Jude & Isabelle

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jude & Isabelle ***
Capitolo 2: *** Ti amo ***
Capitolo 3: *** Un Vërrater non perdona ***
Capitolo 4: *** ... Ma ama una sola volta ***
Capitolo 5: *** Fever ***



Capitolo 1
*** Jude & Isabelle ***


Jude & Isabelle 


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Il grande amore ci fa paura perché ci mette in una situazione di pericolo, perché si diventa vulnerabili; si perde la corazza che abbiamo nei confronti del mondo. Perché in amore si dà tutto e si può anche perdere, perdere tutto. 
 
 

Teneva gli occhi incollati alla tovaglia bianca con ghirigori ricamati, la fronte leggermente corrugata mentre continuava a riflettere.
Era abbastanza sicuro, in effetti, che Isabelle gli stesse dicendo qualcosa dalla cucina, mentre impiattava il dolce… ma non la stava ascoltando. Di sicuro sarebbe arrivato il momento in cui lei gli avrebbe chiesto che cosa avesse detto e lui avrebbe sfoggiato un sorrisino angelico per sfuggire alla strigliata… ma forse quella sera sarebbe riuscito a rimandarlo.
 
“Ehy, Van Acker…” 
Jude alzò lo sguardo dal tavolo per posarlo sull’apertura ad arco nel muro che collegava la stanza alla cucina, senza riuscire a vedere Isabelle ma certo che lei lo stesse ascoltando dopo che l’aveva interrotta.
“… che dici, mi vuoi sposare?”
 
Un istante di puro silenzio precedette il rumore di qualcosa in vetro che andava in frantumi, prima che Isabelle comparisse sulla soglia della stanza con gli occhi sgranati e un’espressione di pura incredulità:
 
“Come scusa?”
“Ti ho chiesto se vuoi sposarmi.”
 
Isabelle rimase perfettamente immobile e in silenzio, osservandolo come se non fosse sicura di aver capito correttamente la sua domanda… o più probabilmente si stava chiedendo se lui non la stesse prendendo in giro. Jude invece sembrava tranquillo e rilassato, come se le avesse chiesto se poteva passargli un bicchiere. 
 
“Perché quella faccia? Ti ho sconvolta? Oh, scusa… quasi dimenticavo.”
 
Jude si alzò come se niente fosse, avvicinandosi alla ragazza con una piccola scatola di velluto in mano, aprendola davanti agli occhi ancora increduli di Isabelle:
 
“Mio padre lo ha regalato a mia madre quando Yhavanna è morta, non voleva che portassero lo stesso anello… Ma Isabelle ti prego, dì qualcosa!”
Jude si accigliò, iniziando seriamente a temere di ricevere una risposta negativa. Aveva appena iniziato a pensare a cosa avrebbe fatto in quel caso quando Isabelle gli assestò un doloroso pugno sul braccio, guardandolo con aria torva:
 
“Ahia! Uno ti chiede di sposarti e tu lo picchi? Basta un semplice no!”
“IDIOTA. Ti sembra il modo di chiederlo? Mi hai presa in contropiede!”
“Lo scopo era quello.”   Jude fece spallucce, continuando a guardarla in crescente attesa. Isabelle invece non disse nulla per un attimo, abbassando lo sguardo sull’anello che le stava porgendo prima di annuire con un lieve cenno del capo:
 
“Io… sì.”
“Davvero?”
“Cos’è, speri che dica di no?”
 
Isabelle inarcò un sopracciglio mentre Jude invece sorrise allegramente, infilandole l’anello all’anulare della mano sinistra:
 
“No, no, assolutamente… Vado a prendere il dolce, ho idea che tu sia ancora mezza sconvolta.”
“Mi hai appena chiesto di sposarti e vai a prenderti la fetta di torta? Sei impossibile…”
 
Isabelle sospirò, scuotendo il capo con aria incredula mentre Jude invece sfoggiò un lieve sorrisetto prima di sparire in cucina, parlando quasi con tono canzonatorio:
“Allora ti sei appena firmata una condanna a vita, temo.”
 
                                                                                              *
 

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Sollevò una mano, sfiorandosi uno dei fiori che le erano stati intrecciati nei capelli.  Era vestita, truccata, pettinata… assolutamente pronta.
O almeno, di certo fisicamente lo era… ma psicologicamente? Lo era?
 
Continuò a guardarsi allo specchio, osservando gli occhi verdi che la fissavano di rimando. Quegli occhi che nel giro di pochi anni ne avevano davvero viste tante, cose anche davvero molto brutte… guardandosi allo specchio alle volte li aveva visti rossi, lucidi, colmi di lacrime. Spaventati, vacui, privi di emozioni… nell’ultimo periodo però erano sempre sorridenti, vivaci e luminosi. Come quando era piccola. 
 
Il bouquet di fiori viola e bianchi era appoggiato accanto a lei, sopra alla toeletta. Era pronta e probabilmente la stavano aspettando tutti… di certo fiori dalla porta c’erano Faye, Phoebe e suo padre. 
Eppure ancora non si alzava, ancora rimaneva lì. 
 
Lo stava facendo aspettare troppo?   Sorrise appena, pensando a Jude. Ormai doveva essere già davanti all’altare, a disagio nello smoking e di sicuro chiedendosi perché ci stesse mettendo tanto. 
Era sempre stato così insicuro nei confronti dell’amore che probabilmente stava pensando che lei avesse cambiato idea… quel pensiero la fece quasi ridere, sentendosi in colpa allo stesso tempo.
Sì, forse doveva andare. Eppure, d’altra parte voleva trascorrere ancora qualche piccolo momento da sola… o quasi.
 
“Come siamo belle… Ma non dovresti saltellare felicemente verso l’altare?”
“Io non saltello, specialmente con queste scarpe… Ma sono felice, questo sì.”
 
Le sorrise, avvicinandosi alla giovane sposa e chinandosi leggermente, intrecciando le braccia intorno a lei prima di baciarla dolcemente su una guancia. 
 
“Non sai quanto mi faccia piacere sentirlo Belle… spero che sarà sempre così.”
“Anche io.”
“Non dovresti andare adesso? Lì fuori ci sono molte persone che muoiono dalla voglia di vedere la sposa.”
Sorrise mentre si rimetteva dritto, porgendole la mano che venne stretta da Isabelle. Prese il bouquet e lanciò un’ultima occhiata allo specchio prima di allontanarsi dalla toeletta, camminando in equilibrio sui vertiginosi tacchi bianchi che indossava. 
 
“D’accordo… è il tuo momento Belle. Vai e stendili tutti, sorellina.”
 
Sorrise, sporgendosi per darle un bacio su una guancia. 
Annuì, incapace di parlare mentre si limitava a sorridergli, guardandolo strizzarle l’occhio un ultima volta prima che qualcuno bussasse alla porta. 
 
“Tesoro, di questo passo Verräter penserà che tu sia scappata, e non mi va di doverlo trattenere con la forza all’altare! Pronta?”
 
Phoebe spuntò sulla soglia mentre alle sue spalle una Faye perfettamente agghindata si lamentava del caldo, chiedendosi perché tutti si sposassero sempre nelle giornate più afose… perché mai d’inverno, insomma?
 
Isabelle annuì e rivolse all’amica un sorriso di scuse mentre si lisciava la gonna bianca del vestito:
 
“Si, sono pronta. Avevo solo un’ultima cosa da fare… hai chiamato mio zio come ti ho chiesto?”
“Si, è qui.”
 
Phoebe annuì e si spostò per far passare l’amica, che rivolse un caloroso sorriso ai due uomini che l’aspettavano. 
 
“Isabelle, che cosa c’è? Phoebe mi ha detto che era urgente…”
“Certo Zio, mi devi accompagnare! Oggi un padre non è abbastanza… Su, andiamo. Nessuno vuole vedere un Jude spazientito!”
 
Isabelle sorrise e si lasciò prendere a braccetto sia da suo padre che da Morgan, che le sorrise affettuosamente prima di lasciarle un bacio sulla fronte. 
Rimase ad un paio di centimetri dal viso della ragazza, mormorandole che di sicuro Alastair sarebbe stato molto felice per lei.
 
“Oh, lo so zio… credimi, lo so.”
 
                                                                                    *
 
Sbuffò, chiedendosi come si fosse lasciato convincere ad andare a quella dannata festa.
Lui li odiava, gli eventi di quel tipo… circondato da persone con cui non aveva la benché minima voglia di parlare, persone a cui era obbligato a presentarsi, altre che mascheravano tutto dietro falsi sorrisi di circostanza.
Disgraziatamente suo padre gli aveva gentilmente ceduto quell’onere da quando si era sposato e ormai sospettava a lui il compito di partecipare a quelle serate barbose, dove giravano chissà quali assurde voci su di lui, sulla sua famiglia. 
 
“E’ qui da solo?”
Riportò gli occhi sull’uomo che gli stava davanti e scosse il capo, sollevato di sentire una domanda che non riguardava suo padre, finalmente:
 
“No… sono venuto con mia moglie.”
Un lieve, impercettibile sorriso gli increspò le labbra nel pronunciare le due ultime parole e, anche se non se ne accorse, per un attimo cambiò anche l’inclinazione della sua voce, meno indifferente e quasi più dolce.
 
L’uomo che gli stava davanti, in effetti non ricordava con chiarezza il nome visto il gran numero di persone con cui aveva dovuto parlare e presentarsi, si voltò leggermente, accennando a qualcuno:
 
“Vestito blu?”
“Sì.”
 
Jude si voltò a sua volta per individuare Isabelle, trovandola a qualche metro di distanza e impegnata a parlare con qualcuno.
 
“Beh, allora complimenti. E’ deliziosa.”
 
Perché non la vede quando si arrabbia…
 
Annuì leggermente e rivolse un cenno al suo interlocutore prima di allontanarsi di qualche passo, sorridendo in direzione di Isabelle mentre si portava una mano al nodo della cravatta per allentarlo leggermente. 
Era indubbiamente l’unica con cui avesse anche solo una parvenza di voglia di passare la serata, l’unica che riuscisse a convincerlo a fare ciò che non voleva… come trovarsi lì. 
Un lieve sorriso gli increspò il volto quando la vide, attraversando la sala per raggiungerlo con il vestito blu elettrico che le svolazzava intorno alle gambe e i capelli tagliati fino alle spalle sciolti e leggermente mossi. 
Lei ricambiò il sorriso mentre lo raggiungeva, porgendogli un bicchiere con dello scotch dentro.
“Tieni… forse ne hai bisogno.”
“Non so che farei senza di te…”   Jude prese il bicchiere e le sorrise, bevendo un sorso di scotch mentre Isabelle gli risistemava il nodo della cravatta, parlando a mezza voce:
 
“Lo so che odi queste occasioni… ma fai uno sforzo e comportati bene.”
“Io mi comporto sempre bene! E’ solo che odio tutta questa… ipocrisia. Gente che si odia che si ritrova dentro la stessa sala, sparlando a tutto spiano. Di sicuro pensano che tu stia solo una specie di moglie trofeo…”
“Che pensino quello che vogliono, non mi interessa.”  
 
                                                                                       *
 
Si chiuse la porta alle spalle cercando di fare piano, non volendo svegliarla a quell’ora.
Non fece, tuttavia, neanche in tempo ad attraversare l’ingresso quando si fermò, e dovette chiudere gli occhi a causa della luce improvvisa.
“Che diamine…”    La mano di Jude volò alla tasca dove teneva riposta la bacchetta, bloccandosi quando si rese conto che non c’era nessun ladro/assassino in casa ma che ad accendere la luce era stata sua moglie.
 
Anche se, riflettendoci, Isabelle Van Acker poteva diventare anche più terrificante quando era arrabbiata… e a giudicare dal modo in cui lo stava guardando, non era troppo allegra.
 
“Ah, sei tu… mi hai spaventato. Che ci fai ancora sveglia? Sono quasi le cinque.”
“Già… me lo chiedo anche io. Perché è l’alba e io sono ancora qui, ad aspettare che tu torni a casa? Dov’eri?”
 
Il tono della donna era decisamente seccato e un campanello d’allarme suonò nella testa di Jude, che sbuffò leggermente mentre si sfilava il cappotto:
 
“Lo sai, preferisco non parlarti di certe cose… cercherò di non fare più così tardi, lo prometto.”
La sentì sbuffare leggermente e seppe di non averla convinta, neanche lontanamente.
 
“Ne abbiamo già parlato Jude… io vorrei che tu mi parlassi di tutto.”
 
Certo, non sapeva dove fosse stato o a fare cosa… ma una vaga idea ce l’aveva. E come sempre non le piaceva. 
 
