Servi d'amore

di Illunis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giglio scarlatto ***
Capitolo 2: *** Dalia ***
Capitolo 3: *** Narciso (incertezza) ***
Capitolo 4: *** Bucaneve (speranza) ***



Capitolo 1
*** Giglio scarlatto ***


Beta: Skadi
Conteggio parole: 2583 (fdp)
Prompt: #4 Giglio scarlatto (aspirazioni di nobil animo) della tabella Florigrafia I di think_fluff
Disclaimer: I personaggi appartengono alle leggende arturiane alla BBC e VI ODIO BASTARDI DOVEVA FINIRE PROPRIO IN QUEL MODO?
Contesto: In un mondo idilliaco da qualche parte durante la terza stagione (circa dopo la 3x5 “La caverna di cristallo”), dove ogni futuro cavaliere di Arthur non viene immancabilmente esiliato da Uther #LOL
Note: Era da un bel po’ che desideravo scrivere qualcosa su di loro, li adoro (e Gwaine, oh, non è adorabile?), ma qualsiasi idea mi sfiorasse la mente quella rifuggiva dalla mia penna. Fino a quando non ho visto questo e questo.
Non sarà una vera e propia long, fin dall'inizio l'ho pensata come un insieme di storie - correlate fra loro più dal susseguirsi temporale che tematico -, un po' come se stessi riscrevendo la trama della terza stagione (non sarà così). Saranno tutte ispirate dai prompt della tabella di think_fluff (quindi saranno quindici), e se per ora non c'è il p0rn (come ha brontolato la mia beta arthuriana - quella ufficiale non conosce Merlin °A°) o baci e bacetti, più avanti capiterà sicuramente ù-ù (uno dei prompt è 'confessione d'amore').
 
Ps. Il titolo è alla cazzo preso da un verso d'una ballata di Guido Cavalcanti (e chi l'ha detto che aiutare i fratelli con i compiti non fosse utile?), e... sono un disastro nel sceglierli T-T

 


 
Ricordava ben poco di come era giunto a confessargli ogni cosa – centrava qualcosa con un articolato discorso sulla fiducia e sul fatto che Arthur, a detta dell’asino, non fosse stupido (certo) -, il punto focale della questione era che aveva smesso i suoi panni da innocente e non magico servitore (senza neppure ricevere un premio per la sua performance, tante grazie) con quel decerebrato del suo padrone.
Asino, lui preferiva definirlo asino.
Sarebbe stato tutto rose, uccellini cinguettanti e altre simili amenità se non fosse – come Merlin sosteneva dall’alba dei tempi – che Arthur Pendragon, legittimo erede al trono di Camelot, fosse un incredibile, incommensurabile idiota.
Regale, s’intende.
Merlin aveva temuto più d’ogni altra cosa la reazione di Arthur, ciò che avrebbe pensato, a quanto gli aveva mentito e se il possedere la magia l’avrebbe reso un aberrazione ai suoi occhi.
E quell’asino cosa aveva fatto quando glielo aveva detto?
Era scoppiato a ridere, in faccia. Poi il mago aveva fatto scaturire dalla sua mano una luminescente sfera e si era zittito, il sorriso divorato dalla luce sovrannaturale.
Avevano discusso, piuttosto veementemente, le urla sussurrate per evitare che le guardie li sentissero – e Merlin avrebbe dovuto capirlo da questo, era stato il principe ad abbassare il tono iracondo -, la delusione, il tradimento sul viso di Arthur e la paura, l’ansia nella voce ora libera di Merlin.
Quando fu congedato la luna era l’unica dominatrice della volta celeste, i guardiani del sonno del principe s’erano appisolati, e Merlin credette di non aver mai parlato così tanto, la gola riarsa.
Quella fu una di quelle mattine in cui sentì il primo canto del gallo.
 
Merlin era un mago.
Non nel senso che riusciva a compiere le proprie mansioni incredibilmente bene – questo non sarebbe mai avvenuto -, ma che era letteralmente un mago. Uno stregone, un incantatore, un essere magico, una fattucchiera uomo o qualsiasi fosse la declinazione maschile di fattucchiera.
Era uno stramaledettissimo praticante di incantesimi e formule e lui, principe ereditario di Camelot regno in cui chiunque starnutendo dicesse magia veniva bruciato - Impiccato se suo padre era di buon umore – non l’aveva preso di peso e sbattuto nelle segrete quanto glielo aveva confessato.
C’era una parte di lui – quella non asinara gli avrebbe detto Merlin – che aveva compreso fin dalla prima volta che aveva incrociato quei suoi occhi a palla (così maledettamente blu, luminosi) che c’era qualcosa di particolare, strano in quel ragazzino smilzo ed irrispettoso. S’era detto, fra l’incredulità e l’orgoglio pungolato, che era la sua indole priva d’alcun rispetto verso l’ordine sociale a destargli sospetto, senonché col passare dei giorni questo divenne abitudinario ai suoi occhi, ma la sensazione strisciante d’un segreto ben celato dietro a quei sorrisi non l’aveva mai abbandonato.
Ora stava prendendo a pugni un guanciale per accomodarlo, poiché ovunque poggiasse la testa pareva di dormire su sassi. Fu all’approssimarsi dell’ora seconda che riuscì a trovare il sassolino che l’angustiava: quell’idiota del suo servitore aveva lasciato le sue stanze prima che potesse assicurarlo che mai l’avrebbe portato al cospetto di Uther.
 
