Destino Crudele

di Mikarchangel74
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


~~Titolo:  Destino crudele
Fandom: Marvel
Ship: nessuna
Warning Rating rosso! Scene cruente. Violenza e abusi sessuali.
Tags: Hurt & Comfort https://www.facebook.com/notes/hurtcomfort-italia-fanfiction-fanart/26-prompts-challenge/1761132400576945/
Partecipo alla Challenge #26promptschallenge 16/26 ‘Guerra’ (1 capitolo)
Parole: 4547

Destino Crudele
(Capitolo 1)

La seconda guerra mondiale segnò tragicamente l'allora poco più’ che ventenne Jack Hailey per sempre.
Quando nel maggio del 1940 Jack decise di arruolarsi e prendere parte alla guerra degli Stati Uniti contro la Germania, non immaginava ciò che sarebbe accaduto circa un anno più’ tardi.
Non appena ricevette la lettera di arruolamento e riuscì ad essere assegnato alla squadra del Capitano Steve Rogers e del giovanissimo, intraprendente ed impavido Sergente James Buchanan Barnes con cui legò subito moltissimo, Jack si ritenne fortunato e privilegiato. Era un onore combattere a fianco del famoso Captain America. Per le nuove leve Steve Rogers era una leggenda.
E quando arrivò il momento di partire era molto eccitato.
Iniziò a scrivere spesso ai suoi genitori per tranquillizzarli dicendogli che era molto entusiasta della sua scelta, che si trovava in un ottima squadra anche se alle volte le marce erano un po’ pesanti, ma che andava tutto bene e che presto sarebbe tornato a casa.
Ma le cose non andarono esattamente così.

***

Era il 20 ottobre del 1941. Una fitta nebbia si formò durante la notte, facendo sparire le stelle alla vista della sentinella di turno in quella nottata autunnale, l’aria era già piuttosto pungente e fredda, specie per chi doveva stare fermo di guardia.
La nebbia avvolgeva la postazione militare immersa nel silenzio, eccetto per il sonoro russare di qualcuno, rendendo il paesaggio quasi spettrale e misterioso.
Il soldato rabbrividì leggermente stringendosi nelle spalle, si abbracciò, strusciando velocemente gli avambracci con le mani per darsi un po' di calore e tenersi sveglio e vigile. Lanciò un'occhiata all'orologio, mancavano poche ore all'alba. Con lo spuntare del sole sarebbe arrivato un po' di calore e la nebbia si sarebbe diradata.
Ma qualcos'altro giunse prima del sole.
Ci fu' un rumorino come di una bottiglia di birra che viene stappata, la sentinella abbassò lo sguardo vedendo rotolare davanti ai piedi un cilindretto piccolo, quando realizzò una frazione di secondo dopo di cosa si trattasse i suoi occhi si spalancarono ed urlò quanto più forte possibile
“BOM….” Ma il suo grido d’allarme come pure il suo corpo fu' dilaniato dall'esplosione.
Altre bombe a mano e fumogeni di ogni genere furono lanciati attorno alle tende dell'accampamento americano abbassando ancor di più la visibilità. I fumi bianchi e giallognoli si unirono alla nebbia creando un vero e proprio muro bianco. Non solo, i fumi dei lacrimogeni rendevano l’aria irrespirabile. Irritavano gola occhi e polmoni, destabilizzando entro pochi minuti l’individuo colpito.
Scoppiò il caos.
I soldati avrebbero dovuto essere preparati ad un attacco del genere, ma presi di sorpresa in quel modo, durante il riposo, senza strategie per contrattaccare pronte, fecero l’unica cosa saggia in quel momento. Cercare di salvarsi.
Si alzarono di volata dalle brande, tanto erano già vestiti e con il fucile a portata di mano e si precipitarono all’esterno con l’intenzione di allontanarsi da quell’inferno e restare vivi.
Sparatorie iniziarono a risuonare qua e là, con i colpi rapidi delle mitragliette e quelli dei fucili di chi era già riuscito ad uscire dalla propria tenda e tentava di rispondere all’attacco alla cieca, mezzi soffocati da quell'orribile fumo irritante ed irrespirabile, ognuno cercava una via di fuga sicura da quell’imboscata. Tutti sapevano che in quel momento era l’unica cosa da fare. Fuggire, ritrovarsi poi in un luogo più sicuro, organizzarsi e contrattaccare.
Anche Jack si destò all'improvviso col cuore che pareva impazzito nel petto, la bella spiaggia del suo sogno in cui era immerso attimi prima si dissolse immediatamente. Si svegliò nel terrore iniziando a tossire immediatamente. Si coprì la bocca con una manica perché gli pareva d'avere il fuoco in gola e nei polmoni. Gli occhi gli si riempirono di lacrime, senza averne il controllo.
Si sedette sulla brandina improvvisata piegato in due dalla tosse che gli rendeva difficoltoso riprendere fiato. Cosa stava succedendo? Era quello l’inferno di cui aveva sentito raccontare da alcuni veterani alle volte quando erano seduti la sera intorno ad un fuoco con una birra annacquata in mano?

Si sentiva soffocare e non riusciva a riprendere fiato. Cercò di alzarsi ma ricadde pesantemente sulla branda. Il corpo indebolito e sconquassato. Ma doveva reagire assolutamente.
Afferrò il fucile, si lanciò in piedi e brancolò alla cieca vacillando paurosamente peggio di un ubriaco. Le esplosioni fuori dalla tenda lo assordavano. Sentiva fischiare i proiettili tutt’intorno. Sentiva gridare i compagni e i soldati tedeschi che ormai sembravano molto vicini.
Praticamente era la sua prima vera volta che si trovava in mezzo ad un attacco, con il nemico così prossimo.
Cercò di trovare l'uscita della tenda, ma non aveva la più’ pallida idea di dove fosse, si sentiva sempre più’ debole, in procinto di svenire continuava a tossire così forte che lo stomaco gli doleva e pensava che avrebbe sputato i polmoni da un momento all’altro.
Le voci dei compagni iniziarono a farsi sempre più distanti segno che stavano fuggendo, mentre il dialetto duro e secco del nemico che sbraitava ciò che sembravano ordini, era sempre più vicino e Jack si impaurì maggiormente, come se non lo fosse già abbastanza.
Si sforzò di non farsi prendere dal panico crescente che invece tentava costantemente di impossessarsi del suo corpo e della sua mente. Continuava a ripetersi mentalmente – Ce la posso fare. Coraggio. Scappa.–  Ma nemmeno la sua mente era convinta. Temeva di non farcela.
“Aspettate! Vi prego aspettatemi! Non lasciatemi solo!” Gridò disperato sperando che qualche suo compagno fosse nei paraggi e lo udisse, ma in quella confusione le sue grida risuonarono come un miagolio soffocato e si persero nel frastuono esterno.
Era praticamente cieco, tra le lacrime ed i fumi che gli bruciavano gli occhi e lo costringevano a tenerli quasi del tutto chiusi, intravedeva solamente ombre sfuocate ed i lampi dei colpi sparati qua e là nel buio. Teneva le braccia tese in avanti stringendo il corpo del fucile e procedeva a tentoni, inciampò in un tavolino, lo aggirò e proseguì.
Finalmente trovò l'uscita della tenda, ma ciò che intravide non lo consolò. Alcune ombre si muovevano davanti a lui, dalla forma riconobbe busto, spalle e testa, quindi erano persone, ma non fece a tempo a capire se fossero amici o nemici che sentì un forte dolore dietro la nuca e si accasciò a terra perdendo i sensi.

