Frederick e Gabriel

di Rystie_00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Capitolo ***
Capitolo 2: *** II Capitolo ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** V CAPITOLO ***



Capitolo 1
*** I Capitolo ***


I CAPITOLO
 
 
GABRIEL
 
 
Il mio nome è Gabriel Mills.
Sono un diciottenne in continua lotta con l’intero pianeta.
Mi spiego.
Sono quel genere di persona che pochi riescono a sopportare.
In classe mia, ad esempio, sono venerato dai miei compagni e odiato dai miei professori. Sono il ragazzo strafottente che fa dell’ironia agli insegnanti nelle ore di lezione, cacciandosi spesso nei guai. L’adolescente che fuma quando può e che beve se ne ha voglia.
Quel genere di persona che, se un turista si avvicina per chiedere indicazioni, si diverte a dare suggerimenti totalmente sbagliati.
Fai della tua vita uno scherzo. Questo è ciò su cui mi baso.
Forse bisognerebbe aggiungere un po’ di stronzaggine. Circa sette kili e centotrentasei grammi.
E un’infinta dose di bellezza, che sia chiaro.
 
L’ultimo anno delle superiori mi sta massacrando. Me la cavo, ma so che i professori non avranno pietà per gli alunni come me. In particolare, l’insegnate che adoro. Una di quelle persone simpatiche come un’incudine sul piede. Come un riccio di mare calpestato per caso. Come un capello nella tua pietanza preferita.
Proprio.
Rischio la bocciatura, nonostante siamo ancora al primo semestre, per colpa sua.
In quest’istante mi ha appena beccato con il cellulare a copiare una risposta per la verifica di letteratura.
- Dallo a me. – dice, cercando di non disturbare gli altri compagni e tendendo la mano. Sbuffando,  glielo consegno. Mi mancavano ancora poche parole per completare la risposta! Potrei, come vendetta, fare le orecchie d’asino al suo registro durante il risposo.
Una volta gli ho nascosto un geco nella borsa dei suoi libri.
Sono fatto così, ma mi rendo conto che non è giusto. Semplicemente, mi diverte. Come può non far ridere un professore che getta a terra i libri e scappa, pulendosi le mani sui pantaloni? Esilarante.
Lo guardo, mentre cammina di nuovo verso la cattedra. Si siede e ripone il mio telefono in un cassetto. Poi riprende ad ispezionare la classe con quegli occhi color ghiaccio. Quando si sofferma su di me, gli sorrido, salutandolo con la mano. Lui scuote il capo. Si china sul registro di classe, scrivendo non so che cosa.
I suoi capelli, sistemati ordinatamente con il gel, sono color pece. È uno di quegli uomini che si preoccupano dell’aspetto estetico, infatti, porta uno strato sottile di barba curata e dei vestiti scelti con riguardo.  
  Ritorno con gli occhi sul mio foglio.
Spero che quest’ora passi in fretta.
 
Al termine delle lezioni, sono già pronto per uscire, mi manca solamente il cellulare così mi avvicino al professore Rivera.
- Prof., il mio cellulare… -
Lui mi studia con il suo sguardo gelido, ma che non mi incute timore, e infine dice: - Penso che ti assegnerò altri compiti per casa. Non posso tollerare che un mio alunno usi il cellulare durante le verifiche. -
- Quindi posso usarlo durante le spiegazioni? – chiedo, sorridendo speranzoso.
- Gabriel, perché, per quest’anno non ti sforzi di essere meno arrogante? Potresti concludere qualcosa. -
- Mi restituisca il telefono, e le saprò dire. -
Lui sbuffa sonoramente, passandomi il mio cellulare. – In aggiunta, fai tutti gli esercizi di pagina settantaquattro. -
- Vedrò se ho voglia. Arrivederci, capitano! –
Rido sotto i baffi.
È dal primo giorno di scuola che mi rifila compiti e io li faccio raramente.
 
- Mamma, questa sera sono fuori a cena. Ho intenzione di andare con Mike, Robert e Alan. Non so a che ora tornerò. – urlo a mia madre, dopo aver concluso alcuni esercizi di matematica.
- A patto che oggi vai all’ospedale a portare la cena al sacco che ho preparato per papà. – dice.
- Okaaaay… - sbuffo sonoramente.
Mi alzo dalla scrivania e mi infilo una felpa grigio scuro. Prendo il portafoglio e il telefono e li metto nella tasca dei pantaloni.
Mi avvio alla porta di casa, salutando mia madre.
 
Dare una mano nell’ospedale dove lavora mio padre è una cosa che mi rilassa abbastanza. Non che faccia troppi lavori. Cose di poco conto, come portare il cibo ai pazienti e intrattenerli con le mie stupide battute.
Ho iniziato da bambino, quando ancora eseguivo parola per parola gli ordini delle persone. Diciamo che ora sono più autonomo, ma non so quanto responsabile.
Quando trovo mio padre,  gli vado incontro.
- Gabriel! – esclama, vedendomi e passandosi una mano sulla nuca castana chiara. Lo saluto con un cenno del capo. Mi mette un braccio intorno le spalle mentre io gli dico che gli ho portato il pranzo.
Poi mi trascina nel suo ufficio, dove so che mi aspetta una lunga chiacchierata su quanto lui desideri che io diventi dottore come lui.
Con il tempo, ho capito che lui ci tiene veramente, ma solo perché non vuole che io diventi la rovina della famiglia. Essendo ricchi, infatti, non vuole macchiare il nome dei Mills con le cavolate che potrei fare da grande.
Io non so ancora cosa voglio.
L’unica certezza è che, appena ne avrò la possibilità, me ne andrò da casa.
 
