flowers (花)

di inunotaishobae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Shibuya ***
Capitolo 2: *** Fratello maggiore? ***
Capitolo 3: *** Occhiate ***



Capitolo 1
*** Shibuya ***


 “Rin, sei certa di aver preso tutto?” – la voce di Kohaku risuonò dal piano inferiore, volteggiando nell’aria mentre gli occhi scuri di Rin osservavano morbosamente la fotografia dei suoi genitori, durante quella che sembrava la celebrazione di un anniversario. Dopo il richiamo di Kohaku i suoi occhi scuri luccicarono momentaneamente, in un impeto il suo corpo sussultò per riporre meccanicamente la cornice in legno dentro la valigia, nascosta da diversi vestiti per far sì che durante il trasloco non avesse ricevuto alcun tipo di danno.
Tirando la zip, chiuse definitivamente l’ultima delle tante valige; l’afferrò e con qualche difficoltà riuscì a trascinarla fin su la rampa di scale che la divideva dal piano inferiore.
“Rin?” – Kohaku ripeté, affacciandosi momentaneamente dalla porta d’entrata.
“Eccomi, ho finito” – e con un ultimo sforzo si allontanò dalle scale, porgendo a Kohaku l’ultima valigia; prima di chiudere la porta decise di voltarsi, scrutare per qualche attimo l’ambiente ormai vuoto davanti a sé e con rammarico, osservare quel che restava con malinconia, la carta da parati rovinata e il pavimento invecchiato dai passi; dopo una manciata di secondi, afferrò il pomello della porta, lo tirò lentamente e con un click si assicurò di averla chiusa.
Il Giappone è un territorio così vasto, eppure a Rin sembrò di allontanarsi di migliaia di miglia da casa quando notò quanta strada gli pneumatici dell’auto di Kohaku stavano lasciando alle spalle; un trasferimento non pensava sarebbe mai stato nei suoi piani, per il semplice fatto che se c’era qualcosa a tenerla ancora con i piedi piantati fermamente al suolo erano i ricordi, di cui sembrava essere diventata la vittima preferita – soprattutto nel silenzio di una casa le cui pareti sembravano aver assorbito i suoni del tempo, rilasciandoli e giocando brutti scherzi alla psiche ormai martoriata della giovane.
Le memorie sono il cibo preferito dell’anima, ma anche il veleno più forte. Questo ci rende umani: la voglia di non arrendersi a ciò che è sbagliato, il tentativo, anche estremo se necessario, di scegliersi la felicità non per destino ma per egoismo, perché la brama di un uomo è più forte di qualsiasi altra cosa.
Rin, seppur con difficoltà, aveva accettato quello che la vita le aveva messo davanti, senza tirarsi indietro se si trattava di qualcosa di non gradito; ciò che le dava speranza è che sicuramente anche lei, prima o poi, avrebbe raggiunto uno stato ideale. Anche se sola, sconsolata e poco abile nella vita quotidiana, aveva la certezza – sentiva dentro di sé – che il piano a lei riservato dal destino, la tela intricata del fato non era poi così costernante come altri sospettavano.
“Se ne hai bisogno, posso restare con te quando arriveremo nel tuo appartamento” – mormorò Kohaku, osservando come Rin stesse divagando in pensieri fitti e chissà di che tipo mentre i suoi occhi seguivano la strada percorsa dall’auto.
“Come?” – un turbine di pensieri venne interrotto dalla voce di Kohaku, e il gomito gracile poggiato sul bordo del finestrino minacciava di scivolare via.
“Sai, per darti una mano a sistemare i mobili, le tue cose… E’ molta roba” – sorrise Kohaku, le sue mani strette attorno al volante della sua auto.
Un piccolo sorriso solleticò le labbra di Rin, i capelli scuri le incorniciavano il viso. “Non vorrei trattenerti ancora, sai… Sono ormai due giorni che non vai a casa. Puoi tornare lì e riposarti”.
“Rin, se non volessi aiutarti non mi sarei fatto avanti” – Kohaku si affrettò a spiegare, infine si voltò per un momento a guardarla. Un cipiglio gli fece inarcare le sopracciglia. “Ma se tu non mi vuoi attorno… Non è un problema, puoi dirmelo”
“No, no! Non intendo questo!” – Rin alzò una mano come per fermare la lingua di del giovane. “E’ solo che Sango a quest’ora ti starà aspettando, è quasi sera e per arrivare ci vorranno almeno due ore, tua sorella si preoccuperà non vedendoti tornare”
Annuendo distrattamente, Kohaku fissò la strada e un ennesimo sospiro sfuggì dalla sua bocca. “E va bene… Ma Lunedì verrò a prenderti, ti darò un passaggio per andare a scuola, così memorizzerai la strada e ti darò qualche indicazione sulla struttura”
Rin sorrise di nuovo. “Grazie, Kohaku”
Il ragazzo sentiva il cuore fremere ad ogni minima gentilezza di quella piccola e forte donna, fremiti di ogni genere gli stringevano lo stomaco per la vicinanza; avrebbe mai potuto chiedere una compagnia più piacevole?
“Kohaku” – Rin lo chiamò. “Com’è… Com’è il mio vicinato? Credi sia tranquillo? Come sono le persone lì?”
Kohaku scosse la testa. “Non devi preoccuparti, il quartiere dove vivrai sarà molto tranquillo, tutti sono molto cordiali e riservati, non ti daranno minimamente fastidio” – disse, stringendo lievemente la mano di Rin, prima di riportarla sul cambio. “Sarai al sicuro, Rin”
Dopo quasi due ore di viaggio giunsero finalmente a Shibuya, quartiere di Tokyo dove Kohaku viveva con sua sorella, e dove da lì a poco Rin avrebbe frequentato l’ultimo anno di liceo prima di iscriversi all’università.
Trovarsi catapultata in una realtà diversa in così poco tempo era sicura l’avrebbe disorientata, eppure cercava di darsi coraggio, sperando in qualcosa di migliore per lei; cercare un proprio posto nel mondo è lo scopo di qualsiasi uomo, lei non faceva eccezione. Eppure avere paura era pur sempre umano, no? Sospirando, ascoltava il suono degli pneumatici sulla strada asfaltata.

