Amico di Dio, nemico di tutto il mondo

di Old Fashioned
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***
Capitolo 4: *** Parte quarta ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


AMICO DI DIO, NEMICO DI TUTTO IL MONDO




Parte prima



Germania, da qualche parte lungo le coste del Mare del Nord, circa 1420

Il cielo era un immane ribollire di nubi livide e contorte. L'ululato del vento si mescolava al rombo cupo del tuono e al crepitio dei fulmini, e dalla superficie sconvolta del mare si levavano spruzzi che il bagliore dei lampi rendeva sinistramente fosforescenti.
La Kogge[1] volava sulle onde verdastre, immergeva la prua e riemergeva con fiotti di spuma che sgrondavano dagli ombrinali. La vela si gonfiava investita dal vento di maestrale, l’albero gemeva a ogni raffica, mentre il sartiame si tendeva allo spasimo.
Capitano, se continua così affonderemo!” esclamò il nostromo, reggendosi alla struttura del castello di poppa.
L’uomo cui si era rivolto, alto, imponente, un mantello di cuoio lucido di pioggia che gli svolazzava dietro le spalle, sollevò lo sguardo verso le scricchiolanti strutture, e semplicemente ordinò: “Una mano di terzaroli, Hein.”
L’altro trasmise l’ordine, e subito due marinai afferrarono la vela per linea di scotta e cominciarono a serrare i matafioni.
Tesa allo spasimo dalla tempesta, la tela era dura come ferro. Si aggiunse un terzo uomo, ma un’ondata più violenta delle altre gli fece perdere l’equilibrio, egli rotolò investito dall’acqua che aveva invaso la coperta, e al successivo sollevarsi della prua venne trascinato fino all’impavesata. Si aggrappò spasmodicamente, ma un brusco movimento della nave lo scaraventò con mezzo corpo fuori bordo.
Egli urlò terrorizzato, mentre l’acqua tumultuosa sembrava addirittura protendersi per ghermirlo. Una folgore squarciò il cielo come un colpo di spada, il tuono che la seguì fu talmente forte da coprire per un attimo ogni altro suono. L’uomo urlò di nuovo.
Il capitano abbandonò la sua posizione sul castello, raggiunse rapidamente il ponte di coperta, barcollò investito da un’ondata e il cappuccio gli scivolò all’indietro, rivelando capelli biondi scoloriti dalla salsedine e una cicatrice che gli tagliava il volto dalla tempia al mento. Scrollò il capo per allontanare dagli occhi le ciocche bagnate, poi afferrò il marinaio e lo issò di nuovo a bordo.
Grazie, capitano,” ansimò questi, ma l’altro stava già tornando sul castello. Chiamò il nostromo.
Egli si fece avanti. “Capitano?”
Il primo strinse gli occhi. Scrutò per qualche istante il cupo agitarsi delle onde, quindi disse: “Con questo mare non riusciremo a passare dalla Bocca di Lupo.”
Ma non possiamo nemmeno rimanere qui fuori. Dobbiamo comunque raggiungere Lüsum.”
Passeremo dalle secche.”
Dalle secche, capitano? Rischiamo di arenarci.”
No, se passiamo per il canale.” Poi, dopo una pausa: “È l’unico modo. Dì a Lars che lo sostituisco io al timone, tu occupati della vela.”
Capitano, senti...” cominciò il nostromo, ma l'altro lo interruppe categorico: “No, Hein, senti tu: mi avete eletto come vostro comandante, e io ho giurato di fare del mio meglio per guidarvi. Dovete fidarvi di me, conosco questo tratto di mare.”
Si fissarono negli occhi per qualche istante, un'ondata scrosciò sulla prua, schizzi di spuma gelida arrivarono fino a loro. Un fulmine crepitò illuminando dall'interno le nubi plumbee.
Infine il capitano si girò, e senza dire altro raggiunse il timone.
L'uomo chiamato Lars aveva circondato la barra con entrambe le braccia, e la teneva in direzione puntellandosi anche con i piedi. Accanto a lui, un altro marinaio lo aiutava a reggerla. Nonostante gli sforzi congiunti dei due, il timone dava l'impressione di poter sfuggire alla presa da un momento all'altro, lasciando la nave senza guida in balia dei flutti.
Il capitano si unì a loro. “Va' ad aiutare gli altri alla vela, Lars!” ordinò poi. “Qui rimango io.”
La nave si scosse, rollò investita da un'ondata laterale, dalla stiva provenne il rumore secco di qualcosa che si spezzava.
Dannazione!” ringhiò fra i denti il capitano. Poi, di nuovo rivolto a Lars: “Tesa a ferro la scotta di dritta, voglio potermi affidare alla vela quando ce ne sarà bisogno.”
Sì, capitano.”

Le secche apparvero in lontananza, annunciate da un maggiore ribollire di schiuma bianca e da una disordinata frenesia delle onde. L'acqua era più chiara, e la sabbia sollevata dalla burrasca la rendeva lattiginosa. Il capitano diede un'occhiata ai suoi uomini e li vide scrutare preoccupati oltre la prua della Kogge.
Animo!” urlò, con voce sufficiente a coprire il fragore della tempesta. “Dopo quello che abbiamo passato, non vi farete spaventare da una secca!”
Un tuono sembrò suggellare quelle parole di sfida.
La nave avanzò destreggiandosi sui bassi fondali. A un tratto si udì un rumore raschiante, e lo scafo si inclinò da una parte.
Mollare i terzaroli!” ordinò il capitano, “Tesare a ferro le scotte!”
La vela così liberata si gonfiò con uno schiocco, e strappò in avanti la Kogge. L'albero emise un gemito, sulla sua sommità si accese gelida la fiammella di un corposant[2].
È un segno di Dio!” gridò qualcuno in coperta.
Con voce possente, il capitano rispose: “Meno chiacchiere, uomini! Non sarà Dio a tirarci fuori da questa situazione, ma il nostro coraggio!”
La nave scartò, beccheggiò investita da ogni parte dalle onde impazzite, di nuovo raschiò il fondo con la carena. Le fiamme azzurre del corposant si torsero nell'aria livida mentre scrosci di pioggia e schiuma si abbattevano sulla coperta.
Il capitano manovrò ancora una volta la barra del timone, cercando di offrire al vento ogni minima parte della vela. La Kogge parve scrollarsi, uno scricchiolio sinistro percorse tute le sue strutture, l'albero si curvò come sottoposto a una forza immane, ma subito dopo l'imbarcazione scattò in avanti, lasciandosi a poppa i banchi di sabbia.
Gli uomini esultarono di nuovo, con un urlo di selvaggia rivalsa nei confronti degli elementi furibondi. Sospinta dalle raffiche di maestrale, la nave volava sulle onde sollevando creste di spuma. In lontananza comparvero due luci fioche.
Lüsum,” sospirò il nostromo, con lo sguardo fisso in quella direzione.
Il capitano annuì, poi proclamò: “Audaces fortuna iuvat, avrebbe detto Magister Wigbold.”
Già.”
Berremo alla salute sua e degli altri, stasera.”
Come sempre, capitano.”
Lo meritano.”
Già.”

Lüsum era poco più di una spiaggia che si allargava in un'insenatura riparata, circondata da case fatiscenti. Da una parte c'era un corto molo di pietra, attorno al quale erano ormeggiate un altro paio di Kogge e qualche Kreyer[3]. Le poche strade, trasformate dal temporale in torrenti di fango, erano deserte.
Solo il più grande degli edifici, ovvero ciò che restava di una chiesa sconsacrata e priva del campanile, mostrava qualche fioca luce all'interno. Per il resto, a parte due lanterne che cigolavano spinte dalle raffiche, il luogo sembrava disabitato.
Di più: sembrava non essere mai stato abitato. Le finestre erano serrate, dai camini non usciva fumo. Alcune delle capanne avevano il tetto di paglia fradicio, nel quale gli uccelli di palude avevano nidificato.
Rade erbacce crescevano ai piedi dei muri sporchi.
La Kogge attraccò, il capitano scese a terra. La porta di un capanno poco distante si schiuse, e da essa fece capolino un volto magro, con una benda sull'occhio destro e radi capelli rossicci a incorniciarlo.
Salute, Tilo,” disse il capitano.
Ah, sei tu,” brontolò l'altro, senza abbandonare il suo posto. “Fatto buona caccia?”
Il primo si strinse nelle spalle. “Le navi dell'Hansa non escono con questo tempo.” Si aggiustò il cappuccio di cuoio che una raffica di vento gli aveva spinto indietro.
Hanno paura di perdere il loro prezioso carico?”
Già. C'è qualcuno all'Aringa?”
Sono tutti là.” L'uomo sputò da una parte, poi recuperò un bicchiere di coccio e bevve un sorso. “Tranne me e Fiete. A noi tocca la guardia.”
Prima o poi tocca a tutti.”
Tilo ghignò. “Certo, ci spartiamo ogni cosa come dei veri fratelli[4].”
Tieni gli occhi aperti.”
L'altro alzò le spalle. “Chi vuoi che arrivi con questo tempo? Anche i pesci stanno nascosti.”
Tu tienili aperti. Non ci tengo a finire al Grasbrook[5].”

