The Goodbye Kiss

di Alfred il sanguinario
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ricordo ***
Capitolo 2: *** La lettera ***



Capitolo 1
*** Il ricordo ***



Era una giornata grigia. Il sole era coperto da fitte nubi, e nemmeno un raggio riusciva a illuminare quel quartiere di Newcastle. I piccioni volavano bassi, e l'asfalto era ancora umido per via della pioggia della notte. Non c'era molta gente per le strade; in fondo era domenica, ed era molto presto. Solo qualche anziano procedeva a passo molto lento, probabilmente diretto al supermercato come di routine, o in chiesa. 
Steve osservava quel panorama dalla finestra di casa sua, tenendo una sigaretta accesa fra le dita. Il suo sguardo era vacuo, fisso sui giochi per bambini del parco sottostante, completamente vuoti. La luce era così grigia che sembrava quasi di essere in un film in bianco e nero, pensò.
Portò la sigaretta alla bocca e inspirò profondamente. Poi chiuse gli occhi ed espirò, lasciando uscire il fumo. Un anno prima, non si sarebbe mai sognato di accendere una sigaretta in casa, specialmente mentre sua madre era in casa. Ma ormai sapeva che non gli avrebbe detto nulla. Non le importava, o forse in realtà le importava, ma tutti le avevano detto che doveva lasciarlo stare, allentare la presa per un po'. Non poteva stargli addosso, anche la terapista glielo aveva detto. 
Tutto era cambiato da un anno a quella parte, ma non in meglio. Sua madre gli parlava sempre con un tono calmo e distaccato, come si parla a quei bambini particolarmente emotivi che hai paura di far piangere davanti alla loro madre. Aveva perennemente una nota di pietà, o di timore. Sembrava che camminasse sul ghiaccio sottile ogni volta che gli si rivolgeva. 
Steve sapeva che non poteva parlare dei suoi problemi con lei, nonostante lei gli ripetesse in continuazione che era pronta ad ascoltarlo. Si sarebbe preoccupata, sarebbe andata in fibrillazione a sentire quanti incubi Steve faceva ancora, e quante volte durante il giorno gli capitava di ripensare all'unico ricordo di quella terribile notte che aveva. 
Tutto questo rimaneva nella sua testa, era confinato. Non amava entrare nei dettagli nemmeno con la terapista, lo aveva fatto solo una volta. Per il resto si limitava a parlarle dei suoi incubi, delle strane altalente di emozioni che pervadevano i suoi giorni, ma solo una volta le aveva raccontato esplicitamente il suo ricordo. E da allora non ne aveva più fatto menzione, non direttamente. 
In quel momento, mentre Steve era completamente assorto dai suoi pensieri, qualcuno suonò alla porta. Steve pensò di ignorarlo, ma poi gli venne in mente che se non avesse aperto lui, sua madre si sarebbe svegliata e gli avrebbe chiesto perché non aveva aperto la porta. Così lasciò cadere la sigaretta, distrattamente, e si diresse verso la porta. Aprì senza pensarci, e si trovò davanti un postino. Giovane, avrà avuto sì e no venticinque anni. 
"E' qui Steven Morgan?" chiese.
"Sì, sono io..." disse lui, leggermente confuso dalla situazione. 
L'uomo gli porse una lettera. Steve esitò, "E' per te." lo incalzò lui. 
Steve la afferrò. 
"Mi hanno chiesto di dartela personalmente e non lasciarla nella cassetta." disse.
"Chi lo ha chiesto?" 
"Un uomo" rispose lui facendo spallucce. "Arrivederci" disse, mentre si allontava. 
Steve richiuse la porta, e osservò la lettera. Il destinatario era lui, e quando lesse il mittente ebbe un sussulto. Sentì la temperatura corporea salirgli improvissamente, il torace era come invaso da un caldo veleno. 
Prigione Statale di Shepton Mallet. 

