the odds are never in our favor

di akane_99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** two is better then one ***
Capitolo 2: *** flashback ***
Capitolo 3: *** fire and blood ***



Capitolo 1
*** two is better then one ***


~~È buio.
Non so dove sono.
Non sento più il mio corpo e alle mie orecchie arrivano solo suoni vaghi e ovattati.
A fatica, procedendo a tentoni mi trascino verso una debole luce che riesco a scorgere: dovrebbe esserci una finestra, ma non riesco a individuarla bene, sono stordito.
Allungo le mani, ma le ritraggo immediatamente.
Sento l’odore del sangue, la sua consistenza calda e quasi viscida. Lungo la mia mano destra c’è un lungo taglio. Strappo un pezzo della mia camicia e tento di fasciarlo, pensando che almeno ho trovato la finestra. È alta, e il vetro è rotto, come se vi avessero tirato una pietra, con molte venature intorno al foro. Con le ultime forze finisco di sfondarla con un gomito, e raccolgo con attenzione alcuni frammenti di vetro, nascondendoli nello zaino recuperato alla Cornucopia: potrebbero rivelarsi utili.
Sono per terra, ma riesco a sporgermi dalla finestra, sollevadomi appena. Fuori nello scuro cielo di luna nuova brillano le stelle,da sempre fonte di speranza per gli uomini.
La speranza. Devo riuscire a non perderla, nemmeno ora: sono sempre stato un ragazzo ottimista fin da bambino. Nell’arena ci sono due cose che non bisogna mai perdere: la speranza e il ricordo della nostra identità e infanzia.
Mi abbandono alla stanchezza, mi sento al sicuro in questo alto palazzo di mattoni:  è diroccato e ci sono macerie dappertutto,ma sta ancora in piedi.
L’arena quest’anno è questo: una città abbandonata,distrutta, forse bombardata, circondata da una selva praticamente impenetrabile.
Lo sguardo mi cade sul rozzo anello di mio nonno Gaius, l’oggetto che ho scelto di portarmi nell’arena.
Sono sempre stato  molto legato a lui, fin da bambino, anche perché è colui che mi ha cresciuto.
Mio padre  non ho mai avuto occasione di conoscerlo, e mia madre, ammalatasi gravemente e non potendo più mantenermi mi affidò a lui quando avevo appena sette anni.
Mi ha protetto, amato, nascosto e istruito, soprattutto quando, verso i miei dodici anni ha capito che non ero un bambino come tutti gli altri:io ho la magia. È stato Gaius a insegnarmi a controllarla, dopo avermi confessato di possederla anche lui.
Mi raccontò di mio padre solo sue anni fa : lui fu ucciso per questo. Anche lui aveva il dono, ed io devo proteggerlo e nasconderlo.
Certamente non dovrò per nessun motivo usarlo durante i giochi.
Chiudo gli occhi, provando a dormire… la fame mi tormenta… : nella mia mente appare un prato verde di quelli tipici del nostro distretto.
Un’aquila sta volando nel cielo, di un profondo azzurro, e sotto di lei un bimbo dai capelli scuri, abbigliato con una tunichetta dello stesso colore del cielo, corre con le braccia aperte come se fossero ali: si sente libero e felice, come ogni bambino dovrebbe essere.
“Vieni, Merlin, salta!” Gli grida un anziano che lo aspetta ridendo.
“Nonno!” esclama il bambino finendo nel suo abbraccio.
Un colpo di cannone mi riporta alla realtà, facendo sparire violentemente le immagini del mio sogno.
Un altro colpo. Mi alzo di soprassalto appena in tempo per scorgere da un’apertura del tetto cadente le due sfocate immagini dei caduti proiettate nel cielo artificiale: sono il piccolo Tim Harkey, il dodicenne del distretto 12 ed Eila Horwood, la ragazza dell’8.
Non ho molti ricordi di Tim all’addestramento, solo i riccioli biondi e la velocità straordinaria nella corsa. Sebbene solitamente i bambini non superino la prima notte, lui era durato ben una settimana.
Rivolgo loro una piccola preghiera cantata che mi ha insegnato Gaius, ode to the fallen,sto per ristendermi quando sento un fischio acuto: dal foro nel tetto mi cade sulle ginocchia un paracadute argentato.
Non pensavo di avere qualche sponsor… lo apro con cautela, curioso e felice di questa piccola sorpresa, la prima che ricevo.
Dentro c’è una pagnotta di segale, accompagnata da un biglietto scritto con una calligrafia tremolante che conosco bene:”Forza, figliolo  “. È firmato con una G.
Addento un pezzo della pagnotta, giusto per spezzare i morsi della fame che non mi facevano dormire, poi chiudo il resto in una busta di plastica che ho recuperato, cercando di far uscire tutta l’aria per non farlo deteriorare. Ho imparato che è meglio digiunare che mangiare cibi avariati, ed io devo mantenermi in salute se voglio tornare a casa.
Nel caso di vittoria i soldi del premio servirebbero per le cure  della mia cara madre.
So di non avere speramze di vincere, ma la voglia di provarci, di vivere, tipiche dei miei diciotto anni mi portano avanti. Devo solo cercare di non pensare al gruppo dei favoriti, i tributi dei distretti 1,2 e 3, che quest’anno sono particolarmente agguerriti.
Dal distretto 1 i letali fratelli Pendragon, Arthur e Morgana (abilità dei quali ho già avuto modo di sperimentare durante l’addestramento); dal 2 Katija Mizel e Samuel Newman e dal terzo Lyonel Mc Twist ed Emily Casperville.
Sicuramente si saranno alleati e avranno fissato un accampameto organizzato,da qualche parte…
Facilmente il piccolo Tim è stato stanato e preso dal forte Lyonel, loro leader.
“Basta pensare, Merlin!”mi dico ad alta voce.
“Sei debole. Prova a dormire un po’ o non ce la farai.” Aggiungo per autoconvincermi.
Mi preparo un giaciglio con la mia giacca. Fa freddo, ma accendere il fuoco è fuori questione per più di un motivo: non ho legna, tanto per incominciare, e poi sarebbe solo un rischio inutile, mi vedrebbero a grande distanza.
Indosso lo zaino e stringo tra le mai il mio unico coltello, per sicurezza.
Mi stendo, chiudo gli occhi e canticchio un po’ . Cerco di tranquillizzarmi,mi rannicchio come un gatto per sconfiggere i brividi…
La notte è la parte peggiore… ci sarà un modo per tirare mattina…
***   ***    ***    ***   ***
Mi sveglio alle prime luci, accarezzato dai raggi di un timido sole che si fa strada dalla finestra e dagli spiragli del tetto e dei muri.
È così bella l’alba, il sole che si fa largo tra gli intricati alberi laggiù, e dipinge il cielo di mille sfumature acquarello viola, blu e rossastre… per un attimo il mondo mi sembra bello e sorrido al nuovo giorno… ma poi mi ricordo dove sono.
La voce: “Benvenuti ai 31esimi Hunger Games, e possa la fortuna essere sempre a vostro favore!” risuona ancora nelle mie orecchie, nonostante la fatidica frase sia stata pronunciata ormai otto giorni fa… sembra una vita.