Jude sbuffò prima di voltarsi nuovamente verso di lei, guardandola seduta su una poltrona, nel salotto.
“Se dovesse succedere qualcosa di grave te lo direi, lo sai… ma non è il caso di stasera, dovevo solo sistemare dei… conti con delle persone. Non guardarmi così Isabelle, lo hai sempre saputo, te l’ho detto fin da subito…. Non guardarmi come se ti avessi sempre mentito e lo stessi scoprendo solo ora.”
 
“Sì, l’ho sempre saputo… ma più passa il tempo e meno mi va giù.”
Isabelle distolse lo sguardo dal marito, parlando a bassa voce e con un tono piuttosto amareggiato mentre Jude sospirava, guardandola come a chiederle di capire:
 
“Non è per sempre Belle… te lo prometto. Ma non guardarmi così, non lo sopporto. Che cosa è cambiato rispetto a due settimane fa, perché all’improvviso la fai tanto lunga?”
 
Isabelle non disse niente, restando in perfetto silenzio per un attimo prima di aprire la bocca per dire qualcosa… ma poi la richiuse, scuotendo leggermente il capo prima di alzarsi:
 
“Niente. Non importa…”
Isabelle attraversò il salotto per raggiungere le scale e andare finalmente a dormire, ma quando passò accanto al marito lui la bloccò, prendendola per un braccio e costringendola a voltarsi:
 
“C’è qualcosa. Cosa è cambiato?”
“Niente.”
“Isabelle, ti conosco… che cosa c’è?”    La dita lunghe e sottili di Jude non accennarono ad allentare la presa sul braccio della moglie, guardandola dritta negli occhi e parlando con il tono di chi non ammette repliche… sì, la conosceva, e sapeva quanto fosse brava a svicolare.      Isabelle deglutì, parlando a bassa voce e con gli occhi verdi leggermente lucidi:
 
“E’ solo che non voglio perderti Jude. Sono… Sono incinta.”
 
Lo vide cambiare completamente espressione, sgranando gli occhi eterocromatici che aveva finalmente imparato a non nascondere, forse grazie a lei, prima di parlare: 
“Cosa? Da quanto lo sai?”
“Quasi due settimane. Non fare quella faccia, non sapevo come l’avresti presa… hai avuto un’infanzia così difficile, ho pensato che forse non ti sentissi pronto!”    Lo vide sbuffare, borbottare quanto fosse stupida prima di sporgersi verso di lei e baciarla, staccandosi per dirle tra un bacio e l’altro che era una stupida ma che l’amava lo stesso. 
 
Sorrise con sollievo e l’abbracciò mentre lei puntava gli occhi su di lui, guardandolo con lieve apprensione: 
 
“Quindi… sei felice?”
“Sono felice, Isabelle… Terrorizzato, ma felice. E non ti preoccupare, non vado da nessuna parte.”
 
 
                                                                               *
 
“Ci metteremo mai d’accordo su qualcosa, noi due?”
“Forse no. Smettila di fare la rompiscatole, andrà ad Hogwarts.”
“Cimmeria!”
“Hogwarts.”
“Cimmeria!”
“Ma che cos’hai contro Hogwarts? Solo perché tu sei stata una dell’élite che è andata alla scuola privata?”
“Smettila, non mi sembra che la Cimmeria ti sia dispiaciuta… anzi, noi ci siamo conosciuti lì! Se fossi rimasto in Scozia ora non saresti sposato con me!”
 
“Hai ragione… magari sarei sposato con una bionda con le gambe da fenicottero di neanche 50 chili…”
 
Jude parlò con un tono vagamente pensieroso, sfoggiando un sorrisetto appena prima che Isabelle lo colpisse brutalmente sulla spalla, facendolo ridacchiare:
 
“Hai poco da ridere, simpaticone! Ti ricordo che so perfettamente come mandare al tappeto qualcuno in circa 25 maniere… Anche se, riflettendoci, se tu fossi rimasto ad Hogwarts… chi può dirlo, magari ora io sarei sposata con Sebastian Ryle.”
 
Isabelle si accigliò leggermente, parlando con il suo stesso tono vago. Jude smise immediatamente di ridere, tornando serio e guardandola male prima di borbottare un “non penso proprio” a mezza voce. 
Isabelle rise, scoccandogli un bacio su una guancia prima di sistemarsi di nuovo contro la testiera del letto, mentre Jude le accarezzava distrattamente il pancione. 
 
“Sai che ti dico? Abbiamo 11 anni per decidere la scuola… parliamo del nome, piuttosto.”
“Beh, io continuo a sostenere che dovrei avere maggiore voce in capitolo visto che la fatica la sto facendo io… e poi avrà il tuo cognome!”
“Ma Emma non è orribile! E a me Natalie non piace.”
“Non chiamerò mia figlia come la mia odiosissima vicina di casa dell’infanzia Jude… hai la mia parola.”
“Sei una moglie tiranna.”
“E tu un marito rompiscatole!”
 
                                                                                     *
 
“Come la volete chiamare?”
 
Jude quasi non sentì la voce dell’ostetrica che gli stava sorridendo, porgendogli la bambina urlante e avvolta in un asciugamano bianco che aveva attirato la sua completa attenzione. 
Jude sbattè le palpebre, allungando le braccia quasi tremanti per prendere la bambina, non riuscendo a staccarle gli occhi di dosso mentre alle sue spalle Isabelle chiedeva flebilmente di poterla finalmente vedere.
 
Jude, tenendo la bambina in braccio mentre nemmeno si accorgeva che aveva appena smesso di piangere, si voltò verso la moglie come a volerle chiedere un ultimo consenso. Isabelle però non disse nulla, limitandosi ad annuire e a sorridergli mentre restava appoggiata con la schiena ai cuscini bianchi, assistendo alla scena. 
 
L’uomo si voltò di nuovo verso l’ostetrica prima di abbassare gli occhi su sua figlia, allungando timidamente un dito per sfiorarle il piccolo e delicato capo prima di parlare a bassa voce:
 
“Beatrix.”
“E’ un gran bel nome… se non sbaglio vuol dire “che porta felicità”.”
“Sì, esatto.”
 
Jude sorrise e annuì, voltandosi per raggiungere la moglie e sedersi accanto a lei per permetterle di vedere finalmente la figlia a sua volta. Lui le sorrise e si sporse per lasciarle un bacio sulla fronte prima di abbassare di nuovo gli occhi sulla figlia, tenendola con delicatezza ma allo stesso tempo con decisione.
 
Esattamente… Beatrix, colei che porta felicità. Ci avevano messo mesi, ma alla fine avevano fatto la scelta più giusta, ne ebbero la conferma soltanto guardando la bambina appena nata.
 
                                                                                    *
 
Aprì gli occhi e deglutì di colpo, sudando freddo e tremando leggermente… in effetti le temperature si erano piuttosto abbassate da qualche giorno, ma i tremori non avevano niente a che fare con il freddo, lo sapeva. 
 
“Isabelle…”    Con un sussurro si voltò di scatto, tirando un considerevole sospiro di sollievo quando trovò sua moglie accanto a sé, profondamente addormentata e raggomitolata sotto le coperte restando attaccata a lui, usandolo come “termosifone umano”, testuali parole della stessa Isabelle. 
 
Sorrise debolmente e allungò una mano per sfiorarle i capelli mentre un macigno gli si sollevava dal petto, guardandola dormire con sollievo e provando un po’ di invidia: sembrava così serena… era fortunata a non sognare le sue stesse cose.
All’improvviso un pensiero gli attraversò la mente e si irrigidì, scattando in piedi e ignorando il freddo che aleggiava nel corridoio mentre usciva dalla camera da letto. Si diresse quasi di corsa verso la stanza infondo al corridoio, entrando nella camera semi-buia e avvicinandosi al lettino dove dormiva sua figlia di appena sei mesi. 
 
“Ciao tesoro…” 
 
Con un sorriso carico di sollievo la sollevò delicatamente, sistemandosi la bambina su una spalla e accarezzandole i capelli castani mentre cercava di non pensare più a quello che aveva appena sognato. 
 
“Meno male… ho sognato di non trovarti più, lo sai?”    Sospirò e le diede un lieve bacio sulla testa prima di uscire dalla cameretta della figlia, tornando nella sua camera con quell’esserino avvolto in un body rosa sulla spalla. 
Beatrix mugugnò qualcosa ma rimase comodamente ancorata al padre mentre anche Isabelle si svegliava, aprendo un occhio e puntandolo sul marito mentre Jude tornava sotto le coperte, sistemando la bambina tra lui e la moglie:
 
“Abbiamo un’ospite?”
“Si… ho sognato di svegliarmi e di non trovarvi da nessuna parte. Preferisco tenervi vicine a me entrambe stanotte.”
 
                                                                                     *
 

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Jude Verräter teneva gli occhi fissi sulle carte che teneva in mano, mentre continuava a tamburellare con un dito sulle proprie labbra. 
Beh… era arrivato il momento della verità.
 
“Ok… scopriamo le carte. Coppia di re.”
Jude appoggiò le carte sul tavolo e sollevò lo sguardo sulla persona che gli stava davanti… forse uno degli avversari più difficili da battere che avesse mai incontrato.
 
Era stato così preso da quella partita, a dir poco fondamentale, da non essersi accorto della presenza di due figure minute che avevano fatto la loro comparsa accanto al tavolo… in effetti una non riusciva nemmeno ad arrivare al tavolo e doveva alzarsi in punta di piedi per vedere cosa stesse succedendo:
 
“Che cosa state facendo?”
“Stabiliamo le sorti della serata, tesoro… Coppia d’assi caro, temo che tu abbia perso questa volta.”
 
Isabelle Van Acker sorrise con aria soddisfatta, lasciando a sua volta le carte sul tavolo mentre Jude imprecava a mezza voce… in francese ovviamente, così che le due bambine non capissero.
 
“Che cosa hai detto papà?”
“Ho detto… mannaggia.”
 
Jude si sporse per prendere la più piccola delle due figlie di appena tre anni, Audrey, e sistemarla sulle sue ginocchia, mentre Isabelle continuava a sorridere mentre si alzava:
 
“Bene… e visto che ha vinto la mamma, stasera si mangia messicano!”
“Ma io voglio la pizza!”
“Non mi interessa Verräter, hai perso quindi decido io…”
 
“Ragazze, vostra madre è perfida, ricordate le mie parole.”
“Sarà anche vero, ma mi ami lo stesso, giusto Verräter?”
 
Isabelle rise mentre si alzava, dandogli le spalle per andare in cucina mentre Jude la seguì con lo sguardo, annuendo con un lieve cenno del capo:
 
“Triste, ma vero.”
 
                                                                                 *
 
Isabelle stava osservando le due figlie, di sei e quattro anni, giocare sul pavimento del salotto mentre lei era seduta sul divano.
 
Audrey, la più piccola, alzò lo sguardo e le indirizzò un sorriso mentre metteva in fila la sua schiera di peluche, quasi tutti regali di “nonno Morgan” che non perdeva occasione di viziare le bambine, portando qualche regalo ogni volta in cui faceva visita alla famiglia della figlioccia. 
 
Isabelle ricambiò debolmente mentre Jude la raggiungeva, sedendosi accanto a lei e osservando a sua volta le figlie discutere su come sistemare i giochi sul tappeto.
 
“Credi che passeremo i prossimi mesi a litigare come le altre volte?”
“Non saprei… questa volta è un maschio, magari mettersi d’accordo sarà più facile.”
 
La donna si strinse nelle spalle mentre il marito si voltava verso di lei, guardandola quasi con aria eloquente:
 
“Vuoi chiamarlo Alastair, vero?”
“Non mi dispiacerebbe, no.”
 
Isabelle annuì, ricordando quando, un paio di giorni prima, aveva saputo di aspettare un maschio… in effetti il suo primo pensiero era andato proprio su quel nome. 
 
Jude non disse niente per un attimo, voltandosi nuovamente verso le bambine prima di parlare di nuovo:
“Beh… se ti fa piacere, per me va bene.”
“Davvero?”
 
Isabelle si accigliò, guardandolo con sincera sorpresa prima di stendere le labbra in un sorriso, sporgendosi leggermente per abbracciarlo:
 
“Grazie.”
“Figurati… basta che erediti il mio meraviglioso carattere, certo.”
 
Jude sfoggiò un sorriso e Isabelle invece sbuffò, borbottando che lei pregava affinché ciò non accadesse e facendolo ridacchiare:
 
“Sai Belle… non avrei mai immaginato che un giorno avrei avuto una famiglia così, come non l’ho avuta da bambino.”
“Io te l’ho detto milioni di volte, Jude Noel Verräter… tua nonna si sbagliava di grosso sul tuo conto, spero che tu l’abbia capito, finalmente.”

