Love is bigger than anything in its way

di inzaghina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 – Time heals all wounds ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Truth hurts ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - It’s ok to be scared ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 – Faith is a funny thing ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - As if you were to die tomorrow ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 – To love something despite ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - There’s a time for daring ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Take a leap of faith ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Life’s greatest gift ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 – As much as you can miss them ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 – Bringing you home ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 – The first step ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 – The strength to start over ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 – How could we know joy? ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 – You only live once ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 – Learning to be brave ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 – Time heals all wounds ***


Capitolo 1 – Time heals all wounds

 
 
“They say that time heals all wounds,
 but all it’s done so far is give me more time
 to think about how much I miss you”
Ezbeth Wilder
 
 

Un tuono improvviso squarciò il cielo, risuonando tra le pareti silenziose della stanzetta fiocamente illuminata.
Ginny Weasley si risvegliò di soprassalto, i battiti del suo cuore rimbombarono per qualche istante nelle sue orecchie. Per un attimo, uno soltanto, si concesse di inspirare a pieni polmoni il profumo di terra che assumeva l’aria prima dello scoppio del temporale, si concentrò sulla sensazione di libertà che provava nel vedere i fulmini illuminare il cielo con la loro potenza. Da piccola aveva sempre cercato rifugio tra le braccia dei suoi genitori, spaventata dal frastuono, ma era qualche tempo ormai che si era resa conto di adorare i temporali. Quei fenomeni atmosferici le somigliavano, con la loro imprevedibilità e la loro potenza.
Era proprio tra quelle quattro mura, un’estate di qualche anno fa, che aveva dovuto affrontare la sua paura per i tuoni, in assenza dei genitori.
 
Il tuono era arrivato all’improvviso, spaventando la bambina seduta alla scrivania.
Ginny era corsa in cucina, alla ricerca della madre, ma si era imbattuta solamente nei gemelli, che imburravano fette di pane tostato e bevevano succo di zucca.
“Perché quella faccia, Ginny?”
“Brutto incontro con Percy?”
La ragazzina scosse meccanicamente la testa.
“Raccontaci, dopotutto siamo i tuoi fratelli maggiori…” le disse George, facendole segno di sedersi.
“Dov’è mamma?” sussurrò infine.
“Stamattina è a Diagon Alley con Charlie,” le disse Fred, osservandola preoccupato, “stai bene?” proseguì.
Ginny scosse la testa, rimanendo in silenzio.
“Che ti succede sorellina?”
“A noi puoi dirlo.”
Fred le passò una fetta di pane tostato e George un bicchiere di succo.
“Hai litigato con Ron?” provò George.
Ginny scosse di nuovo la testa, staccando un piccolo morso dalla sua fetta di pane.
“Sicura che non c’entra Percy?” chiese di nuovo Fred.
Ginny fece segno di no con la testa.
“Sono i temporali”,” mormorò infine.
I due fratelli la guardarono comprensivi, posando entrambi il pane con cui si stavano abbuffando.
“Lo sai, sorellina… il tuono in realtà è solamente il rumore provocato dal fulmine e non hai nulla di cui preoccuparti,” cominciò a spiegarle Fred.
“Di solito vado da mamma o da papà,” sussurrò la bambina.
“Beh, sei molto fortunata allora, perché con tutti i fratelli che ti ritrovi non sarai mai sola,” ribatté George, facendole l’occhiolino.
“Né in questa casa né ad Hogwarts,” concluse Fred, alzandosi per andare a recuperare i biscotti sfornati dalla madre e porgendone uno a Ginny.
“Ci saremo sempre per te,” la rassicurò George, mentre Fred annuiva convinto.
 
Un timido sorriso si fece strada sul suo volto stanco, dopo aver rivissuto quel ricordo d’infanzia, poi rammentò tutto.
Così come era arrivato, il sorriso svanì repentinamente dal suo viso, lasciando il posto ad un’espressione addolorata.
Lei era viva, ma altri non erano stati così fortunati.
Fred non c’era più; George aveva perso la sua metà.
Remus e Tonks erano morti, lasciando Teddy orfano.
Colin non era sopravvissuto, lui che era stato il primo a rivolgerle la parola sull’Espresso per Hogwarts, sorridendole estasiato e raccontandole di essere un Nato Babbano, e che era rimasto a combattere nonostante non fosse maggiorenne.
Erano passate due settimane, ma il dolore non accennava a diminuire.
Erano passate due settimane e Ginny si chiedeva se ne sarebbero mai usciti.
 
Restare ancora sdraiata sarebbe stato inutile. Riusciva a dormire qualche ora solo bevendo la pozione senza sogni, così come il resto della famiglia, ad eccezione di George che continuava a rifiutarla categoricamente.
Si tirò su a sedere ed incontrò lo sguardo di Hermione.
“Ti ho svegliata?”
L’amica scosse la testa. “Ero sveglia già da un po’.”
“Come ti senti oggi?”
Ginny scrollò le spalle. “Esattamente come ieri,” sussurrò piano. “Mi chiedo solo se ce la faremo e non so darmi una risposta…”
Hermione si sedette accanto a lei, posandole una mano sulla spalla, non c’era bisogno di aggiungere nulla.
Le lacrime cominciarono a scorrere lungo le guance di Ginny, che non riusciva davvero a smettere, “mi manca così tanto,” singhiozzò. “Tutti loro mi mancano.”
“Mancano anche a me,” sussurrò Hermione, accarezzandole la schiena e reprimendo le sue lacrime, cercando di fare forza all’amica.
“E ho paura che George e la mamma non riusciranno a superare la sua perdita.”
“Il tempo cura tutte le ferite, Gin,” le disse Hermione, sfoggiando la saggezza che la faceva sembrare molto più grande dei suoi 18 anni.
“Non puoi esserne sicura!” esclamò, non riuscendo a trattenere la rabbia.
“Forse no, ma possiamo sperarlo…” rispose mestamente la riccia.
“Scusami, non ti volevo aggredire è solo che, sono arrabbiata e triste e non… non so se tornerò ad essere quella di prima,” pronunciare le sue paure ad alta voce stava avendo un effetto quasi catartico sulla piccola Weasley.
“Non devi scusarti, anche io volevo bene a Fred, a Remus, a Tonks e a tante delle persone che non sono più con noi.”
“E cosa dovremmo fare, secondo te?” chiese Ginny, dopo qualche minuto di silenzio.
“Credo che dobbiamo cercare di fare un passo alla volta,” Hermione si strinse nelle spalle, incerta riguardo ciò che avrebbe detto, “provare a cominciare da zero. Perché, tutte le persone che abbiamo perso, se ne sono andate combattendo per un mondo migliore e noi che siamo sopravvissuti non dovremmo sprecare la possibilità che ci è stata data...”
“Mio fratello lo diceva sempre che eri la persona più intelligente che conosceva,” bofonchiò Ginny, facendole un piccolo sorriso.
“Lui è il solito esagerato,” si schermì l’altra, avvertendo il rossore colorirle le guance.
“Su di te ha pienamente ragione,” dichiarò la rossa, posandole una mano sulla spalla ed attirandola a sé per un abbraccio. “Grazie davvero per questi ultimi giorni, non ce l’avrei fatta senza di te… sei veramente la sorella maggiore che mi è mancata in tutti questi anni circondata da soli fratelli.”
“E tu sei la sorellina che ho chiesto numerose volte ai miei genitori,” le sorrise Hermione, ricambiando l’abbraccio.
“Parlando di fratelli, dove credi che siano Ron e Harry?”
Hermione osservò distrattamente l’orario sul suo orologio da polso, “direi che a quest’ora dovrebbero entrambi sentire i morsi della fame…” sogghignò infine.
“Scendiamo anche noi?”
Senza aspettare una sua risposta, tirò l’amica per il braccio, avviandosi verso la scala per scendere in cucina.
 
Le previsioni di Hermione si erano rivelate azzeccate e, quando giunsero in cucina, le due ragazze trovarono il tavolo della colazione gremito.
“Oh, eccovi qui…” disse loro in tono assente Molly. “Stavo iniziando a preoccuparmi,” mormorò, avvicinandosi e scrutandole, “avete dormito?”
Le due annuirono.
“Sedetevi, che vi do qualcosa da mangiare.”
Ron si fece più vicino ad Harry, creando un po’ di posto per Hermione accanto a sé. Ginny invece si sedette tra Bill ed il migliore amico del fratello, incontrando fugacemente lo sguardo del ragazzo, che le sorrise incerto.
Harry perse improvvisamente interesse per il contenuto del suo piatto, notando che Ginny aveva le occhiaie ancora pronunciate, segno che anche lei non stava dormendo abbastanza. Si chiese se avesse potuto fare qualcosa per lei, non riuscendo a darsi una risposta e decise di limitarsi a trovare, finalmente, il coraggio di dirle ciò che provava. Non avevano ancora avuto occasione di parlare di tutto quello che avevano lasciato in sospeso e l’ansia lo attanagliava ogni giorno di più.
“Caffè?” le propose, afferrando la caffettiera, giusto per avere qualcosa da fare.
Ginny annuì, riservandogli un piccolo sorriso.
“Molly, mi conscedi di aiutarti?” disse invece Fleur, abbandonando il suo posto accanto al marito e facendo segno alla suocera di sedersi. “Posso continuore io…”
La donna stava iniziando a protestare, quando Arthur intervenne, “siediti cara, sei esausta,” le disse, accennando al posto accanto al suo primogenito. “Fleur vuole solo darti una mano.”
Molly aprì bocca per controbattere, ma, dopo aver posato lo sguardo sul marito, cambiò idea, diede una veloce strizzata al braccio della nuora in segno di ringraziamento, e si sedette accanto a Bill.
La colazione proseguì abbastanza silenziosamente, con qualche laconico scambio di battute e di sguardi tra i quattro più giovani presenti al tavolo.
L’arrivo di Charlie rianimò la tavolata.
Il secondogenito di casa Weasley aveva preso un congedo, per passare del tempo con la sua famiglia e la madre si stava godendo ogni momento con il figlio che era solita vedere troppo poco per i suoi gusti.
Quando ormai tutti avevano finito di mangiare da un po’, e anche Fleur si era seduta nuovamente, trovando posto tra Hermione e Percy, George fece silenziosamente capolino.
“George, tesoro!” Molly fu la prima a notarlo.
“Sci penso io, Molly,” disse Fleur in tono fermo, ma dolce, raccogliendosi i lunghi capelli in una coda alta e raggiungendo il cognato. “Vuoi un peu di uova, George?”
Il ragazzo si strinse nelle spalle, sollevando lo sguardo vacuo sulla ragazza. Gli occhi erano evidentemente arrossati, le guance ancora umide e delle vistose occhiaie spiccavano sul viso pallido del ragazzo.
“Non mollerà finché non avrai detto sì, fratellino,” lo avvertì Bill, cercando di incoraggiarlo.
Fleur annuì. “Bill disce la verità, oui.”
“Allora, suppongo di doverti dire grazie…” mormorò il ragazzo, lasciandosi cadere nel posto lasciato vacante dalla bionda.
Mentre la francese era affaccendata ai fornelli, Bill la raggiunse per rabboccare la caraffa del caffè e quella del succo di zucca. Tornato al tavolo riempì una tazza ed un bicchiere per il fratello minore, che sollevò lo sguardo su di lui ed annuì, senza proferire parola.
 
Dopo essersi sincerati che George avesse mangiato qualcosa, la famiglia Weasley era indecisa sul da farsi.
Arthur sapeva che quello raggiunto era un equilibrio precario, come in quel gioco babbano in cui si costruiva una casa con le carte da gioco, e che un solo passo falso avrebbe distrutto il poco che era stato ottenuto.
Nei giorni immediatamente successivi alla Battaglia, si erano occupati dei feriti più lievi, evitando di appoggiarsi al San Mungo che si era concentrato invece su coloro i quali avevano le ferite più gravi. Avevano anche cercato di aiutare con l’inizio della ricostruzione di Hogwarts, rimuovendo soprattutto la grande quantità di macerie, oltre che piangere i caduti, ovviamente. I giorni seguenti erano stati impegnati con l’organizzazione dei funerali degli eroi di guerra e con le deposizioni agli Auror che stavano stilando rapporti sull’accaduto.
Quel giorno però era sabato, e nessuna attività incombeva su di loro.
Si schiarì la gola, pronto a trovare qualcosa da fare, quando George posò la sua tazza di caffè e fece un sorriso tirato alla cognata. “Le uova erano ottime, Fleur.”
Lei gli sorrise, posando una mano sulla sua.
“Te ne vai già?” chiese Molly, osservandolo mentre portava le stoviglie al lavello.
“Pensavo di passare in negozio a fare l’inventario,” borbottò il ragazzo.
Arthur lo prese come un segno decisamente positivo e gli sorrise incoraggiante.
“Che ne dici se io e papà veniamo a darti una mano?”
George si voltò a fissare la madre, lo sguardo vagamente incredulo, “mi farebbe piacere, sì.”
“Se non ti dispiace verrei anche io, fratellino,” aggiunse Charlie.
“E anche io,” dichiarò Percy, ripulendo con attenzione le lenti degli occhiali.
“Hai intenzione di riaprire a breve?” chiese invece Harry.
“Oh, in realtà questo non lo so…” rispose George, grattandosi distrattamente una guancia, “però vorrei controllare la situazione,” si strinse nelle spalle, prima di proseguire in tono udibile a malapena, “era Fred che si occupava dell’inventario, credo di averlo aiutato l’ultima volta a dicembre, quindi non ho davvero idea di come siamo messi e…” la voce si spense, George deglutì rumorosamente, cercando in ogni modo di fermare le lacrime che gli pizzicavano gli angoli degli occhi.
“Oh.”
Nessuno commentò oltre e i cinque Weasley si alzarono dal tavolo, per raggiungere il camino.
“Ci vediamo per cena,” disse Molly, osservando apprensivamente i suoi due figli più giovani e gli amici che aveva visto crescere al loro fianco, che portavano a nove il conto finale dei suoi figli.

 
“Otto,” le disse una vocina nella sua testa. “Fred non c’è più.”
“Ma questo non significa che non sia più mio figlio…” pensò testardamente, sforzandosi di non cedere alle lacrime.

Bill intercettò la preoccupazione della madre e le fece un sorriso incoraggiante. “A loro ci pensiamo noi.”
Al suo fianco, Fleur annuiva. “E sci occuperemo anche della scena”
“Sei così cara,” mormorò Molly, un sorriso appena accennato le addolcì il viso pallido e stanco.
La ragazza diede un veloce abbraccio alla suocera. “Stai viscino a George,” le sussurrò. “Ne ha più bisogno...”
Molly si limitò ad annuire, stringendola affettuosamente a sé.
“A più tardi, ragazzi,” disse infine Arthur, accomiatandosi, e i cinque sparirono tra le fiamme verdi.

 
***
 

“Perché non andate a farvi una passeggiata?” propose Bill qualche minuto più tardi.
Così come era arrivato, il temporale se n’era andato, lasciando spazio ad un cielo terso azzurro brillante, di una tonalità color fiordaliso che faceva quasi male agli occhi se rimanevi ad osservarla troppo a lungo.
I quattro si scambiarono un’occhiata, prima di annuire ed alzarsi.
“Sicuri che non vi serve una mano qui?” chiese Hermione.
“Ma no!” la rassicurò Fleur. “Andate,” aggiunse in tono incoraggiante, “ma tornate per pranzo,” si raccomandò.
“Dove volete andare?” chiese Harry, una volta in giardino.
“Allo stagno?” propose Ginny.
Ron ed Hermione si limitarono ad annuire ed i quattro s’incamminarono nel giardino incolto.
Camminarono in un silenzio tranquillo, ognuno perso nei propri pensieri, senza alcuna necessità di riempirlo di parole vuote e senza senso.
Quando raggiunsero lo spazio antistante lo specchio d’acqua, Hermione trasfigurò un masso in un’ampia coperta ed i quattro vi si lasciarono cadere sopra.
Ginny osservò lo stagno in cui aveva imparato a nuotare, ricordando le innumerevoli battaglie combattute tra fratelli durante l’infanzia.
“Ricordi quando Fred riuscì quasi a far affondare il distintivo da Prefetto di Percy?” chiese la rossa improvvisamente, rivolgendo lo sguardo divertito al fratello maggiore.
Gli occhi azzurri di Ron s’illuminarono al ricordo “sì…” sospirò, grattandosi il mento, “la mamma era talmente furiosa!”
Hermione ed Harry si trovarono a sorridere con i due fratelli.
“E poi? Che successe?”
Ron rivolse lo sguardo al suo migliore amico. “Fred venne messo in punizione, ovviamente.”
“Ma questo non gli impedì di passare l’estate a progettare modi per far sparire il distintivo di Percy,” aggiunse Ginny, scuotendo la testa e facendo danzare i capelli fiammeggianti nella calda luce del mattino.
“Mi manca così tanto,” commentò Ron, dopo che i sorrisi si furono spenti.
Hermione prese una delle sue mani grandi tra le proprie, cercando di infondergli conforto, prima di posare la testa sulla sua spalla. Il ragazzo liberò la mano da quelle di lei, per poterle cingere le spalle ed attirarla più vicina a sé.
“Dite che George lo supererà mai?” chiese Ginny, osservando con una punta di gelosia, mista a compiacimento, l’abbraccio tra l’amica ed il fratello. Hermione le aveva raccontato del bacio che si erano scambiati la notte della battaglia, aggiungendo che però non avevano ancora avuto modo e tempo di parlarne. Ginny, che aveva capito ben prima del fratello quanto quel testone amasse la sua migliore amica, era sicura che i due non ci avrebbero messo molto a chiarire le cose.  
Ron si limitò a scrollare le spalle, incerto, fu Harry a trovare la forza di risponderle. “Ci vorrà tempo, ma noi non lo abbandoneremo e ce la farà,” disse risoluto.
Ginny annuì, abbracciandosi le ginocchia e posando la testa su di esse per contemplare meglio la superficie dell’acqua increspata dalle onde leggere.
La mano sinistra di Hermione disegnava cerchi concentrici sulla schiena di Ron, la testa era ancora posata saldamente sulla sua spalla destra e la mano di lui le sfiorava incerta l’altro braccio.
“Che ne dici di raggiungere il molo?” propose Harry, indicando la passerella di legno, dopo svariati minuti di silenzio amichevole.
Gli occhi castani di Ginny indugiarono per qualche secondo in quelli verdi di lui, prima che la ragazza annuisse e prendesse la mano che Harry le stava porgendo, per tirarsi in piedi.
I due si allontanarono senza fretta, procedendo in silenzio, fino a raggiungere l’estremità da cui i ragazzi Weasley erano soliti fare a gara per tuffarsi in acqua.
Si sedettero con le gambe penzoloni e, per qualche minuto, si limitarono ad osservare il proprio riflesso nell’acqua turchese.
“Ginny…” “Harry…”
Cominciarono a parlare nello stesso momento e scoppiarono in una risata nervosa.
Harry si rese conto che non l’aveva più sentita ridere dal giorno del matrimonio di Bill e Fleur.
Erano passati mesi. Mesi durante i quali il ricordo del suo sorriso e dei baci che si erano scambiati erano stati una vera e propria ancora di salvezza per il ragazzo. Durante le nottate passate insonni osservando il suo puntino muoversi tra le mura del castello, Harry si era sentito meno solo e si era convinto che, una volta conclusa la ricerca degli Horcrux, avrebbe ritrovato la strada che lo portava a lei.
Si soffermò ad osservare le efelidi che punteggiavano il viso pallido di Ginny, gli occhi ambrati che esprimevano le emozioni della ragazza erano più spenti del solito, ma non per questo meno affascinanti.
“Vai prima tu,” le disse, cercando di essere galante.
“Preferisco che vada prima tu,” ribatté lei, mordicchiandosi pensierosa il labbro inferiore.
“Non credo sia il momento giusto, con Fred e tutte le persone che abbiamo appena perso, ma non saprei nemmeno dire se ci sia un momento giusto per quello che ti voglio dire…” iniziò Harry, passandosi una mano tra i capelli arruffati, “questi ultimi mesi sono stati durissimi per me, tra la ricerca degli Horcux, l’essere in fuga, il litigio con Ron, l’essere finiti a Villa Malfoy, la battaglia finale…”
“La tua morte apparente,” lo interruppe Ginny, gli occhi improvvisamente lucidi di lacrime.
“Anche la mia morte apparente, sì,” sussurrò lui contrito, posando una mano sopra la sua, prima di ritrarla velocemente, non volendosi distrarre per via delle sensazioni che il contatto con la sua pelle gli avrebbe dato, “quello che vorrei dirti però è che, ecco… in questi mesi un pensiero mi rallegrava ogni singolo giorno ed era quello che stavo combattendo per un futuro migliore, per un avvenire senza Voldemort e per la possibilità di rivederti, riabbracciarti e cercare di rimettere a posto le cose tra noi,” prese una pausa osservandola, notando che le guance erano rigate di lacrime silenziose, allungò i pollici per fermarne la corsa e proseguì, “vorrei avere una seconda possibilità, Ginny. Ora che non c’è lo spettro della guerra che incombe su di noi e che potremo essere due adolescenti più o meno normali, vorrei poter passare del tempo con te, giocare a Quidditch insieme, fare il bagno in questo stagno, scacciare gli gnomi dal giardino, averti al mio fianco mentre tuo fratello mi straccia a scacchi e, perché no, passare la notte a parlare con te… mi piacerebbe scoprire i tuoi segreti, se vorrai condividerli e vorrei poterti confessare i miei, insomma… quello che ti sto dicendo è che vorrei poterti considerare la mia ragazza, se lo vuoi anche tu,” concluse lui, inspirando profondamente e puntando gli occhi verdi nei suoi.
Ginny rimase un attimo interdetta, ripetendo mentalmente tutte le cose che Harry le aveva appena detto e ritrovandosi a sorridere.
Aveva atteso anni che lui si accorgesse della sua esistenza e smettesse di considerarla solo come la sorellina del suo migliore amico, quando era finalmente accaduto ci si era messa di mezzo una guerra, ma, ora che era finita, niente e nessuno le avrebbe impedito di costruirsi un futuro con il ragazzo che amava.
Non pensando di poter trovare le parole adatte, lo attirò a sé per posargli un bacio sulle labbra, conscia che le azioni parlassero più chiaramente delle parole.
Quando la necessità di ossigeno di fece pressante, Ginny lasciò andare le labbra di Harry, incontrando i suoi occhi e sostenendo il suo sguardo con fierezza.
“Certo che puoi considerarmi la tua ragazza, Potter,” gli sussurrò sorridendo.
Lui ricambiò il sorriso, prima di posarle un bacio tra i capelli profumati di vaniglia.
“Ma non osare piantarmi in asso per qualche altra stupida, nobile ragione,” si affrettò a precisare, prima di attirarlo nuovamente a sé per cominciare a recuperare i mesi perduti.
 
Abbracciati sulla coperta, Ron ed Hermione osservarono i due, abbassando lo sguardo imbarazzati, quando ricominciarono a baciarsi.
“Non avrai intenzione di fare una scenata, vero Ron?”
Il rosso scosse velocemente la testa. “Quei due sono fatti l’una per l’altro,” sussurrò.
“Lo credo anche io.”
“E noi?” chiese il ragazzo, inchiodandola con il suo sguardo ceruleo.
“N-noi?” balbettò la riccia, deglutendo.
“Si, Hermione,” rispose lui in tono stranamente deciso, “vorrei sapere se anche noi siamo fatti l’una per l’altro,” le sussurrò all’orecchio. “Perché a me piace pensare che sia così e vorrei sapere che cosa ne pensi tu invece.”
Gli occhi castani di Hermione si spalancarono, increduli e speranzosi.
Possibile che Ron avesse finalmente trovato il coraggio che contraddistingueva i Grifondoro e fosse pronto a dirle quello che provava?
 

 
Nota dell’autrice:
Non avrei affatto dovuto iniziare questa storia, ma ho sentito alla radio “Love is bigger than anything in its way” e l’ispirazione è partita per la tangente. Visto che ho già una long, very long, in corso posso assicurarvi che questa sarà una mini long, volta a seguire i nostri quattro eroi, ed i loro cari, nei mesi immediatamente successivi alla fine della guerra.
Mi sono sempre chiesta quanto fosse stato difficile ritornare alla vita normale, fatta di alti e bassi, ma senza lo spauracchio della guerra ed il timore che tutto sarebbe potuto finire all’improvviso.
E poi volevo provare a condividere la mia versione di come Harry e Ginny avessero ritrovato la strada l’uno per le braccia dell’altra, oltre che mostrare l’inizio della relazione tra Ron ed Hermione.
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e vi do appuntamento per il prossimo quanto prima.
A presto,
Francy

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Truth hurts ***


Capitolo 2 – Truth hurts

 
“The truth hurts because it's real.
It hurts because it mattered.
And that's an important thing
to acknowledge to yourself.
But that doesn’t mean that it won’t end,
It won’t get better. Because it will.”
John Green
 
 “Vorrei sapere se anche noi siamo fatti l’una per l’altro,” le sussurrò all'orecchio, “perché a me piace pensare che sia così e vorrei sapere che cosa ne pensi tu invece.”

 
Ron osservò la sua migliore amica spalancare gli occhi, prendere un profondo respiro e rimanere esattamente immobile.
Per un fugace momento si chiese se potesse ancora considerarla semplicemente la sua migliore amica, prima di rendersi conto che era piuttosto futile concentrarsi su un simile dettaglio in quel preciso istante.
“Hermione Granger è rimasta senza parole?” chiese poi, non avendo idea di dove stesse trovando il coraggio di parlare, assumendo per di più un tono vagamente canzonatorio.
La ragazza gli riservò un sorriso, prima di mormorare poche parole concise, “vorrei tanto sapere che cosa hai da dirmi tu, Ronald Weasley”
“Oltre al fatto che credo che io e te siamo fatti l’una per l’altro?”
Hermione annuì, non reputandosi in grado di parlare.
“Credo di aver sempre mentito a me stesso,” cominciò a spiegarle, prendendo una delle sue mani nella mano destra e cominciando a giocherellare con i fili d’erba con la sinistra. “Quando all'inizio del primo anno ti chiamavo insopportabile so-tutto-io era perché mi avevi già stregato, con quella tua smania di sapere, quella volontà di imparare tutto ciò che per me era normale vita di ogni giorno e per te era una novità, quella necessità di avere sempre l’ultima parola, fregandotene dell’opinione altrui, insieme a quel desiderio di inserirti e farti degli amici perché, probabilmente, non ti eri mai veramente trovata bene nelle scuole babbane…”
Il ragazzo si bloccò improvvisamente, notando una lacrima scorrere veloce lungo la guancia della ragazza. “Sono il solito insensibile, Hermione… scusami,” le sussurrò.
Lei si affrettò a scuotere la testa. “Hai colto nel segno, Ron,” spiegò, riuscendo a sorridergli, “non mi sono mai trovata a mio agio tra i babbani, è stato solo con l’arrivo della professoressa McGranitt che ha spiegato a me e ai miei genitori la verità sulla mia natura tutto ha cominciato ad acquistare un senso.”
Ron ricambiò il sorriso, prendendo un respiro prima di continuare, “negli anni le nostre litigate epiche erano solo un modo per non ammettere con me stesso quanto, in realtà, io ti trovassi attraente e quanto fossi affascinato da te, senza contare che le emozioni che provavo erano totalmente incomprensibili. Eri l’unica in grado di farmi, al tempo stesso, infuriare ed accendermi in quel modo, riuscendo a scatenare reazioni mai provate prima, che mi destabilizzavano,” ammise, smettendo di strappare fili d’erba e passandosi la mano tra i ciuffi disordinati.
“Non hai idea di quanto avessi lottato per provare a trovare il coraggio di chiederti di venire con me al Ballo del Ceppo,” sussurrò, dopo una breve pausa, “ma ero terrorizzato all'idea che avresti potuto dirmi di no.”
“Davvero?” Hermione spalancò la bocca, sbalordita.
“Sempre quel tono sorpreso,” ribatté, nervosamente, lui.
“Beh, sappi che ho atteso per giorni che me lo chiedessi,” ammise infine.
“Avresti potuto fare tu il primo passo…” bofonchiò Ron.
“Molto romantico, devo dire,” lo rimbeccò Hermione, inarcando un sopracciglio.
“Non credevo che anche tu ti perdessi in simili smancerie, non sei forse fiera sostenitrice dell’uguaglianza tra i sessi?”
“Certo che lo sono,” si affrettò a precisare concitata la ragazza, punta sul vivo, “ma in fondo, molto in fondo nel mio caso, ogni ragazza apprezza il romanticismo, Ron.”
“L’ho capito troppo tardi,” confessò lui, torturandosi i capelli, con un’espressione indecifrabile sul viso.
“Dimmi solo che non è troppo tardi per noi due,” aggiunse poi, tracciando il contorno del viso della ragazza con il suo indice.
Hermione non riuscì ad impedire che i suoi occhi diventassero lucidi, cogliendo una sfumatura quasi disperata nel tono del ragazzo.
“Ma certo che non è troppo tardi, Ron,” gli confermò. “Hai qualche anno di ritardo, in effetti, ma l’ho sempre immaginato che ci avresti messo un po’ ad ammetterlo,”
“Stai forse dicendo che sono testardo?” le chiese, tentando invano di non sorridere.
“Vorresti farmi credere il contrario?!” lo stuzzicò Hermione.
Ron scosse velocemente la testa. “Credo che la testardaggine sia una caratteristica che ci accomuna,” ammise, osservando un sorriso farsi strada sul volto di Hermione e lasciando che la sua mano sinistra si perdesse tra i suoi ricci ribelli. In risposta a quel contatto, la ragazza si avvicinò, ritrovandosi a scrutare gli occhi cerulei di Ron, che aveva imparato a conoscere così bene negli ultimi sette anni. In quel momento riflettevano il cielo terso che li circondava e le davano un senso di pace che non aveva più provato negli ultimi mesi della sua vita. Per lo meno non da quando era stata tra le sue braccia, in quello stesso posto, ballando al matrimonio di Bill e Fleur. Quasi senza che se ne rendessero conto, la distanza tra i loro visi si ridusse, portando i loro nasi a sfiorarsi ed entrambi si ritrovarono a trattenere il respiro.
“Non così in fretta…” mormorò Ron, posando l’indice sulle labbra della ragazza.
Hermione assunse un’espressione indispettita, che Ronald trovava assolutamente adorabile. “Mi pare di ricordare di aver fatto il primo passo ed averti detto quello che provo per te, quindi mi sembra giusto che tu faccia lo stesso,” concluse, regalandole il suo tipico sorriso.
Lei annuì, sorprendendosi ancora una volta della fermezza e del coraggio che Ron stava dimostrando. Quel che è giusto è giusto.”
I loro sguardi s’incontrarono nuovamente, spingendo Hermione a parlare.
“Non so dirti esattamente quando mi sono accorta di provare qualcosa per te,” sussurrò, spingendosi un ciuffo ribelle dietro all'orecchio, “forse al terzo anno, quando litigavamo per via di Grattastinchi, oppure addirittura al secondo quando mi hai difeso da Malfoy che mi aveva chiamato Sanguemarcio...”
Al sentir nominare l’odiato Serpeverde, per un attimo Ron si distrasse, di riflesso la sua mano sinistra si chiuse a pugno, ma il ragazzo decise di non perdere tempo pensando a Malfoy e di concentrarsi invece sulle parole di Hermione.
“Ora del quarto anno ero conscia che tu mi piacessi e pensavo che tu mi ricambiassi…” la voce di Hermione scemò e Ron si sentì un perfetto idiota, rendendosi conto di quanto fosse riuscito a farla soffrire.
“Mione, io…”
Questa volta fu l’indice di lei a posarsi sulle labbra di Ron. “Fammi finire,” lo pregò e il ragazzo si affrettò ad annuire.
“Accettai l’invito di Krum, perché pensavo di essermi sbagliata e che comunque valesse la pena di passare una serata spensierata, ma dopo la tua sfuriata al ballo, mi fu chiaro che eri geloso ed ero piuttosto confusa. Quando al quinto anno fummo entrambi nominati Prefetti, credevo davvero che passando più tempo insieme, noi due soli, forse le cose si sarebbero smosse e invece, con tutto quello che è successo non abbiamo avuto tempo per pensare all’amore…” sussurrò la ragazza, ritrovandosi anche lei a giocare con i fili d’erba ed abbassando lo sguardo sulle loro dita ancora intrecciate.
“Al sesto anno sapevo di amarti e mi era sembrato che ti stessi mandando tutti i segnali giusti, ma tu invece non mi hai nemmeno dato l’occasione di portarti come mio ospite da Lumacorno, te la sei presa per la storia di Krum e ti sei messo a pomiciare con Lavanda in sala comune, spezzandomi il cuore,”
“Sono stato un cretino insensibile,” disse lui. “Spero che potrai perdonarmi.”
“L’ho già fatto,” lo rassicurò lei. “Sono convinta che tutto accada per una ragione, quindi tu dovevi stare con Lavanda per accorgerti che non era lei che volevi.”
“Sapevo benissimo che non era lei che volevo anche prima di iniziare ad uscirci,” sussurrò lui con le orecchie in fiamme e lo sguardo piantato sulle loro mani.
“Guardami, Ron,” gli ordinò la ragazza, dopo che il silenzio si fu protratto più del dovuto.
Sollevò lo sguardo su di lei, il sentimento di colpa evidente nei suoi occhi. “Quello che posso fare è prometterti che, da oggi in poi, potrai sempre contare su di me e che non ti abbandonerò mai, come ho fatto per colpa di quello stupido medaglione, ma soprattutto che non ti farò mai più soffrire volontariamente come ho fatto mostrandomi in giro con Lavanda, senza curarmi dei tuoi sentimenti,” le disse con voce rotta dall'emozione. “Anzi, mi impegnerò per essere la costante della tua vita e la persona a cui potrai raccontare i tuoi dubbi, i tuoi sogni, le tue speranze e le tue paure… spero davvero di non deluderti mai, anche se so che i miei precedenti non sono un biglietto da visita credibile.”
Hermione non riuscì a impedire a nuove lacrime di scorrerle lungo le guance. “Chi sei tu e che ne hai fatto di Ron Weasley?” gli sussurrò a metà tra il divertito e l’emozionato.
“Anni della tua vicinanza mi hanno finalmente contagiato,” ribatté, assumendo lo stesso tono di lei.
Hermione rise di cuore e, incurante delle lacrime che non avevano ancora smesso di scendere, si avvicinò a Ron, fino a poggiare la fronte sulla sua, chiudendo gli occhi ed inspirando profondamente.
“Sarebbe abbastanza romantico se ci baciassimo adesso?” chiese il rosso, spingendole con delicatezza un ciuffo ribelle dietro alle orecchie.
“Assolutamente sì,” sussurrò Hermione, mentre il battito del suo cuore accelerava sensibilmente.
Ron posò immediatamente le proprie labbra su quelle morbide di lei, tornando con la mente al loro primo impetuoso bacio nella scuola scozzese. Sperò che questo secondo sarebbe stato all'altezza del primo, ma si rese ben presto conto che, visti e considerati i sentimenti che si erano appena dichiarati, il bacio sarebbe stato di gran lunga migliore.
Gli attimi passarono veloci, susseguendosi in una serie di baci, prima timidi e vagamente impacciati, poi sempre più sicuri e passionali.
 
Si concesse un sorriso, prima di approfondire il bacio, infilando con forza la lingua tra le labbra di lei, che sospirò appagata mentre il ragazzo esplorava ogni centimetro della sua bocca. La mano sinistra di Ron risalì la schiena di Hermione, infilandosi nuovamente tra i suoi capelli, per avvicinare ancora di più a sé la ragazza. Per non essere da meno, Hermione si aggrappò alle sue spalle, stringendosi a lui e lasciando libera la mano destra del ragazzo, che la posò sulla sua bassa schiena. Ron liberò le labbra di Hermione, riprendendo fiato, posando la fronte su quella di lei e riaprendo gli occhi per osservarla. Gli occhi avevano una luce nuova, le guance erano più colorite di quanto non fossero state negli ultimi giorni e le labbra erano turgide per i baci che avevano appena finito di scambiarsi. Anche la ragazza si prese qualche attimo per guardarlo, attratta magneticamente dagli occhi solitamente azzurro cielo, che in quel momento erano scuriti dal desiderio. Ron posò un tenero bacio sulle labbra della ragazza, prima di prenderle la mano e di portarla sul suo petto e posarla all'altezza del suo cuore.
“Batte per te da sette anni ormai,” le confessò, “direi fin da quando mi hai insegnato a pronunciare Wingardium Leviosa,” aggiunse, sorridendole.
Anche la ragazza sorrise al ricordo di quella lezione. “Mi hai salvato la vita con quell'incantesimo.”
“E tu l’hai salvata a me innumerevoli volte,” dichiarò il rosso, prendendo un lungo respiro.
Prima che Hermione potesse chiedergli se qualcosa non andasse, Ron aveva ripreso a parlare, “mi faresti l’uomo più felice della Terra se decidessi di diventare ufficialmente la mia ragazza.”
Lei scosse la testa, trattenendo a stento una risatina, “in fondo sono solo quattro anni che aspetto che tu mi inviti ufficialmente ad uscire,” bofonchiò.
“È un sì?” chiese titubante Ron, mentre le orecchie gli andavano a fuoco.
“Certo che sì!” ribatté lei, baciandolo con un’intensità nuova e facendogli perdere l’equilibrio, spedendolo sdraiato sotto di lei. Ron rimase leggermente sbalordito dalla reazione, ma ci si abituò presto e baciò la ragazza con trasporto, risalendole le braccia, per poi accarezzarle la schiena, abbracciandola stretta e cercando di comunicarle con quel bacio quanto lo stesse facendo felice.
 
“Hem – hem” una preoccupante imitazione di Dolores Umbridge li riscosse dal turbine di passione in cui i due Prefetti erano precipitati. Due sguardi delusi e decisamente eccitati si sollevarono su due estremamente divertiti Harry e Ginny, che si tenevano per mano e ridacchiavano senza ritegno.
“Che vuoi?” chiese con malagrazia Ron, rivolgendosi alla sorella.
“Pensavo che non fossi favorevole a questa dimostrazioni d’affetto pubbliche,” lo rimbeccò la ragazza, sogghignando.
Prima che Ron potesse ribattere, Hermione gli strinse la mano, costringendolo ad alzarsi con lui.
“Volevamo solo sapere se volevate venire con noi a trovare Luna,” disse Harry, osservando raggiante quei due testoni dei suoi migliori amici, che parevano aver finalmente trovato il coraggio di dichiararsi.
“Si, ho proprio voglia di vedere come sta Luna.”
“Speriamo che suo padre non ci sia,” borbottò Ron, prendendo la mano sinistra di Hermione e lasciando che le loro dita si intrecciassero.
Harry soffocò un nuovo risolino ed i quattro si avviarono per il breve tragitto che li separava da Casa Lovegood.
 
***

Qualche vandalo doveva aver approfittato del caos che aveva seguito la Battaglia di Hogwarts. Le strade di Diagon Alley infatti, non erano ancora ritornate all'antico splendore e al rumoroso vociare che le caratterizzava.
George e i fratelli si fermarono fuori dal negozio, per pulire i muri imbrattati e sistemare le vetrine incrinate e sporche, lasciando che fossero i genitori a precederli all'interno.
 
Il negozio sapeva di chiuso: Molly era pronta a questo.
Contemporaneamente sembrava che il tempo si fosse fermato. E questo era invece qualcosa per cui non sarebbe mai potuta essere pronta.
Fred era ovunque tra quelle quattro mura.
Rivedeva il suo sorriso orgoglioso, il giorno dell’inaugurazione. Lo ricordava intento ad illustrare i nuovi prodotti agli avventori del negozio. Lo sentiva mentre rideva e diceva a Ron che non avrebbe avuto alcun trattamento di favore in quanto suo fratello. Una semplice occhiata ad Arthur, e Molly fu consapevole che anche il marito stava provando la stessa fitta di dolore sordo al petto.
L’uomo le posò, protettivamente, un braccio sulle spalle. “Sarà sempre con noi,” le sussurrò, prima di baciarla sulla tempia.
“Lo so, Arthur… e so anche che così tante famiglie sono state distrutte irreparabilmente” sussurrò lei. “Guarda la povera Andromeda Tonks, sola con il piccolo Teddy… eppure non posso non pensare a quanto fossimo vicini a concludere la battaglia tutti illesi.”
Arthur si limitò ad annuire, immaginandosi quanto dovesse essere dura per Andromeda, ma pensando che fosse proprio in quel neonato dai capelli variopinti che trovava la sua incredibile forza. “Siamo stati piuttosto fortunati: Fred non c’è più, ma i suoi sei fratelli sono più uniti che mai, inoltre abbiamo guadagnato una splendida nuora, oltre a Harry ed Hermione,” le disse, con un sorriso un po’ meno allegro del solito.
“Quello che dobbiamo fare è stare vicino ai nostri ragazzi,” continuò il marito con la sua proverbiale pacatezza. “Non possiamo permettere che nessuno di loro si chiuda in sé stesso, soprattutto George.”
“Ma certo,” rispose Molly, osservando assente lo strato di polvere sugli scaffali.
“Lo stesso deve valere per noi, tesoro,” aggiunse Arthur, “so che stiamo soffrendo entrambi per la perdita di Fred, ma promettimi che me lo dirai se dovesse diventare troppo insostenibile per te.”
“Oh, Arthur,” sospirò la donna, abbracciandolo forte, “non potrei farcela senza di te,” gli sussurrò, mentre tre lui la stringeva.
“Insieme siamo più forti,” le rammentò.
 
Qualche minuto dopo, i ragazzi fecero il loro ingresso piuttosto rumorosamente.
“Tutto a posto fuori?” chiese loro Arthur.
“Nulla che qualche incantesimo basilare non potesse sistemare,” lo rassicurò Charlie.
“In cosa possiamo aiutarti, George?” chiese Percy.
Il fratello però non rispose, troppo toccato dall'assenza del gemello e, al tempo stesso, dalla presenza del suo fratello maggiore tra quelle quattro mura.
“Fred avrebbe adorato farti fare il tour del negozio,” disse, talmente a bassa voce che gli altri lo sentirono solo perché erano in religioso silenzio.
Percy non sapeva cosa rispondere, non poteva esistere la cosa giusta da dirgli.
“Io…” s’interruppe, sollevando lo sguardo addolorato sui genitori, per poi soffermarsi sul fratello minore.
“È solamente un dato di fatto, Perce,” continuò George, cercando di tenere un tono il più neutro possibile. “Non hai mai visto il negozio prima d’ora e sarebbe stato sicuramente meglio che tu lo vedessi anche in compagnia di Fred.”
“Ho perso così tanto tempo, per colpa del mio stupido orgoglio,” ribatté l’altro, abbassando lo sguardo e concentrandosi sui suoi piedi.
Molly stava per intervenire, ma Arthur la fermò, sapendo che doveva essere George a rispondere.
“L’importante è che tu sia qui ora,” disse il ragazzo, avvicinandosi al fratello.
Percy sollevò nuovamente lo sguardo su di lui.
Occhi azzurri lucidi incontrarono occhi castani altrettanto lucidi, prima che i due fratelli si abbracciassero.
Le lacrime cominciarono a scorrere silenziose sul volto di Molly, che osservava i figli, pensando che, forse, tutto si sarebbe potuto sistemare dopotutto.
 
“Siamo pronti per sistemare?” chiese Charlie, dopo che i fratelli si furono separati.
George assentì, guardandosi intorno, “dovremmo anche ripulire gli scaffali se voglio pensare di riaprire i battenti.”
“A quello posso pensarci io, tesoro,” gli rispose la madre. “Dubito che i vostri incantesimi domestici siano migliorati...”
I tre fratelli si scambiarono un mezzo sorriso, prima di scuotere la testa.
“Allora dividiamoci i compiti, tu e papà potreste pulire gli scaffali e ridisporre la merce che vi è già, facendoci sapere se mancano dei prodotti… noi invece andremo nel retro a valutare la situazione,” propose George, calandosi nei panni dell’abile negoziante che era diventato.
Tutti annuirono e si misero all'opera, grati di potersi rendere utili.
C’era molto da fare, visto che il negozio era abbandonato da alcune settimane, e Molly era decisamente sollevata di poter fare qualcosa di concreto per il figlio che più di tutti stava soffrendo.
Nel retro i ragazzi svuotarono le scaffalature, per prepararsi a ridisporre tutto in modo più ordinato, in modo da capire che cosa mancasse. Per alcuni minuti lavorarono silenziosamente, rivolgendosi la parola solo quando strettamente necessario. Charlie, abituato al lavoro fisico, era sicuramente più utile di Percy in quel frangente, così George disse all'altro fratello di andare a vedere cosa ci fosse nella zona intorno alla scrivania. Percy valutò che potesse essere utile riordinare la documentazione, aprendo il primo cassetto trovò la contabilità del negozio, aggiornata al mese di marzo, nel secondo c’erano invece i dettagli degli ordinativi via gufo.
Fu nel terzo che trovò qualcosa che non avrebbe dovuto sorprenderlo, ma lo fece. Una serie di pergamene era tenuta insieme da un nastro viola e, sulla prima di esse, nella calligrafia un po’ disordinata di Fred c’era scritto Nuove potenziali idee. Percy non resistette e lo aprì, trovandovi parole scarabocchiate e schizzi, che dovevano essere opera di George, che era il più artistico dei gemelli. Il ragazzo occhialuto si perse per qualche minuto a leggere le idee che i fratelli stavano pensando di commerciare, prima di raggiungere i due fratelli intenti a riporre i prodotti sugli scaffali prima di contarli.
“Non credevo che lo avrei trovato qui…” mormorò, passando il fascio di fogli a George, che lo riconobbe subito e con un sorriso nostalgico tornò agli albori della loro avventura e a chi era stato a permettergli di iniziarla.
 
“Prendetelo voi, e andate avanti con le vostre invenzioni. È per il negozio di scherzi.”
    “È pazzo,” disse Fred, con sgomento. 
    “Sentite,” disse Harry con fermezza. “Se non lo prendete voi, lo butto in un tombino. Non lo voglio e non mi serve. Ma un po’ di risate mi farebbero bene. Un po’ di risate farebbero bene a tutti. Ho la sensazione che ben presto ne avremo bisogno più del solito”
    “Harry,” disse George debolmente, soppesando il sacchetto con il denaro, “ci devono essere un migliaio di galeoni qui dentro.” 
    “Sì,” disse Harry, con un gran sorriso. “Pensa quante Crostatine Canarine fanno.” 
    I gemelli lo fissarono stupefatti. 
    “Solo una cosa, non dite a vostra madre dove li avete presi… anche se può darsi che non abbia più tanta voglia di farvi entrare al Ministero, adesso che ci penso…” 
    “Harry,” esordì Fred, ma Harry estrasse la bacchetta. 
    “Senti,” disse in tono deciso, “prendilo, o ti sparo un incantesimo. Adesso ne so di belli. Fatemi solo un favore, ok? Comprate a Ron un abito da sera, e ditegli che è un regalo da parte vostra.” ¹
 
Come in quell'estate di tre anni prima, George si trovò d’accordo con Harry nel pensare che ci fosse decisamente bisogno di un po’ di risate.
“Se vi confesso un segreto, mi promettete che non lo direte a mamma,” disse, dopo aver riguardato gli ultimi appunti del fratello, promettendogli che tutte le sue idee avrebbero visto la luce.
“Certo!” gli disse Charlie, mentre Percy annuiva titubante.
“I soldi per iniziare ce li diede Harry,” spiegò loro. “Erano quelli della vincita del Torneo Tremaghi...”
“Wow,” proruppe Percy, decisamente sbalordito, ma se si fermava a riflettere non avrebbe dovuto essere stupito.
“Tipico di Harry, direi,” commentò invece Charlie.
“E perché non vuoi che lo diciamo a mamma?” s’informò Percy, mentre Charlie levitava alcuni prodotti, facendoli infilare ordinatamente negli scaffali.
“Era Harry a non volerlo, sapete quanto può essere spaventosa mamma quando vuole,” rispose George. “Ripensandoci ora, può darsi che non gli interessi più, ma vorrei sincerarmene con lui...”
I due fratelli si scambiarono un’occhiata eloquente, prima di scoppiare in una risata fragorosa.
“Sono davvero felice che siate qui con me.”
“Dobbiamo stare uniti,” rispose subito Charlie.
“Vi prometto che non vi abbandonerò più, mi farò perdonare per essere stato il più grande e pomposo idiota del mondo.”
Non ci fu bisogno di alcuna risposta, i suoi fratelli capivano. I tre si rimisero quindi a lavorare, intervallando i minuti di silenzio con ricordi legati a Fred.
 
***
 

La luce del tramonto illuminava la Tana donandole un aspetto sereno, quando i cinque Weasley, distrutti ma soddisfatti, riemersero dalle fiamme del camino, trovando la tavola già imbandita.
“Bentornati,” disse loro Fleur, apostata di fronte al forno, una bandana celeste le teneva indietro i capelli, “la scena è quasi pronta.”
“Che tesoro,” disse Molly, notando che la casa sembrava essere stata pulita a fondo. “Non avresti dovuto pulire tutto quanto,” aggiunse poi.
“Oh, non è nionte,” rispose la bionda.
“Ci ha fatti lavorare tutti,” sorrise Bill, baciandola tra i capelli.
“Sei riuscita a convincere perfino Ron?” si stupì Percy.
“Oh, credimi fratellino… Fleur ha i suoi modi infallibili,” ribatté Bill, sogghignando.
La francese annuì, sorridendo al marito, “i ragazzi dovrebbero aver liberato i bogni, perché non sali a relassarti un peu?”
“Grazie davvero, cara,” disse Molly, sfiorando la spalla della nuora e avviandosi al piano superiore.
“Grazie,” aggiunse Arthur, sorridendo grato al primogenito ed alla ragazza.
“Non è nionte,” disse risoluta la giovane. “Siamo una famiglia.”
“Dove sono gli altri?” chiese George, accomodandosi sulla poltrona sfondata vicino al divano.
“Sono ondati a lavarsi.”
“Dovrebbero scendere tra poco, perché hanno invitato Neville e Luna per cena.”
“Oh bene,” Arthur sorrise, aveva sempre accolto con gioia gli amici dei figli in casa.
 
Dopo che i due invitati furono arrivati, mentre tutti stavano per sedersi a tavola, un fermo bussare alla porta riscosse i presenti.
“Chi sarà?”
Arthur si voltò verso la moglie, scrollando le spalle, mentre Charlie si avviava ad aprire, trovandosi davanti il Neoministro Shacklebolt in persona.
“Oh, scusate! Non avevo realizzato che fosse ora di cena,” disse, rammaricato.
“Ma figurati!” ribatté Molly. “Aggiungi un posto a tavola, Bill… chissà da quando non mangi.”
Kingsley aprì bocca per dire alla donna di non preoccuparsi, ma Arthur lo bloccò. “Sai benissimo che non demorderà,” gli disse, indicandogli il posto accanto al suo.
“Allora vi ringrazio,” disse l’uomo, osservando sorridente tutti i presenti, decidendo che avrebbe aspettato di finire la cena prima di affrontare il discorso che era andato a fare con Harry e i suoi amici.

 
¹Citazione tratta da “Harry Potter e il calice di fuoco”.



Nota dell’autrice:
Rieccomi qui con il secondo capitolo di questa storia. Ci siamo addentrati ancor di più nelle dinamiche della famiglia Weasley, ovviamente alle prese con la perdita di Fred.
Ho preferito concentrarmi su Ron ed Hermione, che avevo lasciato un po’ in sospeso nello scorso capitolo. Era ora che i due ammettessero finalmente ciò che provano l’uno per l’altra, mettendo tutte le carte in tavola ed ammettendo gli errori del passato. Vorrei chiarire che non credo che sia tutta colpa di Ron, ma lui è stato veramente un inconsapevole testardo nei confronti della riccia. Avrà occasione di dimostrarle quanto la ama.
George comincia il suo processo di guarigione, anche se non potrà mai davvero riprendersi da questa brutta botta, l’affetto della famiglia sarà assolutamente necessario.
Nel prossimo capitolo vedremo cosa Kingsley sia venuto a dire ai ragazzi, anche se già lo dovreste sapere, oltre che affrontare un problema di Hermione, che avrà un aiuto un po’ inaspettato.
Colgo l’occasione di ringraziare chi mi ha lasciato una recensione, chi ha aggiunto la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate e tutti i lettori silenziosi.
Ci aggiorniamo presto.
Francy



 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - It’s ok to be scared ***


Capitolo 3 – It’s ok to be scared

 
“It’s ok to be scared.
Being scared means you’re about to do
something really, really brave.”
Mandy Hale
 
 

Molly Weasley aveva avuto, ovviamente, ragione. Erano giorni che Kingsley non faceva un pasto decente, ma se n’era reso conto solo dopo essersi accomodato accanto ad Arthur. Erano anche giorni che l’uomo cercava di raccapezzarsi nella sua nuova veste di Ministro della Magia, momentaneamente con scarsi risultati. La matriarca lo guardava ansiosamente, aveva già tentato di riempire il suo piatto più volte, ma Fleur era stata ogni volta più veloce di lei.
“Scerca di relassarti, Molly,” diceva la bionda, posandole una mano sulla spalla, “hai faticato tutto il giorno.”
Al tavolo si mischiavano diversi argomenti di conversazione; i più giovani parlavano di organizzare una serata per vedersi con i compagni di scuola, Charlie stava aggiornando Bill, Percy ed il padre sui progetti che avrebbe seguito al ritorno in Romania, Fleur diceva a Molly e Kingsley che i genitori avrebbero voluto venire a far visita a lei e Bill a fine estate e che desiderava organizzare una grande cena sulla spiaggia a cui sarebbero stati tutti invitati.
Harry si guardò intorno, mentre un sorriso si faceva strada sul suo viso magro, era circondato dalle persone che lo avevano accolto come un fratello ed un figlio. Lui, che dopo 10 anni passati nella solitudine e nel disinteresse più totale, non aveva più sperato in un futuro migliore. Lui, che aveva mangiato la sua prima torta di compleanno ad 11 anni e, purtroppo, non aveva un ricordo felice in compagnia dei suoi genitori. Lui, che forse non avrebbe nemmeno avuto un futuro, se non avesse scoperto di essere un mago ed avesse cambiato per sempre la sua vita nell'affollata stazione di King’s Cross. Si ricordava come fosse ieri di quell’incontro fortuito sui binari, di come avesse sentito la signora Weasley parlare di babbani e avesse capito che quella famiglia dai capelli fiammeggianti avrebbe potuto aiutarlo. Rammentava come Ron gli avesse chiesto se poteva sedersi nel suo scompartimento, qualche minuto dopo, per poi procedere a raccontargli quanto poteva sul mondo dei maghi. Era stato Ron ad averlo fatto sentire, per la prima volta nella sua vita, incluso, Ron che poteva essere un po’ insensibile a volte, ma non aveva esitato a chiedere a sua mamma di mandare dei regali di Natale anche per Harry, in quel primo splendido Natale passato ad Hogwarts quasi sette anni prima. Osservò di sottecchi il suo migliore amico, che parlava fitto con George e Neville, una mano di Hermione stretta nella sua, con una consapevolezza nuova che gli illuminava lo sguardo fiero. Lo sguardo si soffermò poi sul terzo componente del loro trio, che sorrideva ascoltando Luna e si scambiava occhiatine complici con Ginny. Gli occhi nocciola della rossa incontrarono quelli verdi di Harry e le sopracciglia di Ginny s’inarcarono, prima che un sorriso furbo si facesse strada sul suo volto. Certo, quel futuro se lo era guadagnato combattendo e pagando un prezzo troppo alto, ma non avrebbe potuto davvero trovare una famiglia migliore di quella. Si riscosse dal suo sogno ad occhi aperti, rispondendo ad una domanda di Neville e prendendo una focaccina dal vassoio al centro del tavolo.
 