Questo è il mio ottavo giorno nell’arena.  Le mie scorte di cibo e acqua stanno drasticamente diminuendo.
Devo trovare il coraggio di esplorare il palazzo in cui mi trovo e di uscire fuori.
Raccolgo i miei pochi averi nello zaino e prima di andare controllo la ferita alla mano.
Ha smesso di sanguinare, però alla luce del giorno riesco a vedere meglio di ieri, e mi accorgo che è piena di schegge e sporcizia. Devo al più presto trovare dell’acqua, sia per reidratarmi, sia per mantenerla pulita, o rischio di non poter usare una mano.
Per fortuna sono mancino, ma una ferita infetta è l’ultima cosa di cui ho bisogno.
Tolgo le schegge più grosse e fascio bene il taglio con l’unica stoffa che ho disponibile evitando di strappare ulteriormente la camicia: quella del paracadute argentato arrivato ieri, che ho avuto il buon senso di conservare.
***    ***    ***    ***    ***
Il sole è alto nel cielo.
Non so per quanto tempo abbia camminato in questo deserto di alberi spinosi e spogli, palazzi e macerie.
Sono arrivato al limite della cittadina diroccata, e sto iniziando ad avvicinarmi alla selva: il terreno è cambiato, ora è brullo, pieno di sterpaglie… c’è qualche albero, ma sono spogli e bassi, sono troppo esposto e devo trovare un posto dove nascondermi, oltre che all’acqua.
Sto per  addentrarmi in questo assurdo insieme di liane e alberi dagli spessi rami intricati…  quando,
nell’innaturale silenzio risuonano  delle urla strozzate, clangore di armi, seguite immediatamente da due colpi di cannone.
Ingenuamente e senza pensare ai rischi, inizio a correre in direzione dei rumori.
Le spine dei rami delle piante mi graffiano il viso e le braccia, sembrano venirmi addosso.
Le distanze sembrano maggiori… inizio a pentirmi di aver lasciato il mio nascondiglio…
Improvvisamente l’intricato groviglio si apre su uno spiazzo, al limite del quale c’è…
Mio Dio, non ci credo…
Ti prego fa che non sia un miraggio…
Un fiume.
Non resisto, mi getto in ginocchio alle sue rive come a pregare, a ringraziare per la mia fortuna, senza pensare a nulla, mi sporgo per bere.

