Till death do us part

di Tigre Rossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi ***
Capitolo 2: *** Tra Vita e Morte ***
Capitolo 3: *** Ombra di ciò che non è più ***
Capitolo 4: *** Primavera svanita ***



Capitolo 1
*** Prologo - Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi ***


 

 

Till death do us part

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Faccio sempre lo stesso sogno, ogni singola volta che chiudo gli occhi.


 

Sono solo in mezzo alla neve, i rumori della battaglia insolitamente quieti, come resi silenti da una leggera nebbia.

Tutto, attorno a me, è sfocato.

Non riesco a vedere nulla, a parte una piccola ombra quasi evanescente, troppo lontana da me per riuscire a disgiungerla con chiarezza.

Una voce mi sfiora, portata fino a me dal vento e distorta da questo vuoto. Ma, per quanto possa essere lontana e contorta, i miei piedi si muovono per seguirla, quasi l’avessero riconosciuta, quasi sapessero che sta chiamando me.

Ad ogni passo, l’ombra diventa sempre più nitida e sempre più vicina, e solo quando ormai riesco a distinguere i lineamenti del suo viso mi rendo conto che a chiamarmi è proprio lei.

La sua voce è appena un sospiro nel silenzio, ma ha il suono di una supplica.

Mi vede e solleva le braccia nella mia direzione, e la mia diventa una corsa disperata.

Quando sono abbastanza vicino da scorgere delle lacrime nei suoi occhi chiari ma non per toccarla, essa si lascia cadere, come un fiore strappato via dalla tempesta.

Un urlo mi sfugge dalle labbra, anche se non ne sono nemmeno consapevole, e corro per raggiungerla.

Ma quando arrivo da lei, quando mi inginocchio al suo fianco e faccio per sollevarla sento qualcosa di umido sotto le dita, qualcosa che non dovrei sentire.

Distolgo lo sguardo dal suo viso pallido quasi a fatica e, quando lo faccio, sento il mondo attorno a me fermarsi.

 

Ho le mani sporche di sangue.

Sporche del suo sangue.

 

“No, no, no . . .”

 

Non riesco a fare altro che ripeterlo, incredulo e senza fiato, perché no, non può essere possibile, non può. Non può essere il suo sangue. Non può essere ferito. Non posso perderlo. La morte non può portarmi via anche lui. Non lui.

Mi chiama, e il mio nome sa quasi di fiele sulle sue labbra spaccate. Tento di rassicurarlo mentre gli tampono la ferita, gli prometto che andrà tutto bene, che la morte non ci separerà.

Cerco di tenerlo ancora con me, con una ostinazione paragonabile alla follia, ma è troppo tardi, e la cosa più crudele è che lo sappiamo entrambi.

La sua stretta attorno alla mia mano si fa sempre più debole e i suoi occhi, quei meravigliosi occhi blu sempre così pieni di energia e calore e vita, improvvisamente vengono privati di tutto questo, svuotati come un cielo privo di stelle.

Il mondo attorno a me smette completamente di esistere quando lo stringo, supplicandolo di non andare.

Ma, ovunque ormai sia, non può più sentirmi e non potrà mai più farlo.

 

 

È a questo punto, di solito, che apro gli occhi.

 

Apro gli occhi, e in teoria tutto questo dovrebbe svanire, no?

Non dovrebbe diventare polvere come qualsiasi altro brutto sogno?

Ma questo non succede mai.

Perché, ogni volta che apro gli occhi, mi rendo conto che non era solo un sogno.

Ogni volta che apro gli occhi, la mia anima agonizzante si mette ad urlare, ricordandomi che sì, è tutto vero.

Tutto questo è davvero successo. Ho davvero perso tutto, in quella battaglia che mai avrebbe dovuto esserci.

 

Bilbo è davvero morto tra le mie braccia.

 

Quel piccolo hobbit dal sorriso puro non tornerà più a casa per colpa mia.

I suoi occhi non vedranno mai più il cielo, il suo cuore non batterai mai più, perché io ho lasciato che la morte se lo portasse via quando invece avrei dovuto proteggerlo.

Bilbo Baggins è morto, e io non potrò mai più vederlo.

Non potrò mai più stringerlo tra le mie braccia, incontrare i suoi occhi, sentire la sua voce.

Non più.

 

 

“Thorin?”

 

 

Non davvero.

 

 

 

 

 

 

Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi.
- David Foster Wallace-

 

 


 

 

 

 

 


 

La tana dell’autrice

 

Sì, dovrei togliermi il vizio di iniziare fic a capitoli quando ho duemila aggiornamenti da mandare avanti. Lo so, lo so davvero! Ma, se con ‘Figlio di Erebor’ sto procedendo, seppur lentamente, l’altra è in pieno stallo -sì, sto modificando alcune linee guida, e a ristrutturarla ci vuole decisamente più tempo di quanto credessi-  e io non riesco proprio a non scrivere una cosa alla volta. Questa storia mi tormentava da un bel po’, forse un anno, e semplicemente alla fine ho ceduto.

Almeno sarà moooolto più corta delle precedente, non ho intenzione di fare una vera long, non ne avrei il tempo. E’ più . . . una lunga short spezzettata. Molto strana, molto triste, decisamente ispirata ad alcuni avvenimenti di Ano hana, di Sherlock, di Tredici e di tante altre cosine deprimenti di cui sono da anni in fissa. No happy ending, no fluff, spero qualche lacrima –io ce provo, eh!- e idee folli della mia testa. Niente di più, niente di meno. Siete avvertiti.

Dopotutto, sapete che sono una malata di angst.

E se c’è una ship adatta a questo genere di storie, quella è la Bagginshield.

 

P.s. No, non è un errore. Nel testo passo volutamente e all’improvviso dall’usare il pronome lei all’usare il lui perché quando Thorin lo vede ferito smette di identificarlo con un’ombra, per quanto sappia che non sia vero, e vede solo il suo Bilbo, unico, tangibile e reale, come se fosse di nuovo lì con lui. Lì, che muore tra le sue braccia per l’ennesima volta.

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Tra Vita e Morte ***


 

 

Tra Vita e Morte

 

 

 

 

 

 

 

“I confini che dividono la Vita dalla Morte sono i più oscuri e vaghi. Chi può dire dove gli uni finiscano, e dove gli altri inizino?”

-Edgar Allan Poe -

 

 

 

 


“Cosa credi che ci sia dopo la morte?”

Thorin si voltò nel sentire quelle parole.

Bilbo era rannicchiato al suo fianco, a fargli compagnia durante il turno di guardia, come ogni notte. Il suo sguardo, insolitamente illeggibile, era perso tra le ombre del bosco attorno a loro, come alla ricerca di qualcosa che nessuno dei due poteva vedere.

“Dopo la morte?” ripeté piano il nano, senza smettere di guardarlo “Perché questa domanda?”.

Lo hobbit si strinse nelle spalle. “Assecondami.” si limitò a mormorare, senza dargli una vera risposta.

Il re esitò per un momento, prima di cedere “Quello in cui credono tutti i nani, ovvero le Sale di Mahal dove aspetteremo l’inizio di un nuovo mondo.”.

L’altro sembrò soppesare le sue parole attentamente ed allora lui continuò, tentando di comprendere cosa l’avesse spinto a porre una domanda tanto insolita “Tu invece cosa credi che ci sia, mastro ladro?”.

Lo scassinatore si mordicchiò il labbro, come se si aspettasse quella domanda ma non sapesse bene in che modo rispondere. “Non lo so.” ammise infine “Ci sono varie linee di pensiero, ma io non riesco a credere con sicurezza a nessuna di esse.”.

Thorin aggrottò la fronte “Come mai?”

Bilbo esitò, evidentemente a disagio, ma poi sospirò e sussurrò “Credo che la morte sia un mistero troppo grande per poterlo conoscere davvero. Ci si illude di comprenderlo, ma in realtà è qualcosa più grande di noi e su cui non abbiamo alcun potere, alcun controllo, niente di niente.”. Si fermò per un breve momento e si strinse con più forza nel mantello del compagno, che gli aveva messo addosso poca prima quando l’aveva visto tremare per il freddo della foresta “È un po’ come l’amore, da questo punto di vista.” aggiunse, quasi timidamente.

“Non credevo che ti interessassi di questi temi.” osservò con il nano dopo averlo studiato per qualche secondo, inclinando appena la testa.

“Non prenderti gioco di me.” sbottò risentito lo hobbit, avvertendo in quell’osservazione un pizzico di canzonatura “Non sono uno sciocco come pensi, sai?”

“Non ho mai detto una cosa del genere.” si affrettò a chiarire il re “Solo non credevo che fossi uno che pensa alla morte. Sei così  . . .”

Si bloccò, incapace di trovare la parola giusta.

Sorridente, forse.

Luminoso, magari.

Sì, Bilbo era tutto questo, ma era anche molto di più. Lui era . . .

Un piccolo raggio di sole, pensò all’improvviso, e seppe che era vero.

Era come un piccolo raggio di sole, capace di illuminare e rendere migliori anche i momenti più grigi. E lui, che aveva visto tante tenebre nella sua vita, sapeva bene quanto un po’ di luce potesse essere preziosa.

“Così?” fece lo hobbit, richiamandolo alla loro conversazione e costringendolo a continuare.

Il nano esitò, prima di scegliere di non dare voce ai suoi veri pensieri “Troppo pieno di vita per pensare a qualcosa del genere.” si limitò a rispondere.

“Oh.” Bilbo parve essere colto completamente di sorpresa da quelle parole. Distolse lo sguardo e sorrise appena, mentre le orecchie a punta gli si coloravano leggermente di rosa “Lo prenderò come un complemento, credo.”

Thorin rispose d’istinto a quel sorriso, anche se l’altro non poteva vederlo.

Poi, però, quel sorriso svanì e la stessa ombra di prima calò sul suo viso, rendendolo di nuovo illeggibile. “Tu non ci pensi mai?” chiese ancora, tormentandosi le mani sottili.

Il più grande si limitò a scuotere la testa e di fronte al suo sguardo confuso si vide costretto a spiegare “L’ho incontrata così tante volte che preferisco cercare di non farlo.”.

Il viso dello hobbit si fece improvvisamente pallido, la consapevolezza che si faceva strada nelle sue iridi blu.“Oh, io . . . m-mi dispiace.” balbettò, senza sapere cosa dire e iniziando a gesticolare in preda all’agitazione“Io non . . . non ho pensato che . . .”

L’altro gli fece segno di calmarsi “Non scusarti.” disse, molto semplicemente “Non ce n’è motivo.”

“Ma . . .” fece per continuare, sentendosi veramente in colpa, ma prima che potesse dire altro il re sospirò e lo afferrò delicatamente ma con fermezza il polso.

“Bilbo.” lo chiamo fermamente per nome, come faceva veramente di rado “Ho detto di non scusarti. Va bene così.”.

Lo scassinatore deglutì e distolse lo sguardo, incapace di reggere quello chiaro e sicuro di lui, ed egli lo lasciò andare.

Rimasero immobili l’uno accanto all’altro per qualche minuto, fino a quando il nano non spezzò il silenzio e disse, lo sguardo perso verso le fiamme del piccolo fuoco che avrebbe dovuto riscaldarli “Sai, la morte può essere spaventosa e terribile e capace di spezzarti il cuore, ma ti insegna anche il valore di ogni singolo momento. Quanto sia importante proteggere la propria vita e quella degli altri ad ogni costo. Quanto bisogna impedire che quel battito che a volte diamo quasi per scontato si fermi.”.

Esitò per un momento, giocando appena con la chiave che portava al collo quasi fosse un talismano, per poi continuare piano“E quando uno lotta ogni giorno per rendere la propria vita degna essere chiamata tale, nel momento in cui si troverà ad affrontare la morte non la temerà, perché saprà di aver vissuto davvero. Questo è tutto ciò che so sulla morte, e non mi interessa nient’altro, finché respiro ancora.”.

Il ladro rimase in silenzio per qualche attimo, assimilando le sue parole.“Questo è . . . molto profondo.”osservò, sinceramente colpito.

L’accenno di un sorriso divertito si formò sulle labbra sottili del re.“Non sono sciocco come pensi, mastro scassinatore.” disse quasi casualmente, scimmiottando la sua frase di poco prima.

Bilbo divenne rosso in volto e in tutta risposta gli diede uno spintone, senza riuscire a smuoverlo nemmeno di un millimetro. “Non prendermi in giro, idiota di un nano, stavamo facendo un discorso serio!” lo rimproverò offeso, per poi scoppiare a ridere alle sue stesse parole e al suo debole attacco. Thorin fece lo stesso, scuotendo appena la testa e guardandolo in un modo che, se l’altro l’avesse notato, gli avrebbe rubato il fiato.

 

‘Cosa farei senza di te, raggio di sole?’

 


 


 

Thorin lo vide per la prima volta dopo la battaglia, quando tutto era avvolto dal silenzio e c’era solo il suo corpo spezzato.


 

Fu lui a portarlo indietro, nonostante le proprie ferite. Non permise a nessuno di toccarlo, nemmeno a Gandalf. Doveva essere lui a farlo, e lo sapeva.

Lo strinse a sé, incurante del sangue rosso ed ancora caldo che gli macchiava le vesti, lo prese tra le sue braccia e lo riportò dentro, dove niente e nessuno avrebbe potuto raggiungerlo e fargli ancora del male. Lo riportò dentro la Montagna, al sicuro tra quelle mura che mai, prima di quel momento, gli erano sembrate tanto fredde.

Non fu faticoso, non nel senso fisico del termine almeno. Lo hobbit era sempre stato leggero, ma in quel momento lo era più che mai, talmente leggero da sembrare fatto d’aria, pronto a sfuggirgli via tra le dita se solo avesse allentato la presa. Portarlo fu facile, ma allo stesso tempo tremendamente difficile. Ogni singolo passo era straziante e quel seppur breve tragitto gli parve più lungo di tutto il viaggio affrontato fino a quel momento.

Una volta al sicuro dentro quella che tanto tempo prima aveva considerato casa sua, stese a terra quel mantello che aveva indossato insieme alla corona di suo nonno e lo adagiò sopra di esso, con delicatezza.

E poi rimase lì a guardarlo per così tanto tempo che nemmeno lui avrebbe saputo dire quanto, dimenticando qualsiasi altra cosa.

 

Come se nient’altro fosse importante.

 

Semplicemente rimase lì, a riempirsi gli occhi che bruciavano di quell’immagine straziante e allo stesso tempo quasi dolce.