Dopo che i dolci furono mangiati e il caffè bevuto, Molly riuscì a convincere Fleur che non le pesava affatto sistemare i piatti e che lei, se ci teneva tanto, poteva fare altro caffè e recuperare quei fantastici pasticcini francesi che i suoi le avevano spedito qualche giorno prima.
Molly aveva bisogno di tenersi impegnata. Per quanto fosse felice della presenza di Kingsley: in casa sua un pasto caldo non si rifiutava proprio a nessuno, non poteva negare di essere un po’ in ansia al riguardo del motivo che lo aveva spinto a venire lì. Come sempre, sembrava che il marito le avesse letto nel pensiero, anticipandola e rivolgendo a Kingsley la domanda su cui si era arrovellata tutta sera.
“Siamo davvero felici di averti qui come ospite, Ministro,” disse l’uomo, “ma mi chiedevo se la tua fosse solo una visita di piacere oppure no.”
Kingsley ricambiò il sorriso di Arthur, mandando giù l’ultimo boccone di torta e pulendosi la bocca con il tovagliolo, prima di rispondere.
“Mentirei se ti dicessi che mi ero accorto che fosse già l’ora di cena,” cominciò, nel suo solito tono di voce profondo e rassicurante. “In realtà sono venuto perché speravo di parlare con Harry, Ron e Hermione,” concluse, puntando gli occhi scuri sui tre ragazzi.
Le orecchie di Ron assunsero la solita sfumatura rossa che le caratterizzava, quando il ragazzo si trovava al centro dell’attenzione, le sopracciglia di Hermione si inarcarono dubbiose, mentre Harry scambiò uno sguardo con i due, scrollando le spalle.
“Certo,” ribatté poi il bambino sopravvissuto.
“È un discorso privato?” chiese Molly, che aveva ascoltato tutto dal lavandino.
Kingsley scosse la testa. “Non per me, a meno che i ragazzi preferiscano così...”
Un nuovo scambio di occhiate fu concluso da Hermione, che rispose per tutti: “non abbiamo segreti.”
Nonostante le rassicurazioni dei tre, Bill, Charlie e George si alzarono per raggiungere Fleur in cucina, affaccendandosi al suo fianco, consci che il fratello minore sarebbe stato più a suo agio in quel modo. Fleur mise il marito alla ricerca dei dolcetti francesi, tra i vari scaffali, e spedì gli altri due in dispensa alla ricerca di quelle meringhe che aveva regalato tempo addietro alla suocera.
Il Neoministro prese un profondo respiro, prima di rivolgere il suo sguardo sui tre giovani eroi. “So che è molto presto e magari non ci avete nemmeno riflettuto, visto che siamo stati impegnati in compiti difficili e dolorosi negli ultimi giorni. Comunque mi chiedevo se avevate già pensato al vostro futuro, a cosa vi piacerebbe fare ora che Voldemort è stato finalmente sconfitto,” disse loro, prendendo una pausa per osservarne le reazioni. “Ve lo chiedo perché, pur non essendo più un Auror, ho a cuore il futuro della Divisione e, in accordo con Proudfoot che è stato appena nominato a capo dell’ufficio, volevo chiedervi se eravate interessati ad entrare in squadra...”
Ancora una volta i tre si scambiarono un’occhiata. Nella sala da pranzo non si sentiva volare una mosca, persino Luna aveva puntato gli occhi chiari sui tre ragazzi, che sfoggiavano espressioni sbalordite.
Fu Hermione la prima a prendere la parola. “Grazie di aver pensato a me, Kingsley,” cominciò, “ma tengo molto a completare la mia istruzione per poi proseguire nella lotta per la salvaguardia dei diritti degli elfi domestici e degli altri gruppi maltrattati nei secoli dai maghi, penso che un occhio esterno come il mio, essendo una Nata Babbana potrebbe portare una ventata di novità e cambiamento.”
L’uomo non poteva dire di essere rimasto sorpreso, annuì osservando la ragazza, prima di risponderle, “se dovessi cambiare idea, la squadra ha sempre bisogno di menti brillanti come la tua.”
“Grazie davvero, Ministrom” rispose la ragazza, mentre le guance s’imporporavano per il piacevole complimento.
“Voi due che mi dite invece?” l’uomo si concentrò sui due ragazzi, che non avevano ancora proferito parola.
“Diventare un Auror è il mio sogno sin da quando sono venuto a conoscenza della loro esistenza,” rispose, con semplicità, Harry, scambiandosi un’occhiata d’intesa con Ron.
“Sarebbe un onore per me diventare parte del corpo,” aggiunse il sestogenito di casa Weasley, prima di aggiungere un dettaglio che lo stava assillando dal momento in cui l’uomo aveva fatto la sua proposta ,“ma non siamo in possesso dei M.A.G.O.”
“Questo lo so bene,” rispose Kingsley, prendendo una nuova pausa, consapevole che i due pendessero dalle sue labbra, “è per questo motivo che, in qualità di Ministro della Magia, vi assegnerei i M.A.G.O. in tutte le materie frequentate al sesto anno e avrei fatto lo stesso anche con Hermione…” disse l’uomo, osservando la ragazza rabbuiarsi brevemente.
“Come ti ho già detto, Kingsley, ci tengo molto a terminare correttamente la mia istruzione.”
“Infatti ho detto che lo avrei fatto anche per te, ben conscio che tu non accetterai questa mia offerta,” rispose l’uomo, facendole l’occhiolino e scatenando qualche risatina al tavolo. “Ma l’offerta rimane valida per voi due” disse, concentrandosi nuovamente su Harry e Ron, “a meno che anche voi non vogliate terminare la scuola e, in quel caso, ne riparleremmo l’anno prossimo, senza alcun problema.”
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo incerto, che passò in pochi attimi dall'essere sconcertato al diventare felice ed emozionato, per poi trasformarsi in preoccupato e dubbioso.
“Dobbiamo risponderti subito?” proruppe infine Ron.
“Certo che no, immagino che ci vogliate pensare un po’ sopra.”
“È solo che non ce lo aspettavamo,” continuò il ragazzo, tornando a osservare Harry, “o per lo meno: io non me lo immaginavo proprio...”
“Nemmeno io,” aggiunse rapidamente Harry.
“Vorrei almeno capire se vi fa piacere,” disse Kingsley, dopo una breve pausa.
“Certo che sì!” s’affrettò a rispondere il moro, mentre l’altro annuiva al suo fianco.
“Ma come funzionerebbe?” chiese Ron, cercando di capire come mai il Ministro avesse fatto loro quella proposta.
“Beh, ovviamente dovreste presentarvi alle selezioni fisiche e superarle, ma non credo che avreste alcun problema, dopodiché sareste ammessi all’Accademia da cui vi diplomerete in tre anni.”
“E quando sarebbero le selezioni?” s’informò Harry, che in cuor suo aveva praticamente già deciso, e si augurava che avrebbe avuto il suo migliore amico al suo fianco in questa nuova avventura.
“Nei primi giorni di luglio ci saranno le selezioni, la lista delle persone accettate sarà resa nota tra fine luglio ed inizio agosto e l’inizio delle lezioni teoriche in Accademia ha sempre coinciso con l’inizio delle lezioni a Hogwarts,” spiegò Kingsley, ipotizzando che avrebbe ottenuto una risposta affermativa dai due.
“Teoriche?” Ron assunse un’espressione atterrita, che fece scoppiare a ridere Hermione, Ginny e Luna.
“Cosa pensavi di fare all’Accademia, fratellino?” chiese Percy, squadrandolo.
“Pensavo che avremmo fatto anche delle lezioni pratiche” rispose Ron, mentre le orecchie gli andavano nuovamente a fuoco.
“Certo che sì,” lo rassicurò Kingsley, “ma non inizieranno prima del secondo trimestre, il primo è dedicato al ripasso delle basi di Difesa contro le arti oscure, Incantesimi, Trasfigurazione, Pozioni ed Erbologia.”
“Oh, ok,” il ragazzo tirò un evidente sospiro di sollievo.
Harry si augurava di essere in grado di creare pozioni decenti senza l’aiuto di Hermione, visto che ci era riuscito solo al sesto anno sotto la guida del Principe Mezzosangue.
“Ti faremo sapere quanto prima,” rispose il corvino, dopo un’occhiata veloce all'amico.
“Non capisco perché vogliate aspettare,” borbottò Molly, che fino a quel momento aveva ascoltato in silenzio.
Tutti gli sguardi si rivolsero a lei.
“Beh… è una decisione importante, mamma,” le disse Percy.
“Certo che lo è, ma la scelta è piuttosto ovvia,” insistette la donna, avvicinandosi ai due giovani. “Avete sempre detto che diventare Auror era il vostro sogno e Kingsley vi sta dando la possibilità di coronarlo.”
“Credevo che proprio tu saresti stata contraria, mamma,” sussurrò Ron, mordicchiandosi l’interno della guancia.
“E perché?”
“Beh, non è ovvio?” domandò Hermione, conscia che Ron non avrebbe elaborato oltre. “Ronald e Harry temono che ti farebbero preoccupare troppo,” spiegò, evitando di citare in aggiunta la prematura perdita di Fred.
“Una madre non smette mai di preoccuparsi, ragazzi,” disse la donna con dolcezza, posando le mani sulle spalle dei due, “e, nel vostro caso, mi preoccupo da ben sette anni… viste e considerate tutte le vicissitudini che avete affrontato sin dal vostro primo anno a Hogwarts, in compagnia di Hermione...”
I tre si scambiarono un sorriso quasi imbarazzato, scegliendo di non rispondere.
“Certo, preferirei che sceglieste una carriera più tranquilla, ma non sarò io ad impedirvi di coronare il vostro sogno e preferisco che siate ben allenati in caso doveste affrontare altre battaglie,” concluse in tono risoluto.
Arthur si alzò per mettersi al suo fianco. “Vale lo stesso anche per me, ragazzi,” disse l’uomo, in tono pacato. “So benissimo che non siamo i tuoi genitori, Harry, ma in questi sette anni abbiamo imparato a considerarti come un figlio e vorrei solo dirti che avrai sempre un posto sicuro in cui tornare tra queste quattro mura. Siete entrambi adulti e non avete bisogno del nostro permesso per intraprendere la vostra futura carriera, ma vi posso dire che sono molto orgoglioso degli uomini che siete diventati e mi sento di aggiungere che credo che gli Auror acquisterebbero due membri decisamente validi con voi due.”
Harry si alzò dalla panca di slancio, trascinando anche Ron con sé, per poter stringere la mano ad Arthur e abbracciare Molly, sperando di riuscire a ringraziarli, almeno in parte, per tutto quanto. I due coniugi però, avevano altre idee, ed accolsero entrambi i ragazzi tra le loro braccia, stringendoli forte.
L’amico, sulle cui guance la madre avrebbe potuto friggere le uova, si avvicinò cautamente alla donna, dopo aver lasciato l’abbraccio del padre, mormorando un flebile ringraziamento, seguito da una domanda appena accennata: “sicura di quanto hai detto, mamma?”
“Certo che sì, tesoro,” lo rassicurò la donna, accarezzandogli la guancia resa ispida dall'accenno di barba che aveva cominciato a crescergli. “La vita è troppo breve per avere rimpianti,” gli sussurrò poco dopo. 
“Quindi avete preso una decisione?” chiese Luna, con il solito tono di voce sognante, dopo che i quattro si furono separati.
I due ragazzi si scambiarono un veloce sguardo d’intesa prima che Ron incontrasse lo sguardo emozionato di Hermione, che gli sorrideva incoraggiante, e Harry si ritrovasse a scrutare gli occhi caldi di Ginny, che inarcò un sopracciglio, incitandolo.
“Direi proprio di sì,” dichiarò infine il più giovane dei Weasley.
“Basta che tu ci faccia sapere quando dovremo presentarci per le prove fisiche,” aggiunse Harry, sorridendo apertamente a Kingsley.
“Questa è davvero una splendida notizia, ragazzi,” il Ministro della magia stava ricambiando il sorriso felice dei due. “Proudfoot avrà di che ringraziarmi,” aggiunse poi.
Hermione e Ginny lasciarono i loro posti per abbracciare i due, sorridendo entrambe felici ai ragazzi, sotto lo sguardo emozionato di Molly, che si rendeva conto ogni giorno di più di quanto fossero ormai cresciuti anche i più piccoli dei suoi figli.
Anche Neville e Luna si alzarono per complimentarsi.
“Direi che abbiamo una ragione per festeggiare,” dichiarò Charlie, avvicinandosi nuovamente al tavolo, reggendo un vassoio colmo di meringhe variopinte.
“Sicuramonte,” disse Fleur, seguendolo con il caffè.
“Ci sarà da sentirsi sicuri con voi due nel corpo,” aggiunse George, con un mezzo sorriso che gli illuminò parzialmente anche gli occhi castani. Prima di sedersi nuovamente al suo posto, si avvicinò ai due per assestare una pacca sulla spalla di ognuno.
“Ottima scelta, ragazzi,” concluse Bill, portando al tavolo anche una bottiglia di vino elfico.

 
***
 

La notte era limpida e fresca, Hermione si era rigirata anche troppo a lungo nel letto ed aveva, finalmente, deciso di andare a farsi qualcosa di caldo per calmare i nervi. Non si era aspettata di trovare qualcun altro che si aggirava per il piano terra, illuminato solamente dai raggi lunari.
“Ron?” sussurrò, riconoscendo la sagoma alta del ragazzo, intento a sbocconcellare dei biscotti, appoggiato al bancone della cucina.
“Hermione?” rispose lui, deglutendo rumorosamente. “Che ci fai sveglia?”
“Stavo per chiederti la stessa cosa,” ribatté la ragazza, aprendo il frigorifero per prendere del latte.
“Oh, beh, sai… non riuscivo a dormire,” biascicò poi, porgendole un biscotto alla cannella.
La ragazza lo accettò sorridendogli nella penombra, prima di scaldare il latte con un colpo di bacchetta. “Ne vuoi anche tu?” gli chiese, prima di riporre nuovamente la bottiglia.
Ron annuì, recuperando un’altra tazza e porgendogliela.
Dopo che entrambi ebbero scaldato il latte, i due si ritrovarono estremamente vicini, oltre che, stranamente, a corto di parole.
“Come mai non dormivi?”
“Un po’ di pensieri,” rispose flebilmente Ron, prima di prendere una sorsata dalla propria tazza.
“Andrai benissimo,” lo rassicurò lei, intrecciando le proprie dita con quelle di lui.
“Come puoi saperlo?”
“Ti conosco, Ron,” rispose la ragazza, sospirando, “tu tendi sempre a sottostimarti, ma sei un bravo mago: hai combattuto la guerra, hai distrutto personalmente un Horcrux e partecipato a numerose missioni pericolose. Superare le prove per essere ammesso all'Accademia non sarà un problema per te, tu e Harry avete anche del tempo per allenarvi comunque, se sei cosi preoccupato…”
“Grazie,” mormorò lui, accarezzandole il palmo della mano con il suo pollice, “sai sempre qual è la cosa giusta da dire,” aggiunse in un sussurro.
“Devi solo avere più fiducia in te stesso,” gli rispose, bevendo un po’ del suo latte.
“Ora che sai cosa tiene sveglio me, cosa ne dici di raccontarmi il motivo della tua insonnia?” domandò il ragazzo, scrutandola con attenzione.
“Pensavo ai miei genitori,” sussurrò  lei, cominciando a tracciare il bordo della tazza con l’indice della sua mano sinistra.
“Ma certo, per Godric! Come ho fatto a dimenticarmene!” esclamò lui. “Immagino che tu voglia andare a recuperarli…”
“E se loro stessero meglio laggiù?” il tono di voce della ragazza si fece improvvisamente incerto, mentre si mordicchiava il labbro visibilmente combattuta.
“Oh, Hermione,” Ron mollò la presa sulla sua mano per attirarla in un abbraccio. “Non puoi davvero pensare una cosa simile.”
“Potrebbero amare la loro vita in Australia,” bisbigliò la ragazza, con la voce incrinata.
“Ma non potrebbero mai amare la loro nuova vita più di quanto amano te,” la confortò Ron, posandole un bacio tra i capelli ricci ed inspirando il loro profumo di fiori.
“Dici?” il tono di voce di Hermione era ancora incerto.
“Ne sono più che sicuro,” annuì Ron, cercando di confortarla con il proprio abbraccio.
“Ti dirò di più,” cominciò, liberandola dal suo abbraccio per guardarla negli occhi, “mi piacerebbe molto venire con te a recuperarli.”
“Anche a me piacerebbe molto.”
“E allora domani cominciamo ad organizzarci,” dichiarò determinato il ragazzo.
“E l’Accademia?”
“Ho ancora dei mesi…” le disse noncurante. “Questo è molto più importante.”
“Grazie,” rispose, semplicemente, lei alzandosi in punta di piedi per posare le proprie labbra su quelle del ragazzo.
Ron partecipò con entusiasmo al bacio, assaporando la cannella sulla lingua di lei, prima di sollevarla senza alcuno sforzo e posarla sul bancone. Hermione aprì le gambe, lasciando a Ron lo spazio di posizionarsi tra esse, approfondendo il bacio e gemendo di piacere, quando il ragazzo mordicchiò il suo labbro inferiore. I minuti trascorsero lenti tra baci e sospiri, le mani dei due ragazzi esplorarono incerte il corpo l’una dell’altro, scoprendo quanto il semplice tocco potesse suscitare brividi e sensazioni mai provate prima. Ronald stava disseminando di baci il collo candido di Hermione, mentre la ragazza si gustava quelle attenzioni a occhi chiusi, quando qualcuno si schiarì rumorosamente la gola.
“Volete per caso far venire un infarto a mamma?”
Entrambi si voltarono verso George, che li osservava con un sorriso particolarmente malizioso.
“Dubito che apprezzerebbe di scoprire che avevate intenzione di copulare proprio nella sua cucina...”
“Non stavamo copulando,” bofonchiò Hermione, risentita.
Ron cercò di recuperare la facoltà di parola, voltandosi con lentezza verso il fratello. “Stavamo solo parlando,” gli disse.
“Buffo, non sentivo le vostre voci,” ribatté George, sorridendo sommessamente.
“Stavamo organizzandoci per andare a recuperare i miei genitori in Australia, in realtà…”
“Beh, potreste chiedere aiuto a Percy,” rispose George, prendendo un biscotto al cioccolato.
“A Percy? E perché?” domandò Ron, sorpreso.
“Oggi mi ha raccontato di avere un’amica al Dipartimento dei trasporti,” rispose George, focalizzando l’attenzione sulla parola amica.
“Dici che Percy ha una ragazza?” si stupì Ron.
“E perché non potrebbe averla?” domandò Hermione, scuotendo la testa.
“Esatto, perché non potrebbe? Se la hai tu…” obiettò George, prendendo un altro biscotto.
Ron sbuffò, mentre Hermione soffocava un risolino. “Dici che ci aiuterà?”
“Certo che sì,” la tranquillizzò il ragazzo. “Ogni scusa è buona per fargli incontrare Audrey,” concluse, prendendo un ultimo biscotto, prima di avviarsi di nuovo in camera.
“Voi piccioncini continuate pure quello che ho interrotto…” borbottò, pensando che Fred non l’avrebbe mai fatta passare liscia a Ron, se fosse stato al suo posto.
“Stiamo salendo anche noi,” replicò infastidito Ron, incamminandosi dietro di lui.
Una volta raggiunta la camera che Hermione divideva con la sorella, si chinò per dare un ultimo bacio alla ragazza. “Sogni d’oro,” le sussurrò a fior di labbra.
“Anche a te,” rispose lei, aprendo la porta della stanza.
“Notte, George,” aggiunse, prima di chiudersela alle spalle.
“Notte,” rispose il ragazzo, prima di concentrarsi di nuovo sul fratello minore. “Vedi di non combinare casini con lei… è decisamente la ragazza giusta per te.”
“Farò del mio meglio,” promise Ron, sentendo le guance e le orecchie nuovamente in fiamme.
“Sono davvero contento per te, fratellino,” aggiunse, prima di dargli una pacca sulla spalla e di avviarsi nella sua camera.
“Grazie,” replicò Ron, prima di andare nella propria stanza.
“Anche io sono contento,” sussurrò tra sé e sé, mentre si sdraiava tra le lenzuola arancioni dei Cannoni.
 


Nota dell’autrice:
Buonasera a tutti!
Rieccomi con il terzo capitolo di questa storiella. Spero che la visita di Kingsley vi abbia fatto piacere e che le reazioni siano state adeguate ai personaggi. Mi sono arrovellata un po’ su Molly, ma sono convinta che abbia appoggiato la scelta di Harry e Ron, così come ha fatto il resto della famiglia.
Non ho resistito ad aggiungere George che incappa nei due innamorati e cerca di comportarsi come avrebbe fatto se fosse stato con Fred… la via della guarigione è ancora lunghissima, ovviamente.
Nel prossimo capitolo conosceremo Audrey e ci prepareremo alla partenza per l’Australia, oltre che proseguire nel seguire le giornate dei Weasley.
Grazie di cuore a tutti i lettori, a chi ha commentato, ha aggiunto la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite.
Ci sentiamo presto con il prossimo capitolo!
Francy
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 – Faith is a funny thing ***


Capitolo 4 – Faith is a funny thing
 
“At the end of the day, faith is a funny thing.
It turns up when you don't really expect it.
It’s like one day you realize that
the fairy tale may be slightly different than you dreamed.
The castle, well, it may not be a castle.
And i’ts not so important happy ever after,
just that it’s happy right now
See, once in a while, once in a blue moon,
people will surprise you. And once in a while,
people may even take your breath away.”
Zane Grey
 
 
Audrey Lavall adorava arrivare presto in ufficio, sistemare le scartoffie con calma e poi concedersi una bella colazione.
Quel martedì di maggio non aveva fatto eccezione.
La ragazza era seduta alla scrivania, aveva appena finito di sistemare i documenti lasciati in sospeso il giorno precedente, quando, l’aroma del caffè messo su dalla sua collega d’ufficio, la riportò con la memoria ad un evento dell’autunno precedente.
La ragazza infatti, ricordava perfettamente il suo primo incontro con Percy Weasley, che aveva reputato un ragazzo timido ed un po’ secchione. Le ci era voluto un po’ di tempo per scoprire che quella di Percy era, in realtà, una facciata costruita con attenzione nel tempo, troppo orgoglioso per ammettere di aver sbagliato con la sua famiglia.
Audrey, che di fratelli ne aveva solo due, non riusciva ad immaginarsi come doveva essere stato crescere in una famiglia con ben sette figli. Le risultava chiaro però, che una personalità tranquilla e remissiva come quella di Percy si sarebbe trovata un pochino sottomessa da quelle ben più esuberanti dei suoi fratelli.
Certo, non si erano certo incontrati nel momento più facile delle loro vite, ma, ora che si erano lasciati la Seconda Guerra Magica alle spalle, la ragazza si augurava che Percy continuasse a far parte della sua vita. Perché, quel ragazzo occhialuto ed un po’ saccente, sapeva farla ridere e la faceva fantasticare sulla possibilità un futuro, che non aveva affatto considerato possibile solo mesi prima.
 
In fila davanti al carrello della colazione, un mattino di novembre, Audrey sbadigliava, occhieggiando l’ultimo muffin al cioccolato, sperando ardentemente che nessuno lo acquistasse prima di lei.
Trasse un sospiro di sollievo, quando una strega bionda scelse proprio quel muffin, per poi virare su uno ai mirtilli.
Mancava solo il ragazzo riccioluto di fronte a lei, Audrey incrociò le dita, le sembrava più un tipo da biscotti secchi o da vaniglia.
Rimase estremamente delusa quando il ragazzo invece, scelse il suo muffin.
Non riuscì ad impedirsi di sbuffare delusa :“come iniziare male la giornata!” bofonchiò tra sé e sé, cercando di capire cos’altro avrebbe potuto scegliere.
Lui si girò, osservandola dietro alle lenti degli occhiali. “Hai forse detto qualcosa?” le chiese, in tono gentile.
“Nulla,” si affrettò a rispondere, lui la fissò curioso ed Audrey si sentì obbligata a continuare: “speravo proprio di poter addentare quel muffin...” confessò infine.
“Oh, allora puoi averlo,” rispose lui, girandosi di nuovo verso la strega dietro al bancone, “ho cambiato idea, può darmi il biscotto al burro di arachidi e gocce di cioccolato? Il muffin lo prenderà la signorina dietro di me…”
La donna fece quanto richiesto ed Audrey toccò Percy sulla spalla per richiamare la sua attenzione: “grazie davvero, mhh… non credo di averti mai visto.”
“Sono Percy e, sicuramente non ti ho mai visto o mi ricorderei di te…” mormorò, mentre le orecchie gli andavano in fiamme.
Lei gli sorrise, prendendo il suo muffin e un caffè e decidendo di seguirlo ad un tavolino lì vicino.  
“Non capisco perché tutti siano convinti che alle ragazze piaccia ricevere fiori...”
Percy aveva stretto le spalle, addentando il suo biscotto. “Credo che sia una credenza che si è ben consolidata nel tempo.”
“Se vuoi farmi felice portami un muffin fatto in casa, dei biscotti, o, meglio ancora, dei cioccolatini…” aveva ridacchiato lei.
E Percy le aveva sorriso, un sorriso pieno che aveva coinvolto anche gli occhi azzurri, facendoli risplendere nell’atrio tetro del Ministero.
I seguaci di Voldemort avevano ottenuto il potere, gli unici che potevano lavorare tranquillamente erano i Purosangue, ma questo non significava che si dovessero dare per vinti.
 
“Si può?” chiese la voce dell’oggetto dei suoi pensieri, entrando.
Gli occhi di Audrey s’illuminarono. “Quello sono fatti in casa?” domandò, deliziata.
“Si, li ha fatti mia madre,” confermò, poggiando il sacchetto sulla scrivania.
“Allora vado a prendere due tazze di caffè, tu accomodati…”
I due fecero colazione insieme, come ormai capitava piuttosto spesso, e, quando il caffè fu terminato, Percy si schiarì nervosamente la gola.
“Tutto bene?” chiese la ragazza, sinceramente preoccupata.
“S-si… certo,” rispose lui, “ma avrei un favore da chiederti.”
“Dimmi tutto,” ribatté Audrey, sorridendogli.
 
***

Quel pomeriggio il sole splendeva alto nel cielo e Harry si stava godendo la sensazione di libertà che solo il volo gli sapeva dare. L’aria gli scompigliava i capelli già disordinati, il sole gli rendeva impossibile vedere con chiarezza intorno a sé, ma Harry non si sentiva così da mesi. Nel giardino della tana c’era una partita di Quidditch da organizzare, una cosa che sarebbe stata impossibile da pensare solo un paio di giorni prima...
Ci erano voluti svariati minuti, ma Ginny era riuscita a convincere anche George a partecipare, creando così due squadre pressoché equivalenti: lei, Ron e Harry contro Bill, Charlie e George. Essendo solo tre contro tre, avrebbero giocato solo con Ron e Bill nel ruolo di Portieri e con Harry e Charlie che avrebbero svolto sia il ruolo di Cacciatore che quello di Cercatore. Poco prima del fischio d’inizio, Harry si ritrovò accanto la ragazza che gli impartiva ordini sottovoce.
“Tu sarai anche stato il più giovane Cercatore del secolo, Potter,” gli bisbigliò affiancandolo, “ma la Cacciatrice più forte in questo gruppo sono io…”
“Come siamo competitive, Weasley,” ribatté lui, sorridendole lieve.
“I miei fratelli più grandi non mi hanno mai visto giocare e ci tengo a far bella figura…” disse con semplicità la rossa. “E poi, chi lo sa, potrei essere anche Capitano nel mio ultimo anno ad Hogwarts,” concluse.
“Sarebbero pazzi a non affidare la spilla a te,” si mostrò d’accordo lui. Ginny sorrise, prima di scendere nel dettaglio del suo piano d’attacco per sconfiggere gli altri tre. Harry non rimase affatto stupito dalla risolutezza e dalle idee della ragazza e si preparò a cominciare la partita.
Hermione aveva accettato di fare da arbitro, pur scegliendo di rimanere ben salda a terra ed aver ricordato loro che non conosceva molto bene le regole del Quidditch.
“Sentirti dire che non conosci qualcosa è così strano,” le confessò Ron. La riccia scosse solamente la testa, scegliendo di non rispondere, parte della sua mente già concentrata su come avrebbe organizzato in viaggio in Australia.
“Sai che andrà tutto bene, vero?” mormorò il ragazzo, avvicinandosi a lei, prima di montare sulla scopa.
“Lo spero, Ron,” ribatté lei.
“Io invece lo so,” la rassicurò lui, “stasera vedremo cosa ci dirà questa Audrey.”
“Spero solo che potranno perdonarmi,” sussurrò infine lei, mordicchiandosi l’interno della guancia.
“Lo hai fatto per salvarli,” le ricordò Ronald, lasciando cadere la scopa per sedersi al suo fianco, “capiranno sicuramente e non ci sarà proprio nulla che ti dovranno perdonare.”
La ragazza lo osservò di sottecchi, quasi come se lo vedesse per la prima volta, “mi piace questa versione di te più sicura…” gli confessò poi.
“Oh beh, sai com’è… una certa ragazza mi ha consigliato di avere più fiducia in me stesso…” celiò, mentre i suoi occhi azzurri s’illuminavano.
“Davvero?” stette al gioco lei. “E chi sarebbe questa ragazza?”
“Oh, solo la strega più brillante della sua età,” rispose lui, prima di posare le labbra su quelle di lei.
Hermione rispose con entusiasmo al bacio, affondando le sue mani tra i capelli di Ron. “Buona fortuna,” sussurrò poi, facendolo ritornare con la mente alla mattina della sua prima partita al quinto anno.  
“Potrei non averne bisogno,” sogghignò il rosso, “mia sorella è ben più che agguerrita!” esclamò poi, facendole l’occhiolino e riuscendo a farla ridere di cuore.
 
Molly e Fleur erano sedute sotto al portico, la donna più anziana stava spiegando alla nuora alcuni trucchi per migliorare i suoi incantesimi domestici. La giovane francese infatti, adorava prendersi cura della casa e apprezzava la dedizione che Molly aveva per la sua famiglia, pur non volendo rinunciare a lavorare. Condividendo i segreti di famiglia con la ragazza, Molly si ritrovò a riflettere su come, nella vita, le sorprese erano sempre in agguato. Quando aveva conosciuto la Campionessa di Beauxbaton, aveva pensato che fosse una ragazza bella, ma piena di sé, che non si fermava davanti a niente, ma che fosse attratta solo dall’aspetto fisico del suo primogenito. Non aveva biasimato Bill per essere rimasto vittima del suo fascino, ma aveva avuto timore che la francesina fosse troppo vanesia e non pronta ad affrontare la guerra che incombeva sulla comunità magica. La matriarca Weasley era stata ben contenta di aver commesso un errore di valutazione. Sin da prima dell’attacco che Bill aveva subito, era stato chiaro che a Fleur non interessavano le opinioni altrui, era una donna forte, senza alcuna paura di dire quello che pensava e di combattere per quello in cui credeva.
E Molly non aveva alcuna remora nell’ammettere di essersi sbagliata.
“Grazie di tutto, Molly,” mormorò la ragazza, osservando i ferri della suocera produrre un minuscolo maglione di un azzurro acceso.
“Sono contenta di poterti aiutare, cara,” rispose l’altra, posandole una mano sul braccio.
“Maman non è mai stata molto brava con questi incantosimi”
“Ci vuole solo un po’ di pazienza, sono convinta che te la caverai alla grande,” la rassicurò Molly, guardando con occhio critico l’indumento che stava sferruzzando e fantasticando sul domani in cui avrebbe preparato maglioni per i suoi nipoti, i figli di Bill in primis, “dici che gli andrà bene?” chiese poi a Fleur.
“Ponso di sì,” confermò la ragazza.
“Sono felice che Andromeda abbia accettato il nostro invito.”
“Anche io,” annuì la bionda. “Teddy est tres adorabile.”
 
Dopo un’oretta di partita serrata, finalmente fu avvistato il boccino. Harry e Charlie lo notarono quasi contemporaneamente, lanciandosi all’inseguimento della piccola pallina dorata. I due si tallonavano, entrambi cercando di superare l’altro, ma non riuscendo nell’impresa.
Gli altri osservavano i due, cercando di capire chi sarebbe uscito vincitore dal confronto. Con un ultimo sforzo, Harry si spinse sulla punta della scopa, allungando il braccio destro fino a sfiorare la pallina e chiuderla tra le dita.
“Harry ha preso il boccino!” esclamò Hermione. “La sua squadra vince 280 a 120.”
“Sei davvero bravo, Harry,” si complimentò Charlie, “non penso che avrei superato le selezioni contro di te.”
“Non la metterei giù così dura,” rispose il ragazzo, sorridendogli.
“Non sei affatto male, Potter!” esclamò Ginny, raggiungendoli.
“Me la cavo, eh?!” esclamò lui, inarcando divertito le sopracciglia.
“Tu sei un portento, sorellina,” disse Charlie, strizzandole l’occhio.
“Ho imparato dai migliori,” sorrise lei, “voi non ve ne accorgevate, ma osservavo ogni vostra mossa e carpivo i vostri segreti.”
“I risultati si vedono alla grande,” confermò Bill.
“Ci hai fatti neri, sorellina!” esclamò George, concedendole un sorriso.
“Spero sia di buon auspicio per il prossimo campionato.”
“Mi mancherà il Quidditch,” commentò Ron, spingendosi un ciuffo di capelli lontano dagli occhi.
“Anche a me,” concordò Harry, ritornando con la mente a quando ne aveva scoperto l’esistenza.


“Potter, questo è Oliver Baston. Baston... ti ho trovato un Cercatore.”
“Dice sul serio, professoressa?” 
“Ci puoi giurare. Il ragazzo ha un talento naturale. Non ho mai visto niente di simile. Era la prima volta che salivi su un manico di scopa, Potter?”

“Ha afferrato quella palla con una mano sola, dopo una picchiata di venti metri. E non si è fatto neanche un graffio. Neanche Charlie Weasley ci sarebbe riuscito.”
“Hai mai assistito a una partita di Quidditch, Potter?”¹
 
***

Audrey era intenta ad osservare le lancette dell’orologio a parete scorrere inesorabili.
“Si può sapere che hai?!” la voce di Sally Davies si fece strada a fatica tra i suoi pensieri, distogliendola, finalmente dalla parete.
“Tra dieci minuti arriva Percy…”
“Ti ha finalmente chiesto di uscire?” si entusiasmò la collega.
La mora scosse la testa. “Figurati! Perché avrebbe dovuto?!”
“Perché è cotto di te,” ribatté l’altra, in tono ovvio.
“Ma che dici?” domandò Audrey.
“Viene qui a portarti la colazione almeno tre volte a settimana… un ragazzo non lo farebbe mai se non fosse interessato e se, soprattutto, non credesse che anche tu lo fossi,” la incalzò la bionda, incrociando le braccia ed inarcando un sopracciglio.
Audrey alzò le braccia al cielo in segno di resa. “Ok, hai ragione! Ammetto che mi piace, ma è così timido che non so se si farà avanti…”
“E cosa ti impedisce di farlo al suo posto, scusa? Siamo nel ventesimo secolo, in caso non te ne fossi accorta,” ridacchiò l’altra.
“Ricordami perché siamo amiche io e te?!” chiese Audrey, facendo una smorfia.
“Perché non sopravvivresti mai senza i miei ottimi consigli,” ghignò Sally.
Audrey scosse la testa, ridendo. “Potrei ascoltare il tuo consiglio,” sussurrò poi.
“Fallo! La vita è troppo breve per aver paura di buttarsi… e poi, te lo ripeto, quel rosso è cotto di te!” l’amica le posò una mano sulla spalla, come ad incoraggiarla, “ma se non uscite per un appuntamento, mi dici perché vi vedere questa sera?”
“Suo fratello ed una sua amica hanno bisogno di aiuto per un viaggio internazionale, così lui ha pensato di chiedere a me.”
“Tutta una scusa per vederti dopo il lavoro,” ridacchiò Sally, “forse potrebbe addirittura baciarti di sua spontanea volontà,” rifletté, grattandosi il mento.
“Facciamo che eviterò di farvi incontrare o tu lo spaventerai.”
“Come puoi non fidarti di me?!” chiese la bionda, fingendosi offesa.
“E chi lo sa?!” ridacchiò l’altra, alzandosi finalmente in piedi. “Raggiungerò io Percy nel suo ufficio, tanto non sto più combinando nulla da un po’…”
 
Dieci minuti più tardi i due si erano messi in coda per la Metropolvere.
“Non possiamo andare direttamente a casa dei tuoi, volevo prendere dei fiori a tua madre!” esclamò Audrey.
“Credevo che non amassi i fiori,” rispose il ragazzo, osservandola stupito.
“Io non li amo, ma non posso nemmeno presentarmi con un dolce, non credi? Tua madre ne fa di ottimi, sarebbe stupido che glielo portassi io…”
“Non capisco davvero la ragione della tua agitazione.”
Audrey scosse la testa. “Sei proprio un maschio,” ridacchiò. “Passiamo da Diagon Alley, così prendo qualcosa per tua madre, ci vediamo al Paiolo Magico,” gli disse, senza dargli tempo di ribattere.
 
***
 
Mezz’ora più tardi i due si erano smaterializzati nel giardino antistante la Tana.
“La mia famiglia è piuttosto…” Percy prese una pausa, cercando la parola più adatta, “inusuale e caotica, ecco” concluse, grattandosi la testa.
“Me lo hai già detto,” sorrise Audrey, “sono sicura che sopravvivrò,” aggiunse, prima di bussare.
La porta venne aperta da Charlie, che fece un enorme sorriso all’ospite, “benvenuta alla Tana,” le disse, spostandosi per lasciarli entrare.
Audrey ricambiò il sorriso, presentandosi e chiedendo scusa se non avrebbe imparato subito i loro nomi. Raggiunse Molly e le porse il mazzo di gerbere gialle che aveva scelto per lei.
“Oh, sei stata così cara,” sorrise la donna, prima di abbracciarla e darle il benvenuto.
“Percy, offrile qualcosa da bere,” aggiunse, prima di cercare un vaso per i fiori, “dovremo aspettare ancora un po’ per la cena, temo…”
“Non c’è alcun problema, posso aiutare?”
“Gli ospiti non devono aiutare, mia cara…”
“Già, solo i suoi figli vengono trattati come elfi domestici,” borbottò a mezza voce Ron, che si beccò un’occhiataccia da Hermione.
“Audrey, lui è mio fratello minore Ron e questa è Hermione, che avrebbe bisogno del tuo aiuto.”
La riccia strinse la mano alla nuova arrivata, ringraziandola per la disponibilità, prima di esporle il suo problema.
Audrey ascoltò con attenzione, rimanendo solo leggermente stupita dalla coraggiosa scelta compiuta dall’altra ragazza, da quello che aveva saputo di lei da Percy, Hermione Granger non era tipo da arrendersi facilmente.
“So che probabilmente ho infranto numerose leggi, obliviando i miei genitori e spedendoli all’altro capo del mondo,” Hermione stava parlando così veloce che perfino Percy faceva fatica a seguirla, “ma spero davvero che mi potrai aiutare a recuperarli.”
Prima che Audrey potesse rispondere, Ron prese una delle mani di Hermione nella sua. “Cerca di star calma e di sentire cosa ci dice Audrey, prima di pensare il peggio, che ne dici?”
Hermione si limitò ad annuire, stringendo forte la mano di Ron ed osservando Audrey con occhi attenti.
Harry e Ginny li raggiunsero, sedendosi accanto ai due amici, ponendo Audrey al centro dell’attenzione.
“Per quanto riguarda le leggi infrante davvero non saprei, ma sono più che convinta che, considerando le circostanze in cui ti trovavi, la tua scelta sia stata la migliore per poter proteggere i tuoi genitori.”
Hermione tentò di ricambiare il sorriso della ragazza mora, che proseguì: “per quanto riguarda l’organizzazione di una Passaporta internazionale per raggiungere i tuoi genitori non dovrebbero esserci problemi, tu sei pur sempre un’eroina del Mondo Magico del resto… mi sentirei di consigliarti di parlarne con gli Auror, perché possano chiedere ai loro colleghi australiani di rintracciare i tuoi genitori, in modo che tu ti possa ricongiungere a loro facilmente.”
“La Passaporta la potresti organizzare anche per me?” domandò Ron, conscio che Hermione stesse processando le nuove informazioni.
“Certo, come sapete una Passaporta può trasportare un gruppo di persone nello stesso momento.”
“E poi dovremmo tornare sempre via Passaporta?”
“Sarebbe una tua scelta, se pensi che ai tuoi andrebbe bene lo potremmo fare, oppure potreste tornare in aereo.”
“Cos’è un areo?” chiese Ron, decisamente allarmato.
“Un aereo è un mezzo di trasporto babbano che vola,” gli spiegò Harry.
L’amico sbarrò gli occhi, riuscendo a far ridere sia Harry che la sorella, “penso ce una Passaporta sia preferibile.”
“E io penso che dovremmo compiere la scelta preferibile per i miei genitori,” ribatté Hermione, inarcando un sopracciglio.
“Direi che potreste chiedere consiglio a Kingsley,” suggerì Harry, che ben conosceva gli scambi d’opinione dei suoi migliori amici.
Entrambi annuirono, prima che Hermione si rivolgesse nuovamente ad Audrey, “quali sono le tempistiche per la creazione di una Passaporta internazionale?”
“Ci vogliono tre giorni lavorativi,” rispose l’altra, “non appena avrai localizzato i tuoi ci potremo mettere all’opera.”
“Ti ringrazio davvero tanto,” disse la Grifondoro.
Audrey ricambiò il sorriso. “Figurati, è stato davvero un piacere.”
Un nuovo bussare alla porta riscosse i presenti, George fu il più veloce e si ritrovò un fagottino addormentato, dai fini capelli azzurri, tra le braccia.
“Scusami George, ma stavano per cadermi queste,” mormorò Andromeda Tonks, facendosi strada verso la sala con due scatole chiaramente alleggerite magicamente.
Le posò di fronte ad Harry, salutando il gruppo di ragazzi. “Ho raccolto le cose di Remus, qui ci sono i suoi ricordi di scuola e ho pensato che ti avrebbe fatto piacere averli.”
Harry balzò in piedi ed abbracciò la donna. “Grazie davvero,” mormorò, stringendola a sé.
Lei ricambiò l’abbraccio, ricacciando indietro le lacrime. Sua figlia e suo genero avevano chiaramente compiuto la scelta giusta, nominando questo ragazzo come padrino del suo Teddy. Harry non aveva esitato a prendersi le sue responsabilità, prendendo da parte la donna dopo il funerale di Remus e Tonks, e dicendole che sarebbe stato una figura molto presente nella vita di Teddy, come Sirius non aveva potuto essere per lui.
Un pianto lieve interruppe l’abbraccio tra i due, che si voltarono subito verso un intimorito George, “non ho fatto niente, lo giuro,” biascicò, osservando la nonna del piccolo.
“Ne sono sicura,” sorrise lei. “Teddy si sarà solo accorto di essere in un ambiente nuovo,” aggiunse, avvicinandosi. Prima che lo potesse prendere in braccio però, una voce la riscosse. “Posso?” Fleur osservava la donna con occhi luminosi e un sorriso radioso.
“Ma certo che puoi, cara,” si affrettò a dirle, guardando la ragazza prendere Teddy tra le braccia con infinita tenerezza e sorridergli, prima di voltarsi verso il marito ed esclamare: “guarda, Bill! Teddy ha changé il colore dei capelli.” L’uomo si avvicinò ai due, accarezzando la testa del piccolo, che li osservava interessato.
E Andromeda Tonks si ritrovò di nuovo a ricacciare indietro le lacrime, alla vista dei capelli color gomma da masticare.
Audrey Lavall guardò di sottecchi Percy Weasley, che aveva gli occhi lucidi mentre osservava il fratello maggiore e la cognata stringere Teddy, con Fleur che gli cantava una melodia francese.
Prima che Molly li richiamasse per la cena, la donna raggiunse Andromeda. “Era tantissimo tempo che non facevo qualcosa di così piccolo,” le disse, porgendole una scatola bianca piena di vestitini per Teddy. L’altra affondò le mani nella moltitudine di maglioncini, pagliaccetti, cappellini e sciarpe colorate, prima di sollevare lo sguardo fiero sulla matriarca Weasley. “Sapevo che, scegliendo Harry come padrino, Teddy avrebbe guadagnato la famiglia numerosa che la mia Dora non ha avuto il tempo di costruirsi…” disse, abbracciando l’altra donna.
 
Quando Percy riaccompagnò a casa Audrey, molto più tardi quella sera, la ragazza rise mentre lui finiva di raccontare uno degli scherzi più assurdi architettati dai gemelli.
“Grazie davvero per stasera,” gli disse, avvicinandosi alla porta del suo appartamento.
“Grazie a te,” mormorò lui, avvicinandosi titubante, “mi chiedevo se…”
“Se?”
“Se ti andrebbe di uscire con me una sera di queste…”
“Credevo non lo avresti mai chiesto!” esclamò la mora, attirandolo a sé per il tanto agognato primo bacio.

 
 
¹ Citazione da “Harry Potter e la pietra filosofale”
 
Nota dell’autrice:
Buonasera a tutti! Innanzitutto mi scuso per il ritardo di questo capitolo, ma il weekend scorso le mie amiche mi hanno rapito per portarmi a Budapest per il mio addio al nubilato, quindi non sono riuscita a pubblicare prima. Che ne dite di Audrey? Io mi immagino che ci voglia un tipino bello tosto per il nostro Percy, quindi spero che vi convinca. Mi sono concentrata molto su di loro, lo ammetto, ma nel prossimo capitolo proseguiremo con i preparativi per l’Australia e apriremo le scatole dei ricordi di Remus insieme ad Harry. Dopodiché sarà ora di rintracciare i signori Granger e partire per il Down-Under.
Grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle seguite, preferite, da ricordare e soprattutto a chi mi lascia un commento.
A presto,
Francy

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - As if you were to die tomorrow ***


Capitolo 5 – As if you were to die tomorrow
 
“Live as if you were to die tomorrow.
Learn as if you were to live forever.”
Mahatma Gandhi


 
 
Hermione era sempre stata abituata ad essere piuttosto indipendente nella sua vita. I suoi genitori l’avevano cresciuta coltivando in lei l’interesse per il mondo che la circondava, inculcandole l'idea che, nella vita, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. Lei aveva sempre trovato conforto nelle loro parole, ma aveva spesso temuto di aver sbagliato qualcosa. Forse perché, ai tempi della scuola babbana, era stata piuttosto solitaria, facendo fatica a stringere amicizie durature. Non per mancanza di sforzi da parte sua, semplicemente si era sempre considerata diversa dalle compagne di scuola, con i loro sogni di principi, i glitter rosa e le Barbie con cui giocare per tutto il pomeriggio. Hermione, tornando con la memoria ai suoi primi ricordi, ricordava da sempre la curiosità, la volontà di avere risposte e l’amore per la lettura. Aveva sempre adorato leggere, vivendo le vite dei personaggi dei suoi libri ed immaginandosi una vita diversa anche per sé stessa. Aveva avuto solo un paio di amiche, prima di partire per Hogwarts e con nessuna delle due aveva mantenuto i rapporti una volta tornata dopo il suo primo anno in Scozia. Poteva ammettere in tutta tranquillità che Harry e Ron fossero stati i suoi primi veri amici, oltre che poterli ringraziare per la maggior parte dei rapporti che aveva stretto ad Hogwarts.
Quella notte, come la maggior parte delle precedenti, si stava rigirando nel letto, impossibilitata a prendere sonno. Aveva rinunciato alla pozione contro gli incubi, ma, col senno di poi, avrebbe forse dovuto accettare la dose che le era stata proposta da Molly. Lanciò un’occhiata a Ginny, osservando i capelli rossi sparsi sul cuscino, l’alzarsi ed abbassarsi ritmico del suo petto ed i piedi che spuntavano dal lenzuolo. Non volendo rischiare di svegliarla, Hermione si alzò dal letto e scese lentamente fino alla cucina.
Come accaduto pochi giorni prima, trovò la cucina già impegnata da una testa di capelli ramati, abbandonati sulle braccia conserte.
“George?”
Il ragazzo sollevò gli occhi nocciola arrossati su di lei. “Ciao, Hermione,” sussurrò, asciugandosi velocemente le guance.
“Posso fare qualcosa per te?” gli chiese.
L’altro sospirò rumorosamente, prima di scuotere la testa.
“Magari una tazza di the?” propose la riccia, alzandosi e mettendo su il bollitore.
“Mi manca così tanto,” mormorò il ragazzo, qualche secondo dopo.
Hermione gli posò una mano sulla spalla, spingendolo, in qualche modo, a proseguire.
“So che lui vorrebbe che io andassi avanti, che pensassi alla riapertura del negozio, che mi rallegrassi perché il resto della famiglia si è salvato, che progettassi il mio futuro, ma…” il giovane si interruppe, deglutendo rumorosamente, “la verità è che non ce la faccio, non ci riesco proprio e sento che lo sto deludendo, ma non so cosa fare,” concluse poi, tirando su col naso.
“Dubito che chicchessia possa essere deluso da te, George!” lo rassicurò Hermione, stringendogli una spalla, “men che meno potrebbe esserlo Fred.”
La strega raggiunse l’armadietto recuperando delle bustine di the, due tazze e dei biscotti, prima di far levitare con eleganza il vassoio fino al tavolo e sedersi accanto al gemello sopravvissuto.
“Avrebbe dovuto sopravvivere lui,” mormorò il ragazzo, così piano che lei sulle prime faticò a sentirlo.
Si bloccò, proprio mentre era sul punto di chiedergli di ripetere quanto detto, allungandogli una tazza.
“Non lo dire, non pensarlo nemmeno!” esclamò poi, con foga.
“E perché non dovrei?” borbottò sconsolato l’altro, scuotendo la testa, “era lui quello che faceva le battute più divertenti, che progettava gli scherzi più assurdi, che sapeva sempre come consolare Ginny dopo un incubo, che non aveva paura di questa assurda guerra che ci siamo trovati ad affrontare, che non ha mai fatto fatica a conquistare le ragazze… era lui che si meritava di avere un futuro, non io che non so nemmeno cosa farmene di questo dannato futuro.”
Hermione prese la mano di George tra le sue. “Fred non vorrebbe vederti così e sono piuttosto sicura che ti affatturerebbe se sentisse quello che hai appena detto.”
Ancora una volta, George tirò su rumorosamente con il naso, scuotendo la testa con veemenza. “Lo aveva promesso!”
“Che cosa aveva promesso?”
“Che sarebbe stato sempre al mio fianco!” dichiarò, sollevando gli occhi ed incontrando lo sguardo di Hermione.
E la ragazza capì. Capì che tutte quelle parole erano dettate dal risentimento che George provava nei confronti del gemello, perché si sentiva abbandonato da lui. Capì che, sicuramente, George si odiava per quanto provava, ma che non poteva fare a meno di sentirsi perso senza la sua metà e che ricominciare non sarebbe stato facile.
Le lacrime scorrevano calde sulle guance lentigginose di George, la vista era offuscata e la sensazione di inadeguatezza gli riempiva il cuore e l’anima.
“Non riesco ad andare avanti senza di lui…” mormorò, atterrito.
Hermione strinse con forza la sua mano, cercando di infondergli un po’ di determinazione. “Fred non sopporterebbe di vederti in questo stato, non oso nemmeno immaginare che cosa possa aver significato per te perderlo, perché il vostro legame era unico ed irripetibile, ma non dimenticarti mai che lui sarà sempre con te…”
Il ragazzo la fissò, sbattendo piano le palpebre, incitandola a continuare.
“Lui sarà sempre qui, George… nel tuo cuore” disse la ragazza, posizionando entrambe le loro mani sul suo petto. “Lo rivedrai nel coraggio di Bill e nella competitività di Ginny, lo riconoscerai nelle battute di Ron e nella risata di Charlie, avrà lo sguardo attento di Percy e lo ritroverai nell'abbraccio affettuoso dei tuoi genitori” continuò, riuscendo a sorridere al ricordo di Fred, “so che fa male, perché lui manca a tutti noi, ma tu glielo devi… devi accettare di essergli sopravvissuto e fare del tuo meglio per vivere una vita che valga la pena di essere ricordata e se ti verrà da piangere fallo, perché sentire la sua mancanza non sarà mai sbagliato e, se dovessi sentirti solo, ricordati sempre che lui veglierà su di te e non sarai mai davvero solo.”
“Grazie,” mormorò infine George, asciugandosi le lacrime.
“Sono nata figlia unica, ma tutti voi siete parte della mia famiglia e farò di tutto per aiutare te, i tuoi genitori ed i tuoi fratelli in questo momento così difficile,” dichiarò la strega.
“Chi l’avrebbe mai detto che proprio Ron avrebbe trovato una ragazza così determinata, disponibile ed assennata?” domandò pensieroso il ragazzo, facendole un sorriso fioco.
Hermione sentì le guance colorirsi, scegliendo di ricambiare semplicemente il sorriso.
“Se il mio fratellino dovesse combinare cazzate e farti soffrire se la dovrà vedere con me…” le promise, dopo qualche attimo di silenzio in cui i due sorseggiarono pensosamente il loro the.
“Hey, per quale motivo dovrei combinare cazzate?” il sussurro di Ron li fece voltare verso le scale, la sua figura allampanata li stava raggiungendo.
George appellò un’altra tazza, facendo segno al minore di sedersi, mentre Hermione si voltava ad osservarlo con occhi colmi di preoccupazione. “Non riesci ancora a dormire?”
Ronald si grattò nervosamente la testa, sedendosi accanto alla ragazza e cercando di sorridere, “in realtà avevo un po’ di pensieri su come organizzare al meglio il nostro viaggio e, quando non ti ho vista in camera di Ginny, ho pensato che potessi essere quaggiù…”
“Allora vi lascio soli,” disse George, iniziando ad alzarsi.
Hermione incontrò lo sguardo di Ron, scuotendo la testa, spingendo il ragazzo a fermarlo. “Resta con noi,” disse il futuro Auror.
“Non vorrei essere di troppo,” George fece una smorfia.
Gli occhi erano ancora lucidi, una delle sue mani ancora stretta in quella di Hermione, Ron comprese subito che il fratello aveva smesso di piangere da poco, “rimani, per favore… noi non sappiamo nulla di viaggi intercontinentali, tu potresti essere d’aiuto,” improvvisò infine.
Con la coda dell’occhio vide Hermione sorridere, comprendendo di aver fatto la scelta giusta.
La ragazza gli passò un biscotto, sfiorandogli le dita mentre glielo consegnava, il fratello invece si risedette, agguantando un biscotto anche per sé. I tre passarono gran parte della notte parlando dell’imminente viaggio in Australia, riuscendo a far sentire George decisamente meno solo.
 
