The Outlaw Team

di ChrisAndreini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 15 anni dopo ***
Capitolo 3: *** L'alba di una nuova era ***
Capitolo 4: *** Supereroi che la DIS non può controllare ***
Capitolo 5: *** Su la maschera ***
Capitolo 6: *** Tre eroi sono meglio di due ***
Capitolo 7: *** L'Outlaw Team ***
Capitolo 8: *** Silenzio stampa ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


The Outlaw Team

 

Prologo

 

L’oscurità avvolgeva il vicolo silenzioso e solitario della zona più malfamata della città, dove due ragazze si erano con incoscienza andate ad infilare in un goffo tentativo di scappare dai tre grossi e massicci criminali che avevano loro tagliato la strada mentre tornavano a casa da scuola.

Un muro si parò davanti a loro, e senza fiato iniziarono a cercare una soluzione, una scappatoia, da quella strada senza uscita.

Ma i brutti ceffi avevano bloccato ogni via di fuga.

-Vi prego, non fateci del male- supplicò una delle ragazze, mettendosi in ginocchio con le lacrime agli occhi.

L’amica prese una pietra da terra e si mise davanti a lei, cercando di proteggerla, ma consapevole di non avere i mezzi e le abilità per farlo.

-State lontani da noi! O ve ne pentirete- li minacciò, con voce fin troppo acuta per risultare minacciosa.

Tremava per il freddo della notte e la paura dell’attacco, e non aveva idee su come salvarsi da quella situazione.

-Oh, ma guarda, la ragazzina vuole fare la dura. Che dici, la prendiamo per prima?- uno dei brutti ceffi, un uomo muscoloso e dagli occhi piccoli e maligni, si rivolse ai compagni, che ridacchiarono con crudeltà, prima di prenderle il polso e disarmarla con un semplice gesto della mano.

-Allora, dimmi, sarai tu a farmene pentire?- chiese divertito, stringendole forte il braccio e facendole emettere un gemito di dolore.

-No, ma… i supereroi… arriveranno…- disse lei con un filo di voce.

-I supereroi? Può essere. E allora prenderemo anche loro- detto questo, il criminale strinse il pugno libero, che prese fuoco, dimostrando il suo potere celato.

I suoi colleghi fecero altrettanto. Uno di loro evocò un muro di roccia alle loro spalle, bloccando l’eventuale accesso di supereroi, mentre l’altro allungò le braccia per bloccare la ragazza ancora inginocchiata a terra, e ammutolirla perché aveva iniziato ad urlare, per paura o per chiedere aiuto.

-Nessun supereroe riuscirà mai a batterci!- esclamò il criminale con poteri di fuoco, esibendosi in una crudele risata maniacale. 

Ma quando tutto sembrava perduto per le povere ragazze, due figure piombarono dall’alto nel vicolo, sorprendendo i tre criminali.

-Vogliamo scommettere?- disse la più grande, una donna di 25 anni dai mossi capelli castani e due stupendi occhi azzurri.

-Oh, no! È Reality Maker, insieme a sua sorella!- esclamò il criminale allungabile, facendo un passo indietro e tenendo stretta la ragazza fifona utilizzandola come scudo umano.

-Farete meglio ad arrendervi se non volete fare una brutta fine!- li minacciò la sorella minore, di anni 20, che esibiva con orgoglio gli stessi capelli castani ma occhi verdi.

Senza aspettare risposta dagli assalitori, la più giovane si alzò in volo, ed usò la sua superforza per abbattere il muro alzato da uno dei brutti ceffi. Poi, con la sua telecinesi sollevò in volo i bidoni della spazzatura, che colpirono tutti i criminali mandandoli KO e…

-Ma dico, ti senti?- la rimproverò la sorella maggiore, facendola fermare un attimo.

-Cosa?- chiese la ragazza senza capire.

-Superforza, telecinesi e volo? Sul serio, Eryn?- incrociò le braccia, riportandola alla realtà.

Ovvero nel salotto di casa sua, dove con sua sorella stava giocando con le bambole fingendo che fossero supereroine potentissime in lotta contro il crimine.

-Maddie, non capisco quale sia il problema…- obiettò confusa, rigirandosi la sua bambola tra le mani e guardando sua madre, Deborah Jefferson, in cerca di aiuto.

Aveva solo cinque anni, mentre la sorella ne aveva già dieci, quindi sicuramente aveva ragione, solo che Eryn non lo capiva comunque.

-Mi chiamo Madison! E comunque, non puoi avere tutti quei poteri- cercò di spiegarle lei, con tono di superiorità.

-Ma papà può trasformare il suo corpo in tutti gli elementi che vuole, e tu puoi farlo con… eh… tutto… no? Sono tanti poteri- cercò di spiegarsi, continuando a lanciare occhiate incerte verso sua madre, che cullava suo fratello Robin, che aveva da poco compiuto due anni, senza badare molto a quello che facevano le figlie ma lanciando occhiate preoccupate al telefono.

Probabilmente loro padre era in ritardo e non era una buona cosa.

-No! È un solo potere: potere di modifica parziale della realtà! E come tutti i poteri ha un limite e soprattutto è singolo! Devi informarti meglio. Vero mamma?- Madison attirò l’attenzione della donna, che si girò a guardarle colta alla sprovvista ma grazie alla sua abilità riuscì a ricapitolare nella sua mente tutto il discorso appena fatto e dare una risposta che potesse piacere a entrambe.

-Madison, hai ragione, ma tua sorella ha solo cinque anni e non è al tuo livello di studio. E poi è solo un gioco. Sai che non ha poteri, lasciale scegliere quelli che vuole almeno mentre giocate. Neanche la rappresentazione dei cattivi era molto realistica- rispose mite, sorridendo incoraggiante ad entrambe le figlie e posando a terra Robin, che iniziò a gattonare verso le sorelle, incuriosito dal loro gioco, ma senza comprenderlo affatto.

Madison sospirò e alzò gli occhi al cielo, ma poi alzò le spalle e cedette.

Per lei sua madre aveva sempre ragione.

-Ah… come sono i cattivi?- Eryn invece era più curiosa. Si alzò in piedi, sempre tenendo stretta la sua bambola, per avvicinarsi alla madre e si arrampicò con difficoltà sul divano dove era seduta.

-Non hanno mai abilità magiche, o comunque sono molto molto rari quelli che le hanno. La DIS…- iniziò a spiegare paziente Deborah, sempre tenendo sotto controllo il telefono con aria un po’ preoccupata, e venendo subito interrotta dalla figlia maggiore.

-La DIS: Divisione Internazionale Supereroi, tiene sotto controllo costante tutte le famiglia di superumani in circolazione, e sotto la sua vigile sorveglianza è impossibile che qualcuno decida di diventare supercattivo. E se anche volesse, i nostri genitori li catturerebbero in un attimo e li rinchiuderebbero nelle segrete della DIS dove i loro poteri sono bloccati- spiegò da maestrina, avvicinandosi, orgogliosa di sé stessa e aspettandosi un qualche riconoscimento da parte della madre.

-Esattamente Madison. Il più grande rischio sono i supereroi nati da famiglie senza poteri, ma è un evento molto raro. Robin! Non si mangia!- Deborah si alzò di scatto e si diresse con grande velocità verso il figlio, che era in procinto di infilare la bambola di Madison in bocca, e che però le sfuggì con riflessi ben più veloci dei suoi catapultandosi come una saetta da una parte all’altra della stanza deciso ad assaggiare il giocattolo.

-Tranquilla mamma- Madison schioccò le dita e la bambola divenne un ciuccio gigante.

Deborah tirò un sospiro di sollievo e riuscì con una certa difficoltà a riprendere il figlio in braccio, togliendogli la bambola-ciuccio dalla bocca e rilanciandola alla figlia che eliminò l’incantesimo e la strinse con fare protettivo e una grande soddisfazione personale.

-Grazie Madison. Robin! Ti ho detto mille volte di non mettere oggetti in bocca!- lo sgridò, facendolo ritirare dispiaciuto.

Poi sospirò e lo rimise nel box, realizzato apposta per impedirgli di uscire nonostante i suoi poteri di velocità e riflessi sensazionali. Messo al sicuro il figlio riprese il telefono, decisa a chiamare il marito che stava facendo davvero tardi, e dirigendosi in cucina per non preoccupare le figlie.

Non riuscì nell’intento, perché Madison capì subito che qualcosa non andava, e fissò la porta dove la madre era sparita come cercando di vederci attraverso.

Eryn si avvicinò al box del fratello e sollevò una mano verso di lui, che la osservò per un po’ curioso per poi mandarle una piccola scossa sul dito per evitare che lo toccasse, e scoraggiandola dal continuare ad guardarlo.

-Allora, Eryn, vuoi continuare a giocare?- le chiese Madison, distogliendosi dall’osservazione della porta e cercando di distrarsi un po’, anche se non sembrava molto convinta dalla sua stessa proposta.

-Sì! Posso avere tutti i poteri che voglio?- chiese la minore speranzosa, tornando sul terreno di gioco dove i tre criminali, interpretati da due peluche morbidi e un pupazzo allungabile, tenevano ancora in ostaggio le due ragazze, rappresentate da due barbie bionde vestite da scolare giapponesi.

-Che poteri hai in mente?- chiese la sorella mettendosi davanti a lei e pettinando i capelli della bambola che la rappresentava, senza guardare la sorella minore negli occhi per evitare di mostrarle tutta la sua disapprovazione.

-Beh, io pensavo alla super forza, saper volare, telecinesi, poter creare uno scudo e…- iniziò ad elencare lei emozionata, facendo degli inconsulti gesti con le mani come se possedesse davvero i poteri che stava elencando.

-Quattro poteri bastano- la interruppe Madison irritata.

-Ma il quinto è il più bello!- cercò di convincerla lei, con occhi brillanti.

-Non mi interessa. Quattro bastano e sono anche troppi. E poi sono poteri base davvero banali, non credo che il quinto sarebbe tanto meglio. Se vuoi continuare a giocare, giochi solo con questi quattro- le impose lei, trasformando con i suoi poteri i pupazzi in figure più umanoidi uguali a come si immaginava i cattivi, e facendo lo stesso con le bambole che rappresentavano le due sorelle.

-Uff, va bene- cedette Eryn, riprendendo lo scontro da dove lo avevano interrotto.

-La sorella minore aveva mandato KO i tre assalitori, e volò su quello che teneva la ragazza come scudo umano per prenderlo a pugni e fargliela mollare- Eryn imitò la scena con le bambole mentre, annoiata, Madison portava con molta più eleganza la sua verso il capo del gruppo che ancora teneva una delle ragazze per un braccio.

-Reality Maker sollevò la mano, e il pavimento diventò sabbia mobile, che inghiottì i criminali abbastanza da impedir loro di muoversi. Poi lo trasformò in cemento, recuperò le ragazze dalla loro presa lenta e chiamò la polizia per arrestarli. Fine del gioco!- concluse, alzandosi in piedi e facendo tornare i giochi come erano prima. Buttò la sua bambola nella mischia, e si diresse verso la cucina senza dare neanche un’occhiata alla sorella minore.

-Ehi! Ma io stavo affrontando quello che si allungava. E poi non mi hai dato la possibilità di usare lo scudo- si lamentò Eryn senza alzarsi.

-Non devi mostrare i tuoi poteri per forza, ma solo utilizzarli nel modo più utile per risolvere la situazione. Ma in ogni caso non ti deve interessare. Tu non sarai mai una supereroina- le spiegò Madison, fermandosi quando dalla porta della cucina Deborah uscì, ancora parlando al telefono, diretta probabilmente in camera.

Si accorse delle figlie e fece loro cenno di restare lì e che andava tutto bene. Il suo sorriso non nascondeva però la sua crescente preoccupazione.

-Sta succedendo qualcosa- commentò Madison, affrettandosi a sedersi sul divano e accendendo la televisione nella speranza di capire cosa affliggeva sua madre così tanto e perché suo padre ancora non era tornato nonostante si approcciasse l’ora di cena.

-Maddie, perché pensi che non ce la posso fare?- chiese Eryn, che al contrario non stava avvertendo i segnali e pensava solo alle parole della sorella.

-Uffa, Eryn. Mamma e papà te lo hanno detto mille volte: tu non hai poteri! Non potrai mai essere una supereroina! Sei proprio ridicola a sperarci ancora- Madison sbuffò infastidita.

Non era la prima volta che avevano quel tipo di confronto.

Eryn abbassò lo sguardo, e fissò il fratellino, che si annoiava e per divertimento creava scintille e si spostava con i suoi riflessi fulminei da una parte all’altra del box.

-Perché non ho poteri? Non lo capisco. Magari mi arriveranno tardi- insistette, speranzosa ma con le lacrime agli occhi.

Madison ascoltava con interesse il telegiornale, dove Pierrick Fontaine trasmetteva in diretta uno scontro in una banca dove il celebre supereroe Mr. Change, padre delle ragazze, affrontava da solo una banda di rapinatori.

Ma la registrazione era scadente, la voce bassa e Madison non capiva se suo padre stesse bene e soprattutto se stesse vincendo.

L’insistenza della sorella, quindi, non fece che irritarla maggiormente.

-Senti, Eryn. Già i supereroi sono in difficoltà! Non abbiamo bisogno di una fallita come te. Non avrai mai superpoteri, altrimenti li avresti già mostrati. Rassegnati a lascia lavorare quelli che ne hanno le capacità!- la sgridò, per poi alzare il volume della televisione per capire meglio le notizie.

Eryn abbassò lo sguardo, ormai annebbiato dalle lacrime, e si morse il labbro inferiore per non ribattere.

Dopotutto la sorella aveva ragione.

Sospirò, strinse la bambola che non aveva lasciato dall’inizio del gioco, e decise di andare in camera e giocare da sola.

Se nella realtà non sarebbe mai stata potente, tanto valeva rifugiarsi nella sua fantasia.

E poi aveva solo cinque anni, tante cose potevano cambiare fino all’età adulta.

Magari i suoi poteri si sarebbero sviluppati con molto ritardo. Magari avrebbero creato tecnologie così potenti da permettere a chiunque di intraprendere la carriera di supereroi. Magari la sua passione per la giustizia sarebbe scemata e con il passare degli anni avrebbe deciso che la sua vera vocazione era il disegno, o la medicina, o legge.

Di certo l’ultima cosa che riteneva possibile era che di lì a pochi anni i supereroi sarebbero stati banditi come professione, controllati in modo maniacale e obbligati ad utilizzare i loro poteri secondo il volere della DIS senza poter più decidere il proprio futuro.

Eppure fu esattamente quello che accadde.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Non so neanche cosa sto facendo.

Mi rigirava da un po’ l’idea di una fanfiction originale sui supereroi e ho pensato… perché no! Tanto probabilmente non la leggerà nessuno quindi non devo avere l’ansia per gli aggiornamenti e ho bisogno di scrivere qualcosa di originale e di ricevere eventuali feedback.

Spero che la storia piaccia a qualcuno, spero che i personaggi siano ben caratterizzati e che le scene ben scritte e descritte.

Fatemi sapere che ne pensate, se volete. Nessuna imposizione. 

Ho preso leggera ispirazione da vari universi di supereroi, ma ho cercato di rendere il tutto il più originale possibile.

Gli aggiornamenti dipenderanno dalla mia voglia di scrivere e l’ispirazione (che per ora sono alte ma chissà in seguito), il tempo che ho, e, purtroppo è collegato con la voglia di scrivere, dal numero di recensioni o comunque dall’apprezzamento che la storia riceverà.

In ogni caso spero di non abbandonare la storia come metà  delle cose che scrivo.

Avverto che potrei cambiare il titolo e qualche piccola cosa di poco conto, ma è improbabile.

Alla prossima.

 

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Capitolo 2
*** 15 anni dopo ***


15 anni dopo

 

Eryn si chiedeva ogni mattina perché avesse deciso di restare in città per frequentare l’università, e ogni mattina non riusciva proprio a trovare la risposta.

Complice il suo avere la ricezione cognitiva di un vegetale da appena sveglia, il suo dormire circa cinque ore a notte e il suo svegliarsi costantemente ogni mattina a causa dei litigi di sua madre e suo fratello.

Quest’ultimi, oltretutto, erano il motivo per cui si faceva costantemente quella domanda in primo luogo.

Almeno funzionavano meglio della sveglia.

E quella fosca mattina di Marzo non fece eccezione.

Eryn sospirò e cercò di aprire gli occhi stanchi e recuperare lucidità, ponendosi per la millesima volta il quesito che non trovava mai risposta, e prima che riuscisse anche solo ad aprire gli occhi e a prepararsi mentalmente a un’altra ordinaria giornata divisa tra università e lavoro, suo fratello Robin entrò nella stanza, sollevando parecchio vento a causa della sua velocità e sbattendo la porta con furia subito dietro di sé. Si buttò poi sul letto, proprio sopra la sorella, tutto in una manciata di nanosecondi.

Sentendo il peso del fratello addosso, Eryn si svegliò del tutto, ma prima che potesse urlargli contro, lui sembrò accorgersi dell’errore e si diresse come un fulmine dall’altra parte della stanza, proprio accanto alla finestra le cui tende pesanti lasciavano comunque trasparire abbastanza luce da illuminare il suo profilo sottile.

Il bambino che da piccolo combinava un guaio dietro l’altro era cresciuto e diventato un ragazzo ancora più ribelle. 

Aveva superato entrambe le sorelle in altezza, Madison di poco, e il fisico slanciato era più forte di quanto si sarebbe detto considerato la sua pessima postura e il suo scarso, almeno per quanto ne sapeva Eryn, allenamento. I capelli fulvi ereditati dalla madre erano un groviglio disordinato che gli arrivava fino alle spalle, e gli occhi verdi, unico tratto genetico preso dal padre, erano sempre imbronciati.

Era davvero un bel ragazzo, ma con il suo comportamento perennemente capriccioso allontanava chiunque provasse ad avvicinarsi.

-Quando sei entrata in camera… sono in camera tua, vero?- chiese sbuffando, e portandosi una mano sulla fronte, infastidito.

-È la quinta volta questo mese! Un po’ più di attenzione, perdiana!- si lamentò Eryn.

Non era inusuale infatti che Robin, soprattutto durante le liti con Madison o sua madre, sbagliasse stanza o andasse a sbattere contro un muro.

Il suo potere gli permetteva una velocità decisamente fuori dal comune, oltre che elettricità, ma la sua mente non agiva allo stesso modo, e spesso il suo corpo la tradiva e combinava immensi casini.

Entrare nella camera della sorella era uno dei maggiori, almeno per la sorella in questione, che puntualmente si ritrovava dolente nel bel mezzo della lite e costretta, soprattutto, a svegliarsi.

-Ci provo! Ma anche tu, quando hai intenzione di trasferirti e lasciarmi questa camera?!- esclamò lui, sfogandosi anche su Eryn, che sospirò.

-Vorrei poterti dire presto, ma non ne ho la più pallida idea- sbuffò lei, chiedendosi ancora una volta perché aveva deciso di studiare in città.

-Allora, cosa è successo questa volta?- indagò poi, cominciando a stiracchiandosi ed esibendosi in un sonoro sbadiglio stanco.

-Niente che una “senzapoteri” possa capire!- si chiuse a riccio Robin, incrociando le braccia, dandole le spalle e rifiutandosi di dire alcunché.

Eryn lo guardò tristemente. 

-Bobi, non sono io la tua nemica, e lo sai. Allora, riguarda il bracciale, il localizzatore o la DIS in generale?- tirò ad indovinare, alzandosi e andando all’armadio per decidere cosa mettere.

Era meglio aspettare un po’ prima di uscire dalla stanza.

Robin sospirò, e si girò, decidendosi a parlare.

Era una testa calda, aveva vissuto un’infanzia pessima ed era in piena fase di ribellione adolescenziale, ma si sbolliva abbastanza in fretta, e voleva davvero bene a sua sorella, anche se lo negava con tutto sé stesso.

-Il bracciale, mamma…- iniziò a spiegare, per poi rigirarsi di scatto ed alzare nuovamente la voce -Mettiti qualcosa addosso!- le ordinò, arrossendo e mettendosi le mani sugli occhi, disgustato.

-Bobi, hai ormai quasi diciassette anni, vedere una ragazza in canottiera e biancheria intima non dovrebbe darti tanto fastidio. Sono anche tua sorella- lo prese in giro, indossando un paio di jeans presi a caso dall’armadio giusto per farlo contento.

-Appunto! Sei mia sorella! Che schifo! E comunque non chiamarmi Bobi! Non sono più un ragazzino!- oltre a sbollirsi in fretta, Robin aveva la caratteristica di bollire altrettanto rapidamente, e il suo umore compiva sbalzi rapidi quanto la sua velocità superumana.

-Sai, quando ti comporti così, lo sembri. Io ti do ragione, sulla DIS, sui bracciali e su papà. Ma devi capire che mamma sta facendo del suo meglio- tornò all’argomento principale, in tono mite, e lanciandogli un’occhiata preoccupata mentre, dopo aver selezionato i vestiti, si apprestava a rifare il letto.

Robin rimase immobile per un attimo, probabilmente soppesando le sue parole.

Poi scosse violentemente la testa.

-Beh, ha fatto davvero un pessimo lavoro!- esclamò, prima di lanciarsi a tutta velocità verso la porta, e sbattendoci contro.

-Devi allenare i tuoi riflessi mentali- gli consigliò Eryn, che aspettandoselo aveva lanciato il cuscino sulla porta giusto in tempo per evitargli un brutto bernoccolo.

Robin glielo gettò nuovamente addosso.

-Non dirmi cosa devo fare. E tanto per la cronaca, Eryn, solo perché tu sei la sorella che disprezzo meno non significa che puoi permetterti di trattarmi con superiorità- le intimò, aprendo la porta pronto ad uscire, ma senza utilizzare il potere, probabilmente per timore di andare nuovamente a sbattere e far cadere la sua scenata.

-Aww, allora mi vuoi bene? E io che pensavo preferissi Madison perché almeno lei ha dei poteri- lo prese in giro, fingendosi commossa, e scuotendo la testa lui uscì e si chiuse in camera sua.

Eryn alzò gli occhi al cielo, sorridendo rassegnata alla musoneria del fratello che rimaneva sempre costante con il passare dei giorni, e finì di rifare il letto.

Poi si diresse in bagno per una doccia veloce, si vestì e si avviò, ancora piuttosto intontita dal sonno, verso la cucina, dove sua madre stava già lavando i piatti lasciati dal fratello e da…

-Madison? Che ci fai qui?- chiese Eryn piuttosto confusa, adocchiando la sorella seduta al tavolo intenta a specchiarsi su un cucchiaio reso uno specchio perfetto grazie al suo potere per controllare che fosse perfettamente in ordine.

Madison alzò lo sguardo sulla sorella e le sorrise con cortesia, ma senza affetto, come sempre.

La bambina che da piccola la riprendeva per ogni errore era diventata una giovane donna di venticinque anni intelligente, bellissima e dai modi affabili.

Era la donna perfetta, in tutto e per tutto, dai lunghi capelli castani mossi e tenuti indietro da un elegante fascia fino ai tacchi neri perfettamente abbinati al tailleur del medesimo colore, della migliore seta in circolazione, ovviamente passando per gli analitici e brillanti occhi azzurri sempre circondati dal trucco perfettamente curato e una pelle di porcellana priva di qualsivoglia imperfezione.

Eryn si era sempre sentita inferiore alla sorella, fin da quando erano piccole, ma ormai si era abituata al fatto che non l’avrebbe mai superata, e ogni volta che veniva in visita si preparava psicologicamente per evitare di fare confronti o sentirsi inferiore.

Quel giorno non era affatto pronta a vederla, e sentì ogni sua imperfezione sulle spalle in modo più fastidioso del solito.

Il confronto era sempre inevitabile.

Avevano gli stessi capelli castani, ma, complice anche il fatto che Eryn non li aveva ancora pettinati dopo averli asciugati, quelli della sorella minore, nonostante fossero più corti rispetto a quelli di Madison, erano molto più disordinati. Il volto di Eryn, ancora non truccato, sembrava aver deciso di mettere in evidenza i pochi brufoli che ancora si trascinava dall’adolescenza. Il suo naso era sempre stato più grosso rispetto a quello della sorella e gli occhi erano verdi e acquosi, come alghe lasciate ad essiccare nella sabbia.

In più le sue unghie, sia delle mani che dei piedi, erano lasciate perlopiù a sé stesse, e spesso mordicchiate per l’ansia o lo stress.

Madison non sembrava voler placare il suo complesso di inferiorità, perché la squadrò da capo a piedi, con la sua costante espressione di giudizio.

Tempo un secondo e allargò il sorriso, che rimase però falso, come sempre.

-Non ci vediamo da una settimana, ho pensato di passare a fare colazione qui prima di andare a lavoro, e di dare un passaggio a mamma. La vedo stressata questi giorni- spiegò, sistemandosi accuratamente una lievissima sbavatura del rossetto e facendo tornare normale il cucchiaio.

-Gentile da parte tua, Maddie- le sorrise Eryn, un po’ forzatamente, per poi sedersi e versarsi una tazza di caffè.

-Madison- la corresse la sorella, gelida, ma sempre con il sorriso.

-Comunque buongiorno, mamma- Eryn fece un cenno alla madre, che sembrò rendersi conto solo in quel momento dell’arrivo della secondogenita, e ricambiò il saluto con un sorriso ben più caldo di quelli che le sue due figlie si erano scambiati.

-Spero che io e Robin non ti abbiamo svegliato. Quel ragazzo è impossibile a volte- sospirò, continuando a lavare i piatti.

I quindici anni precedenti non avevano dato molte gioie a Deborah Jefferson. 

Dopo una rapina in banca sventata dal marito al costo di alcune inermi vite umane che non era riuscito a salvare in alcun modo, la vita dei supereroi era a mano a mano crollata completamente, e ora vivevano reclusi, controllati tramite un localizzatore impiantato nel loro flusso sanguigno e un bracciale che avevano l’obbligo di indossare ogni volta che uscivano di casa, che annullava i loro poteri e li indeboliva fisicamente.

Se provavano a ribellarsi o a far valere i loro diritti erano messi KO e portati nelle carceri di massima sicurezza della DIS, da dove nessuno usciva fuori in nessun modo.

Alcuni supereroi avevano accettato il cambiamento a testa bassa, e lavoravano a stretto contatto con la DIS o conducevano umili mestieri come fossero persone normali. Era il caso di Deborah e Madison, la prima come semplice impiegata in segreteria e la seconda come agente di controllo e regolazioni delle leggi applicate ai supereroi.

Altri avevano cercato in tutti i modi di non far passare in vigore le leggi e pagavano un prezzo molto alto.

Quello era il caso del padre di Eryn, Steven Jefferson, un tempo il più grande supereroe del pianeta e ora costretto agli arresti domiciliari, scampato alla galera solo per via del suo antico splendore. Ma tanto valeva che lo avessero rinchiuso, visto le condizioni in cui era.

Lui e Deborah avevano divorziato, e ora tutto il peso della casa gravava sulle spalle della donna, responsabile di tre figli e con uno stipendio che le permetteva di prendersi cura a malapena di Robin e sé stessa.

Madison, per fortuna, aveva presto trovato lavoro e si era trasferita altrove, con alcuni amici conosciuti al college, ma Eryn non poteva permettersi di trasferirsi, sebbene avesse a sua volta trovato un lavoro in un negozio di oggetti particolari, il cui ricavato era usato per aiutare sua madre e pagarsi parte degli studi di giurisprudenza.

Lo stress, le lotte e il carico sulle spalle della donna, un tempo grande supereroina dai riflessi mentali eccezionali, erano così pesanti che ormai era ridotta ad un mero riflesso di quello che era un tempo, sia fisicamente che mentalmente.

I capelli fulvi erano diventati una massa grigiastra tenuta piuttosto corta, gli occhi azzurri dietro le lenti rotonde spesse un paio di centimetri erano stanchi e costantemente contornati da occhiaie profonde.

La corporatura era esile e non più allenata come un tempo e spesso, mentre faceva qualcosa di meccanico, la sua mente vagava in infinite possibilità che cercava di tenere a mente per garantire un futuro più sicuro ai suoi figli e per portarsi avanti con il lavoro in modo da non trascurarli, e finiva per perdere la concezione di tempo e spazio.

Uno dei punti deboli del suo potere.

Nonostante tutto tirava avanti, con forza e sicurezza, e cercando in tutti i modi di non farsi scalfire dai problemi della vita.

Solo che questo non era recepito da Robin, che continuava a considerarla la causa di tutto quello che era successo al padre.

Eryn non aveva mai preso parti, e il fatto che non avesse poteri e che la segregazione dei supereroi l’avesse colpita solo in parte la rendeva la più neutrale in famiglia, e al tempo stesso la più isolata.

Era l’unica ad andare d’accordo più o meno con tutti, e quella che tutti consideravano meno degna di attenzioni.

-Non preoccuparti, mamma. Ci sono abituata. Gli passerà presto- la rassicurò Eryn, sentendosi già più in forze dopo un bel sorso di caffè bollente, e addentando con avidità una ciambella.

Madison storse il naso a vederla così famelica, ma non fece commenti, e si rivolse alla madre.

-Non voglio criticare i tuoi metodi, mamma, ma gli lasci troppe libertà. Non mi stupirei se facesse la fine di papà. Dovresti davvero considerare un trattamento più duro e…- iniziò a proporle, affabile, ma Deborah la interruppe, in tono tranquillo ma con fermezza.

-Madison, ne abbiamo già parlato. Lasciami educare mio figlio come trovo sia più giusto e tu educherai un giorno i tuoi figli come meglio credi- le lanciò un’occhiata ammonitrice, e Madison alzò le mani in segno di resa.

-Cercavo solo di aiutarti, mamma. Mi dispiace vederti così stressata per colpa di quel bambino viziato- commentò stizzita.

-È solo una fase- sospirò Deborah, cercando di convincere sé stessa più che altro.

La replica di Madison venne interrotta da un tornado che entrò violentemente in cucina, prese il pranzo preparato dalla madre e posato sul tavolo e con un tonante -Non è una fase- uscì di gran carriera dalla porta di casa, cercando di non perdere l’autobus e facendo scattare l’allarme.

-Il bracciale!- gli urlò dietro sua madre prendendolo per portarglielo, preoccupata che la DIS arrivasse in fretta ad arrestarlo.

Madison fece un profondo respiro, cercando di rimanere calma nonostante il vento sollevato dalla velocità del fratello le avesse scompigliato i capelli accuratamente sistemati.

Con sguardo gelido, e con un sorriso di circostanza, commentò, senza neanche guardare Eryn ma parlando quasi tra sé: 

-Quel ragazzino non ha futuro- scuotendo impercettibilmente la testa.

Poi si rivolse ad Eryn, che cercava in tutti i modi di non ridere -Vado un momento in bagno, scusami- e con un sorriso che non nascondeva il suo fastidio, si alzò elegantemente ed uscì dalla cucina, proprio mentre Deborah rientrava, sospirando.

-Ho fatto appena in tempo. Non so che farei se la DIS venisse ad arrestarlo. Spero gli passi entro i suoi diciotto anni- commentò, con le lacrime agli occhi, sedendosi nel posto precedentemente occupato da Madison e cercando di riacquistare la sua compostezza.

Eryn lasciò un attimo perdere la ciambella per andarle accanto ed abbracciarla, cercando in tutti i modi di confortarla.

-Oh, Eryn, sono grata che tu non sei come noi- commentò, lanciandole uno sguardo amorevole.

Eryn le sorrise, ma non era d’accordo.

Lei avrebbe dato di tutto per essere parte di quel mondo, per sentirsi membro della famiglia.

E per combattere al fianco di suo padre contro l’oppressione dei supereroi.

Ma le sue erano solo sciocche fantasie, e ormai si era rassegnata al fatto che non sarebbe mai stata una supereroina.

 

L’ora di cittadinanza era in assoluto quella che Robin detestava maggiormente, e il motivo principale del suo costante malumore il mercoledì mattina.

Non che gli altri giorni della settimana andassero meglio, ma il mercoledì era addirittura peggio del solito, e di certo non aveva giovato vedere la faccia da so tutto io di Madison a colazione, che sembrava essere venuta apposta per dargli fastidio.

Almeno era riuscito a vendicarsi prima di uscire scompigliandole quei capelli perfetti.

Il grande problema che gli causava l’ora di cittadinanza era il farsi costantemente rammentare quanto lui e tutti i supereroi avevano perso per colpa della DIS, e la sua insegnante non faceva che sbatterglielo in faccia ogni volta che le si presentava l’occasione.

-Allora, oggi continueremo la nostra lezione sulle leggi entrate in vigore per salvaguardare i supereroi e privi di poteri. Ma prima un breve ripasso. Jefferson, mi sai dire le prime dieci regole che ogni supereroe deve rispettare?- come al solito, ogni volta che doveva ripassare qualcosa sui supereroi, Robin era chiamato in causa.

-No- rispose, come al solito, lui, con tono fintamente innocente.

Non era l’unico supereroe in classe, ma era di certo quello che creava più grattacapi, e l’unico con dei genitori piuttosto famosi, per motivi principalmente sbagliati.

-Suvvia, un piccolo sforzo, almeno le prime cinque, sei obbligato a conoscerle- lo incoraggiò lei, con un sorriso che tentava di non tradire il disgusto che provava nei confronti dello studente e di quelli della sua razza.

Robin sbuffò, e suo malgrado si trovò costretto a rispondere.

A discapito di quello che sembrava, non gli piaceva molto finire nei guai a scuola, soprattutto a causa delle occhiate di sufficienza di Madison e quelle deluse di Eryn che riceveva quando una di loro veniva a riprenderlo da scuola dopo aver scontato una punizione.

-Le prime cinque regole imposte alla società dei supereroi sono, in ordine: 

1) Ogni supereroe deve avere un localizzatore nel flusso sanguigno, che deve essere impiantato entro due anni dalla nascita del suddetto;

2) I supereroi non possono utilizzare i loro poteri se non in territorio da loro posseduto o con specifici permessi elargiti dalla DIS, pena la reclusione immediata;

3) Ogni supereroe deve indossare, non appena uscito di casa, uno speciale bracciale che elimina il potere, e non può essere rimosso per nessuna ragione fino al ritorno in casa o su permesso elargito dalla DIS;

4) Non sono permesse relazioni romantiche e soprattutto procreazione tra supereroi e persone prive di poteri superumani, e ogni matrimonio tra supereroi deve essere approvato e supervisionato dalla DIS;

5) Se e solo se la DIS lo riterrà utile, un supereroe ha il dovere di servire la DIS con il suo potere e di lavorare in un ambito che possa sfruttarlo nel modo migliore- rispose senza alcuna emozione, ripetendo a memoria regole che non trovava giuste e che avrebbe preferito non essere obbligato a riferire.

Si sentiva preso in giro ed umiliato. Lui, che era il figlio del più grande supereroe di tutti i tempi, con un potere che se controllato avrebbe salvato centinaia di vite al giorno.

Era vero, forse, che con il controllo costante dei supereroi i crimini erano diminuiti, ma una non indifferente parte di popolazione non viveva più, o comunque non come avrebbe dovuto, ma fingendo di essere molto meno di quello che fosse, e sentendo di non dare mai il massimo.

-Bene, Robin, mi fa piacere sapere che quando vuoi sai anche applicarti mentalmente. Ora, per quanto riguarda le altre regole…- dopo averlo non velatamente preso in giro, la professoressa cominciò finalmente la lezione, e Robin fece vagare lo sguardo fuori dalla finestra, cercando di non ascoltarla per non arrabbiarsi ulteriormente.

Il bracciale, più simile a una manetta, gli dava davvero fastidio, e se lo rigirò cercando di alleviare il dolore.

Un ragazzo normale, alla sua età, usciva, giocava a pallone, mangiava qualcosa con gli amici o corteggiava qualche bella ragazza.

Metà di queste cose erano illegali per Robin, che al contrario non vedeva l’ora di tornare a casa, togliersi finalmente quell’affare e chiudersi in camera.

Aspettava con ansia il giorno in cui avrebbe avuto diciotto anni per essere legalmente libero di andare via di casa, lontano da quella città e magari incontrare, in qualche luogo sperduto, qualcuno che la pensasse come lui, che decidesse di fare qualcosa.

Che rivendicasse i loro sacrosanti diritti di esseri umani!

 

-Eryn?- lo schioccare di dita davanti al viso distolsero la ragazza dal dormiveglia in cui era piombata, e, un po’ intontita, sollevò gli occhi per puntarli su quelli castano chiaro del suo capo, che le sorrisero divertiti da dietro le lenti degli occhiali tondi.

-Pat! Oh, scusa!- arrossì vistosamente, e si prese il volto tra le mani, massaggiandosi gli occhi per svegliarsi meglio. 

Lui ridacchiò, senza dare segno di essersela presa.

Dopo una noiosa lezione di diritto privato, Eryn non aveva neanche avuto il tempo di pranzare prima di dirigersi a lavoro, dove le era toccato il turno in cassa.

Solo che non veniva nessuno, e la stanchezza era sopraggiunta senza che lei se ne accorgesse.

Il negozio era piuttosto piccolo, e passandoci davanti era quasi impossibile notarlo se non lo si cercava. Vendeva oggetti particolari, spesso usati e molto variegati.

Eryn adorava quel posto, e adorava allo stesso modo il proprietario, Patrick Carter, un uomo della stessa età di Madison ma decisamente opposto a lei.

Non era mai andato all’università, e dirigeva il negozio da quando aveva 18 anni, dopo averlo ereditato da un vecchio zio.

Era alto, piuttosto magro, e tutte le ragazze che entravano in negozio, più di quanto uno si aspetterebbe, dicevano che era davvero molto carino.

Eryn non poteva che approvare, ma non aveva mai dato troppo peso alla cosa.

I capelli erano biondi e tagliati abbastanza corti, gli occhi castani erano svegli e intelligenti.

Le gambe sottili erano in netto contrasto con le braccia piuttosto muscolose, ma il tutto era equilibrato. Lo stile era trasandato quanto quello di Eryn, e la piccola cicatrice che aveva sul labbro superiore, insieme ad alcune nelle mani, davano l’impressione che fosse più grande e gli conferivano l’aria vissuta.

Era stato l’unico a dare un lavoro ad Eryn nonostante fosse di una famiglia di supereroi, e l’aveva sempre trattata con grande riguardo, senza farle pesare la sua condizione.

Dopo più di un anno che lavorava con lui, la ragazza iniziava a considerarlo uno dei suoi amici più stretti, benché non si vedessero molto fuori dall’orario di lavoro.

-Posso offrirti un caffè?- le propose, porgendole la tazza.

Eryn la prese senza obiettare, ne aveva proprio bisogno.

-Pat, un capo normale mi avrebbe sgridata, dato un ammonimento o licenziata, non offerto un caffè- gli fece notare, bevendolo in un sorso e cercando di non fare smorfie per via del calore ustionante.

-Eryn, mi ferisci, pensavo ti fossi ormai accorta che non sono un capo normale- le fece l’occhiolino, proprio mentre un cliente entrava.

Una giovane ragazza, che Eryn era piuttosto certa di aver visto di sfuggita all’università, iniziò a guardarsi intorno, un po’ incerta.

Aveva dei riccissimi capelli neri che le coprivano buona parte del viso, e a malapena si scorgevano gli occhi scuri.

La pelle era del colore del caramello, e le labbra grosse e carnose.

Da come si comportava, dal vestito lungo e dall’enorme giacca che portava si capiva che cercava in tutti i modi di passare inosservata.

Eryn si chiese se non fosse una supereroina.

-Benvenuta al “Carters’ Extravagant Emporium”, posso aiutarti in qualche modo?- chiese Pat accogliendo la cliente, con il suo solito sorriso incoraggiante che faceva sospirare molte ragazze.

Non la nuova venuta, a quanto pare, che invece sobbalzò, come se fosse appena stata colta in flagrante su qualcosa.

Scosse la testa, e si limitò a lanciare un’occhiata fuori dalla finestra e nascondersi subito dopo dietro un mobiletto pieno di oggetti.

Pat ed Eryn si lanciarono un’occhiata, entrambi all’erta, e un gruppetto di ragazzi, che Eryn aveva visto a sua volta all’università e con cui frequentava alcune lezioni facoltative, entrò, mettendo in chiara luce la situazione.

Lo sguardo di Pat si incupì.

Eryn abbandonò la cassa e si avvicinò leggermente al nascondiglio della ragazza, come preparandosi a proteggerla.

-Buongiorno ragazzi, benvenuti al “Carters’ Extravagant Emporium”, posso aiutarvi in qualche modo?- li accolse, con cortesia, ma senza sorriso.

-Sì. È entrata una… “ragazza”, per caso?- chiese uno, mimando le virgolette alla parola “ragazza”, e ridacchiando un po’ tra sé.

-Te ne sarai accorto, visto che il tuo negozio ridicolo è un deserto- aggiunse un altro, iniziando a guardarsi intorno.

Eryn era in procinto di prendere una mazza chiodata di quelle da esposizione e fare una strage, ma Pat aveva tutto sotto controllo, come al solito.

-Sì, l’ho vista- annuì con sicurezza, per poi indicare fuori dalla finestra.

-È passata poco fa, credo sia andata nel negozio accanto, dovreste sbrigarvi se non volete perderla. Oppure potreste lasciarla stare e comprare qualcosa. Abbiamo un sacco di oggetti interessanti- cercò di convincerli adottando un ottimo metodo di psicologia inversa per farli desistere e risultare convincente.

-Ci hai provato, vecchietto. Andiamo, ragazzi! Quando lo troviamo lo pestiamo per le feste- commentò il primo, richiamando i suoi amici ed uscendo dal negozio, non prima di aver rovesciato il portaombrelli a forma di zampa di troll.

Pat sospirò.

-Vecchietto? Sul serio?! Eryn, ti sembro vecchio, per caso? Avrò, toh, tre anni più di loro. Perché chiamarmi vecchietto?- commentò una volta che i ragazzi furono usciti fuori, scuotendo la testa e avviandosi verso il mobiletto dove la ragazza si era nascosta, tremante, preoccupata e con le lacrime agli occhi.

Il suo sguardo si addolcì.

-Tranquilla, se ne sono andati. Puoi restare qui per un po’ se non vuoi correre rischi. Possiamo offrirti un caffè?- le propose con un gran sorriso.

Lei alzò la testa, e si asciugò le lacrime che non era riuscita a trattenere.

-No, grazie. Scusami per l’intrusione. Vado subito via- si alzò. La sua voce era grave ma molto dolce.

Se non l’avesse intuito dalla conversazione avuto con i ragazzi, Eryn non avrebbe mai detto che fosse transessuale.

-Non preoccuparti. Se vuoi dare un’occhiata in giro a noi fa solo piacere- la incoraggiò Pat -Eryn, puoi tornare alla cassa- incoraggiò la ragazza, che annuì ed eseguì, finendo poi il suo caffè.

-Io sono Patrick Carter, il proprietario del negozio- le porse la mano, e la ragazza, sorridendo appena, gliela strinse.

-Blaire Grayson. Grazie mille per avermi aiutata- si morse il labbro inferiore, un po’ a disagio, poi iniziò a guardarsi intorno, meno spaventata.

-Che genere di negozio è?- chiese, osservando con attenzione un cappello dalla fantasia assurda.

-Un emporio dove si può trovare di tutto. Principalmente oggetti di antiquariato, usati o cose che la gente considera spazzatura. I prezzi sono ragionevoli e la clientela è davvero particolare- spiegò Pat, lasciandole i suoi spazi e risollevando il portaombrelli.

-È tutto un vendita?- chiese Blaire, notando che ogni cosa sembrava avere un cartellino con il prezzo.

-Quasi, lei no, purtroppo- indicò Eryn, che alzò gli occhi al cielo, e fu tentata da tirargli addosso il bicchiere di carta ormai vuoto.

-E anche io mi considero senza prezzo, ma si può sempre trattare- scherzò poi, facendo ridacchiare la cliente, che lasciò stare il cappello per dirigersi verso un set da cucito.

Rimase ancora un po’, rifiutando ulteriore assistenza, e poi uscì, senza comprare nulla.

Ma Eryn era piuttosto certa che si erano guadagnati una nuova cliente.

Si segnò mentalmente di avvicinarsi a lei una volta rivista all’università. Le sembrava davvero una brava persona, e aveva intenzione di difenderla da ogni bullo si fosse parato nella sua strada.

 

-Eryn, che ci fai ancora qui?- chiese Pat alle nove passate, uscendo fuori dal suo ufficio nascosto dietro uno scaffale, dove si era eclissato come spesso faceva in giornate senza clienti.

Eryn non gli aveva mai chiesto cosa facesse, ma intuiva fosse una qualche invenzione straordinaria o affari non del tutto legali in cui non voleva coinvolgerla, ma che lei sapeva non avrebbero fatto male ad una mosca.

Lei aveva un sesto senso per le persone, e sapeva per certo che Patrick era una brava persona, forse la migliore che conoscesse.

-Ti obbligo a pagarmi gli straordinari- rispose lei, sbadigliando, e controllando il telefono per vedere l’ora.

In effetti non si era resa conto neanche lei che si era fatto così tardi, troppo concentrata sulla lettura di alcuni libri per scuola.

Dopo Blaire erano entrate solo un altro paio di persone, una dei quali aveva comprato parecchie collane, per fortuna.