“No!”
Un urlo mi ferma.
“Non farlo, non toccarla!”
Mi volto di scatto: una figura rapida come un fulmine parte da dietro gli alberi, si lancia vicino a me,mi tira indietro e mi blocca le mani.
Il cuore mi balza in gola, non riconosco chi ho di fronte, ha la maggior parte del volto coperta da un cappuccio e un foulard neri.
Da sotto spuntano solo alcuni ciuffi di capelli corvini: ansima e ha le pupille dilatate, mi fissa.
Restiamo immobili per i secondi più lunghi della mia vita.
“Calma. Sei al sicuro. Non ti farò del male. Vivremmo di più se fossimo in due.”
Tenendomi sempre fermo con una mano,con l’altra, si abbassa il foulard:”Merlin”,sussurra.
“Alyssa…” riconosco la mia compagna di distretto, più piccola di me di due anni.
Sono sorpreso di vederla,e ancora non riesco a capacitarmi del fatto che mi abbia impedito di bere.
Vorrei dirle qualcos’altro, ma ho la bocca troppo secca, e l’unica cosa che riesco a far uscire con un rantolo è:”Acqua…”
Reggendomi con un braccio, Alyssa estrae dalla borsa grigiastra che tiene a tracolla, una borraccia:mi bagna appena le labbra con l’acqua fresca e me ne lascia bere un lungo sorso.
“Cosa è successo? Perché mi hai allontanato dal fiume?”
È ancora sconvolta, lo posso vedere nei suoi occhi: seguo il suo sguardo verso la riva opposta
C’è un corpo, trafitto da un arpione. È stato preso da una persona con una mira infallibile e probabilmente molto forte.
Il corpo appartiene a Vince Rogiler, dal distretto 5;riesco a vederlo anche a questa distanza.
Mi viene in mente una solo persona  che potrebbe usare in quel modo quel tipo di arma: una ragazza,
un colosso,un’esplosione di umana ferocia,paragonabile ad una leonessa sotto ogni aspetto tranne che per eleganza.
Una vera vichinga, la diciottenne Janika Spang dal distretto della pesca.
Quello che non mi spiego a questo punto è, non solo perché Alyssa mi abbia impedito di bere, ma anche il perché di due colpi di cannone: qui c’è solo il corpo di Vince.
Certo, potrebbe esserci stato un altro caduto nello stesso momento, dall’altra parte dell’arena… ma ho uno strano presentimento che mi spinge a chiedere a lei.
Indico ad Alyssa il cadavere con un cenno del capo.
“Opera di Janika, eh?”
Annuisce.
“Alyssa, dov’è lei?” alza un indice verso il fiume.
“Respira. Dimmi cosa è successo.”
“Vince aveva recuperato molte armi alla cornucopia… anche Janika, ma nulla era mai abbastanza per lei.. erano giorni che lo braccava, lo sapevo.
Quando lo ha trovato l’inseguimento è stato folle… fulmini negli occhi di Janika, ma la furia l’ha accecata… Vince era dall’altra parte del fiume, lei lo ha rincorso fino a che ha potuto, poi ha scagliato la sua arma prediletta, l’arpione… lo ha trafitto come un pesce…ma anche lei ne a subito le conseguenze: nella foga ha perso l’equilibrio ed è caduta in acqua… il peso delle sue armi… quelle grida…”
“È annegata?” la interrompo con una domanda troppo scontata.
“In un certo senso anche.”
“Cosa intendi dire?” inizio a percepire tensione.
“L’acqua, Merlin. Corrode ogni cosa. Lentamente. È stata una scena orribile… gridava… era una persona violenta , ma in quel momento mi ha fatto così pena… si dimenava, ma veniva trascinata … non potevo fare nulla anche volendo, così appena ho visto te…” si interrompe e tira il fiato.
“Dove hai preso l’acqua di prima?”
Senza darmi una risposta mi tende la mano : “Siamo alleati, vero?” esordisce.
“Alleati.” Annuisco, prendendole con delicatezza la manina, con la mia destra ferita.
***    ***    ***    ***    ***    ***
Manca poco al tramonto ormai e siamo nella cantina di ciò che rimane di una villetta di tipo campagnolo.
Sono sdraiato per terra, appoggiato ad un vecchio mobile rovinato, forse una scaffalatura, e osservo Alyssa armeggiare con mattoni , macerie e assi.
“Vieni , guarda.” Mi chiama dopo qualche minuto.
Infisso nel muro in basso c’è un piccolo rubinetto arruggito. Mi chiedo come abbia fatto a trovarlo e soprattutto, a fidarsi a bere.
Evidentemente deve essere abbastanza potabile : Alyssa sta riempiendo fino all’orlo la sua borraccia.
“Non sappiamo da dove arriva quest’acqua, se è collegata ad una tanica o meno, quindi dobbiamo riempire il più contenitori possibile cercando di non sprecarne neanche una goccia.”
Frugo nello zainetto cercando qualsiasi cosa possa contenere dei liquidi: trovo una borraccia e una piccola bottiglia d’acqua.
Riempio prima la borraccia e poi la bottiglietta: non resisto, ne bevo un lungo sorso, poi la empio di nuovo.
Mi volto e Alyssa mi sorride battendomi il cinque.
“Siamo una bella squadra!” esclama. In quel momento, comparenella stanza,come dal nulla, un bagliore argentato : il regalo di uno sponsor!
Incredibilmente qualche folle ha scommesso su di noi : attaccato al piccolo paracadute c’è un contenitore di metallo.
Contiene una minestra.
Fredda.
Ma è meglio di niente.
Ce la dividiamo, consumando così una magra cena, e poi ne  approfittiamo per riempire il contenitore ermetico con dell’acqua.
“Esco un minuto.” Avviso la mia alleata.
Le dico che vado a vedere le proiezioni dei caduti, per controllare che non ce ne siano stati altri, ma in verità ho soprattutto bisogno di una boccata d’aria.
Mi arrampico su per la scaletta che porta al piano superiore e quindi all’esterno.
Mi affaccio sulla soglia della porta appena in tempo per vedere comparire le immagini azzurrastre del volto di Vince e del ghigno di Janika, unici caduti di questa lunga giornata.
Inspiro profondamente, riempiendo i polmoni con l’aria fresca della sera, poi la soffio sbuffando, lentamente, guardandola trasformarsi in bianco vapore.
È il mio modo per calmarmi e avere coscienza che ancora vivo.
Quando rientro Alyssa si è già addormentata, ed io mi appresto a raggiungerla.
***   ***   ***   ***
Mi sveglio di soprassalto dopo l’ennesimo incubo, la mattina del terzo giorno della mia alleanza con Alyssa.