Isabelle sorrise, guardandolo come probabilmente non l'aveva mai guardato nessuno prima di lei… e Jude non poté che ricambiare, mentre qualcuno gli tirava un lembo dei pantaloni per attirare la sua attenzione:

“Papà, dopo devi finire la storia di ieri sera.” 
Jude si voltò verso la fonte della voce e sorrise quando incontrò i grandi occhi chiari di Audrey, annuendo e assicurandole che l'avrebbe fatto. Isabelle invece sbuffò, intimandogli con lo sguardo di raccontare la versione originale e non quelle Made in Jude, dove alla fine qualcuno veniva sempre ucciso e spesso e volentieri vincevano i cattivi. 
“Non fare quella faccia Isabelle, lo sai che non mi piacciono le tavolette con principe e principessa che vivono per sempre felici e contenti…” 
“Beh, non è un buon motivo per storpiare tutte le versioni! Audrey, non ascoltare tuo padre, alla fine Biancaneve si sveglia e si sposa con il principe.” 

Audrey sorrise con aria sollevata prima di tornare dalla sorella maggiore per continuare a giocare, mentre invece Jude sbuffò leggermente:

“Van Acker, mi hai rovinato il gran finale dove la matrigna ammazza i nani!” 
“Non me ne frega niente, non ti azzardare a raccontare storie cruente alle bambine o faccio sparire il tuo prezioso scotch.” 







…………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:

Già qua direte? Beh, in realtà l'avevo già scritta XD 
Con questa OS chiudo definitivamente Night School… e ancora grazie a tutte per avervi partecipato, in particolare questa volta a Sesilia e a Phebe per avermi mandato questi due testoni che ho davvero adorato e con cui mi sono divertita moltissimo. 
Spero che la OS vi sia piaciuta… a presto! 

Signorina Granger 

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Capitolo 2
*** Ti amo ***


Jude & Isabelle 
 


Selwyn.” 

Phoebe Selwyn, impegnata a rimettere sui rispettivi scaffali i libri che aveva preso in prestito dalla Biblioteca durante l’anno scolastico, sobbalzò nel sentirsi chiamare da una voce decisamente familiare, voltandosi di scatto verso il suo interlocutore e sospirando quando si rese conto che ad averla chiamata era stato il suo amico/nemico preferito:

“Ciao Verrater. Qual buon vento? Mi hai spaventata, perché arrivi sempre di soppiatto?” 
“Perché mi divertono le reazioni che la cosa scaturisce. Comunque… devo chiederti un favore.” 

Jude non battè ciglio, parlando con il tono più rilassato del mondo mentre la ragazza invece sgranava gli occhi, sinceramente sorpresa:


“Come scusa?” 
“Ho detto… devo chiederti un favore.”

Jude rivolse un’occhiata leggermente torva alla compagna quando Phoebe sorrise, trattenendo a stento le risate:

“Sul serio? TU che chiedi un favore a qualcuno? Che cos’è, uno scherzo da fine anno scolastico?” 
“No. Ho la faccia di uno che sta scherzando?”
“In effetti no… ma devi ammettere che è strano, in genere sono gli altri che vengono da te. Comunque… sentiamo, che cosa vuoi?” 

“Niente di troppi complicato per la tua testolina, non preoccuparti. Ho bisogno che tu tenga Isabelle occupata oggi pomeriggio. Fai in modo che non metta piede in camera sua fino a stasera.” 

“Perché?” 
“Affari miei.” 
“Ma ora sono curiosa! Su, dai, dimmelo.”

Phoebe sorrise, dimenticandosi dei libri che ancora teneva tra le braccia mentre iniziava a seguire il ragazzo, che si maledisse mentalmente per aver chiesto a lei. Forse avrebbe dovuto rivolgersi a Faye, in effetti. 

“Le voglio fare una sorpresa, Selwyn… non fare la ficcanaso!” 
“Ma se tu sei il più grande ficcanaso che la Cimmeria abbia mai visto!” 
“Appunto, so di che parlo.” 

“Va bene, lo farò… dopotutto domani ci diplomiamo, sarà il mio favore d’addio. Peccato non poterti chiedere niente in cambio ormai.” 
“A dire la verità mi hai costretto a darti ripetizioni di Pozioni per gli esami, ergo siamo pari.”

“Io non ti ho costretto… ho gentilmente chiesto ad Isabelle di chiederti di farlo e come prevedevo a lei e alle sue lunghe ciglia non hai detto di no.” 

Phoebe sorrise e il ragazzo sospirò, annuendo: tristemente, aveva ragione lei.




“Riesci a credere che domani torneremo a casa? Sono felice che l’anno sia finito, finalmente, ma mi mancherete.” 
“È stato un anno difficile per te, non sei felice di tornare a casa, dalla tua famiglia?” 

“Certo. Ma mi mancherà molto potervi vedere ogni giorno. Tu come te la caverai, con la tua famiglia?” 


Isabelle alzò lo sguardo, posando gli occhi verdi sul suo volto quasi con leggera apprensione, facendolo sorridere leggermente mentre camminavano lungo il corridoio avvolto nella penombra:

“Non voglio parlare della mia famiglia Belle… siamo ancora qui, dopotutto. Non voglio pensare a mia nonna e a tutto il resto.” 
“Sei sicuro che non ti farà del male?” 

“Assolutamente. Quei tempi sono finiti, la megera farà meglio a stare alla larga.” 

Jude si strinse nelle spalle mentre si fermava davanti alla porta chiusa della camera di Isabelle, guardandola quasi come se fosse in attesa.
La ragazza si fermò davanti a lui,  osservandolo con aria vagamente dubbiosa:

“Jude… sei un po’ strano.” 
“Davvero? Beh, se devo essere sincero la gente mi da’ dello strano da anni, quindi non mi sorprende." 
“Intendo che sei strano OGGI. C’è qualcosa sotto? Hai insistito per accompagnarmi e Phoebe non mi ha permesso di mettere il naso in camera mia per tutto il pomeriggio.” 

“Oh beh, io ti dico da mesi che la Selwyn è bizzarra… non so spiegare i suoi comportamenti.” 

Jude piegò la labbra sottili in un leggero sorrisetto, mentre Isabelle invece indugiava, per niente convinta dalle sue parole:

“D’accordo… ma se trovo un serpente morto, una tarantola o un qualche scherzo orribile ti uccido Verrater.” 
“Come preferisci.” 

Il sorriso di Jude non vacillò, anzi forse si allargò quando Isabelle aprì la porta, lanciandogli un’ultima occhiata scettica prima di mettere piede nella sua camera. 
Aveva appena raggiunto il centro della stanza quando si fermò, smettendo di scrutare il pavimento cercando qualcosa di disgustoso che Jude poteva averle lasciato lì per scherzo e sollevando invece lo sguardo sulle pareti, restando praticamente paralizzata di fronte a quello che vide: le pareti, che fino a quella mattina erano sempre state bianche e immacolate, erano improvvisamente ricoperte di scritte, la maggior parte in lingue straniere. 


Un po’ come nella Cappella, dove aveva trascorso innumerevoli minuti a leggere le poesie scritte in decine di lingue diverse sulla pietra. 
Non conosceva diverse tra quelle lingue in realtà, ma da quelle che riuscì a tradurre intuì comunque il loro significato. 

“Hai ancora intenzione di uccidermi?” 
Sentendo la voce di Jude la ragazza si riscosse, voltandosi verso la soglia della stanza e trovandolo con un lieve sorrisetto stampato sul volto, come sempre quando sapeva di aver ragione su qualcosa. 

“No… quindi avevo ragione, hai chiesto a Phoebe di tenermi lontana dalla mia camera oggi.” 
“Ti volevo fare una sorpresa.” 

Jude si strinse nelle spalle mentre Isabelle invece sorrise, raggiungendolo per prendergli il viso tra le mani e baciarlo.

“Grazie. È la sorpresa più bella che mi abbiano mai fatto.” 

“Credo che non ne saranno molto contenti, ma almeno per quando scopriranno che ho imbrattato i muri saremo già lontani da qui.” 
“Lo hai fatto stasera per questo? Perché domani ce ne andiamo?” 

Isabelle rise, allontanandogli i capelli neri dal viso quasi con un gesto automatico per tutte le volte in cui lo aveva fatto, guardandolo sorridere leggermente mentre continuava a tenerla abbracciata:

“Anche. Ma soprattutto perché volevo che l’ultima sera qui fosse speciale.” 
“Ti amo anche io, Jude.” 


Isabelle sorrise prima di baciarlo nuovamente, in modo quasi diverso rispetto al solito. 
Riacquistando un po’ di lucidità, Jude si allontanò leggermente quando si rese conto che la ragazza stava indietreggiando per raggiungere il suo letto. 

“Belle… non sentirti obbligata. Posso aspettare, se vuoi.” 

In realtà non gli andava particolarmente, per questo provò quasi un moto di sollievo quando lei scosse leggermente il capo, guardandolo senza smettere di sorridergli:

“No, non ce n’è bisogno.” 

Le labbra sottili di Jude s’inclinarono in uno dei suoi rari sorrisi, mormorando ancora una volta che l’amava mentre si chinava per baciarla, chiudendo la porta con un calcio per poi spingerla delicatamente verso il letto.

Si, quell’idea era stata indubbiamente ottima. 











……………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:

Lo so, ho tre storie in corso e cosa faccio? Aggiungo un capitolo a quella che doveva essere solo una OS… ma mi è presa la nostalgia per questi due. 
E ovviamente, un grande grazie a Phebe per avermi dato lo spunto mesi fa, non potevo non metterlo per iscritto prima o poi. 

A presto! 
Signorina Granger 




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Capitolo 3
*** Un Vërrater non perdona ***



Avevo detto che c’era un conto lasciato in sospeso… quindi, eccomi qui. 
Buona lettura





Un Verräter non perdona 


“Isabelle?” 

Quando si chiuse la porta alle spalle Jude si guardò intorno per cercare tracce della moglie, ma venne accolto soltanto da un scodinzolante Border Collie bianco e nero, che gli si fermò accanto per ricevere la sua solita razione di coccole. 

Jude allungò istintivamente una mano per accarezzargli il muso, ma continuò a chiedersi perché Isabelle non gli fosse andata incontro come al solito, anche solo per rimproverarlo per l’ora tarda in cui era tornato. 

“Ragazze?” 
Che fossero uscite? Non ricordava di aver sentito niente a riguardo, ma forse Isabelle aveva deciso all’ultimo minuto o glie l’aveva detto e lui, semplicemente, l’aveva rimosso. 

“Papà, ciao!”

Quando vide Beatrix corrergli incontro con un sorriso stampato sul volto sorrise, rilassandosi leggermente mentre la bambina gli si fermava davanti per abbracciarlo e Jolly trotterellava via, probabilmente per tornare in salotto. 

“Ciao Trixie… sei ancora in piedi? Dove sono Audrey e la mamma?” 
“Audrey è di lá, ma la mamma non c’è...” 

“Dov’è andata?” 




“Trixie?”

Sentendosi chiamare dalla madre, la bambina di sei anni si alzò in piedi, lasciando colori e fogli sul tavolino per avvicinarsi ad Isabelle, che le sorrise dolcemente mentre si inginocchiava davanti a lei: 

“Ti va di fare un gioco?”
“Certo! A cosa vuoi giocare?”
“Perché non giochiamo a nascondino? Voi vi nascondete e io vi cerco.”

Isabelle allungò una mano, sistemando una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio della bambina, che sfoggiò un sorriso allegro e annuì: 

“Ok… conta fino a cento, poi ci vieni a cercare.”
“D’accordo. Mi raccomando… rendimi la ricerca difficile.”

Beatrix annuì alle parole della madre prima di girare sui tacchi e tornare verso il salotto per dire alla sorella minore di nascondersi, ripromettendosi di scegliere con cura il suo nascondiglio mentre anche la madre si allontanava, tornando verso l’ingresso. 


   

Jude guardò la figlia stringersi nelle spalle e sostenere di non saperlo con un’espressione confusa dipinta sul volto, quasi incredulo di sapere che la moglie era uscita di casa lasciando le figlie da sole. E poi non gli aveva detto niente a riguardo. 

“È andata via da molto?” 
“Un pochino… Ha detto di voler giocare a nascondino, così siamo andate a nasconderci, ma non ci trovava, così siamo uscite.”
“E non hai più visto la mamma?”
“No.”

