Captain America - The mole

di Robigna88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

 

 

 

 

Steve si svegliò in una stanza dalle pareti bianche e pulite, alla finestra un leggero venticello agitava una tenda grigio chiaro, una radio stava trasmettendo i commenti ad una partita che credeva di aver già visto... forse. Doveva ammettere di essere un po’ confuso; il suo ultimo ricordo era di se stesso su un aereo, la foto di Peggy dentro il suo ciondolo poggiata sul posto di comando, come promemoria che aveva tanto, troppo, da perdere. Ricordava che c’era un gigantesco e terrificante ghiacciaio davanti a sé e ricordava che lui e Peggy stavano parlando di un ballo che lei gli avrebbe insegnato. Dopo di quello solo buio, fino a quel momento.

Tirandosi su si mise a sedere sul letto su cui era sdraiato, girò il capo per guardare fuori dalla finestra ma non vide nulla, solo lo sfondo sbiadito di una città, o almeno credeva fosse una città. Diede un’occhiata sospetta alla radio, ascoltò dubbioso la radiocronaca di quella partita che era sicuro fosse già stata giocata. Ne era certo perché lui ricordava di essere andato a vederla.

Il suo sguardo si spostò sulla porta quando questa si aprì e una bella e giovane donna dai capelli rosso scuro; indossava una divisa, gli fece tornare in mente Peggy per un istante.

“Buongiorno” gli disse con un sorriso avvicinandosi piano al letto. “O forse dovrei dire buon pomeriggio” specificò dando un’occhiata all’orologio.

Steve la guardò confuso; quel senso di smarrimento che aveva provato appena aperti gli occhi cresceva di minuto in minuto, insieme a un sottile panico. “Dove mi trovo?” domandò.

“Nella stanza di un ospedale di New York.”

Gli occhi azzurri del Capitano vagarono per la stanza, si fissò le mani, poi guardò di nuovo l’agente. “Dove sono veramente?”

“Non capisco” scosse il capo lei, ma si era innervosita, era chiaro dal modo in cui aveva steso le braccia lungo i fianchi.

Lui si alzò per avvicinarsi a lei. “Ho chiesto dove mi trovo veramente” ripeté. “La partita alla radio... ero lì in persona il giorno che è stata giocata.”

La donna premette qualcosa su un aggeggio che aveva in mano, ci fu un leggero suono e la porta si aprì di nuovo. Due uomini vestiti di nero entrarono, stringevano in mano delle armi e i loro occhi erano minacciosi. Steve scattò sulla difensiva e si disse che, dovunque fosse, sarebbe scappato. Sperava di non dover fare del male a nessuno per farlo, ci avrebbe provato.

“Capitano Rogers” gli disse uno degli uomini. “Stia calmo.”

“E’ un po’ difficile se mi puntate contro tutte quelle armi. Ditemi dove sono!” chiese duramente avanzando verso di loro, fermandosi sui suoi passi quando una donna entrò nella stanza e prese la parola.

“Mettete giù le armi” disse a quei due. “Il Capitano non è una minaccia. Giusto?” chiese proprio a lui.

“Posso esserlo se necessario.”

La donna accennò un sorriso. “Sì, ci credo” fece cenno ai due uomini e alla donna che era entrata per prima, e quelli se ne andarono lasciandoli soli.

“Dove sono? Non lo chiederò di nuovo” tuonò Steve guardandola.

“E’ davvero a New York, ma questa non è una stanza d’ospedale. Posso chiamarti Steve?” gli chiese sistemandosi il tutore che le teneva fermo il braccio sinistro. Chissà come si era ferita.

“No!” esclamò lui. “Sono il Capitano Rogers.”

Lei annuì avvicinandosi alla radio per spegnerla. “Io sono Lidya. Ma può chiamarmi agente Abel” gli sorrise appena ma più che un sorriso sembrava un ghigno. “Mi dispiace per questa pagliacciata” disse guardandosi intorno. “Avevo detto che era una stupidaggine e che l’avrebbe infastidita, ma le persone per cui lavoro hanno detto che era meglio così. Che l’avrebbe aiutata a non sentirsi smarrito, non subito almeno.”

“Le persone per cui lavora?”

