L'ultimo marlin

di Miwako_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***


tritone primo cap



L’ultimo marlin







Quel giorno all’isola Yonaguni l’aria particolarmente limpida rendeva i colori ancora più vividi. Il mare era mosso da un vento di maestrale e le onde di un verde traslucido s’infrangevano ritmicamente sulla riva in una schiuma bianca e spumeggiante.
La vegetazione rigogliosa si estendeva a perdita d’occhio lungo il litorale. Una coppia di cavallini brucava su un’altura illuminata da uno squarcio di sole tra le nuvole, avevano manti scuri e le criniere spazzate dal vento.
Naruto era solito allungare la strada di ritorno dalla scuola passando per la spiaggia. Camminava a piedi scalzi e teneva le scarpe da ginnastica legate con le stringhe tra loro a penzoloni sul collo. Ripensava a quella strana ragazza che al termine delle lezioni gli aveva consegnato, balbettando imbarazzata, una piccola busta da lettere di un tenue color rosa. Non aveva ancora avuto il coraggio di aprirla, ma l’avrebbe fatto sicuramente una volta arrivato a casa, nella tranquillità della sua stanza.
Un sacchetto di plastica volteggiò davanti a Naruto, come animato da una qualche magia sembrava danzare nell’aria secondo le note di una musica sconosciuta. Naruto si fermò incantato a guardarlo e si riscosse solo quando una folata di vento più forte delle altre spinse il sacchetto fino al mare dove fu preso e trascinato al largo dalle onde.
Un rifiuto galleggiante nel bel mezzo delle acque non solo era una scena inusuale ma anche inaccettabile per un abitante di Yonaguni. Naruto aveva ben radicati dentro di sé la devozione e il rispetto per il luogo che l’aveva visto nascere.
Aggrottò le sopracciglia e un profondo solco si formò tra queste come tutte le volte che qualcosa lo turbava.
Appoggiò a terra scarpe e zaino e arrotolò i pantaloni al ginocchio. Salì sul molo, l’acqua sciabordava con colpi sordi sotto le assi di legno. Al termine della passerella si accovacciò e allungando un braccio cercò di recuperare il sacchetto, ma se un’onda lo avvicinava, la corrente di ritorno lo allontanava ancora di più.

“Accidenti!” Sbraitò. Quando si metteva in testa una cosa difficilmente desisteva, quindi si levò la camicia. Era piuttosto bravo a nuotare. Aveva imparato da bambino e a suo zio Jiraiya piaceva raccontare di come sua madre l’avesse partorito in acqua quasi senza accorgersene, non provando nemmeno dolore. Naruto non diversamente da tutti i neonati aveva nuotato fin in superficie per poi mettersi a piangere disperato, ma secondo lo zio quello era un innegabile segno di predestinazione.

All’orizzonte fosche nubi promettevano tempo di burrasca. Il vento era impetuoso e alzava alti gli schizzi delle onde fino a colpirlo in volto. Il fascio di sole che illuminava la distesa erbosa dove pascolavano i piccoli cavalli era svanito.
Si tuffò, l’acqua era fredda e blu, e nuotò a grandi bracciate per raggiungere il sacchetto che galleggiava tra le onde. La corrente era molto forte e quando si voltò verso riva si rese conto di quanto si fosse allontanato dal molo. Tornò a cercare il sacchetto, ma non riuscì a vederlo da nessuna parte, forse era affondato riempendosi d’acqua e lui si era gettato in mare per niente. Colpì di striscio l’acqua con un pugno, chissà cosa avrebbe pensato quella ragazza di lui… che era un perfetto idiota al cento per cento.

“Cercavi questo?”

Si voltò di colpo trattenendo il fiato. All’incirca a un braccio di distanza c’era un ragazzo sconosciuto dai lineamenti delicati e i capelli scuri. Doveva avere tra i quattordici e quindici anni perché Naruto riconobbe sul suo viso la stessa aria insolente di alcuni compagni di classe. Inoltre aveva avuto la sua stessa brillante idea di farsi un bagno nel preludio di una tempesta e con questo ebbe la certezza che fossero coetanei.
“Il mare non è posto per la tua robaccia.” Aggiunse restituendogli il sacchetto.
Naruto si riscosse a quelle parole, era rimasto imbambolato a guardarlo per un lasso di tempo troppo lungo. Sentì le orecchie calde come il fuoco, nonostante gli battessero i denti dal freddo.
“Ehi, non è mio!”
“Allora perché ti sei gettato in acqua per recuperarlo?”
“Perché? Perché il mare è parte di noi, ognuno ha il dovere di prendersene cura!”
Quel ragazzo socchiuse gli occhi dal taglio a mandorla. Sulle labbra aveva un sorrisetto sottile che nonostante fosse quasi impercettibile, riuscì a infastidire Naruto.
“Ti faccio ridere per caso?”
Non ebbe risposta, ma questo non lo fece desistere neppure per un istante. “Chi sei?” Lo incalzò.
“Chi diavolo sei tu.” Lo vide stringere il sacchetto nel pugno. Era un tipo ostico, Naruto aggrottò la fronte.
“Non c’era nessuno in mare, da dove spunti fuori?”
“Ero già qui, ti ho visto tuffarti dal molo.”

Naruto fece una smorfia, poi protese il braccio. Voleva stringergli la mano e se la sua presa fosse stata sufficientemente energica forse avrebbe potuto fidarsi delle sue parole.

“Io sono Naruto Uzumaki, qual è il tuo nome?”

“Sasuke.” Rispose, limitandosi a osservare il palmo aperto dell’altro, non sapendo che farsene di preciso.
“Sasuke e basta?” Immerse il braccio.
“Sasuke e basta.”
“Ok, come vuoi. Sai, non ti ho mai visto in giro e all’isola ci conosciamo praticamente tutti. Sei venuto in vacanza con la tua famiglia per caso?”
“No. Vivo qui da sempre.”
Naruto rimase in silenzio, la voce bassa e pacata del ragazzo gli vibrò nella testa con un eco assordante, tanto da coprire il rumore del mare e il fischio del vento.
“Impossibile!” Urlò. “Una faccia come la tua a scuola non passa di certo inosservata!” Naruto si morse la lingua per quello che aveva appena detto. “Cioè, intendevo, una faccia da schiaffi del genere…”
“Vogliamo parlare della tua? Ho visto spigole dallo sguardo più sveglio.” Disse quello con un certo astio. Un’onda s’infranse contro il viso di Naruto che sputacchiò fuori l’acqua salata.
Le nuvole correvano sopra le loro teste e il cielo era verde come il petrolio. L’aria era elettrica, di una vigorosa freschezza. “Adesso basta! È meglio tornare a riva.” Disse Naruto nuotando al suo fianco, ma Sasuke non sembrava dargli ascolto.
“Ehi, muoviti!”
“Vai pure.”
“Stai scherzando? È pericoloso, sta arrivando una tempesta!”
“Ti ho detto di andare, non pensare a me.”

La mano di Naruto agì prima del suo pensiero e afferrò con forza il braccio di Sasuke. Il pallore perlaceo della sua pelle era cosa strana per un isolano. Naruto rabbrividì all’idea che quel ragazzo apparso tra le onde come un fantasma lo fosse per davvero. Il fantasma di un ragazzino affogato.