« Mer-- » Cosa ci stava facendo una scopa a spazzare il pavimento da sola? « Cosa stai facendo!? »
« Niente » Appena la spelacchiata, stupida testa di quell’idiota sbucò dalla camicia indossata poté vedere quanto gli mentiva.
« Ti rendi conto » portò i palmi sui fianchi, imponendo per bene la sua presenza al cospetto di quel… non sapeva neppure lui come definirlo « di cosa sarebbe accaduto se ad entrare non fossi stato io? »
« Beh-- »
« Zitto. » lo vide dal boccheggiare della sua bocca che fremeva dal voler renderlo partecipe delle castronerie che gli passavano per quell’inesistente cervello, ma l’aveva fatta grossa, davvero grossa. Stupido Merlin. « Non puoi andartene in giro per il castello e praticare magie »
« A dire la verit-- »
« Ti ho forse dato il permesso di parlare? » sorrise, il pazzo suicida, come se il farsi scoprire fosse la sua più grande gioia. « Non usare la magia » scandì, lentamente, cosicché gli entrasse per bene in quella zuccaccia.
« Nemmeno in camera mia? »
« No! » Quale parte della legge di Camelot non aveva compreso?
« Potrei chiudere la porta »
« Allora fallo, idiota! »
Athur propendeva per il metodo educativo del bastone e della carota. Tranne con Merlin. Con lui era meglio abbondare di bastone. Ad essere specifici sosteneva la punizione corporale del scappellotto.
 
Arthur aveva abbracciato talmente tanto la causa ‘impediamo che Merlin venga trucidato in nome del insensato odio di Uther verso la magia’ da trasformarsi in una terrificante mamma chioccia, un orecchio sempre attento ad ogni bisbiglio – e in una corte ampia quanto quella di Camelot di sussurri ce n’erano a bizzeffe -, un occhio sulle sue iridi per scorgerne il bagliore dorato e la mente sempre fervente per inventare e memorizzare spiegazioni disparate e sempre più fantasiose sul perché il suo servitore fosse un mago con la testa ben attaccata al collo. E nemmeno un poco abbrustolito.
Questo, se all’inizio aveva divertito e intenerito Merlin, alla lunga l’aveva logorato: non gli concedeva neppure la libertà di adoperare qualche piccolo trucchetto per alleggerire il lavoro, neanche poteva accendere il fuoco, nonostante tutte le volte che l’aveva fatto senza che quel decerebrato se ne accorgesse!
Ecco quindi spiegato perché s’era chiuso nelle stanze di Arthur per poter svolgere i quotidiani compiti affidatogli al meglio delle sue capacità.
La motivazione per cui ora si ritrovava a carponi sopra a un mugugnante Arthur la si doveva ricercare unicamente sull’indecente foga con cui talvolta questi spalancava le porte – nonché sulla sua smania di proteggerlo -, non di certo su di lui.
Beh, anche nel fatto che questa volta la porta non si era spalancata.
« Arthur? » gli si chinò ancor più vicino al viso, scrutando quel poco che poteva vedergli del volto attraverso le mani da cui l’altro stava mugugnando « State bene? » Il suo cuore di certo no, con quel assordante tonfo aveva creduto che stessero cercando d’abbattere l’uscio con un ariete.
« Certo che no, deficiente! » Chissà se il suo volto s’era infiammato unicamente per l’astio o anche per la misera figura appena fatta davanti alle sue stesse guardie, fortunatamente mandate immediatamente a chiamare Gaius dall’impiastro.
« Se avreste controllato prima di » ridacchiò, coll’immagine ricreata degli eventi nella mente era difficile evitarlo « approcciarvi alla porta non sarebbe accaduto. »
« Se non avessi chiuso quella dannata porta-- » lo spintonò, facendo per alzarsi, ma Merlin premette gentilmente una mano sulla sua spalla e dovette riappoggiare la regale testa sul poco consolo pavimento.
« Aspettate, fatemi vedere cosa vi siete fatto »
« Cosa che puoi benissimo fare anche su una sedia. Non ho nessuna intenzione di rimanere a pulire il pavimento, Merlin » E ogni sua parola era legge, sacra per ogni suo suddito e servo… non per Merlin, ovviamente.
« Uh-uh » gli diede ragione, concentrato unicamente nel riuscire ad esaminargli il naso. Gli cinse i polsi, costandoli e separandogli le mani mostrando ai suoi attenti occhi il naso tumefatto, sanguinante. Fece per allungare le affusolate dita sul suo contorno, voleva tastarne la forma per potersi assicurare che non si fosse rotto, ma una presa ferrea lo bloccò.
« Non pensarci nemmeno. » Doveva fare un gran male se gli occhi gli si erano inumiditi.
« Ma-- »
« No. » Gli puntò contro il dito ammonitore - ormai per lui si chiamava così, l’indice non sapeva più cos’era – raccogliendo ogni grammo di rispetto e autorevolezza per apparire autoritario anche da sdraiato, malconcio e dolorante qual era.
« Come volete, sire. »
Per sottolineare quanto sì, lui era il suo signore, scattò in piedi scostando testardamente il mago, che lo scrutò - per nulla sorpreso da tutta quella asinarità – aspettandosi ciò che accadde poco dopo. Il forte e portentoso cavaliere barcollò e finì, la faccia smorta e bella quanto uno straccio con cui si ha pulito i pavimenti dell’intero castello, sulla sua spalla a vomitargli lungo la schiena.
« Quando imparerete a darmi retta? » borbottò colui che non doveva assolutamente pensare a cosa gli stava scivolando lungo la camicia.
Urgh.
 