Lo hobbit giaceva immobile, i lineamenti del viso distesi e quieti e i grandi occhi blu coperti dalle palpebre sottili.

Era stato lui a chiuderglieli, prima di raccoglierlo da terra. Non poteva sopportare la vista di quelle iridi, una volta semplicemente piene di tutto, ora fisse nel vuoto, incapaci di vedere davvero. Così almeno, aveva pensato, sarebbe sembrato addormentato. E, a guardalo in quel momento, lo sembrava davvero.

Il suo viso era quasi sereno, come se stesse sognando di nuovo la Contea, quella casa a cui aveva rinunciato per quella avventura che forse non avrebbe mai dovuto intraprendere. Le sue mani erano aperte e le braccia stese ai suoi fianchi, proprio come era solito dormire solo nelle notti più tranquille, quando si sentiva al sicuro. Le sue labbra, appena socchiuse, erano ancora rosee e sembravano quasi aspettare che qualche parola, qualche nome soffocato gli sfuggisse nel sonno.

Se si concentrava su quei dettagli, Thorin poteva quasi illudersi che in realtà non fosse successo nulla. Se si sforzava abbastanza, poteva quasi dimenticare quello che era successo e fingere, almeno in quella bolla di tempo immobile che era riuscito a crearsi, che il suo scassinatore fosse solo addormentato e che da un momento all’altro si sarebbe risvegliato, regalandogli un sorriso e annullando ogni suo timore. Se guardava solo i suoi occhi chiusi e quelle labbra aperte come in attesa di qualcosa, poteva quasi crederci davvero.

Ma i suoi occhi chiari erano chiamati da quell’enorme chiazza scarlatta, all’altezza del cuore, e per quanto lottasse per opporsi, alla fine, non poté fare a meno di cedere.

Fu allora che quella fragile e delicata illusione si infranse in mille pezzi, come un castello di vetro infranto da una tempesta.

Il re si portò una mano alla bocca per qualche istante, soffocando l’ennesimo grido da animale ferito che lottava per uscire fuori e tagliare l’aria. Cercò di distogliere lo sguardo, ma non poteva farlo. Tutto ciò che riusciva a vedere era il sangue, quel sangue traditore che era anche sulle sue dita, ancora caldo e dal sapore metallico e il cui contatto lo fece rabbrividire.

Rimase lì, immobile, a fissare quel corpo spezzato a causa sua, per così tanto tempo che si illuse quasi di essere morto anche lui e di essere imprigionato in un momento eterno fino alla fine dei tempi.

Rimase lì, a guardare l’unico cadavere che non avrebbe mai immaginato di dover conoscere, per così tanto tempo che quando una voce lo raggiunse fu certo di essersela solo immaginata.

 

“Thorin . . .”

 

Sì, poteva solo averla immaginata. Quella voce non poteva essere reale. Non dopo che gli era stata rubata per sempre.

Eppure . . .

 

“Mi dispiace.”

 

Quella volta, Thorin alzò di scattò la testa, come se quella voce che sapeva di non poter più sentire fosse davvero lì, come se quella voce che avrebbe riconosciuto tra mille fosse reale e provenisse proprio di fronte a lui, come un eco lontano portato dal vento.

E fu in quel momento che lo vide.

 

Fu allora che vide Bilbo per la prima volta.

 

In piedi dietro al suo corpo infranto, come un fiore schiacciato che dà il suo estremo saluto al sole, il piccolo hobbit aspettava di incontrare il suo sguardo, i grandi occhi blu aperti e lucidi, la scia timida di una lacrima che gli apriva la guancia destra come una ferita.

Ma quella, per quanto delicata, era la sua unica ferita. Non aveva graffi sul viso o sulle mani, né sangue rappreso sul viso. L’enorme macchia rossa che devastava il suo corpo sempre più freddo era stata come strofinata via a forza dal suo cappottino blu, sotto il quale si intravedeva appena il luccichio delicato di mithril, come in un crudele spettro di ciò che avrebbe dovuto essere.

Sembrava stare bene, come se niente gli fosse mai capitato. I suoi capelli ramati erano ordinati, le sue vesti pulite e senza alcun traccia della battaglia. Era sano e salvo, come se niente fosse riuscito a fargli del male, alla fine.

Ma i suoi occhi raccontavano una storia completamente diversa.

I suoi occhi era infranti, spezzati, totalmente smarriti e del tutto persi nei suoi.

I suoi erano gli occhi di chi sta morendo dentro e non riesce ad accettarlo.

 

Thorin si sentì stringere il cuore e per un folle momento dimenticò completamente il corpo steso di fronte a lui.

Tutto quello che vedeva era quella ombra, salva e perduta alla stesso tempo.

Incapace di muoversi o di parlare, restò a guardare mentre quella figura quasi impalpabile che non poteva essere reale si mordeva le labbra esangui e allungava una mano verso il suo viso.

 

“Mi dispiace così tanto, Thorin . . .” sussurrò, ma prima che potesse dire di più un’altra mano, decisamente reale, si posò sulla spalla del nano, facendolo girare di scatto.

 

Dwalin era dietro di lui, il viso stanco di chi ha visto troppa morte e gli occhi consapevoli di chi sa cosa vuol dire raccogliere l’ultimo respiro di qualcuno.

“Stai bene?” chiese piano, evidentemente preoccupato.

Il re fece un breve gesto sbrigativo e si voltò di nuovo, come per trattenere a sé quella che doveva essere stata solo un’illusione della sua mente provata, ma lo hobbit con gli occhi spezzati non era più lì.

C’era solo quel corpo spezzato che, improvvisamente, avvertì mille volte più reale di quanto già non fosse.

E il suo cuore agonizzante riprese a sanguinare.

 

 

 


La seconda volta fu durante il suo funerale.

 


 

Lo celebrarono qualche notte dopo la battaglia, nel preciso momento in cui il sole lasciava il posto alla luna e alle stelle.

La compagnia preparò con cura quel corpo spezzato, riservandogli gli stessi onori che erano dovuti ad un eroe. E Bilbo, in fondo, per loro lo era stato davvero.

Bifur, Bombur e Balin lavarono lo sporco della battaglia, avendo cura di cancellare ogni traccia di sangue come se non avesse mai macchiato quella pelle gelida.

Oin e Gloin fecero in modo di far apparire quelle ferite il meno orribili possibili, lavandole con cura, ricucendole e fasciandole con bende candide e profumate, quasi come se in quel modo potessero ancora guarire.

Dori e Nori lavarono i vestiti che indossava quel giorno e, dopo averli resi come nuovi, lo rivestirono.

Fili gli fece indossare mithril e Dwalin recuperò Pungolo dal campo di battaglia e la pose al suo fianco, perché nessun guerriero può andarsene senza la sua armatura e la sua spada.

Ori e Kili si occuparono del suo giaciglio, adornandolo con tutti i bucaneve che erano riusciti a trovare in mezzo a quella distesa bianca caduta durante lo scontro, in modo che avesse con sé qualcosa che gli ricordasse quella Contea che mai più avrebbe potuto rivedere.

Gandalf, prima che la celebrazione iniziasse, si chinò su quel corpicino freddo ed posò un lieve bacio sulla sua fronte, mormorando una benedizione che mai avrebbe potuto raggiungerlo.

Bofur cantò durante il funerale, un canto lungo e dolente, del tutto differente dalle allegre canzoni irriverenti che i due erano soliti condividere lungo la via. La sua voce tremò per tutto il tempo, ma non si infranse mai. E, lentamente, tutti gli altri si unirono a lui, chi prima, chi dopo, chi solo per un paio di versi, chi fino alla fine.

Tutti loro, attraverso quel funerale e quel canto, dissero addio a quell’amico perso troppo presto e in maniera così improvvisa e crudele.

Tutti, tranne Thorin.

 

Thorin era stato presente in ogni momento, senza mai lasciare il fianco di Bilbo. Era rimasto lì, seguendo ogni singolo preparativo, organizzando ogni cosa, curando ogni dettaglio.

Era stato lui ad ordinare che lo hobbit fosse sepolto nella Montagna, come uno di loro. Era stato lui a scegliere la sua tomba e lui a vegliare il corpo fino alla vera fine.

Si era preparato, per quel momento. Ogni preparativo era non solo un modo per rendere onore allo hobbit caduto, ma anche per riuscire a raccogliere abbastanza forza per dargli il suo ultimo addio.

Gli aveva lavato lui stesso i corti ricci ramati, togliendogli così dalle ciocche quel sangue secco, e gli aveva intrecciato i capelli, impreziosendoglieli con dei piccoli fiorellini azzurri.

Li avevano trovati in una zona riparata della Montagna durante il Dì di Durin, mentre tentavano di raggiungere la porta. Quando li aveva visti, lo hobbit li aveva indicati con l’entusiasmo di un bambino, strattonandogli la manica, incredulo che fossero fioriti così fuori stagione,  con l’inverno alle porte. Li aveva riconosciuti anche lui. Gli aveva già spiegato cosa fossero mesi fa, dopo che l’aveva salvato da Azog.

Piccoli, rari e fragili non ti scordar di me.

Era tornato a cercarli, poco prima del funerale. Era stata l’unica volta in cui si era allontanato dal suo corpo. Li aveva raccolti tutti e, senza nemmeno pensarci, li aveva uniti alle loro trecce tradizionali, così insolite eppure così naturali con quei morbidi ricci ramati.

Dopotutto, erano i fiori più adatti per quella triste occasione.

Aveva fatto tutto nel modo giusto. Si era preparato, aveva fatto ogni cosa possibile per accettare anche quel vuoto. Non avrebbe dovuto avere troppi problemi a riuscirci, nonostante tutto.

Aveva seppellito così tante persone, nella sua lunga vita, aveva lasciato alle sue spalle così tanti visi, che avrebbe dovuto riuscire a dire quell’ultimo addio, se non con facilità, almeno con rassegnazione.

Ma quella volta era diverso.

 

Quella volta non riusciva –non poteva- lasciarlo andare.

Quando guardò per l’ultima volta il viso sereno e quieto di Bilbo, prima che i suoi compagni chiudessero la tomba, si rese conto di non averne la forza.

Non poteva dirgli addio.

Non a lui. Non quella notte.

Non sarebbe mai riuscito a dirglielo, proprio come non era riuscito a dirgli molte altre cose.

 

Chiuse gli occhi per impedire a se stesso di crollare un’altra volta, mente lasciava andare la mano dello scassinatore che aveva stretto per tutto il tempo.

Rimase lì, immobile, mentre il canto sfumava e la compagnia seppelliva il corpo, lottando per mantenere il controllo, per non sentire la propria anima infrangersi un’altra volta.

Rimase così, ad occhi chiusi, fino a quando qualcosa lo sfiorò appena, come un soffio di vento o un sospiro sospeso nel vuoto.

 

“Oh, ragazzi. Non avrei mai pensato che avreste fatto una cosa del genere per me.”

 

Throin spalancò gli occhi, riconoscendo come in un sogno quella voce.

Voltò appena la testa verso la sua destra e lì, con un’espressione sorpresa e toccata, stava il piccolo hobbit, esattamente come l’aveva visto il giorno della battaglia.

Questa volta, però, non lo stava guardando. Forse non si era nemmeno accorto di essere accanto a lui.

I suoi grandi occhi blu, lucidi ed emozionati, erano fissi sulla sua tomba appena chiusa e sul resto della compagnia, che sussurrava contro la pietra brevi preghiere e benedizioni in khuzdul.

Il nano rimase fermo, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla figura fragile al suo fianco, ma questa era completamente concentrata su ciò che aveva davanti.

 

“Non credevo di essere tanto importante, per nessuno di voi.” mormorò ancora l’ombra, mentre i suoi occhi accarezzavano con affetto i compagni.

Si fermò un momento, come lottando contro un singhiozzo, e solo in quel momento il re si rese conto che aveva le mani giunte e stava accarezzando, quasi con riverenza, un minuscolo e delicato non ti scordar di me.

Bilbo abbassò la testa, quasi non avesse la forza di fare altro, e poi sussurrò a voce talmente bassa e ferita che l’altro poté coglierla solo a fatica “E soprattutto non credevo di esserlo per te, Thorin. Non così.”.

 

Thorin trattenne il fiato, mentre il proprio cuore si fermava.

Lentamente, senza rendersene conto, sollevò una mano, come per cercare di toccarlo, ma prima che potesse farlo Balin lo raggiunse, chiamandolo gentilmente e facendogli distogliere appena lo sguardo.

Fu un secondo, ma bastò per perdere, anche quella volta, quella fragile illusione tanto dolorosa quanto dolce.

Ma il cuore del re non ricominciò comunque a battere.

 

 

La terza volta fu quando si svegliò urlando nell’oscurità per quella che non sarebbe stata l’ultima notte.


 

Era riuscito finalmente a sognare, dopo tanto tempo. Ma il suo sogno si era trasformato in un incubo, un incubo che sapeva essere più che reale, per quanto avrebbe voluto con tutto se stesso credere il contrario.

Per questo si svegliò urlando, quella notte.

Per questo si mise a sedere sul letto, ansimando a fatica e tentando di calmare il proprio respiro, mentre gli occhi gli bruciavano come carboni ardenti.

Strinse con forza i pugni, cercando di scacciare quelle immagini che, sotto le palpebre chiuse, si ripetevano ancora ed ancora ed ancora, senza dargli pace, aumentando il vuoto che lo stava divorando vivo.

Ansimò, tentando di pensare ad altro che non fosse quel corpicino spezzato tra le sue braccia, quegli enormi occhi vuoti, quella luce improvvisamente spenta, quella voce tremante che chiamava il suo nome . . .

 

“Thorin ?”

 

Quella voce.

 

Il nano si bloccò, il fiato improvvisamente intrappolato nella gola che pizzicava per le sue urla di prima. Rimase fermo, in ascolto, in attesa di quella voce che sembrava uscita direttamente dai suoi incubi.

 

“Era solo un sogno.” continuò la voce come in un sospiro, dolce e delicata come raramente l’aveva sentita “Stai bene. Va tutto bene, ora.”

 

A quel punto, il re non ce la fece più.

Alzò di scatto la testa e lì, rannicchiato di fronte a lui con un’espressione tenera ma preoccupata, stava il suo scassinatore, come se fosse sempre stato lì.

