Semplicemente sei

di rhys89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I parte: venerdì e sabato ***
Capitolo 2: *** II parte: domenica e lunedì ***
Capitolo 3: *** III parte: martedì e mercoledì ***



Capitolo 1
*** I parte: venerdì e sabato ***


Angolino dell'autrice

Salve gente! ^^
Come vi avevo accennato (o almeno mi sembra di averlo fatto, non ricordo bene ^^") sono tornata su questi lidi con una mini-long AU tutta rigorosamente Logan/Scott.

(E, se ve lo steste chiedendo, sì: ho intenzione di riprendere anche "Seconda stella a destra", solo che mi sono un po' impantanata e devo sbrogliare la situazione, quindi onde evitare di bloccarmi di nuovo tornerò a pubblicare solo quando avrò finito di scrivere tutti i capitoli.)

Questa storia è "in cantiere" da almeno due anni, ma è finalmente venuta al mondo grazie al contest The crack- The ship - The canon! Get ready! - II edizione indetto da missredlights sul forum di EFP.

Era un contest a pacchetti, e io ho scelto il pacchetto "America" di cui ho usato i prompt: estate, stelle, festa dell'indipendenza.

Il lavoro dietro a quanto state per leggere è stato davvero moltissimo, e vada come vada sono molto soddisfatta del risultato... spero che piaccia anche a voi.

Ah, un'ultima cosa: su word ho scritto questa storia distinguendo i vari paragrafi (capirete leggendo) con diversi font... solo che ho recentemente scoperto (e potevo arrivarci prima, ma tant'è) che su internet, anche se io inserisco con l'HTML il comando di cambiare font mettendo il nome prescelto, solo chi ha a sua volta installato tale font sul computer riesce a vederlo per come è davvero, gli altri visualizzano un altro font standard.
Ora, dal momento che questo potrebbe rendere la lettura confusionaria, ho optato per la soluzione di scrivere una parte in grassetto e l'altra in carattere normale. Non mi piace granché perché un testo tutto in grassetto non è particolarmente gradevole alla vista, ma non sono riuscita a trovare altre soluzioni. Mi scuso per il disagio.

EDIT: questa storia partecipa alla 666 prompt per essere come il diavolo challenge, indetta da Arianna.1992 sul forum di EFP.
Il prompt scelto è il n.86 --> “È inutile fare la cosa giusta, se quella sbagliata ti piace da morire.”

Concludo con un grazie immenso a missredlights per avermi dato la possibilità di portare finalmente a termine questa storia, e anche grazie a chi sceglierà di dedicarle un po' del suo tempo.
Ci vediamo domenica prossima per il capitolo 2.

EDIT bis: questa storia partecipa anche al contest In viaggio indetto da Emanuela.Emy.79 sul forum di EFP.
Il tema è ovviamente quello del viaggio, mentre la parola chiave scelta è "imprevisto".

Disclaimer: i personaggi e la storia di X-Men non mi appartengono e non ci guadagno nulla di materiale a scriverci su.

Buona lettura a tutti! ^_^



Titolo storia: Semplicemente sei
Fandom: X-Men (film)
Personaggi e pairing: James 'Logan' Howlett (Wolverine), Scott Summers (Ciclope), Logan/Scott
Pacchetto (e cosa avete utilizzato): America (estate, festa dell?indipendenza, stelle)
Introduzione storia: Scott sta preparando la sua valigia e, tra un vestito e l?altro, si crogiola nei ricordi. Ricordi di un passato che sembra tanto vicino da poterlo toccare, quando per colpa di un guasto alla moto è rimasto bloccato nel bel mezzo del nulla… costretto a rimanere ospite per giorni di un burbero benzinaio/meccanico di nome Logan. Era successo per caso, in un pomeriggio che avrebbe dovuto essere solo uno tra tanti altri: l’attimo prima guidavi tranquillo lungo la strada che ti avrebbe portato dalla tua ragazza, quello dopo la tua vita era cambiata per sempre – senza averlo voluto, senza averlo cercato, senza aver potuto fare nulla per impedirlo.
Note autore: modern!AU senza poteri; inframmezzate al testo ci sono delle frasi [tra parentesi quadre], tratte dall?ultima strofa della canzone “The Other Side”, di The Greatest Showman; l?ho scelta perché credo che sia perfetta per questa storia (e perché in questo periodo ne sono ossessionata), ma sono frasi usate più che altro come espediente per suddividere i paragrafi, quindi non si tratta di una song-fic; altre note alla fine.

Semplicemente sei

I parte: venerdì e sabato


 La valigia aperta sul letto attende silenziosa la tua attenzione, i vestiti e gli accessori che hai scelto di portarti dietro allineati al suo fianco come bravi soldatini. Prendi il primo – il giubbotto di pelle – e lo sistemi sul fondo, spuntandolo dalla lista. E poi sorridi: se Logan ti vedesse ora ti prenderebbe in giro fino alla nausea.
 Aggiungi un’altra giacca, un paio di jeans e un pantalone elegante, e intanto ammetti con te stesso che in effetti non avrebbe tutti i torti, perché quella delle liste è una mania che la parte perfezionista del tuo carattere non ha mai voluto né potuto abbandonare, a prescindere da quanto tu ci abbia provato.
 Una goccia di sudore scivola dalla fronte fin dietro gli occhiali, e dopo averla asciugata interrompi un momento il tuo lavoro per bere un paio di sorsi di tè freddo in cerca di un po’ di sollievo.
Anche quel giorno faceva un gran caldo.
 Sorridi di quel pensiero improvviso, lo sguardo perso oltre l’orizzonte che si intravede dalla finestra e la mente già lontana. Era successo per caso, in un pomeriggio che avrebbe dovuto essere solo uno tra tanti altri: l’attimo prima guidavi tranquillo lungo la strada che ti avrebbe portato dalla tua ragazza, quello dopo la tua vita era cambiata per sempre – senza averlo voluto, senza averlo cercato, senza aver potuto fare nulla per impedirlo.

 
 Ancora non riesci a credere di essere stato così sfigato: per nove lunghi anni la tua moto non ti ha dato neppure il più piccolo problema, nonostante tu le abbia fatto macinare diverse centinaia di miglia[1]… e oggi, proprio oggi, ha deciso di guastarsi a poche ore dalla tua meta, nel centro esatto del nulla.
Fanculo.
 Continui a spingere a mano la tua Night Road Special[2] a bordo strada mentre speri che il sole del deserto non ti faccia secco prima di arrivare alla stazione di servizio che hai sorpassato poco fa e che, ovviamente, non è segnata sulle mappe stradali – quindi niente numero di telefono per farti venire a prendere da un carro attrezzi né tantomeno un’indicazione precisa su quanto ancora tu debba scarpinare.
 Sbuffi, ti asciughi il sudore dalla fronte con la manica della maglia e mugugni imprecazioni indefinite contro tutto e tutti, perché oltre al caldo e alla fatica che devi sopportare non riesci neppure a scacciare il pensiero di quanto sarà seccante la telefonata che dovrai fare alla tua fidanzata. Quella in cui le spiegherai che non solo non hai preso l’aereo da Salt Lake City come ti aveva suggerito lei, ma che dovrà pure venirti a prendere perché altrimenti rimarrai bloccato qui per quei pochi giorni che potreste passare insieme.
Davvero una bella prospettiva.
 Per cercare di distrarti estrai il cellulare dalla tasca e controlli l’ora. Sono quasi le cinque e trenta – ovvero quaranta minuti dopo quel maledetto guasto – e hai un messaggio dell’operatore che ti avvisa che Jean ti ha cercato poco fa. Aggrotti le sopracciglia e per un momento ti soffermi a chiederti perché mai non fossi raggiungibile, – dopotutto non ci sono certo ostacoli da queste zone – ma una nuova chiamata della tua ragazza attira tutta la tua attenzione. Sospiri ancora, ti prendi qualche secondo per prepararti mentalmente a una probabile discussione e infine rispondi.
 «Ciao, tesoro!» esclami con quanta più naturalezza possibile.
«Ciao! Non sei ancora all’aeroporto, vero?»
 «Ehm… no» rispondi esitante. «Vedi, io–»
«Menomale» ti interrompe Jean, evidentemente sollevata. «Allora ho fatto in tempo. Ti avevo chiamato anche prima, ma non eri raggiungibile.»
 «Sì, ho visto ora il messaggio, non so perché prima non c’era… ma in tempo per cosa?» le domandi all’improvviso, realizzando in ritardo la stranezza di quella prima frase.
 Jean però non ti risponde subito, e tu inizi ad avere un brutto presentimento.
 «Jean?» la chiami ancora, e la senti sospirare – altro brutto segno.
«Io… ecco, scusa, ma non possiamo vederci, questo weekend» sussurra dispiaciuta. «Il mio capo mi ha assegnato un articolo all’ultimo minuto e devo andare a San Francisco.»
 Accusi il colpo in silenzio.
«Scott… mi dispiace davvero. Sei arrabbiato?»
 «No» commenti secco.
«Sì, invece» ribatte lei.
 Sospiri.
 «No, Je… ci sono solo rimasto male, ecco tutto.»
 E “male” probabilmente è riduttivo, perché è da fine marzo – da quando cioè si è trasferita a settecento miglia di distanza – che tu e Jean non riuscite a vedervi, e avevi preso anche qualche giorno di ferie per festeggiare con lei il quattro luglio… e invece niente.
«Mi dispiace, Scott» ripete Jean.
 Respiri a fondo, poi ti sforzi di abbozzare un sorriso che speri in qualche modo lei possa percepire.
 «Lo so» mormori infine, accomodante. «Non fa niente.»
 Jean ti ringrazia, si scusa ancora e promette che vi vedrete presto, – ma non specifica quando – poi parlate qualche altro minuto e vi salutate.
 Infili di nuovo il telefono in tasca e ti sistemi lo zaino sulle spalle, continuando a camminare con il morale sotto i tacchi e i capelli fradici appiccicati alle tempie. Chissà quanto manca, ancora. Insomma, a occhio e croce avevi sorpassato la stazione di servizio da massimo dieci minuti, prima del guasto. E dieci minuti in moto, a piedi dovrebbero essere…
 Aggrotti la fronte e cerchi di fare il calcolo a mente, poi sbuffi, riprendi il cellulare e inizi a fare una ricerca – quantomeno per tenere la mente occupata.
 Pochi minuti dopo, puoi dire con un buon margine di sicurezza che ti mancano ancora al massimo due ore di viaggio per arrivare a destinazione.[3] Sospiri e rimetti via il telefono.
Forse era meglio restare nell’ignoranza.
 La maglietta è ormai zuppa di sudore, così te la togli e la arrotoli attorno alla testa a mo’ di turbante, – la sfiga non si può evitare, ma forse un’insolazione sì – raccogli lo zaino da terra e riprendi la tua piccola maratona personale.
 Il resto del tragitto lo trascorri sforzandoti di non pensare a cose come la possibilità che la fantomatica stazione di servizio non sia aperta o a dove diamine potrai passare la notte, visto che non hai neppure una macchina in cui dormire… e poi, finalmente, all’orizzonte intravedi la sagoma della tua meta. Sorridi tra te – ormai quasi non ci speravi più – e acceleri il passo.
  
[Don’t you wanna get away to a whole new part you’re gonna play.]
 
