D'Amore, di Morte e di altre sciocchezze

di LaCittaVecchia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ti sia lieve la terra ***
Capitolo 2: *** Fatta non fosti a viver.. ***
Capitolo 3: *** Il nome di una Rosa ***



Capitolo 1
*** Ti sia lieve la terra ***


13 luglio 1789: André o Ti sia lieve la terra


Andavam in su la gelata piana
 ch'io allor vidi orribil ali nere
 intraversar lo vento che mai fiacca
 e cader da noi il trar d'un balestro.
Per paura poi mi ristrinsi retro
 al duca mio, ché non lì era altra grotta.
Tanto in volo due sparvier grifagni
 quanto simil maiali adesso parommi,
 a guisa di quei intenti a rovistar
 scompostamente terra e dar di grugno.
Quand'ecco sorger terribil soldato,
 un lampo, un grido acuto e di spada fè
 cozzar di ferro ch'a l'aria quei tornar.
Com'animal digrigna mentre arretra
 li diavol urlavan ma davan terga
 a quel che nol smettea di rincalzar.
Lo duca mio "Convien che noi si porti
 in loco in cui maial raspavan terra".
Lì una voce allor ci fece accorti
"Viaggiator, che carico del corpo vai
 sicuro ad altri lidi, sian cortesi
 i tuoi passi e non rechino danno
 al nostro qui povero restare."
"Chi sè tu, anima prava, d'atteggiar
 tuoi motti a guisa di preghiera?"
Da la ghiaccia qual Farinata surse,
 d'un occhio orribil scempio e nell'altro
 il mare stava et pianamente disse
"Io son'Ombra e di Francia nacqui villano
 al tempo dei Lumi falsi e bugiardi
 cui Terror raccolse d'uomini tanti
 e di Franceschi sanguinoso mucchio.
Se dolcezza di figlio presto tolse
 in con la vita a li parenti miei,
 cui il debito amor mai m'abbandonò,
 Sorte, la qual con mano piena mai dà
 e neppur toglie, e un padre beffardo
 mi fecero compagno alla nobiltà
 di colei cui tutto di mia vita offersi.
Per lei fui roccia, torre, porto e specchio
 pur se un giorno le fui troppo molesto.
Onorai le leggi, gli uomini ed il Re
 m'assunsi di costei il ben a religione [1]
 in dispetto alla Chiesa e al suo Fattore
 lo qual in sua Pietade permette qui
 che mia colpa non sia così gravata."
"O anima cortese" allor diss'io
"Animula blandula perché duole?"
 sovra mie spalle un chiaro fiato venne
"Nobile in tutto fuor che i Natali [1]
 tu, che mi fosti molesto un sol giorno
 ed io sdegnosa da me t'allontanai.
Io ti fui molesta tutta una vita
 e magnanimo rimanesti meco
 dimmi, inver quel peso ancor ti grava?"
Ognun tacendo ascoltò di parole
 quel suon ch'ormai si spegne ma non passa
 finché sol la ghiaccia, girommi, scricchia
 et allor la vedo e fuggiemi errore
 e Diana non potea essere più bella.
Pur se vento infernal battea parea a me
 ch'io fussi su al dolce mondo et rimirar
 di grano messi in ciel d'azzurro pitto.
"O madonna o soldato io vi prego
 per quella pena che la gol mi serra
 chi fuor li maggior tuoi, qual tua natura
 e perché s'agghiaccia in questo fondo?"

[1] Concetto preso da una storia di "_Agrifoglio_"

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Capitolo 2
*** Fatta non fosti a viver.. ***


14 luglio 1789: Oscar o Fatta non fosti a viver come uomo, ma per seguir virtute ed inclinazione