I loro occhi si incontrarono e fu allora, quando finalmente poté sfiorare di nuovo quelle iridi blu colme di luce, che egli si lasciò sfuggire un nome che non pronunciava dal giorno della battaglia.

 

“Bilbo . . .”

 

L’ombra luminosa davanti a lui si bloccò, improvvisamente incredula, come se avesse smesso di respirare.

L’altro temette per un momento che sarebbe scomparsa di nuovo, ma non fu così. Rimase lì, di fronte a lui, a guardarlo come se stesse assistendo ad un miracolo in cui mai avrebbe osato credere.

“N-non è possibile.” balbettò alla fine, portandosi una mano alla bocca nonostante tremasse visibilmente .

“Tu . . . riesci a sentirmi? Riesci a vedermi?” chiese, la voce incerta e spaventata, quasi avesse paura di mettere fine a tutto ciò ponendo quelle domande.

Il re non rispose, troppo preso a studiare quel viso che pensava di non poter mai più vedere, ma i suoi occhi parlavano per lui.

Una lacrima, pallida e solitaria, rigò la guancia di Bilbo, proprio come nel giorno della battaglia, ma questa volta un piccolo ed incredulo sorriso era lì ad alleviare il dolore di quella ferita.

“Thorin . . .”

 

Dopo quella volta, semplicemente, Thorin smise di contare.

 

 

 

 

 


 

La tana dell’autrice

Eccomi qui con un capitolo un po’ lento, ma necessario per prendere il via. Sono tornata alla terza persona, che manterrò per il resto della storia, ma non è detto che qua e là non faccia qualche eccezione . . . questa storia è tutta un enorme esperimento, davvero!

Ora, andando nel tecnico : so che i non ti scordar di me non sbocciano a novembre, ma tra maggio e luglio. Se sono presenti durante il funerale c’è un motivo molto importante, che sarà rivelato più avanti. Anche i bucaneve sbocciano più verso gennaio, ma ho voluto fare uno strappo alla regola e usarli lo stesso, perché non ho trovato altri fiori da poter tirare fuori da quelle benedetta neve.

Dal prossimo capitolo la storia prenderà davvero il via e, quasi sicuramente, nel testo ci sarà in quasi ogni capitolo una qualche citazione interna, quindi agli appassionati di queste cose occhi aperti!

Se volete leggere questa storia con lo stesso sottofondo con cui la sto scrivendo, vi segnalo le bellissime canzoni ‘You are my sunshine’ e ‘Hold on’, quest’ultima by Chord Overstreet. Sono semplicemente le cose più tristi e allo stesso tempo dolci del mondo, e credo esprimano bene l’idea di questa storia.

Un abbraccio e a presto

T.r.

 

 

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Capitolo 3
*** Ombra di ciò che non è più ***


 

Ombra di ciò che non è più

 

 


 

“I fantasmi.
Prendono forma al chiaro di luna,
si materializzano nei sogni.
Ombre. Sagome
di ciò che non è più.”
-Ellen Hopkins-

 

 

 

 


“Thorin?”

Il nano dai capelli corvini alzò lo sguardo, incontrando quello limpido ma teso di Bilbo, che aspettava accanto alla porta, quasi incerto se entrare o meno.

Un piccolo accenno di sorriso –qualcosa di così raro, in quei ultimi giorni- gli illuminò brevemente  il viso. “Vieni pure, mastro scassinatore.” lo invitò, facendogli appena segno col capo.

Lo hobbit ubbidì, avvicinandosi con passo esitante e scrutandolo come se stesse cercando qualcosa nel suo viso che però non riuscì a trovare. Forse fu questo, nonostante la sua titubanza, a spingerlo a parlare con più forza e decisione di quanto si sarebbe mai aspettato lui stesso.

“Sei davvero deciso allora?” chiese, indicando con il mento la spada che l’altro stava pulendo ed affilando con attenta cura “Vuoi davvero una guerra che non possiamo vincere?”.

Il guerriero sospirò appena. Avrebbe dovuto aspettarselo. Sapeva che nessuno, all’interno di quella Montagna, era d’accordo con la sua decisione. Lo poteva vedere nei visi dei suoi compagni, negli sguardi preoccupati di Balin e Dwalin, nelle espressioni confuse ed allarmate di Fili e Kili, ma nessuno aveva osato dire niente a riguardo, se non qualche lieve timore che lui aveva stroncato sul nascere. Nessuno, tranne Bilbo. Il giovane ladro considerava quell’idea folle ed insensata e non aveva alcuna paura di ammetterlo, anzi. Aveva provato a discuterne più volte ed a lungo, senza preoccuparsi minimamente di poter incorrere nella sua ira, ma il rischio, almeno con lui, non esisteva.

“Ho già parlato di questo a sufficienza.” rispose con calma, continuando a lavorare “Non c’è alcuna guerra che la stirpe di Durin non possa . . .”

“Non possa vincere, sì, lo so. La solita cantilena.” finì la frase l’altro, alzando esasperato gli occhi al cielo “Scusami, ma ho un po’ di difficoltà a crederti, considerando che ci aspetta un intero esercito e noi siamo appena una manciata di persone. Esattamente come credi di poter vincere una guerra con questi presupposti?”.

Il nano sollevò la lama per studiarla bene, per poi ripetere piano “Come ti ho già detto, non sottovalutarmi.”

“Io non . . .” lo hobbit sospirò e decise di cambiare tattica. “Al resto della Compagnia non ci pensi? Alla tua famiglia? Ai ragazzi?” chiese, allargando le braccia e riuscendo a catture finalmente la sua attenzione “Potrebbero morire, domani. Tu potresti morire. Tutti noi potremmo morire. Anzi, è praticamente certo che moriremo, se qualche miracolo di Eru non verrà in nostro soccorso e, non lo so, ci farà cascare un esercito dal cielo!”

Thorin, cogliendo la preoccupazione nella sua voce sempre più alta ed irritata, finalmente posò la spada accanto a sé e si alzò, incontrando di nuovo il suo sguardo.

Si avvicinò a lui senza mai distogliere lo sguardo e lo scassinatore rimase fermo a sostenerlo, respirando affannosamente per la tensione. Il sovrano si fermò ad appena un passo da lui e rimase a fissarlo per qualche secondo, per poi lascarsi sfuggire ancora una volta l’accenno di un sorriso, cogliendolo completamente di sorpresa.

“Non temere, mastro Baggins.” lo rassicurò con un tono gentile che non sembrava quasi nemmeno il suo“Nessuno di noi morirà. Questa guerra finirà prima di quanto tu possa immaginare.”

Si fermò per un momento e lo hobbit socchiuse le labbra per replicare, ma prima che potesse farlo egli gli posò una mano sul collo, con la delicatezza di un avaro che sfiora il proprio tesoro, lasciandolo per un breve, interminabile momento senza fiato.

“E presto, tu sarai di nuovo a casa tua, a piantare la tua ghianda ed a vederla diventare una quercia.” aggiunse con tenerezza, gli occhi blu che brillavano come ben poco avevano fatto da quando erano giunti ad Erebor.

Lo scassinatore sbatté le ciglia un paio di volte, senza assolutamente sapere cosa dire o cosa fare, ma dopo avergli sfiorato appena qualche centimetro di pelle con la punta dei polpastrelli Thorin ritrasse la mano, sussurrando un deciso “Te lo prometto.”.

Bilbo abbassò appena lo sguardo, il cuore che tremava, del tutto impreparato.

“Lo spero davvero.”

 

Non sono riuscito a mantenere nemmeno quella promessa.

 

 

 

 

“Non pensavo che le vostre riunioni sarebbero state sempre così noiose.” sbruffò una vocetta annoiata appena a pochi passi da lui, ma Thorin si costrinse ad ignorarla e a concentrarsi sulle carte che aveva davanti, cercando di non dar peso a quella improvvisa stretta attorno al proprio cuore.

Non ascoltarlo.

“Niente da riferire dal turno di guardia notturno?” chiese forse con voce fin troppo alta, ma non abbastanza per coprire quella che aveva appena udito e continuava a mormorare in sottofondo qualche lieve lamentela.

Dwalin, seduto alla sua sinistra attorno al largo tavolo di quercia, scosse appena la testa “Tutto tranquillo.”

Prima che il re potesse chiedere altro si inserì Balin, allungando verso di lui una lettera aperta. “Stamattina è arrivato un corvo di lady Dis.” spiegò mentre egli la prendeva “Lei e il primo gruppo da Ered Luin partiranno non appena la neve si scioglierà e il tempo sarà abbastanza stabile per permettergli di viaggiare, quindi al massimo tra un paio di mesi.”.

Il nano diede un’occhiata veloce al messaggio, soffermandosi qualche secondo in più sulla firma della sorella, familiare e in qualche modo rassicurante, scritta velocemente ma con grazia in fondo alla pagina. “Bene.” commentò, sinceramente sollevato da quella notizia.

“Oh, sono davvero curioso di vederla!” commentò di nuovo la voce petulante “Sono certo che è molto più socievole di un certo nano di mia conoscenza. E che sa ascoltare quando le si parla, soprattutto.”.

Il guerriero fece un rumore sordo con la gola, per poi riprendere il controllo.

Non ascoltarlo, non ascoltarlo.

“Le scorte di cibo?” chiese ancora, fingendo ostinatamente di non aver sentito nulla.

Il piccolo Dori, rannicchiato accanto a Balin e quasi nascosto dietro una pila enorme di pergamene, si affrettò a rispondere “Sono sufficienti ancora per due settimane, ma converrebbe rifornirci prima che la strada ghiacci di nuovo.”

L’altro si accarezzò piano la barba, pensieroso, prima di ordinare al nipote più grande, seduto proprio accanto a lui “Invia un corvo a Dale ed organizza un incontro con Bard entro i prossimi tre giorni. Gli ultimi rifornimenti da Bosco Atro dovrebbero essere arrivati, ormai.”

Fili annuì, prendendo in fretta appunti. Lo zio notò la mano della spada tremare impercettibilmente ma preferì non commentare, pur di non dare inizio all’ennesima discussione. Nonostante ciò il suo tentativo di mantenere la tranquillità non era destinato a durare.

Infatti il ragazzo, con ancora la penna in mano e lo sguardo fisso sul foglio, propose un po’ arditamente “Potremmo andare io e Kili, questa settimana. Possiamo occuparci noi degli scambi e dei pagamenti. Non c’è bisogno che lasci tu stesso la Montagna ogni volta.”.

Thorin trattenne a stento un sospiro rassegnato. Avrebbe dovuto aspettarsi quell’obbiezione, dopotutto.

“Non se ne parla.” disse in un tono che non ammetteva repliche, cosa che il nipote ignorò deliberatamente, alzando lo sguardo e protestando con decisione.

“Zio, andiamo.” insistette “Affidaci qualcuno dei tuoi compiti. Siamo i tuoi eredi, puoi fidarti di noi.”.

Il re si costrinse a sorridere di fronte a quell’ennesima dimostrazione di affetto e lealtà. “Mi fido di voi.” lo rassicurò, posandogli una mano sulla spalla “Ma come hai appena detto, siete i miei eredi, ed in quanto tali avete compiti diversi dai miei. Compiti che al momento non contemplano viaggi a Dale.”.

“Ma . . .”

“È la mia ultima parola a riguardo.” lo bloccò, la voce improvvisamente ferma e decisa, ritirando la mano e tornando a studiare le proprie carte mentre al suo fianco il nipote chiudeva per un istante gli occhi, esasperato per quella nuova sconfitta.

Dopo qualche secondo di silenzio, la voce insistente, ora quasi gentile, si intromise di nuovo “Dovresti davvero lasciarli uscire. Stanno facendo la muffa, chiusi qua dentro da più di un mese. E sai che i tuoi nipoti non sanno stare belli tranquilli in un angolino. Temo abbiano preso decisamente da te, purtroppo.”.

Il nano strinse i denti, lottando contro se stesso per non reagire.

Non. Ascoltarlo.

La voce, improvvisamente più vicina, aggiunse ancora, con ancora più dolcezza “Non puoi proteggerli mettendoli sotto una campana di vetro, lo sai. Non funziona così. Dovresti averlo capito, ormai. Come puoi pretendere di riuscirci, se non ha funzionato nemmeno con me?”.

Prima di potersene rendere conto, Thorin alzò lo sguardo di scatto, come ogni singola volta che la voce pronunciava qualcosa di fin troppo doloroso da poter essere ignorata. Non durò nemmeno un intero secondo, ma scorgere appena la sagoma evanescente eppure chiara di Bilbo, in piedi accanto a Fili, fece male quanto la volta precedente, e quella prima, e quella prima ancora.

Il re si costrinse a distogliere lo sguardo prima che l’ombra potesse rendersene conto e, con voce appena tentennante, chiese in fretta “C’è altro?”.

Il resto del consiglio scosse appena la testa e allora egli, senza troppe cerimonie, pose fine alla riunione giornaliera e uscì dalla stanza più velocemente che poté senza destar sospetti o far notare agli altri la sua fretta d’allontanarsi da quella ombra invisibile a qualsiasi occhi, tranne che ai suoi.

Nessuno della Compagnia doveva sapere.

Nessuno avrebbe mai dovuto sapere.

 

Prima che potesse andare troppo lontano, però, una mano gentile ma salda si fermò sul suo avambraccio, trattenendolo mentre tutti gli altri nani si recavano alle proprie occupazione giornaliere.

Thorin contò mentalmente fino a tre e poi si voltò, ritrovandosi davanti il volto gentile ma serio di Balin.

“Che cosa ho dimenticato, questa volta?” chiese bruscamente, ma non con reale cattiveria. Sapeva che i suoi modi duri avevano l’effetto di allontanare gli altri, e in quel momento sentiva solo il bisogno di stare lontano da tutto e tutti, almeno per un po’. Ma Balin lo conosceva da una vita, l’aveva visto crescere e sapeva come non farsi intimorire da uno sguardo gelido e un tono tagliente.

Il vecchio nano infatti fece un piccolo sorriso nel lasciarlo andare e disse, con tutta la semplicità del mondo “Hai dimenticato che il consiglio reale serve per consigliare il re, non solo per ripetere informazioni ch tu stesso conosci benissimo.”.

Il corvino incrociò le braccia, cercando di capire dove il suo vecchio istruttore volesse andare a parare “Aye, mi è chiaro il concetto di consiglio reale.” replicò “Quindi?”.

