La Vera Storia di Peter Pan

di LadyDP
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ..È maschio, Sire! ***
Capitolo 2: *** La principessa spodestata ***
Capitolo 3: *** Sonno Eterno ***
Capitolo 4: *** Capitano James ***
Capitolo 5: *** Futuro Pirata ***
Capitolo 6: *** Un bambino deluso dagli adulti ***
Capitolo 7: *** Il mondo fermo ***
Capitolo 8: *** La principessa Melody ***
Capitolo 9: *** Il Tridente ***
Capitolo 10: *** Il Principe Peter ***
Capitolo 11: *** La dura Realtà ***
Capitolo 12: *** Alice ***
Capitolo 13: *** Una bambina speciale ***
Capitolo 14: *** Peter cresce ***
Capitolo 15: *** Peter Pan ***



Capitolo 1
*** ..È maschio, Sire! ***


“Vostra Maestà” richiamò Sebastian all’attenzione del Re.

 

Tritone sedeva sul suo trono,

coprendosi gli occhi con la mano.

 

Ma alla voce del granchio, il suo sguardo fu totalmente rivolto a quello che esso aveva da dire.

 

“La regina Athena sta bene”

 

Un grande sorriso si aprì sul suo volto.

Era finalmente successo.

 

“Dimmi, Sebastian, in fretta” disse.

“si tratta di un maschio, stavolta?”

 

Sebastian sapeva bene che il re adorava le sue sette figlie. Erano la sua vita, la sua essenza,

ma com’è comprensibile, dopo otto fanciulle il sovrano avrebbe tanto bramato un principino.

 

Sarebbe stato il coronamento del suo matrimonio.

Era il suo unico desiderio.

 

E poi, aveva finito i nomi da femmina con la A.

 

Il granchio abbassò lo sguardo, tirando su i bordi del labbro.

 

Tritone alzò gli occhi al cielo e sbuffò.

 

“Bè, non fa nulla” mormorò con un sorriso sereno

“questa figlia sarà una perla per me, come lo sono le altre. Si vede che non è destino..”

 

“Sì, sire, è un bellissimo tritoncino!” esclamò entusiasta il crostaceo, stringendo le chele.

“Ve l’ho proprio fatta!”

 

 

“..certo, una bellissima sirenett..aspetta.

Come hai detto?!” disse sbigottito.

 

Il re sorvolò sopra al fido assistente, per raggiungere la sua regina.

 

Aveva gli occhi umidi, e rideva come se fosse uscito di testa.

 

“Fatemelo vedere” diceva “Non ci crederò finché non lo vedrò coi miei occhi”

 

Tritone spalancò le porte della camera da letto della coppia reale, ignorando ogni discrezione e rispetto per il delicato momento in cui si trovava la regina.

 

“Athena!” chiamò, vedendola brandire un frugoletto incopertito. “È..è vero?”

 

Tritone si avvicinò al piede del letto, e si abbassò.

 

Ebbene, il piccolo principe aveva uno sguardo furbo, intelligente, e soprattuto, tutta l’aria di sapere benissimo cosa stesse succedendo, tanto che emise un risolino compiaciuto.

 

Dal bordo della copertina, sbucava una graziosa codina verde mela.

 

“Lo chiameremo..lo chiameremo..” si mise a pensare il sovrano, a cui stava scendendo qualche lacrima.

 

“Oh cielo, io non ho pensato ad un nome per un maschio!” ammise la regina.

 

“Nemmeno io, a dirla tutta!” notò.

 

“Non fartene un cruccio, marito mio. Abbiamo tempo per pensarci. Nel mentre, fai entrare le bambine”

 

“Hai ragione. Magari loro hanno qualche idea!” pensò bene il re.

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Capitolo 2
*** La principessa spodestata ***


“Sebastian” disse Tritone, mentre salutava il suo popolo dal balcone del palazzo.

 

“Sì, sire?”

 

“Non hai invitato le mie sorelle, vero?”

 

“Certamente no, Altezza” disse, diligente. “So quanto vi infastidisca la loro presenza”

 

“Dunque, perché vedo il brutto muso di Ursula in mezzo alla folla?”

 

“Dove lo vedete, Maestà?” chiese il granchio, che pur sforzandosi non riusciva a scorgere la faccia della principessa spodestata.

 

“Si è travestita da innocente suddita.

 

Vedi, Sebastian, è quella ragazza con i capelli neri e lunghi.

 

Ma io ormai li riconosco bene i suoi travestimenti”

 

“Che sfrontata, presentarsi senza invito!”

 

“Quello che temo è che voglia rovinare la cerimonia di presentazione del principe al popolo”

 

Sebastian comprese, e cominciò a squadrare la ragazza indicata dal sovrano.

 

 

Athena stava alla destra del marito, e salutava con lui.

 

“Marito mio, pensa a divertirti.

Non può farci niente. Tu hai il tridente.”

 

“Non lo so, Athena. È brava in quei suoi giochetti di magia. Non mi fido di lei”

 

 

 

Attina era stata incaricata di alzare agli occhi di tutti il piccolo principe.

 

La bambina aveva dieci anni ma sembrava già una donnina.

 

Era responsabile, seria e conosceva i suoi doveri.

 

Attina, dunque, afferrò dalla culla il neonato fratellino e si allontanò dal balcone.

 

Raggiunse il punto più alto di quella zona del mare, e tolse la copertina intorno al corpo del bambino.

 

Tritone controllò dove fosse Ursula, ma quando si accorse che era sparita, si rese conto che era anche ormai troppo tardi per evitare quello che temeva.

 

Attina si fermò e guardò indietro.

 

Il suo sorriso non era dolce come quello della figlia, ma malizioso, e insolitamente perfido.

 

“Te l’ho fatta, Tritone.

 

Finalmente ti pentirai di avermi cacciata da palazzo”

 

Tritone superò il bordo del balcone senza dare spiegazioni alla moglie.

 

“TRITONE!”urlò.

 

“MAMMA!” la chiamò Alana, la seconda figlia.

 

“QUELLA NON È ATTINA!” esclamò.

 

La vera Attina si era appena ripresa da uno svenimento temporaneo, e li aveva raggiunti solo in quel momento.

 

La finta Attina, nel mentre, si era trasformata in quello che era realmente, ovvero Ursula.

 

“Ti porterò via il tuo unico figlio maschio” sentenziò la strega.

 

“Lo lascerò morire in un luogo che nessuno conosce, e dove nessuno può arrivare”

 

Ursula raggiunse la superfice, e lì si trasformò in un’ acquila nera.

 

Trattenne tra le zampe il nipote, e sparì all’orizzonte.

 

Tritone cercò di raggiungerla, trasformando a sua volta sè stesso in un volatile, ma Ursula cancellò la sua memoria prima che potesse riuscirci, e con essa quella di tutta Atlantide.

 

Nessuno si ricordava più del suo piccolo principe.

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Capitolo 3
*** Sonno Eterno ***


L’Isola che Non C’è non aveva mai visto sirene, prima d’allora. Alcune leggende narravano della loro esistenza, ma niente di più.

 

 

Quella sera, Trilli stava raccogliendo alcuni rottami dalla spiaggia per le sue invenzioni, quando scorse la figura di un bambino..con la coda di pesce?!

 

 

“Per tutti i campanellini!” esclamò, raggiungendolo lesta in volo.

 

“..Oh!” riuscì solo a dire, appena lo ebbe guardato meglio.

 

“Com’è bello”

 

In effetti il piccolo sembrava una bambolina.

 

Aveva una piccola bocca imbronciata e due guanciotte arrossite.

 

Ma non sembrava che respirasse.

 

In effetti, se era davvero un piccolo sirenetto, non poteva!

 

Trilli corse veloce a chiamare le altre fate.

 

In breve, quella notte, tutta la Radura Incantata attendeva il destino di quel piccolo tritone, che non sembrava né morto, né vivo.

 

La Regina delle Fate, Clarion, lo scrutava assieme alle fate medico ed alle fate infermiere, finché non giunse ad una conclusione.

 

“Fate e folletti, non preoccupatevi per questo bambino.

 

Sta solo dormendo”

 

Un grande sospiro si levò in aria.

 

“Ma non sappiamo come svegliarlo!” affermò una delle fate soccorritrici.

 

La tensione tornò alle stelle.

 

“Non conosciamo questo tipo di creatura, fino a ieri pensavamo che non esistesse nemmeno” disse un medico folletto.

 

“Crediamo che l’unica sia tentare un incantesimo” affermò una fata chirurgo.

 

“Un incantesimo..” osservò la Regina delle Fate.

 

“Bè, non deve essere un problema, vero?” ipotizzò Trilli.

 

“Dopotutto si tratta solo di svegliare una persona!”

 

“Non è così facile. Sospettiamo che si tratti di un sonno eterno” disse un altro folletto, membro del gruppo di esperti.

 

“Anzi” disse un’altra “ne siamo sicuri”

 

“Dunque, diteci in cosa consiste l’incantesimo” insistette Terence, che durante tutta la sera era rimasto ad osservare la preoccupazione di tutti, soprattutto quella di Trilli.

 

“Bè..il sonno eterno è molto simile alla morte” considerò uno.

 

“..dunque è come se la sua vita fosse quasi perduta.

Per riaverla..”

 

“..qualcuno dovrà cedere la sua”

 

Tutte le fate e i folletti rimasero pietrificati.

 

La Regina sapeva che i suoi cari sudditti erano tutti di buon cuore, e che prima o poi qualcuno si sarebbe fatto avanti. Ma lei non voleva che qualcuno si sacrificasse.

 

“..mi offrirò io”

 

Trilli si voltò verso colui che aveva pronunciato quella frase.

 

“Terence, stai scherzando?” mormorò lei.

 

“No, Trilli. So che ci tieni molto a questo bambino.”

 

Il folletto diventò tutto rosso.

 

Afferrò però determinato le mani della fatina.

 

“Non sono mai riuscito a dirti quanto io tengo a te.

 

Non ne ho il fegato, quindi sarà così che te lo dimostrerò”

 

“Ma..”


La voce di Trilli si spezzò, e cominciarono a scendere dei lacrimoni dai suoi occhi.

 

“..anche io tengo a te, Terence. Non voglio che..”

 

“Voglio solo che mi prometti una cosa, Trilli.

 

Tu non abbandonerai mai, e dico mai, questo bambino”

 

Trilli rimase bloccata.

 

La Regina stava per mettere parola.

 

Non sopportava una separazione del genere, soprattutto dopo una così dolce dichiarazione d’amore.

 

Ma purtroppo, non ebbe il tempo di offrirsi.

 

“Promesso” disse, singhiozzando.

 

Persino in quel momento Terence fu timido, e non riuscì nel suo intento, ovvero quello di baciare finalmente la sua amata Campanellino.

 

Ma ci pensò lei.

 

Fu un bacio breve, ma quanto bastava per accontentare il folletto, e per farlo arrossire da testa a piedi.

 

“Sta succedendo troppo velocemente” disse Vidia.

“Prima erano solo amici, e adesso si amano alla follia”

 

Rosetta le diede uno spintone, facendola cadere.

Stava piangendo.

 

“Possibile che non lo vedevi?

Terence è innamorato di Trilli da sempre”

 

 

“In cosa consiste l’incantesimo?” chiese il folletto.