***

I rumori attorno a Jack ricominciarono a giungere ovattati e lontani, oltre ai rumori sentì il dolore dietro la nuca causato dal colpo ricevuto e un po’ di indolenzimento al collo, ma con la consapevolezza di essere ancora vivo, tornò rapido anche il terrore e gli ultimi ricordi del loro campo militare e dell’incursione dei nazisti.
Gemette e cercò di svegliarsi, ma dondolò solo un po’ la testa appoggiata sul petto e strizzò gli occhi.
C’erano delle voci intorno a lui, ma il loro linguaggio era incomprensibile e questo gli diede la consapevolezza di esser finito in mano al nemico e forse a questo punto era meglio se non si fosse risvegliato.
Qualcuno lo colpì con la punta dello stivale su una coscia e finalmente aprì gli occhi, sollevando con fatica ed ancora frastornato la testa. Era seduto sul pavimento con le braccia legate strettamente dietro la schiena e attaccato ad un palo portante della tenda militare, che poi riconobbe esser la stessa tenda dove aveva dormito la notte.
I fumi tossici si erano disperi nell’aria e per fortuna adesso poteva respirare nuovamente. Sei soldati tedeschi in uniforme lo stavano guardando dall’alto della loro statura. Tutti nelle loro impeccabili divise grigio verdi o marroni, l’inconfondibile aquila ad ali spiegate appuntata sul petto e le due S a forma di saetta sulle punte del colletto. Lo osservavano con i loro occhi di ghiaccio, la loro inconfondibile pelle chiara anche se coperta di terra o sporcizia in alcuni punti a causa della guerra in atto, ed i loro capelli biondi quasi bianchi, completamente diversi da quel ragazzo dai capelli castano chiari e la pelle olivastra che li guardava spaurito dal basso.
I loro sguardi erano sprezzanti e di disgusto come se stessero guardando la creatura più ripugnante del pianeta. Parlavano tra loro nella loro lingua a bassa voce e ogni tanto ridacchiavano ed il ragazzo aveva l’impressione che stessero parlando proprio di lui.
Jack era molto giovane, ancora non aveva molte esperienze sul campo e ritrovarsi in quella situazione lo terrorizzava.
La reputazione e le atrocità che venivano fatte ai prigionieri dai tedeschi, o meglio da quella particolare tipologia di essi, erano note a tutti e Jack sapeva che ormai era spacciato… Sperava solo che la morte sopraggiungesse in fretta, non voleva essere usato come cavia da laboratorio.
I soldati gli allungarono qualche altro calcio facendolo tremare e sussultare. Non erano tanto più grandi di lui, anche se lo sembravano dal loro modo di agire e dal loro portamento.
Il vederlo così impaurito dette loro maggior diletto.
Uno di loro si piegò in avanti e gli parlò, qualcosa che a Jack risuonò come dubiten drechighen scein, ma Jack non aveva la più pallida idea di ciò che il soldato gli stava dicendo e lo guardò preoccupato, mentre rischiava di andare nuovamente in iperventilazione da come respirava accelerato.
Il soldato sbuffò infastidito e ripeté la frase che altro non era che un insulto, gli stava domandando se lui era un lurido maiale, ma Jack non conosceva una parola di tedesco purtroppo e scosse leggermente la testa prima che il soldato lo colpisse con una forte sberla poco sopra la tempia, mentre un altro lo afferrava da sotto la mascella e dai capelli costringendolo ad annuire muovendogli rozzamente la testa in su ed in giù.
Era talmente spaventato che sarebbe potuto morire d’infarto. Il cuore martellava ad una tale velocità che probabilmente avrebbe fatto scoppiare anche un cardiofrequenzimetro. Respirando a questo ritmo stava mandando così tanto ossigeno al cervello che quasi gli fece girare la testa.
Si sentiva smarrito, abbandonato e perso. I suoi compagni lo avevano lasciato lì, ma non poteva biasimarli, probabilmente lo avrebbe fatto anche lui. Aveva un grosso groppo alla gola riarsa che ancora gli frizzava, ma adesso la paura non gli faceva provare sete, né avere altri bisogni fisiologici, era tutto annientato dal terrore.
Deglutì dolorosamente e con fatica e gli sembrò di avere della carta vetrata che gli attraversava l’esofago.
Le lacrime lottavano per uscire, ma non poteva comportarsi da bambino e non davanti al nemico. Pensò a Bucky e Steve, loro erano il simbolo del coraggio e della forza. Cosa avrebbero fatto loro? Non avrebbero ceduto ed avrebbero lottato fino alla fine.
… Chissà se si erano accorti della sua assenza… Se il suo gruppo era sopravvissuto o se erano tutti nella sua stessa condizione? Ma no, si costrinse a pensare positivo. I suoi compagni dovevano esser riusciti a salvarsi.


Ma i suoi pensieri furono bruscamente interrotti da un forte pugno che arrivò alla sua tempia sinistra e che gli fece girare la testa fino al limite e lo stordì. Poco dopo arrivò anche un calcio proprio al centro dello stomaco che lo costrinse a soffiare fuori tutta l’aria dai polmoni.
I soldati non si fermarono a quello e per motivi a lui sconosciuti continuarono ad accanirsi sul suo corpo fin quando non rimase che un ammasso sanguinolento ripiegato su se stesso.
Jack all’inizio si era dimenato, ferendosi i polsi mentre la corda gli fregava e recideva la carne.
Aveva urlato fino allo stremo, impossibilitato a muovere anche un solo dito. Aveva tentato di scalciare ma loro gli avevano allargato le gambe ed un calcio lo aveva fatto ululare disperatamente e boccheggiare perché non riusciva a riprendere fiato. Era convinto che gli avessero strappato i testicoli dal dolore assurdo che aveva provato e che poco dopo gli aveva procurato anche un getto di vomito sporcandosi tutta la sua divisa ed un odore acre e nauseabondo si era diffuso nell’aria.
Alla fine però aveva ceduto, era rimasto abbandonato su se stesso, bloccato dalle costrizioni che lo tenevano ancorato a quel maledetto palo di ferro. Il volto gonfio e livido, il labbro spaccato, uno o due denti erano saltati e un filo di sangue colava dal lato della bocca.
Non una parte del corpo era stata risparmiata e per quale motivo? Lui non lo seppe mai, probabilmente solo per il loro perverso piacere nel torturare un’inerme prigioniero.

***


Intanto in un’altra area sulle isole del Pacifico, scampati all’incursione dei nazisti, il capitano Steve e il sergente Barnes passano tra le file dei soldati informandosi sulle loro condizioni e controllando in quanti si fossero salvati.
Avevano allestito un campo medico improvvisato e chi era in buone condizioni e conosceva qualche nozione di medicina, dava una mano per curare i feriti.
Bucky era diventato molto nervoso ed agitato, continuava a guardare qua e là e girare ogni soldato di spalle per guardarlo in viso. Non riusciva a trovare il suo amico. Dannazione, ne era responsabile, perché non si era accorto subito che Hailey mancava all’appello?
Si passò disperato le mani nei capelli. Steve notò il suo turbamento ed intervenne
“Hey Buc cosa c’è che non và?”
“Hailey… La nuova recluta. Il ragazzino!”
“Quello che si era molto affezionato a te e ti seguiva ovunque?”
“Sì esatto. Non riesco a trovarlo da nessuna parte.”
“Forse .. Ha trovato un altro nascondiglio.. Non è detto che sia ..” Non terminò la frase, per non peggiorare lo stato d’ansia del compagno. Ma in diversi mancavano all’appello, se non erano morti allora potevano essere prigionieri dei tedeschi e Steve pensò che forse era meglio la morte a quel punto.
Appoggiò una mano sulla spalla dell’amico turbato “D’accordo organizziamoci e torniamo al nostro campo, attacchiamo quei bastardi e li rispediamo nel buco merdoso da dove sono usciti e liberiamo i nostri amici se sono loro prigionieri.” Disse risoluto cercando di tranquillizzare James che si morse il labbro inferiore ed annuì sospirando Non del tutto convinto.
Jack era solo un ragazzo alle prime armi, una nuova leva.
Si era rivelato subito molto entusiasta di partecipare nella squadra di Cap, a quanto pare aveva seguito le sue gesta eroiche e si era dimostrato bravo nel maneggiare le armi, ma un conto era la teoria ed un conto era la pratica. Non avevano avuto ancora scontri come quello appena accaduto. Jack non aveva esperienza … non aveva ancora visto morire nessuno e nemmeno aveva ucciso qualcuno. E quel era peggio è che James se ne era preso la responsabilità, lo aveva preso sotto la sua ala, insegnandogli quante più cose possibile. Ma nel momento del bisogno lo aveva abbandonato senza remore. Aveva afferrato il suo fucile ed era scappato a gambe levate senza pensare a niente e nessuno!
Ed ora questa cosa non se la perdonava. Ma come aveva potuto?
Non riuscì più ad avere pace. Nella sua mente scorrevano orribili immagini di quello che i bastardi nazisti avrebbero potuto fare a quel giovane soldato e che cercò di scacciare.
Lui ne sapeva qualcosa, era già stato prigioniero di quei figli di puttana. Una divisione chiamata Hydra l’aveva braccato e torturato, ma fortunatamente il suo grande amico Steve lo aveva trovato e salvato.
Si mise a pulire tutte le armi che aveva per tenersi occupato e pensare ad altro. Andò avanti anche per tutta la notte durante la quale non riuscì a chiudere occhio. Smise solo quando fu convocato dal capitano Rogers insieme a tutti i soldati in grado di combattere, per definire i dettagli del loro contrattacco verso i maledetti crucchi.

***


Dopo il tremendo pestaggio i soldati se ne erano andati ridacchiando e scherzando tra di loro. Jack non si era più mosso, ma una volta da solo, si era abbandonato a qualche singhiozzo e gemito di dolore, era così malridotto che anche piangere era straziante ma alcune lacrime erano riuscite a vincere e tracimare.
Non c’era una singola parte del suo corpo che non bruciasse o facesse un male boia.
Ingenuamente pensò che il peggio fosse passato rincuorandosi leggermente, non avendo idea di ciò che sarebbe accaduto la notte successiva.