“Grazie davvero, ragazzi… vado a cercare di dormire qualche ora,” disse il più grande, cirda due ore dopo, notando che erano quasi le tre di notte.
“Figurati,” gli disse il fratello.
“Ricordati che ci saremo sempre per te…” aggiunse Hermione.
George annuì, incamminandosi verso la scala, prima di voltarsi di nuovo e assumere un’espressione furba che i due non vedevano da un po’ sul suo viso, “cercate di non fare niente che io non farei…”
Ron fece una risatina, mentre Hermione incrociava le braccia a metà tra il divertito e l’infastidito.
“Anzi… fate qualsiasi cose vi vada di fare!” esclamò poi. “La vita è troppo breve per perdersi in inutili rimpianti,” concluse, facendo loro l’occhiolino e spedendo con un preciso incantesimo le tre tazze ed il bollitore nel lavandino.
I due lo osservarono salire i gradini, prima di scambiarsi un’occhiata incerta, ritrovandosi entrambi ad arrossire.
“Lascia perdere George e quello che ha detto,” bofonchiò Ron, prendendo la mano della ragazza nella sua e tracciando dei cerchi concentrici con il pollice.
“Perché dovrei?” chiese lei, costringendolo a sollevare gli occhi cerulei.
“Ha detto la verità, Ron… noi due, anzi, tutti le persone presenti in questa casa, siamo sopravvissuti ad una guerra e se non ci aiuterà questo a capire che non dobbiamo vivere di rimpianti, cosa lo farà?”
Ron si mordicchiò l’interno della guancia, cercando di capire dove la mente geniale della sua ragazza stesse andando a parare. Vedendo l’incertezza farsi strada negli occhi di Ronald, Hermione strinse la mano del ragazzo nella sua, prima di spiegarsi: “quello che volevo dire, Ron, è che non voglio più chiedermi quello che sia giusto fare e perdere tempo!”
“Con me?”
I capelli ricci di Hermione si mossero, mentre lei faceva segno di no con la testa, “quello passato con te non potrebbe mai essere tempo perso,” gli sorrise, accomodandosi nel suo abbraccio.
Il ragazzo si rilassò visibilmente, stringendola ed accarezzandole la schiena.
“Non voglio avere rimpianti, Ronald,” reiterò la giovane Grifondoro.
Lui le posò un bacio tra i capelli, inspirandone l’aroma di lavanda, “nemmeno io,” le sussurrò, provocandole una scia di brividi che partirono dalla testa e raggiunsero la punta dei piedi.
“È per questo che voglio che tu sappia che ti amo,” mormorò lei, mentre il cuore le batteva all'impazzata.
Ron si paralizzò, era da anni che voleva sentire quelle parole pronunciate dalla bocca che era solito redarguirlo per i compiti e richiamarlo all’ordine durante gli incontri dei Prefetti.
“Anche io ti amo,” rispose, dopo una pausa brevissima, “ti amo da anni ormai, ma non…”
Lei lo interruppe, posandogli un dito sulle labbra. “Il tempo perso non ci interessa più, Ron,” gli disse con dolcezza. “Se c’è una cosa che ho imparato negli ultimi tempi, anche dalla conversazione che abbiamo appena avuto con George, è che dobbiamo cogliere l’attimo, vivere nel presente e pensare solo al nostro futuro.”
“Sono d’accordo con te,” annuì lui, posando la fronte su quella di lei, “il futuro non mi spaventa, sapendo che sarai al mio fianco,” concluse, prima di reclamare le sue labbra per un bacio.
Un bacio che iniziò lentamente, anche se accompagnato dalla consapevolezza di aver condiviso i sentimenti che albergavano in entrambi i loro cuori, rendendo ancora più profondo il loro legame. Le lingue di entrambi si aprirono un varco nella bocca dell’altro, sfiorandosi e trovandosi impegnate in una danza ipnotica e passionale, che fece ben presto ritrovare i due a corto di fiato. La mano di Hermione si infilò tra i capelli disordinati di Ron, mentre quella di lui s’insinuò sotto la maglietta leggera che la ragazza aveva addosso come pigiama. Sfiorò il basso ventre della ragazza, risalendo fino al seno sodo, lasciato libero per la notte, lambendone la pelle solitamente confinata sotto la stoffa dei reggiseni e sentendola trattenere il fiato, si fermò, osservandola.
“Scusa,” sussurrò, abbassando la mano.
“Non scusarti,” soffiò lei, mentre i suoi occhi caldi si perdevano in quelli cristallini del ragazzo.
“Non voglio obbligarti a fare nulla,” si affrettò a dirle Ron, inspirando a fondo e cercando di riprendere fiato.
“Non lo stai facendo,” lo rassicurò lei, sorridendogli, “solo, credo che dovremmo cercare un posto un po’ più appartato…”
Ron spalancò gli occhi, vagamente incredulo, “cosa avevi in mente?” le domandò poi.
“Accio coperta,” enunciò Hermione, osservando il ragazzo afferrare tra le mani una coperta di patchwork cucita dalla signora Weasley.
“Potremmo ritornare vicino allo stagno,” gli propose poi, alzandosi e trascinandolo con sé. Ron la seguì docilmente, decidendo che il sonno poteva, decisamente, attendere.
 
Dopo averla osservata stendere la coperta sul terreno, si perse nel dettaglio dei suoi capelli che le ricoprivano il volto, mentre sistemava gli angoli colorati. L’aria frizzate della sera era piacevole, ed Hermione si lasciò cadere sulla calda coperta variopinta, prima di incontrare lo sguardo di Ron e dare una pacca indicando il posto accanto a sé. Lui non se lo fece ripetere due volte, sdraiandosi al suo fianco, limitandosi a fissarla, quasi non credendo a quanto stesse succedendo.
“Dove eravamo rimasti?” la voce di Hermione non era mai risuonata così suadente ed il ragazzo la attirò a sé, per riprendere a baciarla. Per alcuni minuti i due si baciarono, lentamente, senza fretta, cogliendo l’attimo e pensando solamente alla novità che stavano vivendo. Quando Ron lasciò, con rimpianto, le labbra della ragazza però, lei lo sorprese spingendolo lungo disteso sulla coperta, prima di salire a cavalcioni su di lui, portando i loro corpi in collisione. Hermione si morse il labbro inferiore, concentrata sulla mossa successiva, intenta a fissare bramosa il lembo di pelle lasciato scoperto dalla maglietta arancione indossata da Ron. Con un tocco leggero, infilò le dita sotto al cotone liso, spingendo la maglia in alto, fino a scoprire il ventre del ragazzo disseminato di lentiggini. Con un gesto improvviso e deciso sfilò l’indumento al ragazzo, per poi sdraiarsi su di lui, inspirando il suo profumo di pulito, di menta e di erba tagliata da poco. Lui la strinse a sé, massaggiandole la schiena, temendo che potesse avere freddo, ma la temperatura esterna era un pensiero decisamente lontano dalla mente della ragazza in quel momento. Si avvicinò al lobo del suo orecchio, posando un bacio alla base di esso, prima di sussurrare piano: “penso che sarebbe più equo se rimanessi senza maglietta anche io…”
Se Ron rimase stupito da questa richiesta, non lo diede a vedere, sdraiandosi su un fianco e portando la ragazza con sé, in modo che potessero guardarsi negli occhi. “Ne sei sicura?” si accertò.
Lei annuì, prima di prendere nuovamente l’iniziativa e togliere la maglietta bianca che separava la sua pelle da quella del ragazzo. La sua pelle chiara era perfetta, illuminata dalla fioca luce lunare e Ron rimase incantato ad osservarla, prima di avvicinare lentamente una mano, portandola a sfiorare il collo della ragazza, prima di scendere fino al suo seno. Il lieve gemito che sfuggì dalle labbra di Hermione gli donò vigore, spingendolo a continuare con le carezze, beandosi delle sensazioni che la loro semplice vicinanza gli stava provocando. Non poteva negare che, con Lavanda, si fosse dato parecchio da fare, ma non si era mai sentito in quel modo, non aveva mai provato una vicinanza simile con la compagna di scuola e, mai come in quel momento, era grato di non essersi spinto troppo oltre con lei. Hermione aveva chiuso gli occhi, mentre gemiti sempre più appagati le sfuggivano dalle labbra, in risposta alle carezze di Ron. Il ragazzo decise quindi di baciarle il collo, lasciando una scia umida che partiva dal mento e raggiungeva le sue spalle, per poi spingersi più giù, fino a chiudere la bocca su uno dei suoi capezzoli, mentre continuava a tormentare l’altro con le dita della mano destra. Stanca di rimanere inerte, anche Hermione accarezzò le spalle di Ron, ridiscendendo poi la schiena, arrivando a toccare l’elastico dei pantaloncini che il ragazzo indossava per dormire. Gli sfiorò gli addominali in tensione, venendo in contatto con il rigonfiamento nascosto a stento dai suoi shorts.
“Scusa,” borbottò lui, smettendo di baciarla e fissandola, contrito.
“E di cosa?”
“Di quello…” borbottò imbarazzato lui, indicando vagamente il suo ventre.
“Non devi scusarti, Ron,” gli disse lei dolcemente. “Più che altro sono stupita da questa tua reazione, per così poco…”
“Così poco?!” bofonchiò lui. “Non sai da quanto sogno di vederti senza reggiseno e di accarezzare le tua palle morbida,” aggiunse, sentendo le orecchie infiammarsi.
“Anche io sognavo le tue carezze da mesi, se non anni,” dichiarò lei, prendendo una mano nella sua. “Solo che non pensavo che bastasse così poco per eccitarti, dopo la tua esperienza pregressa, ecco…” l’allusione a Lavanda era chiara, così come quello che evidentemente pensava che avessero fatto.
“Oh,” Ron rimase a bocca aperta.
“Va tutto bene, sono convinta di quanto ti ho detto l’altro giorno, credo davvero che tutto succeda per una ragione…”
Ron la bloccò, posandole l’indice sulle labbra. “Non ho fatto sesso con lei, se è questo che pensi,” le disse con semplicità.
Questa volta fu la bocca di Hermione a spalancarsi, sbalordita, “ah no?”
Lui scosse la testa. “Sapevo che non era quella giusta e, anche se non nego di aver fatto un po’ di esperienze con lei, non mi sono mai spinto fino in fondo… ho sempre pensato che la prima volta dovesse essere speciale, con qualcuno di cui fossi innamorato, un po’ come è successo ai miei genitori… e non ho mai amato nessun’altra,” le spiegò, grattandosi nervosamente la testa.
Gli occhi di Hermione si inumidirono, mentre la ragazza sorrideva. “La penso anche io esattamente così,” gli disse, “e nemmeno io sono mai stata innamorata di qualcun altro.”
Si abbracciarono, consci che non servissero altre parole per esprimere ciò che li legava, prima di abbandonarsi a nuovi baci e carezze timide poi sempre più audaci, pur se rimanendo entrambi solamente senza maglietta. Quando le prime luci dell’alba illuminarono i loro corpi, entrambi capirono che era il caso di rivestirsi e tornare alla Tana. Lo fecero senza fretta, mano nella mano, passeggiando in un silenzio infranto solo dal frinire delle cicale.
“Ci vediamo tra poco,” le sussurrò lui, lasciandola davanti alla camera della sorella.
“A dopo,” ribatté lei, alzandosi in punta di piedi per sfiorargli le labbra un’ultima volta.
Si chiuse la porta alle spalle, infilandosi nel letto, chiudendo gli occhi e sognando le sue mani che la accarezzavano e le sue labbra morbide.

 
***
 

La scatola che gli aveva portato Andromeda Tonks era ai piedi del suo letto da tre giorni ormai, Harry non sapeva bene cosa aspettarsi dal suo contenuto. Da una parte fremeva all'idea di aprirla, ma dall'altra temeva di essersi fatto un’idea decisamente troppo roboante di quanto potesse celare quell'insieme di ricordi. Avrebbe tanto voluto che Remus avesse trovato il tempo di portargli la scatola di persona, chissà da quanto tempo l’aveva preparata; purtroppo in guerra non c’era tempo per i ricordi e per un passato, probabilmente, troppo doloroso anche per il suo compianto professore di Difesa. Si sentiva un idiota per aver anche solo formulato quel pensiero. Remus era morto e lo stesso destino era stato riservato anche a sua moglie. Il piccolo Teddy era orfano, proprio come era successo a lui. Harry si sarebbe assicurato che crescesse conoscendo i propri genitori e il sacrificio che avevano fatto per il suo futuro, oltre che viziandolo il più possibile, come si confaceva ad un padrino con i fiocchi.
“Si può?” la voce di Ginny lo riscosse dai suoi pensieri, facendolo sorridere in direzione della porta, che la ragazza aveva socchiuso.
“Tu sei sempre la benvenuta,” le rispose con sincerità. La rossa si chiuse la porta alle spalle, trovando posto al suo fianco, sul letto.
“Dove sono Ron e Hermione?”
“Stanno parlando con Audrey delle precauzioni riguardo l’utilizzo di una serie di passaporte internazionali,” rispose la ragazza.
Harry annuì.
“Non l’hai ancora aperta,” disse poi Ginny, indicando la scatola.
Lui scosse la testa, stringendosi nelle spalle.
“Credevo che fossi pervaso dalla curiosità,” dichiarò Ginny.
“Ed è così,” s’affrettò a chiarire lui, “ma temo anche di aspettarmi troppo da una scatola di ricordi che, comunque, non potrà ridarmi i miei genitori…”
“Ovvio che non potrà ridarteli,” gli disse la ragazza. “Ma questo non significa che non ti permetterà di sentirli più vicini,” aggiunse, scrutandolo con i suoi occhi luminosi. “Remus era uno dei loro più cari amici e sono sicura che quello che troverai lì dentro ti potrà essere di conforto.”
Harry annuì solennemente. “Sei veramente caparbia, Ginny Weasley,” dichiarò, ricambiando la sua occhiata.
“E te ne accorgi solo ora, Potter?” celiò lei, avvicinandosi per baciarlo con foga.
Lui la prese tra le braccia, accarezzandole i capelli lisci e lasciandosi cadere sul letto, trascinandola con sé. Si baciarono con entusiasmo e con lentezza, godendosi ogni attimo e provocandosi vicendevolmente brividi di piacere. Il pensiero di Ginny tornò al loro primo bacio, nella sala comune affollata e festante, quello di Harry si concentrò invece sui mesi passati vagabondando per l’Inghilterra, temendo che non avrebbe più stretto la ragazza tra le sue braccia, inspirando il suo profumo di fiori e di vaniglia. Quando la mancanza di ossigeno si fece pressante, i due si separarono con riluttanza. Gli occhi smeraldini si spalancarono su quelli nocciola ed entrambi si sorrisero, appagati.
“Sarebbe bello organizzare un’uscita a quattro prima che quei due se ne vadano nella terra dei canguri,” propose Ginny, prima di posare nuovamente le labbra su quelle di Harry per un rapido bacio.
“Piacerebbe anche a me,” acconsentì lui, riflettendo su quante esperienze normali si fosse perso visti gli ultimi anni che aveva vissuto.
“In effetti mi devi un bel po’ di appuntamenti galanti, prima che io me ne torni ad Hogwarts…”
“Sarà mia cura esaudire ogni suo desiderio, signorina Weasley,” ribatté lui, inarcando divertito le sopracciglia.
“Non voglio nemmeno pensare al fatto che dovremo separarci per un altro anno,” commentò lei, perdendo il tono sbarazzino usato fino a pochi attimi prima.
“Pensa solo che sarà l’ultima volta che saremo costretti a separarci,” dichiarò lui, sollevandole il mento e portandola a guardarlo nuovamente negli occhi.
Ginny annuì. “È una promessa, Potter?”
“Puoi contarci, Weasley!”
I due si baciarono di nuovo, perdendo la cognizione del tempo, ritrovandosi a riscoprire i dettagli dei corpi che avevano esplorato, troppo brevemente, durante il sesto anno di lui. I baci di Ginny erano come una ventata di aria fresca per Harry, che era sicuro in cuor suo, di come la ragazza fosse l’amore della sua vita. Non glielo aveva ancora dichiarato, pensava infatti che una comunicazione del genere meritasse uno scenario più appropriato della camera arancione del suo fratello maggiore, nonché suo migliore amico. Dal suo canto, Ginny sapeva che non aveva mai amato nessuno all'infuori di lui; era stata attratta da Michael e anche da Dean, aveva voluto bene ad entrambi, ma con nessuno dei due aveva avuto una connessione vagamente paragonabile a quella che aveva con il ragazzo che stava baciando con passione in quel momento. Liberarono le labbra dell’amato con un sorriso, fissandosi a lungo senza proferire parola.
“Che ne dici di farmi compagnia con quella scatola?” le propose lui, in tono un po’ incerto.
“Sarei onorata,” rispose lei, stringendo la mano di Harry nella sua, cercando di infondergli sicurezza. I due si tirarono a sedere e il ragazzo appellò la scatola, che ricadde tra di loro.
Harry ne sollevò il coperchio, venendo investito da un odore che gli ricordava la biblioteca di Hogwarts. La prima cosa che prese tra le dita fu un album dalla copertina in pelle leggermente consumata, lo aprì facendo ricadere una busta verde chiara, indirizzata a lui, riconobbe subito la calligrafia ordinata di Remus.
 
Harry,
     dopo la morte di Sirius, sono tornato per qualche tempo a casa di mio padre, cogliendo l’occasione per mettere finalmente mano ai ricordi degli anni scolastici che sapevo di trovare in soffitta.
Vorrei tanto avere la possibilità di raccontarti dei sette anni passati ad Hogwarts di persona, quando ci ripenso mi sento un po’ in colpa all'idea di tutto quel tempo in cui mi sono goduto la compagnia dei tuoi genitori, quando invece tu non li ricordi nemmeno.
Ho iniziato questo album durante il mio primo anno di scuola, dopo averlo ricevuto come regalo dai miei genitori. Al suo interno troverai numerose foto dei nostri anni scolastici e anche dei primi tempi dopo la fine della nostra istruzione. Sul retro di ogni foto, un’annotazione indica la data ed il luogo in cui è stata scattata, oltre a qualche dettaglio che ritenevo importante.
Dopo il nostro litigio, che è servito a ricordarmi in che modo riprovevole mi stessi comportando, sono tornato da Dora, che mi ha ripreso nonostante tutte le delusioni che le ho arrecato nel poco tempo da cui stiamo insieme. Ho quindi deciso di fare una copia di questo album anche per il mio bambino, o bambina, di cui tu ovviamente sarai il padrino, chissà che un domani non vi troviate ad osservare insieme queste foto?
So che saprai essere un esempio per lui e che gli insegnerai i valori dell’amicizia, dell’amore, della fiducia nel prossimo, del combattere per i più deboli e per i giusti ideali. So anche che potrà contare su di te in qualsiasi momento e che probabilmente lo vizierai più di quanto io ritengo necessario, esattamente come Sirius faceva con te non appena nascesti, con sommo divertimento di tuo padre e fastidio di tua madre.
I tuoi genitori sarebbero così orgogliosi dell’uomo che sei diventato, dei legami che hai costruito e della tua innata capacità di aiutare i più deboli. Non ti nascondo poi, che James sarebbe estremamente compiaciuto dalla tua bravura nel Quidditch, ha sostenuto per anni che i suoi figli sarebbero stati degli assoluti campioni, con Lily che lo prendeva in giro asserendo che magari non avrebbero avuto equilibrio.
Nella scatola, oltre a varie cianfrusaglie raccolte durante gli anni nella nostra camera (che sono sicuro ti divertiranno), troverai anche alcuni libri. Erano i preferiti di tua mamma. Devi sapere, infatti, che, fin dal primo anno, noi due abbiamo iniziato a scambiarci i nostri libri preferiti a Natale ed ai nostri compleanni; immagino che leggerli ti aiuterà a sentirti più vicino a lei.
Spero che questa scatola ti faccia percepire un po’ meno estranee le persone meravigliose che erano Lily e James.
Ti voglio bene,
         Remus
 
PS Dora dice di aggiungere che non dovresti far soffrire Ginny come io ho fatto con lei, è una ragazza forte e saprà stare al tuo fianco. Dalle fiducia, condividere la vita con una donna forte aiuta in  modo incommensurabile, io lo so bene...
 

“Quanto vorrei che fosse qui e che potesse raccontarmi le assurdità combinate da Sirius e mio padre ai tempi della scuola e dirmi di come Hermione gli ricordasse mia madre…”
Ginny gli posò una mano sulla spalla, osservando il suo sguardo incupirsi ed il volto rigarsi di lacrime.
“Ma più di tutto vorrei che fosse qui perché significherebbe che potrebbe vedere Teddy crescere e io avrei almeno uno dei migliori amici dei miei genitori al mio fianco,” aggiunse, sospirando.
“Lo vorrei così tanto anche io, Harry,” la ragazza si strinse a lui.
“Grazie di essere qui con me,” sussurrò il giovane.
“Non vorrei essere da nessun’altra parte.”
“Remus e Tonks avevano ragione…” aggiunse, dopo qualche istante di silenzio.
“A proposito di cosa?”
“A proposito di te, ovviamente,” mormorò Harry. “Sei una ragazza così forte ed indipendente, sei bellissima e divertente, sei un maschiaccio, ma sai essere così femminile e il profumo dei tuoi capelli mi fa letteralmente impazzire… non so bene cosa ho fatto per meritarmi le tue attenzioni e, se sarà necessario, passerò il resto della vita a farmi perdonare per averti lasciato un anno fa…”
Ginny lo interruppe. “Non saresti stato tu se non avessi cercato di salvarmi, Harry… ti conosco bene ormai.”
“Volevo tenerti al sicuro.”
“Ed è per questo che non devi affatto passare il resto della vita a farti perdonare, basta semplicemente che tu continuerai a considerarmi una tua pare e che mi prometti che affronteremo tutto insieme, fianco a fianco, sia le cose belle che quelle brutte. Se lo faremo insieme, nessuna difficoltà sembrerà insormontabile,” dichiarò la ragazza, con uno sguardo fiero negli occhi.
 “L’idea di essere al tuo fianco per il resto dei tuoi giorni mi rende davvero il ragazzo più fortunato sulla faccia della terra!” ribatté Harry, abbracciandola forte.
Ginny lo baciò con trasporto, prima che i due aprissero l’album di foto, scoppiando a ridere davanti ad una foto che doveva risalire al primo o al secondo anno. Sulla sinistra dell’inquadratura, una ragazzina dai capelli rossi che doveva essere la mamma di Harry, era completamente ricoperta di inchiostro, così come un’altra ragazzina bionda; sulla destra un giovane Sirius rideva sguaiato, mentre James aveva un’espressione atterrita, al cospetto della reazione di Lily, che gli puntava la bacchetta contro.
Harry staccò l’istantanea, per leggere quanto era scritto sul retro.

Hogwarts, aprile 1973 – James e Sirius hanno trovato divertente provare gli incantesimi ingozzanti, fino a che non hanno ricoperto Lily e Lexie di inchiostro, scatenando le loro ire.

“Questo era decisamente quello che mi sarei aspettato da mio padre e Sirius…”
Ginny sorrise con una vena di tristezza. “Credo che avrebbero formato un quartetto davvero incredibile con i gemelli...”
“E provocato un’infinità di capelli bianchi alla professoressa McGranitt,” concluse Harry, sfogliando la pagina per vedere le foto successive.

 

Nota dell’autrice:
Buon pomeriggio a tutti!
Questo capitolo è forse un pochino troppo romantico e concentrato sulle coppie, ma credevo fosse giunto il momento che Ron ed Hermione si comunicassero i rispettivi sentimenti, oltre che la verità sulle esperienze passate del nostro Weasley con Lavanda. Non ho mai pensato che fosse arrivato fino in fondo con la biondina, mi piace credere che la sua prima volta sia stata con Hermione, chiamatemi inguaribile romantica, se volete… lo sono!
Harry e Ginny avevano altrettanto bisogno di stare un po’ insieme e non c’era persona migliore che potesse essere accanto al nostro bambino Sopravvissuto per aprire con lui la scatola dei ricordi di Remus.
L’idea dello scambio di libri mi sembrava davvero adeguata a Remus e all’idea che ho di Lily, chi di voi legge “Promesse da mantenere” poi, avrà riconosciuto Lexie nella foto guardata dai due ragazzi. Tengo troppo alla mia fanciulla per non aggiungerla in questa storia, anche solo per un’apparizione. La lettera di Remus era un’occasione per far sì che Harry si sentisse più vicino ai suoi genitori, oltre che la possibilità di aggiungere anche un commento di Dora sulla scelta di Harry di lasciare Ginny per andare a cercare gli Horcrux.
George invece, piano piano, riuscirà ad uscire dalla situazione di immensa tristezza in cui si trova. Perdere un gemello deve essere una delle esperienze più dolorose che ci sia nella vita, mostrerò come tutti quanti i suoi fratelli lo aiuteranno, per poi reintrodurre anche il personaggio di Angelina.
Grazie davvero a tutti quelli che leggono la storia, la recensiscono e l’hanno inserita nelle varie liste.
Spero che continui a piacervi!
Un abbraccio e buona domenica,
Francy

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 – To love something despite ***


Capitolo 6 – To love something despite


 
“Anyone can love a thing because.
That’s as easy as putting a penny in your pocket.
But to love something despite.

To know the flaws and love them too.
That is rare and pure and perfect.”
Kvothe, from The Wise Man’s Fear
 


Era sabato 30 maggio 1998 e una leggera brezza muoveva le tendine gialle della camera, mentre Ginny e Hermione si preparavano per l’uscita a quattro che mai avrebbero ipotizzato possibile poche settimane prima. La riccia e Ron sarebbero partiti per l’Australia il martedì successivo e non sapevano quando avrebbero fatto ritorno a casa.
“Dici che servirà un maglione?” domandò la piccola di casa, osservando critica il proprio riflesso allo specchio.
Hermione, con ancora addosso l’accappatoio, si avvicinò esaminando il vestito bianco a fiorellini rossi che l’altra indossava. “Siamo pur sempre in Inghilterra,” le disse infine, “non mi fiderei del tempo perfetto che abbiamo avuto per tutto il giorno… è anche vero che possiamo sempre trasfigurare qualsiasi cosa in un maglione o un ombrello, ma prendilo su, tanto ho intenzione di applicare un incantesimo espandibile alla mia borsa…” concluse, parlando molto più velocemente del necessario.
“Tutto bene?” domandò Ginny, girandosi verso l’amica e sollevando un sopracciglio incuriosita.
“Certo, perché lo chiedi?”
“Intendi a parte il fatto che stavi pronunciando più di mille parole al minuto?”
“Beh, sono un po’ nervosa per via di stasera…” ammise infine la ragazza, lasciandosi cadere sul letto di Ginny.
“Mio fratello ti innervosisce?” il tono della Weasley era scettico.
“Beh, non abbiamo mai avuto un vero appuntamento e poi partiremo per Merlino solo sa quanto e andremo dall'altra parte del mondo da soli e…”
“E cosa?” la incalzò Ginny.
“E se si accorgesse che non siamo fatti l’uno per l’altra, ma avesse troppa paura di ammetterlo perché siamo amici da una vita?!” Ecco, l’aveva ammesso ad alta voce, questo era il dubbio che l’attanagliava da giorni ormai, giorni in cui lei e Ron avevano avuto poco tempo per stare insieme, da soli, mentre lei aveva avuto molti minuti per arrovellarsi sulla questione. Giorni in cui il timore di essersi lasciati trascinare dagli eventi l’aveva resa inquieta, vittima di una crisi dettata dagli ormoni, che mai aveva avuto occasione di vivere prima. 
Ecco cosa succedeva quando si passavano gli anni migliori dell’adolescenza aiutando il proprio migliore amico a sconfiggere il mago più oscuro del secolo.
“Herm,” Ginny le si sedette accanto, afferrando una delle sue mani, l’altra sollevò gli occhi preoccupati su di lei, in attesa di sentire ciò che aveva da dirle, “mio fratello è cotto di te, stimerei dall'inizio del quarto anno, ma forse addirittura da prima… so che non ha avuto il coraggio di ammetterlo quando se ne è reso conto, ma non dubitare dei suoi sentimenti per te... non farlo solo per l’ansia dettata da questo viaggio, sarà testardo ed un po’ immaturo, ma so che farà del suo meglio per essere al tuo fianco.”
“Questo lo so,” si affrettò a dire Hermione, “prima di questo nuovo risvolto del nostro rapporto siamo stati amici per sette anni...”
“E allora sai benissimo che non ti sto dicendo nulla di nuovo o incredibile. Quello tra voi due non è uno stupido capriccio, come è stata la storia con Lavanda, è qualcosa di profondo che vi legherà per il resto della vita e, credimi, so che può sembrare spaventoso, ma non avere paura di aprirti con lui e dirgli ciò che ti passa per la testa,” la consigliò l’amica, spingendosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Quand'è che sei diventata così saggia, Ginny?” domandò la castana.
L’altra scosse la testa, come a sminuire quanto appena dichiarato dall'amica. “Non saprei, forse è per via di essere cresciuta in una famiglia così numerosa, oppure per il sesto anno da incubo vissuto lo scorso anno,” mormorò infine, ostentando indifferenza, anche se i tormenti dell’anno appena passato non l’avevano ancora abbandonata — e probabilmente mai lo avrebbero fatto del tutto.
“Ne hai parlato con qualcuno?” domandò Hermione, la cui perspicacia era sempre stata una caratteristica distintiva.
Ginny scrollò le spalle le spalle. “Con gli altri studenti, soprattutto con Neville, Demelza e Seamus,” ammise infine.
“Sai che puoi parlarne anche con me, ovviamente,” si affrettò a ricordarle l’altra, stringendole affettuosamente un braccio, “e con Harry, s’intende...” 
E Ginny comprese che quello era il momento in cui tirare fuori le sue di paure, proprio come aveva fatto Hermione pochi attimi prima, prese un profondo respiro prima di sollevare lo sguardo sull'altra. “Non vorrei far sentire Harry più in colpa di quanto già si senta,” ammise.
Le braccia di Hermione si allacciarono intorno alla vita dell’amica. “Oh, Ginny... pensavo che tu conoscessi bene Harry,” ridacchiò amara, “è ovvio che inizialmente si incolperà, ma sono più che sicura che tu riuscirai a fargli comprendere che lui non c’entra affatto e penso che ti farebbe bene confidarti con lui... non oso immaginare cosa abbiate sopportato in quei mesi in cui la scuola era sotto il controllo dei Mangiamorte.”
“E io non posso pensare alla paura che abbiate avuto voi tre da soli in giro per l’Inghilterra alla ricerca degli Horcrux.”
“Promettimi che approfitterete della nostra assenza per confidarvi,” dichiarò la Granger, inchiodandola sotto il suo solito sguardo indagatore.
Ginny sostenne lo sguardo dell’amica, prima di annuire, “credo che ne abbiamo bisogno entrambi.”
Hermione annuì soddisfatta.
“Tu però, dirai a Ron come ti senti e procederai a sopportare una sua dichiarazione un po’ melensa con tanto di orecchie arrossate e guance arroventate...” ghignò la Weasley, gesticolando e strappandole un sorriso.
Hermione scosse la testa, prima di abbracciarla di nuovo. “Grazie, Ginny.”
“Grazie a te, Herm... sono felice che saremo a scuola insieme a settembre.”
“Lo sono anche io,” ribatté la castana, “sarà bello condividere il dormitorio con qualcuno che non pensa solo ai colori di smalto più adeguati all'autunno, a come arricciare i capelli ed ai profumi dichiarati come più sensuali dal Settimanale delle streghe,” aggiunse, trattenendo a stento una smorfia.
Ginny scoppiò in una risata coinvolgente. “Sarai al sicuro con Demelza e me, siamo decisamente molto più a nostro agio con addosso la divisa da Quidditch.”

Poco più di mezz’ora dopo, le due ragazze raggiunsero la cucina, dove Harry e Ron le stavano aspettando.
“Scusateci per il ritardo,” si giustificò la più giovane.
I due scrollarono le spalle, prendendosi un minuto per osservarle.
“Stai benissimo,” disse Harry, quando Ginny si lasciò cadere al suo fianco sul divano.
“Grazie,” gli sorrise lei, stampandogli un bacio sulla guancia. “Anche tu non sei affatto male, quella camicia ti fa risaltare gli occhi,” gli disse, approvando la camicia bianca a righe verde menta ed azzurre, abbinata ai pantaloni beige.
“Sei davvero stupenda, Mione,” mormorò Ron, avvicinandosi alla ragazza per darle un bacio sulla guancia, inspirando il suo profumo fiorito. La riccia gli sorrise, prima di dargli un rapido abbraccio; aveva seguito il consiglio di Ginny ed aveva indossato un abito in stile marinaresco, a righe blu e bianche, con delle ballerine in pendant, che stava d’incanto con la sua pochette blu glitterata e si abbinava perfettamente alla camicia blu e ai jeans chiari indossati da Ron.
“Siamo pronti per andare?” chiese Harry, tentando invano di appiattirsi i capelli.
“Certo! Che avevate in mente?” rispose Ginny.
“Avevamo pensato di andare a Diagon Alley a provare quel nuovo ristorante di cui ci ha parlato Percy,” iniziò a spiegare Ron, prima che il suo migliore amico lo interrompesse. “Poi mi è venuto in mente che molto probabilmente saremmo incappati in qualche giornalista o dei curiosi e quindi abbiamo organizzato una serata nella Londra babbana…”
Entrambe le ragazze si illuminarono all’idea.
“Sono anni che non passo un sabato a Londra,” sussurrò Hermione, mentre tornava con la mente all'infanzia ed alle serate in compagnia dei genitori.
“E io è da anni che desidero passarcelo!” esclamò felice Ginny, alzandosi e prendendo Harry sotto braccio.
“Davvero non è un problema? Ho capito che quel ristorante ti interessava…” mormorò Harry, scrutandola.
“Certo che mi interessa provarlo, ma non dobbiamo per forza farlo questa sera e comunque, il piano B potrebbe anche piacermi più del piano A,” lo rassicurò la rossa, strizzandogli l’occhio.
Harry le stampò un bacio sulle labbra, sorridendo con lei.
“Quindi, come ci andiamo?” chiese Hermione, stringendo la mano di Ron nella sua.
“Polvere volante fino al Paiolo magico e poi la meteopolitana,” le rispose il ragazzo, facendola ridere.
“Che c’è? Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“Si chiama metropolitana, Ron,” lo corresse lei, prima di baciarlo sulla guancia.
“Oh beh, lo sapete che sono una frana con tutta questa tecnologia babbana,” il rosso si strinse nelle spalle, facendo ridere nuovamente il gruppo.
“Siete pronti ad andare, ragazzi?” chiese Molly, entrando in cucina con un cesto pieno di verdure raccolte nell'orto. I quattro annuirono.
“Divertitevi,” aggiunse Charlie, apparendo dietro alla madre con un cesto di uova.
“Lo faremo sicuramente,” rispose Ginny.
“State attenti,” si raccomandò la matriarca di casa.
“Certo,” la tranquillizzò Hermione.
“E non fate niente che io non farei,” concluse Charlie, sollevando gli angoli della bocca in un sorriso malizioso.
I quattro adolescenti risero di nuovo, prima di avvicinarsi al camino e sparire tra le fiamme verdi.
 
***

 
“Davvero non eravate mai venuti qui?” chiese Harry, avvicinandosi a Ginny che scrutava il cielo limpido e punteggiato di stelle della serata primaverile.
“Forse ti scordi che sono nata e cresciuta in una famiglia con sette figli, mamma e papà non avevano tanto tempo per portarci a fare gite,” rispose lei, mentre il ragazzo allargava le gambe per farla accomodare meglio nel proprio abbraccio. 
“E come avete scoperto di questa serata?” continuò Ginny.
“Dal giornale che ha portato a casa Hermione l’altro giorno.”
I quattro si trovavano infatti alla serata di primavera organizzata dall'Osservatorio di Greenwich, un evento aperto al pubblico in cui i presenti, grazie al fatto che le luci del quartiere londinese sarebbero rimaste spente per tutta la notte, avrebbero potuto godere dello spettacolo della volta celeste.
“Non è stata una pessima idea quindi?” il tono del bambino sopravvissuto era incerto.
“Certo che no!” la ragazza fu svelta a rassicurarlo. “Perché avrebbe dovuto esserlo?”
“Oh beh, sai, in fondo è un po’ come essere a lezione di astronomia.”
Ginny rise e Harry sentì il proprio corpo vibrare con il suo. “Non c’entra per nulla con una lezione della professoressa Sinistra,” mormorò, dopo aver ripreso il controllo delle proprie facoltà, prima di girarsi nel suo abbraccio e far incontrare le loro labbra. Harry rispose con entusiasmo al bacio, assaporando la bocca calda di Ginny e accarezzando i suoi capelli lisci; erano in una zona piuttosto isolata dal resto dei presenti e passarono svariati minuti, prima che la necessità di ossigeno si facesse pressante.
“Ti posso assicurare di non aver mai pomiciato alle lezioni di astronomia,” ghignò Ginny, spingendo in su gli occhiali di Harry, ormai in equilibrio precario.
“Sono felice di saperlo,” dichiarò lui, prima di posarle un nuovo bacio sulla punta del naso.
“E tu ci eri mai venuto?”
Il ragazzo annuì. “Anni fa, durante una gita scolastica... una delle poche che ebbi l’occasione di fare visto che i miei zii non pagavano mai perché io vi partecipassi, una che non volevo perdermi per nessuna ragione...”
“Doveva essere brutto vedere gli altri bambini andare in gita senza di te,” commentò la ragazza.
“Si e no,” rispose Harry, “ovviamente essere l’unico a rimanere a scuola era brutto, ma per lo meno non dovevo sopportare i tormenti di Dudley.”
Ginny si strinse a lui. “E come mai ci tenevi tanto ad effettuare questa gita in particolare?”
“Sapevo che anche mamma era venuta in gita proprio qui,” sussurrò lui e Ginny capì dal suo tono di voce che le sue labbra si erano piegate in un sorriso. 
“E come lo sapevi?”
“Quando ero in prima elementare, mentre pulivo la stanza degli zii trovai una foto di mamma e di una sua amica bionda, abbracciate e sorridenti, scattata proprio qui durante una gita di terza elementare… ovviamente la presi con me, zia Petunia non se ne accorse mai”
“La hai ancora?”
Lui annuì. “È una delle poche cose che ho, a parte tutto quello che mi ha fatto avere Remus…”
“Mi piacerebbe molto vederla.”
“Certo, te la mostrerò volentieri,” rispose lui, pensando a quanto fosse bello avere finalmente qualcuno con cui condividere i tormenti del passato e i pochi ricordi che aveva.
“Quindi come sei riuscito a partecipare a quella famosa gita?” Ginny ritornò all'argomento precedente.
“Come ti dicevo, i miei zii non pagavano mai per le mie attività extra, ma quella volta avevo i soldi da parte, me li aveva dati la signora Figg per averle falciato il prato, anche se in realtà mi ero limitato a dare una mano al suo giardiniere. Con il senno di poi immagino che lo avesse fatto perché sapeva come mi trattavano i Dursley e voleva semplicemente che anche io partecipassi a quella gita che mi interessava così tanto, nel tempo riuscii ad avere altre mance per piccoli lavoretti, ma avrei preferito che mi dicesse che era una magonò e che mi raccontasse del nostro mondo...”
“E le avresti creduto?”
“Non ne ho idea, forse no, ma... credimi Ginny, la vita con i miei zii era talmente infernale che, anche ascoltare i discorsi vaneggianti di una vecchietta, era meglio di passare il tempo con loro.”
“Mi spiace così tanto, Harry,” la ragazza lo abbracciò forte, tentando di guarire le ferite antiche che lui si portava dietro dall'infanzia.
“Mi chiedo sempre come sarebbe stato crescere con i miei, o per lo meno con Sirius, come da loro desiderio...”
Ginny sollevò lo sguardo su di lui, anche se erano in penombra, sapeva che i suoi occhi verdi si erano rabbuiati e che il senso di colpa aleggiava in essi, come la coltre di nebbia mattutina su Hogwarts nelle umide giornate primaverili o autunnali.
“Harry...”
“Mmh?”
“Guardami,” lo pregò, attendendo che lo facesse prima di parlare di nuovo.
“Non è stata colpa tua.”
Lui prese un respiro, come a volersi preparare a rispondere, quindi Ginny posò il suo indice destro sulle labbra del ragazzo, per impedirglielo, “so che ci vorrà del tempo per venire a patti con tutto quello che è successo nei primi quasi 18 anni della tua vita, ma ci tengo a precisare un punto: i tuoi genitori, Sirius, Remus, Tonks, Fred, Malocchio, Colin e tutti gli altri... loro non sono morti a causa tua,” la Weasley prese una pausa, “se serve passerò il resto della mia vita a ricordartelo, perché sono convinta che ognuno di loro avrebbe preferito vivere, ma che essersi sacrificati per un mondo migliore sarebbe comunque stata la loro scelta, piuttosto che continuare a vivere in un mondo in cui Voldemort dettava legge e terrorizzava chiunque non la pensasse come lui.”
Dentro di sé Harry sapeva già tutto questo, eppure sentirselo dire dalla ragazza che amava aveva un effetto diverso, gli donava una consapevolezza nuova e la volontà di credere a ciò che Ginny gli stava dicendo.
“Sono un casino, eh?” le domandò dopo una piccola pausa, in cui le sue parole avevano avuto tempo di fare effetto.
“Forse,” gli concesse lei, sollevando gli angoli della sua bocca in un sorrisetto, “ma sei il mio casino e non ti cambierei con nessun altro.”
“Grazie, Gin,” le sussurrò all'orecchio, comprendendo che era così che si dovevano essere sentiti i suoi genitori alla fine della scuola, pur con la guerra che imperversava ovunque, pronti ad affrontare tutto, per via di quell'amore immenso che condividevano.
“Non credere che nemmeno io sia una passeggiata nel parco...” lo rassicurò lei.
Anche nel buio sentiva il suo sguardo scrutarla e la Grifondoro, approfittò del momento per confessare quanto anticipato ad Hermione: “l’ultimo anno a scuola è stato davvero difficile e potrei non tornare ad essere la ragazza spensierata che hai baciato in sala comune dopo aver vinto la Coppa di Quidditch.”
“Tu sei una delle persone più coraggiose che io conosca, Gin... al primo anno fosti posseduta da Voldemort e riuscisti a venirne fuori più forte di prima, al quarto anno facesti parte dell’ES e riuscisti a dimostrare il tuo grande valore combattendo con me e gli altri all'Ufficio Misteri, al quinto anno ricopristi egregiamente sia il ruolo di Cacciatrice che di Cercatrice nella squadra della scuola conquistando l’agognata coppa, dimostrando a tutti il tuo enorme valore oltre a riuscire nel donare a me l’amore che non avevo mai avuto la possibilità di provare prima…” si domandò brevemente se fosse il momento più adatto per confessarle ciò che provava, probabilmente avrebbe potuto organizzare una serata più romantica di quella, ma non poteva più tenersi dentro quel sentimento, cresciuto inesorabile anche nei mesi di lontananza.
“Ti amo, Ginny,” le sussurrò quindi, stringendola tra le braccia, “non ho mai amato nessun’altra e spero di poterti rendere felice come tu sai rendere felice me con un semplice sorriso, un bacio o una carezza…”
“Anche io ti amo, Harry,” ribatté lei, reclamando nuovamente le sue labbra per un bacio che potesse suggellare il momento.
 
Ron e Hermione li trovarono così, abbracciati e complici, nell'angolino più buio del terrazzo dell’Osservatorio.
“Avere visto quanto è luminoso il Cane Maggiore questa sera?” domandò loro Hermione, dall'abbraccio di Ron.
“Ce lo siamo persi,” ridacchiò Ginny in risposta.
“Sono sempre stato una frana in astronomia,” aggiunse Harry, non riuscendo a smettere di sorridere, dopo quanto appena dichiarato.
“È quella costellazione laggiù” spiegò Ron, indicando un punto particolarmente luminoso.
“E la stella più brillante è Sirio” concluse Hermione, attirando su di sé gli sguardi di Harry e Ginny.
“Giusto… me lo aveva detto di avere il nome della stella più brillante del cielo,” commentò Harry tra sé e sé.
“È un po’ come se stesse vegliando su di te, non trovi?” domandò Ginny.
“Già, è bello pensare che sia così,” annuì il ragazzo, facendo posto a Ron e Hermione accanto a loro due.
 
I quattro si fermarono fin dopo la mezzanotte a guardare le stelle, parlando dei progetti futuri e delle preoccupazioni per il viaggio in Australia di Hermione. 
Quando lo stomaco di Ron prese a brontolare, tutti scoppiarono in una risata, prima di decidere di andare a prendersi un gelato in centro, concludendo la serata in bellezza.
“Al nostro ritorno dall'Australia potremmo organizzare un’altra serata così,” propose Hermione, assaporando la panna montata che decorava il suo gelato.
“Mi piacerebbe andare al cinema,” disse Ginny, portando una cucchiaiata di gelato al lampone alla bocca.
“È quel posto in cui i babbani vedono i film?” si sincerò Ron, assaggiando il gelato al cioccolato.
Harry annuì, mangiando una cucchiaiata di gelato alla vaniglia, “sarebbe divertente.”
Tutti annuirono, allettati dalla prospettiva di passare del tempo come normali adolescenti.
 
***

 
Impegnato con Charlie nel retro del negozio, George non fece caso alla campanella che segnalava l’ingresso di qualcuno, continuò quindi a sistemare prodotti negli scaffali, preparandosi alla riapertura dei Tiri Vispi Weasley, anche se la data non era ancora stata decisa.
“George, ti cercano,” gli disse Percy, affacciandosi. 
Il fratello minore sollevò gli occhi nocciola su di lui. “Dì che non ci sono, Perce.”
“Penso che questa visita potrebbe farti piacere e comunque non accetterà un no come risposta,” ribatté l’altro, tornando in negozio.
Il ventenne sbuffò, tirandosi in piedi e chiedendosi chi potesse essere, prima di darsi una veloce lavata alle mani ed andare ad incontrare il misterioso visitatore. Una volta raggiunto il bancone si trovò faccia a faccia con una delle sue più care amiche, che lo osservava con un’espressione accigliata.
“C’è qualche motivo che ti ha spinto a non rispondere alle nostre lettere, George Weasley?” gli chiese Angelina Johnson, in una preoccupante imitazione del tono autoritario di sua madre. “Lee, Katie, Oliver, Alicia ed io eravamo preoccupati… ci avevi promesso che non ci avresti ignorato.”
George incontrò lo sguardo incoraggiante di Percy, prima di concentrarsi sulla ex compagna di scuola, “hai ragione, scusa…”
“Volevo sincerarmi che tu stessi bene e ho approfittato della giornata libera dagli allenamenti per farlo.”
“Scusa, avrei dovuto rispondervi, ma dopo aver deciso di sistemare il negozio in previsione della sua riapertura sono venuto qui ogni giorno...”
“Sono felice che tu abbia deciso di riaprire,” Angelina allungò la mano, sfiorandogli il bracco.
“Anche mamma è d’accordo,” aggiunse lui, il supporto genitoriale e di tutti i suoi familiari era stato fondamentale in quei giorni.
“Fred ne sarebbe felice,” sussurrò la Cacciatrice, temendo di aver toccato un nervo scoperto.
Il fantasma di un sorriso si fece strada sul volto pallido del gemello sopravvissuto e la ragazza capì di aver fatto bene.
“Mi hanno incaricato di invitarti ad una cena a casa di Oliver e Katie sabato prossimo. Sappi che non accetterò un no come risposta!” spiegò la ragazza, puntando le iridi scure nelle sue. “Anzi, già che siamo qui... che ne dici se ti offrissi il pranzo?”
Per George sussurrare si fu semplice, lui e Angelina si conoscevano da anni, sapeva che non lo avrebbe costretto a parlare se non ne avesse avuto voglia.
“Ci vediamo più tardi,” borbottò, rivolto ai suoi due fratelli maggiori.
“Fai con calma!” esclamò Charlie.
“Ci vediamo più tardi,” aggiunse Percy, dandogli una spintarella verso la porta.
George scosse la testa, che ne sapevano quei due di Angelina, che era andata al ballo con Fred? Il gemello non avrebbe di certo voluto che lui si chiudesse in sé stesso e smettesse di frequentare gli amici, anche se all'inizio sarebbe stata dura doveva perseverare.
Lo doveva fare per Fred.




Nota dell’autrice:
Buonasera a tutti, miei cari lettori... vi capirei se aveste abbandonato questa storia, ma nel settembre scorso mi sono sposata, per poi andare in viaggio di nozze ad ottobre e questa storia é necessariamente finita in standby.
Ho tutte le intenzioni di finirla, ovviamente, solo che ho preferito terminare l’altra long che avevo in corso, ossia: “Promesse da mantenere”.
Ora, con il mio splendido matrimonio alle spalle, posso riconcentrarmi sulla storia dei nostri sopravvissuti, sperando di rendere giustizia ad ognuno di loro.
Come avete potuto vedere, le nostre coppie stanno facendo dei grandi passi avanti; Harry e Ginny hanno confessato il loro amore, mi sembrava il momento adatto a farlo, Ron ed Hermione invece si preparano alla partenza e nel prossimo capitolo inizierà la loro nuova avventura, inoltre ho introdotto anche George ed Angelina, ci andrò con i piedi di piombo con loro, ma era tempo di far affrontare anche a George i suoi demoni. L’allusione alla coppia Oliver Baston e Katie Bell si rifà all’headcanon comune che vede i due come una coppia, trovo anche io che stiano benissimo insieme e li vedremo alla cena a cui George ed Angelina parteciperanno. Come nello scorso capitolo, chi ha letto “Promesse da mantenere” avrà riconosciuto Lexie, la verità è che le sono così affezionata da averla inserita, anche se solo vagamente, anche all’interno di questa storia, spero che vi faccia piacere.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ci sentiamo presto con il prossimo,
Francy

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - There’s a time for daring ***


Capitolo 7 – There’s a time for daring



“There's a time for daring and there's a time for caution,
and a wise man understands which is called for.”
John Keating, from Dead poets society


  
Era la notte prima della partenza per l’Australia, e Hermione non era mai stata così agitata in vita sua. Era riuscita a chiudere gli occhi per pochi minuti, prima di venire assalita dai soliti dubbi, secondo cui i suoi genitori stessero meglio in Australia, senza di lei e senza altri potenziali pericoli. Rigirarsi nel letto sarebbe servito a poco, tanto valeva andare a prepararsi una tazza di tè, cercando di calmarsi ed avendo la possibilità di riposare almeno un po’. Una volta giunta in cucina, come spesso capitava, la trovò già occupata; Harry era infatti seduto al tavolo, con una foto stretta tra le mani ed un piatto di biscotti che pareva intonso alla sua destra.
“Non riuscivi a dormire nemmeno tu?” gli domandò, sedendosi alla sua sinistra.
Harry sollevò lo sguardo dall'istantanea magica, prima di scuotere la testa, “non un granché, no… e tu? Sei agitata per il grande viaggio?”
“Molto,” ammise la riccia, “non sono sicura di star facendo la scelta giusta…”
“Certo che è la scelta giusta!” le disse Harry, stringendole un braccio, cercando di darle conforto.
“Vuoi una camomilla?” chiese Hermione, bramando di avere qualcosa da fare.
“Ma si dai… ci sono anche dei biscotti.”
 
Un paio di minuti dopo la ragazza tornò al tavolo, stringendo due tazze fumanti tra le mani, “ecco a te.”
“Grazie,” Harry le sorrise, spingendo il piatto di ceramica tra sé e la sua migliore amica.
“Cosa ti agita di più?” le chiese poi.
“L’idea di sconvolgere la loro vita,” ammise la ragazza, soffiando sul liquido chiaro della sua tazza, “immagino che abbiano trovato il loro equilibrio laggiù e non vorrei disorientarli...”
“Sconvolgerla di nuovo, vorrai dire?” sorrise il ragazzo, prima di mordere un biscotto e passarne uno anche a lei.
“In che senso?”
“Beh, quando hanno scoperto che eri una strega non sono rimasti sconvolti dalla notizia?” domandò nuovamente Harry.
“Beh, in effetti si… anche se mamma poi mi ha confessato di aver sempre notato strani avvenimenti intorno a me, quando crescevo, e che saperne il motivo era confortante…”
“Ecco, quindi andare laggiù e togliere loro l’incantesimo della memoria servirebbe solamente a sconvolgerli di nuovo, eventualmente, ma sono convinto che ne valga la pena.”
“Non ne sono così sicura, Harry…”
“Credimi, Hermione,” insistette lui, afferrando la foto che aveva tra le mani fino a pochi minuti prima e passandogliela, “fattelo dire da una persona che ha passato i primi anni della sua vita senza conoscere l’affetto di una famiglia, non c’è nulla che desidererei di più di tornare indietro nel tempo ed avere la possibilità di salvare i miei genitori, e insieme a loro Sirius, Remus, Tonks, Fred, Malocchio, Cedric e tutta la gente morta a causa mia…”
“Non sono affatto morti a causa tua, Harry,” lo corresse subito Hermione.
“Giusto, lo so… ma è sempre difficile non vederla in questo modo, sai? Non pensare che tutti loro siano morti solo perché Voldemort voleva uccidere me.”
La sua amica annuì, posandogli una mano sulla spalla, incitandolo a continuare.
“Quello che intendo dirti è che sono sicuro che i tuoi genitori sentano la tua mancanza, nonostante l’incantesimo di memoria, e, non appena lo eliminerete, ti abbracceranno e capiranno che lo hai fatto solo per salvarli,” la rassicuro lui, indicandole le persone presenti nella foto, “questi sono i miei genitori con i loro amici più cari, praticamente tutti loro sono morti per colpa di questa guerra, ma so che sarebbero felici di sapere che noi siamo sopravvissuti e sono convinto che abbiamo un debito con loro, dobbiamo vivere questa vita al meglio e questo include andare a recuperare i tuoi genitori in Australia, Hermione. Potrai passare del tempo con loro, aggiornarli sull'anno incredibile che abbiamo appena trascorso e poi partire ed essere la miglior Caposcuola che Hogwarts abbia mai avuto!”
“Caposcuola, dici?”
“E chi altro?”
“Sarà strano senza te e Ron...” gli confessò.
“Chissà se noi due ce la caveremo senza di te,” le rispose, sorridendo.
“Sono sicura che diventerete due magnifici Auror,” lo rassicurò, mordendo un biscotto alla cannella.
“E tu potrai diventare qualsiasi cosa tu voglia...”
“Lo dice anche Ron,” ribatté la riccia.
“Non avevo dubbi...”
“Ma ancora non so cosa voglio fare,” continuò Hermione.
“Hai tutto il tempo per decidere.”
“Sicuramente qualcosa che possa aiutare i gruppi più discriminati del nostro mondo,” aggiunse, dopo una piccola pausa.
Harry le sorrise. “Ecco l’Hermione che conosco!”
Lei ricambio il sorriso “grazie, Harry.”
“Ma figurati! Ora cerca di dormire un po’...”
Lei annuì, osservandolo dirigere le loro due tazze vuote nel lavandino, prima di seguirla su per le scale.
“Buonanotte.”
“Notte, Herm...”
 
***

 
Il giorno successivo, Percy si offrì per accompagnarli nell'ufficio di Audrey.
“Chissà come mai,” borbottò Charlie, dando di gomito a George, che fece un piccolo sorriso.
“State attenti, ragazzi,” si raccomandò Molly, stringendoli entrambi in un abbraccio soffocante.
“Certo,” le rispose Hermione.
“E scriveteci quando sarete arrivati laggiù,” aggiunse la donna, accarezzando fugacemente la guancia del suo sestogenito, che represse una smorfia, sforzandosi di sorriderle.
“Fateci sapere quando li avete trovati,” aggiunse Arthur.
“Ci vediamo presto,” dichiarò con sicurezza Ginny, stringendo velocemente il fratello, prima di abbracciare Hermione.
“Cercate anche di divertirvi un po’...” consigliò Harry e i due lo abbracciarono.
“Anche voi,” rispose Ron, prima di strizzare brevemente una spalla di George, che sollevò lo sguardo su di lui, stirando le labbra in un sorrisino, “cerca di fare almeno una foto ad un canguro, fratellino!”
L’altro annuì solennemente, osservando Hermione baciare George sulla guancia, prima di avvicinarsi a Percy e seguirlo tra le fiamme verdi del camino.
 
L’ufficio di Audrey era stipato fino all'inverosimile di pergamene, richieste e faldoni, la scrivania della ragazza era sotto una finestra, mentre quella della sua collega Sally era perpendicolare alla sua; non appena i tre entrarono, Audrey sorrise, mentre i suoi occhi verdi s’illuminavano.
“Ciao ragazzi, ben arrivati!”
“Ciao Audrey, grazie ancora per il tuo aiuto,” disse Hermione, ricambiando il sorriso.
“Figuratevi, è stato un piacere... lei è la mia amica Sally,” aggiunse, indicando la bionda con cui condivideva l’ufficio. Dopo un giro di presentazioni veloci, la mora si alzò, “il mio capo ha preparato tutto quanto, seguitemi nell'ufficio partenze, così vi dico quale sarà la vostra prima tappa,” disse, precedendoli nel corridoio.
“Una volta arrivati a Sydney, andate all’ufficio Auror, dove vi aspettano per aiutarvi a rintracciare i tuoi genitori,” continuò la ragazza, accompagnandoli.
I due annuirono, mentre Percy, al loro fianco osservava silenziosamente Audrey sorridere, pensando che aveva un sorriso assolutamente splendido e che avrebbe dovuto dirglielo, oltre che invitarla a un vero appuntamento, uno che non includesse la sua enorme famiglia, visto che i suoi progetti di invitarla erano stati messi in standby a causa di una forte influenza che aveva messo ko la ragazza per quasi due settimane.
 