 Quando raggiungi l’ombra della tettoia del distributore ti lasci sfuggire un sospiro di sollievo, grato per quel riparo dal sole cocente. Poco lontano da te, un uomo – probabilmente il gestore – è seduto davanti alla pompa di benzina; ti guarda di sottecchi un momento appena, ma prima che tu possa parlare si alza e si mette a trafficare con qualcosa che tu non puoi vedere.
 «Metti la moto sul cavalletto e levati quella roba ridicola dalla testa» è l’unica cosa che ti dice, senza neppure voltarsi.
Che tipo…
 Ti sfili la maglia-turbante – in effetti è davvero ridicola – e la appoggi sul sedile insieme allo zaino, poi sistemi la moto sul cavalletto. Hai appena finito quando senti dei passi pesanti venire verso di te, ma non fai in tempo ad alzare lo sguardo che un getto d’acqua gelida ti arriva dritto addosso.
 «Che cazzo fai?!» urli, facendo istintivamente un passo indietro.
 L’uomo di prima – che ora tiene tra le mani un tubo di gomma di quelli per annaffiare – ti guarda scocciato.
 «Volevo evitare che ti si cuocesse il cervello, ragazzino!» sbotta. «Ma forse è già troppo tardi.»
 E allora ti rendi conto che, forse, raffreddare la tua temperatura corporea dopo una maratona nel deserto non sarebbe poi una cattiva idea.
Anche se quello stronzo poteva almeno avvisarti, prima di farti venire un mezzo infarto.
 «Sì… beh, grazie, ma faccio da me» borbotti allora, tendendo la mano per prendere il tubo.
 Il tizio sbuffa ma ti accontenta, poi si avvicina alla moto.
 «Hai finito la benzina?» ti chiede, iniziando a esaminarla.
 «No, ho fatto il pieno poco dopo Las Vegas.»
 Lo vedi annuire una volta sola, ma siccome poi non ti presta più attenzione ti chini in avanti e porti il getto d’acqua sui capelli per rinfrescarti.
Ci voleva proprio.
 Ti sciacqui abbondantemente anche il viso, poi – a malincuore – decidi che quella doccia improvvisata è durata abbastanza, così tiri di nuovo su la testa e ti sposti indietro la frangia che era finita sugli occhi – rivoli d’acqua fresca ti scivolano sul petto e sulla schiena, facendoti sospirare beato.
 «Meglio?» ti chiede una voce sarcastica, e quando incroci lo sguardo di quell’uomo ancora senza nome lo vedi sogghignare divertito.
 Abbozzi un sorriso imbarazzato – stavi così bene che avevi dimenticato di non essere solo – e ti affretti a restituirgli il tubo di gomma.
 «Sì… grazie» borbotti. Lo guardi chiudere l’acqua e riporre la bobina al suo posto. «Mi chiamo Scott, comunque» ti ritrovi a dire prima ancora di averlo deciso davvero.
 Lui torna in silenzio verso la moto. Per un momento pensi che continuerà a ignorarti, invece si ferma vicino a te e tende una mano callosa per stringere brevemente la tua.
 «Logan» si presenta. «E molto probabilmente ti sei fottuto il radiatore della moto» aggiunge, indicandola con un cenno del capo.
Oh, merda…
 «Sei sicuro?» gli chiedi, decisamente preoccupato.
 Logan si stringe nelle spalle.
 «Non l’ho ancora smontata e potrei anche sbagliarmi, ma fossi in te non ci spererei troppo.»
 Sospiri a fondo, sconsolato, e intanto osservi Logan spostare la tua bambina davanti a quello che ha tutta l’aria di essere un piccolo garage. Esiti un po’, indeciso sul da farsi, poi ti stringi nelle spalle, raccogli lo zaino e lo raggiungi.
 Logan intanto ha preso diversi attrezzi da una cassetta arrugginita lì vicino e inizia a lavorare sul motore borbottando tra sé. In qualche modo, riesci a trattenere l’impulso di chiedergli ossessivamente come sta andando: detesti quando qualcuno mette fretta a te, quando lavori, e inoltre hai la non troppo vaga idea che quell’uomo scorbutico – che al momento è la tua unica speranza di andartene da qui – non reagirebbe bene alle sollecitazioni.
 Lo osservi lavorare in silenzio per diversi minuti, affascinato dalla sicurezza con cui le sue mani si muovono tra bulloni, tubi e fili elettrici. E quando Logan alza gli occhi su di te trattieni istintivamente il fiato, in attesa del responso…
 «Sì, il radiatore è andato» commenta lapidario. «Se vuoi posso ordinartene un altro, ma oggi è già tardi e il mio fornitore non lavora nei weekend, quindi dovrai aspettare lunedì.»
 Mastichi tra i denti un’imprecazione dopo l’altra, – contro i fornitori, contro la sfiga, contro la tua stupida idea di questo viaggio on the road – ma poi ti imponi di calmarti.
 «Non puoi davvero fare nient’altro?» gli chiedi in tono lamentoso, anche se razionalmente sai che così non risolverai un bel niente.
 «In caso non l’avessi notato, non sono una fottuta fatina» ribatte brusco.
Beh, questa un po’ te la sei cercata.
 Sospiri a fondo, passandoti una mano tra i capelli mentre ti sforzi di trovare una soluzione – una qualunque – che possa toglierti d’impiccio.
 La scelta più logica sarebbe farti venire a prendere da qualcuno, ma a parte Jean – che non puoi chiamare per ovvi motivi – i tuoi amici si trovano tutti a diverse centinaia di miglia di distanza.
 Un taxi, poi, è fuori discussione, perché verrebbe a costarti un occhio della testa.
 Sospiri ancora, ti scompigli di nuovo i capelli e torni a guardare Logan.
 «Non è che c’è un motel, da queste parti?» gli domandi senza sperarci sul serio – dopotutto l’hai visto coi tuoi occhi che siete praticamente in mezzo al nulla.
 «Da queste parti c’è solo casa mia.»
Infatti.
 «E immagino che tu non abbia una stanza da affittarmi…» commenti quasi tra te e te.
 «No. Però se ti accontenti puoi dormire sul divano.»
 Lo guardi sorpreso.
 «Davvero?»
 Lo vedi alzare gli occhi al cielo, ma poi sogghigna.
 «Beh, credo che il ritrovamento di un cadavere a poche miglia da qui non gioverebbe agli affari» ribatte, gli occhi che scintillano divertiti. «Sai, la gente è superstiziosa, da queste parti…»
 Gli sorridi raggiante, grato per quell’aiuto inaspettato.
In fondo a modo suo sa essere gentile.
 «Penso proprio che accetterò» rispondi. «In cambio posso aiutarti qui con i clienti…»
 «L’unico aiuto che mi serve è che tu non mi stia troppo tra i piedi, ragazzino» rifiuta seccamente, rimettendo via gli attrezzi.
A modo suo, appunto.
 
 Scuoti la testa divertito: quelle frecciatine acide sono sempre state una vera e propria firma, per Logan; come per paura di apparire troppo accessibile.
Come per paura di abbassare la guardia ed essere ferito. Di nuovo.
 Ti riscuoti da quei pensieri quando una nuova goccia di sudore ti scivola nell’occhio, e allora imprechi a mezza voce, ti asciughi bene il viso e ti decidi a tornare a lavoro.
Prima avrai finito, prima potrai rinfrescarti.
 In effetti potresti anche chiudere la finestra e accendere il condizionatore, ma qualcuno ha rotto il telecomando parecchi anni fa, e tu non hai mai imparato come si avvia manualmente. Sbuffi contrariato, senza però riuscire a reprimere un sorrisetto al pensiero del broncio che ha messo su Logan la prima volta che gliel’hai fatto notare.
«Non l’ho rotto, mi è caduto!»
«L’hai lanciato contro il muro, Logan. Pensavi si aggiustasse?»
«Sì, beh, tanto non funzionava lo stesso.»
«Cambiare le pile era troppo semplice?»
«E perché non l’hai fatto tu, allora?!»
 Sistemi in valigia gli scarponi da lavoro, e intanto il sorriso diventa malizioso: anche quella discussione alla fine l’avevate risolta in un modo tutto vostro.
E, sì, il telecomando di fatto era rimasto rotto… ma chi ci pensava più, al telecomando?
 Controlli di nuovo la lista e vedi che hai saltato una maglia. Quella maglia. Quella azzurra, che Jean ti ha regalato perché faceva risaltare i tuoi occhi – parole sue – e che Logan ha guardato storto dal momento esatto in cui ti sei lasciato sfuggire questa cosa.
 Esiti a lungo, indeciso… e poi la sistemi con cura sopra ai pantaloni.
Dopotutto è anche la maglia che indossavi quando sei arrivato qui.

 
 Passare la notte sul divano di Logan è stato come un lunghissimo incubo a occhi aperti. Letteralmente, o quasi: avrai dormito sì e no un’ora scarsa divisa in vari pisolini, e non solo per la dubbia comodità del tuo giaciglio, ma soprattutto perché il petto e le spalle bruciavano – e bruciano ancora – come l’inferno.
Stupido, stupidissimo sole del deserto!
 Oltretutto, per colpa di quella dannata scottatura sei stato costretto a dormire supino. E tu odi dormire supino; così, quando senti dei rumori in casa e capisci che Logan è già sveglio, non ti prendi nemmeno il disturbo di guardare l’orario prima di raggiungerlo.
Se lo avessi fatto, avresti scoperto di esserti alzato praticamente all’alba.
 Entri sbadigliando in cucina e vieni accolto dal confortevole aroma del caffè appena fatto.
 «Sembri uno zombie.»
E dalla soave voce del tuo ospite.
 «Non ho dormito bene» mugugni, andando a sederti su uno sgabello.
 «La suite presidenziale non era di vostro gradimento, altezza?»
 Alzi gli occhi al cielo ed eviti di rispondergli male solo perché non vuoi rinunciare al tuo caffè.
 «Non è per quello» borbotti contrariato. E poi esiti, perché dirgli il vero motivo del tuo malessere equivarrebbe probabilmente a nuove prese in giro, e in tutta sincerità non hai voglia di sopportarle.
 Logan ti porge una tazza fumante e indica la credenza con un cenno della testa, poi torna a controllare le uova e il bacon.
 «Come va la scottatura?» ti chiede all’improvviso, voltandosi appena verso di te. «Sei rosso come un peperone» aggiunge al tuo sguardo sorpreso.
 Ti alzi a prendere lo zucchero e le posate e intanto lo guardi di sottecchi, studiando la sua espressione: il sogghigno che gli è salito spontaneo in viso è il degno riverbero del divertimento che hai sentito nella sua voce…
 «Mi sento andare a fuoco» gli rispondi infine in un impeto di sincerità.
… ma in fondo se fosse successo a un altro anche tu te la rideresti sotto i baffi.
 Contrariamente alle tue aspettative lo vedi annuire tra sé senza aggiungere nulla, così prendi i piatti e li metti in tavola insieme al pane tostato. Poco dopo Logan spenge i fornelli e serve la colazione a entrambi, e per qualche minuto mangiate in perfetto silenzio, troppo intontiti dal sonno – almeno per quanto ti riguarda – per mettere insieme frasi di senso compiuto.
 
 Logan si alza prima di te e sparisce lungo il corridoio, ma neanche il tempo di finire gli ultimi sorsi di caffè e lo vedi ricomparire con in mano un flacone giallo senape.
 «È scaduta da un po’, ma è sempre meglio di niente» dice soltanto, prima di lanciartelo.
 Lo prendi al volo e osservi come pietrificato quella che a quanto pare è una vecchia crema doposole, poi ti riscuoti dalla sorpresa e alzi gli occhi. Logan è già arrivato alla porta d’ingresso.
 «Grazie!» esclami al suo indirizzo; lui fa uno strano movimento col braccio destro e neppure si gira per risponderti.
 Sorridi e guardi di nuovo la confezione tra le tue mani. In effetti, stando alla data sbiadita che si intravede sul fondo, quella roba è scaduta ormai da più di un anno… tuttavia, come ha detto Logan, è sempre meglio di niente. Senza contare, ti dici mentre sparecchi, che sarebbe davvero scortese rifiutarsi di provarla dopo che lui si è preso la briga di cercartela senza che nemmeno gliel’avessi chiesta. È stato un gesto gentile, il suo, e tu apprezzi sempre la gentilezza… anche – e soprattutto – se qualcuno cerca di nasconderla dietro modi rozzi e grugniti indistinti.
 Alzi gli occhi sul tuo riflesso nello specchio del bagno e scopri di star ancora sorridendo.
E che hai la faccia e il collo rossi come quella volta in cui da bambino ti sei travestito da fragola.
 Sbuffi tra te e inizi lentamente a levarti la maglietta, e il pizzicore della stoffa che striscia sulla pelle infiammata catalizza tutta la tua attenzione fino a che non ti ritrovi finalmente a torso nudo. Poi, versandoti una generosa dose di lozione sulla mano, inizi a massaggiare delicatamente le parti scottate.
 Il profumo fresco e vagamente floreale sale subito alle tue narici; è ancora buono, nonostante tutto il tempo trascorso. Ti chiedi istintivamente perché mai Logan lo tenesse ancora in casa… anche perché, in effetti, non sembra proprio il tipo da usare una crema emolliente – né un qualunque tipo di crema in generale, se è per questo.
 Ti volti per controllare la schiena allo specchio e noti con sollievo che – almeno quella – è a posto, probabilmente perché è sempre stata coperta dallo zaino.
E per fortuna, perché da solo non avresti davvero potuto arrivare fin laggiù e avresti dovuto chiedere aiuto a Logan…
 Scacci prepotentemente dalla testa l’immagine delle forti mani di Logan che ti massaggiano e ti affretti a chiudere il tappo e sciacquarti le mani. Poi guardi la tua maglietta: è quella pulita che ti sei messo ieri sera dopo la doccia, e ti scoccerebbe non poco sporcarla con il doposole – anche perché hai solo un altro paio di cambi, con te, e devono bastarti come minimo fino a martedì.
 Esiti un altro momento ancora, poi ti dici che in fondo anche quando sei arrivato eri senza maglia, e Logan non ha battuto ciglio; inoltre, dato che – a quanto pare – non vuole che tu interagisca con i suoi clienti, non c’è nessun motivo per cui ti debba creare tanti problemi.
 
[‘Cause I got what you need, so come with me and take the ride to the other side.]
 
 Esci fuori a torso nudo e raggiungi Logan davanti al garage: ha già tirato fuori la moto e sta sistemando gli attrezzi su un tavolo vicino, ma quando ti sente arrivare si ferma a guardarti. Ti squadra da capo a piedi con espressione indecifrabile… e poi sogghigna.
 «Sembri un’aragosta appena bollita» sentenzia.
 «E mi ci sento pure» ribatti con un mezzo sorriso ironico. «Comunque grazie» aggiungi dopo un attimo di esitazione. «Per la crema, dico» spieghi al suo sopracciglio inarcato.
 Logan annuisce senza rispondere e ritorna a concentrarsi sul suo lavoro. Lo osservi prendere un cacciavite e iniziare a smontare meticolosamente il motore, appoggiando i vari pezzi su un ripiano al suo fianco, e le parole scivolano fuori dalla tua bocca prima ancora di renderti conto di averle pensate.
 «Comunque mi hai sorpreso… non sembri il tipo che usa il doposole» scherzi.
 Forse è una tua impressione, ma Logan sembra irrigidirsi a quella frase – fintamente – casuale.
 «Era della mia ragazza» risponde secco.
No, forse non era solo una tua impressione.
 Ti mordicchi il labbro, imbarazzato da quella gaffe. Logan continua a ignorarti.
 «Uhm… posso aiutarti?»
 «Vai in casa, ragazzino» ribatte lui. E, sì, sai di aver sbagliato a impicciarti degli affari suoi, ma un po’ ci rimani male comunque. «È meglio se eviti il sole, per oggi» aggiunge a sorpresa, smorzando il tono brusco di prima.
 Sorridi tra te: probabilmente è il suo modo di chiedere scusa.
 «Sì, forse è meglio» concordi. Poi, dopo un cenno di saluto, torni sui tuoi passi e rientri in casa.
 