“Ciao papà!”

Anche Audrey fece capolino nell’ingresso, sorridendo prima di raggiungere il padre e cingergli le gambe con le braccia, guadagnandosi così un sorriso da parte di Jude, che si chinò per prenderla in braccio mente la bambina gli chiedeva quando sarebbe tornata a casa la madre. 

 “Presto, tesoro.” 

O almeno, così sperava mentre rivolgeva alle figlie un sorriso tirato… e ringraziando che fossero troppo piccole per riconoscere quando mentiva.


*


Probabilmente quando venne svegliato da un elfo domestico in piena notte e seppe di avere una visita Morgan Shafiq ebbe la tentazione di infilarsi la vestaglia e uccidere con le sue mani il suo ospite. 

In effetti l’uomo si mise la vestaglia e prese anche la bacchetta, scendendo le scale di corsa e consigliando vivamente alla sua visita che ci fosse un motivo davvero urgente per averlo svegliato, ma quando vide di chi si trattava quei pensieri svanirono, cedendo solo il posto ad una sottile preoccupazione:

“Jude… è successo qualcosa?”
“Ciao nonno…”

Beatrix, che teneva il padre per mano e aveva solo la giacca sopra al pigiama con il suo peluche preferito sottobraccio, rivolse un saluto cupo al “nonno” mentre Audrey era stretta in braccio a Jude, addormentata. 

“Scusa per l’ora Morgan, ma ho bisogno che tu tenga le bambine per un po’.”
“Certo… ma dov’è Isabelle?”

“La mamma è andata via.”
“Ma adesso papà va a prenderla, ok? Voi dovete solo aspettare qui con il nonno.”

Jude sorrise alla figlia maggiore e la bambina annuì con aria cupa mentre il padre, dopo aver dato un bacio sulla fronte di Audrey, la lasciava tra le braccia di Morgan, che venne raggiunto anche da Beatrix. 

“A loro penso io, non preoccuparti. Di qualunque cosa si tratti, vuoi che ti affidi qualcuno dei miei uomini?”
“No, grazie. So esattamente dove andare e cosa fare. Tu pensa solo a loro.”


*


Erano anni che non metteva piede in quella casa, anni da quando aveva finalmente abbandonato quell’inferno in cui era cresciuto. 
Quando se n’era andato si era ripromesso di non metterci più piede, si era detto che mai sarebbe tornato in quella casa. 

Eppure ora era lì, salendo quelle scale familiari di corsa e ignorando i richiami disperati degli elfi, che di certo sarebbero stati severamente puniti dalla “signora” per non averlo fermato.
Ebbe quasi pietà per quelle povere creature, in effetti, sapendo che cosa li aspettasse. Ma non aveva nessuna voglia di aspettare neanche per un attimo.

Ricordava perfettamente ogni stanza e ogni corridoio, la piantina di quella grande dimora era ancora perfettamente fissata nella sua mente… forse perché aveva desiderato di trovare una via di fuga così tante volte?

Raggiunse la sua destinazione in pochi minuti, fermandosi davanti alla porta e aprendola senza neanche bussare, trattenendosi dall’impugnare la bacchetta e porre finalmente fine ai suoi problemi con una semplicissima formula. 
Ma prima doveva trovare Isabelle.


“Dov’è?”
“Ciao Jude… ne è passato di tempo.”

“Già, speravo morissi di vecchiaia nel frattempo, ma pare che l’erba velenosa non muoia mai… ti ho chiesto, dov’è?”

Jude lasciò che la pesante porta si chiudesse alle sue spalle mentre si avvicinava alla scrivania quasi a passo di marcia, fermandosi davanti al mobile per poi metterci sopra entrambi i palmi, gli occhi carichi di un odio che aveva sempre riservato solo a sua nonna.
Magda, che fino a quel momento aveva continuato a scrivere senza scomporsi, alzò finalmente lo sguardo sul nipote, sollevando un sopracciglio:

“Ti riferisci a tua moglie? Ragazza deliziosa, Jude, mi chiedo perché tu non me l’abbia mai fatta conoscere…”
“Lascia Isabelle fuori da questa storia, riguarda noi, la nostra famiglia… lei non c’entra.”

“Tecnicamente è una Verrater anche lei adesso, no? E le tue bambine, Jude… davvero adorabili. Le hai fatte portare da Shafiq? Ho sentito che tua moglie ha un legame molto stretto con quella famiglia… Non sei mai stato stupido, purtroppo. Sai che non mi posso avvicinare a quella casa.”

“Non solo non sono stupido, ma ho anche scarsa pazienza. Ti ho chiesto, Magda, di dirmi dov’è.”

“Volevo fare la sua conoscenza da parecchio, sai? E poi mi è giunta voce che è in dolce attesa e mi sono detta “Perché non ora?”… Congratulazioni.”

Magda sorrise e Jude sollevò istintivamente una mano, stringendola sul volto segnato dall’età della donna e serrando la presa, quasi tremando dalla rabbia:

“Sto cercando di convincermi a non ucciderti, ma così non mi aiuti. Dov’è?!”

“L’età gioca brutti scherzi alla memoria, Jude… ma immagino sia qui, da qualche parte. Trovala. Ma non preoccuparti per lei, sono stata un’ottima ospite... l’ho lasciata in buona compagnia.”

Un sorriso mellifluo, quella stessa smorfia che Jude aveva imparato ben presto ad odiare profondamente da bambino, increspò le labbra della donna, i cui occhi luccicarono quasi con divertimento. E probabilmente, se non si fosse sentito quasi mancare il pavimento sotto i piedi prima di affrettarsi ad uscire dalla stanza, Jude avrebbe provveduto a farglielo sparire dal volto una volta per tutte.


*


Teneva Beatrix in braccio mentre era seduto su una sedia, in una delle corsie dell’ospedale. 
La bambina, così come Audrey, si era addormentata ma lui era piuttosto sicuro che non avrebbe chiuso occhio quella notte, così come i suoi suoceri, seduti accanto a lui e in silenzio, e Morgan, seduto alla sua sinistra con la secondogenita in braccio.

Non sapeva quanto tempo fosse passato di preciso ma gli sembrava di essere lì da ore quando la porta finalmente si aprì e dalla stanza uscì un’infermiera, che si rivolse proprio a lui con probabilmente il tono più gentile che le riuscì: 

“Vuole vederla, Signor Verrater.”

“Dalla pure a me, Jude.”

Si alzò quasi senza sentirsi le gambe, udendo solo distrattamente la flebile voce di Amelie, che gli fece cenno di lasciargli la nipote. Jude depositò Beatrix tra le braccia della suocera senza dire nulla, avvicinandosi alla porta socchiusa della stanza sentendosi quasi in trance, come se si stesse muovendo in un sogno. 
Fu solo quando l’infermiera gli chiuse la porta alle spalle e i suoi occhi si posarono su Isabelle che si rese conto appieno che era tutto vero, che non si sarebbe svegliato da quell’incubo.


Isabelle era seduta sul letto con la schiena appoggiata ad un cuscino e non si voltò sentendolo entrare, tenendo gli occhi verdi fissi sulle proprie mani, giunte, arrossate e abbandonate sul copriletto.

“Belle…”
Per un attimo Jude tentennò, poco abituato a non sapere cosa dire o cosa fare. Avrebbe voluto sedersi accanto a lei e abbracciarla, dirle che si odiava e che probabilmente non se lo sarebbe mai perdonato, ma non riuscì a muoversi, dicendosi che forse lei preferiva che non lo facesse. 

“Che ne è stato? Li hai uccisi?”

Aveva un ricordo vago e confuso di quei pochi istanti, quando aveva sentito la pesante porta della cantina aprirsi e la voce di Jude, portandola a provare, finalmente, un po’ di sollievo in mezzo agli occhi lucidi, il dolore, la paura, il freddo e il tremore incontrollato.

Non aveva assistito direttamente alla scena, era rimasta stesa sulla pietra dura e umida, gli occhi pieni di lacrime fissi sul soffitto e incapace di muoversi, cogliendo solo le voci e i bagliori di luce scaturiti dagli incantesimi che erano volati attraverso la cantina.  

“… sì.”

Jude annuì e Isabelle, dopo un attimo di esitazione, fece lo stesso, continuando ad evitare di guardarlo in faccia prima di parlare con lo stesso tono apatico di poco prima: 

“Bene.”
“Isabelle, mi…”

“Preferirei che restassi lì.”

Aveva mosso appena un passo verso il letto ma si bloccò immediatamente alle parole della moglie, sentendo quasi un peso sprofondargli nelle viscere prima di annuire debolmente, mormorando un lieve assenso. 

“Le bambine stanno bene?”
“Sì, sono qui fuori… dormono, ma prima volevano vederti.”

“Preferirei che mi vedessero fuori da qui. Cosa gli hai detto?”
“… niente.”
“Allora continua così, per favore.”

Jude annuì al mormorio di Isabelle, continuando a fissarla come in trance prima che la voce della strega risuonasse nuovamente nella stanza: 

“Ti dispiace uscire? Vorrei stare sola.”
“… certo. Buonanotte.”

Jude annuì e fece per voltarsi, con un peso che sembrava schiacciarlo sempre di più verso il pavimento, non sapeva se per le parole della moglie, il modo in cui era costretto a vederla o la consapevolezza di non essere riuscito a fare nulla, ad arrivare abbastanza in fretta. 

“Puoi andare a casa con le bambine, non devi stare qui.”
“Certo che resto.”


Quando la porta si fu chiusa nuovamente alle spalle di Jude Isabelle tirò un sospiro di sollievo, stendendo la tensione che, non sapeva per quale motivo, aveva accumulato nel momento stesso in cui era entrato. 
Sapeva che non era colpa sua, certo. Ma la sua presenza la infastidiva comunque. 

Si lasciò sprofondare contro i cuscini, sfiorandosi il collo dolorante e cosparso di lividi prima di ritrarre la mano di scatto, incrociando le braccia al petto. 
Puntò gli occhi chiari, perfettamente vigili, sul soffitto della stanza ormai buia, assolutamente certa che non avrebbe dormito affatto, anche se ormai era quasi l’alba. 
E forse nemmeno per le notti a venire. 


*


Il vetro s’infranse sulla parete e il liquido ambrato si riversò sul muro mentre cercava di mantenere la calma, di contare fino a dieci e di non perdere il controllo.
No, non poteva, non in quel momento… lei era sempre stata la sua roccia, ma ora era lui a dover essere forte per entrambi. 

Non poteva permettersi di perdere la calma, anche se moriva dalla voglia di fare a pezzi qualcosa, o qualcuno.
A volte desiderava di non averli uccisi sul momento, preso dalla rabbia, avrebbe voluto vederli soffrire a lungo, restare in agonia per giorni interi, ma aveva pensato solo ad Isabelle, a portarla il più rapidamente possibile fuori da lì. Anzi, portarli al sicuro entrambi.

Jude si lasciò cadere sulla sedia suo studio, passandosi stancamente una mano tra i capelli. 
Era stanco, non faceva che tormentarsi da settimane… non era certo la prima volta in cui si trovava in una situazione difficile, ma non gli era mai successo di non avere il supporto della moglie, prima d’ora.

Questa volta era lui a doverla tirare fuori dal tunnel, ma non era sicuro di riuscirci. Faticava a vederla in quello stato e il suo tenerlo perennemente a distanza non lo aiutava. 

Jude serrò la mascella, chiedendosi se le cose sarebbero mai tornate come prima. Ci aveva messo così tanto a trovare la felicità e non sopportava l’idea che gli fosse stata tolta in un attimo, senza che fosse riuscito a fare nulla.

Con un brusco movimento del braccio urtò tutto quello che c’era sulla scrivania, gettandolo sul pavimento prima di prendersi la testa tra le mani.

Era arrabbiato, forse come non lo era mai stato prima d’ora… non sapeva, tuttavia, se con sua nonna o con se stesso.


*


“Il bambino come sta?” 
“Per fortuna bene, pare che sia arrivato in quella dannata cantina giusto in tempo.” 

Jude si rabbuiò leggermente, fissando il fuoco con insistenza mentre il suo stomaco si contorceva nel ripensare a quella sera, e a quanto le cose fossero cambiate nel corso di quel mese e mezzo. 

Morgan non disse niente per qualche istante, osservando le fiamme a sua volta prima di parlare nuovamente, con tono incerto:

“Non dovresti essere a casa con lei adesso?”
“Non penso le faccia molta differenza, dal momento che ha smesso di guardarmi in faccia.” 