“Non è che sei lo spirito demone di un naufrago?” Vociò con l’urgenza di dar vita ai suoi folli pensieri, conficcandogli i polpastrelli bluastri e raggrinziti nel braccio.
“Sei un idiota.” Sasuke sgranò gli occhi. “Lasciami!”
“Non me ne vado senza di te.”
Tossì, risputando acqua, era difficile mantenersi a galla con quelle onde e al contempo strattonare Sasuke. “Vuoi finire affogato? È un attimo con quest’acqua gelida che ti prenda un crampo e… mio zio una volta mi ha racconta—”
Non riuscì a finire il discorso, le parole gli morirono in gola quando una grossa coda di pesce dalle fulgide squame blu fece capolino dall’acqua.
“Un marlin!” Esalò con un misto di terrore e ammirazione nella voce.
“Non c’è nessun marlin!”
“Lì di fianco a te! T’infilzerà con la sua spada!”Gli tirò il braccio e Sasuke reagì con violenza liberandosi finalmente dalla presa. Naruto lo guardò stralunato, mentre quella coda riemergeva a tratti.
La consapevolezza che non poteva appartenere a nessun altro che a Sasuke quasi lo stroncò sul colpo.
“S-sei, tu sei una sirena!” Disse e un brivido gli percorse la spina dorsale facendogli drizzare anche la peluria sulla nuca. Deglutì a vuoto e iniziò a pensare che Sasuke stesse per saltargli al collo da un momento all’altro, perché aveva un’espressione così dura da essere terrificante.
“Sono un tritone, idiota.” Lo aggredì verbalmente. La faccia ebete di Naruto non mutò.
“Un cosa?” Biascicò.
Sasuke strinse i denti, come offeso, e s’immerse tra i flutti. Naruto rimase inerme in mezzo alle onde, fissando il punto indefinito nel mare dove Sasuke era scomparso.


Aveva la pelle d’oca alta un centimetro, mentre sedeva sulla battigia. I capelli gli gocciolavano fastidiosamente sugli occhi e sul naso. Guardava il mare in tumulto e le nuvole gonfiarsi di pioggia, plumbee e ronzanti. Il sacchetto giaceva ai suoi piedi cosparso di sabbia.
Mise una mano sotto il sedere, qualcosa lo stava pungendo. Si tastò la tasca avvertendo lo spigolo di una busta, la prese ed estrasse la lettera al suo interno, talmente fradicia da sfaldarsi tra le dita. L’inchiostro si era spanso per la pagina in una macchia slavata; sul margine superiore a stento si riconoscevano gli ideogrammi del suo nome e la parola compagno.








    

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


tritone capitolo due





A luglio aveva inizio la stagione di pesca al pesce spada. Era il periodo dell’anno con il maggior afflusso di stranieri all’isola, provenienti soprattutto dalla Cina e dall’America. Il mare nelle notti limpide luccicava di miriadi di bagliori colorati al largo. Sui pini adiacenti alle spiagge venivano affisse strisce votive e verso sera le ombre dei traghetti ormeggiati che si stagliavano sulla sabbia si trasformavano in perfetti nascondigli per i giochi dei bambini.
A Naruto non era mai piaciuto particolarmente pescare e non era nemmeno molto portato, preferiva gli sport di squadra e sperava di costruirsi un avvenire diverso rispetto a molti giovani dell’isola che seguendo le orme dei loro padri diventavano provetti pescatori. Eppure era contagiato ugualmente da quel clima allegro, talvolta adrenalinico e di dura competizione che caratterizzava le gare di pesca.
Suo zio Jiraiya era specializzato nella cattura dei granchi. Aveva la pelle scura, il volto bruciato dal sole ricoperto da un fitto reticolo di grinze e le mani grandi piene di calli. Portava una selvaggia chioma di capelli bianchissimi e irsuti. Gli stranieri mostravano sempre un po’ di timore nei suoi confronti, nonostante si dimostrasse da subito un uomo giovale e di spirito.
Per Jiraiya la pesca non rappresentava né un divertimento né una fonte di guadagno, bensì uno stile di vita. Letteralmente era il modo di vivere. Il mare dava, dava tantissimo, ma era necessario anche rendere nella sua stessa misura.
La popolazione di pesce spada inoltre, col passare degli anni era drasticamente diminuita. Da bambino Naruto li vedeva saltare tra le onde, puntando l’affilata spada al cielo, ma quelle scene una volta frequenti erano divenute così rare che ora faticava a riportarle alla memoria.
Una sera, il sole era rosso al tramonto e l’aria mite, suo zio mentre preparava l’attrezzatura per catturare i granchi gli raccontò delle nuove tecniche di pesca, talvolta distruttive per l’ambiente, messe a punto negli ultimi anni.
“Cosa faranno quando non ci saranno più marlin?”
“Non succederà. Nulla si estingue in questa terra se non è l’uomo a volerlo.” Gli aveva risposto lo zio. Con abilità annodava la lenza formando un cappio e la fissava con del nastro alla canna di bambù. Nelle retine delle cipolle richiudeva le sardine usate come esca.
“Anche quando avranno preso l’ultimo?”
“Costruiranno dei grandi recinti in mezzo all’oceano e li faranno riprodurre e vivere lì. Lo fanno già in altre parti del mondo, con diverse specie, i salmoni ad esempio.”
Con la mano provò a indicargli immaginarie strutture, piattaforme che si estendevano come villaggi nel vasto mare.
Nemmeno i cavalli dell’isola avevano mai conosciuto paddock dove fossero rinchiusi e Naruto faceva davvero fatica a fantasticare su uno scenario del genere.




I giorni trascorrevano lenti e il tempo era sereno, come si addiceva bene a Yonaguni. Naruto si ritrovava a mormorare a mezza voce di una sirena, mentre giocherellava con la penna tra le dita. Nonostante il professore l’avesse già ripreso diverse volte, non riusciva in alcun modo a prestare attenzione per più di mezzo minuto.

“Si può sapere di che farnetichi?” Al termine della lezione un suo compagno, Kiba Inuzuka, lo raggiunse. Con un colpo secco gli spinse la sedia poggiandoci sopra il piede.
Naruto smise di scaccolarsi e raddrizzò la schiena. “Secondo te le sirene esistono?”
Kiba rise di gusto. “Ovvio che no! Ti senti bene?”
“Certo! Mai sentito meglio.” Disse sbuffando. “La mia era solo una domanda.”
“Una domanda da idiota.”
Naruto si alzò e raccolse lo zaino da terra, ma Kiba non sembrava intenzionato lasciarlo passare. “Andiamo a giocare a baseball.”
“Voi andate, poi vi raggiungo.” Scostò il compagno con una spallata, dirigendosi fuori dalla classe.
“Ehi!” Gracchiò Kiba corrugando la fronte. “Ma che ti piglia?”
Naruto era un ragazzo che amava agire d’impulso, senza rifletterci troppo sopra. Kiba notò subito il sorriso sghembo sulla sua faccia e sapeva bene che non presagiva nulla di buono. “Scemo!” Lo insultò mettendo il broncio per essere stato ignorato. Sarebbe andato al campo di gioco senza di lui.

I corridoi erano affollati da studenti, le loro chiacchiere e risate risuonavano come una felice notizia.
Quando uscì sull’atrio, nonostante la confusione, riuscì a notare ugualmente una chioma corvina svolazzare dietro una colonna di mattoni a vista. Quella ragazza era sempre nei paraggi, ora che ci pensava, ma raramente faceva davvero caso alla sua presenza forse per via della sua natura così elusiva e silenziosa.
Non sapeva molto di lei, a parte che facesse Hyuga di cognome e che fosse sempre presente nell’elenco dei primi dieci migliori studenti dell’istituto. Avevano parlato solo in un’occasione, quando lei gli consegnò, trattenendola con entrambe le mani e tra tanti balbettii di scuse, una lettera. Aveva tutta l’aria di essere una di quelle dichiarazioni d’amore che si vedono alla tv.

Le lanciò un’occhiata di sfuggita e cacciò le mani in tasca.
Hyuga probabilmente si aspettava una risposta in merito o almeno una qualche reazione da parte sua, ma Naruto era già tanto che avesse messo in dubbio la casualità delle sue apparizioni e poi l’imbarazzo di avvicinarsi a lei e chiederle cosa gli avesse scritto perché, aimè, aveva perduto la lettera, era invalicabile.