Il capitano si tirò il cappuccio fin sugli occhi, e seguito dai suoi uomini si diresse alla chiesa. Spinse la porta ed entrò nell'edificio: la navata era ingombra di tavoli, sui quali ardevano numerose candele. Da una parte era stato ricavato un grande camino, e il fuoco vi scoppiettava allegro. Su spiedi e graticole cuocevano pesci di varie dimensioni.
Ovunque c'era gente che beveva, parlava a voce alta e rideva, e la cacofonia delle conversazioni si rifletteva e si amplificava contro le volte del soffitto.
Il capitano fece qualche passo nella sala. Una donna che stava passando con un vassoio carico di boccali si fermò a guardarlo e disse: “Ecco finalmente il vecchio Eike! Va' vicino al fuoco, prima di prenderti un malanno: sei più fradicio di un pagliolo.”
L'uomo annuì e si diresse verso il camino. Mentre passava, gli altri gli davano pacche sulle spalle o gli rivolgevano rudi parole di saluto. Uno gli porse addirittura il boccale, dal quale egli bevve un lungo sorso.
Tese le mani verso le fiamme, socchiudendo gli occhi con un sospiro di soddisfazione, poi si fece scivolare giù dalle spalle il mantello di cuoio ormai fradicio e lo appese a un piolo che spuntava dalla parete. Si stirò avvertendo le ossa scricchiolare, poi si passò le mani fra i capelli bagnati per tirarseli indietro, quindi li legò con un laccio che portava al collo.
La donna di prima lo raggiunse e gli tese un boccale pieno, dal quale colava un rivolo di schiuma candida. “Un po' di birra,” disse semplicemente.
Grazie, Dörthe,” rispose l'uomo.
Vuoi da mangiare?”
Il capitano scambiò un'occhiata con il nostromo, comparso nel frattempo alle sue spalle, quindi indicò un pesce che stava cuocendo e rispose: “Un po' di quell'halibut non ci dispiacerebbe.”
Arriva.”
Trovarono un tavolo libero e si sedettero. Poco lontano c'era un gruppetto di giovinastri che pareva molto allegro.
Eike si voltò a osservarli: un equipaggio arrivato a Lüsum da poco.
Forse non hanno ancora capito come funzionano le cose da queste parti,” brontolò il nostromo quando il capo della banda salì in piedi su una sedia per farsi acclamare dai suoi.
Il capitano scosse la testa. “Ah, lascia stare. Sono riusciti a catturare una Vredekogge[6] e pensano di essere diventati i padroni del mare.”
Detto questo cercò di disinteressarsi al gruppetto, ma più i giovinastri bevevano birra, più la loro allegria diventava invadente anche per i criteri dell’Aringa Salata. Più d’uno rivolse loro occhiate infastidite.
Sempre in piedi sulla sedia, il ragazzo a un certo punto gridò: “Lo sapete chi sono io? Amico di Dio, nemico di tutto il mondo!”
A quelle parole, immediatamente il nostromo strinse la mano sull’avambraccio che il capitano aveva posato sul tavolo. “Lascia stare,” lo ammonì a mezza voce.
Branco di pivelli con la bocca ancora bagnata di latte,” ringhiò questi. “Non sanno nemmeno di cosa stanno parlando.”
E dai, capitano.”
Guardalo là: tronfio come un galletto su un mucchio di letame.”
Il ragazzo salì in piedi sul tavolo. “Amico di Dio, nemico di tutto il mondo!” ripeté. “Questo è il mio motto!”
Eike si alzò in piedi e allontanò bruscamente la sedia, poi si diresse a grandi passi verso l’allegra combriccola, afferrò il giovanotto per una gamba e lo scaraventò giù dal tavolo. Già alticcio, questi non riuscì a opporsi e cadde con fragore, mandando in frantumi tazze e boccali. “Ehi, che ti piglia?” urlò costernato. Nessuno si mosse in sua difesa. Più d’uno, anzi, testimoniò la propria approvazione al capitano con cenni del capo o parole.
Eike frattanto incombeva su di lui con i pugni serrati e gli occhi iniettati di sangue. “Quello non è il tuo motto, specie di bamboccio idiota.”
Non è nemmeno il tuo, se è per questo,” replicò il più giovane, fissandolo con astio.
L’altro fece un passo avanti, costringendolo ad arretrare bruscamente, poi chiese: “Lo sai cos’hai appena detto? Lo sai di chi stai parlando?”
Io...”
Lo sai chi era Störtebeker?”
Nella sala era calato un silenzio gelido. Gli unici rumori che si udivano erano il crepitare del fuoco e l’ululato lugubre del vento. Gli occhi di tutti erano fissi sulla scena. “Sai chi era?” ripeté il capitano.









[1] Imbarcazione in uso nel medioevo nel Mar Baltico e nel Mare del Nord. Aveva funzioni sia commerciali che militari.
[2] Anche noto come “Fuoco di Sant'Elmo”, è una scarica elettro-luminescente provocata dalla ionizzazione dell'aria durante un temporale.
[3] Tipo di chiatta coeva della Kogge, in uso nelle stesse zone.
[4] Fa riferimento al nome che si davano i pirati di quelle zone, ovvero Vitalienbrüder (letteralmente: “i fratelli delle vettovaglie”). Il nome deriva dal fatto che nel corso della guerra tra Svezia e Danimarca essi furono ingaggiati dal re svedese Albrecht III per rifornire di vettovaglie la sua capitale assediata.
[5] Spianata situata vicino al porto di Amburgo, sulla quale anticamente si giustiziavano i pirati.
[6] Da vrede, forma più antica di Friede, ovvero pace. Si trattava di Kogge armate che venivano usate per i combattimenti contro i pirati. Il termine fa riferimento al fatto che avevano il compito di “portare la pace” nei mari.

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


Salve a tutti, ecco la seconda parte del mappazzone sui pirati del Mare del Nord. Ringrazio chi mi ha letto e seguito fin qui, e in particolare chi mi ha lasciato un commento, ovvero Saelde_und_Ehre, John Spangler, Syila, alessandroago_94, innominetuo, Yonoi, Rose Ardes, TheWalkingNerd e queenjane.







Parte seconda


Avevo vent’anni quando mio padre mi portò per mare per la prima volta. Ricordo che al pensiero di quel viaggio non ero per nulla contento: non ero ansioso di solcare le onde a bordo di una Kogge, né avevo voglia di aggirarmi per mercati chiassosi a contrattare legna e barili di aringhe.
Avrei preferito starmene nella tranquillità della nostra casa di Lubecca a studiare le sette arti liberali, o magari avrei voluto viaggiare, sì, ma lo stretto necessario per raggiungere Parigi e la sua Università, e poi da là non mi sarei più mosso.
Ma a mio padre l’Università non piaceva. La considerava roba da nobilastri sfaccendati, e non aveva la minima intenzione di permettere a uno dei suoi due figli di infognarsi in quel truogolo di teorie strampalate e gente dalla dubbia moralità.
Per me aveva gettato le basi di una fiorente carriera nella Lega Anseatica, e si aspettava che io la seguissi esattamente come stava facendo mio fratello maggiore.