 
 
FREDERICK
 
- Ehi, papà? -
- Sono in cucina. -
Spingo la sedia a rotelle, su cui sono seduto da tre anni, fino a raggiungerlo. Sta lavando i piatti, nonostante indossi ancora gli abiti con cui è uscito questa mattina. Non glielo faccio notare.
- Volevo andare a fare la spesa. Ti serve qualcosa? -
Lui si volta verso di me, studiandomi con quegli occhi di cristallo.
- Posso andare io, se vuoi. – risponde. Sapevo che lo avrebbe detto. Da quando è morta la mamma, lui cerca di non farmi fare alcun tipo di sforzo. Ma io ormai sono abituato a vivere sulla sedia a rotelle.
- Volevo approfittare per prendere un po’ d’aria. -
Annuisce, ritornando a pulire i bicchieri che stava lavando.
- Va bene. –
 
 
 
 
GABRIEL
 
Uscito dall’ospedale, decido di fare la strada a piedi. L’aria puzza di inquinamento e smog, ma ormai ci ho fatto l’abitudine.
Intorno a me il mondo gira, come sempre. Persone e persone: donne, bambini, uomini, anziani.
Il cielo sopra di me si è fatto gravemente nuvoloso. Con le mani in tasca, accelero il passo. Credo sia stata un pessima idea tornare a casa a piedi.
Tengo lo sguardo fisso sul pavimento e,  per questo, una macchia rossa attira la mia attenzione. Mi volto di nuovo verso quel punto e mi rendo conto che non è una macchia, ma una rosa. Una rosa rossa abbandonata malamente sul marciapiede.
Un tuono rimbomba in cielo, così mi affretto a raccoglierla e a muovermi.
Una delicata pioggerellina inizia a scendere, e mi infilo il cappuccio. Inizio poi a correre e svolto l’angolo della strada.
Urto però su qualcosa e cado con la schiena sul terreno umido.
- Ahi. – gemo a denti stretti.
- O mio Dio, scusa! -
Quando metto a fuoco la vista, mi ritrovo davanti uno sguardo terribilmente preoccupato e dispiaciuto. Il ragazzo su cui ho urtato è vicino a me noto come la sua scura capigliatura ordinata stoni così dannatamente bene con i suoi limpidi occhi color cielo.
- Tranquillo. -
Mi alzo a sedere e lo vedo per intero. Rimango per un momento sorpreso quando scopro che è su una sedia a rotelle.
Indossa una camicia azzurrina e dei pantaloni blu scuro.
Una ciocca di capelli neri gli ricade sulla fronte.
E l’unica cosa che penso è: wow.
Senza fiato. Così, a guardare quel ragazzo che mi ha stravolto con la sua bellezza.
- Sei sicuro di stare bene? -
- In realtà… - dico, con un mezzo sorriso (quello che di solito fa impazzire chiunque cerchi di rimorchiare). – L’ho fatto apposta. Sono caduto su di te per…beh… darti questa. – e gli porgo la rosa che ho trovato poco prima.
Lui inclina la testa di lato e mi guarda, alzando le sopracciglia.
- No. Tu sei caduto. Quella rosa l’avevo vista anch’io poco fa. E tu non eri ancora dietro di me. Io mi sono fermato per aprire l’ombrello. – dice.
- Accidenti. – fingo di essere dispiaciuto. – Dal momento che mi hai scoperto, che ne dici di dividere con me il tuo ombrello? -
- E come? Dovresti tenerlo tu. -
- Io posso anche stare seduto qui per terra. Sono certo che è solo un temporale di passaggio. E poi, scommetto che non vedi l’ora di passare un po’ di tempo con lo sconosciuto che ti ha appena regalato una rosa per tentare di fare colpo. -
Che diavolo sto dicendo? Mi sa che sono stato troppo diretto e che questo qui scapperà subito.
Invece, con mia grande sorpresa, lui arrossisce, prende l’ombrello, che è abbastanza grande da coprirci entrambi, e dice: - Mi chiamo Frederick. -
Strabuzzo gli occhi. Ha davvero funzionato?
- Piacere di conoscerti. Io mi chiamo Gabriel. -
Vi è un silenzio che mi preoccupo di colmare: - Ma lo sai che ti sto cercando di rimorchiare? E che tu sei un altro ragazzo, maschio. Ti va bene questo, sì? -
Lui ride, nervosamente, e distoglie lo sguardo da me. – Me ne sarei già andato altrimenti. E poi, mi è piaciuto il tuo modo di rimorchiare. È stato… carino. -
A questo punto, sono io ad arrossire. Mi schiarisco la voce: - Allora, Freddie, quanti anni hai? -
- Diciassette, e tu? -
- Diciotto. –
La pioggia inizia a calare, più intensa di prima.
- Che cos’hai sul naso? – mi chiede. Sorrido.
- Si chiama Bridge: è un piercing. – dico, toccandomi il naso all’altezza degli occhi.  
- Ti sta bene. L’oro contrasta bene con i tuoi capelli ramati. -
- Grazie! Invece tu hai il cielo e il mare negli occhi! –
Vi è una pausa dove realizzo la cazzata che ho appena detto.
- L’hai letta da qualche parte. -
- Sì. –.
È il complimento più squallido che abbia mai fatto a qualcuno. Che pessimo.
Ma lui ride. E rimango senza fiato.
Nessuno mi ha mai fatto questo effetto.
Questo ragazzo mi piace.
- Scommetto che a scuola sei un ribelle! Anzi, lo sei sempre. -
- Beh… Hai indovinato. Frederick, invece tu sei uno di quei studenti modello, o sbaglio? -
- No, non sbagli. -
Ci sorridiamo.
Uno di quei sorrisi che vogliono dire “Guarda un po’ con chi mi sono imbattuto. Gli opposti si attraggono”.
Alcuni passanti, dall’altro lato della strada, ci guardano curiosi da sotto il loro impermeabile, e corrono via.
- Mi sa che questo temporale non finirà tanto presto. – constato, guardandomi intorno.
- Anche secondo me. -
- Allora forse è meglio andare. -
- Ti bagnerai. -
- Non è un problema. Tu piuttosto, torna diritto a casa e…oh. – mi rendo conto di avere ancora in mano il fiore. Glielo offro e Frederick lo prende, tenendo gli occhi fissi su di me.
- Beh… domani ci possiamo vedere di nuovo. Ti lascio il mio numero. – dico, alzandomi.
- Va bene. – sorride. Si sfila il cellulare dalla tasca e si salva il mi memorizza sulla rubrica.
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: Buonasera popolo di EFP! Eccomi tornata! Che piacere scrivere di nuovo in questa categoria!
Allloraaa… vi incuriosisce? So che è un po’ presto per dirlo, ma volevo sapere cosa ne pensate.
Avviso subito che gli aggiornamenti saranno molto distanti fra loro (spero comunque di non oltrepassare le due settimane), ma non abbandonerò la storia. Questa ff avrà dieci capitoli, se non meno. È stata un’idea che ho provato a buttare giù, ma spero che apprezzerete comunque!
Fatemi sapere!!
Un abbraccio
Ps: scusate per eventuali errori.
Rystie_00