-Dimmi almeno che ti eri portata la cena da casa e la borsa non era solo piena di libri- si assicurò Pat, facendole cenno di uscire così da chiudere il negozio.

-Cos’è una cena?- scherzò lei, affrettandosi e assicurandosi di aver preso tutto.

Pat le lanciò un’occhiata preoccupata, e dopo aver chiuso il negozio a chiave e aver impostato l’allarme, indagò più a fondo, mentre entrambi si dirigevano alla fermata dell’autobus.

-Hai almeno pranzato? Oggi ti ho vista più stanca del solito- le chiese, in tono casuale.

-Sei per caso preoccupato per me, capo?- lo prese un po’ in giro lei, fingendosi commossa, ed evitando la domanda.

-Dovevi mangiare. Potevi dirmelo, ti avrei mandata a comprare un panino- si dispiacque Pat, avvicinandosi come a sorreggerla nel caso svenisse per un calo di zuccheri.

-Guarda che non ti ho risposto. Non sai se ho mangiato o no- gli fece notare la ragazza, allontanandosi.

Lui non tentò di nuovo l’approccio, e scosse le spalle.

-Ti conosco bene, se eviti una domanda scomoda è perché la risposta è affermativa. Altri mentirebbero, ma tu non menti a meno che non sia estremamente necessario- 

Eryn doveva ammettere di essere colpita da quanto accuratamente Pat la conoscesse nonostante lavorassero insieme solo da poco più di un anno.

Si ritrovò ad arrossire leggermente, ma cercò di non farlo vedere.

-Comunque non preoccuparti, ho fatto una colazione per i miei standard abbondante, e almeno con un po’ di digiuno dimagrisco un po’- cercò di chiudere il discorso la ragazza, che non era di certo grassa, ma neanche in forma come avrebbe voluto, e di certo era ben lontana dall’avere la linea  perfetta di Madison.

-Sei già perfetta, Eryn- commentò Pat con semplicità, scuotendo la testa, poi controllò l’orologio.

Eryn cercò di imporsi di non dare peso a quel commento. Pat diceva spesso quello che gli passava per la testa, non significava nulla, la maggior parte delle volte.

Ormai Eryn era abituata, lo conosceva da molto tempo e sapeva che ogni tanto sembrava flirtare anche se non ne aveva intenzione. Per questo tipo di cose era piuttosto innocente, tanto che non si accorgeva delle avanches che molte clienti gli facevano, e finiva a volte per deluderle quando le rifiutava senza accorgersene, magari dopo aver dato loro anche inconsapevole speranza.

Perciò Eryn prese il commento come un’osservazione disinteressata o semplicemente gentile che veniva dal suo capo che era anche un suo amico, niente di più.

-Ti offro una pizza- l’invito inaspettato di Pat la distolse dai suoi pensieri, e rimase così stralunata da non riuscire a proferire parola per qualche secondo di troppo.

-Se vuoi, ovviamente. Se tua madre ha già preparato la cena sposto l’invito a un’altra volta, ma mi sento in colpa che non hai mangiato tutto il giorno e vorrei farmi perdonare- si affrettò ad aggiungere lui, e nella luce dei lampioni Eryn non riusciva a vedere bene la sua faccia, anche se le sembrava essere leggermente arrossito a sua volta.

-No, cioè, sì, cioè… mamma non mi aspetta per cena, posso venire. Grazie- acconsentì lei, sorridendo.

Non era la prima volta che cenavano insieme, ma era la prima volta che Pat le faceva un invito ufficiale.

Di solito si erano ritrovati a mangiare un panino in negozio, o Eryn lo aveva proposto un po’ così passando davanti ad una piadineria mentre si avviavano alla fermata dell’autobus.

-Perfetto. Conosco un posto che fa ottime pizze, non rimarrai delusa. Sono anche molto veloci, quindi tornerai presto a casa. Non hai il coprifuoco, vero?- chiese, come cercando di ricordare.

-No, e se anche volessero impormelo, non ho il localizzatore, quindi non possono sapere se sono fuori o dentro casa- gli ricordò lei.

-Ah, giusto. Non devi sottostare alle dieci leggi di regolazione dei supereroi- annuì lui, come se lo avesse appena ricordato.

Una signora con alcuni sacchi della spesa in mano, che aspettava l’autobus a sua volta, lanciò loro un’occhiata di giudizio, e si allontanò leggermente.

Eryn fece finta di non accorgersene, ma rimase ferita.

-Certo che la società, oggigiorno, è davvero chiusa di mente- commentò Pat, scuotendo la testa abbastanza dispiaciuto -Servirebbe davvero una scossa- aggiunse poi, tra sé, con sguardo indecifrabile.

Eryn non poteva che trovarsi d’accordo, ma non aveva idea di come avrebbero potuto fare.

Era tutta la vita che le veniva ripetuto che era inutile, insignificante e diversa da chiunque altro. Chi mai avrebbe potuto ascoltarla?

E soprattutto, come sarebbe mai riuscita, con le sue risorse limitate, a mandare un messaggio abbastanza forte?

 

 

Nel frattempo, dall’altra parte della città, sull’edificio più alto di proprietà della ricca famiglia De Marco, una figura incappucciata dai lunghi capelli corvini che svolazzavano al vento era riuscita con immensa difficoltà ad introdursi senza far scattare alcun allarme, e a portare sul tetto un enorme macchinario ricavato con scarti metallici e dalla forma simile ad un altoparlante, collegato al manubrio di una bicicletta.

La sicurezza del grattacelo era tra le più avanzate al mondo, e la figura sapeva che la sua intrusione non sarebbe rimasta inosservata ancora a lungo, ma si prese comunque qualche secondo per riflettere su quello che doveva fare, per respirare l’aria che a quell’altezza non era contaminata da smog e fumo, e per osservare le stelle che spuntavano da dietro le poche nuvole che sfrecciavano via veloci mosse dal vento.

Erano anni che aspettava il momento propizio, che studiava la situazione, si preparava ogni possibile scenario in mente, eppure, proprio quando era ad un passo dall’inizio della fine, esitò.

Fu un’esitazione breve, che non bruciò le sue possibilità di fuga e di certo non gli si ritorse contro, ma la figura fu quasi tentata di lasciar perdere tutto.

Il tempo di un profondo sospiro, e le sue incertezze vennero meno.

Prese, da una borsa che portava a tracolla, due fiale contenenti un liquido rosso e viscoso, che inserì in un opportuna fessura posta sul macchinario.

-Mi dispiace tanto- sussurrò rivolto al sangue, per poi mettere le mani ai due lati del manubrio della bici.

Chiuse gli occhi, e con un gesto deciso, tolse il bracciale che aveva al polso.

Poi si concentrò con tutte le sue forze. 

Aveva fatto tutto bene, non aveva dubbi.

-Questa notte… da questa notte ogni cosa cambierà- sussurrò, poi un’enorme onda di energia si sprigionò dalle sue mani, raggiunse l’oggetto simile all’altoparlante e si dipanò in tutta la città.

Quello era il primo passo verso una nuova era di supereroi, supereroi che la DIS non avrebbe più potuto controllare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Questo capitolo è solo un’introduzione dei personaggi principali e dei problemi causati dalla DIS alla società dei supereroi.

Più la figura misteriosa che fa un casino.

Dal prossimo inizieranno cose più interessanti, si spera.

Oltre ad Eryn, anche Robin e Madison saranno protagonisti importanti della storia, e mano a mano che i capitoli andranno avanti si aggiungeranno nuovi personaggi.

Fatemi sapere che ne pensate, se avete qualche commento, qualche preferenza.

Sto scrivendo la storia avendola progettata solo in grandi linee, e dai vostri commenti potrei o meno prendere spunto per migliorarla andando avanti.

Soprattutto per quanto riguarda il numero di apparizioni di un determinato personaggio o varie coppie che si andranno a formare, ovviamente senza cadere nel fanservice.

Quindi fatemi sapere che ne pensate (sempre che qualcuno legga questa storia cosa che dalla mia, non proprio lunga ma abbastanza, esperienza credo proprio di no).

Un bacione e alla prossima :-*

 

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Capitolo 3
*** L'alba di una nuova era ***


L’alba di una nuova era

 

L’attesa della pizza non era stata lunga, su questo Pat aveva avuto ragione, e la pizza era davvero buona.

Solo che il capo di Eryn non aveva calcolato la lunghissima chiacchierata che si erano fatti tra un morso e l’altro, perciò erano ormai già passate le undici di sera ed avevano appena finito di mangiare.

-Quindi… dov’è adesso tuo padre? Dicono tutti che alla fine lo hanno arrestato- stava chiedendo Pat alla ragazza, sinceramente interessato, e chiedendo il conto al cameriere, che lanciò loro un’occhiata maliziosa e si diresse alla cassa.

-Già, la stampa lo ha massacrato, odiosi Fontaine! Non lo hanno arrestato, anche se ci è mancato poco. Lo hanno sollevato da tutte le accuse a patto che non esca mai di casa, quindi praticamente è agli arresti domiciliari e gli è permesso uscire solo in cortile, cosa che non fa mai. Vive da un suo vecchio amico, anch’egli supereroe, ma non lo vediamo molto spesso- rispose lei, con una punta di tristezza.

All’inizio lo andava a trovare fio a tre volte a settimana, ma negli ultimi tempi aveva quasi del tutto smesso di vederlo, da una parte perché aveva sempre meno tempo, dall’altra perché vederlo ridotto in quello stato la faceva soffrire terribilmente.

-Mi dispiace molto. Quando ero piccolo ricordo che lo consideravo il più grande supereroe vivente. Mi sentivo davvero al sicuro sapendo che vegliava sulla città. Ed ora per colpa di un piccolo errore si sono tutti dimenticati quello che ha fatto- commentò Pat, con lo stesso sguardo indecifrabile che aveva assunto alla fermata dell’autobus, come se stesse cercando il risultato di un’equazione impossibile.

-Ma basta parlare di me, è tutta la sera che ne parliamo- cercò di cambiare discorso Eryn, e di risollevare la situazione.

Pat annuì, proprio mentre il cameriere portava il conto.

-Oh, giusto, quanto…- Eryn fece per prendere la borsa, ma Pat la fermò con un gesto della mano.

-No, lascia stare. Ho detto che offro io- le ricordò, pagando senza esitazione e lasciando anche una buona mancia.

-Pensavo che dicessi per dire- provò ad obiettare Eryn, ma era ormai troppo tardi.

-Non dico mai le cose tanto per dire, almeno quasi mai- le sorrise, alzandosi e offrendole la mano per aiutarla a sua volta.

Fu in quel momento che uno strano vento iniziò a soffiare forte nella loro direzione, entrando dalle finestre aperte e portando con sé un suono fastidioso che mise in allerta tutti i clienti e i camerieri del ristorante, che iniziarono a guardarsi intorno confusi.

Eryn sentì un fortissimo brivido di freddo lungo tutta la spina dorsale, e un’improvvisa nausea.

Si ritrovò per un attimo senza forze, e cadde tra le braccia di Pat, che la prese con grande prontezza di riflessi, e sgranò gli occhi, preoccupato.

-Eryn, va tutto bene?- chiese, rimettendola seduta e facendole aria con la mano.

-La signorina sta bene?- chiese il cameriere che li aveva serviti tutta la sera e che sicuramente iniziava a shipparli.

-Sì, sto bene, non preoccupatevi per me, è stato… ho bisogno solo di un po’ d’aria, tutto qui- Eryn provò ad alzarsi, ma le gambe le cedettero di nuovo e fu solo grazie a Pat che non si ritrovò a terra.

-Aspetta, reggiti a me- le suggerì lui, sostenendola e prendendo senza apparente sforzo la sua borsa dei libri.

Eryn avrebbe voluto protestare, ma non ci riusciva. Temeva che se avesse detto una qualsiasi parola avrebbe vomitato, e non voleva dare spettacolo e far pensare che era stata colpa di quell’ottima pizza, perché sapeva dentro di lei che non era quella la causa.

Una volta fuori, Pat la mise seduta sulla panchina, ed Eryn iniziò a respirare profondamente, cercando di recuperare le forze e smettere di tremare.

Pat si sedette accanto a lei, lasciandole comunque i suoi spazi e cercando di non soffocarla.

In un attimo, come il fastidio era venuto, se ne andò completamente, e, ancora tremante, soprattutto per lo spavento, Eryn si asciugò le lacrime che erano uscite senza che se ne accorgesse, e si voltò verso Pat.

-Sto bene, tutto passato. Possiamo avviarci- gli sorrise, un po’ incerta, e fece per alzarsi, ma Pat la prese per il polso, costringendola a fermarsi.

La guardava come cercando di leggerle la mente o scavare in fondo alla sua anima.

-Eryn, cosa…?- cominciò a chiedere, ma un tuono incredibilmente vicino lo interruppe, insieme a una quasi impercettibile scossa sismica che però mise entrambi sull’attenti.

Un tuono? Come era possibile? C’erano poche nuvole in cielo, fino a qualche minuto prima.

Quando Eryn e Pat alzarono lo sguardo in cielo, videro enormi nuvole nere e minacciose, che coprivano le stelle e sembravano venire attirate da un punto poco lontano, nella zona più malfamata della città a pochi isolati da lì, come se un enorme tornado di nuvole avesse in quella zona l’occhio del ciclone.

Era un evento del tutto fuori dal comune, poteva essere solo opera di supereroi… ma come era possibile?

E come poteva, un supereroe, essere così forte.

Senza sapere il motivo, Eryn iniziò ad avviarsi incerta verso la direzione, ignorando gli avvertimenti preoccupati di Pat.

-Eryn… cosa stai facendo? Dobbiamo andarcene da qui!- tentò di afferrarle nuovamente il polso che aveva lasciato andare per la sorpresa, ma la sua mano andò a sbattere contro un invisibile muro di vetro, o almeno contro qualcosa che sembrava tale e circondava interamente la ragazza.

-Eryn…- provò a chiamarla, mentre un’altra scossa, leggermente più forte della precedente, per poco non lo fece cadere.

La ragazza sembrava quasi in trance, mentre si dirigeva verso l’occhio del ciclone, ma Pat non aveva intenzione di abbandonarla.

-Eryn!- la chiamò nuovamente, più forte, e lanciò un’occhiata preoccupata al cielo.

Ma un’altra cosa attirò la sua attenzione a metà strada.

L’insegna di un vecchio cinema ormai del tutto abbandonato, rovinata e arrugginita, che pendeva come una spada di Damocle proprio sotto la ragazza, che non sembrava essersi resa conto del pericolo.

Fu questione di un secondo. Nel momento esatto in cui la terza scossa, la più forte, si dipanò nel terreno sotto i loro piedi, Patrick, con riflessi degni di Robin, si gettò contro Eryn, facendola cadere a terra e prendendo il suo posto sotto il cartello, che pochi attimi dopo gli cadde addosso.

Eryn sembrò svegliarsi solo in quel momento.

-Pat…- sussurrò, ancora a terra, incapace di credere a quello che era appena successo.

La consapevolezza la colpì come un pugno allo stomaco, e senza pensare, senza riflettere, spinta dall’adrenalina e sentendo i muscoli pervasi da una forza mai provata prima, corse verso di lui, e tentò di sollevare, con tutte le sue forze, il gigantesco cartello.

Non seppe neanche lei come ci riuscì, ma senza sforzo alcuno lo prese e lo gettò a qualche metro di distanza.

-Pat! Stai bene?- gridò, avvicinandosi a lui e controllando le sue condizioni.

Il peso del cartello sembrava essersi depositato in particolar modo sulle gambe, e ad eccezione di una ferita piuttosto profonda sulla fronte, e qualche taglio e livido sulle braccia, la parte superiore del suo corpo sembrava sana.

-Pat!- lo chiamò nuovamente lei. Le lacrime le offuscavano la vista, e non aveva il coraggio di esaminare accuratamente le sue ferite.

Avvertiva il senso di colpa come un fastidioso groppo lungo tutta la gola e lo stomaco.

Non credeva neanche di riuscire più a respirare, per quanto la stesse soffocando.

Era colpa sua, solo colpa sua.

-Eryn…- Pat sollevò leggermente la mano per tranquillizzarla, la voce era ridotta ad un filo, ma era cosciente, ed era già tanto.

-Chiamo l’ambulanza, non ti lascio. Resisti ancora un po’- Eryn provò a prendere il telefono, ma il tremore delle mani glielo fece cadere.

-No!- si impose Pat, prendendo il proprio -Chiama… col… mio- le ordinò lentamente, cercando di conservare le forze.

-Cosa?- Eryn non capì, ma decise di eseguire comunque.

Non aveva tempo da perdere e si fidava del giudizio del suo capo, anche se non sempre era al passo con il suo ragionamento.

Compose in fretta il numero dell’ospedale, e chiese di mandare i soccorsi, controllando la via ed indicando il cinema. 

Per fortuna era un posto facilmente raggiungibile, e l’ospedale non era molto lontano.

-Arriveranno presto. Tu devi resistere solo un pochino, solo un pochino- provò a rassicurarlo, cercando un modo di aiutarlo, magari tamponandogli qualche ferita o mettendolo in una posizione più comoda.

Non aveva la più pallida idea di cosa fare, e temeva di peggiorare solo la situazione.

Come se non bastasse, le nuvole portate da non si sa dove stavano lasciando cadere le prime gocce di pioggia.

Almeno le scosse sembravano essersi placate.

-Vattene…- la flebile voce di Pat, ad un passo dal perdere i sensi, la distolse dalla sua ricerca dei dintorni, e si girò verso di lui, senza capire.

-No! Io non ti lascio, non posso…- fece per protestare, ma lui la spinse via.

-Vattene! Vai a casa! Fidati di me…- la supplicò, rinunciando poi a muoversi più.

Eryn si alzò in piedi, e lo guardò incerta, senza capire.

La odiava? Perché era così a causa sua? Non le sembrava un comportamento da Pat, ma non lo avrebbe biasimato, nel caso.

Era davvero tutta colpa sua.

Ma la stava guardando con paura… era spaventato da lei? Ma per quale motivo.

Il suo sguardo si fermò sul cartello che aveva gettato in un angolo come se fosse un foglio di carta, e un terribile dubbio iniziò ad insinuarsi nella sua mente.

Aveva per caso utilizzato… un qualche superpotere?

No, non era possibile… eppure che altre spiegazioni potevano esserci, era un cartello piuttosto pesante, una persona sola non sarebbe riuscita neanche a sollevarlo di pochi centimetri, almeno non da sola.

E lei lo aveva addirittura spostato.

Si fermò sul posto, congelata.

-Vai!- la incoraggiò un’ultima volta Pat, e questa volta decise di non farselo ripetere.

Non sapeva perché, ma sentiva che Pat aveva ragione, e doveva allontanarsi da lì, prima che la DIS intervenisse, prima che ferisse Pat più di quanto avesse già fatto.

Non sapeva cosa fosse successo e come potesse rimediare, e si ritrovò a correre, come se ne dipendesse dalla sua vita, con la borsa in spalla stretta come fosse una bomba ad orologeria che doveva allontanare in tutta fretta o un orsacchiotto di peluche che l’avrebbe protetta dalla pioggia, dal vento e dalle avversità della vita.

Corse senza neanche sapere esattamente dove stava andando, con gli occhi pieni di lacrime e le mani sporche di sangue, pregando in cuor suo che fosse tutto un brutto sogno.

 

Le persone erano convinte che Madison si svegliasse la mattina già pronta e perfetta.

Tutti quelli che la conoscevano lo davano per certo, anche i membri della famiglia con cui aveva vissuto per gran parte della sua vita.

Solo sua madre conosceva però la verità, dato che era l’unica che l’aveva vista appena sveglia, in quanto sua sveglia personale fino ai tredici anni.

Madison, di prima mattina, era quanto di meno perfetto esistesse al mondo.

Nonostante ci provasse in tutti i modi ad essere l’equivalente di una principessa dei cartoni animati, la cosa non le riusciva per niente, e oltretutto, svegliarsi la mattina, per lei, era una vera tortura.

Soprattutto quando a svegliarla erano chiamate di lavoro.

Erano a malapena le cinque quando il cellulare iniziò a squillare, e la giovane donna, con la benda sugli occhi, lo cercò a tentoni con un certo fastidio.

-Pronto?- rispose, con il tono più professionale che riuscisse a tirar fuori, togliendo la benda e mettendosi a sedere sul letto.

-Un’effrazione? Dove?- chiese, mentre il suo capo le spiegava frettolosamente la situazione.

-Torre De Marco? È stato rubato qualcosa?- continuò ad indagare, andando alla toeletta e iniziando a sistemare i capelli.

L’informazione che sentì subito dopo per poco non le fece cadere il telefono dalle mani.

-Un supereroe? È sicuro?!- chiese incredula.

Possibile che con tutti i controlli della DIS un supereroe fosse riuscito ad intrufolarsi in uno degli edifici più controllati e sicuri della città?

Scosse la testa, cercando di non farsi film inutili, e iniziò a segnare su un bloc notes tutti i dettagli del caso. Sarebbe andata a dare un’occhiata appena pronta.

Certo che… un supereroe in uno degli edifici più protetti della città… sembrava piuttosto sospetto.

 

Quella mattina, in casa Jefferson, le cose cominciarono in maniera piuttosto insolita.

Quando Robin entrò in cucina, nervoso e pronto a litigare con la madre sulle regole che i supereroi dovevano rispettare, vi trovò Eryn già seduta a colazione, intenta a fissare il piatto di uova e pancetta senza averne preso neanche un boccone e con due borse sotto gli occhi così profonde che Robin era convinto che si sarebbero staccate dalla sua faccia e sarebbero corse nel negozio di Prada più vicino per vendersi a caro prezzo.

Si sedette senza dire una parola, e sua madre gli porse all’erta la tazza di latte e i cereali.

-Buongiorno, tesoro- lo salutò con un sorriso.

Robin però continuava a fissare la sorella, e rispose alla madre solo con un cenno.

Non era il più sveglio della casa, ma aveva capito che qualcosa non andava.

-Allora, Eryn, hai fatto le ore piccole stanotte?- indagò, in tono malizioso -Mamma ha detto che avevi un appuntamento- la prese in giro.

Eryn sobbalzò rendendosi conto solo in quel momento dell’arrivo nella stanza del fratello minore.

Scosse la testa violentemente.

-Non era un appuntamento, solo una cena tra amici! Non rompere Robin, non sono dell’umore!- gli sbottò contro, facendolo ritirare.

Eryn non perdeva mai la pazienza con lui in quel modo, o almeno non alla prima provocazione.

-Ti sei svegliata con il piede sbagliato, oggi, “senzapoteri”?!- si arrabbiò, incrociando le braccia e guardandola storto.

-Ragazzi, su, non litigate. Eryn, Robin non voleva…- cercò di troncare la discussione sul nascere Deborah, ma Robin non aveva intenzione di demordere.

-Non pensare di sapere sempre quello che voglio dire!- urlò contro la madre, che sospirò, stanca delle continue liti.

-Robin, non intendevo…- provò a fare un passo indietro, ma il ragazzo non aveva finito.

-Invece lo intendi sempre. Credi di conoscermi ma non sai assolutamente nulla di me, e…- ma il litigio solito, che Eryn aveva sempre assistito come spettatrice esterna da camera sua, venne interrotto da quest’ultima, che sbatté i pugni contro il tavolo, facendolo tremare interamente ed attirando l’attenzione dei due commensali.

-Piantatela di litigare ogni mattina per delle sciocchezze. Robin, sei davvero un ragazzino viziato e insopportabile e Madison ha ragione a dire che sei un ingrato e dovresti essere trattato peggio. Mamma, smetti di pensare di risolvere ogni cosa in modo passivo perché peggiori solo le cose! Ci sono problemi peggiori al mondo che quelli per cui sempre litigate, perciò dateci un taglio!- ordinò loro, alzandosi e lanciando ad entrambi un’occhiataccia prima di dirigersi in bagno, per lavarsi, vestirsi ed uscire, senza aver toccato cibo.

Robin e Deborah rimasero sbigottiti ed in silenzio.

C’era qualcosa che proprio non andava in Eryn quella mattina.

Sua madre aprì la bocca per dirgli qualcosa, ma Robin non era già più lì.

Era in camera della sorella e ispezionava il cellulare controllando se avesse ricevuto un qualche strano messaggio.

Non c’era niente di sospetto, così rivoltò la borsa che la sorella aveva utilizzato per uscire, e la ricompose subito dopo non trovando nulla.

Infine decise di controllare l’armadio, e per la prima volta in vita sua si fermò completamente, ghiacciato sul posto, quando si ritrovò a stringere una maglia sporca di sangue.

La sua mente non era abbastanza veloce per elaborare le possibilità, perciò rimase a fissare la maglia senza sapere cosa pensare per qualche secondo di troppo.

Quando la porta si aprì, fu abbastanza veloce da rimettere tutto a posto e posarsi sulla scrivania con nonchalance, nascondendo le mani sporche dietro la schiena.

-Robin! Che ci fai in camera mia?! Esci immediatamente!- Eryn gli indicò la porta con veemenza, facendolo sobbalzare, ma il ragazzo tentò di mantenere il sangue freddo e la calma.

Sbuffò sonoramente, ma si vide bene dall’incrociare le braccia per evitare che la sorelle gli vedesse le mani.

-Uff, esco. Mi sono sbagliato, ok?! Capita a tutti! Ti lascio, vedo che hai le tue cose- quella che doveva essere una provocazione detta senza pensare fece impallidire Eryn, che bloccò la porta prima che Robin potesse uscire, improvvisamente spaventata.

-Perché dici questo?- chiese in tono più acuto del normale.

Robin non capì subito, dato che non aveva fatto del tutto attenzione a quello che lui stesso aveva detto, ma quando se ne rese conto sgranò leggermente gli occhi.

Il sangue sulla maglia. Forse Eryn pensava che lo avesse visto.

Fece l’ignorante, e sbuffò di nuovo.

-Sei più nervosa e rompiscatole del solito. Perché fai quella faccia? È una faccenda di stato? O sei solo sconvolta che so queste cose? Nel caso non te ne fossi accorta, sono ormai diciassettenne, e vivo con sole donne, sfortunatamente! Con un solo bagno!- la provocò.

Eryn tirò un discreto sospiro di sollievo, e si scansò dalla porta, aprendola e indicando fuori.

-Non sono tenuta a risponderti. Ora esci, mi devo vestire!- lo incoraggiò, sempre irritabile ma con tono leggermente addolcito.

“Spero con abiti puliti” pensò Robin tra sé, senza però osare dire nulla. Uscì come un fulmine, facendo quasi cadere la sorella, e si chiuse in fretta in bagno, guardandosi le mani leggermente sporche di sangue.

Se le lavò il più in fretta possibile, e iniziò a respirare profondamente per calmarsi.

Doveva pensare bene alla situazione.

Forse era davvero con le sue cose, anche se non spiegava perché la maglietta fosse sporca e non i pantaloni.

Poi magari anche i pantaloni erano sporchi, ma comunque non aveva molto senso, anche vista la sua reazione.

E poi era davvero nervosa, e aveva espressamente detto alla loro madre che c’erano problemi gravi al mondo. Cosa era successo quella sera?! Perché Eryn era così nervosa e soprattutto cosa poteva fare Robin per aiutarla?

Perché voleva trovare un modo per aiutarla, non poteva starsene con le mani in mano rischiando che portassero via l’ultimo membro della famiglia rimasto a cui volesse davvero bene.

La DIS aveva già portato via suo padre, Eryn era praticamente tutto ciò che gli rimaneva.

Con sua madre, dopotutto, aveva un rapporto davvero conflittuale.

E Madison… beh, Madison non la considerava neanche lontanamente parte della sua famiglia.

 

La Madison in questione aveva raggiunto la torre De Marco, accompagnata dal suo collega, un uomo sulla cinquantina burbero e davvero professionale di nome William Anderson, che era più bravo a lanciare occhiatacce e a trovare indizi piuttosto che ad intrattenere una conversazione decente.

Questo lo rendeva di pessima compagnia, ma Madison non aveva il potere di lamentarsi e di farsi cambiare collega, perciò rimaneva in silenzio e pensava al suo lavoro, senza preoccuparsi troppo di quello che faceva lui.

Gli fece suonare il campanello e si mise dietro di lui dritta e in attesa, con il bracciale bene in vista in modo che si capisse chi fosse.

Era il protocollo, e lei lo trovava anche giusto. Dopotutto perché nascondere il suo ceto d’appartenenza. La trasparenza era fondamentale nel mondo.

Ad aprire la porta fu Oscar De Marco in persona, il più ricco e potente uomo d’affari della città.

Imponente e di bell’aspetto, nonostante l’età si facesse sentire e una cicatrice causata da un supereroe gli marchiasse il volto, aveva uno sguardo calcolatore perennemente presente negli occhi castani e un dente d’oro che lo rendeva più simile ad un criminale che a un uomo di successo.

Madison sapeva che suo figlio maggiore aspirava ad entrare in politica, e benché non apprezzasse particolarmente i loro affari, doveva ammettere che il programma di Finnegan De Marco le sembrava buono e in linea con il suo pensiero.

-Accomodatevi, prego. Siete mandati dalla DIS per controllare l’effrazione?- chiese accomodante, squadrandoli da capo a piedi e adocchiando con particolare interesse il bracciale di Madison.

-Sì, sono l’agente William Anderson, del dipartimento di controllo e regolazione delle leggi applicate ai supereroi della DIS, e lei è la mia collega Madison Jefferson- William mostrò il documento, e Madison fece lo stesso, poi entrambi entrarono, e cominciarono a guardarsi intorno.

-Il supereroe è salito sul tetto e sembra che abbia usato uno strano macchinario fatto in casa. Non ha rubato nulla, ma è scappato senza lasciare traccia ad eccezione del macchinario. Distrutto, purtroppo- 

-Il vostro sistema di sicurezza comprende telecamere di sicurezza che possono dirci come e dove è uscito?- chiese Madison pratica, notando la telecamera all’ingresso.

Il signor De Marco le lanciò un’occhiata obliqua, e non rispose, ignorando del tutto la sua domanda.

Il silenzio si protrasse per qualche minuto, poi William prese la parola.

-Possiamo visionare le telecamere del vostro sistema di sicurezza?- chiese, burbero.

-Certamente, ma tre le dieci e mezzanotte il sistema è rimasto fuori uso, perciò non penso troverete le informazioni che cercate- rispose subito il signor De Marco, accompagnandoli nella stanza di sicurezza.

La porta si aprì prima che loro ci arrivassero, e ne uscì fuori un uomo di circa ventotto anni vestito con giacca e cravatta, perfettamente ordinato ed elegante. I capelli biondi erano corti e pieni di gel che risaltavano il ciuffo, e la barba era ben fatta e lo faceva sembrare l’uomo dalla faccia pulita che svettava sui manifesti elettorali.

-Padre, ho controllato ovunque ma nono trovato un singolo indizio utile- Iniziò a parlare con il signor De Marco senza dare segno di notare i due agenti della DIS.

-Finnegan, la DIS ha mandato qualcuno per controllare la questione. Ti presento l’agente Anderson e…- si fermò un attimo, prima di indicare Madison -…la signorina Jefferson-

-Agente Jefferson, signor De Marco. Sono un membro qualificato della DIS- lo corresse lei, in tono pacato e con un ampio sorriso formale

-Scusate, non vi avevo visto. Io sono Finnegan De Marco. Vi auguro buona fortuna, hanno davvero fatto le cose in grande. Con permesso, devo dirigermi a lavoro- fece un cenno con il capo a ciascuno dei due, soffermandosi per qualche secondo in più sul volto di Madison, che notò che gli occhi castani uguali a quelli del padre erano decisamente meno ostili, poi con un sorriso di circostanza si diresse in salotto, probabilmente per prendere il necessario prima di uscire.

Madison lo osservò finché non fu completamente fuori dalla portata visiva, poi seguì il signor De Marco e l’agente Anderson nella stanza di sicurezza.

-Ecco qui, potete girare liberamente per il palazzo, fare tutte le indagini che volete. Io devo andare a lavoro purtroppo, ma potete rivolgervi a mia figlia Drusilla se avete bisogno di qualcosa. È in camera sua, al settimo piano. Non si sente molto bene, perciò spero non la disturbiate per motivi futili- lanciò in particolare un’occhiata ammonitrice in direzione di Madison, che non diede segno di notarlo.

-La casa era vuota ieri notte?- chiese la ragazza, mentre l’agente Anderson iniziava ad analizzare i file dal computer.

-Certo che era vuota, altrimenti avremmo notato l’effrazione- rispose il signor De Marco, come se stesse parlando ad una bambina piuttosto stupida.

-Non c’erano neanche domestici o una sorveglianza?- insistette Madison, prendendo appunti ed annotando mentalmente anche l’atteggiamento con cui lui le avrebbe risposto.

-Il fatto che sia una grande casa non vuol dire che sia sempre popolata. Abbiamo i sistemi di sorveglianza apposta- rispose lui, iniziando ad irritarsi e controllando l’orologio -Vi devo proprio lasciare, prendetevi il tempo che volete- e con un cenno del capo rivolto quasi esclusivamente all’agente Anderson, fece dietro front ed uscì.

-Sembra nascondere qualcosa- commentò Madison una volta assicuratasi che fosse fuori dalla portata d’orecchio.

-Solo perché ha dei preconcetti non significa necessariamente che nascondi qualcosa- William scosse la testa, e iniziò ad analizzare i dati del computer per controllare che qualcuno avesse effettuato l’accesso per cancellare i video di sorveglianza e a quale orario. Stranamente, la ricerca non portò ad alcun risultato.

-Chiunque sia entrato nel computer non ha lasciato la minima traccia. Deve essere un hacker davvero esperto- William sospirò, e si alzò per controllare eventuali segni di effrazione sulla porta della stanza.

-Dovremmo requisire le telecamere di sorveglianza di tutti i negozi vicini, devono aver per forza aver ripreso qualcuno lasciare l’edificio. Se nessuno ha visto nulla, come fanno a sapere che sia opera di un supereroe?- chiese Madison, chiamando la DIS per richiedere un permesso.

-Hanno trovato un bracciale, accanto al macchinario rotto- rispose il collega, arrendendosi al fatto che nessuno si era introdotto nella sala di controllo e iniziando a dirigersi verso il tetto per controllare il macchinario, che si rivelò, a primo impatto, davvero sorprendente. Sebbene chiaramente fatto in casa, la cura che il criminale ci aveva messo era incredibile, e Madison trovò che fosse davvero uno spreco che fosse ormai quasi completamente distrutto. La parte destra sembrava essere implosa, e squarci si erano aperti sul davanti.

Quello che colpì di più Madison, però, furono due fiale internamente sporche di liquido rosso, ma del tutto vuote.

Una si era rotta contro il muro, come fosse stata sparata via dalla macchina all’improvviso, mentre l’altra era a terra, solo leggermente scheggiata, e con residui di gocce rosse che Madison riconobbe subito come sangue.

Lei e William si lanciarono un’occhiata.

-Dobbiamo analizzare il sangue, non penso appartenga al supereroe ma potrebbe esserci stato un omicidio o un complice- osservò William, prendendo la fiala e mettendola al sicuro.

-Chiamo i Navarra affinché recuperino i pezzi. Non voglio lasciarli qualche minuto in più nelle mani dei De Marco- Madison prese il telefono, ma William la interruppe.

-Li chiamo io. Tu controlla che il resto della casa sia perfettamente in ordine- la incoraggiò, prendendo a sua volta il telefono e avvicinandosi al macchinario distrutto per controllarlo meglio.

Madison strinse i denti, infastidita, ma fece come le era stato ordinato dall’agente anziano, e rientrò nell’edificio per dare un’occhiata ai dintorni e fare un quadro del probabile percorso del supereroe.

C’erano cose che non le tornavano. Come aveva fatto la DIS a lasciarsi sfuggire un supereroe, come potevano non averlo già catturato nonostante il localizzatore, e perché si era introdotto proprio in quell’edificio, di tanti posti?

Forse il macchinario, per funzionare, aveva bisogno di essere il più in alto possibile, e la torre De Marco era l’edificio più alto e imponente della città, nonché tra i più centrali.

Ma il macchinario non sembrava avesse funzionato, anzi si era completamente distrutto.

Valeva la pena rischiare così tanto per qualcosa che non era certo funzionasse? Se il supereroe si era trovato nel mezzo dell’impatto, come era riuscito a trovare la forza di scappare? Si era disintegrato nel nulla? 

E possibile che fosse una coincidenza che proprio quella sera ci fossero state tre scosse sismiche a poca distanza le une dalle altre?

Madison era così immersa nei suoi pensieri che non si accorse nemmeno della minuta figura bionda che la osservava con brillanti e taglienti occhi castani, almeno finché lei non parlò.

-Sei della DIS? Perché hanno mandato una supereroina distratta?- la insultò con voce squillante, facendola sobbalzare.

Madison si girò verso la voce, che si rivelò appartenere ad una ragazza di circa 15 o 16 anni, con un elegante tuta da casa in seta e i capelli color paglia lunghi fino alle spalle legati in un piccolo codino scomposto che stonava nell’insieme elegante.

La guardava con superiorità e giudizio, uno sguardo a cui Madison era abituata ma che mal sopportava se proveniva da una ragazzina di quell’età.

-Drusilla De Marco, giusto?- indovinò, riconoscendo in quegli occhi la stessa sfumatura castana che aveva già notato nel signor De Marco e in suo figlio maggiore.

-Vedo che gli anni di studio come detective hanno dato i loro frutti- la prese in giro la ragazza, superandola per prendere un bicchiere d’acqua e senza più degnarla di un’occhiata.

Certo che per essere “malata”, come aveva sostenuto il signor De Marco, sembrava avere fin troppe energie.

Madison decise di ignorarla. Non aveva niente da chiederle, e continuò la sua ispezione, che non diede, purtroppo, nessun risultato.

Non che lei ci sperasse, più di tanto.

 

Robin era stato così occupato e preoccupato a pensare al “Problema Eryn” che aveva passato una giornata di scuola quasi normale, e non si era messo nei guai in nessun modo, né aveva lanciato risposte sarcastiche o aggressive alle domande dei professori.

Ma purtroppo la giornata non era ancora finita.

Durante la pausa pranzo, infatti, era tranquillo e non molto sereno intento a mangiare il panino che sua madre gli aveva preparato, seduto su una panchina all’aria aperta, dato che non era accettato in nessun tavolo della mensa, quando delle voci concitate e risatine canzonatorie attirarono la sua attenzione, e per un attimo lo distolsero dal pensiero del sangue ritrovato sulla maglia di sua sorella.

Alzò lo sguardo e lo puntò su Travis Roberts, bulletto da strapazzo rimandato parecchi anni e la sua banda di seguaci tutti muscoli e niente cervello, che se la stavano prendendo con una ragazzina del secondo anno un po’ in carne e con lo stesso bracciale che circondava il polso di Robin.

Strinse i denti, infastidito.

-Con i soldi illegali che tuo padre si fa potresti permetterti di vestirti un po’ meglio, sai?- Travis punzecchiava la ragazza, tirandole la gonna, che lei cercava invano di tenere bassa.

-Per favore, lasciatemi stare- si lamentò lei, a voce così bassa che Robin riuscì a malapena a sentirla. 

La riconobbe, e la sua rabbia aumentò.

Era la figlia di Henry Hopper, alias “Incubus”, l’ex-supereroe più controverso, ovviamente escluso Steven Jefferson. Il suo potere era di riuscire a prendere l’energia al minimo contatto, e a controllare in parte la mente e soprattutto le emozioni. Più il contatto era intimo, più il suo potere era forte. Un tema davvero scomodo.

Senza neanche rendersene conto, ma con l’istinto che vinceva su ogni cosa, Robin si alzò, e posò il vassoio in un angolo. Erano in pochi in cortile, e tutti gli altri non avevano neanche alzato lo sguardo, noncuranti della situazione.

-Dicono tutti che hai i suoi stessi poteri, cosa si prova ad essere nate con il gene della prostituzione nelle vene?- le chiese Travis, facendole abbassare lo sguardo.

-Devi sentirti fortunata, con il tuo fisico solo con dei poteri potresti convincere un ragazzo a stare con te- aggiunse un altro, sollevando uno scroscio di risa e battendo il cinque al capo del gruppo.

Gli occhi della ragazza erano pieni di lacrime, e si abbracciava come a proteggersi, senza successo.

-Lasciatela stare!- questo era troppo per Robin, che si diresse senza esitazione verso il gruppetto, nonostante fosse in netta minoranza e le leggi gli impedivano di fare alcun male a chiunque non avesse poteri.

-Ecco qui uno traviato dai suoi poteri- commentò uno dei bulli.

-No, macché, questo è il figlio di Mr. Change. Ha preso il caratterino del padre. Adorabile. Che vuoi farci, eh?- lo provocò Travis, dandogli una spinta, quasi divertito.

Robin avrebbe voluto rispondere con una frase intelligente o un commento sveglio, magari che mettesse in mezzo bullismo psicologico. Avrebbe potuto ricordargli che nonostante il suo essere migliore non avrebbe comunque mai trovato lavoro dato che era stupido come una capra, oppure parlare dei suoi genitori, decisamente peggio di quelli della ragazza che stava importunando, ma Robin non era bravo con le parole, nonostante fosse bravo a litigare, e soprattutto sapeva già che parlare, con un gorilla del genere, non sarebbe servito assolutamente a nulla.

Perciò fece la prima cosa che gli venne in mente, e che non avrebbe dovuto neanche pensare di fare. 

Sfogò la frustrazione che si portava da anni e anni in un pugno ben assestato che mandò Travis a terra, cogliendolo del tutto alla sprovvista.

I pochi ragazzi in cortile si girarono verso di loro, e senza neanche aspettare un cenno del loro capo, i compari del bullo presero Robin per le braccia, cercando di immobilizzarlo.

La ragazza indietreggiò lentamente e scappò via, e Robin ne fu felice. Almeno era riuscito nel suo intento.

Cercò di liberarsi dalla presa dei due ragazzi che lo stavano torchiando, ma erano più grossi e forti di lui.

Travis si alzò massaggiandosi la guancia sinistra, sulla quale era ben visibile una ferita dalla quale iniziava a sgorgare sangue. I suoi occhi mandavano scintille. Era furente.

-Te ne pentirai amaramente, vermiciattolo- lo minacciò alzando il pugno.

Robin chiuse gli occhi e si preparò all’impatto, ma il pugno che gli arrivò allo stomaco gli tolse comunque il respiro, e se i compari di Travis non lo avessero tenuto con forza sicuramente sarebbe crollato a terra.

Cercò ancora una volta di liberarsi, ma era inerme, e il secondo pugno lo colpì in pieno volto, togliendogli la vista e facendogli vedere le stelle.

Sentiva il brusio dei suoi compagni divertiti, che osservavano la scena come fosse uno spettacolo.

Razzisti, ignoranti, odiosi.

Gli montò nel petto una rabbia così forte da fargli male quasi come i pugni ricevuti, e prima che Travis potesse colpirlo di nuovo tentò un ultimo approccio disperato verso la libertà.

Questa volta, con sua somma sorpresa, lo sforzo non fu vano, ma i risultati furono disastrosi.

Riuscì a colpire con il polso destro uno dei ragazzi, ma nel farlo il bracciale che teneva al polso si sganciò violentemente, e la rabbia uscì sotto forma di una scarica elettrica che gettò  tutti i bulli da un lato, e fece urlare i ragazzi intorno.

Robin sgranò gli occhi e cadde a terra, sorpreso.

Prese poi il bracciale in tutta fretta e cercò di rimetterselo.

-Finirai in guai grossi per questo!- gli gridò Travis, rialzandosi e puntandogli il dito contro, leggermente tremante e tenendosi lo stomaco con il braccio libero.

Tutti i ragazzi intorno a lui lo fissavano, e per la prima volta nella sua vita Robin vide negli occhi delle persone che da sempre lo guardavano con superiorità la paura che aveva permesso all’umanità di soggiogare in quel modo i supereroi.

In soggezione, sommerso da una strana nausea e con la paura delle conseguenze che iniziava a farsi largo nella sua mente, Robin rinunciò a riattaccare il bracciale e scappò via, il più in fretta possibile, nel luogo più isolato che potesse raggiungere a quell’ora. Per fortuna beccò lo sgabuzzino delle scope e non finì in mensa. Almeno quella volta il suo potere non lo aveva tradito.

Cercò in tutti i modi di rimettersi il bracciale, ma sembrava rotto, e sicuramente la DIS, in quel momento, era già sulle sue tracce pronta ad arrestarlo.

Pregò con tutto il cuore che Madison non assistesse alla scena, non avrebbe sopportato il suo sguardo di giudizio. 

 

Eryn non era mai stata più stressata in tutta la sua vita.

Aveva rinunciato ad andare a lezione, quel giorno, e aveva passato la giornata a cercare informazioni su come stesse Pat e su quello che era successo la sera prima, senza il minimo successo sull’ultima parte.

Si sentiva davvero strana, e tremava, tremava da quella mattina, e non capiva assolutamente il motivo, ma era davvero all’erta, e preoccupata, e si sentiva completamente scombussolata.