 

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Capitolo 4
*** Capitano James ***


 

Il folletto era disteso accanto al bambino.

Stava lentamente perdendo forza.

 

“..Terence! Ho cambiato idea, andrò io al posto tuo!”

 

“Non dire sciocchezze, Trilli, ormai è fatta, tu devi restare, sei insostituibile”

 

“Posso dare un po' della mia energia e tu un po' della tua” suggerì la fatina disperata, inginocchiata al capezzale dell’innamorato. “Saremo più deboli, ma entrambi vivi!”

 

La fata medico si rivolse a lei con lo sguardo, e fece no con la testa. Non si poteva fare.

 

Trilli guardò il compagno per l’ultima volta.

 

“Terence..”

 

“Non preoccuparti, Trilli. Sento che..sì, che starò bene”

disse, sorridendo.

 

La fatina abbassò la testa sul petto di lui, e una grande luce intorno a loro avvolse tutto.

 

 

Poco dopo, Trilli era distesa dove prima c’era il suo folletto, ed accanto a lei, il bambino dai capelli rossi.

 

Ma non aveva più la coda. Aveva due gambe e..due orecchie a punta!

 

Trilli lo osservò bene, e finalmente lo vide aprire gli occhi. Erano due occhi furbi, ma anche due occhi buoni.

 

In lui rivedeva Terence.

 

Si innamorò subito di quel bambino.

 

 

 

 

Quella stessa mattina, le fate avevano detto addio ad un amico leale e salutato anche quel frugoletto che doveva la vita proprio a quell’amico.

 

Alcuni volontari avevano portato il bambino dinanzi alla porta di una vecchia conoscenza.

 

Il Capitano James. Un pirata elegante, quasi raffinato, che amava, tra un bagno di sangue di cui era lui stesso autore e l’altro, suonare il pianoforte. Non uno stinco di santo.

Ma anche l’unico adulto che conoscessero a potersi prendere cura del neonato.

 

Avevano pensato anche al capo degli indiani, ma loro non erano persone reali. Erano personaggi di fantasia.

Non mangiavano, non invecchiavano, non crescevano, non sarebbero dunque stati in grado di occuparsi di un bambino reale.

 

Gli indiani facevano parte di quel gruppo di personaggi dell’Isola che erano nati dalla fervida fantasia dei bambini del mondo fermo. Come le fate.

Certo gli indiani esistevano nel mondo fermo, ma in quel caso erano solo inventati.

 

Invece, Uncino era un uomo vero. Straordinario, ma reale.

 

Quella mattina presto, sentì bussare alla porta dei suoi appartamenti, sulla nave.

 

Erano le graziose fate.

 

“Oh, buongiorno, fanciulle. A che devo la graditissima visita?” chiese il gentile pirata, in realtà infastidito.

 

“Vi bacerei la mano, ma purtroppo le nostre fisicità non lo consentono”

 

Rosetta arrossì. Aveva purtroppo un debole per quel pirata.

 

Le fate spalancarono meglio la porta, facendo vedere il bambino.

 

“Oh, ma..” esclamò sorpreso il capitano

“..di chi è questo pupo?”

 

Le fate alzarono spalle e mani in gruppo, come a dire che non lo sapevano.

 

“Oh! È dunque un presunto orfanello?”

 

Modi tanto graziati non rispecchiavano il malvagio cuore del capitano James, ma senza pensarci due volte, il pirata accolse il piccolo tra le sue braccia.

 

“Come forse saprete io non sono sposato,

ma ho sempre desiderato vedere dei piedini infantili scorrazzare per la mia nave!”

 

Le fatine assunsero un’aria speranzosa.

 

“Dunque..se è questa la vostra domanda, acconsentisco a mettere da parte le nostre rivalità, e ad ospitare il piccolo..ehm..ne conoscete il nome?”

 

Il gruppo fece no con la testa.

 

“Mh..” mise a pensare il capitano.

 

“..sì. Credo proprio che ti chiamerò Peter.

 

Come il mio vecchio e come il vecchio del mio vecchio. Peter.

 

Il nome ha saltato di una generazione, sapete, alla mia cara madre piaceva così tanto il nome James che mio padre non ha saputo dirle di no.

Ma possiamo rimediare subito.

 

Peter. Peter. Peter Pan.

Questa doppia assonanza non mi dispiace.

 

Suona bene, vi pare?” chiese ispirato alle fate, che annuirono convinte.

 

Trilli si avvicinò al piccolo e gli diede un bacetto sulla guancia.

 

“Gli vuoi bene, vero? Potrai venire a fargli visita quando vorrai” disse il capitano.

 

Trilli si strinse al petto del pirata, per abbracciarlo.

 

“Bando alle confidenze, lontano dalla mia nave” le minacciò, per poi sbattere loro la porta in faccia.

 

Poco male. Mai avrebbero sperato in tanta generosità da parte sua.

 

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Capitolo 5
*** Futuro Pirata ***


Peter cresceva letteralmente a vista d’occhio.

 

Sembrava il giorno prima che il capitano James lo aveva adottato come figlio suo, ed ora già gattonava, camminava, correva, volava..volava?!

 

Le fate erano riuscite a spiegargli che la sua capacità di volare era dovuta alla sua mezza parte di folletto.

 

Inizialmente la cosa lo divertì, ma quando il piccolo pestifero cominciò a fare danni in giro per la nave, bè..

dopotutto, era un problema dei suoi sottoposti riordinare. Per lui era sempre un dolce angioletto!

 


La sera tardi, per farlo smettere di giocare, prometteva di raccontargli qualche storia di pirati e di altri personaggi di fantasia. Ma soprattutto pirati.

 

E a Peter piacevano tanto, tantissimo i pirati.

 

Tant’è che avrebbe voluto essere un pirata, da grande.

 

Poi, spesso, il piccolo si addormentava sul petto dell’uomo, che ormai lo amava più della stessa vita.

 

“Peter, un giorno questa nave sarà tua” gli prometteva.

 

“Quando io sarò troppo vecchio persino per stare in piedi”

 

“Oh, ma allora ti insegnerò a volare. Così non dovrai per forza camminare”

 

E così, a questa stessa solita risposta, il capitano James rideva e si commuoveva.

 

Era davvero un amore più grande di qualsiasi cosa.

 

 

Tranne della magia di Ursula.

 

 

 

La strega del mare, vedendo la felicità di suo fratello e della sua famiglia, non era soddisfatta.

 

Non gli aveva dato niente più che un grande spavento, ma ora si erano tutti dimenticati di quel bambino, e nessuno soffriva per la sua mancanza.

 

“Non è abbastanza” pensava “Devo fargli più male”

 

 

Ursula non sapeva che il capitano James accudiva il piccolo principe, ma questo non importava.

 

 

Sapeva che James, in quanto leggenda dei Sette Mari, aveva diritto con la sua ciurma ad un’immortalità fatta di avventure, ruberie, massacri. Le cose che piacevano a loro, insomma.

 

E soprattutto, aveva diritto a poter andare sull’Isola che Non C’è. Il più bel luogo mai esistito, persino per un adulto vaccinato com’era lui. James amava andare lì.

 

 

Ora, il prossimo passo sarebbe stato convincere la sua odiata famiglia a raggiungere quell’isola.

 

Delle scuse sentite, un finto pentimento per il rancore portato, una chiaccherata col fratello e qualche strizzamento di guance alle bambine.

 

Non fu facile ammalliare Tritone.

 

Ma alla fine, grazie alla buona parola della stessa Athena, Ursula riuscì ad organizzare una gitarella domenicale alla sua famiglia, alla meravigliosa Isola.

 

Vi era però una regola. Nessun adulto poteva andare su quell’Isola, nemmeno le sirene e i tritoni.

 

Ursula decise di crearvi una laguna speciale.

La laguna delle sirene. Un luogo accessibile a tutti, ma allo stesso tempo che legava proprio all’innaccessibile isola.

 

Inutile dire che il buon sovrano volle invitare tutto il suo popolo. Patetico.

 

Proprio degno del loro ridicolo padre, il vecchio re, Poseidone.

 

 

 

 

Era una sera d’estate qualunque, quando il piccolo Peter aveva ben pensato di afferrare la spada dal mantello di James, poggiato sul bordo del suo letto.

 

 

Quello strumento lo incantava. Suo padre lo sapeva usare divinamente, non falliva mai.

 

 

Peter non era che un bebè, ma dimostrava una forza degna di un vero tritone, quale era in realtà.

 

Non ebbe paura a maneggiarla in fronte allo stesso Spugna, che stava facendo il suo ingresso nella camera del capitano, per portarvi i suoi asciugamani.

 

“Oh, numi!” esclamò, allarmato, vedendosi la punta della lama puntata sul naso.

 

“Signorino Peter, non do-dovreste trastullarvi con og-oggetti tanto pe-pericolosi! Da bravo, dunque, riponete la spada sul letto!” lo pregò.

 

“E perché mai, Spugna?” chiese intanto il capitano James, apparso da dietro il sottoposto.

 

“Il piccolo sente nel suo sangue lo stesso fuoco per la battaglia di suo padre” osservò, entrando.

“Io dico che dovremmo assecondarlo”

 

“Ce-certo, capitano. Quello che dico anche io!”

 

James porse la mano a Peter, per riprendere la spada.

 

Il bambino gliela restituì gentilmente.

 

“A te serve qualcosa di diverso per cominciare..” gli consigliò.

 

“..tipo questo!” disse sfoderando un coltellino, che faceva ridere a paragone con la spada, ma che fece esplodere il bambino di gioia.

 

“..en garde!” lo sfidò, brandendo la spada più grande.

 

Peter non se lo fece ripetere due volte.

 

Cominciò uno scontro dapprima amichevole.

James non voleva fargli del male.

 

Proseguendo, però, dovette ammettere che il ragazzo sapeva il fatto suo, e dovette metterci più impegno.

 

Da dove aveva preso quella carica, quella abilità?

 

Le fate gli avevano detto che il piccolo era un po' folletto, ma non gli avevano detto che era in origine un piccolo tritone.

 

Se lo avesse saputo, premesso che ci avesse creduto, avrebbe ben capito il motivo di tanta forza.

 

Secondo le leggende, infatti, i tritoni sono dotati di una forza divina, di una tempra e di una resistenza di ferro, e di un coraggio senza eguali.

 

Fin dalla più tenera età.

 

 

“Capitano”

 

“..parla,Spugna”

 

“Stiamo per attraccare alla costa”

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Capitolo 6
*** Un bambino deluso dagli adulti ***


Il capitano si appoggiò sul bordo della nave, ad osservare la sua isola preferita.

 

Notò una strana agitazione sugli scogli.

 

“Le vedete anche voi, capitano?” disse uno dei suoi uomini.

 

“..sembrano sirene”

 

“..e tritoni”

 

Sorpresa e meraviglia aleggiavano nell’aria.

 

Anche il capitano non vedeva l’ora di appurare che fossero davvero quello che pensava.

 

La prima conferma la ebbe però ben lontano dall’isola.

 

Una sirena solitaria si stava pettinando i capelli su uno scoglio isolato.

 

Era incredibilmente bella, di una bellezza che quasi inquietava. Ma James non potè pensare all’inquietudine,

perché era troppo preso nell’ammirarla.