Arrossì sentendo lo sguardo della ragazza su di sé. Anche se le circostanze sembravano voler dimostrare il contrario, si era convinto che una tipa del genere non potesse certo essere interessata a lui, era pure brava a scuola.
Tirò dritto a passo spedito, facendosi spazio tra i vari gruppetti che si attardavano a chiacchierare sotto il portico. In lontananza dei fulmini balenavano silenziosi nel cielo azzurro.


Camminando immerso nei suoi pensieri, era giunto fino alla spiaggia. Il vento freddo gli sferzava il viso e nelle orecchie echeggiava forte il suo fischio mescolato al rumore delle onde in tumulto. Nuvole fosche avanzavano coprendo gli ultimi sprazzi di sole. Il tempo era cambiato repentinamente, in modo spaventoso.
Era trascorso quasi un mese e Naruto era arrivato al punto di chiedersi se Sasuke fosse stato solo un sogno.
Si guardò il palmo della mano con cui aveva afferrato con forza il polso del tritone. Eppure gli era sembrato tutto così reale, molto più reale delle lunghe mattinate trascorse sui banchi di scuola, che scivolavano via, senza memoria.
Gli occhi di Sasuke gli apparivano di notte durante il dormiveglia, scuri eppure incredibilmente limpidi. In quello sguardo c’era una domanda sempre aperta in attesa di una risposta. Sentiva che lui e Sasuke erano simili e accumunati dalla stessa disperata ricerca.
Iniziò a chiamarlo a gran voce.

“Sasuke!”


“Sasukeeee!” Urlò.


“Sasukeebasta!” Urlò così forte da arrochirsi la voce.

Riprese fiato e osservò l’oceano nella speranza di scorgere lì, tra il bianco delle onde, il baluginare di una coda iridescente. Si portò le mani ai lati della bocca e ricominciò a chiamarlo con foga.
La spiaggia era deserta. I pini battuti dal vento disperdevano sull’arenile aghi e rametti. All’orizzonte brillavano le luci verdi di alcuni pescherecci, erano i più temerari e non si sarebbero fermati di fronte a nessuna condizione atmosferica, finché l’ultimo marlin non fosse stato catturato.



La palla roteò alta nel cielo, stagliandosi in controluce. Un tiro notevole per una ragazza.
Shikamaru rovinò a terra nel tentativo di recuperarla, lasciando i presenti col fiato sospeso. Quando si alzò, con la divisa sporca, e si passò la palla dal guantone alla mano libera, un fischio di approvazione squarciò l’aria.
“Dannazione Shika!” Sbraitò Sakura con un mezzo sorriso, agitando la mazza. “Bella presa!”
Nara rilanciò la palla a Kiba. “Ehi, ma Uzumaki?”
“Non lo so! Gli avevo detto di raggiungerci in campo.” Rispose Kiba. In quel momento una goccia di pioggia gli cadde sul naso. Sollevò lo sguardo alle nuvole grigie che si accalcavano in cielo. Macchioline d’acqua iniziarono a disseminarsi sulla terra battuta del triangolo di gioco.
Sakura si scalzò il berretto, sistemandosi la frangia appiccicata alla fronte madida di sudore. Ritornò in posizione e sferzò un paio di volte l’aria con la mazza.
“Naruto è un animale! Avrà fiutato l’odore del temporale come i cani.” Chiosò.
“Che hai da dire sui cani?” Sbraitò Inuzuka.
“Niente, perché al contrario di te una palla la sanno prendere!” Disse riferendosi alle scarse abilità del ragazzo come prima base durante le semifinali del torneo scolastico.
Kiba arrossì di rabbia. “Per quanto ancora dovrai rinfacciarmelo?”
Shikamaru sbadigliò e si avvicinò agli altri due. “Fatela finita, perché se inizia a piovere davvero me ne vado a casa.”
Sakura grugnì qualcosa d’incomprensibile. Poi portò il bastone sopra la spalla, accanto all’orecchio destro. “Tira!”



Lanciò lo zaino a terra e si spogliò dalla divisa, restando con indosso solo i pantaloni. S’immerse sino alle caviglie, l’acqua era gelida ma era così determinato nel voler rivedere Sasuke che non ci fece nemmeno caso. Il cielo era lo stesso di quel giorno, coperto, e si rifletteva come un’ombra indaco sul mare. Notò un piccolo scoglio contro cui le onde s’infrangevano facendosi schiuma. Distava poco più di trecento braccia dalla riva, il suo occhio era ben allenato a decifrare le distanze in mare.
Giusto per porsi un obiettivo decise che avrebbe nuotato fino a lì. Di certo Sasuke non sarebbe spuntato fuori dalla terra ferma e forse la sua voce non avrebbe mai potuto raggiungerlo nelle profondità dell’oceano.


Si tuffò e nuotò a grandi bracciate. Non faceva molta fatica inizialmente, ma la corrente era forte e le onde erano violente e alte come muraglie.
"Sasuke!"
Continuò a chiamarlo a gran voce e solo allora, così distante dalla riva e con lo scoglio che anziché avvicinarsi sembrava farsi sempre più lontano a ogni bracciata, si rese conto in che brutta situazione si fosse cacciato. Non sottovalutare l’oceano: questa era una delle prime lezioni che aveva ricevuto da bambino, ma imparare non era mai stato il suo forte.

Un’onda improvvisa lo travolse, trascinandolo sott’acqua. Rigirò su se stesso, spinto dalle correnti. Filtrava una luce indistinta e soffusa che non gli permetteva di riconoscere da che parte fosse la superficie o il fondale.
Riemerse a fatica e l’acqua salata gli bruciò il naso e la gola. Si sfregò gli occhi arrossati. Stava piovendo, le gocce argentee precipitavano fitte e sottili, trapassando la superficie del mare come spilli. Il cielo tuonava e le nuvole minacciose si addensavano. Naruto fece appena in tempo a prendere una boccata d’aria che fu di nuovo sovrastato dalle onde.
All’improvviso un dolore acuto gli trafisse un polpaccio. Annaspò inghiottendo acqua e si strinse convulsamente la parte colpita.
Recuperando un briciolo di lucidità distese la gamba e fletté la pianta del piede verso l’alto con le mani. Morire in mezzo al mare per via di uno stupido crampo? Non era proprio la strada che si era prefissato! Strinse i denti, ma era ancora sott’acqua e i polmoni iniziarono a bruciargli in petto. L’adrenalina defluiva veloce nel sangue simile a un'alta marea.
L'oceano l’aveva catturato come uno stupido pesce, pensò alle branchie insanguinate dei caranghi intrappolati nelle reti sulla barca dello zio. La testa gli pulsò tremendamente e non riuscì a capire subito se quella coda maestosa dalla consistenza velata fosse reale o una mera illusione. Nell’oscurità sentì due braccia cingerlo per le spalle con forza. Scorse il profilo del volto di Sasuke, bianco come la neve d’inverno, aprì la bocca in preda allo stupore e le bolle d’ossigeno che ne uscirono fuori li guidarono verso la superficie.

Una volta tornato a galla Naruto iniziò a tossire disperatamente, si sentiva confuso e senza energie. Fu letteralmente trascinato a riva dal tritone.

Gattonò sputacchiando sulla spiaggia, quel tanto che bastava per non essere travolto dai cavalloni che si infrangevano sulla riva ritmicamente.

“Razza di idiota! Volevi morire affogato?” Sasuke gli stava urlando contro, ma la sua voce giungeva ovattata e scricchiolante. Si sturò le orecchie con le dita.
“No— non era quella l’idea.” Disse tossendo e si rovesciò sulla schiena allargando le braccia. Faceva un freddo porco.
Aveva le palpebre pesanti e il petto gli doleva come se un grosso cormorano si fosse posato sopra. Si sforzò di restare sveglio. “Io volevo solo rivederti.” Mormorò e sollevò la testa, quel tanto che bastava per vedere Sasuke con la lucente coda arrotolata in una spira. Le onde si battevano contro la sua schiena che però si manteneva salda al pari di uno scoglio.
Lo scrutava con occhi così severi che Naruto per un attimo si sentì in colpa.