"Nacqui donna sotto al Giglio ove Senna
 scorre lenta, ultima fui di teoria
 di figlie d'una madre affaticata.
Si che il buon padre cambiò mia natura
 e m'apparecchiò a sostener la guerra 
 per il continuar l'antico casato.
Magnificenza vi portai crescendo
 splendido figlio in onor delle armi
 giurando eterna divozion et fede
 a curar di princepessa d'Osterlicchi.
Princepessa e poi amata regina
 cui sempre mi fu disio nell'obbedir
 sì presta ch'io mi parea d'esser tarda.
In tal servizio m'innalzai sovr'ombra
 di chi credea giganti ed eran nani
 ed oltre vidi di Francia i figli
 afflitti da pianto e stridor di denti.
Giustizia che da sempre fu mia stella
 mostrommi via ma non guidò miei passi
 che malamente posi ad infrangere
 d'una vita il sacro intendimento.
Io non so chi tu sè né per che modo
 venuto sè qua giù, ma alta guida
 sol ti può condurre sì chè pena mia
 maggior dirotti e tu comprenda come
 gelo d'ora non può più di quel d'allora."
Qual soldan s'arresta sol per ripartire
 con rinnovato slancio tal ristette,
 poi ch'ebbe sospirando il capo mosso,
 a li occhi miei ricominciò diletto
 quando per forza di parol ch'uscian
 vidi colorar scolorito volto.
"Se più fiate d'esser mia natur sognà
 pur sognando desiderà sognare,
 si che quel ch'è, come non fusse, agognà.
Tal fec'io in quella vita non possendo amare
 ma con lui io disiava stare, e stava
 io tuttavia, e nol mi credea fare.
Così viss'io cieca et quando costui
 per me la perse, io la guadagnai
 e ne lo squarcio che ne venne presta
 scelsi mia vita mio peccato mia morte.
Una notte luminosa il trovai
 quell'altra lo perdetti e nostro patto
 pria che fatto fu subito disfatto.
M'alcun potè discioglier nostro sigillo
 nè Caron quand'ei di me aspettando,
 vide che voler non si partia
 nè Minos il qual ciascheduno afferra
 di sua coda m'a cui fallar non lece"
Così il soldan da donna vinto disse
 ed io ristetti fin che il buon maestro
 con sua, mia mano lievemente prese 
 ed a sè accostommi fuor del filo
 dei lor guardi a continuar quel coro
 di favelle antiche et silenziose.


Era mio proponimento rispettare l'appuntamento con Entrambi.
Mi scuso se per farlo non ho potuto dedicarmi alle vostre osservazioni.
Questa è una storiella per cui mantiene coerenza fino ad un certo punto.
Spero di non abusare di questo spazio dando sommarie risposte.
Ci troviamo nella Giudecca, ove vengono puniti i traditori dei benefattori.
Quando ho cominciato a scrivere sapevo che, per inclinazione naturale,
avrei potuto farlo solo dell'Inferno. Mi rivoltavo al pensiero ma
la collocazione di Oscar era chiara.. Dante, uomo del suo tempo, non
gliel'avrebbe perdonata. Che fare di Andrè? Purgatorio o Paradiso
sarebbero stati una condanna.. Il suo giudizio è l'anello più debole ma
se alcuni critici vedono Impero e Chiesa tra i massimi benefattori
lui si poteva dire aver tradito quest'ultima.
Personalmente quei due stanno avvinghiati in Paradiso ma lascio ad altri la sfida.
A tal proposito vedo commenti positivi all'idea.. a mio avviso
l'anime è zeppo di personaggi che ben si prestano
a riempire i più svariati cerchi infernali e altro.
In fondo era la mia idea originale e mi piacerebbe davvero tanto
se qualcuno la raccogliesse e producesse qualcosa di proprio.
Ancora grazie

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Capitolo 3
*** Il nome di una Rosa ***