Strinse tanto la presa sul bicchiere che per un attimo Morgan pensò che gli si sarebbe rotto in mano, guardando il ragazzo fissare il fuoco con insistenza mentre ripensava a sua nonna, ad Isabelle e ai tre uomini che aveva brutalmente ucciso prima di avvicinarlesi, sollevarla e Smaterializzarsi fuori da quella casa, lontano dalla stessa cantina dove anche lui, più di vent’anni prima, aveva sofferto indescrivibilmente per mano di sua nonna.
Gli sembrava ancora di vederla, in lacrime ma incapace di muoversi, su quel pavimento umido e freddo.

“Jude… passerà. Credo sia normale che stia reagendo così, ma non è arrabbiata con te. Fidati, la conosco.” 
“Non vuole neanche che mi avvicini per meno di due metri da quando è tornata dall’ospedale... credo sopporti a malapena la mia voce. Le sto dando spazio e tempo, ma mi sembra di non fare nulla per aiutarla, vorrei quantomeno abbracciarla per farle capire che non è sola, che ci sono, ma se provo ad avvicinarmi si scosta, o va in panico.”

Era sempre stata così brava, a scappare, nessuno lo sapeva meglio di lui… ma sperava di non dover ripetere l’esperienza dell’ultimo anno di scuola, quando ci aveva messo interi mesi a convincerla ad aprirsi con lui.


“Passerà. Dalle un po’ di tempo… l’importante è che le bambine stiano bene e anche il piccolo in arrivo.” 
“Lo vogliamo chiamare Alastair.” 

Morgan si irrigidì per un attimo sentendo quelle parole, quasi buttate giù dal genero con un tono neutro, prima di sorridere appena, versandosi altro liquido ambrato nel bicchiere. 

“Lo sospettavo.” 
“Ho la sensazione che il suo fantasma tornerà a perseguitarmi per aver permesso che le facessero… quello che le hanno fatto.” 

“Probabilmente se fosse qui ti avrebbe ucciso, sì… ma non è colpa tua. E lo pensa anche Belle, Jude.” 

“Cambiamo argomento.” 
“Di cosa vuoi parlare?” 
“Parliamo di mia nonna. Ha superato il limite questa volta, la voglio vedere dentro una fossa. Puoi aiutarmi?” 

“Vedrò che posso fare.” 


*


“Papà, ciao! Dov’eri?” 

Jude si sforzò di sorridere ad Audrey, che quando era entrato nella stanza si era alzata dal tappeto dove stava giocando con la sorella per raggiungerlo e abbracciarlo:

“Ero dal nonno Morgan, vi saluta.” 

Jude sfiorò i capelli della figlia con la mano, sorridendole con affetto prima di vederla girare sui tacchi e trotterellare di nuovo verso Beatrix, annunciando che aveva fatto dei disegni per lui e voleva farglieli vedere. 

Lo sguardo del mago si posò sulla moglie, seduta sul divano e in silenzio. Lo stava guardando, ma quando Jude ricambiò lo sguardo Isabelle si affrettò a distoglierlo, continuando a non dire niente. 

“Ciao.”
Le labbra sottili di Jude si inclinarono leggermente in un sorriso mentre sedeva accanto a lei, guardandola e implorandola silenziosamente di fare altrettanto. 
Isabelle non lo fece, ma ricambiò il suo saluto a mezza voce, continuando a tenere gli occhi fissi sulle figlie. 

“Vado in cucina.” 
Dopo qualche istante Isabelle si alzò sotto lo sguardo del marito, che non osò replicare o allungare una mano per prendere la sua, ricordando quando si era più volte scostata, chiedendogli di non toccarla. 

La guardò allontanarsi per poi tornare a concentrarsi sulle foglie, sforzandosi di sorridere e di non sembrare di cattivo umore. Sperava ardentemente che Morgan avesse ragione, ma intanto lei continuava a stargli perennemente a qualche metro di distanza. 


*


Stava sistemando il letto per coricarsi quando un cigolio lo avvertì che la porta si era aperta, portandolo a voltarsi verso la soglia della stanza, quasi sperando che fosse Isabelle e che volesse dirgli qualcosa. Avrebbe persino accettato un discorso sul tempo meteorologico, pur di vederla parlargli guardandolo di nuovo in faccia per più di cinque secondi.

Ebbe, invece, un tuffo al cuore quando si trovò davanti la figlia minore, già con la camicia da notte addosso e i capelli castani sciolti sulla schiena, che gli rivolse un’occhiata carica di curiosità: 

“Perché tu e la mamma non dormite più insieme? State stretti?”
“Diciamo di sì… la mamma vuole avere più spazio.”

Jude annuì, sforzandosi di sorridere alla figlia mentre la bambina gli si avvicinava, sorridendogli: 

“Io non ne occupo tanto, se vuoi posso dormire io con te!”
“Certo. Vieni qui.”

Audrey fu ben lieta di arrampicarsi sul letto della stanza degli ospiti per coricarsi accanto al padre, appoggiando il capo sul suo petto e chiudendo gli occhi con aria rilassata, lasciandosi abbracciare. 
Jude invece continuò a tenerli aperti, accarezzandole distrattamente i capelli mentre i suoi occhi eterocromatici erano perfettamente vigili, fissi sul soffitto della stanza. Non dormiva molto da settimane, in effetti, non facendo altro che pensare a come sua nonna si fosse volatilizzata dopo quella notte. 

Ancora non era riuscita a trovarla, ma per quanto brava Magda non poteva nascondersi per sempre da suo nipote. Prima o poi l’avrebbe trovata. 


*


“Come stai?”
“Bene.”

Morgan inarcò un sopracciglio, guardando la figlioccia con evidente scetticismo e facendola così sbuffare debolmente, mentre continuava ad evitare di guardarlo negli occhi chiari:

“Non guardarmi così, zio.”
“Scusa, fatico a nascondere quello che penso… Belle, per una volta, puoi parlare liberamente? Ti conosco da quando sei nata, con me puoi parlare di tutto.”

“Lo so.”
“È normale che tu reagisca in un certo modo… ma sta male anche lui, tesoro. Sai quanto tenga a te, credo che in questo momento si odi per quello che ti è successo, e il fatto che tu non gli rivolga la parola non lo aiuta. Prendi i farmaci per il panico?”

Isabelle annuì con un lieve cenno del capo, continuando ad evitare di guardare il padrino e desiderando ardentemente che le persone smettessero di trattarla come una pazza che avrebbe potuto dare di matto da un momento all’altro. 


“Sì. E comunque non ce l’ho con lui, so che non è colpa sua... non va al lavoro da più di un mese per stare a casa con noi, immagino come debba sentirsi adesso, lo conosco, ma non riesco… non ce la faccio. Ci ho messo settimane a sopportare persino la TUA presenza, e sei come un padre per me.”

“Non ti vedevo così da molti anni… da quando è morto Al. Ricordi come stavi? Forse sentivi che non saresti mai riuscita a riprenderti, ma l’hai fatto, probabilmente anche grazie a Jude. Permettigli di starti vicino anche questa volta, Isabelle… oltretutto, sei incinta, si preoccupa per te.”

“Lo so. Ci sto provando, zio. Davvero, lo faccio. Vorrei tanto che tornasse tutto come prima, ma non so se andrà così.”


*


Era in piedi davanti alla cucina, strofinando energicamente il piatto che teneva tra le mani. 
Tecnicamente non avrebbe dovuto farlo, certo, gli elfi l’avevano praticamente implorata di tornare di sopra e di riposarsi… ma non riusciva più a sopportare di non fare nulla. 
Doveva fare qualcosa, anche solo per smettere di pensare. 

Aveva iniziato a lavare i piatti circa un’ora prima e ancora non aveva smesso, probabilmente avrebbe finito col lucidare piatti che non erano nemmeno stati usati… non si accorse che qualcuno era entrato nella stanza e le si era avvicinato, vuoi per il suo modo silenzioso di muoversi o perché Isabelle aveva semplicemente la mente altrove, molto distante da quella cucina, per quanto provasse a distrarsi.

“Ciao... che cosa fai?”

Quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e una voce familiare Isabelle si voltò di scatto, sobbalzando e muovendosi d’istinto, allontanandosi leggermente dal marito. Nel movimento brusco il piatto finì col scivolare dalla sua presa, cadendo sul pavimento piastrellato e rompendosi. 

“Merda…”
“Lascia. Scusa, forse non dovevo…”

Jude fece per allungare una mano e bloccare la moglie, impedendole di chinarsi e raccogliere i cocci…Ma Isabelle si ritrasse leggermente, tenendo lo sguardo fisso sul piatto rotto ai suoi piedi ed evitando, ancora una volta, di guardarlo. 

“Isabelle, guardami, per favore.”

Jude sospirò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli color pece mentre guardava la strega raccogliere i frammenti più grandi del piatto per ripararlo con la magia, continuando a quasi ignorarlo.

“Belle. Guardami, per una volta. Non puoi continuare a scappare come fai sempre quando c’è qualcosa che non va… Permettimi di aiutarti, invece di allontanarmi. So che stai soffrendo, ma vederti così senza poter fare nulla per aiutarti mi annienta.”

Jude allungò una mano, stringendola sul braccio della moglie per costringerla ad alzarsi e a guardarlo, udendo solo il mormorio con cui lei gli chiese di non toccarla. La sua mano si ritrasse quasi come se si fosse scottato, limitandosi ad annuire prima di parlare nuovamente, a bassa voce e con un tono piuttosto tetro:

“Ok… come vuoi. Quando vorrai parlare con me e permetterci di affrontare questa cosa insieme, ci sarò. Ci sarò sempre per te, sei la mia vita.”

Probabilmente avrebbe voluto chiedergli di non dire così, perché la faceva sentire solo peggio, solamente più in colpa per il modo freddo e distaccato con cui l’aveva trattato da quando era tornata a casa dall’ospedale, incapace di fare altrimenti.
Ma ancora una volta non riuscì a parlare con lui o a cercare di fargli capire come si sentiva, limitandosi a restare in silenzio mentre Jude, sospirando debolmente, si voltava per poi uscire dalla cucina a grandi passi, sostenendo che sarebbe andato a salutare le figlie.


Una volta sola Isabelle lasciò i cocci di porcellana sul ripiano della cucina, deglutendo a fatica prima che un singhiozzo la scuotesse, premendosi una mano sulle labbra per evitare, ancora una volta, che il marito o le figlie la sentissero piangere. 


*


Mentre la madre le rimboccava le coperte, Beatrix teneva gli occhi scuri fissi su di lei, osservandola con aria pensierosa. 
Isabelle probabilmente stava per darle un bacio, augurarle la buonanotte e poi uscire dalla camera come sempre, ma la voce della bambina catturò la sua attenzione con una domanda che, lo sapeva, prima o poi sarebbe dovuta arrivare:

“Tu e papà avete litigato?”
“No. Perché lo pensi?”
“Non parlate mai… e lui dorme in un’altra stanza. Come mai?”

“Ho solo… bisogno di stare un po’ da sola, Trixie.”
“Però non sembri felice. Non sorridi mai… non lo fa nemmeno papà. Sembra triste quando ti guarda.”

“A volte capita di non essere felici per un po’ di tempo, sai? Ma poi si sistema tutto, basta essere pazienti… ti prometto che io e papà sorrideremo di più.”
Isabelle abbozzò un sorriso, sfiorando i capelli castani della figlia con le dita, che annuì:
“E vi parlerete?”

“Certo. Devi solo essere paziente, Trixie, anche se essendo figlia mia e di papà temo che ti potrebbe risultare un po’ difficile.”


*


Aprì gli occhi, impiegando qualche secondo a rendersi conto di tremare, sì, ma di essere a casa sua, nella sua camera e nel suo letto e non in un’umida cantina, stringendo convulsamente il lembo del lenzuolo. 
Chiuse le palpebre e si disse di respirare e di rilassarsi come aveva imparato a fare in quelle lunghe settimane, ma il suo battito cardiaco rimase accelerato rispetto alla norma e il suo corpo scosso dai tremori. 

Deglutì a fatica, cercando di ignorare il dolore che sentiva e la fastidiosa sensazione delle mani sul suo corpo, che la toccavano, che la violavano malgrado le sue preghiere, le lacrime e i tentativi di divincolarsi da quella stretta. 

Non era reale, lo sapeva.
Era sola, a casa sua, nella sua camera… erano morti, lo sapeva. Ma quelle voci, che la schernivano, continuavano comunque a tormentarla.