Il gruppo di soldati si ripresentò dopo cena, erano tutti ubriachi o quasi, comunque erano molto su di giri.
Si erano portati dietro la bottiglia di Rum.
Jack trasalì e sollevò la testa che era ancora abbandonata sul suo petto.
Il suo cuore dal terrore, riprese a battere come un martello pneumatico impazzito nel vederli.
I soldati parlavano ad alta voce e a momenti intonavano parti dell’inno americano per poi ridere e Jack suppose dalle loro espressioni che dicessero volgarità.
Li guardò con gli occhi spalancati, supplichevoli e sconvolti, ansimò rendendosi conto che respirava così veloce che pareva avesse corso gli ottocento metri piani.
I sei individui sembravano apparentemente gli stessi della mattina, lo circondarono, gli parlavano e poi gli rovesciarono in testa parte della bottiglia di Rum, che bruciò come il fuoco sulle ferite.
Jack scosse la testa per non farlo colare sugli occhi e questo provocò alcune risatine ed altre battute tra i suoi carcerieri. Uno di loro si accovacciò lo afferrò per i capelli tirandogli indietro la testa, costringendolo ad aprire la bocca dove ci versarono altro Rum. Jack tossì e sputacchiò il liquido rischiando di soffocarsi.
Dio come bruciava!! Sembrava piombo fuso nella gola irritata per il troppo gridare.
I soldati intanto si guardarono e due di loro si sbottonarono la patta tirando fuori il loro membro e mentre Jack veniva tenuto ancora con la bocca aperta verso l’alto, i due diressero i loro getti d’urina proprio nella sua bocca.
Jack si dimenò, scosse furiosamente la testa nel tentativo di liberarsi, il dolore divampò di nuovo ovunque nel suo corpo, ma la repulsione per quello che stavano facendo era maggiore. Cercò di chiudere la bocca sputando lo schifoso liquido caldo. Gridò con gli occhi serrati e tossì per alcuni conati di vomito che gli strizzavano lo stomaco e che gli fecero andare l’urina in gola.
Ovviamente i soldati trovarono il tutto molto esilarante.
Una volta svuotate le loro vesciche afferrarono Jack da sotto le ascelle, liberandogli i polsi e tirandolo in piedi. Lo dovettero sorreggere perché le sue gambe non volevano proprio collaborare.
Adesso era completamente fuori di sé per la paura non avendo idea di cosa avessero in mente quegli esseri orrendi che non potevano esser definiti umani.
I soldati lo sbatterono a pancia sotto sul rozzo tavolino di legno lì accanto e senza alcun ritegno gli abbassarono i pantaloni ed i boxer fino alle caviglie. Jack cercò di ribellarsi, l’adrenalina che di colpo si era sprigionata per l’improvvisa raccapricciante consapevolezza riguardo le loro intenzioni, gli dette una rinnovata energia.
Cercò di puntellare le mani sul tavolo e tirarsi su, ma due di loro lo presero per le braccia tenendolo giù. Per loro era tutto così spassoso ma non per il giovane soldato che si sentì esposto e vulnerabile. La sua mente si rifiutava di credere che a breve sarebbe stato violato intimamente. Si dibatté, continuando a ripetere urlando “Vi prego No! Questo No!” Si mise persino ad implorarli piangendo, perché ormai non vi era più un briciolo di orgoglio o dignità in lui, ma non servì proprio a niente, iniziarono a sodomizzarlo a turno senza pietà, e per aumentare l’annientamento psicologico gli lasciarono persino il liquido seminale dentro.
Jack lanciò un grido terrificante che avrebbe raggelato il sangue nelle vene della persona più coriacea.
Il dolore era indescrivibile e non solo fisico ma anche psicologico.
Qualcosa fece click o si ruppe nella sua testa, nel suo essere. Piano piano le sue urla si spensero fino a rimanere solamente dei lievi singhiozzi.
Tutti e sei si divertirono a seviziare il povero Jack rincarando la dose con le loro risate crudeli. Jack però ormai era come se fosse uscito dal proprio corpo. Non riusciva a credere, realizzare che ciò che stava subendo fosse reale. Non era suo quel corpo profanato e straziato.
Le lacrime cessarono di uscire. Il suo sguardo si spense e si perse nel vuoto, lasciando che si divertissero e pregando perché tutto quell’orrore finisse presto.


Lo lasciarono lì, volgarmente piegato ed esposto sul tavolo, mentre il liquido seminale biancastro gli colava lungo le cosce giù fino a terra, rinfoderarono i propri organi genitali e se ne andarono come se fossero stati in un bagno pubblico a pisciare.
Jack rimase lì fermo per un po’, poi si lasciò scivolare a terra, perché le gambe non lo sorressero. Il corpo scosso da tremore incontrollabile. Non tentò nemmeno di ricoprire le proprie nudità. Si raggomitolò su un lato stringendo forte le ginocchia al petto e battendo i denti come se avesse freddo, ma non era la temperatura la causa, era un freddo che nasceva dentro, nel petto in cui adesso sembrava ci fosse un peso di una tonnellata. Non aveva nemmeno più lacrime da versare.
Di colpo girò la testa e vomitò, ebbe i conati anche quando non uscì più niente dalla bocca. Ebbe l’impressione di vomitare anche l’anima, anzi, quella l’avrebbe vomitata volentieri per non sentire più niente. Né più il dolore, né quella cosa straziante e devastante che si era impossessata di lui.
Avrebbe voluto vomitare il cervello per non ricordare più niente!
Avrebbe voluto vomitare la sua vita per poter chiudere gli occhi e riposare in eterno. Perché ormai del Jack che tutti conoscevano non era rimasto più niente. Lo avevano già ucciso interiormente.
Rimase lì, nel suo vomito, sporco in ogni senso del termine, con lo sperma che andava seccandosi sul suo corpo e la sporcizia che vi si depositava sopra, la polvere e la terra che vi si attaccava.
Seminudo, ripiegato su se stesso, come una bambola rotta a fissare il vuoto e tremare… e respirare.

 

E fu’ così che lo ritrovarono i compagni d’armi il giorno dopo.

Quando Captain America e gli altri arrivarono pronti a cacciar via gli invasori, i nazisti avevano già tolto le tende.
Trovarono molti dei compagni morti lì intorno e James non trovando Jack da nessuna parte si stava angosciando terribilmente.
Si divisero e si misero a controllare tutte le tende e tutti i cadaveri, ma di Jack non c’era traccia.
Poi da una tenda un soldato chiamò il capitano ed il sergente.
James riconobbe la tenda era proprio quella del ragazzo. Gli salì un tremendo presentimento, deglutì della bile amara che era risalita in gola per l’ansia ed entrambi corsero ad affacciarsi.
Il soldato gli indicò il corpo ancora in giovane età ripiegato su se stesso a terra, immobile.
“Oh Dio Jack!” Disse Bucky con le mani sulla bocca ansimando come se non avesse più fiato, pensando fosse morto e stava per gettarsi sul corpo del ragazzo, ma Steve lo bloccò trattenendolo per un braccio
“Guarda..” Gli indicò il fianco del ragazzo che era voltato di schiena a loro e, dove finivano le costole si poteva notare un leggero movimento “..Sta’ respirando, non è morto.”

Fu’ subito chiaro ai due quale orribile sorte era toccata a Jack Hailey, nuova recluta della milizia degli Stati Uniti d’America.

James non sapeva come o cosa fare, non aveva proprio idea di come accostarsi ed approcciare quel piccolo riccio umano senza aculei profondamente e tragicamente violato e ferito.
Il soldato di prima portò una coperta per coprire Jack, ma come gli venne appoggiata sopra il ragazzo trasalì, soffiando fuori l’aria tra i denti che ancora battevano tra loro. Durante la notte si era morso anche la lingua staccandosi la punta, ma non ci aveva fatto nemmeno caso.
James guardò Steve come in cerca d’aiuto. Una cosa era certa, non potevano certo lasciarlo lì, così, molto cautamente e lentamente gli si avvicinò e si accoccolò vicino alla schiena
“Jack .. ? Hey ragazzino sono Jam… Bucky, ci siamo tutti, c’è anche Steve …” gli parlò dolcemente cercando di notare eventuali piccoli movimenti, ma non cambiò niente. Barnes lanciò un’altra occhiata interrogativa a Steve che lo incoraggiò a riprovare con un cenno della testa
“Jack, so che mi senti. … Siamo tornati tutti per salvarti. Non ti lasceremo qui. Adesso ti prendo ok? Ti porto con me, ti riporto a casa, che ne pensi?” Poi James allungò le braccia per prenderlo, ma come lo toccò il ragazzo iniziò ad urlare e contorcersi come un pazzo.
Spaventò tutti Bucky per primo che non sapeva veramente cosa poteva o doveva fare, ritirò le mani portandole al viso angosciato.
Steve temette che se i tedeschi fossero stati ancora in zona potevano sentirli e tornare.
Non potevano restare lì, non era prudente. Aveva già avvertito il comando centrale per mandare una squadra di recupero ed un elicottero per portare via il giovane soldato. Per lui la guerra era finita tragicamente ancor prima di poter avere vere missioni.

“Prendilo! Dobbiamo andarcene prima che ci sentano e tornino. Afferralo e tienilo stretto” Gli disse Steve controllando nervosamente fuori dalla tenda.
James esitò un attimo, poi cinse il corpo esile di Jack con le braccia avvolgendolo nella coperta e sollevandolo da terra. Appena si sentì sollevare Jack rilasciò anche la vescica e l’urina colò a terra. Era una visione orrenda e l’odore acuto che emanava era anche peggio, nemmeno un barbone avrebbe avuto lo stesso odore.
Il ragazzo era fuori di sé, continuava a gridare con gli occhi serrati, in preda ad un panico che nessuno era in grado di valutarne l’intensità, ma doveva essere indescrivibile. Scalciava e colpiva le braccia del suo migliore amico con i pugni anche se non riusciva a mettere forza nel suo delirio.
Bucky sentiva il corpo di Jack scuotere così forte contro il suo petto e le braccia da tremare lui stesso.
Cercava di consolarlo con sussurri e parole dolci contro il suo orecchio, ma il ragazzo sembrava non sentirle affatto.
E mentre si recavano al punto di incontro con la squadra di recupero Steve ordinò di sedarlo, non potevano continuare con quegli urli disumani, era uno strazio per tutta la squadra e un segnale della loro presenza per i nazisti. Non poteva mettere a repentaglio tutte quelle vite… Ne aveva già perse fin troppe.
E Jack anche se lottò contro la soluzione calmante, alla fine crollò e si addormentò in collo a Bucky, che però continuò a sentir tremare il corpo del giovane soldato finché non lo depose sul lettino medico dell’elicottero del soccorso militare.