 Quando Logan, verso mezzogiorno, ti raggiunge, hai già lavato e messo a posto le stoviglie della colazione, rassettato il divano su cui hai dormito, messo un po’ in ordine la cucina e – adesso – stai finendo di preparare il pranzo.
 Logan si guarda intorno sorpreso e poi sposta gli occhi su di te in una muta domanda.
 «Visto che non mi permetti di aiutarti là fuori ho pensato di dare una sistemata in casa» gli spieghi con semplicità, continuando a tritare le verdure per l’insalata.
 «E perché?»
 Alzi gli occhi al cielo.
 «Si chiama “buona educazione”, Logan. Hai presente?»
 «Uhm… sì, ne ho sentito parlare. Ma pensavo servisse solo a non dire le parolacce.»
 Tuo malgrado sorridi divertito.
 «Comunque non ce n’era bisogno» aggiunge poco dopo.
 Ti stringi nelle spalle.
 «Mi piace rendermi utile.»
 «L’affitto te lo faccio pagare lo stesso» commenta con un ghigno.
 «Non ne dubitavo» ribatti per le rime.
 Logan ti sorride e comincia ad apparecchiare.
 
 Dopo pranzo vai in bagno a rimetterti un po’ di doposole – sarà anche scaduto, ma un po’ di sollievo te lo dà comunque – e poco dopo, con la coda dell’occhio, vedi Logan appoggiarsi allo stipite della porta aperta. Non dice nulla, però, e allora anche tu continui facendo finta di niente.
Ma ignorare quello sguardo fisso su di te diventa più difficile ogni secondo che passa.
 «Vuoi una mano per la schiena?» ti chiede infine, e se da un lato gli sei grato per aver interrotto quell’imbarazzante teatrino dall’altro la sua proposta ti coglie in contropiede.
 “No, non serve”, dovresti dirgli – perché la schiena è a posto, perché potresti cavartela da solo, perché non è assolutamente il caso di coinvolgerlo più del necessario.
 «Sì, grazie» accetti invece, passandogli la crema con un sorriso.
 Logan ne prende un bel po’ e si sistema dietro di te. Ti accarezza lentamente, spalmando con cura quella fresca lozione anche nei punti dove eri già arrivato da solo, e la sensazione di quei calli ruvidi che scivolano sulla tua pelle ti fa rabbrividire tanto che sicuramente se ne accorge anche lui. Lo osservi dallo specchio: ha le sopracciglia lievemente aggrottate e sembra molto concentrato sul suo lavoro, ma poco dopo alza gli occhi per incrociare il riflesso dei tuoi.
E i brividi sembrano raddoppiare.
 Restate in silenzio a lungo, – un silenzio carico di elettricità – poi lui abbozza un sorriso.
 «Ora è meglio se torno fuori… magari arriva qualche cliente.»
 Annuisci e ti sforzi di sorridere a tua volta.
 «Sì… e grazie.»
 Logan si allontana, ma continui a sentire il fantasma delle sue mani sulla tua schiena.
 
 Nonostante il doposole, quella maledetta scottatura rende anche la seconda notte che trascorri sul divano di Logan lunga e tormentata. E noiosa, tanto noiosa che la mente si prende libertà che non dovrebbe prendersi, mentre i pensieri vagano indisturbati verso zone pericolose.
Zone in cui le mani di Logan scivolano sulla tua pelle nuda senza più il pretesto della crema da spalmare…
 Irritato con te stesso, sbuffi e ti alzi in piedi per andare a prenderti un bicchiere d’acqua. Insomma, che Logan sia un bell’uomo è un dato di fatto, – non sei mica cieco – ma hai passato da un pezzo l’età delle fantasticherie su dei perfetti sconosciuti… senza contare che sei fidanzato, maledizione, e quindi…
 Un rumore improvviso interrompe quello scomodo flusso di pensieri. Tendi l’orecchio, curioso, e lo senti di nuovo: sembrano dei lamenti. E provengono dalla camera di Logan.
Che si sia sentito male?
 Bussi alla sua porta, ma dall’interno risponde solo il silenzio della notte.
Forse ti sei sbagliato.
 Stai quasi per lasciar perdere quando quei suoni ti bloccano di nuovo, e allora vinci ogni ritrosia e abbassi la maniglia, più preoccupato di quanto vorresti; nello spiraglio di luce che viene dal corridoio vedi il volto di Logan contratto in una smorfia sofferente, ma i suoi occhi sono ancora chiusi.
Sta avendo un incubo, capisci all’improvviso. Uno terribile, a giudicare dalla sua espressione.
 Rimani indeciso a lungo sulla soglia, consapevole di essere in bilico su un confine che – se tu avessi un briciolo di buonsenso – ti guarderesti bene dall’attraversare… ma alla fine entri nella stanza.
Non ti sentiresti in pace con te stesso a lasciarlo solo in queste condizioni.
 Ti avvicini lentamente, continuando a chiamarlo, e siccome non risponde gli scuoti piano una spalla per cercare di svegliarlo. All’improvviso, con uno scatto che ti spaventa a morte, Logan ti afferra il polso tanto forte da farti male… ma poi il suo viso si rilassa, mormora qualcosa di incomprensibile e smette di agitarsi; senza aprire gli occhi.
Senza lasciarti la mano.
 Un sorriso intenerito ti sale spontaneo alle labbra, prima di renderti conto dell’assurdità di questa situazione.
E ora?
 Provi a tirare delicatamente indietro il braccio, ma la presa di Logan non si allenta. Se strattonassi con decisione certo riusciresti a liberarti, ma adesso dorme così bene che proprio non hai cuore di svegliarlo – non dopo aver visto quanto era agitato il suo sonno fino a poco fa.
 Lentamente, facendo attenzione a non disturbarlo, ti sdrai al suo fianco e appoggi la testa sul cuscino.
Solo per un po’, ti dici chiudendo gli occhi. Poi ritorno sul divano.
 
È stata la prima volta che hai dormito in questa stanza.
 Ti guardi intorno con un sorriso nostalgico, e lo sguardo ti cade sul lato destro del cassettone, proprio accanto a quel soprammobile di dubbio gusto che vi ha regalato tuo fratello per il matrimonio – ma che Logan ha sempre trovato dannatamente divertente.
 Lì, tra quella specie di scultura post moderna e la bomboniera del battesimo di Thomas, c’è una delle prime foto che vi siete scattati insieme: siete tu e Logan in sella alla tua moto, i caschi sottobraccio e un gran sorriso in volto.
 È un po’ sfocata perché scattata col cellulare da un tizio che evidentemente di tecnologia ne sapeva ancor meno di tuo marito, – il che è tutto dire – ma rimane comunque una delle tue preferite, forse la preferita in assoluto. Anzi, probabilmente è proprio quel suo essere sfocata che la rende così speciale, così vera: imperfetta e insostituibile, proprio come è stato il vostro primo incontro.
Proprio come è stato tutto il vostro matrimonio.
 Ti avvicini alla cornice e ne sfiori il bordo coperto da un leggero strato di polvere; dovrai pulirla bene, prima di metterla in valigia.
 Ma, soprattutto, dovrai riempire la valigia, prima di metterci la cornice.



















 
 
[1] Scott è americano e il POV è esclusivamente suo, per questo ho preferito adottare le miglia piuttosto che i chilometri.
[2]Sì, è una Harley Davidson. No, non l’ho scelta a caso ;)
[3]Tanto per la cronaca, ecco come ha fatto il calcolo: con una velocità media di 100 km/h, in 10 minuti si percorrono 16,7 km; considerando che un uomo a piedi va a circa 5 km/h e che Scott cammina da quasi un’ora, gli ci vorranno indicativamente altre due ore per percorrere la strada rimanente (io ho fatto il calcolo con i km, ma ovviamente Scott avrà usato le miglia).
Tuttavia Scott si è sbagliato ed erano passati poco più di 5 minuti da quando aveva superato la stazione di servizio, per cui dovrà camminare in tutto meno di due ore (ma solo perché in fondo io voglio bene al mio monocolo preferito <3).

 

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Capitolo 2
*** II parte: domenica e lunedì ***


Angolino dell'autrice

Salve gente! ^^
Come promesso sono tornata con il secondo capitolo di questa mini-long. Da ora in poi, però, non ci sarà un paragrafo "introduttivo" al presente, ma si inizierà direttamente con il paragrafo flash-back e poi si andranno ad alternare come prima.

Non ho nulla da dire stavolta, se non un grazie gigantesco ad Arianna.1992 che ha recensito lo scorso capitolo e a tutti voi che seguite la storia. Spero tanto che continui a piacervi ^^

Ci vediamo domenica prossima per il capitolo 3.

Disclaimer: i personaggi e la storia di X-Men non mi appartengono e non ci guadagno nulla di materiale a scriverci su.

Buona lettura a tutti! ^_^


Titolo storia: Semplicemente sei
Fandom: X-Men (film)
Personaggi e pairing: James 'Logan' Howlett (Wolverine), Scott Summers (Ciclope), Logan/Scott
Pacchetto (e cosa avete utilizzato): America (estate, festa dell?indipendenza, stelle)
Introduzione storia: Scott sta preparando la sua valigia e, tra un vestito e l?altro, si crogiola nei ricordi. Ricordi di un passato che sembra tanto vicino da poterlo toccare, quando per colpa di un guasto alla moto è rimasto bloccato nel bel mezzo del nulla… costretto a rimanere ospite per giorni di un burbero benzinaio/meccanico di nome Logan. Era successo per caso, in un pomeriggio che avrebbe dovuto essere solo uno tra tanti altri: l’attimo prima guidavi tranquillo lungo la strada che ti avrebbe portato dalla tua ragazza, quello dopo la tua vita era cambiata per sempre – senza averlo voluto, senza averlo cercato, senza aver potuto fare nulla per impedirlo.
Note autore: modern!AU senza poteri; inframmezzate al testo ci sono delle frasi [tra parentesi quadre], tratte dall?ultima strofa della canzone “The Other Side”, di The Greatest Showman; l?ho scelta perché credo che sia perfetta per questa storia (e perché in questo periodo ne sono ossessionata), ma sono frasi usate più che altro come espediente per suddividere i paragrafi, quindi non si tratta di una song-fic; altre note alla fine.

Semplicemente sei

II parte: domenica e lunedì


 Il braccio e la spalla sinistri mandano fitte fastidiose al cervello come protesta per averci dormito sopra in una posizione dannatamente scomoda, e all’inizio pensi sia stato proprio questo a svegliarti. Poi, attraverso le palpebre, il riverbero della luce artificiale arriva alla tua coscienza ancora intontita dal sonno. Mugugni infastidito e apri faticosamente gli occhi in una casa che non è la tua, in una stanza che non è la tua, in un letto che decisamente non è il tuo.
Oh, cazzo, mi sono addormentato!
 Ti tiri a sedere di scatto, col cuore che batte a mille e il volto in fiamme per l’imbarazzo.
 Logan ti sta fissando; l’imbarazzo aumenta a dismisura.
Stupido, stupido Scott!
 «Ehm… io… ecco, buongiorno» borbotti, abbozzando un sorriso.
 Logan invece non sorride: nei suoi occhi non c’è traccia di calore né di divertimento, ed è talmente incazzato che probabilmente è solo lo shock della sorpresa ad avergli impedito di urlarti contro – o prenderti direttamente a pugni, magari.
 Ti alzi cautamente in piedi, evitando il suo sguardo di ghiaccio.
 «Io… scusa, mi sono… mi dispiace» ti correggi appena in tempo – qualcosa ti dice che frasi da Capitan Ovvio come “mi sono addormentato” potrebbero solo peggiorare la situazione già tragica di per sé.
 «Che diamine ci fai tu qui?»
 La voce di Logan è vibrante di rabbia repressa. Ti umetti le labbra e poi le mordicchi, guardando ovunque tu sia certo di non incrociare i suoi occhi.
 «Io… stanotte ho sentito dei lamenti…» mormori ai tuoi piedi scalzi. «Pensavo stessi male, e così sono entrato per controllare.»
 «E per controllare meglio ti sei infilato nel mio letto?» sbotta lui inacidito, ed è come se ti avesse appena schiaffeggiato.
 «Io non mi sono infilato nel tuo letto!» protesti punto sul vivo, alzando la testa per fronteggiarlo.
 «Oh, scusa, ti ci sei solo sdraiato sopra, hai ragione» commenta sarcastico. «Allora va bene.»
 «Guarda che poi sei tu che mi hai preso la mano, quando stavo per andarmene!»
 «Anche se fosse, io stavo dormendo, idiota! Magari sognavo chissà cosa e–»
 «Stavi facendo un incubo!» lo interrompi, alzando la voce per sovrastare la sua. «E ti agitavi come se fossi all’inferno… scusa se mi sono preoccupato!»
 «Non dovevi impicciarti!» ribatte lui, urlando ancora più forte. «Avere un bel faccino non ti dà nessun cazzo di diritto di prenderti certe confidenze, vedi di ricordartelo, moccioso!»
 «Vaffanculo, Logan!»
 E detto questo te ne vai senza dargli il tempo di aggiungere altro, ti infili le scarpe al volo ed esci nel chiarore dell’alba sbattendoti la porta alle spalle.
 Inizi a camminare verso il nulla, senza una meta precisa. Razionalmente lo sai che il tuo è un atteggiamento infantile e che prima o poi dovrai tornare indietro perché a piedi non puoi andare da nessuna parte, ma al momento non ti importa.
 Oltretutto, tra le altre cose, ti senti anche tremendamente stupido. Insomma, anche se non lo ammetti ad alta voce sei consapevole di essere nel torto e di aver fatto qualcosa di dannatamente imbarazzante, – oltre che profondamente sbagliato – e sai anche che, se un perfetto sconosciuto si fosse infilato senza permesso nel tuo, di letto, pure tu ti saresti incazzato a morte.
 Gemi sconsolato e ti siedi su un masso, prendendoti la testa tra le mani. Provi a dirti che sei pentito di quanto è successo, che si è trattato solo di un momento di follia da imputare all’insolazione e che mai e poi mai ripeteresti un simile errore… ma è tutto inutile. Perché, ora che la rabbia per la litigata si sta sopendo, quel senso irrazionale di protezione e tenerezza che ti ha trafitto il cuore quando Logan si è aggrappato a te nel sonno si riaffaccia nitido alle porte della tua coscienza.
E ti rendi conto che, se anche tornassi indietro, probabilmente lo rifaresti comunque.
 Alzi la testa per guardare l’orizzonte: nel cielo si stanno addensando nuvole nere come la pece.
Fantastico, ci mancava pure il temporale.[1]
 