“Volevo essere certo che non fossi un sogno.”
“Ora che ne ha avuto la prova, sei soddisfatto?” Disse duramente. “Dopo aver quasi rischiato la vita.”
“Nah, se non fosse stato per quello stramaledetto crampo…”
“Testa quadra, non eri tu a farmi la ramanzina l’ultima volta? Tuo zio sarà molto soddisfatto di un nipote così idiota.”
Naruto rise e Sasuke sgranò gli occhi offeso. “Te lo ricordi!” Gracchiò. “Ti ricordi quello che ti avevo detto.” Era uno sciocco dettaglio al momento, ma il fatto che il tritone l'avesse tenuto a mente gli rinfrancò lo spirito.
“Per chi diavolo mi hai preso?”
Naruto aveva un sorriso stampato in volto e guardava il cielo. La pioggia cadeva leggera trasportata dal vento come per gioco.
“Perché non ti sei più fatto vedere? Sono venuto qui praticamente tutti i giorni!”
“Perché non avremmo mai dovuto incontrarci, è stato un errore fin dalla prima volta.”
“No, affatto! Io non credo sia successo per errore e nemmeno per caso. C’è un motivo per cui ci siamo incontrati e adesso non puoi assolutamente fare come se nulla fosse.”
“Allora” Sasuke socchiuse le palpebre e strinse la sabbia bagnata nei pugni. “quale sarebbe la vera ragione?”
“Non lo so.” Ammise Naruto. Poteva forse parlargli dei suoi occhi? No, non gli sembrava tipo da ascoltare melensaggini del genere. Eppure in quelle iridi grigie Naruto riusciva a ritrovare se stesso o, forse, qualcosa di ciò che avrebbe voluto essere.
Si alzò a fatica e si avvicinò a Sasuke mantenendo però una certa distanza. Gli schizzi delle onde arrivavano a colpirlo lo stesso e non riusciva a capire come il tritone potesse starsene tranquillo in mezzo a quel putiferio. Il vento gli tirò i capelli bruniti e fradici all’indietro e lo costrinse a strizzare gli occhi. Il suo corpo era un fascio di nervi.

“Non racconterò a nessuno del nostro incontro, stai tranquillo. Fidati di me.”


Sasuke piegò il capo. “Ad ogni modo nessuno ti crederebbe.” Lo derise con leggerezza.

Naruto gli offrì la mano. Il palmo aperto era proteso verso la creatura del mare. “Verrò qui anche domani, ogni giorno se sarà necessario.”
Sasuke distolse lo sguardo e si acquattò sott’acqua lasciandosi trasportare dalla corrente di ritorno. Sparì in pochi attimi dalla vista di Naruto, ma il bagliore delle sue squame nell’acqua scura gli rimase indelebile negli occhi.
Chiuse le dita a pugno. Sperava di poter stringere la mano di Sasuke, ma si ritrovava tra le dita solo gocce di salsedine.




Come promesso Naruto si presentò in spiaggia i giorni a venire, ma di Sasuke non c’era traccia. Al tramonto del settimo giorno, quando le sue speranze si erano a malapena scalfite, Sasuke riapparve inaspettatamente.
Iniziarono a vedersi con una certa costanza, almeno d’estate, d’inverno era già tanto se riuscivano a incontrarsi una volta al mese. Diventarono grandi amici a dispetto delle divergenze caratteriali: Naruto era un sempliciotto dallo sguardo limpido, privo tuttavia di acume, mentre Sasuke era molto intelligente e spigoloso, capace di una durezza spiazzante.






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Capitolo 3
*** Terzo capitolo ***


tritone cap 3




Disteso sopra un piccolo scoglio, Sasuke s’inebriava del calore del sole. Le gocce d’acqua sul suo corpo come piccole perle riflettevano la luce riproducendo i colori dell’arcobaleno.

Naruto a bordo della Kaeru-maru, la bagnarola di zio Jiraiya, se ne stava coricato con le braccia incrociate dietro la testa. Un delizioso torpore si era impossessato di lui. Cullato da onde gentili osservava il tritone; il profilo dritto del naso, le palpebre chiuse e le ciglia scure che gli adombravano le guance, e si chiese con ingenuità se per caso non si trattasse di un Dio.
Sasuke aprì gli occhi e Naruto si calcò il cappello sulla fronte fingendo di dormire.
Sentì il rumore di un tuffo e alzò il capo giusto in tempo per vedere degli schizzi d’acqua alzarsi a mezz'aria. Si sporse dall’imbarcazione.
Fu un attimo. Sasuke riemerse all’improvviso a pochi centimetri dal suo volto. Barcollò all’indietro, non che si fosse spaventato, ma non si era mai ritrovato il tritone così vicino. La barca ondeggiò paurosamente e Sasuke dovette appoggiarsi alla falchetta con un braccio per riequilibrarla.
“Datti una calmata.” Lo ammonì con aria annoiata.
“Sei tu che mi sei apparso davanti alla faccia dal nulla!”
Sasuke assottigliò gli occhi e Naruto capì che lo stava prendendo in giro. “Ti sei spaventato.”
“No!” Abbaiò Naruto.
Sasuke si aggrappò anche con l’altra mano facendo oscillare la barca con veemenza.
“Hai intenzione di passare tutta la giornata in questo modo? Sei un ragazzo indolente.”
“Cosa c’è di male? Credevo fossi dello stesso avviso!”
Naruto si avvicinò a carponi e lo guardò dritto negli occhi, arricciando il naso.
“Stavi facendo il sirenetto addormentato sullo scoglio!”
Sasuke si issò sulle braccia, doveva avere molta forza perché sorreggeva il torso fuori dell’acqua senza mostrare alcuna fatica.
“Stai ancora urlando, idiota.”
Naruto serrò i denti e tutto il torpore di poco prima sparì dal suo corpo una goccia di sudore dopo l’altra. Il sole batteva incredibilmente forte sopra le loro teste.
“Devo farti vedere un posto.” Disse Sasuke. Naruto inarcò le sopracciglia incuriosito e prima che potesse ribattere il tritone si immerse.
“Ehi, che posto?” Il ragazzo si mise alla prua, seguendo con lo sguardo la sagoma di Sasuke un dito al di sotto della superficie del mare.
Il tritone riemerse una ventina di metri più in là, Naruto era molto abile a percepire le distanze in mare.
“Muoviti!”
“In barca o a nuoto?”
“Vieni in barca, ma poi dovrai proseguire a nuoto.”
Naruto impugnò i remi e gli sorrise.

Faceva una gran fatica e aveva la schiena imperlata di sudore. La coda cangiante del tritone che spuntava tra le piccole onde sembrava un miraggio frutto delle alte temperature.