Quando vi giunsi, il porto non mi parve per nulla diverso da come l’avevo immaginato: il cielo era coperto, l’acqua grigia e sporca. Non appena scesi dalla carrozza, i più diversi odori mi assalirono le nari, e nessuno di essi mi risultò piacevole: ovunque stagnava il puzzo del pesce marcio, ma vi erano anche quello del catrame, del legno fradicio, della lana grezza e tanti altri che allora nemmeno riuscii a identificare. Certi gabbiani enormi, col becco che sembrava fatto di ferro, si contendevano stridendo i rifiuti.
Veicoli carichi di mercanzie si incrociavano, si sorpassavano a vicenda, si urtavano tra le maledizioni dei conducenti e della gente che li attorniava. Un carro trainato da un paio di buoi, colmo all’inverosimile di grosse balle biancastre, finì con la ruota in una buca del selciato. Si udì lo schianto dell’assale che si spezzava ed esso si inclinò pericolosamente. La folla che gli stava sciamando intorno si disperse urlando e imprecando.
Una donna dai capelli color stoppa, vestita di colori sgargianti, mi tirò per una manica e chiese: “Vuoi farti un giro, signorino?”
Mentre io saltavo indietro spaventato, intervenne mio fratello dicendo: “Lascia stare, Antje. Un’altra volta, magari.”
Hai una moneta?”
Vattene.”
Una moneta,” ripeté la donna. Lasciò andare la mia manica e si aggrappò a una falda della sua veste bordata di pelliccia. “Una moneta sola.”
Lascia…” cominciò Albrecht. Si fece indietro per sottrarsi alla presa della donna, ma così facendo urtò un giovanotto che stava passando con un rotolo di reti da pesca sottobraccio.
Ehi, che fai, specie di idiota?” urlò questi, per nulla impressionato dalle ricche vesti di mio fratello.
Avanzarono gli uomini d’arme che mio padre aveva ingaggiato per il viaggio, e subito, ansiosi di dimostrare che avevano preso molto sul serio il loro compito, cominciarono a spintonare e a malmenare il robusto pescatore, che imprecando si difendeva vigorosamente.
Io cercai stranito lo sguardo di mio fratello, ma Albrecht si sfilò dalla cintura uno scudiscio, lo brandì, lo levò alto sulla testa e balzò nella mia direzione. Istintivamente mi coprii il volto con le braccia, ma il colpo non si abbatté su di me. Udii il sibilo della frusta, poi uno schiocco e un grido. Vidi un ragazzetto coperto di stracci allontanarsi con tutta la velocità che le sue gambe ossute gli consentivano.
Fissai stupefatto mio fratello.
Ti stava rubando la scarsella,” disse questi a mo’ di spiegazione.
Ma…”
Devi stare più attento. Non sei più nella tua stanza piena di libri.”
Io mi limitai ad alzare le spalle. “Purtroppo,” sospirai. Da qualche parte, qualcuno aveva cominciato a suonare una ghironda, da una taverna usciva un canto stonato da ubriachi. Una zaffata di fumo di torba mi investì in pieno, facendomi tossire.
Albrecht mi scompigliò affettuosamente i capelli, poi disse: “Vedrai che tra un po’ ci farai l’abitudine.”
In quel momento passò un uomo senza gambe che si trascinava su una specie di carrello e intanto cantava con voce stridula un inno sacro. Dietro di lui, un paio di cani randagi si contendevano ringhiando un pezzo di pesce secco.
Ne dubito,” dissi con voce cupa.
È capitato anche a me: all’inizio mi sembrava un girone dell’inferno, ma poi pian piano ho cominciato a vedere un ordine dietro a questo apparente caos.”
Mi guardai intorno smarrito, quindi replicai: “E che ordine ci sarebbe? Nemmeno al carnevale si vedono tanti pazzi tutti insieme.”
Mio fratello mi indicò dei carri che procedevano uno dietro l’altro. “Li vedi quelli? Sono carichi di balle di stoffa. Direi tela di Fiandra, così a occhio. E vedi quegli uomini che li circondano e non li perdono d’occhio un attimo? Sono i guardiani ingaggiati per far sì che nessuno ne porti via una.”
Seguii con lo sguardo la fila di veicoli e non risposi. Fu di nuovo Albrecht a parlare: “Un po’ diverso dai tuoi libri di filosofia, vero?”
Decisamente.”
Ricordati però una cosa,” replicò lui. “La filosofia non riempie la pancia, le aringhe sì.”
A quel punto si avvicinò nostro padre. Si guardò intorno compiaciuto, pose i pugni sui fianchi e disse: “Ebbene, Eike, che te ne pare?”
Frastornato da tutta quella confusione, non riuscii a trovare una risposta adeguata e mi limitai a chinare la testa.
Echeggiò uno strillo femminile, poi rumore di vetri infranti. Qualcuno gridò: “Al ladro!”
Un paio di robuste guardie cominciarono a correre per raggiungere il furfante, spintonando chi non era lesto a scansarsi.
Mio padre dedicò appena uno sguardo annoiato alla scena, poi di nuovo si rivolse a me: “Ora ti spiego come si svolgerà il nostro viaggio. Presta attenzione, figlio mio, perché queste saranno le rotte che poi dovrai percorrere da solo, quando avrai la tua Kogge e seguirai i tuoi affari.” Mi diede una pacca sulla spalla e soggiunse: “O magari i miei, quando io sarò troppo vecchio per certe cose.”
Gli rivolsi uno sguardo afflitto, al quale egli non fece minimamente caso. Continuando a tenermi una mano sulla spalla, mi indicò le navi alla fonda e disse: “Vedi quella Kogge scura, con gli stemmi di Amburgo sul castello? Dovrai stare attento a quella: è la nave di Stubbe, quello che commercia aringhe, ambra, cera d'api e legname, e non ce n’è una così veloce in tutto il Baltico. È più veloce persino della Bunte Kuh[1]. Gli ho chiesto mille volte se me la vendeva, ma quel vecchio furbastro non ne vuole sapere.”
La nostra non è veloce, padre?” gli chiesi.
Le nostre, vorrai dire. Benedetto figlio con il naso sempre nei libri, non sai nemmeno quante navi abbiamo? Ce ne sono due per le merci, belle robuste, e una Vredekogge carica di uomini armati, che ci difenderà dai pirati.”
A quelle parole mi sentii gelare e gli rivolsi uno sguardo smarrito. Avevo sentito parlare dei pirati, ma li avevo sempre considerati una minaccia vaga, più che altro una specie di leggenda. Una storia per spaventare i bambini, come quella del Krampus.
C’è pericolo?” gli chiesi.
Mio padre scosse la testa. “Non per noi. A parte che dopo la batosta di due anni fa a Gotland[2], i pirati hanno capito che non c’è tanto da scherzare. Inoltre partiremo con i nostri validi uomini d’arme, che ci accompagneranno e ci difenderanno. Certo, ci costano parecchio, ma il capitano, qui, è stato in mezzo ai Vitalienbrüder per un po’, quindi sa bene come affrontarli.”
A quelle parole si fece avanti un tanghero alto almeno un palmo più di me, con la faccia coperta di cicatrici. Vestiva una cotta di maglia e bracciali d’acciaio, e oltre alla spada, dalla cintura gli penzolava una balestra leggera.
Io lo fissai stupefatto, lui si limitò a chiarire: “Ero con loro ai tempi della guerra contro la Danimarca.”
Deglutii. “Conoscete Störtebeker?” gli chiesi.
Egli alzò le spalle. “E chi non lo conosce? È l’amico di Dio e il nemico di tutto il mondo.” Fece una brave risata, poi soggiunse: “O almeno, è ciò che dice di sé.”
È davvero così terribile come si racconta?”
Anche di più,” confermò l’uomo d’arme. “I marinai tremano al solo udire il suo nome. Egli…”
Basta così,” lo interruppe mio padre. “Portate a bordo i vostri, non abbiamo tempo da perdere in chiacchiere.”
L’altro aprì la bocca per replicare, ma poi si limitò a un lieve inchino e si allontanò.
Voleva farsi alzare la paga,” mi spiegò disinvolto mio padre. “Questi qua si inventerebbero qualsiasi cosa per spillare qualche marco in più, ma quando un soldato si mette a contrattare con un mercante non può che uscirne sconfitto. Non ti pare, figlio?”
Sì, padre,” risposi obbediente.
Molto bene. Ti stavo parlando della rotta che seguiremo, non è vero?” Mi prese di nuovo familiarmente per una spalla, e sospingendomi in avanti cominciò a narrare quello che avremmo fatto. A ogni tappa, io diventavo più avvilito: la prospettiva era quella di salpare per Göteborg con un carico di pelli conciate e lana, venderle là, acquistare con i proventi pesce secco e barili di aringhe e salpare di nuovo alla volta del fondaco di Londra. Là avremmo venduto il pesce e comprato stoffe da portare ad Amburgo.
Mentre mio padre mi spiegava soddisfatto quanto ci avrebbero fruttato tutti quei commerci, io calcolavo smarrito quanto tempo sarebbe passato prima che potessi rivedere la mia biblioteca. “Padre, devo proprio accompagnarvi?” chiesi implorante.
Ti piacerà,” fu l’unica risposta che egli si degnò di fornirmi. “Hai bisogno di guardarti intorno e vedere come va il mondo. Hai bisogno di diventare uomo. Tra un po’ io sarò troppo vecchio per queste cose, e allora chi se ne occuperà?”
Pensavo che l’avrebbe fatto Albrecht, padre.”
Sciocchezze, gli Hoelscher devono stare uniti. Che cosa vuoi fare, rintanarti in un monastero a far niente per il resto della vita mentre tuo fratello si spacca la schiena per tutti e due?”
Senza darmi il tempo di rispondere, mi condusse lungo il molo fino a una nave collegata a terra da una passerella. Sotto lo sguardo vigile di gabbiani, mendicanti e ladruncoli, l’equipaggio stava portando a bordo mercanzie e provviste.
Mio padre la fissò compiaciuto e disse: “Porta novanta Last[3], non uno di meno!”
È vostra, padre?”
Ma si capisce! È la Mädchen von Lübeck[4], puoi anche chiamarla solo Mädchen. Poi ci sono la Zäh[5] e la Löwin[6].” Me le indicò.
Sono belle,” mi sentii in dovere di dirgli.
Sono le più belle. Mi sono costate una fortuna, ma sono state fatte dai migliori carpentieri.”

§

A dispetto dell'entusiasmo di mio padre, trascorsi la prima tappa del nostro viaggio sdraiato nella mia cuccetta in preda a un terribile malessere. Le poche volte che riuscivo ad alzarmi, correvo per prima cosa a piegarmi sull'impavesata e rigettavo fino a che non rimanevo prostrato e ansante, con gli occhi che lacrimavano e il volto rosso per lo sforzo. Poi, sfinito dai conati e dal digiuno obbligato, non potevo fare altro che tornare a sdraiarmi.
Quando le forze non erano sufficienti, mi limitavo a giacere in uno stato di penoso dormiveglia, e affidavo le mie necessità a un secchio che qualcuno mi aveva posto accanto.
Della navigazione fino a Göteborg in pratica non vidi nulla. Mi ritrovai in quella città di guglie e case dalle alte facciate come se qualcuno mi ci avesse trasportato per magia, e per qualche giorno non riuscii a fare altro che giacere in un letto finalmente fermo, ringraziando Dio e tutti i santi che quel supplizio fosse finito.
Non sapevo come sarei riuscito a proseguire il viaggio, perché la sola idea di trovarmi di nuovo a bordo della Mädchen, nell'aria al tempo stesso gelida e viziata della stiva, puzzolente di cordame di canapa e pesce secco, era sufficiente a darmi il voltastomaco.

Ripartimmo alla volta dell'Inghilterra. Ci lasciammo alle spalle il Kattegat, doppiammo rapidamente la punta di Skagen, percorremmo lo Skagerrak e da lì entrammo nelle ferree immensità del Mare del Nord.
Nonostante la mia ferma convinzione che non sarebbe mai accaduto, cominciavo ad abituarmi al moto della Kogge. Trascorrevo più tempo in coperta, e non solo piegato a vomitare fuori bordo. A volte mi sorprendevo a contemplare il mare, a godere del blu profondo delle onde sotto i raggi del sole e della loro forma, sempre uguale eppure sempre diversa. Provavo un brivido di eccitazione quando le vedevo ergersi e guizzare come cavalli selvaggi, coronate da una bianca cresta di spuma.
La salsedine agiva su di me come una pietra pomice, che pian piano mi levigava e mi toglieva di dosso strato dopo strato la vita che avevo condotto fino a quel momento. Mi rendeva nuovo, in un certo senso, mi faceva scoprire il piacere fisico del sole sulla pelle e del vento sul viso. I mille rumori della Mädchen erano diventati un canto nel quale pian piano stavo imparando a riconoscere ogni voce, dal frusciare delle onde sulla carena al cigolio ritmico del sartiame stirato dai movimenti dell'albero. Lo schiocco della vela che si distendeva gonfiata dal maestrale svegliava in me segrete idee di libertà.
Cominciai a conoscere anche i membri dell'equipaggio. La sera sedevo con i marinai intorno alla cassa di ferro in cui il cuoco preparava le braci per cuocere i pasti, e dividevo con loro aringhe affumicate e galletta.
Mi scoprii avido di racconti di mare, la poesia cortese di cui mi ero fino ad allora dilettato cominciò a sembrarmi inconsistente e frivola. Sciocca, in confronto alle storie tenebrose e terribili che quegli uomini si raccontavano con gli occhi fissi sul fuoco, abbassando la voce nei passaggi più carichi di mistero.