 Senza neppure il cellulare con te non riesci a capire quanto tempo sia passato da quando hai fatto la tua uscita di scena in perfetto stile drama queen, ma i lampi sono sempre più frequenti e i tuoni sempre più forti.
La burrasca si sta avvicinando.
 Senti dei passi venire verso di te, ma non ti volti.
 «Tra poco si scatenerà il diluvio, qua fuori. Vieni in casa.»
 Non rispondi, Logan sospira e si avvicina ancora. Con la coda dell’occhio lo vedi chiudere gli occhi mentre si massaggia stancamente il collo, e all’improvviso sembra molto più vecchio della sua età.
 Ti si stringe il cuore.
Che cosa ti è successo, Logan?
 Come se avesse sentito i tuoi pensieri Logan comincia a parlare, lo sguardo fisso davanti a sé.
 «Hai detto che stanotte mi agitavo come se fossi all’inferno. Beh, ci avevi preso, in un certo senso.» Sospira profondamente, poi continua. «Io… io ero un soldato, anni fa. Uno di quelli che il governo utilizzava per le missioni speciali» ti rivela. «Ho ucciso e visto morire più persone di quante tu conoscerai mai in vita tua, così tante che non riesco a ricordare nemmeno metà dei loro volti. Poi, sei anni fa, mi sono congedato e sono venuto qui.» Si interrompe; una pausa molto lunga, tanto che cominci a chiederti se non dovresti essere tu, adesso, a dire qualcosa.
Sì, ma cosa?
 «Finché c’è stata Kayla…» riprende a sorpresa, e la sua voce finora atona trema d’emozione nel pronunciare quel nome «la mia ragazza… finché c’era lei gli incubi si erano un po’ calmati, ma dopo la sua morte non mi danno tregua» si blocca di nuovo, sospira ancora e finalmente si volta per incrociare i tuoi occhi. «E questo è tutto, ora vieni in casa.»
 Non hai avuto il coraggio di interrompere neppure una volta quel racconto surreale: hai ascoltato rapito Logan snocciolare tutta la sua storia con tono incolore, come se sperasse in quel modo di prendere le distanze dal suo passato.
E come dargli torto…
 Intanto Logan ti ha voltato le spalle senza aggiungere altro e sta tornando sui suoi passi.
 «Logan?» lo chiami d’istinto, la voce roca per essere rimasto in silenzio tanto a lungo.
 Lui non si gira, ma si è fermato e sai che ti sta ascoltando.
 «Grazie… per avermelo detto.»
 Non riesci a vedere la sua espressione, ma dopo qualche secondo lo senti sbuffare.
 «Muoviti, ragazzino» borbotta semplicemente. Poi riprende a camminare in silenzio, e ti ritrovi a sorridere senza un perché.
 
[So if you do like I do, so if you do like me.]
 
 Neanche il tempo di finire la doccia – quella che avresti voluto fare appena sveglio ma che è stata rimandata per cause di forza maggiore – che la tempesta preannunciata scoppia in tutto il suo catastrofico splendore. Gocce d’acqua grosse come pugni picchiano alla finestra del bagno sovrastando persino il rumore dei tuoi pensieri, e mentre finisci di asciugarti ti ritrovi a sbuffare divertito: hai beccato probabilmente l’unico giorno di pioggia del mese, forse persino dell’anno. Se non è sfiga questa…
 Ti lasci sfuggire una smorfia infastidita quando l’asciugamano sfrega contro la pelle arrossata del torace, ma per fortuna sembra che la scottatura stia finalmente regredendo – o, quantomeno, non fa male come ieri mattina.
 Ad ogni buon conto, dopo esserti rimesso boxer e pantaloni, prendi un po’ di doposole e te ne spalmi una quantità piuttosto generosa addosso. Massaggi delicatamente per farlo assorbire il più possibile e lavi via il residuo di crema dalle mani, appoggiandoti poi al lavandino… e qui ti blocchi. Osservi il tuo riflesso senza in realtà vederlo davvero, la mente proiettata un paio di stanze più in là, dove Logan sta finendo di preparare il brunch – l’ora della colazione ormai è passata da un pezzo.
 Sospiri a fondo, tanto da appannare appena la superficie fredda dello specchio.
Non avete più parlato, da quando siete rientrati in casa.
 Esiti ancora a lungo, mordicchiandoti il labbro, ma alla fine prendi il doposole ed esci dal bagno. Segui il profumo del bacon arrostito fino in cucina, e quando Logan si volta verso di te ti costringi a mettere in fila una sillaba dietro l’altra prima di perdere quella poca determinazione che sei riuscito a racimolare.
 «Ti dispiace?» gli dici soltanto, mostrandogli il flacone col fiato sospeso.
 Passa un secondo di silenzio, due, tre. E poi Logan ti sorride.
E tu ricominci a respirare.
 «Dai qua.»
 
 State finendo di mangiare quando un rumore decisamente inaspettato si fa strada tra lo scrosciare della pioggia e il rombo dei tuoni.
Un clacson.
 Vi scambiate qualche sguardo perplesso, colti di sorpresa, poi Logan si alza e si avvicina alla finestra per cercare di guardare fuori.
 «Ma chi è il coglione che vuole fare rifornimento con un tempo del genere?» sbotta, tenendo scostata la tenda perché anche tu possa vedere la sagoma di una macchina ferma davanti alla pompa di benzina.
 Ti stringi nelle spalle.
 «Magari un coglione che è rimasto a secco?» butti lì. Logan ti lancia un’occhiata assassina, così alzi le mani in segno di resa. «Dicevo tanto per dire, eh!» cerchi di blandirlo – un sorrisetto divertito che spunta non richiesto sul tuo viso e probabilmente vanifica ogni sforzo.
 Il coglione si attacca di nuovo al clacson, stavolta con più insistenza, e Logan – borbottando tra i denti qualcosa in cui riconosci “prezzo triplo” e un paio di insulti – prende la sua carta magnetica ed esce fuori.
 Lo segui con lo sguardo attraversare quel muro quasi compatto d’acqua fino al riparo della tettoia, e sogghigni della sua espressione furiosa mentre urla contro l’automobilista – alla faccia di quelli che “il cliente ha sempre ragione”.
 Scuoti la testa e lasci andare la tendina, allontanandoti dalla finestra per andare a recuperare un asciugamano in bagno: qualcosa ti dice che ne avrà bisogno.
 
 Qualche minuto dopo un Logan completamente fradicio e decisamente incazzato ritorna in casa e si toglie subito la maglietta zuppa, lanciandola da una parte. Poi prende l’asciugamano che gli hai portato – un “grazie” a mezza voce cui rispondi con un sorriso – e comincia ad asciugarsi.
 «Quel figlio di…» continua a imprecare, soffocando l’ennesima raffica di insulti nella stoffa.
 Sogghigni e ti avvicini per raccogliere la maglia da terra… ma poi Logan solleva le braccia per sfregare energicamente i capelli, e ci sono tre o quattro o forse cinque gocce ribelli che sfuggono alla prigionia del telo e scivolano lente sui bicipiti e poi sul torace, e sarebbe un sacrilegio non fermarsi a guardarle, e tu non hai nessuna intenzione di essere sacrilego. Le segui nella loro discesa, incapace di staccare gli occhi da quel corpo perfetto e pieno di cicatrici, e la mano quasi brucia dal desiderio di sfiorarle per sentire sotto le dita quella pelle innaturalmente liscia…
 «Ti sei incantato, ragazzino?» ti prende in giro Logan.
 Sbuffi e ti costringi a riportare lo sguardo sul suo viso – l’essere stato colto in flagrante ti turba così poco che forse dovresti preoccupartene.
 «Guardavo le tue cicatrici» ti giustifichi con aria innocente.
 «Oh, certo. Le cicatrici…»
 Incroci il suo sorriso malizioso e sorridi di rimando.
 «Ok, guardavo anche le cicatrici, contento?» ribatti, poi raccogli la maglietta e la porti in bagno nella cesta dei panni sporchi mentre lui va in camera a cambiarsi.
Lo senti ridacchiare lungo tutto il corridoio, e sorridi anche tu.
 
 La giornata è trascorsa senza altri incidenti, per fortuna, e mentre aspettate l’ora di andare a dormire chiacchierate del più e del meno seduti sul divano del soggiorno, con una birra ghiacciata a tenervi compagnia e una partita in TV che in realtà non interessa a nessuno dei due. Tra una cosa e l’altra gli racconti che sei di Layton, Utah, e che ti eri messo in viaggio per andare a trovare la tua fidanzata a Los Angeles.
 «E lei come l’ha presa sapendo che sei bloccato qui?»
 «Non lo sa. Tanto lei questo fine settimana è andata a San Francisco per lavoro, non avremmo potuto vederci comunque» aggiungi, in sottofondo una nota amara che proprio non riesci a nascondere. «E poi non lo sapeva che sarei venuto in moto, quindi è bastato dirle che non ero all’aeroporto per farla stare tranquilla.»
 Logan ti guarda inarcando un sopracciglio.
 «Racconti spesso balle del genere alla tua ragazza?»
 «Tecnicamente ho soltanto omesso parte della verità, non ho mentito» ribatti prontamente.
 Lui sorride divertito, scuotendo la testa.
 «Che faccia da schiaffi…» borbotta tra sé.
 «Ma come? Pensavo di avere un bel faccino…» lo prendi in giro.
 Per un attimo hai paura di aver esagerato, – dopotutto le circostanze in cui ti ha fatto quella specie di complimento non erano certo tra le più felici – invece Logan sorride malizioso.
 «Hai anche un bel culo,» ti risponde per le rime «ma non mi sembra il caso di vantarsene.»
 
 Sono appena passate le undici, quando Logan si alza in piedi.
 «Ok, direi che si è fatto abbastanza tardi… io vado a letto» ti saluta, soffocando uno sbadiglio nel palmo della mano. Poi però si gira a guardarti e sogghigna. «Credi di poter resistere senza di me fino a domattina o conti di farmi un’altra improvvisata notturna?»
 «Vuoi dire che stavolta avrei il tuo benestare?» lo provochi. Il suo sorriso si amplia.
 «Beh, ragazzino… se ci tieni tanto a infilarti nel mio letto non vedo perché continuare a impedirtelo.»
 Sbuffi e alzi gli occhi al cielo – pregando tutti gli dei esistenti di non essere arrossito.
 «Buonanotte, Logan.»
 Lo guardi sparire lungo il corridoio mentre un crescente senso di inquietudine ti si espande in petto.
 Chissà se avrà di nuovo quegli incubi… chissà se tu lo sentiresti, se così fosse.
Chissà se lui ti vorrebbe al suo fianco, se succedesse.
 Sospiri e abbandoni la testa sullo schienale alle tue spalle. Per un lungo, lunghissimo istante sei davvero tentato di alzarti e raggiungerlo, accettando il suo implicito invito… poi la ragione ha la meglio.
 Sospiri di nuovo, spengi la televisione e ti metti comodo, preparandoti a quella che probabilmente sarà un’altra notte insonne.
 
Un sorriso autoironico ti sale spontaneo alle labbra.
Come diamine hai fatto a non capire subito quello che ti stava succedendo?
 Scuoti la testa divertito e finisci di sistemare il colletto della camicia che hai appena piegato, poi la aggiungi agli altri vestiti.
 In effetti, però, per come sei tu probabilmente sarebbe stato strano il contrario. Insomma, i “colpi di fulmine” esistono solo nelle favole che si raccontano ai bambini, giusto? Gli adulti sono – dovrebbero essere – abbastanza maturi da capire che ci vuole tempo e fatica per conoscere davvero una persona, che un rapporto va costruito giorno per giorno e che quella presunta chimica che provoca le fantomatiche scintille tra due sconosciuti è solo una balla che gli adolescenti si raccontano per giustificare le prime crisi ormonali.
O, almeno, così hai sempre creduto… prima di Logan.
 Sorridi ancora, accarezzando distrattamente la fede al tuo anulare. Sai di sembrare una ragazzina alla prima cotta, eppure non puoi davvero farne a meno, perché ripensare a quel vostro primo incontro sta riportando a galla tutte quelle sensazioni che credevi di avere ormai dimenticato. Perché Logan è entrato subito nella tua mente e nel tuo cuore, deciso e arrogante come solo lui sa essere… ma anche con quella gentilezza che nasconde con cura a tutto il resto del mondo, e che ti ha impedito di accorgertene fino a quando non era ormai troppo tardi.

 
 Ci metti un po’ – un bel po’, in effetti, a capire che quella sgradevole sensazione di freddo e umido sul viso non fa parte del sogno confuso che stavi facendo. Apri gli occhi di scatto, col cuore in gola… e vedi Logan ghignare divertito con un bicchiere d’acqua mezzo vuoto in mano – probabilmente è da lì che viene quella che ti ha svegliato.
 «’Fanculo, Logan» mugugni con voce impastata.
 «Buongiorno a te, principessa» ribatte lui.
 Gli tiri una cuscinata poco convinta che Logan evita ridacchiando, poi batte un paio di volte sullo schienale del divano.
 «Dai! Muovi il culo, ragazzino» ti esorta. «Il sole è già alto da un pezzo.»
 Getti un’occhiata alla finestra mentre ti stiracchi. Ha ragione: anche attraverso la tenda si vede passare una luce che certamente non è quella fioca dell’alba.
 «La cucina chiude tra dieci minuti!» urla Logan dal corridoio.
 Sbuffi, ti stropicci gli occhi e ti costringi ad alzarti in piedi.
 «Arrivo, arrivo…» borbotti, arrancando verso il bagno per svuotare la vescica e farti una doccia veloce – velocissima, vista la scarsa pazienza del tuo ospite.
 Non ti pesa alzarti presto di solito, – che poi tanto presto non è visto che sono le nove meno dieci – ma stanotte hai dormito molto poco e molto, molto male.
E, no, stavolta la scottatura non c’entra niente.
 Entri in cucina sospirando pesantemente e vai a sederti al tavolo già apparecchiato con piatti, posate, pane tostato e caffè. Te ne versi una dose abbondante e cominci a sorseggiarlo mentre osservi distratto Logan finire di cuocere le uova e il bacon; lui invece sembra in ottima forma… probabilmente perché per una volta non ha avuto incubi.
O almeno non li ha avuti fin quasi alle cinque, quando ti sei finalmente addormentato.
 Sei a metà della tua tazza quando ti rendi davvero conto che Logan è venuto a svegliarti apposta per fare colazione insieme a te.
 Ti blocchi con la mano a mezz’aria, lasciando che quel pensiero rimbalzi qua e là nella tua testa ancora annebbiata dal sonno.
 «Che hai da sorridere?»
 Ti riscuoti in fretta al suono di quella voce e ti stringi nelle spalle – senza smettere di sorridere.
 «Niente. Pensavo che oggi è una bella giornata.»
 Logan ti guarda confuso un momento ancora, poi sorride anche lui e comincia a servire la colazione a entrambi.
 «Sei un tipo strano, tu» ci tiene comunque a precisare.
 