 

Aveva una coda viola scuro, e lunghi capelli neri e morbidi. Ad un tratto, la meravigliosa creatura si voltò e incrociò il suo sguardo.

 

James non nascose la sua ammirazione, rimanendo a guardarla a bocca aperta.

 

La sirena ricambiò la sua attenzione con un sorriso, che sciolse il cuore del pirata.

 

Ma che dico sciolse, lo rapì, lo incantò, lo stregò.

 

A tal punto che il buon capitano sembrava ipnotizzato,

e non sembrava nemmeno più lui.

 

I suoi occhi sembravano di un altro mondo, all’improvviso perfidi ed iniettati di sangue.

 

“Signore, attracchiamo?”

 

“Sì, Spugna. Attracchiamo”

 

°°°

 

 

 

L’idea di Ursula era piaciuta.

 

Quella graziosa isola era davvero un bel posto dove passare il tempo con la famiglia.

 

Tritone stava giocando con le sue figlie, quando una nave cominciò ad avvicinarsi, ed avvertì il pericolo.

 

“VIA!” urlò, prima che qualcuno potesse rimanere schiacciato.

 

Il capitano non poteva forse fermarsi per tempo, o cambiare rotta?

 

Dopotutto, era una zona affollata, non avrebbe dovuto vederli?

 

Attina, però, era rimasta incastrata.

 

Athena spostò la roccia che bloccava la sua coda, e proprio in quel momento notò che il bel carillon che le aveva regalato il marito poco prima era rimasto incustodito.

 

Dapprima pensò bene di lasciar perdere, era di sicuro più importante salvare la pelle.

 

Ma poi, qualcosa fulminò il suo sguardo.

 

Era una luce, qualcosa di misterioso, qualcosa che veniva da uno scoglio lontano.

Da una strana sirena con i capelli d’ebano, e la coda violetta.

 

Qualcosa che le stregò lo sguardo, la ipnotizzò, e la spinse a cercare di recuperare quell’oggetto.

 

Non capiva bene perché lo stesse facendo.

 

Ma ormai era fatta. La nave le stava arrivando addosso.

 

Era tardi per farsi domande.

°°°

 

“Papà?” chiamò il piccolo Peter, mentre il capitano James osservava attento il gruppo di sirene e tritoni.

 

“Non ora, moccioso” lo ammonì severo.

 

Che strano tono aveva usato.

 

“Papà, non vedi che ci sono delle persone laggiù?” gli chiese.

 

“Lo vedo benissimo, non è affar tuo. Pensa a trastullarti con quell’insulsa lametta che ti ho rifilato”

 

Tante piccole parole che lo ferirono un po'.

 

Ma in quel momento era più importante fermare il disastro.

 

“Capitano, dovrei fermarm..” chiese Spugna al timone.

 

“Dammi qua, imbecille!” disse, di prepotenza, spingendolo via e prendendo il controllo della nave.

 

Peter aveva ancora il suo coltellino in mano.

 

Si rese conto che quelle strane persone con la coda di pesce se ne stavano andando. Meno male.

 

Ma perché suo padre si stava comportando così?

 

“PAPÀ! FERMO! C’È ANCORA UNA DONNA LÀ DAVANTI!” urlò agitato il bambino, afferrando la sua mano sinistra che spingeva proprio verso la precisa direzione della sirena.

 

In un atto di disperazione, Peter tagliò la mano di James, che si fermò, per contorgersi dal dolore.

 

Lasciò andare la mano in mare, disgustato da quello stesso spettacolo. Un coccodrillo, passando da quelle parti, trovò la mano, la assaggiò, e ne apprezzò immensamente il sapore. Tanto che decise di seguire la nave, per provare ad averne un altro po'.

 

L’atto di Peter, però, era ormai stato inutile.

 

La nave si era schiantata contro gli scogli, e la donna era sparita sotto ad essa.

 

Non doveva aver fatto una bella fine.

 

Peter mise a piangere. E non sapeva nemmeno chi fosse.

 

“PERCHÈ LO HAI FATTO, FIGLIO MIO! DOPO CHE TI HO NUTRITO, E ACCOLTO, E..” urlava James, agonizzante.

 

“Io non ne voglio più sapere di te!” gli sputò in faccia, furioso, per poi scappare dalle grinfie di Spugna, che cercava di prenderlo, e volare via disperato.

 

Peter sentiva di aver perso qualcosa di importante, sia sulla nave che in mare.

 

Ma decise che soffrire così non gli piaceva.

 

Sentì che era davvero troppo piccolo per tutto questo.

 

Si diresse dunque verso la casa delle fate, la Radura Incantata.

 

Al bordo di un laghetto, alcune fate dell’acqua stavano facendo il bagno, e si accorsero presto della sua presenza.

 

“Oh, il piccolo Peter” richiamò all’attenzione di tutti Argentea. “Sembra molto triste”

 

Presto alcune volontarie andarono a chiamare Trilli, la fatina prediletta del bambino e anche quella che lo amava di più.

 

In un battibaleno l’ingegnosa fatina si presentò preoccupata al cospetto dell’affranto bambino.

 

 

“Sapevo che non dovevo lasciarlo da solo nemmeno per un attimo con quel capitano James” pensò ad alta voce.

 

“Che vuoi dire?” chiese Argentea.

 

“Glielo leggo negli occhi. Quello è lo sguardo di un bambino deluso dagli adulti” spiegò.

 

Trilli si avvicinò alla sua guancia e la abbaracciò ad ampie braccia.

 

“D’ora in poi non ti lascerò da solo nemmeno per un attimo, Peter” gli promise. Il ragazzo sembrò capirla, tanto che riuscì a regalarle un piccolissimo sorriso.

 

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Capitolo 7
*** Il mondo fermo ***


Dopo quell’episodio, il capitano James sostituì la sua perduta mano con un uncino, tanto che venne rinominato dal pestifero ex-figliolo Capitan Uncino.

 

Peter ripensava ai tempi in cui aveva stima di suo padre,

ma ormai ne era disgustato, e decise che contro un padre che era peggiore del figlio stesso, il figlio era nella possibilità di fare quello che volesse.

 

E Peter cominciò a fare davvero quello che voleva.

 

Veniva cresciuto dalle fate, ma non rispettava le loro regole. Certo, c’è da dire che le fate non sono molto autoritarie e severe.

 

L’unica a cui dava di tanto in tanto retta era Trilli, che davvero da quel momento in poi non lo perdeva d’occhio un attimo.

 

“Sembra impossibile che un bambino così scalmanato abbia un po' di Terence nel suo sangue” diceva Rosetta.

 

Allo stesso tempo, però, gli volevano tutti molto bene.

Trilli aveva preparato per lui un completino di foglie,

come il suo, solo in versione folletto gigante. Aveva persino un cappellino con tanto di piuma.

 

Il tempo passava, ed ormai Peter era diventato un bel ragazzino di dodici anni. Non era ancora un adolescente, di certo gli piaceva ancora correre, giocare e ruzzolare in giro, ma non mancava molto al temuto passaggio, ovvero quell’età in cui tutti i bambini capiscono, semplicemente, che è tempo di lasciare le bambole e i trenini per pensare più seriamente al futuro.

Cose da grandi a cui semplicemente Peter non pensava.

 

 

 

Era la penultima sera invernale, nel mondo fermo il calendario segnava 19 marzo.

 

Peter aveva deciso di fermarsi (com’era d’altronde solito fare ogni sera) dalle sue amiche fate per farsi raccontare una favoletta.

 

Ormai le comprendeva senza che loro si esprimessero a gesti.

 

Ma quella sera, quella sera le fate decisero di raccontare a Peter del mondo fermo.

 

“Mondo fermo?” chiese, incuriosito.

 

“Sì. È dove porteremo la primavera domani”

 

“Domani? Oh, domani. Domani partite?” chiese, come fuori dal mondo.

 

“Sì, Peter. Ogni 20 marzo, di sera, noi andiamo via per portare la primavera sulla terra”

 

“La primavera..” pensò, grattandosi la barba che ancora non aveva.

 

“Ma Trilli non mi ha mai lasciato in questi anni!”

 

“No, lei non viene, perché preferisce badare a te,

 

però abbiamo deciso che, se vorrai, ora che sei grande, potrai venire con noi, e anche lei ci seguirà”

 

Gli occhi di Trilli si illuminarono, ma lei non conosceva la reale speranza delle fate.

 

Loro volevano portare Peter nel mondo fermo in modo permanente, per farlo crescere come tutti i bambini, in una vera famiglia.

 

Dopotutto, non poteva vivere nel mondo della fantasia per sempre. Prima o poi sarebbe diventato più alto, più robusto, più barbuto, e, orrore, più brufoloso e puzzolente.

 

 

Le fate, infatti, non sapevano che effettivamente la vera famiglia di Peter, ovvero il popolo del mare, esisteva davvero.

 

Il ragazzo non aveva mai raccontato loro del suo sfortunato incontro con quel popolo, il giorno in cui abbandonò il padre.

 

Non raccontò mai niente di quel giorno.

 

Le fate sapevano solo che le cose con Uncino non erano andate bene. Chissà perché, poi.

 

Ebbene, Peter acconsentì a seguire le fate nel mondo fermo, e l’indomani, al tramonto, partirono.

 

°°°

 

Peter doveva rimanere nell’ombra, mentre fate e folletti lavoravano. Non doveva farsi vedere conciato di sole foglie dagli esseri umani.

 

Ad un tratto, le fate sarte presero da parte il ragazzo e lo nascosero dietro ad un cespuglio.

 

Trilli se ne accorse solo dopo qualche minuto.

 

“Ehi..che state facendo?”chiese.

 

“Bè..gli cambiamo i vestiti” spiegò uno, imabrazzata, ma mai quanto Peter.

 

“Ah, per non dare nell’occhio”

 

Le fate cercarono lo sguardo della Regina, che si avvicinò alla piccola fata biondina.

 

“Trilli, è ora che tu lo sappia.

 

Peter non può rimanere per sempre all’Isola che Non C’è”

disse, diretta ma calma.

 

“Cosa?..vorreste..lasciarlo qui?

 

Perchè non lo volete più?”

 

“Peter ha portato molta gioia nelle nostre vite.

 

È un bambino intelligente, furbo, e coraggioso.

 

Ma non può vivere per sempre nel mondo della magia, lo capisci?”

 

“Ma..Peter non è un umano” tentò.

 

“Nessun adulto può vivere nell’Isola che Non C’è.

 

Ne abbiamo dato la possibilità solo a Capitan Uncino, ma hai visto com’è finita? Ora cerca Peter, non ci lascia mai in pace.

 

È un pericolo per noi e per lui” spiegò.

 

Inattaccabile.

 

Gli occhi della fatina si gonfiarono di lacrime.

 

“Quindi devo dirgli addio?” chiese, rossa in volto.

 

“Non ora. Prima portalo a vedere la città” le propose.

 

“E poi, potrai rivederlo ad ogni equinozio di primavera”

 

La fatina si consolò un pochettino.

 

Si avvicinò al suo ragazzo per chiedergli se aveva voglia di vedere Londra, e grazie al cielo disse di sì.

 

 

 

 

“Che cosa andiamo a vedere, Trilli?” chiese lui, mentre i due volavano attraverso i cieli della notte londinese.