“Sì. Lei si trova in una stanza al quartier generale dello S.H.I.E.L.D.”

“Che cos’è lo S.H.I.E.L.D.?”

“E’ una organizzazione governativa che si occupa delle minacce globali che sono fuori dalla portata dei... comuni mortali, per così dire. E’ stata fondata da Howard Stark, dal Colonnello Chester Phillipse e dall’agente Peggy Carter” Lidya notò che gli occhi di Steve si erano addolciti quando aveva sentito dell’agente Carter. Non ne era sorpresa, considerando il ciondolo che avevano ripescato insieme al suo corpo ghiacciato.

“Loro sono...” sussurrò.

“Il Colonnello è morto, Stark anche. Lui è sua moglie sono morti in un incidente stradale. Hanno lasciato un figlio. Si chiama Tony, ed è molto... beh diciamo che è proprio figlio di suo padre. Probabilmente lo incontrerà presto o tardi.”

“E l’agente Carter?”

“L’agente Carter è ancora viva.”

“Dove si trova? Voglio vederla.”

“E’ un po’ più complicato di così. Sicuramente potrà vederla, solo non adesso.”

“Perché no?” l’uomo le si piazzò davanti con fare minaccioso, Lidya sapeva che era solo spaventato.

“Perché ci sono parecchie cose che deve sapere prima.”

“Del tipo?”

La donna si avvicinò ad una cassapanca sistemata accanto alla porta e la aprì. “Le dispiacerebbe darmi una mano?” chiese all’uomo quando si rese conto che con una sola mano era complicato.

Lui gliela diede, tenne la cassapanca aperta mentre lei recuperava alcuni vestiti dentro. Un paio di pantaloni color beige, una camicia a quadri, una giacca di pelle marrone. “Indossi questi, andiamo a fare una passeggiata. Sarà più facile capire così.”

“Capire cosa?”

“Ogni cosa. La aspetto qui fuori.”

Steve guardò la porta richiudersi, si chiese se era il caso di trovare una via di fuga. Forse sì, ma l’agente Abel sembrava sincera, sembrava qualcuno di cui potersi fidare. Decise di seguire il suo istinto e dopo essersi cambiato raggiunse con lei l’esterno. Sgranò gli occhi mentre un migliaio di suoni e colori diversi gli riempivano occhi e orecchi. Quella non era New York, non era così che la ricordava.

“Credevo che avesse detto che siamo a New York, ma questa non è la New York che ricordo.”

Lidya mise la mano nella tasca del suo impermeabile. “Non è più il 1940, Capitano. Lei ha dormito per quasi settant’anni... benvenuto nella New York del 2011.”

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Capitolo 2
*** 1. ***


PARTE I

Il Tesseract

 

 

1.

 

 

 

 

 

 

Dopo aver girovagato per la città e aver parlato dello S.H.I.E.L.D., di Fury e di parte di ciò che era cambiato in settant'anni, il Capitano e Lidya presero posto al tavolo di una caffetteria e una gentile cameriera lasciò loro i menu lanciando un'occhiata interessata all'uomo prima di andarsene. Lidya non poteva biasimarla: il Capitano Rogers era un uomo bello con occhi azzurri e ciglia lunghe, i capelli chiari sembravano brillare sotto la luce del sole che entrava attraverso la vetrata, le spalle erano possenti, il viso armonioso. Era un uomo che di certo non passava inosservato.

La donna controllò il suo telefono un'altra volta, sorrise quando Steve le fece una domanda.

"Che cos'è un frappuccino?"

"Una diabolica invenzione super calorica. È molo buono però, dovrebbe assaggiarlo" posò il cellulare su un angolo del tavolo e lo guardò quando lo sentì sospirare.

"Tutto è diverso" le disse senza guardarla. "Del mondo che conoscevo non è rimasto assolutamente nulla."

Aveva l'aria così smarrita e triste che per un attimo le venne voglia di abbracciarlo, o meglio ancora di portarlo dritto dall'unica persona il cui abbraccio avrebbe davvero fatto la differenza in quel momento. Si ricordò di avere una cosa che gli apparteneva in tasca, decise però che non era ancora il momento di dargliela. Se lo avesse fatto si sarebbe distratto, perso nei ricordi. Lei aveva bisogno che fosse concentrato sul presente.