James non si sentì di lasciarlo solo, dopo tutto si sentiva in colpa per averlo lasciato indietro, abbandonato in quel dannato campo, si sentiva in colpa di averlo fatto finire nelle mani del nemico e così si promise che se ne sarebbe preso cura personalmente, non importava quanto tempo ci sarebbe voluto per far tornare a galla il suo giovane amico, ma sentiva di doverlo fare. Doveva in qualche modo redimere la propria coscienza.
Scambiò due parole con il Capitano Rogers, che gli diede il permesso e James salì sull’elicottero, sedendosi a fianco di quel povero ragazzo che adesso pareva riposare tranquillo. Gli prese una mano tra le sue, sul volto di Jack scese una lacrima ed il sergente l’asciugò con il pollice, poi guardò fuori mentre il velivolo si sollevava da terra, osservando serio e triste il suo amico Steve che lo guardava dal basso coprendosi il volto per il vento provocato dalle pale dell’elicottero. Si guardarono fin quando l’apparecchio non sparì tra le nubi basse del cielo sparendo dalla vista.

 

(to be continued..)


N.B. Questa è la prima volta che decido di affrontare un rating ROSSO. Lo ho sempre avuto in testa, ma tra l'immaginare e lo scrivere c'è una bella differenza. Spero di esser riuscita a tradurre bene le immagini che scorrevano nella mia testa. Premetto che la guerra è una cosa che cerco di evitare, purtroppo c'è nel mondo e ciò che ho scritto sono fatti reali che ho preso documentandomi molto prima di affrontarli. Quindi siate buoni nelle recensioni, ma se non provavo ad affrontarlo con questo prompt un rating rosso, non credo sarebbe ricapitato e così ho voluto fare questo tentativo, vi prego però ditemi le vostre impressioni e le critiche, mi aiuteranno a migliorare. Grazie.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


~~Titolo:  Non temere, non ti lascio

Fandom: Marvel
Ship: nessuna
Warning Rating arancione. Scene di ptsd e violenza.
Tags: Hurt & Comfort https://www.facebook.com/notes/hurtcomfort-italia-fanfiction-fanart/26-prompts-challenge/1761132400576945/
Partecipo alla Challenge #26promptschallenge 17/26 ‘Espiazione’ (2° capitolo)
Parole: 7063

 

Non temere, non ti lascio

(Capitolo2)


Era passata appena una settimana da quando Jack Hailey, giovane recluta dell’esercito americano e il suo amico, nonché più alto in grado sergente James Barnes erano stati trasportati presso l’ospedale militare di Musgrove in Somerset, Inghilterra.

Appena giunto Jack era stato rivoltato come un calzino, aumentando esponenzialmente le sue condizioni traumatiche e psicologiche.
Era stato separato da Barnes e trasportato nella sala dell’infermeria sterile dove gli era stata tolta la coperta, tagliata via la divisa e tutti gli indumenti rimasti ed ovviamente i modi che avevano usato non erano stati delicati e premurosi. Mani fredde, insensibili ed indifferenti lo toccavano in ogni dove, facendolo urlare come un pazzo riacutizzando il dolore delle percosse.
Nonostante avesse ancora il sedativo in circolo nelle vene, il terrore che lo aveva di nuovo investito, era riuscito ad annullare persino l’effetto del calmante.
Avevano dovuto visitarlo accuratamente anche nelle sue parti intime e soprattutto lì, la zona inguinale intorno ai testicoli aveva una colorazione bluastra per via dell’ecchimosi dovuta al forte calcio ricevuto.
Accurati esami medici fatti successivamente stabilirono anche che ne aveva risentito la sua fertilità. Il ragazzo non avrebbe mai più potuto avere figli, ma non glielo riferirono all’inizio.
Gli dovettero inoltre fare una sorta di pulizia rettale per evitare infezioni, con aggiunta di iniezioni di antitetanica e la tremenda penicillina.
Jack si sentì morire di nuovo.
Ormai si sentiva come un pezzo di carne da macello, non riusciva a muoversi, non riusciva a difendersi o a ribellarsi avrebbe voluto morire per non sentire più niente, ma non gli era permesso nemmeno perdere conoscenza.
Poteva solo gridare e piangere. Pregare di morire e supplicare ‘Pietà’.

Bucky fuori dall’infermeria in corridoio si muoveva nervosamente e si tormentava le unghie delle mani con i denti, mentre tutto il suo essere veniva scosso profondamente dalle urla strazianti provenienti oltre quella maledetta porta. Jack non aveva smesso un attimo.
Ad un certo punto la pena nel suo cuore fu’ così tanta che dovette allontanarsi in fretta. Lo stomaco voleva ribellarsi e rigettare fuori quel poco che conteneva.
Si affacciò ad una grossa finestra che dava sul cortile dell’ospedale militare.
Si appoggiò al davanzale stringendolo così forte che le dita divennero esangui. Respirò profondamente svariate volte tenendo gli occhi chiusi.
Come sarebbe stato in grado di aiutare un ragazzo in quelle condizioni? Lui non aveva esperienza né nel campo della medicina né in psicologia.
Ma una cosa era certa, non lo avrebbe lasciato di nuovo da solo, almeno finché non fosse riuscito ad aiutarlo, a farlo tornare quello di prima, anche se quel genere di ferite non si sarebbero mai rimarginate del tutto.
Doveva tentare, si sentiva troppo in colpa per averlo lasciato in mano a quei mostri bastardi.
E’ vero, non era stata colpa sua, il protocollo, in situazioni come quella consigliava la ritirata per poi organizzarsi e contrattaccare, ma non avrebbe dovuto lasciare nessuno di cui si era preso la responsabilità di proteggere.

***

Ore dopo Jack era stato spostato in una stanza del reparto psichiatrico.
“Hey! Non è pazzo!” Aveva protestato il sergente, e come risposta aveva ricevuto un “Forse ancora no ma lo diventerà”
Bucky avrebbe voluto spaccare la faccia a quell’infermiere, ma si trattenne ed entrò nella stanza. Jack era rannicchiato sotto un lenzuolo leggero scosso da sporadici singhiozzi, era sveglio, fissava avanti a se con occhi assenti e vitrei come potrebbero essere quelli delle bambole, quasi non batteva le palpebre e tremava assurdamente.
Dall’angolo dei suoi occhi ogni tanto scivolava giù una lacrima, che sembrava l’unica cosa animata in quel corpo. A Bucky si strinse ancor di più il cuore.
Mentre prestavano le prime cure al giovane soldato, Barnes era stato convocato dal responsabile di quell’area dell’ospedale per farsi raccontare cosa aveva affrontato quel soldato, James ovviamente aveva spiegato come erano stati attaccati, come l’aveva ritrovato e aveva ipotizzato cosa potesse esser successo, ovviamente solo Jack avrebbe potuto raccontare i fatti, ma chissà se mai ci fosse riuscito.

Iniziò così il lungo e difficile periodo di degenza per Jack nell’ospedale militare di Musgrove e della veglia di Bucky.

***

La prima settimana.
Jack non si muoveva mai se non per tremare o sussultare ogni volta che qualcuno lo toccava, sembrava diventato un vegetale, era sveglio ma non era presente, come lo mettevano e come rimaneva, proprio come una bambola, non urlò più dopo quel giorno dell’infermeria.
Potevano fargli qualsiasi cosa, ma lui niente.
Bucky cercava di spronarlo, invogliarlo a partecipare continuamente in ogni modo possibile, parlandogli, leggendogli libri, portandogli oggetti a lui noti, ma Jack non reagiva e Bucky si domandava spesso dove o se stesse sbagliando e se non fosse ormai tutto inutile.
Ma non si scoraggiò. Decise che non lo avrebbe mai più abbandonato, sperando che un giorno si sarebbe ‘svegliato’. Aveva iniziato col mettersi seduto su una sedia vicino al suo letto, aveva persino imparato a cambiare i sacchetti delle flebo perché cercava di lasciare il ragazzo in mano ai medici il meno possibile, voleva che sentisse che il suo amico Bucky era lì appositamente per lui.
Dormiva su una poltroncina lì in un angolo della stanza e si allontanava solamente per andare in bagno. La mattina si alzava, correva in bagno a darsi una rinfrescata e poi iniziava ad occuparsi di Jack, cercava di lavarlo un po’, ovviamente senza andare in zone che avrebbero potuto sconvolgerlo, inzuppava una spugna nell’acqua tiepida e gliela passava delicatamente addosso e nel farlo gli parlava dolcemente, come un padre farebbe con un bambino piccolo.
Ogni tanto un pensiero però andava al suo capitano. Chissà come se la stavano cavando sul campo di battaglia o se avevano bisogno di lui. Ma poi guardava il corpo annichilito lì, davanti a lui, gli carezzava la fronte e ripeteva nuovamente “Non preoccuparti. Ci sono io qui con te. Non ti lascerò mai più.”

Cercava di spronarlo con frasi e domande come “Buongiorno Jack. Come ti senti stamani? Hey oggi c’è il sole fuori, ti va’ di uscire?”
Ovviamente non riceveva mai risposta, ma Bucky non si perdeva d’animo.
Dopo averlo lavato lo tirava su in una posizione un po’ più seduta, lo pettinava, se c’era bisogno lo radeva anche se lo sentiva irrigidirsi a morte durante quell’operazione e non capiva se era una reazione al tocco o alla lama affilata del rasoio, che fosse stato anche minacciato con dei coltelli? Ma questa reazione significava che comunque lui qualcosa sentiva, che una parte di lui era ancora cosciente di ciò che gli accadeva intorno.
Quindi arrivava la ronda dei dottori per la visita e le medicazioni più complicate. Bucky avrebbe voluto fargliele evitare, ma purtroppo erano necessarie e lo ritrovava di nuovo con gli occhi sbarrati, il cuore che batteva all’impazzata e l’affanno. Quindi con pazienza lo abbracciava stringendolo dolcemente tra le braccia, gli sussurrava parole confortanti per calmarlo e l’operazione durava dalla mezz’ora all’ora, a seconda di cosa avevano dovuto fargli nella visita.
Dopo di che cercava di fargli buttar nello stomaco qualcosa, ma Jack non collaborava affatto. Guardava nel vuoto e non apriva la bocca.
“Ti prego Jack, devi mangiare qualcosa, non voglio che ti lasci andare così! Avanti soldato! Reagisci!” Ma niente, sembrava tutto inutile.
Ai medici non pareva vero che ci fosse il sergente Barnes a prendersi cura di quel paziente, gli risparmiava un sacco di lavoro.