§

Ricordo che quando avvistai le navi dei pirati all'orizzonte ne fui inizialmente affascinato. Il sole si stava avviando verso il tramonto, l'acqua aveva abbandonato il blu intenso del meriggio per assumere una tonalità ferrea, e i raggi aranciati lasciavano sulle onde vaghi baluginii di fucina.
Le vele in lontananza erano un grappolo candido.
Mi diedero l'idea di essere qualcosa di etereo, prezioso. Mi fecero pensare a petali sospinti dal vento.
Mi voltai verso mio padre per indicargliele, ma vidi che egli le stava già fissando, e una profonda ruga verticale gli si era scavata al centro della fronte. Al suo fianco il capitano, in viso la stessa espressione di inquietudine tormentosa, le stava a sua volta scrutando. A bordo della Mädchen era calato un silenzio carico di cupa aspettativa.
Fissai mio fratello rivolgendogli una muta richiesta di spiegazioni, ma egli non ebbe bisogno di parlare, perché in quel momento echeggiò decisa la voce del capitano: “Portate in coperta le armi, tutti ai posti di combattimento.”
Il clangore del metallo ruppe la quiete sinistra che aveva pervaso la Kogge.
D'istinto mi voltai verso le due navi che ci accompagnavano, la Zäh e la Löwin, e vidi che a bordo di entrambe gli uomini si stavano ugualmente preparando allo scontro.
Tornai a rivolgere l'attenzione a mio padre. Egli stava parlando con il capitano: “Non potremmo invertire la rotta?” stava chiedendo.
L'altro, un marinaio di Brema che portava il nome di Henning, fece un gesto di diniego e rispose: “Siamo a pieno carico, ci raggiungerebbero prima del buio.”
E quindi cosa possiamo fare?”
Il capitano lo fissò. “Immagino che liberarsi delle merci sia fuori questione?”
Mio padre scosse la testa con fare deciso, poi replicò: “Sono barili di aringhe di prima qualità, tra le migliori che abbia mai visto. A Londra me le pagheranno a peso d'oro.”
Henning si strinse nelle spalle. “Se ci arriviamo, a Londra.”
Abbiamo uomini armati. Se non si può fare altro, combatteremo.”
Combatteremo di sicuro, a meno che non decidiamo di consegnare loro tutto ciò che vorranno prendersi, ma solo Dio sa con quale esito.”
Abbiamo soldati esperti,” ripeté mio padre.
Il capitano non rispose.
Ci fu un lungo silenzio, durante il quale io continuai a fissare le vele all'orizzonte, poi mio padre chiese: “Sei sicuro che sia lui?”
È impossibile sbagliare. Quanto è vero Iddio, quello è Störtebeker: guardate la bandiera.” Sulla più grande delle vele bianche era comparso un lungo drappo rosso, che si torceva nel vento come una sinistra lingua di fuoco.
Il capitano chiamò il nostromo e gli ordinò di far avvicinare la Löwin, sulla quale si trovava la maggior parte degli uomini d’arme.
Un brivido ghiacciato mi corse lungo la schiena. I marinai si stavano già spartendo le armi, la coperta veniva sgombrata per il combattimento. Nessuno parlava e gli unici suoni che si sentivano erano il tramestio dei passi e il rumore del ferro che veniva maneggiato.
Anche a me fu consegnata una spada.
La strinsi in pugno irresoluto. Ero istruito nell’uso delle armi, ma come può esserlo il figlio di un facoltoso mercante che ha trascorso tutta la sua vita nella sicurezza della città natale. Se anche vincevo scontri con gli altri rampolli dei benestanti locali, cos’avrei potuto fare contro un pirata avvezzo a combattere senza alcuna regola se non quella di dare la morte all’avversario?
Mi avvicinai a mio fratello. “Cosa succederà?” gli chiesi. Lanciai alle navi uno sguardo colmo d'apprensione.
Albrecht le fissò a sua volta, poi mi indicò i soldati della Löwin e rispose: “Vedi che Karsten e i suoi uomini si stanno già preparando al combattimento? Ci difenderanno loro.”
Io non replicai. Osservavo le espressioni dei marinai esperti, ed esse non mi comunicavano niente di buono: nessuno sulla Mädchen sembrava illudersi che i soldati sarebbero stati in grado di proteggerci.

Seguii con lo sguardo le navi che si avvicinavano lente ma inesorabili, aprendosi a ventaglio sull'acqua per tagliare ogni via di fuga. La luce calava adagio, le onde si facevano plumbee e all'orizzonte solo una sottile linea luminosa indicava il punto in cui il sole era scomparso. L'aria era fredda.
Il silenzio era rotto solo dagli scricchiolii del fasciame e delle sartie. Ovunque mi girassi, vedevo volti tesi, pallidi di paura.
Mio padre si rivolse al capitano: “Fa buttare a mare i barili,” ordinò, ma l'altro scosse la testa. “Sarebbe peggio. A questo punto è meglio avere qualcosa da gettare nelle fauci dei lupi, oppure essi divoreranno la nostra carne.”
Le Kogge dei pirati erano ormai a un tiro di freccia. A bordo vi erano delle fiaccole accese, che gettavano sull'acqua riflessi sanguigni. Nella luce cupa del crepuscolo distinguevo sulle spettrali imbarcazioni solo sagome nere e immobili, ma coglievo anche senza vederli gli sguardi bramosi dei pirati, li sentivo addosso come quelli di belve fameliche.
Quando le navi si furono avvicinate ulteriormente, nel silenzio esplose all'improvviso una cacofonia di grida. “Amico di Dio!” urlò una voce così potente da sovrastare tutte le altre. A essa fece seguito il terribile ruggito di decine di altre voci: “Nemico di tutto il mondo!”
Un istante dopo, cominciarono a piovere sulle nostre navi nugoli di frecce e dardi. I micidiali proiettili squarciavano le vele, si piantavano nelle carene o cadevano sulla coperta e costringevano chiunque a cercare ripari di fortuna. Io rimasi a fissare irresoluto quella pioggia mortale, affascinato dalla sinistra bellezza delle punte metalliche che brillavano fugaci alla luce delle fiaccole, e fu mio fratello Albrecht che mi afferrò per una manica e mi tirò al coperto.
Vidi arrivare in volo un involto dal quale si sprigionavano fiamme. Esso cadde sulla coperta della Zäh con un rumore di cocci infranti e il suo contenuto dilagò sulle assi, spargendo intorno un fuoco che sembrava impossibile da estinguere.
Le navi pirate continuarono ad avvicinarsi, i nostri tiravano frecce per tentare di colpire gli equipaggi, da entrambi gli schieramenti salivano lamenti e imprecazioni. Un grappino d’abbordaggio arrivò in volo e si piantò nell'impavesata. La cima cui era collegato si tese e la Mädchen fu attraversata da una scossa. L'albero ondeggiò, facendo oscillare la vela ormai a brandelli. Un secondo grappino si piantò accanto al primo, un marinaio accorse con un’accetta, tranciò una delle cime, ma prima di riuscire a tagliare l’altra fu trapassato da un dardo, emise un roco grido e cadde in acqua. Arrivò un altro grappino, la nave pirata era ormai così vicina che da essa gli assalitori si stavano preparando a saltare sulla nostra.
Davanti al nascondiglio nel quale ci eravamo rifugiati passò di corsa uno dei marinai. D’improvviso crollò a terra con gli impennaggi bianchi di una freccia che gli uscivano dal petto, si torse e poi si irrigidì. Esalò l'ultimo respiro così vicino che mi parve di essere investito dal suo soffio tiepido. Mi voltai smarrito verso Albrecht, che con voce asciutta mi disse: “Dobbiamo combattere, o ci uccideranno tutti!”
Azzardai un'occhiata verso la coperta: alla luce degli incendi, i pirati che vi stavano dilagando erano demoni feroci, dallo sguardo spiritato, bramosi di sangue e rapina.
Ci uccideranno ugualmente,” gli risposi atterrito. Fui tentato di buttare fuori bordo la spada che stringevo in mano. Forse Albrecht lo intuì, perché in tono tagliente mi disse: “E non credere che avrebbero pietà di te, se ti vedessero inerme. Saresti solo un bersaglio più facile.”
Mi afferrò per un braccio e si lanciò fuori dal nostro rifugio, ma un istante dopo emise un lamento soffocato e crollò a terra. Con un grido d’angoscia mi piegai su di lui e vidi che si teneva una gamba con entrambe le mani. Il sangue scorreva a rivoli fra le dita.
Albrecht!” esclamai chinandomi accanto a lui.
Era sbiancato in volto e aveva la fronte imperlata di sudore gelido. Sulle sue mascelle i muscoli erano tesi come corde. “Vattene,” ansimò a denti stretti, “va’ via, Eike. Mettiti al coperto.”
Qualcuno crollò accanto a me, fui investito da un fiotto di sangue caldo che mi intrise gli abiti, e quasi rischiai di venir meno quando il suo odore ferroso mi invase le narici. Mi appoggiai con una mano al suolo e chiusi gli occhi cercando di recuperare la lucidità.
La voce di Albrecht mi richiamò alla realtà: “Va’ via, Eike!”
Via, dove?” gemetti smarrito. Gli uomini del capitano Karsten erano saliti sulla Mädchen e ormai la battaglia infuriava ovunque. L’aria era satura del clangore delle armi e delle grida degli uomini, ovunque stagnava l’odore acre del macello.
Senza nemmeno ascoltare la sua risposta, strappai un pezzo della mia camicia e ne feci delle strisce, con cui cercai di bendargli alla meglio la ferita. Nella scarsa luce non vedevo nemmeno da cosa fosse stata provocata, percepivo solo il sangue caldo e viscoso che mi scorreva tra le dita, e non riuscivo a capire se i brandelli che toccavo sulla sua coscia fossero di stoffa o di carne.
Cercai di concentrarmi su Ippocrate, Galeno, Avicenna e tutti i grandi medici del passato di cui avevo letto i trattati, ma essi non mi furono di nessun aiuto: nella mia mente sconvolta dal terrore i pensieri si susseguivano disordinati come animali in fuga da una foresta in fiamme, e io non ero in grado di concentrarmi su nessuno di essi.

