robin era rimasto a guardare il punto in cui la ragazza era sparita dalla sua vista come imbambolato.
Era successo qualcosa?
Quando si era messo in posizione per raggiungere l’ultimo colore che il fratello gli aveva indicato – cosa piuttosto imbarazzante tra l’altro – la canottiera gli era scivolata sul viso impedendogli di vedere alcunché.
Quando si era ricordato che in realtà aveva ancora una mano libera che poteva usare per togliersi l’indumento dalla faccia si era sentito improvvisamente spingere di lato, finendo con lo sbilanciarsi e cadere addosso ad almeno altre due persone.
Aveva giusto fatto in tempo a vedere lei, la ragazza, che scappava via quasi correndo.
 
Si rialzò voltandosi a fronteggiare il fratello, salvo poi interrompere la frase prima ancora di pronunciarla nel trovarlo impegnato a parlottare con una ragazza mentre entrambi lanciavano regolarmente occhiate confuse verso la porta del salotto.
«Posso sapere cosa state confabulando voi due?» domandò avvicinandosi dopo aver capito chi fosse la riccia.
Doveva essere la famosa Hannah, la migliore amica della ragazza...
Ripetendo per l’ennesima volta quell’appellativo nella sua mente si rese conto che non sapeva il suo nome.
Di tutte le domande che si erano scambiati parlando in giardino non si erano chiesti la cosa più banale.
Si diede mentalmente dello stupido: forse aveva capito come mai era corsa via a quel modo.
Doveva aver visto il suo tatuaggio.
 
E se era scappata via così dopo aver letto quel nome c’era un’unica spiegazione: non era il suo.
A quel pensiero sentì inspiegabilmente un peso scendergli nello stomaco.
Non era lei.
Non era lei quella giusta, la sua anima gemella.
Eppure si era trovato così bene con lei.
Gli era bastato quanto? Cinque, dieci minuti? Probabilmente meno, per sentirsi perfettamente a suo agio con lei, nessuno era mai stato in grado di farlo sentire così prima di quel momento.
Ma a quanto pareva non era lei la sua Althea...
 
 
Althea.
Quando le linee che formavano il suo tatuaggio si erano definite in un nome vero e proprio aveva pensato che fosse davvero strano.
Poi però si era documentato, aveva scoperto che quel nome riprendeva quello di un personaggio mitologico nella forma latinizzata di quello originale in greco antico basato su un termine che significa cura.
Da qui il significato colei che guarisce, colei che cura.
E con la conoscenza del significato il nome gli era sembrato subito più bello.
Althea.
Un nome per nulla comune da quanto dicevano le statistiche.
E la sua anima gemella si sarebbe chiamata così.
 
 
Suo fratello si schiarì la voce facendogli notare che dopo aver posto la sua domanda era rimasto zitto e fermo senza aggiungere altro.
Probabilmente si era anche perso la risposta...
«Oh, sì» si riprese con uno sguardo di scuse. «Io credo che abbia visto il mio nome e...» prima che potesse concludere la frase la riccia aveva lanciato un’occhiata di fuoco a Diego, accompagnato da un blando pugno sulla spalla, per poi catapultarsi fuori dalla stanza con un vago «Vado a cercarla».
Probabilmente era arrivata alla sua stessa conclusione: il nome della ragazza non corrispondeva a quello che lui aveva tatuato addosso e lei ci era rimasta male.
D’altronde come biasimarla? Ci era rimasto molto più che male anche lui.
 
Si voltò nuovamente solo per scoprire che suo fratello era già tornato a dare gli ordini ai giocatori di twister che ancora non si erano stufati.
A lui la voglia era ben che passata.
 
 
 
§
 
 
 
«Althea? Sei qui dentro?»
La voce di Hannah che bussava fuori dalla porta del bagno la riscosse.
Non sapeva da quanto tempo era lì dentro, forse ad un certo punto si era addirittura appisolata.
Raddrizzò la testa sopprimendo una smorfia per il suo collo che non era rimasto nella più comoda delle posizioni fino a quel momento.
Aveva smesso di piangere e le lacrime che aveva versato avevano lasciato scie sul suo viso che ormai si erano seccate.
Aveva paura di guardarsi allo specchio.
 