Aveva scoperto che Pat era vivo, ma in condizioni critiche, e dovevano operarlo quanto prima. L’avevano trovato privo di conoscenza e ancora non si svegliava. L’ospedale non aveva voluto darle ulteriori informazioni, dato che non era un familiare, e non sapeva quando sarebbe riuscita a scoprire qualcosa e soprattutto se avrebbe avuto il coraggio di avere notizie. 

Si sentiva ancora tremendamente in colpa, e i ricordi di quella sera erano anche confusi e incomprensibili.

Come se non bastasse, al suo clima teso si era aggiunta una telefonata di sua madre che tra le lacrime l’aveva quasi implorata di andare a prendere Robin dalla sede principale della DIS e riportalo a casa, perché lei doveva lavorare e non poteva farlo, e Robin non poteva girovagare per la città da solo.

Non aveva perso tempo, e al momento passeggiava diretta nel loro minuscolo appartamento con Robin appresso, che si sistemava un enorme e sicuramente fastidiosissimo bracciale che gli copriva buona parte dell’avambraccio e si poteva aprire solo con una chiave magnetica che Eryn aveva nella borsa e che avrebbe dovuto installare in casa una volta arrivati.

Il silenzio tra di loro era denso come una lastra di vetro, ed Eryn avrebbe davvero voluto parlargli, ma non aveva idea di cosa dire e soprattutto non era abbastanza lucida per commentare quello che lui aveva fatto.

Ciò che più la preoccupava della questione, però, era che Robin non sembrava minimamente scosso, anzi, sembrava quasi soddisfatto.

Ed Eryn temeva davvero che avrebbe cercato un modo di rifarlo, e non credeva che sua madre sarebbe sopravvissuta ad un altro colpo al cuore. Aveva a malapena risolto con la DIS dimostrando in modo inoppugnabile che Robin aveva utilizzato i suoi poteri accidentalmente e che la colpa era del bracciale ma fabbricato che si era rotto.

Questo non aveva impedito alla scuola di sospenderlo, né aveva fermato la DIS da imporgli regole più dure e il bracciale più spesso, ma almeno non era stato arrestato, ed era già un risultato quasi miracoloso.

Probabilmente se Madison fosse stata lì Robin si sarebbe già trovato nelle segrete della DIS, e il fatto che fosse ancora minorenne era stato un ulteriore punto a suo favore, ma non sembrava vergognarsi di quello che aveva fatto, ed Eryn doveva assolutamente dirgli qualcosa, qualsiasi cosa.

Alla fine non riuscì più a trattenersi, e le preoccupazioni accumulate la fecero sbottare.

-Cosa diavolo ti è saltato in mente?!- chiese, spaventando Robin, che non si aspettava che lei avrebbe parlato. Molte persone in strada si girarono a guardarli.

-Non l’ho fatto apposta- rispose lui, sulla difensiva, provando ad incrociare le braccia e gemendo quando il bracciale gli fece male nel tentativo.

Si limitò quindi ad alzare le spalle.

-Robin, non credo che tu ti renda conto della situazione precaria in cui ti trovi. Perché mai ti sei infilato in quella rissa? Ti diverte tanto cercare di uccidere mamma dandole ulteriori preoccupazioni?- lo accusò, facendogli sgranare gli occhi ed inspirare bruscamente.

Non rispose, così Eryn continuò, proprio mentre arrivavano davanti casa.

-So che sei frustrato, ma non puoi semplicemente usare i tuoi poteri sugli altri. Scava solo la fossa ai supereroi, e non aiuta minimamente la nostra causa- cercò di farlo ragionare, aprendo la porta ed entrando in casa, seguita da Robin, che iniziava ad irritarsi.

-Vorrai dire la nostra causa, non la tua. Tu non sei una supereroina, non sai cosa significa!- la accusò lui, sbattendo la porta dietro di sé e cercando di togliersi, in un riflesso incondizionato, il bracciale dal polso, senza successo.

-Fidati, lo capisco più di quanto non pensi, e comunque solo perché non sono nata con i vostri strabilianti poteri non vuol dire che non tenga alla vostra libertà. Perché pensi che stia studiando giurisprudenza?!- obiettò lei, iniziando a scaldarsi, e iniziando a sentire una strana forza scorrerle nelle vene.

-Certo, perché imparare un paio di leggi ci aiuterà senz’altro, vero? Ma fammi il favore! È agendo che le cose cambiano!- rispose sarcastico Robin.

-E non ha torto su questo, è vero. Ma non credo che utilizzare i tuoi poteri terrorizzando mezza scuola permetterà ai supereroi di tornare ad essere apprezzati. Credo che tu agisci nel modo più sbagliato possibile!- gli fece notare Eryn, alzando sempre di più la voce. Dei libri sulla libreria iniziarono a tremare, ma nessuno dei due se ne accorse, troppo investiti nella conversazione.

-È stato un incidente!- gridò Robin, con tutto il fiato che aveva nei polmoni, facendo poi uscire un singhiozzo.

Eryn si calmò vedendo che alcune lacrime iniziavano a scorrergli lungo le guance. I libri smisero di muoversi.

-Cercavo solo di aiutare una ragazza. La stavano importunando e nessuno faceva nulla. È questo che devono fare i supereroi. Aiutare il prossimo. Ma poi il bracciale si è rotto. Non l’ho fatto apposta. Ti prego, Eryn, lo sai che non sono violento, e non attaccherei mai senza motivo!- cercò di convincerla, abbassando la voce e asciugandosi le lacrime.

Eryn tirò un profondo sospiro, e gli si avvicinò, abbracciandolo stretto.

Lui singhiozzò più forte.

-Non voglio che mamma muoia per la preoccupazione- sussurrò con voce impastata, ed Eryn sorrise tra sé, e gli diede qualche pacca sulla testa.

-Lo so, Bobi, lo so. Mi dispiace di averlo detto- lo rassicurò.

Dopo qualche minuto di conforto, Eryn sciolse l’abbraccio e riuscì ad installare la chiave magnetica per permettere a Robin di togliersi il bracciale. Poi ognuno tornò in camera propria, con i rispettivi pensieri e preoccupazioni, ma felici di essersi in parte chiariti tra di loro.

 

 

Una ragazzina dai codini biondi e un sorriso vagamente inquietante si avvicinò curiosa alla cella metallica e super tecnologica dove aveva rinchiuso la figura incappucciata, che tremante e debole, continuava a tenere il cappuccio premuto sul volto, non tanto per non essere riconosciuta, ma per pudore. 

In ogni caso era improbabile che qualcuno avrebbe riconosciuto il suo volto, ormai distrutto da cicatrici che gli avevano sfregiato la parte destra del corpo.

-Ti ho portato degli antidolorifici. Papà dice di trattarti bene, quello che hai fatto lo incuriosisce davvero tanto- la ragazzina lanciò nella cella un contenitore di pillole enormi, e si avvicinò per osservare la figura.

I grandi occhi castani la osservarono con avidità, come un predatore che studia la preda prima di agire.

La figura non le badò molto, e si limitò a prendere le pillole, tremante e a mandarne giù un paio, nonostante non avesse acqua.

La gola faceva male, ma non ci badò più di tanto.

Se lo meritava, in fondo.

Non aveva tenuto conto delle possibili conseguenze sul suo corpo.

-Senti, prima che papà torni a controllarti ed eventualmente a torturarti… è opera tua, vero? L’onda sonora, l’ho sentita chiarissima, e sono stata male tutto il giorno, ma poi…- la ragazzina si portò la mano davanti al viso, e lentamente le dita iniziarono ad unirsi, e la mano ad assottigliarsi, finché all’estremità del braccio era comparso quello che sembrava un affilato coltello da macellaio.

-È merito tuo? Perché se è così, grazie. Amo i coltelli. Ho sempre voluto essere una supereroina così. Potrò proteggere la mia famiglia, e diventare la ragazza più potente del mondo! E la DIS non potrà fermarmi- iniziò a ridacchiare eccitata.

Una risata maniacale, malata.

La figura non emise un fiato, e si limitò ad osservare il suo operato, senza traccia di rimpianto o soddisfazione.

Era solo molto, molto stanca.

Sperò solo che, alla fine, avrebbe raggiunto il suo obiettivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Il capitolo è abbastanza pronto da un po’, e ho anche quasi finito il prossimo, ma ho avuto difficoltà con la scena di Madison, non sapevo bene quanto dire, come dirlo, quanto descrivere. Alla fine è uscita abbastanza bene (e più lunga di quanto pensassi), ma comunque è stato complesso.

Ho introdotto nuovi personaggi, molti nuovi personaggi, e ce ne saranno ancora di più.

Che ne pensate di William Anderson? E dei De Marco?

Immagino che la lista di persone odiose si stia ampliando più di quella delle persone decenti, ma ogni cosa a suo tempo.

Molte sono le domande di questo capitolo. Pat se la caverà? Come ha fatto Eryn a sollevare tutto quel peso? Robin si calmerà o il suo sgarro gli darà la carica per riprovarci? Madison capirà cosa è successo alla torre De Marco? L’onda sonora ha causato altre conseguenze? 

E chi è la ragazza con i codini biondi (ok, questa è scontata e ovvia) ?

Fatemi sapere cosa ne pensate della storia, che spero continuerà a piacere alle due persone che la stanno leggendo, e se avete teorie, ship, richieste o commenti di alcun genere fatemelo sapere con una recensione o un messaggio privato.

Spero di sentire qualcuno.

O no, alla fine non mi aspetto nulla.

Un bacione e alla prossima :-*

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Capitolo 4
*** Supereroi che la DIS non può controllare ***


Supereroi che la DIS non può controllare

 

Il weekend era passato nell’assenza di notizie, e una nuova settimana si approcciava con grande tensione, nel mondo dei supereroi. 

I giornali riportavano i misteriosi incidenti che iniziavano ad avvenire in città, e la DIS aveva iniziato a condurre indagini su ogni famiglia di supereroi per venire a capo al quella che i media avevano definito una “fuga di poteri” impossibile da spiegare né controllare.

La mattina di lunedì, la situazione in casa Jefferson era decisamente anormale.

Robin fissava il giornale a bocca spalancata, stranamente silenzioso e con occhi sgranati.

Eryn aveva la testa bassa, e spiluccava la sua colazione senza avere particolare appetito, cosa decisamente insolita per lei.

Deborah era al telefono, nell’altra stanza, e per una volta la litigata con suo figlio era durata meno di cinque minuti, dato che quest’ultimo sembrava non avere più il dono della parola.

Eryn fu davvero felice che Madison non fosse venuta a trovarli, quel giorno, perché le occhiate di commiserazione di sua madre erano state abbastanza dolorose senza che fossero seguite da quelle di falsa e cortese partecipazione di sua sorella maggiore.

Il giornale di quel giorno aveva dato finalmente alla ragazza le informazioni che aveva cercato per tutto il weekend riguardo Pat, ma non erano state rosee, e ciò che aveva cercato di nascondere alla famiglia era diventato di dominio pubblico.

Sperò solo che il fratello non riacquistasse la parola prima che lei finisse di mangiare, perché un suo commento era l’ultima cosa che voleva.

Anche se con il tempo che ci stava impiegando a finire la colazione avrebbe fatto prima a lasciare tutto sul piatto e andarsi a preparare.

Non poteva permettersi di perdere un altro giorno di scuola, e grazie al cielo non aveva amici all’università, così non c’era nessuno a compatirla e a farla sentire ancora più in colpa.

Stava proprio per alzarsi mandando al diavolo la fame, quando suo fratello sbatté il pugno contro il tavolo, facendola sobbalzare.

-Non è giusto!- esclamò, seccato.

Eryn scosse la testa, leggermente sollevata e delusa al tempo stesso. Non si sarebbe dovuta aspettare niente di diverso da Robin. Probabilmente non aveva neanche riconosciuto il nome di Pat nell’elenco dei feriti dopo il misterioso attacco e non aveva ascoltato le parole di conforto di sua madre.

-Cosa?- chiese, curiosa.

-Come fanno quei supereroi a non essere beccati?! Vorrei poterlo fare anche io. Non è giusto che loro sono liberi e noi no!- si lamentò, grattandosi il polso in un riflesso incondizionato.

Non era uscito se non per buttare la spazzatura, quel weekend, eppure, per quei dieci minuti di passeggiata, il bracciale nuovo gli aveva già lasciato una fastidiosa irritazione alla pelle, che non faceva che grattarsi, peggiorando la situazione.

-Concordo con te. Stanno completamente distruggendo la possibilità di redenzione dei supereoi- commentò la ragazza, sbirciando con un sospiro la foto dei tre individui mascherati che avevano rapinato una banca il giorno prima, dando prova di poteri davvero forti e che nessuno sembrava essere riuscito a combattere.

-Già! Se permettessero a noi di tornare come un tempo e sconfiggere questa… “lega del male”, potremmo riportare l’equilibrio!- le diede man forte Robin, sbuffando e lanciando via il giornale, per poi alzarsi in piedi, pronto a tornare in camera.

Un’idea guizzò per un attimo nella mente di Eryn, che però l’accantonò subito dopo, scuotendo la testa, e sospirando.

-Ah… mi dispiace per il tuo capo. Spero che si rimetta presto- disse Robin a voce bassa e con tono più dolce, prima di sparire come un fulmine in camera.

Patrick era ancora ricoverato in ospedale, in condizioni critiche. Aveva già subito una moltitudine di interventi, ma non avevano dato i frutti sperati, ed era rimasto paralizzato a causa di un brutto trauma alla spina dorsale.

L’unica cosa che consolava Eryn era che, grazie al potere di uno dei medici più importanti della città e uno dei pochissimi supereroi apprezzati dalla comunità, Forest Denver, non era rimasto completamente paralizzato, e non sarebbe degenerato ulteriormente.

Avrebbe tanto voluto andarlo a trovare, ma non era sicura di riuscire a guardarlo in faccia, sapendo di essere la causa di quello che gli era successo.

E soprattutto visto che sapeva che, se lui l’avesse lasciata sotto quel cartellone, probabilmente lei non si sarebbe fatta nulla.

Quel weekend aveva scoperto delle cose assurde su di lei.

Cose che non riusciva a spiegare e che la spaventavano davvero molto.

Fissò il giornale appallottolato sul pavimento, si concentrò, e riuscì, con la sola forza del pensiero, a sollevarlo in aria e buttarlo nel cestino, a qualche centimetro di distanza.

Poi si prese la testa tra le mani, spaventata da se stessa, e respirando profondamente per calmarsi.

La forza che aveva mostrato salvando Pat non era stata l’adrenalina del momento, e riusciva a muovere gli oggetti con la forza del pensiero: super forza e telecinesi.

Due dei poteri che da piccola aveva sempre voluto avere.

Nuovi supereroi sembravano essere spuntati dal nulla.

Supereroi che la DIS non poteva controllare.

Ed Eryn era tra loro.

E non sapeva assolutamente cosa fare.

 

Madison strappò il foglio di giornale in così tanti pezzi che pulire sarebbe stato davvero difficile, ma non le importava affatto.

Non si era mai sentita così infastidita in tutta la sua vita.

Si sentiva come una teiera sul punto di scoppiare, ed era quasi esplosa, quella mattina, quando il suo capo l’aveva chiamata nel suo ufficio per rimuoverla dall’incarico a tempo indeterminato, mentre cercavano di risolvere la questione legata alla “fuga di poteri”.

Lei, che negli ultimi due giorni quasi non aveva dormito per cercare le cause delle scosse sismiche e cercare di capire se era collegato al caso della torre De Marco, cosa piuttosto probabile, anche se i Navarra ancora non capivano esattamente a cosa serviva la macchina trovata a pezzi sul loro tetto.

Lei, la donna che aveva avuto l’idea di requisire tutte le telecamere dei negozi accanto alla torre per controllare che una figura misteriosa fosse passata da quelle parti.

Solo perché non aveva avuto successo non significava che lei aveva fallito, e soprattutto nessuno doveva permettersi di dubitare di lei.

Solo perché suo padre era un traditore ubriacone e fallito, e suo fratello un criminale in erba.

-Tutto bene, agente Jefferson?- chiese William, avvicinandosi confuso con il suo caffè mattutino in mano.

-Mi hanno sollevata dall’incarico. Mi sbattono in segreteria- spiegò lei, cercando di apparire rilassata ma fallendo miseramente.

Non era giusto.

Non era dannatamente giusto!

L’agente Anderson non commentò, si limitò a guardarla, con un cipiglio che Madison non riuscì a decifrare, poi annuì tra sé e se ne andò, senza aggiungere altro, senza dire una parola.

Madison non se ne stupì, conoscendo il suo carattere schivo, ma non aiutò di certo il suo autocontrollo.

Erano stati partner per tre anni, da quando lei aveva conseguito il master con il massimo dei voti e un anno di anticipo e aveva cominciato a lavorare alla DIS.

E ora non le augurava neanche buona fortuna, non le offriva neanche una parola di conforto?

Che persona odiosa!

Da una parte, Madison fu felice di non lavorare più con lui, anche se, in fondo, avere un collega così come partner era stato rinfrancante. Aveva esperienza, non l’aveva mai ripresa per nulla e la difendeva sempre, a modo suo, dai razzisti che la ignoravano o la trattavano in malo modo solo perché era una supereroina.

Fece un profondo sospiro per calmarsi, e raccolse i pezzi di giornale, e poi il resto delle sue cose in una scatola, per trasferirle in una nuova scrivania, da dove si sarebbe limitata a parlare al telefono e a rispondere a domande o avvertire quelli che potevano fare qualcosa riguardo ai problemi che affliggevano il mondo.

Ma il destino sembrava avere programmi diversi per lei, dato che venti minuti dopo il suo incontro casuale con l’agente Anderson, venne nuovamente richiamata nell’ufficio del capo generale della DIS, il signor Denzel Jager.

Confusa e cercando di riacquistare compostezza, posò la scatola, si aggiustò gonna e capelli e si avviò impettita verso l’ufficio, proprio mentre l’agente Anderson usciva, finendo il caffè e lanciandole un’occhiata indefinibile.

Denzel l’accolse con un certo fastidio e fretta, e Madison si sedette davanti alla sua scrivania, senza sapere assolutamente cosa aspettarsi.

Forse William era riuscito a farla riammettere nel caso.

-Ho una proposta per te- esordì lui.

-Che proposta, signor Jager?- chiese lei, sinceramente incuriosita ma tentando di non darsi false speranze.

-L’agente Anderson mi ha fatto notare che nell’intera faccenda alla torre Di Marco ci sono delle, come dire, incongruenze sospette- le spiegò.

Come se non lo sapesse già! Era stata lei a portarle all’attenzione di William e Denzel, ma ovviamente quest’ultimo non l’aveva ascoltata.

Nessuno sembrava ascoltarla mai!

-Sì, ne abbiamo discusso insieme- annuì lei, imponendosi si non aggiungere “Sono stata io a notarlo” per non sembrare una bambina desiderosa di riconoscimento.

Anche se, effettivamente, aveva sempre avuto un bisogno di riconoscimento costante, fin da piccola.

E nessuno, ad eccezione di sua madre, sembrava volerglielo dare.

-Sì sì, infatti. Purtroppo per via di questa “fuga di poteri”, non posso mandare degli agenti ad indagare, e i De Marco sono degli infidi bastardi che non lasciano nessuno a ficcare il naso nei loro sporchi affari. Perciò pensavo di approfittare della situazione e della candidatura del primogenito per affidarti una missione sotto copertura. Sempre che tu ne sia in grado- le propose, con un sorriso di posata soddisfazione maligna.

La sua rivalità con Oscar De Marco non era un segreto, in fondo.

Madison rimase di stucco e senza parole.

Dopo averla licenziata le offriva un lavoro così importante? Ed era stato William a convincerlo? Avrebbe dovuto offrirgli una ciambella appena uscita da quell’ufficio, altroché.

Aveva fatto male a giudicarlo con tale superiorità.

Prima che potesse accettare con un sorriso di vittoria e decisamente troppo entusiasmo, Denzel continuò.

-Ti affideremo come guardia di sicurezza e donna delle pulizie della torre De Marco, con il compito di scortare Finnegan. Il tuo allenamento di autodifesa avanzato tornerà utile per sembrare credibile, e nel frattempo indagherai dall’interno su attività illecite collegate ai supereroi- le spiegò in breve, facendo crollare le sue speranze.

-Mi scusi, donna delle pulizie?- chiese, credendo di aver capito male.

-Sì, è un problema? O questo o vai dritta a pulire i bagni di questo edificio, a me non cambia molto- la minacciò, e Madison non replicò, ma si morse il labbro inferiore per evitare che le uscissero delle parole non molto carine da dire al suo capo.

-Altro?- chiese, in modo formale.

-Se vieni scoperta sei fuori, e per tutti sarà stata una tua idea per farti notare o qualcosa del genere. La DIS non si prende alcuna responsabilità- concluse. 

-Allora, accetti?- chiese poi, ben conscio di non averle lasciato tante possibilità di risposta.

-Certo, sarà un piacere- annuì lei, ricacciando indietro la bile amara che le stava risalendo alla gola per il fastidio e la rabbia.

-Bene, vai a sgombrare la scrivania, e aspetta un messaggio per quando dovrai iniziare a lavorare- la congedò lui, senza guardarla già più e indicando la porta con un cenno sbrigativo.

Madison si alzò, fece un cenno rispettoso con la testa ed uscì, con i pugni stretti e una grande voglia di prendere il giornale di prima e martoriarlo ulteriormente.

L’unica ciambella che avrebbe offerto all’agente Anderson sarebbe stata avvelenata.

Come aveva potuto farle questo? Suggerire al suo capo un lavoro che l’avrebbe ridotta a cameriera dei De Marco.

Sperava davvero di non incontrarlo tanto presto, o non sarebbe riuscita a trattenersi, probabilmente.

-Agente Jefferson- purtroppo lui sembrava che la stesse aspettando, appoggiato alla sua ex scrivania, e la chiamò in tono brusco e con una minima traccia di preoccupazione, che però Madison, arrabbiata com’era, non colse.

-Cameriera Jefferson, grazie a te- lo corresse sarcastica, prendendo con violenza la sua scatola e cercando di ignorarlo.

Non aveva proprio voglia di parlare con lui.

L’agente Anderson alzò gli occhi al cielo.

-Ora non comportarti in modo infantile- la riprese, incrociando le braccia.

Madison si fermò sul posto, sperando per lui di aver capito male.

-Infantile?- chiese, girandosi e lanciandogli un’occhiata di fuoco.

-Vengo sollevata dal mio lavoro perché la DIS ha dei problemi gestionali e la gente ha paura della mia specie e vengo appioppata come cameriera per una famiglia di criminali. Credo di avere tutto il diritto di essere irritata. O pensi che dovrei baciare la terra su cui cammini in segno di riconoscenza?- si sfogò, senza riuscire a trattenersi.

L’agente Anderson rimase impassibile.

-Non mi aspetto che tu mi ringrazi, dopotutto non l’ho fatto per te. Pensavo semplicemente che fosse utile per tutti che tu continuassi a lavorare alla tua pista invece di essere posizionata alla reception. Sei un ottimo agente, forse il migliore che abbiamo, e mi pare che potresti ottenere più informazioni lavorando ancora alla Torre De Marco. Un agente degno di questo nome non si preoccupa della facciata che deve assumere, ma pensa al risultato. Era quello che faceva tuo padre. Sarebbe deluso, Maddie- scosse la testa, e la superò per tornare alla sua scrivania.

Madison rimase congelata sul posto.

Ma non durò a lungo.

Quando le passò accanto lo prese con forza per un braccio.

-Non osare mai più chiamarmi Maddie- gli sussurrò, gelida -Né parlare di mio padre, o ti denuncio per favoreggiamento di un traditore- lo minacciò.

Lui sogghignò.

-Pensi che qualcuno ti crederebbe?- si liberò il braccio senza sforzo e la lasciò sola, turbata e sempre più irritata.

 

La pausa pranzo, all’università, fu decisamente diversa dal solito.

Tutti gli studenti parlavano concitati e preoccupati, discutendo della “fuga di poteri” e delle vittime causate.

Ed Eryn non riusciva a non pensare a Pat.

A quello che avrebbe detto, pensato. A come l’avrebbe guardata.

E le faceva davvero male.

Non era riuscita a concentrarsi per tutta la lezione di diritto, e mangiava il suo panino senza quasi avvertirne i sapori.

Chissà se il potere che aveva ricevuto sarebbe durato.

Chissà quanto peso poteva sollevare con il corpo e con la mente.

Chissà quanti anni di prigione si sarebbe fatta per averlo tenuto nascosto.

Probabilmente non sarebbe mai uscita dalle segrete della DIS.

Forse poteva arrangiare un accordo come suo padre e stare a casa con lui.

Mettersi a bere e dimenticarsi del male del mondo.

Sperava che almeno Robin sarebbe venuto a trovarla, e magari sua madre.

Sicuramene Madison l’avrebbe disconosciuta.

Ridacchiò leggermente tra sé, in modo isterico, ed attirando l’attenzione di due ragazze che discutevano della cosa al tavolo accanto, che le lanciarono un’occhiata confusa e poi tornarono al loro gossip.

Eryn sperava solo di poter dire un ultimo addio e mi dispiace a Pat, prima di essere arrestata.

Sempre che l’avessero arrestata, dato che non sembrava potessero rilevare i poteri di questi neo-supereroi.

-Scusa, posso sedermi?- chiese una voce grave e molto dolce che le sembrò familiare, facendola sobbalzare leggermente, non aspettandosi nessuno che la chiamasse.

Alzò la testa e incontrò degli occhi scuri a malapena visibili dietro dei riccissimi capelli neri.

La riconobbe subito, anche se non pensava di rivederla, e si era quasi dimenticata di lei, dopo tutto quello che era successo.

-Blaire, giusto? Certo, siediti pure- le sorrise, un po’ forzatamente, indicandole il posto libero con un cenno accomodante.

Blaire rispose al sorriso, un po’ timidamente, e le si sedette accanto, aprendo la busta contenente il suo pranzo.

-Grazie. Spero di non disturbarti- iniziò a rigirarsi una ciocca di capelli intorno al dito, un po’ a disagio, e a mangiare un’insalata di riso dall’aria invitante.

-No, assolutamente no. Sono solo un po’ sovrappensiero, tutto qui- la rassicurò Eryn, senza riuscire a trattenere un sospiro teso.

-Immagino. Ho letto i giornali, mi dispiace tanto per il tuo amico, davvero. Sono felice però che si stia rimettendo- le disse con partecipazione, e a differenza delle parole confortanti di sua madre o quelle un po’ menefreghiste di Robin, Eryn le apprezzò.

Forse era il modo in cui Blaire si esprimeva, con una dolcezza incredibile, o forse il fatto che a differenza della sua famiglia lei conosceva, anche se poco, Pat, e poteva capire, almeno in parte, cosa poteva significare per Eryn rischiare di perderlo.

-Grazie, Blaire- le sorrise con più sincerità, quasi commossa.

La ragazza fece per aggiungere qualcosa, ma le parole le morirono in bocca, così come il respiro, notando qualcosa alle spalle di Eryn.

-Scusa, devo andare in bagno!- esclamò in tutta fretta, scappando così velocemente che Eryn non fece in tempo a risponderle.

Si girò, confusa, e riconobbe immediatamente i bulli che, proprio quel mercoledì in cui l’aveva conosciuta, le stavano dando la caccia per la città.

Non sembravano averla vista, ma Eryn provò un moto di rabbia davvero incontrollabile, e quando la sedia di quello che sembrava il capo cadde all’indietro senza motivo apparente, si impose di calmarsi e decise che una piccola pausa in bagno non avrebbe fatto male neanche a lei.

Senza contare che Blaire aveva dimenticato il pranzo sul tavolo, nella fretta di scappare.

Lo prese e si avviò.

La trovò intenta a sciacquarsi le mani, come cercando di passare il tempo.

-Oh, Eryn… scusa è che…- cercò di rifilarle una scusa, ma la ragazza la interruppe, e le passò il pranzo.

-Perché se la prendono con te?- chiese confusa e irritata.

Quanto avrebbe voluto dare loro una lezione! Questa volta non c’era Pat a fermarla dal colpirli con una mazza chiodata.

Beh, non aveva la mazza chiodata, ma i suoi pugni sarebbero stati abbastanza, probabilmente.

Blaire si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio, un po’ a disagio.

-Beh, mi prendono di mira da sempre. Credo mi abbiano sempre considerato una preda facile. Ancora di più da quando sono una ragazza- ammise, torturandosi le mani.

-Quindi immagino che non sia la solita storia che uno di loro è in realtà innamorato perso di te- provò a buttarla sul ridere Eryn, facendole capire che non badava affatto a quello che la ragazza era stata.

Blaire scoppiò a ridere, lasciandosi un po’ andare.

-Oh, no, lo trovo decisamente improbabile. Mi prendevano sempre di mira. A me e al mio migliore amico. Ora che lui è famoso se la prendono solo con me. È più facile- sospirò, rassegnata.

-Beh, da oggi in poi se se la vogliono prendere con te dovranno prendersela anche con me- la rassicurò Eryn, e Blaire la guardò, incredula e riconoscente.

-Non devi scomodarti per me… e poi non volevo parlare di me. Tu come stai? Sei andata a trovarlo?- chiese, rigirando il discorso e continuando a mangiare il suo riso.

Eryn abbassò lo sguardo.

-No… ho paura. Non so che fare- ammise, sospirando.

Parlare con Blaire era davvero semplice. Era incredibile con quanta facilità si stavano aprendo l’una con l’altra.

-Non vi conosco così bene da poter supporre, ma mi sembrava davvero affezionato a te. Sono sicura che una tua visita gli farebbe solo piacere- tentò di rassicurarla Blaire, mettendole una mano sulla spalla per confortarla.

Eryn non alzò lo sguardo.

-È che mi sento così in colpa… è difficile da spiegare…io ero con lui fino a poco prima, e non riesco a non dirmi che avrei potuto impedirlo…- chiuse gli occhi, prendendosi la testa tra le mani.

-Non è così difficile da capire… ma non è colpa tua. L’unico che ha la colpa è il supercattivo che ha creato le scosse. A volte capitano cose più forti di noi, e possiamo solo cercare di fare del nostro meglio, ma non devi pensare che il peso del mondo è su di te… insomma… quello che voglio dire è che… ti capisco, in parte, ma non saprai mai quello che succederà incontrando Patrick se non lo incontri-  la rassicurò.

Eryn si sentì molto sollevata, e sollevò la testa per darle un sorriso riconoscente, che però le morì in bocca, quando si trovò davanti ad una copia sputata di sé stessa, che le sorrideva incoraggiante.

Gridò per la sorpresa, e la sua copia fece altrettanto, guardandola confusa, e lasciandole andare la spalla.

Non appena lo fece, si trasformò in Blaire.

-Cosa c’è?- chiese, spaventata, guardandosi intorno.

-Tu… tu…- Eryn iniziò ad indicarla, senza sapere assolutamente come comportarsi.

-C_cosa? Cosa ho fatto? Ho detto qualcosa di male, o di inappropriato, mi dispiace tanto- iniziò ad autocommiserarsi Blaire, torturandosi ancora di più le mani.

-No… no… tu.. tu eri me!- le spiegò Eryn, con tono più acuto del normale.

Blaire sgranò gli occhi, e si fissò le mani, terrorizzata.

-Oh no! Di nuovo! Mi dispiace! Non so cosa mi stia succedendo. Ti giuro che non sono una supereroina, ma questi ultimi giorni… Ti prego, non dirlo alla DIS! Non faccio male a nessuno, non sono tra quelli che stanno distruggendo la città, ho paura che non mi crederebbero- si allontanò il più possibile, come spaventata da sé stessa, ma dopo lo shock iniziale, Eryn respirò per calmarsi, e la trovò una cosa fantastica.

-Non sono l’unica- disse tra sé, sollevata.

Pensava, viste le voci che giravano, che solo le persone cattive avessero ricevuto i poteri, ma se anche Blaire aveva questi poteri vaganti significava che forse altre persone non l’avevano mostrato ed erano buone.

Fu un pensiero confortante.

-Non sei cosa?- chiese Blaire, confusa.

-Anche io ho dei poteri- le disse sottovoce, eccitata.

Blaire la fissò a bocca spalancata, troppo sconvolta per continuare a torturarsi le mani.

-Cosa?- chiese, decisamente sorpresa.

Per tutta risposta, Eryn sollevò una saponetta e se la mise in mano.

-Non hai niente da temere con me, non dirò niente a nessuno. Se tu non dirai niente su di me- le propose, avvicinandosi e cercando di tranquillizzarla.

Blaire respirò profondamente, fissando la saponetta come se fosse aliena.

-Io… ok… ovvio… certo… sto per svenire per la tensione- la avvertì, tenendosi il petto.

Eryn le si avvicinò leggermente, per prenderla al volo caso mai fosse davvero svenuta, posò la saponetta e prese quello che restava del pranzo, che porse alla nuova amica.

-La mia prossima lezione è tra due ore… ti va un caffè per parlare?- le propose, con un sorriso incoraggiante e speranzoso.

Respirando un po’ a fatica, ma con l’ansia che cominciava a dissiparsi, Blaire annuì.

 

La giornata di Robin era passata più tranquillamente di quanto si sarebbe aspettato considerando che era stato rimasto sospeso due giorni a causa di una rissa e ora aveva un bracciale che lo rendeva decisamente più debole del solito e quindi facile preda dei bulli che aveva bruciacchiato involontariamente.

Certo, lo evitavano tutti come la peste, segno che probabilmente erano spaventati da lui, ma gli succedeva sempre in ogni caso, e almeno nessuno sembrava volerlo importunare, nemmeno Travis, che lo incrociò nel corridoio a pranzo e corse via a gambe levate terrorizzato un secondo dopo.

Per la prima volta da anni uscì dalla scuola quasi sorridente, e iniziò ad avviarsi in casa convinto che per una volta le cose sarebbero andate bene.

La convinzione ed il sorriso vennero meno quando si sentì chiamare con un timido tap-tap sulla spalla.

Ecco, era il classico caso in cui lui si girava e si beccava un pugno in pieno volto.

Strinse i pugni e si preparò all’impatto, girandosi di scatto con la sua migliore occhiata di fuoco, ma si ricredette quando si ritrovò faccia a faccia con la ragazzina che aveva protetto giovedì, che rendendosi conto del suo sguardo assassino sobbalzò e si allontanò leggermente, un po’ a disagio.

-Oh… ciao- lo salutò lui, sorpreso e rilassandosi.

Chissà perché lo aveva chiamato.

-Ciao- rispose lei, arrossendo leggermente, e iniziando a torturarsi i capelli.

Robin non si era soffermato molto su di lei, quando l’aveva salvata, ma doveva ammettere che era molto carina, escludendo qualche chilo di troppo, che comunque era decisamente meglio che essere anoressica.

La sua pelle era bianca lattea, con una spruzzata di lentiggini in tutto il corpo. I capelli erano castano chiaro e molto lunghi, e la frangetta le copriva leggermente gli occhi azzurri e molto dolci.

In generale i suoi tratti erano morbidi e piacevoli da guardare.

I ragazzi che l’avevano presa in giro non capivano proprio nulla di bellezza. Anche se forse era più una questione di gusto personale.

Comunque Robin non badava all’aspetto, quindi non ci fece troppo caso.

-Hai bisogno di qualcosa?- chiese provando ad incrociare le braccia, senza successo.

Il nuovo bracciale glielo rendeva impossibile, così si limitò a lasciarle lungo i fianchi.

-Oh… sì… io…- iniziò a balbettare la ragazza.

Forse era stato un po’ brusco, doveva essere più gentile.

Dopotutto era una supereroina come lui, l’aveva salvata pochi giorni prima ed era improbabile che volesse fargli una ramanzina.

Inoltre era raro per lui parlare con persone più giovani. Era una bella novità.

-Tranquilla, non ti mangio- cercò di rassicurarla, accennando un sorriso incoraggiante che gli venne davvero male e provando a rilassarsi e ad apparire tranquillo e affabile… senza sicuramente riuscirci più di tanto.

Lei però sembrò rassicurata, e gli sorrise, arrossendo anche leggermente.

Chissà perché… non faceva caldo quel giorno.

Forse era solo a disagio di trovarsi davanti a lui, era più grande e decisamente musone, dopotutto.

-Volevo ringraziarti- esclamò in tono acuto, torturandosi le mani come se per lei fosse stata un’ammissione difficile.

Il sorriso di Robin divenne più autentico.

-Oh… grazie- gli brillarono gli occhi.

Non si aspettava un ringraziamento, ma doveva ammettere che era piacevole che il suo sforzo fosse stato riconosciuto -O meglio… figurati- si corresse.

Dopotutto non si rispondeva ad un ringraziamento con un altro ringraziamento, giusto? Robin era troppo arrugginito e poco abituato alla gratitudine di altri per sapere esattamente cosa fare, e la ragazza arrossì ulteriormente, forse imbarazzata per quanto fosse impacciato.

Uff, doveva lavorare sulle sue abilità sociali.

-Sei stato davvero fantastico e mi dispiace di essere scappata, quando mi hai aiutato- continuò la ragazza, distogliendo lo sguardo da lui.

Più la guardava e la ascoltava, meno riusciva a capirla.

Nonostante avesse due sorelle per Robin la mente femminile era sempre stata un mistero enorme e di difficile comprensione.

Sembrava a disagio eppure gli parlava, lo ringraziava ma sembrava non volerlo fare.

L’avevano forse obbligata? Oppure semplicemente si sentiva in dovere e non vedeva l’ora di toglierselo dai piedi e continuare con la sua vita? O magari era solo molto timida… Robin non credeva che le ragazze potessero essere timide, essendo cresciuto con Madison “Sono così perfetta che gli altri devono prostrarsi ai miei piedi” Jefferson ed Eryn “Vado in giro per casa in mutande noncurante che qualcuno possa vedermi dalla finestra” Jefferson, ma forse esistevano, e la ragazza davanti a lui poteva essere una prova.

-Non preoccuparti, sono felice che tu ti sia messa in salvo, o saresti finita nei guai anche tu- la rassicurò, agitando la mano come a far cadere l’argomento.

La ragazza tornò a guardarlo, incredula, e con occhi brillanti.

-Temevo mi considerassi una fifona- sussurrò, un po’ tra sé, imbarazzata.

-No, figurati. Hai fatto bene. Non c’è più spazio per gli eroi ormai- Robin sospirò, e si rigirò il fastidioso bracciale.

-Ma tu sei un eroe. Il mio eroe!- esclamò lei in fretta, sicura di sé e sbarrando gli occhi subito dopo, rendendosi conto di quello che aveva detto.

Robin rimase a bocca aperta, senza sapere bene cosa replicare.

Ammetteva che il complimento gli faceva davvero piacere, ma non se lo aspettava minimamente.

E poi non aveva fatto poi chissà cosa, in verità.

Avrebbe potuto fare molto di più, e avere molti meno problemi dopo.

-Volevo solo dirti questo e… beh… meglio che io torni a casa adesso. Ciao!- più rossa dei capelli di Robin e con tono così acuto che iniziava a dare fastidio al ragazzo, la ragazza senza nome fece per superarlo e allontanarsi, ma lui la fermò, mettendole una mano sulla spalla e facendola girare, sorpresa e ancora più rossa.

Per caso stava producendo calore? Robin non riusciva proprio a spiegarsi quel rossore improvviso, eppure il bracciale non avrebbe dovuto permetterlo.

-Non mi hai detto come ti chiami- le fece notare.

In effetti non voleva che l’unica persona che l’avrebbe mai considerato un eroe fosse classificata nella sua mente come “Ragazza senza nome”.

-Oh… giusto, scusa. Mi chiamo Holly Hopper- si presentò lei, porgendogli la mano ma poi ripensandoci e limitandosi a sorridere mentre sembrava asciugarsela dal sudore dietro la schiena.

Robin non ci fece troppo caso, non amava il contatto fisico, perciò non stringere la mano di qualcuno era solo piacevole per lui.

-Robin Jefferson- si presentò a sua volta, con un cenno del capo.

-Oh, lo so… cioè… piacere- lei ampliò il sorriso, ormai ridotta ad un peperone.

-Se prendi anche tu l’autobus alla stazione possiamo andarci insieme, se vuoi- le propose poi Robin, senza neanche sapere perché l’avesse detto, ma non pentendosene, dato che Holly sembrava davvero felice che lo avesse proposto.

-Certo, certo. Con grandissimo piacere- rispose entusiasta, e lo affiancò.

Non parlarono molto, fino alla fermata, ma entrambi erano davvero felici di aver fatto la strada insieme.

Robin non poteva ancora affermarlo con certezza, ma sentiva di aver trovato qualcuno che potesse quasi considerare un amico.

Per la prima volta da anni, quando tornò a casa era sorridente.

 

Eryn dovette fare ricorso a tutto il suo sangue freddo per trovare la forza di andare da Pat, quel pomeriggio, e riuscì a malapena a rientrare nell’orario delle visite, anche se inconsciamente sperava davvero di sforare.

Se non avesse parlato per due ore con Blaire era probabile che non sarebbe andata a trovare il suo capo prima di qualche giorno come minimo, ma alla fine la ragazza l’aveva convinta, ed ora era lì, e si sentiva una gallina nella tana delle volpi. 

Mentre seguiva l’infermiera che l’aveva accolta con molta più gentilezza di quanto si sarebbe aspettata, cercava di farsi forza, respirare ed evitare di avere un attacco di panico.

Oltretutto se si sentiva male in ospedale era probabile che le facessero un sacco di test, e non le conveniva rischiare che le analizzassero il sangue, visti i nuovi poteri che aveva all’improvviso manifestato.

-Aspetta un momento qui- le chiese l’infermiera, entrando nella stanza per annunciarla.

Eryn valutò l’idea di scappare a gambe levate, ma non ebbe il tempo di metterla in pratica, perché pochi secondi dopo la porta si aprì nuovamente, ed Eryn fu quasi spinta dentro.

-Ciao Pat- lo salutò, senza osare guardarlo, ma tenendo la testa fissa sui suoi piedi. Era certa di essere rossa come un peperone e sperò con tutto il cuore che l’infermiera fraintendesse e pensasse che aveva una cotta per lui. 

Cosa che per sua fortuna sembrò accadere, perché con un sorrisino malizioso, uscì in fretta commentando: 

-Vi lascio un po’ soli- 

-Eryn, non mi aspettavo di vederti- commentò Patrick, con un tono che la ragazza non riusciva a definire.

Era arrabbiato, deluso, confuso? O forse era felice? O magari sollevato o sorpreso…

Probabilmente se avesse sollevato lo sguardo lo avrebbe capito, ma non sollevò lo sguardo, non credeva di averne la forza.

C’erano tante cose che avrebbe potuto rispondere, ma la sua bocca era secca, e il nodo del senso di colpa la stava uccidendo.

Era convinta che sarebbe esplosa da un momento all’altro, poi Pat disse qualcosa di così assurdo, da farle sollevare la testa di scatto, dimentica delle sue turbe mentali.

-Sei arrabbiata con me?- chiese infatti, tristemente.

-Arrabbiata con te? Ma sei impazzito?!- esclamò con fin troppa veemenza, facendolo sobbalzare sorpreso.

-Beh… ho sbattuto la testa, ma non credo di essere impazzito- scherzò, per spezzare la tensione.

La naturalezza con cui parlò, come se non fosse successo niente tra loro, come se Eryn non fosse responsabile del suo precario stato di salute e della sua disabilità… la fece finalmente crollare.

Scoppiò a piangere e cadde in ginocchio ai piedi del letto, incapace di trattenersi.

-Eryn…- sussurrò Pat, sollevando una mano verso di lei ma incapace di raggiungerla.

-Mi dispiace così tanto. Tu non ne hai idea. So che non ho il diritto di venirti a trovare, ma non potevo… non potevo…- la voce di Eryn si ruppe, e Patrick scosse la testa, e sospirò, iniziando un po’ a capire la situazione ma rimanendo comunque piuttosto confuso.

-Eryn…- la interruppe in tono rassicurante -Di cosa ti scusi? Mi hai salvato la vita- le sorrise leggermente, incoraggiante, e ammutolendola per qualche istante.

Poi la ragazza scosse la testa -No, non è vero. Se non fosse stato per me…- continuò a lamentarsi.

-…sarei rimasto sotto il cartello abbastanza da devastarmi tutti gli organi interni, e sarei morto prima dell’arrivo dell’ambulanza- concluse Pat per lei, in tono fermo.

Eryn sollevò lo sguardo verso di lui, e si asciugò le lacrime. 

Non era ancora pronta a togliersi la colpevolezza, perciò continuò ad obiettare.

-Non ti saresti gettato lì sotto, tanto per cominciare, e non avresti mai dovuto farlo. Non… probabilmente non avevo neanche bisogno di essere salvata- Eryn si guardò le mani tremanti, stringendosele poi al petto, come per evitare che potesse in qualche modo ferire Pat.

Lui non rispose, e rimasero per qualche secondo nel più totale silenzio. 

Poi, quando Eryn si alzò decisa ad andarsene, senza riuscire più a sostenere il peso che le stava lentamente dilaniando il cuore, Pat la interruppe, con cautela, soppesando ogni parola.

-Forse non lo rifarei, ma non mi pento di averlo fatto- ammise, ed Eryn poteva vedere dai suoi occhi che era del tutto onesto, e si convinse ad avvicinarsi a lui, e inginocchiarsi più vicino.