Il giaciglio al mio fianco è vuoto.
Il panico mi assale, ho un pessimo presentimento.
Anche la sua borsa è sparita.
Qualcosa mi suggerisce di controllare anche tra le mie cose.
Il sacchetto con le mie provviste: scomparso.
Come in trance, comincio a correre, salgo la scala come una furia.
Mi fiondo verso l’esterno…
Appena qualche metro più in là, mi attende una sorpresa sconcertante.

Un corpo riverso bocconi per terra.
Le mani gonfie.
Giro il corpo verso l’alto.
Il viso è sfigurato, anch’esso gonfio e livido.
Purtroppo riesco a riconoscerlo.
Stringe ancora tra i denti un morso di pane con una specie di insalata.
Il resto giace vicino a lei.
Sono così sconvolto, sconcertato.
Non riesco a credere che questo corpo sia davvero quello della mia ormai ex alleata.
Non riesco a credere che non abbia riconosciuto quell’erba velenosa prima di mangiarla. Gaius mi insegnò a riconoscerla fin da bambino.
Non riesco a credere che mi abbia tradito così, rubandomi persino le provviste, persino il mio misero pane.
Non voglio credere che sia morta.
Mi sento svenire.
Il fiato mi manca.

Nausea.

Vomito.

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Capitolo 2
*** flashback ***


Sono qui, in fila con questi miei coetanei;tutti con espressioni diverse dipinte sul viso.

Siamo ancora vestiti con gli abiti della mietitura. Sto sudando. Mi passo un dito nel colletto della mia camicia blu jean abbottonata fino in fondo per poter respirare un po'.

Osservo queste persone, e non riesco a non pensare che ne rimarrà solo uno.

Noto una ragazzina coi capelli rossi stringersi al giovane accanto a lei... ci sono alcuni bambini, una è molto piccola, mingherlina, i capelli biondissimi ridotti ad una corta zazzera: la sento chiamare Eirine, ed è del quinto distretto. Più di tuttti però, non riesco a staccare gli occhi dal possente giovane biondo del distretto uno.

Dovrei avere paura di lui, sarà sicuramente già addestrato e nel gruppo dei favoriti. Vicino a lui, la sorellastra, di una bellezza disarmante: pelle diafana, occhi mobili color smeraldo e lucidi capelli scuri, Morgana.

Nonostante ciò, anche se non vorrei ammetterlo, la mia attenzione è attratta inesorabilmente da lui.

I capelli dorati, gli occhi di un azzurro che pare rubato al cielo. Mi scopro a indugiare con lo sguardo sul suo collo dalle vene visibili dalla tensione, sulle clavicole sporgenti e le forti mani... ma che sto facendo? Me ne vergogno un po', in effetti.

Nella sala cala un silenzio innaturale, quando la porta si apre ed entrano due figure dai lineamenti androgini che indossano le divise con gli stemmi di Capitol City.

Ci informano che verremo chiamati a turno, e condotti dai nostri mentori e dai membri del nostro staff: “Arthur e Morgana Pendragon, distretto uno!”

i due fratelli escono, squadrando gli altri tributi con aria di sfida e sufficienza.