«Althea?» la ragazza chiamò di nuovo facendole realizzare che in effetti non aveva risposto.
«Sì...» si fermò per schiarirsi la voce, roca dopo il pianto. «Sì, sono qui Hannah» rispose lasciandosi andare ad un lungo sospiro alzandosi in piedi.
Ci fu un istante di silenzio.
«Ehm... mi fai entrare?»
Althea sbattè le palpebre nonostante l’amica non potesse vederla prima di ricordarsi che l’altra non sarebbe riuscita ad entrare finchè non avesse aperto la porta visto che l’aveva chiusa a chiave.
«Sì, certo, scusa. Aspetta un attimo» disse mentre armeggiava con la serratura.
Hannah intanto aveva continuato a parlare: «Finalmente ti ho trovata, sei scappata via così di fretta e poi non tornavi più... stavo cominciando a preoccuparmi... oddio!»
Althea non se la prese per quella esclamazione.
Sapeva di essere in condizioni pietose.
«Cos’è successo? La tua maglia! E il trucco... aspetta, hai pianto?»
La ragazza scrollò le spalle a quella sfilza di domande: davvero c’era bisogno di dare una risposta?
«Io non capisco, sembrava ti stessi divertendo al twister. Cos’è successo?» la riccia entrò definitivamente nella stanza avendo il buon senso di chiudere di nuovo la porta a chiave alle sue spalle: l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che qualcun altro entrasse nel bagno e la vedesse così.
 
Althea prese un profondo respiro appoggiandosi al mobile che ospitava un doppio lavandino.
«Il fratello di Diego, quello che era vicino a me al twister, con cui mi sono fermata a parlare quando sono uscita un attimo...”
«Un attimo? Althe, sarete rimasti fuori almeno un’ora!» venne interrotta, ma le bastò un’occhiataccia per riguadagnare il silenzio.
«Dicevo. Lui ha... ha il mio nome tatuato addosso» concluse.
L’espressione di Hannah, da preoccupata e confusa, divenne di colpo euforica.
«Ma questo è fantastico! Hai trovato la tua anima gemella! E addirittura prima di me!» esclamò quasi ribaltandosi dal bordo della vasca da bagno dove si era seduta.
«No Hannah...»
«Pensaci: Althea non è un nome molto comune. Anzi, diciamo pure che non è comune per niente. Quante possibilità ci sono che non sia tu quella...»
«Il cento per cento, temo...»
Hannah si zittì all’istante, ma si riprese abbastanza in fretta.
«No, impossibile»
«Ti dico di sì invece»
«Ma...»
«Il suo nome non è quello che io ho tatuato sulla schiena»
«No...»
Althea non aggiunse altro ma le lanciò un’occhiata eloquente.
La riccia si fece passare una mano tra i capelli, sembrava fosse seriamente concentrata su qualcosa.
 
«Quel brutto idiota...» borbottò ad un certo punto a voce bassissima riscuotendosi dai suoi stessi pensieri.
«Come?» domandò Althea confusa.
«Niente, lascia stare. Torniamo a casa, tanto ormai il bello della festa è finito»
«Ma... e Diego? Non...»
«Non è lui. Glie l’ho chiesto. Il fortunato si chiamerà Lawrence, però è simpatico...»
«Oh, ok. Bene, allora...» Hannah la bloccò nel momento in cui provò ad aprire la porta.
«Che c’è adesso?»
«Ho detto che torniamo a casa, ma prima dobbiamo darti una sistemata. Non puoi tornare di sotto, beh, così. Senza offesa, naturalmente»
«Hannah, dubito che ci sarà qualcuno che avrà qualcosa da ridire, saranno tutti troppo ubriachi...»
«E se per caso i tuoi fossero ancora svegli e ti vedessero rientrare così? Cosa gli diresti?»
A quello non ribattè.
 