Isabelle aprì gli occhi, consapevole di non riuscire a stare tranquilla, incapace di sentirsi al sicuro dentro la sua stessa casa… non era successo lì, certo, ma lei sapeva dove vivevano… sarebbe potuta tornare, mandare qualcun altro, magari per occuparsi delle figlie invece che di lei. 
La sola idea le provocò quasi un brivido e si ritrovò a parlare senza volerlo, chiamando con voce rotta il marito. 

Jude
Perché Jude non c’era? 
Esattamente come quella sera, quando se li era trovati sotto casa. E anche se la famiglia di Jude era piena di nemici, aveva capito subito chi li avesse mandati… premurandosi solo che non si avvicinassero alle figlie, ostinandosi a negare la loro presenza in casa e lasciando che la portassero via con la forza. 
Non c’era. 
Ma questa volta era stata lei ad allontanarlo.

Deglutì a fatica, tastando il materasso accanto a sè e trovandolo freddo, vuoto. E all’improvviso, per la prima volta dopo mesi, sentì il bisogno di averlo accanto, del calore e della sicurezza che le trasmetteva.

Era notte fonda, probabilmente dormiva, si disse… sciocca, era stata lei a chiedergli di dormire in un’altra stanza, non riuscendo a sopportare anche semplicemente il suono del suo respiro mentre dormiva. 

Lo chiamò di nuovo, gli occhi ormai lucidi, desiderando solo che quelle immagini sparissero.

Ma la porta si aprì e gli occhi di Isabelle saettarono sull’uscio della stanza, trovando Jude sulla soglia, che fece correre lo sguardo sulla stanza quasi con espressione allarmata, rilassandosi quando non vide nessuno, se non la moglie che tremava tra le coperte: 

“Jude…”
“Va tutto bene?”
“Io… stavo sognando. Non volevo svegliarti.”

“Non fa niente. Se non ti serve nulla, torno…”
“No, resta. Ti prego.”

Bisogno di lui. Bisogno che le sue braccia la stringessero, che a toccarla fossero le sue mani, così da cancellare, forse, il tocco per nulla delicato o amorevole di quegli uomini.
Lesse la sorpresa sul volto del marito, che però annuì e, reprimendo a fatica un sorriso, si chiuse la porta alle spalle, avvicinandosi al letto. Si sistemò accanto a lei, osservandola irrigidirsi leggermente con aria dubbiosa: 

“Posso?”
Isabelle annuì senza dire nulla, lasciandosi abbracciare dal marito, che le rivolse un lieve sorriso: 

“Non preoccuparti… ci sono io, non ti succederà niente. Dovessi restare sveglio per tutte le notti fino alla fine dei miei giorni, non ti toccheranno mai più.”

“Mi sei mancato.”
“Anche tu. Ti prometto che presto la troverò Isabelle… non la passerà liscia, questa volta.”

“Non voglio che tu la uccida, Jude.”
“Isabelle, dopo quello che ti ha fatto fare…”

“Lo voglio fare io.”


*


Dopo essersi sfilata il mantello e averlo lasciato sullo schienale della sedia si tolse lentamente orecchini e collana, lasciandoli con cura nelle rispettive custodie.
Prese il bicchiere sistemato, come sempre, sul ripiano tirato a lucido della toeletta e buttò giù il contenuto tutto d’un fiato, lasciando poi il bicchiere di cristallo di nuovo sul mobile per prendere, al suo posto, la spazzola e ravvivarsi i capelli. 

Era sola, era tardi e la stanza era poco illuminata, era appena tornata da una cena e di certo non aspettava alcun ospite… sobbalzò, infatti, quando sentì una voce alle sue spalle, che non aveva mai sentito prima d’allora, se non sotto forma di urla. 

“Mi stavo chiedendo se ti avrei mai incontrata. Ho sentito così tanto parlare di te che quasi mi sembra di conoscerti, sai?”

“Che cosa… come sei entrata?!”

Si voltò verso il capo opposto della stanza, strabuzzando gli occhi nel trovarsi di fronte una ragazza di circa trent’anni, che la stava scrutando con un paio di occhi verdi che quasi brillavano nel buio della camera: 

“È stato difficile, ma non impossibile… oh, io non lo farei.”

Isabelle sollevò leggermente un sopracciglio, guardandola quasi con aria divertita e facendola bloccare di conseguenza quando fece per prendere la bacchetta:

“Sei una donna molto intelligente, Magda, alla tua età… vuoi davvero testare chi di noi se la caverebbe meglio in un duello? Ho ricevuto un’educazione molto… speciale, non mettermi alla prova.”

Le labbra di Isabelle si inclinarono appena percettibilmente, sfoggiando un lievissimo sorriso che irritò considerevolmente la donna, che piegò le labbra sottili in una smorfia tirata:

“Perché sei qui? Mio nipote non ha, ancora una volta, trovato il coraggio di affrontarmi e ha mandato avanti la sua dolce metà?”
“Oh, no. No, ho dovuto pregarlo… voleva farlo lui, ma ho insistito tanto, e alla fine ha ceduto, cede sempre con me. Sai Magda, ci ho pensato a lungo, a come farlo… volevo davvero che tu soffrissi, come ho sofferto io.”

“Non ti ho uccisa, Isabelle. Avrei potuto, ma non ho dato l’ordine.”
“È come se l’avessi fatto. Sei mai stata violentata? Ti assicuro che una parte di te muore. E comunque… sappiamo tutte e due che non l’hai fatto per pietà, ma perché sapevi che vedermi soffrire, guardarmi ogni giorno pensando a quello che mi avevano fatto senza essere riuscito ad impedirlo, avrebbe fatto soffrire Jude ancor più rispetto a perdermi davvero. Sbaglio?”

Isabelle inarcò un sopracciglio, inclinando leggermente il capo mentre gli occhi di Magda saettavano più in basso, sfoggiando un’espressione visibilmente contrariata e parlando con un tono piatto: 

“Vedo che non lo hai perso.”
“No… dovrebbe nascere tra un mese. È un maschio, lo chiameremo come mio fratello…
 Peccato che tu non ci sarai per vederlo. Posso chiederti, solo, il perché di questo profondo accanimento nei confronti di Jude? È il tuo unico nipote… la famiglia non conta niente per te?”

“La famiglia conta MOLTO per me, ragazzina. Hai una vaga idea di quanti piani avessi per mio figlio? Talmente tanti progetti… e poi è arrivata quella troietta, una Magonò per di più, che non è riuscita a tenere le gambe chiuse, così mi sono ritrovata con un nipote bastardo che non mi serviva a niente.”

Isabelle contorse la mascella ma si impose di non muoversi e di restare seduta. Ripetendosi che voleva godersi il momento fino in fondo. 


“Sai, ho pensato tanto a come farlo… come potevo farti soffrire per compensare quello che mi hai fatto? O quello che hai fatto a Jude quando era piccolo? Non credo ci sia un modo per compensare tutte le sofferenze che hai provocato, Magda, ma mi sono voluta assicurare che soffrissi… E quale modo migliore, se non sottoporti a qualcosa che ho testato a mia volta? Dovrebbe iniziare a fare effetto a breve, sentirai un leggero dolore allo stomaco.”

Isabelle abbozzò un sorriso e Magda, capendo, strabuzzò gli occhi, voltandosi verso il bicchiere ormai vuoto.

“Nel bene o nel male, Jude è vissuto con te per anni. Mi ha raccontato molte delle tue… abitudini. Come, ad esempio, bere ogni sera un bicchiere di Gin. Non hai trovato che avesse un sapore aspro? In effetti nemmeno io ci avevo fatto caso, sul momento….”

“Che cosa mi hai dato?!”
“Mai sentito parlare dell’Arsenico, Magda? Non credo che un’altolocata donna Purosangue come te possa averne sentito parlare, ma una celeberrima famiglia Babbana di qualche secolo fa prediligeva particolarmente questo veleno… a somministrarlo a me fu proprio un mio parete, sai? Come Jude, anche io ho avuto una famiglia discutibile. Infondo non siamo poi così diversi da loro, se ci pensi. Si, lo so… la testa comincia a girare. Dovresti iniziare a tossire tra poco, e poi… Beh, mi perdonerai, ma non conosco tutti i sintomi…”

Isabelle sollevò un sopracciglio, sorridendo dolcemente alla donna e guardandola mettere una mano sullo schienale della sedia per, probabilmente, evitare di cadere sul pavimento. 

“… dopotutto, io sono ancora qui. Grazie a tuo nipote, in effetti… credo di doverti ringraziare, Magda. Forse se non avessi cresciuto Jude come lo hai cresciuto, se non avessi ucciso sua madre, non sarebbe com’è… chissà, forse non lo amerei. Anzi, nemmeno lo avrei incontrato, se non fosse stato per te.”

La strega si alzò dalla sedia dove si era accomodata poco prima, per aspettare pazientemente che la donna tornasse, per avvicinarsi a Magda e inginocchiarsi davanti alla sua sedia per poterla guardare negli occhi, sollevandole il capo con una mano: 

“Quindi… grazie, Magda. Non guardarmi così, pensavi che te l’avremmo fatta passare liscia? Jude ha sempre pensato che fosse lui il cattivo, io quella che lo conteneva e manteneva sulla buona strada… e forse è così. Ma ho ucciso mio zio guardandolo negli occhi, non hai idea di che cosa io sia capace.”

La mano di Isabelle si strinse sul viso della donna, osservandola con astio per un istante prima di stendere nuovamente il volto in un lieve sorriso, alzandosi in piedi: 

“Era ora che facessimo una chiacchierata, non pensi? Tra poco faticherai a prestare attenzione a ciò che ti sta intorno, quindi ti lascio… Jude? Vuoi salutarla?”

Sentendo il nome del nipote Magda strabuzzò gli occhi, sollevando lo sguardo per posarlo sulla ragazza, certa di non aver visto anche il nipote nella stanza. Ma evidentemente era sempre stato lì, accanto a lei, invisibile alla vista grazie ad un Incantesimo di Disillusione. 

Magda contorse la mascella, sforzandosi di reprimere il dolore e rifiutandosi di manifestarlo di fronte al nipote per dargli quella soddisfazione mentre Jude si avvicinò fino a fermarsi accanto alla moglie, cingendole delicatamente la vita con un braccio prima di sorridere alla nonna senza staccare gli occhi eterocromatici, che lei aveva sempre aspramente criticato, dai suoi: 

“Beh, volevi conoscerla, no? Non trovi che sia fantastica? Una vera Vërrater… e come mi hai insegnato tu, Magda… noi non perdoniamo.”


*



“Signora Verrater… dove si trovava la sera del nove Dicembre?”
“Ero a casa del mio padrino insieme a mio marito… Morgan Shafiq. Credo che lei lo conosca.”

Isabelle stese le labbra in un sorriso, gli occhi fissi sul volto dell’Auror che aveva davanti, guardandolo annuire distrattamente: certo che lo conosceva. Erano ben poche le persone al Ministero a non conoscerlo, almeno di fama.

“Naturalmente… lei aveva qualche tipo di legame con la Signora?”
“No, lei e mio marito non si vedevano da anni, credo che Magda avesse chiuso i rapporti anche con suo figlio Alphard… ma Jude non ne parla volentieri. Ad ogni modo, io non ho mai avuto il piacere di incontrarla… posso sapere come se n’è andata?”

“È stata avvelenata, pare.”
“Beh, quella famiglia ha molti nemici, no? Da quel che mi diceva mio marito, sua nonna se n’era creati non pochi, nel corso degli anni.”

“Lei è stata ricoverata in ospedale, sei mesi fa, è rimasta al San Mungo per più di qualche giorno… ma non abbiamo trovato referti su analisi di nessun tipo.”
“Prognosi riservata. Solo qualche… squilibrio. Nel mio stato, non è poi così insolito, specie nelle prime settimane. Posso andare? Le mie figlie sono a casa che mi aspettano.”


“… certo. Può andare.”

La strega sorrise appena prima di alzarsi, salutando cordialmente l’Auror prima di uscire dall’ufficio e trovando, nel corridoio, Jude ad aspettare, seduto su una sedia. Vedendola si alzò, avvicinandolesi per prenderla sottobraccio:

“Allora?”
“Sono un’adorabile donna incinta, Jude, con due figlie piccole, che non ha mai avuto contatti con la vittima e che la sera del suo decesso era in compagnia di uno degli uomini più stimati del Paese che sarebbe più che pronto ad assicurare per la sua adorata figlioccia… oserei dire che ho un alibi di ferro, tua nonna ha smesso di darci problemi.”

“Questi sono i momenti in cui sfiderei chiunque a dire che non siamo una coppia perfetta, Van Acker.”