Dopo una fermata a Dubai, dove l’aria era calda ed irrespirabile, e una in Thailandia, dove sembrava di essere in paradiso, finalmente Ron e Hermione arrivarono nell’ufficio del Trasporto Magico del ministero della magia australiana.
“Arrivo da Bangkok delle 20:12,” disse una voce annoiata, quando Hermione le porse la tazza da tè che lei e Ron avevano usato.
“Scusi, potrebbe dirci dov’é l’ufficio Auror?” chiese Ron.
“Sta al terzo piano, gli ascensori sono là in fondo,” rispose la strega di mezza età, masticando la cicca rumorosamente, e indicando un punto dietro di sé.
“Grazie,” rispose il ragazzo, premendo la mano di Hermione nella sua e avviandosi verso il punto indicato, “tutto bene?” le chiese, quando erano ormai nel luminoso corridoio.
“Sono un po’ in ansia,” ammise.
“Vedrai che con l’aiuto degli Auror li troveremo facilmente,” la rassicurò lui e, prima che potesse ribattere, aggiunse: “e saranno incredibilmente felici di vederti!”
“L’ha detto anche Harry... e lo spero proprio,” rispose, facendogli un piccolo sorriso.
“So che può sembrare strano, dopo tutti questi anni, ma stavolta potremmo avere ragione noi...”
Gli occhi nocciola della ragazza assunsero una sfumatura fintamente stupita. “Dici?”
“Certo che sì, mia adorabile so-tutto-io,” la rassicurò, baciandola sulla fronte.
Hermione sorrise a sentire quel soprannome che tanti anni prima l’aveva fatta soffrire, Ron era cambiato tantissimo dall'undicenne che l’aveva fatta fuggire a piangere nel bagno in cui poi avevano affrontato un troll di montagna. All'epoca, Hermione non avrebbe mai immaginato che lui le avrebbe salvato la vita proprio con l’incantesimo che lei stessa gli aveva insegnato.
“Saranno così orgogliosi di te,” aggiunse il ragazzo, stringendo la mano di Hermione nella propria e riscuotendola dai suoi pensieri.
“Grazie, Ron” gli disse, posandogli un altro bacio sulle labbra.
 
***

Sabato era arrivato molto più velocemente di quanto George avrebbe voluto, per un po’ era stato indeciso se annullare tutto rimanersene alla Tana, invece che andare a casa di Oliver e Katie, ma la vita doveva andare avanti, giusto? Dopo aver preso la decisione, finì un po’ prima in negozio e se ne andò insieme a Charlie a bere una Burrobirra al Paiolo Magico, prima di prepararsi per la serata.
“Chi ci sarà stasera?” gli chiese suo fratello. 
“A parte Angelina e Lee, credo Alicia, Leanne, Cormac, Eloise e forse il fratello di Oliver... probabilmente anche altri, ma non ne sono sicuro,” Charlie annuì, sorseggiando la sua bevanda e George confessò: “non so se ce la faccio.” 
“Fred vorrebbe che tu andassi,” gli ricordò Charlie.
“Voglio andarci anche io, è solo più difficile di quanto credessi.”
“Georgie, abbiamo perso tutti Fred, anche se nessuno di noi aveva un legame vagamente simile a quello che avevate voi due... quello che voglio dirti è di non escluderci, perché potrai sempre contare su di noi, soprattutto quando le cose si fanno più dure,” il fratello maggiore l’aveva chiamato come era solito chiamarlo Fred, e George, con gli occhi lucidi, annuì.
“Grazie, Charlie.”
“Dovere, fratellino!”
 
Pochi minuti dopo le 7 George si era smaterializzato davanti al delizioso cottage che Oliver e Katie condividevano, dove Angelina lo stava aspettando, come promesso.
“Pensavo che avessi cambiato idea!”
George si voltò verso l’amica: “ammetto di averci pensato…”
“Se non ti va, posso sempre dire agli altri che non ti senti bene… lo capiranno.”
Il ragazzo scosse la testa. “Mi farà bene,” le disse.
“Lo penso anch'io,” dichiarò lei, prima di accennare alla costruzione con il capo, “vogliamo andare…” gli propose sorridendo.
George si ritrovò a pensare che il sorriso di Angelina riusciva a illuminarle tutto il viso e questo pensiero fece sorridere anche lui.
Quando Katie aprì la porta, il volto della ragazza s’illuminò alla vista dei nuovi arrivati, “sono contenta che tu sia qui, George!” esclamò, abbracciandolo di slancio. 
“Anche io, Katie…” le rispose, ricambiando la stretta della scozzese.
“Era da tanto tempo che volevamo invitarti qui.”
“Sono felice che abbiate mandato Angelina a farlo,” le rispose.
“Venite dentro, dai… ci sono già tutti,” aggiunse la mora, facendo strada ai due.
Gli ex compagni della squadra rosso-oro raggiunsero il salotto che era decisamente più grande di quanto George si sarebbe aspettato, probabilmente ingrandito da un incantesimo. Il ragazzo diede una veloce occhiata ai presenti, intercettando le treccine di Lee, l’onnipresente kilt che McLaggen si ostinava a portare in ogni occasione, l’espressione a metà tra la sfida e l’ammirazione che Oliver lanciò ad Angelina, dopo che i due si erano abituati a sfidarsi sul campo da Quidditch… lo sguardo incuriosito del ragazzo incappò poi in qualcuno che non si sarebbe mai aspettato di vedere lì, circondato da ex studenti di Grifondoro. La grossa mole di Graham Montague era accanto a Leanne Kaplett e stava ridendo per una battuta di Alicia. George rimase a fissare l’ex avversario troppo a lungo, attirando una sua occhiata interrogativa. Quando le loro iridi s’incontrarono, il Grifondoro tornò con la mente a quando lui ed il gemello lo avevano rinchiuso in quell'armadio svanitore, al loro settimo anno... uno scherzo che avrebbe potuto costare la vita ad un ragazzo che aveva compiuto scelte sbagliate, si, ma che aveva preso parte della Battaglia di Hogwarts dalla parte giusta della barricata.
George s’avvicinò all'ex avversario, tendendo la mano destra: “mi spiace per l’armadio, Montague...”
L’altro strinse la mano nella sua, forse appena più forte del necessario, “e a me spiace per tuo fratello, Weasley,” gli rispose e George capì che diceva sul serio.
“Grazie,” gli rispose, annuendo e pensando che la vita sapeva essere davvero assurda a volte.
 
***

 
Quella stessa sera Harry e Ginny stavano continuando a scoprire il contenuto della scatola che Andromeda aveva portato ad Harry.
“Sarebbe bello fare un viaggio prima del mio ritorno a scuola e dell’inizio della tua vita da recluta...” rifletté Ginny, ad alta voce.
“In effetti sì,” le rispose il ragazzo, posando la foto che stava guardando sul letto. “Idee?”
“Qualche giorno al mare... che ne so, in Francia o Spagna magari...”
“Mi piacerebbe molto... potremmo dirlo anche a Ron e Hermione,” continuò Harry.
“Direi che ne hanno bisogno anche loro in effetti...” annuì Ginny, “sempre se ne avranno voglia dopo l’Australia!”
“Penso che non se lo godranno troppo...” Harry scosse la testa, ripensando ai dubbi di Hermione.
“Hai ragione! Finché non troveranno i Granger, Hermione sarà tesissima... come non capirla del resto...”
Harry annuì, abbracciandola, “vuoi fare qualcosa di più divertente di queste vecchie foto?”
“Mi basta passare il tempo con te, Harry,” ribatté, baciandolo.
“Vale lo stesso anche per me,” le disse lui serio, “grazie, davvero...”
Lei annuì, baciandolo nuovamente, prima di afferrare la foto che lui stava osservando poco prima, strabuzzando gli occhi.
“Che c’è?”
“Io questa ragazza la conosco... l’ho già vista da qualche parte!” dichiarò, puntando l’indice sulla ragazza bionda di fianco a Lily Evans.
Harry voltò velocemente la lettera, per mostrare anche a Ginny la didascalia “Lily e Lexie, Brighton estate 1978... Lexie, ti dice niente?”
 

 
Nota dell’autrice:
Buonasera a tutti e buon ultimo giorno del 2018!
Noi stiamo per andare a cena da amici, ma visto che il capitolo era pronto ho deciso di postarlo, anche perché era da troppo tempo che ci rimuginavo sopra.
Ringrazio tantissimo Adho che mi ha permesso di introdurre alcuni dei personaggi che lei ha splendidamente usato per scrivere delle storie riguardanti i personaggi secondari della saga che consiglio a tutti voi...
Nel prossimo capitolo termineremo la cena a casa Baston-Bell, individueremo i Granger, vedremo se Percy riuscirà ad invitare Audrey fuori e indagheremo sul destino di Lexie insieme a Harry e Ginny, non riesco proprio ad immaginare i Malandrini senza Lex, quindi non potevo non includere un rimando alla mia Auror anche qui.

Vi auguro buona fine è buon principio!
A presto,
Francy 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Take a leap of faith ***


Capitolo 8 – Take a leap of faith

 


 
“Take a leap of faith and see
that these troubled waters have no power over you
 unless you give it to them, and even then they lie.”
Ted Dekker 



  
Il dipartimento Auror di Sydney era diverso da quello londinese, che Ron ed Hermione avevano visto di sfuggita durante le loro visite al Ministero britannico. C’erano una quiete ed un clima rilassato che non si vedevano da anni nella controparte inglese. Quando gli adolescenti ebbero raggiunto il terzo piano, dove una receptionist aveva indicato loro l’Ufficio Auror in un open space posto sulla destra del piano, i due avevano trovato il posto semi deserto, vista l’ora. Il contatto di Kingsley, comunque, li attendeva seduto ad una scrivania stipata di pergamene, stravaccato su una sedia con le gambe allungate con malagrazia sulle carte che avrebbe, probabilmente, dovuto archiviare. Ron si schiarì la gola nervosamente, stringendo la mano di Hermione nella propria. “Noah Campbell?” domandò, rendendo nota la loro presenza.
L’uomo, un tipo ben piazzato sulla quarantina, dai capelli biondi e spettinati diede loro una lunga occhiata prima di annuire. “E così voi siete i due terzi del trio che ha sconfitto Voldemort?” chiese loro, allungando la mano prima ad Hermione e poi a Ron.
Il commento fece trasalire i due ragazzi, sentire qualcuno, che non aveva idea di quanto fosse stata cruenta la guerra, parlare di loro così a cuor leggero fu piuttosto strano. “Hermione Granger, piacere,” rispose infine lei, stringendo una mano che era due volte la sua.
“Ron Weasley,” aggiunse Ron, in tono impacciato.
“Sapevo che eravate giovani, ma dimostrate si e no sedici anni…” continuò l’australiano, inarcando le sopracciglia biondicce sul volto scurito dal sole.
“Ne abbiamo diciotto,” chiarì Ron. “Siamo quindi maggiorenni,” aggiunse poi, stirando le labbra in un sorriso non convinto.
“Kingsley me l’ha detto…” ribatté Noah, facendo un gesto noncurante con la mano. “Sembra incredibile che dei ragazzini come voi abbiano sconfitto uno dei maghi più oscuri del secolo,” aggiunse poi, fissandoli, chiaramente colpito.
“Siamo stati aiutati,” rispose Hermione, ricordando a Ron una delle frasi tipiche che era solito pronunciare Harry.
“So anche questo! Siete famosi anche quaggiù!” esclamò l’uomo, strizzando l’occhio ai due. “Ovviamente non tanto come in Inghilterra, ma… siamo pur sempre una ex colonia, noi.”
I due si scambiarono un’occhiata incerta, che non sfuggì all’Auror australiano.
“Scusate, ho parlato troppo! Mia moglie lo dice sempre che dovrei chiudere il becco a volte… voi sarete stanchi, immagino, e io vi sto annoiando con le mie parole inutili,” fece loro un grande sorriso, che mise in mostra le sue fossette.
“Non ci sta tediando,” lo rassicurò Hermione, ricambiando il sorriso.
“Ma in effetti siamo un po’ stanchi e soprattutto vorremmo sapere se è riuscito a rintracciare i genitori di Hermione,” aggiunse Ron.
“Certo!” si voltò nuovamente verso la sua scrivania, scartabellando un po’, prima di recuperare una pergamena e passarla alla ragazza. “Rintracciare Wendell e Monica Wilkins è stata una passeggiata, i due si sono stabiliti in un sobborgo di Sydney dallo scorso agosto e hanno aperto uno studio dentistico che ha raggiunto un discreto successo…”
“Ottimo, quindi ha l’indirizzo da darci?” chiese Ron, osservando Hermione leggere febbrilmente quanto scritto sulla pergamena.
“Certo che sì, ma sarà mio dovere accompagnarvi…”
“Dovere?” domandò Hermione.
“Sì, qui nel Down-Under siamo un po’ rigidi sull'esecuzione di magie sui babbani… deve essere presente un Auror, anche se voi siete venuti qui per sollevare l’incantesimo della memoria e loro sono i tuoi genitori, le regole rimangono…”
Lei annuì. “Mi sembra giusto… quando possiamo andare?”
“Beh, domani è domenica e lo studio è chiuso anche di lunedì, ma potremo andare martedì mattina, quando riapriranno dopo il weekend.”
“Okay,” sussurrò lei, pensando che mancava davvero poco a rivedere i genitori che non abbracciava da dieci lunghi mesi. Mesi che l’avevano cambiata, era maturata forse troppo in fretta, aveva combattuto una guerra, aveva rischiato la vita, aveva visto persone care morire, ma era sopravvissuta e non avrebbe più permesso a nulla di mettersi tra lei e la felicità dei suoi cari.
“Può suggerirci un posto dove cenare e soggiornare?” domandò Ron, accorgendosi che la sua ragazza sembrava persa a riflettere.
“Mia moglie si offenderebbe se non vi portassi a cena da noi, ha preparato un ottimo barbecue di benvenuto e, se per voi va bene, abbiamo anche una camera degli ospiti… dovrete stringervi un po’, ma sempre meglio che in un hotel a parer mio.”
“Che ne dici, Mione?”
Lei sollevò gli occhi castani, incontrando le iridi azzurre del ragazzo. “Mi sembra un’idea meravigliosa… magari domani e lunedì potremmo esplorare un po’ la città, fare i turisti…”
“George mi ha fatto promettere di fare una foto ad un canguro,” ribatté, sorridendole.
“E tua sorella ci ha ricordato che dobbiamo anche divertirci…”
“Io e Diane saremo felici di suggerirvi dei posticini carini da visitare, mi dispiace solo che sia inverno, ve li sareste goduti di più a dicembre.”
“Prima di andare a casa sua, le dispiacerebbe se spedissimo un magigramma internazionale?” domandò Hermione. Ron la osservò dubbioso e lei scosse la testa divertita. “Abbiamo promesso ai tuoi e ad Harry che gli avremmo scritto al nostro arrivo… non vorrai far impensierire tua madre!”
Le sue orecchie diventarono vermiglie. “Meno male che te ne sei ricordata, chi l’avrebbe sopportata mamma, sennò?”
L’uomo li precedette lungo il corridoio, lanciando loro occhiatine divertite, mentre parlottavano a bassa voce tra loro, era evidente che quei due fossero innamorati, così come era lampante che lei provasse una certa ansia all'idea di rivedere i genitori. 
 
***

Seduto tra Angelina e Lee, George ascoltava i presenti chiacchierare dei piani per l’estate incombente. L’estate era sempre stata sinonimo di libertà, di lunghe giornate afose passate in attesa dell’arrivo del crepuscolo e di nottate ancor più lunghe, di progetti per allietare le giornate sonnacchiose. Lui e Fred avevano pensato di fare un viaggio, quando la guerra fosse finita, ma ora la sola idea di partire metteva George in ansia. Perché nulla era più come prima, da quel fottuto 2 maggio.
“Sarebbe bello passare almeno qualche giorno al mare,” stava dicendo Leanne.
“Facile per voi a dirsi!” la rimbeccò velocemente Katie, roteando vistosamente gli occhi.
George, Angelina e Lee si voltarono verso l’ex compagnia di squadra, puntando tre identici sguardi interrogativi sulla moretta.
“I genitori di Graham hanno una villa ai Caraibi!” chiarì la scozzese.
“Wow,” commentò Lee. “Io ho dei parenti in Jamaica, ma nessuno che abbia una villa.”
“I miei sono benestanti,” borbottò l’ex Serpeverde, vagamente a disagio.
“Se io avessi una villa ai Caraibi a disposizione, non passerei di certo l’estate nella triste Inghilterra,” commentò Oliver, cercando di distrarre i presenti dal fidanzato di Leanne.
“Poco ma sicuro!” annuì Cormac, stringendo la mano di Eloise nella propria.
“Beh, in realtà i miei ce la fanno usare a piacimento…” ammise infine lo Spezzaincantesimi. “Certo, potreste correre incontro al rischio di incontrarli e rimanere vittima di una profonda crisi d’identità…”
Leanne, Cormac, Eloise, Katie e Oliver scoppiarono a ridere, presto seguiti da Alicia.
Ancora una volta furono George, Angelina e Lee a rimanere interdetti per qualche secondo, in attesa di delucidazioni.
“Per loro io sono Lou-Anne, o Lausanne” chiarì la bionda, sopprimendo una risatina alla vista dello sguardo truce del fidanzato.
“Se è per questo Graham viene chiamato sia Kain che Craig,” aggiunse McLaggen, scuotendo la testa.
Lee scrollò le spalle. “Possono anche chiamarmi Aberforth per quanto mi riguarda…” commentò, scoppiando in una risata, che riuscì a far sollevare gli angoli della bocca anche a George.
“Beh, potremmo davvero organizzare… sarebbe bello non pensare più alla guerra per un qualche giorno,” ammise infine Graham, grattandosi pensoso il mento.
“Io tornerò in Australia per un po’ a trovare i miei,” comunicò Alicia, spingendosi dietro alle orecchie i ciuffi di lisci capelli chiari.
“Mio fratello è laggiù proprio ora,” buttò lì George, quasi senza rendersi conto di essere stato lui a parlare.
“Quale di loro?” domandò Lee.
“Quanti ne hai esattamente?” chiese invece Graham.
“Sei,” rispose senza fermarsi a riflettere George, prima di bloccarsi e rimanere un attimo interdetto. “Cinque, ora…”
Le facce del resto del gruppo assunsero tutte la medesima espressione contrita, tranne Graham, che rimase a fissarlo, cercando di rimanere neutrale, immaginando che George non avesse affatto bisogno di compassione da parte dei suoi amici.
“Sono sempre sei, amico,” dichiarò Lee, riprendendosi per primo.
George annuì. “Già…”
“Non ci hai detto chi è andato in Australia,” continuò Angelina. George incontrò gli occhi scuri della ragazza, non vide traccia di pena in essi, ma solo genuino interesse e quindi prese un respiro, prima di annuire. “Ron ha accompagnato Hermione laggiù… lei ha effettuato un incantesimo della memoria sui suoi convincendoli ad andare a vivere in Australia, in modo da farli sfuggire a Voldemort ed ai Mangiamorte, visto che è una Nata Babbana.”
“Coraggiosa!” esclamò Graham.
“Si tratta pur sempre una Grifondoro,” ribatté Oliver.
“Quindi ora stanno insieme?” domandò McLaggen, ripensando fugacemente al fiasco della festa di Lumacorno in compagnia della Granger; Eloise assottigliò gli occhi, puntandoli sul ragazzo, che si affrettò a posarle un rassicurante bacio all'angolo della bocca.
 “Finalmente sì,” rispose George, grattandosi la testa, prima di annuire.
“Beh, credo che tutti sapessero del loro amore, tranne loro due…” disse Katie, ripensando alle numerose litigate in Sala Comune tra i due, mentre le altre ragazze le davano manforte. “Ricordate quella volta al Ballo del Ceppo?” chiese Angelina, mentre tutti annuivano. “E la volta del topo scomparso?” aggiunse Alicia.
“Per non parlare di tutti i compiti che lei lo ha aiutato a fare… nessuna avrebbe passato il tempo a rivedere compiti già conclusi, se non per una buona ragione,” terminò Eloise.
“Sì, chissà cosa ci vede in quella testa dura di mio fratello,” si lasciò andare George, riuscendo a sorridere.
“Sai dove sono?” domandò quindi Alicia.
“A Sydney… Kingsley ha un amico al dipartimento Auror laggiù che ha rintracciato i signori Granger per loro.”
“Kingsley?” Graham strabuzzò gli occhi. “Conosci personalmente il nuovo Primo Ministro?”
George si grattò il collo, a disagio, prima di annuire. “Ero un membro dell’Ordine della Fenice anch'io, quindi ci conosciamo piuttosto bene…”
“Sembra un tipo che sa il fatto suo,” commentò Leanne, notando quanto il vecchio compagno di scuola fosse in difficoltà, cercando di spezzare la tensione.
Ancora una volta George annuì. “È uno a posto e non sembra che il nuovo ruolo lo abbia cambiato, o almeno così mi è parso qualche giorno fa…”
“L’hai visto di recente?” Alicia non riuscì a trattenere la sua curiosità.
“È venuto a casa nostra per parlare con Harry, Ron e Hermione; li ha invitati ad unirsi al corpo Auror, visto che c’è bisogno di nuove reclute…”
“Senza nemmeno diplomarsi?” si stupì Eloise.
“Già…” fu la risposta concisa del gemello sopravvissuto.
“Hermione non avrà accettato…” commentò Angelina, mentre le sue iridi scure incontravano quelle nocciola di George.
“Ovvio che no,” sorrise lui. “Ha ringraziato Kingsley per il pensiero, ma ha specificato che ci tiene molto a completare la sua educazione.”
“Non avevo dubbi!” esclamò Lee. “Tuo fratello e Harry invece?”
“Loro hanno finto di pensarci un attimo prima di accettare, ovviamente…”
“Grandi!” dichiarò Katie.
“È un peccato che Harry non voglia tentare la carriera nel Quidditch professionistico…” borbottò invece Oliver, ricordando il talento cristallino del Cercatore.
“Diventare Auror è il suo sogno già da qualche anno, è giusto che lo persegua… potremmo sempre coinvolgerlo nell'organizzazione un torneo di Quidditch tra amici per continuare a praticarlo,” ribatté George, senza fermarsi a riflettere su quanto sarebbe stato strano giocare senza Fred.
Gli occhi di Oliver s’illuminarono al sentire il vecchio compagno di squadra parlare di un torneo di Quidditch, ma prima che l’ex Capitano potesse proferire parola, Angelina bloccò qualsiasi sua velleità. “Sai che noi non possiamo prendere parte a simili tornei, Oliver! Siamo professionisti…” gli ricordò la ragazza, trattenendo una risatina.
“Per un attimo l’avevo scordato!”
“Chissà come mai l’avevo capito,” disse la Cacciatrice, vagamente esasperata, facendo ridere il reso dei presenti.
Katie strizzò il braccio del suo fidanzato, confortandolo con il semplice gesto ed incontrando i suoi occhi delusi, prima di scambiarsi un veloce cenno d’intesa con lui.
“Katie ed io abbiamo un annuncio da farvi, che è poi la ragione per cui vi abbiamo invitati tutti a cena…” disse il Portiere, attirando tutti gli sguardi dei presenti sui padroni di casa.
“Oddio!” esclamò Leanne, convinta di aver già capito quanto i due avrebbero confessato al gruppo. Graham lanciò un’occhiata perplessa alla fidanzata, che però non lo stava nemmeno degnando di uno sguardo, presa compera ad agitarsi.
Katie cercò di evitare le iridi della sua migliore amica, per non rovinare l’effetto sorpresa, strinse la mano di Oliver nella sua e sorrise al ragazzo, prima di sollevare la mano sinistra e mostrare il semplice anello che faceva bella mostra di sé sul suo anulare. “Abbiamo deciso di sposarci,” confessò, con voce rotta dall'emozione. Le voci dei presenti si sovrapposero l’una all'altra, creando una confusione che riportò George alle feste in Sala Comune dopo le vittorie di Grifondoro, all'anticipazione che precedeva le visite ad Hogsmeade e ai periodi festivi, sempre allegri tra quelle quattro mura... gli ci volle più del previsto per riuscire a sollevare gli angoli della bocca in un sorriso che si augurava fosse convincente. Era davvero contento per Oliver e Katie, due grandi amici, due ragazzi innamorati, sopravvissuti alla guerra, due persone che si meritavano di essere felici per sempre. La mancanza di Fred però, si sentiva ancora di più in questi momenti e non pensava che sarebbe avrebbe potuto avere una reazione diversa, per lo meno nel breve periodo... Tutti stavano abbracciando i due futuri sposi, le cui guance arrossate ed occhi lucidi rendevano evidente la gioia provata e la volontà di condividerla con loro. Tutti li attorniavano tranne Angelina, che era stata tra le più veloci a mormorare le proprie congratulazioni, per poi tornare al fianco di George, porgendogli una burrobirra ghiacciata. “Sembrava che ne avessi bisogno…”
Lui accettò l’offerta, prendendo un lungo sorso, prima di annuire. “Avevo anche bisogno di questa serata…” ammise.
“Io ci sono, George, e lo stesso vale per tutti loro,” rispose, accennando al resto del gruppo, dove Lee e Cormac stavano dando grandi manate sulle spalle di Oliver, Leanne, Alicia ed Eloise osservavano rapite l’anello, cimelio della famiglia Wood, e Graham sorrideva, alle spalle della fidanzata.
“Lo so,” sussurrò George. “Grazie davvero, Angie…”
La ragazza lo colpì alla spalla destra, inarcando un sopracciglio infastidito. “Credevo che l’avessi imparato al primo anno che non mi dovevi chiamare Angie!”
George sorrise al ricordo di Fred che si era permesso di chiamare la ragazza Angie, scatenando le sue ire, l’undicenne ci aveva tenuto a precisare che nessuno ad eccezione di suo padre poteva chiamarla in quel modo, perché lei non era un tenero fiorellino, ma una fiera combattente, che avrebbe fatto il culo a tutti a cavallo di un manico di scopa. “Ci avevi terrorizzato,” le confidò.
“Era quello che mi auguravo che sarebbe successo…”
“Grazie, davvero, di avermi invitato stasera.”
“Io ero solo il messaggero, l’idea era di Katie e Oliver.”
“Beh, mi ha fatto piacere rivederti,” confessò, incrociando nuovamente il suo sguardo.
“Ha fatto piacere anche a me.”
George si alzò in piedi, raggiungendo il resto del gruppo, per abbracciare i due fidanzati e fare le proprie congratulazioni.
“Proporrei un brindisi” disse l’ex Battitore.
“Mi sembra giusto!” aggiunse Lee, con espressione furba.
“Che hai in mente?” domandò Angelina.
“Potrei avere proprio qui con me una rara bottiglia di Ogden stravecchio…” ribatté quello, facendo spallucce.
“A noi non interessa come tu ne sia entrato in possesso, fintanto che lo condividerai con noi…” lo rassicurò Oliver.
“Ovviamente ne avevo tutte le intenzioni,” chiarì il ragazzo.
“Sapevo che c’era un motivo se cominciavate a piacermi, voi Grifondoro,” commentò Graham, abbracciando Leanne, mentre Katie appellava dei bicchieri e Lee li riempiva, prima che Oliver li facesse avere a tutti i presenti.
“A Katie e Oliver!” esclamarono tutti in coro, facendo tintinnare i bicchierini, prima di ingoiare il liquido ambrato in un unico sorso.
George assaporò l’ottima bevanda, correndo con il pensiero alla prima volta che lui e Fred l’avevano provata, pensando che la strada fosse ancora lunga, ma che ce l’avrebbe messa tutta.
Doveva farlo per Fred.
 
***
 
Ginny era più che sicura di aver già visto una foto della ragazza bionda abbracciata a Lily Evans alla Tana, ma, per le mutande di Merlino, non riusciva a ricordare in quale stanza l’avesse vista e questo infastidiva non poco la ragazza.
“Vedrai che ti verrà in mente quando meno te lo aspetti,” cercò di convincerla Harry, osservando la ragazza buttare all'aria tutte le sue cose.
“Probabilmente non era nella mia camera,” rispose distrattamente lei, prima di raccogliersi i capelli in una coda disordinata.
“Non preoccuparti, davvero…” la rassicurò il moro, avvicinandosi.
“Mi preoccupo perché potrebbe esserti utile in qualche modo e mi da fastidio non ricordare!”
“Vedrai che risolveremo, Gin,” sussurrò Harry, posandole un bacio tra i capelli profumati e strappandole un sorriso. La ragazza si girò nel suo abbraccio, annullando la distanza che li separava, posando le labbra su quelle di lui e infilando le mani tra i suoi capelli disordinati. Harry mordicchiò piano il labbro inferiore di Ginny, che mugolò in segno di approvazione, spingendo il ragazzo ad insinuare la lingua nella sua bocca, sperando di  riuscire a strapparle altri gemiti appagati. Le mani di Ginny scostarono la maglietta di Harry, sollevandola per accarezzare il suo basso ventre, risalendo poi la schiena per raggiungere le spalle del ragazzo, trascinandolo con sé sul pavimento ingombro di oggetti della sua stanza. Lui disseminò il suo collo candido di baci, mentre la ragazza gli sollevava nuovamente la maglietta, levandogliela per sfiorare ogni centimetro di pelle lasciata scoperta. Anche le mani di Harry si fecero strada sotto il cotone leggero della semplice maglietta gialla indossata da Ginny e la ragazza sospirò di piacere, quando lui sfiorò la pelle coperta dal reggiseno. Senza staccare le sue labbra da quelle di lui, Ginny armeggiò con la chiusura dell’indumento intimo, liberando i propri seni, subito sfiorati dalle dita inesperte di Harry. Un suono gutturale scivolò dalle labbra di Ginny, spingendo Harry a liberarle per poter osservare il viso della ragazza, che sfoggiava un’espressione trasognata, abbinata alle guance rosate ed alle labbra tumide.
“Sei bellissima,” le sussurrò, massaggiando i suoi capezzoli inturgiditi dalle sue carezze.
“Mmmh, non sei affatto male nemmeno tu…” sussurrò lei, accarezzando la sua schiena.
Harry la baciò di nuovo, esplorando con lentezza la bocca che sapeva ancora delle fragole mangiate a pranzo, prima di sorridere contro le sue labbra, sospirando di piacere.
“Credo che saremo soli ancora per un po’…” mormorò Ginny, inarcandosi verso di lui e sfiorando con il proprio corpo l’erezione di Harry.
“È una proposta davvero allettante, Gin…” ribatté, a fatica.
“Ma?” lo spronò lei.
“Ma vorrei che la nostra prima volta fosse speciale.”
Lei gli sorrise. “Vuoi dire che ci hai pensato?”
Il ragazzo annuì.
“E cos’avresti in mente?”
“È una sorpresa…” la rimbeccò, baciandola di nuovo.
Qualche minuto dopo, i due si risistemarono, lasciandosi alle spalle la stanza di Ginny e scendendo in cucina, dove l’ultimogenita Weasley si mise a cercare tra gli album fotografici di famiglia.
Charlie li trovò seduti sul pavimento, con due album aperti davanti a loro e la foto che Remus aveva lasciato ad Harry in mezzo ai due.
“Hey ragazzi, tutto bene?”
“Si, stiamo cercando qualcuno…”
“Qualcuno chi?” domandò l’allevatore di draghi alla sorella.
“Se lo sapessimo non la staremmo cercando,” rispose lei, sbuffando.
Il nuovo arrivato si lasciò cadere accanto alla sorellina, guardandola mentre girava le pagina velocemente, osservando le foto alla ricerca della ragazza bionda, conosciuta anche dalla mamma di Harry.
“Volete una mano?” domandò, notando poi la foto di Lily e Lexie sul pavimento. “Ma quella è zia Lexie…”
Zia?” chiese Ginny, spalancando gli occhi.
“Certo!”
“E perché io non me la ricordo questa zia?”
“Eri davvero piccola l’ultima volta che la vedesti, normale che non te la ricordi,” le spiegò Charlie.
“Mia madre conosceva vostra zia, quindi?”
“Sì, erano migliori amiche,” rispose il secondogenito di casa.
“Ma perché io non mi ricordo di lei?” insistette Ginny.
La risposta di Charlie fu interrotta dall'arrivo di Molly, che emerse dal camino in quel momento, tallonata da Arthur e Percy.
“Ne parliamo da soli,” sussurrò Ginny, chiudendo con un colpo secco gli album.
“Va bene,” rispose suo fratello, rispedendo gli album al loro posto.
Harry strinse la mano di Ginny nella propria, sentendo il cuore rimbombargli nelle orecchie, che questa Lexie potesse svelargli qualcosa sul passato dei suoi genitori?
 
***
 
Quella stessa notte, una squadra di Auror comandata dal Comandante Proudfoot in persona, dopo dieci giorni ininterrotti di pedinamenti, e indagini proseguite incessantemente sin dalla sua sparizione subito dopo la Battaglia di Hogwarts, intervennero in una delle tenute della famiglia Rosier. Il padrone di casa, un distinto signore canuto considerato da sempre tra i più fidi sostenitori di Voldemort, si rifiutò di arrendersi, ingaggiando un duello all'ultimo sangue con gli Auror, conclusosi solo quando il suo Avada Kedavra lo uccise, dopo aver rimbalzato sullo scudo dell’Auror Hestia Jones.
 
Dall’altro lato dell’Oceano Atlantico, nell'ospedale magico newyorkese, una donna, in coma da quasi quindici anni, sbatté lentamente le palpebre, prima di aprire gli occhi e cercare di mettere a fuoco la stanza in cui si trovava.

 

Nota dell’autrice:
Buonasera a tutti, cari lettori.
Mi scuso per il ritardo di questo capitolo, ma è stato un periodo molto ricco di scrittura, ho pubblicato una One Shot, oltre che aggiornato la mia altra long e iniziato una nuova mini long… insomma, il tempo è quello che è, ma non rinuncerò a nessuna storia, lo prometto!
Finalmente Ron e Hermione sono arrivati in Australia e nel prossimo capitolo incontreremo i Granger, chissà come andrà?
George si sta facendo forza, anche se è faticoso, però ha imboccato la strada per la guarigione e non si arrenderà... di sicuro i suoi amici gli staranno accanto e ci tenevo a coinvolgerlo in un momento gioioso come la scelta di sposarsi fatta da Katie e Oliver. Ancora una volta ringrazio Adho che ha scritto delle splendide storie riguardanti questi due adorabili Grifondoro, oltre che aver caratterizzato splendidamente Graham Montague e Leanne Kaplett e Cormac McLaggen ed Eloise.
Harry e Ginny hanno quasi svelato il mistero che avvolge Lexie, grazie a Charlie, anche se il ritorno di Molly ha interrotto ogni spiegazione… per quelli di voi che hanno letto “Promesse da mantenere” e il suo seguito, confesso che concorderete con me sul fatto che la Lexie che ho creato non sarebbe mai sparita senza ragione. Nel prossimo capitolo sveleremo quanto le è successo e mi auguro che l’idea vi piacerà… questa storia è decisamente la più sperimentale tra quelle che ho scritto finora. Il Rosier che non si arrende è il padre di Evan, che nel mio headcanon era compagno di Tom ai tempi della scuola.
Vi ringrazio per il supporto continuo e vi do appuntamento al prossimo capitolo.
Un abbraccio,
Francy

 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Life’s greatest gift ***


Capitolo 9 – Life’s greatest gift




 
 
“Surprise is the greatest gift
which life can grant us.”
Boris Pasternak 
  


Ginny osservò Harry giocare con il cibo nel piatto durante tutta la cena, il ragazzo spinse le patate sulla ceramica bianca, riuscendo a portare alla bocca solo pochi bocconi dell’appetitoso polpettone di sua madre. Immaginava come dovesse sentirsi, quindi colse la prima opportunità a disposizione, quando Fleur chiese a Molly se la poteva aiutare a sistemare il maglioncino in cotone che stava tentando di sferruzzare per Teddy.
“Certo, cara… arrivo subito,” disse la padrona di casa, mentre Percy si offriva per sparecchiare e Bill e George per lavare ad asciugare i piatti.
“Io mi occupo del caffè,” propose Arthur, stringendo il braccio della moglie, che annuì, prima di prendere posto accanto alla nuora.
“Noi dobbiamo uscire, abbiamo dimenticato di rimettere a posto le scope e le palle da Quidditch oggi,” spiegò Ginny in tono vago, trascinando con sé Harry e Charlie, senza attendere una risposta.
Una volta chiusasi la porta dell’ingresso alle spalle, puntò le iridi in quelle del fratello, incrociando le braccia, “sputa il rospo, Charlie!”
“Va bene, non c’è bisogno di scaldarsi tanto,” ribatté il domatore di draghi, passandosi una mano tra i riccioli ribelli.
“Hai chiamato la bionda misteriosa zia Lexie, perdonami se mi scaldo…” ribatté la Cacciatrice, cercando le dita fredde di Harry per stringerle tra le proprie.
“Beh, come vi dicevo nel pomeriggio, tu eri davvero piccola l’ultima volta che la vedemmo…” iniziò a spiegare Charlie, sedendosi sui gradini del portico. “Lei era da sempre la fidanzata di zio Fabian, entrambi erano a scuola con i tuoi genitori, Harry…” disse il secondogenito di casa Weasley, incrociando gli occhi stupiti del ragazzo di sua sorella.
“Lexie era la migliore amica di tua madre e lei e zio Fabian si sposarono poco prima della morte degli zii…” concluse poi, mentre le iridi di Harry si dilatavano, all'udire dettagli mai sentiti prima sui genitori.
Ginny sentì il suo ragazzo stringere più forte le dita della sua mano e si sedette insieme a lui accanto a Charlie. “Morì anche lei?” domandò poi, immaginando quanto Harry ci tenesse a conoscere la risposta.
Charlie sospirò, scuotendo la testa. “Direi anche peggio…” borbottò infine, passandosi nuovamente le mani tra i capelli, “dopo la morte degli zii, Lexie era totalmente ossessionata dalla volontà di catturare tutti coloro che li avevano uccisi, questo la spinse a seguire le tracce di uno di loro fino negli Stati Uniti.  Ciò che tutti pensano è che proprio questo Mangiamorte l’abbia colpita con una maledizione che l’ha fatta cadere in uno stato di coma profondo. È ricoverata all'ospedale magico di New York da quasi 15 anni…”
“Ma è terribile, Harry parlò per la prima volta, pensando amareggiato che si trovava in un altro vicolo cieco, proprio ora che s’illudeva di aver trovato qualcuno che conosceva davvero i suoi genitori, si trattava di un’altra sfortunata vittima di quell'assurda guerra durata troppo a lungo...
“Già… mamma e papà non ne parlano molto spesso, ma so che continuano ad essere in contatto con la famiglia di zia Lexie, c’è sempre la speranza che si svegli,” spiegò Charlie.
“Raramente le cose vanno come spero io,” bofonchiò Harry, senza traccia di acredine nella sua voce, era la pura verità: sembrava che ogni singolo legame con i suoi genitori fosse stato eliminato.
“Harry, mi dispiace di averti trascinato in questa storia…”
Il Bambino Sopravvissuto interruppe la ragazza, sorridendole tristemente. “E tu che cosa c’entreresti?”
“Sono io che ti ho detto che avevo già visto la ragazza bionda, che ho insistito per parlarne con Charlie, ma alla fine ti ho condotto ad un’altra pista morta,” ribatté, mordicchiandosi il labbro inferiore.
“Sono contento di aver scoperto chi fosse la misteriosa ragazza bionda che abbiamo visto in così tante foto,” la rassicurò Harry, baciandola sulla guancia, sentendosi vagamente a disagio vista la presenza di uno dei suoi fratelli.
“Zia Lexie potrebbe sempre svegliarsi,” s’arrischiò a ripetere Charlie, dopo una breve pausa.
“Sarebbe forse troppo bello per essere vero,” dichiarò sua sorella.
“Con gli incantesimi oscuri non si può mai sapere,” ribatté lui, scrollando le spalle.
“Diciamo che c’è una flebile speranza,” disse Harry, cercando di credere a quello che diceva.
“Sarà meglio entrare, o mamma avrà una crisi di nervi,” dichiarò infine Ginny.
“Già…” assentì suo fratello. “Dì un po’, dove hai imparato a raccontare così bene le bugie?”
“Nel mio ultimo anno a Hogwarts a volte mentire era l’unico modo di salvarsi,” rispose in tono piatto, una nuova stretta di mano di Harry le ricordò che quei mesi bui erano finalmente finiti e che aveva qualcuno con cui avrebbe potuto aprirsi, non appena sarebbe stata pronta a farlo.
Charlie rimase di stucco, lui a differenza di alcuni dei suoi fratelli minori aveva solo ricordi positivi del suo periodo di studi a Hogwarts, era terribile pensare al modo in cui l’innocenza di Ginny, Ron, dei gemelli e dei loro amici fosse stata strappata a tutti loro; così come era orribile che tanti tra quei ragazzi, Fred incluso, non avessero potuto festeggiare la fine della guerra e la morte di Voldemort. A volte Charlie pensava che avrebbe dovuto rimanere in Inghilterra invece che andarsene in Romania, per stare vicino alla sua famiglia, anche se era ben consapevole che la sua presenza non avrebbe cambiato nulla. Era questo il destino dei sopravvissuti, però, arrovellarsi sui motivi che avevano spinto il destino a salvare loro e non gli altri, chiedersi se avessero potuto fare qualcosa per cambiare il passato, ben sapendo quale fosse la risposta.
Seguì i due ragazzi in casa dei genitori, pensando che la sua famiglia avesse davanti ancora tante sfide, prima di tornare a provare ad essere quella di un tempo. Era comunque certo che rimanendo uniti ce l’avrebbero fatta e sorrise convinto a sua cognata quando gli allungò un pasticcino francese ricevuto proprio quel giorno dai suoi genitori. Quando aveva incontrato per la prima volta la futura moglie di suo fratello, non avrebbe mai immaginato che Fleur fosse destinata a diventare un pilastro della famiglia, ma la francese si stava rivelando decisamente ben più di un grazioso faccino. Non che avrebbe dovuto sorprendersi, ovviamente, Bill non avrebbe mai potuto innamorarsi di una ragazza solo per il suo bell’aspetto, ma era evidente che fosse ormai apprezzata anche dai suoi detrattori più convinti – sua sorella e sua madre, per essere precisi.
Sorrise nuovamente alla vista delle tre donne della famiglia seduta vicine sul divano, intente a commentare quanto fosse adorabile Teddy Lupin, un'altra vittima della scellerata guerra appena conclusa.
Si chiese quanto tempo sarebbe passato prima che anche Bill e Fleur cominciassero a pensare ad allargare la famiglia… un altro bambino avrebbe sicuramente raddoppiato la gioia. E la sua famiglia ne aveva un gran bisogno.
 
***
 
Sydney era assolutamente meravigliosa, anche in inverno, Ron aveva convinto Hermione a fare un giro della baia in traghetto al tramonto, avendo la possibilità di ammirare molti dei principali monumenti, godendosi la brezza ed il silenzio, visti i pochi turisti i due erano i soli ad essersi spinti nella parte scoperta dell’imbarcazione. La città era così diversa dalla Londra babbana, e anche da quella magica, Ron avrebbe tanto desiderato fermarsi un altro po’ dopo aver rintracciato i signori Granger; credeva che Hermione avesse decisamente bisogno di rilassarsi, ma non voleva proporglielo prima di aver sistemato tutto con i suoi genitori.
“Hai avuto un’ottima idea, Ron,” sussurrò la ragazza, poggiando la testa sulla sua spalla.
“Vedo che non hai usato un tono sorpreso questa volta…” ribatté, sorridendole.
“Hai intenzione di rinfacciarmelo per sempre, Ronald?”
“Forse,” mormorò lui in risposta, osservando i suoi occhi diventare fiammeggianti. “Adoro quando ti arrabbi!”
“Sei impossibile!” sbuffò.
Ron si strinse nelle spalle, attirandola tra le sue braccia, amando il modo in cui il suo corpo minuto aderiva perfettamente al suo.
“Sembra quasi impossibile…” mormorò la ragazza, dopo una piacevole pausa, protrattasi per un po’.
“Mhmm…” Ron la strinse un pochino più forte in risposta.
“Non avrei mai immaginato che il nostro primo viaggio insieme sarebbe avvenuto così poco tempo dopo la fine della guerra, né che saremmo venuti dall’altra parte del mondo.”
“Figurati io, che prima d’ora avevo lasciato l’Inghilterra solo per andare a trovare Bill,” le rispose, mordicchiandosi l’interno di una guancia. “Fred aveva sempre sognato di venire nel Down Under…”
L’allusione a Fred sorprese la ragazza, che ben conosceva la ritrosia di Ron a parlare del fratello scomparso. “Dici che gli sarebbe piaciuta?”
Il rosso annuì. “Caotica, piena di vita anche in inverno, colorata e poi c’è il mare… l’avrebbe adorata,” disse, osservando l’ampia baia in cui stavano navigando. “Certi giorni non mi sembra ancora vero…”
“Nemmeno a me,” annuì lei, strizzandogli l’avambraccio. “Perdere Fred, pochi istanti dopo aver riabbracciato Percy è stato decisamente crudele.”
“Credi che Percy si senta in colpa?”
La domanda di Ron mostrava quanto esattamente fosse cresciuto negli ultimi mesi e Hermione, nonostante tutto, sorrise. “Ne sono più che convinta, anche se so che nessuno di voi incolpa lui per quanto successo a Fred.”
“Mentirei se ti dicessi che non avevo pensato che si meritasse di soffrire un po’, dopo quello che aveva fatto passare a mamma e papà…” sussurrò tutto d’un fiato, con lo sguardo rivolto verso l’acqua cristallina. “Ma, anche se è parecchio insopportabile, è pur sempre mio fratello e so benissimo che al suo posto io non riuscirei nemmeno a guardarmi allo specchio. La perdita di Fred è già una punizione troppo grande per tutti noi ed è importante rimanere uniti per superarla,” aggiunse, adombrandosi.
“Fred non vorrebbe vedervi tristi,” gli ricordò Hermione, mentre una lacrima solitaria solcava la guancia lentigginosa di Ron.
Lui tirò su col naso, annuendo. “Già…”
“Ne usciremo tutti insieme,” promise la ragazza, sollevando gli occhi nocciola in quelli lucidi di lui, cercando di infondere tutto il suo affetto in quello scambio di sguardi.
“Non potrei superarlo senza di te,” ammise il rosso, stringendo la sua mano.
“Non ti libererai facilmente di me, non l’hai ancora capito?” gli ricordò lei, riuscendo a ottenere un lieve sorriso in risposta al suo, prima di portare le loro labbra a sfiorarsi in un bacio leggero, subito ricambiato entusiasticamente da Ron. Hermione non avrebbe più dovuto stupirsi del numero di sensazioni che le labbra del ragazzo erano in grado di provocarle, il suo corpo venne percorso dai brividi, risvegliandosi in ogni terminazione nervosa, il profumo fresco di Ron pervase ogni fibra della ragazza, che sospirò di piacere, quando lui prese a mordicchiarle il labbro inferiore. Quando le lingue s’incontrarono, Ron aumentò la presa sul corpo di Hermione, cercando di annullare la distanza che li separava a livello fisico, già inesistente a livello emotivo.
“Ti amo così tanto,” le mormorò a fior di labbra, prima di accoglierla in grembo per gustarsi insieme il sole che si tuffava nell’acqua, inondandola dei riflessi arancioni, rossi e dorati, tanto cari ai due Grifondoro.
 
***
 
Lo studio dentistico Wilkies era in una stradina tranquilla, in una zona residenziale di Sydney, quel martedì l’Auror Campbell aveva preso appuntamento per una pulizia dei denti, facendosi accompagnare dai due adolescenti. Quando i tre entrarono nella sala d’aspetto, trovarono altre due persone in attesa, Noah si avvicinò alla receptionist, tallonato da Hermione e Ron. “Buongiorno, ho preso appuntamento a nome Campbell, per le ore 11:30… sono un po’ in anticipo però.”
La donna gli sorrise, prima di consultare il calendario degli appuntamenti. “Campbell, certo! Se vuole accomodarsi...” gli disse, prima di osservare i due ragazzi, in attesa.
“Oh, i miei ragazzi mi hanno accompagnato perché abbiamo un impegno in zona subito dopo...” aggiunse, sorridendo alla donna bionda, che ricambiò, prima di essere distratta dal telefono.
I tre presero posto lontano dagli altri due uomini in attesa.
“Ora che facciamo?” domandò Ron.
“Aspettiamo e vediamo chi sarà chiamato per primo, poi direi di fare un blando incantesimo di memoria all’altro e mandarlo via...”
“Non sarà rischioso?” mormorò Hermione.
“Non ho intenzione di spedirlo a piedi nell’Outback,” la rassicurò l’uomo, strizzandole l’occhio, “lo manderò solo a bersi un caffè in un bel posticino... potrà prendere nuovamente appuntamento dal dentista quando vuole!”
Hermione annuì silenziosamente, riuscendo a concentrarsi solamente sul battito incessante del suo cuore. Ron, notando lo smarrimento nei suoi occhi, allungò la mano sinistra per afferrare la destra di lei e stringerla, infondendole tutto il coraggio che poteva.
“Andrà bene,” le sussurrò, mentre lei annuiva di nuovo.
 
Un paio di minuti dopo, una donna alta uscì dalla porta bianca alla destra del bancone della reception e la segretaria la salutò, prima di chiamare un uomo di mezza età. “Signor Crawford, la dottoressa Wilkies la aspetta,” gli disse sorridendo.
Quello si avviò, mentre la donna alta si chiudeva la porta alle spalle. Noah estrasse con circospezione la bacchetta dalla tasca, puntandola verso l’uomo biondo che leggeva una rivista di surf. Pochi attimi dopo il biondo si rimise in piedi, osservando l’orologio da polso ed avvicinandosi alla receptionist. “Mi dispiace infinitamente, ma mi sono appena ricordato di un appuntamento urgente dall’altra parte della città, Marla… possiamo rischedulare l’appuntamento?”
“Ma certo Steward. Può andar bene martedì prossimo alla stessa ora?”
Il biondo annuì, prendendo il cartoncino che la donna sorridente gli stava porgendo.
“Ci vediamo la prossima settimana,” salutò, andandosene di corsa.
“Pare che sia stato fortunato, signor Campbell” gli sorrise Marla.
“La puntualità aiuta sempre,” ribatté lui, ricambiando il sorriso.
Qualche minuto dopo anche la porta alla sinistra del bancone si aprì, lasciando emergere una mamma con un bambino di circa tre anni.
“Può andare,” disse la donna bionda, prima di rivolgersi alla paziente con il bambino.
Hermione e Ron seguirono Noah nello studio in cui li aspettava il papà della ragazza, il cui cuore aveva ripreso a battere a ritmo erratico; Ron le strinse la mano con forza, sorridendole per darle forza.
“Buongiorno signor Campbell, sono il dottor Wilkies! So che è qui per una pulizia dei denti…” disse Paul Granger, prima di girarsi e trovarsi davanti ben tre persone. “Temo che questi due ragazzi la debbano attendere fuori, però…” aggiunse, occhieggiando i due adolescenti e tornando a rivolgersi al biondo.
Gli occhi di Hermione s’erano riempiti di lacrime alla vista del genitore che, chiaramente, non aveva idea di chi lei fosse. Ron, che aveva visto il signor Granger l’ultima volta un paio d’anni prima, rivedeva gli occhi della ragazza che amava in quelli dell’uomo dall’aspetto confortante che li osservava. Prima che i due avessero tempo di rispondere, l’Auror Campbell estrasse la bacchetta, pronunciando le parole per sollevare l’incantesimo della memoria, trasfigurando il viso sereno di Paul Granger in un’espressione prima confusa, poi perplessa ed infine sbalordita. L’uomo aveva infatti smesso di fissare quello che avrebbe dovuto essere il suo paziente, concentrandosi sui due ragazzi che lo accompagnavano. Il sacchetto di strumenti sterilizzati cadde a terra con un forte clangore e i caldi occhi nocciola di Paul si ritrovarono a fissare i loro gemelli, sul viso ormai rigato di lacrime della figlia che non vedeva da quasi un anno.
“Hermione?” mormorò a mezza voce.
“Sì, papà. Sono io,” sussurrò in risposta, non riuscendo a smettere di piangere, correndogli incontro per abbracciarlo.
Paul ricambiò la stretta, notando che la figlia sembrava più magra dell’ultima volta in cui l’aveva vista, anche se non ricordava quando fosse stato. “Io non capisco... dove siamo? E chi è quest’uomo?” chiese, allontanando un poco la figlia da sé per osservarla meglio.
“È una lunga storia,” rispose Ron, avvicinandosi ai due.
“È un piacere rivederti, Ron. Sei cresciuto ancora dall’ultima volta…” disse Paul, stringendogli la mano.
“Piacere mio, signor Granger.”
“Ora avete intenzione di spiegarmi cos'è successo?”
Entrambi annuirono, prima che Ron si schiarisse la voce. “Forse dovremmo chiamare anche tua madre, non credi?”
Le labbra di Hermione si spalancarono in un’espressione meravigliata. “Ma certo! Come ho potuto scordarmene!”
“Con tutto quello che è appena successo mi sembra normale,” la rassicurò il suo ragazzo, stringendole con affetto la mano, un gesto che non passò inosservato al padre di lei, che non riusciva a smettere di osservarli.
“Forse dovrei andare a dire a Marla di annullare gli appuntamenti del pomeriggio e prendersi il resto della giornata libera,” commentò Paul, ricordandosi solo in quel momento dello studio dentistico, che apparentemente era suo, ma che non somigliava affatto allo studio londinese in cui aveva lavorato per anni con la moglie.
“Buona idea,” ribatté Campbell, prima di porgergli la mano e aggiungere, “Noah Campbell, non ci siamo presentati.”
“Paul Granger, come mai lei è qui?”
“Sono un Auror ed ho aiutato sua figlia a rimettersi in contatto con voi.”
Paul annuì. Se c’era una cosa che aveva imparato, nei quasi sette anni in cui sua figlia aveva avuto a che fare con la magia, era che a volte era molto meglio non chiedere. Questa sembrava decisamente una di quelle volte.
Meno di dieci minuti dopo, Paul era di ritorno. “Marla era felice della possibilità ed è già andata a casa, Kathleen invece sta terminando la pulizia del suo paziente, le ho detto di venire qui non appena avrà terminato.”
Gli altri tre annuirono e Paul si riavvicinò alla figlia. “Sono un po’ confuso riguardo all'ultima volta in cui ci siamo visti… possiamo parlarne o anche per quello dobbiamo aspettare mamma?”
Hermione, che stava tormentandosi un ciuffo di capelli sfuggito allo chignon in cui li aveva raccolti, scosse la testa. “Sono passati dieci mesi papà…”
“Immagino che tu non voglia aggiungere altro, almeno per ora.”
Lei scosse la testa.
“Sono davvero felice di rivederti,” le mormorò l’uomo, abbracciandola di nuovo.
“Anche io,” rispose, inalando il profumo del dopobarba che suo padre aveva sempre usato. Anche a migliaia di miglia da casa, si sentiva al sicuro tra le braccia che l’avevano sostenuta in ogni momento della sua crescita.
La porta si aprì, lasciando entrare Kathleen Granger, che osservò stranita il marito abbracciato ad una ragazza che non le sembrava di aver mai visto prima. Campbell non le diede nemmeno il tempo di porre la domanda, eseguendo lo stesso incantesimo effettuato poco prima su Paul ed osservando la stessa sequenza di emozioni attraversare le iridi acquamarina della donna.
“Hermione?” la voce della donna era a malapena un bisbiglio, ma, visto che la stanza era avvolta dal silenzio, la sentirono tutti.
“Sì mamma, sono io,” dichiarò, prima di avvicinarsi a lei e abbracciarla, come non faceva da mesi.
“Cos'è successo?” domandò anche lei, facendo sospirare Hermione, ancora impaurita per la possibile reazione dei genitori alla sua scelta.
La ragazza si mordicchiò il labbro, per la prima volta non sapeva da dove cominciare a spiegare quello che aveva fatto, abbassò lo sguardo sul pavimento, per poi sollevarlo ed incontrare gli occhi cerulei di Ron.
“Forse dovresti iniziare chiedendo loro l’ultimo ricordo che hanno di te prima di oggi,” le suggerì il ragazzo.
“Ciao Ron, non ti avevo notato,” disse Kathleen, sorridendo al ragazzo, che ricambiò saluto e sorriso, sentendo le orecchie diventare rosse.
“L’ultimo ricordo, vediamo… è tutto un po’ nebuloso in realtà. Tu cosa ricordi Kathleen?”
“Una visita ad una mostra in centro, credo che fosse un pomeriggio di luglio,” rispose dubbiosa.
Hermione annuì. “Sì, al Tate Modern.”
“E poi cos’è successo?” domandò Paul.
“E perché siamo finiti in Australia?” aggiunse la moglie.
“Vi ho effettuato un incantesimo della memoria, facendovi credere di essere Wendell e Monica Wilkies e che non vedevate l’ora di venire a vivere quaggiù,” rispose la ragazza in un soffio.
I suoi genitori si cambiarono uno sguardo sconcertato, strabuzzando gli occhi increduli.
“Ma perché?” domandò infine Kathleen.
“L’ho fatto per proteggervi.”
“Da quel Tu-Sai-Chi di cui ci hai parlato più volte?” s’informò suo padre.
La ragazza annuì, continuando a fissare le proprie mani, torcendole per cercare di calmarsi.
“E ora?” chiese nuovamente sua madre.
“Ora è finalmente finita,” disse Hermione, trovando la forza di guardare i genitori.
“Vuoi dire che è morto?” continuò la donna.
La figlia annuì.
“Harry l’ha sconfitto,” spiegò Ron.
“Ma è una notizia stupenda!” s’entusiasmò il signor Granger, stringendo nuovamente tra le braccia la figlia ritrovata, subito raggiunto dalla moglie.
Noah Campbell lasciò la stanza, immaginando che avessero voglia di stare un po’ da soli, lasciando Ron in piedi nelle vicinanze della famiglia riunita.
Quando i genitori la liberarono, gli occhi di Hermione corsero subito alla figura allampanata del ragazzo dai capelli rossi che era diventato una delle persona più importanti della sua vita.
“Vieni anche tu, Ron,” gli disse Kathleen, prima di abbracciarlo.
“Avete festeggiato?” fu la domanda successiva di Paul.
“Non proprio, no,” la figlia scosse la testa, scambiandosi un’occhiata incerta con Ron, vedendo le sue iridi adombrarsi.
Kathleen intuì subito quale potesse essere la ragione. “Non tutti i vostri amici sono sopravvissuti, vero?”
Entrambi i giovani scossero tristemente la testa, facendo comprendere ai due coniugi che, nonostante fossero passati solo dieci mesi, la loro Hermione non era più la ragazza che ricordavano.
 