 Quando – dopo aver ripulito la cucina– vai in bagno a rimetterti il doposole, lo fai più per abitudine che per vera necessità visto che ormai la pelle non brucia più quasi per niente. Logan aspetta sulla soglia finché non hai finito e poi si avvicina in silenzio, prende un po’ di crema e inizia spalmartela sulla schiena senza nemmeno chiedertelo.
Sì, forse il motivo è anche questo.
 Socchiudi gli occhi e ti godi il massaggio di quelle mani forti e sicure – lunghe carezze che ormai ti sono familiari, ma cui al tempo stesso non riuscirai mai ad abituarti del tutto.
 E poi, lentamente, quelle mani scendono fino ad appoggiarsi sui tuoi fianchi, e il respiro di Logan si fa straordinariamente vicino. Trattieni istintivamente il tuo mentre Logan ti sfiora il collo con il naso, inspirando profondamente.
 «Questa roba profuma ancora…» soffia sulla tua pelle.
 E sai che anche tu dovresti dire qualcosa, ma all’improvviso è come se ti fossi scordato come si fa a parlare. Ingoi a vuoto e cerchi invano di ritrovare la voce dietro i mille brividi che ti stanno attraversando… e poi il tuo telefono si mette a squillare.
Jean.
 Lo fissate entrambi per un paio di secondi, immobili.
 «È la tua ragazza?» ti chiede Logan, cercando il tuo sguardo nello specchio. Annuisci, lui abbozza un sorriso storto. «Allora dovresti rispondere» sussurra, allontanandosi da te.
 Domini a stento l’impulso di trattenerlo, – l’assenza delle sue mani è quasi insopportabile – ma lo segui comunque con lo sguardo fino a quando non sparisce dalla tua vista.
 Intanto il cellulare ha smesso di suonare – comprensibile visto quanto ci hai messo a ritrovare la lucidità.
 Lo guardi a lungo, pensieroso, consapevole che se avesse aspettato solo altri due minuti tu e Logan forse… forse…
 Scuoti la testa e ti affretti a sbloccarlo per poter richiamare Jean.
 Se fossi un tipo superstizioso crederesti che è stato il destino a fare in modo che proprio lei interrompesse quel momento… invece la parte razionale del tuo cervello ti ricorda che è da ieri che tu e Logan flirtate senza ritegno, quindi era piuttosto scontato che prima o poi succedesse una cosa del genere: non è il karma, si chiama “legge dei grandi numeri”.
 
 «Stavo pensando… è sempre valida la tua proposta?»
 Ti volti stranito verso Logan, e se non ti strozzi con l’acqua che stavi bevendo è solo perché ormai lo conosci abbastanza da non stupirti di queste sue uscite. Non troppo, almeno.
 «Non volevi darmi una mano coi clienti?» aggiunge con tono innocente in risposta al tuo sguardo perplesso – e se non sogghignasse a quel modo forse potrebbe anche essere credibile. Forse.
 Quella risposta porta con sé un misto di sollievo e delusione cui non hai voglia di dare spiegazioni; ad ogni buon conto, alzi gli occhi al cielo.
 «Già, ma tu avevi detto di non volermi tra i piedi, se non sbaglio» lo rimbecchi acido.
 Logan sorride malizioso.
 «Potrei aver cambiato idea.»
 Tuo malgrado sorridi anche tu, ma non gli dai la soddisfazione di cedere.
 «Allora?» ti incalza Logan.
 «Allora cosa?»
 «Mi dai una mano coi clienti mentre riparo la tua moto?»
 Ecco, ora che sei davvero confuso.
 «Ma il pezzo di ricambio?»
 «È arrivato mentre eri ancora nel mondo dei sogni.»
Oh.
 «Hanno fatto presto» commenti tra te e te.
 «Il rivenditore è un mio amico» ti spiega. «Gli ho detto che era urgente e lui ha mandato subito qualcuno.»
 Annuisci pensieroso, lo sguardo rivolto al garage dove la tua bambina sta dormendo da venerdì.
 Dio, davvero sono passati soltanto tre giorni? Ti sembra quasi di essere qui da sempre.
E invece sei solo un intruso in questo posto fuori dal tempo e dallo spazio, e tra poco dovrai andartene e ritornare nel mondo caotico da cui provieni…
 «Senti, non importa. Lascia stare.»
 La voce seccata di Logan ti strappa da quella riflessione malinconica e ti volti subito verso di lui.
 «Non ho detto di no» gli fai presente.
 «Non hai detto niente» ribatte lui, allontanandosi verso la pompa di benzina.
 Alzi gli occhi al cielo sbuffando esasperato, – certo che è permaloso, a volte – ma comunque ti affretti a raggiungerlo.
 «Allora, mi insegni come funziona?» gli chiedi, appoggiandoti alla colonna delle carte magnetiche.
 «No.»
 Sogghigni e ti avvicini di un passo.
 «Nemmeno se te lo chiedo per favore?» insisti, sfiorandogli il petto in punta di dita.
 Gli occhi di Logan brillano di malizia e divertimento, e nell’arco di due secondi anche la sua espressione si distende completamente.
 «Dannato moccioso» borbotta tra i denti – e intanto tira fuori la sua tessera dalla tasca dei jeans.
 Sorridi: c’è voluto anche meno del previsto.
 
[Forget the cage, ‘cause we know how to make the key.]
 
 I pantaloni che ti ha prestato Logan sono troppo larghi e rischiano di lasciarti letteralmente in mutande da un momento all’altro, ma a quanto pare i tuoi vestiti erano “troppo da damerino” per lavorare qui. Sbuffi infastidito e li tiri su per l’ennesima volta mentre senti Logan – lo stronzo – ridacchiare dal garage dove sta riparando la tua moto. Lo ignori.
 «Poso fare altro, per voi?» domandi alla ragazza al volante mentre metti a posto il tubo del diesel.
 La vedi scambiarsi un’occhiata furtiva e un sorriso complice con l’amica al suo fianco, ma per fortuna non commenta. Ti chiede il totale, paga con carta di credito – i tasti del terminale sono così consunti che per inserire il pin le ci vogliono tre tentativi – e poi ti saluta con un ultimo sorriso vagamente malizioso.
 La polvere dietro di loro non ha nemmeno finito di posarsi del tutto che la voce di Logan si fa strada attraverso il piazzale ora deserto.
 «Posso fare altro per voi, belle signore?» ti scimmiotta. «Di’ un po’, ragazzino, ma ce la fai a essere un po’ più ambiguo?»
 Ti prendi il mento tra due dita e fingi di pensarci su.
 «Uhm… beh, considerando che devo lavorare tenendo in mano un grosso tubo di gomma non dovrebbe essere difficile» rispondi col tono più fintamente innocente del tuo repertorio. «Dici che dovrei provare?»
 Logan sogghigna divertito.
 «Se riesci a farti pagare un extra fa’ pure» ribatte, tornando a concentrarsi sul suo lavoro.
Ok, uno a zero per lui.
 
 A metà pomeriggio, per combattere il caldo, Logan ti chiede di prendere dalla cucina una vaschetta di gelato mentre lui finisce quel qualcosa che non può essere rimandato – ha borbottato a mezza voce una spiegazione più precisa, ma non sei riuscito a capirla – prima di concedersi una meritata pausa.
 In freezer ci sono soltanto limone e caffè – accoppiata quanto mai insolita, ma cerchi di soprassedere – e li tiri fuori entrambi per farne delle coppette miste… ma prima che tu possa anche solo prendere i cucchiai lo strombazzare di un clacson attira la tua attenzione.
 «Arrivo!» urli alla finestra aperta, uscendo di nuovo nella calura di luglio.
 
 Alla fine la famosa pausa riuscite a prendervela soltanto verso sera, quando rientrate per preparare la cena: i clienti si sono susseguiti l’un l’altro senza darvi tregua, tanto che Logan ha dovuto smettere di lavorare alla tua moto e occuparsi del distributore insieme a te per evitare che si creassero delle code.
 «C’è spesso un’affluenza del genere?» gli chiedi mentre vi avviate in cucina.
 «Solo subito prima e subito dopo le feste importanti.»
 Ci metti un paio di secondi a capire a cosa si riferisce, poi realizzi che giorno è oggi.
 «Giusto, domani è il quattro luglio…» rifletti ad alta voce.
 Logan annuisce e va verso il lavandino mentre tu apri il frigorifero per prendere l’acqua.
 «Ohi, ragazzino!» ti chiama.
 Ti volti a guardarlo interrogativo… e vedi che sta indicando le due scatole di quello che un paio d’ore fa era gelato.
 «Oh, cazzo, me l’ero dimenticato!» esclami, avvicinandoti per osservare meglio quel piccolo disastro.
 «No, davvero?» ti sfotte Logan, poi prende un cucchiaino per assaggiare la poltiglia al caffè. «Vabbè dai, il sapore è ancora buono. Non molto gelato, ma buono» aggiunge con un sorrisetto.
 «In effetti adesso è più tipo frappè» commenti, prendendo la scatola di quello al limone. Poi, come per avvalorare la tua tesi, te la porti al viso e inizi a bere direttamente dal bordo.
Pessima, pessima idea.
 «Ma porca…!»
 Logan è piegato in due dalle risate mentre tu cerchi di ripulirti alla meno peggio dalla valanga di gelato-non-gelato che ti è caduta prima in faccia e poi sul collo e sul petto.
 «Non c’è niente da ridere…» borbotti, prendendo una manciata di tovaglioli per arginare il danno… anche se probabilmente ti ci vorrà una doccia per toglierti di dosso tutto questo appiccicume.
 Intanto Logan ha smesso finalmente di ridere – ma non di sogghignare – e si è avvicinato a te.
 «Sei ancora sporco» ti dice.
 Ti strofini di nuovo bocca e collo, ma Logan scuote la testa.
 «No, non lì…» sussurra. «Qui.» E detto questo allunga la mano verso di te e, lentamente, ti passa il pollice sulla guancia.
 Lo guardi inebetito mentre lui ti sorride malizioso, e sai che si porterà quel dito alle labbra solo per il gusto di provocarti… ma non gliene lasci il tempo: gli prendi rapido il polso e lo tiri verso di te.
 E sei tu a metterti il suo dito in bocca, suggendolo piano per liberarlo da ogni traccia di dolce.
 Logan ti guarda ad occhi sgranati, come ipnotizzato, e sei quasi certo che abbia persino smesso di respirare. Lambisci la sua pelle con la lingua un’ultima volta e lasci andare la sua mano – che scivola fuori dalle tue labbra con estrema lentezza.
 «Comunque il sapore non è male» gli dici con nonchalance. «Ti dispiace se vado a sciacquarmi un attimo?» aggiungi subito dopo. «Poi torno e ti aiuto con la cena.»
 Logan si riscuote da quella specie di trance in cui era caduto e si schiarisce la gola.
 «Sì… certo. Vai pure.»
 «Faccio veloce» lo rassicuri mentre sei già sulla porta dalla cucina, ansioso di sparire dalla sua vista prima di perdere quella faccia da poker che non hai la minima idea di come sei riuscito a mantenere così a lungo.
 Ti appoggi al lavandino del bagno col cuore che batte come se stesse cercando di schizzarti fuori dal petto e ti guardi allo specchio. Una risatina isterica vibra nell’aria quando incroci il tuo sguardo sconvolto: insomma, va bene che non stavi precisamente ragionando col “cervello superiore”, ma… Diamine! Neanche fossi in un dannato porno!
 Ti lavi mani, collo e faccia, sciacquandoti con l’acqua fredda fino a quando non riesci a calmarti. E poi, col viso nascosto nell’asciugamano, sorridi di nuovo ripensando all’espressione completamente ammaliata di Logan.
Forse sarà un ricordo di cui ti vergognerai per il resto dei tuoi giorni… ma ne è valsa decisamente la pena.
 
 Quando il suono degli stessi lamenti dell’altro ieri ti raggiunge oltre la nebbia del dormiveglia, ti alzi in piedi in meno di un secondo, come se inconsciamente lo stessi aspettando. Senza neppure accendere la luce percorri il corridoio fino alla stanza di Logan, bussi un paio di volte consapevole che lui non ti sentirà, e subito dopo – anche se il buonsenso vorrebbe il contrario – abbassi la maniglia per entrare.
 Il letto di Logan è illuminato solo dalla luna, e in quel chiarore lo vedi agitarsi con un’espressione così sofferente che ti stringe il cuore. Ti richiudi la porta alle spalle e ti avvicini fino a raggiungerlo, scuotendolo delicatamente per svegliarlo mentre sussurri il suo nome.
 Alla fine, Logan solleva faticosamente le palpebre. Gli sorridi rassicurante.
 «Stavi facendo un altro incubo» gli spieghi mentre lui si stropiccia gli occhi.
 Quando torna a guardarti sembra un po’ più cosciente, anche se ancora intontito dal sonno.
 «Scusa, ti ho svegliato…» mormora con voce arrochita.
 Scuoti piano la testa, continuando a sorridere.
 «No, tranquillo… ero ancora sveglio.»
 Logan annuisce senza rispondere e si sistema meglio sul cuscino.
 «Dormi qui?» ti chiede, ed è una proposta così innocente e naturale che non riesci a rifiutarla.
 «Fammi spazio» ribatti soltanto, prima di sdraiarti al suo fianco.
 