Lui le sorrise rassicurante, e le mise una mano sulla spalle. La ragazza sentì buona parte del peso levarsi da lei, e riuscì a sorridergli a sua volta, e a sostenere il suo sguardo.

-Mi dispiace- sussurrò ancora. Lui scosse la testa.

-Non devi, è stata una mia scelta. È a me che dispiace per averti cacciata via. Non l’ho fatto per… insomma… quello che hai fatto. Ma temevo che se avessero notato che avevi sollevato il cartellone ti avrebbero fatto un sacco di domande e forse anche arrestata. Non potevo permetterlo- provò a spiegarle, sistemandosi gli occhiali sul volto in chiaro segno di disagio.

Eryn rimase molto sorpresa da quella confessione.

-Pensavo che… ti fossi spaventato per quello che avevo fatto- commentò, tra sé, sorprendendosi del sollievo che quella visita, spaventosa fino a poco prima, le stava portando.

-Ma certo che no. Sai che sono pro-supereroi- le fece un occhiolino Pat.

Eryn cominciò a guardare quella serata con altri occhi.

-Quindi mi hai chiesto di usare il telefono…- cominciò a ragionare.

-Perché non risalissero al tuo numero- annuì lui.

Eryn tirò un sospiro di sollievo.

-Sei troppo intelligente per me. Mi sei mancato questi giorni- ammise, prendendogli la mano e stringendola. Per la prima volta da mercoledì si sentiva quasi serena.

Pat era vivo, non la odiava e sembrava più sereno di lei. Certo, era costretto in sedia a rotelle, ma la medicina faceva dei progressi incredibili, ed Eryn era pronta ad aiutarlo al meglio delle sue possibilità.

-Eryn, tra due giorni mi dimetteranno. Ho un’idea che mi frulla in testa da quando mi sono svegliato e devo assolutamente metterti al corrente di una cosa importante- Patrick cambiò discorso, e si fece serio.

Eryn si avvicinò, attenta.

-Riguarda i miei nuovi po…- la sua indagine venne però stroncata subito dall’infermiera di prima, che aprì la porta ed entrò quasi dispiaciuta.

-Scusate ragazzi, ma l’orario delle visite è finito- si interruppe notando quanto i loro volti, per parlare di faccende confidenziali, si erano avvicinati.

Divenne tutta rossa, e per fortuna fraintese.

-Interrompo qualcosa, volete un altro minuto?- chiese, maliziosa e con occhi brillanti.

Eryn si ritrovò ad arrossire, e si affrettò ad alzarsi.

-No, non fa niente. Avevamo finito… cioè…- iniziò a balbettare imbarazzata. Pat le lanciò un’occhiata divertita e affettuosa che però lei non colse, troppo occupata a guardare l’infermiera -…poi devo andare… mia madre mi aspetta… e.. i compiti… libri…- continuò a farfugliare, prendendo la borsa che le era scivolata a terra. Solo una volta raggiunta l’infermiera accanto alla porta si girò verso Pat, e per la prima volta gli sorrise ampiamente.

-Ci sentiamo domani- gli fece un cenno.

-A domani, Eryn- Pat ricambiò il sorriso, e la ragazza lasciò l’ospedale con il cuore decisamente più leggero di quando ci era entrata.

Doveva decisamente chiamare Blaire e ringraziarla della forza che le aveva dato.

Certo che, tra la nuova amicizia con Blaire e la neo-ritrovata pace con Pat, quel lunedì si era rivelato molto più fortunato di quanto avrebbe mai immaginato.

 

Quella notte, nella zona più malfamata della città, in un edificio di considerevole altezza ormai abbandonato da tempo, un ragazzo di età compresa tra i venti e i venticinque anni era appoggiato alla balaustra, e fissava pensieroso le stelle, gli occhi azzurri persi all’orizzonte.

Una pioggia di soldi gettata contro di lui, per poco non lo fece cadere di sotto, preso dalla sorpresa.

Lanciò un’occhiataccia verso la fonte di quell’improvvisa innaffiata, e appallottolò qualche banconota per gettargliela contro, mancandolo di diversi centimetri.

-Mi hai fatto prendere un colpo!- si lamentò, incrociando le braccia ed evitando di guardarlo.

Il nuovo venuto, un ragazzo della sua stessa età con un ammasso disordinato di capelli neri, sbuffò, e lo raggiunse, posandosi accanto a lui e guardandolo, o meglio, squadrandolo dalla testa ai piedi.

-Di che cosa hai paura?- gli chiese, in tono canzonatorio.

-Pensavo ci avessero scoperti. La DIS non è una massa di sprovveduti, e ha le migliori tecnologie. Ci beccheranno, prima o poi- lo mise in guardia il ragazzo dagli occhi azzurri, facendo roteare gli occhi al compagno.

-Ti preoccupi troppo. Se anche ci dovessero beccare li distruggeremmo in pochi istanti. Mi basta uno schiocco di dita- lo rassicurò con un sorriso che non prometteva nulla di buono. Schioccò le dita e davanti a loro, pochi isolati di distanza, si creò un piccolo ma intenso uragano, che iniziò ad espandersi.

-Fermo!- esclamò il ragazzo dagli occhi azzurri, bloccando la mano del compagno, che sbuffò e fece un movimento per eliminare il disastro naturale, che scomparve poco a poco come era iniziato.

-Avresti potuto uccidere qualcuno!-

-E allora?- chiese il moro, senza capire il comportamento dell’amico.

-E allora è troppo. Io non…- il ragazzo dagli occhi azzurri sospirò, e tornò a fissare il paesaggio -…non so se riesco a continuare così- ammise, sottovoce.

Lo sguardo del compagno si indurì, e prese con forza il braccio dell’amico per girarlo verso di lui, e guardarlo dritto negli occhi.

-Mi stai forse mollando… adesso?- gli chiese in tono gelido, lanciandogli un’occhiata penetrante.

Si guardarono per qualche secondo, poi il ragazzo dagli occhi azzurri abbassò lo sguardo, e si strinse nelle spalle, intimorito, e cedendo.

-No, certo che no. Non lo farei mai, lo sai. Scusami- abbassò la testa, in chiaro segno di sottomissione, e il compagno sorrise soddisfatto, e gli diede una pacca sulla spalla.

-Bravo. Dopotutto l’amicizia è per sempre, soprattutto la nostra. Su, torna dentro. Dobbiamo finire di contare i soldi prima di andare a dormire-lo incoraggiò, in tono tranquillo e surclassando completamente ciò che era appena avvenuto.

Il ragazzo dagli occhi azzurri annuì, lanciò un’ultima occhiata all’orizzonte, sperando che il tornado improvviso non avesse causato vittime, scosse poi la testa per accantonare quei pensieri e seguì il compagno dentro l’edificio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Ed eccomi qui.

So che avevo detto che avevo già questo capitolo quasi pronto, ma le parti di Eryn sono state difficilissime da scrivere, ed infatti credo non siano uscite bene come avrei voluto.

Sebbene sia la protagonista, non sono così investita su di lei come lo sono con quasi tutti gli altri personaggi.

Ma sono felice di aver fatto tornare Blaire, mio personaggio preferito, e finalmente ho introdotto due dei personaggi che so già mi piaceranno di più scrivere, i cui nomi per il momento sono sconosciuti, ma verranno rivelati… prima o poi. Ho messo nella loro caratterizzazione davvero l’anima, e spero li apprezziate quanto me.

Ma andando con ordine.

Pat è rimasto in sedia a rotelle, e confesserò che questa cosa non era obbligatoria ai fini della trama, ma la scena di Eryn che salva Pat e lui che rimane paralizzato è praticamente la prima idea per questa fanfiction che mi è venuta in mente. E poi fa capire quanto non si scherzi con i supereroi, se vogliono essere cattivi.

Eryn ha scoperto due poteri, esattamente quelli che voleva da piccola, e non è l’unica in città, molti altri li hanno, compresa Blaire.

Madison non è molto felice in questo capitolo, e scommetto che molti saranno felici della sua difficoltà, ho notato che è un personaggio poco apprezzato.

Che ne pensate del suo ultimo scambio con l’agente Anderson? 

E Robin ha fatto amicizia con Holly… che sia in vista una possibile relazione tra i due?

E cosa nasconde Pat?

Fatemi sapere che ne pensate di lui, di William, Holly e in generale di tutto quello che vi passa per la testa… se volete.

Sono principalmente curiosa di sapere la vostra opinione sui figuri misteriosi a fine capitolo. Ho un debole per loro.

Un bacione e alla prossima, che sarà piena di interessanti novità soprattutto per Eryn.

 

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Capitolo 5
*** Su la maschera ***


Su la maschera

 

Pat fu dimesso dall’ospedale in fretta, dato che dall’avvento di quella che ormai era universalmente riconosciuta come “La Lega del Male” stava provocando davvero molti feriti nei loro caotici e imprevedibili attacchi che molti consideravano impossibili da combattere e troppo random per prevederli.

Di certo il venticinquenne non se ne lamentò, dato che non vedeva l’ora di andarsene dall’ospedale e tornare ai suoi affari.

Suo fratello era tornato in città per aiutarlo i primi tempi, ma Pat lo mollò subito per farsi accompagnare da Eryn in negozio, per mostrarle quello di cui le aveva parlato in ospedale.

La ragazza non sapeva cosa aspettarsi quando aprì la porta e lo seguì dentro. 

Per fortuna gli attacchi della Lega del Male non avevano colpito il negozio, che ancora una volta sembrava non attirare gli sguardi di nessuno.

-Apriamo il negozio?- chiese Eryn guardandosi intorno e cercando qualcosa che fosse fuori posto.

-Per il momento meglio lasciare chiuso, ho bisogno di te sul retro- la informò Pat, trascinando la sedia a rotelle verso il suo ufficio.

Eryn non aveva mai varcato la soglia di quella porta nascosta dallo scaffale, e non sapeva se essere eccitata o preoccupata dal fatto che Pat volesse renderla finalmente partecipe, dopo più di un anno da quando aveva cominciato a lavorare lì, dei suoi affari segreti.

Optò per l’eccitazione, e dopo aver controllato che la porta fosse chiusa in modo che nessuno entrasse, si affrettò a seguire Pat dietro lo scaffale.

Quello che trovò in quello che teoricamente doveva essere il suo ufficio ma già da tempo Eryn sospettava fosse qualcosa di più la deluse non poco.

Rimase ferma a fissare a bocca aperta quello che a tutti gli effetti era un magazzino polveroso e davvero piccolo, senza segni particolari di sorta oltre la polvere e qualche ragno vagante. 

Pat non sembrò accorgersi della sua delusione, e avanzò con una certa difficoltà vista la sedia a rotelle in direzione di una crepa sul muro che era chiaramente abitata da insetti molesti.

-Dovrei creare un meccanismo per la sedia a rotelle. Per ora, Eryn, ti dispiacerebbe utilizzare la tua superforza per trasportarmi?- chiese con naturalezza, mettendo un dito nella crepa.

-Trasportarti dove, esattame…?- iniziò a chiedere Eryn, confusa, ma l’apertura di una porta segreta nel pavimento la ammutolì, e si chiese come avesse fatto a non pensarci. Era ovvio che qualsiasi cosa facesse Pat di tanto strano non la faceva alla luce del sole, ma in un qualche scantinato segreto.

Il problema era il tipo di faccende in cui il suo capo era invischiato.

-La botola è abbastanza grande per far passare la sedia a rotelle, per fortuna. Se non ci riesci cercherò di attrezzarmi in altro modo- spiegò Pat, avvicinandosi all’entrata.

Eryn annuì.

-Ci posso provare, non sono ancora molto esperta con la superforza, ma nella peggiore delle ipotesi ti posso riprendere con la telecinesi-gli assicurò.

-Mi fido di te- le sorrise Pat.

Cercando di concentrarsi sulle sue braccia, Eryn prese la carrozzella, e fece le scale senza troppi problemi.

Una volta entrata nello scantinato segreto, per poco non lasciò cadere la carrozzella.

Davanti a lei non c’era un semplice scantinato segreto, c’era un vero e proprio laboratorio tecnologico pieno zeppo di macchinari, invenzioni e attrezzi di vario genere, ed era il doppio più grande rispetto al negozio sovrastante.

Eryn rimase immobile a bocca aperta. Pat ridacchiò tra sé vedendola così sconvolta.

-Benvenuta nel mio ufficio. Puoi lasciarmi adesso- la incoraggiò, sbloccandola.

-Mi sono sempre chiesta come facessi a pagare sia me che l’affitto, ora credo di averlo capito- commentò lei, posando la sedia a rotelle e sedendosi sull’ultimo gradino per riprendersi.

-Ammetto di vendere mie invenzioni in giro di nascosto dalla DIS. Ma tranquilla, mai a dei veri e propri criminali. Solo persone che cercano di vivere meglio la loro vita nonostante tutte le restrizioni- spiegò Pat, avviandosi verso la scrivania principale e dando una spolverata.

Eryn gli si avvicinò. 

-Immagino che la maggior parte dei tuoi clienti siano supereroi- suppose. Pat annuì. 

-Non solo però. A volte faccio anche semplici riparazioni a modico prezzo. Si fa quel che si può per tirare avanti- alzò le spalle, e controllò delle carte, che poi mise a posto in un cassetto.

-Perché mi hai portato qui?- chiese Eryn, andando al nocciolo della questione.

Pat sospirò, poi le indicò la sedia a rotelle della scrivania.

Eryn si sedette e iniziò ad ascoltarlo.

-Premetto che puoi astenerti dall’idea, e non ti biasimerei, ma da quando c’è questa fuga di poteri e sono venuti alla ribalta questi nuovi criminali trovo che sia profondamente ingiusto che i supereroi stiano venendo discriminati ulteriormente- iniziò, stringendo i denti.

Eryn annuì, provava esattamente la stessa cosa. La DIS aveva iniziato a chiudere gli accessi dei supereroi in città, e a licenziare il personale supereroico in ruoli troppo di rilievo. Persino sua sorella Madison, la perfettina Madison, era rimasta toccata da queste restrizioni.

-Perciò vorrei approfittare del fatto che ci siano dei supereroi non registrati e non rintracciabili, come te…- continuò Pat, prima di interrompersi un attimo.

Prese un respiro e continuò, guardando Eryn negli occhi -…per creare un nuovo team di supereroi, o anche solo una supereroina che si batta con la Lega del Male e faccia capire al mondo che i supereroi sono utili e creare in questo modo un equilibrio- si spiegò, gesticolando per farsi capire meglio.

Eryn rimase zitta, valutando le sue parole.

-Mi stai chiedendo di farne parte?- chiese, per essere sicura.

Pat annuì.

-Va bene- disse lei, senza la minima traccia di incertezza.

Pat rimase sorpreso.

-Eryn, devi pensarci bene. È illegale, la DIS sicuramente sarebbe alle tue costole senza pensare che è estremamente pericoloso, dato che i criminali non scherzano- Pat cercò di mettere tutti i pericoli sul tavolo, ma Eryn non aveva bisogno di pensarci. Aveva sempre voluto fare qualcosa, e non aveva mai avuto la possibilità di farlo. Questa era la sua occasione per fare la differenza e sentirsi finalmente parte del mondo che da sempre l’aveva esclusa.

-Non ho bisogno di pensarci, sono dentro, quando cominciamo?- chiese, decisa, e alzandosi come se fosse pronta a menare qualche criminale.

Pat le fece cenno di sedersi.

-Non possiamo ancora cominciare. La DIS ha dei potentissimi congegni di rilevamento, ed è probabile che tra le dichiarazioni dei testimoni e le foto che ti verrebbero scattate potrebbero risalire a te molto in fretta, anche se indossi una maschera o una parrucca, specialmente visto che tua madre e tua sorella lavorano alla DIS- le fece notare Pat, iniziando a prendere appunti su qualcosa.

-Quindi, mentre trovo il modo di preservare la tua identità, l’operazione è rimandata. Ma sono davvero felice che hai accettato- Pat le sorrise, prima di ritornare a prendere appunti.

Eryn ci rifletté, 

Serviva qualcosa che potesse celare la sua identità, una maschera particolare che potesse confondere chiunque la guardasse, anche telecamere o parenti. Qualcosa di magico ma reperibile, qualcuno come…

 

-Blaire!- Eryn raggiunse l’amica in mensa, il giorno successivo. In un primo momento Blaire sobbalzò, sorpresa di essere stata chiamata, e temendo fosse l’ennesimo scherzo, poi, alla vista di Eryn, si rilassò, e si fermò a parlarle, sorridente.

-Ciao Eryn, come stai? Hanno dimesso Pat?- le chiese, per fare conversazione.

Ormai parlavano quasi costantemente, in chiamata o per messaggio, dal loro caffè il giorno che avevano scoperto i poteri reciproci.

-Sì, ieri pomeriggio siamo stati insieme al negozio. Ho un enorme favore da chiederti- esordì la ragazza, facendosi coraggio e ripetendosi che Blaire era affidabile, nonostante in realtà la conoscesse da pochi giorni.

La ragazza piegò la testa, ma non si tirò indietro.

-Dimmi pure, se posso farlo lo farò senza problemi- acconsentì, con un sorriso incoraggiante.

-Devi promettermi però che non dirai a nessuno quello che sto per dirti- si fece promettere.

Il sorriso di Blaire si incrinò leggermente.

-Riguarda… il nostro piccolo segreto?- chiese sottovoce, avvicinandosi.

Eryn annuì.

Il sorriso di Blaire si spense, e la ragazza assunse un’espressione molto più seria.

-Farò tutto il possibile, di cosa hai bisogno?- chiese, un po’ incerta ma determinata.

Eryn sperò che non acconsentisse vedendo la cosa come un ricatto, e cercò di essere chiara e incoraggiante.

-È una cosa un po’ controversa, e a tratti anche illegale, perciò se non vuoi averne niente a che fare va benissimo, ma se puoi per favore non dirlo a nessuno sarebbe l’ideale- spiegò, a bassa voce.

Blaire annuì.

-Certo, puoi fidarti di me. Non credo che tu e Pat siate il tipo di persone da fare del male a qualcuno- la rassicurò.

-Infatti è proprio il contrario. Hai qualche minuto?- chiese Eryn, indicando una panchina poco distante.

Blaire la seguì senza far storie.

-Allora, cosa vuoi chiedermi?- la incoraggiò, torturandosi le mani un po’ a disagio.

-Hai presente la Lega del Male?- iniziò Eryn, che non sapeva esattamente come introdurre il discorso.

Blaire rabbrividì leggermente.

-Ovvio che ne ho sentito parlare, è spaventosa. E sta affossando parecchio l’immagine dei supereroi. Vorrei tanto che qualcuno facesse qualcosa- commentò, tra sé, preoccupata.

-Esatto!- esclamò Eryn, facendola sobbalzare. Non era sua intenzione, ma Blaire aveva toccato il nocciolo della questione.

-Io e Pat vorremmo fare proprio quello. Vorrei usare i miei poteri e diventare una supereroina, ma non posso rischiare che i riconoscimenti facciali della DIS e la mia famiglia mi riconoscano, per questo avrei bisogno del tuo aiuto- iniziò a spiegarsi Eryn, Blaire pendeva dalle sue labbra, concentrata.

-Hai bisogno del mio potere?- tirò ad indovinare.

-Più o meno. Pensavo che dato che Pat è un genio può trovare un modo per utilizzare il tuo potere, o il tuo sangue, per creare una qualche maschera per celare la mia identità. Ovviamente non ti voglio coinvolgere se non vuoi, capisco che è tanto da chiedere, ma non conosco nessuno che possa aiutarmi- concluse, maledicendosi per come aveva messo la situazione. Non era brava con le parole, lei era più una donna d’azione. Perché avesse scelto giurisprudenza era davvero un mistero, dato che era certa sarebbe diventata il peggior avvocato di tutti i tempi.

-Va bene- acconsentì però Blaire, sorprendendo l’interlocutrice.

-Va bene?- chiese, non del tutto convinta di aver sentito bene.

-Certo, va bene. Metto il mio sangue a disposizione, se può aiutarvi. Ho fatto tante analisi nella mia vita, non sarà un problema. Ma non credo che diventerò una supereroina. Ho un po’ paura delle conseguenze e dei cattivi- ammise, vergognandosi un po’.

-Ma è naturale, non preoccuparti. Non me lo aspettavo neanche a dire il vero- ammise Eryn, felice di aver raggiunto un risultato.

 

Nel frattempo, dopo qualche giorno in segreteria mentre Denzel Jager sbrigava le pratiche per farla diventare la schiavetta dei De Marco, Madison era ufficialmente entrata nel ruolo, e si approcciava con professionalità ma sguardo glaciale verso l’imponente edificio dove aveva indagato circa una settimana prima.

Avrebbe preferito tornarci con l’agente Anderson per arrestare i De Marco per qualche motivo, ma purtroppo quello sarebbe rimasto un sogno irrealizzabile.

Strinse i denti, e suonò al campanello, sistemando i capelli già prefetti specchiandosi nella superficie riflettente del pomello della porta.

Li odiava, è vero, ma voleva comunque fare loro una buona impressione.

Ad aprirle fu un agente di sicurezza come lei, che la squadrò da capo a piedi, soffermandosi in particolar modo sul bracciale della DIS e storcendo il naso.

-I supereroi non sono ammessi qui- disse in tono burbero. Madison non si scompose, e mostrò il cartellino.

-Sono Madison Jefferson, e sono stata inviata dalla DIS come protezione per Finnegan De Marco, visti gli attacchi sempre più frequenti ad opera dei supereroi affetti dalla “fuga di poteri”- spiegò, professionale e carismatica, con un sorriso di cortesia.

-E per fermare i supereroi mandano supereroi? Tsk, ora le ho sentite tutte- rise lui, e fece per chiudere la porta, ma Madison la bloccò con una forza insospettabile.

-Chieda al suo capo invece di mandar via la nuova guardia personale del signor De Marco- lo incoraggiò, tenendo ben aperta la porta.

La guardia di sicurezza grugnì, ma si decise ad andare ad informare i De Marco della nuova venuta.

Madison entrò e chiuse la porta dietro di sé, iniziando a guardarsi intorno e aspettando composta davanti alla porta.

Poco dopo la guardia tornò, e le fece cenno di raggiungerla, con un sorriso soddisfatto che Madison non capì.

Raggiunse la cucina e vide che la giovane De Marco stava guardando la televisione stravaccata sul divano, e ridacchiava sentendo le notizie dell’ennesima banca rubata e dei feriti che la Lega del Male aveva causato.

Ma quella ragazzina non andava mai a scuola?!

Anche Finnegan De Marco osservava la televisione mentre si allacciava la cravatta. A differenza della sorella sembrava davvero toccato dalla situazione, e non riusciva a farsi decentemente il nodo della cravatta.

Madison però non poté concentrarsi troppo sui due De Marco davanti alla televisione, perché il De Marco Senior la aspettava proprio all’ingresso del salotto, con occhi che mandavano scintille.

Fu un bene che fosse lì davanti, perché altrimenti l’istinto di Madison per la perfezione l’avrebbe portata dritta verso Finnegan per allacciargli la cravatta in modo decente.

-Che ci fa qui, signorina Jefferson?- chiese Oscar De Marco, in tono freddo e furente.

-Sono stata inviata dalla DIS come guardia personale di Finnegan De Marco. Ma sono certa che lei e suo figlio lo sappiate, dato che il mio capo ha mandato tutti i documenti pertinenti e la richiesta è stata approvata- lo informò Madison, senza scomporsi.

Sia Drusilla che Finnegan si voltarono verso di lei, rendendosi conto solo in quel momento che era entrata nella stanza.

La prima guardò la nuova venuta con uno sguardo di sufficienza e malevolo divertimento. Il secondo sbarrò gli occhi, e lasciò perdere la cravatta per avvicinarsi ai due.

-Impossibile! Non avremmo mai accettato di assumere una supereroina!- si stava indignando Oscar, con i pugni chiusi.

-L’ho accettata io, padre- lo interruppe però Finnegan, mettendogli una mano sulla spalla per cercare di calmarlo e allontanarlo da Madison.

Lei rimase parecchio sorpresa dalla gentilezza nella sua voce.

-E per quale motivo, di grazia, avresti accettato? Senza dirmelo, perlopiù- Oscar si rivolse al figlio maggiore, che abbassò la testa dispiaciuto.

-Ho pensato fosse più sicuro, e la signorina Jefferson era la candidata con il curriculum migliore. Padre, devi fidarti di me- gli sussurrò, cercando di escludere Madison dalla conversazione.

Madison apprezzò che cercasse un po’ di privacy e non desse spettacolo. Non apprezzava particolarmente chi dava spettacolo di sé in questo modo davanti a degli estranei. Da piccola si era spesso vergognata dei litigi pubblici di Robin con sua madre.

Era così imbarazzante. 

Cercò di lasciar loro un po’ di privacy e notò che Drusilla la stava osservando con uno sguardo malevolo.

Cercò di non ricambiare, e si limitò a farle un cenno di saluto, che la ragazzina bionda non ricambiò.

Alla fine, Finnegan sembrò convincere il padre, che guardò la nuova guardia del corpo con lo stesso malevolo divertimento della figlia.

-Benvenuta a bordo- la salutò Finnegan, con un sorriso di cortesia, porgendole la mano.

Madison rimase sorpresa. Raramente qualcuno le porgeva la mano. Tutti sembravano aver paura di rimanere contagiati in qualche modo, come se fosse malata.

Rispose al saluto.

-Sarà un piacere lavorare per lei- mentì, con un sorriso affabile.

-Il piacere è mio- rispose Finnegan, ricambiando il sorriso.

 

-Pat, ti ricordi di Blaire?- chiese Eryn, entrando in negozio e sperando con tutto il cuore che la sua nuova amica non fosse in realtà un inviato della DIS, anche se le possibilità erano infinitesimali.

Patrick era dietro il bancone, e alzò la testa, per poi sorridere caldamente alla nuova venuta.

-Certo, spero che quei ragazzi non ti abbiano più dato fastidio. Sei venuta a comprare qualcosa?- chiese con il suo tono da venditore.

Blaire iniziò a torturarsi le mani, a disagio.

-Veramente è venuta qui per aiutarci con quel nostro progetto di cui parlavamo stamattina- spiegò Eryn per lei, controllando che non ci fossero altri clienti in negozio.

Pat sembrò parecchio sorpreso, e squadrò Blaire con interesse.

-Un’altra newbie?- chiese, un po’ tra sé.

Blaire aggrottò le sopracciglia.

-Una che?- chiese, senza capire.

-È il termine con cui si riferisce ai nuovi super… per così dire- spiegò sottovoce Eryn alla ragazza -È per evitare che qualcuno capisca qualcosa se dovesse monitorarci- 

Blaire annuì.

-Sono una newbie- ammise, arrossendo leggermente, a disagio -Ma non faccio male a nessuno- ci tenne ad aggiungere.

-Neanche Eryn. Tranquilla, sei tra amici. Qual è il tuo talento?- indagò, curioso.

-È molto brava ad immedesimarsi negli altri- spiegò Eryn, usando un codice che Pat sembrò capire appieno.

-È perfetto. Esattamente il talento che ci serviva per attuare il nostro progetto. Su, vieni in ufficio, ti spiegheremo tutto- le fece cenno di seguirlo, poi abbandonò il bancone e spinse la sedia a rotelle in ufficio.

-Tu sei un newbie?- chiese Blaire, curiosa, affrettandosi a stargli dietro. Anche Eryn lo seguì.

-No, purtroppo. Ma ammiro molto i supereroi, e tranquilla, ho molti scheletri nell’armadio a mia volta, puoi fidarti di me- la rassicurò. Blaire sembrò rasserenata.

Una volta dentro lo scantinato, la nuova venuta rimase a bocca aperta.

-Sembra uscito da un film di fantascienza- commentò, iniziando a guardarsi intorno.

-Credo che lì le apparecchiature non siano fatte tutte a mano- sminuì Pat, sorridendo al suo entusiasmo.

-Le cose fatte in casa sono le migliori- commentò Blaire, eccitata.

-Allora, avete bisogno del mio sangue, giusto. Sono pronta- Blaire si avvicinò a Pat, e sollevò il braccio, con un sorriso.

Pat lanciò un’occhiata a Eryn, poi ritornò su Blaire, e sorrise grato.

-Non potevamo trovare un’alleata migliore- commentò, incoraggianto Blaire a raggiungerlo e prendendo un ago per prendere un campione del suo sangue.

Blaire sorrise.

Una volta finito di prelevare il sangue, Pat si mise a lavoro. Blaire poteva anche tornare a casa, ma decise di restare e guardarsi intorno.

Eryn iniziò ad allenarsi a dosare la forza e usare i due poteri insieme.

Blaire iniziò ad osservarla, e ci rimase per più di due ore.

-Eryn, sei davvero incredibile- si complimentò Blaire, con occhi brillanti, dopo un pugno ben riuscito.

-Credo di stare finalmente imparando a dosare la forza- si esaltò Eryn orgogliosa di sé. Era finalmente riuscita a spaccare un pezzo di legno con un pugno senza danneggiare il muro dietro o farsi male alla mano.

-Hai già pensato a quale sarà il tuo nome da supereroina?- chiese Blaire, curiosa, e molto più energica di quanto Eryn l’avesse mai vista.

-In realtà non saprei proprio. Quando io e Madison giocavamo ai supereroi ero sempre “la sorella di Reality Maker”. Probabilmente perché cambiavo sempre i miei poteri- ridacchiò Eryn, ricordando i vecchi tempi e ancora incredula che finalmente i suoi sogni di allora fossero diventati realtà.

-Forse è per questo che hai due poteri- osservò Blaire, pensierosa.

-Nei giochi cercavo sempre di darmene il più possibile. I miei preferiti erano questi quattro che…- Eryn iniziò a raccontare, ma Pat la interruppe, avvicinandosi con il modello di una maschera nera di tessuto che a prima vista sembrava normalissima.

-Credo di aver finito. Potresti provarla, Eryn?- chiese, porgendogliela.

La ragazza se la mise, e la sentì più pesante del dovuto, ma fondamentalmente comoda.

Sentì Blaire trattenere il fiato, Pat sorrise orgoglioso.

-Allora, funziona?- chiese Eryn, tastandosi il viso come cercando qualche differenza fisica, anche se sembrava tutto normale.

-Se non sapessi che sei tu non ti riconoscerei!- esclamò Blaire, dondolandosi sulla sedia entusiasta -Ti è bastato un po’ del mio sangue per realizzarla?- chiese poi a Pat, con occhi brillanti.

Eryn doveva ammettere che era una bella novità vederla così, invece che incerta e spaventata da tutto.

-Ho isolato il potere e ho cercato di riprodurlo nella maschera in modo da rendere Eryn sempre sé stessa, ma mutevole agli occhi di chi la osserva, telecamere comprese. Dovrei provare a fare una foto, aspetta che prendo il mio telefono- Pat si allontanò un attimo, con un po’ di difficoltà vista la sedia a rotelle e lo spazio stretto.

-Quindi non mi riconosci?- chiese Eryn non del tutto convinta.

-Solo perché lo so, altrimenti giuro che non capirei mai che dietro la maschera ci sei tu- la rassicurò Blaire.

-Wow, Pat è proprio un genio, e il tuo potere è straordinario- ammise Eryn, cercando di specchiarsi da qualche parte.

Blaire sorrise imbarazzata.

-Beh, non ho fatto altro che dare un po’ di sangue, e non è che lo volessi questo potere- borbottò tra sé.

In quel momento Pat tornò.

-Un bel sorriso- chiese a Eryn, che si preparò alla foto.

Blaire si affrettò subito accanto a lui per controllarla, e lo stesso fece Eryn.

Rimasero tutti e tre a fissare l’immagine per qualche secondo, poi fu Eryn a parlare.

-Lo ribadisco, sei un genio!- commentò, facendo leggermente arrossire Pat, che accennò un sorriso soddisfatto.

Infatti dalla foto era impossibile capire che la persona ritratta era Eryn. Appariva come sfocata e in costante mutamento. Era incredibile e assurdo allo stesso tempo.

-Sul serio, come mai non sei al reparto ricerca e armamenti della DIS?- chiese Blaire, stupita quanto Eryn, facendolo arrossire ulteriormente.

-Beh, c’è bisogno di una laurea per lavorare lì, e non avevo i soldi per permettermi di andare all’università. E comunque al momento non vorrei lavorare alla DIS per nulla al mondo- spiegò Pat, alzando le spalle e cancellando la foto per non lasciare tracce compromettenti.

-Forse dovrei realizzare anche una supertuta con lo stesso meccanismo, in modo che non possano riconoscerti per via delle tue misure- rifletté, avviandosi di nuovo nella postazione chimica dove aveva lavorato fino ad allora.

Blaire lo seguì. 

-Serve altro sangue, basta chiedere, io sono disponibile- porse già il braccio, ansiosa di rendersi utile.

Eryn sorrise, e ritornò al suo allenamento, cercando di spostare qualcosa e usare la sua superforza nello stesso momento, ma senza riuscirci.

In compenso la maschera non le dava minimamente fastidio mentre si allenava.

Una piccola scossa sismica mise tutti all’erta.

-Oh no. Un altro attacco?!- esclamò Blaire, preoccupata, afferrando inconsciamente il braccio di Pat, e trasformandosi in lui.

Lui non sembrò farci caso, e guardò il soffitto, come controllando che non cadesse giù, anche se era impossibile, dato che il laboratorio era a prova di qualsiasi disastro naturale.

-La scossa era di breve intensità. Probabilmente sono molto lontani- suppose, all’erta.

Una seconda scossa, parecchio più forte, smentì la sua precedente affermazione, e fece sobbalzare vistosamente Blaire, che tornò sé stessa.

Pat prese in fretta il telefono.

-Dobbiamo capire dove si trovano, anche se non penso che siamo pronti ad agire. Eryn, come pensi di…- Pat iniziò a cercare informazioni su dove si svolgesse l’attacco, ma quando alzò lo sguardo per chiedere suggerimenti alla sua sottoposta, le parole gli morirono in gola.

Perché Eryn non c’era più.

Blaire e Pat si guardarono intorno confusi, poi si guardarono a vicenda per qualche istante.

-Eryn!- urlarono poi insieme, prima di precipitarsi verso l’esterno dell’edificio, per impedire in qualche modo che la ragazza facesse qualche sciocchezza.

La ragazza in questione, spinta dal desiderio di giustizia che da anni premeva dentro di lei, si era precipitata in strada, e non ci mise molto a trovare il luogo dove la Lega del Male aveva sferrato il nuovo attacco: un grande negozio di mobili costosi e antiquariato di valore ad un paio di isolati di distanza. Era uno dei principali rivali in affari di Pat, ma non meritavano di certo una rapina da parte di un gruppo di criminali in erba talmente infantili che annunciavano la loro presenza come a chiedere un pubblico per sbattergli in faccia la loro superiorità.

Eryn odiava le persone così, ed era decisa più che mai a fermarli.

Arrivò nell’edificio determinata, e analizzò in fretta la situazione.

L’attacco era appena cominciato, ma sembrava già in procinto di finire.

Dalle grandi vetrine, Eryn vide tre uomini mascherati, parecchi clienti terrorizzati e il venditore che tremante e spaventato stava svuotando lentamente la cassa, cercando di prendere tempo anche se dal suo sguardo si capiva che non era minimamente convinto dell’aiuto che la polizia o la DIS avrebbero potuto offrire.

Prima di buttarsi nella mischia, Eryn cercò di analizzare la situazione.

Un tipo osservava gli ostaggi, un altro aveva sotto scacco il venditore, e sembrava divertirsi come un matto, mentre il terzo guardava gli oggetti esposti come fosse un cliente normale, e li commentava con quello che controllava gli ostaggi.

Da come si atteggiava era sicuramente il capo della banda, anche se era piccoletto rispetto agli altri due.

Eryn trovò un punto cieco, e si intrufolò cautamente dalla finestra.

La scelta migliore era agire in stealth, e cercare di non farsi vedere.

Si nascose dietro una vetrinetta antica, e osservò la situazione.

Riusciva a sentire quello che diceva il capo, in tono casuale e a tratti divertito dalla situazione.

-Tsk, duecento monete per una statuetta del genere? E poi si lamentano se uno li deruba- commentava, rigirandosi una statua d’oro di un drago con una giada incastonata, seduto a gambe incrociate su un cassettone di legno e rifiniture in madreperla, che sembrava in procinto di rompersi sotto il suo peso. A differenza dei compagni, che tenevano la situazione sotto controllo con dei fucili, non era armato. 

-È antichissima. Viene dalle isole di Zil, oltre il mare di nebbia. È normale che costi tanto- osservò, quasi tra sé, il compagno che teneva sotto controllo gli ostaggi.

Eryn non sapeva dire perché, ma gli stette quasi simpatico dopo quel commento.

L’avrebbe comunque catturato e consegnato alla giustizia, ma magari l’avrebbe malmenato meno rispetto al suo amico irrispettoso verso i tesori antichi.

-Beh, se ti piace tanto te lo regalo. E poi non dire che non faccio mai niente per te- il capo lanciò la statuetta al sottoposto, che la prese al volo con la mano libera, e un po’ titubante se la mise nella borsa.

-Shockwave, ci vuole ancora molto?- chiese poi il capo al terzo compagno, che stava prendendo il sacco con i soldi.

-Vorrei assicurarmi che non abbia nulla di nascosto, capo- rispose lui. A differenza del tipo che controllava gli ostaggi, Shockwave sembrava molto più sottomesso al capo generale.

Eryn non aveva tempo da perdere.

Avrebbe potuto togliere la maschera e confondersi con gli ostaggi, muovendo poi oggetti in giro con la sua telecinesi, ma era un grande rischio. Oltre al fatto che avrebbe danneggiato tesori di inestimabile valore, rischiava di dare via la sua identità, e non poteva farlo. rimase quindi nascosta, elaborando un piano.

Shockwave controllava meglio la cassa, tenendo sotto scacco il commesso con il fucile ma senza tenerlo abbastanza saldamente.

Il capo si stava rimirando da uno specchio con il manico dorato mentre lo sgherro senza nome lo guardava con una punta di preoccupazione, il fucile sempre puntato verso gli ostaggi, che erano a terra terrorizzati.

Di certo disarmarli li avrebbe portati in svantaggio enorme, almeno con gli ostaggi.

Eryn non sapeva esattamente quali fossero i poteri della Lega del Male, ma togliere i fucili sembrava un buon punto di partenza per indebolirli.

Si concentrò su entrambe le armi, e sperando con tutto il cuore che funzionasse, fece un brusco ma silenzioso movimento con le mani, e i fucili volarono i due direzioni diverse, dritti lontani dalle mani dei criminali, e fuori dall’edificio tramite due finestre.

Ci fu un attimo di sbigottimento da parte dei criminali, poi il capo prese le redini.

-Chi è là?!- chiese, in tono minaccioso, alzandosi in piedi sulla vetrinetta e mettendosi all’erta.

-Shadow, scopri l’infiltrato- ordinò allo sgherro senza nome, dandogli un nome. Lui annuì e sparì nel nulla.

Ok, Eryn non era preparata a questa evenienza.

Gli ostaggi e il commesso iniziarono ad agitarsi.

-State giù e in silenzio!- ordinò loro il capo, facendo un breve movimento della mano e alzando un gran vento fuori dal negozio, isolando la zona.

-Shockwave, tu…- iniziò ad ordinare il capo, ma Eryn non perse tempo, e lanciò contro il sottoposto la busta con i soldi, iniziando a malmenarlo e non lasciandogli tregua.

Provò anche a prendere un candelabro da lanciare contro il capo, ma era troppo stancante muovere due cose contemporaneamente, e si limitò a farlo cadere dal mobile, ammaccandolo.

Il capo strinse i denti, ma non fece altro, e si limitò ad incrociare le braccia e tenere alto il tornado che aveva nel negozio il suo occhio del ciclone, probabilmente aspettando che il compagno sparito nel nulla la trovasse.

Era solo questione di tempo, perciò Eryn cercò di mettere a frutto quello che le rimaneva.

Effettivamente ora che era dentro una situazione supereroistica, capire esattamente cosa fare era difficile. 

Allora, gli ostaggi erano la priorità, ma non potevano uscire finché c’era il tornado, perciò doveva far finire il tornado, e l’unico modo era mettendo fuori gioco il capo. 

Decise di concentrarsi su di lui.

Lasciò perdere Shockwave, che cadde a terra sputando banconote, e riprese controllo del candelabro, cercando di spedirlo contro il capo a tutta velocità, ma lui lo schivò con grande abilità, deviandolo anche con del vento che usciva ed entrava nel tornado che aveva creato.

Forse era aerocinetico, perciò Shockwave era quello che creava i terremoti, dato che l’altro spariva.

Non avere un’idea chiara dei poteri dei cattivi era un ulteriore punto a suo svantaggio.

-Shadow, inizia ad irritarmi, trovala!- ordinò il capo, fermando il candelabro con una mano e lanciandolo contro un ostaggio.

Eryn lo fermò appena in tempo, ma prima che potesse rilanciarlo contro il capo cattivo, una voce al suo orecchio la fece sobbalzare, togliendole completamente il controllo del suo potere.

-Salve signorina- 

Eryn si girò di scatto e senza un motivo apparente, Shadow fu sbandato dall’altro lato della stanza.

Che avesse inconsciamente usato la telecinesi su di lui? Meglio così.

-È dietro la vetrinetta antica- Shadow informò il superiore, prima di sparire nuovamente nel nulla.

Prima che Eryn se ne rendesse conto, la vetrinetta le cadde addosso, rischiando di schiacciarla, e tenne le mani in alto come a proteggersi con la sua super forza.

Ma non sentì il contatto con la vetrinetta.

-Che diamine… non aveva la telecinesi?- commentò il capo, sorpreso.

-Indago- si propose Shadow, che nel frattempo era tornato accanto a lui.

Eryn cercò di riflettere in fretta su cosa fosse successo, e si rese conto che inconsapevolmente aveva sollevato un campo di forza quasi invisibile attorno a sé. 

Si segnò mentalmente di esultare a operazione finita, e non vedeva l’ora di dire a Pat che aveva scoperto un terzo potere. 

Cercò di concentrarsi sul presente, e prima che Shadow potesse in qualche modo raggiungerla, Eryn ingrandì il campo di forza in modo da lanciare la vetrinetta contro il capo, che però si scansò in tempo. Poi si alzò in piedi, pronta ad affrontare il team anche a mani nude, ma sempre tenendo attorno a sé il campo di forza.

-Ciao di nuovo- sentì una voce alle sue spalle, e si girò.

Shadow era riuscito in qualche modo ad entrare nel campo di forza ed era proprio dietro di lei.

-Scusa, eh, ma sei un po’ tra i piedi- la informò, prima di prenderla con forza per un braccio e girarla in modo da bloccarla.

Il campo di forza crollò, ma Eryn non aveva intenzione di arrendersi così facilmente. Mise nel braccio la massima forza e si liberò con forza dalla presa di Shadow, spedendolo dall’altra parte della stanza.

Gli occhi del capo, di colore verde scuro, si infuocarono.

A quanto pare, non gli andava proprio giù che il suo braccio destro venisse malmenato. Avrebbe dovuto scegliere una carriera migliore.

Eryn si mise pronta ad uno scontro, sfidando con lo sguardo il capo, che però non sembrava tipo da sporcarsi le mani.

-Shadow, Shockwave, uccidetela e basta. Poi prendiamo i soldi e andiamo via- ordinò ai sottoposti.

Shadow, che si era alzato in piedi a fatica, spalancò gli occhi, e si rivolse al capo.

-Ucciderla? Le…- il capo lo fulminò con lo sguardo -…Disaster King…- si corresse -…non ti sembra esagerato. Siamo ladri, non assassini- provò a farlo ragionare.

Eryn decise che sì, Shadow era senz’altro il suo preferito.

-È una stupida ragazzina che gioca a fare l’eroina e può solo darci problemi. Che importa che fine fa?- si infervorò il capo.

Da come si rivolgevano l’uno all’altro sembravano conoscersi davvero bene. In effetti, considerata la cattiveria di Disaster King, se Shadow non fosse stato suo amico era probabile che sarebbe morto solo per aver provato a contraddire il capo.

Shockwave rimase lì in silenzio pronto ad agire ma aspettando un nuovo ordine più diretto.

Eryn approfittò della discussione del team per dirigersi lentamente verso gli ostaggi, e trovare un modo di farli uscire sani e salvi dall’edificio che era ancora circondato da un uragano.

Forse poteva creare un campo di forza che fungesse da arco tra la finestra e la strada. 

Purtroppo il capo, o meglio, Disaster King, si accorse della propria distrazione, e lanciò un getto d’aria che spedì Eryn dritta su Shadow, con un sonoro e categorico: 

-Fallo e basta!- rivolto al suo braccio destro.

Shadow sembrava sconfitto, e tirò fuori un coltello dalla cintura. Eryn si affrettò a scansarsi in tutta fretta, e si mise pronta per un combattimento. Per sua fortuna era un’esperta di difesa personale, e la superforza le dava un vantaggio non indifferente.

Per prima cosa, però, lanciò un’occhiata a Shockwave, pronto ad entrare nella mischia, e racimolando la massima concentrazione e forza nel minor tempo possibile, riuscì a spedirlo con la telecinesi dritto fuori dalla finestra. Fu davvero difficile, ma Shockwave si perse nell’uragano.