« Come temevo… » Gaius aveva l’orrenda abitudine d’iniziare le frasi e lasciarne la fine unicamente per i suoi pensieri. O di mettersi a comunicare con Merlin a monosillabi, occhiate e sopracciglia.
« Cosa? » Ad Arthur pareva d’aver masticato un suo calzino o il stufato di ratto che l’idiota gli aveva rifilato – d’entrambi ne conosceva il sapore non per suo desiderio – e il sentore non voleva andarsene nonostante tutte le volte che aveva deglutito. Inoltre pareva che il farlo morire di sete fosse la nuova cura in voga.
« Non è nulla di grave, spero » Uther era giunto nelle sue stanze da poco, giusto in tempo per non sentirlo intimare di non rivelare come si erano svolti i fatti, sul volto quella apprensione ben celata che dava la fievole certezza al figlio che forse, in fondo, in qualche modo al padre importava di lui.
« Niente che un po’ di riposo possa curare; è solo un lieve trauma cranico e un naso rotto. Gli somministrerò un decotto a base di rosmarino per aiutare l’ematoma a defluire, per il resto ci vorrà solo un po’ di pazienza. » Lo fissò, il sopracciglio arcuato, saputo.
Merlin aveva fatto la spia.
« Bene. Ti assolvo da ogni tuo dovere quale erede. » fece per andarsene, ma si voltò e dimostrò di conoscere il figlio quando aggiunse « Non ti voglio vedere fuori da quel letto fino a quando Gaius darà il consenso. » Di per sé Arthur non era né pigro – amava poter passare ogni tanto un giorno nell’ozio e nel compiacere i suoi desideri – né irrequieto, ma se c’era qualcosa che lo rendeva smanioso pure nei suoi momenti più inclini al dolce far nulla erano la possibilità d’uno scontro, salvare damigelle e cavalieri (non si faceva mancare nulla) e addestrare le nuove reclute. Come poteva perdere l’occasione di rimarcare la sua superiorità fisica, tattica e di destrezza?
Arthur brontolò, piano, un sussurro, non era in grado di contrastare il padre in quello stato e sprofondò nelle coperte fin quasi al mento osservando malamente questi approcciare Merlin e invitarlo a controllare scrupolosamente il figlio affinché ubbidisse e non peggiorasse la situazione.
Come se lui non fosse presente e fosse sordo, nonché stupido.
 
« Non per dirvi ve l’avevo detto, ma-- »
« Come sta la tua camicia? »
Quanto desiderava prendere a schiaffi quel stupido sogghigno sodisfatto. Come se ci fosse qualcosa per cui essere fieri nell’aver imbrattato disgustamente un vestito.
« Meglio delle vostra faccia. » Si fece posto al suo fianco sul letto, una ciotola con un liquido strano (che guadagnò un occhiataccia da Arthur) in bilico su una mano.
« Cos’è quella roba? Dopo aver convenuto che farmi morire di sete impiegherà più del previsto avete deciso di avvelenarmi? »
« Magari… »
« Cosa? »
« Niente. » Checché se ne dicesse Merlin era ancora bravo a celare i fatti quando serviva realmente. Si posizionò meglio sul giaciglio, avvicinandosi cautamente col sedere al fianco e alla spalla del principe fissando il contenuto della ciotola che minacciava di suicidarsi sulle coperte regali.
« Che stai facendo? » Stava seguendo ogni sua mossa, coll’espressione di chi osserva un fenomeno di cui non capisce l’origine.
« Mi sto avvicinando »
« Hai intenzione di sederti sulla mia faccia? »
Arcuò un sopracciglio, mordendosi il morbido interno d’una guancia per evitare di ridacchiare, facendo il pensieroso, come se stesse valutando l’idea. « Uhm… no » lasciò libero il divertimento, facendogli ammantare quell’innocente intimità che li univa, vicini come non erano mai stati « credo che vi lascerò l’emozione d’avere il mio sedere sulla faccia per un'altra volta, se non vi dispiace. »
« Se non-- Nessuno vuole il tuo culo sulla faccia, Merlin! »
Merlin poteva vedere come gli fremevano le mani nel voler afferrare qualcosa e lanciarglielo contro. Per fortuna sua al regal babbeo pareva trovarsi in sella a un destriero imbizzarrito da quanto gli vorticava la testa.
« Mi sono messo qui » si protrasse verso il comodino e agguantando il cucchiaio ritornò a sghignazzare sulla faccia dell’asino « perché vi devo imboccare. »
« Che--? Non ho nessuna intenzione di farmi imboccare. Dammi qua. »
« No! » allontanò la ciotola dalle grinfie del principe, certo normalmente non l’avrebbe avuta vinta, ma il capogiro che abbatté il regale appena questi alzò il capo dai cuscini lo aiutò « dovete rimanere fermo nella posizione in cui vi ha messo Gaius almeno fino a domani, e bere piccoli sorsi, lentamente » spiegò così la presenza del cucchiaio con cui s’era armato.
« Non c’è un altro modo..? »
Merlin lo comprendeva, era mortificante la sola idea di dover dipendere fino al punto di potersi nutrire solo con l’aiuto di qualcun altro, sapeva che non stava rifiutando il suo aiuto, l’avrebbe fatto con chiunque; ricordava come anche lui fosse recalcitrante quando, una volta passata quell’età per cui lo si lasciava fare per cause di forza maggiore, sua mamma lo imboccava durante quel paio di brutte febbri che aveva passato.
« Uhm… potremmo fare una cosa che a Gaius non piacerà-- »
« E che non uscirà da questa stanza »
« Sì »
« Sarebbe? »
« Il trucco sta nel non spostare troppo i cuscini, così dopo ritornerete nella posizione giusta, e permettervi di alzarvi abbastanza da bere senza sporcarvi o soffocarvi » poggiò l’intruglio, e s’alzò, piegandosi per togliersi gli stivali « quindi mi metterò dietro di voi e vi appoggerete a me. »
« Cosa? Non ho nessuna intenzione di stare-- »
« Abbracciato? » ridacchiò il mago, alludendo a come aveva reagito quella volta all’idea.
« Sì! Non è-- »
« Su, non fatene un dramma. Vi assicuro che non andrò a dirlo in giro. »
« Non pensarlo nemmeno » Ed ecco ritornare il suo caro compare dito ammonitore.
« L’idea non mi ha nemmeno sfiorato. » Gattonò sulle coltri, finendo per mangiarsi un sogghigno accucciato al suo fianco. Intrufolò un palmo sotto alle sue spalle, lo sguardo attendo di Arthur che ne osserva i movimenti, e con l’altro gli sorresse la nuca. « D’accordo… alzatevi lentamente » Ne seguì le movenze, accompagnandolo con cura e appena reputò d’avere a disposizione abbastanza spazio si infilò fra la forte schiena di Arthur e i soffici cuscini.
« Bene » soffiò, cercando di non mangiare qualche bionda ciocca « siete comodo? »
« Per niente » si mosse guardingamente, non adorava particolarmente i capogiri e la nausea, finendo per scivolare contro il caldo petto di Merlin e per appoggiargli il capo sotto al collo. « Così è sopportabile. »
Merlin si accasciò sui guanciali, quell’asino pesava, e gli porse la ciotola, tenendolo ben fermo al suo petto, un’ampia mano sul suo cuore. Sorrise, le labbra a sfiorare quella chioma testarda, e silenziose lettere andarono a promettersi di ricordare con dovizia all’asino come in realtà s’erano abbracciati e al suo cuore come quel dolce calore si stava diffondendo da lì, dove stava raccogliendo a sé Arthur ad ogni parte del suo essere.
Arthur finì fino all’ultima goccia di quel disgustoso intruglio e, nel morire del sole, una dolce quiete scese su di loro, li abbracciò, cullandoli e li condusse nel sonno di chi è amato.