Accarezzi con gli occhi e con le dita il vecchio tessuto ormai consunto dei jeans che ti ha prestato Logan quel primo giorno, e che – con l’aggiunta di una cintura – sono diventati parte della tua divisa da lavoro “ufficiale” fino a quando non ti sei deciso ad andare nella tua vecchia casa per recuperare le tue cose – e il resto del tuo guardaroba.
Decisione che ha richiesto un tempo sorprendentemente lungo, dato che la sola idea di separarti da Logan per più di qualche ora ti faceva stare più male di quanto fossi disposto ad ammettere persino con te stesso.
 Scuoti la testa con un sorrisetto e li ripieghi con cura prima di sistemarli in cima a tutto il resto, poi spunti anche quella voce dalla lista.
La cosa bella è che alla fine hai scoperto che Logan aveva già programmato di chiudere il distributore per un paio di giorni e venire insieme a te.
 Ricontrolli ogni singolo capo in valigia, assicurandoti di non aver tralasciato nessun punto del tuo elenco. Ottimo: i vestiti sono ufficialmente finiti, e hai ancora abbastanza spazio per metterci le ultime cose senza ricorrere a una seconda borsa.
 Ti guardi intorno sorridendo soddisfatto… ma il sorriso si fa incerto quando ti rendi conto che ogni singolo oggetto su cui si posa il tuo sguardo è un ricordo che vorresti portare con te.
 Sospiri sconsolato, bevi gli ultimi sorsi di tè ormai non più tanto freddo e inizi a fare mente locale.




















 
[1] So per certo che persino nel deserto a volte ci sono temporali, anche se non riesco a trovare dettagli più specifici su intensità e durata. È vero che solitamente si concentrano verso la fine della stagione invernale, ma possono esserci delle eccezioni.

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Capitolo 3
*** III parte: martedì e mercoledì ***


Angolino dell'autrice

Salve gente! ^^
Eccezionalmente pubblico l'ultimo capitolo (perché, sì, è proprio l'ultimo) con un giorno di anticipo perché non so se domani riuscirò ad avere internet, e mi sentirei terribilmente in colpa a farvi aspettare più del necessario!

Anche stavolta lascerò che sia il capitolo a parlare da solo, io mi limito a ringraziare di cuore MyThyla
 che ha recensito lo scorso capitolo e anche tutti voi che seguite la storia. Spero tanto che continui a piacervi ^^

Disclaimer: i personaggi e la storia di X-Men non mi appartengono e non ci guadagno nulla di materiale a scriverci su.

Buona lettura a tutti! ^_^


Titolo storia: Semplicemente sei
Fandom: X-Men (film)
Personaggi e pairing: James 'Logan' Howlett (Wolverine), Scott Summers (Ciclope), Logan/Scott
Pacchetto (e cosa avete utilizzato): America (estate, festa dell?indipendenza, stelle)
Introduzione storia: Scott sta preparando la sua valigia e, tra un vestito e l?altro, si crogiola nei ricordi. Ricordi di un passato che sembra tanto vicino da poterlo toccare, quando per colpa di un guasto alla moto è rimasto bloccato nel bel mezzo del nulla… costretto a rimanere ospite per giorni di un burbero benzinaio/meccanico di nome Logan. Era successo per caso, in un pomeriggio che avrebbe dovuto essere solo uno tra tanti altri: l’attimo prima guidavi tranquillo lungo la strada che ti avrebbe portato dalla tua ragazza, quello dopo la tua vita era cambiata per sempre – senza averlo voluto, senza averlo cercato, senza aver potuto fare nulla per impedirlo.
Note autore: modern!AU senza poteri; inframmezzate al testo ci sono delle frasi [tra parentesi quadre], tratte dall?ultima strofa della canzone “The Other Side”, di The Greatest Showman; l?ho scelta perché credo che sia perfetta per questa storia (e perché in questo periodo ne sono ossessionata), ma sono frasi usate più che altro come espediente per suddividere i paragrafi, quindi non si tratta di una song-fic; altre note alla fine.

Semplicemente sei

III parte: martedì e mercoledì

 All’inizio è solo un leggero fastidio, il naso che si arriccia per protesta all’interruzione della quiete che fino ad ora aveva cullato il tuo sonno. E poi, lentamente, alcuni rumori fanno breccia nella tua coscienza ancora mezza addormentata: le molle del materasso che cigolano piano, lo strusciare di qualcosa sul pavimento, uno sportello che si apre.
 Sollevi lentamente le palpebre e le sbatti un paio di volte per snebbiare la vista sulla sagoma di un uomo che, chino sul comodino a fianco del letto, ne sta richiudendo il cassetto con una lentezza esasperante, probabilmente per non disturbarti. Quel pensiero ti fa sorridere.
 «Logan?» lo chiami con voce impastata. Lui si volta e ti sorride a sua volta.
 «Scusa,» mormora «non volevo svegliarti.»
 Annuisci appena, gli occhi pesanti.
 «Mmm… ’e ore shono?» mugugni, il viso mezzo affossato nel cuscino.
 «È presto… dormi un altro po’.»
 La sua voce è un sussurro ipnotico; sospiri.
Sì, non è una cattiva idea…
 Subito prima di scivolare di nuovo nel mondo dei sogni, delle dita gentili ti scostano i capelli dalla fronte con una carezza così lieve che la percepisci a malapena.
 
 Ti risvegli col profumo del caffè appena fatto nell’aria e l’appagante sensazione di aver dormito come si deve per la prima volta da giorni… forse anche perché il letto di Logan è molto più comodo del suo divano.
O forse perché Logan stesso è una compagnia molto migliore dei tuoi pensieri.
 Sorridi tra te e ti stiracchi pigramente, avviandoti con tutta calma prima in bagno e poi verso la cucina.
 Quando arrivi, Logan sta sbattendo le uova in una ciotola con tanto impegno che non si accorge minimamente di te. Sorridi e ti prendi qualche momento per osservarlo: ha ancora i capelli un po’ umidi per la doccia, ma addosso la stessa maglietta spiegazzata che usa come pigiama.
Lo dicevi, tu, che è un tipo strano.
 Sorridi di quel pensiero, ma è un sorriso venato dalla tenerezza che il ricordo di stanotte – e di stamani – porta con sé… ma poi Logan alza gli occhi fino ad incrociare i tuoi, e allora ti riscuoti da quella specie di contemplazione e ti avvicini al tavolo.
 «Buongiorno» lo saluti con un sorriso. «Serve una mano?»
 Sorride anche lui, ma scuote la testa.
 «Ho praticamente finito… sarei venuto a svegliarti tra poco.»
 Annuisci e cominci ad apparecchiare in silenzio, godendoti quella vostra piccola routine mattiniera. D’un tratto, però, lo sguardo ti cade sul calendario appeso alla parete.
 «Ti vanno i pancake?» gli domandi a bruciapelo.
 Logan ti fissa perplesso un momento, ma poi si stringe nelle spalle.
 «Sì, perché no» risponde tranquillamente. «Farina e zucchero sono in dispensa, il resto in frigo.»
 Tiri fuori ciotole e padella e inizi a racimolare tutti gli ingredienti.
 «Come mai questa voglia improvvisa?» ti chiede la voce divertita di Logan mentre sei alla ricerca del burro. «Carenza d’affetto?» insinua con un sorrisino malizioso.
 Gli sorridi di rimando, ma ignori quest’ultima postilla.
 «Beh, è la Festa dell’Indipendenza… mi sembrava giusto fare qualcosa di speciale» gli spieghi con semplicità.
 Lo sbuffo di Logan è più forte del solito e ti volti a guardarlo interrogativo, poi sogghigni.
 «Tu non sei molto patriottico, eh?» lo prendi in giro.
 «Il mio vecchio lavoro me l’ha reso impossibile» ribatte lapidario.
 Ti congeli sul posto, mortificato per quella gaffe, ma prima che tu abbia il tempo di scusarti – o anche solo di cambiare argomento – Logan abbozza un sorriso.
 «Però è una vita che non rimangio i pancake» aggiunge impacciato. «Quindi…»
 Lascia la frase in sospeso senza concluderla, ma dopotutto non c’è bisogno che dica altro.
 «Capito, via» borbotti con finta insofferenza – senza però sforzarti di trattenere un sorriso. «Faccio doppia dose.»
 
“Je mi ha detto che alla fine non sei andato a LA da lei… certo che potevi anche sforzarti di dirmelo tu sai? Comunque oggi ti aspetto qui da noi. Niente scuse. Non voglio che passi il 4 luglio da solo.”
 Sospiri e ti passi le dita tra i capelli, imprecando mentalmente contro l’eccessiva premura della tua migliore amica. Non che la cosa ti dispiaccia, beninteso, ma a volte Ororo è davvero troppo protettiva.
 Sospiri ancora e ti guardi intorno cercando l’ispirazione giusta per rispondere a quel messaggio con qualcosa di abbastanza credibile da riuscire a tranquillizzarla – e a impedirle di tormentarti ancora, magari.
 Fuori dalla finestra vedi Logan finire di aprire il distributore e poi dirigersi verso il garage, probabilmente per riprendere ad aggiustare la tua moto. Sorridi.
“Non ti ho chiamato perché comunque le ferie ormai le avevo prese e allora le ho usate per andare a trovare un amico fuori città. Ora sono qui da lui. Ci vediamo quando torno ok? Saluta tutti”
 Invii la risposta e rimetti il telefono in tasca, poi ti metti i vestiti “da lavoro” e raggiungi Logan – che nel frattempo ha già tirato fuori quel che gli occorre per cominciare.
 «Sai, stavo pensando…» inizi con tutta la nonchalance che riesci a racimolare. «Beh, oggi è festa nazionale, e lo so che a te non interessa,» aggiungi in fretta, mettendo le mani avanti «ma se ti facessi lavorare anche oggi poi dovrei pagarti gli straordinari, quindi… ecco, perché non ti prendi un giorno di pausa?»
 Il discorso è appositamente contorto, anche se forse un filo di più di quanto avevi programmato; una squallida scusa per chiedergli di passare la giornata insieme ma allo stesso tempo dargli il modo di rifiutare senza mettervi entrambi in imbarazzo – non troppo, almeno.
 Logan ti guarda attentamente per qualche lungo secondo, studiando la sua espressione, poi sbuffa in modo così teatrale da farti sorridere.
 «Tsk, e io che speravo di fare qualche soldo in più» borbotta, alzandosi per rimettere via gli attrezzi.
 
 In definitiva alla fine non fate niente di che, – due chiacchiere, una birra fredda, qualche svogliata partita a carte tra un cliente e l’altro – ma è quel “niente di che” che ha il sapore della quotidianità, e che ti scalda dentro con un tepore che non ha nulla a che vedere col sole di luglio.
E poi, ovviamente…
 «Ora ci starebbe bene un bel gelato» ti provoca Logan dopo aver lanciato la lattina vuota nel cestino lì a fianco.
 Alzi un sopracciglio e sorridi ironico.
 «Ora sei tu quello in carenza di affetto?»
 Logan esita giusto il tempo di una pausa strategica, poi sorride malizioso.
 «Se ti dicessi di sì cosa faresti?»
… ovviamente anche questo, ormai, fa parte della quotidianità.
 
[Oh, damn, suddenly we’re free to fly…]               
 
 La sera arriva in punta di piedi, senza nessun avvenimento degno di nota, e dopo aver messo il lucchetto al cancello e sistemato anche l’ultimo cartello “Chiuso” rientrate in casa per cena.
 «Allora pizza?» ti chiede Logan, andando verso il congelatore.
 Annuisci e ti avvicini al forno, studiando qualche momento le manopole per capire come si accende.
 «A quanti gradi dev’essere? Quattrocento?» gli domandi da sopra la tua spalla. Lui gira la scatola e controlla.
 «Tra i trecentonovanta e i quattrocentotrenta 
[1]» legge. «Fai quattrocentodieci e non ci si pensa più.»
 Sogghigni e imposti il forno alla temperatura mediana, poi cominci ad apparecchiare.
 «Mangiamo fuori, ti va?» ti propone Logan all’improvviso, fermandoti con le tovagliette a mezz’aria.
 Non esiti neppure un secondo: ti piace fin troppo l’idea di cenare sotto le stelle con lui.
 «Certo, perché no» accetti con un sorriso. «Come mai questa novità?» gli chiedi poi, tanto per chiacchierare.
 Per qualche motivo, quella domanda sembra metterlo a disagio – anche il sorriso che ti fa è strano, ma strano “come” non sapresti dirlo.
 «Beh, è una bella serata… e forse potremmo anche vedere i fuochi d’artificio di qualcuno più patriottico di me» commenta con autoironia. Abbozzi un sorriso ma non ribatti: qualcosa ti dice che non ha finito.
E che la seconda parte probabilmente non ti piacerà.
 «E poi… questa è la tua ultima sera qui» riprende infatti Logan, accentuando quel sorriso strano – è un sorriso triste, ora lo riconosci. «La tua moto è praticamente pronta, domani potrai ripartire.»
 Il groppo che ti chiude la gola, a quelle parole, ti coglie così di sorpresa da impedirti quasi di respirare. Logan continua a guardarti in silenzio, studiando la tua espressione, e allora ti sforzi di sorridergli come se nulla fosse.
 «Ok» sussurri con un filo di voce. «Io… ti serve una mano a portare fuori il tavolo?» gli chiedi, indicandolo con un cenno.
 Logan scuote piano la testa.
 «No, in garage ho uno di quelli da pic-nic» ti spiega, la voce forzatamente naturale. «Gli do una pulita e usiamo quello.»
 «Bene» commenti.
 «Bene» risponde lui. E dopo qualche altro secondo di imbarazzata impasse, ti fa un ultimo mezzo sorriso ed esce dalla cucina.
 Aspetti quel tanto che basta per essere sicuro che non torni indietro, poi ti appoggi al bancone alle tue spalle e chiudi gli occhi, respirando a fondo per riprendere il controllo. Dopotutto è ridicolo reagire così… insomma, lo sapevi fin dall’inizio che questo tuo soggiorno improvvisato sarebbe finito presto; anzi, dei due è strano che sia durato così a lungo, perché in definitivaLogan doveva cambiare soltanto il radiatore, non fare la revisione completa della tua moto.
Lo sapevi, certo, ma hai scelto di non pensarci.
 Una smorfia amara ti si disegna spontanea sulle labbra: sei diventato dannatamente bravo a non pensare agli argomenti scomodi.
Il giorno della tua partenza, la realtà che ti aspetta a centinaia di miglia da qui… la tua fidanzata.
 La luce rossa del forno si spenge, segnalando il raggiungimento della temperatura giusta, così tiri fuori le pizze dalla scatola e le metti a cuocere impostando il timer su dieci minuti.
Tic tac, tic tac, tic tac.
 Il suono del conto alla rovescia è insieme ipnotico e inquietante, e il collegamento al poco tempo che ti rimane da trascorrere in questo posto – con Logan – è così immediato da far male. Osservi la manopola girare lentamente – nove minuti e mezzo… nove… otto… – fino a che qualcosa non scatta dentro di te: un interruttore che neppure sapevi di avere, quel vaffanculo che tante volte avresti voluto gridare al mondo quando tutto diventava troppo, ma che ti sei sempre tenuto dentro perché i bravi ragazzi fanno così.
 Stasera no. Stasera non vuoi essere un bravo ragazzo: stronzo, ingenuo o egoista, forse; magari persino tutti e tre… ma lo scoprirai domani.
Stasera vuoi solo essere felice.
 