 

“Non lo so. C’è il Big Ben, il Tamigi, Buckingham Palace..”

 

“Entriamo nelle case di qualche bambino come me!

 

Ci sono bambini a Londra, vero?”

 

“Oh, sì!” esclamò lei. “Conosco un posto che è pieno di bambini!”

 

 

L’orfanotrofio di Londra.

 

Da fuori non era davvero un bello spettacolo, non molto appetibile a dire il vero.

 

“Sicura che qui ci vivano dei bambini?

 

Sembra una gattabuia”

 

“Sì, lo so per certo. Non ti preoccupare” disse la fatina, che si stava pentendo di aver portato il ragazzo in un posto forse troppo forte.

 

Non c’era mai stata nemmeno lei lì dentro, ma in fondo, in un posto dove vivevano tanti bambini, cosa poteva succedere di male?

 

°°°

 

Peter trovò le finestre dell’ultimo piano in alto spalancate, il che gli permise di entrare.

 

Trovò molti letti in fila, anche a castello, in una lunga e stretta stanza, che sembrava un corridoio.

 

Ma non c’erano bambini.

 

“Trilli, mi prendi in giro?”

 

Ad un tratto, dei rumori.

 

I due amici si nascosero in un baule, e rimasero ad ascoltare dal buco della serratura.

 

Voci bianche.

 

 

“Buonanotte a tutti” disse qualcuno.

 

“Buonanotte” risposero gli altri in coro.

 

Non era il sonno a buttarli così giù, erano proprio tristi.

 

“Silenzio ora” disse la voce severa di un adulta.

 

“Buonanotte a tutti”

 

“Buonanotte” risposero di nuovo in coro.

 

Sentì la porta sbattere.

 

La donna che aveva parlato doveva essere uscita.

 

Peter alzò il coperchio del baule, e silenziosamente, si avvicinò alla più vicina luce ad olio, accendendola.

 

I bambini si voltarono verso quella strana figura.

 

“Oh, ciel..” osò lamentare una bambina.

 

“Shhhh” la pregò Peter, con l’indice dritto davanti al naso.

 

“..chi sei?” gli chiese un bambino più piccolo.

 

“..Peter Pan, ovviamente!

 

E voi, come vi chiamate?”

 

Cominciò una lunga trafila di diciannove nomi che inevitabilmente Peter dimenticò all’istante.

 

“..e vivete tutti assieme? Che divertimento!”

 

“..io non direi proprio” disse un ragazzino dai capelli castani, che aveva tutta l’aria di essere il più grande del gruppo, e di avere la stessa età di Peter.

 

“Io preferirei di gran lunga vivere in una vera casa”

 

“Sì” disse un altro “Qui non ci trattano come ci trattavano le nostre mamme”

 

“Le vostre..mamme?” chiese lui, confuso da questa nuova parola.

 

“Sì, bè..prima che ci abbandonassero”

 

“Cos’è mai una mamma?” chiese Peter.

E quella fu solo la prima di tante volte, in cui Peter chiedeva a un bambino cosa fosse una mamma. Ma non gli entrava proprio in testa.

 

Non capiva il concetto, e se lo dimenticava sempre.

Dopotutto, non giravano mamme nell’Isola che Non C’è.

 

Non la mamma di Peter, nè quelle di altri bambini.

 

“Bè..è quella che prima ti vuole, e poi non ti vuole più”

spiegò una, coprendosi con la coperta, accigliata.

 

“..non capisco. È un animale, è una fata, un pirata, un indiano?”

 

“..no, niente di tutto questo.

 

È una persona, come me e te” continuò la piccola.

 

“Un adulto?” chiese.

 

“Bè, sì..”

 

“Prima sei suo, ti cura, ti vuole bene, ti da da mangiare, ti mette a dormire, ti racconta le favole, e poi, ad un tratto, ti lascia qui, in questo orfanotrofio”

 

“Se sei sfortunato”

 

“Oh, ma voi parlate del papà!” disse Peter, ricordando che anche Uncino faceva quelle stesse cose con lui.

 

“Nel mio caso sono scappato io, non mi ha lasciato lui”

 

“Oh, no. Non un papà, proprio una mamma”

 

Peter proprio non capiva. Qual era la differenza?

 

“È il femminile di papà” spiegò un’altra bambina.

 

“Femminile? Femmina e maschio, come le fate e i folletti?”

 

“Se ti piace metterla così”

 

“Ah, ma allora è chiaro”

 

E invece non era chiaro per niente.

 

Perchè tutti parlavano di mamme, e nessuno di papà?

 

E soprattutto, perché queste strane creature non volevano i loro bambini? Uncino, dopo tanto tempo, lo cercava ancora.

 

Seppur per ucciderlo.

 

Certo, forse era meglio dirsi addio che cercare di uccidersi a vicenda.

 

Peter avrebbe dimenticato quel concetto di “mamma” appena tornato sull’Isola che non C’è.

 

Era qualcosa di naturale.

 

Nel mondo della magia non ci sono mamme.

 

Tutti i bambini dinanzi a Peter assunsero un’aria delusa, triste ed imbronciata.

 

C’erano vari motivi per cui una madre poteva abbandonare il figlio in quell’ orfanotrofio.

Povertà, malattia, motivi religiosi.

Le madri in realtà ne soffrivano molto, ma questo un bambino non può capirlo.

 

Peter comprese che doveva fare qualcosa.

 

“Trilli, porteremo questi bambini sull’Isola che non C’è”

 

La fatina chiese il motivo di tale proposta.

 

“Ho deciso che non voglio crescere, né qui, come vogliono le fate, né sull’Isola che Non C’è.

 

 

Non voglio diventare un adulto che dimentica i bambini.

 

E nemmeno questi bambini meritano di restare qui, a piangere chi non li vuole in un posto tanto brutto.

 

Tornerò sull’Isola, e non crescerò mai.

 

E chi di voi vorrà, potrà venire con me!” annunciò ai piccoli.

 

Trilli si era cacciata proprio in un bel guaio.

 

Come aveva saputo Peter che le fate volevano lasciarlo nel mondo fermo? Di sicuro il giovane non era uno sciocco..ed ora aveva appurato che aveva anche un cuore speciale.

 

E purtroppo, era impossibile dissuaderlo.

 

Uscirono dall’orfanotrofio con un gruppetto di bambini al seguito. Erano tutti maschi.

 

Non pensarono mai a quello che avrebbe potuto pensare gli adulti di quella decisione.

 

I giornali li avrebbero chiamati “I Bimbi Sperduti”.

 

 

E Trilli?

 

Come avrebbe detto alla Regina della decisione irremovibile del ragazzo?

 

Come si sarebbe presentata al cospetto dei suoi amici con non uno, ma un intero gruppo di scalmanati pronti a distruggere l’Isola al seguito?

 

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Capitolo 8
*** La principessa Melody ***


Peter aveva ottenuto quello che voleva.

Non cresceva.

 

Viveva un’esistenza spensierata tra Bimbi Sperduti, indiani, pirati, e tutto quello che l’Isola aveva da offrirgli. In più, amava visitare i bambini del mondo fermo.

 

Bambini fortunati o meno, che descrivevano a volte positivamente i loro genitori, a volte no.

 

A volte li portava sull’Isola che Non C’è, se li trovava simpatici.

 

 

Una sera, Peter e la povera Trilli, che era costretta ad assecondare il suo spirito libero e ribelle, si presentarono dinanzi ad un castello sul mare.

Non erano a Londra, ma a Peter piaceva percorrere anche lunghe distanze per scoprire posti nuovi.

 

Impressionante alla vista.

 

Ma quello che importava a Peter era trovare qualche nuovo amico.

 

Notò che le finestre della stanza più in alto della torre principale erano semiaperte.

 

Questo gli permise di avvicinarsi per dare una sbirciatina, il che gli dimostrò che si trattava della stanza di un bambino. Anzi. Di una bambina.

 

E per l’appunto quella bambina stava dormendo.

 

Portava una lunga coda di cavallo di capelli neri come l’ebano. Quando Peter mise piede nella sua stanza, malauguratamente la svegliò.

 

La bambina si girò verso la finestra e strabuzzò gli occhi.

 

“Come..come sei salito fin quassù?” fu la prima domanda.

 

Strano, di solito la loro curiosità principale era il suo nome.

 

“Bè..io..volando”

 

La fanciulla si mise in piedi ed appoggiò le mani sui fianchi.

 

“Sei un malintenzionato? Un ladro? Uno scassinatore?

Un borseggiatore?” chiese lei, sospettosa.

 

“N-no..io sono Peter Pan” rispose, turbato da tale ospitalità.

 

“Allora è tutto apposto. Ho sentito parlare di te”

 

Almeno quello.

 

“Io mi chiamo Melody, principessa di Terre e Mari” disse, con un certo orgoglio ed una certa sicurezza.

 

“Terre e Mari? Come sarebbe mari, cosa governi, il filo dell’acqua?” ridacchiò lui.

 

“Oh, allora tu non conosci Atlantide” continuò, fiera.

 

“È il luogo più meraviglioso che esista” spiegò.

 

“No, l’Isola che Non C’è lo è” ribattè lui, convinto.

 

“Se non c’è, come fa ad esistere?” gli fece notare.

 

Non faceva una piega.

 

Comunque, esistente o no, l’Isola era migliore di sicuro.

 

“Ti va di farci un salto?”

 

“Eh?”

 

“Se ne hai voglia, certo. Atlantide non è lontana”

 

“Ma..è in mare?”

 

“Certo, dove vuoi che sia?”

 

Melody uscì dalla stanza per scendere silenziosamente le scale, con al seguito Peter e l’esausta Trilli.

 

Appena fuori dal palazzo, Melody e Peter si fermarono sulla spiaggia.

 

“Avremmo fatto prima volando” si lamentò il ragazzo.

 

“Sempre a contestare, tu” ridacchiò lei, tirando fuori una piccola conchiglia dorata, che serviva anche da fermaglio. Melody si puntò i capelli ed afferrò la mano di Peter.

 

“Mio nonno sarà felice di vederci.

 

È un po' che non scendo a fare una capatina” osservò.

 

“Una..capatina?”

 

Melody chiuse gli occhi, e il fermaglio si illuminò.

 

O Grande Magia Di Re Tritone,

cortesemente, se ti riesce,

vorremmo le branchie per respirare,

e due agili code di pesce” recitò.

 

Appena Peter comprese che cosa sarebbe accaduto, era ormai troppo tardi e Melody già si stava tuffando, trascinando anche lui.

 

Trilli intanto si lamentava, perché lei in effetti non poteva venire.

 

La fatina vide la mano di Melody fuoriuscire dall’acqua, per schioccare le dita, ed improvvisamente, diventò un grazioso pesce dorato.

 

 

°°°

 

Peter teneva gli occhi ben chiusi.

Era raro che avesse paura, ma in quella situazione si sentì davvero sudare freddo.

 

Pur essendo sott’acqua.

 

Muoveva le braccia per non precipitare in fondo, ma non si sentiva più le gambe.

 

Non respirava più dal naso, ma da delle strane piccole pieghe del collo. Era vivo, e ritrovò la calma.

 

Spalancò gli occhi, e controllò dove fossero le sue gambe.

 

Non c’erano, in effetti.

 

Al suo posto c’era solo una verde coda di pesce.