***
 
Il gufo reale planò con eleganza sul tavolo della cucina, entrando dalla finestra aperta, e avvicinandosi alle due persone presenti in quel momento.
“Dici che sarà di Hermione e Ron?” chiese Fleur a Molly.
La padrona di casa scosse la testa. “Non ne ho idea.”
Una volta consegnata la busta, il volatile spiccò di nuovo il volo, andandosene da dove era venuto. Molly girò la busta per leggere l’intestazione, osservando una grafia conosciuta, sì, ma che era sicura di non leggere da molto tempo.
“Non è dei ragazzi,” disse alla nuora, aprendo la busta e tirando fuori la breve lettera; la lesse velocemente, prima di posarla e spaventare la donna più giovane scoppiando in lacrime.
“Che suscede, Molly?” si preoccupò Fleur, prendendo la mano dell’altra tra le proprie. “Brutte notizie?”
La matriarca Weasley scosse la testa con veemenza, asciugandosi le guance con il dorso della mano destra. “È una lettera di Edward Ashworth, che mi comunica che sua figlia si è svegliata dal coma dopo quasi 15 anni…”
“È merveilleux,” commentò la Veela, dando qualche pacca sulla spalla della suocera.
“Lo è,” sorrise Molly. “Lexie Ashworth è la moglie di mio fratello Fabian,” aggiunse in un sussurro.
“Quindi è la zia dei tuoi figli?” s’accertò Fleur.
“Esatto.”
“Saranno tutti très contenti…”
“Immagino proprio di sì,” sussurrò, riprendendo la lettera per leggerla una seconda volta.
“Vuoi andare a trovarla?” domandò la nuora.
“Purtroppo è ancora ricoverata a New York, ma ci faranno sapere quando la dimetteranno.”
“Allora stasera dobbiamo festeggiare,” disse la francese.
“Direi proprio di sì.”
 
***
 
Le scartoffie non erano mai state la parte preferita del lavoro da Auror, per questo Hestia Jones tentava sempre di rimandarle. L’essere stata colei che aveva posto fine alla miserabile vita di Magnus Rosier però, implicava che le carte riguardo alla sua morte fossero compilate da lei. Seduta ad una scrivania piuttosto ingombra all’interno dell’open space decisamente meno popolato rispetto a qualche anno prima, non si accorse dell’uomo alto e biondo che aveva appena chiesto di lei a un collega.
Stava sbadigliando sonoramente, in arretrato di diverse ore di sonno, quando un viso che non vedeva da anni si palesò davanti a lei.
“A quanto pare la mia famiglia deve ringraziarti, Jones,” mormorò la stessa voce suadente che ricordava dai tempi di Hogwarts.
“Per il diadema perduto di Rowena!” esclamò, riconoscendo subito il suo visitatore. “È passata un’infinità di tempo dall'ultima volta…”
Lui annuì, prendendo posto alla sedia libera di fronte alla scrivania in palissandro.



 
Note dell’autrice:
Buonasera a tutti, miei cari lettori.
Non posso che iniziare scusandomi per il ritardo dell’aggiornamento di questa storia, dopo settimane piuttosto silenziose oggi ho aggiornato ben tre volte, ma non abituatevi. Purtroppo è stato un periodo davvero complicato, conclusosi con la morte della mia adorata nonna, avvenuta due settimane fa. Ho avuto la fortuna di essere cresciuta da lei, che era rimasta vedova a 38 anni e ha tirato su due figlie praticamente da sola, e quindi mi manca infinitamente. Voglio dedicare questo capitolo a lei, sperando davvero che la sua anima e quella di mio nonno si siano finalmente ritrovate, dopo quasi 50 anni di separazione.
Venendo al capitolo, direi che sia Harry e Ginny, che Ron e Hermione sono sulla buona strada per le loro missioni ormai. Il Bambino sopravvissuto ha scoperto la storia di Lexie, anche se ancora non sa che si è risvegliata, per ora, gli altri due terzi del trio invece hanno finalmente tolto l’incantesimo di memoria ai signori Granger, che ora avranno tutto il tempo per aggiornarsi su quanto successo durante il loro esilio nel DownUnder. Chi di voi ha letto “Promesse da mantenere” e “Legami indissolubili” sicuramente avrà riconosciuto il visitatore dell’Auror Jones, per gli altri invece temo che dovrete aspettare il prossimo capitolo, che arriverà presto, lo prometto.
Come sempre ringrazio tutti voi per la pazienza con cui state seguendo questa storia e per il sostegno che mi date nelle recensioni.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 – As much as you can miss them ***


Capitolo 10 – As much as you can miss them



 
“You can love someone so much...
But you can never love people
as much as you can miss them.”
John Green
  

La casa di Wendell e Monica Wilkies era una bella villetta nei sobborghi di Sydney e fu proprio lì che i signori Granger condussero la figlia, Ron e l’Auror Campbell. Una volta seduti nella luminosa cucina, dalle cui finestre socchiuse entrava una leggera brezza marina, Hermione sorrise notando come la madre stesse preparando il the eseguendo i medesimi gesti di quando lo preparava nella loro casa londinese.
Casa. Chissà se sarebbero tornati a vivere nell’ordinata villetta — porto sicuro della sua famiglia — stipata di libri e di ricordi felici, teatro di alcuni degli avvenimenti più importanti della sua infanzia e della sua adolescenza? I primi passi, resi indelebili dalla foto scattata da suo padre e incorniciati sul caminetto, accanto a ogni evento memorabile della sua giovane vita. Il primo libro che la giovane Hermione aveva letto da sola, accoccolata nella finestra a bovindo del soggiorno, con i baffi marroni causati da una tazza di cioccolata calda posata accanto a sé. L’arrivo della severa Professoressa McGranitt che le aveva comunicato il suo essere una strega e che l’aspettavano a Hogwarts l’anno successivo per insegnarle tutto ciò che c’era da imparare al riguardo. La prima foto in primo piano nella quale aveva sorriso apertamente e di sua spontanea volontà, dopo che i suoi incisivi anteriori avevano raggiunto una misura normale grazie all’intervento di Madama Chips. Un sorriso nostalgico increspò le labbra screpolate di Hermione, mentre la giovane constatava che i suoi genitori potevano anche aver creduto di chiamarsi in modo diverso e di voler vivere in Australia, ma i loro gesti erano rimasti immutati. Sua madre era impegnata a disporre con cura i biscotti al burro su un piattino decorato con un motivo di peonie — incredibilmente simile al servizio a tema di rose che era stato il suo preferito in Inghilterra. Suo padre stava invece versando il latte in un piccolo bricco in ceramica sulla cui forma bombata spiccavano i medesimi fiori delicati, prima di posizionarlo al centro del vassoio, circondato dalle tazze in porcellana finissima.
Ron le strinse la mano, facendole forza con quel semplice gesto, e lei gli sorrise — grata che l’avesse accompagnata all’altro capo del mondo, convinta che non ce l’avrebbe mai fatta senza di lui.
“Devo aiutarvi?” si riscosse infine la strega.
“Non preoccuparti, tesoro,” la rassicurò Paul, entrando in soggiorno con due piatti ricolmi di biscotti e posizionandoli al centro del tavolo; la moglie lo seguì qualche istante dopo con il vassoio del the ed i due presero posto di fronte alla figlia, sorridendole nervosamente.
“Immagino che vi starete chiedendo come mai abbiamo portato con noi l’Auror Campbell,” iniziò quindi la figlia, puntando lo sguardo prima sulla madre e poi sul padre, mordicchiandosi il labbro inferiore.
“In effetti sì,” le rispose Kathleen.
“Lo statuto internazionale della magia impone che, qualora siano effettuate magie su dei Babbani, siano gli Auror a occuparsi delle conseguenze del caso,” rispose Campbell, sorridendo ai due e afferrando un paio di biscotti.
“Sta parlando di quanto fatto da Hermione?” continuò la signora Granger, occhieggiando la figlia, intenta a torturarsi le mani.
“Proprio così. Normalmente vostra figlia sarebbe anche a rischio di processo, ma questo è un caso straordinario…” iniziò a spiegare l’uomo, apparentemente ignaro delle espressioni sconvolte dei due. “Voglio dire, è chiaro che l’abbia fatto solo per proteggervi e non per una qualche forma di tortura nei confronti dei babbani… ma di questo comunque se ne dovrà occupare il Ministero britannico. Io dovrò occuparmi solamente di fare in modo che possiate tornare a casa sani e salvi… se è quello che volete, s’intende,” concluse il biondo, guardando i volti degli altri presenti uno a uno.
“Rischi di essere processata, tesoro?” mormorò a mezza voce la madre, la cui tazza di the aveva preso a tremarle tra le mani.
La giovane scosse la testa con fermezza. “Non preoccuparti, mamma. Ne ho già parlato con chi di dovere e non rischio alcun processo.”
“Non lo stai dicendo solo per placarci, vero?” s’informò suo padre, scrutandola con le iridi colme di preoccupazione.
“Certo che no! Dovete stare tranquilli,” ribadì Hermione.
“Vostra figlia ed il suo amico sono stati fondamentali nella sconfitta di Voldemort e del suo regime; hanno salvato il mondo magico britannico e se n’è parlato ovunque,” commentò Campbell. “Il loro contributo alla causa è stato decisamente fondamentale e tutti sono convinti che Harry Potter non ce l’avrebbe fatta senza il loro aiuto,” aggiunse poi scuotendo la testa ancora incredulo, ritornando con la mente al momento in cui la notizia era arrivata anche lì nel Down-Under.
La madre di Hermione sembrava troppo sconvolta per proferire parola, stringeva la mano del marito nella propria — quasi fosse un porto sicuro in un mare in tempesta. Paul Granger sorrideva orgoglioso ai due adolescenti, continuando a fare del suo meglio per far percepire la vicinanza a sua moglie. “Mi sta forse dicendo che sono due eroi?” chiese infine, incrociando lo sguardo dell’Auror australiano.
Noah Campbell annuì. “Può ben dirlo, signor Granger!”
Sentendo le proprie orecchie andare a fuoco, Ron sbirciò la reazione dei genitori di Hermione, oltre a quella della ragazza — ancora chiusa in un ostinato ed insolito mutismo.
“Lo avrebbe fatto chiunque,” mormorò a mezza voce Hermione.
“Non penso proprio!” ribattè Paul, scuotendo la testa, con un sorriso fiero che gl’increspava le labbra.
“Harry aveva bisogno di noi,” disse Ron, come se bastasse a spiegare tutto.
“Direi che dopo tutti questi mesi di separazione avete tanto da dirvi… che ne dite se ci diamo appuntamento per domani, qui?” propose Campbell, sentendosi decisamente di troppo tra quelle quattro mura.
“Grazie,” gli rispose Kathleen. “Possiamo rivederci domani pomeriggio?”
L’Auror annuì.
“Facciamo verso le quattro?” propose Hermione.
“Mi sembra un’ottima idea,” annuì l’uomo, alzandosi. “Non serve che mi accompagni, mi smaterializzerò dal salotto. Buona serata!”
Una volta rimasti soli, i due adolescenti si scambiarono un’occhiata incerta, che non sfuggì ai genitori della strega. “Immagino che abbiate molte domande…” cominciò Hermione, facendo un lungo sospiro, prima d’incrociare le iridi colme di preoccupazione di sua madre. “La ferita è ancora fresca e non è semplice parlarne per noi, probabilmente non lo sarà mai…”
“Non siete obbligati a farlo se non vi va,” s’affrettò a dire Kathleen, sporgendosi verso i giovani.
“È giusto che voi sappiate,” sussurrò la figlia. “Ma ci vorrà tempo…”
“Che ne dite di parlarne davanti ad una pizza? Potremmo ordinarla e mangiarla nel patio... c'è una vista spettacolare dell'oceano,” propose Paul.
Ancora una volta le iridi di Hermione e quelle di Ron s’incontrarono, in una muta richiesta, prima che la ragazza annuisse.
“Allora ne ordiniamo una con tutti gli extra possibili? Che ve ne pare?” domandò Paul.
Ron scrollò le spalle, lanciando un’occhiatina interrogativa alla ragazza. “Dovrebbe essere più o meno come quella che abbiamo mangiato quando siamo andati a Londra con Harry e Ginny…”
“Mi sembra ottimo,” si mostrò quindi d’accordo.

Una mezz'ora dopo, Ron aveva assistito sbalordito all'arrivo di due pizze extra large, recapitate da un fattorino biondo e abbronzato in sella ad uno scooter rosso fuoco. "Aspetta solo che lo racconti a papà..." aveva commentato, osservando il signor Granger pagare la consegna.
La madre di Hermione stava ultimando di apparecchiare il tavolo di legno quando i tre la raggiunsero con le pizze e le bevande recuperate dal frigorifero.
"Che profumino," commentò Kathleen, aprendo uno dei cartoni.
Hermione trattenne a stento un risolino, sentendo lo stomaco di Ron borbottare al suo fianco.
"Sai che io ho sempre fame," sbuffò il ragazzo, le cui orecchie avevano raggiunto la medesima sfumatura dei capelli.
Per qualche minuto tutti si concentrarono sulla propria fetta di pizza, in un silenzio amichevole e naturale, durante il quale Hermione stessa si rese conto di essere tremendamente affamata. Da perfetta padrona di casa, Kathleen offrì una seconda fetta a Ronald, quando s'accorse del suo piatto vuoto, procedendo a fare lo stesso anche con gli altri commensali.
"Grazie, signora Granger."
"Chiamami pure Kathleen," gli disse la donna.
"Ci proverò..." rispose impacciato l'adolescente. 
"Come stanno i tuoi genitori?" chiese invece Paul.
"Oh, beh... abbastanza bene, tutto considerato..." mormorò in risposta, abbandonando la pizza e sbattendo furiosamente le palpebre, nel vano tentativo di non lasciar sfuggire alcuna lacrima.
I genitori di Hermione si scambiarono un'occhiata desolata, puntando poi gli sguardi sulla figlia e sulla mano che aveva subito stretto le dita di Ron tra le proprie. I due adolescenti si scambiarono l'ennesima occhiata, prima che Ron  prendesse un lungo respiro. "Mio fratello Fred è... è morto lo scorso 2 maggio, nella Battaglia di Hogwarts," dichiarò in un sussurro.
"Oh, Ron... ci dispiace così tanto!" esclamò Kathleen, investita in quel preciso istante dalla magnitudine di quanto combattuto dalla figlia e dai suoi amici nei mesi in cui lei e Paul erano stati al sicuro — dall'altra parte del mondo.
"Le probabilità che sopravvivessimo tutti erano piuttosto basse, ma ci eravamo andati così vicini..." rispose, stringendosi nelle spalle - trovando la forza nelle dita di Hermione intrecciate alle proprie. "Avevamo appena riabbracciato Percy, dopo che aveva capito di essere stato un emerito imbecille e poi..." una lacrima sfuggì al suo controllo, catturando alcuni raggi di sole e creando innumerevoli riflessi colorati sulla guancia costellata di efelidi.
"E non è stato nemmeno l'unico a morire in quella notte sciagurata, ovviamente..." aggiunse, dopo aver inspirato profondamente. "Abbiamo fatto del nostro meglio e credevamo di aver messo al sicuro almeno i più piccoli, ma qualcuno di loro è sfuggito e ha voluto combattere..." Hermione colse il riferimento a Colin, sentendo anche i suoi occhi velarsi di lacrime al pensiero di tante giovani vite spezzate.
"Per non parlare dei tanti bambini rimasti orfani, o di Harry che ha perso anche l'ultimo amico dei suoi genitori e, insieme a lui, il legame che aveva con loro," Ron parlava sommessamente, prendendo delle pause qua e là, riuscendo comunque a mantenere l'attenzione dei due coniugi. 
"La ricostruzione sarà un processo lungo, ma noi stiamo facendo e faremo del nostro meglio," intervenne Hermione per la prima volta, mostrando una sicurezza e una consapevolezza di sé mai avute negli anni passati nelle scuole babbane. La pausa successiva si protrasse qualche secondo in più e la signora Granger abbandonò la sedia, raggiungendo i due ragazzi per poterli stringere entrambi a sé. "Non oso nemmeno immaginare quello che avete vissuto e vi ringrazio di esservi aperti con noi... faremo tutto il possibile per aiutarvi," assicurò loro. Paul si unì all'abbraccio di gruppo, riflettendo su quanto fossero andati vicini a perdere la loro unica figlia, senza nemmeno avere la possibilità di soffrire per lei. 
Fortunatamente non era andata così e avrebbero vissuto il resto della loro vita apprezzandone ancora di più il suo valore.
 
***
 
“Mai avrei pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui un campione del tuo calibro si sarebbe palesato nel mio umile ufficio, Ashworth,” sogghignò Hestia, puntando le iridi chiare — accese da una luce divertita — in quelle del suo visitatore.
“Non ti ricordavo così tagliente ai tempi della scuola, Jones,” ribatté svelto il Cacciatore, offrendole il suo sorriso più affabile e ricevendo una scrollata di spalle in risposta.
“E io non ti reputavo così sensibile invece… credevo che voi Grifondoro foste tutto ardore e coraggio,” celiò la mora.
“Vengo in pace,” la rassicurò lui, sollevando le mani e mostrandole i palmi. “I miei sono già da qualche tempo fissi a New York, intenti a sbrigare le pratiche per l’imminente dimissione di mia sorella e il suo conseguente spostamento al San Mungo. Io sono bloccato dall'altro lato dell’oceano e mi sembrava appropriato passare da te. Sono sicuro che ti toccherà avere anche fare con l’intera famiglia quanto prima, ma…” la voce si spense, mentre l’uomo cercava di mettere ordine ai suoi pensieri, ancora scombussolati dopo quella notizia meravigliosa, sì, ma decisamente inaspettata.
“Non avrei dovuto essere così brusca,” borbottò infine l’Auror, stentando a riconoscere il ragazzo che ai tempi della scuola faceva impazzire la popolazione femminile e portando le proprie dita a sfiorare quelle di lui, appoggiate mollemente sulla sua scrivania.
Gli occhi cerulei dell’ex Grifondoro incontrarono quelli altrettanto azzurri della donna e gli angoli della sua bocca si sollevarono in un sorriso appena accennato. “Sei sempre stata brusca, Jones…”
“E tu sei sempre stato un po’ troppo pieno di te, Ashworth,” lo rimbeccò svelta, facendo schioccare la lingua.
“Mi fa piacere constatare che non sembri essere cambiata molto, Jones,” sussurrò l’uomo.
“E a me fa un immenso piacere sapere di essere stata fondamentale nel risveglio di tua sorella. L’ho sempre considerata un esempio per la sua dedizione, il suo coraggio e l’abilità come Auror.”
“Sono convintissimo che Alex ti direbbe che la sua abilità non era poi molto grande, visto quanto le è successo con quel verme di Rosier,” ribatté il biondo, pensando alla testardaggine della sorella.
“Avrà tutto il tempo per riappropriarsi di questo ruolo, la guerra ha decimato i nostri ranghi e sono sicura che Proudfoot apprezzerebbe il suo ritorno,” cercò di placarlo lei, senza tenere in considerazione che Lexie avrebbe potuto non voler tornare ad essere un Auror.
Le iridi del suo vecchio compagno di scuola s’adombrarono, mentre al loro interno le pupille si dilatarono, conferendogli un’espressione grave che non gli si addiceva e l’uomo sospirò, passandosi una mano sulla barba leggermente incolta.
“Ho parlato a sproposito, scusami,” s’affrettò ad aggiungere Hestia, sentendosi stupida per aver fatto una simile supposizione.
“Nient’affatto! Conoscendo Alex potrebbe farsi viva in questo ufficio non appena i Medimaghi le avranno dato il via libera…” commentò asciutto l’uomo. “Sono i miei genitori che probabilmente avranno bisogno di un’opera di convincimento…” aggiunse poi a mezza voce.
“E tu che ne pensi?”
La semplice domanda di Hestia, accompagnata dall'occhiata intensa che gli stava riservando, costrinsero il giocatore di Quidditch a riflettere davvero su quanto lei gli stava chiedendo. “Voglio solo che sia felice e se volesse tornare a fare l'Auror allora la supporterei. Questa guerra le ha già tolto il marito, tutti gli amici più cari ed il futuro che avrebbe potuto avere, quindi non vedo perché ora che è finita dovrebbe rinunciare al resto dei suoi sogni,” rispose, sostenendo il suo sguardo indagatore.
Le iridi limpide di Hestia sorrisero insieme al resto del suo volto stanco, mentre la donna annuiva. “Questo non fa che confermare quanto la tua aria da bello e dannato ai tempi della scuola non fosse altro che una façade, Alistair Ashworth!” commentò, strizzandogli l’occhio impudente.
“Sei incorreggibile, Jones!” sorrise lui in risposta e l'Auror rise con lui, rimanendo sorpresa nel constatare l’accelerazione del battito del proprio cuore ed il calore diffuso delle sue guance.
“Quando la dimetteranno?” chiese qualche secondo dopo, tentando di tornare ad un argomento più neutro in modo da ignorare quelle reazioni inaspettate.
“Se tutto va bene tra un paio di giorni. La porteranno al San Mungo dove si occuperanno di stilare un piano riabilitativo a lungo termine…”
“Sono davvero felice per voi, Al,” reiterò, sfiorandogli nuovamente la mano. L’uomo sorrise di nuovo, stringendo le dita affusolate di Hestia tra le proprie. “Non so come potremo mai ringraziarti…”
“Non serve! Ho fatto solo il mio dovere,” lo rassicurò lei.
“Insisto! Dimmi che posso almeno invitarti a cena stasera, in onore dei vecchi tempi…”
L'Auror spalancò la bocca in un’espressione stupita.
“Non sto tramando nulla, te lo giuro. Saremmo solo due amici a cena insieme e ti porterei in un posto davvero bello, promesso…” le rivolse il suo sorriso più ammaliante ed Hestia si domandò come poterlo rifiutare.
“Non… non posso, Al. Mi dispiace…” si costrinse a rispondere.
“Oh per Merlino, scusami! Non ci vediamo da anni, magari sei sposata e io mi sono messo ad insistere come un perfetto idiota…” Alistair si passò frustrato la mano tra i capelli. “Perdonami, ti prego.”
“Figurati,” l'Auror si ritrovò di nuovo a sorridere. “E comunque non sono sposata,” chiarì, dopo una breve pausa.
Mentre Al ricambiava il sorriso, un collega raggiunse la scrivania di Hestia. “È arrivato questo per te!” dichiarò, passandole un promemoria viola pallido.
Lei lo ringraziò, aprendolo e leggendo velocemente le poche righe scribacchiate in una grafia ordinata che ben conosceva. “Cazzo!”
“Che succede?”
“Un’emergenza… devo scappare a casa,” rispose, alzandosi ed afferrando lo zaino in pelle dall'appendiabiti.
“Okay…” Alistair non riuscì a nascondere la delusione dal suo tono.
“Fammi sapere quando tua sorella sarà qui, così passo a trovarla!” aggiunse poi, voltandosi nuovamente verso di lui e strizzandogli l'occhio.
“E mi permetterai di portarti a cena?” non perse l’occasione di ribattere.
“Può darsi,” gli rispose enigmatica, sparendo dall'ufficio Auror. "Ottimo lavoro, Jones... flirtare con lui era assolutamente necessario, vero?" borbottò a se stessa, mentre correva verso i camini dell'Atrio.
Nell'open space degli Auror invece, Alistair Ashworth non riusciva davvero a smettere di sorridere come un adolescente alla prima cotta: sua sorella si era risvegliata dopo anni d'oblio e lui era riuscito a far arrossire Hestia Jones.
 
***
 
Quando Arthur tornò dal lavoro quella sera, trovò la moglie più distratta del solito e Fleur, accanto a lei, che si occupava della maggior parte delle pietanze che avrebbero composto la cena di quella sera. "Buonasera, belle signore," esordì avvicinandosi, la nuora sollevò gli occhi chiari e gli riservò un sorriso particolarmente radioso, che le illuminò il bel volto, facendola apparire se possibile ancor più splendida.
“Ciao, tesoro,” salutò la moglie con un bacio sulla guancia, visto che non aveva dato segno di averlo sentito. “Tutto bene?”
“Mhmm mhmm,” rispose la donna, l’espressione vacua sul suo viso rendeva evidente il fatto che qualcosa la tormentasse.
“Sicura che sia tutto okay?”
“Che hai detto, caro? Scusa ma ero un po’ distratta.”
“Ho chiesto se va tutto bene,” ripeté l’uomo, più lentamente.
“In realtà ho una grande notizia…” cominciò Molly, sorridendogli. “Mi è arrivata una lettera di Edward, dice che Lexie si è svegliata dal coma,” spiegò, mentre i suoi caldi occhi castani s’illuminavano di gioia.
“Ma è meraviglioso!” Arthur la strinse a sé.
“Già…”
I due coniugi stettero abbracciati per qualche momento, riflettendo entrambi sulla magnitudine di una simile notizia.
“Sai, mi sono chiesta spesso come avrei reagito a una buona notizia e…” la voce di Molly si spense, mentre gli occhi divenivano lucidi.
“E?”
“È sempre piacevole, anche se non sono proprio sicura che sia giusto riuscire a provare questa gioia…” rispose in un filo di voce.
"Certo che lo è... nulla ci potrà mai impedire di sentire la mancanza di Fred, ma lui è sicuramente il primo a volerci veder continuare a vivere, anche se certi giorni sono più difficili di altri."
"Come fai a sapere sempre quale sia la cosa migliore da dire e riuscire a calmare i miei nervi, Arthur?"
"Ho avuto la fortuna di avere un esempio meraviglioso," le rispose, strizzandole l'occhio e sfiorandole le labbra con un dolce bacio.
Fleur si commosse alla vista dei suoceri: vero esempio di come tanto le gioie quanto gli ostacoli andassero affrontati insieme, per poter sperare di superarli ed uscirne più forti di prima. La giovane si augurava che anche il suo rapporto con Bill avrebbe seguito la strada tracciata dai due Weasley: basandosi sulla fiducia e sul supporto reciproco e prosperando giorno dopo giorno.

Dopo una giornata passata a dare una mano nel negozio di George, Harry e Ginny tornarono a casa assolutamente esausti, desiderosi solamente di potersi fare una doccia ristoratrice, prima dell'abbondante cena che avrebbe immancabilmente fatto capolino al tavolo della famiglia Weasley. 
Quando i due ragazzi raggiunsero la zona giorno, l'atmosfera era particolarmente frenetica e giubilante.
"Cosa si festeggia?" domandò Charlie, subito dietro di loro, passandosi una mano tra i riccioli bagnati e spargendo minuscole goccioline d'acqua dietro di sé.
"Una grande notizia..." rispose la madre, abbracciando con lo sguardo i figli, la nuora e Harry, prima di scambiarsi un'occhiata col marito.
"Quale?" chiese quindi Percy.
"Zia Lexie si è svegliata dal coma," intervenne il padre, notando che gli occhi della moglie s'erano fatti nuovamente lucidi.
"Ma è una notizia stupenda," s'entusiasmò Bill, stringendo la mano di Fleur nella propria.
"Significa che tornerà presto in Inghilterra?" s'informò Percy.
"A giorni," annuì Molly. "Suo padre ce lo farà sapere quando avrà notizie."
Harry e Ginny invece si scambiarono un'occhiata sbalordita, prima che i loro visi si aprissero in un sorriso felice, all'idea delle prospettive che si aprivano per Harry, considerando la possibilità di conoscere almeno Lexie.
Anche le labbra di George si piegarono in un sorriso sincero, ripensando ai ricordi fugaci condivisi con quella zia giovane e bionda che aveva scelto di essere Auror invece che giocare a Quidditch. Era sicuramente una ragione valida per festeggiare. 
Non c'era dubbio alcuno.  

 
***
 
Le luci troppo bianche e l’atmosfera ovattata della sua stanza singola non facevano che aumentare l’emicrania con sui la donna combatteva sin da dopo il suo risveglio. La prima cosa che aveva visto, dopo aver aperto nuovamente gli occhi, era stato il candore irreale della stanza ed un paio d'occhi scuri che la fissavano attenti.
Subito dopo erano iniziati gli esami, s'erano sovrapposte le domande ed era arrivata la conferma sconvolgente di aver perso quasi 15 anni della sua vita: per capirlo le era bastato rivedere la sua famiglia. Il fratello che ricordava come un ventenne ansioso di dimostrare il proprio valore sul campo di Quidditch era un uomo fatto e finito, ma i suoi occhi non riuscivano a celare tutte le sofferenze che aveva vissuto. I visi dei suoi genitori mostravano i segni del tempo passato inesorabile per tutti, lei inclusa, mentre era confinata in quel letto d'ospedale ed il mondo come lo ricordava crollava, distruggendo il regno di terrore di Voldemort.
Dopo aver richiesto informazioni sui cognati e i nipoti, trovandosi faccia a faccia con la tragica realtà della morte di Fred, si era fatta raccontare a grandi linee quanto accaduto, reclamando informazioni riguardo a tutti i suoi amici ed ottenendo quasi esclusivamente rispose tragiche. Sapere che il figlio di Lily e James aveva sconfitto Voldemort le aveva ricordato quanto l'amica ed il marito fossero stati coraggiosi, anche nel momento più difficile. Scoprire che Remus aveva lasciato il figlioletto neonato orfano e che Sirius era stato rinchiuso 13 anni in prigione per un reato non commesso ed era morto prima di essere scagionato non aveva fatto altro che rinvigorire la sua volontà di combattere. La rivelazione che tutti i suoi nipoti avevano combattuto durante la battaglia, al fianco di Harry e dell'Ordine, l'aveva riempita d'orgoglio, di un'ansia positiva e della voglia di rivederli e abbracciarli.
Erano passati cinque giorni e, finalmente, Lexie sarebbe stata dimessa il giorno successivo ed avrebbe potuto fare ritorno in patria ed iniziare una dura riabilitazione. Forse ci sarebbe voluto più tempo del previsto, ma intendeva tornare ad indossare i panni di Auror, per assicurarsi che Teddy e tutti gli altri bambini avessero un futuro migliore di quello che era stato riservato a Harry, ai suoi nipoti ed alla loro generazione. Lo avrebbe fatto in memoria di tutti gli amici che si erano sacrificati per quell'ideale.



 
Nota dell’autrice:
Buon pomeriggio a tutti e bentornati a questa storia che rimane sempre indietro quando mi imbarco in altri progetti.
Il motivo per cui pubblico in ritardo stavolta, vita vera a parte, sono le numerose one shot che ho scritto nel frattempo... non temete, comunque, vi assicuro che conto di concluderla quanto prima — anche perché ho già un altro paio di progetti per long che mi frullano in testa.
Come sempre spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento: stavolta mi sono concentrata più su Ron&Hermione e sulla storia di Lexie, ma dal prossimo capitolo tutte le trame si ricongiungeranno in Inghilterra, non senza prima aver salutato il Down Under - ovviamente.


 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 – Bringing you home ***


Capitolo 11 – Bringing you home
 
 
 
“Life takes you to unexpected places.
Love brings you home.”
Melissa McClone
 

 
Camminando accanto ad Arthur nell’atrio dell’Ospedale di San Mungo per le Malattie e le Ferite Magiche, Molly stringeva la rassicurante mano del marito nella propria — conscia che non avrebbe potuto procedere senza di lui al suo fianco. I due coniugi erano diretti al quarto piano: Reparto Lesioni da Incantesimo, dove era stata trasferita il giorno precedente la cognata che non vedevano da quasi 15 anni.
“Non c’è motivo di essere tesi, cara…” Arthur confortò la moglie, una volta che furono entrati nell’ascensore.
“È passato così tanto tempo…”
“Ma il nostro affetto per Lexie è rimasto immutato e sono sicuro che sia lo stesso anche per lei,” la rassicurò, pochi istanti prima che le porte si aprissero e i due si avvicinassero alla reception per chiedere in quale stanza fosse ricoverata la donna.
Seduta al capezzale della sua primogenita, Abigail Ashworth parlava di tutto e niente con la figlia risvegliatasi ormai da una decina di giorni, facendo del suo meglio per distrarla dall’ansia per l’imminente arrivo dei cognati che non vedeva da anni. La preoccupazione palese negli occhi dell’Auror si dissipò non appena i coniugi Weasley fecero il loro ingresso nella stanza singola dell’ospedale, gli occhi chiari di Alexandra incontrarono prima quelli nocciola di Molly e poi quelli azzurri di Arthur, aprendosi con il resto del viso in un sorriso sollevato.
“Ci sei mancata così tanto, tesoro,” sussurrò Molly, raggiungendo in un paio di falcate il letto e stringendola forte a sé.
“Anche voi,” rispose la bionda, mentre la vista veniva offuscata sempre di più dalle lacrime che non la volevano smettere di tenerle compagnia in quei giorni.
“Ti chiederei come ti senti, ma mi sembra una domanda così sciocca,” continuò Molly, accarezzandole affettuosamente una guancia. “Sono solo felice di poterti rivedere dopo così tanti anni e non mi sembra vero…”
“Non sembra vero neppure a me,” concordo la bionda, afferrando la mano della cognata nella propria, trovando conforto nella sua stretta calda. “E per rispondere alla domanda che ti sembrava sciocco porre, sappi che mi sento come una che ha dormito per anni e si è persa troppi dettagli delle vite delle persone che amava” rispose Lexie, senza nascondere l’amarezza che provava — non aveva mai avuto bisogno di farlo con i suoi cognati, e con Molly in particolare. “Sono impaziente di sapere tutto quello che mi sono persa in questa pausa troppo lunga e di conoscere i nipoti che erano bambini, o poco più, quando io sono rimasta bloccata dall’altro lato dell’oceano e, ovviamente, vorrei anche poter lenire almeno un po’ il vostro dolore per la perdita di Fred, anche se non credo di poter fare nulla di concreto… mi piace sperare che sia insieme a Fabian, Gideon, Lily, James e tutti i nostri amici e che ci stiano guardando e ci proteggendo da ovunque si trovino,” aggiunse la donna, pronta a riprendere le redini della propria vita.
“Piace anche a me pensarlo,” rispose Molly. “Sono sicura che i miei fratelli, Lily, James, Sirius, Remus, Dora e tutti gli altri stiano guidando le altre vite troppo giovani che ci sono state strappate da questa assurda guerra…”
Le due donne sostennero l’una lo sguardo dell’altra per innumerevoli istanti, senza il bisogno di altre parole — concludendo il muto scambio con un altro lungo abbraccio, un abbraccio che per Lexie aveva il sapore familiare dei ricordi gelosamente serbati nella memoria.
“Dove sono i ragazzi?”
“Non ci sembrava una buona idea portarli subito qui tutti insieme…” le rispose Arthur. “Sappi però che sono tutti davvero impazienti di rivederti e, nel caso di Ginny e di Harry, d’incontrarti,” aggiunse.
“Oh per Godric… Ginny ormai è cresciuta e io, da madrina, praticamente non la conosco…”
“A questo possiamo rimediare molto velocemente, in realtà,” dichiarò Molly, sorridendo alla cognata. “Sia Harry e Ginny, che Bill e Fleur ci hanno detto che ci avrebbero raggiunto molto volentieri se fossi stata disponibile per ricevere visite…”
“Certo che lo sono!” s’entusiasmò Lexie, illuminandosi all’idea di rivedere i nipoti d il figlio della sua migliore amica. “Però ditemi chi è Fleur, ho la netta sensazione di essermi persa qualcosa di molto importante…”
Così, mentre Arthur s’affrettava a produrre ed istruire il proprio Patronus per mandarlo alla Tana a dire ai ragazzi che potevano raggiungerli al San Mungo, Molly si mise a spiegare che Fleur era la loro nuora, che lei e Bill erano davvero innamorati e che si augurava che presto li avrebbero deliziati con un nipotino.
Lexie ascoltò affascinata i dettagli relativi all’iniziale titubanza di Molly verso la nuora, non avendo alcuna difficoltà ad immaginarsi le reticenze della donna al cospetto di una strega per ¼ Veela, che a tutti gli effetti le stava portando via il suo adorato primogenito. Quando il ragazzo che non vedeva da più di 15 anni apparve nella sua stanza, tallonato da una giovane dai lunghi capelli fiammeggianti, da una spettinata testa di capelli neri e da una delle donne più belle che avesse mai visto, Lexie sentì gli occhi riempirsi nuovamente di lacrime.
“Zia Lexie!” Bill s’avvicinò frettolosamente, i capelli lunghi che coprivano in parte la cicatrice sul viso. “Sono così felice di vederti,” le disse, abbracciandola.
“E io di vedere te… eri poco più di un soldo di cacio l’ultima volta che ci siamo visti.”
“Non esageriamo… andavo già a Hogwarts,” le ricordò, mentre i suoi occhi azzurri s’illuminavano ai ricordi degli anni scolastici.
“Perdonami, con l’età si tende sempre ad essere troppo nostalgici…” disse Lexie, sorridendogli.
“Vorrei presentarti mia moglie Fleur,” aggiunse Bill, ricambiando il sorriso e venendo subito raggiunto dalla francese.
“Bill mi ha parlato così tonto di lei… enchanté,” sussurrò, tendendole la mano.
“E io non vedo l’ora di sapere tutto di te… spero vorrai darmi del tu,” ribatté Lexie, ammaliata dal sorriso direttole dalla Veela.
“Ne sarò feliscissima.”
Harry e Ginny fecero capolino dietro a Bill e Fleur: emozionati per via dell’incontro a lungo desiderato.
“L’ultima volta che ho visto voi eravate davvero due soldi di cacio,” mormorò Lexie con gli occhi lucidi. “Sono così dispiaciuta di essermi persa praticamente tutte le vostre vite, ma vi prometto che rimedierò… essendo la madrina di Ginny e la migliore amica della madre di Harry mi sarebbe spettato un posto importante nelle vostre vite, che spero mi vogliate concedere…”
Al sentir nominare la madre, anche gli occhi di Harry s’inumidirono: aveva finalmente l’occasione di conoscere un po’ meglio i genitori che avevano sacrificato tutto per lui. “È da quando ho visto tutte le vostre foto insieme che speravo di poter conoscere la ragazza che sembrava essere sempre accanto a mia madre in ogni momento importante…” le disse quindi, sorridendole.
“E io è da quando ho sentito parlare di Zia Lexie che sono impaziente d’incontrarti e di sapere tutto di te,” aggiunse Ginny.
“Te l’avranno detto tutti, lo so… ma hai davvero gli occhi di tua madre, Harry,” dichiarò Lexie, incantata dalle iridi smeraldine del giovane che le stava in piedi davanti al letto. 
Le labbra del Bambino Sopravvissuto si piegarono in un sorriso nostalgico. “Di solito tutti quanti rimarcano quanto sia somigliante a papà… Remus è stato tra i primi a ricordarmi che io e mamma avevamo gli stessi occhi,” confessò, rafforzando la presa sulla mano di Ginny.
“Fisicamente somigli sicuramente a James, ma in te non riesco a non vedere Lily…” rispose Lexie, ritrovando in Harry lo stesso modo di parlare dell’amica. “Posso abbracciarvi?” chiese poi la donna, venendo subito accontentata e sentendo che, pian piano, le cose si sarebbero sistemate.
 
Nell’atrio dell’ospedale intanto, Alistair Ashworth e suo padre Edward erano appena saliti sull’ascensore per raggiungere la stanza della donna, quando qualcuno s’infilò tra le porte che si stavano chiudendo, respirando affannosamente.
“Jones?” Al riconobbe subito la vecchia compagna di scuola, che stava tentando invano di riprendere fiato.
“Sei venuta a trovare Lexie?” le chiese poi.
L’Auror scosse la testa. “Magari più tardi, ora sono qui per visitare un familiare ricoverato al terzo piano…”
“È stato avvelenato?” chiese quindi Edward Ashworth.
 “Sfortunatamente sì, ma si è trattato di un avvelenamento accidentale e dovrebbe riprendersi presto…” spiegò la donna.
“Mi spiace tantissimo… ma non si tratta di una delle tue sorelle quindi?” continuò Al, mentre l’ascensore s’avvicinava al terzo piano.
“No, loro stanno bene.”
“Sono contento per loro…” disse il biondo, che aveva anche giocato contro Gwenog qualche volta. “Se volessi venire da Lexie si trova nella stanza 4023.”
“Passerò sicuramente,” rispose la donna, correndo fuori dall’ascensore e affannandosi a raggiungere la stanza in cui l’attendevano sua madre ed entrambe le sue sorelle.
 
*
 
Nella tiepida serata di giugno, con il frinire delle cicale che riempiva l’aria, la famiglia Weasley al completo e Harry erano seduti sotto il portico, a godersi la reciproca compagnia.
“Percy, ti prego dimmi che hai finalmente invitato Audrey a un vero appuntamento,” dichiarò ad un certo punto George, interrompendo un discorso sulle possibilità che Kingsley sarebbe stato confermato Ministro della Magia.
Il fratello maggiore arrossì, rischiando di strozzarsi con il Whiskey Incendiario che stava bevendo, ma riuscendo comunque ad annuire impacciato. “In effetti usciremo domani…”
“Era ora!” commentò Charlie.
“È stata malata ed io sono stato molto occupato con Kingsley,” puntualizzò il terzogenito di casa.
“Sono contenta, tesoro,” rispose sua madre, stringendogli affettuosamente un avambraccio. “Sembra una così cara ragazza…”
“Cosa farete?” domandò Fleur, rintanata nell’abbraccio di Bill.
“Oh, la porterò fuori a cena in un ristorante giapponese, mi ha confessato di adorare il sushi… io non l’ho mai provato, ma spero di trovare qualcosa di mio gusto.”
“Cos’è il sushi?” s’informò Charlie, passandosi una mano tra i riccioli spettinati.
“È il piatto tipico della cugina giapponese: a base di riso, pesce crudo, alghe e verdure” rispose Harry — non che lo avesse mai assaggiato, ovviamente, ma si ricordava che una volta suo zio Vernon si era vantato di essere stato invitato in un esclusivissimo ristorante londinese da un cliente che aveva sborsato centinaia di sterline per la loro cena.
Charlie fece una smorfia. “Non sono così sicuro che mi interessi provarlo…”
“Disse il domatore di draghi” lo prese in giro la sorella.
“Con il pesce crudo potenzialmente potresti stare molto male,” gli diede manforte Molly.
“Credo che Percy faccia bene a portarla a mangiare qualcosa che lei ama, dimostra che l’ha ascoltata e si ricorda ciò che gli ha detto,” commentò Bill, sfiorando la nuca di Fleur con un lieve bacio.
“Un po’ come fesce Bill, che mi portò a manger la bouillabaisse in Provenza per festeggiare il primo mese da fidanzati,” aggiunse Fleur, sorridendo nostalgica al ricordo e incrociando lo sguardo innamorato del marito.
Molly sorrise, trovandosi a testimoniare l’amore che traspariva dagli sguardi dei due sposi, scacciando il ricordo di come aveva trattato la nuora nei primi tempi in cui aveva frequentato la loro casa. Il tempo leniva le ferite e Fleur non serbava alcun rancore nei suoi confronti, o in quelli di Ginny che era stata la sua spalla a quel tempo, ma se c’era una cosa che gli ultimi mesi le avevano insegnato era proprio che la vita era troppo breve per avere rimpianti.
“Avete già deciso cosa fare per il vostro primo anniversario di matrimonio?” domandò Arthur, che era stato in silenzio ad ascoltare i discorsi della sua famiglia fino a quel momento.
“Siamo riusciti a prenderci qualche giorno libero, quindi Fleur mi farà da cicerone a Parigi,” rispose il figlio, chiaramente impaziente all’idea.
“Oh, che bella idea!” s’entusiasmò Molly.
“Dovrai condividere tutti i dettagli,” disse invece Ginny. “Ho sempre voluto andarci…”
“Harry, prendi appunti” consigliò Bill, sorridendo al ragazzo.
“Sembra quasi incredibile che potremo organizzare appuntamenti, viaggi, festeggiare ricorrenze…” ribattè Harry, abbracciando con lo sguardo i Weasley — la sua famiglia.
Quasi tutti annuirono, persi nei propri pensieri.
“Chissà come si stanno divertendo Ron e Hermione in Australia…” aggiunse qualche attimo dopo Ginny.
“Sarà meglio per loro che ritornino carichi di souvenir,” borbottò Charlie.
Tutti sorrisero divertiti. “Ho detto loro che era uno dei sogni di Fred, poter vedere i canguri… spero che gli abbiano scattato almeno un paio di foto,” sussurrò George — il fantasma di un sorriso che gl’illuminava il volto lentigginoso.
“Sono certa che lo abbiano fatto o che lo faranno,” lo rassicurò la madre, sapendo quanto facesse fatica a parlare del gemello, ma convinta che non avrebbe potuto riprendersi se non l’avesse fatto.
“Stai pur certo che Hermione ti porterà almeno in libro sui canguri e sui legami che hanno con la magia…” aggiunse Harry, conoscendo la passione per l’apprendimento dell’amica di una vita.
“E ti porterà talmente tante foto da poterci fare un album,” dichiarò Ginny, strizzando l’occhio al fratello maggiore e strappandogli un altro sorriso.
 
La sera successiva, con il cuore che gli rimbombava nelle orecchie minacciando di saltargli fuori dal petto, Percy si trovava davanti alla porta della deliziosa casa a schiera che Audrey divideva con la sua amica Sally, alla disperata ricerca del coraggio Grifondoro che gli serviva per decidersi a suonare il campanello.
“Sono un disastro” borbottò tra sé e sé, deglutendo affannosamente e stringendo la scatola di muffin ai mirtilli fatti da sua madre come se ne andasse della sua stessa vita. Si spinse gli occhiali sul naso, cercando di darsi un contegno ed era in procinto di suonare finalmente alla porta, quando essa venne aperta da una stupita Sally Davies. “Percy?” domandò l’ex Corvonero, inarcando le sopracciglia chiare.
“Ciao, Sally… io, ehm, io, ecco…” scosse la testa, traendo un respiro profondo.
“So bene che devi uscire con Audrey… entra pure, io sono invitata a cena dai miei…” gli sorrise e, subito dietro di lei, il ragazzo intravide Audrey che lo stava guardando sorridendo e la bolla asfissiante che sembrava averlo inglobato fino a pochi istanti prima si sgonfiò, lasciandolo libero di respirare e di rispondere al sorriso genuino di Audrey.
 
La cena a base di pesce crudo gli era sorprendentemente piaciuta e, passeggiando con Audrey nel centro della metropoli inglese, Percy era intendo ad ascoltare aneddoti sulla sua infanzia e sul periodo della scuola — periodo in cui purtroppo i due non si erano mai incontrati assiduamente, nonostante la sua lunga frequentazione con Penelope: sua compagna di casa. Audrey gli stava giusto raccontando del sogno di prendere qualche giorno di vacanza e andare a visitare la Normandia, dove si trova l’isolotto tidale di Mont Saint-Michel, prima che l’estate finisca.
“Dovremmo andarci insieme” le propose all’improvviso, arrestando la loro passeggiata e ritrovandosi a guardare i suoi occhi verdi, le cui pagliuzze dorate sembravano brillare alla luce dei lampioni. Aveva parlato senza riflettere e, solo in un secondo momento, vorrebbe mordersi la lingua e poter tornare indietro. Si ritrovò senza il tempo di dire nulla in merito però, perché le iridi smeraldine di Audrey s’illuminarono di gioia e la ragazza gli saltò in braccio, baciandolo con impeto. “Davvero ti piacerebbe?” gli chiese, quando le loro bocche sono separate solamente da una manciata di centimetri e il suo profumo di peonia inebria ogni cellula del corpo di Percy.
“Farei qualsiasi cosa che ti faccia sorridere così” le rispose sinceramente, pregando che le sue orecchie non abbiano assunto il colore dei pomodori coltivati da sua madre in giardino. Audrey si dimostrò però totalmente disinteressata al colore delle sue orecchie, stringendolo di nuovo e sorridendogli estasiata. “Ti ci sono voluti mesi per chiedermi di uscire e sono stata io a baciarti dopo quella serata a casa tua… chi avrebbe mai immaginato che mi avresti proposto un viaggio insieme così velocemente?”
Percy scrollò spalle. “Abbiamo imparato a nostre spese che la vita è troppo breve per perdere tempo in inutili convenevoli… un discorsetto con la mia famiglia ieri sera me lo ha giusto ricordato…”
“Allora sono molto grata alla tua famiglia” commentò lei, sorridendogli dolcemente. “Mi avevano già fatto un’ottima prima impressione che non posso che confermare…”
Percy valutò che non ci fosse risposta migliore che un bacio ed è quello che fa, prima di riprendere la mano di Audrey nella propria e proseguire nella passeggiata. Quando più tardi la ragazza lo invita a fermarsi da lei, non esita un solo istante a chiudersi la porta di casa alle spalle e a seguirla sul divano dove, sorseggiando un ottimo idromele, continuano a scambiarsi le storie del loro passato, insieme ai sogni ed ai desideri riguardanti il loro futuro finendo col rimanere a parlare fino al sorgere del sole del mattino successivo. Dopo una notte del genere, Percy è più che convinto che si sta innamorando di Audrey Lavall e prova una gioia che non aveva più provato da quando se n’era andato dalla Tana sbattendo la porta – abbandonando come un vigliacco la sua famiglia. Sa bene che dovrà raccontare ad Audrey anche questa parte oscura del suo passato, per poter sperare di gettare le basi di un solido futuro con lei, e salutandola all’ascensore dopo colazione non riesce a smettere di sorridere pensando al sorriso della ragazza e al sapore dei suoi baci.
 
*
 
Dopo che l’argomento era stato sollevato ad una cena di famiglia, Ginny e Harry non avevano esitato ad offrirsi per aiutare George a sistemare l’appartamento sopra il negozio; il gemello sopravvissuto sapeva che non ce l’avrebbe fatta da solo ed era estremamente riconoscente alla sorellina e al ragazzo che era ormai diventato parte integrante della sua famiglia. Quel martedì di fine giugno quindi, Charlie ed i signori Weasley avrebbero sistemato gli ultimi dettagli all’interno dei Tiri Vispi, mentre George, la sorella e Harry si sarebbero occupati del piano superiore. Un rapido movimento di bacchetta fu sufficiente a spalancare la porta dell’appartamento che aveva condiviso con l’altra metà della sua anima, le quattro mura sgangherate che avevano adorato sin dal primo istante ed in cui George non era sicuro che avrebbe mai potuto fare ritorno. Il ragazzo raggiunse la stanza del fratello, aprendo la porta con una riverenza mai usata quando Fred era in vita e trovandosi a corto di fiato quando i suoi occhi abbracciarono le quattro mura che erano state il regno di suo fratello. S’avvicinò con lentezza alla parete dietro al letto, quella su cui campeggiava lo stendardo di Grifondoro, accanto al logo del loro negozio creato mentre erano ancora semplici studenti con la testa piena di sogni. Il comodino era ancora ingombro di pergamene zeppe di appunti scarabocchiati riguardanti nuove idee per il negozio, di libri sugli incantesimi e di qualche vecchia copia di fumetti che risalivano alla loro infanzia. Recuperò uno dei libricini polverosi e lo sfogliò distrattamente, facendo scivolare fuori un’istantanea magica che cadde sul pavimento. George si chinò a raccoglierla, girandola con cura e sentendo gli occhi diventare lucidi alla vista dei protagonisti dello scatto: era stata Alicia a insistere tanto per scattarla e, in quel momento, il ragazzo era estremamente grato all’ex compagna di scuola.

“E dai, non fate i preziosi!” esclamò l’australiana, roteando vistosamente gli occhi. “Dobbiamo pur conservare una prova di questa serata, no? Chi potrebbe mai credere che voi zoticoni avreste preso parte ad un ballo ufficiale a Hogwarts?”
“Io non faccio il prezioso, Aussie,” ridacchiò Fred. “È solo che non voglio far sfigurare voialtri…” ghignò, incrociando le braccia.
“Davvero divertente!” ribatté Lee.
“Devo per caso rammentarti che siamo gemelli omozigoti?” intervenne George, attirando l’attenzione del fratello.
“E io devo ricordare a te che, chiaramente, io sono il più affascinante dei due?” rispose Fred, sollevando gli angoli della bocca in un sorriso impertinente.
“Mi permetto di dissentire sul fascino,” sbuffò Lee. “Vi ricordo che nelle mie vene scorre sangue caraibico…”
“E nelle mie pregiato sangue scozzese,” aggiunse Cormac.
“Sarebbe meglio se fosse whiskey,” lo rimbeccò Fred, beccandosi una manata dal compagno di casa.
“Sarai il più affascinante, ma io sono il più in forma,” ghignò George, inarcando le sopracciglia.
“Ricordatemi perché ho accettato il suo invito?!” borbottò spazientita Angelina ad Alicia, Katie e Leanne.
“Perché sai che ti divertirai,” le rispose Alicia. “Fred adora fare il rompiscatole, ma è anche molto dolce ed è un bravo ballerino…”
“Certi giorni faceva impazzire Ollie,” aggiunse la Bell, pensando al fidanzato lontano.
“Ohi! Volete darvi una mossa, ragazze!” le richiamò Fred, mentre Lee afferrava uno studente del terzo anno e gli ficcava la macchina fotografica in mano.
“Arriviamo, arriviamo,” li rassicurò Leanne. Gli otto amici si avvicinarono l’uno all’altro, senza davvero mettersi in posa: Katie prese a sistemare i capelli biondi di Cormac, che sbuffava solo fintamente infastidito, Lee e Fred erano impegnati a spintonarsi a vicenda, mentre Alicia e Leanne ridevano e tentavano di non farli uscire dallo scatto, lui e Angelina scuotevano la testa divertiti dal commento che lui aveva appena borbottato a mezza voce. “E lui sarebbe quello più affascinante, eh?!”
  