Shadow rimase sorpreso per un attimo, Disaster King si limitò a sbuffare seccato, ma non sembrava molto scosso.

Incoraggiò Shadow a continuare, e lui si rivolse a Eryn, con una punta di rimpianto: 

-Non è niente di personale- le sussurrò quasi tra sé, prima di attaccarla con forza e attenzione.

Eryn avrebbe voluto buttare via dalla finestra anche lui, ma non glielo rendeva possibile. I suoi attacchi erano veloci e richiedevano concentrazione per essere evitati, soprattutto visto che aveva un coltello in mano.

E ogni volta che Eryn provava ad afferrarlo o a spostarlo con la telecinesi o con i campi di forza, lui spariva dalle sue mani e riappariva quasi immediatamente alle sue spalle, e lei lo evitava per un pelo. Probabilmente capendo la logica dei suoi poteri sarebbe riuscita ad anticiparlo, e possibilmente metterlo KO.

Ma non riusciva a pensare nel susseguirsi rapido dei colpi.

Alla fine Shadow riuscì a colpirla e a farla cadere a terra, frastornata e battendo la testa.

Le salì sopra, alzando il coltello.

Eryn vedeva tutto sfocato. Ottimo, stava per essere uccisa il suo primo giorno di lavoro come supereroina, poteva quasi sentire le prese in giro di suo fratello.

Disaster King ridacchiò tra sé. 

-È arrivata la tua ora, eroina senza nome- la prese in giro, divertito dal suo fallimento e soddisfatto dal lavoro del suo braccio destro.

Shadow però esitò un attimo, la mano che teneva il coltello tremò.

E in quell’attimo, la mente di Eryn ebbe un’illuminazione che sembrò farle tornare tutte le energie.

Ma certo, il nome!

Si ricordò una frase che le aveva detto Madison sull’importanza dei nomi dei supereroi, quando da piccola lei le aveva chiesto a cosa servissero, dato che l’identità di ogni supereroe era conosciuta.

“I nomi servono a capire immediatamente grossomodo i poteri dei supereroi. Non tutti conoscono tutti, ma in una situazione di emergenza dai nomi si capisce chi chiamare. Se è in arrivo uno tsunami chiami Water Boy, non Snake Girl”

Shadow.

Spariva.

Era ovvio quale fosse il suo potere, Eryn si sentì una stupida a non averlo capito prima.

Proprio mentre il coltello iniziava ad abbattersi su di sé, Eryn sollevò un campo di forza davanti a sé, scansando l’uomo da sopra di sé e scheggiando il coltello.

Lui sparì un attimo dopo, ma ora Eryn sapeva dove guardare. Osservò attentamente l’ombra, che al contrario di lui non scomparve, ma iniziò a muoversi verso di lei, cercando di passare sotto il campo di forza.

Eryn si allontanò e controllò il campo di forza in modo che la coprisse interamente, anche sotto i suoi piedi.

Shadow era completamente isolato.

Dopo qualche secondo riapparve fuori dal campo, sembrava senza fiato. La guardò infastidito.

Disaster King sbuffò.

Eryn fece un sorrisino soddisfatto, e concentrata in modo da mantenere il capo di forza intorno a sé, cercò di raggiungere gli ostaggi, per liberarli in qualche modo.

Gli ostaggi erano sempre la priorità.

Shadow non provò neanche ad intervenire, e guardò il capo in cerca di ordini.

Disaster King si limitò a sollevare la mano, e dalla finestra, lanciato via dal tornado, verso di lui si avvicinò velocemente il fucile che Eryn aveva strappato dalle mani di Shadow o Shockwave.

Lo puntò verso Eryn, che rimase ferma ma tenne con forza il campo di forza davanti a sé, quasi sfidandolo a provare ad intaccarlo.

Le armi non potevano assolutamente nulla contro quegli scudi di energia.

Disaster King sembrò rendersene conto, perché dopo aver puntato il fucile verso di lei, sembrò ripensarci, fece un malvagio sorrisino vittorioso, e lo puntò senza esitazione verso gli ostaggi, premendo il grilletto.

La reazione di Eryn fu istantanea. 

Non ebbe neanche bisogno di pensarci, e il corpo agì prima di lei.

Sollevò una mano verso gli ostaggi e sollevò verso di loro un enorme campo di forza, per proteggerli dalla scarica di proiettili che Disaster King stava lanciando verso di loro. Gli ostaggi si stringevano tra loro, urlando a squarciagola.

-È il tuo momento- Disaster King si rivolse a Shadow, che esitò nuovamente.

Eryn non si era mai sentita tanto vulnerabile, ma non poteva permettersi di lasciare la presa sugli ostaggi neanche per un attimo.

-Bene, faccio da solo- rendendosi conto dell’esitazione del compagno, Disaster King prese una pistola da dietro i pantaloni e la puntò contro Eryn.

Per la seconda volta nel giro di un paio di minuti la ragazza si sentì ad un punto dalla morte, ma questa volta non fu una rivelazione all’ultimo momento a salvarla, bensì una voce gracchiante alla finestra, che distrasse l’attenzione dei tre superumani.

-Capo, capo, sono tornato- Shockwave era rientrato goffamente dalla finestra, un po’ acciaccato ma chiaramente vivo e pronto a seguire ogni ordine del capo.

Disaster King sorrise, e porse la pistola verso il nuovo arrivato, continuando a sparare, in modo più sporadico per non sprecare troppi proiettili, verso gli ostaggi.

-Allora fammi il piacere e ammazza quella seccatura- gli ordinò.

Shockwave si affrettò a raggiungerlo, e prese la pistola.

Shadow lo guardava con occhi socchiusi, non sembrava molto convinto.

Anche Eryn doveva ammettere che era ben diverso dall’esagitata spalla che aveva visto prima. Tremava un po’ e i suoi occhi sembravano spaventati.

Prima che uno dei due potesse fare qualcosa, però, Shockwave alzò la pistola… e la sbatté con forza sulla testa di Disaster King, facendolo svenire sul colpo.

Eryn rimase a bocca aperta, così sorpresa da lasciar andare il campo di forza. Fissò Shockwave a bocca aperta.

Shadow sobbalzò, e non perse tempo a correre verso il suo capo.

Probabilmente voleva solo vedere le sue condizione, ma si stava avvicinando con uno sguardo poco rassicurante e un coltello in mano, perciò Eryn, senza neanche rifletterci, gli lanciò contro un candelabro, colpendolo in testa e facendolo svenire a sua volta, proprio davanti a Shockwave, che tremava visibilmente e teneva con mani tremanti la pistola in mano.

Il ragazzo sorrise imbarazzato ad Eryn, che lo guardò visibilmente confusa.

Prima di spiegarsi, però, Shockwave si rivolse agli ostaggi.

-Uscite. Il tornado si è placato- con voce calma e rassicurante.

In effetti dopo la botta in testa di Disaster King, il tornado si era fermato di botto.

Gli ostaggi non se lo fecero ripetere due volte, e corsero fuori spaventati urlando e quasi calpestandosi tra loro.

Eryn si appoggiò al muro. Era davvero finita? Probabilmente tra poco sarebbero entrati dei membri della DIS a controllare e arrestare i criminali. Ma Eryn cosa doveva fare con Shockwave?

L’ex-criminale le si avvicinò sollevato, e la guardò con dolcezza, mettendole una mano sulla spalla.

Eryn rimase immobile, senza sapere cosa fare.

-Credo che dovremmo andare. Hai corso davvero un grande rischio venendo qui. Sono felicissima che stai bene-senza preavviso, Shockwave la abbraccio. Eryn era troppo scioccata per reagire. Era questo il suo potere? Scioccare gli altri.

Un momento… felicissima? Perché aveva usato il femminile.

-Blaire?- chiese Eryn al suo orecchio, a voce bassissima in modo che solo lei potesse sentirla.

Shockwave la lasciò andare, e la guardò sorpresa.

-Sì, sono io- poi si osservò le mani, come se si fosse resa conto solo in quel momento di essere ancora il finto cattivo.

-Oh, giusto. Non mi hai riconosciuta. Significa che sono stata brava? Pensavo fosse ovvio che non ero davvero lui- ridacchiò imbarazzata.

Eryn le sorrise, rassicurata, e la abbracciò di nuovo, con molta più sincerità.

-Grazie. Credo che ora dovremmo…- una volta separatasi dall’abbraccio cercò con lo sguardo i due criminali a terra, ma erano spariti. Probabilmente Shadow si era ripreso per primo e aveva usato i suoi poteri per trascinare via il capo.

-Diamine! Li vado a cercare!- esclamò Eryn, avviandosi verso la finestra, ma una voce alla porta la fermò.

-DIS, mani in alto!- sentì la voce di un agente della DIS, e quando si girò vide un’intera squadra che stava circondando l’edificio.

La DIS non era conosciuta per aspettare, perciò Eryn sollevò uno scudo davanti a lei e al finto Shockwave, proprio mentre la DIS iniziava a sparare.

Purtroppo erano proiettili anti-supereroe, che lasciarono piccoli buchi nello scudo della ragazza. Incoraggiò Blaire a nascondersi, e di avviò in tutta fretta sul retro, senza sapere bene come uscire.

Se si fosse fatta catturare o uccidere dalla DIS era certa che suo fratello sarebbe stato ancora più deluso, e sicuramente sua madre avrebbe avuto un esaurimento nervoso.

-Qualche idea?- chiese a Blaire, nel panico.

Si aspettava di vedere l’amica in un simile stato, ma lei sembrava stranamente calma, e osservò un condotto di areazione.

-Sì, tu scappa da lì e confonditi con la folla fuori, aspettami lì senza maschera e senza felpa o potrebbero riconoscerti- le ordinò.

-Riconoscermi?- chiese Eryn, confusa.

-Fidati di me- Blaire le fece un occhiolino, più sicura di sé di quanto Eryn credesse possibile, e spinse Eryn verso il condotto.

Eryn riuscì ad entrare appena in tempo. Sentì la porta dell’ufficio spalancarsi, e degli agenti della DIS entrare in tutta fretta con le pistole puntate.

Poi sentì una bambina piangere.

Decise di fare come Blaire le aveva detto, e una volta fuori controllò che non ci fosse nessuno, si tolse la felpa che buttò in un angolo, si sciolse la coda e intascò la maschera.

Poi uscì in strada e si confuse con la folla di ostaggi, troppo occupati a parlare con gli agenti, abbracciarsi tra loro o guardare il negozio per badare a lei.

Poi aspettò, guardandosi nel frattempo intorno per controllare che non ci fossero i criminali, che però sembravano spariti nel nulla.

Pochi minuti dopo, uno degli agenti uscì portando in braccio una bambina bionda di cinque anni, che piangeva sulla sua spalla.

Avevano dimenticato un ostaggio? Eryn sperava davvero che la bambina stesse bene. Si avvicinò leggermente.

Quando la bambina la vide, spalancò gli occhi.

Diamine! L’aveva riconosciuta?

-Babysitter!- esclamò lei, porgendole una mano.

Eryn era decisamente confusa.

L’occhio destro della bambina divenne per un attimo ambrato e le fece un occhiolino.

Eryn capì.

-Piccola! Grazie al cielo stai bene! Ero così preoccupata per te- Eryn si avvicinò all’agente, che la squadrò un attimo prima di porgerle la bambina.

Eryn la abbracciò e la prese in braccio.

-Grazie, grazie infinite. Non so cosa avrei fatto se le fosse capitato qualcosa- ringraziò l’agente, che sorrise e le fece un cenno.

-Vi dovremo tenere qui per qualche domanda- la informò. Eryn però non poteva permetterselo.

-La prego, la bambina è sconvolta. Devo portarla a casa dai suoi genitori. Sono oltre l’orario. Saranno preoccupatissimi- cercò di convincerlo.

L’agente tentennò, la bambina gli fece degli occhioni da cucciolo, ed infine cedette.

Eryn tenne Blaire in versione bambina in braccio finché non raggiunse il negozio di Pat.

Una volta lontana dagli sguardi indiscreti, Blaire tornò sé stessa.

Quando finalmente riuscirono a tornare da Pat, nello scantinato, Eryn tirò un profondo sospiro di sollievo, e si lasciò cadere su una sedia, stanca morta ma anche parecchio soddisfatta, anche se avrebbe certamente potuto fare di più.

Blaire, al contrario, iniziò a saltellare da una parte all’altra della stanza, esaltata come non mai.

-È stato incredibile, non ho mai avuto così tanta adrenalina. Stavano per scoprirci, e poi mi sono trasformata, e se la sono bevuta. E poi quando ho colpito il cattivo… non avevo mai colpito nessuno prima. È stato straordinario!- esclamò, con occhi brillanti.

Pat si avvicinò sulla sedia a rotelle e passò lo sguardo su entrambe, chiedendo spiegazioni, dato che non aveva assistito.

Guardava Eryn con una certa disapprovazione.

La ragazza capì, e abbassò lo sguardo.

-Ok, ammetto che precipitarmi lì senza un piano non è stata un’ottima idea- ammise, alzando le mani in segno di resa.

-Lo puoi ben dire, grazie al cielo c’era Blaire. La prossima volta consultami prima di prendere una tale decisione- la rimproverò.

-Lo farò, promesso. Ho una buona notizia, però. Beh, due buone notizie e una cattiva: abbiamo salvato il negozio rapinato, ma non abbiamo catturato i criminali- iniziò a raccontare, segnando le notizie sulle dita della mano.

-Questo lo sapevo. Anzi, hanno dato a voi la colpa. Siete sui notiziari. La bella notizia?- chiese Pat, sperando in una bomba.

-Ho scoperto un terzo potere- gli raccontò Eryn, eccitata -Posso creare degli scudi di energia- 

-Confermo. Ci ha protetto e ha protetto gli ostaggi- le diede man forte Blaire.

-Beh, è un punto di svolta. Dovrai esercitarti però. Sarai da sola contro tutti i criminali che ti troverai davanti, sarà dura affrontarli simultaneamente- Pat iniziò a riflettere, pensieroso.

-Non sarà sola! Ci sarò anche io!- affermò Blaire con sicurezza.

Eryn e Pat la guardarono sorpresi.

-Come?- chiese Eryn, senza credere alle sue orecchie.

Blaire si ritirò, per niente abituata ad avere l’attenzione su di sé, ma insistette con sicurezza:

-Ci sarò anche io. Voglio far parte del team. Fare del bene ed essere una supereroina- 

-Sei sicura? È pericoloso, e illegale. Potresti finire in grossi guai se venissi presa dalla DIS o dalla Lega del Male- cercò di metterla in guardia Pat.

Blaire sembrò titubante, poi pensò a quello che aveva fatto, e sorrise, determinata.

-Qualcuno dovrà pur tirare fuori dai guai Eryn. Contate pure su di me. Ho passato tutta la vita nell’ombra. Voglio uscire dal guscio e fare qualcosa di significativo. Mi sono stancata di lavorare dietro le quinte: voglio essere una protagonista- affermò con una luminosa luce negli occhi.

Eryn le circondò le spalle con un braccio.

-Di certo le doti attoriali non ti mancano!- la incoraggiò, riferendosi alla messa in scena di poco prima. -Saremo un ottimo duo- sollevò una mano, e Blaire le diede il cinque.

Pat sorrise.

-Allora d’accordo. Inizierò a lavorare su delle supertute che si adattino ai vostri talenti. Ho sempre sognato di farlo. Vi invito a riflettere sui vostri nomi da supereroine. E dato che sono quasi le otto vi invito anche a riposarvi per il momento. Ci rivediamo domani pomeriggio, va bene?- le congedò, e le due ragazze annuirono, e uscirono dal laboratorio, chiacchierando e iniziando a pensare a come lavorare insieme.

Pat sorrise tra sé, e tornò a lavoro, con una punta di tristezza.

Prese il telefono per controllare i telegiornali dal vivo, ma si soffermò qualche secondo sulla sua immagine di sfondo del telefono: una foto di lui ed Eryn che la ragazza aveva scattato a tradimento rubandogli il telefono.

Sospirò.

Stava davvero facendo la cosa giusta? Lui voleva far tornare alla ribalta i supereroi, ma non voleva che Eryn rischiasse la vita per quel sogno.

Teneva davvero troppo a lei.

 

Quando Eryn tornò a casa, si sentiva energica come non lo era da anni. Le sembrava di essere tornata bambina, quando con Madison giocava ad avere i superpoteri e si immedesimava abbastanza da crederci davvero per qualche secondo. Ora li aveva davvero, ed era più straordinario di quanto avrebbe mai creduto, anche se non li usava ancora molto bene, e a volte sembrava che il corpo li rigettasse.

Ma lentamente si sarebbe abituata.

Entrò in casa, salutò la madre con un bacio sulla guancia, commentando che non vedeva l’ora di cenare perché era affamata ma prima avrebbe fatto una doccia veloce e si avviò saltellando in camera, convinta che niente avrebbe potuto turbare la sua gioia.

Beh… si sbagliava.

Perché non appena entrò in camera per prendere tutto l’occorrente per lavarsi, venne accolta da Robin, seduto a braccia incrociate sul suo letto, con dei vestiti sporchi di sangue, i suoi vestiti sporchi del sangue di Pat, in una mano, e il telefono che trasmetteva le ultime notizie nell’altra.

L’espressione del fratello era una maschera di ferro.

Ed Eryn perse un battito, temendo il peggio.

 

Nel frattempo, all’aeroporto, una donna dai capelli color paglia tenuti indietro da una treccia era appena arrivata in città dopo un viaggio all’estero. 

Aveva appena recuperato la valigia e doveva solo fare gli ultimi controlli.

Il lungo cappotto nero la copriva interamente.

-Signora, potrebbe per favore mostrare i polsi?- le chiese una guardia di sicurezza.

La donna sollevò le maniche ubbidiente, mostrando un bracciale da supereroina nel braccio destro.

-Al momento i supereroi non possono entrare in città. La prego di attendere in sala d’attesa e richiedere un permesso dalla DIS- il controllore le indicò una stanza adiacente, con malcelato disgusto nello sguardo e senza toccarla, come se fosse infetta.

Sorpresa, la donna entrò nella sala, e si accomodò nell’apposita area per supereroi, dove un altro paio di persone erano ubicate, parlando al telefono e confuse quanto lei.

La donna osservò lo schermo che trasmetteva le ultime notizie.

Nonostante fosse muto, non ci mise molto a fare due più due.

Sotto l’immagine di un edificio dove quattro criminali avevano tentato una rapina per poi rivoltarsi l’uno contro l’altro, almeno a quanto sostenevano i testimoni oculari, si leggeva la scritta “Fuga di poteri ancora irrisolta: DIS brancola nel buio”

La donna sospirò, e scosse la testa.

-Oh, tesoro. Perché l’hai fatto?- commentò tra sé, prima di prendere il telefono pronta a chiamare la DIS.

Non poteva permettersi di restare lì.

Doveva assolutamente tornare in città.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Non pensavo che ci avrei messo così tanto, ma questo capitolo è stato particolarmente complesso, dato che c’è il primo vero combattimento.

Ho cercato di renderlo interessante, ma non sono brava nelle scene d’azione. Perciò ogni consiglio è ben accetto.

Comunque in questo tempo non sono stata con le mani in mano. Ho fatto un punto della situazione della storia e ho iniziato a progettare i prossimi capitoli. È probabile che ci saranno tre “arc” che caratterizzeranno la storia. Con questo capitolo siamo ufficialmente entrati nell’”arc” della lega del male. I prossimi due sono inediti.

Parlando del capitolo, è molto Eryn-centrico.

Forse è anche uno dei motivi per cui ci ho messo tanto. Non è così semplice il punto di vista di Eryn, sebbene sia la protagonista. Nel prossimo capitolo Robin sarà molto importante, e spero che vi piacerà, perché è uno dei miei personaggi preferiti.

Spero che Disaster King e Shadow vi siano piaciuti, così come i loro poteri. Quelli di Disaster King non sono ancora spiegati del tutto, nel prossimo capitolo probabilmente li vedremo più in azione.

Ve l’aspettavate il segreto di Pat? Penso di sì. 

Chissà chi è la donna dai capelli color paglia.

E chissà cosa ha capito Robin e come gestirà la cosa Eryn.

Concludo l’angolo autore dicendo che Blaire è il mio personaggio preferito e ho adorato scrivere di lei.

Scusate ancora del ritardo e spero che il capitolo vi piaccia. Se volete lasciare una recensione sarà gradita.

Un bacione e alla prossima :-*

 

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Capitolo 6
*** Tre eroi sono meglio di due ***


Tre eroi sono meglio di due

 

Eryn non sapeva cosa fare. Suo fratello la guardava come se fosse lei a dover parlare per prima, ed era in completo e totale panico.

Perciò fece l’unica cosa le venne in mente.

Sclerò.

-Cosa ci fai in camera mia! Vattene subito!- esclamò, cercando di riprendersi i vestiti in mano, ma il fratello era molto più veloce, e la schivò, andando dall’altra parte della stanza.

-Dobbiamo parlare, sorellona! E non sarà una conversazione piacevole, probabilmente!- esordì, gli occhi che mandavano scintille.

-Non abbiamo niente da dirci, tranne che non devi frugare nel mio armadio ed entrare in camera mia!- la ragazza cercò di evitare l’argomento, ma non era molto abile come oratrice.

-Credi che io sia uno stupido?!- si indignò Robin, stringendo i pugni.

-A giudicare dal fatto che litighi sempre con mamma e chissà quale strana teoria un paio di vestiti sporchi ti hanno messo in mente, sì, sei stupido! O comunque ignorante sul genere femminile- cercò di salvarsi Eryn, iniziando ad avvicinarsi lentamente per riprendersi i vestiti incriminanti, ma non usò i termini migliori. 

Perché se c’era qualcosa che Robin odiava, oltre ovviamente alle restrizioni ai supereroi, era essere trattato come un bambino e considerato stupido.

-Bene! Vediamo che ne pensa mamma, allora. Scommetto che lei che è tanto intelligente farà due più due molto meglio di me- la sfidò, schivandola per correre in cucina.

Eryn non lo avrebbe mai raggiunto o fermato, perciò fece l’unica cosa che le venne in mente, a livello inconscio.

Creò un campo di forza davanti alla porta, che sbatté Robin dritto sul letto, immobilizzandolo per qualche istante.

Eryn temette di avergli fatto male, ma proprio quando stava per controllare, Robin si alzò in fretta e le andò a pochi centimetri.

-Lo sapevo! Eri tu oggi al negozio di antiquariato!- la accusò, puntandole il dito contro.

Eryn impallidì, ma decise di continuare a fingere ignoranza.

-Di che stai parlando? Che negozio?- chiese, guardandolo come se fosse pazzo.

Il suo comportamento non fece altro che aumentare l’irritazione di Robin, che iniziava a mandare scintille, letteralmente. Eryn si prese una scossa, e si allontanò di qualche passo, ma Robin non glielo lasciava fare e le si avvicinò sempre di più.

-Qualche giorno fa il tuo capo è rimasto ferito. Un supereroe non identificato lo ha salvato da sotto le macerie. Stranamente i tuoi vestiti sono macchiati di sangue. Da quel giorno un sacco di supereroi sono usciti fuori come funghi, supereroi non controllati dalla DIS, quindi supereroi che prima erano normali. Sei stata strana da quel giorno. E oggi, proprio quando il tuo capo viene dimesso, una supereroina dai capelli castani mascherata sventa una rapina in un negozio. Ok, non eri tu. Non ti somiglia per niente, ma il tuo capo è un genio, ti ha sicuramente nascosta con abilità strane e magiche. Credi che sia stupido? Sei tu quella supereroina, e me ne hai appena dato una dimostrazione- le spiegò brevemente, con occhi vittoriosi.

Eryn si vide costretta a cedere.

Sospirò, e annuì.

-Io e Pat stiamo mettendo su un gruppo di supereroi fuorilegge per sconfiggere la lega del male. Quindi, se te lo stai chiedendo, non ero con quei criminali- rettificò.

-Mi hai sentito? Lo so che non eri con loro. Non sono stupido!- ripetè Robin, allontanandosi soddisfatto.

-Che vuoi ora? La mia porzione di dolce per un mese? Che prenda le tue parti nei litigi con mamma? La mia camera?- Eryn era convinta che suo fratello volesse ricattarla, ma evidentemente lo conosceva meno bene di quanto pensasse. O forse lo sottovalutava perché, effettivamente, il fratellino si era sempre comportato in modo infantile con faccende riguardanti supereroi.

-Niente di tutto questo, anche se mi hai dato ottime idee- rispose Robin, pregustando la camera nuova.

Eryn sbuffò, pentendosi di avergli dato suggerimenti, e lentamente si mise davanti alla porta per evitare che scappasse comunque e dicesse ogni cosa alla loro madre.

-Entro nel team- aggiunse poi Robin, con un sorrisone eccitato.

Eryn non era sicura di aver capito bene.

-Come, scusa?- chiese chiarimenti, confusa.

-Entro nel tuo team- ripeté Robin -Se vuoi sconfiggere la lega del male sarà difficile con poteri di scudi o qualsiasi cosa tu abbia. Ti servirà il mio aiuto esperto- spiegò meglio, atteggiandosi -Non serve ringraziarmi- aggiunse poi. Ma Eryn non ne aveva la minima intenzione.

-Sei completamente impazzito?! Non puoi unirti a noi!- esclamò, guardando il fratello come se fosse un alieno venuto da un’altra dimensione.

Robin la guardò offeso.

-Quindi tu puoi sconfiggere i cattivi e io no?! Non hai il diritto di fermarmi!- si difese, incrociando le braccia.

-Ti do tre motivi per i quali è completamente impossibile che tu lavori come supereroe: Primo, sei minorenne; Secondo, sei registrato, quindi ti beccherebbero subito; Terzo, è troppo pericoloso e non sei pronto!- lo scoraggiò Eryn.

-Primo, ho quasi diciotto anni e l’età del consenso per diventare supereroe è di quindici anni; Secondo, il tuo capo troverà sicuramente un modo per togliermi il rilevatore; Terzo, sono più pronto di te, dato che ho i miei poteri da tutta la vita e tu solo da qualche giorno- obiettò il fratello. 

Effettivamente le sue argomentazioni avevano una logica. Ma Eryn non aveva la minima intenzione di cedere.

-L’età del consenso era una scusa per accaparrarsi i supereroi più promettenti il prima possibile, e i poveri quindicenni raramente davano davvero il loro consenso, ma erano obbligati e schiavizzati. La vera età del consenso era a 18 anni, quando veniva fatto un vero e proprio contratto, perciò…- Eryn cercò di attaccarsi alla legge, dato che “Diritti e doveri dei supereroi” era il primo esame che aveva dato all’università e aveva preso trenta e lode.

Robin roteò gli occhi.

-Non mi interessa la legge! Quello che faremo è illegale, dopotutto. Ma moltissimi supereroi hanno iniziato a quindici anni, e sono diventati i migliori di questo secolo!- le fece notare, indicando la foto del padre, messa accanto al comodino.

Era vero che Steven Jefferson, alias Mr. Change, aveva iniziato il giorno stesso in cui aveva compiuto quindici anni, ed era stato per molto tempo il pilastro della DIS, l’eroe più forte del mondo.

-Già, infatti guarda un po’ che fine ha fatto papà- commentò però Eryn, quasi tra sé.

Robin strinse i pugni, le luci della stanza iniziarono a sfarfallare.

-Cosa vorresti dire con questo?!- esclamò, furente.

Eryn decise di fare un passo indietro. Per Robin il loro padre era un tasto dolente. Il ragazzo non avrebbe mai visto la verità, per quanto provassero a sbattergliela in faccia.

-Nulla, ma il mio resta comunque un no! Non entrerai a far parte del team. Due persone bastano e avanzano!- il suo tono non ammetteva repliche, ma Robin era maestro nel replicare comunque.

-Una che crea scudi e uno in sedia a rotelle? Che razza di team è?- provò ad obiettare. Eryn non rispose nemmeno. Anche perché non voleva rischiare di dare l’identità di Blaire, dato che si stava riferendo a lei, non a Pat, che al contrario non aveva poteri.

-Se non mi permetti di entrare nel team dico tutto a mamma- minacciò allora Robin, sprizzando elettricità da tutti i pori.

Eryn non poteva permetterlo, ma non poteva neanche rischiare che Robin si facesse male in missione. Non voleva avere anche il peso di un fratellino infantile durante gli scontri che già trovava davvero difficili.

Alla fine, cercò di far fruttare il corso di psicologia che stava seguendo. Non era una cima ed era distratta nella maggior parte delle lezioni, ma si trattava di suo fratello, non di uno sconosciuto.

-Sai, Robin, non sei affatto un eroe, se parli così- iniziò ad accusarlo, in tono autoritario.

Robin era in procinto di ribattere aspramente o far esplodere tutte le lampadine, ma Eryn non glielo permise.

-Se preferisci denunciare una supereroina che cerca di migliorare il mondo solo perché non ti permette di entrare a far parte del team, questo non ti rende meglio dei supercattivi che cercando di fermarla, e di certo non ti rende meglio della DIS. Anzi, se tu adesso andassi da mamma, provocandole un crollo, allertando la DIS e facendomi arrestare, non solo non entreresti a far parte della squadra, dato che metteresti nei guai anche Pat, ma elimineresti l’unico ostacolo alla lega del male e saresti esattamente uguale a…- fece una pausa ad effetto -…Madison- e poi gettò la bomba.

Robin sgranò gli occhi.

Poteva anche vivere con la consapevolezza di rovinare la vita a sua sorella di mezzo, ma mai avrebbe potuto sopportare l’idea di essere comparabile alla sorella maggiore.

Gettando gli abiti insanguinati sul letto della sorella, alla fine il ragazzo cedette.

-Va bene, terrò il tuo segreto, ma non pensare che mi arrenderò. Io entrerò nel team, in un modo o nell’altro- le promise, prima di superarla e uscire fuori dalla porta come una furia.

Eryn si buttò nel letto, stremata dalla discussione e senza più tempo per farsi una doccia prima di cena.

Dubitava che Robin avrebbe agito subito, perciò per qualche giorno era certa di poter stare tranquilla. Sicuramente avrebbe dovuto parlare con Pat, e con il suo cervello avrebbero trovato un modo di convincere Robin a lasciar perdere e far fare agli adulti.

Sentì sua madre chiamarla per cenare, e si convinse ad alzarsi dal letto.

Per fortuna Deborah Jefferson non aveva sentito la discussione, troppo distratta dai suoi pensieri, e aveva semplicemente ammonito Eryn di essere più carina con Robin, perché passava solo una fase, secondo lei.

Eryn avrebbe tanto voluto fosse tale, ma durava ormai da quindici anni, perciò dubitava si trattasse solo di questo.

 

Madison si era dovuta svegliare prima del solito, quella mattina, ed era semplicemente per andare a prendere la colazione a Finnegan De Marco.

Era la sua guardia del corpo, non la sua schiavetta. Che assumessero una cameriera vera, per quel tipo di lavori. Ma a quanto pareva lei era talmente in basso nella scala sociale che era un compito per lei, che in ogni caso non si era lamentata e aveva eseguito con puntualità e precisione, riuscendo anche ad essere perfetta come suo solito.

Ma aveva quasi ceduto all’ira quando Finnegan le aveva detto di non averla chiamata, e aveva scoperto che era stata sua sorella Drusilla ad ordinarle la colazione.

Aveva provato ad obiettare, ma Oscar aveva ribattuto che in qualità di guardia del corpo di Finnegan era suo compito occuparsi anche del resto della famiglia.

Sciocchezze!

Drusilla se ne approfittava e basta.

Ma Madison aveva fatto buon viso a cattivo gioco, ed era rimasta in casa pronta ad accompagnare Finnegan in ufficio, anche se mancava più di un’ora.

Decise di indagare un po’, e approfittò della distrazione dei tre membri della famiglia De Marco per sgattaiolare nella sala di sicurezza. Forse c’erano indizi che le erano sfuggiti. Sarebbe stato ideale controllare l’edificio da cima a fondo, ma le sarebbe servito un mandato, e c’erano luoghi che nessuno aveva il permesso di visitare. Il palazzo era stato costruito appositamente per i De Marco, e Madison era convinta fosse pieno di passaggi segreti e stanze nascoste, come un vecchio castello.

Per il momento doveva accontentarsi dei luoghi facilmente accessibili.

Si intrufolò senza troppi problemi nella sala che controllava le telecamere di sicurezza, e iniziò a controllare gli schermi, e le registrazioni.

Il suono del suo telefono per poco non le provocò un infarto.

Non era abituata a fare qualcosa di poco etico, e si vedeva.

Prese il cellulare e accettò la chiamata senza neanche controllare da chi provenisse.

-Pronto, telefono di Madison Jefferson- esordì, professionale.

-Volevo informarti sugli ultimi sviluppi del caso- la voce dell’agente Anderson le arrivò chiara, dritta al punto, come sempre.

Madison rimase interdetta per un attimo. Era stata sollevata dal caso, ufficialmente. Non era più la collega di Anderson. Eppure lui la stava comunque mettendo al corrente dei fatti. 

Madison non capì il suo comportamento, ma per un istante si sentì quasi commossa, e considerata. Era un’interessante novità.

-Ci sono svolte degne di nota?- chiese in fretta, uscendo dalla sala e cercando di allontanarsi per evitare che qualcuno la scoprisse lì o sentisse la sua conversazione.

-Abbiamo scoperto a chi appartiene il sangue rinvenuto dentro i contenitori della scena del crimine. Il suo nome è Berenice Holler ed è una supereroina registrata- la informò William.

Combaciava tutto. Era una grandissima svolta.

-L’hai già interrogata? Sicuramente era lì o sa qualcosa. Vengo su…- si interruppe. Non poteva lasciare il signor De Marco. Aveva le mani legate.

Il fastidio per la situazione nella quale la fuga di poteri l’aveva messa aumentò esponenzialmente. Aveva la più grande svolta nel caso da quando era stato aperto e non poteva neanche interrogare di prima mano il sospettato principale.

-Placa i bollenti spiriti, ci penso io. Ci ha contattato proprio ieri sera. Pare che sia stata fuori città per almeno un paio di mesi, ed è appena tornata. La interrogherò questo pomeriggio e ti metterò al corrente- la rassicurò William, in tono vagamente conciliante. 

Madison non trattenne un sospiro rassegnato.

-Indaga sui suoi contatti da supereroina. E i suoi spostamenti nei mesi in cui è stata qui. Soprattutto gli acquisti. Hai ancora quell’informatore sul mercato nero?- indagò, riflettendo su come agire, ma una mano sulla spalla la fece sobbalzare.

-Signorina Jefferson, il signor De Marco ti attende per scortarlo in ufficio- le disse una guardia, in tono schivo e quasi disgustato.

Madison si affrettò a scansare la mano della guardia, e interruppe la chiamata il più in fretta possibile.

-Scusa, il dovere chiama. Tienimi aggiornata- disse cercando di non tradirsi, prima di spegnere e rimettere il telefono in tasca.

-Devi stare con il signor De Marco in ogni momento- la rimproverò la guardia. La ragazza lesse la targhetta. Era un tale agente Hagen. Un uomo di mezza età dai capelli neri brizzolati e una lunga barba.

-Era una chiamata importante- si giustificò Madison, con un sorriso affabile.

-Niente è più importante della sicurezza del signor De Marco- obiettò l’agente Hagen, ignorandola subito dopo.

Madison alzò gli occhi al cielo. Aveva parecchie obiezioni da sollevare al riguardo, ma per decenza e dignità decise di rimanere in silenzio.

Tornò in cucina, dove Finnegan la stava aspettando, sistemando la ventiquattrore.

-Eccoti, finalmente- la accolse, con un sorrisino, prima di fare un cenno verso la porta.

Si prospettava una pessima giornata.

 

Dopo scuola, Robin fu il primo ad uscire, determinato a raggiungere il negozio di Eryn per cercare di farsi ascoltare almeno da Patrick, invischiato nella faccenda della sorella.

Ma venne bloccato sul marciapiede da una voce acuta alle sue spalle.

-Hey… R_Robin! Tor_torniamo insieme?- gli chiese timidamente una ragazza, che lui riconobbe immediatamente. Non tanto perché aveva riconosciuto la voce, ma piuttosto dal fatto che era l’unica ragazza che gli rivolgesse la parola a scuola.

-Oh, hey, Holly- la salutò distrattamente girandosi verso di lei e facendole un cenno -Mi dispiace ma oggi non torno subito a casa. Devo passare nel negozio di mia sorella ed è una strada diversa- le rivelò, senza scendere a particolari.

-Oh… che genere di negozio è?- chiese lei, torturandosi le mani.

Robin avrebbe preferito che non fosse così nervosa. Lo metteva a disagio e temeva di fare o dire qualcosa di sbagliato.

Cercò di essere il più gentile possibile.

-A dire il vero non lo so. Credo ci siano oggetti interessanti, forse è un negozio dell’usato. Comunque devo andarci. Possiamo tornare insieme domani- fece per salutarla e iniziare ad andare, ma lei continuò a parlare, a voce sempre più bassa, sempre più acuta e sempre più incerta.

-Sembra un negozio interessante. Mi piacerebbe darci un’occhiata- commentò senza guardarlo.

Robin non capì cosa potesse trovare di interessante in un negozio del quale non aveva neanche una descrizione precisa. Lui non ci sarebbe mai andato se non avesse avuto l’urgenza di provare in tutti i modi a diventare un supereroe a tutti gli effetti.

-Domani ti do l’indirizzo se vuoi. Adesso sono un po’ di fretta. Ci vediamo- la salutò, prima di darle le spalle.

L’ultima cosa che vide fu che Holly sembrava un po’ delusa, ma non riuscì a capirne il motivo. Forse voleva subito l’indirizzo, o ci teneva che Robin le facesse compagnia fino alla fermata? Gli sembrava improbabile. Ci pensò per qualche minuto mentre camminava verso il negozio della sorella, ma non riuscì a venirne a capo. Le ragazze erano davvero il più grande mistero dell’universo. 

 

Eryn era parecchio distratta quel pomeriggio, ed era stata parecchio distratta anche tutta la mattina. Non che la lezione del giorno fosse poi così importante, alla fine. O meglio, era importante, ma Eryn non era mai stata attenta a psicologia, quindi dubitava che una distrazione in più o in meno avrebbe fatto qualche differenza.

Appena arrivata in negozio avrebbe voluto parlare con Pat del fratello che aveva scoperto tutto, ma non aveva ancora trovato l’occasione, e non sapeva come introdurre l’argomento, soprattutto visto che Pat era davvero concentrato e impegnato.

Eryn aveva scoperto che Pat era al centro del mercato nero dei supereroi clandestini, in una posizione molto più influente e potente di quanto la ragazza pensasse, ed era davvero ammirata e allo stesso tempo inquietata dall’informazione. Mai avrebbe pensato che il suo capo fosse invischiato in tali traffici.

Ma dal punto di vista del team era davvero d’uopo. Aveva i migliori materiali e i soldi per provvedere a tutto quanto senza chiedere nulla alle due colleghe, ed Eryn doveva solo agire e badare alla cassa.

Ed era alla cassa in quel momento, un po’ annoiata, pensierosa e molto distratta, mentre Pat ultimava il suo costume. Aspettava una visita di Blaire il prima possibile per prendere le misure per il proprio. L’aveva vista all’università e sembrava davvero entusiasta.

Quando sentì la campanella che annunciava l’ingresso di un cliente, diede per scontato che fosse lei.

-Ben rivista, B…- ma si interruppe di scatto quando notò che ad entrare, con un sorrisetto malefico, non fu la sua compagna di team, ma il suo irritante fratellino, e rimase di sasso per qualche istante.

-Cercavo il titolare, è presente?- esordì lui, in tono fintamente angelico.

Eryn si irrigidì e strinse i denti.

-Non è presente al momento, e non lo sarà per parecchio. Ti conviene ripassare un’altra volta. Magari nel duemilamai, Bobi- lo incoraggiò ad andare via, per niente intenzionata a chiamare Pat. Dopotutto era in vantaggio. Lei conosceva il negozio e sapeva dov’era Pat. Inoltre, a differenza di Robin, poteva usare i poteri.

-Non puoi cacciarmi. Resterò qui finché non si farà vivo. E non chiamarmi Bobi!- il ragazzino iniziò a guardarsi intorno, con un cipiglio soddisfatto. Un piccolo vantaggio lo aveva anche lui: Eryn, sebbene fossero soli nel negozio, non poteva fare scenate. 

Avrebbe volentieri rischiato il licenziamento o la denuncia pur di cacciare fuori a calci il fratello, ma si impose di restare calma. Dopotutto Pat era molto impegnato. Era parecchio probabile che non riemergesse per tutto il tempo, a meno che Eryn non lo chiamasse.

Aveva installato un sostegno per salire e scendere in sedia a rotelle, ma era comunque una faticaccia, quindi non contava di farlo se non era strettamente necessario.

O almeno così Eryn sperava con fin troppo ottimismo.

Due minuti di dopo l’arrivo di Robin, che era rimasto davvero affascinato da un gioco elettrico parecchio vecchio, Pat fece la sua comparsa, con un cacciavite dietro l’orecchio.

-Eryn, hai visto il registro verde? Non riesco a trovarlo e ho bisogno di capire dove ho sistemato il costume da bagno arcobaleno- le si rivolse, pensieroso.

Una persona normale sarebbe stata presa in contropiede da una richiesta così bizzarra, ma Eryn ne aveva sentite di peggio. E aveva altri problemi a cui pensare.

-Pat, dobbiamo parlare di…- cominciò a dire sottovoce, sperando con tutto il cuore che Robin si fosse perso l’ingresso dell’uomo vista la sua distrazione, ma non era affatto distratto come sembrava, perché interruppe immediatamente la sorella precipitandosi velocemente, nonostante l’assenza di poteri, verso l’uomo in sedia a rotelle, e prendendolo del tutto di sorpresa.

-…del mio ingresso nel vostro team fuorilegge di supereroi- finì con un grande sorriso -Ho scoperto il vostro piano tutto da solo e voglio fare parte del gruppo!- disse con orgoglio e determinazione.

-Assolutamente no! Diglielo anche tu, Patrick, è minorenne, lui è registrato e tracciato ed è troppo pericoloso!- Eryn cercò l’appoggio dell’amico, riprendendo le obiezioni che aveva rivolto al fratello il giorno prima. Era probabile che sentendole confermare da un uomo più grande e responsabile ci fossero più possibilità che Robin si convincesse.

Ma Pat la sorprese non poco.

-L’età del consenso, sebbene bassa, è di quindici anni, e un’aggiunta più esperta al team gioverebbe non poco- ammise infatti, pensieroso.

Eryn non poteva credere alle sue orecchie. Gli occhi di Robin si accesero di trionfo.

-E poi mancano pochi mesi al mio compleanno. E sono convinto che con le tue risorse puoi togliere il rilevatore senza problemi!- lo incoraggiò, lisciandoselo con tono fraterno.

Eryn non lo aveva mai visto così espansivo. Non credeva neanche che fosse possibile vederlo così.

Quanto era scorretto!

Gli lanciò un’occhiataccia.

-Pat, è pericoloso, anche senza rilevatore lo potrebbero riconoscere- cercò di convincere il capo, che sembrò rendersi conto della preoccupazione della sottoposta.

-Beh, è vero. Potrei togliere il rilevatore. È il primo modello inventato, ed è sottopelle e semplice da rimuovere, a differenza dei nuovi congegni, ma tua sorella ha ragione, Robin. È un lavoro rischioso- Pat distolse lo sguardo, e abbassò la voce. Non sembrava del tutto convinto da quello che diceva, ma lanciò un’occhiata sottecchi ad Eryn, che tirò un sospiro di sollievo, e guardò Robin soddisfatta.

Il ragazzo fece passare lo sguardo tra i due, e alzò gli occhi al cielo, sbuffando e perdendo la facciata amichevole.

Nei suoi piani non aveva incluso che il capo di sua sorella fosse cotto della suddetta sorella tanto da non ascoltare la ragione. Se voleva entrare a far parte del gruppo, doveva sfoderare l’ultima arma che gli restava, anche se avrebbe preferito di gran lunga non farlo per non nuocere alla sua già quasi inesistente dignità.

Sospirò, e diede le spalle ai due, racimolando la forza per dire la sua in modo responsabile, maturo, e convincente, esponendo le sue fragilità. 

Che consistevano nelle sue nascoste doti oratorie. Nascoste perché lo facevano somigliare troppo a Madison, per i suoi gusti.

-Chi siete voi per decidere il mio destino?- cominciò a chiedere, senza guardarli.

-Robin...- provò ad obiettare Eryn, che iniziava a perdere la pazienza, ma il fratello la interruppe, girandosi verso di lei con le lacrime agli occhi e ammutolendo entrambi gli interlocutori.

-Pensi sia giusto che tu possa seguire il sogno che hai da tutta la vita ed io no solo perché sono più piccolo di te? Sono cresciuto con la prospettiva che se mi va bene l’unico modo per lavorare utilizzando i miei poteri sarà in una centrale elettrica. Sono un prodotto del sistema e non ho modo di liberarmi dalle corde che mi tengono intrappolato da quando ero piccolo. Voglio soltanto essere libero di spiccare il volo, e fare del bene. Proteggere il prossimo, redimere i supereroi. Te l’ho detto così tante volte, Eryn. Io voglio solo il bene della mia gente, e dimostrare di essere all’altezza della grande forza che possiedo contribuendo a fare questo bene. Non farò azioni sconsiderate. Sarò professionale, e attento, e…- si interruppe. Dirlo gli costava davvero tanto, ma alla fine cedette -…e ti seguirò, sorella. Farò quello che mi dici senza buttarmi nel pericolo o agire di testa mia- le promise, anche se sapeva che non avrebbe mantenuto la promessa.