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Capitolo 2
*** Dalia ***


Beta: Skadi
Conteggio parole: 742 (fdp)
Prompt: #7 Dalia (Eleganza e dignità) della tabella Florigrafia I di think_fluff e #34 Sotto un albero per la Maritombola 6 di maridichallenge
Note: Uh, probabilmente la dignità l’ho persa da qualche parte mentre scrivevo (forse in qualche modo c’è, ma non posso garantire nulla) LOL non la mia ma quella del prompt (OMG spero di aver gestito dignitosamente i personaggi °A°) e, povero Arthur, credo di star sviluppando un insana – per lui – passione nel farlo ammattire.
 
 

Delicati raggi di luce gli accarezzavano il volto, pezzi di sole mossi dal vento e lasciati liberi di raggiungerlo dalle alte fronde, un silenzio piacevole lo lambiva e lo cullava nella quiete assieme al suo seguire con lo sguardo le dita lunghe, eleganti di Merlin.
Si raddrizzò contro il tronco della maestosa quercia e socchiuse le palpebre, una dolce pace a inebriargli le membra.
Col passare del tempo a seguito di Gaius Merlin doveva aver pur imparato qualcosa, e questo – forse – era proprio la scioltezza, la precisione e l’accuratezza con cui mescolava erbe e vari componenti (Arthur presumeva di non volerli conoscere, certe cose è meglio trangugiarle senza chiedere), il modo di sminuzzarle, di tagliarle, le movenze fine del polso nel amalgamare gli ingredienti, la profonda concentrazione in cui cadeva ogni qualvolta preparava un intruglio, come se ogni artefatto avesse la medesima importanza anche quando si trattava di un semplice brodo. Come questa volta.
Sbuffò, incredulo, facendo per sommergerlo di rimostranze per l’esagitata attenzione con cui stava cucinando, quando scorse il lieve piegarsi delle sue labbra, soffi lievi da cui lettere sussurrate stavano sfuggendo, erano morbide sulle parole, rosse e lucide quando la lingua le accarezzava ed erano maledettamente turgide, così piene da far desiderare di morderle, mangiarle come rosse e succose fragole di bosco.
Fece calare la notte sulle sue iridi e zittì il suo odioso senso estetico che l’aveva ammattito fino al punto d’arrivare a pensare che le labbra del suo servitore fossero belle. Sbattè il capo contro il legno, piano, cosicché la causa di tutti i suoi mali non facesse domande scomode. Ecco, probabilmente era stato tutta l’ansia per l’incolumità di quell’idiota a farlo impazzire, il suo cervello era talmente leggero e inconsistente che faticava a comprendere che non doveva praticare nessuna magia, neppure la più piccola e innocente, all’interno delle mura di Camelot.
E se quell’idiota stesse…
Sbarrò gli occhi e corse alle sue iridi, trovandole fastidiosamente similari al cielo come sempre.
« Cosa stai bisbigliando? » Se non un incanto?
« Uh? » alla risposta più arguta di tutto il regno seguì il tuffarsi del coniglio catturato dal principe nel brodo.
« Prima » seguì il stringersi delle sue dita attorno al coltello, le patate che perdevano la buccia « mentre aggiungevi erbe o quello che stavi facendo con il brodo… stavi dicendo qualcosa. »
« Ah, sì. Avete sentito qualcosa? » si bloccò, reclinando il capo con quella sua faccia da non credo d’aver capito bene. Faccia che vedeva fin troppo spesso su quell’idiota.
« No » si stiracchiò, la calma di quel luogo l’aveva sopraffatto relegandolo in una piacevole inerzia, e rispose con una smorfia al ghigno che stava nascendo sul suo volto.
« Allora come… mi stavate fissando la bocca? »
« Cosa? No! » incrociare le braccia al petto era segno di quanto fosse fermo su questo punto. Una cosa simile non era assolutamente accaduta. « Per quale assurdo motivo dovrei farlo? »
« Non saprei… » oh, si vedeva perfettamente la fatica con cui s’impediva di ridere « siete voi che lo stavate facendo. »
« Non stavo fissando alcunché, tanto meno la tua bocca… e poi è inguardabile! È così… così » lasciò che un braccio lasciasse il suo petto e si allungasse, muovendosi per aria alla ricerca d’un termine. Come poteva descrivere la bocca di Merlin? « È così… rossa! »
« E come dovrebbe essere? » orma le risa gli erano sfuggite, leggere si stavano poggiando fra di loro, nell’intima quiete sotto a quel magnifico albero che li custodiva.
« Non così! » Bene, da quanto Merlin stava ridendo ora sapeva che se in caso fallisse come cavaliere poteva divenire un ottimo giullare di corte. « Lasciamo perdere, va bene? »
« D’accordo. » Lo graziò Merlin dal cocente imbarazzo del dover ammettere che sì, l’aveva fatto. Di certo non per colpa sua, brontolò fra le sicure pareti della sua testa, guardare in faccia la gente era una normale prassi per poter iniziare una conversazione e le labbra rientrava nella definizione di faccia. Se poi queste si mettevano a muoversi senza far uscire una singola parola era normale rimanerne incantato – no, no, interessato, questo è il termine coretto – per cercare di capirne la causa scatenante. Null’altro.
Ora perché diamine Merlin perseguitava nel voler far mostra di quel stupido sorriso? E… oh, mio Dio, gli stavano brillando gli occhi! Cosa aveva da essere felice?
Stupido Merlin.