“Per quanto ancora?” Gridò. “Merda! Aspettami!”
Ma Sasuke non si voltò nemmeno una volta fino a quando, percorsi almeno due chilometri in prossimità della costa, non si fermò. Le alture scoscese non avevano alcunché di particolare, erano semplicemente belle come ogni altra cosa dell’Isola.  Sulle cime si scorgevano le chiome dei pini e in alto nel cielo un’aquila dalla coda bianca remeggiava lenta, disponendo le grandi ali a seconda delle correnti. Sembrava sempre sul punto di piombare in picchiata a filo dell’acqua, ma poi desisteva e rimaneva lassù come una sagoma di carta sospesa nel vento.
Naruto ormeggiò nei pressi di un’insenatura. “Finirà per rompersi con queste onde.” Disse preoccupato per la sua barca. Le onde confluivano con più forza a causa del passaggio ristretto tra gli scogli, ma non aveva a disposizione altri punti di attracco. La Kaeru-maru oscillava disperata e il rumore dello sciabordio dell’acqua contro la carena era molto forte. Una lunga fessura tra le assi di legno lasciava intravedere la schiuma biancastra.
“Il mare è calmo.” Commentò Sasuke con pacatezza. Naruto sapeva di potersi fidare, eppure aveva un lieve nodo alla gola.
“Non so se hai notato ma questa bagnarola è piuttosto fragile.” Disse. “È di mio zio e ci sono molto affezionato, voglio dire, mi dispiacerebbe se le succedesse qualcosa.”
Sasuke si limitò a osservare le ampie spalle del ragazzo che trafficava con le corde, erano nere e disseminate qua e là da macchioline chiare dovute alle spellature. Non sapeva che dire, si pentì di averlo condotto fino alla costa ovest, perché se la barca si fosse rovinata sarebbe stata in parte colpa sua. “Non sapevo ci tenessi tanto.” Mormorò infine.
Naruto si girò sghignazzando. “Questo vorrà dire che se si affonda… mi porterai a cavalluccio!”
Il tritone avvampò di rabbia. “Che diavolo, te lo scordi idiota!”
Naruto scese in acqua. Ridacchiava ancora con un’espressione in volto che Sasuke non sopportava proprio. Eppure in fondo non gli dispiaceva quella sua leggerezza, forse un po’ da sciocco, ma era ammirabile come fosse attento a smorzare i toni per non dare mai inutili preoccupazioni agli altri.
Fece schioccare la lingua contro il palato, stizzito. “Falla finita.”
Naruto si grattò il naso e si guardò attorno. “Dove andiamo?”
“Sott’acqua. Riesci a resistere?”
“Sì! Ma per quanto?”
“Un paio di minuti saranno sufficienti.” S’immerse e Naruto dovette seguirlo temendo di essere lasciato nuovamente indietro.
Sott’acqua lungo la parete rocciosa si apriva una fenditura, un passaggio della grandezza di un tursiope. Vide Sasuke infilarsi lì dentro seguito da una scia di bolle.
Naruto fece lo stesso, cercando di non perdere di vista la coda flessuosa del compagno che si muoveva con estrema abilità; il suo corpo sembrava scivolare nell’acqua come se fosse ricoperto da un’impalpabile sostanza.

In alcuni punti il passaggio diventava così angusto che era necessario tenere le braccia adese ai fianchi e nuotare con il solo ausilio delle gambe. In lontananza una vaga luce rischiarava l'oscurità, eppure l’uscita non era ancora in vista.
Naruto iniziò a sentire i polmoni bruciargli nel petto, una sensazione che divenne presto insopportabile. Gonfiò le guance e dovette resistere all’impulso di spalancare la bocca alla ricerca di ossigeno. Scansò un grosso cefalo proveniente dalla direzione opposta. Anche se era sull’orlo della disperazione nemmeno per un momento pensò a un crudele inganno da parte di Sasuke. All’improvviso il cunicolo virò verso l’alto e infine si aprì su un vasto bacino. Sasuke si voltò verso Naruto e accorgendosi del suo stato di sofferenza gli tese la mano. Il ragazzo l’afferrò saldamente ed emersero insieme in superficie. La luce del sole li investì quasi accecandoli.  Si ritrovarono in una conca d’acqua cristallina. La vegetazione cresceva rigogliosa tutt’attorno tra le rocce cangianti, le grandi foglie dei pandanus smosse dal vento producevano un rumore simile a un tac tac, secco e vibrante.


Naruto spalancò gli occhi.

“È fantastico!” Esordì con un sorriso aperto. Aveva ancora il fiatone.
Sasuke non disse niente, rimase a osservare gli occhi dell’altro, colmi di meraviglia e limpidi come solo quelli di chi ha sempre vissuto guardando il mare possono essere. Pensò di non aver sbagliato, fin dall’inizio.
“Pazzesco, avevo sentito parlare di questo luogo, dicevano che passando per la foresta fosse troppo difficile da raggiungere.”
Si stavano ancora tenendo per mano, Sasuke lasciò la presa cercando di far apparire il gesto naturale. Naruto lo fissò negli occhi e, anche se fu solo per una manciata di istanti, Sasuke dovette sviare lo sguardo.
“Come vedi esisteva un’altra strada via mare, c’è sempre un modo basta saper cercare.”
Naruto rise. “Tu non sembri affatto il tipo da mettersi pazientemente a cercare.”
Sasuke non capì bene quell’affermazione, ma si sentì comunque in qualche modo offeso. Aveva trascorso tanti di quegli anni a cercare insistentemente qualcosa di così indefinito che ora non sapeva più bene per quale motivo fosse partito.

“Vieni, c’è dell’altro.”


L’acqua era talmente trasparente da permettere di vedere il fondale in ogni suo dettaglio. C’erano delle rovine antiche costituite da una piramide a gradoni e due colonne smozzate, ormai integrate completamente da secoli nell’ambiente marino, difatti erano ricoperte da basse formazioni vegetali e coralli di un rosso fremente. I pesci nuotavano attorno alla piramide in branchi e quando una murena si avvicinò fluttuando sulla sabbia alcuni esemplari guizzarono via dentro le fessure dei blocchi di pietra e negli angoli più remoti trovando rifugio.

L’acqua confluiva in un passaggio più stretto all’interno della costa. Si trattava di una piccola spelonca. La luce del sole filtrava dalle fenditure nelle rocce disegnando ombre multiformi sulle pareti.
Un’aragosta blu camminava placida sul fondale.
Naruto si issò su una gradinata naturale che formava una specie di bordo, mentre Sasuke nuotava a pelo dell’acqua. L’umidità del luogo conferiva alle pareti di nuda roccia un aspetto morbido e malleabile. Naruto si soffermò a guardare la schiena bianca del tritone e la linea appena percettibile lungo la quale la pelle a un certo punto si fondeva con le brillanti squame. Quel corpo sprigionava forza e giovinezza. 

Sasuke si accomodò su una sporgenza muovendo lentamente la coda. Sul suo viso si agitavano ombre incerte dovute ai riflessi della luce sull’acqua. Naruto si avvicinò e Sasuke iniziò a cantare. La sua voce era quanto di più bello avesse avuto mai la fortuna di poter udire. Non fu più in grado di muoversi, come se anche un respiro di troppo o un movimento azzardato avrebbero potuto spezzare quel momento.
La voce di Sasuke era morbida come il velluto, era sola ma al contempo ne racchiudeva altre cento, più simile per le sue qualità alla natura di uno strumento, complesso e bellissimo, che a quella umana. Nel suo canto non c’erano parole che Naruto potesse comprendere, eppure riusciva ugualmente a cogliere un senso, un messaggio ancestrale proveniente direttamente dalla sua stessa anima.  Era come se Sasuke riuscisse a far emergere dal profondo ciò che li rendeva simili, un ideale comune. E mentre con sguardo vacuo osservava le labbra di Sasuke intonare quel canto, muovendo impercettibilmente il capo per seguirne la melodia, immaginò l’oceano incontaminato e l’alba tingersi di rosa, il cielo ancora ricoperto di stelle. Un formicolio gli percorse tutte le membra, aveva la sensazione che lo spirito lo stesse abbandonando e ne fu spaventato e felice allo stesso tempo. Quando il canto terminò fu come se avessero levato il sole.