 Circondati dal buio della notte, appoggiati alla recinzione che delimita lo spazio privato da quello del distributore, vi lasciate cullare dal silenzio sonnacchioso del deserto. Fuochi d’artificio alla fine non ce ne sono stati, – o forse sì, ma erano troppo lontani per poterli distinguere dalla linea dell’orizzonte – in compenso, però, le stelle offrono uno spettacolo così bello da non farti rimpiangere minimamente le luci artificiali.
 «Dalle mie parti posso solo sognarmelo un cielo così…» sussurri a Logan – perché un’atmosfera così magica non va mai rovinata parlando ad alta voce.
 Lui ti sorride.
 «È uno dei pochi veri vantaggi del vivere lontani dal mondo civilizzato» mormora di rimando, tornando a guardare in alto.
 Nessuno dei due ha più fatto cenno alla tua prossima partenza, un tacito accordo che ha spazzato via quel velo di ghiaccio che aveva iniziato ad avvolgervi – e che minacciava di rovinare le vostre ultime ore insieme.
 Annuisci convinto, il mento ancora rivolto all’insù, e con lo sguardo perso nell’infinito ti senti così piccolo che farebbe quasi paura se non ti facesse stare così bene. In pace.
 Una stella più luminosa delle altre ammicca maliziosa in mezzo alle sue sorelle. Sorridi.
 «Quella è la Stella Polare, vero?» chiedi a Logan, indicandola con un dito.
 «Sì» conferma lui. «È
la punta dell’Orsa Minore» aggiunge, disegnando nell’aria una specie di arco. «Laggiù invece» continua, voltandosi un po’ verso sinistra «c’è l’Orsa Maggiore. E lì intorno ci sono il Dragone, la Giraffa e qualcos’altro che ora non mi ricordo.»
 Lo ascolti affascinato, ma non ti lasci sfuggire l’occasione di stuzzicarlo un po’.
 «Non ti facevo così intellettuale» lo prendi in giro, facendolo sorridere.
 «Conosco solo una costellazione o due» si sminuisce. «Nulla di che.»
 Ed è l’esitazione di un battito di ciglia, – il tempo di goderti qualche momento ancora la vista del suo profilo illuminato soltanto dal chiarore della luna– poi ti costringi a distogliere gli occhi da lui.
Gli occhi, ma non l’attenzione.
 «Qual è il Dragone?»
 «Quella specie di striscia tra l’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore» ti spiega. «La vedi?» ti chiede dopo qualche secondo – forse vedendoti perplesso – e ti ritrovi a negare con un sorriso imbarazzato.
 «Sono sempre stato una frana con queste cose» gli riveli.
 Logan però, contrariamente a quanto ti aspetteresti, non lascia cadere il discorso: si avvicina fino a mettersi alle tue spalle, allineando il viso al tuo, e poi ti indica di nuovo lo stesso gruppo di stelle di prima – solo che adesso sembrano completamente diverse.
 «Ecco, è quella lì. Ora la vedi?» soffia nel tuo orecchio.
 Sorridi e ti appoggi con la schiena contro al suo petto, e anche se, no, ancora non riesci a vedere niente di più che un sacco di puntini tutti uguali, quando Logan ti cinge la vita con il braccio che non è impegnato a indicarti il cielo ti dici che in effetti va benissimo anche così.
 «Oh, il Dragone, certo. Come no.»
 Le labbra di Logan sono così vicine che puoi quasi sentire il rumore del suo sorriso. Sorridi anche tu, di nuovo, e inclini la testa all’indietro voltandola verso di lui.
 «E le altre?» sussurri, solo per il gusto di guardarlo farti da insegnante ancora un altro po’.
 Logan inizia a indicarti una costellazione dopo l’altra, – la Lince, i Gemelli, Cassiopea… – ma ad un tratto lo vedi sorridere divertito.
 «Le stelle sono dall’altra parte, ragazzino» ti prende in giro, ma c’è così tanta tenerezza in quelle parole che sembra quasi un complimento.
 «Questo lo dici tu» ribatti con lo stesso tono, specchiandoti finalmente nei suoi occhi.
 Logan continua a sorridere di quel sorriso che ti piace da impazzire, e dopo un momento che sembra infinito comincia ad avvicinarsi lentamente, quasi volesse darti il tempo di cambiare idea, se lo volessi. Sorridi anche tu – allontanarsi adesso è un pensiero così assurdo da non esistere neppure – e per tutta risposta socchiudi gli occhi, mentre Logan ti sfiora piano il naso col suo prima annullare anche quell’ultima effimera distanza… e posare le labbra sulle tue. E sai bene, ormai, che Logan è un uomo burbero, irascibile e dai modi bruschi… eppure quel primo bacio è tra i più dolci che tu abbia mai ricevuto.
 Dolce ma troppo, troppo breve. Un misero assaggio del nettare che aneli da giorni, e che lungi dall’averti dissetato ti ha messo anzi ancora più sete. E così, quando Logan si allontana, ti rigiri nel suo abbraccio, gli prendi il viso tra le mani e lo baci di nuovo, attratto come una calamita dalle sue labbra. Lo senti sospirare sulla tua bocca per poi approfondire il bacio, stringendoti a sé come se ne andasse della sua stessa vita.
Questo è un bacio come si deve. Un lungo bacio passionale, languido e sincero, che ti manda il cuore in gola, le farfalle nello stomaco e in petto una voglia di lui difficile da frenare, e quando finisce Logan ti guarda con occhi lucidi e luminosi in cui leggi lo stesso desiderio che deve riflettersi nei tuoi… e poi scioglie l’abbraccio.
 «Si è fatto tardi…» borbotta con voce roca. «Meglio rientrare.»
 Lo guardi stranito.
 «Ma… perché?»
 Lui sospira senza rispondere, e allora insisti.
 «Logan, davvero–»
 «Senti,» ti interrompe stancamente «tu domani te ne tornerai dalla tua fidanzata, e io… magari ti sembrerà strano, ma io non voglio la scopata di una notte.»
 E detto questo ti volta le spalle e si incammina verso casa senza darti il tempo di ribattere alcunché.
 «E allora cosa vuoi?» gli urli dietro quando ormai ha raggiunto la porta d’ingresso.
 Logan si ferma, ma non si volta. Ti prudono le mani per la voglia che hai di raggiungerlo, strattonarlo per costringerlo a guardarti di nuovo e avere una fottuta risposta… ma invece resti dove sei, e poco dopo lui sparisce oltre la soglia, lasciandoti solo.
 
 Ti lasci sfuggire un profondo sospiro: in tutti questi anni di matrimonio, Logan non è cambiato di una virgola. Insomma, non hai mai preteso che vi scambiaste i diari segreti come due tredicenni, ma con lui certe volte anche solo parlare diventa un’impresa quasi impossibile.
 Spolveri con uno straccio umido i soprammobili e le cornici che hai deciso di portarti dietro – la scelta è stata più dura del previsto, ma sei riuscito a contenerti– e intanto ammetti con te stesso che tutto sommato alla fine non è poi una gran tragedia. Cioè, è dannatamente irritante, quello sì, ma… ma Logan è sempre stato un uomo più d’azione che di pensiero.
 E ha sempre preferito mostrarti quello che provava, piuttosto che dirtelo a parole.
 Avvolgi gli oggetti più fragili in degli asciugamani puliti e li sistemi in valigia tra i vestiti, sperando che superino il viaggio senza incidenti, poi ti guardi intorno un’ultima volta: vestiti, foto e soprammobili ci sono, manca solo… lei. La medaglietta militare di Logan, quella che ti ha regalato dopo quasi tre mesi di convivenza al posto di quel “ti amo” che aveva già nel cuore ma che non voleva proprio uscire dalle sue labbra – o almeno così ti ha confidato Logan al vostro quarto anniversario, dopo un bel po’ di alcol e un orgasmo coi fiocchi.
 Sorridi e ti avvicini per prendere il ciondolo che avevi appoggiato sul comodino, e che adesso – con i raggi del sole che lo colpiscono in pieno – brilla come di luce propria. Ne accarezzi dolcemente la superficie riscaldata, poi lo metti in tasca.
 Bene, ora dovrebbe essere davvero tutto.
O almeno lo speri.

 
 Il sole è già alto quando ti risvegli dal tuo sonno breve e tormentato. Recuperi il telefono e illumini lo schermo: sono le dieci e ventidue; a quest’ora sicuramente Logan è già fuori che lavora.
E non ti ha chiamato.
 Sospiri e rimetti il cellulare nello zaino, tornando a fissare apatico il soffitto; come stanotte. O stamani, forse. Non hai idea di che ore fossero quando il sonno ha finalmente avuto la meglio su di te, ma di certo era molto tardi – o molto presto, a seconda del punto di vista.
 Ti massaggi stancamente le tempie, imprecando contro tutti e nessuno – ma soprattutto contro te stesso, perché in fondo te la sei cercata, e lo sai – prima di sospirare di nuovo e deciderti ad alzarti dal divano.
 Dopotutto, ti dici con una smorfia amara, devi cominciare a fare le valige.
 
 In cucina trovi una caraffa mezza piena di caffè e un piatto con la tua solita colazione – beh, la solita dell’ultima settimana, visto che a casa mangi soltanto pane tostato e marmellata – ormai fredda, strategicamente appoggiato proprio accanto al microonde. Ma lo stomaco protesta solo a vedere qualcosa da mangiare, quindi declini l’invito e ti versi invece una tazza gigante di caffè: di quello proprio non puoi fare a meno. Non dopo aver passato quasi l’intera notte in piedi nel corridoio, a guardare la camera di Logan come se fissando abbastanza intensamente la porta chiusa potessi leggerci i pensieri di chi dormiva dall’altra parte.
Che poi avrà dormito davvero? ti chiedi. Di sicuro non ha avuto incubi, però; lo sai perché sei rimasto sempre in allerta, pronto a captare ogni segnale. E forse, in fondo, la parte più nascosta ed egoista del tuo cuore un po’ ci aveva anche sperato.
 Perché sarebbestata la scusa perfetta… perché ti avrebbe costretto ad andare da lui.
Perché allora lui non ti avrebbe rifiutato. Non di nuovo.
 