“Quindi, quando qualcuno di noi ti da’ un consiglio, dovresti ascoltarlo. Anche se viene dai tuoi nipoti. Anzi, soprattutto se viene dai tuoi nipoti.” continuò l’anziano con infinita pazienza “Permettigli di farsi carico di un paio dei tuoi doveri. Ne sono più che capaci e gli farà bene avere veramente qualcosa da fare. Un piccolo viaggio a Dale, dovutamente accompagnati, sarebbe una buona idea.”.

“Vedi che non sono l’unico a dirlo?” intervenne nuovamente, quasi confortata, la voce di Bilbo, che sembrava quasi provenire dalla sua sinistra, appena qualche passo dietro di lui “Grazie Balin, forse questo maledetto testardo ascolterà almeno te.”.

Il guerriero strinse i denti e si impose di concentrarsi sulla persona che aveva davanti. “Ascolto tutti i vostri consigli, ma sta a me scegliere se accettarli o meno. E questo non posso accettarlo.” rispose, tentando di usare il proprio tono più ragionevole e pacato “Non credo che sia ancora il caso di fargli lasciare la Montagna, anche se per poche ore. La mano di Fili trema ancora e Kili ha ripreso da poco a camminare come si deve . . .”.

“Ma nel frattempo quelle piccole pesti hanno ricominciato a saltellare in giro per Erebor come due grilli vagabondi. Oin stesso ritiene che si stiano riprendendo alla grande e che tenerli impegnati con qualcosa che non sia solo mandare messaggi e controllare i corvi gli farebbe bene.” lo bloccò in fretta il consigliere, per poi aggiungere prima che potesse ribattere “E poi, loro non sono gli unici a portarsi ancora dietro le ferite della battaglia ed a doversi prendere cura di se stessi.”.

Thorin lo fulminò con lo sguardo “Sono quasi morti poco più di un mese fa.” sibilò piano.

“Anche tu.” sussurrò la voce, lentamente e quasi con dolore, ora talmente vicina che quelle parole gli sfiorarono la guancia come una fredda carezza.

Non è la stessa cosa.

“Anche tu.” ripeté inconsapevolmente Balin, iniziando a scaldarsi “Eppure da quella notte non ti sei fermato nemmeno un secondo, o sbaglio?”.

Il sovrano tentò di negare, ma l’altro non gli diede modo di farlo “Non sei fatto di mithril, anche se ti piace pensarlo. Non puoi continuare a trascinarti in giro per pura forza di volontà. Permettici di aiutarti, per quel poco che ci è possibile. Hai bisogno di rallentare, di prenderti il tempo di raccogliere di nuovo le forze e di guarire.”.

Egli si affrettò a rassicurarlo, notando la sua preoccupazione “So che ti preoccupi per me, Balin, e lo apprezzo davvero. Ma non c’è alcun bisogno di farlo. Mi sto già riprendendo, anche se zoppico ancora e la spalla continua a farmi male. Sono stato molto peggio in passato, e lo sai fin troppo bene.”

Balin si limitò a scuotere la testa “Non sto parlando di ferite fisiche, ragazzo. Quelle, presto a tardi, anche trascurandole, se ne andranno. Ma ce ne sono altre che non guariranno mai, se tu non gli darai le cure di cui necessitano. E alla lunga ti faranno crollare.”

“Non c’è niente da cui io debba guarire.” ribatté il corvino, questa volta un po’ troppo bruscamente “Sto bene, e sono più che capace di badare a tutti voi. E, quando gli altri arriveranno, sarò capace di badare anche a loro.”.

“Ma sarai capace di badare a te stesso?” si intromise, quasi con stizza, la voce dell’ombra “Perché per esperienza personale posso assicurarti che no, non ne sei per nulla capace.”.

Il re strinse i pugni con forza a quelle parole, irrispettose ma fin troppo sincere.

Non. Devi. Ascoltarlo.

Il nano, notando quel gesto, si mosse verso di lui e gli posò una mano sulla spalla come per tranquillizzarlo. “So che ne sei capace.” lo rassicurò con tutto l’affetto e la sincerità di cui era capace “Per anni non hai fatto altro che prenderti cura del nostro popolo, e so che continuerai a farlo anche quando avrai una corona sulla testa. Sarai un bravo re, Thorin. Ma tutti i bravi re devono ricordarsi, ogni tanto, che anche loro sono importanti.”.

Il corvino gli spostò in un gesto rapido e secco il braccio. “Ho visto i miei nipoti rischiare di morire di fronte ai miei occhi.” affermò con voce fredda e decisa, ritornando all’argomento iniziale della loro discussione “Non li lascerò uscire da questa Montagna fino a quando non saranno di nuovo capaci di affrontare i pericoli che ci sono là fuori. Questa è la mia decisione a riguardo, e non ho intenzione di discuterne ancora. Sono stato chiaro?”.

Il vecchio guerriero indietreggiò appena di un passo, come preso alla sprovvista da quella secca affermazione. Rimase lì, immobile, a sostenere il suo sguardo per qualche secondo, e quando finalmente parlò di nuovo ciò che disse non fu la risposta che l’altro si aspettava.

“Se lui fosse qui ti direbbe esattamente quello che ho detto io. E tu lo ascolteresti.”

Balin non specificò chi fosse quel ‘lui’. Non ce n’era bisogno.

Il figlio di Durin si congelò per un lungo momento, mentre quelle parole gli stringevano il cuore in una morsa, impedendogli di battere. Lottò con forza contro di essa, tentando di allentarla, e appena il sangue riprese a circolare un po’ a fatica nelle sue vene fece un passo in avanti, sostenendo lo sguardo dell’altro con ferma freddezza.

“Forse.” sussurrò, la voce talmente bassa che lui stesso la colse a fatica “Ma lui non è qui.”.

 

Poi, prima che l’anziano amico potesse dire altro, si voltò e alzò lo sguardo verso il corridoio, deciso ad andarsene.

 

Fu solo in quel momento che lo vide lì, in piedi ad appena qualche passo di distanza da lui, talmente vicino che gli sarebbe bastato allungare una mano per toccarlo.

 

Perse un attimo il respiro. Erano settimane che cercava di evitarlo anche solo di sfiorarlo con la coda dell’occhio ed era diventato particolarmente abile nel farlo. Non lo guardava in maniera così diretta e chiara dalla notte dell’incubo, e ciò lo lasciò per qualche istante senza la forza di fare altro se non perdersi in quell’ombra che mai, prima di quel momento, era stata tanto tangibile.

I suoi capelli ramati erano arruffati come se vi avesse passato le mani più volte, come faceva solo nei momenti in cui era davvero troppo teso per riuscire a pensare. La giacca blu era aperta, rivelando il pallido luccichio di mithril, e le mani erano entrambe strette a pugno, come se si stesse trattenendo dal colpire qualcosa.

Ma ciò che lo ferì di più fu il suo viso.

La bocca era socchiusa, come se non riuscisse a respirare, e i grandi occhi blu erano spalancati, colmi di una tempesta di emozioni a cui non poteva, o forse non voleva, dare un nome.

Aveva visto quell’espressione sul suo viso solo una volta, un mese prima, ma non l’aveva più dimenticata. Era la stessa identica espressione del giorno in cui aveva tentato di ucciderlo, cercando di buttarlo lui stesso giù dalle mura.

Quell’identica sensazione di tradimento di quel momento era riflessa lì, in quei occhi blu che ora erano incatenati ai suoi e che, nello stesso istante in cui si incontrarono, si resero conto di essere riusciti, dopo tanto tempo, nel proprio intento.

 

Thorin distolse in fretta lo sguardo, ma ormai era troppo tardi.

 L’aveva guardato, e il riflesso lo sapeva.

“Non sono qui?” ripeté lentamente la voce, con quella gelida calma che prometteva di trasformarsi in tempesta che lui conosceva tanto bene “È questo che pensi, davvero?”.

Il re deglutì a vuoto e si mosse in avanti, prendendo la strada per la sua stanza più velocemente che poté, lasciandosi alle spalle Balin nonostante lo chiamasse insistentemente.

Ma lui non lo sentì nemmeno una volta. Non con la voce di Bilbo che, di parola in parola più furiosa, lo seguiva, urlandogli contro come avrebbe fatto davvero appena un mese prima.

“Non ignorarmi, tu! Non ci provare nemmeno! Sono passate settimane e sono stufo di questo gioco! Stufo, hai capito?”.

Non ascoltarlo.

Il nano continuò a camminare, tentando di ignorare le urla che seguivano i suoi passi, senza realmente riuscirci, mentre la mano destra gli tremava impercettibilmente.

“Si può sapere perché mi stai facendo questo? Puoi vedermi, eppure ti comporti come se non ne fossi capace. Eppure quella sera l’hai ammesso. E l’ho visto nei tuoi occhi, prima. Perché ti comporti come se non fossi qui?”

Ci fu un accenno di singhiozzo, in quell’ultima frase, che lo spinse quasi a girarsi, pallido riflesso di un istinto che si affrettò a reprimere, pur di non cedere. Continuò a camminare, andando contro il suo stesso corpo, che urlava insieme a quella voce distrutta e rabbiosa.

Non . . . qualsiasi cosa dica, non ascoltarlo.

“So che mi senti, dannato nano testardo! Non fingere che la mia voce non riesca a raggiungerti, perché so che non è così. Lo vedo. Il tuo corpo ti tradisce. Le tue mani, i tuoi passi, i tuoi occhi, tutto di te non riesce a nascondere la verità, tranne la tua voce. Parlami, per Eru! Sono proprio qui, accanto a te!”

Lui non è qui. Non davvero. Quindi, non ascoltarlo. Non puoi permettertelo.

Il sovrano arrivò finalmente all’ultimo corridoio che lo separava dalla sua stanza e ciò gli diede la forza di accelerare un po’ il passo.

La voce lo raggiunse un po’ più in ritardo questa volta ed era quasi affannosa, come se non riuscisse a stargli dietro. O come se stesse lottando contro le lacrime.

“Smettila di scappare da me! Rispondimi, maledizione! Guardami!”.

Il corvino esitò, la mano appena posata sulla maniglia, mentre quelle urla lo pugnalavano in frammenti della sua anima che nemmeno sapeva d’avere, ma poi si costrinse ad aprire la porta e a scivolare dentro.

Sperava che una volta là la voce si sarebbe arrestata, ma non fu così. Continuò, imperturbabile, di nuovo vicina e quasi rassegnata, questa volta, come se si stesse arrendendo, lui che non si era mai arreso.

“Valgo così poco da poter essere ignorato come se fossi meno di un sussurro portato dal vento?”

Ci fu un instante di silenzio soffocato, e poi una frase sussurrata appena lo trafisse come se fosse stata una lama di fuoco piantata nel cuore.

“Sono davvero sempre stato così insignificante, per te?”

 

A quelle parole, Thorin cedette.

 

“Basta!” urlò, girandosi con gli occhi ed i pugni serrati, la voce che gli uscì dalle labbra come il lamento straziante di un uomo ferito a morte.

Dopo qualche breve secondo, il nano respirò a fondo e ripeté, a voce più bassa ma comunque lancinante “Basta. Smettila, adesso.”.

Sentendo solo la quiete attorno a lui, non più turbata da quella voce tanto insistente, si costrinse ad aprire gli occhi, ma se ne pentì nel momento stesso in cui lo fece.

Bilbo era esattamente davanti a lui, talmente vicino che avrebbe potuto contare ogni singola lentiggine sul suo viso pallido e malinconico, così diverso da quello roseo e luminoso dei suoi ricordi. Aveva una mano serrata intorno alla bocca, come se stesse trattenendo un singhiozzo o forse un grido, e i suoi occhi, enormi e lucidi, erano fissi su di lui, increduli ed incapaci di fare altro che guardarlo.

Il re sentì una parte di sé sgretolarsi di fronte a quel riflesso, addirittura più straziante delle sue precedenti urla. Socchiuse la labbra, incerto su cosa dire, ma alla fine l’unica cosa che ebbe la forza di pronunciare fu un supplica, lui che non aveva mai supplicato in tutta la sua vita “Smettila di tormentarmi. Ti prego.”.

A quelle parole, l’ombra lasciò ricadere la mano, senza però mai distogliere gli occhi dai suoi. Rimase in silenzio per qualche attimo, ma quando parlò di nuovo la sua voce, nonostante tremasse appena, aveva una sfumatura che l’altro ebbe difficoltà a riconoscere in un primo momento, ma quando lo fece si sentì mancare il fiato.

 “È questo quello che credi, quindi? Che ti stia tormentando?” sussurrò piano, come se solo pronunciare quelle parole lo ferisse i profondità.

Delusione. La stessa delusione di quel giorno, alle porte di Erebor.

Il nano rimase in silenzio ed egli continuò, mordendosi le labbra e trafiggendolo con lo sguardo.

“Dopo che tu mi hai dato speranza e poi me l’hai strappata dalle mani, comportandoti come se quella notte tu non mi avessi mai visto e non avessi mai pronunciato il mio nome? Dopo che mi hai ignorato per settimane, come se fossi solo un sogno, un pallido riflesso della luna, lasciandomi ad aspettare invano che tu mi guadassi e mi parlassi anche solo un’altra volta?” chiese, gli occhi ormai divenuti freddi specchi illeggibili “Dopo tutto questo sarei io a tormentare te, Thorin Scudodiquercia?”.

 

Fu il modo in cui il riflesso pronunciò il suo nome che fece sorgere il dubbio nel suo cuore.

 

Non quegli occhi, di cui conosceva a memoria ogni sfumatura, né quelle parole colme di rabbia e allo stesso tempo di sconforto, simili a quelle che gli aveva rivolto quando aveva scoperto del suo tradimento.

Fu il modo in cui pronunciò il suo nome completo, un modo che nessuno al mondo, nemmeno lui, sarebbe mai riuscito ad emulare. Il modo in cui solo Bilbo lo chiamava. Come se quel nome, nonostante tutta la furia, la frustrazione e la rabbia, fosse qualcosa di prezioso, di speciale, da custodire e proteggere nonostante facesse male. Come se quel nome fosse qualcosa di talmente fragile da dover essere pronunciato con delicatezza, altrimenti si sarebbe infranto, e con esso anche lui.

Lo stesso modo in cui l’aveva pronunciato l’ultima volta, prima che tutto finisse.

 

Il re esitò per qualche istante, prima di osare chiedere, quasi contro la sua stessa volontà “Che cosa sei?”.

A quella domanda l’ombra si bloccò ed aggrottò la fronte, visibilmente confusa, senza riuscire a capire “Che cosa?”.