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Allenamento. Giorno 2.

 

Clangore di fendenti, grida concitate. Già si sta formando il gruppo dei favoriti.

Scorgo Janika scagliare un arpione con una forza incredibile: centra in pieno il cuore disegnato di uno dei manichini in fila,attraversandone tre in un solo colpo.

Samuel, il ragazzo del secondo distretto, è alla postazione di lancio dei coltelli: ne afferra uno ricurvo, come un boomerang.

Stacca la testa ad un altro manichino senza battere ciglio, e il coltello gli ritorna. Lo afferra al volo.

Devo scegliere una postazione. Comincio a guardarmi intorno, per associare i visi dei miei avversari al numero del loro distretto,cucito sulla schiena della divisa da allenamento.

Mi avvio verso la postazione meno frequentata: quella dedicata al riconoscimento delle piante e all'accensione del fuoco. Non so che fare,e quindi metto alla prova le conoscenze acquisite con mio nonno Gaius, che è abbastanza esperto in questo genere di cose.

Davanti a me una tabella elettronica: devo riconoscere diverse bacche e piante, dalla funzione, alla commestibilità,e aspetto.

Comincio subito con un esercizio che prevede l'assegnazione del nome corretto alla rispettiva icona della pianta.

Stramonio, Salvia, Ricino, Belladonna, Calendula,Rosmarino, Cicuta, Borsa del Pastore... e ancora... Mirtillo, Mora, Ortica, Aconito, Finocchietto selvatico... le suddivido e le classifico in base alle mie conoscenze e ne fallisco solo una decina. Mi sposto a lato, dove è ricostruito un piccolo paesaggio boschivo: uno spiazzo di tre metri quadrati ad occhio.

Mi esercito con alcuni nodi su un albero e poi mi siedo ad accendere un fuoco.

Mi occorrono un po' di tentativi e impegno, ma poi davanti a me si sollevano delle fiammelle scoppiettanti.

All' improvviso mi sento dare un colpo alla schiena, che individuo come pedata.

Dietro di me, l'imponenete figura di Arthur.

I suoi occhi di ghiaccio mi guardano divertiti ed io gli restituisco uno sguardo sorpreso e interrogativo. Intorno a lui, la cerchia dei favoriti. Solo Morgana osserva la scena da lontano scuotendo il capo.

“credi di essere gran cosa a riconoscere due piantine?”
balbetto qualcosa,e mi chiedo perchè sono già stato preso di mira.

Il tributo del distetto 2 soffoca il fuocherello che avevo appena acceso con un piede.

Altre risa. Sono a bocca aperta e continuo a fissare Arthur senza poter dire nulla.

Mi alzo come per volerlo fronteggiare, ma mi rendo subito conto del mio errore: sono più basso e mingherlino. Gli basterebbe un soffio per buttarmi a terra. (a me basterebbe meno,se solo potessi usare i miei poteri...)

Arthur si avvicina pericolosamente al mio viso: sbuffa,spettinandomi il ciuffo di capelli con un'occhiata di sufficienza.

I litigi non sono ben visti durante gli allenamenti, quindi lasciamo perdere, per mia fortuna, e pian piano la folla si disperde.

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Allenamento, giorno 3

 

sono disperato non so cosa fare. Questi primi giorni di allenamento sono stati un disastro, non so usare quasi nessuna arma. Il mio amico Will, che al distretto nove faceva il fabbro, sta cercando di insegnarmi a usare pesi e coltelli, ma io mi accorgo di essere tremendamente in difficoltà... quasi senza abilità, né possibilità di sopravvivenza...

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mancano tre gioni alla prova di punteggio dei tributi. È notte, sono appoggiato alla lunga finestra della mia stanza. Non riesco a dormire, quindi estraggo dalla mia fidata tracolla di pelle un pezzo di carboncino e il mio album da disegno. Me li hanno lasciati tenere, perchè non avevano nessun valore per loro.

Lo sfoglio, ricordando i piccoli momenti felici, o i dettagli che avevo deciso di immotalare, per fermare un secondo la tristezza e la fatica del lavoro.

Dettagli di frutti, filari di alberi, una bambina che mangia una mela presa di nascosto.

Piccoli tesori, nel mio distretto 11.

Rimane qualche foglio bianco e per distrarmi inizio a tracciare qualche schizzo.

Le linee sulla carta cominciano a formare un viso... qualche ciuffo di capelli... quasi senza il mio controllo inizia ad apparire il viso di Arthur... perchè mi sono trovato a disegnare quell'arrogante asino?

All'improvviso bussano alla porta. Prima piano, come ad avere paura di distrurbare, poi con più insistenza.

Chissà chi può essere... non ho molta voglia di alzarmi, ma dal momento che il rumore continua sono costretto.