Passò un tempo imprecisato. Frattanto era calata la notte e l’unica luce proveniva ormai da alcune fiaccole resinose, che ardevano sfrigolando. Mi guardai intorno e sbattei gli occhi come svegliandomi da un lungo incubo: la coperta era rossa di sangue, disseminata di corpi e parti di essi. La vela era a brandelli, le manovre pendevano tranciate e oscillavano lente a seconda dei movimenti della Kogge.
Non riconobbi nessuno degli uomini rimasti in piedi. Mi strinsi a mio fratello e mi rannicchiai in un assurdo tentativo di scomparire nell’ombra, poi rimasi a fissarli mentre percorrevano la coperta a passi lenti, sollevando i coperchi delle botti, guardando qua e là. Uno raccolse qualcosa da uno dei morti e se lo infilò in tasca, ma subito un altro gli diede uno spintone e lo costrinse a mettere quello che aveva preso alla base dell’albero, dove si stavano ammucchiando le monete e tutti gli oggetti di qualche valore.
Uno dei pirati risalì dalla stiva portando uno dei miei libri. Fece per buttarlo a mare, ma un altro pirata altissimo e magro, con addosso una specie di sdrucito abito talare, glielo strappò di mano e gli disse qualcosa in tono aspro, quindi aprì il volume e passò la mano sulla prima pagina con fare affettuoso, poi lo appoggiò con delicatezza alla base dell’albero con l’altra roba.
A quel punto udii un tramestio in avvicinamento. C’era gente che parlava, e mi balzò il cuore nel petto quando riconobbi la voce di mio padre. “Dio ti ringrazio,” mormorai, poi mi piegai su mio fratello e sottovoce lo chiamai.
Che c’è?” chiese lui.
Papà è vivo, l’ho sentito parlare.”
Albrecht stava per replicare quando la luce mi investì e una mano pesante mi agguantò per la collottola. “Ecco dov’è il topolino che squittiva!” disse una voce profonda. Alla frase seguì una risata.
In men che non si dica fui strattonato in piedi e spinto verso il gruppo di pirati. Il terrore si impadronì di me: vidi volti sfigurati da cicatrici, bende che coprivano occhi mancanti, ghigni sdentati. Perlopiù avevano capelli e barbe incolte, alcuni esibivano qualche treccia, o qualche ornamento prezioso. Indossavano abiti di stoffe pregiate, ma sdruciti e sporchi. Uno aveva addirittura una spelacchiata bordura di vaio nelle maniche.
Alcuni portavano usberghi, altri esibivano pezzi di armatura, spesso scompagnati fra loro. Tutti erano carichi di armi.
Tenuto sotto tiro da una balestra, mio padre era immobile. Il volto bianco di paura risaltava tra quelli rubicondi e abbronzati dei suoi aguzzini.
Chi è questo bel bimbetto?” gli chiese uno dei pirati indicando me.
Mio padre non rispose.
Chi è?” ripeté allora l’altro. “Di certo non un marinaio, così ben vestito.” Si allungò a prendere fra le dita un lembo della mia giubba, ne saggiò la consistenza e proclamò: “Roba di prima qualità.”
E libri,” intervenne l’uomo alto e magro, entrando solenne nel cerchio di luce delle torce. “Chi si può permettere libri di filosofia, se non il figlio del padrone di queste navi?” Fece un altro passo, poi proseguì: “Non ho mai visto un mercante dell’Hansa dilettarsi di filosofia, in verità, non è certo qualcosa in grado di riempire la pancia come le aringhe. Ma questo giovanottino qui,” si volse verso di me, “con questa faccina ingenua da poeta, dev’essere uno che non ha mai visto un’aringa se non nel piatto, e sicuramente è il suo legittimo proprietario.” Si chinò a raccogliere il libro, e solennemente lesse: “De rerum natura.” Annuì grave. “Complimenti, un’ottima scelta. Ebbene, anche se siamo i Likedeeler[7], ego primam tollo, nominor quoniam leo.” Fece sparire il libro in una saccoccia che aveva a tracolla, poi si voltò verso di me. “Nessuno sa leggere, qui,” si sentì in dovere di spiegarmi, “e nessuno vorrebbe come bottino un fascio di pergamene nemmeno buone per la latrina. Preferiscono le foglie di cavolo, per la bisogna, oppure l’acqua di mare.”
Io lo fissai incapace di replicare. Solo dopo un po’ osai balbettare: “Mio fratello, signore...”
L’uomo alto sollevò le sopracciglia, poi mi fissò con fare incoraggiante. “Tuo fratello, giovanotto…?”
Deglutii con la sensazione di avere in gola un bozzello con tanto di cime, quindi mormorai: “Mio fratello è ferito, signore. Ha bisogno di cure.”
Nientemeno,” rispose l’altro.
Deglutii di nuovo, ma il pensiero di Albrecht sofferente mi conferiva un coraggio che mai avrei penato di possedere. “Ha bisogno di cure,” ripetei.
Gliele daremo,” fu l’apodittica risposta. “lascia che sistemiamo le faccende più importanti e...” Si interruppe: stava sopraggiungendo un uomo dalla corporatura erculea, con una folta capigliatura biondo-rossiccia che gli arrivava oltre le spalle. Portava una grossa cotta di maglia stretta in vita da un cinturone, spallacci e bracciali di armatura, ma tutto quel ferro dava l’idea di essere un velo di mussola, su quel fisico poderoso. Si guardò intorno, e tutti gli altri pirati si inchinarono in silenzio.
Ben arrivato, Klaus,” lo salutò quello alto e magro.
Questi rispose con un secco cenno del capo, quindi si rivolse con sicurezza a mio padre: “Cosa trasporti?”
Egli lo fissò serio. “Barili di aringhe, pesce secco, pelli conciate,” enumerò in tono neutro.
L'altro non parve molto soddisfatto. Si massaggiò il mento e aggrottò le sopracciglia, poi si rivolse all'uomo in abito talare e chiese: “Dice il vero?”
Dubitando ad veritatem pervenimus,” fu la risposta. “Lui dice di sì, ma per sicurezza sto facendo frugare tutte e tre le navi.”
Finora hanno trovato qualcosa?”
L'uomo alto si strinse nelle spalle. “Pesce secco e aringhe.”
Niente denaro?”
Ancora no.”
E non ne troverete,” intervenne mio padre, “se non quello destinato al nostro sostentamento nel fondaco di Londra. Prendete il carico, se volete, e lasciateci andare. Non abbiamo altro da darvi.”
L'uomo erculeo annuì grave. Gli unici suoni che si udivano erano il crepitare lieve delle torce e il lamento flebile di qualche ferito. “Io credo invece che tu abbia molto da darmi, mercante,” proferì infine, e si girò a fissarmi.
Immobile sotto il suo sguardo, che in quel momento mi parve feroce come quello di una belva, io non riuscii a fare altro che ritirare le testa fra le spalle mentre una sensazione di gelo mortale mi invadeva.
I figli sono il bene più importante, del resto,” continuò l'uomo, senza staccare lo sguardo da me. “Molto più delle aringhe, dico bene?”
La domanda cadde in un silenzio carico di angoscia.
Prenderemo i tuoi figli,” proseguì allora. “E se li vorrai rivedere, dovrai portarci dei soldi.” Indicò l'uomo in abito talare, poi aggiunse: “Magister Wigbold ti dirà la cifra e il luogo.”

















[1] Letteralmente: Vacca Pezzata. La Vredekogge Bunte Kuh era l’ammiraglia della flotta che sconfisse Klaus Störtebeker nel 1400.
[2] Battaglia del 1398, in cui l’Ordine Teutonico assaltò l’isola di Gotland, all’epoca roccaforte dei pirati nel Baltico, e la sottomise, azzerando praticamente la pirateria in quelle zone. A seguito di quello scontro, i Vitalienbrüder superstiti si spostarono nel Mare del Nord.
[3] Unità di misura in uso presso la Lega Anseatica. Corrisponde a 1,9 tonnellate.
[4] Ragazza di Lubecca.
[5] Tenace.
[6] Leonessa.
[7] Letteralmente: coloro che dividono in parti uguali. Era il nome che si davano i pirati di Störtebeker.

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Capitolo 3
*** Parte terza ***


Salve a tutti^^
ecco un altro capitolo dell’avventura marittima. Un grande ringraziamento a chi mi legge, e in particolare a chi mi ha lasciato un suo parere, ovvero alessandroago_94, Saelde_und_Ehre, John Spangler, TheWalkingNerd, queenjane, innominetuo, Yonoi, Enchalott, Syila, fiore di girasole, Rose Ardes e ovviamente mystery_koopa, senza il quale questa storia non sarebbe mai esistita!^^
Grazie a tutti!







Parte terza

A nulla valsero i pianti e le preghiere di mio padre. Gli furono concessi la più piccola delle sue Kogge, ovvero la Zäh, tutti i superstiti che accettarono di imbarcarsi con lui e provviste sufficienti a raggiungere il porto più vicino, poi fu lasciato andare.
Io rimasi a bordo della Mädchen, che in virtù del suo fasciame solido era stata promossa dai pirati ammiraglia della loro flotta.
Ricordo la luce lattiginosa dell’alba, e un leggero strato di nebbia che copriva il mare liscio come olio. Dritto in piedi sul castello di poppa, l’espressione corrucciata e grave, mio padre sembrava un’anima in procinto di essere traghettata da Caronte.
Quando il genitore non fu altro che una figura indistinta all’orizzonte, abbandonai l’impavesata e mi accorsi che le lacrime mi stavano scendendo lungo le guance. Me le asciugai col dorso della mano, ma più le tergevo, più sembravano sgorgarne.
Con lo sguardo annebbiato mi guardai intorno: nessuno sembrava fare caso a me, i pirati erano assorti nelle loro occupazioni. Scesi sottocoperta e la familiare stiva della Kogge non mi sembrò più tale. C’erano uomini che non conoscevo intenti a spostare barili tra risate e imprecazioni, qua e là erano disseminati oggetti e armi. Da una parte era stato ricavato una specie di lazzaretto, in cui erano stati ricoverati i feriti. Notai che tra essi c’erano anche alcuni dei marinai di mio padre.
Raggiunsi la mia cabina. Mio fratello giaceva incosciente nella cuccetta, sotto le coltri c’era un archetto onde evitare che esse poggiassero direttamente sulla gamba. Preso dal terrore, sollevai un lembo di stoffa, e sospirai di sollievo nel vedere che l’arto era ancora al suo posto. La ferita aveva smesso di sanguinare ed era chiusa da un impacco che odorava di erbe medicinali.
Albrecht?” mormorai, ma non ottenni nessuna risposta. Presi il panno che aveva sulla fronte, lo inumidii e glielo applicai nuovamente.
Mi sedetti accanto a lui, poggiai i gomiti sule ginocchia e piegai la testa in avanti. “Siamo nelle mani dei pirati,” dissi poi, come parlando fra me e me, con lo sguardo fisso su un punto imprecisato. “Vogliono che nostro padre porti dell’oro, poi ci libereranno.” Emisi un sospiro. “O almeno questo è ciò che dicono.”
In quel momento la porta si aprì facendomi sussultare. Nel riquadro comparve l’uomo alto e allampanato con l’abito talare. “Lo diciamo perché è così,” mi informò. “Noi manteniamo la parola data.”
Avvampai, e subito dopo impallidii di paura. “Io… scusate, non volevo...” balbettai, poi mi zittii confuso.
L’altro mi oltrepassò e si chinò sul letto di mio fratello. Scostò la coperta come avevo fatto io, tastò tutt’intorno alla ferita, la osservò e disse: “Non va male.” Si rialzò e si voltò verso di me. “Non va male,” ripeté in tono rassicurante.
Siete voi che l’avete curato?” osai chiedere.
Curo un po’ tutti, qui. Ho studiato la medicina e la filosofia.”
Ricordai che aveva preso il mio libro. “Davvero?”
Sic est. Ho studiato a Oxford e a Parigi, ma le competenze mediche, ragazzo mio, sono nulla rispetto alla conoscenza dell’uomo. È più importante sapere che tipo di persona abbia una malattia, che sapere che tipo di malattia abbia una persona[1].”
Rimise a posto il panno che copriva la gamba di mio fratello, poi disse: “Qui va tutto bene, ora il paziente deve solo riposare.” Mi sospinse fuori dal cubicolo e su per la scala che portava in coperta. Nonostante la sua bonomia, io ero spaventato e non osai opporre resistenza.
Fuori c’era la luce calda del tardo pomeriggio. Vidi che era stato aperto un barile di aringhe, e da esso tutti attingevano liberamente. I pirati erano seduti a gruppetti qua e là e consumavano il pasto.
Mi voltai verso il mio accompagnatore.
Vuoi mangiare?” chiese questi.
Il mio stomaco rispose per me con un brontolio.
L’altro sorrise. “Ma certo che vuoi mangiare.” Mi indicò il barile: “Prendi.”
Mi avvicinai piano, aspettandomi di essere scacciato da un momento all’altro, pronto a rifugiarmi in un angolo come un cane randagio se ciò fosse accaduto, ma nessuno sembrava fare caso a me. Estrassi un pesce dalla salamoia, poi mi sedetti in un angolo riparato e cominciai a spolparlo.
Poco dopo, un ragazzo che poteva avere la mia età mi si avvicinò e con naturalezza si sedette accanto a me. “Io sono Hein,” si presentò. Spinse nella mia direzione un boccale.
Riconobbi la nostra birra.
Buona, eh?” disse il ragazzo. Poi, dopo una pausa: “Sei dei nostri?”
Non pochi dei nostri marinai erano passati con i pirati, alcuni li vedevo anche seduti poco lontano, intenti a scambiarsi battute con i precedenti nemici.
Veramente no,” sospirai.
L'altro mi fissò sollevando le sopracciglia, come se non si capacitasse della cosa. “Allora sei un... quelli che poi si restituiscono in cambio di soldi?”
Istintivamente precisai: “Ostaggio.”
Hein parve ancora più stupito. “Hai studiato?”
Un po'.”
Anche noi abbiamo uno che ha studiato. È un gran dottore, sai? Parla persino il latino dei preti.”
Per caso è Magister Wigbold?”
Lo conosci?”
È quello che ha stabilito il prezzo mio e di mio fratello.”
Il risentimento di cui era intrisa frase scivolò addosso al ragazzo come acqua sulle piume di un uccello. Annuì e disse: “Per queste cose, Störtebeker si fida solo di lui.”
All'udire quel nome, terrore di ogni mercante dell'Hansa da Wiborg a Rotterdam, un brivido ghiacciato mi percorse la schiena. “È davvero lui il vostro capo?”
Per tutta risposta, il ragazzo mi indicò l'uomo erculeo che la sera prima aveva guidato l'assalto alle nostre navi. “Störtebeker è quello là,” annunciò, fiero come se si fosse trattato di un suo parente.
Lo fissai in silenzio. Con la luce del giorno perdeva un po’ dell’aria truce che mi aveva spaventato. Appariva fiero e spavaldo, la sua massa di capelli fulvi ricordava la criniera di un leone. Lo sguardo era penetrante, imperioso, non scevro di una profondità ardente da rapace.
La cotta di maglia si tendeva sulle sue spalle ampie come un abito troppo stretto.
Egli non faceva caso a noi, naturalmente. Passeggiava lento sorseggiando da un boccale, di quando in quando rivolgendo la parola a quelli che dovevano essere suoi compagni da più lunga data. A un certo punto si fermò davanti a un uomo coi capelli bianchi, privo di una gamba e con una benda nera che gli copriva un occhio, scambiò con lui qualche parola, gli porse il boccale e gli diede una pacca sulla spalla. Il vecchio rispose con una risata chioccia.
Poi Störtebeker riprese la sua lenta passeggiata. Lo raggiunse un uomo che poteva avere la sua età, ma più snello e con corti capelli neri.
Mi voltai verso Hein, il quale con fierezza mi disse: “Quello è Gödeke Michels. Sei fortunato: oggi li vedi proprio tutti.”
Chi è?”
L’aiutante di Störtebeker. Si consultano sempre, prima di un assalto. O subito dopo.”
Capisco.”
Rimasi in silenzio a fissarli. Essi parlavano fra loro, e il moro sembrava infervorato da qualcosa. Continuava a insistere, mentre Störtebeker di tanto in tanto annuiva con l’aria di chi ha già sentito le stesse parole decine di volte. “Sì, si,” lo sentii dire.
Ce la faranno pagare,” colsi da parte dell’altro. “Hai voluto metterti proprio sotto il loro naso.”
Störtebeker sollevò la testa baldanzoso, quindi esclamò: “Impareranno a temermi. Io sono l’amico di Dio e il nemico di tutto il mondo!”
Michels represse un sospiro. “Sì, ma Helgoland è troppo vicino ad Amburgo. Andrà a finire come a Gotland.”
Parlando si spostarono, e il resto della discussione si perse nel vociare della coperta.