Lo sapeva anche Eryn, che lo guardò diffidente e molto in conflitto con sé stessa per qualche minuto.

Alla fine, però, anche complice l’occhiata quasi supplicante di Pat, che avrebbe voluto il ragazzo nel team fin dal principio, sospirò, e acconsentì.

-Va bene. Puoi entrare nel team- acconsentì, a denti stretti.

Robin perse immediatamente il tono serio, e iniziò ad improvvisare un ballo della vittoria, guadagnandosi una risatina da Pat e un’occhiata gelida dalla sorella.

-Sarò il miglior supereroe del mondo!- esclamò gioioso.

-E se non stai zitto sarai anche quello con vita più breve!- provò a zittirlo Eryn, alla quale comunque tutta questa situazione non andava per niente giù, sebbene avesse acconsentito.

-Ma chi vuoi che entri in un negozio del genere?- alzò gli occhi al cielo Robin, sminuendo il pericolo.

-Io trovo che sia un negozio stupendo, e concordo con Eryn, da fuori si è sentita l’esclamazione- una voce alla porta fece sobbalzare tutti, ma Pat ed Eryn tirarono un sospiro di sollievo quando dall’uscio fece la sua comparsa Blaire, con un grande sorriso e i capelli raccolti da una fascia. Eryn fu felice di notare che non nascondeva il viso. Si era sbloccata davvero tantissimo in poco tempo.

-Stavamo solo parlando di una mia recita scolastica, niente di illegale o realmente supereroistico!- Robin si affrettò a trovare una scusa, cercando di non farsi prendere dal panico.

-Tranquillo, “supereroe migliore del mondo”, è con noi- gli spiegò Eryn, prendendolo in giro.

-Ciao, io sono Blaire. Sei un altro newbie?- gli chiese la ragazza, porgendogli la mano, e sorridendogli.

Robin piegò la testa, senza sapere cosa rispondere.

In realtà la sua testa non sembrava funzionare.

E neanche le sue mani, e la sua voce.

E si sentiva bollente all’improvviso.

Blaire smise di sorridere, e ritirò la mano.

-Ho fatto qualcosa di male?- chiese ad Eryn, un po’ preoccupata.

-No, figurati. Non è un newbie, è quell’orso del mio fratellino- la rassicurò, e questo insulto gratuito davanti ad un’estranea sembrò sbloccare Robin, che arrossì.

-Non sono un orso! E non sono piccolo!- non seppe neanche lui perché sottolineò la seconda cosa, comunque fece alzare le mani alla sorella in segno di resa, e poi si rivolse a Blaire, cercando di non perdere di nuovo l’uso della parola.

-Sono Robin. Piacere- non porse la mano perché temeva fosse troppo sudata, ma le fece un cenno col capo, e lei ricambiò, accennando nuovamente un sorriso.

-È un piacere conoscerti. Quindi sei già esperto dei tuoi poteri? Che fortuna. Io ancora non so bene come usarli- ammise, un po’ imbarazzata, giocherellando una ciocca di capelli. 

-Beh, sì, cioè, sono abbastanza esperto, ovviamente, dato che ci sono nato. Ma sono sicuro che anche tu sei bravissima, insomma, hai solo bisogno di un po’ di pratica, è normale- iniziò a balbettare lui, diventando sempre più rosso.

Blaire ampliò il sorriso.

-Grazie, ho iniziato ad esercitarmi, ma è davvero strano. Mi trasformo in altre persone. Sia persone che non esistono che persone che conosco- spiegò, iniziando a fare conversazione.

-Io sono elettrico, e veloce, molto veloce- spiegò Robin, iniziando a parlare più normalmente e più amichevolmente di quanto Eryn lo avesse mai visto.

-Sarebbe il caso di non parlarne qui. Blaire, mi hai detto di avere delle idee per il tuo costume, mi raggiungi in laboratorio? Robin, anche tu. Ti tolgo il rilevatore e ti spiego come trattarlo in modo che la DIS non si accorga di niente- incoraggiò i due, che annuirono e lo seguirono.

Eryn dovette rimanere in cassa, ma avrebbe pagato oro per continuare ad osservare il fratello parlare con Blaire. 

 

Madison osservava lo schermo muto posto all’ingresso che era a portata di vista dal muro del corridoio al quale era appoggiata, fuori dall’ufficio di Finnegan che proprio in quel momento stava lavorando. Il lavoro di guardia del corpo era noioso e stancante, e Madison non poteva fare a meno di pensare a quanto avrebbe preferito interrogare quella tale Berenice Holler il cui sangue era stato trovato sulla scena del crimine nella torre De Marco.

Di solito lei e William si dividevano in poliziotto buono e poliziotto cattivo, durante gli interrogatori.

Non era una scelta, a dire il vero, accadeva e basta: Madison era incalzante e incuteva timore, mentre Anderson era tranquillo e spesso accomodante. In questo si completavano molto.

Chissà chi c’era al suo posto, probabilmente qualche ragazzina appena uscita dall’accademia o un altro agente anziano che aveva perso il compagno supereroe.

William non glielo aveva detto, Madison si chiedeva se fosse per non farle pesare di essere stata tagliata fuori, ma lo escludeva. William non era così attento a come gli altri si sentissero, specialmente lei.

La televisione mostrava i volti dei tre criminali mascherati che stavano terrorizzando la città, e la loro nuova complice, di cui nessuno aveva una foto ma che era stata accuratamente descritta dai testimoni oculari.

A Madison il volto sembrò familiare, ma non ci fece troppo caso. Era la notizia in sé a farle storcere il naso.

Non riusciva a credere che degli esseri umani avessero ottenuto dei poteri e che si fossero messi a commettere immediatamente crimini.

A volte pensava davvero che i superpoteri fossero una malattia. Da quando la DIS aveva iniziato a controllarli stavano tutti decisamente meglio. Le regole erano semplici da seguire, e facevano andare avanti il mondo. Madison le seguiva alla perfezione, e si sentiva davvero soddisfatta di come la sua vita stava andando avanti. Beh… tranne negli ultimi tempi. Ma era colpa dei nuovi supereroi, non della DIS.

Si rigirò il bracciale sul polso, e controllò che la manica della camicia non lo coprisse. Doveva far capire a tutti chi fosse, era la regola 23 del codice regolamentario imposto ai supereroi dalla DIS. Quasi nessuno la osservava, ma Madison ci teneva ad essere precisa.

Un paio di burocrati passarono parlando tra loro, ed entrambi le lanciarono un’occhiataccia.

Madison sospirò. Era da quando era arrivata che chiunque passasse le lanciava un’occhiataccia.

Una segretaria aveva anche commentato qualcosa del tipo “Dovrebbero ucciderli tutti questi mostri”, ma Madison non ci faceva più caso.

Era ormai abituata.

Subito dopo il passaggio dei burocrati, la segretaria personale di Finnegan, una delle poche persone che non l’avevano guardata storto da quando era entrata lì, la raggiunse zompettando, con in mano dei documenti e parlando al telefono con il suo ragazzo.

-Aspetta un secondo…- disse rivolta alla cornetta, poi alzò lo sguardo verso Madison, con un grande sorriso.

-Scusa, potresti dare questi documenti al signor De Marco? È urgente e sono al telefono- le chiese con occhi da cucciolo.

Si chiamava Jewel Norton e aveva 20 anni, ma ne dimostrava 15, a partire dal suoi grandi occhi verdi fino al suo abbigliamento giovanile, passando ovviamente per i lisci capelli neri come l’inchiostro che teneva legati in due codine che sembravano uscite dai cartoni animati giapponesi.

Probabilmente aveva ottenuto il posto solo perché sua sorella maggiore, Brolice, era uno dei consiglieri principali della campagna di Finnegan. Madison l’aveva vista di sfuggita, ma si capiva subito che era una donna composta ed elegante, esattamente il contrario di Jewel e sicuramente molto più vicino a Madison di lei, in termine di affinità.

-Non è il mio lavoro portare i documenti, signorina Norton- cercò di rifiutare Madison, ma Jewel non la stava neanche ascoltando.

-Grazie mille- mise i documenti in mano alla ragazza e tornò a parlare al telefono, suscitando sguardi di apprezzamento da parte degli uomini che passavano per il corridoio o erano all’entrata.

Madison scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.

Odiava le raccomandazioni immeritate come questa, e odiava che nonostante fosse mille volte meglio di Jewel in ogni ambito, erano sullo stesso piano sociale.

Si rassegnò al compito che non le spettava e bussò alla porta dell’ufficio di Finnegan, senza ottenere risposta.

Dopo aver bussato un’altra volta, decise di entrare e basta, anche perché poteva essergli successo qualcosa.

Non sapeva se sperarlo per vendicarsi in modo indiretto dei De Marco che tanto odiava. Probabilmente se Finnegan fosse rimasto ferito con lei di servizio sarebbe stata declassata e forse anche arrestata, ma poteva valerne la pena, se dopo di lui fossero rimasti feriti anche gli altri membri della sua famiglia.

Alla fine erano Oscar e Drusilla i peggiori.

Quando entrò però i suoi pensieri vennero accantonati, perché Finnegan stava più che bene, era solo impegnato a parlare al telefono, e osservava distrattamente fuori dalla finestra, di spalle alla porta. Sembrava completamente immerso nei suoi pensieri, e dal riflesso che Madison scorgeva, il suo volto era rilassato. Leggermente preoccupato, ma molto più naturale di quanto Madison l’avesse visto.

Per un attimo Madison ebbe il dubbio che stesse parlando con Jewel, ma i suoi dubbi vennero smentiti quasi immediatamente.

-Lo sai che i soldi non sono un problema, Kyle. Papà non può dire niente se sono i miei, e in ogni caso non glielo direi. Non sopporto che tu salti i pasti per pagarti l’affitto- stava commentando.

Kyle De Marco. Il secondogenito di Oscar. Aveva l’età di Madison, e la ragazza era andata nella sua stessa classe per ragazzi prodigio alle superiori… per una giornata. Oscar si era lamentato con la direzione e Madison era stata cacciata il giorno successivo e surclassata in un classe molto più ordinaria, insieme agli altri supereroi. Quando aveva scoperto che il promettente Kyle De Marco era stato disonorato e cacciato di casa l’opinione di Madison si era divisa in due: da un lato era soddisfatta che colui che l’aveva fatta cacciare dalla classe si fosse rivelato un fallimento, dall’altra trovava davvero uno spreco che un ragazzo con tale potenziale, per il quale aveva lasciato la classe, fosse finito in un monolocale e lavorasse come precario.

I gossip si sprecavano sui motivi dell’allontanamento del figliol prodigo. La versione ufficiale era che fosse un favoreggiante dei supereroi, buono a nulla e forse anche incastrato con delle gang giovanili o la mafia. 

I gossip sostenevano che Oscar De Marco non aveva preso tanto bene il suo coming out.

Madison non badava alle voci, perciò non si era mai fatta un’opinione.

Di certo, però, rimase sorpresa che Finnegan fosse ancora in contatto con il fratello. Probabilmente se sua madre avesse cacciato finalmente di casa Robin, Madison avrebbe preso la palla al balzo per smettere di parlare con lui, non che lo facesse molto, in generale.

Beh, con Eryn era un po’ diverso, in effetti. Tollerava la sua compagnia, ma sicuramente non avrebbe offerto soldi e aiuto a nessuno dei due. Trovava che ognuno dovesse guadagnarsi da solo ciò che aveva.

Si schiarì la voce per attirare l’attenzione di Finnegan, che sobbalzò e si girò di scatto, per poi rilassarsi appena la vide.

-Che c’è?- chiese un po’ seccato dall’interruzione.

-La sua segretaria mi ha dato dei documenti da consegnarle- Madison gli rispose formale, indicando i fogli che aveva in mano.

Finnegan sospirò.

-Ti richiamo. Mangia qualcosa- disse al fratello, prima di riattaccare.

Poi porse la mano verso Madison, che gli diede i documenti.

-Quanto hai sentito?- chiese in tono di rimprovero, prima che Madison potesse uscire.

La ragazza incrociò le braccia.

-Premetto che ho bussato due volte prima di entrare, ma lei non mi ha risposto. Ho solo sentito che vuole dare dei soldi a suo fratello. Ma non dirò nulla a suo padre, non è nei miei interessi- gli rassicurò, pratica.

Finnegan tirò un composto sospiro di sollievo.

-La ringrazio. È una faccenda privata. La prossima volta, comunque, dica alla signorina Norton di venire di persona- disse poi, con un gesto di congedo.

Madison fece un cenno con la testa e si preparò ad uscire.

-Oh, a proposito…- la interruppe nuovamente. Madison si girò verso di lui, davanti all’uscio.

-Copri il bracciale. Non voglio sbattere in faccia alla stampa che la mia guardia del corpo è una supereroina. L’ultima cosa di cui ho bisogno è un’accusa di favoreggiamento in questo periodo- le chiese, indicando il polso destro.

Madison si rigirò il bracciale.

-La regola numero 23 del codice regolamentario imposto ai supereroi stabilisce che, cito testuali parole, “Ogni supereroe deve indossare il bracciale in modo che sia visibile a chiunque per rendere evidente di essere un individuo dotato di superpoteri…”- cominciò a recitare la regola, ma Finnegan concluse per lei -“…e non creare incomprensioni”- 

Il suo nuovo capo scosse la testa.

-“A meno che non venga espressamente ordinato di non farlo”- aggiunse poi -E io, in qualità di tuo capo, ti ordino di nascondere il bracciale- 

Madison pensò un attimo. In effetti si era scordata di quella postilla.

Si arrese e annuì, abbassando la manica della camicia e della giacca.

Finnegan sorrise soddisfatto.

Era quasi uscita dalla porta quando Madison decise di fargli un’ultima domanda, che le premeva da quando era stata assunta, ma non aveva mai avuto occasione di chiedere.

-Se ha tanta paura di quello che potrebbe dire la stampa, perché mi ha accettato lo stesso?- obiettò, ricordando il modo in cui Finnegan l’aveva difesa con suo padre, il giorno prima.

Il politico rispose in fretta, senza guardarla negli occhi ma fissando i documenti appena arrivati alla sua scrivania.

-Sei competente, tutto qui- rispose, facendo cadere l’argomento.

Madison sentiva che non poteva essere tutto lì, ma decise di non insistere. 

-Buon lavoro, signor De Marco- lo salutò, uscendo dalla porta.

-Anche a lei, signorina Jefferson- rispose lui, distrattamente.

 

Dall’altra parte della città, dopo aver preso il pasto più economico da un takeaway di cibo messicano, un ragazzo di 25 anni stava ritornando a casa, a due isolati di distanza. Non era ancora buio, ma le strade erano semivuote, e il quartiere non era nei migliori. Normale amministrazione per Kyle De Marco. 

A differenza dei suoi fratelli aveva i capelli castani, ereditati dalla madre, tenuti abbastanza corti e molto disordinati, ma gli occhi erano gli inconfondibili occhi castano chiaro dei De Marco. 

Aveva appena scritto un messaggio a suo fratello per rassicurarlo che stava per mangiare, e mentre aspettava la risposta controllava le ultime notizie. Non riusciva ancora a credere che tante persone avessero ottenuto dei superpoteri, e soprattutto non riusciva a credere che tutti quelli che li avevano ottenuti fossero sulla via del male. Era certo che da qualche parte qualcuno avrebbe iniziato a combattere contro la Lega del Male e tutti i supercattivi minori che stavano uscendo fuori. Il mondo, dopotutto, doveva mantenersi in equilibrio.

Proprio mentre formulava questi pensieri, passando attraverso una scorciatoia poco frequentata, come se si fosse chiamato la sfortuna dall’universo, tre brutti ceffi gli tagliarono la strada.

Se ne accorse solo quando andò a sbattere contro uno di loro, e per poco non cadde a terra.

Alzò la testa pronto a scusarsi, ma impallidì notando gli sguardi truci dei brutti ceffi.

-S_scusate, ero distratto.D_dovrei tornare a casa- cercò di dileguarsi e superarli, ma quello contro cui era andato a sbattere lo prese per le spalle e lo sbatté contro il muro, tirando poi fuori un coltello.

-Per rimediare puoi darci tutto quello che hai, a cominciare dal tuo telefono- quello che probabilmente era il capo gli strappò il telefono dalle mani.

-E credo che ti ruberemo anche la cena- disse un altro, strappandogli il pacchetto dalle mani e controllando cosa ci fosse dentro.

-Non ho nulla. Vi prego, ho bisogno del telefono- cercò di supplicarlo, ma non sembravano intenzionati a cedere alla pietà.

Dopo essere stato cacciato di casa non era riuscito a terminare gli studi, quindi non aveva trovato lavoro da nessuna parte, ma Kyle era bravissimo con i congegni elettronici, e lavorava come programmatore freelance. Il telefono era una delle sue fonti principali di lavoro, insieme al computer. E l’ultima cosa che voleva era chiedere un prestito a suo fratello, che in ogni caso non avrebbe saputo come contattare se gli rubavano il telefono.

Il brutto ceffo che gli aveva rubato la cena, come un bulletto delle scuole medie, iniziò a sgranocchiare il taco che aveva comprato.

Il capo glielo strappò dalle mani e iniziò a mangiarlo mentre controllava il telefono.

Kyle rimase impotente nel vicolo, con il coltello puntato contro.

Sperava solo che quei tre non avessero qualche conto in sospeso con i De Marco, perché altrimenti era già morto.

Purtroppo quello non era il suo giorno fortunato, perché una volta letto qualcosa sul telefono, il capo guardò Kyle con sguardo assassino.

-De Marco…- sussurrò a denti stretti.

-Sono disoccupato per colpa di tuo padre. Mia moglie mi ha lasciato e ha portato con sé i bambini. Ho perso tutto a causa della tua famiglia- strinse i pugni e lo guardò con odio.

-Tecnicamente io non sono più parte della famiglia, e non credo che la separazione sia necessariamente colpa della disoccupazione- borbottò tra sé Kyle. Quello davanti a lui non sembrava il modello di marito e padre ideale. 

-Cosa hai detto?!- lo incalzò lui, puntandogli il coltello dritto sul collo, e facendolo sobbalzare.

-Nulla, nulla! Mi dispiace tanto. Ma io non centro niente con mio padre, mi ha diseredato- cercò di salvarsi in extremis, ma sembrava davvero in una situazione disperata.

-Perché sei un disgustoso frocetto- lo prese in giro il terzo membro, disgustato. Era la prima volta che parlava.

Kyle iniziò a rassegnarsi all’inevitabile.

Nella migliore delle ipotesi lo avrebbero picchiato fino a farlo ospedalizzare, ma era anche piuttosto probabile che nessuno l’avrebbe trovato e sarebbe morto per le ferite, o per il freddo, o mangiato dai cani.

In effetti quel vicolo era circondato dai cani. Kyle ne notò parecchi che iniziavano ad avvicinarsi, lentamente, ma in modo abbastanza innaturale da saltare all’occhio.

-Capo…- anche il tipo che gli aveva fregato la cena sembrò accorgersene, e si rivolse al tipo grande e grosso, che si guardò intorno, e iniziò ad agitarsi.

-Ma da quando in questo vicolo ci sono così tanti cani?- chiese, confuso.

Kyle ne aveva visto qualcuno, ogni tanto. Randagi aggressivi che gli ringhiavano contro quando passava ma che accettavano qualche pezzo di carne come pedaggio per farlo passare, alcuni anche con la rabbia. 

Ma non aveva mai visto una decina di cani tutti insieme, soprattutto così aggressivi e compatti, come se fossero attirati da qualcosa… o controllati da qualcuno.

-Ve lo dirò una sola volta: lasciate subito andare il ragazzo, o ve ne pentirete amaramente!- una voce attirò l’attenzione dei quattro, che si girarono nella direzione dalla quale proveniva.

A Kyle sembrò mancare il respiro, e rimase a bocca aperta.

In fondo al vicolo, minaccioso per quanto glielo permettessero le orecchie da cane e la calzamaglia, c’era un ragazzo mascherato con gli occhi brillanti e circondato dai cani, che abbaiarono tutti nello stesso momento.

-Un supereroe?- chiese il terzo, iniziando ad indietreggiare, spaventato. Finì contro uno dei cani, che gli ringhiò contro, portandolo di riflesso verso il capo.

-E tu chi saresti, l’uomo che sussurrava ai cani?- chiese il boss, ridendo tra sé per niente impressionato, e continuando a premere forte il coltello contro la gola di Kyle, che sentì un dolore e del sangue iniziare a scendere.

Chiuse gli occhi aspettandosi il peggio, ma il peggio non arrivò.

Anzi, sentì qualche urlo e il secondo urlò distintamente un -Toglietemi questo chihuahua dal sedere-

Quando Kyle aprì gli occhi i tre membri stavano scappando inseguiti dai cani, e il supereroe gli si stava avvicinando, porgendogli il telefono che aveva raccolto.

-Stai bene, ragazzo?- chiese, in tono dolce, lasciando del tutto perdere la scena minacciosa di pochi secondi prima.

Kyle era rimasto senza parole, e sentì parecchie farfalle nello stomaco alla vista di quell’immagine stupenda.

Si limitò ad annuire.

-Mi dispiace non essere arrivato prima. Ordinerò a questi due cagnetti di riaccompagnarti a casa- gli assicurò, accarezzando due cani poco distante, uno minaccioso ed enorme, l’altro piccolo e carino.

-G_grazie… signor… ehm… supereroe…- Kyle non sapeva davvero cosa dire. Non si sarebbe mai aspettato, nel corso della sua vita, di venir salvato da un supereroe. Ed era anche un supereroe di bell’aspetto, a dirla tutta.

Dalla pelle color mogano e i ricci scuri, al fisico importante. I suoi occhi buoni erano però ciò che colpiva di più. Ambrati e pieni di calore. E anche vagamente familiari.

Kyle non si rese neanche conto di arrossire, ma era un peperone.

-Puoi chiamarmi Segugio. Puoi stare più tranquillo da ora in poi- lo rassicurò il supereroe, con una pacca sulla spalla.

Kyle quasi cadde, ma gli sorrise riconoscente, e con qualche lacrima di commozione.

-Grazie Segugio, grazie davvero- era monotematico, ma non sapeva come esprimere appieno la sua gratitudine.

Segugio gli fece un occhiolino, poi scomparve nel vicolo, seguito dai cani.

Kyle rimase qualche secondo a fissare il punto da dove era sparito, poi sembrò riprendersi, e si affrettò a correre in casa, per evitare che i brutti ceffi tornassero. 

Lo sapeva! Lo sapeva che i supereroi stavano tornando! Quelli buoni e pieni di intenzioni nobili.

Era felicissimo di essere stato uno dei primi a sperimentarlo.

Doveva assolutamente scriverlo sul suo blog.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Non volevo rendere la scena finale così lunga, ma non ho resistito. Kyle è uno personaggio che adoro un sacco, e si nota.

Sarà un personaggio secondario ricorrente in diverse parti di storia, spero vi piaccia.

Oltre a lui è comparso anche Segugio, e abbiamo un nome del personaggio dello scorso capitolo: Berenice Holler. Chissà cosa sa. È coinvolta con la figura misteriosa o è tutto un equivoco? Continuate a leggere per scoprirlo.

E per scoprire se il trio formato da Robin, Eryn e Blaire funzionerà o se i due fratelli, insieme, combineranno un macello.

Mi dispiace che il capitolo sia così di passaggio, ma il prossimo sarà davvero molto pieno, e ritornerà la lega del male. 

Spero di farlo uscire presto.

E spero che la storia continuerà a piacervi.

Probabilmente il primo arco narrativo durerà 19 o 20 capitoli.

Grazie a tutti quelli che seguono la storia.

Un bacione e alla prossima :-*

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Capitolo 7
*** L'Outlaw Team ***


L’Outlaw Team

 

Quella mattina, Eryn si svegliò in ritardo. Aveva lezione di mattina, ma la sua sveglia non funzionò.

Questo perché la sua sveglia era composta da Robin e sua madre.

E quella mattina, per la prima volta da anni, non litigarono, perciò quando Eryn si svegliò, aveva a malapena cinque minuti per lavarsi, vestirsi e fare colazione.

Inutile dire che li sprecò per capire cosa stesse succedendo, parecchio preoccupata dal non aver sentito urla e accuse provenire dalla cucina.

Si alzò in tutta fretta e corse lì, convinta che avrebbe trovato un cadavere. Invece sua madre preparava la colazione e Robin mangiava tranquillo e sereno guardando la TV.

-Mamma, posso prendere altro bacon?- chiese il ragazzo, in tono gentile.

-Certo tesoro, te lo preparo subito- rispose lei, sollevata e quasi commossa che finalmente suo figlio fosse un ragazzo normale.

Eryn era completamente scioccata, e fissava il fratello come se fosse un alieno.

Si avvicinò di soppiatto e gli sussurrò all’orecchio.

-Blaire, sei tu?- chiese, convinta della sua teoria. Era impossibile che Robin si rivolgesse in modo così cordiale alla loro madre, soprattutto di prima mattina, e così all’improvviso.

L’occhiataccia di Robin però era troppo nel personaggio per essere causata da Blaire.

-Ma certo che no! Che problemi hai, Eryn?!- esclamò Robin, infiammandosi, anche letteralmente, perché le sue guance si tinsero leggermente di rosso. Eryn non ne capì il motivo, ma era sempre più confusa.

Prima di poter indagare, sua madre si accorse della sua presenza.

-Buongiorno cara, ti sei svegliata tardi, oggi. Non hai lezioni spero- la accolse con un sorriso, avvicinandosi a Robin con il bacon.

Eryn si ricordò che era in ritardo mostruoso.

-In realtà ho lezione, ma la sveglia non mi ha suonato. Vado a preparami!- si affrettò a spiegare e correre via.

-La colazione?- la spronò sua madre, preoccupata.

Eryn però era già in bagno, e non la sentì.

Diede il bacon al figlio, e lanciò un’occhiata al nuovo anello che portava al dito.

Robin non era mai stato un tipo da gioielli. Sosteneva che il bracciale imposto dalla DIS bastasse, e li vedeva come manette.

-Che bell’anello. È nuovo?- chiese, sperando fosse un segno che la fase ribelle stesse passando.

Robin si irrigidì leggermente, ma cercò di apparire tranquillo, e iniziò a rigirarsi il gioiello intorno al dito.

-Sì, ieri sono passato nel negozio di Eryn e mi piaceva. Così l’ho comprato- spiegò, alzando le spalle.

Era rischioso parlare del negozio, ma non poteva fare altrimenti. Se qualcuno avesse deciso di controllare i suoi spostamenti del giorno prima l’avrebbero scoperto subito, e mentire sarebbe stato ancora più sospetto.

-Oh, interessante- dopo qualche secondo di silenzio, sua madre non indagò oltre, anche se Robin la conosceva abbastanza bene da sapere che la sua mente velocissima era piena di dubbi e confusione.

-Eryn mi aveva chiesto di farle una visita e poi ero davvero curioso di sapere come stesse il suo capo, e chiedergli se aveva visto il supereroe che l’ha salvato. La DIS dovrebbe davvero cominciare a…- per essere credibile e realistico, Robin iniziò ad infiammarsi come al solito sui diritti dei supereroi. Deborah sospirò, e cominciò a lavare i piatti, scuotendo la testa.

Robin tirò un mentale sospiro di sollievo. Non poteva rischiare che sua madre scoprisse tutto, ne sarebbe stata devastata.

E sperava davvero che non indagasse ulteriormente sull’anello, perché sarebbe stato davvero rischioso.

Dentro, infatti, nascosto alla perfezione e sistemato in modo che non fosse possibile perderlo o romperlo, c’era il rilevatore che Patrick gli aveva tolto il giorno prima.

Non era stata un’operazione complicata o dolorosa, ma anzi particolarmente liberatoria. Per la prima volta in vita sua, appena il congegno era stato tolto dal suo braccio, Robin si era sentito libero e normale.

Poi Patrick aveva preparato il gioiello e gli aveva imposto di indossarlo in ogni momento, ad eccezione di quando sarebbe scappato di casa per adempiere ai suoi doveri da supereroe. Robin non vedeva l’ora di cominciare, a partire da quel pomeriggio.

Sarebbe stato come suo padre: avrebbe lottato per il suo ideale, avrebbe portato la pace e sarebbe stato il supereroe migliore del mondo. Niente avrebbe potuto fermarlo!

 

-Ti ho fermato! Sei prevedibile, Bobi- ridacchiò Eryn dopo aver spedito il fratello dritto contro un muro imbottito tramite un campo di forza che gli aveva bloccato il cammino.

Il fratello sbuffò seccato, ma si rimise in fretta in piedi, senza darsi per vinto.

Quel pomeriggio, subito dopo pranzo e appena Robin aveva finito con la scuola, i quattro membri del team senza nome si erano ritrovati nel bunker di Pat, e i tre ragazzi dotati di poteri avevano iniziato ad esercitarsi al meglio ad utilizzarli, provando anche le tute per la prima volta.

Eryn indossava una calzamaglia di gomma isolante, per evitare che Robin rischiasse di farle del male con eventuali vasti attacchi di elettricità. La tuta era ancora nella fase iniziale, e per il momento era di un giallo pallido, con guanti e stivali rossi, dello stesso materiale. Patrick, sotto consiglio di Blaire, aveva scelto quei colori per dare l’idea di due poteri diversi, il giallo a protezione e il rosso per la forza. La maschera era verde, e rappresentava la sua telecinesi. 

Eryn si sentiva un po’ scoperta, dato che la tuta era parecchio aderente, ma per il momento andava bene, e poi non era tipa che si vergognava.

A vergognarsi, invece, era Blaire, almeno da quello che Eryn aveva capito conoscendola. Ma la ragazza insicura che si nascondeva dietro grossi giacconi e con il viso coperto dai capelli era risultata piena di sorprese.

Il suo potere le permetteva di cambiare aspetto a piacere, e ciò comprendeva anche i vestiti, quindi aveva bisogno di un materiale che le permettesse con grande facilità questo mutamento.

Pat aveva proposto una tuta come quella di Eryn, magari che cambiasse colore così da restare nascosta quando Blaire doveva simulare vestiti più corti o più grandi. Blaire però aveva obiettato che una tuta troppo coprente sarebbe potuta rivelarsi scomoda e controproducente. Pertanto, nel mentre che Pat cercava un modo di creare un tessuto che aderisse perfettamente al suo potere e glielo facilitasse, indossava il costume da bagno arcobaleno che finiva come un pantaloncino, dei guanti corti, stivaletti di gomma e la maschera.

E non sembrava affatto a disagio a mostrare gran parte del suo corpo.

Anche se Eryn sospettava che una parte di quella sicurezza veniva dal suo potere. Non aveva però avuto ancora occasioni di indagare al riguardo, e le sembrava anche una faccenda troppo personale per parlarne alla nuova amica.

La tuta di Robin era simile a quella di Eryn, ma il materiale usato era la lycra, in modo che potesse liberare l’elettricità da ogni parte del corpo. Inoltre si sposava alla perfezione con la sua enorme velocità. A differenza delle due ragazze, però, indossava scarpe da ginnastica con suola di cuoio, e non stivali, in modo che fosse più comodo per lui correre. I guanti erano più corti e le dita, sebbene coperte in modo che fosse impossibile lasciare le impronte digitali, erano circondate da una membrana più sottile rispetto al resto della mano, per permettergli di rilasciare con più facilità delle scariche elettriche.

I colori che aveva scelto erano il giallo e l’arancione.

Per il momento le tute andavano alla grande, ma i tre ragazzi sentivano che mancava qualcosa.

-Non sono prevedibile, è colpa dello spazio ristretto!- si lamentò Robin rimettendosi in piedi dopo la batosta subita dalla sorella.

Blaire si stava esercitando ad imitare i due compagni di squadra, e la sua imitazione di Robin, in quel momento, era talmente perfetta che Eryn non riuscì a trattenersi dal ridacchiare tra sé, facendo arrabbiare ulteriormente il fratello, che la prese alla sprovvista correndole alle spalle e dandole una scossa alla schiena.

I riflessi istintivi di Eryn si attivarono creando un campo di forza attorno a sé, ma il fratello riuscì ad evitarlo, stavolta, e si allontanò in fretta, cercando altre occasioni per colpire.

L’arrivo di Pat li interruppe.

-State ancora lavorando? Siete instancabili, ragazzi- commentò, con un grande sorriso incoraggiante.

-Qualche criminale in vista?- chiese Robin, eccitato, arrivandogli in un secondo a pochi centimetri di distanza e facendolo sobbalzare leggermente.

-No, niente del genere. Ho chiuso il negozio e speravo che potessimo parlare di alcune formalità che arrivano inevitabilmente con la creazione di un team di supereroi- Patrick si avvicinò anche alle ragazze, che si sedettero e lo ascoltarono, interessate.

Eryn prese un sorso dalla bottiglietta d’acqua e Blaire la imitò, continuando con il suo allenamento, ma tornando sé stessa subito dopo, per non distrarre Pat e Robin.

-Fammi indovinare. Nomi da supereroi, nome del team e tratto distintivo!- suppose Robin, con una luce eccitata negli occhi.

-Esattamente. E poi volevo aggiungere dei nuovi comandi alle vostre maschere. Mi sono arrivati oggi i materiali che ho richiesto al mercato nero- Pat sollevò una mano i direzione dei tre ragazzi, che porsero le rispettive maschere. 

-Che genere di comandi?- chiese Eryn, curiosa dagli upgrade che un genio come Pat avrebbe potuto inventare.

-Effetto camaleontico, comando vocale e qualcosa che confonda le voci- rispose Pat, tra sé.

-Che intendi con “effetto camaleontico”?- chiese Eryn, confusa.

-Mi ci ha fatto pensare Blaire. Hai corso un rischio enorme togliendo la maschera fuori dal negozio di antiquariato, l’altra volta. Avrebbero potuto riconoscerti dai vestiti, o farti una marea di domande. Perciò con una parola d’ordine che ognuno di voi sceglierà per sé stesso, la maschera si confonderà con il vostro viso, dando l’idea che siate senza maschera quando mantiene la sua capacità di cammuffarvi alla perfezione. Ovviamente funzionerà a comando vocale. Così come potrà essere tolta con un comando vocale, sempre a vostra scelta. Sarà ideale nell’eventualità che veniate catturati- spiegò l’inventore, iniziando ad armeggiare con la maschera di Eryn.

-Come può un genio come te aver assunto una persona come mia sorella a lavorare per lui?- chiese Robin, guadagnandosi una gomitata offesa da parte della sorella e una risatina da parte di Blaire, che gli fece fare una capriola nel petto.

-Eryn ha molte qualità- rispose solo Pat, con un sorrisino e lanciando un’occhiata alla sottoposta e amica.

-Certo che pensi proprio a tutto- commentò Blaire, ammirata.

-Ma tornando alle formalità, dovete scegliere i nomi da supereroi, il nome del Team e il tratto distintivo. Vi lascio carta bianca- Pat incoraggiò il gruppo a concentrarsi e tornò al suo lavoro, concentrato.

I due fratelli interruppero il litigio per riflettere sulle parole di Pat.

-Bolt Boy- Robin fu il primo a parlare, senza esitazioni.

-Come?- chiese Eryn, senza capire.

-Il mio nome da supereroe. Il ragazzo fulmine. Mostra sia il mio potere elettrico che quello di velocità. Inoltre BB suona molto bene- si spiegò lui, con un certo orgoglio.

Eryn lo guardò sorpresa.

-Stranamente… è vero. È davvero un ottimo nome- ammise.

-Concordo. Potresti mettere le iniziali sul petto! Un fulmine che ti attraversa lo sterno con BB all’inizio e alla fine!- propose Blaire, eccitata, tracciando l’immagine sul petto di Robin, che si irrigidì e arrossì parecchio, iniziando a borbottare frasi sconnesse e finendo per annuire e basta.

Blaire sembrò rendersi conto del disagio del ragazzo, perché fece un balzo indietro, arrossendo leggermente a sua volta.

-Oh, scusa, mi sono lasciata prendere. Ho pensato tutta la notte a possibili design per le nostre tutte. Purtroppo Eryn è sfuggente, ma i tuoi poteri sono pieni di potenzialità grafiche!- cercò di giustificarsi, rigirandosi una ciocca di capelli ricci tra le dita.

-Oh… beh… grazie… ecco… sei davvero incredibile- si complimentò Robin, senza riuscire a guardarla negli occhi.

Blaire sorrise riconoscente.

Eryn interruppe la coppia, un po’ irritata per essere tagliata fuori e allo stesso tempo desiderosa di tagliare l’imbarazzo nell’aria.

-Concentrati, ragazzi. Blaire, avresti delle idee per il tuo nome?- chiese poi alla ragazza, che si riscosse e le si avvicinò, piena di energia.

-Non è bello come Bolt Boy, ma pensavo di chiamarmi Ladysguise, un misto tra Lady e Disguise, in riferimento ai miei poteri di travestimento. Non mi è venuto in mente altro- ammise, un po’ incerta.

-È stupendo!- esclamò subito Robin, quasi senza lasciarla finire di parlare, e facendola illuminare.

-Trovo anche io sia un bel nome. E mi sento stupida per non avere in mente assolutamente nulla- Eryn si autocommiserò. Sospettava che Blaire avesse qualcosa di geniale in mente, ma sperava che almeno Robin sarebbe stato impreparato quanto lei. 

Certo, ci aveva pensato, e anche parecchio, ma aveva tre poteri, e non aveva la più pallida idea di come condensarli in un unico nome.

-Tu sei stupida- la prese in giro Robin, guadagnandosi un foglio di carta dritto in faccia da parte dei poteri telecinetici della sorella.

Blaire le tirò qualche pacca sulla spalla.

-Hai ancora un po’ di tempo per pensarci. Se vuoi provo a pensare a qualcosa anche io- si propose, incoraggiante.

-Ci penserò. Per il momento dovremmo pensare al nome e simbolo del Team- cercò di cambiare argomento la ragazza, pensierosa.

-Per il simbolo avevo un’idea- esordì Blaire. 

I due ragazzi la incoraggiarono a continuare.

-Pensavo che potremmo indossare due fasce verdi sulle braccia- indicò la parte superiore del braccio, come se dovesse mostrare i bicipiti.

-Fasce verdi?- indagò Robin.

-Perché questa scelta?- gli diede man forte Eryn. Non se n’erano resi conto, ma avevano la stessa espressione confusa e riflessiva.

-Le fasce sono un simbolo che si nota facilmente. Spicca e da a vedere a tutti la nostra appartenenza al team. E poi quando diventeremo più conosciuti, e più gente inizierà ad essere dalla nostra parte, sarà un simbolo semplice che potranno indossare tutti, e non qualcosa di elaborato per pochi adepti. Il verde è il colore dei vostri occhi. I membri più importanti del Team, l’eredità di un passato da grandi e potenti supereroi. Inoltre è il colore della speranza, della vita, di un nuovo inizio- si spiegò, sempre più eccitata man mano che spiegava la sua proposta.

Quando finì, però, il suo sorriso si spense, perché i due colleghi erano rimasti congelati nella stessa espressione indecifrabile.

-Ecco… è solo una proposta. Posso pensare a qualcos’altro- provò a tirarsi indietro, insicura.

-Assolutamente no!- esclamò Robin, alzandosi in piedi.

Blaire si fece piccola piccola, letteralmente.

-Scusa, era solo una proposta- cercò di tirarsi fuori dai guai.

-No! Intendo dire… è un’idea geniale! La adoro, non voglio che tu ne faccia un’altra- si riprese il ragazzo, con un grande sorriso incoraggiante.

Blaire tirò un sospiro di sollievo.

-Sono perfettamente d’accordo con il mio fratellino. La tua idea è fantastica. Sei davvero straordinaria nel design- si complimentò Eryn, dandole una pacca sulla spalla.

Blaire si coprì il viso con le mani, imbarazzata.

-Beh, il mio sogno era quello di essere una costumista. E ho sempre adorato i supereroi. Vostro padre era il mio preferito- ammise, senza sapere di aver appena gettato una bomba nella stanza.

-Davvero?! Eri una sua fan?! Cosa ti piace di più di lui? Era fantastico il modo in cui si trasformava, vero? Avete poteri simili, infatti! Cosa…- Robin, con occhi che brillavano, iniziò a fare domande su domande alla povera ragazza, dimenticando del tutto l’imbarazzo che provava a parlare con lei.

Blaire accettò con piacere l’argomento, e iniziarono a parlare fitto fitto del supereroe, lasciando del tutto fuori Eryn, che decise di lasciarli fare e si avvicinò a Patrick, che sorrideva tra sé, dando a vedere che aveva ascoltato tutto, nonostante stesse lavorando.

-Non mi aspettavo che quei due sarebbero andati tanto d’accordo- ammise, appoggiandosi al muro accanto alla scrivania dove il suo capo lavorava.

Lui lanciò un’occhiata ai due ragazzi prima di tornare a lavorare sulla maschera di Robin. 

-Dovevi vederli ieri. Credo che tirino fuori il meglio l’uno dall’altro. Anche se…- si interruppe pensieroso.

-Cosa?- indagò Eryn, posando lo sguardo su di lui.

-Forse tre eroi non sono abbastanza. Blaire non può tenersi nel cuore dell’azione e Robin è una testa calda. E sono un po’ preoccupato per i tuoi poteri. Non riesci ancora ad utilizzarli insieme?- chiese, sollevando la testa dalla maschera e guardando fisso la ragazza, che scosse leggermente la testa, abbassando lo sguardo.

-Inizio a padroneggiare meglio le tre abilità, ma appena provo a usare la superforza mentre un oggetto è per aria quello cade- ammise.

-Spero che le previsioni ottimiste di Blaire si rivelino realtà e che qualche altro eroe si unisca a noi. Iniziano ad apparire articoli di supereroi indipendenti, ma per il momento l’unico che mi sembra attendibile è quello che ho letto su…- la riflessione di Pat venne interrotta da un allarme che fece sobbalzare tutti quanti.

Pat lo aveva installato per captare anche la più piccola scossa sismica, dato che la Lega del Male sembrava sempre essere annunciata da un terremoto.

Ci fu qualche secondo di puro sbigottimento, poi i quattro iniziarono a muoversi.

Pat lanciò ad ognuno le proprie maschere. Robin fu il più rapido a prepararsi, seguito da Eryn e poi da Blaire.

-La scossa viene dalle parti del museo delle armi e dei supereroi. Non promette bene- commentò Pat, controllando in tempo reale dal suo computer.

-È dall’altra parte della città, pensi che la Lega del Male voglia evitarci?- commentò Blaire, pensierosa.

-Ci metterò qualche minuto se vado a tutta potenza- esclamò Robin, già pronto a correre verso il museo e controllando dove fosse.

-Ehi, aspetta, non puoi andare da so…- provò a fermarlo Eryn, ma Robin la interruppe con un rapido:

-Ci vediamo lì- e corse in tutta fretta fuori dal laboratorio, prima che Eryn potesse fermarlo con un campo di forza.

-Lo sapevo che sarebbe partito in quarta! Come lo raggiungo il più in fretta possibile?- chiese Eryn, mettendo un auricolare per tenersi in contatto con Pat. Robin ovviamente lo aveva dimenticato.

-Credo che abbiamo una moto usata in garage. Dovremo davvero pensare a come muoverci. Ci rifletterò- commentò Pat, cercando di non dare a vedere la tensione che iniziava a provare.

Eryn si precipitò fuori, seguita incerta da Blaire, che mise l’auricolare a sua volta.

-Se prendete il percorso più veloce dovreste metterci massimo venti minuti- spiegò Pat dall’auricolare, mentre Eryn cercava una moto in garage.

Trovò quella che faceva al caso suo quasi subito, e ringraziò di avere avuto una fase ribelle che necessitava di patente di moto, a sedici anni.

-In venti minuti mio fratello è morto già dieci volte!- esclamò preoccupata, montando in sella e facendo cenno a Blaire di mettersi dietro.

La ragazza eseguì, senza commentare, ma capendo la sua urgenza e aggrappandosi con forza in modo da non cadere giù.

-Dobbiamo comunque seguire le regole stradali. Non possiamo cominciare già a…- provò ad obiettare Pat, ma Eryn non voleva sentire ragioni.

Aveva un buon senso dell’orientamento, ed era andata al museo delle armi e dei supereroi parecchie volte, soprattutto da piccola ma anche recentemente, dato che era molto più piacevole osservare la statua ormai vandalizzata di suo padre ai tempi d’oro piuttosto che andare a trovare il padre in persona.

Partì ignorando del tutto le indicazioni di Pat, superò parecchio i limiti di velocità e passò nonostante i semafori rossi.

Pat si appuntò di modificare i registri in modo che sembrasse che la moto era stata acquistata qualche giorno prima, così da evitare multe e riconoscimento, ma per il resto non fece troppi commenti, e Eryn arrivò al museo dodici minuti dopo, smontando come una professionista.