Lascio l'album aperto sul pavimento, mi passo distrattamente una mano tra i capelli e mi trascino alla porta.

Sulla soglia, con una strana espressione sul viso, c'è l'ultima persona che mi sarei aspettato e che avrei voluto vedere: proprio il soggetto del mio disegno.

Sto per gridare, ma subito il ragazzo mi preme un dito sulle labbra, fulminandomi con lo sguardo.

“non dovrei essere qui. Fammi entrare, non negare di avere bisogno di aiuto, fai pena.”

“ah così ti faccio pena?” rispondo punto in quel poco che restava del mio orgoglio.

“fammi entrare” ordina categorico, spingendomi verso la mia stessa stanza, mente si chiude la porta alle spalle con fare guardingo.

“che cosa vuoi?” riesco a proferire convinto.

“ non posso farmi vedere qui, né dai responsabili, né ancor peggio dai miei compagni favoriti.

Ma seriamente vorrei aiutarti. Ho visto che sei in difficoltà, fisicamente parlando, ma hai una bella testa.

Ti propongo uno scambio. So che hai conoscenze di orientamento e per quanto riguarda le erbe... distretto 11... io ti posso insegnare qualcosa se vuoi, delle mie abilità. Ma deve restareun segreto. Ci vedremo la notte, di giorno resterà tutto com'è.”

Non mi fido di Arthur. Non capisco le sue motivazioni e questa cosa mi fa paura.

Gli stringo comunque con diffidenza la mano.

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Dieci.

Nove.

Otto.

La voce metallica inizia il conto alla rovescia.

Quarantotto paia di occhi si scrutano, ventiquattro visi con altrettante espressioni diverse si fissano tra di loro. Si leggono ferocia, paura, speranza, agitazione...

Mi immagino l'eccitazione dei Capitolini,agghinadati nei loro pacchiani vestiti, seduti davanti alle loro televisioni ad aspettare l'inizio del massacro.

Eccolo.

Zero.

Nel silenzio assordante si scatena una confusione di corpi che corrono, si scontrano.

Alcuni puntano direttamente alla cornucopia, per assicurarsi le armi migliori e sono già pronti ad uccidere, i più piccoli o cercano di fuggire o di prendere la prima cosa che capita loro sotto mano.

Urlando, quasi latrando, Janika si lancia alla cornucopia, scagliando a terra una ragazzina.

È Eirine.

Janika non esita un attimo a ucciderla, solo con un mattone e la sua forza bruta.

I chiari capelli della dodicenne del 5 si tingono del rosso del suo sangue che sgorga dalla nuca e dalle tempie.

Di fianco a Janika vedo cadere altre due ragazzine, Janette e Ruth, riventate amiche durante gli allenamenti, che impaurite cercavano di stringersi tra loro.

Sbuca Samuel, compagno di distretto di Janika, il quale, con due lame ricurve appena recuperate le finisce entrambe.

Mentre corro, li evito, e vedo la ragazza conquistarsi un appuntito arpione argenteo.

Recupero anche io qualcosina prima di darmi alla fuga per evitare il massacro.

L'odore del sangue impregna ogni cosa...

Inizia persino a piovere, come se il cielo piangesse, per questa ingiustizia...

Altri due colpi di cannone...
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L'assordante rombo del motore di un hovercraft mette una brusca fine al mio lungo flash back... una pinza, un artiglio, preleva il corpo ormai esanime di Alyssa.

Certo, mi ha tradito, ma non riesco a non piangere la sua morte.

L' hovercraft riparte e sparisce, così come è arrivato.

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Capitolo 3
*** fire and blood ***


 

Barcollo. Non posso più restare qui. Ho fame.

Di acqua sono riuscito a recuperarne un bel po', ma ora devo trovarmi un altro posto, dato che dopo la morte di Alyssa rimanere qui mi esporrà molto di più.

Oltretutto ora sono solo, e non credo resisterò molto.

Mi avvio di nuovo fuori dalla zona delle macerie, verso il boschetto di sterpaglie: forse, se sono fortunato posso trovare qualche bacca o frutto commestibile. Spero.

Sto camminando da un'ora quando arrivo nei pressi di quella che una volta fu una villetta di mattoni rossi.

Una parete è sfondata, del tetto di tegole bianche rimane ormai poco.

Qualcosa dentro di me mi suggerisce di esplorare il circondario.

Magari c'è qualcuno, magari mi vedranno... o forse no.

Per una volta... un piccolo dono della natura... un miracolo: arrampicato sulla parete ancora in piedi, confuso tra l'edera... un ramo rampicante di more mature. Non è un miraggio. Sono sicuro.

Sono vere. Non riesco a crederci. Ne assaggio una, schiacciandola con la lingua per assaporare il succo fresco dal sapore che conosco bene.

Devo trovare un modo per raccoglierne il più possibile.