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Capitolo 2
*** II Capitolo ***


II CAPITOLO
 
GABRIEL
 
Il sabato pomeriggio, lo vedo arrivare nel posto che abbiamo stabilito, in sedia a rotelle e con un sorriso stampato sulle labbra.
- Non vedevi l’ora di vedermi, vero? – è la prima cosa che chiedo.
- Qualcosa di simile. – ridacchia lui, sarcasticamente.
Il posto che ci circonda, un parco abbastanza vasto, pullula di bambini e vecchi anziani.
- Che vuoi fare? – chiedo, guardando davanti a me.
- Andiamo da quella parte. – dice, indicando una collinetta poco distante.
Senza dire una parola, mi porto dietro di lui e inizio a camminare, spingendo la carrozzella.
- Grazie. – dice timidamente.
- Coraggio, chiedi quel che devi chiedere. – lo sprono, per iniziare la conversazione.
Vedo i suoi capelli castani e, per un attimo, immagino di immergerci le dita.
- Cosa ti piace fare nel tempo libero? -
Sorrido.
- Esco con gli amici, di solito, e il martedì ho box. -
- Anche io esco spesso, anche se mi è un po’ difficile. Da quanto fai box? –
- Quattro anni. -
- Wow. Deve piacerti molto! – esclama. - Se sei sempre così impegnato, come fai a gestire le tue relazioni? –
Scoppio a ridere di gusto. Tanto che lui si gira e sorride a sua volta. – Che c’è? -
- Quanto sei innamorato di me da uno a dieci? – chiedo.
Lui di botto arrossisce e si volta balbettando: - Ma cosa dici… Io non sono innamorato di nessuno. -
Continuo a spingere la sedia a rotelle, finché non arriviamo dove vuole lui.  C’è una panchina, così affianco la carrozzella ad essa e  mi sedio.
Il paesaggio ci permette di osservare tutto il parco. È molto bello, soprattutto con le prime luci arancioni della sera.
- La rosa l’hai tenuta? – chiedo.
- Sì. Ma è quasi morta. -
Rido. – Chissà perché qualcuno l’ha lasciata lì. -
Lui si volta verso di me. – Magari è solo caduta. O è stata persa. – spiega.
- O magari è stata lasciata apposta in quel punto, perché sapevano che l’avrei raccolta e che ti avrei incontrato subito dopo. -
- Potrebbe essere. Ma chi farebbe una cosa del genere? – chiede, assottigliando gli occhi.
Mi porto un dito sul mento: - Chi mi dice che non sei stato proprio tu? Forse sapevi che sarei arrivato. -
- Poteri farti la stessa domanda. – ribatte.
Incrocio le braccia e scuoto la testa. – Sei troppo intelligente. – ridacchio.
- Uno dei vantaggi di essere figlio di due professori. -  
- I tuoi genitori insegnano? -
Lui abbassa lo sguardo e si improvvisamente serio. – Mio padre sì. Mia madre insegnava. -
- Ha cambiato lavoro? – domando.
- No. È morta. -
Spalanco gli occhi. Sono un’idiota. – Mi dispiace tantissimo. Scusa, non volevo… -
- Non lo sapevi. Tranquillo. – mi rassicura, sorridendomi. – E poi, è successo tre anni fa. -
Annuisco: - Non continuare, se non te la senti. Ma se ne hai bisogno, io sono qui. – dico, mettendogli una mano sulla sua, appoggiata sulla gamba sinistra.
- Magari un’altra volta. – dice infine.
Mi concedo di guardarlo. Seguire le linee perfette del suo viso. Con la luce del tramonto dietro al suo profilo, sembra un chiaroscuro. Tiene gli occhi chiusi e noto come le sue ciglia siano lunghe, rendono il suo volto più simile a quello di un bambino. Poi solleva le palpebre, rivelando i suoi occhi color del mare cristallino.
Quelle due perle si spostano su di me.
- Noi non ci conosciamo neppure… - dico – ma sono fortemente attratto da te. -
Lui sorride dolcemente.
- Credo sia lo stesso per me. -
- Io di solito non sono così impulsivo, ma non riesco a fare a meno di guardarti e studiarti. Non sei per niente il mio genere di ragazzo, ma, all’improvviso, credo che farei di tutto per te. Forse è assurdo, e ti sembrerà impossibile una cosa del genere, ma io sento queste emozioni. –
Fissa la verde erba per terra.
- Potremmo iniziare ad uscire insieme. – dice.
- Sì. – annuisco.
- Potresti comprarmi un vero fiore. -
- Certo. -
- Potresti passare a prendermi fuori scuola. -
- Ogni giorno. -
- Potresti… -
- Potrei baciarti. Ora. – lo interrompo.
- Sì. Assolutamente sì. -
Si sporge leggermente e io gli prendo il viso fra le mani, catturando le sue morbide labbra.
Chiudo gli occhi, e mi separo leggermente. È stato un bacio breve, come a chiedere il permesso.
Sento il suo respiro soffiarmi sulle labbra.
- Siamo fuori di testa. -  
- Già… -
Questa volta è lui a poggiare la sua bocca sulla mia.
Stringo la presa sul suo viso e lo avvicino il più possibile.
Forse è strano da dire, ma sembra che ci stiamo divorando le labbra. È come se l’unica cosa che ci serve per vivere si trovasse nell’altro. Sto cercando la sua anima, per rapirla e tenerla stretta solo a me.
- Pazzi. – sussurro, ancora ad occhi chiusi.
- Completamente. –
Dal tono di voce, capisco che sta sorridendo.
Rido anch’io. E insieme, le nostre risate, sono il suono più bello che abbia mai sentito.
 