Non aveva alternative. L'unica cosa che riusciva a percepire era la paura, l'urgenza di allontanarsi da quel luogo, non aveva tempo di pensare al perché o rimuginare. Si trovava sul cornicione del palazzo, e poteva vedere chiaramente le impronte di sangue che lasciava sulla superficie, mentre gattonava più veloce che poteva, col cuore in gola. Ma non riusciva a pensare distintamente, sentiva le lacrime rigargli il volto e il cuore battergli all'impazzata, ma non sapeva nemmeno perché. Mentre si allontanava, gattonando alla cieca, a letteralmente dieci centimetri da un pendio mortale, senza vedere nulla, sentiva delle urla strazianti alle sue spalle. 
"Steve!" era l'unica cosa che ricordava di aver udito distintamente. Riconobbe quella voce, la riconobbe immediatamente sul momento, ma quando tre quarti d'ora dopo i soccorsi giunsero su quel cornicione, dove si era rannicchiato, dicendogli gentilmente di afferrare la loro mano, si era già dimenticato. Di chi era quella voce? 

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Capitolo 2
*** La lettera ***


Steve appoggiò la lettera sulla mensola e la fissò. Sapeva da dove venisse, conosceva quel carcere, perché sapeva che era dove avevano mandato lui. Non era nemmeno più riuscito a ripetere il suo nome, dopo quella notte. Anche nella sua mente, cercava di evitarlo. Ma non si poteva dire lo stesso del suo viso; quel viso ovale, slavato, con gli occhi azzurro ghiaccio e le labbra carnose, scure e in contrasto con la pelle diafana, che vedeva quasi ogni volta che chiudeva gli occhi. 
Aveva troppa paura ad aprire quella lettera, e rimase in piedi a fissarla con sguardo vacuo. Il sapore della sigaretta ancora gli invadeva il palato, e questa volta non sembrava in grado di dargli nemmeno quel minimo conforto che solitamente gli arrecava. 
Lentamente, come se temesse delle conseguenze, si avvicinò alla mensola su cui l'aveva adagiata. La prese in mano e, chiudendo gli occhi, la aprì. Sentiva che doveva farlo, era come se una parte di lui avesse vinto il timore nonostante tutto. Una parte di lui, forse, era curiosa, e quasi sperava che fosse qualcosa riguardante lui, quel lui. Voleva sapere che fine avesse fatto.
Hey Steve
Non so come te la passi, non ci vediamo da un po', giusto? 

Qui ho molto tempo libero, e quindi ho potuto vedere tutte quelle trasmissioni sulla nostra storia. Ti chiamano il 'final boy', di solito è una final girl a restare, ma direi che oggi le cose stanno cambiando. 
Comunque, in tutti quei programmi ti descrivono come l'eroico sopravvissuto, ma io e te sappiamo la verità, giusto? 
E anche Bryan la saprà, ovunque sia. 
Con amore, 
Bryan


Il foglio gli cadde dalle mani. Ripensò a ciò che aveva letto, e ripensò a ciò che ricordava di quella notte. Nulla, praticamente. Sapeva che Bryan lo aveva ferito alla spalla, perché è ciò che gli avevano detto quando si era risvegliato all'ospedale. Dicevano che avesse probabilmente assistito a quando Bryan aveva stuprato Thomas, e che non potevano escludere avesse provato a stuprare anche lui. Dicevano fosse stato legato. 
Ma la verità è che Steve non ricordava nulla, nulla di tutto ciò. Poteva scavare quanto voleva nella sua mente, ma tutto ciò che riusiva a rievocare era il momento in cui, confuso e dolorante, gattonava sul cornicione del palazzo, e quando, pochi istanti dopo, aveva afferrato la mano del pompiere, perdendo conoscienza non appena aveva appoggiato i piedi a terra, nell'oscurità della notte illuminata da psichedeliche luci rosse e blu a intermittenza, provenienti dalle auto della polizia circostanti. 
Ricordava anche un'altra cosa, molto prima. Quando lui, Bryan, gli aveva aperto la porta d'ingresso di casa sua, con quel viso che ora lo terrorizzava su cui era stampato un sorriso. 
Ma c'era qualcos'altro che sentiva. Non era un ricordo, o forse in parte lo era. Ma percepiva un fondo di senso di colpa, nel rievocare quella notte. Colpa verso Thomas, ma colpa anche verso Bryan. 

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