Na: questa credo che sia la mia preferita (di quelle che ho scritto fin ora), nel senso che adoro come finisce e, boh, spero che vi piaccia almeno la metà di quanto piaccia a me u.u

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Capitolo 3
*** Narciso (incertezza) ***


Beta: Skadi
Prompt: #9 Narciso (incertezza) della tabella Florigrafia I di think_fluff
Conteggio parole: 1809 (fdp)
Prompt: #9 Narciso (incertezza) della tabella Florigrafia I di think_fluff
Note: Come sono arrivata a questo, beh, non lo so. So solo che volevo scrivere di Lancelot e che è troppo carino e amoroso con Gwen e… sì, ho rivisto l’episodio in cui lui rinuncia al suo amore. È da quando la conosco che dico che la BBC è cattiva. Uh, non è molto fluff, a dire il vero, però mi serve per aprire un discorso che tratterrò più avanti e sentivo il desiderio di parlarne.
Un enorme bacione a lululove2 e a hiromi_chan per aver recensito il capitolo precedente :3
Ps. È la prima volta che uso Gwen, ditemi come mi è venuta \o/


 
Se c’era una certezza nella sua vita da mago sfruttato e tiranneggiato da Arthur Pendragon il Principe degli Asini era questa: almeno una volta al dì doveva inciampare nel nulla o perdere qualcosa. La prima non era avvenuta quindi, di conseguenza, la seconda era ciò per cui si stava arrovellando da una buona mezz’ora macinando miglia su e giù dalle stanze della testa di legno (sua maestà la testa di legno) alla lavanderia. Un stivale non poteva scomparire in quel modo in corridoi quasi privi di mobilia!
Alla quinta - sesta? - volta che ritornava presso l’entrata della lavanderia decise di non volerne saperne più di cercare uno stupido stivale (come se Arthur potesse sentirne la mancanza) e, ancora carico delle vesti che avrebbe dovuto lavare, si diresse nelle cucine ad assetarsi e rubacchiare qualcosa da sgranocchiare, forte del fatto che normalmente a quell’ora era deserta.
Scaraventò a terra il carico, un clangore l’avvertì di aver preso per sbaglio una delle cinte del principe e si fiondò sulla brocca colma di sciroppo di sambuco di cui la cuoca ne era ghiotta. Se ne versò un generoso boccale e, sorseggiandolo, si voltò per appoggiarsi al mobile.
Lì, seduta al tavolo, Gwen lo stava guardando, divertita.
Merlin, elegantemente, sputacchiò la bevanda.
« Tutto bene? Scusami se non mi sono fatta notare.» Gwen era la personificazione stessa della dolcezza, così teneramente preoccupata per gli altri, così tremendamente affettuosa.
« No, uh, non è colpa tua se non ti ho vista. » Tossicchiò, raggiungendola e sedendosi di fronte « stavi leggendo? » le chiese, alludendo ai fogli sotto alle sue belle dita.
« Sì » un caldo sorriso le tinse il volto « ho… » accarezzò quelle che a Merlin parvero lettere e credette di vederla arrossire, gli occhi bassi « oh, non so se posso dirtelo » la vide torturarsi la morbida carne delle sue labbra, stranamente angustiata.
« Stai complottando per spodestare il re e diventare una bellissima e malvagia regina? » Le sussurrò protraendosi verso di lei, come se stessero effettivamente cospirando contro la Corona.
« Cosa? No! » Vederla ridacchiare l’acquietò, aveva percepito la tensione sul suo dolce viso. Credeva che se esistevano persone che meritavano d’essere felici fra queste c’era lei.
« Beh, allora puoi dirmelo » modellò le labbra nel suo sorriso un poco idiota e un poco malizioso, quello che era in grado di far vacillare Gwen, far sorridere Lancelot, far scoppiare dal ridere Gwaine e farsi guardare male dall’idiota regale.
« Io… » sbuffò, vinta dalla battaglia con il proprio bisogno d’un confidente e assottigliando la voce cominciò: « tempo fa ho rincontrato Lancelot »