§

Albrecht sedeva sul letto con la schiena appoggiata al cuscino. Seduto su uno sgabello, lo aiutavo a sorbire una tazza di brodo che il cuoco aveva preparato per lui su istruzioni di Magister Wigbold.
È buono?” gli domandai porgendogli il cucchiaio.
Ti lasciano girare da solo?” chiese lui per tutta risposta.
Io annuii. “Hanno detto che tanto non potrei andare da nessuna parte.”
Ma puoi sempre vedere dove tengono le armi.”
Lo guardai stupito. “A cosa mi servirebbe?”
Albrecht mi fissò con le sopracciglia aggrottate, poi mi chiese: “Vuoi startene qui ad aspettare che questi cani ti ammazzino appena non servi più?”
Non risposi. Ripensai a Hein, alle discussioni di filosofia che ogni tanto intavolavo con il Magister, all’aspetto spavaldo e franco di Störtebeker. Non gli avevo mai rivolto la parola, ma non l’avevo mai nemmeno visto colpire un uomo senza motivo, o compiere atti crudeli.
Non credo che ci vogliano ammazzare,” buttai lì infine. Gli porsi di nuovo il cucchiaio pieno.
Lui lo allontanò. “Lascia stare, mi è passata la fame. Quanti giorni sono ormai che siamo nelle loro mani?”
Quattro.”
Dove hai detto che ci stanno portando?”
A Helgoland.”
A Helgoland? È lì che hanno il loro covo, quegli sfrontati senza Dio?”
Io rievocai il motto di Störtebeker e pensai che Dio era come il pepe: ognuno lo metteva dove più gli piaceva. “Mangia un altro po’,” suggerii a mio fratello.
Egli fece per rifiutare, ma poi mi prese dalle mani la tazza e disse: “Hai ragione: è meglio essere in forze, per quando organizzeremo la fuga.”
In quel momento, percepimmo una variazione nell'assetto della Kogge. Albrecht alzò la testa e strinse gli occhi. “Stiamo virando,” constatò.
Ormai conoscevo a sufficienza i movimenti della Mädchen da capire che aveva ragione. “Vado a vedere,” gli dissi, poi abbandonai la cabina e salii in coperta.
Mi accorsi che ci stavamo dirigendo verso la costa. Mi schermai gli occhi con la mano per vedere meglio, ma non notai altro che sabbia, canne palustri e qualche stretto sentiero che si perdeva nella vegetazione. Notai da una parte anche un vecchio molo rattoppato, al quale erano ormeggiate delle piccole imbarcazioni a remi.
Poi vidi spuntare una testa. A essa se ne aggiunsero subito dopo altre due, poi ancora altre. Dalle canne emerse un braccio che salutava con ampi gesti. Notai che dalla coperta della Kogge qualcuno rispondeva al saluto.
Cercai con lo sguardo Hein, e una volta trovatolo gli chiesi: “Perché non scappano? Non si sono accorti che siete pirati?”
Frattanto mi chiedevo quale motivo potesse mai avere Störtebeker, che depredava solo i Pfeffersack[2] dell'Hansa, per prendersela con quello che aveva tutta l'aria di essere un povero villaggio di pescatori.
Festa grande, stasera,” disse Hein per tutta risposta. Mi strizzò l'occhio.
Lo fissai perplesso. “Che significa?”
Lui sorrise. “Lo vedrai.”
La Kogge avanzò fino a che la carena non strisciò sulla sabbia del fondale, le altre la imitarono. A quel punto, era già sciamata fuori dai canneti un'autentica folla: c'erano uomini, donne, bambini vocianti, addirittura qualche vecchio che camminava aiutandosi col bastone. Si fece avanti un personaggio più autorevole degli altri, con addosso una sdrucita cappa bordata di pelliccia, e rivolse un inchino alle navi in avvicinamento. Störtebeker rispose dalla coperta con un cenno di saluto.
Io ci capivo sempre meno.
Furono calate delle passerelle, i pirati scesero a terra. Invece di disperdersi in preda al terrore, la gente si affollò intorno a loro. Tutti allungavano il collo alla ricerca di volti conosciuti, e trovatili, parevano più felici che mai.
Rotolò giù la prima botte, in un coro di grida di giubilo. Altre furono portate in coperta, e imbracate con i paranchi. Un giovanotto tirò fuori dalla tasca un piffero e improvvisò un'allegra melodia. La gente rideva, una ragazza fece qualche passo di danza.
Di nuovo fissai Hein.
Störtebeker ruba ai ricchi per dare ai poveri,” mi spiegò, ergendosi con fierezza.

Fu improvvisata una grande festa. Venne acceso un fuoco nella piazza del paese, e mentre pesce secco e aringhe cuocevano in ogni modo possibile, la gente cantava e ballava.
Le ragazze avevano indossato i loro abiti migliori, e avevano fiori intrecciati fra i capelli. Notati che di quando in quando una di esse usciva dal cerchio di luce del falò in compagnia di uno dei pirati, e faceva ritorno tempo dopo, con gli occhi accesi e le guance arrossate.
Poi udii i clamori cessare bruscamente, e subito dopo rimbombare in una selvaggia acclamazione. Mi guardai intorno per scoprire il motivo di tale entusiasmo, e vidi sopraggiungere Störtebeker. Egli aveva abiti di broccato, e al collo portava una catena d'oro che gli arrivava fino alla cintura. I capelli fulvi gli ricadevano sulle spalle, gli occhi avevano la consueta espressione spavalda. Stringeva in pugno un boccale di stagno colmo di birra.
Störtebeker! Störtebeker!” gridava la gente.
Egli passeggiò un po' su e giù, quindi sollevò il boccale alto sopra la testa. Il gesto suscitò un'autentica ovazione. “ Störtebeker!” presero a urlare tutti a più non posso.
L'uomo inclinò il boccale, e un fiotto di birra cominciò a riversarglisi in gola. Io immaginavo che si sarebbe soffocato, ma lui continuava a bere con la massima disinvoltura, e nemmeno una goccia andava persa. Man mano che il recipiente si vuotava, le acclamazioni della gente si intensificavano, tanto che alla fine ebbi l'impressione di essere capitato in mezzo a una ridda di demoni.
Di nuovo venne in mio soccorso Hein, che sembrava provare una soddisfazione particolare nel descrivermi tutte le virtù di Störtebeker. Si piegò verso di me, e alzando la voce per sovrastare il frastuono, disse: “Un boccale intero, senza mai fermarsi. Solo lui ci riesce[3].”