Nella seconda settimana sembrava che poche cose fossero cambiate nel comportamento di Jack. James si era avvicinato a lui sempre di più, adesso riusciva a lavarlo, vestirlo e stare persino seduto sul suo letto senza vederlo saltare o ansimare di terrore.
Era una piccola vittoria anche se era vero, il soldatino ancora non reagiva; Dalla tac non risultò niente di anomalo, ma i medici sospettarono che il giovane potesse aver rimosso tutto. Poteva essere un bene ed in quel caso, una volta che avesse ripreso a svolgere le sue mansioni autonomamente, sarebbe stato dimesso.
“Hai sentito Jack? Dai guarisci che ti rispediscono a casa!!” Disse con enfasi Bucky, ma in risposta ricevette il solito sguardo perso nel vuoto e apatico.
“Hey Jack guardami. Guardami ti prego.” Gli disse sedendosi sul suo letto e con dolcezza appoggiò il palmo caldo della sua mano su una sua guancia smunta e con una leggerissima pressione gli voltò il viso verso di sé.
“Jack … Sai chi sono? Mi riconosci? O hai dimenticato anche me?”
Per un fugace momento gli sembrò che Jack lo osservasse e che avesse impercettibilmente allargato gli occhi.
Cosa significava? Lo riconosceva? Bucky avrebbe dato il suo occhio sinistro per sapere cosa c’era adesso nella testa di quel ragazzo e dove si era andato a rifugiare per tutto quel tempo.
Era troppo tranquillo, come il silenzio e la calma che precede una tempesta. E quella tempesta arrivò proprio durante la terza settimana, quando Jack riacquistò ogni tenebroso e raccapricciante ricordo, catapultandolo nella cruda realtà e devastando di nuovo tutto il suo fragile equilibrio. Tutto il suo essere, tutto quello che aveva costruito passo dopo passo con Barnes.

Iniziarono gli incubi notturni.
Una notte di colpo, Jack si mise ad urlare ed agitarsi facendo spaventare James e due o tre infermieri che accorsero.
Bucky si sedette sul suo letto e lo abbracciò subito forte, ma Jack stavolta non reagì come sempre. Lanciò un urlo ancora più forte. Il suo corpo era scosso da un tremore fuori dal normale, tanto che James decise di lasciarlo immediatamente.
Stavolta c’era qualcosa di diverso nel giovane. Jack si stava guardando intorno spaesato, con gli occhi grandi, il cuore in defibrillazione e l’affanno per l’assurda paura. Paura di cosa, solo lui lo sapeva.
Gli occhi schizzavano da una parte all’altra come palline di un flipper.
Jack era tornato, era lì presente. Bucky non sapeva se questo fosse un bene o un male, ma finalmente era di nuovo in sé, per lo meno dava segni di vita. Ne fu’ sollevato, anche se la gioia ed il sollievo svanirono presto.
Jack aveva di nuovo la mente stravolta da indescrivibili immagini truci: Lui immobilizzato, impossibilitato a difendersi mentre i nazisti si accanivano su di lui malmenandolo senza pietà con calci, pugni, sputi. Lui nella polvere da solo, privato della libertà, dell’identità. Deriso, umiliato, privato della sua dignità, del suo orgoglio .. della sua vita.
C’erano incubi la notte che lo facevano svegliare sudato, teso, con le coperte strette nei pugni, digrignando i denti per un dolore che solo lui poteva sentire, oppure incubi che lo facevano schizzare a sedere stravolto, urlando ancora ‘pietà’ … Una pietà che non era mai arrivata per il giovane soldato.
James allora si sedeva sul letto, lo afferrava abbracciandolo stretto. Cullando quel corpo tremante sconquassato dal pianto e dai singhiozzi, che erano come tante piccole lame che gli affettavano il cuore.
Gli teneva la testa contro il proprio petto, come quando una madre tiene il bimbo appena nato e gli sussurrava piano cercando di calmarlo, perché altrimenti sarebbero arrivati gli infermieri per sedarlo e Bucky non voleva che tornasse in quello stato catatonico indotto forzatamente dai medicinali, anche se magari poteva essere una benedizione per Jack.
Ma forse il giovane stava realizzando, forse stava elaborando quanto gli era accaduto, e questo era un bene, magari ci sarebbe voluta una settimana, un mese o un anno di incubi, urla e pianti, ma alla fine sarebbe finalmente stato meglio, stava esprimendo tutto il suo orrore e dolore, era un bene. Pensava Bucky ingenuamente.
“E’ tutto ok. E’ tutto ok, è solo un brutto incubo. Sono qui con te, non temere non ti lascio.” Continuava a ripetergli mentre l’altro farfugliava frasi senza senso, come il vaneggiamento di un pazzo, alle volte usando un linguaggio osceno come se lui stesso fosse uno dei suoi carnefici.

Ma il sergente Barnes si sbagliava.
Senza medicinali che lo tenessero tranquillo e staccassero un po’ la spina al suo cervello, il soldato fu’ preso da schizofrenia e paranoia. Gli incubi lo distruggevano la notte e forti allucinazioni lo colpivano durante il giorno.
Le allucinazioni erano sempre più reali per Jack, al punto che un giorno spiccò un balzo dal letto, finendo addosso al sergente, che colto di sorpresa e sbilanciato finì a terra con Jack, i tubicini delle flebo e un ago si sfilò dalla pelle tirata del braccio del ragazzo.
Bucky si sorprese dell’incredibile forza che aveva il ragazzo all’apparenza molto debole e debilitato.
Jack lo spinse sotto al letto tenendogli una mano sulla testa
“Stai giù! Siamo sotto attacco!” Sibilò serio contro un confuso ed allibito James.
Sembrava che Jack fosse veramente su un campo di battaglia che solo lui poteva vedere.
Tre infermieri accorsero, avendolo intravisto dal corridoio.
“Oh no ci hanno trovato! Maledetti crucchi non ci avrete!!” E d’improvviso afferrò una gamba di uno degli infermieri, tirandola e facendolo cadere pesantemente.
Gli altri due afferrarono Jack per le gambe tirandolo fuori da sotto il letto, mentre lui si dibatteva e gridava di nuovo terrorizzato. James cercò di farsi capire sopra le grida dicendo che se ne sarebbe occupato lui e che era tutto sotto controllo, di lasciarlo fare, ma stavolta Jack dovette essere sedato.
Mezz’ora dopo ripresero il sergente Barnes, dicendo che non avrebbe dovuto ricapitare mai più o avrebbero preso seri provvedimenti. Ne andava la tranquillità degli altri pazienti di quel reparto.

Barnes non poté mantenere la parola data perché non si era reso ancora conto di quanto la testa di Jack stesse dando di matto in quel momento. Probabilmente se se ne fosse reso conto, avrebbe fatto sparire da un po’ il coltello e la pistola che teneva con se e che aveva chiuso ovviamente fuori dalla portata di Jack, in uno stipetto in alto dell’unico armadio che c’era in quella stanza d’ospedale. E nemmeno si seppe spiegare come il ragazzo ne venne a conoscenza, fatto sta’ che una mattina, poco prima dell’alba, mentre dormiva, si sentì appoggiare qualcosa di freddo alla tempia.
Sollevò piano le palpebre e sbatté gli occhi assonnati qualche volta trovandosi il ragazzo in piedi di fronte a lui
“Jack… Jack è ancora notte dormi, torna a letto. C’è qualcosa che non va’?”
Ma Jack lo colpì con un forte manrovescio che svegliò completamente Bucky, accorgendosi che aveva le braccia tirate indietro ed i polsi bloccati dietro la spalletta della poltroncina.
Bucky lo guardò preoccupato
“Jack ma cosa…”
Ma il ragazzo impugnò la pistola con entrambe le mani puntandogliela al volto
“Silenzio maledetto schifoso! Pensavi di farla franca è? Ma ti ho trovato! Ti ho preso!”
Bucky iniziò ad avere paura
“Jack! Jack! Hey soldatino..” Usò il nomignolo con cui l’aveva sempre chiamato appena arruolato. Doveva cercare di farlo tornare in sé “..Jack sono io. Sergente Bucky Barnes del centosettesimo reggimento fanteria. Sono dalla tua parte! Sono un tuo amico!”
Ciò che spaventò il sergente era la luce che scorse in quello sguardo, un qualcosa che non aveva mai visto nel ragazzo. Uno sguardo ricolmo di un odio smisurato, feroce, dilaniante, qualcosa di profondo che cercava di scoppiare e trovare finalmente pace e vendetta.
Jack lo colpì ancora, stavolta con l’arma che stringeva in mano e che tagliò la guancia a Bucky. Qualche goccia di sangue scuro colò sulla camicia.
“Sta’ zitto ho detto! Tu sei un fottuto nazista! Ti ucciderò come un cane!” Gridò e si apprestò a sparare, ma per fortuna l’intervento degli infermieri fu’ tempestivo, iniettarono direttamente una buona dose di sedativo nella sua spalla e lo disarmarono, mentre Bucky rilasciava il fiato trattenuto e riprendeva un po’ di colorito sulle guance. C’era mancato veramente poco.
Gli infermieri decisero di legare Jack a letto.
Il giorno dopo il gruppo di specialisti che avevano Jack in cura si riuniscono per decidere come procedere col paziente. Tutti concordano sul fatto che ormai il ragazzo abbia perso il senno, l’orrore della guerra l’aveva fatto impazzire. Avrebbero potuto tentare con l’elettroshock, loro ultima risorsa, ma nella maggior parte dei casi, preferivano tenevano imbottiti di sedativi e dopo un tot di tempo rimandati a casa.
Non solo, tutti ritennero altresì giunto il momento di separare il sergente dal ragazzo. Non gli aveva fatto bene, anzi, non permettendogli di dargli le giuste cure e i calmanti, la colpa era soltanto sua se adesso quel soldato era impazzito definitivamente.
Quindi lo convocarono, gli spiegarono la situazione e lo cacciarono sgarbatamente.
Quando gli dissero che la colpa era quasi sicuramente sua se Jack aveva perso la testa, Bucky si sentì sprofondare… Ma come, lui aveva fatto di tutto per aiutarlo .. ed invece aveva forse causato un danno peggiore?