Dopo qualche svolta, l’auto di Kohaku si spense davanti all’appartamento dove Rin avrebbe vissuto; la zona le parve stranamente silenziosa, erano solo le cinque del pomeriggio dopotutto – che le parole di Kohaku fossero così precise? Un luogo silenzioso, senza dubbio alcuno.
“Certo, le riferisco tutto adesso, aspetta” – Kohaku allontanò il cellulare dal suo orecchio, voltandosi verso Rin impegnata nell’accatastare i diversi cartoni scuri contenenti oggetti e vestiti accanto al divano. “Rin, Sango e Miroku vorrebbero che tu ti unissi a noi per cena, ti va?”
Rin annuì, alzandosi mentre scioglieva i capelli dalla crocchia disordinata che li raggruppava sulla sua nuca. “Se non sono di troppo, volentieri”
Kohaku sorrise, riportando il cellulare vicino al suo orecchio e continuando a parlare si allontanò abbastanza da sparire dal campo visivo di Rin, la quale si assicurò di posizionare nel miglior modo possibile la cornice di legno che racchiudeva dolci ricordi sul pensile proprio soprastante il camino. Sorrise e cercando di mascherare un nostalgico cipiglio, poi si voltò e raggiunse Kohaku che la stava aspettando sul viale esterno, l’auto già accesa. Si sistemò sul sedile del passeggero e infilò le chiavi di casa in una tasca della sua borsa. Dopo pochi minuti giunsero a casa di Sango e Miroku, che sembrava piuttosto affollata quella sera.
“Rin!” – Sango la accolse a braccia aperte, stringendola a sé per qualche momento, prima di lasciarla entrare dentro, dove Miroku stava conversando amichevolmente con altri invitati.

Sango notò immediatamente il suo sguardo perplesso. Le afferrò la mano in un sussulto e la trascinò verso il divano. “Accidenti, devo presentarti loro due!”
“Kagome, InuYasha, lei è Rin, una mia vecchia amica” – sorrise dolcemente, mostrando la nuova arrivata ai suoi due ospiti.

“Allora tu sei Rin!” – la ragazza si alzò immediatamente, i suoi occhi scuri sembrarono brillare per un momento. “Sango ci ha raccontato di te così tanto! – le afferrò una mano con le sue, stringendola lievemente – per non parlare di Kohaku”. Un lieve rossore accese le guance di Rin, il cui sguardo cercò subito quello dell’amico; si sentì grata di scoprirlo ancora all’esterno della casa, sapendo che se avesse sentito una cosa del genere avrebbe sicuramente bruciato per l’imbarazzo.

“Io sono Kagome, conoscerti è un immenso piacere, davvero” – e sorrise morbidamente. Si presentò a sua volta, sentendosi improvvisamente più tranquilla e decisamente più distesa dopo quel breve scambio di parole.

Accanto a Kagome sedeva un uomo che non sarebbe mai potuto passare inosservato: una folta chioma di capelli bianchi ricopriva la sua testa, un paio di profondi occhi color caramello erano fissi su di lei, mentre un sorriso si faceva spazio sulle sue labbra sottili. “Io sono InuYasha, lieto di conoscerti” – le strinse la mano fugacemente ma con grande decisione, tornando a parlare con Kagome pochi attimi dopo.

La cena iniziò solo qualche minuto più tardi, quando Miroku, ormai compagno di Sango da diversi anni, invitò tutti i presenti a prendere posto attorno al tavolo nella sala da pranzo. Rin fu immediatamente tempestata di domande riguardanti la sua scuola, il suo lavoro e le sue prime impressioni riguardanti la nuova città.