  Lo accompagno fino al vialetto di casa.
Siamo rimasti fuori a cena a parlare ognuno di se stesso. È stato bello scoprire che non abbiamo assolutamente niente in comune.
Io faccio parte di una famiglia benestante, lui no. Io sono abbastanza popolare a scuola, lui non troppo. Io ho degli amici che a volte ci sono, altre no, lui ha un solido legame con due suoi coetanei. A me piace essere schietto, senza pensare che le persone possano offendersi, lui cerca di non ferire nessuno e, piuttosto di dire ciò che pensa, rimane in silenzio.
Mi piace.
 - Allora, domani passo a prenderti fuori scuola. Non è distante dalla mia, ci metterò dieci minuti. – dico.
Lui si volta con tutta la sedia e mi guarda dal basso, sorridendo. – Va bene. -
Mi inginocchio con una gamba per arrivare alla sua altezza. Gli accarezzo il volto e lui poggia la fronte sulla mia.
Bacio delicatamente le sue labbra sottili.
- A domani, dolcezza. -
Lo sento ridacchiare e le sue guance diventano leggermente rosee.
- A domani. –
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: Buonasera! Credo che non ci sia troppo da dire su questo capitolo a parte per il fatto che il fluff è alle stelle. Grazie mille a chi ha recensito lo scorso capitolo! Siete fantastici!!!!
Niente… mi farebbe piacere sapere che ne pensate di quello nuovo! Diciamo che, i nostri protagonisti hanno fatto il “passo”. Un bacio non è cosa da poco muahahah.
Vi auguro una buona serata!
Un abbraccio.
Rystie_00 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


III CAPITOLO
 
 
GABRIEL
 
 
 
Vedo Frederick uscire di scuola e venirmi incontro con un sorriso a trentadue denti sulle labbra. Spinge la carrozzella con foga solo perché non vede l’ora di essere stretto fra le mie braccia.
- Ti ho detto mille volte di non correre troppo, Frederick. Potresti far bucare le ruote e… -
- Sta’ zitto! – dice, allungando le braccia e pretendendo un bacio.
È da un mese che stiamo ufficialmente insieme. Non ho mai avuto una relazione così lunga. Nessuno mi sopportava oltre la prima settimana e perciò finiva sempre male.
Ma con Frederick è diverso. Anche io sono diverso. Mi ha fatto rendere conto che non ci sono solo io nel mondo. Siamo io e lui, per la mia opinione.
Sì, perché se un tempo pensavo solo a me stesso, ora penso a me stesso e a lui. Basta.
Ogni volta mi ripete di essere un po’ più gentile con gli altri, io allora alzo gli occhi al cielo e metto il broncio per tutto il resto della giornata. Lui fa finta di niente e continua a essere gentile con me, nonostante a volte so di essere insopportabile con il mio caratteraccio.
- Andiamo sul lungomare a farci un giro. – dico, dopo averlo baciato sulle labbra.
Lui annuisce e io mi posiziono dietro di lui per spingerlo, come ogni volta che stiamo insieme.
 
- Vuoi un pezzo di mela? – chiedo, porgendogli il frutto rosso, già morso per metà.
- Grazie. – Gliela porgo. Ho proposto di fermarci in un punto proprio in prossimità del mare, e mi sono seduto sulle sue gambe, dopo aver bloccato la carrozzina.
- Come va a scuola? – mi chiede, masticando. – Hai recuperato, dopo le ripetizioni che abbiamo fatto? -
La mia media scolastica è migliorata. Da quando Frederick mi aiuta con lo studio, anche il terribile professor Rivera dice che sembra essere accaduto un miracolo con me.
Studiamo sempre nelle biblioteche o in riva al mare. Ci piace stare assieme il più possibile.
- Ho recuperato tutto. Ed è grazie al mio ragazzo secchione. – ridacchio, rubandogli la mela dalla mano.
Lui mi tira una pacca sulla testa.
- Sai… mio padre, quando è a casa, è sempre in movimento… pulisce, cucina, mi chiede se ho bisogno di qualcosa… è sempre così da quando è morta mia madre. Credo stia cercando di comportarsi come farebbe lei, ma non è necessario perché io sono grande e indipendente, e posso fare da solo quasi tutto. L’ultima cosa che gli servirebbe, sarebbe un figlio che ha problemi a scuola. Non credi? -
Mi ha raccontato tante volte di sua madre. Di quanto era una bella donna intelligente e che, per ricordarla, lui aveva deciso di ereditare il suo nome, con il pieno consenso del padre. Ma mi aveva parlato raramente di suo padre.
- Sì. –
Sorride e una ciocca di capelli gli ricade sugli occhi chiari. Allungo una mano e gliela sistemo.
- Gabriel… volevo chiederti… i tuoi genitori sanno di noi? -
Non batto ciglio a quella domanda e rispondo subito. – I miei genitori non sanno nemmeno che sono gay. Non sono sicuro che capirebbero. -
- Mi dispiace. – risponde, baciandomi la guancia destra.
- E tuo padre? – domando poi.
Frederick ride, imbarazzato.
- Gliel’ho detto due anni fa. Sapevo che per lui non sarebbe stato un problema, dal momento che ogni giorno sta in contatto con adolescenti come noi. Era un po’ sorpreso, ma per lui non era assolutamente un problema, come ti ho detto prima. – spiega – Non gli ho mai detto di noi, ma… diciamo che, in queste ultime settimane, mi vede molto più felice e sorridente e mi chiede spesso se sia successo qualcosa o se mi vedo con qualcuno. – conclude.
Rido.
- Sembra un uomo in gamba. Non vedo l’ora di conoscerlo. -
- Sì, be’… prima dovrei dirgli che… ho un ragazzo. – dice, arrossendo leggermente.
- Aspetterò. –
Guardo il cielo, nuvoloso e grigio.
Un gabbiano vola solitario verso l’orizzonte.
 
 
 
FREDERICK
 
 
 
- Papà… vorrei dirti una cosa importante. Possiamo parlarne? –
Il suo volto assume immediatamente una vena di preoccupazione. Assottiglia gli occhi, chiari come i miei, e annuisce, per poi sedersi al tavolo tondo del salotto.
Mi posiziono al mio solito posto, di fronte a lui.
Lui mi studia, tentando di capire cosa ho da dirgli.
- Devo dirti una cosa che per me è importante… - ripeto.
- Okay… - risponde lui, incerto.
Prendo un respiro profondo. – Ultimamente mi vedo con un ragazzo… e… - arrossisco come un’aragosta e, diamine, lui scoppia a ridere.
Lo fulmino con un’occhiataccia e balbetto, arrabbiato: - C-che cosa c’è di tanto ridicolo? –
Lui torna a fissarmi e sorride, paterno. – Pensavo che fosse qualcosa di molto peggio. – ammette.
- Be’… ho un ragazzo. E io… lui vorrebbe conoscerti. -
Mio padre sorride e mi posa una mano sulle mia.
- Sarà un piacere, Frederick. Sono così felice per te. –
 
 
 
GABRIEL
 
 
 