“Se non sei un sogno, che cosa sei?” ripeté piano, come se nemmeno lui riuscisse a capire davvero ciò che gli stava chiedendo.

Il riflesso parve turbato e alo stesso tempo irritato. “Cosa potrei mai essere?” sbottò, allargando le braccia come se la risposta fosse ovvia. “Sono Bilbo.”

Quell’affermazione, in qualche modo, gli fece ancora più male. “No.” negò con forza, scuotendo appena la testa ma senza mai distogliere lo sguardo “Non puoi essere lui. Lui è . . . è . . .”

Si fermò, incapace di andare avanti, o forse senza la forza di farlo.

Non poteva dirlo. Non riusciva a dirlo, nonostante sapesse che fosse la realtà.

Ma lui parve capire, poiché annuì e, con voce improvvisamente rassegnata e quasi dolce, parlò per lui.

“Sì, suppongo che sia vero. Ricordo la spada di Azog attraversarmi da parte a parte, l’odore del sangue riempirmi le narici, la sensazione improvvisa di freddo.” disse, portandosi le mani nel punto preciso dove la lama gli aveva straziato le carni. “Ricordo le tue braccia che mi stringevano mentre le forze mi abbandonavano. E ricordo il suono della tua voce che si attenuava fino a scomparire.”.

Il corvino trattenne il fiato a quelle parole, ma l’ombra non gli diede modo di dire altro perché continuò piano, stringendo la mano sulla cotta di mithril all’altezza del cuore “Sono decisamente, decisamente morto. Eppure sono qui, di fronte a te. Sono sempre qui. E sono sempre io.”.

Thorin indietreggiò appena, serrando nuovamente gli occhi con forza. “No.” negò nuovamente, la voce che tremava impercettibilmente “Non è possibile.”.

Il riflesso fece per parlare ancora, ma l’altro glielo impedì, sussurrando quasi a sé stesso, come se stesse cercando di ricordarsi una verità di cui era fin troppo consapevole, nonostante gli facesse più male di qualsiasi altra cosa “Sei solo frutto della mia mente. Sei un’ombra che la mia mente malata ha deciso di mettermi contro ancora una volta. Sto impazzendo. Di nuovo. Sei solo nella mia mente. Non sei reale. Non potrai mai essere reale.”

Bilbo trattene per un attimo il fiato, mentre quelle parole lo colpivano con la forza di una nuova ed atroce consapevolezza, e subito si avvicinò a lui e, con urgenza, tentò di rassicurarlo.

“No, per Eru, no. Non vengo dalla malattia. Non sono un’illusione. Sono io. Sono davvero io.” mormorò con delicatezza, incapace di vederlo in quel modo, ma il nano scosse nuovamente la testa, portandosi una mano di fronte al viso.

L’ombra insistette, un tono urgente nella voce man mano che continuava a parlare “Non so bene cosa io sia, in realtà, ma so di non venire dalla tua testa. So di essere io. So di essere Bilbo. Te lo giuro.”.

Il re gemette, stringendo gli occhi con ancora più forza. Sapeva che non poteva essere reale, anche se una parte di sé lo desiderava con la stessa intensità con la quale aveva bramato Erebor. Non poteva esserlo, e quel continuo negare non faceva altro che prolungare quell’agonia ed alimentare i suoi falsi, folli dubbi.

“Basta.” ripeté ancora, la voce soffocata “Vattene ora.”.

Il riflesso lo fissò impotente, non sapendo cosa altro dire. Poi, dopo qualche secondo, una scintilla gli illumino gli occhi smarriti e, con improvvisa decisione, disse “Vuoi una prova che sia davvero io? Ti dirò qualcosa che solo io posso sapere.”.

Il corvino si immobilizzò, preso alla sprovvista da quell’offerta, e l’altro andò avanti, sentendosi un po’ rassicurato da quella reazione “Nel mio zaino, avvolta al sicuro dentro il contratto, c’è una cosa che solo io e te conosciamo.”.

“Che cosa?” chiese riaprendo gli occhi ed abbassando la mano per poter studiare l’ombra.

Essa scosse la testa. “Lo capirai quando la vedrai.” si limitò a replicare.

“Non ho più il tuo zaino.”.

Bilbo gli lanciò uno sguardo a metà strada tra il seccato e l’affettuoso, incrociando le braccia e stringendo le labbra. “Bugiardo.” disse, indicando poi con un cenno della testa il baule di fronte al letto, a pochi passi da loro.

L’altro rimase per qualche momento fermo, gli occhi che andavano, veloci ed incerti, dalla figura di fronte a lui al baule, non sapendo se dargli ascolto o meno. Alla fine però, lentamente, si avvicinò al mobile e lo aprì, estraendo con cura e delicatezza il piccolo zaino distrutto dello hobbit.

Era stato Bofur a darglielo, il giorno prima del funerale. Non l’aveva mai aperto. Non aveva avuto nemmeno la forza di averlo tutto il tempo davanti agli occhi, ma neanche quella di svuotarlo del suo contenuto e buttarlo, così l’aveva conservato, quasi istintivamente.

Con le mani che gli tremavano sempre di più, lo posò sul letto e lo aprì. La prima cosa che vide, in mezzo a quella delicata confusione, fu il colore familiare della pergamena. Allungò una mano e la tirò fuori, tenendola per qualche istante tra i polpastrelli. Sembrava passato così tanto tempo dall’ultima volta che l’aveva tenuto il contratto in mano, quando glielo aveva sbattuto in malo modo sul petto, quella sera di mesi e mesi prima. Era stato conservato con attenzione e piegato con cura, ma proprio al centro c’era un piccolo rigonfiamento, come se ci fosse nascosto qualcosa.

Facendo attenzione a non sciupare la carta, la aprì lentamente e, quando vide ciò che era conservato al’interno, rimase senza fiato per un istante.

Lì, proprio sopra le firme che sembravano essere state tracciate un secolo prima, posata con delicatezza, c’era una ghianda. La stessa ghianda di quel giorno, nei corridoi di Erebor.

“So che non l’hai mai trovata prima, anche se l’hai cercata tanto.” la voce, nuovamente vicina e quasi malinconica, spezzò il silenzio “Per metterla nella mia tomba, suppongo.”.

Il re annuì quasi senza accorgersene, posando anche il contratto sul letto e prendendo tra le dita, quasi con riverenza, la ghianda che sembrava ancora più piccola nella sua mano segnata da anni di guerre.

“Non era nelle tue tasche.” mormorò piano, senza mai smettere di guardarla “Credevo che l’avessi persa sul campo di battaglia.”.

“Non l’avrei mai portata in mezzo a quel caos. L’ho conservata qui, al sicuro, in modo da non rischiare.” spiegò la voce, come se fosse la cosa più naturale del mondo “Speravo davvero di veder crescere quella quercia, sai?”.

Il cuore del sopravvissuto si contorse dolorosamente, mentre egli stringeva forte la ghianda, come se fosse una piccola ancora in mezzo alla tempesta.

Lentamente alzò lo sguardo e i suoi occhi, spalancati ed increduli, incontrarono quelli gentili ed in attesa dell’ombra. Rimasero così, a fissarsi, per un lunghissimo momento, prima che il nano trovasse la forza ed il coraggio di chiedere ciò che la sua anima agonizzante aveva così bisogno di sapere.

“Sei . . . sei davvero tu? Sei davvero qui?”.

Il riflesso annuì “Non potrei essere nient’altro e da nessuna altra parte.”.

No. insistette ancora una volta la parte più ragionale di lui. Non può essere. Non può essere reale. Semplicemente non può.

Eppure lo era. O almeno, questo era quello che il suo cuore straziato sentiva e credeva con tutto se stesso, nonostante tutto.

Thorin prese un profondo respiro e poi si lasciò andare.

“Bilbo?” lo chiamò, un’invocazione, una domanda e una risposta allo stesso tempo.

Finalmente, quegli occhi blu che tanto l’avevano tormentato iniziarono a brillare, nonostante lottassero per non farsi sfuggire nemmeno una lacrima.

“Ciao, Thorin.”

Bilbo sorrise, il primo vero sorriso dopo tanto, troppo tempo.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Primavera svanita ***


 

 

Primavera svanita

 

 

 

 


 

 

 

“Quando la primavera svanisce, v’è il rimorso di non averla guardata abbastanza.”
-Emily Dickinson-

 

 


 

 

“Nel nome di Durin, che cosa stai facendo?” sbruffò Thorin, senza sapere se essere irritato o semplicemente divertito per aver trovato il proprio scassinatore rannicchiato in una piccola distesa di fiori.

Lo hobbit, preso alla sprovvista, sobbalzò e si voltò di scatto, per poi diventare visibilmente rosso. Si alzò in piedi quasi all’istante, stringendo ancora senza accorgersene uno di quei fiorellini azzurri che tanto avevano catturato la sua attenzione.

“I-io stavo . . . stavo solo . . .” balbettò, chiaramente a disagio “guardando questi fiori, e-ecco. Non pensavo che sarei riusciti a vederne quest’anno, con il viaggio verso a montagna e tutto il resto. So che raramente sbocciano in altura.”.

Il nano dovette trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo a quelle parole. Si trattava dell’ennesime sciocchezze da hobbit, dunque. Tutte le volte che lo aveva ascoltato parlare con qualcuno della Compagnia, fino a quel momento, lo aveva sentito solo parlare di piante e fiori, se non si trattava di cibo. Quelle creaturine sembravano avere una passione particolare per questa roba verde, e Bilbo non era decisamente un’eccezione.

Anche solo qualche settimana fa avrebbe commentato in modo sprezzante una simile ammissione, ma da quando quello scricciolo lo aveva salvato da Azog, mettendo a rischio la propria vita, si era ripromesso di comportarsi in modo migliore nei suoi confronti. Non era stato corretto né gentile, senza nemmeno prendersi la briga di conoscerlo davvero, e aveva giurato a se stesso che avrebbe rimediato a tutto ciò e che in futuro non gli avrebbe fatto più alcun torto.

Nemmeno questo giuramento sono riuscito a mantenere.

Così si costrinse a dare uno sguardo più attento al fiorellino che l’altro stringeva ancora in mano e rispose “In effetti mi sembra di non averne mai visti, attorno ad Erebor. Hanno un nome?”.

Bilbo lo fissò per mezzo secondo, sorpreso da quell’inaspettato interesse, ma subito dopo si animò ed iniziò a parlare con entusiasmo “Non so come vengano chiamati tra gli uomini e gli elfi, ma per noi sono i non ti scordar di me. Ogni anno il giardino di casa Baggins ne è colmo; è uno spettacolo mozzafiato.”

Mozzafiato, addirittura? Il guerriero scrutò ancora il fiorellino. Sembrava così semplice, con quel suo colore tenue e quei quattro petali che si ritrovava. Non avrebbe potuto competere nemmeno con la più piccola gemma trovata nella più povera miniera di tutta la Terra di Mezzo.

“Hanno un nome davvero insolito.”

“Oh sì, viene da un’antica leggenda.” aggiunse lo hobbit.

Thorin, incuriosito, inclinò appena la testa “Ovvero?”.

Egli esitò per un momento, prima di iniziare a raccontare “Si narra che, tantissimo tempo fa, due innamorati stessero passeggiando lungo il fiume Brandivino e che, accidentalmente, la fanciulla cadde in acqua. Gli hobbit, purtroppo, non sanno nuotare bene; nonostante ciò il suo fidanzato si buttò in acqua per cercare di aiutarla e, con fatica, riuscì a raggiungerla e a spingerla verso la riva, dove lei si aggrappò ad una grossa radice e riuscì ad uscire fuori dal fiume. Quando si voltò, certa che fosse riuscito a seguirla a nuoto, di lui non c’era più traccia. Lo chiamò disperatamente ed a lungo, ma lui non le rispose. Però, proprio nel punto dove l’aveva visto l’ultima volta e probabilmente era affogato, galleggiavano dei piccoli fiori azzurri che, trasportati dalla corrente, giunsero fino a lei. La hobbit li raccolse e, con il cuore spezzato, pianse tutte le sue lacrime. Non riuscirono mai a trovarne il corpo e non poterono celebrare alcun funerale. Ma lei voleva dirgli addio, in qualsiasi modo.

Così l’innamorata rimasta sola si recò nel luogo dell’incidente e lasciò andare di nuovo quei fiori in acqua, sussurrando prima sui loro petali che non l’avrebbe mai dimenticato e non avrebbe mai smesso di amarlo, nella speranza che riuscissero a portargli quelle parole mai dette. Così, quei semplici fiorellini azzurri divennero il legame tra i due innamorati separati e da quella promessa mai pronunciata divennero i non ti scordar di me”.

Il nano rimase in silenzio per qualche istante “E’ una storia molto triste.” riuscì solo a commentare. Si sarebbe aspettato qualsiasi altra cosa, ma non una tragica storia su due cuori spezzati. Non era un racconto che pensava potesse appartenere a quel popolo allegro e luminoso.

L’altro annuì “Ma anche molto amata. Ogni hobbit la conosce, e da noi è diventata tradizione indossare tra i capelli, nel giorno del proprio matrimonio, una corona di fiori, spesso proprio non ti scordar di me, come simbolo delle promesse di quel momento. Ma soprattutto, sono molto usati ai funerali.”

“Ai funerali?”

“Quando il proprio marito o la propria moglie muore, il coniuge ancora in vita di solito gli pone sul capo una corona di non ti scordar di me, come un giuramento di non smettere di amarlo mai. Oppure, lo fa una persona che non ha mai dichiarato il proprio amore, quando l’amato non c’è più.”

Il guerriero aggrottò la fronte “Perché?” chiese, sinceramente confuso.

“Perché cosa?”

“Perché qualcuno che non ha avuto il coraggio di ammettere i propri sentimenti prima dovrebbe farlo quando la persona che ha amato ormai non può saperlo?” insistette, senza riuscire davvero a capire ”È inutile ed è egoistico. È come voler avere delle pretese su una persona che in realtà non è mai stata tua, perché tu non hai avuto la forza di fare nulla prima.”.

Bilbo tirò su col naso, facendo quel piccolo movimento circolare che tanto spesso aveva catturato l’attenzione dell’altro “Io non la vedo così. Non credo sia inutile, perché è un modo per mostrare ad una persona quanto sia stata importante per te, prima di dirgli addio, e credo che in qualche modo, anche dopo la morte, quella persona possa sentirlo. Voi non avete niente di simile? Qualche tradizione del genere?”.