“Spero di adattarmi presto al ritmo della città, ma per ora… Sono molto tranquilla, è stata una bella giornata” – Rin sorrise, il resto dei presenti le rivolse qualche parola di incoraggiamento, quasi come se fossero già al corrente di tutto.

Una mano strinse la sua, e quando alzò gli occhi per capire di chi fosse, Rin incontrò il viso dai tratti morbidi di Sango. “Sei la benvenuta qui, Rin. Ricordalo sempre”

Dopo qualche altra piccola chiacchiera, la cena finì, e Kohaku cercò di convincere Rin a lasciarlo accompagnarla a casa; lei, ad ogni modo, rifiutò insistentemente, dicendosi stanca dopo le ore passate in auto, affermando con grande certezza che una passeggiata non le avrebbe potuto fare male. Dopo aver salutato tutti, si diresse all’esterno, e in quindici minuti fu capace, grazie alle indicazioni che le erano state fornite da Miroku – e qualche aiuto dal suo GPS – a trovare la familiare strada di casa.
Grazie alla luce emanata dai lampioni gli occhi di Rin riuscirono a mettere a fuoco un meraviglioso giardino che si trovava proprio accanto al suo nuovo appartamento; fu in grado di scorgere piccoli cespugli di rose, diversi attrezzi da giardinaggio, e mentre cercava di dipingere nella sua mente chi potesse essere il proprietario di un ambiente così ben curato, scorse più in lontananza la figura di un uomo che non somigliava per niente all’immagine di possibile proprietario che aveva creato nella tua testa.

Le era difficile individuare i diversi dettagli, la luce soffusa non era affatto dalla sua parte, ed inoltre la stanchezza cominciava a gravare fortemente sulle sue palpebre. Lo vide tagliare piccoli rami da un vaso di chissà quale pianta, un paio di pantaloni di tuta gli avvolgevano morbidamente il bacino, una t-shirt blu metteva in risalto il pallore della sua pelle.

Mentre Rin apriva la porta d’ingresso al nuovo appartamento vide lo sguardo del suo nuovo vicino scattare immediatamente su di lei, probabilmente non aspettandosi di sentire qualcuno a quell’ora, o da quella parte. I loro occhi si incontrarono momentaneamente, prima che lui potesse tornare al suo lavoro e Rin rifugiarsi all’interno della sua piccola e buia casa.  

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Capitolo 2
*** Fratello maggiore? ***


Per quanto avesse sospettato il contrario, Rin osservò come il primo integro giorno trascorso fosse passato velocemente; era certa che la compagnia di Miroku e Sango avesse avuto un impatto significativo sullo straordinario fenomeno, e sicuramente perdersi in mille vetrine di negozi, fare la spesa come se fosse un giorno come un altro le aveva dipinto un sorriso sulle labbra illuminato dal crepuscolo incandescente, tinto di rosso.

“Hai avuto modo di conoscere i tuoi vicini?” – una distratta Sango cercava di far scivolare il cinturino in cuoio sul polso sinistro per controllare l’ora. “Sembra una zona molto carina, ci sono stata qualche volta, non ricordo per quale occasione però…”  - un cipiglio perplesso le fece crucciare le labbra.

Arricciando un sorriso morbido, Rin scosse la testa. “No, non ancora” – il cellulare nella sua tasca vibrò, e un led colorato cominciò a lampeggiare ripetutamente come per catturare il suo occhio e distrarlo dai colori caldi del tramonto – che non avrebbe mai immaginato così visibile da un quartiere trafficato come quello di Shibuya.
Che ne pensi di un caffè?5PM x
Con la solita audacia di chi non ha davvero qualcosa da perdere, Kohaku non mancava mai occasione di farsi vivo in qualche modo, pur di tenere accesa quella scintilla di contatto che Rin sentiva essere fredda e distante.

“Cavolo, quanta insistenza!” – Sango tratteneva un ghigno divertito dopo aver letto distrattamente il nome del fratello sullo schermo del cellulare. “E’ evidente che lui sia molto felice che tu abbia finalmente deciso di venire a vivere qui” – Rin ascoltava l’amica mentre pigiava velocemente una risposta, declinando l’invito con qualche ho bisogno di tempo per studiare. “Dubito che tu sia dello stesso spirito, però” – e si sciolse finalmente una cristallina risata.

Un flebile rossore accentuò le leggere lentiggini che punzecchiavano le guance di Rin, la quale cercava di masticare improbabili scuse. “No, non è così! E’ solo che… Che lui è… E’ così…”
“Appiccicoso” – terminò per lei Sango, alzando una mano per farla ricadere sulla spalla dell’amica, come un segno di devota solidarietà nei suoi confronti. “Kohaku sa essere davvero insopportabile, mi dispiace” – disse in un sospiro.