Nello zaino ho conservato il contenitore metallico della minestra dell'altro giorno, così la uso per stiparci tutte le more che riesco: mi ferisco le mani e i polsi con le spine del rovo, ma non me ne curo.

È cibo, vitaminico e anche dissetante, cosa che costituisce un bel vantaggio. Mi sto ancora chiedendo dove sia la fregatura di questo incredibile colpo di fortuna...

so che probabilmente sto per correre un inutile rischio, tuttavia decido di avventurarmi all'interno della casa.

I miei passi scricchiolano sul pavimento di legno marcio. Ho appena percorso pochi metri quando sento cedermi il suolo sotto ai piedi. Immobile, come pietrificato, rivolgo lo sguardo verso il basso pregando che non accada nulla. Ma sono agli Hunger Games, e qui non servono preghiere...

il legno si spezza e precipito in un seminterrato del quale non avevo idea dell'esistenza.

Mi rendo conto che la caviglia mi pulsa... mi muovo carponi in questa infida penombra: l'unico fascio di luce proviene dal punto della mia caduta.

Ho un pessimo presentimento...e purtroppo in queste cose raramente ho torto...

in un attimo, balena un bagliore, il riflesso di una lama. Lo sento, è giunta la mia ora, ho fallito. Strigo le mie stesse ginocchia,serrando gli occhi mentre mi chiedo chi sarà a prendersi la mia vita, preparandomi a ricevere il fendente...una lacrima nera mi brucia, scorrendomi su una guancia: avrei dovuto immaginarlo, avrei dovuto aspettarmelo...

“Merlin! Mio Dio avrei potuto ucciderti!” esclama una voce che conosco molto bene.

Al mio vecchio amico Will per lo stupore cade il coltello dalla mano.

Eravamo grandi amici da bambini, abitando in distretti vicini: scavalcavamo di nascosto la recinzione che delimita il terreno brullo che separa i distretti 9 e 10 e andavamo a giocare.

Poi crescemmo, le cose cambiarono, divennero tempi bui e pericolosi... riuscivamo a vederci sempre meno... fino a questo momento, nel tragico teatro della presentazione dei tributi.

Faccio per balzare in piedi, picchiando la testa contro il pavimento che fa da soffitto, per abbracciare il mio amico. Ci siamo sempre considerati fratelli e non smetteremo proprio ora.

Sono sicuro che le cose andranno meglio, anche se so che arriverà presto il momento in cui dovremo separarci e dirci addio: sarebbe impossibile combattere fra noi, sono troppo forti l'amicizia e la lealtà che ci legano.

Strisciamo fuori, arrampicandoci sulle assi che mi hanno fatto precipitare, trascinandoci al piano terra della casa dove ci troviamo.

Ci sediamo appoggiati al muro, per terra, a raccontarci questi giorni passati nell'arena, e a confrontare i nostri possedimenti, che ovviamente decidiamo di mettere in comune: la mia ciotola di more fresche, la stoffa del paracadute, quattro contenitori di acqua pieni, tre coltelli, due gallette, una busta di carne disidratata,un acciarino, altra stoffa, qualche radice commestibile...

non è molto, certo, ma è meglio di niente.

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l'aver ritrovato Will mi sta dando la forza di svegliarmi la mattina. Mi ha restituito forse anche un po' di speranza dopo quanto accaduto con Alyssa.

A volte mi scordo persino del tremendo destino che ci attende, o che almeno attende sicuramente uno di noi due.

Sono trascorsi un paio di giorni credo, forse tre, piuttosto tranquilli nell'arena. Sembra che persino i favoriti si siano presi un pausa.

Ieri io e Will abbiamo scoperto il loro accampamento. Non lo stavamo nemmeno cercando.

Nonostante il mio amico sia piuttosto attaccabrighe, di certo, non andiamo a cercare guai. Di solito sono i guai a trovare noi. È successo così, per caso, mentre eravamo alla ricerca di provviste.

Ci eravamo avventurati poco fuori dalle rovine della città al centro dell'arena, dall'altra parte rispetto al nostro rifugio.

Will, spirito avventuriero, era entrato in quella che una volta era stata una palazzina, ora con l'intonaco cadente e il portone completamente divelto.

Avevo uno strano presentimento, ma a nulla erano valse le mie proteste.

Quando Will si mette in testa qualcosa non esiste niente e nessuno che possa dissuaderlo, questo lo so bene.

Per questo, anche se controvoglia, l'ho seguito all'interno della palazzina, scoprendo delle scale agibili. Spinti dalla folle curiosità, ma sempre all'erta abbiamo deciso do percorrerle. Il piano rialzato era vuoto, completamente spoglio come ci si potrebbe aspettare.

La grigia parete che si stagliava di fronte a noi presentava un'apertura, causata dai mattoni crollati.