Egli fece un lento segno di assenso “Sì, ci sono delle trecce che facciamo, prima di seppellire i nostri cari.” ammise, con un po’ di riluttanza ”Ma sono personali, speciali, ed è permesso intrecciarle solo a chi è stato veramente importante per il defunto. La madre, il padre, il fratello, il figlio, la figlia, il marito o la moglie. Nessun altro.”.

“Capisco.” rispose pensieroso lui “Beh, noi permettiamo di farlo anche a chi non ha mai ammesso i propri sentimenti prima. Cosa può esserci di più doloroso di dover dire addio ad una persona amata che non ha mai avuto la possibilità di sapere quanto fosse speciale per te? E poi, molte cose possano impedire che questi sentimenti vengano rivelati, non solo la codardia o debolezza.”

“E cosa allora?” insistette il nano, non riuscendo a cogliere cosa l’altro stesse cercando di spiegargli.

“Magari semplicemente non c’è stato abbastanza tempo.” replicò, stringendosi nelle spalle “Oppure la persona amata era già legata a qualcuno, o non avrebbe accettato alcun corteggiamento. Forse pensava che non sarebbe riuscito a conquistare il suo cuore. Forse erano troppo diversi, o non avrebbe mai potuto accettare i suoi sentimenti.”. Poi, abbassò lo sguardo sul fiorellino, accarezzandone lentamente i petali e sussurrando a voce appena appena più bassa “O, semplicemente, era un amore impossibile.”.

Alzò di nuovo in fretta lo sguardo e continuò, con tono nuovamente forte “Ma, qualsiasi sia stato il motivo, un amore non dichiarato non è un amore mai nato, ma semplicemente un amore che ha conosciuto solo la luce delle stelle, e mai quello del sole. E come qualsiasi altro amore, merita di essere celebrato, quando l’altra metà di te se ne va.”.

Dopo qualche lungo momento, il principe annuì lentamente. “Suppongo che tu abbia ragione.” esitò per un momento, prima di osare chiedere “Perché allora hai tanto affetto per questi fiori? C’è qualcuno che ti aspetta a casa, forse?”. Non avrebbe mai pensato che quel piccolo scricciolo avesse una innamorata o un innamorato, ma la sua reazione, la luce che aveva negli occhi mentre parlava d’amore e il modo in cui si aggrappava a quel fiorellino non potevano avere alcuna altra spiegazione.

Bilbo lo fissò per un momento, sbalordito, prima di scoppiare in una lieve risata. “No, assolutamente no. Scapolo da sempre e per sempre, temo.” ammise, notando la sua confusione “Semplicemente mi piacciono questi fiori e ciò che simboleggiano, e basta.”.

“Uhm.” Il guerriero, non convinto da quella risposta, lo fissò per qualche altro momento, facendo attenzione al modo in cui stringeva quel fiore, come se fosse la sua sola ancora di salvezza.

Un amore impossibile, forse?

La domanda era lì, pronta a sfuggirgli dalle labbra, quando riuscì a soffocarla. Non poteva chiedergli una cosa del genere, e anche se avesse avuto ragione chiederglielo avrebbe solo aggiunto un’ulteriore sofferenza inutile, e basta. E lui aveva giurato di non fargli più alcun torto.

“Capisco.” si limitò a dire “Beh, per quanto possano essere affascinanti le vostre storie di fiori, mastro Baggins, temo che sia il momento di dirgli addio e venire a darci una mano per preparare le ultime cose. Non credo che Beorn ci voglia sotto al suo tetto più del necessario.”.

“Oh, i-io . . . certo! Chiedo scusa, arrivo subito!” esclamò imbarazzato lo hobbit, arrossendo di nuovo.

Il capo della spedizione annuì e si voltò, allontanandosi piano. Quando fu ad una certa distanza, però, si voltò a guardarlo ancora una volta.

Bilbo era ancora lì, in mezzo ai fiori, ad accarezzarli con le punta delle dita, lo sguardo smarrito in quel pallido manto celeste.

Sembra un sospiro di primavera.

Thorin si fermò, colpito da quell’immagine, mentre le ultime parole di quella conversazione gli vorticavano nella mente.

Chiunque sia, il suo amore non può essere impossibile. Chiunque lo amerebbe, dopo un po’. Nemmeno il più cieco dei cuori può restare insensibile alla fragilità luminosa della primavera.

 

Non avrei dovuto permettere alla mia fragile primavera di svanire.

 

Lontano su nebbiosi monti gelati . . .

 

Bilbo era seduto sul suo letto, facendo dondolare le gambe e canticchiando a bassa voce come un bambino in attesa di qualcosa, mentre lo osservava preparare la propria sacca per il breve viaggio.

“Ti dispiace?” sbottò Thorin, più bruscamente di quanto si aspettasse, anche se in realtà avrebbe preferito che quella voce tanto bramata non svanisse mai. Ma, per quanto la sua anima si risollevasse nel sentirla, non poteva sopportare di udirla intonare quel canto che, senza saperlo, aveva segnato la condanna a morte del piccolo hobbit

“Ti dà fastidio? Pensavo che questa canzone ti piacesse.” chiese quest’ultimo, preso un po’ alla sprovvista da quella reazione improvvisa.

Il nano trattenne a stento un sospiro frustato. “Non più. Da un po’ di tempo, ormai.” si limitò a borbottare tra i denti.

Egli parve capire, o forse semplicemente non volle indagare di più, e continuò con ritrovata spensieratezza “Beh, potrei cantare qualcos’altro. La canzone che hanno improvvisato i ragazzi quella sera a casa mia, sparecchiando, magari. O anche quella che ha cantato Bofur dagli elfi, se solo ricordassi tutte le parole. So che ti piaceva, ti ho visto battere i piedi a tempo quella volta.”

Questa volta non riuscì a reprimere un sospiro. “Devi cantare per forza, grillo?” lo canzonò d’istinto, e in tutta risposta egli gli fece un’infantile linguaccia e borbottò un finto offeso “Antipatico.”.

Ecco.

Erano quei attimi in cui si comportavano come se tutto fosse normale, come se non fosse successo nulla, che il re si rendeva conto che niente di tutto questo poteva essere frutto della malattia. Nemmeno la sua mente malata sarebbe riuscita a ricreare simili momenti di complicità che col tempo, lungo la via, gli erano divenuti così naturali, né quei scambi di battute che non avevano mai esitato a scambiarsi. E non, soprattutto, quella sensazione di pace che tutto ciò gli dava.

In quei momenti sembrava davvero che Bilbo fosse realmente lì, di nuovo al suo fianco, vivo e vegeto.

Ma quell’illusione durava sempre troppo poco, ed ogni volta che si infrangeva sotto il peso di ciò che era successo faceva un po’ più male. Eppure, Thorin aveva iniziato a tenersi ben stretto quella lieve sensazione di sollievo che quell’illusione gli dava, anche se non lo avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso. Non poteva, in fondo.

“Comunque, credo di essere un po’ entusiasta. Non lascio la Montagna da quando . . .” lo hobbit si bloccò e si affrettò a correggersi “Beh, da un bel po’. Sarà divertente.”

Il sovrano continuò a ordinare le proprie cose ed a metterle via con attenzione, costringendosi ad ignorare il nodo che gli si era appena formato al centro “Non vedo dove sia il divertimento. Dobbiamo solo ritirare i rifornimenti.” disse “E tu non sei costretto a seguirmi, lo sai.”.

“Sì sì, lo so. Ma credo che finirei per annoiarmi, qui da solo.” replicò, ruotando il naso come faceva solo lui, in quel movimento circolare tutto suo “Sarà divertente lo stesso venire con voi ed uscire all’aria aperta, anche se non potrai darmi retta.”.

Ormai avevano capito entrambi che, nonostante a quanto pare Bilbo non fosse solo un prodotto della mente del nano, nessuno oltre a lui sembrava vederlo od essere consapevole della sua esistenza. Di conseguenza l’ombra aveva iniziato a limitare le sue interferenze, quando c’erano anche gli altri. Aveva continuato a seguirlo, ma a parte qualche commento sporadico gli parlava direttamente solo quando erano solo, magari al sicuro nella sua stanza, dove nessuno della Compagnia aveva il permesso d’accedere. Si era reso conto che spingerlo a parlare al nulla di fronte a tutti non gli avrebbe giovato, non dopo ciò che era successo con Smaug. E lui, più di qualsiasi altra cosa al mondo, non aveva alcuna intenzione di metterlo in difficoltà, non ora che Thorin aveva compreso che non era una mera illusione.

“Se ne hai così tanta voglia, perché non sei uscito prima, invece di restare chiuso qui e venirmi dietro per un mese?” chiese quest’ultimo.

Lo hobbit si strinse nelle spalle ed cambiò in fetta argomento, evitando così accuratamente di rispondere “È bello che tu sia riuscito a stabilire dei rapporti pacifici sia con il Reame Boscoso che con Dale, per quanto siano ancora fragili. Avete bisogno l’uno dell’altro, ora più che mai.”.

“Non si può non scendere a compromessi, una volta che si è condivisa una guerra.” replicò con semplicità, chiudendo la sacca “Non hai ancora risposto alla mia domanda.”

Lo scassinatore si morse appena l’angolo delle labbra, un movimento rapido che però l’altro colse fin troppo bene. “Mi piace stare dove siete voi, anche se gli altri non posso vedermi.” spiegò poi, come se si fosse arreso “Mi fa sentire come se facessi ancora parte della Compagnia, in un certo senso.”.

Quelle parole, inaspettate ed atroci, lo colpirono come un pugno nello stomaco. Con difficoltà, spostò la sacca di lato e si sedette accanto a lui, così vicino che poteva quasi illudersi, se fosse stato abbastanza attento, di poter udire il suo respiro. Ma questo non sarebbe mai più successo, e lo sapevano entrambi.

“Tu fai ancora parte della Compagnia.” sussurrò, come se non avesse alcun dubbio a riguardo “Ne farai sempre parte.”.

Bilbo si voltò di scatto verso di lui, come trafitto da quell’ammissione sincera, e rimase a fissarlo per un tempo che ad entrambi parve interminabile e fin troppo breve insieme, prima di distogliere lo sguardo e posarlo sulle proprie mani, ora strette tra loro sulle proprie ginocchia. “È una cosa molto gentile da dire, da parte tua.” mormorò, ma l’altro quasi non sentì la sua risposta, perso ad osservare come le punta affilate delle sue orecchie si fossero tinte di un lieve rossore. Non avrebbe mai pensato di poterlo vedere ancora.

Piano, pesando accuratamente le parole, osò porre ancora una volta quella domanda che da giorni lo tormentava “Non vuoi ancora dirmi perché sei rimasto qui? Perché sei qui e non . . . in qualsiasi luogo in cui vanno gli hobbit?”.

Il ladro sospirò appena, come se fosse lievemente esasperato da quell’insistenza “Te l’ho già detto. Non lo so. Sinceramente, non ne ho la benché minima idea. Ma al momento non mi interessa granché.” ammise, per poi lanciargli un’occhiata furba e chiedere sarcasticamente “Cos’è, hai così voglia di liberarti di me?”

“No.” negò in fretta, come se non potesse nemmeno sopportare l’idea che lui potesse scherzare su una cosa del genere “Non è questo. Solo…non riesco ancora a capire.”.

“Nemmeno io.” disse distogliendo ancora lo sguardo, ma il re colse il movimento nervoso delle dita che si stringevano con forza tra loro, quasi come per trattenersi e darsi forza allo stesso tempo. Conosceva quel gesto, glielo aveva già visto fare infinite volte.

“Mi stai nascondendo qualcosa.” affermò, lentamente e con un leggero tono d’accusa nella voce bassa.

Lo hobbit scosse in fretta la testa “No. Te l’ho già spiegato.” insistette “Un momento prima ero lì, tra le tue braccia, incapace di sentire o vedere più qualsiasi cosa, ed un momento dopo stavo guardando il mio corpo diventare sempre più freddo, con te inginocchiato proprio lì davanti.”.

Si bloccò, come se volesse dare il tempo di assimilare le sue parole, e prima che egli potesse aggiungere altro disse, come se niente fosse successo “Dovresti portare con te i ragazzi, oggi.”

Thorin aggrottò la fronte, preso di sprovvista “Che cosa centra questo, ora?”.

“Centra.” insistette ”Credo che dovrebbero venire. Dargli qualcosa da fare, uscire un po’ e relegargli qualche responsabilità li aiuterà a guarire meglio e più in fretta. E aiuterà anche te, nonostante tu non voglia ammetterlo.”.

Il sovrano si irrigidì, come faceva ogni volta che qualcuno provava a dargli dei consigli sui suoi nipoti “Non sta a te decidere.”.

“In parte credo di sì, invece.” obbiettò, per poi aggiungere in maniera scherzosa per strappargli un sorriso “E sai che sono migliore di te, quando si parla di scelte assennate.”.

“Mi permetto di dissentire.” sbruffò l’altro, tentando di non pensare a ciò che aveva appena detto.

“Oh? Nomina solo una volta in cui ho fatto una scelta avventata.” lo sfidò, incrociando le braccia ed attendendo giocosamente.

“Ci sei venuto dietro per avventurarti con un gruppo di sconosciuti in una missione di cui non sapevi niente e che aveva come fine rubare ad un drago.” fece il guerriero, come se la questione fosse tutta lì.

Lo scassinatore esitò e poi replicò “D’accordo, a parte questo, cos’altro?”.

“Ti sei infilato nell’accampamento di tre troll.” iniziò ad elencare il corvino.

“Quello non conta, mi ci hanno praticamente spinto Fili e Kili.”

“Ti sei lanciato di fronte ad Azog con solo un tagliacarte, quando siamo sfuggiti alle gallerie dei goblin.” aggiunse ancora.

Si strinse nelle spalle e commentò con un semplice “Necessità.”.

Quella sola parola strinse con calore il petto del re, ma lui si obbligò ad ignorarlo “Hai pensato bene di farci uscire dal Reame Boscoso nascosti in delle botti.”.

“Non siete ancora in prigione, no?” osservò “Quindi, non vedo di cosa ti lamenti.”.

“Hai rivelato a Smaug che venivamo da Pontelagolungo.”.

“È stato lui a capirlo, io ho tentato di nascondere qualsiasi informazione importante.”.

Tentennò, prima di osare sussurrare piano “Hai dato via l’Arkengemma.”.