Spero che la prolungata assenza non abbia demotivato i miei otto recensori che tanto ringrazio, credetemi non lo si è fatto apposta.
D'altro canto questo mi permette di pubblicare anche la chiusa in una data particolare della storia dei nostri.
A chi mi concedesse pazienza faccio un piccolo preambolo, il saltarlo non sminuirà comunque la comprensione del testo vero e proprio.
Cosa fa assurgere un personaggio ad un simbolo? Qui riporto ed assemblo vari contributi e lascio a voi il giudizio.
"Un eroe tragico è una persona, solitamente di nobile nascita, con qualità eroiche o potenzialmente eroiche.
Questa persona è condannata dal destino a sopportare grandi sofferenze.
L'eroe lotta mirabilmente contro questo destino, ma fallisce a causa di un difetto o errore
[..]
La tragedia consiste proprio nella drammaticità tangibile del conflitto che l’eroe vive,
costretto a scelte difficili e scomode e non in linea con la convenzione sociale,
anzi spesso in contrapposizione netta con questa. E quindi prova sentimenti moderni,
quali conflitti interiori, angoscia, disperazione, ma soprattutto senso di eccezionale solitudine
[..]
Appassionarsi a un personaggio significa conquistare una certa familiarità con le sue azioni,
con la sua vita, la sua personalità; identificarsi in qualche modo con quegli aspetti
che sembrano riecheggiare nel profondo della nostra anima, che destano in noi sentimenti sopiti.
Quando la nostra coscienza prova gli stessi sbalzi, lo stesso tormento, la stessa inquietudine,
possiamo serenamente affermare che l’autore è riuscito a parlare dei sentimenti degli uomini nella loro universalità."
Oscar e Andrè per me sono questo, ci mostrano l'unione di due anime
vissuta nei molteplici aspetti che l'attraversare le fasi della vita ha loro concesso: fratellanza, amicizia ed amore.
Da subito si sono trovati a formare una monade che in quanto tale ha tratto da sè stessa la forza
per superare fino all'ultima le prove di un destino "cinico e baro".
Anche per questo ho voluto metterli ancora alla prova, nell'Inferno.
Non certo per il gusto di vederli soffrire ma per mostrare anche in quel contesto estremo
la forza della loro unione (uso "sigillo" nel brano) e come essa venga pure lì riconosciuta.
Vedi nelle due parti precedenti il rispetto di Caronte per Andrè
che non vuole attraversare l'Acheronte perchè fermo ad aspettare Oscar,
oppure quello di Minosse che nel suo giudizio non ardisce a separarli.
Ed alla fine della chiusa spero si capirà come,
pur lontani dalla Luce, si compirà il loro destino.

"26 Agosto Chiusa o Il nome di una Rosa"