« Quando? »
« Tre lune fa, quando sono andata a trovare mia zia Helewis e… » giocherellò con un angolo d’un foglio, spiegazzandolo, appianandolo, concentrandosi su quel dettaglio, timidamente restia a lasciarsi leggere il cuore. Nel rifuggire dai suoi occhi Merlin intuì cosa stesse passando sotto alla chioma riccioluta della sua amica: aveva ritrovato nello sguardo di Lancelot ciò che lui le aveva negato. « Ecco, ci siamo parlati e… gli ho chiesto se ogni tanto ci potevamo scrivere… lo so che è difficile, non si trova spesso qualcuno disposto a far arrivare una missiva, ma è sempre riuscito a mandarmi una lettera almeno una volta al mese e… » l’armonia della contentezza fece brillare il suo sguardo e l’alzò, era così profondo e intimamente legato ad un ricordo che stava rimembrando, come se ora non stesse vedendo il ragazzo seduto davanti a lei, ma l’uomo di cui stava parlando « oh, Merlin, Lancelot è così… »
« Lancelot » Non esistevano termini per descriverlo, entrambi s’erano infatuati dei suoi modi, del suo coraggio, della profonda lealtà ai suoi ideali, era così integro, forte e deciso e ammantato da una generosità che lo rendeva il cavaliere errante delle ballate cantate a corte, per cui le dame e le fanciulle sospiravano, in trepidante attesa che venissero romanticamente rapite.
Merlin faticava a capire se fosse stato il cuore di Gwen ad essere stato rapito per primo o quello di Lancelot.
« Sì… io… » Lasciò un lungo sospiro, simile al respiro trattenuto per colpa d’un enorme peso, e lo incatenò al suo sguardo, colmo d’amore e dilemmi, stringendo fra le dita le lettere « dimmi Merlin, si possono amare due uomini allo stesso tempo? »
« E come faccio a saperlo? » proruppe, fintamente offeso cosicché da strappargli un sorriso, convinto che l’unica cosa che potesse fare era alleggerire per quell’attimo i pensieri della fanciulla, perché per quesiti del genere credeva che non poteva giungere nessuna risposta al di fuori del proprio cuore.
E se mai si fosse sbilanciato, se una parola in più sfuggita dalle sue labbra l’avesse condotta fra le braccia di Lancelot lui non se lo sarebbe mai perdonato. Si sentiva un verme a sperare, con quella parte di cuore che Arthur s’era preso, che Gwen rimanesse fra le braccia di Arthur che ne riscaldasse il petto e lo proteggesse con il suo amore dalle tempeste della vita, così come lui non avrebbe mai potuto fare.
« Hai ragione, perdonami » le risa conquistarono le sue labbra per poi lasciarle pian piano finché non tramutarono in un sorriso, dolce « è che… Arthur è un uomo buono, coraggioso e gentile » Gentile? E quando? Dissentì il sopracciglio di Merlin « e si sforza sempre di capirmi, ma Lance » Ahi, nomignolo. Quanto si sono riavvicinati? « lui mi capisce subito, come se per lui fosse naturale e ci sono volte in cui ho la certezza che siamo destinati ad amarci… e… oh, sono una tale schiocca a crederlo, vero? »
« No, non lo sei » l’unico schiocco in tutta quella storia era quello che aveva inventato la parola destino. Non l’aveva conosciuto – probabilmente era anche morto -, ma l’odiava profondamente. « Sei solo innamorata, Gwen. »
Cercò di sorriderle, per confortarla nel dubbio che l’attanagliava, ma fu breve e mesto, un triste esemplare. Il petto gli doleva, ed era come se il respiro gli fosse stato tolto, divorato dalla bestia della tristezza, solo che quell’angoscia non apparteneva a lui, era costruita sull’affetto per Arthur, su ciò che il suo principe avrebbe provato nel sentire quelle parole, sulla morsa che avrebbe stritolato e annientato la felicità dal suo cuore.
 