E pure difficile da pilotare.

 

“Ma..che cosa sono diventato mai?” si chiese.

 

Dinanzi a sé potè chiaramente scorgere Melody.

 

Anche lei aveva una coda di pesce, però rossa.

 

Un grazioso pesciolino dorato roteava intorno a loro, e parlava chiaramente. Non solo peter lo capiva.

 

“Peter, sono Trilli. Ti avverto, non fare fesserie o io..”

 

“In realtà non lo so nemmeno io cosa stia facendo”

 

Melody afferrò la mano del nuovo amico, e lo trascinò verso l’ignoto.

 

Per la prima volta, era una bambina a portarlo in un mondo nuovo, di meraviglie e magia.

 

 

E quando scorse oltre l’orizzonte di sabbia il famoso castello di Re Tritone, rimase senza parole.

 

Doveva ammetterlo, Atlantide non aveva niente da invidiare all’Isola che Non C’è.

 

E l’aria di quel posto aveva un non so che di stranamente familiare e rassicurante.

 

Peter precedette Melody. Era curioso di conoscere i bambini di quel luogo.

 

“Ti presenterò al mio nonnino” spiegò lei.

 

“Cos’è un nonnino?” chiese lui.

 

Santo cielo, una nuova parola per indicare

gli adulti. Che fatica.

 

“..bè, un nonnino è...” pensò “..come un papà..solo che non è il mio papà, è il papà della mia mamma..

per questo a me non da regole..un amicone!”

 

“Oh, stiamo freschi. Un papà. Non vorrà farti fuori?”

 

Melody lo squadrò confusa. “Certo che no!”

 

“Vieni, sali sul balcone della torre più lucente-in alto c’è la stanza del suo trono”

 

Melody si avvicinò al bordo della colonna.

 

“Prego, Maestà?” chiese il permesso.

 

°°°

 

“Sai, Sebastian. È da un po' che non vedo la mia cara nipotina” osservò Tritone, che amava restare sveglio per osservare il mare di notte.

 

“Prima o poi si farà viva, è una bambina affettuosa” ipotizzò lui.

 

“Lo so, lo so..stavo solo..”

 

“Prego, Maestà?” disse una voce, che sembrava proprio quella dell’interessata.

 

Ed infatti il suo volto fece subito capolino.

 

“Oh, Melody! Non devi chiedere il permesso, tu!” esclamò affettuoso e pieno di gioia.

 

“Sono passata per una visita. E ho portato un amico che non conosceva Atlantide” spiegò la nipote.

 

“Oh, prego, fallo pure entrare!” disse amichevole.

 

“..Peter?” chiamò lei.

 

Il ragazzo si avvicinò lentamente.

 

“..tu sei..il re del mare?” chiese.

 

Tritone, fingendo sdegno, disse

 

“Oh, mi dai pure del tu! Si vede proprio che non sai chi sono!”

 

Lui e Melody ridacchiarono insieme, ma poi Tritone si fermò ad osservare lo sguardo sbigottito del ragazzo.

 

Per metterlo a suo agio, gli fece l’occhiolino, ed emise una risatina simpatica.

 

Quello non poteva essere un adulto.

 

Era diverso. Ebbene in realtà era un anziano, che a dirla tutta, è tutt’altra storia rispetto ad un adulto.

 

Quel piccolo gesto divertì il ragazzo, che gli regalò un sorriso.

 

Tritone ebbe un sussulto.

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Capitolo 9
*** Il Tridente ***


Davanti a lui tornò l’immagine di un piccolo tritone ancora in fasce, che gli sorrideva.

 

E qualcosa gli diceva che la donna che lo brandiva tra le sue braccia era Athena.

 

“Ragazzo..”mormorò il sovrano, a bocca aperta.

 

“..chi sono tua madre e tuo padre?”

 

 

“..mio padre era Capitan Uncino, ma poi sono scappato da lui. Era diventato improvvisamente cattivo”

 

“Un...pirata?” tremò Tritone.

 

“Sì. Ha ucciso volontariamente una donna con una coda di pesce come noi tre, nella Laguna delle Sirene dell’Isola che Non C’è.”

 

“Descrivimi questa donna, se la ricordi” chiese il re, sedendo sul trono. Quello che gli stava dicendo quel ragazzo lo turbava sempre di più.

 

“Aveva lunghi capelli arancioni, ed una corona in testa, esattamente uguale alla tua. Mi sembra che la sua coda fosse blu”

 

Tritone non credeva alle proprie orecchie.

 

A sorpresa aveva incontrato un ragazzo che gli stava raccontando la stessa terribile scena, ma da un’altra angolazione.

 

“..quindi tu..”

 

“Ho cercato di fermarlo, gli ho tagliato una mano..”

 

Melody rabbrividì.

 

“..ma ormai era tardi.

 

Sono tornato dalle fate”

 

“Tornato?”

 

“Sì. Mio padre mi raccontava che è così che sono arrivato.

Su una spiaggia, addormentato, le fate mi hanno raccolto e svegliato. E poi mi hanno portato da lui”

 

“..e prima di questo?”

 

“Prima di cosa?”

 

“..prima della spiaggia.”

 

“Non ho ricordi, e nessuno mi ha mai raccontato nulla” spiegò.

 

“Ma perché tutte queste domande?”

 

Tritone ormai si ricordava chiaramente di aver avuto un ottavo figlio maschio.

 

E si chiedeva come mai tutti se ne fossero dimenticati.

 

Qualcosa gli diceva che era stata colpa di Ursula.

 

Ma ormai c’era una cosa più importante da fare.

 

Ovvero capire se quel fanciullo era davvero chi pensava che fosse.

 

“Vieni, ti prego”

 

Peter non riceveva ordini, ma sentiva di doverlo fare.

 

 

Tritone indicò la roccia nella quale era incastonato il suo tridente.

 

“Quel tridente può essere estratto dallo scoglio solo dai miei figli e dai miei nipoti”

 

“..e in tutto questo io cosa..” balbettò Peter.

 

“Nonno.

Che stai cercando di fare?” chiese Melody.

 

 

“Molti anni fa, dopo tua madre, io ho avuto un figlio maschio. Ma Ursula me lo ha portato via.

 

Sembra assurdo, ma né io, né nessun altro si ricordava di questo bambino, fino a che non ti ho rivisto, Peter.

 

Tu mi ricordi incredibilmente lui”

 

“Ursula deve aver cancellato a tutti la memoria” ipotizzò la bambina.

 

“Quindi secondo te io sarei..oh no, io sono ormai il figlio di Uncino. È a lui che mi hanno portato le fate.

 

Non posso avere un altro padre. È impossibile”

 

“..Peter, tu come credi che nascano i bambini?” chiese Melody.

 

“Li portano le fate! È risaputo!” affermò ingeunuamente, ma con convinzione.

 

Nonno e nipote si guardarono e si capirono.

 

“Ti prego, Peter, prova ad estrarre il tridente.

 

Se non ci riesci, avrai sicuramente ragione tu”

 

Peter si avvicinò senza esitazione allo scoglio.

 

Era certo di quello che diceva.

 

Afferrò il manico del tridente, e con forza lo tirò su.

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Capitolo 10
*** Il Principe Peter ***


Peter non aveva più parole.

 

“È impossibile” disse “Non può es..”

 

Brandiva quell’enorme scettro con entrambe le mani.

Si illuminava al suo tocco, e nonostante sembrasse incredibilmente pesante, per lui era come una piuma.

 

Incrociò lo sguardo di Tritone.

 

“...”

 

Un ricordo apparve nella mente di Peter.

 

Era un uomo, con lunghi capelli e barba castani.

 

Una corona a punte.

 

Uno sguardo buono, nonostante fosse un adulto, non un anziano.

 

Lo guardava in preda ad una grandissima meraviglia.

 

E gli voleva bene. Sì, sentiva che quell’uomo gli voleva bene.

 

E soprattutto, questo tale era praticamente identico a questo re Tritone che si presentava dinanzi a lui.

 

La sua mente era confusa.

 

Tritone aveva gli occhi umidi.

 

 

“Sei davvero tu, figliolo” mormorò, commosso.

 

°°°

 

Tante volte i bambini che aveva conosciuto nella varie case che aveva visitato avevano cercato di spiegargli cosa fosse una mamma.

 

Ma mai ci erano riusciti.

 

Ora, finalmente, era un adulto a spiegarglielo.

E inutile dirlo, la sua descrizione non se la sarebbe mai dimenticata.

 

Tritone gli aveva descritto Athena, della sua bellezza, della sua dolcezza, e del giorno della sua nascita.

 

Perchè sì, i bambini nascono. Non appaiono.

 

E dovette a malincuore raccontargli che quella sirena uccisa da Uncino era in effetti proprio lei.

 

Poi, Peter spiegò perché, in tutti quegli anni, non fosse mai cresciuto. Dopotutto, Ariel, la sua penultima figlia, aveva solo un anno in più di lui, ed era grande, matura, e madre di una ragazzina.

 

Eppure, Peter sembrava più il fratello di Melody che di Ariel.

 

“Non voglio crescere, semplicemente”

 

“Come sarebbe che non vuoi crescere, figliolo? Andiamo, tutti devono..”

 

“No, papà. Pa..pa..”. L’aveva detto. Che emozione. Che strano dopo così tanto tempo.

 

“..Padre. Io non crescerò.

 

Non voglio diventare un adulto come quelli lassù, che dimenticano i bambini, non gli ascoltano, e si dimenticano di quando loro lo erano.”

 

“..ma tu puoi essere diverso, Peter. Basta che lo vuoi.”

 

 

“Io..ho paura di non essere diverso.”

 

 

“Bè..” filettè il sovrano.

 

“A volte gli adulti sbagliano pur con le migliori intenzioni. Ma se tu vuoi rimanere un bambino per sempre, bè..ricordati di farci una visita ogni tanto”

 

“Quella è una promessa, padre” gli disse, con la mano sul cuore.

 

“..Principe Peter?” lo chiamò Sebastian.

 

“È quasi giorno. Parlavate di un certo orario di rientro, se non sbaglio..” disse Sebastian, ricevendo le occhiataccie del sovrano.

 

“Hai fatto bene a ricordarmelo, granchietto, grazie”

gli disse, accarezzandogli la testa.

 

Non era certo un trattamento degno dell’assistente del re, ma portò pazienza. Il principe aveva molto da imparare.

 

“Arrivederci, padre” disse ancora il tritone-folletto, prendendo la mano di Melody.

 

“Vieni, dobbiamo tornare a casa”

 

“Certo..”

 

La bambina non sapeva se aggiungerci un “Zio”.

 

Forse era troppo presto.

 

Poco importava. Dopotutto, lo avrebbe rivisto.

C’era tempo per chiamarlo.

 

E poi, chissà se Peter sapeva cosa fosse uno zio.

 

°°°

 

Era ormai mattina. Melody si reinfilò nel letto, facendo finta di dormire.

 

In quel momento entrò Ariel, e notò che il letto era bagnato.

 

“Melody, sei stata per caso dal nonno questa notte?” la svegliò, nonostante fosse già sveglia.

 

“Chi..io? Può darsi” rispose.

 

Dal bordo della finestra, il cappello di Peter faceva capolino, e pure il suo sorriso.

Anche quella bella signora era figlia di Tritone.