La sua copia della foto era in un album, ma Fred l’aveva sempre voluta usare come segnalibro – in modo da ricordarsi di quella serata assolutamente perfetta, prima che Voldemort diventasse l’unico argomento di conversazione e la loro preoccupazione più grande. Ripensò alle serate passate con quegli stessi amici negli ultimi tempi e sorrise, ringraziando la perseveranza di Angelina, che era venuta a prenderlo di persona e non aveva accettato un no come risposta. Avrebbe dovuto invitarla almeno fuori a pranzo, o a cena, per ringraziarla come si doveva, per sdebitarsi almeno in parte e per aggiornarsi sugli allenamenti delle Harpies… gli sarebbe piaciuto andare a vederla giocare dal vivo, pensò osservando i loro stessi adolescenti che ridacchiavano ancora ed ancora in quello scatto nella sala comune di Grifondoro, a pochi minuti dall’inizio del Ballo del Ceppo.
“George, sei lì dentro?” la voce di Ginny risuonò nell’appartamento assolato ed il ragazzo si riscosse, senza smettere di stringere quella foto e la normalità che aveva considerato una certezza, ma che ora non aveva più.
“Sì, sono qui,” rispose, tentando di usare un tono allegro.
Pochi attimi dopo Ginny e Harry lo raggiunsero e, quando la ragazza si accorse di cosa George tenesse stretto tra le dita, l’abbracciò.
“Ogni volta che credo di aver fatto un passo avanti, poi mi sembra subito di averne fatti dieci indietro…” ammise con incertezza.
“È lo stesso anche per me,” ribattè Ginny.
“Per tutti,” aggiunse Harry, scuotendo la testa.
“Vorrei riuscire a venirne fuori, sento di dover fare il massimo… anche per lui, ma… non so se ce la farò…”
“Stai facendo del tuo meglio, Georgie,” lo rassicurò Ginny, usando il nomignolo con cui la madre lo chiamava da bambino — quello che solo Fred era autorizzato ad utilizzare.
“Non sembra abbastanza…” rispose, spaurito.
“Lo sarà,” lo confortò la sorella.
“Vorrei fosse più semplice,” si riscoprì a dire, ammettendo le sue paure.
“Lo vorremmo anche noi,” sussurrò Harry, stringendogli affettuosamente una spalla.
“Grazie di essere qui.”
“Non potremmo essere da nessun’altra parte,” disse con fermezza Ginny, mostrandosi quanto mai simile alla madre.
 
*
 
Dopo aver aggiornato Harry, Ginny e il resto della famiglia Weasley sul ritrovamento dei Granger e solo dopo aver ottenuto l’ok da Campbell e dal suo capo, oltre che da Kingsley in persona, Hermione e Ron accettarono la proposta dei genitori di lei di passare qualche giorno godendosi la selvaggia natura australiana.

“Vi capirei, se preferiste fermarvi qui… non so nemmeno se abbia senso tornare in Inghilterra per voi, visto che vi siete creati una bella vita qui… io potrei sempre organizzarmi per, beh… per venire a trovarvi e…” aveva mormorato Hermione, quando la pizza era diventata fredda e sua madre aveva proposto di passare al dolce.
“Non dirlo nemmeno per scherzo, tesoro! Abbiamo già perso quasi un anno della tua vita e non ci teniamo a rimanere indietro ancora,” ribatté fermamente suo padre, mentre la moglie al suo fianco annuiva convinta.
Hermione annuì — non reputandosi in grado di rispondere in modo coerente, limitandosi ad un lieve sorriso e ad uno scambio di sguardi con Ron.
“Non riesco a credere che siate stati in giro da soli per tutti quei mesi…” sussurrò Kathleen in tono ammirato. “Io sarei stata spaventata a morte,” aggiunse dopo una piccola pausa.
“Lo eravamo anche noi,” dichiarò Hermione, mentre al suo fianco Ron annuiva — trovandosi a ripensare ad uno dei momenti più bui della sua vita, ancora tormentato dal ricordo di aver abbandonato i suoi amici in un momento così critico.
“Pensate che possiamo rimandare di qualche giorno il rientro in patria o dovete fare ritorno subito?” aveva domandato Paul, mettendo in un unico cartone i resti della pizza.
Ron fece spallucce, spiando la reazione di Hermione.
“Che avevate in mente?” domandò quindi la strega.
“Un giro tra le bellezze australiane prima del ritorno a casa…”
“Sembra una fantastica idea,” acconsentì Hermione. “Che ne dici?” chiese poi al ragazzo.
Il rosso annuì. “Harry dice che le selezioni per essere ammessi all’Accademia saranno il 6 luglio, quindi abbiamo tutto il tempo…”
“Accademia?” s’informò la madre di Hermione.
 “Ron e Harry sono stati invitati alle selezioni per entrare a far parte dell’Accademia Auror dal nuovo Ministro della magia in persona,” spiegò Hermione.
“Davvero? Congratulazioni,” s’entusiasmò Paul.
Il ragazzo annuì di nuovo, arrossendo. “Anche Hermione era stata invitata, ovviamente,” aggiunse poi, convogliando le attenzioni dei genitori sulla figlia.
“E cosa aspettavi a dircelo, tesoro?”
Hermione incrociò lo sguardo orgoglioso del padre e quello fiero, ma meravigliato della madre. “Non ve l’avevo ancora detto perché non ho accettato la proposta di Kingsley. Tornerò a Hogwarts per frequentare il settimo anno, prendere i M.A.G.O. e poi dedicarmi ai diritti delle creature che sono state bistrattate per anni nel mondo magico,” spiegò la ragazza.
I suoi genitori si scambiarono uno sguardo d’intesa: ecco la ragazza che conoscevano. “Mi sembra un’idea meravigliosa,” commentò sua madre, sorridendole.
“Ci renderai sicuramente orgogliosi,” aggiunse il padre.
“Lo spero,” rispose lei, sorridendo con loro.
“Non sarebbe Hermione se non tornasse a scuola, facendo del suo meglio per prendere il massimo in tutti i suoi 10 M.A.G.O.,” commentò Ron, sorridendo nel vedere le gote di Hermione colorarsi di rosa.
La ragazza scosse la testa, fingendosi solo apparentemente infastidita.
“Lo sai che io e Harry non saremmo mai riusciti a prendere 7 G.U.F.O. a testa senza il tuo aiuto ed il tuo ricordarci costantemente di studiare, vero?”
Lei scosse la testa, facendo un gesto vago con la mano. “Dovevate solo essere spronati…”
“E potremo provare a diventare Auror, grazie a te.”
Le iridi dei due ragazzi s’incontrarono nuovamente, portando i coniugi Granger a sentirsi quasi di troppo.
“Direi che bisogna festeggiare con qualcosa di più forte del the” dichiarò Paul qualche istante dopo, entrando in casa e riapparendo con una bottiglia di champagne e quattro calici.

Erano partiti il giorno successivo, con la jeep che i Granger avevano acquistato una volta raggiunta l’Australia, e avevano esplorato la costa che divideva Sydney da Brisbane e dalla Gold Coast: visitando una zona pittoresca ed assolutamente diversa dai panorami inglesi a cui i due ragazzi erano abituati. Dall’altra parte del mondo si respirava profumo di libertà, gli spazi si estendevano a perdita d’occhio ed i tramonti erano suggestivi e straordinari — senza saperlo, Kathleen e Paul avevano proposto ai due ragazzi proprio quello di cui avevano bisogno, per riprendersi dall’anno passato e ricaricarsi prima del ritorno in patria. Dopo aver raggiunto Brisbane ed esplorato il centro, la zona del South Bank, i suoi giardini botanici ed i musei più famosi, i quattro avevano deciso di dedicare un paio di giorni al relax in spiaggia, provando anche a cimentarsi con il surf —nonostante le titubanze di Ron sullo stare in bilico su una tavola in mezzo alle onde. Hermione era risultata la più brava del gruppo, con sua somma felicità, e le foto scattate da Paul avrebbero reso ancor più indelebili quei momenti.
Dopo aver fatto ritorno a Sydney, i Granger sentendo Ron accennare alla ragazza di non aver ancora visto i canguri, come George gli aveva raccomandato, proposero di passare qualche altro giorno esplorando un’area diversa dell’Australia: volarono quindi a Melbourne e da lì affittarono un’auto per percorrere la Great Ocean Road, con destinazione finale Kangaroo Island. Ancora una volta, i due ragazzi riempirono i propri occhi di meraviglia alla vista di simili panorami mozzafiato e si promisero a vicenda di tornare a visitare il vasto paese oceanico. Osservandoli mentre guardavano l’oceano, mormorando tra loro, immersi in un mondo di cui sembravano essere gli unici presenti, a Paul sfuggì una lacrima solitaria: la sua bambina era ormai praticamente un’adulta. “Quando credi che ci confesseranno del rapporto che li lega?” chiese alla moglie, stringendo la mano della donna nella propria.
“Quando saranno pronti,” lo rassicurò lei. “Sono convinta che si tratti di qualcosa di nuovo, qualcosa che stanno ancora comprendendo loro stessi…”
“Credo che lui sia il ragazzo giusto per la nostra Hermione,” commentò ancora Paul, sorridendo nel vedere i capelli della figlia svolazzare nella brezza marina.
“Oh sì, su quello non ci sono dubbi…” acconsentì lei. “Significa che ti comporterai in modo maturo quando ce lo diranno?”
Paul scosse la testa. “Ovvio che no! Si tratta pur sempre della mia unica figlia… potrò almeno far soffrire un po’ il suo ragazzo, no?” Fu il torno della moglie di scuotere la testa, ritrovandosi a pensare che gli uomini non sarebbero mai cambiati, in fondo.
 
*
 
Venerdì 26 giugno 1998, dopo essere stati in viaggio per quasi un giorno intero, Ron, Hermione e i signori Granger atterrarono all’aeroporto di Heathrow; ad attenderli c’erano Harry e Ginny, accompagnati da Arthur che aveva avuto in prestito un’auto ministeriale per poterli condurre alla loro villetta londinese situata nella zona di Kensington.
Un lungo abbraccio tra i quattro amici sancì la riunione del gruppo; durante il viaggio poi, mentre Arthur ed i signori Granger parlavano della meravigliosa invenzione che erano gli aeroplani, Hermione e Ron aggiornarono Harry e Ginny su quanto visto in Australia, fantasticando su un viaggio a quattro per l’estate successiva.

 


Nota dell’autrice:
Finalmente torno a dedicarmi a questa storia che, tra le long che ho in corso, è quella che sta andando più per le lunghe e me ne dispiace molto. Devo dire che ho ben chiaro dove voglio andare con la storia e voglio cercare di concluderla il prima possibile, per evitare di farvi dimenticare quello che sta accadendo ai personaggi con pause troppo lunghe tra un capitolo e l’altro.
In questo capitolo ho fatto il punto di tutte le situazioni “in sospeso”, per qualche strana ragione tutti i personaggi sembrano in procinto di andare in viaggio in Francia, la colpa è dei 4 meravigliosi giorni che ho trascorso a luglio in Provenza, oltre che della smodata voglia di tornare a Parigi e di visitare finalmente Normandia e Bretagna…
Che ne dite del risveglio di Lexie e del suo primo approccio con Harry? Ci tenevo particolarmente al loro incontro e spero che sia stato di vostro gradimento, ho intenzione di farli parlare insieme una volta che lei sarà finalmente dimessa. Chissà invece chi stava andando a trovare l’Auror Jones al San Mungo? Si accettano scommesse… Per quanto riguarda Percy e Audrey, mi sto divertendo parecchio con loro due, anche se a breve dovremo toccare argomenti spinosi che mostreranno il lato più criticabile del carattere di Percy. Per quanto riguarda George e Angelina sto proseguendo per gradi, perché mi sembra il modo migliore; Bill e Fleur invece celebreranno a breve il loro primo anniversario e ci sarà anche occasione di pianificare il futuro. Harry e Ginny, così come Ron e Hermione, proseguono nella maturazione l’uno accanto all’altra, ma a breve le coppie si separeranno: le ragazze di ritorno a Hogwarts e i ragazzi all’accademia. Nel prossimo capitolo Lexie prenderà parte a una grande festa di bentornato alla Tana, incontreremo gli altri candidati Auror, organizzeremo un piccolo viaggio con amici, rivedremo insieme George e Angelina, oltre che Audrey e Percy. Come vi accennavo conto di aggiornare molto presto, perché ci tengo a portare a termine la storia.
Buona settimana a tutti!

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 – The first step ***


Capitolo 12 – The first step
 
 
 
 
“Take the first step in faith.
You don’t have to see the whole staircase,
just take the first step.”
Martin Luther King Jr.  
 

 
Crescendo aveva sempre sentito sua madre lamentarsi di quanto il tempo passasse veloce e di come lei e suo fratello stessero crescendo troppo in fretta; confinata in quel dannato letto di ospedale, Lexie malediva la lentezza con cui il tempo sembrava passare. Era da ormai più di due settimane che i Medimaghi del San Mungo effettuavano un test dopo l’altro e le somministravano pozioni dal sapore dubbio, rimandando la dimissione da quella stanza troppo bianca, troppo vuota, troppo silenziosa. Certo, ogni giorno riceveva tantissime visite, ma poi arrivava la notte e con essa il momento della solitudine — accompagnato al silenzio troppo doloroso ed ai pensieri troppo difficili da scacciare. Si era risvegliata da un coma durato anni e, mentre lei era rimasta immobile nell’ospedale newyorkese, il resto del mondo era andato avanti e lei si sentiva come bloccata in una situazione troppo assurda da comprendere. Non che non fosse felice di essere viva, perché lo era, ma non riusciva a smettere di sentirsi fuoriposto, soprattutto pensando a quante persone amate non avevano avuto la sua stessa sorte. Suo fratello le aveva offerto la sua camera degli ospiti per quando sarebbe stata dimessa, voleva un infinito bene ai suoi genitori, ma sarebbe impazzita se avesse fatto ritorno nella casa della sua infanzia e non avrebbe mai e poi mai potuto rimettere piede nell’appartamento in cui aveva abitato assieme a Fabian.
 
“Credo che questo sia il divano più orrendo che io abbia mai visto!” esalò Lexie, lasciandosi cadere sul vecchio mobile viola sfondato, che risaltava anche troppo tra le pareti verde salvia del soggiorno.
“Presto ne compreremo uno più bello,” la rassicurò Fabian, sedendosi al suo fianco e baciandola tra i capelli.
“Non ce n’è bisogno, Fab,” ribattè in fretta, accomodandosi nel suo abbraccio, inspirando il suo profumo fresco. “È assolutamente perfetto per casa nostra…”
“Credevo fosse orrendo,” borbottò lui dubbioso.
“E lo è, ma è proprio questo che lo rende perfetto…”
Lui scrollò le spalle, accettando quella bizzarra spiegazione e baciandola sulle labbra.
“Mia madre mi ha sempre detto che un’abitazione è fatta con muri e travi, mentre una casa è costruita con amore e sogni,” gli sussurrò quindi, liberando le sue labbra. Fabian pensò che la frase avesse senso, annuì e la baciò di nuovo, perché tutto quello di cui aveva bisogno per essere felice era lei e lei soltanto.
 
Sembrava passata una vita — nel momento appena rivissuto avevano tutto ed ingenuamente credevano che sarebbero riusciti a vincere, perché loro rappresentavano il Bene. E il Bene nelle favole usciva sempre vincitore, alla fine. Ma quella era la vita vera e non era scritto da nessuna parte che ci dovesse essere un vincitore ben definito; il Bene alla fine aveva prevalso, ma il prezzo da pagare era stato estremamente elevato ed i loro sogni si erano infranti molto prima del previsto. Una lacrima solitaria sfuggì al suo controllo e Lexie scosse la testa, tentando di calmarsi: erano passati numerosi anni dalla morte di tante persone con cui aveva condiviso la gran parte della sua vita, ma per lei che li aveva passati in uno stato comatoso il dolore era vivido come se fossero passati solo pochi mesi. Sospirò, temendo che non si sarebbe mai ripresa completamente, ma giurando a se stessa che avrebbe fatto del suo meglio — lo doveva a tutti quelli che non ce l’avevano fatta.
Volse gli occhi chiari verso la finestra incantata per sembrare affacciata su un giardino fiorito, concentrandosi sui colori armoniosi ed immaginando le sensazioni che avrebbe provato una volta fuori da lì, ritrovandosi nel giardino di casa dei suoi o in quello della Tana. Un lieve bussare interruppe il suo sogno ad occhi aperti e la donna si voltò verso l’uscio dove si trovava un’esausta Hestia Jones, sul cui petto era posata una testolina di arruffati capelli castani.
“L’hai portato!” sussurrò Lexie, sorridendo alla sua visitatrice.
“Siamo venuti a fare la visita di controllo,” rispose l’Auror, raggiungendo il capezzale della donna. “Come va?”
“Sono stufa di starmene chiusa qui dentro,” sbuffò l’altra, roteando gli occhi per poi puntarli sul bambino intento a succhiare il ciuccio con espressione assonnata. “Tutto bene il controllo?”
“Alla grande,” la rassicurò Hestia. “Il Medimago si è semplicemente raccomandato di non lasciargli più bere infusi preparati da nonna Jones…” dichiarò dopo una breve pausa. “La mia sorellina si è beccata un super cazziatone da mia madre, per non aver tenuto sotto controllo Aidan anche mentre rispondeva alla porta…”
“Povera Megan,” annuì Lexie, sfiorando una delle mani del bambino.
“Mia madre ha sempre avuto un carattere un po’ esplosivo, come noi tre sorelle del resto…” Hestia fece spallucce. “L’importante è che Aidan stia bene; nonna Catriona ha un po’ esagerato con le erbe con cui ha sempre pasticciato, ma sappiamo che non ha affatto cercato di avvelenare il piccolo… e lui nemmeno se ne ricorderà, quindi non c’è problema,” concluse, accarezzando la testa del figlio. Come se avesse capito che stavano parlando di lui, il bambino smise di ciucciare concentrandosi prima sulla madre e poi sulla donna che era intenta a fissarlo già da un po’, rimanendo come incantato.
“Vuoi prenderlo in braccio?” domandò quindi la Jones.
“Mi piacerebbe,” mormorò Lexie, mettendosi più eretta.
Hestia liberò il bambino dalla stola che usava per portarlo in braccio, sfiorandogli la nuca con un bacio e porgendolo all’amica. Aidan profumava di buono: un mix di sapone e di talco fresco, che a Lexie ricordava le volte in cui aveva abbracciato i suoi nipoti, quando erano solo bambini innocenti — prima che la guerra cambiasse per sempre le loro vite.
“Ti somiglia tantissimo,” sussurrò poi, ammaliata dagli occhi chiari del bambino, identici a quelli della madre.
“Grazie a Rowena,” sbuffò la Jones, sfiorando le dita del figlio.
“E suo…” Lexie s’interruppe, mordendosi il labbro inferiore alla vista degli occhi assottigliati dell’ex Corvonero.
“Non ne ha voluto sapere niente, ha detto che visto che lo avevo lasciato non aveva alcun interesse a prendersi cura di mio figlio… ti rendi conto? Come se il bambino fosse una semplice incombenza e nulla più,” il tono di Hestia era oltraggiato e Lexie si chiese cos’avrebbe fatto lei al suo posto.
“Uno così è meglio perderlo che trovarlo…” si decise a commentare poi, incrociando lo sguardo dell’altra.
“Quello è poco ma sicuro,” annuì con convinzione la mora.
“Chi è meglio perdere che trovare?” domandò una voce divertita dalla soglia della stanza d’ospedale. Le due donne si voltarono contemporaneamente, trovandosi faccia a faccia con un Alistair che stringeva tra le mani due tazze di caffè fumanti. Il Cacciatore lanciò un’occhiata alla donna mora accanto al letto d’ospedale, per poi spostare lo sguardo sulla sorella e sul bambino che stringeva tra le braccia.
“Che ci fai qui così presto, fratellino?”
“Ho pensato di portarti del caffè migliore di quello che ti propinano con la colazione… non credevo che avessi già visite,” ribatté, avvicinandosi.
“Hestia mi ha fatto una gradita sorpresa, spezzando la mia routine quotidiana.”
“Già, proprio una bella sorpresa,” commentò Al, scrutando la vecchia compagna di scuola.
“Passavamo di qui…” spiegò ella, sfiorando il bambino decisamente a suo agio tra le braccia di Lexie.
“Avevo capito che non fossi sposata,” dichiarò l’uomo, dopo una breve pausa.
“È universalmente risaputo che gli studenti più brillanti vengono abitualmente smistati a Corvonero, ma ritenevo che anche un atleta come te fosse in grado di comprendere che non fosse necessario essere sposati per avere un figlio, Ashworth,” borbottò quindi la Jones, roteando gli occhi.
Lexie trattenne a stento un risolino, accettando una delle due tazze di caffè e assistendo ad uno sguardo di Hestia che avrebbe potuto decisamente uccidere —  Alistair scelse saggiamente di imbonirla offrendole l’altra tazza di caffè abbinata al suo sorriso più affascinante. La mora afferrò la tazza senza tante cerimonie, prendendone un lungo sorso e sperando che la caffeina avesse effetto quanto prima, vista la notte insonne che aveva passato.
“Sono stato un cazzone, Jones,” borbottò lui, passandosi una mano tra i capelli. “Non avevo proprio preso in considerazione la possibilità che qualcuno avesse potuto fare un figlio con te e disinteressarsene…”
“Meglio per Aidan che quel qualcuno sia sparito prima che lui ci si potesse affezionare,” rispose l’Auror.
“Questo è sicuramente vero…” sussurrò Al, ricambiando lo sguardo del bambino, comodamente appoggiato al petto della sorella. “Quanto tempo ha?”
“È nato il 28 dicembre” spiegò la Jones, aprendosi in un sorriso al ricordo dell’arrivo del bambino, in anticipo di più di un mese, e delle acque che le si erano rotte mentre ancora si occupava degli zii e del cugino di Harry.
“È un bambino bellissimo,” commentò il Cacciatore, avvicinandosi a lui e osservandolo incantato mentre stringeva le sue piccole dita attorno al suo indice destro.
“Grazie,” chiosò Hestia. “È evidente che gli piacciate entrambi…”
“Avevi dei dubbi? Si sa che io sono solito piacere a tutti…” celiò quindi Al, spingendo la mora ad alzare gli occhi al cielo e la sorella a rotearli spazientita.
 
Dopo aver salutato i fratelli Ashworth, accordandosi per tornare a trovare Lexie quanto prima, Hestia si recò ai camini del San Mungo per raggiungere casa dei suoi, dove l’aspettava sua sorella Megan.
“Avevo capito che saresti stata di ritorno poco dopo l’alba,” bofonchiò la sorella, trattenendo a stento uno sbadiglio.
“L’idea era quella, ma considerando che sono di turno alle 10 ho pensato di andare a trovare Lexie,” spiegò Hestia, adagiando Aidan nel lettino, visto che si era inspiegabilmente addormentato durante il viaggio tramite Metropolvere.
“Come sta?” chiese Morag MacDougal.
“Meglio, credo che la dimetteranno a breve,” rispose, sorridendo alla migliore amica di Megan. “Più che altro si sta annoiando…”
“E l’hai lasciata da sola?” domandò la sorella minore.
Hestia scosse la testa. “Certo che no, quando ero da lei sono incappata in suo fratello, quindi l’ho lasciata con lui…”
“Suo fratello?” Megan sgranò gli occhi. “Intendi Alistair Ashworth? Il miglior marcatore all-time della nazionale inglese?”
Hestia annuì silenziosamente.
“Ricordami qual è, Meg?”
“Il biondo fisicato che fa impazzire tutte le nostre amiche,” illustrò la Tassorosso.
“Oh… quello che piace anche a me, quindi,” mormorò la scozzese con occhi sognanti.
Hestia sbuffò infastidita. “E chi aveva dubbi che piacesse anche a voi…”
“Perché a chi altro piace, scusa?” s’informò Megan.
“Faceva strage di cuori a scuola,” bofonchiò l’Auror.
“Non dirmi che ti ha illuso in qualche modo?”
La maggiore scosse la testa. “Certo che no, eravamo solo amici e avversari sul campo…”
“Eravate?” ridacchiò Morag.
“Beh, non ci vedevamo da un bel po’, quando si è presentato nel mio ufficio a ringraziarmi per aver portato al risveglio di sua sorella.”
“È stato carino,” dichiarò Megan, soppesando la reazione della sorella alle sue parole.
“In realtà mi aveva anche invitato a cena…” mormorò l’altra in risposta.
“E tu hai rifiutato,” dichiarò Megan, conoscendo bene la sorella.
“Adesso è decisamente troppo complicato,” obiettò la donna, scuotendo leggermente la testa.
“Se è scritto nel destino non potrai fare nulla per evitarlo,” dichiarò con sicurezza Morag, strizzando l’occhio alla sorella della sua migliore amica, che proprio non sapeva cosa sperare in quella situazione. L’abbandono del padre di suo figlio l’aveva ferita nel profondo, nonostante facesse di tutto per evitare di mostrarlo; di una cosa era certa: non avrebbe permesso a nessuno di fare del male ad Aidan.
“Comunque il fatto che tu sia amica di un campione del suo calibro impone che ce lo debba presentare,” aggiunse Megan dopo una piccola pausa, incrociando le braccia con cipiglio divertito.
“Hai forse dimenticato che nostra sorella è il capitano delle Holyhead Harpies?” ribattè la maggiore.
“Certo che no, ma forse tu hai scordato la rivalità tra le Harpies ed il Puddlemere United…” ridacchiò Megan. “La McGranitt celebrerà estasiata la vittoria della Coppa di Quidditch di Serpeverde il giorno in cui nostra sorella ci presenterà volontariamente un membro del Puddlemere…” borbottò l’ex Battitrice, scuotendo la testa.
“Vedrò cosa posso fare,” propose quindi Hestia, incamminandosi verso la cucina per un’altra tazza di caffè.
 
*
 
Lunedì 6 luglio 1998 Harry e Ron si svegliarono poco dopo l’alba, nonostante la nottata agitata passata a teorizzare a riguardo delle prove a cui li avrebbero sottoposti fino a tarda ora, i due non sarebbero riusciti a dormire un solo minuto di più. Dopo essersi fatti una doccia e aver indossato abiti comodi, come era stato richiesto nella lettera di convocazione, gli amici raggiunsero la cucina della Tana dove Molly e Ginny si tenevano occupate preparando la colazione.
“Che ci fai già sveglia?” si stupì Harry.
“Pensavi forse che non ti avrei augurato buona fortuna in questo giorno così importante?” si stupì lei. “Non che ce ne sia bisogno, ovviamente…” aggiunse, strizzandogli l’occhio.
Harry le sorrise, sentendo il nodo allo stomaco allentarsi almeno parzialmente.
“Non credo di avere fame,” bofonchiò Ron, prendendo una tazza per sé e una per Harry, mentre l’amico afferrava la caraffa di caffè.
La sorella inarcò pericolosamente le sopracciglia ramate ed incrociò le braccia, fissando i due. “Non riesco a credere che siate preoccupati per questa selezione! Avete passato un anno vagabondando per il paese, distrutto Horcrux, partecipato alla battaglia finale…” elencò, osservando le loro reazioni. “Tu ti sei sacrificato per tutti noi,” aggiunse, puntando l’indice contro il fidanzato.
“Era diverso,” borbottò l’ex Bambino Sopravvissuto.
“In che modo, scusa?”
“Non c’era altra scelta,” mormorò, stringendosi nelle spalle, “almeno per me…”
“E noi non ti avremmo mai fatto andare da solo,” aggiunse svelto Ron.
“Una ragione in più per cui non dovreste aver timore di quello che accadrà oggi, perché sarete lì per una vostra scelta, per iniziare il cammino che vi porterà a realizzare il vostro sogno di diventare Auror… il Ministro in persona vi ha invitato alle selezioni, vorrà pur dire qualcosa, no?” rammentò loro Ginny, mentre Molly li ascoltava in silenzio.
“Beh, il fatto di essere stati invitati non so nemmeno se sia un bene in realtà,” bofonchiò, chiaramente a disagio, Ron.
Harry annuì. “Vorrei solo essere trattato normalmente e non in alcun modo speciale…”
“Ma voi siete speciali, ragazzi! E prima ve ne accorgerete e meglio sarà,” consigliò Ginny.
“Avete avuto un ruolo importante nella sconfitta del mago più oscuro del ventesimo secolo, siatene orgogliosi, senza mai dimenticarvi che potete sempre imparare qualcosa da chi si trova al vostro fianco,” aggiunse Molly, guardandoli con tenerezza. I ragazzi erano diventati grandi troppo in fretta, ma in momenti come quello le sembravano i due adolescenti che erano scesi sorridendo dall’Espresso dopo il primo anno a scuola.
“Grazie,” sussurrò Harry, sorridendo alla padrona di casa e trovando conforto nella stretta di Ginny alla sua mano.
“Già, grazie…” aggiunse Ron annuendo.
“Dovete mangiare qualcosa, ragazzi…” consigliò poi Molly, facendo levitare un piatto di toast, uno di uova ed uno di bacon verso il tavolo.
I due presero posto al lungo tavolo e lo stomaco di Ron prese a brontolare rumorosamente, scatenando le risate divertite di Harry e Ginny.
“Ecco il Ron che conosco,” borbottò la piccola di casa Weasley.
 
La sfortuna di avere un cognome che iniziava con W portò Ron ad essere tra gli ultimi rimasti in sala d’attesa, prima che fosse il suo turno di entrare nella stanza in cui avrebbe dovuto dimostrare che il neoministro non si era sbagliato, proponendo anche il suo nome. Harry doveva aver finito già da almeno un’ora ormai — erano d’accordo di vedersi alla Gelateria di Florian con Hermione e Ginny per poi andare da Lexie tutti insieme — Ron era rimasto con solo altri tre candidati dopo che anche Dean era stato convocato. Gli aveva fatto molto piacere vedere l’amico alle selezioni: l’ultimo anno non era stato affatto semplice per lui e pensava che esorcizzarlo diventando Auror sarebbe stata un’ottima scelta. Avevano rivisto altri volti noti tra cui Susan Bones, Lisa Turpin e Roger Davies e si erano ritrovati addirittura vicini a Zacharias Smith, che Ron continuava a detestare cordialmente. Stava giusto pensando che non avrebbe potuto sopportare di frequentare l’Accademia assieme a quel rompi-pluffe, quando una voce femminile nasale pronunciò il suo nome e l’ex Grifondoro si alzò, deglutendo e asciugandosi le mani sudate sui pantaloni della tuta.
 
Circa mezz’ora dopo, Ron uscì dall’altro lato della stanza in cui una commissione composta dal Capo Auror Proudfoot e da quattro membri della squadra, tra cui due che sarebbero stati gli istruttori, aveva assistito alla sua abilità di duellante con un manichino progettato per tendergli numerosi tipi diversi di agguati. Dopo la parte pratica, della durata di un quarto d’ora, Ron era stato convocato di fronte al tavolo della commissione dove avevano discusso i suoi risultati ai G.U.F.O. e quelli dei corsi frequentati al sesto anno, oltre che la scelta di affiancare Harry nella ricerca degli Horcrux, assolutamente fondamentali nella sconfitta di Voldemort.
“Ci dica come mai vorrebbe diventare Auror, signor Weasley?”
Ron non aveva immaginato che gli avrebbero posto quella domanda e si ritrovò a sbiancare di fronte alla commissione, prima di sentir riecheggiare nella sua testa le parole pronunciate dalla sorella quella mattina.
“Vorrei diventare Auror perché credo che sia importante continuare a fare la mia parte per far sì che il mondo magico possa proseguire a vivere in pace. So di non aver fatto molto, ma mi piacerebbe evitare che nuove minacce possano mettere a repentaglio questa pace raggiunta alla fine di una guerra lunga e sanguinosa, oltre che a discapito di troppe vite perse,” dichiarò quindi, scegliendo di parlare con il cuore.
Proudfoot annuì, sembrando veramente colpito dalla risposta sincera del ragazzo, accanto a lui una donna austera dai capelli scuri aggiunse una nota sulla pergamena, prima di metterla sopra alla pila dei candidati già esaminati.
“Molto bene, signor Weasley… avrà nostre notizie nella prima settimana di agosto” lo congedò il Capo Auror.
Ron annuì. “Grazie, arrivederci.”
 
Dieci minuti più tardi s’era smaterializzato nel vicolo antistante la gelateria di Florian, riaperta da poco più di una settimana, individuando subito il tavolino scelto dagli amici.
“Eccoti, finalmente” gli sorrise Hermione, mentre lui si lasciava cadere nella sedia accanto alla sua.
“Com’è andata?” gli domandò Harry.
“Credo bene… e a te?”
L’amico scrollò le spalle. “Direi bene anch’io.”
“Quando vi faranno sapere qualcosa?” chiese Ginny.
“La prima settimana di agosto,” sbuffò Ron, rendendosi conto che mancava un mese.
“Sono sicura che siate andati alla grande,” li rassicurò Hermione.
“Lo spero,” ribattè Harry.
“Sicuramente è stato strano fare un esame senza di te,” aggiunse Ron, riuscendo a sorridere alla ragazza.
“Mi avete sempre criticato per la troppa attenzione ai dettagli, dicendo che ero una rompiscatole e solo adesso confessate di aver sentito la mia mancanza?” li redarguì la ragazza, assottigliando gli occhi.
I due si scambiarono un’occhiata costernata, interrotta dalla risata di Hermione. “Avevi ragione, Ginny… è piuttosto semplice fregarli!”
La rossa le strizzò l’occhio, prima di chiamare il cameriere per ordinare.
 
Fu stringendo una coppetta di gelato al cioccolato, pistacchio e caramello, con una spruzzata di panna e granella di nocciola e una alla fragola, banana e mirtillo, con una salsa ai frutti di bosco e delle pepite di cioccolato bianco che i ragazzi raggiunsero la stanza di Lexie al San Mungo. Hermione aveva applicato ad entrambe le coppette un incantesimo refrigerante, in modo che Lexie potesse godersene una dopo cena se avesse desiderato.
“Si può?” chiese Ginny, socchiudendo la porta.
“Che bella sorpresa,” sorrise la donna, facendogli cenno di entrare. “Mio padre ha appena trascinato mia madre a prendere un po’ d’aria, è quasi sempre qui con me…”
“Ci avevi detto di dirti come sarebbe andata,” le ricordò Harry.
“Certo che sì, ma immaginavo che aveste di meglio da fare che starvene chiusi qui…” rispose noncurante — non voleva che si sentissero obbligati a farle visita.
“Scherzi, vero?” dichiarò Ginny, avvicinandosi per un abbraccio.
“Senza contare che tu sei la sola a poterci fornire qualche dritta per l’Accademia…” aggiunse Ron, porgendole una delle coppette.
“Gelato?”
“Non sapevamo quali fossero i tuoi gusti preferiti…” iniziò a spiegarle Hermione.
“Mi piacciono tutti, anche se ho una predilezione per le creme e il cioccolato,” disse la donna, mentre Harry le passava la seconda coppetta.
“Allora dovresti iniziare da questa,” le consigliò Ginny, indicando la coppetta che le aveva dato Ron.
“Comunque l’incantesimo refrigerante dovrebbe conservarle fino alla fine della giornata, in caso tu non abbia voglia di mangiarle adesso,” spiegò Hermione.
“Di lei ti puoi fidare: era la migliore del nostro anno in ogni singola materia,” si vantò Ron, facendo andare a fuoco le guance della ragazza.
“Non esagerare, dai…” si schermì Hermione.
“In effetti in Divinazione eri pessima esattamente quanto noi,” ridacchiò quindi il ragazzo, beccandosi uno scappellotto dalla sorella.
“Hermione è decisamente una delle studentesse più brillanti che Hogwarts abbia mai visto,” asserì Ginny.
“E una tra le poche ad essersi meritata l’invito al Lumaclub non per qualche parentela più o meno importante, ma per le sue capacità…” chiosò Harry, rivolgendo un sorriso brillante all’amica.
“Un po’ come Lily ai nostri tempi,” aggiunse Lexie, sperando di non intristire Harry e ricevendo un sorriso a sua volta. “Era una delle preferite di Lumacorno…”
“Me l’ha detto più volte,” le confessò quindi il ragazzo.
“Lei odiava essere al centro dell’attenzione,” rivelò Lexie. “Adorava miscelare pozioni, continuava a ripetermi che era calmante per lei sapere che seguendo delle semplici istruzioni e miscelando ingredienti specifici avrebbe potuto ottenere antidoti per le malattie, rimedi per le ferite, fino ad arrivare alla fortuna liquida o alla pozione d’amore più potente del mondo… si era specializzata come pozionista, sai?”
Harry scosse la testa. “Non ne avevo idea…”
“Dopo un anno di corso di specializzazione aveva iniziato un tirocinio per preparare pozioni curative proprio qui al San Mungo,” spiegò Alexandra in tono nostalgico. “Ovviamente lei era quella riflessiva tra noi due e io quella che faticava a non perdere un passaggio ritrovandosi con il calderone esploso…”
“Un po’ come te e me, Herm… se pronta ad assicurarti che io non faccia esplodere i sotterranei?” celiò Ginny.
“Non devi essere così male se sei stata ammessa al livello M.A.G.O.,” disse in tono pratico la riccia.
“E comunque se non abbiamo mai fatto esplodere i sotterranei noi, non vedo perché Hermione dovrebbe avere problemi a controllare te…” aggiunse Harry, facendo ridere i presenti.
“Il miglior successo di Hermione rimarrà quello di aver fatto prendere a due zucconi come voi ben 7 G.U.F.O. a testa,” dichiarò Ginny, una volta smesso di ridere.
“Hey, ci siamo dati parecchio da fare per ottenere quei risultati…” borbottò Harry.
“Non ce l’avremmo mai fatta senza Hermione,” aggiunse, vagamente contrariato, Ron.
Lexie sorrise vedendo la complicità tra i quattro ragazzi, ritornando brevemente alle scaramucce post esame messe in atto da James e dal resto dei Malandrini, promettendo a se stessa che avrebbe condiviso tutto il possibile con Harry per cercare di farlo sentire più vicino ai suoi genitori.

 
*
 
Se George fosse rimasto stupito che la sorella sapesse tutto circa gli allenamenti delle Harpies non lo diede a vedere, accolse anzi con gioia l’entusiasmo di Ginny nella descrizione dettagliata del loro campo — posizionato nella graziosa cittadina gallese di Holyhead. Armatosi di coraggio, mercoledì 15 luglio chiese a Charlie se poteva fermarsi lui ad attendere gli ordini di Puffole Pigmee che sarebbero state consegnate, vista l’imminente riapertura del negozio, e si smaterializzò nelle vicinanze del campo. Una camminata di un quarto d’ora tra le verdi campagne del nord-ovest del Galles lo ritemprò ed inspirando a pieni polmoni l’aria frizzante si disse che avrebbe dovuto fare qualche passeggiata in più, magari in compagnia dei fratelli.
Una volta raggiunta la struttura, l’ex Grifondoro s’avvicinò, ritrovandosi faccia a faccia con un energumeno di oltre un quintale che faceva la guardia all’ingresso del campo d’allenamento.
“Desidera?” domandò quello in tono poco amichevole.
“Sono un amico di Angelina Johnson e volevo farle una sorpresa ed invitarla a cena dopo gli allenamenti,” dichiarò quindi.
“Gli allenamenti sono off limits per i giornalisti,” disse quello in tono annoiato.
“Ma io non sono un giornalista…”
“E chi me lo assicura?”
George sbuffò, spazientito. “Non mi sono presentato, in effetti,” disse, sorridendo all’uomo. “George Weasley, proprietario dei Tiri Vispi Weasley…”
La faccia seria dell’uomo si aprì in un sorriso sincero. “I miei ragazzi adorano i vostri prodotti…” disse quindi, stringendogli la mano. “Possiamo fare un’eccezione,” aggiunse poi, lasciandolo entrare e indicandogli le tribune.
Il giovane prese posto nella prima fila, osservando la squadra provare gli schemi d’attacco, con le urla della capitana come sottofondo. Angelina e il resto delle Cacciatrici stavano davvero dando il meglio di loro, George era impressionato ed aveva ogni intenzione di dirglielo a cena, quando Gwenog Jones s’accorse della sua presenza e gli s’avvicinò minacciosa.
“Chi diavolo sei e cosa ci fai qui?” sbraitò.
“Sono un amico di Angelina e volevo invitarla fuori a cena dopo l’allenamento…” rispose, tentando di suonare convincente — il caratteraccio della Battitrice era decisamente famoso.
“Chi mi dice che non sei una spia di quegli inetti del Puddlemere? Ti ha mandato Wilda per caso? ¹”
George scosse la testa, sostenendo lo sguardo truce dell’ex Tassorosso.
“Quello è un mio amico, Gwenog!” urlò quindi Angelina, convincendo la Capitana a tornare a concentrarsi sull’allenamento. George sospirò di sollievo, facendo un cenno di saluto alla Johnson che gli strizzò l’occhio in risposta.
 
Dopo una doccia ristoratrice, Angelina raggiunse George a bordocampo sorridendogli apertamente. “Che bella sorpresa, George! Qual buon vento ti porta qui?”
“Volevo ringraziarti dell’aiuto che mi hai dato di recente, la tua vicinanza è stata fondamentale e vorrei offrirti una cena…” le disse lui. “Sempre che tu non abbia di meglio da fare, ovviamente,” aggiunse poi, rendendosi conto che forse averle teso un’imboscata non era stata una così grande idea.
“Scherzi?! L’alternativa era una cena veloce al Paiolo Magico… non sono un granché come cuoca.”
“Conosci qualche posto qui in zona?”
“C’è un bel localino con una vista spettacolare sull’oceano; ci si gode un tramonto da favola e possiamo andarci a piedi…” propose lei,
George piegò gli angoli della bocca in un sorriso sincero, subito ricambiato da Angelina.
“Prego, mi faccia strada, Miss…” le disse poi, porgendole il braccio.
“Da quando sei così galante?” si stupì lei.
“Ho i miei momenti a volte…” dichiarò, strizzandole l’occhio.
 
*
 
Audrey attendeva impaziente l’arrivo di Percy, che le aveva proposto di passare con del sushi da asporto dopo il lavoro; Sally era fuori con il fidanzato ed avrebbero avuto la casa tutta per loro.
Quando il campanello suonò, la ragazza corse ad aprire.
“Meno male, ho una fame!” esclamò, trascinando dentro il rosso.
Lui le sorrise. “Scusa, c’era molta coda visto che è venerdì…”
“Non c’è problema, è solo che oggi ho mangiato di fretta,” sorrise lei, conducendolo al divano, davanti cui aveva apparecchiato il tavolino.
“In effetti sono affamato anche io,” le disse, spingendosi gli occhiali sul naso e porgendole la scatola con gli uramaki.
“Stavo pensando che potremmo organizzare il nostro viaggio nella settimana del 17 agosto… io credo di poter prendere fino a cinque giorni senza problemi, che ne dici?”
Percy deglutì, sforzandosi di annuire e rimanere calmo. “Penso anche io…” mormorò poi.
“Che succede, Percy? Credevo che facesse piacere anche a te, ma se sto correndo troppo non è importante, io…”
“Tu non c’entri nulla, Audrey,” disse quindi Percy, prendendo la sua mano nelle proprie.
“E allora cosa succede?” domandò lei, spalancando gli occhi verdi e puntandoli nei suoi.
“C’è qualcosa che non sai di me…” sussurrò lui, abbassando lo sguardo, sentendo le guance imporporarsi.
“Puoi dirmi tutto, lo sai…” lo rassicurò lei.
“Non credo che questo ti piacerà,” disse affranto lui, cercando il coraggio per iniziare il discorso. Dopo aver preso un respiro profondo Percy raccontò ad Audrey di come aveva abbandonato la famiglia, acciecato dalla voglia di fama e dal desiderio di far carriera al ministero, pensando che i suoi ne sarebbero stati orgogliosi e sentendosi tradito quando così non era stato. La ragazza lo ascoltò, interrompendolo solo per fargli qualche domanda e per tentare di rincuorarlo e, al termine del suo racconto, lo rassicurò che tutti nella vita sbagliavano e che l’importante fosse che lui avesse capito i suoi errori. Percy, con le lacrime agli occhi la strinse a sé, immaginando un futuro insieme in cui avrebbero potuto affrontare qualsiasi situazione, perché se lei aveva compreso e perdonato le sue debolezze più grandi, nulla avrebbe potuto scoraggiarla.

 


 
¹ Wilda Griffiths è stata una Cacciatrice della Harpies prima di passare al Puddlemere United nell’estate del 1998; quando le due squadre si scontrarono nel 1999 le bacchette vennero confiscate, la Griffiths sparì dal campo e Gwenog Jones venne arrestata.
 
 
Nota dell’autrice:
Come promesso, in tempi più o meno brevi, torno a dedicarmi a questa storia; ho davvero un sacco di idee che sto cercando di incorporare in modo credibile, quindi mi rimetto a voi lettori per sapere come me la sto cavando.
Che ne dite del segreto di Hestia? Era nei miei piani fin da subito che lei avesse avuto un figlio e che fosse quello il motivo che l’aveva resa titubante nei confronti di Al… il poveretto tra l’altro sembra non combinarla mai giusta con la focosa Auror. Se riconoscete Megan e Morag vuol dire che anche voi avete letto la meravigliosa storie di cui sono protagoniste, scritta da blackwhite_swan, che mi ha dato il permesso di sfruttare le loro caratterizzazioni.
Lexie nel prossimo capitolo lascerà finalmente il San Mungo, ma intanto in questo capitolo direi che l’ho fatta conoscere un po’ meglio a quelli di voi che non hanno letto la mia long “Promesse da mantenere” ed il suo seguito “Legami indissolubili”. Mi sta piacendo molto sia farla interagire con Harry & Co., che con Hestia, suo fratello e Molly e Arthur, in modo da farla rientrare in contatto con i vecchi amici con cui aveva perso ogni contatto.
Mi auguro che la strada che ho intrapreso con George & Angelina e con Audrey e Percy sia credibile; costruire un rapporto così poco tempo dopo simili sofferenze non è sicuramente stato facile, ma i nostri ce la faranno.
A presto con il prossimo capitolo!
 

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 – The strength to start over ***


Questo capitolo contiene una scena di rating rosso, che mi ha spinto a modificare il rating della storia; se saltate la lettura la comprensione del capitolo non sarà preclusa.
 

Capitolo 13 – The strength to start over
 
 
 
“It’s never too late to become who you want to be.
I hope you live a life that you’re proud of,
and if you find that you’re not,
I hope you have the strength to start over.”
Francis Scott Fitzgerald  
 
 
“Non passa giorno che io non rimpianga il mio comportamento e che non pensi che fossi io quello che avrebbe meritato di morire durante la Battaglia di Hogwarts e non Fred, che era rimasto accanto alla nostra famiglia, combattendo per un futuro migliore quando era poco più di un ragazzino, dopo che io avevo dimostrato di essere nient’altro che un codardo…” mormorò Percy, con gli occhi azzurri velati di lacrime, stringendo le mani di Audrey tra le proprie e cercando conforto nello sguardo della ragazza.
“Tuo fratello non avrebbe mai voluto sentirti dire una cosa simile,” ribattè lei. “So che potresti benissimo farmi notare che non l’ho conosciuto, ma sto imparando a conoscere te e la famiglia che ti ha cresciuto e sono certa che loro siano felici che tu abbia fatto ritorno nelle loro vite… anche se ci hai messo più tempo di quanto avrebbero voluto. Gli unici colpevoli della morte di tuo fratello sono Voldemort, i suoi Mangiamorte e le idee primitive che cercavano di portare nel nostro mondo…”
“Ho perso così tanto tempo inutilmente…” singhiozzò il ragazzo. “Ero così convinto di fare a scelta giusta, stando a fianco del Ministro e, anche dopo la sua caduta, ho continuato a essere prigioniero della mia scelta scellerata: abbandonare il Ministero avrebbe significato mettere ancora più in pericolo i miei, che non avevano mai avuto alcuna remora a dimostrare la loro contrarietà alle idee di Voldemort. Era anche difficile ammettere con loro che avevo sbagliato, che la sete di primeggiare aveva offuscato il mio buon senso, facendomi dimenticare ogni loro insegnamento,” aggiunse, scuotendo la testa, come a voler scacciare il ricordo di quanto era accaduto.
“Nessuno è perfetto, Percy. Continuo a pensare che l’importante è che tu abbia compreso in tempo il tuo errore e che abbia avuto l’occasione di rivedere tutta la tua famiglia, Fred incluso, prima della sua morte…”
“È morto proprio accanto a me,” rivelò Percy, dopo un silenzio carico di significato — un silenzio piacevole e doloroso allo stesso tempo, ma nient’affatto imbarazzante.
Audrey rispose stringendolo tra le sue braccia, consapevole di quanto un gesto potesse valere più di mille parole; il sorriso tirato che Percy le rivolse, da sotto agli occhi cerulei arrossati, le confermò l’adeguatezza della sua scelta e la mano più grande del ragazzo stretta attorno alla propria riuscì a rendere ancora più determinante quel momento apparentemente così insignificante.
“Ho imparato la lezione,” mormorò fiocamente Percy.
Audrey si limitò ad annuire, tracciando cerchi concentrici sulla schiena magra che stringeva.
“Non abbandonerò mai più la mia famiglia.”
“Ne sono certa…”
“Lo capirò se non vorrai venire con me a visitare la Normandia, dopo questa rivelazione, ma… spero che vorrai comunque concedermi la possibilità di dimostrarti quanto sono, veramente, cambiato.”
“E perché mai non dovrei voler andare in Normandia con te, Percy?” s’infiammò l’ex Corvonero, sollevando un sopracciglio indagatore.
“Dopo averti raccontato che razza di pallida e patetica versione di Grifondoro io sia, lo capirei se non volessi più frequentarmi…”
“Te l’ho già detto e te lo ripeterò all’infinito, se serve, tutti sbagliano nella vita e tutti hanno diritto a una seconda occasione.”
Le iridi di Percy vennero attraversate da un lampo di sorpresa e di gioia e, come Audrey poco prima, scelse di rispondere prendendo il coraggio a quattro mani e posando le proprie labbra sul sorriso rassicurante della ragazza — i piani dettagliati per la vacanza potevano attendere…
 
*
 
Nonostante Harry avesse insistito che non ce ne fosse alcun bisogno, Molly gli aveva ricordato che il suo diciottesimo compleanno era in arrivo e che, oltre a celebrare la sua maggiore età nel mondo babbano, avrebbero festeggiato anche le dimissioni di Lexie dall’ospedale — avvenute la settimana precedente.
 