La penombra della stanza era come tagliata, ferita dal fascio della sua luce, ed era stato quello ad attirare la nostra attenzione. La piccola feritoia ci offriva una visuale unica, e ci sembrava molto strano che nessuno si fosse accampato lì...

Siamo rimasti come pietrificati dalla sorpresa: si poteva vedere chiaramente una radura, con un pozzo di pietra al centro, vicino al quale erano state ammucchiate diverse armi, oggetti e provviste.

Seduti per terra a mangiare tranquilli c'erano proprio i favoriti. Sembrava una scena talmente irreale...

Lyonel era appoggiato ad un albero ricurvo intento ad affilare un coltello, Katija si stava occupando del fuoco, mentre gli altri quattro conversavano riforcillandosi.

Me lo ricordo così bene... quanto avremmo voluto poter scendere, fare razzia delle loro cose...

Dopo l'accaduto sia io che Will non riuscivamo a smettere di pensarci. Sopratutto per lui in breve tempo diventò un chiodo fisso: rubare o distruggere i possedimenti dei favoriti. Io cerco di dissuaderlo, siamo solo in due, so come andrebbe a finire...

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“non ce la faccio più!” esplode Will.

“un altro giorno senza cibo!” aggiunge scattando in piedi.

“Will calmati, per favore!”

“guarda! Mentre loro se ne stanno lì a bivaccare!” scuote il nostro zaino a terra, rovesciando i nostri pochi averi.

“non ce la faccio più a continuare così, dobbiamo fare qualcosa...” si lascia ricadere, abbandonandosi sconsolato con le mani tra i capelli.

“Will...”

Il mio amico non mi lascia terminare la frase, si rialza in piedi e mi prende per le spalle.

Eccolo. Lo sapevo, sta maturando qualche malsana idea che porterà solo guai.

“dobbiamo fare un incursione a quel campo! Ascolta! Ho un piano!”

come non detto...

“ Ci divideremo. Uno dei due attirerà la loro attenzione, fingerà un incendio al loro campo, mentre l'altro potrà rubare indisturbato, poi ci ritroveremo qui!”

è un piano suicida, ma non posso negarlo: quelle provviste ci farebbero davvero comodo.

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ci siamo divisi come d'accordo. Io sono deputato al furto, lui al fuoco.

Sono nascosto, ma riesco a vederli: eccoli là i favoriti.

Katijia e Samuel stanno lottando tra loro, un po' per esercitazione, un po' per i loro soliti screzi; la bella Morgana Pendragon vicina ai loro giacigli, Lyonel ed Emily intenti ad affilare le lame delle loro letali armi.

Manca solo una persona: il bel biondo, il giovane Pendragon. Arthur. Non so se essere sollevato o preoccupato dalla sua assenza.

Poco dopo vedo il fumo, come previsto, e l'agitazione inizia a farsi strada nel campo.

Tutti si muovono da una parte all'altra alla ricerca della fonte del fumo: in cerca del mio amico.

Un grido mi distrae: “c'è qualcuno!”

ti prego fa che non abbiano trovato Will...

I miei timori si rivelano fondati: vedo Samuel trascinare il mio amico fuori dal suo nascondiglio, mentre lui cerca di difendersi con la torcia accesa, agitandola.

I vestiti di entrambi si infiammano all'istante; la torcia cade a terra, sulle sterpaglie, appiccando le voraci fiamme tutto intorno. Tra le urla, l'agitazione si trasforma in panico: lo stesso panico che mi immobilizza,impotente davanti al caos.

I corpi di Samuel e Will si dimenano a terra. Calde lacrime iniziano a solcarmi il volto: calde come il fuoco che non riesco a smettere di guardare.

Tutta questa distruzione attorno a me, tutta questa desolante potenza.

Altri due ragazzi innocenti che perdono la vita. Un altro amico che perdo.

Sento i miei occhi fremere, tremare:non posso fermare in loro il giallo bagliore che mi è tanto familiare.

Le fiamme aumentano ponendo fine alle sofferenze di Samuel e Will.

Il fumo denso mi riempie le narici, gli occhi: come un liquido che pervade ogni cosa.

Odore di bruciato, odore di morte. Due colpi di cannone feriscono l'aria.

gli altri favoriti raccolgono le poche cose che il fuoco ha loro risparmiato.

Tossendo ,come me, scappano e si allontanano senza nemmeno vedermi.

Barcollando cerco di fare lo stesso.

Sono rimasto di nuovo solo. Me ne rendo conto? Non lo so. Non riesco a pensare ad altro che al vuoto, quando scorgo Arthur. Mi sta guardando, immobile.

Mi manca il fiato. Intravedo un lampo azzurro nei suoi occhi di ghiaccio.

Non so descrivere cosa sia. Ma so che il biondo non dice nulla e dopo un breve incontro tra i nostri occhi, si volta, mi gira le spalle e se ne va, facendo finta di non avermi visto.

 

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