Avevano una qualche parentela, loro due?

 

Ah, quanti nomi hanno i parenti. Ah, che fatica.

 

°°°

 

“Che serata, eh, sire?” chiese Sebastian.

 

“Puoi dirlo, amico mio” sbuffò stancamente.

 

“Quel ragazzo mi preoccupa un pò”

 

“Oh, era tanto che non sentivo questa frase. Che bei tempi, quando Ariel vi dava del filo da torcere.

 

Sto scherzando, non mi mancano per niente”

 

“È strano dirlo al maschile”

 

“Perchè vi preoccupa?”

 

“Perchè non vuole crescere. Ed è la prima volta che mi capita. Le mie figlie volevano fare sempre tutto subito”

 

“Vedrete che appena incontrerà la fanciulla giusta..”

 

Tritone si lasciò andare ad una risata di gusto.

 

“Hai ragione, funziona sempre così!”

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Capitolo 11
*** La dura Realtà ***


Peter sorrise, guardando dall’alto del ramo di un albero i suoi Bimbi Sperduti giocare spensierati.

 

Ricordò di quando li aveva presi con sé.

 

Probabilmente nessun adulto avrebbe approvato, ma lui sapeva che quella che aveva fatto era una cosa bella.

 

 

Li avrebbe protetti come un papà.

 

Come il suo papà aveva fatto, con le sue figlie e con lui, per tutto il tempo che aveva potuto.

 

Ebbene sì. Tritone aveva lasciato il regno del mare.

 

Era passato a miglior vita, dando luogo ad un lutto in un tutti gli Oceani.

 

Non era riuscito a vederlo cresciuto, come avrebbe voluto.

 

No, Peter non era fatto per crescere.

Ma dicendogli addio, sembrava sereno.

 

“Fai quello che ti sembra più giusto, figliolo” gli aveva detto. “Prima o poi anche per te arriverà l’ora di lasciare i giochi”

 

 

Dicevano che c’era una nuova regina.

 

Attina sarebbe stata la nuova sovrana,

col nome di Regina Sirena.

 

Peter non presenziò alla sua incoronazione.

 

Non ci trovava gusto nel festeggiare per una cosa scatenata dalla morte di loro padre.

 

Non ce l’aveva con la corona di Attina, sapeva che lei amava seguire i suoi doveri.

 

Ma Peter per natura odiava i doveri.

 

 

Lui si considerava un buon ragazzo,

 

ma tutto quello che di bene faceva, lo faceva perché il suo cuore glielo dettava.

 

Come con i Bimbi Sperduti.

 

Non aveva responsabilità con loro, ma se ne prendeva cura perché...lo riteneva corretto.

E lo avrebbe fatto stare bene.

 

Sul suo braccio riposava beata Trilli.

 

L’infanzia era una cosa meravigliosa.

 

Perchè nessuno lo capiva?

 

Perchè tutti la lasciavano sfuggire via?

 

Perchè non vedevano l’ora di diventare grandi?

 

°°°

 

Alice afferrò gentilmente il suo gattino, per portarlo con sé a rilassarsi nel bel giardino adiacente alla casa.

 

Si sedette in mezzo alle margherite.

 

“Non sono convinta, Oreste” disse rivolgendosi all’animaletto.

 

“Forse mi sono sbagliata.

 

Ma ieri mi è capitato di fare un sogno strano”

 

“Tutto quello che avevo immaginato di vedere..

 

Animaletti che si comportano come persone, fiorellini parlanti…sai, quello di cui andavo fantasticando ieri..

 

L’ho sognato proprio ieri pomeriggio” raccontò.

 

 

 

“Direi che però quel sogno è stato davvero troppo eccessivo, in quanto a stranezze.

 

Mi ha fatto davvero apprezzare la tranquilla realtà”

 

“Però, però..lo sai come sono io, Oreste” sorrise la piccola Alice, accarezzando la testolina della bestiola.

 

“Non sono mai contenta.

 

E mi diverto ad immaginare cose meravigliose che non esistono nella realtà”

 

La bambina si distese, e il micetto si accoccolò sul suo ventre.

 

“..sai cosa immagino, oggi?” chiuse gli occhi.

 

“Un’isola graziosa.

Con tutti i personaggi che si trovano nei libri di avventure.”

 

“Indiani, pirati, sirene, fatine..

 

Gli unici adulti sarebbero quelli della nostra fantasia.

Immagino un burbero ma simpatico capo indiano, e la sua allegra tribù.

 

Nessun adulto vero potrà andare su quest’isola, e se ci sarà un adulto, sarà sicuramente un cattivo da sconfiggere.

 

I protagonisti saremmo noi bambini”

 

Oreste strabuzzò gli occhi. Quasi avesse capito cosa stesse dicendo la sua amichetta, che emise un sospiro sognante.

 

“Oh, è quasi sera!” notò, fissando il tramonto all’orizzonte.

 

Alzando la testa al cielo, i suoi occhi individuarono due stelle, che brillavano più di ogni altra.

 

“Probabilmente quelle due stelle non possono stare da sole” ipotizzò.

 

“Devono essere molto amiche”

 

Alice stette ad osservarle, percependo uno strano significato in esse.

 

Secondo lei, erano magiche.

 

 

Alice non era una bambina come tutte le altre.

 

Aveva una capacità di immaginazione fuori dal normale.

 

Lei non lo sapeva, ma mai c’era stata sulla terra un bambino tanto fantasioso.

 

Tanto fantasiosa che, se avesse voluto, avrebbe potuto volare, solo sognando. Senza polvere magica.

 


Alice desiderò fortemente di raggiungere quelle belle stelle. Desiderò di unirsi a loro, come tre bambini che corrono in un prato.

 

E con questi bei pensieri nel cuore, Alice si sentiva sempre più leggera.

 

Fintanto che i suoi piedi non toccarono più terra.

 

°°°

 

“Padre, io non crescerò. Non potrei mai farlo,

la mia infanzia è la cosa a cui sono più legato”

 

“Dici, figliolo?” chiese Tritone, sul letto di morte.

 

“..non esiste niente di più bello, di più importante?”

 

 

“No. Non può esistere niente di più bello”

 

Tritone emise una risatina divertita. Come se capisse i sentimenti del ragazzo.

 

“Un giorno, Peter, capiterà quello che non avresti mai immaginato.

Ti verrà voglia di unirti ad altre persone, e di avere le tue responsabilità”

 

“Io non sono solo. Ci sono altri bambini con me, e io mi prendo cura di loro. Sono indipendente, e responsabile, come piace dire a te”

 

“Sai cos’è l’amore, Peter?”

 

“..quello che provo per te, papà”

 

“Parlo di un altro tipo di amore. Lo sai?”

 

Peter era rimasto zitto.

 

“No” mentì. Da quando passava del tempo con Tritone, Peter aveva imparato tutto.

 

Inutile dire che il concetto di madre se l’era scordato di nuovo.

 

Non i racconti di Tritone su Athena. Non chi fosse stata Athena. Il solo pensiero di questa sirena gli scaldava il cuore.

 

Ma proprio la parola “mamma” era troppo dura da comprendere.

 

“Eppure ti devo aver spiegato anche quello” pensò il vecchio sovrano.

 

“D’accordo, sì” disse, sincero ed arrossito.

 

“Certo che lo sapevi, è chiaro.

 

Peter, hai la fortuna di avere molto tempo dinanzi a te, ma ricorda le mie parole.

 

Baratterai ad occhi chiusi la tua eternità per questo tipo di amore, quando ti si presenterà davanti”

 

Quella prospettiva lo inquietava,

e lo trovava molto contrariato.

 

Barattare la sua giovinezza, la sua preziosa giovinezza,

per invecchiare e morire assieme ad una persona qualunque.

 

Poco dopo la sua riunione con Tritone, aveva conosciuto Wendy e i suoi fratellini.

 

Wendy era sicuramente quello che intendeva lui,

ovvero una ragazza da sposare.

 

Ma non avrebbe mai sposato Wendy.

 

Per lui era solo un’amica.

 

 

Ora Peter, ripensando a quell’ultimo momento col suo vero papà, pensò che ne sentiva davvero molto la mancanza.

 

 

Una lacrima colò sulla sua guancia.

 

Si sentì per un attimo adulto.

 

Quello era un amaro boccone della dura realtà.

 

Ecco perché non gli piaceva, la realtà.

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Capitolo 12
*** Alice ***


Alzando gli occhi al cielo, vide uno strano punto librarsi in aria.

 

 

 

“È troppo grande per essere un uccellino” pensò.

 

Decise di avvicinarsi. Col rischio conosciuto che fosse un trucchetto di Uncino per attirare la sua attenzione e metterlo in bella vista, e poi puntarlo col cannone.

 

 

“..ma quella è..” pensò ad alta voce, mentre la strana figura si faceva sempre più chiara.

 

Intanto Trilli era stata costretta a risvegliarsi dal suo beato sonno, per seguire quel pestifero ragazzo.

 

“..è una bambina, Trilli! Com’è arrivata qui?!”

 

Oh no! Un’altra fastidiosa smorfiosa da far fuori!

 

Dopo Wendy e Jane, si era ripromessa di non chiudere più un occhio sulle conoscenze femminili di Peter.

 

Dopotutto, aveva solo due occhi.

 

Melody era ovviamente giustificata, così come tutto il ricco parentame del gentil sesso di Peter.

 

 

La piccola intrusa stava roteando senza abilità.

 

Quello non era volare. Era stare sospesi in aria muovendosi avanti e indietro senza criterio.

 

“Sono confusa!” affermò, parlando da sola.

 

“Prima ero nel mio giardino, guardavo le stelle, ed ora..Oh! Perbacco! Non ti avevo visto!” esclamò, voltandosi verso la fatina, che la stava guardando male.

 

“Come sei graziosa!”

 

Questo Trilli già lo sapeva. Era chiaro che avrebbe presto tentato di accaparrarsi Peter, come facevan del resto tutte.

 

La fatina le riserbò una buffa linguaccia.

 

“Ma come!” disse l’altra, per poi lasciarsi andare ad una grassa risata. “Una fatina che fa le pernacchie!”

 

Trilli davvero non sapeva come reagire.

 

Di solito le ragazzine ci restavano male.

 

“Come sei arrivata qui, bambina?” chiese Peter.

 

 

“Il punto è come tornare, non di certo come sono arrivata!” disse saggiamente. Ma a Peter non piaque come risposta.

 

“Solo con la polvere magica si può volare!

 

E non credo che nessuna fatina ti abbia regalato la sua polvere per venire qui, soprattutto se non volevi!”

 

“Non ho detto che non volevo!” sbottò, però contenendosi, con le mani sui fianchi.

“Sei davvero poco ospitale, neanche fosse tutto tuo, questo posto!”

 

Peter fece spallucce, e con un sorriso fiero disse

“In effetti, non vedo di chi altro posso essere, se non mio!”

 

“Sbruffone!” lo rimproverò, per poi girargli le spalle.

 

 

Peter guardò Trilli. “Che tipa!”

 

Per la fatina era dura ammetterlo, ma Alice le stava piuttosto simpatica.

 

“Ora, il dubbio è : come scendere?” si chiese lei, cercando di “nuotare” verso il basso.

 

“Mi chiedo ancora che ci faccia qui” sussurrò il mezzo-folletto all’amica.