La sera stessa fu’ l’ultima volta che si accostò al letto di Jack legato a polsi e caviglie a quel letto di ospedale, che sotto l’effetto dei tranquillanti mormorava in maniera confusa ed agitata.
Si chinò per dargli un sentito bacio sulla fronte e sussurrò un contrito “Perdonami.”
Poi raccolse la giacca e la sua poca roba e se ne andò per riunirsi col suo reggimento e con Steve Rogers.

***

Per Jack iniziò un periodo ancora più orribile, senza la protezione di James ormai i medici erano liberi di trattare Hailey come ritenevano più giusto, anche se i metodi o i sistemi forse non giovavano alla sua ripresa ed al suo stato emotivo e psichico, ma per loro era solo il paziente numero 567/A, non era ciò che era stato per il sergente.
Lo tenevano sempre legato su quel letto, eccetto quando avevano da fargli esami che richiedevano di doverlo portare in altre stanze o quando dovevano lavarlo o cambiargli le lenzuola e se avevano da fare qualcosa nella stanza allora lo mettevano seduto su una sedia con una camicia di forza ben stretta addosso.
Nella sua follia aveva cercato di nuovo di assalire l’infermiere di turno un paio di volte e così oltre che tenerlo immobilizzato ogni giorno gli facevano ingoiare due pasticche di Haldol, un forte antipsicotico che avrebbe dovuto tenere a freno allucinazioni e delirio.

Ed altre settimane passarono.

James era tornato a combattere a fianco di Cap.
Aveva raccontato tutto all’amico, di come aveva cercato con ogni mezzo di aiutare quel ragazzo.
“Ci ho messo anima e cuore Steve. Ho dato tutto me stesso” Disse guardando a terra affranto ed avvilito.
Il capitano gli posò un braccio sulle spalle strusciando lentamente la mano sospirando. Gli dispiaceva vedere il suo amico così abbattuto
“Lo so Bucky, ne sono certo. Probabilmente Jack è stato ferito.. così profondamente che forse nessuno potrà più aiutarlo” Gli sussurrò dolcemente “Tu hai fatto tutto il possibile, non lo hai abbandonato e ti sei preso cura di lui. Sei stato bravissimo e sono sicuro che lui lo sa .. Una parte del suo cervello ti ha sentito ed era al corrente che tu fossi lì per lui.”

Ma Bucky non riusciva a togliersi Jack dalla mente. Per fortuna gli addestramenti, i compiti da svolgere lì nel campo militare e gli scontri che avvenivano ogni tanto per respingere il nemico, lo tenevano lì presente, con la mente occupata, ma ogni qual volta non aveva niente da fare, quando era da solo il suo pensiero correva al giovane soldato. Chissà come se la stava passando nell’ospedale, se finalmente avevano trovato una cura, se era migliorato, se … si era ricordato o aveva chiesto di lui… E se lo avesse fatto? .. E lui non c’era…
Quella sensazione di disagio che aveva provato sentendosi responsabile per averlo lasciato indietro e fatto finire in mano al nemico e quindi in ospedale era aumentata perché poi si era convinto che invece di averlo aiutato lo aveva fatto impazzire del tutto e peggiorato la situazione. Aveva voluto redimersi sperando di farlo tornare il ragazzo che era ed invece era stato persino cacciato dai medici, perché non all’altezza del compito prefissato.
Steve cercava di stargli vicino il più possibile perché vedeva quanto tutta quella faccenda gli pesava sul cuore, ma non poteva fare più di tanto.

Quasi un altro mese era passato e la condizione di Jack intanto aveva avuto una nuova evoluzione.
Una parte remota della sua mente, quella sana e razionale alla fine aveva deciso di reagire, di lottare per riportare tutto alla ‘normalità’ e questo significava l’elaborazione e l’accettazione di ciò che gli era capitato ed anche il realizzare ciò che aveva fatto; Aveva dato di matto con le allucinazioni, ma quel che era peggio, aveva quasi ammazzato l’unica persona a lui vicina dopo l’arruolamento.
E adesso?
Adesso non poteva certo biasimarlo se era stato di nuovo abbandonato, se Bucky se n’era andato.

Durante tutto il suo tempo da sveglio, tempo nel quale non dormiva o non era sotto l’effetto di quella merda che gli davano per irretire la mente ed il corpo, fissava il soffitto, unica cosa che gli era concessa di fare e pensava a come sarebbe stata la sua vita adesso.
Iniziò ad avere sentimenti negativi su se stesso.
Non era stato capace nemmeno di durare due anni nell’esercito, alla prima difficoltà se l’era fatta sotto.
Avevano ragione quei tedeschi era un essere insignificante, senza più dignità. E se fosse tornato adesso a casa… Cosa avrebbero pensato di lui? … Lo avrebbero deriso … Forse neanche gli avrebbero aperto la porta di casa. Suo padre lo avrebbe disconosciuto… Avrebbe perso anche la sua identità.
Perché quel giorno di ottobre non lo avevano ucciso? Sarebbe stato meglio.

Questi pensieri divennero presto una convinzione sempre più reale, più radicata in lui quando un giorno, sentì due medici parlare lì nella stanza, mentre lui faceva finta di dormire ed apprese la notizia che non avrebbe nemmeno più avuto modo di avere figli.
Perché continuare a vivere senza più uno scopo, senza più averne la voglia, senza più nessuno che avesse un qualche interesse in lui?
Non poteva uccidersi con niente perché i medici in quel particolare reparto stavano molto attenti a non avere nessun tipo di oggetto che potesse fungere da arma. Né una penna, ne’ una posata di plastica.. niente, soprattutto in sua presenza.
Quindi la prima cosa che gli venne in mente fu tenere da parte quelle maledette pasticche e poi prendersele tutte in una volta, già, ma come? Non aveva più la facoltà dell’uso delle proprie braccia, delle proprie mani ormai da molto tempo. O erano bloccate a quell’orribile letto o ammanettate.
Veniva lavato, pettinato, vestito o svestito, veniva imboccato e gli veniva messo il pappagallo per i propri bisogni. …  Era solo una bambola di carne ed ossa, tenuta in vita a quale scopo? Era sicuro che lo avrebbe abbandonato anche la sua coscienza a breve. .. Doveva trovare il modo di morire, di dire finalmente basta a tutta quella sofferenza a quel dolore opprimente che sentiva nel petto.
E non riuscendo a trovare altre soluzioni decise di smettere di mangiare. All’ora dei pasti sigillava ogni volta la bocca e girava la testa. L’addetto ai pasti di turno non perdeva tempo a cercare di farlo mangiare e così Jack iniziò a deperire sempre di più, ma ne era quasi felice, finché i medici non decisero d’intervenire infilandogli un sondino nel naso che finiva nello stomaco e vi spingevano siringate di cibo liquido, alimentandolo forzatamente. Nonostante le sue disperate proteste
“Perché lo fate??!! Vi prego lasciatemi in pace!!” Gridava piangendo.

Ormai anche i medici non riuscivano più a raccapezzarsi, avevano notato il nuovo cambiamento nel comportamento del ragazzo, ma anche i loro metodi erano falliti. Il ragazzo era irrecuperabile, ma visto che ormai le allucinazioni erano sparite, sembrava non dare più segni di paranoia né di raptus omicidi, era meglio rispedirlo a casa, a quel punto solo la vicinanza di persone care sarebbe riuscita a far sì che il paziente si riprendesse un po’ e riuscisse a tirare avanti.

***

L’11 giugno del 1942 Jack tornò a casa.
La sua famiglia non era mai riuscita ad andare a trovarlo in ospedale perché purtroppo non era una famiglia agiata, avevano giusto i soldi per tirare a campare e non avevano potuto permettersi un biglietto aereo per l’Inghilterra, ma erano stati avvertiti subito del ricovero del figlio e aggiornati via via sulle sue condizioni.
Quindi sapevano più o meno come sarebbe tornato. Non sapevano dello stato di depressione in cui era precipitato e della sua convinzione di voler morire, ma erano felici di riaverlo a casa e sua madre e la sorella maggiore erano ottimiste; A casa con loro Jack si sarebbe ripreso. Gli sarebbero stati accanto e con il loro amore sarebbe di nuovo stato bene.