La mora appoggiò la sua borsetta sul ripiano del lavandino aprendola con uno schiocco.
Era leggermente più grande della sua pochette, ma rimaneva comunque un mistero come riuscisse a farci stare dentro così tanta roba.
In pochi minuti Althea fu struccata e ritruccata da capo, nonostante le sue proteste e il suo insistere che non fosse necessario.
«Togli la maglia»
«Eh?»
«Non puoi tenerti quella roba addosso. Forza, ti ho portato il cambio»
Althea osservò orripilata la sua migliore amica che tirava fuori un nuovo top. Quel top.
Non sapeva se era più sconvolta che fosse riuscita a farcelo stare nella borsa – non che fosse chissà quanta stoffa – o che fosse riuscita a prenderlo senza che lei se ne accorgesse.
 
«Assolutamente no. Io quello non lo metto» stabilì.
«Adesso non fare la bambina...»
«Non sto facendo la bambina. Fuori mi congelo con quello addosso...»
«In macchina ho una giacca da prestarti» ribattè pronta, sapendo che non era il freddo il problema.
«Lo sai che non mi piace che si veda...» ecco, infatti.
«Come hai detto tu prima giù saranno quasi tutti ubriachi, nessuno si accorgerà di nulla»
Aveva vinto, non aveva più senso cercare di ribattere.
Si tolse il top macchiato sotto lo sguardo trionfante di Hannah per poi indossare l’altro.
Si girò verso lo specchio per osservare la scritta sulla sua schiena: con i capelli tagliati a caschetto non aveva nessun modo per nasconderla neanche un po’.
Sospirò.
«Possiamo andare adesso?» chiese il permesso con tono vagamente esasperato.
 
 
Una volta finito di scendere le scale Althea non potè fare a meno di far passare lo sguardo dalla porta d’ingresso a quella del salotto dove la festa stava andando avanti.
Il corridoio era meno affollato rispetto a quando era salita al piano di sopra, segno che comunque più di qualcuno aveva già cominciato ad andarsene.
«Allora andiamo?» la richiamò Hannah, già a metà strada verso l’uscita.
Althea mosse un passo e si fermò di nuovo.
Una parte di lei avrebbe davvero voluto andare a salutare Robin, mentre l’altra le diceva che non aveva senso e che avrebbe benissimo potuto farne a meno.
Come al solito Hannah decise – più o meno – anche per lei.
«Quasi dimenticavo di salutare Diego!» aveva infatti esclamato per poi fari largo tra le persone per tornare indietro.
Althea la seguì quasi di riflesso ma si fermò all’entrata della stanza.
Individuò Hannah e inarcò un sopracciglio nel vederla gesticolare in modo abbastanza animato con il festeggiato, come se stessero discutendo per qualcosa.
Spostò la sua attenzione sul tappeto del twister – il gioco era di nuovo fermo – ma Robin non era lì.
Fece vagare il suo sguardo per la stanza e lo trovò dopo pochi istanti.
La stava guardando.
Abbassò subito lo sguardo dandogli poi le spalle come di riflesso.
Pensava di averle finite le lacrime, eppure eccole lì che minacciavano di uscire di nuovo.
Si era però dimenticata di avere addosso l’altro top, e a quella posizione non si accorse che il ragazzo le stava guardando la schiena, più precisamente lo spazio tra le scapole, con espressione esterrefatta.
 
Si strinse nelle spalle decidendo che avrebbe aspettato Hannah direttamente alla porta d’ingresso.
Si mosse e Robin la seguì senza pensarci un istante.
La raggiunse a metà del corridoio, fermandola afferrandole il braccio.
La ragazza si girò di scatto, la sua espressione dapprima sorpresa si fece profondamente triste nel momento in cui realizzò chi aveva davanti.
I due rimasero fermi uno davanti all’altra per diversi secondi senza dire nulla.
Althea con lo sguardo fisso sui suoi piedi mentre Robin continuava a scrutarla cercando di decidere come cominciare il discorso.
 