 

“Magari è una spia di Uncino e non vuole dircelo”

 

“Chi?!” esclamò la nuova arrivata, ormai da lontano.

L’udito della fanciulla era a dir poco eccezionale.

 

 

“Uncino, Capitan Uncino, ti suona famigliare?”

 

 

“Capitano? Dunque è un pirata? Oh, che emozione!” esclamò, unendo le mani.

 

“Voglio vedere la sua nave!”

 

 

Alice si mise a fantasticare su questa famosa nave, ed il suo volo riprese di nuovo velocità, tanto che riuscì a dirigersi verso la terraferma, fino a planare sulla spiaggia-Peter la seguì con gli occhi.

 

“Questa ha il cervello sistemato al contrario” constatò, raggiungendola.

 

 

La vide mentre correva senza meta sulla sabbia.

 

“Ehi! Non starò in pace finché non avrò la certezza che tu non stia con quel pirata!” rincarò il ragazzo.

 

“Oh, come sei assillante!”

 

“E tu una gran criticona!”

 

“Ebbene, stavo guardando le stelle dal mio giardino, quando improvvisamente, mentre fantasticavo per i fatti miei, i miei piedi si sono staccati da terra”

 

Trilli era senza parole.

 

Quella bambina doveva avere un’immaginazione davvero portentosa, se era riuscita ad eguagliare il volo di fate e folletti, pur senza ali.

 

 

“Oh, è una nave, quella!” disse emozionata la biondina.

 

“Oh no, brutta idea!” la fermò il folletto, afferrandole il braccio.

 

“..e perché mai?”

 

“Quell’Uncino non ti offrirà di certo il thè, bambina!”

 

“Alice!”

 

“..Cosa?”

 

“..mi chiamo Alice!” spiegò, continuando nel suo cammino.

 

Peter rimase incantato. Trovò straordinario quanto quel nome le si addicesse. Era perfetto per lei.

 

Trilli notò che un sorriso beota era apparso sul suo volto.

 

“Riprenditi, Peter!

 

Quella sciocca sta andando da Uncino!” lo richiamò.

 

“Unci...Uncino! NO! Alice! Fermati..perfavore!” urlò.

 

“..perfavore?!” ripetè sbigottita Trilli, fra sé e sé.

“..che gli ha fatto quella piccola strega?!”

 

°°°

 

Alice era arrivata nell’ultimo angolo di spiaggia dell’isola. Era sugli scogli lì vicini che si era fermata la nave.

 

“..com’è alta!” la lodò.

 

Alice risalì gli scogli.

 

“Capitano! CAPITANO!!” chiarmò urlando.

 

“Sei impazzita?!” le tappò la bocca Peter, arrivato da dietro. “Non è una persona amichevole, anz..ops!”

 

Peter cadde all’indietro, lasciando andare la nuova “amica”. Campanellino l’aveva strattonato per il bordo della camicia, e in quella posizione delicata, con i soli talloni poggianti sulle punte delle rocce, l’aveva fatto cadere.

 

“Trilli!” la ammonì, una volta nascosti tra i cespugli.

 

“Peter, se quella sciocca vuole farsi uccidere sono affaracci suoi, ma tu non puoi farti vedere da Uncino!”

 

“Io..vediamo cosa succede, in caso di pericolo interverrò”

 

Trilli si sbattè la mano sulla faccia.

 

 

“..Oh, signor Capitano!!” rincarò la piccola.

 

Dal bordo della nave spuntò la piccola testa di Spugna.

 

“Andate via, signorina, qui non è posto per voi!

 

Se vi vede il capitano, non so c..”

 

Un uncino lo tirò all’indietro.

 

“Ma che felicissimo incontro, prego, madamigella!

 

Salite il ponte!” fece il suo esordio il diretto interessato, poggiando il suddetto ponte sul bordo per far salire la bionda fanciulla.

 

 

“Oh, che grazioso invito!” gli concesse, salendo.

 

 

“E adesso, Trilli? Come faccio a vedere cosa stanno facendo?” chiese Peter.

 

La fatina sbuffò, e decise di andare a controllare di persona, per buona pace del compare.

 

 

Si nascose dietro all’albero della nave, in un punto in cui, pur vedendola, nessuno poteva raggiungerla.

 

“Dunque, a che devo la graditissima visita?” chiese il filibustiere.

 

“Alla mia curiosità, mi sarebbe semplicemente piaciuto visitare una nave pirata!”

 

Il coraggio e la franchezza della piccola spiazzò l’uomo.

 

“Questo non è un luogo per bambini, madamigella!

 

Lo sapete, vero? Peter Pan vi avrà avvertito!

 

A proposito, è da un po' che non vedo il caro Peter, sapete per caso dove sia?

 

Gradirei invitarlo a prendere un thè!”

 

“Che bugiardo quel tipo! A questo pirata in realtò piace prenderlo, il thè, com’è simpatico!” pensò Alice.

 

“Non conosco questo Peter, spiacente” disse la piccola.

 

In effetti, l’interessato non le aveva detto come si chiamasse.

 

Trilli emise un sospiro di sollievo.

 

“Oh, è solo quel monellaccio di mio figlio.

 

Ha dei bei ciuffi rossi in testa, e veste di verde con un buffo capellino a punta, con una piuma d’indiano sulla cima.

 

Questa descrizione vi facilita la memoria?”

 

Alice stava per fare il danno, quando Trilli emise un fischio.

 

In quel momento arrivò Peter a velocità razzo, per afferrare la piccola Alice da sotto, e portarla via.

Come nella classica scena in cui l’eroe salva la ragazza in difficoltà.

 

“Che stai facendo, villano?!” lo rimproverò, mentre fuggivano.

 

“Questa sventata stava per rivelare dove fossi, Peter!” gli raccontò la fatina testimone.

 

“È la verità, Alice? Stavi per dirgli dove ero nascosto?”

 

“Ma non mi sembrava di farti un torto!

 

Dopotutto, è tuo padre!”

 

Peter frenò. “..ti ha detto che è mio padre?!”

 

Alice cercò lo sguardo della fata. Era confusa.

 

°°°

 

 

“Ti avevo detto che non c’era da fidarsi di lui!

 

E tu hai voluto andare, comunque! Sei proprio testarda!”

 

Peter, Alice e Trilli erano nella casa nell’albero dei Bimbi Sperduti.

 

Il folletto stavr rimproverando la ragazzina.

 

“Non essere così severo! Non è colpa mia se la mia curiosità è più forte del mio buon senso!”

 

“Bè, d’ora in poi cerca di controllarla, invece!

 

Quell’uomo vuole farmi fuori!”

 

“..Farti fuori?!”

 

Alice era seduta a gambe incrociate, e Peter le roteava severo intorno, con le braccia dietro la schiena.

 

“Voi bambine siete semopre così inesperte!”

 

“Ehi! Ce ne intendiamo, invece!

Come voi, e a volte di più!” protestò.

 

Il litigio si placò.

 

“..mi spiace averti fatto rischiare la vita, Peter..

Credevo davvero alla bontà di Uncino” si scusò.

 

“Lo so che non lo hai fatto con cattiveria, però, d’ora in poi, devi seguire i miei ordini se non vuoi correre pericoli!”

 

Peter le offrì la sua mano, per alzarsi.

 

“Sembra tu sappia il fatto tuo!”

 

Il ragazzo arrossì, al complimento sincero dell’amica.

 

In quel momento Peter udì i passi dei Bimbi Sperduti che scendevano le scale.

 

“Nasconditi!”

 

“Perchè?”

 

“Fallo e basta!”

 

Alice ricordò il consiglio di seguire i suoi ordini, e si nascose dietro alla poltrona.

 

 

L’idea di Peter era quella di far loro una sorpresa.

 

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Capitolo 13
*** Una bambina speciale ***


Quella mattina, Peter aveva deciso di mostrare ad Alice le sirene. Di solito erano molto popolari tra le bambine.

 

Nonostante poi finisse sempre male.

 

 

La Laguna delle Sirene era il luogo dove tutte le sirene e i tritoni si riunivano, dopo il ritorno del Principe Peter ad Atlantide. Era lui che le proteggeva dai pirati.

 

I due ragazzi fecero capolino da dietro uno scoglio in mezzo ai cespugli.

 

“Ciao, ragazze!” salutò, a braccia spiegate.

 

 

Le solite moine tornavano regolari.

 

Chissà se a Peter facevano piacere, o le vedeva come semplici amiche.

 

Era pur sempre un ragazzino ancora innocente, lui.

 

“Ragazze. Vorrei presentarvi un’amica”

 

“Oh no, Peter. Un’altra ragazza” si lamentò una del gruppo.

 

“Questo vi piacerà!..almeno lo spero..” disse, facendo segno all’interessata di farsi avanti.

 

Intanto Trilli quasi esplodeva di verde gelosia.

 

“Vieni anche tu, piccoletta?” le disse.

 

Ma ella le fece capire che non le andava.

 

“..d’accordo” fece spallucce.

 

 

“Vi avverto, parla molto ed è una che vive un po' tra le nuvole!” la presentò.

 

“Oh! Ma quanti complimenti, ti ringrazio!” fece, da finta offesa.

 

Le sirene erano più che pronte a buttarla di sotto.

 

“Direi di non perdere tempo, vai a prendere del thè, Peter!”

 

“..che cosa?” chiese confuso.

 

“Non possiamo presentarci come si deve senza aver davanti un buon thè!”

 

“Cos’è il thè?” chiese un’altra sirena.

 

“Oh, ma che brava donna di casa” brontolò il ragazzo.

“E chi fatica per trovarlo sono io!”

 

Peter volò via.

 

Le sirene gaurdarono ammalliate la fanciullina bionda.

 

“..sei riuscita a mettere in riga Peter?!” chiesero con grande sorpresa.

 

Alice regalò loro un sorriso fiero, e con questò si sedette sullo scoglio con goffa grazia.

 

Nel mentre, Trilli se la rideva di gusto del povero folletto schiavizzato.

 

Quella scena le portò alla mente il dolce Terence, che non riusciva mai a dire di no alle richieste di nessuno.

 

 

 

Alla fine della mattinata, il gruppetto di sirene adorava ormai la piccola Alice.

 

“È la migliore che tu ci abbia mai portato, Peter!”

 

“Già, è in gamba, ed ha una buona parlantina!”

 

 

“Se volete scusarmi, visto che sono nuova del posto, vorrei visitare il villaggio indiano! Arrivederci, dunque!” disse, e prese il volo senza un solo pizzico di polvere di fata.

 

Le sirene erano sempre più sconvolte.

 

Quella ragazzina era davvero speciale!

°°°

 

“Squad deve legna procurare,

 

squad non può presentarsi a Grande Capo Indiano!”

 

disse la matriarca della tribù, la moglie del capo.

 

 

“Oibò, e come la mettiamo col fatto che sono ospite?

 

Dovrei fare io il lavoro che non avevate voglia di fare voi prima che arrivassi?

 

È così che si riceve qualcuno?” prese ad attaccar briga la piccola chiaccherona.

 

La signora non potè obbiettare.

 

Giglio Tigrato si avvicinò alla ragazzina.

 

“Lascia stare, mia madre è vecchio stampo.

 

Vieni, ti racconterò tutto quello che vorrai su di noi!”