Il tema che il professor Rivera ci ha proposto per la verifica di fine mese, prevede una riflessione personale su un argomento a scelta. Ci ha consegnato un foglio vuoto e ci ha confessato che era la prima volta che lasciava completamente carta bianca.
- Questo giorno, voglio che scriviate di un tema a voi caro. Mi piacerebbe che deste voce ai vostri pensieri, come se fosse un testo per qualcuno che ha voglia di ascoltarvi. Sbizzarritevi! – spiega, togliendosi gli occhiali neri che porta.
- Avete due ore. – annuncia, per poi sedersi alla cattedra. Noi alunni iniziamo a buttare giù qualche idea.
Potrei scrivere tante cose. Potrei scrivere della mia solitudine prima di conoscere Frederick. Di quando trascorrevo il tempo con amici che poi tanto amici non erano. Dei problemi con la famiglia, i continui litigi. Un tema sul mondo dagli occhi di un adolescente.
Mi guardo intorno e realizzo che, molto probabilmente, la maggior parte dei miei compagni di classe scriverà qualcosa di simile.
Penso allora alla prima cosa che mi viene in mente.
È il suo sorriso.
Sono i suoi occhi del colore del cielo.
Sono i suoi capelli.
  Non posso raccontare di lui in particolare, ma posso fare un’ampia riflessione sulla straordinaria forza delle persone disabili. Posso descrivere il modo in cui mi sono innamorato di una di queste. Nel modo più umano possibile: casualmente.
Afferro la penna in mano e inizio a marcare con l’inchiostro il foglio bianco.
 
 
Frederick e io, dopo essere usciti dal cinema, prendiamo una pizza al trancio e ci fermiamo in una piazza abbastanza affollata. Troviamo posto ad una panchina libera. Mangiamo in silenzio, ascoltando la musica dei locali intorno a noi.
- Freddie… so che non potrai mai più camminare, ma hai mai pensato di fare terapia in acqua? È diverso, ma, con esperti che ti tengono sotto accurati controlli, potrebbe essere un’esperienza positiva. – dico.
Lui si volta di scatto e mi guarda, sorpreso per quella domanda improvvisa. Restiamo a fissarci per alcuni secondi e alla fine lui balbetta: – C-come ti è venuta in mente una domanda simile? -
Si gira, sfuggendo dal mio sguardo. Sembra a disagio, quasi infastidito.
Appoggio una mano alla sua e lui le guarda. Attendo che dica qualcosa.
- Sì… ci avevo già pensato, ma… - sospira e ancora i suoi occhi ai miei – Ma la terapia costa troppo. Mio padre guadagna quello che basta per mandare avanti la casa e pagarci da mangiare. Io vorrei trovare un piccolo lavoro, ma, date le mie condizioni, non è per niente facile. Non per quest’età. -
Alzo una mano e gli accarezzo una guancia. Poi avvicino il volto e lo bacio sulle labbra.
- Mi dispiace. Non lo sapevo. Però sarebbe stato bello. – sussurro.
Lui annuisce. – Sì. Sì, lo sarebbe stato. –
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: Buonasera! Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Con il prossimo, tuttavia, le cose inizieranno a smuoversi un pochino e ne vedremo delle belle.
Per caso… voi sospettate di qualcosa? Non so… qualsiasi cosa. Fatemi sapere!
La storia sta piacendo? Magari mi potete lasciare un piccolo commentino per dirmi cosa ne pensate?
Come regalo di compleanno? Eheheheh J
Un abbraccio
Rystie_00

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


IV CAPITOLO
 
 
 
- Gabriel, devo dirti che sono rimasto alquanto stupito dal tuo tema. –
Sorrido al professor Rivera. Sembra veramente senza parole.
- Mi chiedevo da dove provenisse questa tua vena poetica. È bello aver letto sul tuo modo di ragionare e poi l’argomento di cui hai trattato è molto attuale. Che cosa è successo? – chiede, appoggiandosi alla cattedra della classe.  
Ormai i miei compagni sono usciti dall’aula per fare il riposo. Ho anch’io fame, ma posso concedere dei minuti al mio professore.
Alzo le spalle: - Ho conosciuto una persona. Mi sta particolarmente a cuore, quindi ho pensato di scrivere una cosa del genere in suo onore. – spiego, senza mostrare alcun tipo di emozione.   
Lui assottiglia gli occhi azzurri, ma alla fine annuisce. – Ti ho dato una B, vedi di continuare così. Hai migliorato anche in letteratura, ma penso che dovresti rivedere gli ultimi argomenti, data l’interrogazione di oggi. -
È stata l’unica parte che non avevo ripetuto con Frederick. Mi passo una mano sulla nuca, grattandola. – Sì, okay… -
Aspetto che mi restituisca il quaderno che mi aveva ritirato. Me lo porge, e io lo prendo, ma lui non lo lascia andare. Lo guardo, alzando un sopracciglio.
Alla fine, dice: - Sei un ragazzo intelligente, Gabriel. Vedi di recuperare le poche materie in cui non hai la sufficienza… il prossimo anno non ti voglio più vedere nei corridoi di questa scuola. -
 
 
A: Freddie
Da: me
Buon sera, principessa… domani compi gli anni e io ho dei regali fantastici da darti. Sei libero la sera? Una cenetta? Io e te?
 
Il messaggio di risposta arriva pochi minuti dopo.
 
Messaggio da Freddie:
Domani sera sono con mio padre. Se vuoi posso fartelo conoscere… vieni a cena da noi? Ps: muore dalla voglia di incontrarti...
 
A: Freddie
Da: me
Finalmente! Ci sarò.
Ps: Ti amo, bestiolina
 
Messaggio da Freddie:
Anche io, ma smettila con quei nomignoli.
 
Ridacchio. Amo irritarlo.
Diamine… amo tutto di lui.
 