« Avresti dovuto vedere la sua faccia, è stato impagabile! » litigò con uno dei minuscoli bottoni della casacca (secondo Morgana era più eleganti, ma per suo modesto parere erano solo stupidi e scomodi), ponderando se strapparli era una soluzione applicabile « certo, Sir Philemon è un ottimo combattente, ma quando si tratta di boria non lo batte nessuno. È insopportabile… Merlin! »
« Che c’è? » Osò inveire il suo servitore, trasudando fastidio. Come se spostare oggetti da una parte all’altra della stanza e ammucchiare a caso le sue vesti fosse di tale vitale importanza da non poter essere disturbato.
« Che ne dici di venire qui e adempiere ai tuoi compiti invece di saltellare come un matto per tutta la stanza? » La prossima volta che Morgana gli avesse regalato un altro vestito con quei diabolici bottoncini glielo avrebbe tirato in faccia.
Finalmente lo vide lasciar perdere le vesti che stava cercando di piegare (una rarità) e ne seguì i movimenti, aspettandosi una qualche battuta sul tenore di potreste anche imparare a gestire un paio di bottoni, sire.
Merlin iniziò a combattere contro i malefici bottoncini senza proferire parola.
Davvero strano.
Chinò lo sguardo dalla fronte corrugata accarezzata dai corti ciuffi – non se ne era accorto fin ora, ma Merlin li aveva lasciati crescere -, alle labbra tese, sottili e fastidiosamente ancora troppo rosse, fino alle dita affusolate che leste attaccavano il nemico, nervosamente, e poté scorgere nella solerzia silenziosa con cui combattevano che un pensiero stava tormentando il mago.
« Merlin posso vedere il fumo che ti sta uscendo dalle orecchie a forza di pensare, smettila. » Detestava vederlo talmente travolto dalle preoccupazioni da non rivolgergli la parola, ed ora sapendo quanto era stato costretto a celare e a mentirgli era determinato ad obbligarlo – più o meno delicatamente – a condividere con lui ogni peso, ogni incertezza.
« Non sto pensando a niente. »
« Certo… quindi prima mi stavi ascoltando, giusto? »
« Giusto »
« E..? »
« Cosa? »
« Cosa stavo dicendo? »
« Vi stavate lamentando. »
« Questo non dimostra che stavi ascoltando » infine la battaglia venne vinta e l’ultimo bottone fuggì dalla sua asola; Arthur lasciò alle mani di Merlin il compito di spogliarlo, aspettando la sua reazione, attento come durante una caccia.
« Avete ragione, ma non è colpa mia se quando parlate vi lamentate sempre » vide le sue iridi per un attimo, un battito di ciglia, il tempo d’un fugace sorriso, più simile ad una formalità che ad una beffa, e queste ritornarono sulle proprie mani, attente nel spogliarlo.
S’accigliò confuso, alzò le braccia, si sedette, allungò alternamente le gambe rendendo Merlin il suo burattinaio, concentrato sulla chioma corvina china su di lui, sulla mancanza innaturale dei suoi borbottii, delle sue rimostranze, degli insulti e delle canzonature.
« Merlin? » C’era così tanto in quel corpo apparentemente fragile, ma così forte e stupidamente leale; Arthur s’era trovato ingarbugliato nelle sue parole irrispettose, nella facilità con cui dava la sua vita per lui e nelle sue iridi rubate al cielo, e nella lunga notte priva di luna in cui ogni menzogna era caduta aveva giurato di proteggerlo contro tutto e tutti.
Anche dal suo stupido cervello.
Per cui se non desiderava condividere ciò che lo turbava, d’accordo, l’avrebbe tormentato il giorno seguente (era troppo fiacco quella sera), però voleva perlomeno toglierli da quella sua dura testaccia il pensiero funesto che l’aveva colto.
« Uh? » Merlin sbucò dall’armadio in cui era finito (Arthur non volle immaginare quanto non era ordinato), ritornando da lui con le vesti spiegazzate nelle braccia.
« Domani » dato che il consolarlo non era un opzione (e come avrebbe dovuto farlo? Riempiendolo di parole smielate? Uh, no) poteva provare ad indispettirlo « verrai con me all’addestramento. »
« Che? Cosa avete intenzione di fare? » Arthur accolse con soddisfazione la nota d’agitazione insita nella frase, ora che il tono del mago non era più mesto sorrise, inorgoglito.
« Ti darò qualche lezione di spada »
« Cosa? È completamente inutile e poi sapete che non mi serve! »
« A te no, ma servirà agli altri per vedere cosa non bisogna fare in un combattimento » quando lo sentì insultarlo, infervorandosi nell’elencargli i motivi per cui era un asino e lo vide scaraventare malamente in un angolo le vesti smesse, Arthur seppe d’aver allontanato definitivamente qualsiasi cosa stesse tormentando l’altro.
S’addormentò con il sorriso sulle labbra e dormì profondamente, in pace col mondo.
Anche quel giorno aveva salvato Merlin.
 

Na: Arthur è un tale idiota (e adoro scrivere di lui che fa cose carine, ma in modo stupido)

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Capitolo 4
*** Bucaneve (speranza) ***


Prompt: #2 Bucaneve (speranza) della tabella Florigrafia I di think_fluff
Conteggio: 924 (fdp)
Disclaimer: I personaggi appartengono alle leggente arturiane alla BBC e VI ODIO BASTARDI DOVEVA FINIRE PROPRIO IN QUEL MODO? 
Contesto: In un mondo idilliaco da qualche parte durante la terza stagione, dove ogni futuro cavaliere di Arthur non viene immancabilmente esiliato da Uther #LOL
Note: Quando, qualche mese fa, rividi l’episodio in cui Morgana scopre d’essere la figlia naturale di Uther mi venne automatico chiedermi: e se Uther l’avesse riconosciuta lei sarebbe comunque andata avanti con la sua vendetta? Premessa che non centra quasi niente con la storia LOL

Note(2018): Allora... sto cercando di riprendere a scrivere per cui mi sono ritrovata a spulciare fra le (troppe troppissime) storie che avrei da finire e questa ha avuto la meglio. Ho scribacchiato qualcosa di nuovo, intanto posto la quarta parte che all'epoca (OMG 2015) avevo dimenticato di pubblicare (sperando che ci sia ancora qualcuno che legga da queste parti :D)

 

 