Deglutì a fatica, aveva le fauci completamente secche. “Questo è il canto delle sirene?” Biascicò.
“Che cosa hai visto Naruto?” La voce dura e sommessa di Sasuke risuonò nella grotta.
“L’oceano, ma era diverso da quello che conosciamo.”
“In che senso?”
“Come se non fosse mai stato visto e toccato prima.”
“Era puro.” Chiarì Sasuke.
Naruto si rannicchiò di fianco a lui, non aveva mai guardato Sasuke da così vicino. I capelli neri bagnati gli aderivano al viso, aveva le sopracciglia scure e le ciglia unite da minuscole gocce d’acqua. Senza capirne il motivo, sentì il cuore stringersi in una morsa dolorosa.
“Un tempo il mare era puro e incontaminato, ma la cupidigia dell’uomo ha distrutto ogni cosa.”
Naruto aggrottò la fronte. “Quasi ogni cosa.” Lo disse con convinzione, proprio quella che gli mancò nel modo incerto con cui gli sfiorò il braccio.
“Hanno letteralmente rastrellato il mare.” Sasuke usava spesso termini forti che lasciavano Naruto turbato. “I pesci muoiono schiacciati, trascinati, infilzati. Gli uccelli del cielo vengono ricoperti di nero. Gli squali privati delle loro pinne. I delfini massacrati nelle conche fino a rendere l’acqua del colore del sangue.”
Piccoli pesci argentati, simili ad aguglie, nuotavano vicino alla superficie. Sasuke abbassò le palpebre e la malinconia del suo sguardo trafisse il cuore di Naruto.
“Laggiù al largo, la plastica ha ricoperto la superficie dell’acqua. Ma la marea riporta tutto indietro, nulla sparisce e nulla viene dimenticato. Io per primo non riesco e non voglio dimenticare. Odio gli umani con tutto me stesso e mi sento impotente perché non c’è modo di fermarvi.”
“Come puoi fermare l’umanità?” Naruto lo guardò incredulo.
“So che non è possibile. È come un gigantesco macchinario in movimento e io sono disarmato, se ci metto un braccio dentro gli ingranaggi me lo tranciano. Ho rotto reti con i denti, sabotato barche, liberato i vostri animali seviziati, ma nonostante i miei sforzi, nonostante tutte le volte abbia messo a repentaglio la mia vita, non sono riuscito a cambiare nulla. Quello che faccio rappresenta ironicamente una goccia nell’oceano.”
Naruto non sapeva che dire, non voleva che Sasuke si arrendesse, non voleva che provasse tutto quell’odio senza uscita… e soprattutto non voleva che morisse.

“Quel giorno non è stato uno sbaglio.”


Alzò gli occhi sul tritone.

“E non ci siamo nemmeno incontrati per caso.” Continuò Sasuke. “Il mio corpo… è come se il mio corpo si fosse mosso da solo. Qualcosa dentro di me mi suggeriva di uscire allo scoperto.”
“È stata una follia!” Disse Naruto, allargando un sorriso.
“Lo so!” Disse. “Ma vederti fare una cosa così stupida…”
“Stupida?”
“vederti tuffare nel mare in burrasca per recuperare un sacchetto di plastica mi ha dato speranza.”
Naruto sghignazzò. “Non è male essere stupidi, a volte ti porta a fare cose incredibili.”
Sasuke agganciò il braccio intorno al collo dell’amico e lo gettò in acqua, trascinandolo con sé. Naruto riemerse ridendo e si scostò all’indietro i capelli fradici.
“Ora non montarti troppo la testa.” Sbuffò Sasuke.




S’era alzato il vento e l’acqua pareva fremere, cosparsa dei bagliori dorati del sole ormai al tramonto. Sasuke si appoggiò con l’avambraccio alla falchetta della barca.
“Ora è meglio che vai, è tardi.”
Per cosa fosse tardi Naruto non lo capì al principio, però poi pensò che il cielo sarebbe divenuto lilla e con la sola luce della luna sarebbe stato difficile fare ritorno.
“Sì, allora ci salutiamo.” Disse. Si mise in ginocchio, afferrò la nuca di Sasuke con entrambe le mani e lo baciò. Fu un bacio dettato dall’urgenza. Arricciò il naso contro il suo, poi inclinò il viso e premette con forza le labbra sulle sue come se volesse annullare anche la più infinitesimale distanza, tra loro non poteva intercorrere nemmeno una molecola di ossigeno. I capelli neri e umidi tra le sue dita erano sorprendentemente morbidi. Sasuke spalancò e strinse gli occhi in una frazione di secondo. Tenendosi con una mano all’imbarcazione puntò l’avambraccio al collo di Naruto e lo allontanò con violenza, ricadendo all’indietro nell’acqua.
“Che diavolo ti prende?” Sbraitò e fu lì con il dorso della mano pronto a pulirsi le labbra. “Cos’era questo?
“Un bacio.”
“’Fanculo.” Sibilo sputando nell’acqua. “E che significa?” Odiava l’espressione calma di Naruto, mentre il suo animo era tutt’altro che tranquillo.
Naruto si grattò il collo. “È… “ strascicò le parole. “È un modo per salutarsi.”
“Tra amici.” Specificò.
Sasuke indurì lo sguardo. “Saluti in questo modo tutti i tuoi amici?” La sua voce era fredda.
“No, beh, solo con te.” Naruto era arrossito fino alla punta delle orecchie e non sapeva più in che modo sostenere lo sguardo di Sasuke. Afferrò un remo e si osservò attentamente le nocche sbucciate, le schegge di legno divenute piccoli puntini conficcati sul lato esterno dell’indice.
Sasuke serrò la bocca in una linea severa e dovette metterci tutta la buona volontà per trattenersi dal picchiarlo. “Non osare mai più.”
A Naruto tremò il labbro, sentiva la necessità di dire qualcosa di stupido anche se aveva inteso quanto Sasuke fosse incazzato. Fortunatamente non fece in tempo a peggiorare la situazione perché il tritone s’immerse sott’acqua.
“Non sparire!” Sbraitò Naruto, ora iniziava ad arrabbiarsi anche lui. Iniziò a remare.
Sasuke lo seguì per un breve tratto, nuotava appena sotto la superficie del mare, zizzagando sotto l’imbarcazione.
La sua coda brillava dei colori del tramonto, come cosparsa di gemme. Naruto l’osservò sospirando, era sul punto di staccarsi dai remi per immergere un braccio e provare a sfiorarla. Per dargli fastidio o che altro non sapeva nemmeno lui. In un attimo il tritone scomparve nel nulla tra un’onda più gonfia delle altre e la bianca schiuma. Gabbiani dalla livrea giovanile volavano bassi emettendo versi striduli, poi risalivano in alto nel cielo e contro il sole spiegavano le ali nere.









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Capitolo 4
*** Quarto capitolo ***


ultimo cap tritone



Il tempo era sereno e il cielo era scalfito da sporadiche nuvole bianche. Naruto stava costruendo una trappola in corda intrecciata per polipi, malgrado le dita tozze aveva una grande manualità .

“Allora sei buono in qualcosa.”

Sobbalzò appena. Si era ormai abituato allo sguardo di Sasuke fisso su di lui e al silenzio leggero sceso tra loro.
“Ah! Ma sta zitto!” Gli tirò una spallata e Sasuke rispose spingendolo con altrettanta forza. Naruto si sbilanciò e rischiò di perdere la cesta in mare.
Il tritone scese in acqua. Si erano messi seduti sul culmine di un molo di legno dall’aspetto dimesso, in quel modo Sasuke in caso di necessità avrebbe potuto nascondersi sott’acqua rapidamente.
“Lasciami finire in pace!” Sbraitò Naruto e allungò un piede per colpirlo, ma Sasuke lo bloccò per la caviglia.
“Mi sto annoiando.” Dichiarò scrutandolo con quei suoi occhi neri.
“E io che posso farci?”
“Vorrei vedere casa tua.”
Naruto si grattò la nuca in preda all’imbarazzo, era la prima volta che Sasuke mostrava in modo così palese curiosità nei suoi confronti.
“Non è…” Tentennò un attimo. “non è niente di speciale.”
“Non avrò molte altre occasioni di vedere dove vivete voi umani, ma se non vuoi—”
“Certo che voglio!”
Qualcosa cambiò sul volto di Sasuke, un angolo della bocca appena spostato. Naruto colse al volo quel particolare. “Abito pure qui vicino, da casa mia si vede il mare.” Disse d’istinto con entusiasmo, avrebbe pensato dopo alle conseguenze.
“Ottimo.” Sasuke galleggiò sulla schiena e riversò il capo all'indietro, chiudendo gli occhi. Il sole batteva forte contro il suo viso. “Agiremo col favore delle tenebre.”
“Un appuntamento notturno.” Mugugnò Naruto legando le corde di coir.
Con un colpo di reni Sasuke si rigirò nell’acqua. “Che hai detto?”
“Che va bene! Verrò a prenderti questa sera, verso la piana dove pascolano i cavalli. Casa mia è giù di lì.” Gli indicò la zona con un vago gesto della mano.
Sasuke non lo guardò nemmeno, s’incassò nelle spalle e sbatté la coda. “Non so che intendi per appuntamento, idiota, ma la mia è semplice curiosità.” Disse così serio che Naruto non poté trattenersi dallo scoppiare a ridere.