Se fosse stato qualcun altro, probabilmente Rin avrebbe tentato di accennare una conversazione riguardante la sua poca predisposizione ad incontri che non avessero fatto parte della sfera colma di pudore che aveva sempre rappresentato per lei l’amicizia. Ma l’idea di incattivire un ragazzo così disponibile, perdere un amico fondamentalmente leale e più unico che raro non lasciava altra soluzione che rassegnarsi all’eterna procrastinazione di un incontro che Kohaku desiderava fortemente.
“…la cena” – Sango aveva appena pronunciato quelle che sembravano le ultime sillabe di una lunga sentenza di cui Rin aveva perso l’intero contenuto.

“La cena?” – ripeté, il turbine di pensieri che l’aveva rapita cominciò a diventare una brezza leggera, spazzando via gli ultimi segni di un caos distruttivo.
“Non hai sentito una parola, accidenti” – Sango esclamò nervosamente, le sopracciglia lievemente crucciate. Un lieve rantolio dal fondo del petto si disperse nella gola, come ad accentuare il suo più che evidente fastidio. “Ho detto che Kagome e InuYasha saranno a cena con noi”

“Oh, fantastico! Mi piacciono davvero tanto, sono una coppia così affiatata” – mugugnò Rin, facendo viaggiare la mente all’incontro della sera prima con i due, la passeggiata verso casa, il giardino e l’inebriante profumo di rose ad aleggiare nell’aria…

“Lo sono sempre stati, sono convinta che siano nati per incontrarsi…” – sorrise dolcemente Sango, le buste nelle sue mani a lasciare lievi solchi sulle dita.
“Anche tu e Miroku siete una coppia molto… Unica” – completò la frase Rin.
“Già, ma loro hanno un’intesa fuori dal comune, sono semplicemente fatti per stare insieme” – sospirò lei, delusa. “Per quanto Miroku possa essere fantastico, ha i suoi momenti in cui riconosco il tipico babbeo che in fin dei conti è sempre stato”

Una risata sfuggì dalle labbra di Rin, un accentuato arco di cupido disegnava la sagoma di un cuore dal colore maturo e la consistenza piena, la sua bocca. “E’ uno spasso”

“Oh, indubbiamente” – concordò velocemente Sango, strappando un’altra piccola risata dalla giovane.
Tra le chiacchiere il tempo che le divideva dalla casa di Sango e Miroku sembrava essersi dilatato per restringersi come una molla. Rin aiutò volentieri Miroku a preparare la cena, lasciando a Sango il compito di preparare la tavola per gli invitati che stavano per arrivare.

Dopo aver incontrato i visi ormai familiari di Kagome e InuYasha, Rin scambiò con loro un caloroso saluto, qualche parola con Kagome per poi prendere posto, nello stesso ordine della sera precedente. Il sottile brusìo di sottofondo che accompagnava come sempre i pasti consumati fu interrotto da una vibrazione, simile a quella di un cellulare.
“Scusatemi un momento” – InuYasha si allontanò per quelli che sembrarono due minuti, dal salotto potevano tutti sentire le diverse esclamazioni del ragazzo.
Kagome sospirò, le spalle si rilassarono in un atteggiamento di resa, i suoi occhi socchiusi. “Il solito” – borbottò, bagnandosi le labbra con le due dita di vino che Miroku aveva versato nei calici dei presenti.

“Con chi sta parlando?” – una divertita Sango cercava quasi di allungare l’orecchio per seguire la conversazione, così da poter immaginare al meglio cosa l’interlocutore potesse dire dall’altra parte della linea per far infervorare un già di suo irascibile e scontroso InuYasha.

“Probabilmente sua madre” – rispose Kagome, asciugandosi velocemente gli angoli della bocca. “Sospetto che lei avesse organizzato una cena di famiglia e che InuYasha abbia deliberatamente deciso di infischiarsene per venire qui” – sospirò di nuovo. “E’ tremendo! Se me lo avesse detto lo avrei convinto a passare del tempo con i suoi, so quanto sua madre tenga a questo tipo di cose”
Miroku ridacchiò sfacciatamente, nascondendo il ghigno divertito con il dorso della mano. “Accidenti, brutta storia” – asserì con aria ilare. “Una madre arrabbiata è sempre una rogna” – aggiunse infine.

Sango rideva divertita dalle diverse esclamazioni di InuYasha. Ad un tratto riuscii a sentire distintamente un avevo detto a Sesshomaru di farvelo sapere, non è colpa mia se tuo figlio soffre di demenza senile a quest’età, non prendertela con me, e a giudicare dalle fragorose risa che seguirono, probabilmente anche gli altri avevano sentito chiaramente.