 

“Oh, che gentile!”

 

Peter non credeva ai propri occhi.

 

Quella Alice era proprio abile a destreggiarsi in qualsiasi situazione.

 

 

Alice e Giglio Tigrato si sedettero a gambe incrociate, l’una davanti all’altra.

 

“..per esempio, lo sai perché noi diciamo ‘Augh!’?

 

È una domanda frequente!”

 

“Oh sì, racconta!” la pregò.

 

 

 

Non era più Peter a dover insegnare alla sprovveduta di turno, che non faceva altro che ammirarlo in tutta la sua abilità.

 

Era, per la prima volta, una ragazzina a lasciarlo incantato.

 

Alice ne aveva passate di ben peggiori nel Paese delle Meraviglie!

 

Quell’isola era una passeggiata di salute per lei.

 

Era vero, a volte le bambine ne sapevano come e più dei maschi!

 

°°°

 

 

“Così tu sei nato tritone! Sei un principe del mare, quindi!” disse estasiata Alice.

 

I due bambini volavano sopra l’Isola che Non C’è, e parlavano delle loro vite, ridevano, scherzavano...

 

“Io non ho nulla da raccontare di interessante, di me.

 

Sono una bambina inglese di una famigliola di campagna...”

 

“Come molte altre..”

 

“Sì, certo..” mormorò lei-non sembrava molto stupito.

 

“Ma ho una fervida fantasia!”

 

“Lo so, infatti voli senza polvere magica!”

 

“Ed è speciale come cosa?”

 

“...molto speciale” rispose lui, guardandola negli occhi.

 

Il suo sorriso così dolce e innocente lo lasciava spiazzato.

 

 

“Allora quel pirata..come mai vuole uccerti?”

 

La magia del momento finì con l’inizio di quella brutta storia.

 

°°°

 

Alice era inorridita, all’udire della mano mozzata di Uncino.

 

“Lui mi odia per via di quella mano. Ho tradito la sua fiducia, dopotutto mi ha allevato lui per i primi tempi, e lui non lo sopporta.

 

È pur sempre un pirata”

 

“Un pirata senza cuore..” accordò lei.

 

“..a volte penso che sia stato vittima di un incantesimo”

 

“Un incantesimo?”

 

Peter ci pensò, poi alzò le spalle.

 

“Non ho perso nulla. Io un padre ce l’ho”

 

“..ma tu non cresci mai” gli disse.

 

“E questo che cosa c’entra?”

 

“Che non potrai mai raggiungerlo, rivederlo, riabbracciarlo, ovunque sia”

 

“..potrei rivederlo?”

 

“Chissà, molti credono che dopo la morte ci sia la vita.

 

E in questa nuova vita, ci si riunisca coi propri cari perduti”

 

Il ragazzo rimase senza parole.

 

Decise di afferrare la mano di Alice con forza, per portarla dove solo lui sapeva.

 

Il ricordo del padre gli fece venire un’idea.

 

 

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Capitolo 14
*** Peter cresce ***


La Radura Incantata.

 

 

“Oh, cielo. Quante fate!” esclamò meravigliata Alice, ritrovandosi circondata.

 

“Peter?!” lo rimproverò Trilli.

 

“Lo sai che nessun bambino, tranne te, può venire qui!”

 

 

“È importante, chiama le fate attrici!”

 

Trilli era confusa, ma sentì che le sue parole nascondevano qualcosa di importante.

 

“D’accordo, farò come dici tu”

 

°°°

 

E in occasione dell’arrivo di un ospite speciale, il nostro Peter Pan, ed una gentile donzella di cui non ricordo il nome..” annunciò un folletto conduttore.

 

“ALICE!” suggerì una voce simile a quella di Trilli.

 

“..che è chiaramente Alice, vi presentiamo con grande piacere

 

!ednargessatnevidnapretepesE”

 

“Che cosa?” chiese Alice.

 

“Dicono i titoli delle proiezioni al contrario, così nessuno capisce nulla e scopri cosa succede solo guardando!” spiegò Peter.

 

“Tanto vale non metterli”

 

“In effetti..ma non sarebbe lo stesso!”

 

“Di che si tratta, di un’opera teatrale?”

 

“Una specie. Chi vuole fa una richiesta anonima alle fate registe, del tipo -Cosa succederebbe se domani decidessi di cucinare una torta?- e loro lavorano di fantasia..e qualche volta la fantasia si avvera”

 

“E la richiesta per questo era tua?”

 

“Bè..” arrossì lui, con un timido sorrisetto.

 

 

La proiezione partì.

 

C’era un bambino che giocava, volava e rideva.

 

Ad un certo punto, appariva una bambina.

 

La bambina aveva una coroncina di fiori tra i capelli.

 

Il bambino le chiese ingenuamente di sposarla, perché era molto innamorato di lei.

 

Lei accettò.

 

I due si diedero un bacio.

 

I bambini crebbero, diventando due ragazzi e non lasciandosi mai.

 

Alla fine, i due diventarono adulti, e si sposarono davvero.

 

Nella proiezione, i volti dei due sono ormai chiari.

 

Una è un’adulta Alice, e l’altro un cresciuto Peter Pan.

 

 

La proiezione era giunta al termine.

 

Alice era arrossita.

 

“Posso darti un bacio..Alice?” le chiese lui, più rosso di lei.

 

La bambina si coprì gli occhi, ma poi abbassò le mani.

 

 

Trilli non poteva credere ai propri occhi-cosa stava succedendo?..Peter stava crescendo?

 

°°°

 

La fatina aveva lasciato la spalla di Peter per la prima volta dopo molto tempo.

 

 

Se ne stava pensierosa sul ramo di un albero, col cuore a pezzi e tradito.

 

In quel momento, sentì delle risatine giungere da sotto di lei. Erano le risate di due bambini.

 

Non voleva abbassare lo sguardo, ma lo fece.

 

Peter, il suo Peter, mano nella mano con quella Alice.

 

I suoi occhi diventarono umidi e si riempirono di lacrimoni grandi come gli occhi stessi.

 

 

Il suo pianto era un normale tintinnio per chi non conosce la lingua delle fate, quindi Alice, che aveva un udito sensazionale, non vi fece caso.

 

Peter non lo sentì.

 

La Regina delle fate, invece, era proprio di zona, quando la piccola fatina bionda aveva preso a singhiozzare.

 

 

La sua luminosa figura apparve dinanzi ai suoi occhioni azzurri.

 

“Regina Clarion..avete annullato l’incantesimo di Peter, non è vero? Ora lui sta crescendo..” chiese.

 

L’altra sospirò.

 

“Non sono stata io, Trilli.

 

È stato Peter stesso..”

 

La grande fata si avvicinò ad una foglia, e la spostò con la mano. Oltre si poteva intravedere il mare.

 

“Re Tritone ha parlato con me.

Mi ha parlato di una clausola della magia che nemmeno io conoscevo.

 

Quando Peter si sarebbe innamorato per la prima volta..”

 

La fatina strinse i denti.

 

“..nemmeno un incantesimo della Regina delle fate poteva farlo rimanere bambino”

 

Trilli si alzò in piedi.

 

“E non si può annullare il loro amore?

 

Trasformarlo in odio?”

 

“Niente di tutto questo.

 

Non siamo streghe, Trilli”

 

La Regina regalò la sua spalla alla piccola suddita, per piangere.

 

“Sei così fragile, Trilli..ed un cuore così fragile non può amare quello di un eterno bambino”

 

“Terence è morto per lui, e ora lui se ne andrà!

Questo non può essere giusto..”

 

“L’amore non è giusto, Trilli”

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Capitolo 15
*** Peter Pan ***


“Trilli! Ti devo parlare!” richiamò il folletto, nella casa nell’albero.

 

La fatina era nascosta sotto ad un cuscino, che però si illuminava. Fu facile per Peter trovarla.

 

“Trilli”

 

“Ti devo parlare”

 

 

“Te ne vuoi andare, vero?”

 

 

Il bambino non rispose.

 

“..vuoi venire con me?” le chiese.

 

 

L’altra rimase senza parole.

 

Non era possibile che glielo avesse chiesto.

 

 

Lei?

 

Nel mondo fermo?

 

Per sempre?

 

°°°

 

“Nella mia lunga vita ho conosciuto molte bambine.

 

Tanto da capire che come Alice non c’è nessuna.

 

 

Lo so che tu sei innamorata di me, Trilli, ma so anche che non sei innamorata del vero Peter.

 

Ti sembrerà un discorso da adulto..”

 

Il ragazzo si fermò di parlare.

 

“..mi sento giù cresciuto, Trilli.

 

È orribile, proprio come pensavo.

 

Ma ho pensato a mio padre, ad Alice, a quello che sento che è giusto..lo sai che non faccio mai qualcosa per convenzione, vero, Trilli?”

 

I due amici sedevano sopra la casa-albero, guardando le stelle.

 

La fatina fece sì con la testa.

 

“Ho molta paura, Trilli”

 

Quelle parole la turbavano. Peter..impaurito?

 

“..cosa ne sarà di me?”

 

 

Ebbene sì,

 

Peter stava crescendo.

 

°°°

 

Peter Pan era un bambino diverso dagli altri.

 

Già in tenera età, aveva capito che non voleva crescere.

 

E questo lo rendeva più maturo di tutti gli altri bambini.

 

Aveva capito che non c’è nulla di bello nel diventare grandi.

 

Era un viaggio lungo, faticoso, pieno di dubbi e paure, che non sarebbero finite con la maggiore età.

 

Sarebbero durati per sempre.

 

Ma Peter aveva capito quello che suo padre aveva voluto dirgli in un momento in cui lui non era stato disposto ad ascoltarlo.

 

Si viene premiati, per quel duro lavoro.

 

 

Peter era un uomo come tutti gli altri.

 

Aveva una moglie, Alice, ed una casetta come tutti!

 

Peter sapeva bene cos’era una mamma, ma non ne aveva mai avuta una.

 

Aveva capito cosa fosse appena cresciuto.

 

Aveva capito che non era solo il femminile di papà.

 

Peter sapeva bene cos’era un papà.

 

Un padre lo aveva avuto. Sopra il mare. Sotto il mare.

 

Guardando il mare se lo ricordava.

 

Peter raccontava ai bambini di un mondo fantastico, in cui lui era cresciuto ed era stato un folletto, perchè

un folletto aveva dato la sua vita per salvarlo, quando era piccolo, ma appena cresciuto, quel folletto tornò.

Una fatina che lo accompagnava ovunque rimase con lui in quel mondo fantastico, per sempre.

 

Gli aveva regalato la sua infanzia.

Un periodo meraviglioso, ed eterno, ma che, come per tutti i bambini, finì.

 

 

 

Peter non era mai stato un bambino.

 

Era più coraggioso,

più forte,

più responsabile,

più furbo,

più intelligente e più severo.

Peter aveva un cuore speciale.

 

Era nato grande. Era nato adulto.

Ma era rimasto per troppo tempo bambino.

 

Peter era un principe, e sapeva di essere un principe del mare. Ma per stare con la sua bella, divenne un uomo.

 

 

Peter era un uomo come tutti gli altri,

 

ma Peter Pan era tante, troppe cose per essere vero.

 

Ed infatti, non lo era.

 

Peter Pan non esisteva.

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