La notte era limpida e tirava un leggero maestrale. Naruto per qualche ragione sentiva che Sasuke questa volta sarebbe stato puntuale. Avanzò faticosamente con la carriola sulla spiaggia, non era riuscito a pensare a nulla di meglio per trasportare il tritone sino a casa.
Vide la coda guizzare fuori dall’acqua e brillare riflettendo la luce della luna.
Naruto appoggiò sulla sabbia la lanterna a olio e si accovacciò, le onde che s’infrangevano placide sulla riva gli sfioravano i piedi.
“Ehi! Sasuke!” Disse a voce bassa.
Il tritone emerse dall’acqua e si fece più vicino. Teneva per la coda una sogliola di modeste dimensioni. “Non urlare, idiota.”
“Io…” Naruto strinse i denti. “Io non stavo urlando! Ci stavo facendo attenzione!”
Sasuke ghignò e Naruto capì di essere cascato in pieno nelle sue stupide provocazioni.
Il tritone gli porse il pesce. Sanguinava ancora dalle branchie e il ventre biancastro riluceva a tratti nell’oscurità.
Naruto accettò felice l’offerta. “Wow! Che bell’esemplare.” Osservò accuratamente la sogliola e l'agitò  un paio di volte davanti al viso per vedere se reagiva ancora.
“È per sdebitarmi dell’ospitalità.” Disse e facendo leva sulle braccia iniziò a trascinarsi fuori dall’acqua. “Dai, andiamo.”
Naruto fece un mezzo sorriso stupito. Raccolse la lanterna, illuminando il corpo del tritone. “Così non ce la faremo mai.”
“Che intendi?” Si girò di scatto e dovette schermarsi gli occhi con una mano a causa della luce intensa prodotta dalla lampadina. “Hai detto che casa tua è vicina al mare... e levami questa luce dalla faccia!”
Naruto alzò lo sguardo. “Ho detto che si vede il mare, non mi ascolti allora. Dista mezzo chilometro.”
Vide le spalle di Sasuke fremere e pensò fosse rabbia, ma forse era semplicemente molto dispiaciuto.
“Finiremo per farci scoprire…“
“Per questo ho portato una carriola!” Disse battendosi il palmo aperto sul petto.
Sasuke guardò il mezzo di trasporto sconfortato: una stupida carriola verde mezza arrugginita. Aggrottò la fronte, si sentiva preso in giro ma si rendeva conto che mancavano alternative valide.
Naruto lo aiutò a salirci sopra, ovvero lo scaraventò dentro a fatica. Il tritone ci stava a malapena e la lunga coda quasi toccava terra.
Naruto afferrò i manici e spinse. Anche se l’aria era fresca dopo poco tempo iniziò a grondare sudore e la canottiera gli si appiccò alla schiena madida.
Appena imboccato il sentiero di sassi, Sasuke spense il fuoco della lanterna che Naruto gli aveva affidato per illuminare il cammino.
“Che diavolo fai? Non si vede più niente!”
“Era troppo rischioso, avrebbero potuto scoprirci.” Disse. “Stai calmo ci vedo bene al buio.”
“Ma non sai la strada.” Replicò Naruto, facendo attenzione a parlare a bassa voce.
“Anche i tuoi occhi si abitueranno presto all’oscurità.”
Il sentiero attraversava campi brulli, l’erba era rada e bruciata dal sole, sparsi qua e là c’erano dei piccoli arbusti tra i cui rami i piccoli uccellini trovavano rifugio.
Un fruscio di sterpaglie e il rintocco di zoccoli sul terreno segnalarono la presenza di un branco di cavallini dell’Isola. Alcuni pascolavano spostandosi con passo lento e cadenzato, altri invece si fermavano a osservarli incuriositi. I loro grandi occhi scuri brillavano nella notte.
Sasuke li osservò in silenzio, era diventato più taciturno del solito. “Quanto puoi resistere fuori dall’acqua?” Disse Naruto sperando di spostare l’attenzione su di sé.
“I miei polmoni sono più piccoli di quelli di voi umani, quindi faccio solo un po’ più di fatica a respirare e non posso fare grossi sforzi sulla terra ferma. Tutto qui.”
“Volevi farti la strada a piedi! Cioè, a mani, trascinandoti in giro! Sei un pazzo!”
“Ti ho detto di non urlare!”
“Chi vuoi che ci senta? Non c’è nessuno qui!”
“Chiudi il becco e spingi.”
“Perché?” Disse Naruto, fingendosi tranquillo. “Stiamo andando troppo piano?”
“Già.”
Naruto si asciugò il sudore dalla fronte e strinse la presa sui manici. “Ora ti faccio vedere!”
Si mise a correre, anche se con le infradito ai piedi faceva una fatica immane. Il terreno era sconnesso e più di una volta rischiò di finire a terra e ribaltare la carriola. Sasuke gli inveì contro inutilmente e quando arrivarono alla discesa Naruto alzò un urlo di felicità. L’irta salita poco dopo però gli stroncò il fiato e verso metà dovette arrendersi e riprendere a camminare.
“Se mi facevi cadere non ne uscivi vivo.” Sibilò cercando di sgranchirsi la schiena che aveva accusato diversi colpi a causa della guida folle del ragazzo.
“Non mi sarei pentito di nulla.” Esclamò Naruto ansando. “Siamo quasi arrivati.”

La casa era piccola, in stile occidentale e dall’intonaco bianco. Il giardino sul davanti era soggetto all’incuria, l’erba era alta e gli alberi di limone mai potati innalzavano al cielo i loro rami sparuti carichi di frutti. Lo steccato basso che circondava la casa s’interrompeva al livello di un vialetto in ghiaia che conduceva all’ingresso. Accatastate alla parete c’erano diverse attrezzature per la pesca, una spessa corda faceva capolino da sotto un telone di plastica che sembrava celare una piccola barca.
Naruto tirò giù Sasuke di peso, anche se fu per un breve istante dovette prenderlo in braccio e sentì qualcosa di strano, un dolore piacevole forse, all’altezza dello stomaco. Una volta messo a terra il tritone si sollevò facendo forza sulle braccia, mentre Naruto gli sorreggeva la coda con qualche difficoltà dato che era grossa, scivolosa e pesava moltissimo.