Il regalo che ho comprato credo che lo rifiuterà, ma io farò in modo che non accada. A dir la verità, gliene ho fatto tre, ma non anticipo niente.
Sono più concentrato sul fatto che domani sera incontrerò il padre del mio ragazzo. Sembra davvero una brava persona. Però mi sento ugualmente teso. Forse potrei alla fine non piacergli. Non essere all’altezza di Frederick, il che è vero, me lo sono ripetuto molte volte.
Insomma… che cosa ci fa con uno come me?
 I miei pensieri vengono interrotti con il richiamo di mia madre: la cena è pronta.
Scendo al piano di sotto. La tavola -fortunatamente- è già apparecchiata, e i miei genitori già seduti.
Iniziamo a mangiare lo stufato. Mia madre non sa cucinare e lo stufato fa veramente schifo, ma né io né mio padre abbiamo il coraggio di dirglielo.
- Come è andata a scuola? – domanda mio padre.
- Al solito. – rispondo, tentando di inghiottire un boccone.
- Il dottor Whilliams insegna all’università che vorrei che frequentassi. Vedi di rifletterci. -
- Papà… non so nemmeno se farò l’università. Lasciami almeno la possibilità di scegliere l’indirizzo che preferisco. – sbuffo.
Il discorso termina lì e l’unico rumore che si sente è il tintinnio delle nostre posate.
Alzo gli occhi su mia madre, poi su mio padre e di nuovo mia madre.
E se glielo dicessi?
Che sto con un ragazzo. Che sono omosessuale.
  Assolutamente no. Impazzirebbero.
Rassegnato, continuo a mangiare.
 
 
Mi sistemo il colletto della camicia. Sto sudando freddo e mi tremano le gambe. Stringo il mazzo di fiori in una mano e il vino che ho portato nell’altra.
Respira.
Busso alla porta di quella piccola casa.
Intorno a me è buio, ma si sentono i grilli cantare. Sarebbero piacevoli da ascoltare, se non fosse per il fatto che fra pochi istanti incontrerò il padre di Freddie.
La porta si apre e trovo un Frederick sorridente ad accogliermi. Indossa una camicia e dei pantaloni neri. È molto elegante.
- Buon compleanno, Frederick. – dico, sorridendo a mia volta.
Gli porgo i fiori e gli dono un bacio dolce sulle sue morbide labbra.
- Prego… entra pure. – mi invita, scostando la  porta.
L’ingresso è accogliente, nonostante sia un po’ stretto.
Mi invita gentilmente a togliere il cappotto blu scuro, e lo appoggia su un mobile sotto un quadro che rappresenta un campo di grano sotto un cielo azzurro.
- Vieni… ti presento mio padre. – dice, facendomi strada attraverso la casa.
Giungiamo alla sala dove immagino si svolgerà la cena. C’è la tavola apparecchiata alla mia destra e un divano e una libreria sulla sinistra. Una finestra ampia che dà sul litorale marino. Il cielo e il mare sembrano fondersi… è davvero un bel paesaggio.
- Carino l’arredamento… - dico.
Mi guardo ancora intorno finché non incontro un’altra figura. Vedo due occhi color ghiaccio fissarmi con stupore. Vedo i suoi capelli tirati indietro con il gel e la barba curata. La camicia azzurra e i pantaloni eleganti. Un uomo colto che sa il fatto suo.
Oddio…  
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: Buonasera! Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Spero sia stato di vostro gradimento. So che ci potrebbe essere qualche errore, ma vi prego di perdonarmi!
Ci sono un po’ di cose in sospeso… l’incontro con il padre di Frederick, i regali misteriosi di Gabriel, come la prenderanno i signori Mills alla relazione del figlio con un altro ragazzo.
Cose che saranno risolte presto!
Vi auguro una buona serata! A presto!!
Rystie_00

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Capitolo 5
*** V CAPITOLO ***


V CAPITOLO
 
 
 
Merda.
Merda, merda, merda.
Non posso crederci. Tra tutte le persone su questa terra e in questa maledetta città…
- P-professor Rivera… -
- Gabriel? – domanda lui, riprendendosi leggermente.
- Voi due vi conoscete? – interviene Freddie.
Deglutisco. – Tuo padre è… il mio professore. – Ho la gola secca. In che maledetta situazione mi sono ritrovato?
Vi sono dei secondi di silenzio carichi di imbarazzo e paura. Una sensazione che vi auguro di non provare mai.
- Se non foste così sconvolti la cosa sarebbe esilarante. – continua il mio ragazzo. Sia io che il signor Rivera gli lanciamo uno sguardo di rimprovero, ma ciò gli fa scattare un risolino.
- Gabriel, per favore, possiamo parlare un attimo? -
Sono estremamente teso. Che voglia minacciarmi di lasciare sul figlio?
Il solo pensiero di essere allontanato da Frederick mi fa venire i brividi. Credo che sia difficile separarsi dalla persona che si ama. Non mi ero mai innamorato di nessuno prima di lui, però vivere senza la sua risata e i suoi modi impacciati mi farebbe impazzire.
- Però non metteteci troppo. Io vado in camera mia. – dice Frederick e si ritira nella sua stanza.
Ci sono degli attimi di silenzio. Che dovrei dire?
- Gabriel… non me l’aspettavo. –
Rimango in attesa. Non lo sto guardando in faccia. Sinceramente ne sono terrorizzato.
- Quindi… l’alunno che poco tempo fa era il meno diligente e mio figlio… -
Sospiro, alzando lo sguardo. – Sinceramente, mi chiedo sempre cosa ci faccia un ragazzo come Frederick con uno come me. -
- Me lo chiedo anche io. Cioè… tu? Non pensavo fosse il suo genere di compagno. -
- Però, professore, io non farei mai del male a suo figlio. Non sono così sfacciato quando si tratta della nostra relazione. Se non si fida, può chiederlo a suo figlio… io sono veramente inn-innamorato di lui. Glielo giuro. – devo difendermi. Devo difendere al meglio il nostro legame.
- Non è un problema il fatto che tu stia con Frederick. Sono solo sorpreso… ecco tutto. -
Abbasso gli occhi, torturandomi le dita delle mani.
- Professore. I miei genitori non sanno che io sono… -
- Non avevo l’intenzione di dirglielo. Stai tranquillo. -
Mi gratto la nuca: - Suppongo che dovrei ringraziarla. -
Lui sorride, come se fosse divertito da quelle parole. – Vai pure da Frederick. – detto ciò, torna in cucina dove suppongo stia preparando la cena.
  Mi allontano fino a raggiungere Frederick. Lui è lì che mi aspetta vicino alla scrivania e poi si gira facendo ruotare tutta la sedia a rotelle. Mi sorride. Come sempre.
- Ti ha fatto il discorso? – chiede.
- Una cosa del genere. – rispondo, mentre mi siedo sul letto. - Ma va tutto bene. A parte il fatto che ora sia il doppio più nervoso di quel che ero prima.-
Lui ridacchia e si avvicina. Mi prende una mano e la stringe, poi se la mette sulla guancia, pretendendo una carezza. Mi avvicino per baciarlo. E so che prima di unire le nostre labbra lui ha sorriso ancora. Sono i momenti che mi piacciono di più. Quelli nostri. Quelli che conserviamo nel cuore dove nessuno li guarderà.
- La cena è pronta! – annuncia il professor Rivera dalla cucina.
Ci separiamo, pronti a raggiungerlo.
 