“Non so se sia il caso di gravare su tua madre con una festa da organizzare…” aveva confessato il Bambino Sopravvissuto a Ginny, durante una passeggiata al tramonto attorno allo stagno situato nel terreno circostante alla Tana.
L’ultimogenita di casa Weasley si era fermata, puntando le calde iridi castane in quelle smeraldine del ragazzo, e sorridendogli dolcemente. “Ogni ragione è buona per non fermarsi a riflettere, evitando di ricordarsi continuamente dell’assenza di Fred… la sua mancanza sarà sempre parte integrante della nostra famiglia e mia madre sta cercando di fare il possibile per non soffermarsi su questo unico pensiero; sono convinta che l’andirivieni della Tana sia l’unica cosa a tenerla impegnata in questo momento e non oso nemmeno immaginare cosa accadrà dopo il rientro a scuola mio e di Hermione, l’inizio dell’Accademia per te e Ron e il ritorno alla solita vita quotidiana del resto dei miei fratelli e di mio padre…”
Harry, che non aveva visto la cosa sotto questo punto di vista, annuì con vigore. “Ma certo, che stupido che sono stato…”
“Ma no, sei solamente stato preso da altri problemi e, comunque, anche di solito non sei il più perspicace degli osservatori…” lo prese in giro la ragazza.
“Hey!” Harry incrociò le braccia, risentito.
“Ti ricordo che ci sono voluti secoli a renderti conto di quanto mi piacessi, Signor Potter…”
“Beh, non ero molto ferrato in materia…”
“Questo è poco ma sicuro,” asserì Ginny, annuendo con convinzione.
“E comunque ero impegnato…” si giustificò lui, incatenando le proprie iridi a quelle luminose della sua ragazza.
“A salvare il mondo magico, lo so,” ribattè svelta Ginny, scompigliandogli i capelli già arruffati con un sorriso malandrino che le increspava le labbra.
“Non avrei mai voluto farti soffrire…” sussurrò, chiudendo la distanza che li separava.
“Questo è evidente, Harry.”
“Mi sembrava giusto chiarirlo, Gin.”
“Non sono una damigella da salvare… di questo te ne rendi conto, vero?”
Harry annuì con convinzione. “Se ti ho allontanata da me era solo perché non volevo essere un ulteriore motivo per farti perseguitare dai Mangiamorte.”
“So anche questo, Harry,” lo rassicurò quindi, posando la testa sul suo petto e ascoltando il battito regolare del suo cuore — un attimo di banale intimità che avevano rischiato venisse loro strappato dalla guerra.
“Spero di non deluderti mai più, Ginny,” mormorò, posandole un bacio tra i capelli che emanavano un inebriante profumo di fiori e vaniglia.
“Sono sicurissima che non accadrà, Harry, impareremo insieme dai nostri sbagli… sai, anch’io non ti ho detto tutto quello che mi è accaduto nell’ultimo anno a Hogwarts,” si costrinse a sussurrargli, senza trovare il coraggio d’incontrare il suo sguardo.
Sentì il corpo di Harry irrigidirsi contro il proprio e il battito del suo cuore accelerare improvvisamente.
“Ti va di parlarmene?” le propose, sfiorandole la schiena con carezze incerte che si augurava potessero esserle di conforto.
Ginny annuì, con gli occhi ostinatamente serrati, e la necessità di continuare a cercare rifugio tra le braccia del ragazzo che si faceva sempre più forte; inspirò profondamente per calmarsi, quando le immagini del suo ultimo anno a Hogwarts la travolsero come le onde del mare in tempesta. Rammentò a se stessa che si trattava solo di ricordi e che non avrebbe più sofferto come durante il regno dei Carrow, per poi incrociare nuovamente lo sguardo incoraggiante di Harry e incamminarsi con lui lungo il molo in cui avevano confessato ciò che provavano in quella mattina di maggio da cui sembrava essere passata una vita.
Si tolsero le scarpe, sedettero con le gambe penzoloni e Ginny si prese qualche istante per contemplare il panorama che si stagliava di fronte ai loro occhi: gli ultimi raggi di sole inondavano di sfumature arancioni, dorate e rosse la superficie piatta dello stagno, il frinire delle cicale colmava l’aria di un’allegra cacofonia e i fiori selvatici odoravano di fresco e di casa — quello specchio d’acqua era stato lo sfondo di alcuni dei suoi più bei ricordi d’infanzia, eppure non avrebbe potuto scegliere luogo più adatto per raccontare i momenti più drammatici che si era trovata, suo malgrado, a vivere tra le mura del castello che entrambi avevano lottato per difendere.
“Amavano le punizioni, i Carrow…” si decise ad ammettere, continuando a fissare i riflessi del tramonto che scurivano sempre di più lo specchio d’acqua. “Gli altri professori facevano del loro meglio per difendere almeno i più piccoli, ma quei due erano estremamente crudeli… e nei loro occhi potevi sempre intravedere la gioia sadica che provavano nel guardare le loro vittime contorcersi per il dolore che gli stavano provocando.”
Harry rimase in silenzio, scegliendo di mostrarle il proprio sostegno con l’intreccio delle loro dita: non voleva interrompere il racconto della ragazza, che stava compiendo il notevole sforzo di aprirsi con lui, rendendosi vulnerabile — pochi attimi dopo avergli prontamente ricordato che non era affatto una damigella indifesa.
“All’inizio si accontentavano di eseguire da soli le punizioni che trovavano modo di affibbiare in qualsiasi momento, per le ragioni più assurde… ma poi iniziarono a volere di più, perché vedere dei poveri ragazzini soffrire non era sufficiente, dei ragazzini che, ovviamente, non avevano alcuna colpa. E allora iniziarono a costringere gli altri studenti a eseguire le punizioni al loro posto…”
“Che cosa?” s’era ripromesso di lasciarla parlare senza interromperla, ma quella rivelazione l’aveva colpito con la stessa forza dei pugni che Dudley era solito assestagli quando lo utilizzava come punching-ball.
Ginny annuì mestamente. “Difesa contro le Arti Oscure era stata sostituita dall’agghiacciante Arti Oscure il cui insegnante era quel decerebrato di Amycus Carrow, mentre quella vacca di sua sorella Alecto insegnava una versione distorta e bugiarda di Babbanologia, divenuta obbligatoria per ogni studente. Il compito di Amycus era quello di insegnarci a eseguire le Maledizioni senza perdono, Avada Kedavra a parte, ed era tenuto a segnalare quelli di noi che si rifiutavano di eseguirle sui compagni o sugli altri studenti… La sua cara sorella invece ci riempiva la testa di cazzate riguardo a come i Nati Babbani erano dei ladri che avevano rubato i poteri magici ai loro legittimi proprietari, che erano ovviamente maghi Purosangue… Se qualcuno osava controbattere, veniva punito; se qualcuno metteva in dubbio i loro insegnamenti, veniva punito; se qualcuno si permetteva di non eseguire le loro punizioni, veniva punito; se qualcuno era un Nato Babbano, o aveva anche un solo genitore che lo fosse, veniva punito continuamente…”
“E Piton non fece mai nulla per impedire tutto questo?” Harry non voleva credere che l’uomo che l’aveva protetto per tutti quegli anni, nonostante i sentimenti contrastanti che provava per suo padre, non avesse mosso un dito per proteggere gli studenti.
“In realtà, quando le cose sembravano mettersi per il peggio, ricordò a quei due imbecilli che Voldemort teneva molto a non sprecare il prezioso sangue dei maghi, quindi la smisero con l’utilizzo smodato della Maledizione Cruciatus e la maggior parte dei Purosangue avrebbero potuto passare l’anno indenni…”
“Ma?”
“Ma noi non avevamo alcuna intenzione di salvare noi stessi e lasciare che gli altri soffrissero, solo per non essere nati in famiglie totalmente magiche come le nostre…”
Harry le rivolse un sorriso orgoglioso, oscurato dal rimpianto di non essere stato al suo fianco in momenti così difficili.
“Non ho mai torturato nessuno dei nostri compagni, Harry,” aggiunse Ginny, mordicchiandosi il labbro inferiore.
“Non avevo alcun dubbio, Gin…”
“E lo stesso vale per Neville, Luna, Seamus, Calì, Demelza, Colin, Dennis, Anthony, Terry, Michael, Megan, Morag, Padma, Hannah, Ernie, Justin, Susan e tutti i membri dell’ES. Abbiamo continuato a rifiutarci di fare il lavoro sporco per loro e quei due hanno iniziato a punirci, senza ricorrere alle Maledizioni Senza Perdono, sperando di vincere le nostre resistenze… Ma senza avere successo.”
“Immagino che questo non gli abbia fatto piacere…”
“Ovviamente no”, Ginny scosse la testa, scacciando le immagini di minuscoli studenti del primo e secondo anno coperti di graffi, con gli occhi lucidi di lacrime e le confessioni singhiozzanti che rivelavano la loro volontà di andarsene via; quella che per lei era stata una casa lontana dalla Tana, per gli studenti più piccoli si era trasformata nella materializzazione del peggior incubo — un incubo che non pareva avesse intenzione di finire. “A volte mi chiedo se non avremmo fatto meglio a mostrarci docili, perché, forse, avrebbero sfogato la loro rabbia sui più grandi, invece che su quei poveri bambini indifesi e…”
“No!” Harry interruppe il flusso dei pensieri della rossa, che si decise a incontrare nuovamente il suo sguardo, spronandolo a proseguire. “Sappiamo entrambi come ragionavano i Mangiamorte, non si sarebbero mai accontentati di punire solo i più grandi, lo hai detto tu che godevano nell’infliggere dolore e immagino che prendersela solo con gli studenti più grandi non rendesse il tutto abbastanza soddisfacente…”
“Però avremmo potuto fare di più per proteggerli,” insistette testardamente Ginny.
“E cosa? Se nemmeno gli insegnanti riuscivano a fare di meglio, cosa avreste mai potuto fare voi?”
“Non lo so, Harry. Quello che mi dici ha senso e, a mente fredda, ti direi che hai ragione tu e che non avremmo potuto fare altro, ma…” Ginny inspirò profondamente, tornando a tormentarsi il labbro inferiore, catturandolo tra i denti e schiacciandolo fino a sentire dolore. “Non riesco a non pensare ai loro volti spaventati, agli occhi rossi e ai pianti che riecheggiavano nella torre nel cuore della notte… non so se questi mesi saranno abbastanza a cancellare gli incubi che sono sicura stiano tormentando ognuno di loro.”
Harry la strinse a sé, affondando il naso nei suoi capelli profumati e sfiorando la schiena coperta dal cotone leggero della canottiera blu che indossava: Ginny era lì davanti a lui, ma lo sguardo perso che aveva sollevato su di lui l’aveva terrorizzato ancor di più delle parole che erano state sussurrate dalle sue labbra. “Probabilmente non basteranno questi mesi…” asserì infine, posandole un bacio tra i capelli ramati. “Ma se conosco almeno un po’ la professoressa McGranitt sono sicuro che si occuperà anche di questo e non lascerà che nessuno di voi sia tormentato dai ricordi orribili dell’ultimo anno…”
“Non ci avevo pensato”, ammise la ragazza, “eppure sono certa che tu abbia ragione, Harry.”
“Sono felice che tu ti sia fidata abbastanza di me da raccontarmi tutto questo… mi rendo conto che felice è probabilmente il termine meno adatto da utilizzare in questa situazione, ma immagino che tu abbia capito cosa intendo dire”, dichiarò Harry, passandosi una mano tra i capelli spettinati e scrutandola intensamente dietro agli occhiali storti.
Ginny annuì. “Quando abbiamo deciso di darci una seconda possibilità era implicito che dovessimo fidarci dell’altro e condividere anche i ricordi più dolorosi… sono contenta anch’io di averlo fatto, mi sento già un pochino più leggera.”
“Ci sarò sempre quando avrai bisogno di parlare di qualcosa, qualsiasi essa sia…”
Ginny annuì, posando la testa sulla sua spalla. “Vale lo stesso anche per te, Harry,” mormorò poi, incrociando il suo sguardo.
Il ragazzo avvicinò la mano di Ginny che stringeva nella propria per sfiorarla con un bacio. “Lo so”, le disse con semplicità, “ma preferirei evitare di parlarne proprio stasera…”
“Avevi qualche altro progetto in mente?” domandò Ginny, inarcando un sopracciglio indagatore.
“Pensavo che potevamo goderci questa inaspettata solitudine…”
“Mhmm, in effetti non sarebbe una cattiva idea”, confermò lei, salendogli in grembo e mordicchiandogli il lobo dell’orecchio destro.
Harry l’attirò più vicina, lasciando una scia di baci lungo le spalle, il collo e il mento; Ginny lo spinse fino a farlo sdraiare sul molo, rimanendo a cavalcioni su di lui e sfilandosi con lentezza la canottiera, rivelando un reggiseno di un impalpabile materiale color lampone. Gli ultimi riflessi del sole inondavano di sfumature ammalianti i suoi capelli fiammeggianti e donavano all’incarnato pallido una luminosità d’alabastro.
“Quanto sei bella”, esalò Harry, afferrandola per la vita e portando i loro corpi a aderire l’uno all’altro — il ritmo erratico dei loro cuori procedeva all’unisono, mentre nella tiepida notte estiva le mani esitanti di Harry si facevano strada sul corpo della ragazza, aiutandola a dimenticare i tormenti appena condivisi. Le dita di Ginny esplorarono ogni centimetro della pelle di Harry, tirandogli via con impazienza la maglietta e passando poi a sfiorarne le cicatrici con le labbra, leccando la pelle calda e baciando il petto magro sotto cui il cuore del ragazzo batteva furiosamente. Ginny armeggiò con i bottoni dei jeans, facendoli scivolare lungo le gambe, insieme ai boxer che Harry procedette a scalciar via rimanendo nudo sotto lo sguardo eccitato della ragazza, che posò nuovamente le labbra su quelle di Harry in un bacio affamato e ansioso. Le mani di Harry cercarono a tentoni la chiusura dei pantaloncini di Ginny, che riprese a esplorare il corpo di Harry con labbra calde e leccate umide fino ad arrivare a lambire la sua erezione pulsante con la lingua, massaggiandola con una delle sue mani; sollevò lo sguardo su di lui prima di accoglierla in bocca, ansiosa di assaporarlo, mentre il ragazzo gemeva il suo nome come un mantra ripetuto all’infinito. Dopo aver raggiunto il piacere, Harry adagiò il corpo costellato di lentiggini di Ginny sul legno e iniziò a baciarlo con riverenza, stuzzicando i suoi seni attraverso il materiale seducente del suo reggiseno, per poi lasciarli finalmente liberi, succhiandone i capezzoli turgidi e scendendo con lentezza fino all’ombelico, provocandole i brividi. Le fece aprire le gambe, baciandola con delicatezza, avvicinandosi sempre più al centro del suo piacere per poi schiudergli sopra le labbra, baciandola attraverso il materiale delle sue mutandine e tormentandola con tutta calma, provocandole gemiti sempre più forti e il respiro sempre più affannato. Dopo che il dolce tormento fu proseguito per qualche altro minuto, Harry si decise ad agganciare i pollici alla biancheria, sfiorando ogni lembo di pelle che era stato coperto dall’indumento, prima di raggiungere la sua intimità e baciarla fino a farle raggiungere l’orgasmo. Sdraiati nello stesso luogo in cui Harry le aveva chiesto se voleva diventare la sua ragazza, i due raggiunsero un livello d’intimità nuovo, esplorando il corpo nudo dell’altro come mai avevano fatto prima. Ginny si puntellò sul gomito per baciare nuovamente Harry, accoccolandosi nel suo abbraccio.
“Non avrei mai pensato che la serata sarebbe andata così”, gli disse poi, baciandolo sul collo.
“Nemmeno io…” dichiarò Harry, sorridendole dolcemente. “Anche perché temo di non essere particolarmente abile in questo frangente”, aggiunse, ringraziando il cielo stellato che nascondeva le sue guance arrossate.
“Mi permetto di dissentire”, ribattè Ginny maliziosa, strusciando il proprio corpo su quello del ragazzo.
“È stata decisamente una delle serate più belle della mia vita… un regalo di compleanno anticipato assolutamente stupendo.”
“Significa forse che devo restituire quello che avevo intenzione di darti?”
Harry scoppiò a ridere. “Sei tu quello che voglio… Ti amo, Ginny.”
“Ti amo anch’io, Harry!”
I due si baciarono con lentezza, esplorando la bocca dell’altro, per poi posare le fronti l’una contro l’altra.
“Sai, se vuoi abbiamo ancora tempo e potremmo… beh, potremmo fare sesso”, gli propose Ginny.
“Non credere che non mi piacerebbe, ma… beh, ecco, speravo di poter organizzare una serata romantica per la nostra prima volta, considerando che tra poco sarà anche il tuo compleanno e…”
“Non dire altro, Harry. Sono d’accordo: la nostra prima volta deve essere speciale… del resto si ha un’unica prima volta nella vita, no?”
Harry annuì. “Credevo che tu e Dean aveste… insomma, credevo foste andati fino in fondo, ecco…”
“Non mi sentivo pronta e Dean mi ha capito perfettamente…”
“Oh… beh, mentirei se non ti dicessi che sono davvero felice che vivremo la nostra prima volta insieme.”
“Ne sono davvero felice anch’io, Harry,” ribatté Ginny, reclamando nuovamente le sue labbra per un bacio.
“So che ti ho detto che vorrei rendere la nostra prima volta speciale, ma non mi dispiacerebbe se ci allenassimo ancora un po’…” sussurrò poi Harry, mordicchiando il labbro inferiore di Ginny.
“Mhmm, in effetti la pratica rende perfetti”, ridacchiò Ginny, baciandolo con entusiasmo.
 
*
 
Venerdì 31 luglio nel giardino della Tana serpeggiava l’eccitazione tipica che era solita caratterizzare ogni celebrazione organizzata dalla padrona di casa; non solo si festeggiava il compleanno di Harry, era anche il primo evento familiare a cui Lexie avrebbe partecipato, dopo lunghi anni di assenza dalle isole britanniche. Pareva che una buona metà del mondo magico si fosse dato appuntamento nel giardino del Devon: c’erano i compagni di Grifondoro e i membri dell’ES, gli amici di George e alcuni colleghi di Arthur, Bill e Fleur, c’era Hestia Jones, invitata da Lexie, c’era Kingsley e c’era Andromeda, con il piccolo Teddy, c’era Audrey, che si era portata dietro anche Sally e il suo fidanzato, c’era Alistair, che aveva firmato almeno una cinquantina di autografi, senza smettere di rivolgere a tutti quanti il suo sorriso smagliante e c’erano i suoi genitori, così come quelli di Hermione, che prendevano parte per la prima volta a una festa di compleanno magica.
“È una bellissima festa, Molly…” si complimentò Lexie, prendendo posto accanto alla cognata.
“Grazie, cara, spero che non ci sia così tanta gente da farti sentire sopraffatta…”
“Ma figurati! Con tutto il tempo che sono rimasta sola, mentre ero in coma, non credo che potrò mai passare abbastanza tempo in compagnia per tutto il resto della mia vita.”
“Lexie, proprio la donna che cercavo!” esclamò una voce profonda, prima che il suo possessore prendesse posto accanto alla bionda.
“Kingsley… o dovrei dire Ministro Schacklebolt?” celiò Lexie, indirizzando un sorriso al vecchio collega.
“Spiritosa!” la rimbrottò l’uomo, sorridendole di rimando. “Sarò sempre Kingsley per te…”
“Dimmi tutto.”
“Volevo farti una proposta lavorativa, ma questa è la festa di Harry e non vorrei costringerti a passare la serata a parlare di me, quando c’è così tanta gente che desidera la tua compagnia…”
“Non ti nego di essere veramente sorpresa, Kingsley,” ribattè Lexie.
“Va bene se passo a trovarti dai tuoi lunedì?”
“Sappi che passerò il resto del weekend a chiedermi di cosa tu mi voglia parlare…”
“Rilassati, spero solo che tu mi possa aiutare…” le disse, strizzandole l’occhio, prima che Hestia prendesse posto di fronte a Lexie, interrompendo di fatto la conversazione.
“Secondo voi è normale che Aidan riesca a dormire con questa confusione?” chiese la mora, indicando il figlio, placidamente addormentato nella sua stola.
“Con una madre casinista come te,” la prese in giro Kingsley.
“Non approfittarti del fatto che ora sei il capo del capo del mio capo, Schacklebolt!”
“Devo forse denunciarti per insubordinazione, Jones?”
Hestia spalancò gli occhi azzurri, battendo lentamente le palpebre. “So che non lo faresti. Anche perché rimarrai sempre il mio collega preferito…”
“Bugiarda!” la rimbeccò Kingsley, scuotendo la testa.
Andromeda scelse quel momento per raggiungere il gruppo, con Teddy addormentato tra le braccia; i capelli del bambino erano di una tonalità di rosso che lo faceva sembrare uno dei Weasley.
“Come vanno le coliche?” chiese Molly.
“Meglio, ma certe notti sono davvero un incubo…”
“Se vuoi ti posso dare la ricetta di un infuso di erbe che ha sempre avuto un gran successo con Aidan,” propose Hestia.
“Sarebbe fantastico, grazie! Quanto tempo ha adesso?”
“Sette mesi. Lui invece poco più di tre, giusto?”
Andromeda annuì stancamente, perché in momenti come quello era impossibile non pensare a quanto Teddy avrebbe meritato che ci fossero i suoi genitori, e non lei, al suo fianco.
“Molly, tesoro, quando vogliamo portare fuori le torte?” chiese Arthur, avvicinandosi, seguito da Alistair e suo padre Edward.
“Aspettiamo ancora qualche minuto, con il buio le candeline faranno un effetto migliore…”
“Certo,” sorrise l’uomo, prendendo posto accanto alla moglie.
“Finito con gli autografi, Ashworth?” domandò invece Hestia, incrociando lo sguardo del fratello di Lexie.
“Dipende da quanti ne vuoi tu, Jones…”
“Spaccone!”
“Rompipluffe!”
Gli altri presenti rotearono gli occhi.
“Grazie, davvero, di aver invitato mia sorella e la sua amica alla prossima partita”, disse poi Hestia, indirizzando un sorriso grato all’ex compagno di scuola.
“Ma figurati, per così poco. E sai bene che l’invito è esteso anche a te…”
“Ci penserò…”
“Non chiedo altro”, dichiarò lui, strizzandole l’occhio.
 
Qualche minuto dopo, spegnendo le candeline con Ginny al suo fianco, i suoi migliori amici all’altro lato e tutte le persone che amava vicino a lui, Harry desiderò che il resto della sua vita potesse proseguire come quella serata e che tutte le persone che avevano sofferto e perso qualcuno di caro a causa della guerra potessero trovare conforto nel sapere che tutti coloro che erano morti lo avevamo fatto per donare ai sopravvissuti un futuro migliore.
“Tanti auguri, Harry!”
 
*
 
Lunedì 3 agosto, puntuale com’era solito essere, Kingsley suonò alla porta di casa Ashworth dove fu accolto da Edward che lo scortò senza esitazione nella luminosa sala da pranzo in cui Lexie lo attendeva. La donna era seduta sulla panca ricavata all’interno del bovindo con il mento posato sulle ginocchia e le braccia avvinghiate alle gambe nude: lo sguardo rivolto al giardino sul retro della casa non coglieva le sfumature dei fiori tanto cari a sua madre, né il cielo terso sporcato solo da qualche innocua nuvola bianca.
“Vuoi un the, Kingsley?”
“Si grazie, Edward,” annuì l’uomo, prendendo posto sul divano di fronte alla finestra.
“Eccoti qui,” lo salutò Lexie non riuscendo a mascherare l’ansia. “Mi sono chiesta per tutto il weekend quale fosse la proposta che volevi farmi…”
“E?” la spronò l’uomo.
“Non ne ho alcuna idea,” rise lei, mordicchiandosi l’interno della guancia.
“Andrò dritto al punto: gli Auror sono decisamente a corto di personale e Proudfoot ha bisogno su tutti i fronti… Non so se tu abbia voglia di tornare nel corpo, ma volevo sapere se potresti valutare l’idea di diventare una degli insegnanti dell’Accademia…”
Le iridi chiare di Lexie abbandonarono il panorama fuori dalla finestra per incontrare quelle scure di Kingsley: la sorpresa evidente.
“Dici sul serio? Sono stata in coma per anni…”
“Ma eri un’Auror dannatamente brava e sono sicuro che potrai essere un valido esempio per le nuove leve.”
“Ti fidi così tanto di me?”
“Così come mi fidavo quando eravamo sul campo insieme… certo, dovrai approfittare di questo mese per rimetterti in pari con il programma del corso di addestramento, ma non vedo perché tu debba avere dei problemi.”
Lexie annuì, continuando a stringere le gambe a sé.
“Immagino tu voglia pensarci su,” continuò Kingsley, scrutandola.
“In realtà no…” ammise lei.
“Davvero?”
“Dimmi solo quando devo iniziare…” sorrise Lexie, comprendendo che quello poteva davvero essere il suo destino: non riusciva a immaginarsi nuovamente in campo a battagliare con il nemico, ma avrebbe potuto istruire i futuri Auror e renderli pronti a qualsiasi evenienza.
“Speravo che mi avresti risposto così,” mormorò Kingsley, sorridendole grato.



 
Nota dell’autrice:
Rieccomi anche qui, di ritorno finalmente ad aggiornare questa storia cui tengo tantissimo. Spero che questo aggiornamento sia stato di vostro gradimento, anche se non è andato proprio come avevo pianificato , visto che Harry e Ginny si sono presi la maggior parte del capitolo — ma era anche ora che i due parlassero di quanto accaduto a Hogwarts; Ginny ha anche preso l’iniziativa perché, siamo sinceri, Harry non l’avrebbe mai fatto. Ho gettato le basi per il futuro di Percy e Audrey, oltre che per quello di Hestia e Alistair: dite che lei andrà a vedere la partita con sua sorella? E che dite della richiesta di Kingsley a Lexie? Non riesco a immaginarmi che la donna torni sul campo a cuor leggero, ma potrebbe essere fondamentale in Accademia.
Fatemi sapere che ne pensate e ci sentiamo presto con il prossimo aggiornamento: scopriremo se Ron e Harry sono stati ammessi all’Accademia, festeggeremo il compleanno di Ginny (e di Lexie che è nata lo stesso giorno), rivedremo George e Angelina, oltre ad andare in Francia con Percy e Audrey e Bill e Fleur.
 

 
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 – How could we know joy? ***


Capitolo 14 – How could we know joy?
 
 
 
“Without pain, how could we know joy?
This is an old argument in the field of thinking
about suffering and its stupidity and lack of sophistication
could be plumbed for centuries but suffice it to say
that the existence of broccoli does not,
in any way, affect the taste of chocolate.”
John Green – 'The fault in our stars'
 
 
La vista di Parigi dalla collina di Montmartre toglieva il fiato: la metropoli era un intricato dedalo di strade che s’incrociavano tra loro, attraversate dal corso placido della Senna, e di luci che iniziavano ad accendersi con l’incombere del tramonto che Fleur aveva insistito per ammirare da lì nell’afosa serata d’agosto. Le viuzze del quartiere che si sviluppava alle spalle della grande basilica candida erano disseminate di piccole botteghe di artisti e di deliziosi caffè, che poco avevano a che fare con le aree più trafficate della capitale francese — Bill si era innamorato da subito del quartiere di cui sua moglie gli aveva da sempre tessuto le lodi.
“Sono così contonta di essere qui…”
“Lo sono anch’io, tesoro, ne avevamo un gran bisogno.”
Fleur si lasciò andare contro il petto del marito, sorridendo quando le braccia di Bill si posarono automaticamente sui suoi fianchi.
“Je t’aime,” le sussurrò l’uomo, sfiorandole i capelli con un bacio.
“Moi aussi,” rispose, sollevando il viso per catturare le labbra di Bill tra le proprie.
Rimasero lì a godersi lo spettacolo — stretti l’una all’altro — mormorandosi qualche parola ogni tanto, finché il sole non svanì in un tripudio di sfumature variopinte lasciando spazio a una splendida notte stellata.
“Non so tu, ma la scarpinata che mi hai costretto a fare mi ha messo una gran fame…” stuzzicò Bill, sfoderando il suo miglior sorriso, “dove mi porti per cena?”
“Conosco un posticino splendido proprio qui viscino,” lo rassicurò Fleur, afferrando la mano del marito e trascinandolo con entusiasmo verso il quartiere che aveva mantenuto vive le caratteristiche bohémien risalenti alla Belle Époque.
 
Più tardi, gustando la bouillabaisse che sua moglie tanto adorava e brindando con lo champagne, Bill si ritrovò a pensare ai mesi che si erano lasciati alle spalle — un periodo in cui non avevano avuto tempo da dedicare l’uno all’altra — e promise a se stesso che avrebbe fatto in modo di trovarlo sempre in quelli a venire e per il resto della loro vita.
Fleur fece tintinnare i loro calici l’uno contro l’altro. “Propongo un brindisi.”
“A cosa?”
“A te, mio meraviglioso marito,” gli sorrise radiosa e Bill non poté che rispondere al suo sorriso, sentendosi l’uomo più fortunato del mondo.
“Solo se possiamo brindare anche a te, mia stupenda moglie,” ribattè strizzandole l’occhio, prima di avvicinarsi e baciarla velocemente.
Si separarono, continuando a rimanere protetti da una bolla di felicità che escludeva il resto dei presenti, di cui Bill sentiva gli sguardi addosso.
“Non sembra anche a te che sci guardino?” gli domandò Fleur.
“Mhmm… probabilmente si chiedono che ci fa una donna stupenda come te, con uno sfregiato come me…”
Le iridi chiare di Fleur vennero attraversate da un lampo di fastidio. “Sono più che convinta che le donne ci guardano perché ti trovano sexy, amour, e poi noi francesi siamo molto romantiche, lo sai… probabilmente si stanno chiedendo da quale tragica situazione tu mi abbia salvato per ridurti in questo modo,” ribattè ammiccante.
Le labbra di Bill si piegarono in un nuovo sorriso, che metteva in evidenza le cicatrici pallide, ma che per Fleur rimanevano solo un motivo che la spingeva ad amare il marito ancor di più. “A me importa che un’unica donna mi trovi sexy e quella donna sei tu,” chiarì lui.
“E stai pur certo che io ti trovo molto sexy,” dichiarò Fleur, intrecciando le dita a quelle di Bill. “Ma lo stesso vale per quelle due fanciulle al tavolo all’angolo,” aggiunse con un sorriso.
L’uomo lanciò un’occhiata alle ragazze a cui alludeva la moglie, intente a parlottare fitto e a osservarli cercando di non farsi notare. “Magari ci considerano una versione moderna de La bella e la bestia…” asserì, tornando a concentrarsi su Fleur.
“E tu saresti la Bestia, scusa?” s’infiammò lei, arcuando le sopracciglia perfette.
“Beh, di certo non posso essere la Bella, visto che quel ruolo non può che spettare a te, mia radiosa sposa…” le sussurrò, strizzandole l’occhio.
“Come est possible che disci sempre la cosa giusta?” domandò Fleur, intrecciando le dita a quelle di lui.
“Sei tu che mi ispiri,” la rassicurò Bill.
Il viso di Fleur tornò ad aprirsi in un sorriso luminoso. “Che ne dici di ordinare il dolce?”
“Mi sembra un’ottima idea! Cosa mi consigli?”
“Mousse au chocolat, bien sûr,” dichiarò certa Fleur.
“Ostriche, champagne, cioccolato… sta forse cercando di sedurmi, Madame?” celiò Bill, inarcando le sopracciglia.
“Forse… del resto stiamo festeggiando il nostro primo anniversario nella città più romantica del mondo, no?” gli rispose, chiamando il cameriere.
 
Quella notte, dopo aver fatto l’amore, Fleur posò la testa sul petto di Bill concentrandosi sul battito del suo cuore che decelerava lentamente.
“Se penso a quanto abbiamo sofferto negli ultimi mesi, non mi sembra ancora vero di essere qui…”
L’uomo si limitò ad accoglierla meglio tra le sue braccia, accarezzando delicatamente la sua schiena nuda.
“Sei stato così forte, nonostante tutto Bill, e io non credo di riuscire a dirti a parole quanto ti amo. Per anni sono stata trattata come una prinscipessina, una damigella da salvare, e non sai quanto sono stata felisce di diventare campionessa del Torneo Tremaghi, per avere la possibilità di dimostrare il mio valeur… eppure la gente continuava a credere che io fossi indifesa!” la sua voce era un sussurro calmo, eppure Bill sapeva che la moglie dentro di sé ardeva.
“Solo chi non ti conosce può credere che tu sia indifesa, tesoro,” le bisbigliò tra i capelli che riflettevano la luce lunare — unica illuminazione della stanza.
“Tu sei l’unico che ha provato a conoscermi, che non si è fermato all’apparenza e non ha scercato di trattarmi come una bambolina,” aggiunse Fleur, puntellandosi su un gomito per incontrare lo sguardo del marito. “Credo che quello che sto scercando di dirti, in maniera davvero pessima, è che ti ringrazio per aver scelto di starmi accanto ogni giorno, senza cercare di cambiarmi, e per dimostrarmi con i piccoli gesti quanto davvero io sia importonte per te.”
Bill lasciò che una delle sue mani s’insinuasse nei lunghi capelli biondi della moglie, prima di attirarla a sé e baciarla con lentezza, assaporando le fragole che avevano ordinato al servizio in camera e perdendo la cognizione del tempo — contavano solo Fleur, i battiti dei loro cuori che procedevano all’unisono e i loro corpi nudi, premuti l’uno all’altro.
“E io ringrazio te, per aver scelto di sposarmi nonostante l’attacco di Greyback, perché non sapevi se mi avrebbe cambiato… e non parlo di un cambiamento esterno, so che di quello non ti è mai interessato, ma delle cicatrici che avrebbe potuto lasciarmi internamente, quelle stesse cicatrici che hai lenito ogni giorno dimostrandomi il tuo amore e la tua forza di volontà; quelle cicatrici che sono state riacuite dalla morte di Fred, ma che non ti hanno spaventata nemmeno questa volta e che hanno invece rafforzato il nostro legame… sei una donna bellissima, Fleur, ma io ti amo per il tuo cuore grande e per la forza immensa che mi dimostri in ogni momento di difficoltà,” dichiarò, scostandole una ciocca di capelli che era andata a coprirle il volto e gli impediva di vedere le lacrime che le imperlavano le ciglia.
“Ti amo immensamente, Fleur.”
“E io amo immensamente te, Bill,” gli rispose, prima di schiudere nuovamente le labbra su quelle di lui e lasciare che il mondo esterno si trasformasse in un’eco sempre più debole — quella notte l’avrebbero dedicata solo a loro stessi e all’amore che li legava.
 
*
 
Il primo martedì di agosto la colazione alla Tana venne interrotta dall’arrivo di un gufo ministeriale, che portava due buste nel becco indirizzate a Ron e Harry. I due ragazzi le afferrarono titubanti, scambiandosi un’occhiata incerta e rimanendo a osservare le buste quasi sperando che si rivelassero essere Strillettere — così da scoprirne il contenuto senza doverle aprire.
“Non riesco a credere che abbiate davvero timore di aprirle,” borbottò Ginny, spalmando una generosa dose di marmellata alle fragole sul suo toast.
“Beh, si tratta pur sempre del risultato di un esame,” le fece notare Harry.
“Un esame per il quale non ci siamo preparati con Hermione, come nostro solito,” puntualizzò Ron, deglutendo rumorosamente.
“Volete che la apra io?” insistette la ragazza.
I due scossero la testa.
“Insieme?” propose Ron.
Harry annuì, rompendo il sigillo ministeriale e recuperando la pergamena, per poi scorrere il testo della lettera con il cuore che gli martellava nel petto: era stato ammesso all’Accademia.
“Ammesso!” esultò Ron accanto a lui.
“Anch’io,” gli rispose, ricambiando il sorriso soddisfatto del suo migliore amico.
“Eravate gli unici a nutrire dei dubbi,” li prese in giro Ginny, prima di alzarsi per abbracciare prima Harry e poi Ron.
“Sono così fiera di voi, ragazzi,” aggiunse Molly, stringendoli con affetto.
“Mi sento già più sicuro all’idea che voi due sarete tutori della legge,” li incalzò con un piccolo sorriso George.
Entrambi sorrisero, felici che il gemello avesse salutato la buona notizia con una battuta.
“Arthur sarà così orgoglioso,” commentò Molly, sorridendo nuovamente ai due.
“Devo comunicare la bella notizia a Hermione,” dichiarò Ron, alzandosi alla ricerca di una pergamena.
“Ma arriverà qui più tardi,” gli fece notare Harry.
“Certo, ma non me la farebbe mai passare liscia se non le scrivessi…”
Le labbra del Bambino Sopravvissuto si piegarono in un sorrisetto divertito, perché Ron aveva completamente ragione.
“Ti rendi conto che non ci ha mai raggiunto più tardi delle 9:30 ora che i suoi sono impegnati con la riapertura del loro studio dentistico, vero?” gli fece notare Ginny.
Ron fece spallucce, mettendosi a scrivere con una penna autoinchiostrante che aveva recuperato sulla mensola del camino e Hermione quasi andò a sbattere contro il suo corpo allampanato, precipitando fuori dal camino in una nube di Polvere Volante.
“Sono arrivate?” gli domandò concitata.
Ron lasciò cadere penna e pergamena a terra per abbracciarla. “Sì! E siamo stati ammessi entrambi,” le disse, prima di farle fare un mezzo volteggio in aria e ridere con lei.
"Lo sapevo!"
Molly osservò il suo figlio più giovane, e la ragazza che era certa amasse da anni ormai, e percepì quanto davvero fosse cresciuto anche lui in questi ultimi mesi — i suoi figli erano tutti adulti, ma si augurava che avrebbero continuato ad aver bisogno di lei ancora per molto tempo, anzi per sempre...
 
*
 
L’11 agosto quell’anno cadeva di martedì e, per la prima volta da quindici anni, Abigail Ashworth avrebbe avuto l’opportunità di festeggiare il compleanno della sua primogenita — ritornata parte integrante del suo quotidiano, quando forse nessuno ci sperava più. Nessuno tranne lei, perché poteva anche non avere una sola goccia di sangue magico nel suo corpo, ma da dottoressa con alle spalle una lunga carriera — e, soprattutto, da mamma — nel proprio cuore aveva sempre serbato la speranza di tornare a incrociare lo sguardo della persona che l’aveva resa madre quando era poco più che una ragazzina. Aveva organizzato una giornata da passare insieme nelle Londra babbana, proprio come era loro tradizione fare quando Lexie era una studentessa, della scuola elementare prima e di Hogwarts poi, che adorava fare shopping a Oxford Street e passeggiare nei giardini di Kensington, lasciando che la madre le raccontasse della sua infanzia e di come avesse incontrato Edward Ashworth in quello stesso parco ai tempi degli studi in medicina.
Quella sera ci sarebbe stata una grande festa per lei e per Ginny, visto che le due condividevano il compleanno, che avrebbe dato a Lexie l’opportunità di rivedere persone che non aveva ancora avuto l’occasione di incontrare dopo il suo ritorno in Inghilterra. Conoscendo sua figlia, Abigail era più che convinta che la donna fosse già sveglia, così come sapeva che si sarebbe presa altro tempo prima di raggiungere lei e il marito per colazione — aveva compreso bene la scelta di accettare l’offerta della stanza degli ospiti che le aveva fatto Al, continuare a stare con i genitori sarebbe stato decisamente strano per una donna adulta. Sua figlia era sempre stata riflessiva, sin da piccola, non era mai stata una persona che agiva d’impulso, senza considerare le conseguenze e le implicazioni di ogni sua scelta.
In quello stesso momento, a poche miglia di distanza, Lexie era sveglia e rimuginava su quanto diverso fosse il suo compleanno rispetto all’ultimo che ricordava — un compleanno che non era neppure stato festeggiato, visto che era capitato nel mezzo della sua battaglia personale per ottenere giustizia, un compleanno in cui era stata troppo giovane per essere già vedova, un compleanno in cui non aveva fatto ritorno a casa perché sperava ancora di riuscire a trovare l’uomo che aveva trucidato suo marito e il gemello. Un lieve bussare la distolse dai suoi pensieri, costringendola finalmente ad alzarsi dal letto e aprire la porta.
“Buon compleanno, sorellona,” dichiarò Alistair, prima di abbracciarla.
“Grazie,” ribattè, trovando conforto nella presenza del fratello.
“Pronta per andare da mamma e papà?”
“Sì, ho proprio voglia dei famosi pancake di mamma e delle uova di papà…”
“A chi lo dici!”
“Ma tu hai sempre fame?”
Al si strinse nelle spalle. “Ricordati che sono un atleta…”
“Ma non hai più vent’anni, fratellino!”
Lui le rispose facendole una linguaccia e facendola ridere.
“Come faresti senza di me?” la incalzò.
“Non ne ho idea!” esclamò, chiudendosi la porta del bagno alle spalle.
 
Quella sera il giardino della Tana brulicava nuovamente di invitati che, se possibile, erano ancora più numerosi di quelli che erano stati presenti al compleanno di Harry pochi giorni prima. La padrona di casa, aiutata dalla sua famiglia, aveva sistemato diversi tavoli nell’are antistante la casa, oltre a uno più grande — sovrastato da un enorme festone incantato — su cui erano stati posizionati cibi e bevande. Charlie si era occupato della musica, aiutato da Lee Jordan, Bill e Percy avevano disseminato il giardino di lanterne fatate, mentre Arthur s’era fatto assistere da Ed Ashworth per assicurarsi che i babbani non riuscissero a interrompere la serata.
“Capitano? Anche tu qui?” la voce sorpresa di Oliver Wood precedette il suo avvicinarsi insieme a Katie al tavolo in cui Alistair era seduto accanto a Lexie, oltre a svariati membri della famiglia Weasley.
“Beh, è pur sempre il compleanno di mia sorella…”
“Buon compleanno!” esclamò Katie, sorridendo alla festeggiata.
“Grazie mille… piacere, Lexie,” rispose la donna.
Oliver le strinse la mano. “Giocavi a Quidditch anche tu,” mormorò a mezza voce, “sono sicuro di aver letto di te in un registro relativo ai campionati degli anni ’70…”
“Perdonatelo, non capisce davvero nulla quando si parla di Quidditch,” ridacchiò Katie, dopo aver stretto la mano di Lexie a sua volta.
“E così tu sei la futura signora Wood,” le disse Al, stringendole la mano.
Katie annuì.
“Congratulazioni,” commentò Bill.
“Avete già desciso la data?” chiese invece Fleur.
Katie scosse la testa. “Pensiamo all’estate prossima, ma non siamo ancora sicuri se vogliamo sposarci in Scozia o qui in Inghilterra, quindi prima volevamo occuparci di quello…”
“La Scozia in estate ha giornate lunghissime e aiuterebbe molto per organizzare la cerimonia,” continuò la francese.
“Esatto e sono sicura che i miei ci terrebbero particolarmente che mi sposassi nel giardino in cui si sono sposati anche loro…”
“Ora mi ricordo! Sei stata aggredita al termine di una partita in cui avete sconfitto Serpeverde 320-40 nel 1977! Dev’essere stato splendido! Aggressione a parte, s’intende!” esclamò Oliver, attirando l’attenzione di tutti nuovamente su di sé. ¹
“Che vi dicevo?” borbottò Katie, roteando gli occhi spazientita.
Tutti scoppiarono a ridere.
“Che ho detto?” domandò Oliver, non riuscendo a ottenere una risposta dal resto dei presenti — troppo intenti a ridacchiare.
“Non sei affatto cambiato dai tempi della scuola, Ollie,” commentò Percy, riuscendo a riprendersi per primo e ritornando con la mente agli anni in cui aveva condiviso la camera con il portiere del Puddlemere. “Sempre concentrato sul tuo amato Quidditch…”
“E su Katie,” precisò l’altro, strizzando l’occhio alla scozzese.
“E su Katie, meno male…” sorrise Percy, prima di voltarsi verso la propria accompagnatrice. “Ollie, ti presento Audrey Lavall.”
“È un piacere, Audrey, lei è la mia fidanzata Katie.”
“Piacere mio e congratulazioni,” rispose l’ex Corvonero.
“Buon compleanno, Lex,” interruppe Hestia, raggiungendo il gruppo e baciando sulla guancia la bionda.
“Grazie mille!” ribattè, abbracciandola e pizzicando la guancia di Aidan che le rivolse un sorriso sdentato.
“Ma è adorabile!” esclamò Audrey, avvicinandosi, tallonata da Fleur, “quanto tempo ha?”
“Sette mesi,” rispose Hestia.
“Ti somiglia tontissmo…” aggiunse Fleur.
“Meno male…” ribattè l’Auror, imponendosi di utilizzare un tono leggero.
“Così giovane e già così di successo con il gentil sesso,” chiosò Alistair.
“Invidioso, Ashworth?” lo punzecchiò svelta Hestia.
“Nah,” il Cacciatore scosse la testa. “Sarò ben felice di insegnargli tutto ciò che ho imparato sulle donne…”
“Quindi ben poco,” lo rimbeccò sfrontata la ex Corvonero.
Alistair spalancò la bocca sbalordito, non riuscendo a trovare una risposta adatta e facendo di nuovo scoppiare a ridere i presenti.
“Se fossimo alla scuola materna, adesso lui le tirerebbe le trecce,” sogghignò Charlie, dando di gomito al fratello maggiore.
“George, hey! Eccoti finalmente!” esclamò la voce allegra di Angelina.
“Angie, benarrivata…” la salutò il gemello sopravvissuto, genuinamente felice di rivederla.
“Non devi chiamarmi così, lo sai!”
“E tu sai che non resisto a vedere quell’espressione imbronciata sul tuo viso,” le rispose svelto.
La giocatrice scosse la testa, scegliendo di non ribattere. “Ecco il regalo per tua sorella,” gli disse invece, porgendogli una busta verde e gialla.
“Grandissima!” esclamò, abbracciandola di slancio.
“Spero che le piacerà,” aggiunse la Cacciatrice, dopo che George l’ebbe liberata.
“Stai scherzando? Non ci sono dubbi!”
“Di che si tratta?” domandò Bill.
“Già, non ci hai voluto anticipare nulla,” aggiunse Charlie.
“È un invito al campo estivo di preparazione alla stagione 1999-2000 delle Holyhead Harpies,” spiegò George, sorridendo entusiasta.
“Se l’avessi saputo ti avrei fatto avere quello per il Puddlemere…” borbottò, stizzito, Al.
“Ma Ginny è una fan sfegatata delle Harpies,” spiegò George.
“Com’è giusto che sia!” aggiunse Angelina.
“Ma sentila… nemmeno giocheresti se non ti avessi scelta per la squadra!” s’infiammò Oliver.
Hestia roteò gli occhi. “Ma voi Grifondoro siete tutti così dannatamente competitivi?” domandò a Lexie.
“Temo di sì…”
“Comunque giocavi a Quidditch anche tu!” puntualizzò Al. “All’ultimo anno eravamo capitani insieme…”
“E tua sorella Megan, laggiù,” George indicò un gruppo di membri dell’ES tra cui spiccava la mora, “era decisamente super competitiva…”
“Secondo me è colpa del Quidditch,” dichiarò Percy solennemente.
“Io non giocavo, ma tifavo comunque appassionatamente!” ribattè Audrey.
“E mi pare di ricordare una tua scommessa relativa al Quidditch con Penelope,” rimarcò Oliver, incrociando le braccia.
“Caricate di capirlo, non deve essere facile ritrovarsi a essere l’unico in famiglia a non essere stato parte della gloriosa squadra di Quidditch di Grifondoro…” rincarò la dose Charlie, con un sorriso luminoso.
Percy borbottò qualcosa di inintelligibile tra sé, spingendo Audrey a baciarlo sulla guancia ormai della stressa tonalità dei suoi capelli.
“Devo dire che cominciano proprio a piacermi queste feste a casa Weasley,” sussurrò la ragazza.
“E io che speravo di convincerti a non frequentarle più…”
“Mhmm, invece spero proprio di presenziare per un lungo, lunghissimo, tempo…” ribadì, facendolo arrossire ancor di più.
 
Quando il cielo si era ormai fatto scuro, venne finalmente il momento delle torte e della canzone di compleanno per le due festeggiate, che si abbracciavano raggianti — al centro dell’attenzione.
Guardandosi intorno, nuovamente circondata da facce amiche, Lexie sentiva che ce l’avrebbe fatta a superare il dolore per le troppe perdite che l’avevano colpita; certo, aveva perso Fabian e forse non avrebbe più trovato l’amore, ma aveva avuto la fortuna di viverne uno talmente totalizzante che avrebbe potuto bastarle per il resto della vita. Ancora non riusciva a credere che Fred non ci fosse più, ma aveva ritrovato il resto dei nipoti che tanto amava e ci sarebbe sempre stata per loro; aveva detto addio a Lily e James, ma aveva anche la chance di trasformarsi in un punto di riferimento per Harry; non aveva potuto dire addio a Sirius, ma avrebbe raccontato a tutti quanto fosse stato coraggioso e leale; non aveva dato l’ultimo saluto nemmeno a Remus, ma ci sarebbe stata per il figlio neonato che sarebbe cresciuto sicuramente circondato dall’immenso amore di tutti i presenti.
“Esprimete un desiderio!” ricordò loro Arthur.
Le iridi cerulee di Lexie incontrarono quelli nocciola della nipote che aveva lasciato neonata e ritrovato donna; la più giovane le strizzò l’occhio complice, prima di stringerle la mano e soffiare insieme a lei sulla miriade di candeline, incantate per non spegnersi facilmente.
 
Più tardi, quando la musica era stata abbassata per dare occasione alla gente di parlare più facilmente, Ginny era circondata da alcuni dei suoi amici più cari.
“Allora? Qual è stato il tuo regalo preferito?” domandò Demelza.
“Mhmm, difficile a dirsi…”
“Non mi offenderò se ammetterai di aver preferito il regalo di George,” celiò Harry, baciandole la tempia.
Ginny scoppiò a ridere. “Gli allenamenti con le Harpies in effetti sono un sogno, ma una settimana di vacanza a Brighton con te è difficile da superare…”
“Sappiamo tutti che a Brighton ci puoi andare in qualsiasi momento, gli allenamenti con le Harpies invece sono unici,” ridacchiò Megan.
“Ringrazia anche tua sorella,” le rispose Ginny.
“L'avrà già fatto Angelina. Devo proprio?” domandò la gallese, mentre Morag le assestava una gomitata.
“Probabilmente ora però Alistair si sentirà in dovere di invitarti anche al campo di allenamento del Puddlemere,” aggiunse Ron.
“Se gli dicessimo che servirebbe per convincere la sorella di Megan a uscire con lui lo farebbe,” commentò Seamus.
“Come faccia a rifiutarlo, vorrei proprio saperlo!” si lamentò Hannah.
“Ah, non chiederlo a me,” fece spallucce Megan.
“Lo avete notato anche voi, eh?” ridacchiò Ginny.
“Credo che solo i Nargilli non se ne renderebbero conto…”
Se anche il commento di Luna avesse stupito qualcuno, nessuno di loro si premurò di farglielo notare.
“Comunque potrei anche accettare il suo invito, eventualmente, andrei a spiare le loro tattiche…” dichiarò Ginny.
“Non sarebbe leale,” le fece notare Hermione, spalleggiata da Neville.
La festeggiata si strinse nelle spalle. “Non credo che comunicherebbero a dei novellini le loro tecniche di allenamento segrete.”
“E poi se servisse a vincere non vedo perché non farlo,” aggiunse Dean.
“E sappiamo tutti che la qui presente festeggiata è molto competitiva…” dichiarò Harry.
“Sei stato il mio Capitano, la colpa sarà un po’ anche tua!”
“Secondo me più che altro di Angelina,” borbottò Ron.
“E siete stati fortunati a non aver a che fare con Oliver,” disse Harry, ripensando ai suoi primi allenamenti.
“E tu che Capitana hai intenzione di essere?” domandò Hermione.
“Sicuramente esigente, ma giusta e non troppo fiscale… del resto abbiamo tutti avuto un anno difficile, no?”
Gli altri annuirono, mentre Ginny si stringeva a Harry.
“Non vedo l’ora di partire,” le sussurrò all’orecchio provocandole una scia di brividi che dalla nuca raggiunsero la base della schiena.
“Anch’io…”
“Allora siamo d’accordo che va bene se vi raggiungiamo per il weekend, vero?” si premurò di assicurarsi Hermione.
“Ma certo, da venerdì a domenica,” rispose Harry.
“Anzi, il sabato sera potremmo organizzare un bonfire sulla spiaggia,” s’entusiasmò Ginny. “Dovreste venire tutti e invitare anche chi non è qui in questo momento…”
Un coro di assenso si alzò dai presenti, rendendo più vispo il sorriso di Ginny.
“Credo proprio che il mio regalo preferito sarà comunque il tuo, Harry,” sussurrò contro le labbra del ragazzo. “E non vedo l’ora di scartarlo…”
 
*
 
“Non ci pensare neanche!”
Il mattino seguente Hestia non aveva ancora messo piede in cucina, quando il tono accusatorio di sua sorella minore l’accolse con quell’esclamazione perentoria.
“Di cosa stiamo parlando?” le chiese quindi, dissimulando indifferenza.
“Delle scuse che accamperai per non venire ad assistere alla partita a cui siamo state invitate da Alistair Ashworth,” asserì la Tassorosso, incrociando risolutamente le braccia.
“Perché ci tieni così tanto che io sia presente? Il tuo invito non è subordinato al mio e mi pareva di aver capito che Morag non vedeva l’ora di accompagnarti e oltre a lei una mezza dozzina di altre tue amiche,” rispose la maggiore, prendendo posto al suo fianco e allungandosi verso il bricco del caffè. “Sappiamo entrambe che una delle ragioni per cui non vedi l’ora di prender parte all’incontro è la possibilità di infastidire Gwen,” aggiunse, posando il mento sul palmo della mano.
Megan assottigliò gli occhi, reprimendo uno sbuffo. “Esattamente come sappiamo che tu non vuoi venire perché Alistair ti piace e questo ti spaventa.”
“Questo è un colpo basso!”
Megan scrollò le spalle. “Forse, ma non puoi fingere che non sia la verità…”
“Forse non posso farlo, ma non significa che lui debba venire a conoscenza di questa verità…”
“Una volta eri senza paura, sorellona, odio pensare che quell’idiota di Tim Collins abbia influito così tanto su di te,” mormorò Megan, stringendo una mano dell’Auror tra le proprie. “Non dovresti attribuire un simile potere a una persona che decisamente non lo merita.”
“Ma quand’è che avrei smesso di essere io quella che dispensa buoni consigli, scusami?”
“Non hai smesso, hai solo dovuto prendere una pausa… sai, con l’arrivo di Aidan e tutto il resto,” Megan le strizzò l’occhio e Hestia l’abbracciò forte.
“È così strano pensare che tu sia cresciuta a non abbia più bisogno di me…”
“Avremo sempre bisogno l’una dell’altra e dovremo aiutarci nei momenti di bisogno, motivo per cui ti ingiungo di presenziare alla partita che inaugurerà il campionato del Puddlemere e dei Tornadoes.”
“Non demordi mai, eh?”
La più piccola scosse la testa con veemenza.
“Questa è una caratteristica che ti accomuna a Gwenog,” dichiarò Hestia, sogghignando.
Megan roteò gli occhi. “Dì quel che ti pare, continuerò a insistere finché non mi prometterai di esserci.”
“Se ti prometto subito che ci sarò mi lascerai bere in santa pace il caffè? Non so se non te ne sei accorta, ma tuo nipote non mi ha fatto dormire molto…”
Megan cacciò un urlo, prima di abbracciare stretta la sorella. “Sapevo che ti avrei convinta!”

 


¹ Trattasi di un mio headcanon che ho raccontato nel capitolo 24 di “Promesse da mantenere”; sostanzialmente dopo la sconfitta bruciante subita dai rivali Mulciber ha pensato bene di colpire il bolide che Madama Bumb non aveva ancora riacciuffato e ha disarcionato Lexie dalla scopa, rischiando di farle molto male, è intervenuto Silente ad attutire la caduta e a punire il colpevole.
 

Nota dell’autrice:
Eccoci qui! Ho pensato di non farcela, perché continuavo a limare alcuni dettagli e riorganizzare le varie scene, ma alla fine ce l’ho fatta.
Chi ha già letto altre mie storie avrà notato che ho un po’ una predilezione per i tramonti e questa volta è toccato a Bill e Fleur, ma chi non si fermerebbe ad ammirare il panorama quando si trova a Parigi insieme alla sua dolce metà?
Alla fine ho deciso di mostrare nel prossimo capitolo il regalo di Harry a Ginny, anche se l’allusione è più che evidente e ne avevamo già parlato un paio di capitoli fa. Il regalo di George invece è liberamente ispirato a una OS della nuova generazione di Rosmary, in cui Albus Severus viene invitato agli allenamenti del Puddlemere dal cugino Fred Jr.
Nel prossimo capitolo rivedremo anche più Ron e Hermione, poveri, e torneremo in Francia — questa volta con Percy e Audrey — oltre che andare a Brighton. Dal successivo si torna alla vita reale: Hogwarts, Accademia, lavoro…
Spero, come sempre che la storia continui a piacervi, io sinceramente mi emoziono mentre la scrivo.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 – You only live once ***


In questo capitolo è presente una scena erotica, nulla di eccessivo, ma volendo la potete saltare senza perdere il senso della storia.


 
Capitolo 15 – You only live once
 
 
 
“You only live once,
but if you do it right,
once is enough.”
Mae West
 
 
Anni fa Percy non avrebbe mai immaginato di improvvisare una vacanza con una ragazza che conosceva da pochi mesi e della quale si stava innamorando perdutamente — nonostante non avesse ancora trovato il momento giusto per confessarglielo. Il vecchio Percy lasciava poco spazio alla spontaneità e alle decisioni prese nella foga del momento, ci aveva sempre tenuto a specificare che quelli erano atteggiamenti tipici delle persone non organizzate e lui era decisamente una persona molto meticolosa. Eppure eccolo lì, preso a infilare gli ultimi indumenti in uno zaino ingrandito e alleggerito magicamente, prima di raggiungere casa di Audrey e smaterializzarsi a Dover per prendere il traghetto per la Francia. Un sacchetto di carta pieno di biscotti fatti in casa e muffin fu l’ultima cosa che Percy infilò nello zaino, sopra a tutto il resto, in modo da poterne offrire in abbondanza ad Audrey non appena si fossero visti — sempre memore del suo smisurato amore per i dolci appena sfornati. Sua madre lo aveva invitato a colazione quella mattina, per avere occasione di consegnargli tutte quelle leccornie, aurandogli buon viaggio e aggiungendo quanto fosse bello vederlo così felice e spensierato, nonostante tutto.
 
“Ho sentito Audrey raccontare a Fleur quanto le fossero piaciuto i miei dolci, tesoro. E che vacanza sarebbe senza biscotti e muffin per il viaggio?”
Percy ricambiò il sorriso genuino di sua madre, convinto di non riuscire a esprimere a parole quanto stesse provando.
“Quella ragazza è un vero toccasana,” continuò Molly, accettando una tazza di caffè dal marito. “È proprio vero che le cose belle della vita arrivano quando meno te lo aspetti…”
Percy annuì pensierosamente, trovandosi a riflettere su quella frase e rendendosi conto di quanto fosse decisamente vera: aveva incontrato Audrey per caso, o per fortuna, in un momento in cui il suo disgusto per sé e per il comportamento tenuto nei confronti della sua famiglia era ai massimi livelli. La spontaneità di Audrey era stata una boccata d’aria fresca in un periodo buio e la loro amicizia era nata proprio nel momento in cui ne aveva più bisogno; il fatto che dall’amicizia fosse sbocciato un sentimento ancora più profondo riempiva Percy di una felicità che non sentiva di meritare.
“Hai ragione, mamma,” sussurrò infine, sospirando.
“Che succede, figliolo?” chiese il padre, sedendosi alla sua destra.
“È solo che mi chiedo se sia giusto essere così felice… quando, beh, quando Fred non ha nemmeno potuto festeggiare la fine di questa guerra, ecco…”
“Oh, tesoro,” la mano di Molly gli accarezzò dolcemente la guancia, proprio come era solita fare quando era piccolo ed era stato preso dallo sconforto. “Sono sicura che Fred stia facendo il tifo per la felicità di tutti noi,” mormorò Molly con voce tremante.
“Ci eravamo appena riappacificati e…” la sua voce s’affievolì.
“È ingiusto, lo sappiamo, ma purtroppo non possiamo cambiare quanto è successo,” gli disse il padre. “Ciò che possiamo fare è vivere le nostre vite al meglio, proprio come Fred ha sempre fatto.”
“Sai, fratellone, Audrey gli sarebbe piaciuta davvero tanto,” disse una voce dalle scale che portò i tre a voltarsi e trovarsi faccia a faccia con George.
 “Dici?”
George annuì, prendendo posto di fronte a Percy. “E ti suggerirebbe anche di confessarle ciò che provi, prima che qualcun altro si possa render conto di quanto sia meravigliosa…”
Percy spalancò la bocca in un’espressione meravigliata. “Come sai, quello che…”
“E dai, fratellone! Te lo si legge in faccia che sei innamorato perso…”
 
Percy scosse la testa, chiudendo lo zaino e chiedendosi se quanto George gli aveva detto fosse, davvero, evidente per tutti: da una parte poteva significare che anche Audrey l’avesse capito, ma dall’altra significava anche che era il momento di essere sinceri e utilizzare il poco coraggio da Grifondoro che, da sempre, l’aveva contraddistinto. Un’ultima occhiata per assicurarsi che non avesse dimenticato nulla fu sufficiente, prima di smaterializzarsi nelle vicinanze di casa sua e raggiungere la porta d’ingresso con una camminata di un paio di minuti. Non ebbe bisogno di bussare, perché Audrey spalancò la porta non appena ebbe salito l’ultimo scalino: indossava un paio di short di jeans e una maglietta verde acqua che faceva risaltare i suoi occhi chiari, i capelli erano spettinati e le guance arrossate.
“Sono un pochino in ritardo, Perce, la sveglia non è suonata… entra e bevi pure un caffè, arrivo in due minuti,” una volta detto questo era sparita su per le scale e Percy si era diretto in cucina dove ad attenderlo trovò una ridacchiante Sally Davies.
“Ciao, Sally.”
“Ciao, Percy, caffè?”
Solitamente non amava abusare di caffeina e quella sarebbe stata la sua terza tazza del giorno, ma si trattava pur sempre la vigilia di un viaggio e un po’ di insonnia non sarebbe stata di certo un problema durante la vacanza che lo aspettava.
“Grazie,” sorrise alla coinquilina e migliore amica di Audrey.
“Muffin o biscotto?” le propose di rimando, aprendo il sacchetto e lasciando che il profumo di burro e cioccolato pervadesse la cucina.
“Mhmm, e se ti dicessi entrambi?” ridacchiò la bionda, sbirciando nel sacchetto.
“Ti direi che faresti bene…”
“A far cosa?” domandò Audrey, riapparendo con i capelli raccolti in una coda, una piccola borsa di pelle rossa e uno zaino da trekking blu.
“Ad assaggiare sia i muffin che i biscotti di mia madre,” le rispose prontamente Percy, allungandole il sacchetto.
Le pupille di Audrey si dilatarono all’interno delle sue iridi acquamarina e la ragazza rivolse un sorriso deliziato a Percy, stampandogli un bacio sulle labbra, prima di pescare un enorme muffin ai mirtilli dal sacchetto e portarlo alla bocca. “Mhmm, morivo di fame…” aggiunse dopo aver deglutito.
“Mamma ti ha sentito dire a Fleur quanto ti fossero piaciuti i suoi dolci,” confessò Percy, strizzandole l’occhio.
“Li ha fatti per noi? Per la nostra vacanza?”
Percy annui. “Credo più che altro per te…”
Audrey lo baciò di nuovo: un bacio che aveva il sapore di zucchero e di nuove possibilità, di mirtilli e di prospettive inaspettate, un bacio che fece render conto Percy di quanto le parole di George fossero vere.
“Andiamo?” propose poi l’ex Corvonero, vedendo che Percy aveva terminato il suo caffè.
Il giovane annuì, occhieggiando l’orologio. “Il traghetto parte alle 10:30, quindi abbiamo tutto il tempo di raggiungere Dover con calma.”
“Divertitevi”, li salutò Sally, mentre i due si smaterializzavano con un pop.
 