Sottili fili d’oro intrecciati si posarono sul capo di Morgana e la elessero come Pendragon, seconda sola a Arthur nella casata. Lei, una dea d’inchiostro e di neve, sorrise al padre che l’aveva appena accolta e mostrata come sua al regno e Merlin si chiese quanto in quel morbido distendersi di labbra vi fosse di vero.
« Forse vi è ancora una speranza per il suo cuore. » Gaius gli si fece più vicino, cosicché le parole fossero solo per le sue orecchie.
« Forse » Arthur ora stringeva con affetto un braccio della strega e quanta felicità Merlin vide sul suo volto, era un sole nel nulla della notte, e lo vide nell’incresparsi delle sue labbra, nella mano ancorata a lei il desiderio d’abbracciarla.
Promise al suo cuore d’ucciderla se avesse tradito Arthur.
« Non cercare di vedere sempre tutto in negativo, ragazzo. » Merlin volle voltarsi per poterlo convincere con la forza del suo sguardo del contrario, ma non ne ebbe la forza. C’era così tanta speranza su quel volto percorso da dolori e tormenti vissuti che non volle togliergli quell’attimo d’ingenua contentezza.
Tornò sull’oro e il vermiglio dei Pendragon, sui loro cuori beati e sul sereno cielo che cercò i suoi occhi e il suo sorriso.



« Merlin » biascicò il principe degli stolti, abbandonato sul letto con stivali e tutto. Tanto dopo avrebbe dovuto scrostare lui le coperte, chi se ne frega, uh?
« Che c’è? » Merlin non si voltò neppure, spolverò alla meglio la regale giacca che il regale asino aveva elegantemente buttato a terra e la ficcò malamente nell’armadio.
« Merlin, a volte penso che dovrei farti frustare per come ti rivolgi a me. »
« A volte penso che non dovreste pensare » raccattò le vesti per la notte, squadrandolo attentamente. Le gote rubiconde, occhi languidi, voce sottile e strascicata: s’era portato alle labbra fin troppo vino. « Aspettate, mi correggo: non dovreste mai pensare, vi fa male. »
Peccato che anche quando evitava d’elucubrare non ottenesse grandi risultati.
Come ora: il lanciargli addosso un cuscino non aveva di certo avuto bisogno d’un esercizio mentale (se fosse stato sobrio sarebbe arrivato alla conclusione che era meglio optare per uno stivale).
« Sta zitto » rotolò su un fianco, per poco non cadde dal letto, e sbrodolò qualcosa sulle coltri. Arthur da ubriaco sbavava e latrava come i suoi cani.
Merlin ridacchiò. Cane da ubriaco, asino da sobrio. Era difficile scegliere quale dei due paragoni era più esilarante.
« Avete intenzione di dormire così? »
« Mh… è bello che mio padre sia felice » mugugnò dal nulla, coerente come solo i seguaci di Bacco potevano essere. Strofinò la faccia sulla coperta, sfregando poi le gambe sulla fine del materasso. Il mago l’osservò cercando di capire cosa tentasse di fare, ridacchiando quando comprese che voleva togliersi gli stivali in quel efficace modo. « E anche Morgana. Lui è felice perché Morgana è felice e lei è felice perché lui è felice »
« Se lo dite voi » Dubitava che Morgana lo fosse per suo padre.
« Certo che lo dico io! »
« Sono piuttosto sicuro che l’avete detto voi » oh, come si poteva evitare di ridergli in faccia? Avrebbero dovuto premiarlo per la solerzia con cui si dedicava nel rimanere serio. Tanto, per quanto era brillo il suo signore (babbeo) non si sarebbe neppure accorto del sogghigno che brillava sul suo volto.
« Ed è così! » Il primo stivale, finalmente, fu tolto. Se Arthur fosse rimasto un poco fermo avrebbero già finito. « E io sono felice perché loro sono felici »
« Beh, buon per voi. » Stranamente il secondo stivale glielo tolse facilmente. Alzò lo sguardo e vide che lo stava fissando con cipiglio severo.
« Dovresti essere felice. » si sedette con tale enfasi che per poco non si spiaccicò contro il suo naso « Perché non sei felice, Merlin? »
« Certo che sono felice » Vostra sorella è una strega e ha tentato più volte di uccidere il Re « non vedete? » Avrebbe potuto gareggiare per il primato del più credibile sorriso falso del regno.
« Merlin » i suoi palmi si posarono sulle guance del mago e lui sperò che domani al ricordo Arthur sarebbe stato imbarazzato almeno la metà di quello che lui ora era. « Devi essere felice, capito? »
« Perché devo essere obbligatoriamente felice? » gli strinse i polsi, non seppe se per prevenire che l’asino cambiasse idea e scendesse sul collo per strangolarlo o se per tentare di togliersi le sue mani da dosso.
« Perché io sono felice. » Il sorriso che gli fece, oh, avrebbe potuto sciogliere il ghiaccio perenne del più alto monte, intenerire un cuore di pietra, far ardere d’amore un anima di pece e togliere il peso d’un grande futuro dalle spalle d’un giovane mago.
Merlin gli sorrise ed era così facile farlo con la quiete e la serenità che vide sul suo volto; era così bello Arthur nella dolcezza dei suoi lineamenti piegati al più sincero sentimento che esistesse (Merlin sapeva quanto era difficile far finta d’essere felici), che gli sarebbe stato impossibile non far somigliare le loro espressioni. Ridacchiò, ebbro di Arthur, e ogni cosa che non fossero la voce, gli occhi e il volto del principe scomparve, dimenticò il rossore sul volto per il calore delle sue mani, dimenticò di non aver toccato vino, dimenticò il suo respiro che gli accarezzava le labbra e s’annullò in quell’attimo di felicità appartenente unicamente a loro.



 

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