InuYasha tornò una manciata di secondi più tardi, un’espressione accigliata rendeva i tratti del suo viso marcati e fortemente intimidatori. Kagome fece presto ad appoggiare una mano sulla sua, chiedendogli cosa fosse capitato.
“Sesshomaru ha dimenticato di dire a mia madre che non sarei stato a casa per cena” – sbuffò, visibilmente irritato. Nel frattempo Rin faceva un’attenta analisi del nome appena pronunciato da InuYasha, notando quanto fosse particolare e bizzarro. “Non visita i miei per settimane e non viene rimproverato per questo, ma se io manco per qualche ora da casa ricevo questo tipo di telefonate” – il tono di voce sempre più graffiante, i suoi occhi rivolti al cellulare appoggiato sul tavolo.
“Sai che lui è impegnato con l’università e il suo lavoro, è normale che i tuoi non se la prendano con lui” – dettò risolutamente Kagome, allontanando la mano da quella del suo compagno. “Smettila di comportarti da poppante”

“A chi hai dato del poppante?” – ruggì ferocemente InuYasha quando lo squillo di un telefono irruppe nell’aria della stanza di nuovo, interrompendolo.
Sbuffò fortemente e masticò un vi detesto con gli occhi pieni di fiamme rivolti al cellulare e una mano infilata in un atteggiamento frustrato tra i capelli.
Si alzò e lasciò la stanza di nuovo la stanza, questa volta la conversazione assunse immediatamente toni ostili. “Non ho intenzione di ripetermi, papà” – esordì InuYasha, e Sango non riuscì a trattenersi dallo scoppiare in una fragorosa risata, trattenendosi l’addome scosso da spasmi per la mancanza d’aria e le risa convulse.

A giudicare dalla conversazione sembrava che l’interlocutore fosse cambiato, anche l’uso delle parole era ben diverso e dunque tutti ci voltammo verso Kagome per interrogarla riguardo l’uso di termini che, tutti bene o male sapevamo, InuYasha non avrebbe mai – un figlio maschio, in generale – rivolto a suo padre.
“Sta molto probabilmente parlando con suo fratello” – sospirò lei, poggiandosi un fazzoletto piegato in lunghezza sulle gambe coperte da una gonna scura.
Miroku sollevò le sopracciglia quasi sorpreso. “Accidenti, non vanno d’accordo, quei due”

Kagome annuì sconfitta. “Sono davvero diversi, antipodi, potremmo dire” – accennò, spostando il peso all’indietro per poggiare le spalle rilassate sullo schienale della sedia. “Sesshomaru è il maggiore, tranquillo, molto silenzioso, detesta la confusione e semplicemente un cervellone. Dedica le sue giornate allo studio e al suo lavoro, e, da quanto ne so, una volta lui stesso mi aveva accennato ad un giardino di cui si prendeva cura. Come vedete” – sospirò, scrollando le spalle distrattamente. “Lui e InuYasha hanno praticamente zero in comune”

Una sensazione d’inquietudine cominciava ad attanagliare lo stomaco di Rin, la quale aveva ascoltato preziosamente ogni parola di Kagome, cercando in ogni modo di respingere la possibilità lontana che lei stesse parlando della persona che aveva incrociato distrattamente la sera prima. “Quindi tu lo hai visto?”
Kagome annuì. “Certo! Io e Sesshomaru andiamo molto d’accordo, è una persona estremamente piacevole, devi solo avere la premura di entrare nelle sue grazie, ecco”
Rin cercò di allentare la presa che le aveva stretto la gola. Stava per domandarle come fosse fatto esteticamente, cercando di togliersi ogni tipo di dubbio, ma Sango la precedette con la sua solita naturale irruenza e spontaneità.

“Immagino sia un bell’uomo” – fece subito lei, beccandosi un’occhiata stranita da Miroku. “Il padre di InuYasha è molto attraente, suppongo dunque che…”
“Lo è” – completò Kagome, osservando l’aria. “Lui e InuYasha si somigliano per certi versi, i loro capelli, persino i loro occhi sono simili, anche se quelli di Sesshomaru sono lievemente più sottili e dal taglio quasi spigoloso, ma in fatto di stazza si nota decisamente la differenza; Sesshomaru, rispetto a suo fratello, è meno robusto, ma lievemente più alto, probabilmente” – finì.

Rin fece tesoro di quelle informazioni, conservandole gelosamente nella sua memoria, quasi catalogandole. Sperava fortemente che prima o poi avrebbe potuto mettere a tacere quei dubbi tanto persistenti.
Quando InuYasha tornò a tavola la cena era ormai quasi conclusa; Rin non fu molto loquace quella sera, era troppo impegnata a collegare i tasselli nella sua testa. Diversi ma apparentemente simili, il suo giardino, silenzioso…
Quanto scervellarsi in quella testolina! Sentiva che prima o poi del fumo sarebbe fuoriuscito dalle sue orecchie. Tornò a casa, ringraziando se stessa di aver usato l’auto per raggiungere i suoi amici quel pomeriggio, la stanchezza gravava abbastanza prepotentemente sulle sue spalle, e non vedeva l’ora di tornare a casa per poter incontrare l’abbraccio caldo e avvolgente del suo comodo letto spazioso, rotolarsi tra le lenzuola per crearsi un bozzolo dove riposarsi dovutamente prima di cominciare la settimana al liceo e affrontare il turno di tirocinio il pomeriggio.