«Potevi dirmelo» esordì alla fine.
«Come scusa?» domandò lei alzando il capo confusa.
Il ragazzo si schiarì la voce: «Ho detto che potevi dirmelo. Che avevi il mio nome, sai... invece di scappare così. Potevi...»
Non lo lasciò finire: «Non capisco di cosa tu stia parlando. Semmai dovrei dirlo io a te: dovresti fare attenzione a come metti in mostra il tuo tatuaggio. Ma suppongo sia stata anche colpa mia, avrei dovuto chiederti subito come ti chiamavi, almeno avrei evitato di farmi false speranze per niente»
Il ragazzo scosse la testa incredulo: «Perché continui a dire che il mio nome è il problema?»
Althea non ci stava capendo più niente: lui si chiamava Robin e la scritta sulla sua schiena diceva Robert, perché continuava ad insistere?
«Piuttosto quello che mi ritrovo addosso io... quante possibilità ci sono che qualcuno si chiami...»
“Althea? Evidentemente più di quanto pensassimo visto che non sono io che...”
«Ti chiami Althea?»
La ragazza lo guardò ferita.
Non poteva lasciarla andare e basta?
Evidentemente il suo sguardo esasperato non era stato una risposta sufficiente.
 
«Sì, dannazione!» si ritrovò quasi ad urlare alla fine. «Mi chiamo Althea, e a quanto pare sono la persona più sfigata di tutto il...»
Un paio di labbra si posarono sulle sue impedendole di continuare.
Althea sgranò gli occhi, al contrario di Robin che invece li aveva socchiusi mentre la baciava.
Era sbagliato.
Tutto quello era assolutamente, completamente sbagliato e lei... non si era mai sentita così bene in vita sua.
Così in pace con se stessa come se tutto fosse finalmente andato al suo posto.
Con un mezzo sospiro chiuse gli occhi ricambiando il bacio a sua volta e le sembrò quasi che il ragazzo avesse sorriso quando si era finalmente lasciata andare.
 
«Robin?» Diego era appena arrivato, seguito a ruota da Hannah.
I due si separarono in fretta, l’espressione di Althea si adombrò all’istante nel sentir pronunciare quel nome e nulla le impedì di pensare di nuovo che quello che era successo fosse sbagliato.
Ma allora perché a lei era sembrato così giusto?
Il ragazzo ovviamente non si era perso la sua reazione rimanendone perplesso.
Ne capì finalmente il motivo più o meno nello stesso momento in cui la riccia aveva colpito suo fratello con la borsa accompagnando il gesto con un: «Smettila di chiamarlo così brutto idiota!»
 
Certo, avrebbe dovuto capirlo prima.
Lei l’aveva sempre sentito chiamare Robin.
Come poteva sapere che il suo vero nome era invece proprio Robert e che lui non si faceva quasi mai chiamare così se poteva evitarlo perché gli sembrava un nome da vecchio?
Decise che avrebbe strozzato suo fratello in un secondo momento: Althea era la sua priorità.
 
Attirò la sua attenzione porgendole la mano.
«Spero di non essere sembrato troppo maleducato per non averlo fatto prima, e credo proprio che sia decisamente arrivato il momento di farlo» cominciò sorridendole apertamente mentre lei lo guardava dubbiosa.
«Piacere, sono Robert. Ma di solito mi faccio chiamare Robin perché con Robert mi sembra di essere già un uomo di mezza età...» ridacchiò all’ultima parte della presentazione anche se in realtà nella sua testa si stava maledicendo da solo per la pessima uscita. Evidentemente il filtro cervello-bocca aveva smesso di funzionare.
 
La prima reazione di Althea fu quella di spalancare gli occhi, mentre poco per volta un’espressione di comprensione e felicità appariva sul suo viso.
Se le cose stavano così...
«Piacere mio, Althea» replicò stringendo la mano che le era stata offerta senza poter fare a meno di sorridere come un’ebete mentre continuava a fissare il ragazzo davanti a lei.
Ragazzo che prendendo l’iniziativa la attirò a sé tirandola per il braccio in modo da poterla baciare di nuovo.
 
Ad Althea sfuggì un verso di sorpresa prima di rispondere con entusiasmo.
Forse quella serata non era poi stata una completa perdita di tempo...













Alla faccia del mio "cercherò di aggiornare il prima possibile"...
In ogni caso la storia è finita, e come sempre ringrazio chi è passato a dare una letta.
Se non altro spero che tutta questa attesa ne sia valsa almeno vagamente la pena.
E.

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