Blaire non fu così fortunata, e rimase a terra qualche minuto, commentando un timido -Ti raggiungo dopo- sussurrato come se stesse per morire d’infarto, o vomitare, o entrambe le cose.

Eryn le fece un cenno e corse davanti l’edificio, affannata.

Era già circondato di giornalisti e persone che erano scappate per un pelo. Appena le guardie di sicurezza la videro, le corsero contro cercando di fermarla, ma Eryn sollevò intorno a sé un campo di forza e cercò un altro luogo dove intrufolarsi.

Riuscì a vedere Robin da una finestra del terzo piano, e Shadow che tentava di tenerlo fermo senza successo e senza molta voglia di farlo.

Non vide il capo, ma doveva essere lì vicino. Sezione delle armi per grandi assalti. Ovvio!

-Eryn, mi senti?- le arrivò all’orecchio la voce di Blaire, che sembrava essersi appena ripresa dalla folle corsa in moto.

-Sto cercando un’entrata, ma le finestre sono bloccate e le entrate secondarie controllate. Le guardie cercano di fermarmi- fece il punto della situazione Eryn, informando Pat e Blaire e allo stesso tempo evitando due guardie di sicurezza grazie a riflessi allenati e campi di forza.

-Ci sono degli ostaggi all’interno, la DIS non può intervenire e sembra che siano arrivati dal tetto. Sono certa che usciranno da lì. Mi sono amalgamata alla folla e ho ottenuto informazioni- informò Blaire, sottovoce.

-Eryn, vai all’entrata est dell’edificio. C’è la fuoriuscita dell’impianto dell’aria, e non è controllato perché impossibile da abbattere, in teoria- le rivelò invece Pat.

Eryn si sentiva molto più organizzata e ottimista rispetto all’altra volta, anche se il museo era un luogo molto più serio da rapinare, e da soccorrere.

-La superforza torna utile con questo tipo di cose- commentò, correndo all’entrata est e tirando via la grata con facilità.

Una guardia la notò, ma Eryn entrò prima che potesse essere fermata.

-Ok, sono dentro- aggiornò i due interlocutori.

-Io mi travesto da guardia così ti potrò dare una mano almeno da fuori- disse Blaire.

-Mi dirigo al terzo piano- annunciò poi la supereroina ancora senza nome, correndo per le scale. Ricordava tutto di quel museo, ogni singola scorciatoia, mostra e percorso.

Quando arrivò nella stanza, Robin era a terra, e si teneva le orecchie, stremato.

Shadow lo teneva fermo e allo stesso tempo sembrava quasi proteggerlo da Shockwave, che aveva la pistola puntata contro di lui e guardava il capo, Disaster King, in attesa di ordini.

-È solo un ragazzino!- si stava lamentando Shadow, fissando il capo con astio.

-Non sono un ragazzino!- si lamentò Robin, cercando di rialzarsi o fulminare Shadow ma venendo ributtato a terra.

-Certo che per essere un ragazzino è davvero forte. In effetti sono indeciso se reclutarlo o ucciderlo- commentò il capo, squadrandolo con un sorrisetto.

-Disaster King!- si lamentò Shadow, poco convinto da entrambe le possibilità.

Non sembrava essere cambiato molto dall’ultima volta, nella Lega del Male.

Poco in sintonia, stesso piano di attacco.

Anche se questa volta gli ostaggi erano stati rinchiusi in una prigione di quelle in esposizione, e…

-Oggi c’è una scolaresca in visita. La scuola più prestigiosa della città. C’è anche la giovane De Marco. Non possiamo fare un casino, Eryn!- la informò Blaire, con una nota di panico.

In effetti Eryn riconobbe gli occhi castani tratto distintivo della famiglia più potente della città in una ragazzina che osservava la scena con un sorriso smagliante, e sembrava quasi divertirsi.

-Sta alla grande- commentò solo, tornando a concentrarsi sul fratello.

Con un gesto della mano, disarmò Shockwave, e attirò l’attenzione dei tre supercattivi.

-Tre contro uno, non vi vergognate?- chiese, sollevando un campo di forza attorno a Robin che lo liberò dalla presa di Shadow.

-Alla buonora!- l’accolse Robin, rimettendosi in piedi e cercando di recuperare le forze.

Faceva lo sbruffone, ma dal suo sguardo Eryn capì che era davvero grato per il suo arrivo.

-La prossima volta aspettami, invece di correre come un forsennato!- lo rimproverò lei, facendogli cenno di raggiungerla.

Lui eseguì, sollevando un polverone che per un attimo prese alla sprovvista i supercattivi.

-Metti questo. Lo hai dimenticato- sussurrò Eryn al fratello, porgendogli l’auricolare, che lui indossò in tutta fretta.

-La prossima volta che fai di testa tua ti rimetto il localizzatore, capito?!- lo sgridò immediatamente Pat, facendo ridacchiare Eryn e mortificando Robin, che alzò gli occhi al cielo.

-Dovremmo liberare gli ostaggi. Pensaci tu mentre io li tengo occupati- suggerì Eryn, tenendo su un campo di forza che separava loro dai criminali.

-Se state pensando di scappare o liberare gli ostaggi vi avverto che abbiamo messo una bomba presa dal reparto qui sopra su Drusilla De Marco, e se vi avvicinate alla gabbia la faremo esplodere senza riserve- li informò Disaster King, con tranquillità.

Eryn vide Shadow stringere i denti, ma non commentò nulla. Il suo fastidio non fece che confermare alla ragazza che non era un bluff.

-Confermo, bomba sperimentale molto potente sequestrata a Nabeel Belabed dopo la rivolta. È stata creata da lui, perciò è distruttiva senza ombra di dubbio- li informò Drusilla, appoggiandosi alla gabbia e parlando come se fosse al bar a conversare con i compagni di scuola.

Eryn non capì se fosse semplicemente troppo viziata per rendersi conto del pericolo in cui si trovava, o completamente psicopatica, ma sentendo nominare Nabeel, le si strinse il cuore. Era il braccio destro di suo padre, e non aveva sue notizie da quando lo avevano rinchiuso nel laboratorio.

Vide Robin stringere i pugni, e poteva sentire gli ingranaggi del suo cervello lavorare in cerca di una soluzione.

Lei, a dire il vero, non aveva molte idee.

-Non potresti circondarla in un campo di forza e lasciar esplodere solo lei?- le sussurrò Robin all’orecchio.

Eryn gli diede una gomitata.

-Solo perché è una De Marco non puoi valutarla meno come ostaggio- gli fece notare.

-Sapete adesso che facciamo? Noi prendiamo tutte queste belle armi e tagliamo la corda, mentre voi aspettati buoni buoni e ci date della copertura per uscire. Quando saremo al sicuro potrete liberare tutti quanti. Sarà una vittoria per tutti, non pensate?- propose Disaster King, con un sorrisino beffardo.

-Eryn, puoi sollevare un campo di forza sull’arco alle spalle dei cattivi?- sentì la voce determinata di Blaire alle sue orecchie, e vide una guardia del museo con una pistola blocca-poteri in mano avvicinarsi a loro, cautamente.

Riconobbe gli occhi ambrati di Blaire, e annuì, per farle capire che aveva intuito il suo piano.

Sollevò il campo di forza davanti alla guardia, lasciando uno spiraglio per renderle più semplice sparare.

E un istante dopo, la guardia fece fuoco, attirando l’attenzione di tutta la sala.

Blaire fece in tempo a colpire al braccio il capo, facendolo cadere a terra e privandolo, si sperava, dei suoi poteri.

Puntò la pistola verso Shadow, ma lui si riprese in fretta, sparì velocemente.

Eryn si aspettava andasse verso il capo, ma approfittò del buco nel campo di forza per avvicinarsi a Blaire, e prima che Eryn potesse avvertirla, tornò visibile e cercò di prenderle la pistola tra le mani.

Sorpresa dalla vicinanza del nemico, Blaire tornò normale. Provò a sparare, o a difendersi, ma Shadow era parecchio forte rispetto al vero corpo della ragazza, e la disarmò senza problemi.

Puntò poi un coltello al collo di Blaire, e la pistola blocca-poteri verso Robin, che sembrava già pronto a correre da lei.

Probabilmente sarebbe corso comunque, ma Eryn lo fermò, attivando senza rendersene conto la sua superforza, e buttando giù ogni campo di forza.

Lo sguardo di Shadow, dietro la maschera nera, era il più determinato e furioso che Eryn avesse visto fino a quel momento. In un certo modo, la spaventò più del suo capo chiaramente fuori di testa.

Il capo in questione, aiutato da Shockwave, si era rimesso in piedi, e si teneva il braccio con sguardo molto sorpreso anche se non sofferente.

I proiettili blocca-poteri non andavano molto in profondità, quindi le ferite da loro causate erano superficiali e non facevano neanche uscire sangue, ma rilasciavano una sostanza che eliminava i poteri del soggetto per due o tre ore. Erano come un bracciale per supereroi, solo che a effetto ridotto e immediato.

-Andiamo via. Abbiamo preso abbastanza- disse ai due colleghi, iniziando a dirigersi verso la scala che portava sul tetto.

Shadow si avviò verso la porta con Blaire presa in ostaggio e la pistola puntata.

Arrivato a destinazione, lanciò Blaire verso Robin, e fece un cenno a Shockwave, che aprì la bocca.

Eryn vide Robin sgranare gli occhi e portare le mani alle orecchie, e d’istinto, sebbene ancora non conoscesse il potere del terzo membro della Lega del Male, fece lo stesso.

Solo che il suo istinto lavorò meglio di lei, perché inconsciamente creò anche un campo di forza, leggermente diverso da quelli che aveva creato fino ad allora, che isolò completamente il suono.

Purtroppo la protezione fu solo per lei, e vide tutte le persone nella stanza piegarsi con le mani alle orecchie, sofferenti e quasi sbalzati via da un’onda sonora.

Le arrivò a malapena il suono dall’auricolare che la collegava agli altri membri del team ancora senza nome, e si affrettò a toglierlo per non esserne affetta.

Una cosa era certa, non era Shockwave a causare i terremoti, ma evidentemente emetteva suoni tali da mettere KO gli avversari.

La distrazione diede tempo ai suoi colleghi di scappare via. Eryn non sapeva cosa avevano rubato, ma non aveva la minima intenzione di lasciarli andare così facilmente. Voleva catturarli, a ogni costo.

Tolse il campo di forza e controllò velocemente le condizioni di Robin, che era a terra e tremava ad occhi chiusi, stremato.

-Va a prenderli!- le sussurrò, con forza.

-Noi ti raggiungiamo- gli diede man forte Blaire, tenendosi la testa e cercando di mettersi seduta.

-Proteggete gli ostaggi e liberate De Marco- suggerì Eryn, prima di correre in direzione del tetto, sperando davvero di non perderli e cercando di elaborare un piano d’azione.

Poteva prendere l’elicottero e tenerlo giù con la sola forza fisica, ma sicuramente l’avrebbero attaccata e non riusciva ancora a creare campi di forza quando usava altri poteri. Poteva provare a creare un campo di forza attorno all’elicottero, ma non era certa di fermarlo, e poi sarebbe stato davvero troppo grande per lei.

Magari poteva semplicemente distruggere l’elicottero e appiedare così i supercattivi. Ma come distruggerlo abbastanza in fretta? Non era esperta di velivoli e meccanica.

Una cosa era certa, doveva tenerli fermi il più possibile, e doveva approfittare che Disaster King era senza poteri. Se avesse creato un uragano da qualche parte sarebbe stato un bel problema.

Quando raggiunse il tetto, però, Shadow aveva intuito quello che voleva fare, e le comparve da dietro, per fermarla e prendere tempo in modo che gli altri due entrassero sani e salvi nell’elicottero e iniziassero il decollo.

Eryn fu abbastanza rapida a difendersi prima che lui la immobilizzasse, e cercò di spingerlo di lato in modo da raggiungere l’elicottero.

Ogni volta, però, lui le compariva davanti, dimostrando che come ombra era molto più veloce, e capace di prendere scorciatoie davvero convenienti.

Certo che, se non fosse stato cattivo, sarebbe stato davvero un ottimo alleato.

-Lasciaci andare via!- esclamò Shadow, quasi supplicante, comparendole davanti per l’ennesima volta, e difendendosi molto più abilmente dagli attacchi di Eryn, che iniziava a stancarsi e a trovare molto difficile cambiare da un potere all’altro per difendersi.

Alla fine, Shadow ebbe la meglio, e la costrinse sul bordo del tetto, tenendola per la supertuta in modo che non cadesse.

Eryn valutò la situazione. Se si fosse liberata con la superforza sarebbe caduta. L’energia del campo di forza l’avrebbe fatta cadere a sua volta. Non aveva modo di utilizzare la telecinesi per liberarsi, e se anche l’avesse usata per fermare i due supercattivi, ormai pronti al decollo, era probabile che Shadow l’avrebbe buttata di sotto o l’avrebbe distratta. Non sembrava disposto ad uccidere, cosa che una caduta da quell’altezza avrebbe provocato senza ombra di dubbio. Gli occhi del ragazzo, azzurri come il mare, erano concentrati, e tentavano di apparire impassibili, ma Eryn notò che aveva paura, e non per sé stesso, questo era certo. Aveva paura per il suo capo, aveva paura di farle troppo male. Stava solo prendendo tempo, senza temere di essere lasciato indietro.

Davanti a quello spirito di sacrificio, quasi eroico, Eryn fu tentata di rinunciare e attendere.

Ma non poteva permetterlo. Con le armi che avevano preso avrebbero potuto mietere ancora più vittime.

Doveva trovare una soluzione, e in fretta.

Con la coda dell’occhio vide che gli ostaggi stavano uscendo, segno che probabilmente Robin aveva disattivato la bomba con la sua elettricità e che lui e Blaire stavano venendo da lei.

La DIS e le guardie del museo stavano entrando cautamente nell’edificio.

Sia lei che Shadow avevano poco tempo. E la situazione era in pieno stallo.

Se solo Eryn avesse potuto utilizzare due poteri insieme. Ma per quanto ci provasse, sembrava del tutto impossibile.

“Non puoi avere più di un potere per volta, Eryn!” alla mente le arrivò una voce che suonava stranamente simile a Madison, e dallo stesso tono saccente.

E alla ragazza vennero una serie di illuminazioni, una dietro l’altra, che la lasciarono quasi senza fiato.

Non poteva utilizzare più di un potere per volta

I poteri che aveva derivavano dall’infanzia.

Non ne aveva tre, ma quattro.

I quattro poteri che sceglieva sempre da piccola, quando lei e sua sorella giocavano insieme.

E il quarto era perfetto per quella situazione.

Senza neanche pensare, senza farsi due domande e senza mettere in conto le possibili conseguenze se si fosse sbagliata, Eryn si buttò.

Letteralmente.

Tirò un calcio a Shadow, liberandosi dalla sua presa, e cadde dall’edificio.

Si aspettava di ricevere qualche illuminazione divina, o elaborare un pensiero filosofico di un certo livello. O anche semplicemente raggiungere la consapevolezza piena dei propri poteri e dei propri limiti, in tutta calma. Ma il suo unico pensiero, mentre prendeva velocità, fu un immenso urlo pieno di panico, e qualche imprecazione che si lasciò sfuggire a voce alta.

Ma prima di sfracellarsi al suolo e diventare un macinato di carne di supereroe, le intuizioni della ragazza si rivelarono giuste, perché si ritrovò a librare a mezz’aria senza troppo controllo, a metà edificio, trovandosi oltretutto faccia a faccia con Robin, che si fermò di scatto e la guardò a bocca aperta dalla finestra.

Eryn fece cenno a lui e Blaire di raggiungerla sul tetto, e provò a riprendere quota, proprio mentre l’elicottero iniziava a spiccare il volo.

Riuscì a regolarsi abbastanza in fretta, ma per il momento il volo sembrava il potere più difficile da controllare, e si sentiva sbalzare via.

Quando arrivò a portata di vista dei ragazzi in elicottero, poté giurare di vedere Shadow tirare un sospiro di sollievo, ma non ebbe tempo di pensarci, perché senza esitazioni, Disaster King le puntò una pistola contro e iniziò a sparare.

Eryn riuscì ad evitare ogni proiettile, e cercò di aggrapparsi al carrello.

Quando stava per riuscirci, però, sentì un dolore acuto al polpaccio, e una tremenda sensazione di impotenza improvvisa, e vertigini.

Cadde prima di riuscire ad afferrare l’elicottero, e i criminali divennero in fretta dei puntini all’orizzonte, mentre la ragazza atterrava priva di poteri dritta tra le braccia di Robin, che la afferrò al volo, accorso nel tetto proprio in quel momento.

Guardandosi intorno, Eryn scorse in fretta l’origine del proiettile blocca poteri che le aveva appena colpito la gamba.

Un cecchino della DIS, appena accorso sul posto, l’aveva presa di mira e colpita in pieno dal terreno, e ora cercava un luogo migliore per prendere anche Robin e Blaire.

-Ti sei persa questo- Robin le porse con cautela l’auricolare. Era leggermente tremante, e non faceva il gradasso. Era per caso successo qualcosa?

Eryn si affrettò ad infilarlo all’orecchio.

-Cosa diavolo ti è saltato in mente?! Come hai potuto buttarti così?! Giuro che la prossima volta che tu o tuo fratello vi dimenticate degli auricolari ve li impianto sui timpani!- la rimproverò immediatamente Pat, il tono velato di panico e rabbia.

Eryn non credeva che lo avrebbe mai sentito parlare così.

-Scusa, non mi sono resa conto. Volevo fermarli- cercò di giustificarsi, in un sussurro.

-Questo non giustifica…!- cominciò ad obiettare Patrick, ma venne interrotto da Robin, che stringeva la sorella con fare protettivo, mentre si guardava intorno.

-Possiamo parlarne dopo? Pat, come usciamo? La zona è piena di guardie!- fece notare a tutti, in tono concitato e sbrigativo.

Eryn apprezzò che la salvasse dalla predica, anche se sapeva che era solo rimandata.

-Non è finita qui. Eryn, non riesci ad usare i poteri, giusto?- chiese Pat, dopo essersi schiarito la voce che tornò professionale e concentrata.

Eryn provò a creare un campo di forza intorno a loro tre, ma non ci riuscì.

-Un proiettile blocca poteri mi ha preso la gamba. Li avevo in pugno, accidenti!- esclamò, stringendo i pugni.

-La DIS ti ha preso per una di loro. Sono così stupidi!- esclamò Robin, furioso, calciando una bottiglietta di plastica che raggiunse delle attrezzature che probabilmente erano cadute ai malviventi. Corse a controllarne il contenuto.

-Se solo sapessero che vogliamo solo aiutare. Forse ci lascerebbero andare- rifletté Blaire, un po’ tra sé, controllando la gamba di Eryn.

-Stanno arrivando, e dubito ci andranno leggeri. Abbiamo bisogno di una distrazione- commentò Pat, all’orecchio dei tre ragazzi.

-Come lo sai?- chiese Eryn, che non aveva la più pallida idea di come Pat, dal suo ufficio dall’altra parte della città, potesse avere così chiara la situazione.

-I Fontaine stanno riprendendo tutto. Siete in diretta su Super News, anche se non so per quanto ancora. La DIS non approva fughe di notizi simili- le mise al corrente Pat.

Eryn alzò lo sguardo e notò che parecchie telecamere erano puntate su di lei, e un elicottero dello studio televisivo li sorvolava, un po’ distante ma chiaramente visibile.

-Non hanno lasciato molto. C’è un megafono, qualche maschera e delle pistole scariche- Robin portò il materiale rimasto indietro a Eryn, e lo annunciò a Pat.

-Blaire potrebbe mimetizzarsi, e Robin potrebbe correre, ma Eryn è ferita e indietro, non so quanto potrebbe rallentarti se la portassi appresso- cominciò ad osservare Pat, preoccupato.

-Non ho mai provato a portare qualcuno, ma posso provarci. Ma non possiamo lasciare Ladysguise da sola! Se hanno accesso a tutti i piani e alle telecamere la beccheranno di sicuro!- si infiammò Robin, protettivo verso la nuova amica. 

-Posso farcela. Potrei diventare una bambina e infilarmi nel condotto. Tu pensa a portare fuori Er… lei, la ferita non è profonda ma il proiettile ha colpito in pieno ed è fuori gioco per parecchio tempo- obiettò Blaire, un po’ incerta ma determinata a fare il suo lavoro.

Eryn, mentre tutti parlavano, proponevano e andavano da una parte all’altra del tetto, agì e basta.

Prese il megafono, si alzò in piedi con qualche difficoltà, e si avvicinò il più possibile all’elicottero di Super News e alle telecamere.

-Non so cosa stiate dicendo di noi in questo momento, e non mi interessa! Oggi, in questo museo, un gruppo conosciuto come la Lega del Male ha attaccato l’edificio e preso ostaggi. Io e il mio gruppo siamo venuti ad impedirlo!- iniziò a dire, o meglio, a urlare nel megafono, cercando di essere più chiara e più esplicativa possibile. Non credeva che la DIS avrebbe accettato di buon grado quello che aveva da dire, ma non le importava. Non era alla DIS che si stava rivolgendo, né ai giornalisti.

Blaire e Robin le si avvicinarono, confusi e un po’ preoccupati per lei.

-Cosa stai…?- le sussurrò Pat all’orecchio, temendo di venire sentito dal megafono.

-Mi rivolgo a tutti quelli che osservano le notizie terrorizzati dalla fuga di poteri, tutti i piccoli cittadini, con poteri e senza, che temono la Lega del Male e gli attacchi isolati. Noi vi salveremo. La DIS non lo impedirà, la Lega del Male non ci fermerà. Noi siamo i nuovi protettori della città. I nuovi supereroi. E proteggeremo ognuno di voi, senza distinzioni, senza guadagno e senza aiuto, perché è giusto, e perché tutti voi ne avete bisogno. Ladysguise, Bolt Boy e Quadriforce- si diede il nome di getto, senza neanche pensarci. Le sembrava semplicemente perfetto.

-E siamo l’Outlaw Team!- annunciò poi, ottenendo una discreta approvazione dei suoi due compagni, soprattutto Blaire che le diede una pacca sulla spalla, e annuì con vigore.

Fu davvero felice di essere riuscita a concludere con effetto, perché cinque secondi dopo le porte del tetto vennero sfondate, e la DIS e le guardie iniziarono a circondarli, con le pistole puntate, pronti a sparare.

In effetti fare un discorso di speranza senza un piano non era proprio l’idea migliore del mondo. Dire al mondo che nulla poteva fermarli e venire fermati cinque secondi dopo non era esattamente una buona pubblicità, ma Eryn sperava che il suo discorso avrebbe attirato qualche nuovo supereroe desideroso di giustizia, o fatto indietreggiare la DIS.

Non si aspettava che avrebbe ispirato anche Robin, che prese Eryn e Blaire per le braccia, e corse velocemente oltre le guardie, prima che potessero rendersi conto di qualsiasi cosa.

Quando si fermò, Eryn era completamente scombussolata, e la coda alta si era sfatta quasi del tutto.

-Cosa… come… che…?- iniziò a balbettare. Il suo cervello non sembrava volersi collegare alla sua bocca.

Il mondo intorno a lei vorticava.

-Era meglio la moto- commentò Blaire, crollando in ginocchio, provata.

Erano in una stanza buia e molto piccola, ma nessuno sembrava averli scovati.

-Scusate, mi ha preso il panico. Vi ho detto che non avevo mai provato a portare qualcuno prima. State bene? Qualche colpo di frusta?- chiese Robin, controllando entrambe le ragazze.

-Dove siete, ragazzi?- chiese Pat, confuso.

-Stanzino del penultimo piano, zona est… spero- rispose Robin, riprendendo fiato -Non riesco a portarle entrambe via- aggiunse poi, quasi tra sé.

-Blaire, mimetizzati. Appena arrivano le guardie esci di soppiatto e unisciti a loro. Stanno correndo da una parte all’altra per sigillare le uscite. Resta con loro per un po’, poi appena sei fuori corri via e mimetizzati con i curiosi, ma non essere te stessa. Non ti troveranno mai in mezzo alla folla- suggerì Pat a Blaire, che annuì.

-Okay- la ragazza si avvicinò alla porta e si mise in ascolto.

Robin non sembrava molto convinto del piano, ma rimase in silenzio.

-Robin, tu prendi Eryn e corri all’uscita est. Più veloce che puoi. Devi allontanarti dall’edificio, e dovete farlo immediatamente, prima che blocchino le uscite con troppe guardie. Cerca di non farti colpire- incoraggiò poi Pat.

-Farò del mio meglio- Robin prese la sorella di peso, con un po’ di difficoltà, dato che sebbene abbastanza forte, era pur sempre un ragazzino.

-Buona fortuna, ragazzi. Ci vediamo al quartier generale- Blaire sorrise, con le lacrime agli occhi, ma cercando di restare ottimista.

-Sii prudente!- si premurò Robin, preoccupato, prima di correre via.

Inizialmente si mantenne abbastanza lento, almeno rispetto ai suoi standard e rispetto allo scatto di prima, ma quando incontrarono il primo gruppetto della DIS, ritornò a sfrecciare. Eryn si aggrappò stretta, sperando che finisse presto, come se stesse in un sogno senza riuscire a svegliarsi del tutto.

Poi, quando finalmente vide la luce del giorno, cadde a terra, e il mondo smise di vorticare.

Sentì Robin lamentarsi e cadere oltre di lei, e si rese conto che era stato colpito, e che erano completamente finiti.

Entrambi senza poteri, circondati da almeno cinque guardie che si fecero sempre più a fuoco davanti a lei, e sempre più minacciose.

Eryn sperò che almeno Blaire si salvasse. Se lo meritava.

Almeno dopo il fiasco dell’Outlaw Team si sarebbe potuta fare una vita e non finire a marcire.

Quando però sembrava Game Over, ed Eryn stava già iniziando ad alzare le mani per arrendersi, sotto tiro di pistole che non facevano solo un graffietto, le guardie iniziarono ad indietreggiare, spaventate da qualcosa alle spalle dei ragazzi.

I fratelli si girarono, per trovarsi davanti una decina di cani, grandi, piccoli, grassi, magri, ma soprattutto minacciosi che digrignavano i denti e non sembravano avere istinti amichevoli.

Il più piccolo e carino dei cani, colore bianco panna, si avvicinò a Eryn e le leccò la faccia, per poi superarla e mettersi a protezione dei due ragazzi, contro le guardie che non sapevano esattamente come comportarsi, e chiedevano rinforzi, all’erta.

Eryn era talmente stordita dalla velocità che pensò di avere le allucinazioni, anche se la bava sulla sua guancia dimostrava il contrario.

Robin, però, era del tutto lucido.

-Vieni, Quadriforce, approfittiamo della distrazione. Dove hai messo la moto?- le chiese, prendendola per un polso e trascinandola appresso a sé.

-Verso l’entrata principale- rispose Eryn, frastornata.

-La puoi guidare?- chiese Robin, molto più in sé.

Eryn annuì, anche se non ne era convinta. Robin però non aveva la patente.

-Non farci andare a sbattere- si fece assicurare Robin, mentre arrivavano davanti alla moto, che era stata sollevata e parcheggiata da una davvero premurosa Blaire.

Eryn si sentiva più sveglia, e si mise su in fretta, seguita dal fratellino. I cani continuavano a scortarli, ma si fermarono quando li videro sfrecciare via.

Prima di sparire nel traffico, però, mentre controllava che nessuno la seguisse, Eryn notò un ragazzo sui venticinque o ventisei anni, che la guardava con un sorrisino ammirato, e le fece un discreto occhiolino. Accarezzava il cagnolino adorabile che le aveva leccato la guancia.

Quadriforce si segnò l’informazione, e con il pericolo alle spalle, iniziò a riflettere su quello che era successo.

Non aveva catturato i criminali, ma non aveva neanche permesso loro di rubare tutto quello che volevano. E non si era fatta catturare.

E ora le persone sapevano della loro esistenza.

Certo, non era una vittoria, ma non era neanche una sconfitta. 

Un pareggio con la Lega del Male, che però sarebbe stato l’ultimo.

Dopotutto, aveva scoperto un nuovo potere. E aveva intenzione di utilizzarlo al meglio.

 

Shadow era appoggiato sulla balaustra del terrazzo posizionato in cima all’edificio abbandonato che da settimane lui e il resto della lega del male usavano come quartier generale.

E fissava l’orizzonte con sguardo assorto e triste. Il freddo della notte non gli impediva di restare lì da ore, ormai, cercando di dimenticare il terrore che lo aveva investito quando si era ritrovato a fissare una ragazza buttarsi dal tetto del museo delle armi e dei supereroi.

Se non avesse scoperto di saper volare sarebbe morta, e sarebbe stata tutta colpa sua. Non riusciva neanche a immaginare di vivere con una consapevolezza simile.

-Eccoti, finalmente. Ti ho cercato ovunque. Abbiamo una nuova recluta piena di informazioni davvero interessanti e non indovinerai mai chi è- una voce che avrebbe riconosciuto tra mille, stranamente gioviale nonostante la sconfitta di quel giorno, lo distolse dai suoi pensieri, e lo fece irrigidire inconsapevolmente.

-Chi?- chiese, distrattamente, continuando a fissare l’orizzonte ma non vedendo altro che lo sguardo di Quadriforce quando si era buttata. Terrorizzato ma pieno di speranza nonostante la possibilità che sarebbe morta. Quanto coraggio si poteva avere per fare una cosa del genere? Shadow lo considerava impossibile.

-Sei ancora imbronciato per questo pomeriggio? Suvvia, siamo comunque riusciti a scappare, e abbiamo rubato qualche bomba di Belabed. Se sapessi i piani che ho in mente al riguardo- Disaster King, il ragazzo al quale apparteneva la voce, gli si avvicinò e si sedette sulla balaustra. Era molto più basso di Shadow, quindi doveva compensare come poteva. E poi voleva guardarlo in faccia.

Anche se lui non sembrava averne la minima intenzione, e tenne lo sguardo basso.

-Si può sapere che ti prende? Stai diventando sempre più spaventato da quando abbiamo i poteri. Dovrebbero dare l’effetto opposto. Siamo invincibili!- il capo gli prese il mento e lo sollevò verso di lui, per obbligarlo a guardarlo negli occhi.

Shadow sostenne il suo sguardo, e accennò un triste e sofferto sorriso.

-Non sono i poteri a spaventarmi- obiettò, in un sussurro.

Disaster King piegò la testa.

-E allora cosa? È perché ti do meno attenzioni? O forse hai paura per me perché abbiamo iniziato la caccia ai pesci grandi? Sei carino a preoccuparti, ma con i nostri poteri non ci prenderanno mai- provò a rassicurarlo, mostrando un’espressione che solo Shadow conosceva. I suoi occhi verdi preservavano ancora una traccia di calore, ma solo ed esclusivamente quando guardavano lui, ormai, e in momenti sempre più sporadici.

Shadow non sapeva come rispondere, non sapeva come mettere a parole i centinaia di dubbi e paure che iniziava ad avere. Sapeva che se avesse commentato qualsiasi cosa su Quadriforce, Disaster King si sarebbe infastidito, e probabilmente le avrebbe dato la caccia ancora di più. E allo stesso tempo avrebbe voluto aggrapparsi alla speranza che fosse ancora in grado di far ragionare il suo più vecchio amico.

Alla fine scosse la testa, e ampliò il sorriso, che non riuscì comunque a raggiungere gli occhi.

-Hai ragione, mi preoccupo troppo. Lo scontro di oggi mi ha frastornato, probabilmente. Potremmo tenere un basso profilo per un paio di giorni?- chiese, in tono casuale, scansando il mento ma prendendo la mano dell’amico tra le sue, speranzoso.

Disaster King storse il naso, leggermente infastidito, poi alzò gli occhi al cielo, e annuì. 

-Va bene. Abbiamo quello che ci serve, per il momento. E poi ho in mente una sorpresa per il tuo compleanno. Sono sicuro che ti piacerà- Disaster King scese dal muretto, e gli prese il polso per provare a trascinarlo dentro, tornando sorridente.

Erano rari i suoi momenti di allegria, e Shadow cercava di preservarli il più a lungo possibile, come pietre preziose.

Lo seguì.

-Allora, chi è la nuova recluta?- chiese, iniziando ad incuriosirsi.

-Blady!- disse per tutta risposta una ragazzina mascherata, spuntando dal nulla e dando prova che li aspettava appena dentro e probabilmente aveva ascoltato sprazzi della loro conversazione. 

Aveva una tuta da ginnastica nera e attillata, codini biondi, e due lame in mano, che roteava tra le dita con maestria.

-Un nome come Bloody non dovrebbe avere una tuta rossa?- osservò Shadow, prendendola subito in antipatia, e scansando il braccio dalla presa di Disaster King, che gli lanciò un’occhiata ma non diede segno di esserne infastidito.

-Blady! Blade, lama! Non Blood, sangue! Stupido!- si lamentò lei, facendo comparire dal nulla diverse lame, e trasformando la punta del naso in un coltellino svizzero.

-Come possiamo fidarci di te?- chiese Shadow, per niente convinto. Soprattutto visto che la ragazzina sembrava andare al liceo, ed aveva qualcosa di familiare.

-Semplice. Sono Drusilla De Marco…- la ragazzina si tolse la maschera, rivelando il giovane volto della sedicenne -… e poi ho portato un regalo al mitico Disaster King- fece un occhiolino al ragazzo, con fare flirtante. Shadow si spiegò il buonumore improvviso del capo.

-Che regalo?- chiese, ancora molto poco convinto.

-Shockwave!- chiamò Blady, per tutta risposta. 

Il terzo membro originale della lega del male arrivò in tutta fretta trascinando una figura coperta da un mantello nero, che venne fatta inginocchiare di peso davanti a Shadow.

-Ti presento The Giver! Dona i superpoteri, e ci ha resi così. Mio padre voleva…- fece il gesto di una pistola contro la tempia -… ma ho pensato che avrei potuto farvi un regalo per farmi ammettere nel team. Ho sempre voluto avere poteri e portare il caos in questa cittadina noiosa- spiegò, allegra. Una bambina che non capiva assolutamente cosa significasse entrare in un’associazione. O una psicopatica con manie di grandezza che voleva sempre e sempre di più, nonostante fosse cresciuta avendo tutto quanto.

-Allora, che dici?- chiese Disaster King, mettendogli una mano sulla spalla con fare incoraggiante.

Shadow avrebbe volentieri obiettato che la sua opinione non contava un fico secco, dato che l’amico avrebbe sempre fatto quello che voleva, ma non ne aveva il coraggio.

Annuì.

-Ottimo. Se il gruppo si espande sarà più facile ottenere tutto quello che vogliamo- rispose, indifferente, senza alterazioni vocali evidenti.

Disaster King non si rese conto del suo sconforto.

-Avremo tutto quello che abbiamo sempre voluto!- esclamò, stringendogli la spalla e sorridendo freddo e malefico. 

Shadow sentiva un fastidio alla bocca dello stomaco, ma seppellì tutto in profondità. Seppellì i dubbi, le incertezze, le paure. E si aggrappò all’affetto, alla lealtà, alle promesse che aveva fatto al ragazzo accanto a lui.

Non l’avrebbe mai abbandonato. Sotto quella cattiveria c’era ancora il bambino sorridente che gli aveva salvato la vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Okay… questo capitolo è stato tosto. Non so proprio scrivere le scene di combattimento.

Ma… ma… ma… ne vado anche abbastanza orgogliosa.

E poi compaiono meglio Shadow e Disaster King. La loro dinamica è una di quelle che trovo più interessanti da scrivere.

Vorrei dire qualcosa del tipo “scusate se ho pubblicato in ritardo” ma è passato poco più di un mese perciò sono soddisfatta di aver pubblicato così in fretta.

Also, ho progettato fino al capitolo 30, circa, e credo che la storia potrebbe arrivare a una cinquantina di capitoli. Ma non so.

Spero che il capitolo vi piaccia, sono davvero curiosa di sapere le vostre opinioni sui personaggi, le situazioni, i nomi, la storia in generale, l’odio che avete tutti per Madison (sebbene non sia comparsa neanche di striscio in questo capitolo) eccetera.

Spero di avere degli aggiornamenti più rapidi, anche se dipende anche da voi.

Un bacione e alla prossima :-*

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Capitolo 8
*** Silenzio stampa ***


Silenzio stampa

 

Quella mattina, la calma solitamente inesistente in casa Jefferson era rotta da un personaggio inusuale.

-Outlaw Team?! Quadriforce?! Non riesco a credere che dopo tutto quello che sto facendo per cercare di risollevare la situazione dei super arrivino questi fuorilegge pronti a distruggerci ulteriormente?!- si stava lamentando Madison, passata a casa per la colazione come faceva almeno una volta a settimana, e rimasta per lamentarsi durante la lettura del giornale.

Non c’era molto sull’incidente del giorno precedente, ma la diretta televisiva non era passata inosservata, e non poteva essere censurata con grande facilità dalla DIS.

-Calma, sorellona. Ti verrà un’ulcera se continui a urlare così- contrariamente al solito, Robin era molto tranquillo e rilassato, e beveva il caffè mattutino con calma e un sorrisino divertito. Era sempre un piacere per lui vedere la sorella maggiore sclerare.

-Sta zitto, Bobi! E perché hai la voce così gongolante? C’entri forse qualcosa, eh?- lo accusò Madison, fulminandolo con lo sguardo.

Robin sobbalzò leggermente, ma non diede altri segni che le parole della sorella lo avessero colpito, e mantenne la calma.

-Sono un supereroe registrato come te- le fece notare -Non potrei fare nulla neanche se volessi, anche se effettivamente vorrei. Ma sono comunque contento che qualcuno lotti per la nostra libertà- ammise con occhi pieni di energia e soddisfazione.

-Libertà?!- Madison non poteva credere alle sue orecchie -Lottano per le loro libertà. Libertà per eroi venuti dal nulla che portano solo il caos! Non otterranno mai nessuna libertà! Soprattutto credendosi al di sopra delle regole! Stai scherzando Bobi?!-

-Smetti di chiamarmi Bobi, Maddie- il ragazzo iniziava ad alterarsi.

Ci furono alcuni secondi di silenzio, in cui i due fratelli si fissavano a vicenda, con sguardo carico di rabbia.

-Su, calmatevi, ragazzi. Non è qualcosa che ci riguardi, alla fine. Probabilmente la DIS…- provò a clamare le acque Deborah, …

-Certo che la DIS farà qualcosa, ma…- 

-Davvero siete contro questi supereroi?!- Robin era incredulo -Finalmente c’è qualcuno che lotta, e voi…- 

-Io sto lottando, nel mio piccolo! Seguendo. Le. Regole!- Madison parlava con il tono che si userebbe con un bambino di due anni.

-Regole stupide imposte da una società che vuole solo controllarci! E usarci! E rinchiuderci se proviamo a fare qualcosa di buono!- obiettò Robin, battendo il pugno sul tavolo a ogni frase.

-Ci rinchiudono perché questo- Madison indicò il giornale -È quello che succede se non lo facessero! Questa è solo la dimostrazione che la DIS ha ragione! Perché ora come ora c’è il puro, totale, CAOS! E tu neanche te ne rendi conto. Si può essere più stupidi?- Madison si alzò in piedi e diede le spalle al fratello, esasperata.

-Io non sono stupido. E a cosa ti sta portando seguire le regole, eh, Madison?- la provocò Robin, facendola irrigidire.

-Per tua informazione al momento lavoro per uno dei politici più influenti del momento. Perché seguo le regole, sono brava nel mio lavoro e la DIS me lo sta riconoscendo!- gli fece notare la sorella, con un certo orgoglio, ma non altrettanta sicurezza.

-Sì, certo, lavori per uno dei più influenti uomini politici come… guardia del corpo? Non avevi una posizione molto più alta qualche giorno fa?- la provocò Robin.

Madison strinse i pugni, ma non si diede per vinta, anzi si risollevò.

-Hai centrato il punto, mi pare. Loro -indicò nuovamente il giornale -sono cambiati. Sono arrivati, hanno iniziato a creare il caos, la gente è spaventata e ci rimetto io! Un’onesta cittadina-

-Esatto! Tu non dovresti rimetterci. Noi non dovremmo rimetterci perché qualcuno fa un errore. Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio- Robin allargò le braccia, per dare più enfasi al punto che stava cercando di trasmettere.

-Ma se ci comportiamo bene, sicuramente ci verranno riconosciuti dei crediti. Io sono sempre stata corretta, continuerò ad essere sempre corretta, e li prenderò! Dal primo all’ultimo!- 

-Come, se non ti fanno lavorare?- la replica di Robin la ammutolì.

Ci mise qualche secondo a trovare una risposta.

-Beh… non li prenderò io personalmente, forse, ma farò il mio lavoro comunque al meglio e farò in modo comunque di aiutare a prenderli- disse infine.

-Quindi se si tratta di salvare e aiutare i supereroi ti tiri indietro per seguire le regole, ma se si tratta di salvare la DIS e la stupida dittatura di questo orribile mondo sei in prima fila e pronta a infrangere le regole?- la provocò Robin, sbeffeggiandola.

-Non intendo infrangere le regole, ma farle rispettare… in un certo modo- Madison non sapeva più come spiegare ciò che considerava ovvio e inattaccabile.

-Sei un’ipocrita, Madison- sospirò Robin incredulo, infiammandola.

-Tu sei un idiota, invece. Come puoi stare dalla parte delle persone che stanno distruggendo sempre di più l’immagine dei supereroi?- insistette la ragazza.

-Ci sono persone buone, là fuori. L’Outlaw Team sta cercando di risollevare il nostro status. E tu non vuoi neanche cogliere questa occasione- Robin alzò la voce.

L’arrivo di Eryn, ancora assonnata e sbadigliante, interruppe la replica di Madison.

-Di che parlate?- chiese, stropicciandosi gli occhi e sedendosi accanto a Robin.

-Nulla che possa riguardare una “senza poteri”- tagliò corto Madison, riprendendo la tazza di caffè, ormai fredda, e prendendo un sorso, per far cadere l’argomento.

Robin dovette trattenersi dal ridere, e lanciò alla sorella di mezzo un’occhiata complice.

-Già, roba da supereroi- 

Eryn si sedette, non dando troppo peso ai commenti e al discorso che aveva inconsapevolmente interrotto.

Il resto della colazione finì nel silenzio quasi assoluto.

 

Madison era stata la prima a uscire di casa, e attendeva fuori dal palazzo De Marco l’arrivo del primogenito, che avrebbe dovuto portare in ufficio.

La strada era abbastanza sgombra, dato che ormai quasi tutti erano a lavoro, a quest’ora, e l’unica eccezione erano due uomini dall’altra parte della strada, seduti su una panchina a discutere amichevolmente tra loro. 

Madison non diede loro particolare attenzione e approfittava del ritardo del suo capo per discutere per telefono con l’agente Anderson le ultime novità riguardo al caso.

Novità praticamente inesistenti.

-L’hai rilasciata?- stava infatti chiedendo incredula.

-Ha un alibi di ferro per la notte dell’attacco alla torre De Marco, e non sembra avere nessun collegamento con associazioni ribelli o supereroi poco puliti. È una cittadina modello, e non ha fornito informazioni degne di nota. La terremo d’occhio, ma non possiamo trattenerla di più senza prove- la informò lui, con voce stanca.

Madison non riusciva a credere che Berenice Holler fosse stata rilasciata con tale semplicità nonostante fosse chiaramente collegata al caso. Purtroppo non poteva indagare da sola, e Anderson non le aveva dato troppe informazioni su di lei.

-Inoltre la priorità, al momento, è fermare il cosiddetto Outlaw Team- aggiunse poi William, con tono leggermente risentito.

-Questo Outlaw Team è insopportabile. Ha creato più guai di quanti ne ha provati a risolvere- Madison si portò una mano sulla fronte, irritata.

-Almeno loro provano a fare qualcosa- le arrivò la voce borbottata dell’ex collega all’orecchio.

Madison sperò di aver capito male.

-Come scusa?- chiese chiarimenti, stringendo la presa sul telefono per sentire meglio.

-Come procede il tuo nuovo lavoro?- chiese invece Anderson, cambiando argomento. Madison sbuffò.

-Sono davanti alla torre De Marco. Non mi hanno permesso di entrare. E aspetto il signor De Marco. È estremamente in ritardo- alzò gli occhi al cielo.

-Stavo solo aspettando che finissi la chiamata, mi sembrava scortese interrompere- una voce alle sue spalle la prese talmente tanto alla sprovvista che per poco non fece cadere il telefono.

Si girò in fretta pronta ad attaccare, ma era solo Finnegan De Marco, appoggiato al muro davanti alla porta, e accompagnato dall’agente Hagen, la sua altra guardia del corpo personale.

Madison sentì le guance riscaldarsi, ma si impose di restare impassibile. Era la prima volta che le capitava una cosa del genere, ma era comunque pronta ad affrontare l’imbarazzo ed uscirne da vincitrice e con la dignità intatta.

-La chiamo più tardi, agente Anderson- disse al telefono, prima di interrompere la chiamata.

-Era una chiamata di lavoro, ma al suo arrivo avrebbe dovuto avvisarmi, signor De Marco- disse intascando il telefono e indicando l’auto parcheggiata incoraggiandolo a precederla.