La locanda Le bleu Papillon si ergeva al centro di un esteso appezzamento di terra situato a una manciata di kilometri di distanza dall’isolotto tidale di Mont Saint-Michel: si trattava di un’abitazione a graticcio, tipica della Normandia e di altre regioni del nord della Francia, le cui persiane blu fiordaliso con intagli a forma di cuore risaltavano sulla facciata bianca, era circondata da un giardino rigoglioso e colorato, che si affacciava sulla lunga spiaggia che conduceva al santuario costruito in onore di San Michele Arcangelo che dava il nome alla famosa isola. Era stata Fleur a consigliare a Percy e Audrey di prenotare una stanza nel delizioso bed & breakfast con vista sull’Oceano Atlantico in cui la ragazza aveva trascorso numerose vacanze con la sua famiglia crescendo. La locanda era gestita da una coppia di maghi sulla sessantina, aiutati dai loro quattro figli e dalle famiglie di questi, che vivevano tutti nel pittoresco paesino abitato da una comunità magica abbastanza numerosa.
“Che posto meraviglioso!” esclamò Audrey, dopo aver aperto il cancello di legno e imboccato il sentiero che conduceva all’edificio principale.
“Dovremo ringraziare Fleur,” commentò Percy, intrecciando le dita della sua mano destra con quelle della sinistra della ragazza.
“Decisamente…” ribattè Audrey, osservando gli alberi da frutto che li circondavano e inspirando a pieni polmoni il profumo emanato da essi.
Dopo aver ottenuto la chiave della loro stanza con bagno privato, il cui balcone aveva una vista mozzafiato sull’oceano, i due decisero di uscire a esplorare i dintorni pronti a godersi lo spettacolo che le maree creano intorno al ben noto isolotto.
 
Ore dopo, i due raggiunsero Mont Saint-Michel, approfittando della bassa marea e camminando nelle viuzze del minuscolo paese arroccato sulla collina che durante l’alta marea è circondata dal mare.
“Sapevi che secondo un’antica leggenda babbana la spada di San Michele lasciò, durante la lotta contro Satana, una fenditura invisibile ancora presente nelle viscere della terra e che, a partire da questo solco, si possono unire in un’unica linea immaginaria sette luoghi facenti parte del cosiddetto Itinerario di Gerusalemme dedicato al culto dell’arcangelo Michele?”
Audrey si fermò a osservare il panorama che li circondava, inspirando a pieni polmoni l’aria salmastra, per poi voltarsi verso Percy con i capelli scuri che le incorniciavano il viso svolazzando nella brezza e rivolgergli un sorriso contagioso. “Come fai a ricordarti tutte queste cose, Perce?”
“Mi piace informarmi sui luoghi che visito, forse perché finora nella vita ho avuto poche occasioni per viaggiare e le ho sfruttate al massimo…” ammise, scrollando le spalle, “e poi, probabilmente ancora non l’hai notato, ma mio padre è un vero fanatico dei babbani e di tutto quello che li riguarda, quindi tanti aneddoti ce li ha raccontati lui stesso.”
“Non avrai viaggiato molto, ma hai avuto una famiglia che ti ha amato incondizionatamente e questo vale molto di più, non trovi?”
Anni prima Percy avrebbe rabbiosamente scosso la testa, ritrovandosi a provare invidia nei confronti delle famiglie che potevano permettersi vestiti e materiale scolastico nuovo, libri e accessori ultimo modello, ma in quel momento osservando le iridi illuminate dal sole della ragazza davanti a lui non poté che annuire e trovarsi d’accordo con lei.
“Nulla vale più di quello,” confermò in un sussurro, battendo furiosamente le palpebre per cercare di non lasciar sfuggire le lacrime.
“Va tutto bene, Perce?”
Si limitò ad annuire, sostenendo lo sguardo colmo di preoccupazione di Audrey, prima di prendere un respiro profondo e seguire, forse per la prima volta nella sua vita, l’istinto che gli diceva di lasciarsi andare completamente con lei e cercare di farle capire quanto fosse diventata importante. La ragazza gli accarezzò con delicatezza una guancia, avvicinandosi, e Percy prese l’altra mano di Audrey tra le proprie, per poi incontrare le sue iridi impensierite e dedicarle un sorriso appena accennato. Aveva pensato di portarla fuori a cena in qualche posto romantico, ma in tutta franchezza non credeva di poter aspettare così tanto, e il luogo in cui si trovavano era abbastanza idilliaco da prestarsi comunque a fare da sfondo a quello che si augurava potesse essere un momento cruciale della loro relazione.
“Devo preoccuparmi?” chiese ancora Audrey, sfiorandogli nuovamente la guancia.
“No, scusami, non devi,” la rassicurò lui, lasciandosi andare al suo tocco e sospirando. “Stanotte non riuscivo a dormire e mi ero preparato un discorso che convogliasse tutti i miei sentimenti per te, ma adesso non ricordo assolutamente nulla e non credo nemmeno che sia importante, perché in realtà quello che conta è che tu mi hai ridato la vita, Audrey… dopo aver abbandonato la mia famiglia ho lasciato che anche il mio rapporto con Penelope naufragasse, proprio come quello con i miei genitori e i miei fratelli, troppo arrogante per ammettere quanto lei avesse ragione nel dirmi che avevo sbagliato ad abbandonarli. Lei è stata la mia prima, e unica prima di te, ragazza e dopo che anche Penny è sparita dalla mia vita ho creduto davvero che sarei rimasto da solo per il resto dei miei giorni, perché non meritavo la felicità…”
Audrey fece per interromperlo, ma lui le posò l’indice sulle labbra, “fammi continuare, ti prego…”
La ragazza annuì, ritrovando il contatto con le dita di Percy e incatenando le proprie iridi a quelle di lui.
“Credevo che il rimpianto mi avrebbe mangiato vivo, non sapevo se avrei mai avuto occasione di redimermi ai loro occhi e, dopo averli riabbracciati durante la battaglia, ho pensato che se fossi morto almeno lo avrei fatto da uomo finalmente orgoglioso di quello che era diventato. La morte di Fred ha sconvolto tutti noi, eppure in qualche modo è stata proprio quella a spingermi a proseguire in questa sorta di redenzione, perché la vita è troppo breve per covare risentimento e per rimpiangere quanto non hai fatto… insomma, mi rendo conto che questo monologo sembra davvero essere privo di senso logico, ma una conversazione con George mi ha ricordato che devo cogliere l’attimo e, beh, quello che sto cercando di dirti è che mi sono innamorato di te, Audrey Lavall, e che spero solo di poter essere in grado di renderti felice come meriti di esserlo, perché la tua sola presenza è un balsamo per le mie ferite e mi fa auspicare di diventare la versione migliore di me stesso, per poterti meritare…”
“Non devi affatto meritarmi, Percy,” lo contraddisse lei. “Ti ho già detto che tutti quanti fanno errori e che l’importante è imparare da essi… tu non hai la minima idea di quanto io sia felice di averti incontrato al carrello della colazione lo scorso autunno e, giusto per chiarire, anche io sono innamorata di te e credo proprio che sia il caso che tu mi baci adesso…”
Percy non se lo fece ripetere due volte, attinse ancora al suo coraggio Girfondoro e s’avvicinò ad Audrey, inspirando il profumo vanigliato dei suoi capelli, prima di sollevarle delicatamente il mento e posare le labbra su quelle di lei, che sapevano di acqua salmastra e burrocacao alla ciliegia. Audrey si mise in punta di piedi per riuscire ad allacciare le braccia dietro al collo di Percy e mordicchiargli con leggerezza il labbro inferiore.
“Sarebbe stato più romantico al tramonto,” mormorò lui contro il sorriso di Audrey dopo che si furono separati.
“È stato assolutamente perfetto così, perché sei stato spontaneo… qualcosa che non eri molto abituato a essere in passato, o mi sbaglio?” lo prese in giro Audrey, strizzandogli l’occhio ammiccante.
“Mhmm, no… in effetti non proprio…”
“Per fortuna adesso ci sono io nella tua vita!” lo rassicurò la mora, sfiorandogli nuovamente le labbra con un bacio. “Allora, che altro mi puoi dire su questa abbazia?” domandò, trascinandolo verso la loro destinazione.
Percy la seguì, tornando a chiedersi cosa avesse fatto per meritarsi una ragazza simile nella sua vita.
 
*
 
Il molo di Brighton brulicava di vita nella torrida serata estiva: il vociare dei bambini che si rincorrevano inseguiti dai genitori esausti, si mischiava allo stridere dei gabbiani che volteggiavano speranzosi sopra alle famiglie che mangiavano delizioso fish and chips, il cui odore invitante impregnava l’aria opprimente. Seduti in un angolino appartato, Ginny e Harry avevano appena finito di ammirare il sole tuffarsi nell’acqua, inondandone la superficie di infinite sfumature, un silenzio piacevole avvolgeva i due ragazzi ancora intenti a fissare l’oceano che si stagliava davanti a loro.
“Sembra incredibile che la vita sia andata avanti e che loro non abbiano idea di cosa sia successo, non credi?”
La domanda di Ginny riscosse Harry dalle sue fantasticherie e il ragazzo annuì. “Già, da una parte sono contento per loro eppure dall’altra vorrei quasi che sapessero…”
“Mhmm, credo che sarebbe abbastanza arduo da comprendere per loro, non trovi?”
“Probabilmente sì,” si mostrò d’accordo Harry. “Allora, ora che abbiamo visto un tramonto mozzafiato…”
“Il primo di tanti,” lo interruppe Ginny.
“Il primo di tanti, certo,” la rassicurò Harry, “quali sono i tuoi piani per la serata?”
“Potremmo prendere un po’ di questo delizioso fish and chips, portarlo a casa e mangiarlo sul terrazzo prima che io scarti, finalmente, il mio regalo di compleanno,” ribattè la ragazza, mordicchiandosi maliziosamente il labbro inferiore.
“Mi sembra un ottimo piano, sì,” mormorò Harry, la cui gola si era improvvisamente fatta secca.
“Che succede?” si preoccupò Ginny.
“Nulla, spero solo di non deluderti, ecco… insomma, sai…” balbettò Harry, passandosi una mano tra i capelli già estremamente arruffati.
“Non potresti mai deludermi, Harry,” chiarì Ginny, posandogli un bacio sulle labbra. “Hai forse dimenticato che sarà la prima volta anche per me?”
“Beh, ma sicuramente tu hai più esperienza di me, insomma con Dean, mentre io… beh, a parte qualche bacio desolante con Cho non ho davvero nulla da offrire e…”
“Harry,” ancora una volta Ginny lo interruppe, costringendolo a ricambiare il suo sguardo, “impareremo insieme, forse le prime volte non saranno perfette, ma in qualche modo saranno comunque memorabili perché si tratta di noi e tu sei speciale per me.”
“Anche tu sei molto speciale per me, Ginny,” sussurrò il ragazzo, scostandole una ciocca di capelli dal viso.
“E allora non c’è niente di cui preoccuparsi,” dichiarò la ragazza alzandosi con risolutezza e trascinando il ragazzo con sé al chiosco di fish and chips. “Abbiamo tutta la vita per diventare esperti, non trovi?” domandò, dedicandogli un sorriso impudente.
Harry annuì. Tutta la vita sembrava un periodo davvero infinito — soprattutto per qualcuno che aveva seriamente rischiato di non arrivare a goderselo il resto della sua vita.
 
La casa che avevano affittato per la settimana era la stessa in cui, vent’anni prima, i genitori di Harry e i loro amici avevano fatto le vacanze estive insieme alla conclusione del loro settimo anno a Hogwarts. Lexie era stata ben felice di condividere quei ricordi con loro e, dopo aver scoperto che la casa era ancora in piedi e che, anzi, era stata ristrutturata un paio di anni prima e aveva accesso diretto a una spiaggia piuttosto isolata, a Harry era sembrato il posto perfetto per portare Ginny per la loro prima vacanza insieme.
Quando avevano finito di mangiare, diedero una pulita veloce, facendo evanescere i rifiuti e portando piatti e bicchieri nel lavandino.
“Direi che le pulizie possono attendere,” sussurrò Ginny all’orecchio di Harry, prendendolo per mano e conducendolo al piano superiore nella stanza in cui avevano deciso di dormire. Il ragazzo osservò ammaliato Ginny avvicinarsi al letto in ferro battuto per poi voltarsi verso di lui, facendo fare la ruota alla gonna del suo vestito a righe bianche e blu.
“Non vieni?” gli domandò impaziente.
Harry la raggiunse in un paio di falcate, imponendosi di mostrarsi calmo, quando invece il suo cuore batteva all’impazzata e il pensiero che di lì a poco avrebbe fatto l’amore con lei lo rendeva estremamente nervoso. Ginny lo prese per mano, sedendosi con lui sul letto e sorridendogli, prima di posare le labbra su quelle di Harry in un bacio che iniziò dolce, lieve come una carezza, e che pervase Harry di una miriade di sensazioni mai provate prima. Lasciò che la propria mano s’insinuasse tra i lunghi capelli di Ginny, accarezzandole la schiena lasciata nuda dalla scollatura posteriore del vestito, mentre le mani di Ginny finirono con l’arruffare ancor di più i capelli di Harry. La ragazza liberò le labbra di Harry con una certa riluttanza, posando la fronte contro quella di lui e spalancando gli occhi per cercare d’intercettare il suo sguardo, dietro alle lenti appannate degli occhiali.
“Meglio toglierli,” mormorò lui, impacciato.
“Mhmm, meglio di sì, anche perché quello che dovrai vedere stasera lo avrai, davvero, molto vicino…” gli promise.
“Tu mi vuoi morto…”
“È il momento giusto per dirti che non porto il reggiseno,” svelò con una punta di malizia Ginny, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Harry sentì i jeans farsi ancora più stretti attorno alla sua erezione sempre più prorompente e deglutì rumorosamente, osservando Ginny lasciar scivolare la spallina del vestito prima lungo la spalla destra e poi lungo la sinistra esponendo il torso costellato di lentiggini. Il ragazzo allungò la mano, sfiorando con riverenza la pelle chiara, unendo con le dita le sue efelidi come in quei giochi per bambini all’interno dei giornali di enigmistica babbani. Il suo pollice destro raggiunse il seno sinistro di Ginny toccandolo con lentezza, raggiungendone il capezzolo già leggermente inturgidito e stringendolo tra pollice e indice; dopo pochi attimi la sua bocca si sostituì alle dita che presero a massaggiare con la stessa attenzione l’altro seno, mentre le mani di Ginny tenevano premuta la testa del ragazzo contro al suo petto. Harry la spinse fino a farla sdraiare, calandosi con attenzione su di lei, tornando a lambire la sua pelle con le labbra, leccando e baciando ogni centimetro esposto del suo corpo e provocandole una serie di lievi gemiti che servirono solo ad aumentare il suo livello di eccitazione. Ginny armeggiò con l’abito facendoselo scivolare lungo le gambe e rimanendo con indosso solo con delle mutandine blu semi-trasparenti che Harry non aveva idea potesse possedere.
“E queste da dove arrivano?”
“Beh, fanno parte del mio regalo di compleanno per te,” gli rispose la ragazza, afferrando una delle sue mani e posandola sopra al tessuto impalpabile che la copriva, Harry poteva sentire il suo calore attraverso l’indumento e soffocò un gemito.
“Non sei un po’ troppo vestito?” insistette Ginny, inarcando un sopracciglio.
Lui ridacchiò, prima di togliersi la camicia e i jeans, diventati ormai una vera e propria prigione, e stendersi nuovamente accanto a lei, ammirando il suo corpo semi nudo, “sei così bella…”
“Anche tu,” gli rispose, sfiorando il suo petto e scendendo poi fino all’elastico dei suoi boxer, infiammando la pelle che aveva toccato e attirandolo a sé per un nuovo bacio. L’erezione di Harry premeva contro la coscia sinistra di Ginny e la ragazza emise un suono gutturale che rimase incastrato tra le labbra di lui, dando a Harry la spinta per sfilarle le mutandine e sfiorare la pelle che era stata coperta da esse.
“Sei così bagnata,” mormorò a metà tra lo stupito e l’eccitato, inserendo con delicatezza prima un dito e poi un altro e provocandole una nuova serie di gemiti.
“Mhmm,” Ginny gli spinse la testa verso il petto, invitandolo a baciarle nuovamente i seni e Harry obbedì leccando ogni centimetro di pelle con ardore.
La ragazza nel frattempo trovò l’elastico dei suoi boxer spingendoli fino alle caviglie e stringendo la mano destra attorno all’erezione pulsante di lui.
“Vacci piano,” la pregò lui, prima di tornare a baciarle il collo, le spalle e il seno, per poi scendere lungo l’addome, solleticare il suo ombelico e lasciare che la lingua scendesse ancora, aggiungendosi alle dita impegnate a darle piacere. Il respiro di Ginny le si mozzò in gola quando percepì il fiato di Harry stuzzicare la sua pelle sensibile, gemette nuovamente perdendo il controllo del proprio respiro.
“Harry, ti prego, non farmi aspettare oltre…” sussurrò.
Le diede un ultimo bacio, estraendo lentamente le dita e incrociando il suo sguardo, “come facciamo per la protezione?” le domandò.
“Non preoccuparti, prendo la pozione,” lo rassicurò lei.
Harry le baciò le labbra, posizionandosi tra le sue gambe e affondando lentamente in lei, tentando di comprendere se le stesse facendo male; gli occhi di Ginny erano chiusi, ma la sua espressione sembrava serena, quindi il ragazzo si spinse un po’ più in fondo tornando a toccare i suoi seni.
“Mhmm… più in fondo, Harry,” il tono di Ginny era una supplica inaspettata e Harry obbedì, sforzandosi per non esagerare, la ragazza guidò una delle sue mani lì dove i loro corpi erano uniti e lui sfiorò la pelle sensibile con tocco delicato, spingendola oltre il limite e sentendola contrarsi intorno a lui.
“Mhmm sì,” gli sussurrò all’orecchio, mordicchiandogli il lobo e facendo raggiungere l’orgasmo anche a lui.
 
Minuti dopo la stanza si era ormai fatta completamente buia, i due erano sdraiati fianco a fianco, i respiri ancora affannati e i cuori che battevano a ritmo forsennato.
“Sai, dicono che la pratica renda perfetti…” mormorò Ginny, sfiorando il petto magro di Harry.
“Mhmm, mi pare che tu me l’abbia già detto, sì…”
“Che ne dici di riprovarci?”
Harry non rispose, scegliendo invece di baciarla prima sulla fronte, poi sulle guance e infine con lentezza sulle labbra. “Dico che mi sembra un’ottima idea…” dichiarò, sfiorandole il collo con una scia di baci, “passerò tutta la vita a far pratica con te.”
“Bene, perché quello è anche il mio piano,” lo rassicurò lei, reclamando nuovamente le sue labbra per un languido bacio.
 
*
 
La porta del negozio scampanellò segnalando l’ingresso di una persona e George corse fuori dal retro per vedere chi dei suoi familiari fosse arrivato a controllarlo, rimanendo sorpreso di ritrovarsi faccia a faccia con una impressionata Angelina Johnson.
“Hai fatto un gran lavoro dall’ultima volta che sono stata qui,” si complimentò la Cacciatrice.
“Ho ricevuto molto aiuto,” si schermì lui.
“Hai già deciso quando riaprirai?”
“Forse prima dell’inizio della scuola, ma ancora non ne sono sicuro…”
“Beh, fammelo sapere così ti faccio pubblicità con le compagne di squadra e il resto di quelli che lavorano con me.”
“Grazie,” mormorò lui, sentendosi quasi a disagio sotto lo sguardo inquisitore della ragazza.
“A che servono gli amici sennò?”
“Non ti ho ancora ringraziato adeguatamente per il regalo di Ginny, non so se te ne sei resa conto, ma mi hai trasformato nel suo fratello preferito nel giro di in un attimo.”
“Tua sorella è stata piuttosto chiara al riguardo,” lo rassicurò Angelina. “E poi credevo che millantassi da sempre di essere il suo preferito, no?”
George sollevò gli angoli della bocca in un lieve sorriso. “Temo che, a turno, faccia credere a ognuno di noi di essere il suo preferito…”
“Direi che mi sembra un’ottima tattica,” celiò Angelina.
“Mi fa davvero piacere vederti, ma non sei impegnata con gli allenamenti?”
Lei scosse la testa. “Ci hanno dato la settimana libera, visto che poi dalla prossima saremo in ritiro prima dell’inizio del campionato e mi sono resa conto che sono in debito di un pasto con te.”
“Ah sì?” le domandò, grattandosi la testa.
“Certo, mi hai offerto quella meravigliosa cena in cui mi hai chiesto se ti potevo procurare il regalo di Ginny ed eravamo rimasti d’accordo che io in cambio ti avrei portato a mangiare qui in città la prima volta che fossi stata libera… e così ho pensato di passare, ma forse avrei dovuto avvertirti, perché magari sei impegnato e…”
George l’interruppe, scuotendo la testa, “sei stata una piacevole sorpresa, anche perché mi hai interrotto durante la catalogazione per l’inventario, cosa che odio con tutto me stesso…”
“Se vuoi potrei darti una mano dopo pranzo, i miei nonni avevano un negozio e io e mio fratello gli abbiamo spesso dato una mano…”
“Lo faresti davvero?”
“Certamente,” gli sorrise Angelina.
“Ma domani saresti occupata?”
La ragazza scosse la testa. “No, perché?”
“Perché se tornassi anche domani mi salveresti la vita…”
“Non c’è problema,” lo rassicurò, “però ti suggerisco solo di trovare qualcuno disposto a farlo per il futuro…”
“Dovrò assumere del personale, quindi sicuramente individuerò qualcuno che se ne occupi… ora che ne dici di quel pranzo?”
“Certo, muoio di fame…”
“Ah, quasi mi scordavo…” aggiunse George, chiudendosi la porta del negozio alle spalle, “sei impegnata nel weekend?”
“No…”
“Che ne pensi di una gita a Brighton? Sai, mia sorella e Harry organizzano quel bonefire di cui abbiamo parlato al suo compleanno…”
“Ah sì, Ginny me lo aveva detto!”
“Quindi?”
“Mi piacerebbe molto…”
“Allora le dico che ci saremo,” dichiarò George con naturalezza, incamminandosi al suo fianco per raggiungere Il Paiolo Magico — non si fermò a riflettere su cosa l’avesse spinto a chiederle di andare con lui, sapeva solo che con Angelina stava bene, perché con lei poteva essere se stesso e che lei non aveva paura di nominare Fred, senza dedicargli sorrisi tristi e di circostanza.
Quando le chiese come fosse andata la preparazione alla stagione il suo volto si illuminò e George tornò agli anni condivisi nella squadra di Quidditch a scuola, ricordando la sua bravura e la sua determinazione. Ovunque Fred fosse, era sicuro che avrebbe approvato.
 
*
 
Il falò era, decisamente, grande ma del resto i presenti alla festa erano forse di più di quelli che Ginny aveva immaginato, la ragazza era felice, perché sapeva quanto tutti i presenti, chi più e chi meno, avessero bisogno di lasciarsi andare e godersi la serata come normali adolescenti — qualcosa che gli era capitato davvero troppo raramente negli anni appena trascorsi.
Sorrise divertita, quando intravide Neville cedere la sua felpa a un’infreddolita Hannah Abbott, sotto gli sguardi orgogliosi di Megan Jones, Susan Bones e Morag MacDougall, si disse che avrebbe dovuto fare un discorsetto con il ragazzo se non si fosse deciso a sfoderare nuovamente il suo coraggio Grifondoro e chiederle di uscire. Poco distanti da loro, Seamus e Dean ridevano di qualcosa insieme ad Anthony Goldstein e Michael Corner, mentre al loro fianco Terry Boot strimpellava una canzone rock alla chitarra, attorniato dalle gemelle Patil, Luna e Demelza. Lee aveva improvvisato un tavolo in cui miscelava cocktail, aiutato da un ilare Cormac MacLaggen e da una riluttante Alicia Spinnet, che non era nuova ai disastri combinati dai due. Suo fratello George era impegnato a parlare con Oliver, Katie e Angelina, quando aveva ricevuto il gufo in cui le confermava che sarebbe venuto con la Cacciatrice Ginny aveva sorriso perché immaginava quanto bene potesse fargli una serata simile.
Due braccia l’avvolsero da dietro, accompagnate da un bacio sulla guancia e Ginny si girò nell’abbraccio di Harry per baciarlo con ardore.
“È proprio una bella festa, non trovi?”
“Mhmm, meravigliosa…” annuì lui, strofinandole il naso sul collo, “anche se mai stupenda come te,” aggiunse baciandola di nuovo; la nuova intimità che condividevano era qualcosa che avevano accolto con naturalezza e Ginny già pensava con tristezza all’idea di separarsi da lui per tornare a scuola.
“Come sopravvivrò senza i tuoi baci?” le chiese melodrammaticamente.
La ragazza scosse la testa, aggrottando le sopracciglia. “Dovrai venire a trovarmi in ogni weekend di Hogsmeade, così non andrai in astinenza…”
“Mi sembra il minimo,” mormorò lui, baciandola di nuovo.
“Hey, che fine hanno fatto Ron e Hermione?” chiese Ginny, quando la necessità di ossigeno divenne pressante.
“Erano laggiù vicino a Neville,” rispose Harry con un gesto vago.
Ginny assottigliò gli occhi, intercettando finalmente la figura allampanata del fratello, stesa su una coperta accanto a quella più minuta di Hermione a qualche metro di distanza dal gruppo in cui era presente Neville; i due li avevano raggiunti il giorno prima e si erano ripromessi di organizzare un’altra vacanza il prima possibile, magari già durante le vacanze di Natale.
“Sai, le lezioni di Astronomia mi sarebbero piaciute molto di più se le avessi tenute tu,” confessò Ron in un sussurro, provocando i brividi lungo la spina dorsale della sua ragazza.
“Mhmm, dubito che Hogwarts voglia trasformare Astronomia in un’occasione per pomiciare sotto le stelle…”
“Hey, se ricordo bene sei tu che hai suggerito di stenderci sulla coperta,” la rimbeccò Ron.
“Certo, non ho detto che eri tu ad aver suggerito di pomiciare,” soffiò in risposta Hermione, stuzzicandogli il labbro inferiore.
Ron sentì l’intero viso andargli a fuoco e ringraziò Merlino, Morgana e tutti quanti che fossero al buio prima di baciare con foga Hermione, lasciando che i loro corpi aderissero l’uno all’altro e dimenticandosi della risposta che le avrebbe voluto dare. C’era decisamente qualcosa di molto più urgente di cui dovevano occuparsi fu il suo ultimo pensiero razionale, prima che Hermione lo tirasse verso di sé, insinuando una mano sotto la sua maglietta e infiammando la sua pelle con il tocco esitante delle sue dita.


 

Nota dell’autrice:
È sempre bello tornare qui da questi personaggi che stanno vivendo grandi cambiamenti. Diciamo che era da un po’ che organizzavo il momento giusto per inserire la dichiarazione di Percy a Audrey e spero che sia stata di vostro gradimento. Come sempre quando scrivo scene lime non sono mai molto convinta, ma insomma visto che per Harry e Ginny si trattava della prima volta non credo che sarebbe stato molto credibile se il nostro Bambino Sopravvissuto si fosse trasformato in una specie id Rocco Siffredi… Non so voi, ma io adoro Angelina e George e mi auguro di star facendo un buon lavoro con loro due, senza correre troppo. Hermione e Ron non hanno avuto molte scene ultimamente, ma nel prossimo capitolo si rifaranno, anche perché alla fine non sarà quello del ritorno a Hogwarts e alla vita normale, quello è rimandato al capitolo successivo.
Vi ringrazio del continuo supporto, sia da parte dei miei lettori storici, che non mi hanno mai abbandonata, che di quelli nuovi che 
ultimamente mi hanno lasciato tante recensioni, spero che questa storia continui a valere il vostro tempo. 

 
 



 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 – Learning to be brave ***


Capitolo 16 – Learning to be brave
 
 
 
 
“If you don’t know learn how to be scared,
you'll never really learn how to be brave.”
Simon Holt, The Devouring
 


 
Sotto al cielo estivo trapuntato di stelle, tutti i presenti stavano gravitando attorno al falò come falene attirate da una fiamma, nonostante fosse ormai notte fonda la festa non dava l’impressione di voler terminare; le risate permeavano l’aria calda, profumata di salsedine e dei marshmallow che venivano arrostiti sulle fiamme, e in lontananza si percepiva il rumore della risacca. L’alcol aveva contribuito ad abbassare le difese dei presenti e, guardandosi intorno, George intravide più di una coppia con le membra che si sfioravano, le dita intrecciate e le labbra separate da una manciata di millimetri. Portò il bicchiere contenente il rhum caraibico, contributo di Lee alla festa, alle labbra e assaporò la dolcezza della melassa e della vaniglia, mischiata al gusto speziato della cannella; poi inspirò profondamente, tentando di tenere a bada il senso di colpa che germogliava in lui ogni volta che s’arrischiava a lasciarsi andare. Contrasse le dita attorno al bicchiere, stringendolo con forza, e faticando a evitare che una lacrima sfuggisse al suo controllo — in momenti come questo, la mancanza di Fred era così vivida, che gli sembrava che avessero strappato una parte di lui. Sapeva bene che tutti i presenti avevano perso una persona cara; era consapevole di come tutti loro sentissero la mancanza di qualcuno; eppure lui era l’unico a provare un dolore inspiegabile, il solo a passare notti insonni rivivendo i momenti insieme, il sopravvissuto che stava cercando di tornare alla normalità in una vita che gli ricordava ogni giorno che nulla sarebbe più stato come prima.
“Hey,” il tocco caldo delle dita di Angelina sulla sua spalla lo riscosse dall’abisso di negatività in cui stava precipitando.
“Hey,” la sua voce era poco meno di un sussurro, ma la ragazza non ebbe problemi a sentirlo.
“Sto per farti una domanda stupida,” lo avverti, prendendo posto al suo fianco.
“Sono tutto orecchie… beh, orecchio, in realtà,” ribattè, lasciando che i loro sguardi s’incrociassero e perdendosi a osservare il riflesso delle fiamme nelle iridi scure di Angelina.
La Cacciatrice sollevò gli angoli in un lieve sorriso, ricambiando quello sghembo di George. “È tutto a posto? Sembravi lontano mille miglia…”
George la ringraziò dentro di sé, per aver evitato la domanda più stupida di tutte. Come stai? Odiava sentirselo chiedere — ancora e ancora. Ma soprattutto odiava dover mentire, piazzandosi un finto sorriso sul volto e cercando di rassicurare gli altri sul proprio benessere.
“Riflettevo e forse ero davvero lontano mille miglia, con il cuore per lo meno…”
“Fred avrebbe adorato questa serata,” mormorò Angelina, trangugiando un sorso del proprio cocktail.
“Vero,” annuì George, facendo tintinnare il proprio bicchiere con quello della ragazza, “tu sei una delle poche persone che non ha paura di nominarlo.”
“È una parte così fondamentale della tua vita e non avrebbe alcun senso provare a ignorarla.”
Il gemello sopravvissuto abbassò gli occhi, lasciando che il silenzio si dilatasse tra loro. “Ho paura di dimenticarmi, a poco a poco, di lui e non voglio che accada…” rivelò poi in un soffio, percependo una nuova lacrima solcargli il viso.
“Non potrebbe mai succedere,” lo rassicurò Angelina, “Fred è parte di te.”
“Eppure mi sembra che stia già accadendo,” mormorò George, mordicchiandosi il labbro inferiore, “e voglio impedirlo a ogni costo…”
“Sono sicura che ce la farai, George, ma sono ancor più certa che non potrai mai dimenticarti di Fred e quindi non dovresti nemmeno preoccupartene,” promise Angelina, stringendo la mano del ragazzo nella propria.
“Potrei anche crederti, sai? Anche se sono più che convinto che ci saranno altri giorni bui nel mio futuro prossimo…”
“L’importante è che tu non ti chiuda in te stesso e che ti confidi in qualcuno, quando questi momenti sopraggiungeranno.”
“Ti stai per caso candidando a essere la spalla su cui io possa piangere?” chiese, con una punta d’ironia nella voce incerta.
“Farò qualsiasi cosa possa aiutarti, George,” dichiarò la ragazza.
“Grazie davvero, Angie,” la stuzzicò con voce appena udibile.
“Credevo avessimo chiarito che non dovevi chiamarmi in quel modo, George!”  
“In effetti mi pare che l’avessi menzionato, ma non mi risulta di essermi mai mostrato d’accordo…”
Il tono di George era intriso di una sfumatura divertita, che rassicurò Angelina su quanto avesse fatto bene ad avvicinarsi a lui; i loro sguardi s’incrociarono di nuovo nel buio e la Cacciatrice ricambiò il sorriso esitante di George.
“Quindi per farmi perdonare devo invitarti fuori a cena?”
“Beh, sarebbe un bel modo di farti perdonare,” ribattè svelta Angelina.
“Allora devi solo farmi sapere quando sei libera la prossima settimana…”
 “La settimana prossima sarò in ritiro con la squadra fino alla prima di campionato,” gli ricordò Angelina.
“Allora ti porterò a festeggiare la vittoria dopo l’esordio, che ne pensi?”
“E chi ti dice che vinceremo?”
“Tu sei una della Cacciatrici titolari, come potrei avere dubbi?” celiò, mentre le labbra si piegavano nel sorriso sghembo che era solito adornare il suo viso ai tempi della scuola — quando tutto sembrava infinitamente più semplice.
“La tua estrema fiducia mi rassicura…”
“Poi, se dall’anno prossimo doveste ingaggiare anche mia sorella avrete un attacco decisamente stellare, diventereste una macchina da guerra,” aggiunse Fred con naturalezza.
“Mi stai dicendo che sta davvero considerando il professionismo?”
George annuì. “Del resto abbiamo già visto troppe battaglie, vissuto troppe tragedie, creato troppi orfani e pianto troppi feriti e troppi morti, non credi?”
“Già… e durante l’ultimo anno per molti mesi ho pensato che non saremmo riusciti a vincere, che fossimo destinati a un futuro di sofferenze, a meno di adeguarci a un modo di vivere estremamente lontano dall’idea di libertà che ci è tanto cara…”
“Noi abbiamo solamente fatto del nostro meglio per cercare di rimanere sempre positivi,” George si strinse nelle spalle.
“Credo che molta gente sia riuscita a sorridere nei momenti più bui anche grazie a voi,” gli rammentò Angelina.
“Vivere la vita senza sorridere sarebbe decisamente uno spreco,” dichiarò George, nonostante tutto, Fred era stato strappato alla vita, ma doveva fare del suo meglio e scegliere di sorridere ogni giorno — anche se faceva dannatamente male.
“Sono d’accordo con te,” sussurrò Angelina, stringendogli nuovamente la mano.
“Hey, guarda…” mormorò improvvisamente George, indicando un punto del cielo.
“Cosa?”
“Un’infinità di stelle cadenti! Esprimi un desiderio, Angie…”
La ragazza sorrise, evitando di rimarcare il fastidio legato all’utilizzo del soprannome che mal sopportava; lanciò uno sguardo in tralice all’amico e sorrise nel vederlo così intento a osservare la pioggia di stelle cadenti che stavano attraversando il cielo estivo. Attorno a loro, il resto dei presenti si era reso conto del meraviglioso spettacolo che stava prendendo vita sopra alle loro teste e le esclamazioni di sorpresa serpeggiavano nel gruppo di amici. Inondato dalla fugace luminosità delle stelle, George pareva finalmente aver ritrovato un pizzico della serenità smarrita nelle ultime settimane e Angelina desiderò con tutta se stessa che George potesse tornare a essere almeno in parte il ragazzo spensierato con cui aveva stretto amicizia a scuola. 
“Esprimilo anche tu, George,” gli rammentò, strizzandogli l’occhio complice, osservandolo concentrarsi prima di chiudere gli occhi e farle un cenno affermativo.
“Non mi chiederai cosa ho appena desiderato?”
“Se lo facessi poi non si avvererebbe…”
“Giusto, quasi mi dimenticavo,” mormorò lui sforzandosi di sorriderle.
“So che in questo momento sembra impossibile, ma tornerai davvero a sorridere e non parlo di quell’espressione che ti ostini a propinare al resto del mondo, ma che non riesce a convincere i tuoi amici più cari… parlo della gioia che abbiamo condiviso alla vittoria della Coppa del Quidditch, o durante il Ballo del Ceppo, parlo del diciassettesimo compleanno di Lee e del weekend a casa di Katie, su in Scozia. Torneranno quei momenti e, sì, Fred di mancherà sempre, ma non per questo smetterai di provare felicità, George. Scusami se sono così diretta, ma so che me ne pentirei se non ti dicessi quello che penso, quello che vorrei che dicessero anche a me se stessi vivendo la stessa situazione, ” dichiarò Angelina, stringendogli nuovamente la mano nella propria.
George spalancò la bocca sbalordito, rispondendo alla stretta dell’amica e rimanendo in silenzio per qualche attimo — alla ricerca della cosa giusta da dire.
“Sai, credo proprio che avessi bisogno di sentire queste parole,” confessò infine. “L’idea di tornare ad avere una vita normale e provare la felicità mi spaventa un po’, anzi tantissimo, ma al tempo stesso non varrebbe nemmeno la pena di continuare a viverla se non facessi del mio meglio, non credi?”
“In effetti no…”
“Grazie, Angie,” mormorò dispettosamente.
“Non sono stata esageratamente brusca, quindi?”
Il ragazzo scosse la testa. “Sei stata solo una buonissima amica e ti ringrazio,” sussurrò, prima di abbracciarla.
Angelina sorrise nell’incavo della spalla di George, ritrovandosi a pensare che forse, dopotutto, il suo desiderio si sarebbe avverato prima di quanto pensasse.
 
Le prime luci dell’alba avevano iniziato a colorare il cielo, colmando di riflessi multicolori le acque placide della spiaggia in cui il gruppo aveva scelto di passare la notte; svariati capannelli si erano formati attorno alle braci ormai spente e Ron strinse più vicino a sé il corpo di Hermione, riflettendo su quanto fosse meraviglioso il semplice atto di osservarla dormire. Sarebbe partita di lì a pochi giorni, mentre lui e Harry avrebbero iniziato l’Accademia, e il ragazzo si domandava quanto sarebbe stata difficile la lontananza — impaurito che il non vedersi ogni giorno avrebbe potuto influire sul loro rapporto. Se qualcuno gli avesse detto, all’inizio del primo anno a Hogwarts, che la ragazzina saccente con cui aveva passato tutto il suo tempo a battibeccare sarebbe diventata una delle persone più importanti della sua vita, probabilmente Ron avrebbe consigliato a questa persona di farsi vedere da un bravo Medimago. Eppure, Ron non riusciva a immaginare la sua vita senza Hermione, o meglio, ricordava con senso di colpa e inadeguatezza le settimane in cui aveva abbandonato lei — e Harry — rischiando di perdere entrambi per sempre. Harry lo aveva perdonato immediatamente, non faceva che ricordargli come il suo aiuto fosse stato provvidenziale e gli avesse salvato la vita, oltre che fargli notare di come il medaglione avesse un influsso particolarmente forte su di lui. Hermione stessa, nonostante ci avesse messo un po’, lo aveva rassicurato dicendo che aveva capito le ragioni della sua ira e che, in fondo, era colpa dei suoi ottimi incantesimi se non era riuscito a ritrovare velocemente la strada per la tenda. Chi invece non riusciva ancora a perdonarsi era proprio lui, anche se l’epilogo era stato quello sperato, anche se avevano vinto la guerra, anche se era riuscito a dichiararsi a Hermione. Chi poteva assicurargli che non avrebbe avuto un altro futile scoppio d’ira? Come poteva essere certo che avrebbe reagito diversamente, se messo nuovamente alla prova? Ronald non aveva le risposte a queste domande e rimaneva, anzi, sveglio per gran parte della notte ad arrovellarsi su di essi, sperando di dimostrarsi all’altezza una volta arrivato in Accademia.
“Hey, che ci fai già sveglio?”
Abbassò lo sguardo su Hermione, che lo fissava con lo sguardo a metà tra l’incuriosito e l’assonnato, e pensò che fosse ancora più bello osservarla quando era sveglia.
“Nulla, solo che non riuscivo a dormire… ma tu continua pure, è presto,” bisbigliò in risposta, baciandola sul naso.
“Non voglio sprecare le poche ore che restano in questo weekend dormendo,” dichiarò risoluta.
“Ah, no? E cos’avevi in mente di fare?”
“Beh, visto che siamo in spiaggia la cosa più ovvia sarebbe un bel bagno per cominciare al meglio la giornata…”
“L’acqua probabilmente sarà fredda a quest’ora,” la mise in guardia Ron.
“Vorrà dire che staremo moto vicini per riscaldarci,” ridacchiò Hermione, togliendosi la felpa dei Cannoni che il ragazzo le aveva prestato la sera prima.
Ron batté velocemente le palpebre, prima di imitare i gesti di Hermione e seguirla sul bagnasciuga, allontana dosi dal resto del gruppo.
“Questo weekend ci voleva proprio,” commentò Hermione, afferrando le mani di Ron tra le proprie.
“Già,” annuì lui, stringendo il corpo minuto della ragazza contro il proprio.
“So bene che continui a domandarti se hai fatto la scelta giusta ad accettare la proposta di Kingsley,” mormorò Hermione, così piano che Ron fece fatica a sentirla.
“Come fai a saperlo?”
Gli occhi castani della ragazza si assottigliarono, prima di aprirsi in un sorriso sincero. “Perché ti conosco, Ronald Weasley, e purtroppo conosco bene anche la tua dannata insicurezza.”
Ron sospirò. “Forse avrei dovuto tornare a scuola con te…”
“Lo dici solo perché sentirai la mia mancanza, proprio come io sentirò la tua.”
“Ti mancherò?” le domandò in tono stupito.
“Ma certo che sì,” dichiarò Hermione, scuotendo la testa, “abbiamo, finalmente. ammesso quello che proviamo l’uno per l’altra e, invece di poter vivere con calma la quotidianità, siamo nuovamente costretti a separarci.”
“Avevo il timore di essere egoista a pensarla in questo modo,” confessò Ron, sfiorando la guancia d Hermione con la punta delle dita.
“Ti assicuro che conterò i giorni tra una gita a Hogsmeade e l’altra, visto che mi hai promesso che ci sarai, e ora è troppo tardi per rimangiartelo, inoltre ti inonderò di lettere, quindi spero che mi risponderai…”
“Lo farò,” annuì Ron, prima di stringerla ancora a sé, elettrizzato dalla miriade di sensazioni che il corpo di Hermione premuto contro il suo gli provocava.
“Adesso che ne dici di quel bagno?” propose Hermione, prima di mettersi in punta di piedi e baciarlo con trasporto.
Ron, per tutta risposta, la prese in braccio e corse in acqua trascinandola con sé — le preoccupazioni per l’imminente separazione potevano attendere.
 
Quando George si svegliò, fu felice di trovare Angelina ancora accanto a lui; un’occhiata veloce gli permise di individuare suo fratello e Hermione che si spruzzavano nell’acqua poco lontano da lì e un sorriso timido gli increspò le labbra screpolate. Stava per decidersi a raggiungerli, quando l’amica si stiracchiò al suo fianco e gli diede il buongiorno.
“Che ne dici di una passeggiata sulla battigia?”
“Basta che non mi costringi correre come quando eri il mio capitano…”
“Non ti prometto nulla,” dichiarò Angelina, afferrando la sua mano e trascinandolo vicino all’acqua.
George la seguì, decidendo che avrebbe sempre potuto scappare tra le onde per evitare la corsa.
 

 
*
 
 
Alistair si passò nervosamente la mano tra i capelli scompigliandoli irrimediabilmente, prima di sbuffare e prendere un lungo respiro, stringendo il mazzo di tulipani gialli come se ne andasse della sua stessa vita.
“Godric, sono diventato talmente patetico da aver paura di bussare a una banale porta…” borbottò tra sé, fissando di sbieco la porta di mogano a cui si trovava davanti già da qualche minuto.
“Posso aiutarla?” domandò una voce alle sue spalle, spaventandolo ben più del dovuto.
“Io, ehm, veramente…” si passò ancora una volta la mano tra i capelli, ritrovandosi a fissare la sorella più piccola di Hestia e quella che aveva compreso essere la sua migliore amica.
“Cosa porta il grande Alistair Ashworth presso la nostra umile dimora?” domando l’ex Tassorosso, con un ghigno divertito sulle labbra — specchio di quello della Jones maggiore.
“Se non fossi così nervoso potrei anche ridere, sai? Però al momento sto cercando di non finire preda dei conati di vomito…”
“Mia sorella ti fa questo effetto?” ribattè Megan dubbiosa.
“Non essere così dura con lui, Meg,” la rimbeccò Morag, colpendola con leggerezza sulla spalla.
“È più forte di me,” ribattè l’altra, facendo spallucce, prima di rivolgersi all’ospite, “Hestia non è in casa?”
“Non lo so,” bofonchiò il giocatore.
“In che senso?”
“Nel senso che non ho ancora bussato…” ammise, passandosi nuovamente la mano tra i capelli.
“Ma non eri un Grifondoro?” s’informò Morag.
L’altro annuì.
“Credevo che voi foste tutti dotati di coraggio e che tu fossi molto più spigliato in questo campo…” commentò Megan.
“Solitamente sì, ma con tua sorella è diverso.”
“Già mi piaci,” lo rassicurò Megan, strizzandogli l’occhio, “che ne dici se entriamo? Hestia dovrebbe essere già tornata dal suo turno.”
Alistair annuì, inspirando profondamente.
“C’è nessuno?” sbraitò la piccola di casa Jones aprendo la porta.
“In salotto,” ribattè in tono altrettanto alto la sorella maggiore.
I tre s’incamminarono verso la stanza, con Alistair alle calcagna delle due ragazze.
“Hey, sorellona! Guarda un po’ chi abbiamo trovato io e Morag!” esclamò Megan, prima di dare un rapido abbraccio all’Auror.
“Alistair?” mormorò stupita Hestia.
“Ho pensato di passare a salutarti, visto che non sei riuscita ad assistere alla partita a cui ti avevo invitato e…” l’uomo le porse il mazzo di fiori, piegando le labbra in un sorriso.
“Sì, purtroppo Aiden è stato male e non me la sentivo di lasciarlo,” rispose Hestia, accettando il dono e appellando un vaso.
“Me l’ha detto Lexie, spero che stia meglio.”
“Sì, ora si è rimesso, infatti è fuori per il pomeriggio con i nostri genitori.”
“Quindi significa che sei libera?”
L’Auror strabuzzò gli occhi. “Intendi ora?”
“Beh, sì, a meno che tu e tua sorella non…”
“Io e Morag abbiamo da fare qui, perché voi non andate a prendervi un caffè?” s’intromise l’ex Tassorosso, dando una spintarella alla sorella.
“Ma ho detto a mamma che avrei pensato alla cena…”
“Non preoccuparti, possiamo farlo noi,” la rassicuro Morag.
Hestia fulminò con lo sguardo le due ragazze, che le sorrisero angeliche. “Vado a prendere il soprabito, visto la pioggia,” mormorò quindi, prima di salire al piano superiore.
“Forse non avrei dovuto tenderle una simile imboscata,” disse tra sé e sé il Cacciatore.
“Sciocchezze! Mia sorella deve ricominciare a uscire e smetterla di trincerarsi dietro ad Aidan.”
Alistair le lanciò un’occhiata incerta, prima di osservare la pioggia picchiettare contro il vetro.
“Mi sembra che ti piaccia molto,” azzardò a commentare Morag.
“In effetti sì… anche se non ci incontravamo da anni, dopo quel giorno nel suo ufficio è stato come se non ci fossimo mai persi di vista…”
“E allora non lasciarti scoraggiare dalle sue titubanze,” commentò Megan.
Alistair fece un sorrisetto. “Ve l’ha mai detto nessuno che vi somigliate molto?”
“Forse una persona o due…” ghignò Megan, prima che i tre fossero raggiunti da Hestia.
“Conosci qualche posto qui nei dintorni, Ashworth?”
“Questa sarebbe la tua zona, Jones…”
“Uomini, come fareste senza di noi?!” borbottò, prendendolo a braccetto e conducendolo fuori di casa.
 
Due ore, quattro cappuccini e due fette di torte dopo, Alistair stava riaccompagnando Hestia a casa sotto la pioggia ormai battente.
“Sai, mi sarei potuta semplicemente smaterializzare sotto al portico di casa.”
“Forse, ma così ti saresti persa altri quindici preziosi minuti in mia compagnia,” la rimbeccò l’uomo.
“Preziosi?” ribattè Hestia, inarcando un sopracciglio.
“Beh, non avremmo avuto l’occasione di parlare dei nostri libri preferiti…” Alistair si strinse nelle spalle, “per me è stato un argomento interessante, visto che non ti immaginavo proprio avida lettrice di libri babbani.”
“È una passione che ho riscoperto durante il periodo con gli zii di Harry e che ho coltivato nelle notti insonni dopo la nascita di Aidan.”
“Dovresti vedere la biblioteca di mia madre, rivaleggia con le più fornite di Londra…”
“Mi stai forse invitando a un altro appuntamento, Ashworth?”
“Solo se hai intenzione di accettare, Jones…”
Hestia gli sorrise enigmatica, prima di alzarsi sulle punte dei piedi e baciargli la guancia coperta da un lieve accenno di barba, inspirando il suo profumo di pulito e di muschio. “Credo di potertelo concedere, ma solo se dopo mi porterai fuori a cena…”
“Fammi sapere quando sei libera e ti porterò a mangiare ovunque tu voglia,” dichiarò Alistair, indugiando sul viso bagnato di pioggia di Hestia.
“Che ne dici di domenica prossima? Credo di poter convincere qualcuno a occuparsi di Aidan.”
“Perfetto, questa settimana giochiamo di sabato.”
“E per quale ragione credi che ti abbia proposto proprio la domenica?” domandò Hestia, con le iridi cerulee illuminate da una luce divertita.
Al ricambiò il suo sorriso, annuendo lentamente. “Per un attimo avevo scordato di avere a che fare con un Auror.”
“Cerca di non scordartelo più, Ashworth,” mormorò Hestia, strizzandogli l’occhio e varcando la porta di casa.
Rimasto solo sotto al portico, Al scoppiò a ridere — consapevole che Hestia non avesse nulla a che fare con le donne che era abituato a frequentare.

 
*
 
 
Hermione aveva sempre passato nervosamente le sue vigilie più importanti — e quella dalla separazione da Ron, e da Harry, non stava facendo eccezione. Si stava rigirando inquieta nel letto, quando un movimento fuori dalla finestra la fece saltare giù dal letto per trovarsi faccia a faccia con Ron a cavallo della sua scopa.
“Che ci fai qui? Sono le due del mattino!” esclamò, lasciandolo entrare.
“Avevo la sensazione che non stessi dormendo e ho pensato di passare a trovarti,” mormorò in risposta il ragazzo, posando la scopa sul pavimento e cercando di non fare troppo rumore.
Hermione insonorizzò rapidamente la stanza e chiuse a chiave la porta, prima di incrociare lo sguardo incerto di Ron.
“Se credi che abbia sbagliato posso sempre tornare a casa, tanto ci vedremo domattina alla stazione e…”
Hermione gli posò l’indice sulle labbra, prima di zittirlo con un bacio impetuoso che fece perdere l’equilibrio a Ron, spedendolo lungo disteso sul letto nel quale la ragazza si era rigirata fino a pochi attimi prima.
“Wow, se avessi saputo che questa sarebbe stata la tua reazione sarei volato qui a mezzanotte…” sussurrò Ron contro le labbra di Hermione, dopo che i due si furono separati.
Lei arrossì, mordicchiandosi il labbro inferiore. “È solo che stavo proprio pensando quanto mi saresti mancato e sei apparso fuori dalla finestra, come se avessi saputo quello che mi stava passando per la testa…”
“Forse è proprio così, non credi? Del resto, ci conosciamo da sette anni, ormai direi che è assodato che ci conosciamo piuttosto bene.”
“Mhmm, potresti avere ragione…”
Ron sorrise, giocherellando con i ciuffi ribelli dei capelli di Hermione, ancora sdraiata sopra di lui.
“E a cosa starei pensando, quindi?”
“Sicuramente rimugini su quanto hai messo nel baule, chiedendoti se hai dimenticato qualcosa, nonostante sai che i tuoi genitori, o io, potremmo spedirtelo in caso; ti chiedi anche come sarà la tua esperienza scolastica senza la necessità di star dietro a Harry e me e, non ultimo, sei agitata all’idea del ruolo di Caposcuola che ti aspetta, anche se non ne hai davvero alcuna ragione…”
Hermione rimase in un silenzio attonito, scrutando il ragazzo e continuando a tormentarsi il labbro inferiore.
“Allora? Non mi fai sapere se ho azzeccato?”
“In realtà sì, su tutti i fronti…”
“Sempre quel tono sorpreso,” celiò Ron, prima di catturare le labbra di Hermione tra le proprie per un rapido bacio e posare la fronte contro quella di lei, “andrà tutto alla grande, sarà l’ultimo anno che hai sempre desiderato…”
“Ma tu non ci sarai e nemmeno Harry…”
“Faremo il tifo per te dall’Accademia e ci racconterai tutto nei weekend di Hogsmeade.”
“Non voglio separarmi da te…”
“Se non lo fai non potrai ottenere i tuoi 10 M.A.G.O.”
“Da quando ti sei trasformato nella metà ragionevole della nostra coppia?”
“Da quando mi sono reso conto che non sarei mai diventato la persona che sono oggi senza te al mio fianco… non posso prometterti che non sbaglierò ancora, perché accadrà, ma ti giuro che farò tutto quello che è in mio potere per essere la versione migliore di me stesso, un uomo degno di te.”
“Devi smetterla di sottostimarti, perché sei già degno di me, Ronald Weasley.”
“Ti amo,” sussurrò contro il suo sorriso bagnato di lacrime.
“E io amo te,” ribattè lei, prima che le parole diventassero assolutamente superflue.




 
Nota dell’autrice:
Eccoci nuovamente qui, da questi ragazzi che mi sono mancati immensamente, ma che ho messo in pausa viste le numerose OS scritte recentemente.
Visto il caos che ci circonda, ho deciso che era tempo di tornare a concentrarmi su questa storia e sulla volontà di continuare a tracciare il futuro post-bellico degli eroi del mondo magico e dei loro amici.
Questa volta mi sono concentrata su Goerge e Angelina, Ron e Hermione e Alistair e Hestia: tre coppie alle prese con momenti fondamentali nelle loro vite — anche se l’unica vera coppia sono Ron e Hermione, ma possiamo intuire che le cose stiano procedendo nel verso giusto anche per gli altri.
Nel prossimo capitolo torneremo alla vita vera: Hogwarts, l’Accademia Auror, il negozio che si prepara alla riapertura, l’assenza di chi non ci è più accanto… spero che questo viaggio continui a piacervi. ♥︎♥︎

 

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