Jude sorrise quasi con aria divertita mentre camminava accanto alla moglie lungo il corridoio per lasciare il Ministero e tornare a casa, visto che era stato interrogato prima di lei… non potendo fare a meno di pensare che fosse una vera fortuna che fossero entrambi dannatamente bravi a mentire. 

“Jude?”
Si fermò quando sentì la voce di Isabelle chiamarlo e la sua mano stringere leggermente la presa sul suo braccio, portandolo a voltarsi verso di lei con sguardo interrogativo: la strega esitò per un paio di istanti, limitandosi a guardarlo prima di dire qualcosa a mezza voce:

“Ti amo.”
“Anche io.”

Le labbra sottili di Jude si inclinarono in un sorriso prima di chinarsi, prenderle il viso tra le mani e baciarla, sentendosi improvvisamente più sereno di quanto non lo fosse mai stato negli ultimi mesi, nonostante fosse stato appena interrogato per un caso di omicidio. Mesi durante i quali non aveva mai sentito quelle parole uscire dalle labbra della moglie.

Ma finalmente ne erano usciti, o forse stavano iniziando a farlo, suo figlio stava per nascere... e cosa più importante, sua nonna non avrebbe più mirato alla sua felicità. Questa volta in modo definitivo.




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Capitolo 4
*** ... Ma ama una sola volta ***


… Ma ama una sola volta 


Si svegliò a causa della luce che entrò nella stanza attraverso la finestra, aprendo pigramente gli occhi e chiedendosi perché non avesse chiuso le serrande la sera prima.
Ci mise un paio di secondi, dopo essersi ripreso dallo stato di sonnolenza, a rendersi conto di non essere nel letto dove dormiva di solito.
O almeno, non dove dormiva da mesi. 

Jude strabuzzò gli occhi quando si rese conto di essere in camera sua, nel suo letto, cosa che un anno prima non avrebbe trovato affatto strana… ma Dio solo sapeva quante cose fossero cambiate rispetto ad un anno prima. 
Ormai, per lui, dormire lì dentro non era più la norma.
E in un attimo il suo stupore aumentò, rendendosi conto che teneva Isabelle stretta tra le braccia, il suo capo appoggiatogli contro il petto e il braccio che lo cingeva delicatamente. 

Per un momento fece per muoversi, ritrarsi di scatto per evitare la reazione della moglie. O almeno finché non si ricordò di come fossero andate le cose la sera prima, quando era stata lei ad accordargli il permesso di restare, di toccarla e abbracciarla per la prima volta dopo infinite settimane.

Jude si permise di sorridere, sfiorandole i capelli castani con mano tremante, quasi a volersi assicurare che fosse reale. 
E capì perché le finestre non erano state chiuse, visto che Isabelle voleva sempre avere un minimo di luce e più aria quando dormiva, anche se le sue ore di sonno si erano dimezzate rispetto a cinque mesi prima, forse per non sentirsi in trappola.  

Jude non si mosse, limitandosi ad osservare i lineamenti rilassati del suo volto, ben lieto di poterla finalmente guardare senza che lei gli desse le spalle. Poco dopo Isabelle aprì gli occhi e la sentì irrigidirsi per un istante quando si rese conto di non essere sola, ma posò gli occhi verdi sul suo volto e non si ritrasse, esitando prima di parlare a bassa voce:

“Ciao.”
“Ben svegliata.”

Jude sorrise, e all’improvviso si sentì felice come non lo era da quella sera, quando era tornato a casa e non l’aveva trovata. Fu tentato di chiederle se sarebbe potuto tornare a dormire nella loro camera ma la porta si aprì e un cigolio anticipò il suono della voce di Audrey:

“Mamy, facciamo colazione… oh! Papà, dormi di nuovo con la mamma? Che bello, allora non state più stretti!”

Audrey sorrise allegramente mentre si avvicinava al letto, sedendo sul materasso mentre Jude restava in silenzio, rivolgendo un’occhiata interrogativa alla moglie, che si limitò ad esitare prima di annuire, sorridendo debolmente:

“… sì tesoro, papà dorme di nuovo qui.”


*


“Attenta a non farla cadere, mi raccomando.”
“Tranquilla mamma!” 

Beatrix sorrise mentre camminava a passo svelto lungo il corridoio, i capelli castani sciolti sulla schiena e una torta in equilibrio tra le braccia con la madre, che teneva Audrey per mano, subito dietro. 

Quando raggiunsero la porta della camera da letto dei genitori Isabelle la aprì lentamente, invitando le bambine ad entrare. 
E a quel punto Audrey sorrise, correndo verso il letto per poi saltare letteralmente sopra al padre ancora addormentato, augurandogli un buon compleanno a gran voce.

Jude si svegliò di soprassalto, mettendosi a sedere di scatto e lanciando un’occhiata torva alla bambina di quattro anni, che invece rise allegramente mentre Beatrix gli si fermava accanto, sorridendogli con affetto e porgendogli la torta:

“Buon compleanno, papy.”
“Grazie tesoro. E tu, piccola peste, ti sembra il modo di svegliare papà proprio oggi?”

Jude afferrò prontamente Audrey, che aveva provato a darsi alla fuga, per farle il solletico, ignorando le sue preghiere di smetterla mentre Isabelle si avvicinava al letto, sedendo sul bordo del materasso del letto dove il marito aveva da poco ripreso a dormire e sorridendogli:

“Buon compleanno, Jude.”
“Grazie tesoro.”


Jude Verräter non aveva mai amato il suo compleanno, e non l’aveva mai festeggiato fino a quello successivo al suo diploma, quando aveva scoperto che sua madre non era morta di parto come aveva creduto per anni e Isabelle gli aveva insegnato a non dar retta a sua nonna, che la sua nascita non era stata uno sbaglio ma un evento meraviglioso, come tutte le nascite. 
 
Aveva iniziato a godersi il 13 Novembre solo da quando lui ed Isabelle stavano insieme, anche se le attenzioni che le bambine gli rivolgevano ogni anno continuavano a lasciarlo vagamente perplesso… forse non ci si sarebbe mai abituato del tutto, dopotutto. 

“Devi soffiare ed esprimere un desiderio.”
 
Beatrix sorrise al padre, accennando alla torta mentre Audrey, risparmiata dal solletico, si sistemava sulle sue ginocchia, abbracciandolo.

Jude annuì e spense tutte le candeline un attimo dopo, scaturendo la curiosità delle figlie, che gli chiesero cosa avesse desiderato:

“Non posso dirlo, altrimenti non si avvera.”
Jude si strinse nelle spalle, serafico, ma quando intercettò lo sguardo della moglie capì che lei sapeva cosa avesse desiderato. 

Ciò che, in realtà, desiderava da settimane, ovvero che tutto tornasse come prima. E forse, finalmente, erano sulla strada giusta.

“Papà, alzati, nonno Morgan, nonno Alphard, la zia Phoebe e lo zio Steb arrivano tra poco!”
“Oh, certo, devi andare a farti bella visto che sei innamorata di lui…”

“Non è vero!”

La bambina arrossì e il padre sorrise mentre faceva per alzarsi dal letto con Andrey ancora in braccio, rivolgendo un’occhiata divertita alla moglie:

“Restia ad ammettere i sentimenti? Mi ricordi qualcuno, Trixie…”


*


“Non è colpa tua Jude, lo so. Mi dispiace se ti ho dato l’impressione di pensare l’opposto… ti conosco, so che ti addossi la responsabilità, ma non è stata colpa tua.”

Isabelle abbozzò un sorriso, inclinando leggermente il capo per cercare lo sguardo di Jude, le mani strette nelle sue mentre gli era seduta di fronte, sul divano. 

“È mia nonna, Isabelle. La mia famiglia, un conto che IO avevo in sospeso. Avrei dovuto ucciderla molto tempo fa.”
“Se anche fossi tornato prima, quella sera, che cosa sarebbe cambiato? Magari sarebbe successo il giorno dopo, o quello dopo ancora… Jude, mi dispiace di essere stata tanto fredda, ma non ti ho mai ritenuto responsabile. Lei ha ferito anche te in passato, l’unico mostro qui è tua nonna.”

Jude posò gli occhi sul volto della moglie, provando un po’ di sollievo nel rendersi conto che era sincera e che non gli stava mentendo. Sapere che la pensava così forse l’avrebbe aiutato, ma alleviare tutto sarebbe stato pressoché impossibile. 

“Io voglio solo vederti stare bene, Belle.”
“Se sto meglio è solo grazie a te.”
“A me? Non ho fatto niente per mesi.”

“No invece… hai fatto esattamente quello che ti stavo chiedendo: non mi hai fatto pressioni, hai tenuto le distanze e ne avevo davvero bisogno… non sei stato soffocante, mi hai dato il tempo che mi serviva. Ti sei avvicinato lentamente, un po’ per volta, ed è stato un bene.”
“Cinque mesi praticamente senza parlare con te o guardarti in faccia… il mio incarico più difficile. Ma sono felice di vederti stare meglio.”

Per lo meno, gli permetteva di dormire nella loro camera e riuscivano, finalmente, a parlarsi. 

“Lo supereremo, ok? Ho capito che ho bisogno di te per farlo, non posso andare avanti da sola… spero che le cose possano tornare come prima, presto o tardi.”

Jude, le mani strette su quelle della moglie, le sollevò per depositarci un bacio sopra, mormorando quanto gli fosse mancata, lei, la sua voce, i suoi occhi, le sue mani, persino il suo profumo. 
Era bello riaverla finalmente indietro, o almeno in parte.


*


“Con Jude le cose come vanno?”
“Bene.”
“Bene?”
“Sì, bene. Noi… parliamo, finalmente. Glielo devo, credo.”

“Non gli devi niente, Isabelle. Magari ti senti in colpa per averlo tenuto a distanza per mesi, ma non gli devi nulla. Se gli stai permettendo di avvicinarsi va bene, ma solo se lo vuoi davvero.”
“Lo voglio davvero. Ho bisogno di lui, mi conosce, sa come gestirmi. E quando sono con lui ho la sensazione che tutto vada meglio.”

“Io non lo conosco, ma ho capito che tiene molto a te. Ti senti ancora “protetta”, la sua presenza ti rassicura?”
“… sì, credo. E lui è così felice… quando lo chiamo o mi avvicino, dovrebbe vedere come sorride.”
“Lo posso immaginare, ma mi preme maggiormente che tu sia felice, Isabelle. Stai facendo grandi progressi, non solo versi Jude ma anche con te stessa, accettare quello che ti è successo, vivere meglio la gravidanza… Jude ti ama, Isabelle, ed è giusto che capisca, che ti lasci i tuoi spazi come ha fatto finora, è stato bravo, ha agito nel modo migliore… ti senti in colpa, forse, perché lo ami, ed è giusto, ma devi pensare prima di tutto a te stessa adesso. Perciò, quando dici che non lo ritieni responsabile è davvero così?”

“Sì. Lei non lo conosce… credo che l’ultima cosa che farebbe sarebbe farmi del male, figuriamoci permettere a qualcun altro di farlo.”


*


“No, non posso farlo… lei non capisce, non può nascere oggi!”
“Signora Verräter, temo che suo figlio non abbia voglia di aspettare, al momento…”
“Doveva nascere tra una settimana…”

Isabelle scosse il capo, mordendosi il labbro con veemenza mentre teneva le mani strette sui bordi bianchi del letto su cui si trovava, gli occhi verdi arrossati:

“Succede, a volte… non è il suo primo figlio, giusto?”
“Il terzo.”
“Allora non si preoccupi, andrà tutto bene, sa come funziona, ormai.”

L’infermiera le sorrise e Isabelle annuì lievemente, poco convinta e silenziosa. Alzò lo sguardo solo quando sentì dei passi affrettati lungo la corsia e la voce di Jude, sorridendogli con sollievo:

“Ciao…”
“Sono arrivato appena ho potuto… perché ogni volta i tuoi figli decidono di nascere prematuri e mi fregano sul tempo, Van Acker?!”
“Avranno preso il tuo gene dell’essere rompiscatole, si vede.”

Isabelle abbassò nuovamente lo sguardo, sollevando una mano per asciugarsi una lacrima mentre la portavano in sala parto, attirando così l’attenzione del marito:

“Belle, che cosa c’è?”
“Non può nascere oggi, non capisci? Non deve nascere oggi! Doveva nascere poco prima di Capodanno…”

La strega scosse il capo e di fronte all’occhiata interrogativa dell’infermiera Jude scosse il capo, capendo mentre si chinava leggermente, sorridendole e sistemandole i capelli dietro un’orecchio:

“Lo so amore, ma… forse sarà il modo per superarla definitivamente, non credi? È una buffa coincidenza… magari riuscirai, finalmente, ad essere felice pensando ad oggi. Diventerà un giorno dal significato bellissimo, e non devastante per te. Per noi. Non pensi che lui ne sarebbe felice? La prenderebbe sul ridere, credo.”