Pian piano l'entusiasmo si placò. Gli abitanti del villaggio rientrarono nelle rispettive abitazioni, il fuoco ruggente si trasformò in un ammasso di braci.
La maggior parte dei pirati si stese a terra per dormire.
Solo Störtebeker vegliava. Egli si guardò intorno, poi si accorse di me. “Vieni qui, ragazzo,” mi ordinò.
Mi avvicinai titubante. Nonostante i giorni di navigazione trascorsi a stretto contatto con lui, non avevo ancora superato la soggezione che mi incuteva.
Egli mi appoggiò una mano sulla spalla. “Vedi questa gente?” mi disse. “Per un mercante come tuo padre un barile di aringhe non è niente, per loro può fare la differenza tra vivere e morire.”
Non risposi. Senza abbandonare la mia spalla, Störtebeker prese a camminare in direzione delle Kogge. Dopo un po' proseguì: “Tutti hanno il diritto di nutrire i loro figli, non è giusto che sia concesso solo ad alcuni, mentre altri devono rassegnarsi a vederli morire di fame.”
Ancora una volta, non osai contraddirlo. Un po' perché temevo che fosse ubriaco, e un po' perché in effetti nelle sue parole non trovavo nulla da eccepire.
Non rispondi?” mi chiese lui dopo un po'. “Hai paura di me, per caso?”
Deglutii. “Ecco...”
In tono vagamente deluso, egli replicò: “Eppure non ti ho mai fatto del male, non è vero?”
Stavo per parlare quando dalla coperta si udì la voce di Gödeke Michel che chiedeva: “Klaus, sei tu?”
Chi vuoi che sia?” brontolò il pirata.
Lo aiutai a salire a bordo e lo accompagnai verso la scala che conduceva sottocoperta, ma lui volle fermarsi sul ponte. “Lascia,” mi disse, la voce stranamente distante, come persa in pensieri remoti. “Lascia, voglio guardare questo bel cielo stellato, finché ne ho la possibilità.”
Si sedette su una gomena arrotolata e appoggiò la schiena contro l'albero, poi emise un sospiro.
Io gli rivolsi un inchino, che lui probabilmente nel buio non vide, e poi mi allontanai.
Avevo fatto pochi passi quando sentii la voce di Gödeke Michel dire: “C'è una cosa che devi sapere.” Il tono era grave, cupo. Mi fece serpeggiare giù per la schiena un brivido freddo.
Che cosa?” chiese Störtebeker.
Uno degli uomini del villaggio è appena tornato da Amburgo e dice che hanno approntato una grande flotta per combatterci.”
Di nuovo l'Ordine?”
No, stavolta Simon van Utrecht.”
Quello stupido batavo non mi preoccupa,” fu la sprezzante risposta.
Si presenterà davanti a Helgoland con decine di navi. Ci impedirà di entrare in porto.”
Che ci provi. Ne troverà altrettante ad attenderlo.”
La discussione proseguì per un po'. Di nuovo, non riuscivo a capire se Störtebeker parlasse in quel modo perché era ubriaco o se veramente pensasse che le navi dell'Hansa non avrebbero rappresentato un problema.
Scesi pensoso sottocoperta. Mi accolse la voce brusca di mio fratello: “Sei tu, Eike?”
Entrai nella cuccetta. Albrecht era come al solito seduto con la schiena appoggiata al cuscino. Notai che qualcuno gli aveva acceso un lume e aveva appoggiato sullo sgabello accanto al letto una scodella con dentro qualcosa da mangiare.
Mi fissò con riprovazione, quindi chiese: “Dov'eri sparito?”
Gli raccontai quello che era successo nel villaggio.
Lui ascoltò con attenzione, quindi proferì: “È logico che quella gentaglia aiuti i poveracci delle coste, ha il suo tornaconto nel farlo, così come i poveracci hanno tutto da guadagnare nell'aiutare i pirati.”
Che intendi dire?”
Albrecht parve stupito della mia ingenuità. “Suvvia,” mi disse asciutto, “Mi hai parlato tu stesso di orge e festini.”
Veramente non ho parlato di orge.”
Ragazze del villaggio che si appartano con i pirati mentre gli uomini si ubriacano con la birra di nostro padre. Se non è un'orgia questa, non so davvero cosa lo sia.”
I pirati portano da mangiare ai poveri.”
Ma certo che lo fanno: vorranno essere sicuri di avere gente dalla loro parte lungo le coste.”
Non risposi. Sollevai un lembo di coperta e osservai la fasciatura alla gamba. “Ormai la ferita è quasi chiusa,” buttai lì.
È quello spilungone che parla mezzo in latino. Viene tutti i giorni a medicarla.”
Mi sedetti, e per un po' rimasi con i gomiti puntati sulle cosce e il viso fra le mani. Infine dissi: “Ci sarà una grande battaglia.”
Albrecht, che aveva raccolto il piatto e aveva cominciato a mangiare, abbandonò il pasto e mi chiese: “Che stai dicendo?”
Da Amburgo è in partenza una flotta dell’Hansa diretta a Helgoland.”
Questa è una magnifica notizia,” apprezzò lui, “finalmente qualcuno che si occuperà di estirpare per sempre l’immonda peste della pirateria.” Fece una pausa meditativa, poi si guardò rapido intorno, come per accertarsi che nessuno fosse in ascolto, infine abbassò la voce e disse: “Dobbiamo fare qualcosa.”
Che cosa intendi?” chiesi stupito.
Albrecht spiegò: “Dobbiamo fare la nostra parte. Tu vai sempre in mezzo a loro, non sospetteranno certo di te.”
E cosa dovrei fare?”
Non lo so. Qualche danno di cui non possano accorgersi immediatamente, ma che li ponga in condizione di svantaggio in battaglia.”
Rimasi in silenzio. Solo dieci giorni prima avrei accolto quella proposta senza alcuna obiezione, ma a quel punto non ero più così pronto a tradire chi mi aveva così spontaneamente offerto la sua fiducia.
Mio fratello sembrò intuirlo, perché si protese ad afferrarmi per le spalle e in tono brusco disse: “Ti sei già dimenticato cos’hanno fatto? Ti sei dimenticato i marinai uccisi, le navi rubate, nostro padre depredato e costretto a procacciare soldi per riscattarci?”
Scossi la testa. “No, certo che no.”
E allora, come puoi esitare?”
Rimasi in silenzio per lunghi istanti. Infine chinai la testa, emisi un sospiro e risposi: “Non posso esitare. Hai ragione, fratello.”
Bravo, non dubitavo di te.”

§

Quando vidi le navi all'orizzonte, mi sentii gelare il sangue nelle vene: il mare ne era pieno. Dappertutto vele rosse, blu, verdi, bianche o rigate. Intorno alle massicce Vredekogge guizzavano rapide le Schnigge[4], e già le vedevo manovrare di bolina, per portarsi sopravento alle nostre Kogge.
Davanti a tutte procedeva veloce la celeberrima Bunte Kuh, una Vredekogge poderosa, dalla vela immensa, e anche senza vederlo con chiarezza, immaginavo Simon van Utrecht dritto sul castello di poppa, che scrutava il mare con sguardo predace.
Corsi giù da mio fratello e gli descrissi la situazione.
Alla notizia che il mare era coperto di vele, egli sorrise soddisfatto. “I pirati avranno quel che si meritano,” sentenziò.
Ci siamo anche noi a bordo,” gli ricordai.
Infatti. Faremo quel che c'è da fare.”
Rimasi in silenzio. La ragione capiva tutto ciò che mio fratello stava dicendo, capiva che i pirati rubavano e uccidevano, che distruggevano famiglie e mandavano a monte commerci, privando altre famiglie del loro sostentamento, ma il cuore non poteva fare altro che rievocare la luce che era comparsa negli occhi dei poveri pescatori quando si erano trovati di fronte i barili di aringhe, o il modo in cui Störtebeker, il terrore dell'Hansa, si era avvicinato al vecchio marinaio sciancato, gli aveva rivolto parole gentili e gli aveva offerto la birra dal suo boccale.
Tanti uomini del nostro equipaggio erano passati con i pirati, del resto, ed ero certo che il motivo non fosse solo l'ipotetica prospettiva di lauti guadagni.
La voce di Albrecht mi distolse dalle mie meditazioni: “Il nostro vantaggio è che conosciamo la Mädchen meglio di loro.”
A che servirebbe?” gli chiesi.
Albrecht mi rivolse uno sguardo di degnazione e rispose: “Ma è ovvio: saremo in grado di procurare un danno che la immobilizzi. Se tagli i cavi del timone, ad esempio, la Mädchen diventerà ingovernabile.”
E questo cosa comporterà?”
Dai, Eike, non fare lo stupido. Con la nave in quelle condizioni, quel maledetto senza Dio sarà catturato e farà la fine che merita.”
In fondo cerca solo di aiutare la povera gente.”
A quelle parole, Albrecht rispose con una fragorosa risata, poi disse: “Svegliati, Eike. A lui non importa nulla della povera gente, distribuisce cibo solo per avere degli alleati lungo le coste in caso di bisogno. Ma ora smetti di dire queste scempiaggini, dobbiamo decidere cosa fare.”

Salii in coperta. Gli uomini si stavano preparando al combattimento, le armi venivano distribuite, i posti di combattimento raggiunti. Nonostante la quantità di nemici, la gente sembrava fiduciosa, tutti guardavano verso Störtebeker, che sul castello di poppa stava parlando con Gödeke Michel e Magister Wigbold.
Raccolsi un’ascia. Uno dei pirati mi vide mentre lo facevo e mi rivolse un sorriso come di incoraggiamento. Io mi limitai a chinare lo sguardo.
Sbirciai il timone, e i cavi che al momento giusto avrei dovuto tranciare.
Mi ripetei di nuovo tutte le argomentazioni di Albrecht: delinquenti, assassini, ladri…
La voce possente di Sörtebeker mi distrasse da quei pensieri angosciosi: “Non abbiate paura, uomini! Ne siamo usciti tante volte, ne usciremo anche questa!”
Gli risposero veementi acclamazioni, poi la Kogge mise tutta la vela al vento e balzò in avanti.
Raggiunse la prima delle Vredekogge, un massiccio vascello dalla vela rossa, carico di uomini armati. Prima che essa potesse abbozzare una manovra, la Mädchen virò portandole via il vento. La vela rossa si sgonfiò come un otre bucato. Störtebeker virò di nuovo, e mentre gli arcieri e i balestrieri costringevano gli uomini dell’Hansa a stare al coperto, fece lanciare dei grappini d’abbordaggio, che si piantarono nell’impavesata della Vredekogge.
Quando essa giunse alla distanza giusta, i pirati si riversarono sulla nave come lupi rabbiosi.
Aggrappato a una sartia, la mia inutile ascia stretta in pugno, vidi altre navi uscire dall’insenatura del porto di Helgoland e correre a dare man forte a quelle di Störtebeker.
Cominciavano a brillare qua e là i primi focolai d’incendio, l’aria si era fatta caliginosa e opaca. Ovunque vibravano le urla di guerra, i lamenti dei feriti e il crepitare secco del legno squarciato.
Vidi passare una Schnigge con tutte le vele al vento. Da una delle navi pirata, un uomo la puntò con un cannoncino. Ci fu uno schianto così forte che mi fece dolere le orecchie, poi comparve uno squarcio sul fianco della leggera imbarcazione, che un attimo dopo s’inabissò. Sulla nave da cui era partito il colpo esplosero selvagge acclamazioni.
La Mädchen frattanto si stava disimpegnando dalla prima nave, ne raggiunse una seconda, per un po’ si inseguirono sulle onde ribollenti cercando di rubarsi il vento a vicenda, poi Störtebeker riuscì a virare più stretto della Vredekogge, che subito perse l’abbrivio. Di nuovo partirono i grappini d’abbordaggio.
Ce la possiamo fare, uomini!” urlò il pirata. “Il vento sta cambiando, presto non riusciranno più ad inseguirci, resistete ancora un po’!” Saltò sulla nave avversaria e cominciò a mulinare la spada, facendo il vuoto intorno a sé.