“Benvenuto a casa!”
L’anticamera era divisa dalla stanza centrale con cucina annessa da un gradino. La sala di appena otto tatami era arredata da un divano, un tavolino basso e un mobile con sopra un televisore. In un angolo troneggiava una pianta di pandanus dalle lunghe foglie impolverate. La stanza era illuminata da un’ampia portafinestra che incorniciava una bella vista sui prati, i boschi di pini e infine un pezzetto di mare. Lo squarcio di cielo visibile era luminoso di stelle.
Stretta tra il divano e il kotatsu c’era una piscinetta per bambini di plastica arancione trasparente decorata con disegni di pesci farfalla.
Sasuke sollevò un sopracciglio.
“Pensavo fossi più comodo in qualcosa che ti ricordasse il tuo ambiente.” Disse Naruto.
Il tritone commentò con qualcosa d’incomprensibile a denti stretti e nascose il viso dietro i lunghi capelli. Non l’avrebbe mai confessato a voce alta ma aveva apprezzato il gesto.
Si accomodò nell’acqua tiepidina della piscina. La coda rimaneva per metà fuori adagiata sul pavimento, ma rispetto al viaggio ora stava decisamente più comodo.
“Pensavo di portarti nella vasca da bagno, ma poi ci saremmo annoiati dovendo passare tutta la serata lì dentro.” Naruto lo scavalcò per recuperare il telecomando sul divano. “Toh, guardati qualcosa.” Disse accendendo la tv su un canale a caso.
Sasuke dovette strizzare gli occhi, la luce del televisore era davvero fastidiosa nella penombra.

Naruto si mise ai fornelli, intento a cucinare la sogliola gentilmente offerta dall'amico. Non era molto bravo in cucina, sapeva giusto grigliare e miscelare qualche condimento. Aveva l’abitudine di fare le cose di fretta e anche questa volta non pulì accuratamente il pesce cosicché quando lo mangiarono si ritrovarono dei granelli di sabbia sotto i denti.
“Com’è? Non male l’invenzione del fuoco.”
Vide Sasuke accigliarsi. “È buono.” Acconsentì alla fine.
Naruto gli lasciò metà del suo piatto.
Il pesce cotto aveva un sapore delizioso e molto delicato. Il profumo sprigionato dal succo di limone e la sapidità della salsa di soya risvegliarono i suoi sensi. Sasuke era certo che non avrebbe mai dimenticato quei sapori e odori.
In tv davano la replica della partita di baseball del mercoledì, gli Indians contro i Minnesota Twins. Nonostante sapesse già i risultati Naruto non riuscì a trattenersi dall'esultare per una valida della sua squadra preferita.
Sasuke lo fissò perplesso, non capiva tanto entusiasmo per... per qualunque cosa fosse quello che stavano guardando.
Naruto intercettò il suo sguardo e gli accennò un sorriso.
“Si chiama baseball, è un gioco di squadra molto famoso e divertente. Ci sono nove giocatori per squadra e nove fasi chiamate inning in cui ogni squadra ha un turno di battuta. Quello lì con la mazza in mano è il battitore, chiaro? E deve tentare di segnare.”
Sasuke inclinò il viso e storse la bocca. “Non ho capito, come diavolo dovrebbero segnare? Non c’è nemmeno una porta.”
A Naruto s’illuminarono gli occhi, le parti si erano ribaltate e per una volta era Sasuke quello completamente ignaro, si sentì particolarmente utile. Spiegò in modo semplice, ma senza omettere particolari, e ogni tanto si faceva prendere dall’entusiasmo raccontandogli qualche aneddoto sui suoi compagni di squadra.
Sasuke rimase stupito da quanta sicurezza dimostrasse Naruto in quel momento, non sembrava più il solito ragazzo imbranato e un po’ superficiale. Il baseball sembrava stargli veramente a cuore.
“Sakura è pazzesca, lei batte più forte di qualsiasi giocatore io abbia mai incontrato. Purtroppo il prossimo anno dovremmo dividerci in squadre diverse.”
“Perché mai?”
“Maschi e femmine non giocano insieme a livello agonistico. Potremmo continuare ad allenarci insieme ma non sarà più la stessa cosa.”
“Ti dispiace così tanto?”
“Beh, sì.” Naruto si passò una mano dietro la nuca. Spense il televisore e la sala illuminata solo dalla luce della luna sembrò sprofondare nelle acque quiete e misteriose dell’oceano.
“Si vede la via lattea.” Sasuke lo invitò a guardare attraverso la finestra il drappo violetto di stelle avvolto da un pallido chiarore.
“Già. Le stelle sembrano così vicine questa notte.”
“Naruto.”
Il ragazzo si girò guardandolo in viso.
“Vivi qui da solo?”
“Vivevo insieme a mio zio Jiraiya fino a quando, un paio di mesi fa, non si è ammalato gravemente al cuore ed è stato ricoverato in ospedale.” Naruto rigirò le bacchette di legno tra le dita. “Stavamo così bene insieme. Non ricordo molto dei miei genitori e lui è la persona che si è sempre presa cura di me da quando ero piccolo. “
Sasuke sbarrò gli occhi. “Perché non me ne hai parlato?”
“Io…” Naruto distolse lo sguardo e tornò a osservare il cielo. “Io mi vergognavo.”
Sasuke sferrò un pugno nell’acqua, sollevando schizzi. “Di cosa dovresti vergognarti, dello zio che sta male? Idio—”
“Non sono più riuscito ad andare a trovarlo, capisci? Non ne ho più avuto la forza. È di questo che provo vergogna.” Naruto si guardò i palmi aperti, la sua voce era calma, inerme, e Sasuke capì che qualcosa era sfuggito completamente al suo controllo. Aveva sottovaluto quel ragazzo.
“Tuo zio… sta così male? Sono certo guarirà presto, me ne hai sempre parlato come un uomo forte.” Disse deciso.
Naruto si asciugò l’angolo dell’occhio. “I medici gli hanno dato pochi mesi. L’operazione che poteva salvarlo non è riuscita e ora è in coma.”
Sasuke rimase in silenzio, aspettando che fosse l’amico a rimettere in ordine i pensieri.
“Ogni volta che ne parlo, non va bene, perché sento il cuore stringersi.” Naruto si prese la canottiera e ne strizzò la stoffa. “È come se facesse freddo all’improvviso, inizio a piangere fissando questa finestra e non riesco più ad alzarmi per tutta la giornata. L’idea di restare da solo…” Si passò una mano sul collo come a svelare un senso di soffocamento. “questo senso di solitudine alle volte è insopportabile.”
“So bene di cosa parli.”
“Anche tu senti la mancanza di qualcuno?” Naruto si sporse verso la piscinetta.
“Di mio fratello, dei miei genitori e non solo. Di tutti, perché non è rimasto più nessuno della mia stirpe.”
“Vorresti dire—”
“Che sono l’ultimo tritone rimasto, non c’è più nessun altro come me.”
Lo stupore, la rabbia e la tristezza si susseguirono sul volto di Naruto in un goffo guazzabuglio. Sentì di aver sbagliato tutto perché aveva creduto fin dall’inizio che lui e Sasuke fossero simili, che potessero comprendersi a vicenda e invece non era affatto così. I ruoli al contrario di ogni aspettativa si erano invertiti ed era lui a non poter assolutamente comprendere Sasuke. Perché la sua solitudine era immensa come l’universo, incalcolabile come le stelle nel cielo di Yonaguni. Gli afferrò un braccio, anche se si sentiva un puntino insignificante non gli avrebbe permesso di portare quel peso da solo. Gli si buttò addosso, abbracciandolo. Il peso dei loro corpi schiacciò un lato della piscinetta e l’acqua si riversò lentamente sul pavimento.
“Che fai? Sei impazzito?” Sasuke oppose una debole resistenza che terminò non appena sentì le lacrime tiepide di Naruto bagnargli l’incavo del collo.
“Anche se siamo così diversi non ha importanza.” Mormorò Naruto stringendolo a sé.
Sasuke lo lasciò fare e inconsciamente regolò il ritmo del proprio respiro su quello dell’amico.
“Io non ti lascerò mai solo.”
Circondò a sua volta Naruto con un braccio e con le dita gli sfiorò i capelli morbidi. Socchiuse gli occhi e osservò il soffitto soffusamente illuminato.









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