-Lavoro? Non mi pare di aver chiesto a nessuno di telefonarle. Sa, sono io il suo datore di lavoro- le fece notare lui, iniziando ad avviarsi all’auto.

-Sono innanzitutto un’impiegata della DIS, non lo dimentichi- sibilò Madison, tra i denti, seguendolo a poca distanza, e cercando di ignorare l’agente Hagen, che rideva sotto i baffi. Lo sguardo della ragazza venne attirato dagli uomini sul marciapiede dall’altro lato della strada. Erano lì da parecchio tempo, ma si erano appena mossi, e osservavano la loro direzione con curiosità. Una strana curiosità. Era solo per via della loro discussione? 

-Forse dovrei rimandarla lì, dato che non si è nemmeno accorta della mia presenza. Ero dietro di lei da parecchi…- una delle due figure fece un movimento brusco con il braccio destro, e Madison agì di puro istinto, interrompendo la minaccia di Finnegan De Marco, che prese per le spalle e spinse dietro la macchina, nell’esatto istante in cui un proiettile avrebbe colpito il suo volto se fosse rimasto fermo.

-Co…- prima che Hagen potesse rendersi conto di quello che stava succedendo, Madison lo prese per il braccio, trascinandolo con forza insospettabile dietro la macchina con lei, mentre altri proiettili iniziavano a sferrare l’aria sopra le loro teste.

La mano di Madison corse alla pistola che solitamente teneva su un fianco, ma alla luce delle nuove circostanze, la DIS gliel’aveva confiscata, in favore di un semplice e del tutto inutile taser, e un paio di manette.

Mentre Hagen armeggiava con la propria pistola, cercando di sporgersi in modo da notare e colpire chiunque li stesse attaccando, e Finnegan era appoggiato alla macchina, completamente immobile e inerme, tenendo la ventiquattrore come uno scudo, Madison prese le manette, e le sollevò in modo che specchiassero la situazione oltre la macchina.

I tipi che avevano iniziato a sparare erano due, ed erano palesemente supereroi.

Uno aveva un bracciale della DIS, e sparava con una pistola semiautomatica, mentre l’altro non aveva bracciali, ma le sue mani erano diventate due rivoltelle vecchio stile con proiettili che si rigeneravano da soli. Erano ai due angoli della strada, il primo coperto da un’automobile, il secondo si avvicinava velocemente, approfittando dei proiettili sparati uno dietro l’altro.

Era impossibile colpire il secondo senza venire colpiti a propria volta, e il primo era troppo ben nascosto.

Inoltre Madison non aveva un’arma.

Sollevò leggermente la manetta, cercando qualche aiuto nei suoi dintorni, e sorrise, mentre un piano le si formava nella testa.

Si possono dire molte cose su Madison Jefferson. Si può dire che sia insopportabile, pesante, troppo critica e troppo rigida. Si può dire che sia intrattabile, irritante e rancorosa. Ma è abile. E la parola migliore per descriverla è una: efficiente. Nessuno la può privare di questo attributo.

Prese con forza la mano del collega, che teneva la pistola e cercava senza successo di colpire il secondo tipo. La sollevò in diagonale verso il cielo, e sparò un colpo ben piazzato e perfettamente calcolato nonostante la resistenza di Hagen, che ritirò immediatamente il braccio, guardando Madison come se fosse impazzita o disgustosa. Probabilmente provava per lei entrambi i sentimenti. Ma Madison non era già più lì.

Infatti era scivolata sul cofano della macchina, e, con enorme velocità nonostante i tacchi a spillo, si dirigeva verso il secondo, che per un singolo istante aveva smesso di sparare, e non si accorse di lei.

Il proiettile aveva infatti colpito il palo della luce posizionato sopra il primo tipo, che si era ritrovato sommerso da ciocchi di vetro, e urlando aveva allertato il secondo, che si era distratto.

Un istante, un solo istante di distrazione gli giocò la probabile vittoria.

Madison lo ammanettò, e lui, riscosso, provò ancora a spararle con le mani a pistola, ma non sembrava riuscire ad utilizzare più il suo potere.

-Manette speciali, fatte con i bracciali per supereroi- spiegò lei, con un sorriso gongolante. Il tipo provò a ribellarsi, ma Madison era abile nel combattimento tanto quanto lo era in praticamente tutto il resto, e lo immobilizzò in fretta.

-Hagen! Prendi l’altro!- incoraggiò l’altra guardia del corpo, che aveva fatto spuntare la testa da dietro la macchina e la guardava a bocca aperta. Poi chiamò la DIS con un comando posto sul proprio bracciale.

-Abbiamo due sospetti supereroi, uno non registrato e privo di bracciale. Davanti alla torre De Marco. I soggetti sono stati immobilizzati, ma attendiamo rinforzi- chiese con voce professionale, attendendo conferma.

-Tu sei come noi. Perché ci hai fermati?- chiese il secondo ceffo, incredulo, con voce spezzata.

Madison strinse la presa sul suo braccio.

-Non metterci sullo stesso piano. Io sono una supereroina, ma seguo le regole- 

-Tu non hai idea di quello che ha fatto la sua famiglia. I De Marco sono dei mostri- insistette lui, con le lacrime agli occhi.

Madison sollevò la testa in direzione della torre. Non aveva obiezioni al riguardo, anzi, condivideva il pensiero. Dalla finestra del soggiorno la ragazza potè osservare Oscar e Drusilla che controllavano la situazione, il primo quasi indifferente, la seconda con il volto contratto per l’ilarità nonostante la situazione non avesse assolutamente nulla per cui ridere.

Poi però il suo sguardo si posò sulla macchina dietro alla quale Finnegan era ancora nascosto. Il primogenito De Marco sollevò la testa leggermente, rendendo visibile la fronte e gli occhi.

Lanciò a Madison un’occhiata, i loro sguardi si incrociarono.

Madison poté giurare che fosse riconoscente, forse addirittura ammirato.

Scosse la testa e tornò al prigioniero.

-Noi volevamo solo giustizia. Per i supereroi- continuò a farfugliare il criminale.

-Uccidere qualcuno per strada in questo modo non è giustizia- sibilò Madison, tenendolo fermo mentre aspettava la DIS, e controllando in giro che non ci fosse nessun altro pronto ad attaccare.

La sua convinzione di essere dal lato giusto del conflitto ormai inevitabile era sempre maggiore.

Tsk, altro che Outlaw Team, erano le persone come lei, disposte a fare del bene seguendo le regole, che avrebbero migliorato tutto.

 

Parlando di Outlaw Team, i due membri fondatori del gruppo erano in collegamento radio nel bel mezzo di un’operazione segreta e molto, molto importante: reclutamento.

Quando Eryn aveva raggiunto il posto di lavoro, quella mattina, Pat le aveva illustrato il piano. Aveva passato la notte insonne osservando in lungo e in largo blog, articoli e status online con l’hashtag “supereroi”, “Outlaw Team” e simile calibro.

Oltre a un paio di occhiaie molto profonde, la ricerca di Pat aveva condotto a ben pochi risultati. La maggior parte dei post erano di gente spaventata che si lamentava dei nuovi poteri e della DIS che non faceva abbastanza per sterminarli. Alcuni denunciavano vicini e amici di avere superpoteri o di essere membri dell’Outlaw Team o della Lega del Male. Una piccola percentuale sosteneva i supereroi ma non dava informazioni utili, e qualche piccola unità parlava di essere stata salvata da vari supereroi non registrati. 

L’unico di queste unità che aveva convinto Pat era un blog semisconosciuto che si era sempre dimostrato piuttosto affidabile. Pat conosceva l’autore, ma per qualche strano motivo non aveva voluto dire a Eryn di chi si trattasse. 

La ragazza sapeva solo che c’era un supereroe chiamato Il Segugio che stava mettendo in fuga i criminali da quattro soldi che popolavano un quartiere piuttosto povero ai confini della città, e aveva salvato molte persone innocenti, anche se purtroppo non era riuscito a catturare nessuno, dato che polizia e DIS erano stati molto poco collaborativi.

Al momento Eryn era appollaiata su uno dei palazzi, cercando di farsi il più possibile invisibile, e pattugliava la zona in cerca del supereroe o, in alternativa, di persone da proteggere. 

Si fidava dell’intuito di Pat al riguardo, e non aveva dimenticato l’aiuto che aveva ricevuto durante l’attacco al museo delle armi. 

Era positivamente certa che fosse opera della stessa persona che stava cercando, e sebbene il potere non fosse dei più forti, avere alleati era comunque un passo avanti per il team.

-Ti va davvero bene che ho scelto il nome senza consultarti?- chiese Eryn a Pat, tramite auricolare, chiacchierando per ingannare l’attesa.

-Trovo che sia un bel nome. Sia Robin che Blaire lo hanno approvato, e in ogni caso la mia opinione non è la più importante- rispose Pat, indifferente.

-Ma certo che è importante. Non esisterebbe l’Outlaw Team senza di te. Sei la mente dietro le tute, l’idea e praticamente tutto quanto. Sei tu il capo- affermò la ragazza con sicurezza.

-Oh beh…- Eryn non poteva vederlo in faccia, ma era piuttosto certa che fosse arrossito leggermente -Grazie, Quadriforce, mi fa molto piacere che la pensi così-

Eryn ridacchiò per la formalità. Era abitudine del suo capo diventare leggermente più formale quando era imbarazzato.

-Chi è l’autore del blog?- chiese poi la ragazza a sorpresa, approfittando della vulnerabilità.

-Scaltra. Perché ti interessa tanto? Non è così importante- Pat però riuscì senza problemi a non farsi raggirare.

-Se non è così importante perché non me lo vuoi dire?- Eryn era davvero curiosa.

-Tanto non lo conosci neanche. Il discorso si chiude qui- Pat era categorico, e la ragazza sbuffò, rassegnata, senza ribattere ulteriormente. Certo che gli appostamenti erano davvero noiosi. Ora capiva le lamentele di suo padre al riguardo. Si era sempre lamentato degli appostamenti e sosteneva che bisognava lavorare sui sistemi di sorveglianza in modo che i supereroi potessero agire in modo efficiente appena avvenisse un fatto, non aspettare spesso inutilmente che accadesse qualcosa e perdere tempo.

-Avrei potuto studiare…- borbottò Eryn tra sé, stiracchiandosi annoiata.

-Potresti esercitarti ad usare il volo- provò a suggerire Pat, mite, sentendosi probabilmente un po’ in colpa.

-Credo che attirerei troppo l’attenzio…- si interruppe al suono di alcuni cani abbaiare, e controllò la strada.

Una decina di cani si stavano avviando verso un vicolo oscuro poco lontano.

Eryn non si aspettava che dei criminali decidessero di attaccare così presto. Non era neanche ora di pranzo. 

-Vedo dei cani, li seguo- avvertì Patrick.

-Ti vedo dalla telecamera sulla maschera. Fai attenzione- la informò Pat, tornando del tutto serio.

Telecamera nella maschera? Eryn non ne era a conoscenza. Era un’ottima idea, però.

-Ricevuto- disse, senza ulteriori commenti, iniziando l’inseguimento

volando da un tetto all’altro senza troppo equilibrio. Doveva davvero allenarsi a volare, era un potere molto più difficile di quanto pensasse.

Arrivata al vicolo, diede un’occhiata per controllare la situazione, ma tirò un sospiro di sollievo nel constatare che non c’era nessun attacco in giro, ma solo un ragazzo mascherato che circondato da cani che stava dando loro da mangiare, e sussurrava loro qualcosa.

Un piccolo bassotto abbaiò qualcosa con vigore, e il Segugio sbarrò gli occhi, e alzò di scatto la testa, così in fretta che Eryn non riuscì neanche a provare a ritirare la propria, e venne beccata in pieno.

-Ciao- salutò, con un sorriso.

Dopotutto era quello lo scopo. Sperava davvero che il Segugio l’avrebbe ascoltata, e non sarebbe corso via a gambe levate lanciandole contro dieci cani.

Il supereroe la fissò a bocca aperta, senza parole. Tutti i cani si girarono verso di lei, con sguardi sospettosi.

-Presentati- la incoraggiò Pat. Non era così facile, con tutti quegli sguardi puntati su di lei. Ma dopotutto se era riuscita a fare un discorso davanti alle telecamere in una situazione di vita o di morte, poteva affrontare un supereroe e il suo esercito a quattro zampe.

-Sono Quadriforce. Forse mi hai visto in televisione. Tu sei Il Segugio, vero?- chiese, sollevandosi in volo e appoggiandosi su un muretto più vicino alla possibile recluta ma non troppo per farsi attaccare.

-Sei… sei proprio tu?- chiese lui, portandosi le mani davanti alla bocca, sconvolto e… emozionato?

-Sì, in persona- Eryn sollevò un sacchetto della spazzatura con la telecinesi per dare un’ulteriore prova, e lo mise dentro un secchio.

Il Segugio lo fissò come se fosse alieno, e poi tornò ad osservare la nuova venuta.

Eryn non sapeva assolutamente come prendere la sua reazione.

-Non ci credo! E mi conosci? Conosci il mio nome? Non riesco a crederci!!- la probabile futura recluta iniziò a saltellare da una parte all’altra, eccitato.

Eryn era un misto tra onorata, sollevata e completamente imbarazzata.

-Chiedigli di unirsi a noi- le suggerì Pat.

-Ho sentito che sei un ottimo supereroe da queste parti. Io e il mio team ci chiedevamo se volevi unirti a noi. Ti offriremmo una supertuta adatta alle tue esigenze, supporto e la tua identità segreta sarebbe completamente al sicuro con noi. I nostri contatti radio avvengono in una linea sicura- illustrò la proposta di lavoro.

Il Segugio smise di saltellare, e la guardò a bocca aperta.

-Mi stai… reclutando nell’Outlaw Team?- chiese, incredulo.

-Ovviamente non possiamo darti un compenso, è un’attività volontaria e fuorilegge, ma ci farebbe davvero comodo una mano, e da quello che abbiamo letto su di te sembri assetato di giustizia e pieno di coraggio. Saremmo onorati se volessi unirti a noi- confermò Eryn, scendendo del tutto a terra e offrendogli la mano con fare incoraggiante.

Gli occhi del Segugio si fecero leggermente lucidi.

-Io… non so cosa dire. Non me l’aspettavo proprio. Accetto con piacere- prese la mano con vigore, e un sorriso a trentadue denti. 

Eryn era sorpresa.

-Davvero? Non vuoi neanche pensarci un po’. Insomma, è davvero rischioso come lavoro- non doveva scoraggiarlo, ma non riusciva a credere che quel ragazzo si fidasse di lei così ciecamente.

-Lo so. Ma voglio aiutare gli altri, e il discorso che hai fatto al museo…- si interruppe, e la guardò con grande ammirazione -… erano anni che non provavo tanta speranza. Mi hai ricordato Mr. Change ai tempi d’oro- ammise, con un enorme sorriso.

-Tale padre…- sentì Pat sussurrarle all’orecchio.

Eryn era commossa. Abbracciò il nuovo supereroe di scatto.

-Benvenuto nel team, Segugio. Portiamo la speranza al mondo- lo accolse, separandosi e porgendogli un auricolare, in modo che potesse comunicare con Pat.

Il Segugio lo prese e se lo infilò all’orecchio, i cani avevano smesso di osservare Eryn e mangiavano o giocavano in giro.

-Benvenuto, Segugio. Io sono il Tuttofare- si presentò Pat. Eryn cercò di non ridere al soprannome. Era azzeccato, in effetti, ma non era grandioso come gli altri.

-Wow, che mezzi incredibili! Quanto è vasta la vostra organizzazione?- chiese il Segugio, strabiliato.

-Cinque persone, te compreso, ma i mezzi tecnici sono parecchi, e ho alcune conoscenze abbastanza potenti- rispose Pat, criptico.

-Ehm… devo rivelare la mia identità?- chiese poi il ragazzo, un po’ incerto, sistemandosi la maschera sul volto.

-Sarebbe l’ideale per rafforzare la fiducia reciproca, ma per il momento puoi anche tenerla segreta mentre ti ambienti nel Team. Ho un laboratorio segreto dove potrai recarti per ottenere tutte le informazioni in modo che nessuno origli la conversazione. Che tipo di potere hai, esattamente?- chiese Pat, professionale.

-Parlo e controllo i cani. Non è un potere così grandioso, ma ho sparso i cani per tutto il quartiere e se accade qualcosa me lo comunicano in fretta. Ho anche acquisito caratteristiche loro, come il fiuto, l’agilità e la velocità, e credo anche un certo sesto senso per le persone, non so spiegarlo bene- rispose Segugio, accarezzando distrattamente un labrador.

-Quindi il tuo costume dovrebbe puntare molto sulla comunicazione e sull’agilità. Ottimo, userò i materiali di Bolt Boy. Per il design, sentiti libero di dirmi tutto quello che vuoi aggiungere, a meno che non intralci la parte tecnica. 

Puoi tenere l’auricolare per comunicare con noi, e Quadriforce, porgigli la maschera- Pat incoraggiò Eryn, che la prese dalla cintura, insieme alle fasce verdi da indossare sulle braccia.

L’idea di Blaire sul simbolo era stata apportata su tutte le loro tute, ed era la prima cosa che stabiliva di far parte del team, insieme alla maschera.

-Le fasce verdi sono un riconoscimento, il simbolo della squadra. La maschera è strutturata in modo che sia impossibile riconoscerti. Questo è il modello base, quando avrò finito la tua tuta ti daremo la maschera ufficiale, con parole d’ordine, effetto camaleonte e tutto il resto- spiegò Pat. Il Segugio mise le fasce sulle braccia, poi fece per prendere la maschera, ma Eryn esitò.

-Tuttofare, su questa non c’è una telecamera, vero? Sarebbe una violazione della sua identità segreta- disse rivolta principalmente al capo, ma facendosi sentire anche dal Segugio, che si ritirò leggermente.

Pat rimase in silenzio per qualche secondo di troppo, poi ridacchiò tra sé.

-Ma per chi mi prendi, Quadriforce?! Certo che non c’è la telecamera. Dopo che Segugio ti ha salvato al museo mi fido di lui, e voglio che lui si fidi di noi. E che decida di rivelarci la sua identità con i suoi tempi- li rassicurò entrambi.

Eryn si diede della stupida per aver avuto un pensiero tanto stupido. Dopotutto conosceva Pat, e si fidava della sua integrità.

Consegnò la maschera al segugio, che la mise sopra quella che già indossava, ritirando poi quest’ultima.

-Wow, è davvero comoda- ammise, sistemandosela bene e guardandosi intorno.

-La tuta avrà una simile funzione- lo informò Pat.

-Come ci organizziamo per le faccende eroiche? Non sono mai stato parte di un gruppo- ammise Segugio, torturandosi le dita.

-Per il momento credo che tu possa continuare il lavoro che stai facendo. Verrai chiamato all’occorrenza nel caso di attacchi su larga scala. Siamo vigilanti, e vigilare è il nostro compito. Tieni sempre l’auricolare vicino. Se avrò notizie emetterà un suono simile a quello di una sveglia. Indossalo e saremo in contatto. La tuta dovrebbe essere pronta tra un paio di giorni- spiegò Pat.

-Grazie davvero dell’opportunità. Potete contare su di me- affermò Segugio con sicurezza, piegandosi per comunicare ai cani di tornare alle postazioni.

Il branco iniziò a disperdersi. Il cane color panna che aveva leccato la guancia di Eryn il giorno dell’attacco al museo le si strusciò su una gamba prima di andarsene.

-Grazie a te per aver aderito. E per averci salvato- Eryn si rivolse al capo del branco, e gli mise una mano sulla spalla, incoraggiante.

Il suono di una sveglia telefonica interruppe il momento.

-Ops, scusate tanto. Devo andare, ho un appuntamento tra poco- ammise il supereroe, osservando l’orologio.

-Uh, buona fortuna- Eryn gli fece un occhiolino, Segugio arrossì.

-Cioè, non è un appuntamento in sé, ma, ecco, pranzo con qualcuno, e non vorrei farlo aspettare. Grazie davvero di tutto, Quadriforce e Tuttofare. Non vedo l’ora di lavorare con voi- con un saluto rivolto alla ragazza, Segugio si tolse l’auricolare e corse via dal vicolo, saltellando allegro.

-Beh, è andata bene- commentò Eryn.

-Meglio di quanto mi aspettassi. Il Team si fa sempre più grande. È una vera fortuna- annuì Pat.

-Dovremo informare Bolt Boy e Ladysguise- aggiunse poi -E creare diverse frequenze di comunicazione, per non intasare la linea- 

-Mi affido a te, ho lezione questo pomeriggio- Eryn si sollevò in volo e iniziò ad avviarsi verso l’università, esercitandosi nel frattempo.

-Lascia fare a me, ho tutto sotto controllo- la rassicurò Pat.

Eryn era felice di poter contare su di lui.

 

-E poi Quadriforce si è lasciata cadere, e si è messa a volare. Ero così spaventata quando l’ho visto, temevo sarebbe morta. Ma non è morta, ed è piombata sulla Lega del Male come un angelo mascherato. E poi Bolt Boy è corso più veloce della luce, sembrava essersi teletrasportato via. E quando sono arrivati i cani. Diamine, è stata la mia parte preferita. Lo hai visto live? No, perché la DIS ha censurato le repliche. Per fortuna l’ho registrato da metà in poi. Se vuoi puoi venire a casa mia e te lo faccio vedere… cioè, se non lo hai già visto, e se vuoi. O posso prestarti la registrazione. Anzi, faccio una copia. È stato così incredibile. Quanto sono coraggiosi!- Holly Hopper aveva iniziato a parlare a raffica dell’Outlaw Team e dell’attacco al museo da quando si erano incontrati, lei e Robin, fuori dalla scuola per tornare insieme a casa.

Robin non l’aveva mai vista così logorroica, ed era davvero soddisfatto dall’entusiasmo che lui e il suo Team avevano provocato nella ragazza.

-L’ho visto. Sono stati forti, è vero. Ladysguise è stata la migliore- sospirò nel ripensarci. Era stata la meno ripresa dalle telecamere, ma erano i momenti di solitudine i migliori. 

Quando aveva liberato gli ostaggi e tolto la bomba alla piccola insopportabile De Marco. Era stata forte, determinata, incredibile e piena di sangue freddo in una situazione dove persino Robin stava a pochi passi dal farsi prendere dal panico.

…ma chi voleva prendere in giro. Quando aveva visto Eryn cadere dal palazzo gli era davvero preso il panico, e se non ci fosse stata Blaire era certo che non sarebbe mai riuscito a recuperare il sangue freddo necessario a continuare la missione.

Non si aspettava che il lavoro da supereroe fosse così complicato e spaventoso.

Ovviamente non aveva intenzione di rivelare i suoi dubbi a nessuno, ma prossimamente avrebbe dovuto agire con molta più attenzione.

-Beh, sì. È fantastica! Hai ragione!- gli diede man forte Holly, con poca sicurezza -…ma anche Quadriforce e Bolt Boy sono stati fantastici, non credi?- cercò approvazione, battendo le mani entusiasta.

-Sì, davvero forti. Sono sicuro che l’Outlaw Team risolleverà la situazione dei supereroi- sorrise speranzoso, soddisfatto e pieno di energia. Non vedeva l’ora di tornare a casa e dirigersi da Pat per allenarsi.

-Lo spero tanto. Questo bracciale è così stretto- Holly si rigirò il bracciale sul polso, cercando di far riprendere la circolazione sanguigna. Non era adatto a lei, avrebbero dovuto dargliene uno più largo.

-Aspetta, ti svelo un trucchetto- Robin le prese la mano e iniziò a sistemarle il bracciale sul polso. Notò che il suo battito sembrava aumentato, ma non ci diede troppo peso, e fece in modo che il bracciale fosse abbastanza largo da non darle troppo fastidio.

-Ecco qui, spero che andrà meglio- le sorrise, ma rimase di stucco notando che l’amica era diventata rossa come un peperone, ed evitava il suo sguardo.

-Ehi, tutto bene?- chiese, confuso. Forse aveva problemi con il contatto fisico. Poteva avere senso visto il suo potere. Si segnò mentalmente di non toccarla più senza permesso, e cercò semplicemente il suo sguardo.

-Sì, sì, benissimo, grazie!- esclamò lei in tono acuto -Continuiamo a camminare- lo incoraggiò poi, indicando la stazione degli autobus.

Robin alzò le spalle, e la seguì.

-Senti… Robin…- dopo qualche secondo di silenzio, Holly ricominciò a parlare, fissando le proprie scarpe che procedevano nella strada e torturandosi i capelli, a disagio.

Robin si voltò verso di lei, in attesa che continuasse, ma una voce interruppe il farfugliare della ragazza.

-Robin!- la voce profonda ma incredibilmente dolce fece perdere un battito al ragazzo, che girò la testa nella sua direzione e rimase completamente congelato quando individuò a chi apparteneva.

-Blaire! Ciao!- esclamò, con tono acuto quanto quello che poco prima aveva esternato Holly.

La ragazza in questione impallidì, e guardò la nuova comparsa come se fosse un fantasma spaventoso pronto a toglierle tutto ciò che aveva.

-Ti ho visto da lontano. Stai tornando a casa?- chiese Blaire, avvicinandosi con le mani dietro la schiena, curiosa e sorridente.

-Io… sì… ho finito le lezioni. Tu? Da che parte vai? Vuoi unirti a noi?- le propose, farfugliando un po’ imbarazzato, e non notando la faccia incredula e ferita di Holly, che abbassò lo sguardo, torturandosi i capelli con sempre maggiore forza.

-Oh, non mi ero accorta che fossi accompagnato. Ciao, io sono Blaire, un’amica di Robin- Blaire si piegò leggermente in direzione di Holly e le porse la mano.

-Holly Hopper- si presentò la ragazza, stringendole la mano per un istante senza guardarla negli occhi.

Blaire cercò di nascondere la delusione e mantenere il sorriso.

-Tutto bene, Holly?- chiese Robin, un po’ infastidito dalla freddezza che stava mostrando verso Blaire.

-Sì…- Holly sollevò la testa verso Blaire, ma controllò solo i suoi polsi, come a vedere se ci fossero bracciali. Tirò un sospiro interiore di sollievo quando si rese conto che non era una supereroina -…non ti ho mai vista a scuola- osservò, leggermente più amichevole.

-Frequento l’università, sono al DAMS. Sono un’amica della sorella di Robin- spiegò Blaire, in tono rassicurante, facendola rasserenare esponenzialmente.

-Ah, davvero? Sembra interessante- Holly accennò un sorriso, il gruppo continuò a camminare.

-Sei anche amica mia, no, Blaire?- ci tenne a sapere Robin incrociando le braccia, un po’ offeso che lei lo considerasse solo il fratello di Eryn.

-Certo- lo rassicurò Blaire, con una pacca amichevole sulla spalla -Sei anche tu una supereroina come Robin?- tornò poi a rivolgersi a Holly.

-Sì- Holly mostrò il bracciale.

-Holly mi stava parlando dell’attacco al museo e dell’Outlaw Team. Tu che ne pensi, Blaire?- Robin cercò di introdursi nel discorso, e immediatamente il sorriso della compagna supereroina si rafforzò.

-È stato incredibile, non è vero? Quadriforce e Bolt Boy sono stati i migliori- affermò, lanciando a Robin una discreta occhiata incoraggiante.

-Lo penso anche io! Il discorso di Quadriforce lo so ormai a memoria. Mi ha ricordato Mr. Change!- esclamò Holly, tornando entusiasta come prima, ma ammutolendosi immediatamente dopo, e lanciando un’occhiata preoccupata a Robin.

Effettivamente, sentendo nominare suo padre, il ragazzo si era irrigidito, ma cercò di non darlo a vedere. Dopotutto Eryn era stata effettivamente brava con quel discorso, doveva riconoscerlo.

-Meh, non è all’altezza di mio padre. E poi io penso che Ladysguise sia stata la migliore- Robin cambiò argomento, lanciando un discreto occhiolino a Blaire, che cercò di non arrossire o sorridere troppo.

-Macché, non ha fatto quasi nulla- negò, giocherellando con una ciocca di capelli.

-Ma ha un potere fantastico, e grande spirito di squadra!- obiettò Robin, con sicurezza.

-In ogni caso è un bel team. Spero proceda così- Blaire sospirò, speranzosa.

-Già… io devo andare, quello è il mio autobus. Ci vediamo domani a scuola, Robin. Ciao, Blaire- Holly sventolò la mano nella loro direzione e corse via, verso un autobus che sembrava in procinto di partire.

Robin non notò il tono leggermente più freddo utilizzato verso Blaire, e si limitò a salutarla con la mano.

-Sembra tanto dolce- commentò Blaire, una volta scomparsa alla vista.

-Sì, è simpatica. Ed è una delle poche persone che mi parlano, è una bella novità- Robin sollevò le spalle e mise le mani in tasca, procedendo verso il proprio autobus, a pochi metri di distanza.

-Tu le piaci davvero tanto- osservò Blaire, in tono casuale, accompagnandolo.

Robin si irrigidì.

-In che senso?- indagò, confuso.

-Beh, insomma… mi sembrava ci fosse del feeling. Spero di non aver interrotto un momento. Sembrava un po’ triste dalla mia intrusione- gli fece notare Blaire, un po’ preoccupata.

-No! Ma che dici? No! È solo un’amica! È timida, tutto qui!- Robin si mise sulla difensiva. Sentiva un brutto nodo allo stomaco. Non era possibile che Holly avesse una cotta per lui, vero? No, no, no. Sarebbe stato un disastro. 

-Scusa, non volevo intromettermi. Era solo un’impressione. Ma alla fine non sono proprio la più esperta della mente femminile- Blaire ritornò sui suoi passi, cercando di alleggerire la tensione. Sembrava anche sollevata, ma Robin non ne era certo.

-Perché non dovresti essere esperta della mente femminile? Sei una ragazza. Se non sei esperta tu, chi lo è?- Robin non aveva proprio capito il commento, e piegò la testa confuso, e alquanto divertito dall’assurdità del commento.

Non si aspettava però che Blaire impallidisse leggermente.

-Oh… ecco… sì, infatti. Solo che…- iniziò a balbettare, a disagio.

Robin fu colto in contropiede da questa improvvisa incertezza, e non sapeva assolutamente cosa avesse detto di sbagliato, o come rimediare.

Prima che potesse fare qualsiasi cosa, però, Blaire indicò un autobus.

-Oh, il mio autobus sta per partire. Devo andare!- esclamò a voce molto più alta di quella ostentata poco prima, che fece sobbalzare Robin -Ci vediamo- lo salutò in fretta, prima di correre via.

Robin si avviò da solo al proprio autobus.

Certo che le ragazze erano davvero strane e completamente illeggibili.

 

La televisione muta che Madison osservava sempre quando era davanti all’ufficio di Finnegan non stava trasmettendo alcuna notizia degna di nota. Sembrava che la DIS stesse censurando ogni tipo di informazione riguardante i supereroi, compresi eventuali attacchi in corso. Madison sperò che non ci fossero attacchi, ma non ne era certa, conoscendo i metodi del suo posto di lavoro.

Non c’erano neanche stati accenni all’attacco nei confronti di Finnegan di quella mattina, e sebbene da una parte fosse un sollievo, il lato narcisista di lei sarebbe stato davvero felice di apparire in televisione come la salvatrice della vita dell’illustre politico De Marco.

Anche se, probabilmente, non sarebbe comparsa neanche se avessero effettivamente fatto un servizio al riguardo.

Infatti, all’arrivo della DIS, si erano tutti diretti verso l’agente Hagen, complimentandosi con vigore per le sue gesta eroiche, e gli unici cenni rivolti a lei erano stati per farle porgere il criminale che teneva sotto scacco.

Beh, non doveva pensarci. Dopotutto aveva fatto la cosa giusta, era un riconoscimento più che sufficiente.

Mentre indugiava su quei pensieri, notò un giovane camminare distrattamente nel corridoio, cauto e un po’ a disagio, come se rischiasse di essere colto in flagrante su qualcosa.

Il suo abbigliamento casual e trasandato stonava parecchio con l’ambiente lavorativo formale dell’ufficio, e Madison si mise all’erta, con il taser già pronto all’uso, davanti alla porta.

Il ragazzo, della sua età, si accorse di lei, e le si avvicinò, cordiale.

-Salve! Mi può dire dov’è l’ufficio di Finnegan De Marco?- chiese, un po’ incerto, squadrandola con attenzione e curiosità.

Ora che lo vedeva da vicino, Madison doveva ammettere che era parecchio familiare, ma non si soffermò su di lui.

-È questo qui, sono la sua guardia del corpo. Lei chi è?- chiese, protettiva, squadrandolo dall’alto in basso.

-Diciamo un suo ospite? Non credo di poter dire il mio… Madison!- esclamò a metà frase, come colpito da un fulmine.

Madison si ritirò leggermente.

-Agente Jefferson, prego- lo corresse, sconvolta da questa improvvisa informalità, e dal fatto che lo sconosciuto l’avesse riconosciuta.

-Sono Kyle, Kyle De Marco. Siamo stati nella stessa classe… beh, un paio di giorni. Mi dispiace tanto che per colpa di mio padre sei stata cacciata- si presentò lui, con maggiore sicurezza, e un sorriso sincero e dispiaciuto.

Ora che Madison lo guardava meglio, si tirò una pacca mentale per non essersi accorta prima degli inconfondibili occhi De Marco.

-Sei qui per vedere tuo fratello?- chiese, cercando di tornare professionale.

-Sì, mi ha detto dell’attacco, mi sono preoccupato da morire, e volevo accertarmi che stesse bene. Sarei venuto prima ma avevo un appu… pranzo con un vecchio amico. Aspetta… sei la sua guardia del corpo?!- la guardò a bocca aperta, con espressione indefinibile. Sembrava offesa, o forse preoccupata. Di certo abbastanza sconvolta.

-Sì, qualche problema al riguardo? Se è vivo è solo grazie a me- Madison non riuscì a non prendersi il merito del salvataggio della mattina.

-Certo, non lo metto in dubbio. Anzi, sono felice che sia nelle tue mani, ma… sono solo sorpreso che suo padre abbia accettato, tutto qui- ammise, il sorriso era molto più tirato rispetto a prima. La preoccupazione sembrava prevalere sul suo volto.

-Puoi favorire un documento? Con supereroi come Ladysguise a piede libero non si è mai troppo sicuri- Madison tornò all’argomento principale, ignorando le preoccupazioni di Kyle.

-Certo. Mi sembra giusto- il ragazzo armeggiò nella tasca, e tirò fuori la carta d’identità.

-Sei sempre la solita- commentò poi, quasi tra sé, con un sorriso nostalgico.

-Mi sembra in ordine, vado ad avvertire il signor De Marco che ha visite- sempre ignorando i commenti, Madison gli restituì la carta d’identità e bussò alla porta.

-Avanti- le arrivò la risposta, ed entrò.

-Signor De Marco, volevo informarla che…- iniziò ad introdurre la visita, ma lui la interruppe.

-Signorina Jefferson, volevo proprio parlare con lei, si accomodi- le fece cenno di avvicinarsi alla scrivania.

-Ha una visita- provò a fargli presente la ragazza, ma lui la interruppe con un cenno della mano.

-Può aspettare qualche minuto. Volevo ringraziarla per stamattina- il signor De Marco accennò un sorriso, e Madison abbandonò l’intenzione di insistere sulla visita a sorpresa. Forse per lo shock di ricevere un riconoscimento, o forse per il desiderio inconscio di essere elogiata, finalmente.

-Ho fatto solo il mio lavoro- sminuì, senza trattenere un sorrisino soddisfatto.

-Forse, ma lo ha svolto molto meglio di chiunque altro. Mi ha… mi ha salvato la vita. Volevo davvero ringraziarla- c’era sincerità nel suo sguardo, e la stava guardando negli occhi, da persona a persona. Erano anni che Madison non riceveva uno sguardo così da qualcuno che non fosse sua madre. Le sue guance si imporporarono.

-Si figuri, signor De Marco- gli fece un cenno con il capo, sorridendo -Per quanto riguarda la visita…- provò poi a cambiare argomento e tornare al suo lavoro, ma il capo non aveva finito.

-Non era solo per questo. Considerato quello che è successo stamattina, mi sono reso conto che casa mia non è più un posto del tutto sicuro. Prima l’invasione di quel supereroe misterioso, poi l’attacco di quei due. Ho intenzione di aumentare la sicurezza, pertanto volevo chiederle di diventare la mia guardia personale ventiquattro ore al giorno, anche durante la notte. La sua paga sarà aumentata, avrà diritto a vitto e alloggio gratuitamente nella torre De Marco, e sarà la principale responsabile della sicurezza- le propose, in tono professionale, guardandola dritta negli occhi.

Madison era senza parole, non si aspettava minimamente una svolta simile.

-Pensavo che il responsabile della sicurezza fosse l’agente Hagen- commentò, sorpresa.

-È una brava guardia, ma siamo onesti, se non ci fosse stata lei io sarei morto. E io tengo conto dei fatti, non di opinioni o pregiudizi. Di certo non rischierò la vita lasciando lui al comando quando lei è molto più competente, efficiente e abile, nonostante sia una supereroina- le disse senza mezzi termini.

Madison voleva restare impassibile, ci provò con tutte le sue forze, ma l’ombra di un sorriso comunque riuscì a raggiungere i suoi occhi azzurri.

-Sono onorata dal suo commento. Mi dia un giorno per pensarci- gli fece un cenno, cercando di mantenere un tono professionale.

-Non ci metta troppo- concluse la questione Finnegan, sistemando dei fogli -A proposito, chi è venuto a farmi visita?- chiese poi, indifferente.

-Suo fratello Kyle- rispose Madison.

Finnegan alzò di scatto la testa, illuminandosi.

-Kyle! Non me lo aspettavo. La prego, lo faccia entrare subito. Spero che nessuno l’abbia visto- Finnegan la affrettò fuori dalla porta, e Madison uscì per accomodare l’ospite in ufficio.

Lui le sorrise caldamente prima di entrare e chiudersi la porta alle spalle.

Approfittò del suo lavoro sedentario davanti alla porta per riflettere sulla proposta appena sopraggiunta.

Non se lo aspettava minimamente, e doveva valutare bene i pro e i contro prima di accettare.

I contro erano piuttosto chiari: essere sempre a casa De Marco significava incrociare i suoi abitanti sempre, diventare a tutti gli effetti la cameriera, oltre che la guardia del corpo, dover tenere costantemente il bracciale sul polso e avere molto meno tempo libero per uno stipendio che sicuramente non sarebbe stato abbastanza.

I pro, però, potevano essere più interessanti.

Essere a stretto contatto con Finnegan di certo l’avrebbe aiutata ad indagare sulla sua famiglia, ed essere nell’edificio poteva farla agire indisturbata.

Inoltre, comunque avrebbe ricevuto un aumento, e del riconoscimento. Avrebbe potuto guardare l’agente Hagen dall’alto in basso, essere la superiore. Di certo era in grado di farlo. Non era il lavoro dei suoi sogni, ma era un gradino più in alto rispetto a dove stava adesso.

Guardò il bracciale simbolo della sua prigionia, poi lanciò un’occhiata alla porta dietro la quale c’erano due dei suoi peggiori nemici.

Beh, tieniti stretti gli amici, e ancora più stretti i nemici, giusto? I pro erano molto più allettanti dei contro, e se i De Marco avevano qualche cattiva intenzione nei suoi confronti, essere loro vicino sicuramente le avrebbe dato un vantaggio.

Sì, era deciso. Avrebbe accettato il lavoro.

Torre De Marco, preparati a una nuova inquilina.

 

Deborah Jefferson aveva un potere incredibilmente peculiare.

Poteva sembrare una semplice velocità di ragionamento, ma ai suoi tempi d’oro, era stata capace di catturare numerosi serial killer, anticipare numerosi attentati terroristici, e tagliare tutte le via di fuga dei nemici. Il suo allenamento costante l’aveva anche resa una supereroina fisica ai livelli di sua figlia Madison, e se non fosse stata dietro l’ombra gigantesca di suo marito, ma in un’altra città dove non c’era un Mr. Change pronto a monopolizzare la stampa ed essere considerato l’eroe migliore del mondo, probabilmente sarebbe stata una supereroina decisamente popolare. Nessuno lo diceva mai, ma aveva catturato almeno il doppio dei criminali del marito, facendo la metà dei danni sulla città.

Ma non aveva mai, neanche una volta, provato invidia per la mancanza di riconoscimento.

Deborah Jefferson voleva semplicemente fare del suo meglio, e creare un mondo migliore per i suoi figli.

Amava il marito dal più profondo del suo cuore, anche dopo tutti quegli anni, ma i suoi figli per lei erano al primo posto, e lo sarebbero sempre rimasti.

Pertanto, ormai in pensione, il flusso dei suoi pensieri, collegamenti, ragionamenti velocissimi, era sempre costantemente concentrato sui suoi figli. Se il cibo che dava loro era abbastanza salutare. Se quel caffè in più avrebbe causato problemi allo stomaco. In tal caso era meglio dare un antidolorifico per ogni evenienza. I vestiti che indossavano erano appropriati per il tempo? Forse viste le previsioni e le nuvole era meglio portare l’ombrello.

Perché Robin indossava quell’anello?

…quest’ultimo pensiero le vorticava in testa da qualche giorno, e non riusciva a trovare risposta, né a capire perché quel semplicissimo anello la sconvolgesse tanto.

Era come un puzzle di cui aveva tutti i pezzi ma non riusciva ancora a vederne la figura, per quanto si sforzasse.

Intenta a stirare i vestiti, guardando distrattamente il telegiornale mentre Robin ed Eryn lo commentavano tra loro e giocavano a braccio di ferro, Deborah scosse la testa cercando di archiviare quel pensiero in un angolo remoto della mente, ma esso tornava sempre in superficie, come un allarme rosso che le imponeva di fare attenzione, e di ricostruire il puzzle prima che fosse troppo tardi.

La mente della donna era troppo stanca per farlo.

Per fortuna, o purtroppo, dipende dal punto di vista, proprio mentre il pensiero ritornava nella sua mente per l’ennesima volta, lanciò una veloce occhiata verso il telegiornale, che stava mostrando le immagini di identikit fatti ai membri dell’Outlaw Team, e poi passò verso i figli.

E per la prima volta dopo anni, la mente di Deborah ebbe quello che lei definiva una “scossa”.

Tutti i pezzi del puzzle si misero insieme, e l’anello del figlio era solo il pezzo più piccolo, ma il letterale anello di congiunzione che li univa tutti insieme.

Robin era Bolt Boy.

Deborah smise di stirare per un secondo.

Un secondo per riflettere sulla situazione.

Un secondo per elaborare un piano per proteggerlo.

Un secondo per decidere come agire.

Poi riprese a stirare, facendo come se non fosse successo nulla.

-Ah ah! Ho vinto!- esclamò Robin, alzandosi in piedi e improvvisando un ballo della vittoria, nell’indignazione di Eryn.

-Congratulazioni, tesoro- si complimentò con il figlio, facendogli un grande sorriso.

-Sono proprio il migliore della casa- si vantò lui, prima che Eryn lo zittisse con un cuscino in faccia.

Deborah sorrise e alzò gli occhi al cielo, godendosi i momenti in famiglia.

Lei avrebbe fatto tutto per proteggere i suoi figli.

Lo aveva sempre fatto, e lo avrebbe sempre fatto.

Anche a costo di farsi odiare, anche a costo di mentire. O infrangere la legge.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Vorrei innanzitutto scusarmi per un ritardo mostruoso. Ma è stato un periodo davvero assurdo, l’ispirazione era sottoterra e nonostante la quarantena è stato difficile riprendere vecchi progetti. 

Parlando del capitolo…

Vorrei richiamare l’attenzione verso la discussione iniziale tra Robin e Madison, perché trovo che sia indicativa dei loro caratteri, e spieghi i loro punti di vista. Entrambi giusti nonostante siano opposti. Voi da che parte state? 

Poi nonostante non sappia scrivere ancora scene d’azione credo di non aver fatto un lavoro pessimo nella scena con Madison e l’attacco a Finnegan. Spero sia resa bene e non sia solo nella mia testa.

Il misterioso Segugio, presentato come un nuovo supereroe sicuro e potente… si è rivelato un enorme nerd entusiasta. Proprio un tenero cagnolino che è entrato nel gruppo senza pensarci due volte. Spero non sia risultato forzato, ma è il suo carattere.

Che ci sia un triangolo all’orizzonte per Blaire, Robin e Holly?

E Madison è stata invitata a lavorare a tempo pieno per Finnegan. Che quest’ultimo sia davvero un bravo ragazzo? Ha qualche doppio fine? Madison riuscirà ad indagare meglio?

E Deborah… qualcuno si aspettava che capisse tutto così presto? Si rivelerà un’ostacolo ai sogni di Robin, o un’alleata silenziosa per l’Outlaw Team?

Leggere per scoprire.

Ma non nel prossimo capitolo.

Il prossimo capitolo, forse, dovrebbe essere un capitolo speciale dal punto di vista di Blaire, un po’ scollegato dalla trama principale ma che se tutto va bene dovrebbe essere piuttosto carino.

Spero vi piaccia.

Grazie a tutti quelli che seguono la storia, mi dispiace ancora per il ritardo.

Un bacione e alla prossima :-*

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