Passarono molte ore. Non ero in grado di quantificarle, dal momento che l’aria opaca rendeva impossibile seguire il corso del sole. Ovunque c’era una foschia grigia, che puzzava di fumo e sangue. La battaglia, per quel che potevo vedere, si era frantumata in decine di scontri fra singole navi, i cui equipaggi si arrembavano a vicenda e combattevano poi ferocemente all’arma bianca. L’acqua era grigiastra, disseminata di detriti. Qua e là affioravano le schiene dei morti che fluttuavano a faccia in giù.
In mezzo a quell’orrore, la Mädchen filava veloce, e già le Vredekogge che la inseguivano, la Bunte Kuh in testa, stavano cominciando a perdere terreno.
Una voce irata alle mie spalle mi fece girare bruscamente: “Ma si può sapere cosa stai aspettando?” Pallido, lo sguardo spiritato, mio fratello claudicò faticosamente verso di me e cercò di strapparmi di mano l’accetta. “Cosa stai aspettando?” ripeté. “Ti sei già dimenticato cos’ha fatto questa gente a nostro padre?”
Io mi feci indietro, ma inciampai in un mucchio di cordame e caddi. Lesto, lui fu sopra di me. “Dammi quell’ascia!” urlò. “Se non vuoi farlo tu, lo farò io!”
No!”
Dammela!”
Qualcosa colpì la Mädchen, che vibrò fino alla stiva, scricchiolando paurosamente. Colsi nel fragore la voce di Störtebeker: “Animo,uomini! Io sono l’amico di Dio e il nemico di tutto il mondo, e voi siete i Likedeeler! Facciamo vedere a questa gente di che pasta siamo fatti!”
Mi voltai in quella direzione e lo vidi ergersi fiero e buttare indietro i capelli con un orgoglioso scatto del capo.
Mio fratello approfittò di quel momento e mi sfilò l’accetta di mano. Si allontanò zoppicando, cadendo, strisciando sul sangue che invadeva la coperta. Io mi rialzai, mi aggrappai all’impavesata, cercai di inseguirlo.
Egli raggiunse il primo dei cavi, alzò l’arma, la cui lama scintillò sinistra.
No!” urlai.
Si udì un colpo secco, poi la Mädchen sussultò come un animale ferito e si torse su se stessa. Feci in tempo a cogliere l’espressione di rabbia e sgomento che attraversò i lineamenti di Störtebeker, poi fui sbalzato fuori bordo.




[1] Ippocrate.
[2] Letteralmente: sacco di pepe. Era un nome dispregiativo che indicava i mercanti più ricchi.
[3] Tradizionalmente, si fa risalire il nome “Störtebeker” alla versione in basso tedesco di “Stürz den Becher” (scola il boccale), perché il pirata era celebre per la sua capacità di vuotare un boccale di birra con un solo sorso.
[4] Imbarcazione a vela leggera, caratterizzata da velocità e manovrabilità.



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Capitolo 4
*** Parte quarta ***


Carissimi/e,
eccoci alla fine di questa breve avventura. La storia di Störtebeker è intrisa di leggenda e ormai è difficile separare la realtà dei fatti dalle costruzioni successive, comunque pare che effettivamente durante la battaglia di Helgoland un traditore abbia sabotato il timone della sua nave, rendendo impossibile al pirata ogni manovra.
Ringrazio mystery_koopa, che mi ha dato la possibilità di scrivere questa storia, ringrazio tutti i lettori che sono passati di qui, e che hanno reso viva questa storia, e ringrazio chi mi ha lasciato il suo parere, ovvero TheWalkingNerd, Saelde_und_Ehre, Yonoi, fiore di girasole, John Spangler, alessandroago_94, Enchalott, Syila, queenjane, innominetuo e Rose Ardes.










Parte quarta

Eike fissò l’uditorio silente, poi in tono grave disse: “Se sono vivo, lo devo solo al qui presente Hein,” Indicò il nostromo, “che si è tuffato quando mi ha visto cadere fuori bordo e mi ha portato a terra.”
Un mormorio di approvazione attraversò la folla.
La battaglia proseguì,” continuò il capitano, “so che durò ancora una notte e un giorno. Alla fine Störtebeker fu catturato insieme a settanta dei suoi, e fu portato ad Amburgo.”
I giovinastri lo fissavano con gli occhi spalancati dalla meraviglia. Il capo di essi alzò la mano per attirare l’attenzione.
Sì?” chiese Eike.
Voi c’eravate ad Amburgo?”
Vuoi dire al Grasbrook?”
Sì, signore.”
Il più vecchio annuì lentamente. Scambiò un’occhiata col nostromo, poi ripeté: “Noi c’eravamo. Ci andammo sotto mentite spoglie.”
È vero che in cambio della libertà Störtebeker offrì una catena d’oro in grado di circondare tutta la città di Amburgo?”
Eike scosse la testa. “I Likedeeler dividevano tutto in parti uguali. A parte il suo coraggio e la sua autorevolezza, Störtebeker non aveva certo chissà che tesori in più degli altri.”
Il giovanotto parve deluso. Dopo qualche secondo di silenzio, chiese: “Quindi non c’erano neanche oro e argento dentro l’albero della sua nave?”
L’avrebbero appesantita troppo.”
Allora il rivestimento d’oro della cupola della Frauenkirche non viene da quello?”
No.”
I ragazzi si scambiarono qualche frase a bassa voce, poi uno di essi si rivolse a quello che sembrava essere il capo del gruppetto e gli suggerì: “Chiediglielo, dai.”
Ma no, è una stupidaggine,” bisbigliò questi di rimando.
Tu chiediglielo. Ha detto che c’era, quindi saprà com’è andata veramente.”
E va bene.”
Il ragazzo si rivolse a Eike. “Signore, è vero quello che dicono sull’esecuzione?”
A che proposito?”
Ecco… è vero che Störtebeker chiese al borgomastro di Amburgo di lasciare liberi tutti i suoi compagni davanti a cui sarebbe riuscito a camminare dopo essere stato decapitato?”
Eike crollò il capo. “No, purtroppo no.”
Ma dicono che il suo corpo senza testa camminò davanti a undici uomini!” insisté il giovane. “Dicono che alla fine il boia dovette fargli lo sgambetto per farlo cadere.”
L’altro ebbe un sorriso amaro. “No, no. Sicuramente Störtebeker avrebbe dato la vita per ognuno dei suoi, ma il suo corpo dopo la decapitazione non si rialzò e tutti quelli che erano stati catturati nella battaglia, ovvero una settantina di uomini, furono giustiziati.”
A quella frase seguì un gran silenzio. Qualcuno si fece il segno della croce, altri scossero la testa. Dörthe tirò fuori dalla scollatura un fazzoletto e con quello si tamponò gli occhi.
Di nuovo si fece udire la voce di Eike: “Non rividi più né mio padre né mio fratello. Auguro loro ogni bene, ma il periodo trascorso con Störtebeker mi ha fatto capire che la mia strada non avrebbe mai potuto essere la loro.”
Non vi hanno cercato?” chiese uno dei ragazzi.
Forse credevano che fossi morto nel naufragio, o forse mi hanno cercato ma io non ne ho mai saputo niente. Io non ho mai più cercato loro, comunque. Con Hein ci rifugiammo nell’entroterra, dove dopo qualche giorno incontrammo Magister Wigbold. Fu lui a dirci che Störtebeker era stato catturato e portato ad Amburgo.”
A quelle parole nessuno replicò e gli unici rumori che si udivano erano il crepitare del fuoco nel camino e l’ululato del vento. Eike voltò le spalle al gruppetto e fece per tornare al suo tavolo.
In quel momento, qualcosa mandò in frantumi una delle vetrate, e schegge colorate piovvero sugli avventori. Un oggetto descrisse una parabola in aria, atterrò in mezzo alla sala e immediatamente cominciò a mandare un fumo denso e grasso, che faceva lacrimare gli occhi e tossire. La gente saltò in piedi e raccolse le armi, alla porta si udirono dei tonfi violenti.
Aprite!” urlò qualcuno dall’esterno. “Aprite, in nome della Legge!”
Tutti con me!” urlò Eike sovrastando il vociare confuso della sala. Il nostromo e il resto dell’equipaggio gli si radunarono intorno.
La porta cadde, nel riquadro apparvero uomini armati che portavano i colori di Amburgo. Un istante dopo, anche la seconda porta dell’Aringa Salata venne abbattuta.
Siete tutti in arresto!” gridò una voce imperiosa. “Arrendetevi, siete circondati!”
A quelle parole, Eike fece un cenno a uno dei suoi uomini. Questi puntò la balestra, e in un attimo il più avanzato dei soldati cadde con un dardo nel petto.
Ecco la nostra risposta!” esclamò il capitano. Sfoderò la spada.
Rivide, nitido come se l’avesse avuto ancora davanti agli occhi, Klaus Störtebeker alla battaglia di Helgoland, dritto sul castello di poppa, lo sguardo ardente che sfidava il mare e gli uomini.
I mercenari dell’Hansa stavano dilagando all’interno della navata, l’aria era ormai irrespirabile. Dappertutto vi erano tramestio e clamori.
Amico di Dio!” gridò con quanto fiato aveva in corpo. Animate di selvaggio entusiasmo, decine di voci di rimando ruggirono: “Nemico di tutto il mondo!”
E poi tutti, come un sol uomo, si lanciarono nella battaglia.

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