Bilbo si bloccò, i grandi occhi blu colmi di senso di colpa.

“Sei . . . sei ancora arrabbiato per quello?” chiese cautamente, dimenticando per un attimo il loro botta e risposta.

Lo spadaccino scosse in fretta la testa “No. Hai fatto ciò che dovevi fare.” lo rassicurò, perché lo pensava davvero e udire il timore nelle sue parole lo faceva sentire ancora più fragile di quanto già fosse “Ma è stato comunque una scelta avventata. Non sapevi che sarei davvero tornato in me. Avrebbe potuto non funzionare. Avrei potuto . . . avrei potuto . . .” la sua voce si spezzò, senza che lui potesse fare nulla per impedirlo.

Lo hobbit, d’istinto, si affrettò a rassicurarlo, cogliendo ciò che l’altro non era riuscito a dire “Ma non è successo, no? Quindi, giudicherei quella scelta più che assennata. Pericolosa, forse, ma assennata e soprattutto necessaria. Quindi, vai avanti.” insistette, deciso a farlo pensare a qualsiasi cosa che non fosse quella.

Ma Thorin non stava più giocando, e la sua ultima frase fu una sentenza definitiva, che non ammetteva difese, negazioni od attenuanti.

“Sei morto per salvarmi la vita.”.

Bilbo lo guardò, nonostante egli avesse ormai distolto lo sguardo e lo tenesse fisso nel nulla. Si avvicinò appena, tanto che, se fosse stato ancora vivo, avrebbe potuto sentire il proprio battito mischiarsi con il suo.

“Non avrei potuto fare una scelta diversa.” sussurrò semplicemente. Mosse la mano come per toccargli il braccio ma si fermò a mezz’aria, consapevole che non avrebbe sentito la pelle tesa del nano sotto le dita e che lui non avrebbe nemmeno avvertito il suo tocco.

Ma il re, come se avesse percepito quel movimento trattenuto, si voltò appena verso di lui e socchiuse la labbra, pronto a sostenere che ci sarebbe stato un altro modo, un qualsiasi modo pur di  . . .

“Thorin?” una voce ruvida tagliò l’aria, tesa come se avesse sentito troppo, o forse troppo poco. Non ricevendo alcuna risposta, Dwalin insistette da dietro la porta, ancora più preoccupato “Tutto bene?”.

Bilbo si tirò indietro, quasi temendo che il nano potesse entrare da un momento all’altro come tante volte aveva fatto in passato e vederli così vicini, anche se non poteva più farlo, e Thorin chiuse per un istante gli occhi, prima di borbottare un rauco “Sì, stavo solo . . . riflettendo a voce alta. È ora?”.

“Aye.”

Il guerriero riaprì gli occhi e si alzò, prendendo la sacca senza più osare nemmeno sfiorare con lo sguardo la sagoma ancora seduta. Se solo avesse incontrato di uovo quegli occhi feriti, non era certo di cosa sarebbe uscito dalle sue labbra.

 

 

Alla porta li aspettavano già il resto del gruppo. Dori era già seduto su uno dei quattro carri preparati per trasportare i rifornimenti, e discuteva con Balin della possibilità di chiedere a Thranduil un pagamento più basso per il pane. Se fosse stato per il re, Dori non sarebbe più uscito dalla Montagna per un po’, giovane com’era e con ancora incubi causati dalla battaglia; ma era stato di enorme aiuto nell’amministrazione fino a quel momento, e Dwalin si rifiutava di perderlo di vista o lasciarlo solo più dello stretto necessario.

Nel carro accanto c’era invece Bofur, intento a finire un piccolo flauto in osso, il viso scuro e gli occhi stanchi. Non sorrideva dalla battaglia, né rideva o scherzava. Tutto ciò che faceva era tenersi il più impegnato possibile, pur di impedirsi di pensare.

Nel vederli arrivare, Dori e Balin smisero di parlare e Bofur sollevò appena gli occhi dal suo lavoro. Thorin si limitò ad un saluto frettoloso e salì sul suo carro mentre Dwalin raggiungeva Dori, ma prima che potesse prendere le redini in mano si sentì chiamare.

“Zio, zio!”

Si voltò verso destra e vide arrivare, un po’ correndo e un po’ zoppicando, Kili, che stringeva tra le mani qualcosa.

“Cosa succede?” chiese allarmato, temendo subito che fosse successo qualcosa. Suo nipote non avrebbe dovuto correre, non con a profonda ferita alla gamba che si era appena rimarginata e che l’aveva tenuto a letto per settimane.

Il ragazzo, raggiunto il suo carro, si limitò a riprendere fiato e a rassicurarlo con un sorriso. “Niente, non preoccuparti. Speravo di riuscire a incrociarvi prima della partenza.” spiegò, per poi arrossire un po’ e tendere le mani chiuse verso di lui “Potresti . . . potresti portare questo alla delegata di Thranduil, per favore?”:

Il nano aggrottò la fronte a quella strana richiesta, ma annuì e si sporse per prendere quello che si rivelò essere una lettera sigillata con cura, che mise in tasca.

Il sorriso del nipote si fece ancora più grande “Grazie! Fate buon viaggio, allora!” esclamò, tirandosi indietro.

Solo allora il re si concesse di rispondere al sorriso “Saremo di ritorno per stasera. Vedete, tu e tuo fratello, di non distruggere la Montagna mentre siamo via.”.

Kili fece una smorfia “Tranquillo, Fili sta lavorando a delle carte e da solo non credo di poter combinare granché troppo in fretta, al momento.”.

Preferì non ribattere a quest’ultima battuta e, con un lieve cenno di saluto, fece partire il pony, seguito dai suoi compagni.

Nel preciso momento in cui attraversarono le porte, sentì un sospiro soffocato al suo fianco.

 

Chiuse gli occhi per cinque secondi, cercando mentalmente di trattenersi almeno per un po’ ma senza successo, per poi riaprirli e sbirciare con la coda dell’occhio verso la sua destra.

Bilbo, che l’aveva seguito in silenzio fino al carro, si era seduto proprio accanto a lui, e guardava come incantato il paesaggio, reso malinconico dalla neve ormai rada.

“Tutto bene?” osò chiedere, a voce così bassa che Balin, sul carro immediatamente dietro al suo, non riuscì nemmeno a coglierla.

Lo hobbit annuì “Mi ero dimenticato di come si sentisse ad uscire fuori.” mormorò, per poi chiudere gli occhi con un lieve sorriso “Mi sembra quasi di sentire di nuovo il vento tra i capelli.”.

Quella frase e quell’espressione, a metà strada tra la serenità e la malinconia, lo strinsero in una morsa che per poco non gli spezzò il cuore.

Quasi. Perché lui non può e non potrà mai più sentire nulla. A causa mia.

Prima che potesse anche solo provare a scacciare quel pensiero, un carro lo affiancò e gli occhi tesi e pensierosi di Balin catturarono tutta la sua attenzione.

Il re dovette trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo. Non parlavano dal loro ultimo litigio; da allora aveva fatto di tutto per evitarlo, ma sospettava che avrebbe approfittato di quel viaggio per tirare di nuovo fuori l’argomento, ed evidentemente non si sbagliava.

Si limitò, piuttosto, a sbirciare alle proprie spalle. Dori e Dwalin erano impegnati in una fitta conversazione –probabilmente il più giovane lo stava sgridando per aver lavorato in armeria fino a notte tarda-, e si sentì sollevato dal pensiero che così distratti non avrebbero fatto caso a loro e le loro voci avrebbero impedito anche a Bofur di ascoltare. Almeno avrebbe evitato lì imbarazzante situazione di venir rimproverato dal suo vecchio istruttore di fronte a tutti.

“Thorin.” lo chiamò Balin, riconquistando la sua attenzione a anche quella del suo invisibile accompagnatore, che riaprì gli occhi e fissò l’amico sorpreso “Vorrei scusarmi”.

Questo colse completamente impreparato il guerriero che già si aspettava l’ennesima ramanzina.

“Scusarti?”

“Aye. Ma non per ciò che pensi tu.” si affrettò a chiarire “Non mi scuserò per averti detto di ascoltare ciò che il tuo consiglio ti dice, né di dare più spazio ai tuoi nipoti, e nemmeno di fermarti un po’ e rallentare. Penso ancora tutto questo e non alcuna intenzione di scusarmi per questo.”.

Il nano aggrottò la fronte “E di cosa dovresti scusarti, allora?”.

Il vecchio esitò un momento e poi mormorò “Di aver usato il ricordo di Bilbo per scuoterti.”.

Thorin si irrigidì completamente, il fiato sospeso e il cuore immobile. Nessuno pronunciava il suo nome ad alta voce da dopo il funerale, come se fosse maledetto, come se pronunciarlo avrebbe reso quella perdita veramente reale. E sentirlo pronunciare da qualcuno adesso . . . avrebbe dovuto essere una cosa da poco, semplice, soprattutto ora che quell’ombra era seduta accanto a lui, ma non era così. Affatto.

Il suo nome, accanto a quella parola così amara, ricordo . . . ciò che è stato perduto si ricorda, ciò che è passato si ricorda, ciò che non tornerà più indietro di ricorda. E Bilbo non poteva, non doveva essere associato a niente del genere.

Nel vedere la sua reazione, l’amico sospirò “So che averlo più con noi fa male. Non siamo più veramente la Compagnia, senza di lui, ed è una perdita con cui pian piano dovremo tutti imparare a convivere. Ma usare il suo ricordo per cercare di convincerti a prenderti più cura di te non è stato giusto. Anche se sono certo che se lui fosse qui si comporterebbe esattamente allo stesso modo, non avrei dovuto usare questa certezza. È stato come riaprire una ferita non ancora del tutto rimarginata, e questa è l’ultima cosa che avrei voluto. Per questo, ti chiedo scusa.”

“Oh, Balin . . .” la voce di Bilbo era triste, intenerita e commossa “Non hai fatto nulla di male, assolutamente nulla, e non hai alcun bisogno di scusarti. Diglielo anche tu, Thorin.”.

Ma Thorin non ripeté quelle parole. Perché avrebbe dovuto? Balin aveva ragione; non avrebbe dovuto usare Bilbo contro di lui. Era solo servito a ricordargli che non c’era più, non davvero, che non ci sarebbe mai più stato, che era tutta colpa sua, e aveva insinuato che stesse sminuendo, con le sue azioni, il peso di quel vuoto. Perché avrebbe dovuto mentirgli per farlo stare meglio, quando quella semplice frase aveva fatto a lui così tanto male?

“Thorin?” lo chiamò di nuovo lo hobbit, preoccupato per il suo silenzio.

Il re, finalmente, parlò. “Hai ragione.” Il suo tono era trattenuto, ma freddo e tagliente come la più affilata delle lame “Non avresti dovuto farlo. E non avresti dovuto pronunciare il suo nome nemmeno ora.”.

Senza dare all’altro nemmeno il tempo di replicare, usò le redini per far accelerare il pony quasi a mo’ di corsa, allontanandosi così da lui e dal suo sguardo smarrito e dispiaciuto.

Ma non poteva allontanarsi dallo hobbit che lo fissava con stupore ed indignazione, e lo sapeva benissimo, anche se non lo stava guardando.

“Perché hai detto una cosa del genere?” chiese, veramente preso alla sprovvista.

Il guerriero strinse forte i denti, impedendosi di rispondere e costringendosi a tenere lo sguardo sulla strada, e questa reazione fece innervosire l’altro ancora di più.

“Ah no, non cominciare adesso ad ignorarmi di nuovo!” esclamò, alzando la voce “Balin è solo preoccupato per te, per questo ha detto quello che ha detto, ma ha comunque chiesto scusa per paura di averti ferito, e tu lo tratti così? Sei stato crudele, Thorin, crudele ed insensibile!”.

Il nano avrebbe voluto replicare, ma preferì trattenersi e non parlare ancora.

“Certo, riservami il trattamento del silenzio, ma con me non funzionerà, testardo di un nano! Sai che ho ragione, e dentro di te sai che ha ragione anche Balin!” sibilò, inferocito da quell’ostinazione “Ti stai spingendo allo stremo, pur di tenere i ragazzi al sicuro e di dargli il tempo per riprendersi. So che il rischio di perderli ti ha spaventato a morte . . .” il suo tono si ammorbidì appena “e che ti dai la colpa dei rischi affrontati, ma ora stanno bene, e al sicuro. So che non riesci a crederci, ma sono al sicuro. Niente gli potrà fare più del male, ora che avete di nuovo la vostra casa, e le loro ferite fisiche stanno guarendo in fretta. Ma sono preoccupati per te, come tutti in quella Montagna, e vorrebbero tanto starti vicino, e tu non glielo permetti. Ti spingi al limite ancora ed ancora, anche se tu non stai nemmeno lontanamente meglio di prima, e loro non posso fare altro che guardare pregando che tu non raggiunga il tuo punto di rottura. Così gli fai solo del male, e nonostante ciò continui a spingere via chi ti vuole bene e vuole solo aiutarti. E questo è il torto più grande che puoi fare non solo ai tuoi nipoti ma a tutti loro! A tutti noi!”.

“Basta, ora.” sussurrò lo spadaccino, la voce incrinata, ma lui non lo ascoltò.

“No, Thorin, adesso stai zitto e mi ascolti.” ringhiò lo hobbit, scacciando con la mano quella protesta come se fosse una mosca fastidiosa “Sono tutti qui per te, e tu hai costruito un muro di ghiaccio per tenerli lontano. Quei nani hanno combattuto per te, e non meritano di restare a guardare mentre una persona a cui vogliono bene si sta lentamente distruggendo. Perché è quello che stai facendo. Ho avuto più di un mese per vederlo. Ti stai distruggendo, e se pensi che ciò possa in qualche modo aiutare la Compagnia allora sei più stupido di quanto pensassi. Se pensi che io resterò in silenzio a guardare mentre crolli dopo essere morto per proteggerti, allora non mi hai mai conosciuto davvero.”.

Quell’ultima frase colpì il re come una pugnalata dritta nel cuore, lasciandolo scioccato e senza fiato. Strinse le redini con forza, facendo così rallentare il cavallo, e cercò di ricominciare a respirare senza riuscirci.

Non può averlo detto davvero. Non può . . .

“Non . . .” la sua voce tremava come non aveva mai tremato prima “Non rinfacciarmi . . .”