 Quando ricontrolli il telefono vedi una chiamata persa di Jean, e il tuo cuore fa una specie di strana capriola: ti eri quasi scordato di lei… di essere fidanzato con lei.
Dio, che stronzo.
 Ti siedi sul divano con i gomiti sulle ginocchia, fissando lo schermo del cellulare senza in realtà vederlo davvero. La cosa più assurda, rifletti amaramente, è che nonostante tu stia malissimo per quello che è successo con Logan è solo perché alla fine è andata come è andata, e non perché hai tradito la tua ragazza. Quello ti lascia del tutto indifferente.
E, paradossalmente, è proprio il non sentirti minimamente in colpa che ti fa sentire una merda.
 Sospiri profondamente, passandoti le dita tra i capelli, e intanto cerchi di dipanare almeno quella parte della tua matassa emotiva.
 Problema: hai baciato un altro – baci che, se fosse dipeso da te, sarebbero stati soltanto l’inizio – ma non ti senti in colpa.
Perché?
 Perché quel qualcuno è Logan? Forse.
 Perché tutta questa situazione è così surreale da sembrare un sogno? Probabile.
 Il telefono squilla di nuovo. Osservi il nome di Jean lampeggiare sotto la sua foto e abbozzi un sorriso stanco.
Perché la verità è che la vostra storia è finita da un pezzo, ma tu non volevi capirlo.
 Sospiri ancora, ti schiarisci la gola e rispondi alla sua chiamata.
 «Buongiorno!» la saluti, fingendo un’allegria che in effetti è finta solo in parte – nonostante tutto, sei davvero contento di sentire la sua voce.
 Ti saluta anche lei, tutta pimpante, e per qualche minuto parlate a ruota libera. La ascolti raccontarti per filo e per segno di tutti gli appunti che ha preso ieri a quell’evento e delle mille idee che ha per l’articolo che dovrà scriverci su, e ti ritrovi a sorridere sinceramente.
 Vuoi ancora un bene infinito alla tua Jean, cercare di negarlo sarebbe solo stupido… ma ormai questo non basta. Non più.
 «Jean… noi stiamo ancora insieme?»
 Le occorre qualche lungo secondo per capire che quella domanda era dannatamente seria – e che tu vuoi davvero una risposta.
«Ma, Scott… cosa… perché questi discorsi?» ti chiede titubante. Senza rispondere.
 Sospiri stancamente e ti lasci andare all’indietro per appoggiarti allo schienale.
 «Ci ho pensato parecchio in questi giorni, Je» le dici – e forse non è del tutto vero, ma non è nemmeno falso perché anche se non li esprimevi ad alta voce quei dubbi c’erano comunque. «E… non so, noi non ci vediamo da quasi tre mesi, e tu sei così lontana da casa, e sei sempre impegnata col tuo lavoro… e anche io, certo» aggiungi subito per prevenire le sue proteste. «E io… non so» ripeti, anche se in realtà non è vero, perché invece ormai lo sai bene cosa sta succedendo tra voi… cosa è già successo. E probabilmente lo sa anche lei.
 Jean sospira pesantemente dall’altro capo del telefono, ma non ribatte. Ti lasci cullare dal silenzio ancora qualche secondo, prima di continuare il tuo monologo.
 «Ho paura di essere rimasto attaccato a qualcosa che ormai non c’è più» le confidi in un soffio. «E se è vero, allora… allora non ha senso continuare così.» Non c’è traccia di accusa o di rancore nella tua voce, e speri che Jean possa capirlo.
 Forse sì. Dopotutto ha imparato a conoscerti bene, in questi anni.
 «Jean?» la chiami. Lei sospira.
«Anche io… anche io ho pensato molto, a noi due» ti confessa. «E credo… penso che tu abbia ragione. Non ha più senso stare insieme. Non così.»
 Sorridi appena.
 «Allora è finita.»
«Già… immagino sia così. Mi dispiace…»
 «Non devi… non è colpa tua, è successo e basta. Non hai fatto nulla di male.»
Al contrario di me, aggiunge sibillina la tua coscienza.
«Non volevo ferirti.»
 «Lo so… va bene così. Davvero.»
 Silenzio.
«Allora… addio, Scott.»
 Ridacchi contro il microfono.
 «Non essere melodrammatica, Je!»
 È come se riuscissi a vederla sorridere, e sorridi anche tu.
«Ok, allora ciao.»
 Chiudi la chiamata con la sensazione di esserti tolto un gigantesco peso dal cuore.
Il tuo unico rimpianto è di non averlo fatto prima.
 
[We’re going to the other side!]
 
 Alle undici, nonostante i lunghi minuti persi a guardare il vuoto e la telefonata con Jean, hai già finito i preparativi per la partenza: lo zaino è pronto, il divano è tornato a essere un semplice divano e la federa e le lenzuola che hai usato sono finite nella cesta dei panni sporchi insieme ai tuoi provvisori vestiti da lavoro.
Una piccola parte di te avrebbe voluto portarsi via quest’ultimi come ricordo; l’altra, quella con ancora un briciolo di amor proprio, è imbarazzata per averlo anche solo pensato.
 Ti guardi lentamente intorno, come cercando di memorizzare ogni singolo particolare di quella casa che, in così poco tempo, ti ha dato così tanto. Poi sospiri, raddrizzi la schiena ed esci a cercare Logan.
 
 Lo trovi al distributore che fa il pieno ad un cliente, e aspetti in disparte fino a quando non ha finito di servirlo.
 «Ciao» lo saluti non appena rimane solo. Logan alza gli occhi su di te e accenna un sorriso.
 «Ciao» risponde con naturalezza, ma subito dopo distoglie lo sguardo. «La moto è a posto, se vuoi puoi andare a preparare le tue cose» spiega al tubo che sta rimettendo via.
 Ingoi a vuoto per mandare giù quel dannato groppo alla gola.
 «Sì… in effetti ho già preparato tutto» sussurri – è una tua impressione o Logan si irrigidisce, a quelle parole? «Ho anche messo a lavare federa e lenzuola, e anche i vestiti che mi avevi prestato» aggiungi, tanto per dire qualcosa. «Cioè, li ho messi nei panni sporchi. Non ho dato il via alla lavatrice perché c’era ancora spazio e non sapevo se volevi metterci altro, quindi… ecco, ho lasciato così» continui imperterrito. Sei consapevole di parlare a vanvera, ma non riesci a smettere. Stupido nervosismo.
 Ma poi Logan si gira verso di te, e sei quasi contento di esserti reso tanto ridicolo perché almeno puoi guardarlo di nuovo negli occhi. Ha in volto un sorriso strano, e la sua espressione… la sua espressione è così combattuta che dentro di te comincia sperare che forse anche lui vorrebbe soltanto cancellare le ultime ore e riprendere dal punto esatto in cui vi siete interrotti ieri sera… ma non lo fa.
 «Ok» risponde invece. «Allora ti porto la moto qui davanti.»
 Annuisci come in trance.
 «Bene, prendo lo zaino e sistemiamo tutto per… per il conto.»
 Logan ti lancia un’occhiata indecifrabile, ma sei dannatamente stanco di dover interpretare ogni suo singolo gesto con la costante paura di attribuirgli un significato che non ha. Così, semplicemente, volti i tacchi e rientri in casa. Proprio come ha fatto lui neanche dodici ore fa.
«E allora cosa vuoi?»
 Un sorriso amaro ti si disegna sulle labbra. Se solo lui ti avesse fatto la stessa domanda, la risposta sarebbe stata fin troppo facile: tu vuoi Logan. Da morire.
 Il problema è che, a quanto pare, lui non vuole te.
 
 Il tempo di recuperare le tue cose e sei di nuovo nel piazzale. Nessun ripensamento dell’ultimo minuto, nessun addio melenso e fuori luogo a un posto che, per quanto importante, non rivedrai mai più.
 Stringi i denti e cerchi di non pensare a quanto faccia male rendersene conto così distintamente. È un dolore tanto intenso da essere quasi fisico, e ignorarlo diventa più difficile ogni secondo che passa.
Soprattutto quando vedi la fattura.
 «È… tutto?» gli chiedi titubante: il totale arriva a malapena a coprire il prezzo netto del radiatore nuovo – senza nessun cenno al lavoro fatto né all’affitto che in teoria avresti dovuto pagare.
 Lui ti porge il POS.
 «È tutto.»
 Inserisci la carta di credito e digiti il pin con dita tremanti.
 Vorresti chiedergli cosa significa, vorresti chiedergli se ce l’ha un significato, e poi vorresti insultarlo perché è un idiota e insieme pregarlo di parlarti come si deve, perché quel qualcosa tra voi non puoi essertelo solo immaginato ed è folle lasciarselo sfuggire tra le dita solo perché siete troppo orgogliosi per mettervi in gioco…
 Eppure non fai nulla di tutto questo: aspetti che Logan finisca l’operazione e ti porga la ricevuta, poi cerchi i suoi occhi.
 «Chiedimi di restare» gli dici soltanto.
 Logan appoggia il dispositivo sulla colonnina a fianco; non lo vedi in volto, ma lo senti sospirare.
 «Perché dovrei?»
 «Perché potrei dirti di sì.»
 Lui fa uno sbuffo e un mezzo sorriso, girandosi di nuovo verso di te.
 «Va’ dalla tua fidanzata, Scott» ribatte. «Sposati, fai tanti figli e vivi felice.»
 Scuoti la testa, sorridendo mesto.
 «Non è più la mia fidanzata, Logan… e in ogni caso non andrò da lei. La nostra storia era finita prima ancora che si trasferisse,» ti spieghi meglio «o non avrebbe mai accettato un lavoro a settecento miglia da casa… ma io non volevo capirlo.»
 L’espressione di Logan è di nuovo criptica come sempre, e ovviamente continua a rimanere in silenzio. Sorridi tra te, stringendoti nelle spalle: dovevi almeno provarci.
 «Beh, buona fortuna, Logan. Per tutto» lo saluti. Esiti solo un altro secondo, gli occhi nei suoi, poi ti volti per andare a raccogliere il casco. Pronto a tornare a casa tua, alla tua vecchia vita… lontano da lui.
 Neanche il tempo di fare un passo e ti senti strattonare all’indietro con tanta forza che rischieresti di rovinare a terra se Logan non ti sorreggesse quasi di peso, e l’attimo dopo ti ritrovi stretto tra le sue braccia.
 «Resta…» sussurra commosso, la fronte premuta contro la tua. «Resta qui… con me.»
 Il sorriso che ti si apre in volto è così grande che ti fanno male le guance, e con gli occhi lucidi e la gola bloccata dall’infinità di emozioni che ti hanno travolto come un fiume in piena riesci solo ad annuire. Passi le dita tra i suoi capelli e te lo tiri ancora più vicino.
 «Sempre» mormori sulle sue labbra.
E poi non c’è più spazio, per le parole.
 
 In fondo, ti dici chiudendo finalmente la zip, forse un po’ è vero che il destino esiste: se ti fossi lasciato con Jean quando lei si è trasferita, senza tirare avanti una storia che già non esisteva più, non avresti mai conosciuto Logan… e chissà cosa ne sarebbe stato, della tua vita.
 Attraversi il corridoio lentamente, e quando arrivi nell’ingresso tuo nipote si affretta a toglierti la valigia di mano.
 «Non sono così vecchio, Thomas!» lo rimproveri bonariamente.
 Lui borbotta qualcosa che vorrebbe essere a metà tra una rassicurazione e una scusa mentre ti precede fuori di casa, e tu sorridi intenerito: quel ragazzo è troppo beneducato per rinfacciarti la tua età.
 Anche quando ti ha proposto di trasferirti in città, dopo il funerale di Logan, l’ha fatto con una delicatezza che probabilmente ha ereditato da quella santa donna di sua madre, perché né tu né tuo fratello l’avete mai avuta.
«Sai, zio, ora che Jess è di nuovo incinta ci servirà una mano coi gemelli, e io pensavo… beh, lo so che è chiederti molto, ma mi aiuteresti davvero tanto se venissi da noi per un po’.»
 Ti fermi un momento sulla soglia, accarezzandola in punta di dita.
 Sai che non puoi restare qui; che a settantadue anni suonati sarebbe da incoscienti vivere da soli in pieno deserto, isolati da tutto e da tutti.
Ma questo non vuol dire che questa casa non ti mancherà.
 «Sei pronto, zio?»
 Incroci lo sguardo di tuo nipote.
No che non sei pronto… ma probabilmente non lo saresti mai.
 Stringi la mano destra attorno al ciondolo nella tua tasca, per farti coraggio.
«Non fare il cacasotto, ragazzino!» urla la voce di Logan da qualche meandro della tua coscienza.
 L’ombra di un sorriso ti compare istintivamente sulle labbra, e Thomas ti sorride incoraggiante di rimando. Annuisci una volta.
 «Certo. Andiamo.»

 








 
[1] Dato che in America usano i gradi Fahrenheit, ho fatto lo stesso: la pizza surgelata si cuoce a 200/220°C --> 392/428 °F.








 

Angolino dell'autrice bis

Salve di nuovo!
Giuro che non soffro di manie di protagonismo (beh, non troppo, almeno), ma ci tenevo a prendermi questo spazio per alcune note che ritengo molto importanti.

Partendo dal titolo, ha quattro diverse interpretazioni:
- “Sei” inteso come verbo essere: Scott e Logan sono così come appaiono, perfetti nella loro imperfezione, e si amano, sopportano e supportano con tutti i pregi e i numerosi difetti. Sono sempre, semplicemente loro, senza mai cercare di cambiarsi a vicenda.
- “Sei” inteso come numero: il 6 è contenuto nell’esagramma, la stella a sei punte, ed è l’intersezione di due triangoli equilateri che si intersecano capovolti (merkaba). Essa rappresenta le forme opposte che si completano a vicenda fino a prendere la forma di un corpo unico… come Logan e Scott, con i loro caratteri opposti (eppure simili, per certi versi).
- In numerologia il numero 6 significa anche “scelte”; quando questa cifra compare nella griglia numerologica della persona, significa che deve necessariamente tagliare dei “rami secchi” della propria esistenza. Esattamente come Scott si libera del “ramo secco” che era diventata la sua relazione con Jean per iniziare un nuovo percorso con Logan.
- Infine, sei sono i giorni che hanno impiegato Scott e Logan a conoscersi, piacersi e decidere che valeva la pena mettersi in gioco e provare a stare insieme.

Secondo, avrai notato che,nel filone “centrale” della storia, Scott pensa a Logan al presente nonostante lui sia già morto e quindi sarebbe stato grammaticalmente corretto l’uso del passato. Ebbene, la mia è una scelta ben ponderata, per sottolineare come, quando si perde una persona cara, i primi tempi sia dannatamente difficile parlarne/pensarne al passato, perché inconsciamente c’è il rifiuto di lasciarla andare – e anche quello di affrontare il dolore della perdita.

E, infine, so che Scott dopo la (apparente) morte di Jean in X-Men 2 ha reagito in modo molto più drastico (e isterico), ma c’è da considerare che le circostanze erano completamente diverse: lì la sua ragazza si era sacrificata per salvarli tutti, andando incontro a una fine prematura e inaspettata; in questa storia, Logan muore di morte naturalea ottantasette anni, e neppure Scott è più un ragazzino (checché ne dica Logan). Per questo, lo Scott di questa storia affronta con molta più tranquillità il lutto della persona che ama rispetto allo Scott del film.

Ps: se ve lo steste chiedendo (probabilmente no), Scott è un ingegnere… è per questo che infila ragionamenti inerenti alla matematica ad ogni piè sospinto.


E con questo ho davvero finito: ringrazio di tutto cuore voi che siete arrivati fin qui... spero che la mia storia sia riuscita ad emozionarvi almeno un poco ^^

A presto!
rhys89 

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