Il mio insegnante è veramente bravo a cucinare. La cena era stata squisita dal primo al dessert.
Ma la parte migliore doveva ancora arrivare.
Io e il professore ci sistemammo sul divano sotto ordine di Freddie. Provavo un certo imbarazzo a stare con suo padre nella stessa stanza che non fosse l’aula scolastica. Mantenni una certa distanza da lui sul divano.
- È arrivato il momento dei regali! – esclama felice il mio ragazzo.
- Quali regali? – scherza suo padre e in risposta il figlio gli tira un pugnetto sul ginocchio. Ridiamo.
Poi prende qualcosa da dietro la sua schiena e lo porge a Freddie.
È un pacco rosso e si capisce che dentro c’è un grande libro. Penso sia un tipico regalo da padre professore.
Freddie lo scarta felice e poi, non appena legge il titolo è ancora più raggiante: - Il libro sulla mitologia nordica! – esclama. – Ma dove lo hai trovato? Non era più in commercio questa edizione! -
Il prof gli sorride e dice che un bravo professore ha sempre dei buoni contatti e che perciò non gli è stato difficile trovarne una copia.
Freddie lo abbraccia.
Poi è il mio turno.
Il mio primo regalo erano i fiori, che aveva già accuratamente messo in un vaso.
Gli porsi una busta, dicendo: - Questa è una sciocchezza prima del regalo vero. - 
Lui la aprì ed estrasse la foto che c’era dentro. Era una nostra foto di quando eravamo al parco insieme per il nostro primo mese. Lui sorrideva alla camera e io invece lo guardavo come un’ebete.  
– Grazie! È bellissima, me ne ero quasi dimenticato. La appenderò in camera. -
Gli sorrisi e poi gli porsi l’altra busta che tenevo con me. Tirò fuori il foglio al suo interno e cominciò a leggerlo dentro di sé. Ero un po’ in imbarazzo perché suo padre intanto aveva preso la foto e l’aveva guardata, ma cercai di concentrarmi su Freddie e studiare le sue reazioni. Poi, mentre leggeva, sussultò e io sorrisi istintivamente: era arrivato a quella parte. La parte importante. E man mano che continuava a leggere i suoi occhi si riempirono di lacrime, finché non la finì, posando la lettera sulle ginocchia e coprendosi il volto con le mani. Scuoteva la testa.
- N- non posso accettare, Gabriel. -
- Devi. – fu la mia risposta. Sicura, certa. Non gli avrei permesso di rifiutare.
- Che cosa è? – chiede il professor Rivera.
Ma Freddie non riesce a parlare, sta singhiozzando troppo. Poi allunga una mano e capisco che mi vuole vicino. Mi fa così tenerezza. – Hey, non serve che tu pianga così. È una bella cosa, no? – dico mentre lo abbraccio. Lui annuisce fra le lacrime e io sorrido accarezzandogli i capelli. Dopo un po’ si calma e mi siedo di nuovo sul divano, contento di averlo reso felice.
Suo papà è ancora lì che aspetta di sapere cosa gli ho regalato.
- Gabriel mi ha pagato una terapia in acqua. – dice.  Al che il professore si gira verso di me, sorpreso anche lui.
- Ho parlato con molti medici e fisioterapisti per assicurarmi di dargli il meglio. Diciamo che sono in contatto con dei bravi dottori quindi non è stato difficile. Oh… e se vuoi possiamo andarci insieme: ci sarà ovviamente un esperto, ma posso assistere anche io. – spiegai.
- Non so cosa dire. -
- Freddie, non devi dire niente. Devi solo essere felice del mio regalo e accettarlo. -
Lui annuisce e sorride, poi allunga una mano di nuovo e io la stringo prontamente, anche se le mie guance vanno a fuoco.
- Gabriel… - inizia il prof – Sono anche io senza parole… l’unica cosa che però voglio dirti è grazie. –
Lo guardo e vedo che anche lui è emozionato. E in quel momento capisco che è così che vorrei sentirmi sempre. Schifosamente felice.
Volevo fare del bene a Freddie e, senza pensarci, ho fatto del bene anche ad un’altra persona.
Sono mentalmente appagato e fiero di me stesso.
E, per una volta, quel giorno non mi è sembrato che stessi lottando contro il mondo.
Quella sera, fu una delle più belle.
 
 
 