Dopo essersi accertata di aver bloccato le portiere della sua auto con un click dalle sue chiavi fece per aprire il cancello d’apertura al suo giardino che non arrivava minimamente alla bellezza disarmante di quello accanto. Si soffermò nuovamente ad ammirarlo alla luce soffusa dei lampioni, ispirando il profumo bagnato dei cespugli di rose, le lunghe file di violette blu, le sorprendenti e piacevoli note pungenti delle erbe aromatiche.
Quasi come se l’avesse sentita inspirare furiosamente quelle fragranze, il proprietario, con grande cura, si fece vedere, in tenuta da casa e a piedi nudi, sul portico appena fuori casa sua. Rin non se ne accorse – fortunatamente, sennò sai che figura? Non avrebbe dormito per giorni per la vergogna – e indugiò ancora qualche secondo nella sua meticolosa osservazione.

Dopo un po’ sentì un sorriso sporcarle le labbra, nato involontariamente, e cominciò a dirigersi verso l’entrata di casa sua, afferrando velocemente le chiavi dalla sua profonda e affollata borsa, un miscuglio di cerotti, salviettine umidificate e qualche barretta di frutta secca e cereali. Il suo occhio fu catturato da una leggera sfumatura di luce, e voltandosi incrociò per la seconda volta quello sguardo così indecifrabile e freddo, fermandosi e sfidandolo senza accorgersene per quelli che parvero decimi di secondo.

Un sussulto le fece vibrare il cuore, si scostò velocemente e si rifugiò dietro la sua porta – ma poteva percepire i suoi occhi bruciare ancora nei suoi. Inerme e concentrata sul ticchettìo dell’orologio, sentiva ancora quel dolce profumo floreale inebriarle i sensi.

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Capitolo 3
*** Occhiate ***


“Si può sapere dove diamine è tuo fratello?”

Sesshomaru voltò appena lo sguardo, quel tanto necessario per incontrare gli occhi di sua madre, in piedi vicino al divano con le mani serrate in due pugni posizionati sui fianchi.  Con una scrollata di spalle tornò poi a leggere il suo libro, rendendo l’idea che lui, o perché non volesse saperlo o perché non lo sapeva davvero, non era assolutamente a conoscenza di dove si trovasse. Eppure una piccola, piccolissima vocina dentro la sua testa continuava a ripetergli che c’era qualcosa che avrebbe dovuto ricordare – ma a quel punto, non vi diede troppa importanza.

Quando ebbe l’impressione che le pagine sfogliate erano diventate più che sufficienti, e leggermente deconcentrato dal brusio di fondo in casa, si alzò dopo appena qualche minuto da quel breve scambio di sguardi; raggiunse sua madre, in cucina, ascoltandola parlare al telefono – e intuì dovesse trattarsi proprio di quel degenerato di suo fratello. Proprio mentre sentiva la sua voce provenire dall’altra parte del ripetitore qualcosa lo colpì come un proiettile sulla fronte: gli aveva detto che non sarebbe stato presente. E mentre tentava di gesticolare a sua madre che effettivamente aveva avvisato che non avrebbe preso parte alla cena di famiglia. Capì che sua madre avesse afferrato il concetto quando la vide riprendere la sua conversazione più animatamente di prima, blaterando ossessivamente rimproveri di ogni tipo.

La telefonata si concluse in malo-modo, inoltre Izayoi non era mai stata capace di farsi ascoltare dal suo figlio minore – Sesshomaru invece aveva sempre avuto un carattere mite ed obbediente, ma molto serio e poco incline all’eloquenza.

“Cos’è successo?” – Toga fece il suo ingresso nella sala da pranzo. Si guardò attorno per un attimo, poco dopo corrugò la fronte, come smarrito. “E dov’è InuYasha?”
Izayoi scosse la testa, iraconda e quasi fuori di sé, afferrando un mestolo da cucina. “Non me ne importa un accidenti, può anche non tornare in questa casa, per quanto mi riguarda” – era ovviamente una bugia; per quanto potesse arrabbiarsi, Izayoi amava i suoi figli più di qualsiasi altra cosa, e non sarebbe mai stata capace di tener loro il broncio per più di qualche ora. Ma era indubbiamente ferita da quel comportamento.
Sesshomaru non tornava spesso a casa, per via del suo lavoro e dei suoi studi, e quando accadeva sua madre pretendeva che almeno per una sera tutta la famiglia si riunisse per cena o per pranzo, avvisando con abbondante anticipo. InuYasha, difatti, era sempre stata una gran carogna in situazioni simili.