“Lo farò, se necessario.” lo bloccò, con tono fermo e deciso “Non sono Balin, non mi scuserò per questo. Ti rinfaccerò di essere morto per te fino a quando non ti renderai conto che anche la tua dannata vita e la tua sanità mentale sono importanti, e che devi rendertene cura soprattutto ora che non posso più pensarci io come prima. So che non lo credi davvero, ma anche tu sei importante, maledizione, e non puoi continuare ad annullarti nella folle idea che questo possa aiutare gli altri. Fattelo entrare in quella dannata testa dura: anche tu sei importante. E non permetterò di farti del male così, né di allontanare le persone che ti vogliono bene.”.

Il guerriero abbassò lo sguardo, ma davanti ai suoi occhi continuavano a vorticare le immagini di quel giorno. La neve che cadeva lieve sul campo di battaglia, il luccichio di quella lama maledetta, il sangue scarlatto che macchiava quella pelle sempre più fredda, quegli occhi blu ormai spalancati sul nulla, tutto, tutto quanto danzava davanti a lui, in una danza macabra che non sapeva come fermare e che lo trascinava con sé sulle note di una sinfonia fatta di urla spezzate.

“Mi stai ascoltando?”

Thorin a quel punto non resistette più. Quelle parole, quelle parole che lo tormentavano da quando aveva stretto quel corpo infranto tra le sue braccia, gli sfuggirono tra le labbra come un sospiro troppo a lungo trattenuto.

“Sarei dovuto morire io.”.

Sentì lo scassinatore, accanto a sé, trattenere il fiato “Che cosa?”.

“Sarei dovuto morire io al tuo posto.” ripeté piano “Non avrei dovuto permettere ad Azog di prendere la tua vita. Non avrei dovuto permettere a nessuno di prendere la tua vita. Doveva essere la mia vita a spezzarsi, non la tua.”

Per qualche secondo, l’unica cosa a riempire il silenzio furono le urla del vento di dicembre.

“Thorin, guardami.” sussurrò poi lentamente l’ombra.

Il nano voltò il viso dal lato opposto, rifiutandosi di incontrare il suo sguardo, ma egli lo chiamò ancora.

“Thorin, per favore.”.

Incapace di resistere a quella supplica, il re si fece coraggio e lentamente si girò verso di lui, tenendo però lo sguardo basso.

“Guardami negli occhi.”.

Thorin si morse l’interno della guancia, ma fece come gli era stato chiesto, e quando incontrò gli occhi blu dello hobbit restò senza fiato.

Lì, proprio come una volta, c’era quella luce che tante volte l’aveva guidato, distratto, incantato, quella luce di cui continuava a sentire ardentemente la mancanza.

La luce di un raggio di sole spento troppo presto.

“Thorin.” lo chiamò ancora Bilbo, facendo concentrare ancora una volta tutta la sua attenzione su di lui “Non osare mai più dire una cosa del genere. Smetti di darti la colpa per quello che è successo. Niente di quella battaglia, né le ferite di Fili e Kili, né la mia morte, è avvenuto a causa tua.”

“Non . . .”

“Non dire mai più che saresti dovuto morire.” lo fermò, prima che potesse continuare “Vuoi sapere cosa sarebbe successo, se Azog ti avesse portato via da noi? La Compagnia ne sarebbe uscita mutilata. Io sarei morto con te, anche se il mio cuore non avesse smesso di battere.”

Allungò una mano verso di lui e si fermò a pochi millimetri dal suo petto, proprio all’altezza del cuore “Sei così importante, Thorin, e per così tante persone, che semplicemente non potevi morire. Non potevi e basta. E sono felice che non sia successo.” Un piccolo, dolce sorriso illuminò il volto pallido di Bilbo “Sono felice di sapere che il tuo cuore batte ancora, e sono fiero di averlo protetto io dal fermarsi per sempre.”.

Forse batte ancora, ma è come se fosse fermo da quella giorno.

Tirò in fretta indietro la mano, ma non abbastanza da impedire al re di notare che tremava “Per questo non posso permettere che tu vada avanti così. Nessuno di noi può permetterlo. Lo capisci, ora?”.

Thorin avrebbe voluto dire di no. Avrebbe voluto dire che non capiva e che non avrebbe mai capito. Avrebbe voluto urlarlo, gridarlo con tutta la voce che aveva in corpo, e fargli capire che per lui non era così, che non sarebbe mai stato così, e che avrebbe pagato volentieri con la propria esistenza per riavere indietro quella vita che era stata rubata troppo presto.

Ma non poteva farlo.

Così, si limitò ad annuire ed a voltarsi nuovamente verso la strada, ignorando il sospiro a metà strada tra l’esasperato e il deluso che questo gesto strappò all’ombra accanto a sé.

Fosse successo poco più di un mese prima, Thorin non avrebbe lasciato quel sospiro inascoltato. Si sarebbe voltato, gli avrebbe parlato quel poco necessario per distrarlo e tirarlo su di morale, gli avrebbe sfiorato casualmente le punte delle dita, avrebbe provato a strappargli un sorriso. Chissà, forse, sapendo cosa sarebbe successo poco dopo, avrebbe osato qualcosa di più.

Ma non poteva più ora. Quei brevi momenti in cui si era illuso che almeno qualcosa poteva essere di nuovo come prima erano passati ormai. Nulla sarebbe più stato come prima, nemmeno grazie a quel piccolo miracolo che era la presenza di quella ombra.

Azog era riuscito a portargli via anche quella spontaneità che solo la sua primavera riusciva una volta a tirargli fuori.

 

 

La neve, nella città degli uomini, era ancora più rada, e infilarsi con i carri tra le strette vie fu più facile del previsto. Si fermarono di fronte a quello che in passato era stato il palazzo del re, i quattro carri l’uno accanto all’altro, e mentre la guardia entrava ad avvisare Bard del loro arrivo Thorin si fece coraggio e, seguito dallo sguardo confuso di Bilbo, si avvicinò al suo consigliere più anziano.

“Balin?”

Il nano si voltò, sorpreso, e il re, pur incapace di scusarsi ma consapevole di non poter lasciare che la loro ultima conversazione rimanesse in sospeso, disse ”Ignora quello che ti ho detto prima. So che le tue parole erano spinte solo dalla preoccupazione, e non avrei dovuto reagire in quel modo. Ho esagerato e non so nemmeno io perché.”

Il vecchio rimase in silenzio per qualche secondo e poi chiese “Non lo sai davvero, o preferisci non ammetterlo nemmeno a te stesso?”.

“Cosa intendi?” chiese il guerriero, aggrottando la fronte, ma il rumore di passi impedì all’altro di rispondere.

Thorin si voltò e in quel momento Bard, vestito con abiti pesanti ma semplici e accompagnato da un’alta elfa dai capelli color del fuoco, comparve sulla soglia.

“È bello vedervi!” esclamò l’ex chiattaiolo, scendendo quasi di corsa le scale e stringendo le mani ad ognuno di loro “Temevo che la neve vi avrebbe tenuti rinchiusi nella Montagna per un po’, questa volta.”

“Oh!” esclamò Bilbo, felice di vedere il vecchio amico “Sembra stare bene! Sapevo che questo compito era adatto a lui, anche se a giudicare dalle sue occhiaie certo non gli rende la vita facile.”.

Lo hobbit aveva intuito la verità, non poté evitare di pensare il nano. Bard aveva assunto momentaneamente il compito di Governatore per un po’, giusto per riuscire ad affrontare l’inverno, ma la sua dedizione al popolo e la sua abilità nel gestire i doveri del governare avevano portato molti a sperare che avrebbe accettato di prendere la corona una volta giunta la buona stagione. Aveva stretto rapporti di pace sia con i nani e con gli elfi, e grazie a lui gli uomini riuscivano finalmente a dormire sogni tranquilli. Era un buon alleato, e aveva dimenticato in fretta il torto subito. Ma stava altrettanto in fretta scoprendo quanto arduo fosse guidare un popolo.

“Siamo felici di vedere che anche qui state bene.” disse Thorin, ricambiando la stretta di mano “Il resto della Compagnia vi manda i suoi saluti.”.

Vedendo la delegata di Thranduil avvicinarsi, si affrettò a fare un cenno cortese di saluto. A differenza del suo re, non le portava rancore; era stata lei a proteggere Kili ferito durante la battaglia e a riportarlo alla Montagna e sempre lei aveva spinto l’elfo ad accettare la loro alleanza.

“Spero che anche nel vostro regno vada tutto per il meglio, Capitano.”.

“È così, e la ringrazio, re Thorin.” rispose con grazie, per poi domandare piano, quasi con esitazione “Volevo chiedere come sta il principe Kili?”.

Il nano non si stupì di quella domanda, la stessa da quando erano iniziati i loro rapporti diplomatici. “Sempre meglio. Mi ha chiesto di darvi questo.” tirò fuori dalla tasca la lettera, ora spiegazzata, e nel dargliela notò un lieve rossore colorarle le guance mentre mormorava un mesto “Vi ringrazio.”.

Al suo fianco, Bilbo si lasciò sfuggire un piccolo oh, ma il nano non aveva tempo né voglia di indagare.

Si voltò verso Bard e, sbrigativo, chiese “Vogliamo occuparci delle provviste, ora?”.

Il capo degli uomini annuì e li invitò ad entrare.

 

 

Al tramonto, quando giunse il momento di ripartire, Bilbo non si sedette accanto a Thorin, ma salì sul carro di Bofur. Forse era ancora arrabbiato con lui per come si era conclusa la conversazione dell’andata, o forse aveva notato la malinconia dell’amico e, nonostante sapesse di non poter essere avvertito da lui, voleva stargli un po’ vicino.

In ogni caso, questa cosa ferì un po’ il nano, ma gli diede il momento perfetto per chiedere a Balin cosa intendesse poco prima. Quelle parole l’avevano turbato e non poco, e avrebbe preferito parlarne lontano da colui che, benché fosse poco più di un’ombra, aveva ancora il potere di toccarlo dove nessun’altro riusciva.

Così, lasciò che tutti gli altri andassero avanti e affiancò Balin. Procedettero in silenzio per un po’, ma alla fine fu proprio lui a riprendere il discorso.

“Cosa volevi dire quando siamo arrivati dagli uomini?”.

L’anziano si limitò a tirarsi la barba “Non intendevo insinuare niente. Mi chiedevo solo se davvero tu non sappia perché hai reagito in quel modo nel sentirmi nominare. . .”

“Va bene, ho capito.” lo bloccò di colpo, senza nemmeno rendersene conto.

“Ecco, vedi?” fece Balin, lanciandogli uno sguardo di sbieco “Lo hai fatto di nuovo.”.

Il guerriero lo guardò, evidentemente confuso, e l’altro si trovò costretto a spiegare “Reagisci in maniera quasi innaturale quando lui viene tirato in causa. Non sopporti che qualcuno lo nomini.

Non pronunci nemmeno il suo nome da settimane.”.

Era vero, si rese conto il re. Era assolutamente vero. Lui stesso non aveva mai pronunciato il suo nome di fronte agli altri dal giorno del funerale. Anche se tante volte si era svegliato urlandolo.

“Chi non ti conosce” continuò Balin “ direbbe che ti comporti come se non fosse mai esistito. Come se non avesse mai avuto importanza. Come se volessi cancellarlo”

“Non è così.” ringhiò, indignato che qualcuno potesse osare pensare una cosa del genere.

“So che non è così.” lo rassicurò “C’ero anche io, quando l’abbiamo seppellito. Ho visto il tuo addio. Ho visto le tue trecce. Ma mi chiedo se tu sia veramente consapevole di ciò che ti spinge a tutto questo.”

“Balin, parla chiaramente.” lo intimò, innervosito da quell’accenno alle trecce. Dove vuole arrivare?

L’amico sospirò “Hai detto che non sai perché hai reagito così. Ma io non so se davvero non lo sai o se piuttosto fingi anche con te stesso di non saperlo, perché ammetterlo farebbe troppo male. Perché le tue parole dicono una cosa, ma le tue azioni raccontano tutta un’altra storia.”.

“Ancora non riesco a capire cosa stai cercando di dirmi.” insistette, cercando di nascondere la breve incertezza nella sua voce.

“Thorin, tu stai soffrendo. Tutti noi soffriamo, i ragazzi, io, Bofur, ma tu soffri più di tutti noi per ciò che è successo. Mille volte di più.” spiegò piano con voce tesa “E a volte ti comporti come se non te ne rendessi conto, come se non riuscissi ad accettare che questo dolore è naturale. Ad esempio, non riesci ad accettare che sentire il nome di Bilbo ti faccia soffrire, e quindi preferisci evitare di sentirlo, così non soffrirai. E forse è perché questo dolore è legato a qualcos’altro, qualcosa che non sai di avere, o a cui forse non vuoi pensare e quindi fingi che non esista. Ma così è ancora peggio, e rende tutto più . . .”

“Non si tratta di niente del genere.” lo fermò, il tono freddo e controllato “Abbiamo perso un membro della nostra Compagnia, un amico che per noi ha fatto tanto, una persona che non meritava di morire. È morto sotto il mio comando e davanti ai miei occhi, e ne sento la responsabilità, questo è vero. Ma è una morte come tante di quelle che ho già affrontato. Passerà, e un giorno semplicemente il suo nome si aggiungerà ai tanti che ho perso lungo la strada. Tutto qui.”.

Balin lo fissò, gli occhi rovinati che lo scrutavano come se potessero leggergli dentro.

“Non credi nemmeno tu a quello che hai appena detto.”

No, certo che no.

Una morte come tante?

Come potrebbe essere una morte come tante, quella che mi ha portato via il mio raggio di sole?

Come potrebbe mai passare il dolore per la mia primavera svanita?

Thorin strinse con forza il pugno “So che mi conosci bene, Balin, ma questa volta ti sbagli.” disse, senza smettere di pensare a quei fiori azzurri che sembravano fioriti fuori stagione solo per essere intrecciati per la prima e ultima volta tra i capelli del suo raggio di sole.

Scusami, amico mio, ma non confesserò a te ciò che non ho avuto il coraggio di confessare a lui.

Questo dolore è mio e mio soltanto, e nessuno al di fuori di me deve sopportarne il peso.

Nemmeno il mio Bilbo.

 

 

 

 

 

 

La tana dell’autrice

 

Non ho molto da dire, tranne che sì, sono una persona orribile, sì Thorin ha troppi complessi e sì, la storia dei non ti scordar di me è basata sulla vera leggenda dietro la loro nascita.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e abbia ripagato un po’ la lunga attesa.

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