"Mi dispiace Capitano Rogers, davvero. Posso solo immaginare il senso di smarrimento che prova" respirò a fondo per cercare le parole giuste. "Imparerà a vivere in questo nuovo ambiente. Io sono qui proprio per aiutarla. Col tempo..."

"Col tempo scoprirò che questo nuovo mondo non è poi così male e andrà meglio. Voleva dire questo?" la guardò dritta negli occhi e in quelle iridi chiare c'era un briciolo di rabbia, era ben visibile ed era comprensibile.

"Volevo dire," riprese la parola lei. "che col tempo imparerà che è tutto molto più strano di quanto le sembri adesso, ma che se vorrà potrà contare su un'amica per affrontare ogni cosa: me."

Vide la rabbia sparire piano, o meglio la vide trasformarsi in sollievo. Lui le sorrise. "Saperlo mi rincuora più di quanto lei creda" si guardò intorno. "Magari potrei iniziare a scoprire il nuovo mondo con un frappuccino. Che gusto mi consiglia?"

"Che gusto le consiglio? Mi lasci pensare" calò il silenzio per qualche secondo, poi Lidya parlò. "Per lei caramello. Sì, decisamente caramello."

"Caramello sia allora... Lidya" lei gli sorrise, infine guardò il cellulare. "Qualcosa non va?"

Lidya lesse il messaggio prima di rispondere. "Il Direttore Fury sarà qui tra poco, per parlare con lei. Dubito che mi farà partecipare alla conversazione, quindi mi ascolti attentamente: qualunque cosa Fury le dirà, si ricordi che ha sempre una scelta. Lei è libero, Steve. Non se lo dimentichi, okay?"

"Non lo dimenticherò, lo prometto."

La donna vide l'auto del Direttore fermarsi davanti alla caffetteria, lo guardò entrare e raggiungerli. Aveva l'aria seria, più del solito... sperava che le avrebbe permesso di rimanere, ma non accadde.

"Grazie agente Abel, può andare ora." le disse infatti.

Lei mise la mano in tasca, tirò fuori l'oggetto che apparteneva al Capitano e glielo porse. "Ricorda quello che ti ho detto... Steve" gli disse strizzandogli l'occhio.

Il Capitano guardò il ciondolo nella sua mano, quel ciondolo che dentro custodiva la foto della sua Peggy. Lo strinse tra le dita guardando l'agente Abel uscire dal locale.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Il Capitano e Fury si rividero dopo un mese, quando il Direttore lo raggiunse in palestra dove si stava allenando. Aveva l'aria preoccupata ma non sembrava esserci rabbia sul suo viso, a differenza della prima volta in cui avevano parlato e Steve si era rifiutato di lavorare per lo S.H.I.E.L.D. L'uomo non l'aveva presa bene, Steve gli aveva spiegato che era libero e tale voleva rimanere. Non aveva più rivisto Lidya da quel giorno e di quello gli dispiaceva, ma aveva conosciuto il figlio di Stark e quando era successo gli era mancato il 1940 ancora di più. Non che fosse una cattiva persona, era solo... un po' troppo egocentrico per i suoi gusti.

Non sapeva come rintracciare l'agente Abel e Fury non aveva voluto dirglielo, lui sperava sempre di incontrarla per caso, per chiederle quel sostegno che gli aveva promesso, e per ringraziarla per quei file sui suoi vecchi commilitoni e su Peggy che aveva trovato fuori dalla porta del suo appartamento. Era certo che fosse stata lei a lasciarli lì per lui. Da quei documenti aveva appreso che l'agente Carter si trovava in una casa di cura a Londra, che era malata e la sua memoria era compromessa, ma che aveva avuto una bella vita. Di questo era felice, ma gli mancava. Non era ancora andato a trovarla e non sapeva se e quando lo avrebbe fatto. Stava ancora provando ad ambientarsi del tutto, era più complicato di quanto avesse immaginato.

"Soffre di insonnia, Capitano?" gli chiese Fury avvicinandoglisi.

"Ho dormito per settant'anni, signore. Sono sazio."

Fury gli mostrò la cartelletta che aveva in mano, la aprì e la girò verso di lui. "Abbiamo bisogno del suo aiuto, Capitano."