Infatti lo accolsero a braccia aperte, tutti si resero disponibili, lo servivano in ogni modo possibile, ma Jack rimaneva impassibile. A stento parlava se gli veniva chiesto qualcosa, non sorrideva mai e tutti quei loro sorrisi, abbracci, quel loro comportamento risultava così falso ai suoi occhi ed invece di sentirsi al sicuro, amato e protetto si sentì ancora più solo. Avrebbe voluto solo una persona lì vicino, solo per poterlo salutare un’ultima volta e dirgli di non sentirsi in colpa, che la colpa era stata solo sua. E più volte durante il riposo la madre, che solitamente dormiva vicino al suo letto vegliandolo per non lasciarlo solo, sentì pronunciare quel nome, quasi in un sussurro disperato, mentre una lacrima accompagnava il nome: Bucky.
Sua madre si mise a fare ricerche, che fosse un suo compagno morto in battaglia?
Ma tramite telefonate a destra e sinistra seppe che questa persona era ancora in vita. E riuscì a raggiungerla.


Non appena Bucky venne avvertito che Annabelle la madre di Jack Hailey lo stava aspettando a telefono, lasciò il mestolo nel pentolone della zuppa che stava servendo ai soldati in fila, che aspettavano la propria razione di rancio e corse via ignorando le loro proteste, raggiungendo l’unico telefono portatile in dotazione al reggimento, rispose quasi col fiatone e non tanto per la breve corsa.
“Pronto.”
“Sergente … Barnes?” Disse la voce dall’altra parte del telefono
“Sì. … Come sta’? E’ successo qualcosa?” Barnes non riuscì ad aspettare e trattenersi. Temeva il peggio. Era ormai passato quasi un anno senza che avesse avuto più notizie del suo amico e adesso d’improvviso questa telefonata. Perché?
“Jack … Sì sì sta’..” La madre presa un po’ di sorpresa dal tono apprensivo e dalla domanda improvvisa esitò un momento “E’ per questo che l’ho chiamata Signore. Jack è .. qui a casa con noi …”
James si stava spazientendo da quelle mezze frasi, perché la donna non andava diretta al punto e gli diceva quale era il motivo della sua telefonata?
“.. Ecco … Magari le sembrerà un po’ strano, ma mio figlio chiede di lei. Non da sveglio.” Si corresse subito la donna “Durante la notte sussurra sempre il suo nome…” Silenzio “Mi chiedevo se…”
Bucky terminò per lei, sentendo quanto si peritasse nel chiederglielo
“Certo. Parto subito.”

Corse da Steve per chiedere il permesso ed il suo compagno non ci pensò su nemmeno un secondo
“Vai Buc. Va’ da lui.”

Una settimana dopo il sergente James Buchanan Barnes suonò al campanello della famiglia Hailey.
Jack era stato avvertito subito di chi sarebbe arrivato e così accantonò momentaneamente l’idea del suicidio, non si sarebbe ucciso, non prima di aver parlato e chiarito con Bucky, glielo doveva.

Bucky entrò in quella casa col cuore che batteva a mille per l'ansia non sapendo come lo avrebbe trovato perché in fondo non gli era stato spiegato niente durante la telefonata.
E non lo trovò bene, ovviamente meglio di come lo aveva lasciato, ma sembrava che quel male invisibile fosse ancora ben radicato e strisciasse dentro il corpo e la mente di quel povero ragazzo, devastandolo.
Avrebbe voluto abbracciarlo ma si trattenne non sapendo come Jack avrebbe reagito e non voleva certo guastare il suo delicato equilibrio psicologico. Anche se la madre si accorse che Jack fu’ felice di vedere quella persona nonostante non sorridesse o si fosse mosso impercettibilmente.
"Ciao soldatino" disse Bucky con una dolcezza infinita "Come stai?"
Jack distolse lo sguardo ed anche lì James capì che qualcosa non andava
"V-Vorrei parlarti da solo" disse Jack evitando di rispondere alla domanda, così i suoi familiari esaudirono il desiderio lasciandoli, la madre strinse dolcemente l'avambraccio del sergente, prima di uscire e Bucky si chiese se fosse stato un gesto di incoraggiamento a cercare di parlare col ragazzo e sbrogliare quell’intricata matassa di sofferenza che ancora imprigionava il suo essere o fosse stato un gesto di piacere che lui fosse venuto si rendesse disponibile per suo figlio.
Comunque, una volta soli Bucky aspettò che l'altro parlasse, ma Jack non riusciva a trovare le parole ed esitò a lungo, così iniziò lui
"Jack. Cosa c'è che non va? Non sei felice di essere finalmente a casa? Con i tuoi genitori e tua sorella? Sembrano proprio brava gente." Gli prese le mani nelle sue e lo sentì sussultare leggermente, mentre Jack teneva lo sguardo basso, evitava di guardarlo negli occhi per paura che l’altro riuscisse a decifrare e leggere i suoi propositi futuri.
Bucky sospirò e proseguì
"Mi dispiace terribilmente... Non sai quanto sono stato male per averti lasciato .... Dimenticato in quel maledetto accampamento... Era una mia responsabilità proteggerti ed invece..." Esitò guardandolo per capire se Jack avesse recepito ciò che gli stava dicendo, ma lui non mosse un unghia o cambiò espressione, ma iniziò a sentire le sue mani tremare piano e continuò
"E m-mi dispiace se ti ho fatto impazz.."
Ma Jack stavolta alzò la testa di scatto guardandolo negli occhi
"No... Tu non ... Tu non hai fatto niente di sbagliato...” Farfugliò a mezze frasi, come se non riuscisse più a comporre una frase come si deve
“Tu sei l'unico vero amico che abbia mai avuto.... Ti.. Ti ho sentito. ..So che mi eri vicino in ospedale, ma io..." riabbassò lo sguardo, adesso tremava tutto il suo corpo come una foglia
"Ho cercato di ucciderti...  Sa-Sapevo il protocollo che andava seguito ma ho perso troppo tempo ed ho fallito."
Bucky scosse la testa, il cuore stretto in una morsa
"Eri solamente giovane ed alle prime armi... Con un attacco di quella portata siamo andati tutti nel panico quindi non hai assolutamente niente da rimproverarti" Cercò di consolarlo.
Trapelava una tristezza infinita da quel ragazzo smunto e deperito e Bucky dovette fare uno sforzo enorme per cercare di non manifestare quanto patisse per lui.
Poi Jack fece un gesto che sorprese totalmente il sergente: si alzò di scatto dalla sedia e lo abbracciò.
Buc esitò poi ricambiò l'abbraccio molto cautamente, ma felice, col cuore ancora troppo stritolato per poter battere regolarmente.
Jack rimase diversi secondi con le braccia attorno al collo del suo amico, con il viso nascosto nel colletto della sua camicia verde militare, come se Bucky fosse l'ultima sua ancora di salvezza, ma era giunta l’ora di tagliare l'ultimo filo che lo tratteneva dall’esplicare il suo desiderio di farla finita con tutto quanto e si sciolse dall'abbraccio, guardando Bucky con gli occhi lucidi.
"Grazie per esser venuto qui"
A James suonò tanto come un addio, ma scacciò il brutto pensiero
"Hey. Sono qui e tornerò ogni qualvolta avrai bisogno" gli promise e Jack per la prima volta gli accennò un debole sorriso ed annuì.
“Saluta il capitano da parte mia quando lo vedrai”

Bucky si trattenne un paio di giorni, gentilmente ospitato dalla famiglia Hailey, poi decise di tornare al suo dovere di patriota, dopotutto c’era ancora una guerra in atto, Steve aveva bisogno di lui e Jack poteva riuscire a riprendersi piano piano. Ne fu’ un po’ sollevato e comunque gli promise che sarebbe tornato a trovarlo il più sovente possibile.

Il giorno della partenza di Bucky coincideva anche con uno dei controlli medici periodici che doveva affrontare Jack. Nonostante l’ospedale avesse dimesso il ragazzo, aveva dato ai genitori l’indirizzo di un bravo medico generico con anche un attestato conseguito in psicologia che esercitava proprio negli Stati Uniti, dove Jack avrebbe dovuto presentarsi regolarmente per una visita ogni due settimane, almeno finché il medico lo avesse ritenuto opportuno monitorando le sue condizioni fisiche e psichiche.
Jack odiava quelle visite. Da quel dannato giorno dello stupro nel campo militare il tocco di altre mani che non fossero le sue lo facevano tremare di repulsione ogni stramaledetta volta, accrescevano solamente la sua idea di essere un pezzo di carne di cui poter usufruire a piacere, anche se si trattava di una visita medica per il suo benessere fisico o delle carezze amorevoli della madre.
Ormai aveva sistemato anche le cose con il suo sergente. Era in pace con se’ stesso, era l’ora di farla finita.

Barnes accompagnò la famiglia allo studio medico, tanto la corriera che lo avrebbe portato al piccolo aeroporto locale passava lì accanto.
Una volta entrati per la visita James raccolse il suo bagaglio leggero e si recò alla fermata della corriera che sarebbe passata di lì ad una mezz’ora.

Jack come sempre rimase passivo ed immobile durante tutta la visita. Strinse i denti e deglutì ripetute volte alle mani che lo palpeggiavano e s’intrufolavano senza permesso e senza remore dappertutto.
Ripose come un automa alle domande che gli venivano poste e per il medico, fu’ tutto a posto. Il ragazzo reagiva positivamente alle cure ed il suo corpo ormai era guarito, infezioni non ce n’erano state fortunatamente e sembrava in lenta ripresa anche la sua psiche.
Mezz’ora dopo erano già fuori.
Jack disse ai suoi che doveva andare un momento in bagno e si allontanò nel corridoio, ma la stanza della toilette venne superata, arrivò alla rampa di scale che dal terzo piano della palazzina dove si trovavano, arrivava al quinto. Salì con calma, non aveva fretta né paura, in realtà era quasi felice che finalmente fosse finita.
Raggiunse il quinto piano e trovò il modo di salire su una piccola mansarda dove vi era una piccola finestra che dava sul tetto piatto. Era così magro che riuscì a sgattaiolare fuori, alcuni piccioni volarono via risentiti. E con passi lenti e decisi arrivò al bordo. Una specie di cornice alta una ventina di centimetri correva tutt’intorno al perimetro del tetto e lo separava dal vuoto.
Guardò di sotto. Una lacrima scappò dai suoi occhi precipitando giù, la avrebbe seguita a breve. Una folata di vento gli scompigliò i capelli e gli carezzò il volto come se volesse dargli un ultimo gesto d’affetto.
Sospirò, guardò davanti a se’ la bellezza del panorama che gli si presentava.