Toga rivolse un veloce sguardo a Sesshomaru, come a chiedergli cosa fosse successo. Il ragazzo fece spallucce, socchiuse gli occhi e cominciò a passare i piatti ai vari commensali. “Ha deciso di non presentarsi” – fece, e un grugnito di disappunto lasciò la bocca di sua madre.
Toga sospirò, scosse la testa per qualche secondo e raggiunse con la mano destra il mobile alle sue spalle, afferrò il suo cellulare e dopo qualche attimo la voce di InuYasha si rifece sentire.

“Ti rendi conto che questo tipo di comportamento non è affatto accettabile?” – fece subito lui, rilassando le spalle contro la sedia in legno di ciliegio, massiccia e laccata.
Lo scambio di battute tra i due andò avanti per quelli che parvero cinque minuti abbondanti, ma Sesshomaru intervenne poco dopo, mostrando il palmo della mano al padre come per fargli intendere di dovergli passare il telefono. Se lo portò vicino all’orecchio. “Sei davvero una disgrazia” – lo canzonò, inumidendosi poco dopo le labbra nel bicchiere d’acqua colma fino a metà.

“Sesshomaru” – ringhiò lui dall’altra parte. “Mi spieghi che cazzo hai combinato? Ti chiedo un favore, per una volta!”
“Forse dovresti imparare a sbrigare le tue faccende da solo, piuttosto che lasciare il lavoro sporco agli altri” – lo riprese, il suo tono pacato. “A volte le persone possono dimenticare”

InuYasha imprecò nuovamente, mischiando versi a parole di frustrazione. “Preparati a cambiare indirizzo di studi, perché un chirurgo mutilato non si è ancora mai visto” – e la telefonata terminò lì, secca.

Sesshomaru sorrise appena, passando il telefono a suo padre prima di riprendere la cena, che si rivelò essere molto tranquilla, la solita: i suoi genitori che non facevano altro che domandargli come i suoi studi stessero procedendo e se avesse qualche aneddoto interessante sulla specialistica che stava frequentando. Sesshomaru rispondeva abbastanza seccamente, non per qualche motivo in particolare, ma semplicemente perché i suoi genitori erano sempre molto presenti, e non mancavano mai di chiamarlo almeno una volta al giorno per sapere se tutto fosse regolare e se stesse andando tutto come doveva procedere.
Era un ragazzo abbastanza giovane per essere già emancipato, ma era sempre stato precoce, in ogni campo, e soprattutto nello studio.

Dopo quasi un’ora la cena era già finita, e dopo aver aiutato sua madre con la tavola da liberare, fece per accomodarsi sul divano in salotto, col suo fidato libro tra le mani. Ma la sua lettura fu interrotta nuovamente da una nuova figura, che era entrata in casa solo a quel punto, all’improvviso, con un cipiglio pesante sul viso e i denti digrignati come se fosse pronto ad attaccare da un momento all’altro.

“Oh, ben tornato” – Sesshomaru esclamò, chiudendo il libro che poggiò poco dopo sul tavolino da caffè che campeggiava nel centro della grande sala.
“Mi spieghi che cazzo ti è passato per la testa?” – lo incalzò subito InuYasha, affiancato da una Kagome visibilmente angosciata, che aveva tutta l’aria di voler scappare da lì. Sesshomaru scosse la testa come per rassicurarla – in fin dei conti, era sempre stata un’ottima amica per lui, e non aveva alcun motivo per darle addosso. Suo fratello, piuttosto, era alquanto irrequieto.

“Non fare il bambino come tuo solito e ragiona una buona volta” – sospirò il fratello maggiore, mettendosi in piedi con una mano infilata in tasca. “Ho tante cose a cui pensare, e sinceramente tu non rientri in nessuna di esse. La prossima volta sbriga le tue faccende per conto tuo, non sono il tuo referente” – completò, infilando anche l’altra mano nella corrispettiva tasca.

“Non ti chiedo mai niente proprio perché tu hai la tua stramaledetta vita a cui pensare, e non ci credo che un bastardo come te abbia dimenticato una cosa del genere” – ringhiò in tutta risposta InuYasha, avvicinandosi minaccioso al fratello. “Tu lo hai fatto di proposito” – un tono truce gli fece stringere gli occhi in due fessure. “Perché volevi che quei due ce l’avessero con me. Questo ti diverte, ti ha sempre divertito, perché non sei altro che un povero stronzo”

“Adesso è davvero troppo” – Izayoi interruppe la conversazione, afferrando InuYasha per un braccio per trascinarlo in cucina con lei, dove Toga lo attendeva impaziente di parlargli.

Sesshomaru osservò la scena e poi sospirò ancora, scosse la testa e tornò ad accomodarsi sul divano dove fu raggiunto da Kagome poco dopo. Sembrava incredibilmente mortificata e non aveva idea di cosa dire o fare, conosceva Sesshomaru ed era consapevole al cento per cento che lui non sarebbe mai stato capace di fare una cosa del genere. InuYasha, al contrario, era sempre sul piede di guerra, convinto che suo fratello fosse lì solo per mettergli il bastone tra le ruote ed infastidirlo.
A Sesshomaru, comunque, non era mai importato più di tanto.
“So che lui non lo farà, quindi ti chiedo scusa da parte sua” – mormorò Kagome, gli occhi bassi e le mani appoggiate sul proprio grembo.