"Pur se cento fiate tua grazia indulge"
 ripres'uom dopo silenziosa attesa
"mille altre ancor il cercherò che mai
 perdon basti allo strazio ch'io ti diedi
 et medesimo disperar perdono.
Perchè tu fosti mia intera famiglia [1]
 sorella e madre amate ancor che sposa
 ed a tutte di rispetto le mancai."
Ascoltò donna in doloroso petto
 e tacendo a lui più s'avvicinava
 mossa d'un disio ond'ella ardeva
 di quel portar al passo del perdono.
Ma quel con palme aperte amaro stette
 "Sian conti tuoi passi a rispettar ciò
 ché per etterna legge è stabilito.
 Questo chiedo e più non t'avanzare"
ch'empetrar fec'ella et suo disio.
Io ch'assistea a lor intimo parlar
 a pena ebbi la voce che rispuose
"Se m'allontani com'io feci allor
 allor sbagliando, or non può fallare
 Natur di legge ch'obbedir dobbiamo".
Con pugno chiuso su la fronte bassa
"Sempre insieme, etternalmente divisi!
 Nostra colpa là sù cotanto costa 
 ch'amor consunse come Sol vapori?
 Dov'è giustizia? Perchè ti persi?
 Dimmelo tu Andrè, tutto è finito?"
Poscia si ristette all'aura morta
 dispetta et scura in doloroso pianto.
"Questo non sia cagion di tuo pianto [2],
 Amor che ne la mente mi ragiona"
 cominciò elli allor sì dolcemente
 che la dolcezza ancor dentro mi suona
 e ben si terminò come s'inizia
 per tòrle il biasmo in che era condotta 
"non face noi dubitar d'alto giudizio
 ch'a noi altra strada chiede tenere".
Tutto smarrito de la grande angoscia 
 che m'avea contristati li occhi e 'l petto
 qual è quel che cade e non sa como,
così io m'era inginocchiato e vidi
 tra macerie di demon iscavate
 a germogliar d'un fior il manufatto.
Di povera tela constava ordito
 et a candida rosa si mostrava
 volgiendo inver'me le sue ghirlande 
 sì che l'estrema a l'intima risponde.
Ma piagato e sanza cura m'appariva 
 da bufera etternalmente battuto
 ancor ch'offeso da bestial viltade.
Non mi parea cosa di quel mondo [3]
 chè 'l bene, in quanto ben, così s'intende.
Per cui di mie man venni al soccorso
 con fitte pietre a riparar lo vento
 e carezzar corolle de lo stelo.
"Io non potea far ciò che tu feci!"
 dissemi voce fattasi vicina.
Di maraviglia, credo, mi dipinsi 
 per che l'Ombra sorrise e si ritrasse. 
Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto! 
 più volte dietro a lui le mani avvinsi, 
 e tante mi tornai con esse al petto.
Allor nel suo parlar mi feci fitto
"Dell'ardori e del lavor ch'in vita
 noi ponemmo e del perdono che n'avemmo
 codesto fior porta sembianza ond'io
 son suo custode e costei guardiano.
Vedi che del disio ver' lei mi piego
 per consolar pianto che mi percuote
 ma nol c'è permesso incontro finchè
 a dimostrar vanità d'umane forze
 tal sembianza è offesa in esto fondo.
Lotta spirto guerrier ch'entro le rugge 
 ed io cura, in tenzon sanza riposo,
 ma nostra virtude fiacca per lo peso. 
L'opra tua fu certo lassù voluta
 portarci segno et significazione
 come lavor non fu tutto sbagliato.
Davvero or noi sappiamo che quel Giorno
 nostro sigillo avrà sguardo del Ciel
 ch'a maggior cura al nostro ben porremo."
Poscia che m'ebbe ragionato questo,
 mi levai qual'uom si leva a rimirar,
 smarrito tutto de la grande angoscia
 ch'elli ha sofferta, e guardando sospira.
Vidi d'Ombra ciò che mi sembiava riso
 e di madonna incontrai meraviglia
 dolce color d'oriental zaffiro,
 che m'accoglieva nel sereno aspetto
 puro infino al lume di suo sorriso
 or che speranza avea suo cuor acceso.
"La buona sembianza ch'io veggio e noto
 in tutti li ardor vostri consola alquanto 
 l'anima mia, che, con la sua persona 
 venendo qui, s'è affannata tanto!"
Dissi a quella gente ed al mio maestro
 ch'or eravamo tutti sì contenti, 
 come a nessun toccasse altro la mente.
Poi come di fiamma essi disparver 
 e di fiamma il calor in me riparve.
"Mio duca, a nobildonna nom non chiesi
 ed ella a me nol disse". "Figliuol mio,
 inver cotal t'importa di sapere? 
 Stat rosa pristina nomine,
 nomina nuda tenemus [4]."
Poi come gente che pensa a suo cammino
 volsesi el a quel fondo e dissemi
"Vexilla regis prodeunt inferni!"
 m'altro vessillo di me retro stava
 che mutava in conforto mia paura.
Allor si mosse ed io li tenni dietro.



[1] Ispirato da "Un angelo biondo" di Sara2000 
[2] Ci sarebbe stato bene "Oscar, perché stai piangendo?".. ma andava contro esigenze del finale.
[3] Non appartiene al mondo delle anime, è il fiore materiale. Inoltre appare simbolo di cosa buona per cui non appartiene al mondo infernale.
[4] E' la chiusura del romanzo "Il nome della Rosa" di Umberto Eco.


Così finisce la mia storia sui nostri eroi "della cui mirabil vita meglio in gloria del ciel si canterebbe".
Ma come già detto il limite è lo scrittore.. ed anche il suo gusto in fondo.
Grazie a chi è riusciuto a seguirmi fin qui, ora che ho contribuito come potevo,
mi sento di leggere sereno le tante storie che popolano questo sito.
Adieu :-)

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