Bucky salì sull’autobus e si sedette vicino al finestrino.
Il mezzo partì e passò davanti al palazzo dove Jack stava facendo la visita medica. Distrattamente guardò l’edificio e qualcosa di strano attirò la sua attenzione. Tre o quattro persone stavano guardando ed indicando verso l’alto, alzò lo sguardo incuriosito e notò a malapena un ‘qualcosa’, poi l’autobus passò oltre. Il sergente rimase un momento confuso con espressione corrucciata, poi di colpo sbiancò per un pensiero che gli era d’improvviso apparso in mente, ripensando al loro saluto, all’abbraccio di Jack.
-… E se fosse … Ma no. Sicuramente mi sbaglio, quello poteva essere una persona addetta riparare qualcosa sul tetto …- Si disse tra sé e sé cercando di calmare un qualcosa che adesso gli chiudeva la bocca dello stomaco.
Si agitò sul sedile. Non poteva partire con quel dubbio orribile che adesso gli pugnalava il cuore. Se per caso quella figura che aveva intravisto là in cima fosse stato Jack?!
Lo aveva già abbandonato una volta. Non avrebbe commesso lo stesso errore. … Doveva almeno sincerarsi che chi aveva visto in piedi su quel tetto non fosse il suo amico.
Si alzò gridando all’autista di fermare l’autobus e scese, correndo più forte che poteva per tornare indietro.

I genitori di Jack si erano insospettiti, non vedendolo più uscire dal bagno, poi videro alcuni infermieri correre, gente che andava alla finestra e si precipitava a guardare fuori. Quando poi sentirono
“C’è uno che si vuol buttar di sotto!”
Si guardarono terrorizzati ed uscirono fuori anche loro guardando in alto dove spiccava la figura esile del loro figlio. Annabelle si sentì male. La sorella gridò.

Jack non poteva essere più in pace. Una sensazione che non provava più da così tanto tempo e volle goderne per un po’. Salì in piedi sul piccolissimo parapetto. Chiuse gli occhi inspirando profondamente. L’aria lì era pura, non contaminata da odori di garze, medicinali, odori di cibo, odori di persone, fumi degli scarichi delle auto, fumi della polvere da sparo, fumi delle deflagrazioni delle bombe o il fumo che l’aveva soffocato quel giorno impedendogli la fuga. Niente di tutto questo.
Non fece nemmeno caso alle voci allarmate sottostanti o a quei due infermieri che stavano cercando di allargare la piccola finestra per salire sul tetto e raggiungere il ragazzo.

James finalmente arrivò davanti al palazzo ansimando senza fiato, guardò in alto e tutte le sue paure divennero certezze. La figura ritta sul bordo del tetto dell’edificio era proprio il suo amico.
“Non stavolta!” Si disse e corse dentro, raggiungendo la scala e salendo i gradini due a due, senza fermarsi finché non raggiunse la cima.
Si mise a discutere con i due infermieri che non volevano saperne di farlo passare.
“Se non mi fate andare da lui. Morirà!”
“Non può andare. Dobbiamo occuparcene noi”
La sorella di Jack, che aveva visto il sergente precipitarsi dentro, l’aveva seguito. Colpì i due infermieri dietro la testa con una sbarra di un vecchio letto, che era stata lasciata lì in mansarda.
James la guardò un secondo
“Va’ da mio fratello. Ti prego salvalo.”
Bucky annuì e anche se con difficoltà, uscì sul terrazzo andando vicino a Jack che stava ancora ad occhi chiusi
“Jack … Sono Bucky”
Jack aprì immediatamente gli occhi, come sottratto ad un sogno bellissimo. Si sarebbe aspettato di tutto, ma non di sentire ancora quella voce. Lui doveva esser già andato via.
Voltò la testa guardandolo angosciato.
“Co-Cosa ci fai tu ancora qui?!” Chiese con un filo di voce
No, non voleva che Barnes assistesse alla sua morte.
James fece altri due passi verso il ragazzo, cercando di avvicinarsi
“Jack. Perché sei qui? .. Ti prego non farlo.” Lanciò un’occhiata verso il basso
Le lacrime iniziarono a rigare le guance del ragazzo
“Io-Io non resisto più. Tu non sai co-cosa vuol dire vivere in queste condizioni… N-Non sai cosa s-si prova ad esser bloccati su un t-tavolo e…”
Anche dagli occhi di Barnes iniziarono a cadere lacrime.
“No. No hai ragione. Non lo so. Non posso saperlo. Nessuno dovrebbe nemmeno immaginare di affrontare quello che hai passato tu. Ma puoi venirne fuori.. Sei forte. Non lasciare che chi ti ha fatto del male abbia anche questa vittoria. Se .. Tu adesso ti uccidi, loro avranno vinto una volta di più! Ti prego. Se ti uccidi, ucciderai anche me, tua sorella, i tuoi genitori.” Spiegò Bucky tentando di fargli cambiare idea e farlo ragionare. Non era uno psicologo e forse stava sbagliando tutto, ma lasciò che fosse il suo cuore a guidarlo.

Jack tornò a guardare avanti a sé
“Senti che pace c’è quassù. Io voglio solo provare di nuovo pace e serenità. Non voglio più incubi o visite. .. Non riesco veramente a svegliarmi giorno dopo giorno. E’ troppo per me. Non ce la faccio veramente più. Perdonami amico mio.” Jack chiuse gli occhi, inspirò e si sbilanciò leggermente in avanti lasciando che poi la gravità facesse il resto.

Il sergente Barnes scattò in avanti lanciandosi in quei due metri che li separavano. Afferrò Jack per un polso, ma il peso del ragazzo ormai in caduta, seppur blando lo sbilanciò e si sentì trascinare oltre il parapetto. Si rigirò afferrandosi con un braccio al bordo e gridando di dolore quando il contraccolpo del peso morto dei loro corpi gli stirò i legamenti della spalla. Ma non mollò nessuna delle due prese.
La sorella di Jack si precipitò a reggere il braccio di Barnes chiedendo aiuto a squarcia gola.

“Lasciami andare James ti prego!” Piangeva Jack disperato
“Nooo!! Ti ho lasciato una volta!! Non commetterò quest’errore di nuovo!! Non ti lascerò!!”

Poco dopo altre persone accorsero sul tetto e tirarono su’ i due ragazzi che rotolarono sul piano. Bucky ansimava per il pericolo scampato, ma abbracciò Jack stringendolo al petto con il braccio ancora funzionante.
“Non meriti questa fine indegna e miserabile … Non sarai mai più solo. Rimarrò con te tutto il tempo necessario finché tu non sarai di nuovo il ragazzo forte che conoscevo. Ce la farai. Ne sono sicuro.” Ripeté mentre Jack gli singhiozzava disperato e finalmente sfogando tutto il suo dolore contro il petto del sergente, mentre anche i genitori gli si erano stretti intorno.
“Nessuno ti lascerà solo, figlio mio.” Sottolineò il padre.

***

 

Da quel giorno tutti furono più attenti alle necessità del giovane uomo.
Jack iniziò un lungo e faticoso percorso per sbloccare la sua mente, alleggerirla da tutta quella matassa intricata di sentimenti e ricordi che lo atterrivano e che spesso ancora cercavano di portarlo nel baratro della disperazione, ma con pazienza e determinazione iniziò lentamente a venirne fuori.

Non tornerà mai più il ragazzo spensierato e felice che era prima della guerra, cicatrici pronte a riaprirsi saranno sempre lì in agguato, ma riuscì a portare avanti la sua vita, giorno dopo giorno.
Questa volta quando venne il momento per Bucky di lasciarlo, fu’ un saluto sereno per entrambi. Niente più rimorsi di coscienza per il giovane sergente.
Jack iniziò a lavorare con la sorella ed aprirono un autorimessa dove noleggiavano auto. In quel periodo incontrò una donna Mariah, si innamorarono e lei decise di passare il resto della sua vita con lui, aiutandolo nei momenti difficili ed amandolo anima e cuore.
Un giorno, visitarono un orfanotrofio, Christopher un bambino orfano vittima della guerra toccò profondamente i loro cuori e visto che non potevano avere figli propri, decisero di adottarlo, finalmente con lui Jack tornò a provare di nuovo un po’ di quella pace tanto agognata.
Ogni tanto per le ricorrenze invitavano Bucky e Cap, tanto la guerra sembrava in via di conclusione, e tutto sembrava tornato abbastanza nella normalità, almeno fin quando Steve non dovette dargli la notizia che Bucky era caduto giù da un treno durante un attacco ed era morto. Fu’ un colpo durissimo per Jack e rischiò di nuovo di riportarlo nel baratro della disperazione … Ma questa è un’altra storia… Jack visse, continuò a vivere pensando a quanto il suo amico aveva sacrificato e dato per lui, portandolo per sempre nel suo cuore.

 

The End

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