“Non mi interessa” – Sesshomaru fece conciso, mantenendo gli occhi fissi sulle pagine del libro che probabilmente non sarebbe mai stato capace di completare per via di tutte le interruzioni.

Kagome sorrise appena. “Lo so” – ridacchiò. “Però a me sì, perciò…”
“A volte è davvero immaturo”

Sesshomaru ghignò. “A volte? Non l’ho mai visto cambiare da quando aveva otto anni”

Kagome sghignazzò appena, appoggiando le spalle al divano. “Già, è davvero un disastro” – concordò. Rimase in silenzio per quelli che parvero due minuti, e poi parlo di nuovo. “Senti un po’” – fece, voltandosi appena verso il ragazzo ancora assorto. “Che ne dici se domani vieni a cena da me? C’è questa amica di Sango che frequenta un tirocinio di infermieristica con cui potresti andare davvero d’accordo, è molto gentile, sono sicura che voi due potreste avere molto in comune” – disse tutto in un respiro solo, un volto speranzoso.

Sesshomaru non si mosse neanche di un millimetro. “Cosa ti fa pensare che io voglia conoscere questa persona?” – un tono piatto e lascivo fu tutto quello che riuscì ad emettere.

“Beh… Uh… Sarebbe un’occasione per te di fare amicizia con qualcuno che ha qualcosa di molto importante in comune con il tuo lavoro, i tuoi studi” – cercò di improvvisare Kagome, continuando a guardarlo in atteggiamento di supplica.

“Non sono interessato” – una risposta tipica delle sue, schietta e sicura.

Kagome, però, non era affatto facile da dissuadere. “Ma andiamo, è una cena! Non vieni a trovarmi da mesi, ti sei comportato come un pessimo, pessimo amico!” – lo incalzò, cercando di far leva sul suo senso di colpa.

“Una cena è una cosa, ma quello a cui mi stai invitando è un appuntamento al buio” – fece lui, chiudendo il libro tra le sue mani, ormai rassegnato all’idea che non avrebbe trovato pace in quel luogo. Si preparava dunque ad andare a casa.

“Non lo è, giuro! Magari potreste conoscervi e diventare buoni amici, che c’è di male in questo? E poi potrebbe essere già impegnata” – mentì spudoratamente, cercando di convincerlo in ogni modo. “E’ una ragazza molto attraente, ottima personalità, molto molto educata” – continuò, seguendolo fino all’attaccapanni dove stava afferrando la sua giacca. “Andiamo” – lo pregò ancora.

Sesshomaru sospirò sconfitto, limitandosi a mormorare un non ti prometto niente, prima di raggiungere i suoi genitori per salutarli e tornare a casa, nel suo appartamento silenzioso e tranquillo, lontano da distrazioni di qualsiasi tipo. Non era mai stato un tipo “adatto” alle cene finalizzate alla socializzazione, né tantomeno aveva mai provato gusto o desiderio di compiacere qualcuno in qualsiasi modo – eppure quel giorno ebbe il coraggio e la malsana idea di accettare quell’invito, sconsideratamente.
Dopo aver parcheggiato la sua auto sul viale adiacente al marciapiedi che fungeva anche da perimetro per la sua casa fece attenzione a dare un’occhiata al suo giardino, non mancando di esaminarne lo stato e la ben tenuta, non volendo che un lavoro così ben fatto si rovinasse semplicemente per mancanza di attenzione. Aprì il cancello di legno per accedere al giardino ed entrarvi definitivamente, e solo a quel punto si accorse di non essere solo; una ragazza, in divisa e coi capelli legati confusamente in cima alla nuca, se ne stava ferma a guardare i suoi cespugli di rose.

Quando avvertì il suono del cancello aprirsi probabilmente doveva aver interrotto la sua contemplazione, perché i suoi occhi scuri, a quel punto, erano affogati in quelli di Sesshomaru, che reggeva il suo sguardo curioso, in un naufragare dolcissimo di occhiate colme di timore.

Prima che potesse fare o dire o soltanto pensare qualcosa, lei lo distrasse, rifugiandosi dietro alla porta del suo appartamento, quasi per sfuggirgli.
Quando la sera dopo prese parte alla cena a cui era stato invitato, la rivide.  


A\N: chiedo solennemente perdono per tutto il tempo che ho impiegato a postare questo capitolo, ma ho avuto problemi su problemi riguardo al pc e alle cartelle dove avevo salvato i file e ora è tornato tutto alla normalità. Sono mooolto fiduciosa riguardo al fatto che riprenderò ad aggiornare con molta più puntualità - si spera, almeno. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia cominci ad incuriosirvi, fatemelo sapere, se vi va, con una recensione!
Un bacio e a prestissimo! x

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