Steve prese in mano l'incartamento, riconobbe subito quel cubo blu luccicante che c'era nella prima pagina: l'arma segreta dell'Hydra. Ma come facevano ad averlo loro?

"Howard Stark l'ha recuperato dal fondo dell'oceano mentre la cercava. È stato rubato" gli spiegò Fury quasi gli avesse letto la mente.

"Da chi?"

"Si chiama Loki e non è di queste parti. L'ha preso e ha preso anche uno dei nostri uomini migliori. Non sappiamo come."

L'altro guardò di nuovo le carte. "L'agente Abel farà parte della missione?"

"No. Lei non è autorizzata a svolgere missioni di questo livello."

Steve chiuse la cartelletta e la allungò verso di lui. "La autorizzi, o si trovi un altro soldato."

"Mi sta dicendo che senza l'agente Abel non prenderà parte alla missione? Sul serio?"

"Sul serio, signore. Senza offesa, ma l'agente Abel è l'unica di cui mi fido, al momento."

Fury riprese le carte e respirò a fondo. "Bene! Allora sia pronto domattina presto, un'auto passerà a prenderla al suo alloggio."

"Sarò pronto!"

Il Direttore se ne andò, Steve rimase da solo, continuando ad allenarsi. Lo fece per un'altra ora circa, poi decise di tornarsene nel suo monolocale, lì di fronte alla porta incontrò Lidya.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

 

"Credevo quasi che non ti avrei rivista mai più" le disse e si accorse subito che il suo tono non era stato esattamente amichevole.

Lei annuì allargando le braccia, entrambe, e Steve notò che il tutore era sparito. "Hai ragione" gli disse. "Mi dispiace, sono solo stata un po' impegnata con il lavoro."

Steve cercò le chiavi nella tasca. "Il braccio è guarito a quanto pare" mormorò indicandola con un dito.

"Sì, fa ancora un po' male a volte, ma diciamo che è guarito. Ti avevo portato un frappuccino al caramello, ma visto che non arrivavi l'ho bevuto. Non è proprio il mio gusto preferito ma non avevo cenato e il mio stomaco iniziava a brontolare."

Lui abbozzò una risata. "Beh visto che praticamente non ho amici ho dovuto trovare un modo per ammazzare la noia, quindi vado in palestra e mi alleno."

Lidya abbassò lo sguardo. "Mi dispiace di essere sparita, davvero. Volevo tornare a trovarti il giorno dopo il nostro primo incontro ma non posso sempre fare ciò che voglio, purtroppo."

"Che vuoi dire?"

"Niente" la donna si sforzò di sorridere. "Fury ha detto che mi hai richiesta per una missione, una di quelle per cui di solito non sono autorizzata."

"L'ho fatto. Sempre che tu voglia partecipare. Non sei costretta a venire se non vuoi."

"Voglio venire, ma voglio sapere anche perché io? Lo S.H.I.E.L.D. è pieno di agenti più qualificati di me."

"Forse. Ma di loro non mi fido, di te invece sì."

Lidya mise le mani nelle tasche del cappotto. "Significa che siamo amici?"

"Diciamo che ci stiamo lavorando."

"Okay" lei rise. "È comunque un passo avanti. Sarà meglio che vada ora, sarai stanco e domani sarà una giornata impegnativa. L'agente Coulson verrà a prenderti, è un tuo grande ammiratore. È un tipo bizzarro a volte, ma di lui puoi fidarti."

"Grazie dell'informazione" Steve la guardò avviarsi verso le scale. "E grazie dei file che mi hai fatto avere."

L'altra si strinse nelle spalle. "Non so di cosa tu stia parlando."

Il Capitano corrugò la fronte. "Ti avevano impedito di farmeli avere ma hai fatto in modo che li avessi comunque?"

"Volevo fare qualcosa di buono per te, ma come ti ho detto non sempre posso fare ciò che voglio, purtroppo, quindi mi tocca improvvisare a volte. Sono brava in questo" gli sorrise. "Buonanotte Capitano, ci vediamo domani."

"Buonanotte Lidya. A domani" Steve rimase sul pianerottolo a guardarla fino a quando non riuscì più a vederla.

 

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