EPILOGO
 
FREDERICK
 
Gabriel dorme ancora.
Come sempre, è quello della coppia che si sveglia tardi. Mi isso sugli avanbracci e raggiungo goffamente la sua parte del letto, posandomi infine sul suo petto. Lo guardo ancora da quell’angolazione, studiando il pomo d’Adamo e la barba curata che si lascia crescere solo perché piace a me. Non ne ha molta, ma quel filo giusto che lo rende ancora più attraente. Pochi anni fa si era anche tolto il piercing. “Non sono più un’adolescente” aveva detto. E lo avevo amato anche senza bridge.
Poi si muove e porta una mano al viso per stropicciarsi gli occhi. Li apre e mi vede, poi li richiude, ma posa una mano sulla mia testa.  
- Buongiorno – dice, con la voce ancora roca per il sonno.
- Buongiorno, amore. –
Sorride. – Puoi rimanere a riposare quanto vuoi dopo, ma ho lezione presto oggi, mi aiuti ad alzarmi? – gli chiedo. Lui annuisce, dicendo che avrebbe preparato lui la colazione. Prende la sedia a rotelle e mi aiuta. E quando sono seduto, mi lancia la mia maglia di casa, mentre lui rimane a petto nudo. Bello e muscoloso come un dio.
Spingo la carrozzina e ci avviamo in cucina. È uno dei momenti che preferisco in assoluto. La mattina, dico.
Quando ci alziamo e passiamo insieme attraverso un’unica porta. Tutte le porte della nostra casa sono così. Larghe. Gabriel aveva parlato con il nostro architetto e aveva fatto costruire apposta le porte più grandi. Per me. Per noi.
Avevamo comprato la casa dopo il mio venticinquesimo compleanno. Dopo che Freddie aveva ereditato gran parte della fortuna del nonno e dopo aver detto ai suoi genitori che era gay. Ovviamente non si aspettava una risposta positiva. “In qualche modo sapevano che gli avrei delusi.” Mi disse. Ma non gli importava. Gli importava avere me.
E così vivevamo insieme da cinque anni. Io conseguii la laurea in letteratura classica e ottenni una cattedra facilmente. Un po’ grazie a mio padre, un po’ perché ero davvero bravo.
Anche Gabriel insegna. Non di certo a scuola. In palestra. È un allenatore di boxe. Gli piace e io sono felice.
Non ci manca niente.
- Principessa, a che ora inizi? -
 – Alle nove. – rispondo.
- Ti accompagno. – dice e so che non posso ribattere. Mi accompagna volentieri e non è un peso per lui.
Mi versa il caffè in una tazza e poi torna ai fornelli. – Ti preparo anche il pranzo. – dice.
- C’è la mensa, non ti preoccupare per quello. -
- Ho voglia. – dice soltanto, con un sorriso.
Bevo il mio caffè e lo guardo mentre si occupa del pranzo. Gli fisso il sedere e le grandi spalle. È perfetto.
Si gira e mi coglie in fragrante. Arrossisco come sempre. Dopo anni.
- Questa sera – dice, mentre si sporge verso di me e mi stampa un bacio, per poi allontanarsi e ritornare a cucinare.
È uno di quei momenti. Vorrei alzarmi. Abbracciarlo da dietro. Baciargli il collo.
- Gabriel. - dico
- Mmh? – mi risponde, girando la frittata che sta preparando.
- Alzami. –
E lui spalanca leggermente gli occhi, girandosi verso di me. Poi sorride, spegne il fornello e si avvicina. Mi prende per le ascelle e appoggia il mio corpo totalmente al suo. I miei piedi sopra i suoi, anche se non li sento.
Siamo più o meno alla stessa altezza.
- Balliamo? – scherza e io rido. Poi infilo il viso nel suo collo e inspiro il suo odore.
- Ti amo. – sussurro.
Mi bacia la tempia. – Anche io. – mormora al mio orecchio.
Rimaniamo lì a dondolarci per ancora alcuni minuti.
Nella nostra campana di vetro mattutina.
Poi inizia la giornata.
 
 
GABRIEL
 
- Ragazzi, devo dirvi una cosa. -  
Oh, oh. Max ha un’espressione tesa e si vede che è nervoso. Lo avevo notato dall’inizio della cena.
- Papà, che succede? – chiede Freddie.
Suo padre non ci guarda, guarda il piatto vuoto e balbetta qualcosa. Sono passati anni da quando ho cenato con il mio professore del liceo per la prima volta. E con il tempo, ci ho fatto l’abitudine. Non era più imbarazzante: né per me, né per lui. Ma da come si comportava in quel momento. Mi sembrò di vedere il me stesso di anni prima.
- Spero niente di grave. – dico anche io, guardando perplesso Frederick.
- No, no! – assicura Max. Poi prende un respiro profondo e sostiene lo sguardo mentre inizia a parlare. – Da quando la mamma non c’è più mi sono sempre occupato di te, Fred. E sono stato felice di farlo. Ho preso in mano la situazione e ho cresciuto uno splendido figlio. Poi sei arrivato tu, Gabriel, e un po’, mi sento di ammettere, ho cresciuto anche te. Quando vi siete trasferiti ho continuato a fare il mio, ho insegnato, mi sono occupato di molti altri ragazzi. Ma poi… poi è successa una cosa che mi ha fatto riflettere sulla mia vita. Certo, ero felice, ma forse mancava qualcosa. – raccontava e noi lo ascoltavamo. Era qualcosa di importante, me lo sentivo. – Così mi son detto che andava bene cambiare qualcosa e non sentirsi male nel farlo. E ora è da un po’ di tempo che sto veramente bene. – dice.
- E che cosa hai cambiato? – chiede Freddie, curioso come me.
Max si passa una mano sulla barba e poi annuncia: - Ho incontrato una donna. –
C’è un attimo di silenzio. – L’ho conosciuta per caso, lavora in un negozio di fiori. Dovevo fare un regalo per la pensione di un mio collega e ci siamo conosciuti nel suo negozio. Ci sono tornato un po’ di volte prima di farle capire che le volevo chiedere di conoscerci. Poi ha accettato e… abbiamo iniziato a frequentarci e ora stiamo insieme. – conclude.
Freddie non dice niente. Non so se sia perché è senza parole, o perché l’idea di vedere suo padre con un’altra donna diversa da sua madre lo renda triste. Come se questa visione offuscasse il ricordo della moglie defunta.
- Papà – dice. – È la notizia più bella che potessi darci! – sorride commosso e allunga le mani per prendere quelle di Max, come per rassicurarlo che per lui non ci siano problemi.
- Anche io sono molto felice per te, te lo meriti! Sai, anche se al liceo ero un’idiota, devo dire che avevo capito che eri un figo e che ti stimavo sotto sotto. -
Max ride e anche Frederick. – Quando ce la fai conoscere? – chiede il mio fidanzato.
- Quando volete. – risponde.
Colgo  l’opportunità al volo. – Allora direi che la prossima settimana sia l’occasione giusta.- mi giro verso Freddie, con un sorriso complice. Lui capisce.
- Sì, penso di sì! – risponde, ridacchiando a sua volta.
- Cosa state tramando voi due? – chiede Max, sospettoso.
- Sei invitato ad una festa. – dico – Una festa molto speciale in cui ci sarà un grande annuncio. –
Il ricordo della sera di tre giorni fa mi si para nitido nella mente.
- Ossia??? –
- Lo vuoi davvero sapere? – chiede Freddie.
Max annuisce.
E Freddie allora alza la mano e glielo mostra.
Gli mostra l’anello.
 








NOTE DELL'AUTRICE: Ho ripreso in mano questa storia totalmente a caso e l'ho finita. Mi dispiace di averla abbandonata così, ma ora posso dire di essere soddisfatta. Spero che questa breve storia vi sia piaciuta anche se so che forse c'è una grande differenza di stile tra il primo capitolo e l'epilogo. In ogni caso, se qualcuno ha piacere di lasciare un commento allora è il benvenuto!
Un abbraccio a tutti. 
Rystie_00 

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