Isabelle annuì mentre Jude le prendeva il mento con due dita, costringendola a guardarlo per poi sorriderle:

“Andrà tutto bene, vedrai. Molti anni fa, hai perso tuo fratello… oggi invece avrai un figlio, un altro piccolo Alastair.”
“Non ne voglio perdere un altro proprio oggi, Jude.”
“Non succederà, fidati di me.”


*



Jude si fermò sulla soglia della stanza, sorridendo quasi senza volerlo di fronte alla scena che gli si presentò davanti agli occhi: Isabelle era seduta sul letto contro i cuscini, i lunghi capelli lisci sciolti e un po’ spettinati e il viso rilassato, ma stanco. Eppure, mentre la guardava sorridere al bambino che teneva tra le braccia poco dopo averlo dato alla luce, si disse che probabilmente l’aveva trovata di rado bella come in quel momento. 

“Come sta?”
“Bene. Vieni a vederlo.”

Jude si avvicinò al letto, sedendo accanto a lei per rivolgere un debole sorriso al figlio, sfiorandogli il capo con due dita. 
In quei nove mesi erano successe molte cose, tante erano cambiate… ma finalmente il piccolo Alastair era nato, portando con sè, forse, un nuovo inizio per i suoi genitori. 

Dopo averla sorpresa, in un paio di occasioni, a piangere proprio a riguardo del bambino, mormorando di non essere nemmeno riuscita a proteggere lui in primis. Isabelle aveva vissuto quella terza gravidanza probabilmente nel modo peggiore, ma ormai era passato e intendeva lasciarselo alle spalle. 

Jude sorrise al figlio, rendendosi conto con sollievo e soddisfazione allo stesso tempo che sua nonna non avrebbe mai potuto avvicinarsi a lui. Questa volta, poteva affermarlo con estrema sicurezza. 


*


“Non abbiamo avuto il piacere di vedere sua moglie per mesi, Signor Verrater… ora che vostro figlio è nato sta meglio?”
“Sì. Non è stata molto bene, mentre era incinta.”

Annuì con fare sbrigativo, stringendo la presa sul bicchiere che teneva in mano prima di trangugiarne il contenuto, trovando il dover presenziare a serate come quella ancor più insopportabile senza la moglie accanto, che era rimasta a casa con i figli. 
E anche se sua nonna era morta aveva comunque un po’ di riserve, continuando a chiedersi se avesse fatto bene a lasciarli soli. 

“Succede, ma l’importante è che tutto sia andato liscio… come si chiama?”
“Alastair.”
“Nome curioso.”
“Il fratello di mio moglie si chiamava così.”

“Un lieto evento dopo il decesso di sua nonna… le mie condoglianze, Jude.”
“Grazie.”

Jude annuì, faticando a reprimere un piccolo sorriso: per quanto lo riguardava, erano stati lieti eventi entrambi. Nemmeno suo padre si era pronunciato, ma forse aveva provato un moto di gioia anche lui… Magda aveva, trent’anni prima, privato suo figlio dell’amore, e Jude continuava a ringraziare che non fosse riuscita a farlo anche con lui.



Si aspettava di trovare la casa buia, al suo ritorno, ma la luce del salotto era ancora accesa. 
Non si stupì poi molto quando vide Isabelle impegnata a camminare intorno al divano, tenendo Alastair in braccio, sorridendole mentre le si avvicinava, sfilandosi il mantello:

“Ciao. Ancora in piedi?”
“Tuo figlio è un po’ irrequieto.”

“È il nostro bambino, cosa ti aspettavi? Dallo a me, vai a riposarti.”
Jude si avvicinò alla moglie, sfilandole con delicatezza il figlio dalle braccia per sistemarselo su una spalla, sentendolo mugugnare qualcosa di incomprensibile mentre gli massaggiava la schiena. 

“Sicuro?”
Jude annuì e Isabelle esitò invece di superarlo e andare a dormire, osservandolo per un attimo prima di alzarsi in punta di piedi, prendergli il viso tra le mani e baciarlo dolcemente. 

Quando si staccò abbozzò un sorriso, restando a pochissima distanza con le mani che gli accarezzavano il viso:

“Grazie.”
Qualunque cosa per te 


*


La sua giacca scivolò sul pavimento, ma non se ne curò, anzi quasi non se ne accorse mentre baciava la moglie con trasporto, le mani strette sui suoi fianchi mentre sentiva quelle di Isabelle intrecciate sul retro del suo collo.

Cercò di ricordare l’ultima volta in cui l’aveva baciata in quel modo ma proprio non ci riuscì, ricordando solo quei mesi di agonia, passati standole lontano, e a quando lei, lentamente, gli aveva permesso di avvicinarsi, un poco per volta. 

Jude aprì gli occhi, riacquistando un po’ di lucidità ed esitando, combattuto tra il suo stesso desiderio e la paura di ferirla, esattamente come quando erano stati insieme per la prima volta. 

“Belle… se non ti senti pronta, se non vuoi farlo, non ti voglio forzare, basta che tu lo dica.”
Isabelle sfoggiò un piccolo sorriso, prendendogli il viso tra le mani prima di parlare a mezza voce:

“Jude… mi aspetti da quanto tempo, esattamente? Davvero tanto. Cielo Verräter, è stata la più grande dimostrazione d’amore che tu potrai mai farmi… mi devi amare proprio tanto.”
“Certo che sì.”

Jude corrugò la fronte, guardandola come se fosse implicito e facendola ridere leggermente, dandogli un bacio a stampo sulle labbra sottili che di rado vedeva piegarsi in sinceri sorrisi, al di fuori di quella casa.

“Lo so. Credimi, lo so… e ti amo anche io. Scusa se ci ho messo tanto a dirtelo.”


*


Jude teneva gli occhi fissi sul piccolo Alastair che, seduto sulla coperta, stava cercando di afferrare le bolle di sapone che il padre faceva uscire dalla punta della sua bacchetta, ridendo quando scoppiavano non appena le toccava.

Isabelle era stesa sulla coperta, all’ombra di un albero, mentre Audrey e Beatrix giocavano sul prato poco più in là, sotto lo sguardo vigile dei genitori. 
Isabelle sorrise e si sollevò per dare un bacio sulla guancia del figlio, solleticandogli la pancia e facendolo ridere. Jude sorrise, gli occhi divertiti:

“Sei felice?”
“Certo… tu lo sei?”
“Lo sono se lo sei tu, Belle… vederti sorridere così è un toccasana.”

“Sei tu che mi rendi felice. Lo vedi? Abbiamo bisogno l’uno dell’altro. E ora vieni qui e baciami.”


*


“C’è qualcuno pronto in questa casa?!”
“Non trovo la scarpa sinistra!”
“E io il mio fermaglio!”

Jude si lasciò sfuggire una debole risata mentre, in piedi davanti allo specchio a figura intera, si annodava la cravatta verde foresta con inserti d’argento e la voce di Isabelle giungeva alle sue orecchie, sentendola lamentarsi di aver avuto due femmine. 

“Ora capisci che cosa devo sopportare ogni volta.”
“Vorrei farti notare che io sono pronta, mio caro.”


Jude non si voltò, udendo la voce della moglie anticipare il ticchettio delle scarpe contro il parquet mentre gli si avvicinava, fermandosi dietro di lui per cingergli la vita con le braccia, appoggiando il capo sulla sua spalla e sorridendogli attraverso il riflesso dello specchio, sistemandogli una ciocca di capelli neri:

“Ma come siamo belli… forse dovrei iniziare ad essere gelosa anche io.”
“Non essere sciocca.”

Jude abbozzò un sorriso, voltandosi verso di lei mentre appuntava il fermacravatta d’argento con un piccolo serpente inciso sopra, guardandola inarcare un sopracciglio:

“Perché?”
“Lo sai perché. Te l’ho già detto una volta, non ricordi? Noi amiamo una volta sola. Mio padre non si è mai ripreso… ringrazio ogni giorno di non averti persa, quella sera.”
“Non mi perderai. E comunque, Verräter, vorrei farti notare che ci siamo vestiti accidentalmente abbinati, di nuovo.”

“Io te l’ho sempre detto, saresti stata una meravigliosa Serpeverde… anche se, ripensandoci, avrei qualcosa da ridire. Non ti sembra troppo?”
“No, non lo è.”
“La scollatura sì.”
“Non preoccuparti marito geloso, l’unico che voglio impressionare sei tu.”

Isabelle sorrise prima di dargli un bacio su una guancia, mentre Jude invece si voltò nuovamente verso lo specchio, sbuffando debolmente mentre si sistemava il bavero della giacca, dandole della ruffiana prima di dire qualcos’altro:

“In ogni caso, devo farti una confessione. Mentivo, quella sera.”
“Su cosa?”
“Il bianco stava meglio a te.”


Isabelle rise e anche le labbra di Jude si inclinarono in un sorriso, mormorando che l’amava prima di baciarla.

“Audrey, guarda, mamma e papà si baciano!”
Beatrix comparve sulla soglia della stanza, indicando i genitori alla sorella minore, che fece capolino accanto a lei un attimo dopo, sfoggiando invece una smorfia:
“Bleah!”

Jude si staccò dalla moglie e roteò gli occhi, rivolgendosi alle bambine mentre Isabelle invece ridacchiava:
“Invece di spettegolare, voi due, siete pronte? I bambini non pronti verranno lasciati a casa, stasera.”
“Ma noi vogliamo venire dal nonno!”
“E allora forza fanciulle, gambe in spalla.”

Jude raggiunse le figlie, afferrando Audrey e caricandosela in spalla mentre Beatrix si allontanava ridacchiando, lasciandosi la madre alle spalle, che li seguì fuori dalla camera con un sorriso sulle labbra dopo aver lanciato un’ultima occhiata allo specchio, studiando brevemente il suo riflesso.

Isabelle Van Acker era tornata, finalmente. 



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Capitolo 5
*** Fever ***


Fever 



Jude tirò su col naso, tenendosi le coperte fino al naso mentre sentiva le voci di due Elfi sussurrare preoccupate sulle sue condizioni.
Il bambino si rigirò tra le coperte, desideroso di dormire ma non riuscendo a farlo a causa del forte mal di testa e del freddo che provava.
Sua nonna non aveva nemmeno messo piede nella sua stanza, e da una parte il bambino ne era felice: non voleva sorbirsi le sue solite lamentele su quanto fosse un peso o inutile.

Prima o poi la febbre sarebbe passata, si disse il bambino mentre chiudeva gli occhi, mormorando agli elfi di andare via e lasciarlo solo.
Doveva solo aspettare e sopportare in silenzio. 


*
 
Jude Verräter detestava essere malato, non sopportava l’idea di essere costretto a letto, sentendosi praticamente inutile.

A scuola era capitato spesso che si presentasse a lezione malato, con il risultato che una volta aveva perso i sensi per poi svegliarsi in Infermeria e sorbirsi una ramanzina dall’Infermiera Flint.
Da piccolo, sua nonna faceva finta di niente finché suo padre non se ne accorgeva e lo lasciava a crogiolarsi nel mal di testa, i capogiri e il freddo senza far nulla, ignorando le preghiere degli Elfi Domestici che la imploravano di permetter loro di aiutare il “Signorino Jude”.


Ora era un uomo adulto, si era lasciato le angherie di sua nonna alle spalle… ed era subentrata nella sua vita un’altra donna che, al contrario, lo aveva costretto con minacce molto convincenti a lasciare la camera da letto solo per andare in bagno.

Jude aveva protestato, all’inizio, ma era stato brutalmente zittito dalla moglie che gli aveva prima infilato il termometro in bocca, e poi lo aveva informato che con quei 39,5° non sarebbe andato da nessuna parte, pena passare sopra al suo cadavere. 
Ed Isabelle, con l’addestramento rigido che aveva alle spalle, non era il soggetto più indicabile da affrontare in quelle condizioni, così si era arreso alle condizioni della moglie. 

Certo non sarebbe stato facile per lui abituarsi all’idea di avere alcuni giorni da passare totalmente a casa, tanto che il lunedì si svegliò di prima mattina tremando e in un bagno di sudore per poi mettersi a sedere sul letto, mormorando convulsamente di dover andare al lavoro.

Fece per alzarsi – barcollando a causa di un capogiro – quando si sentì afferrare dolcemente per un braccio. 

“Vieni a letto.”
“Devo andare…”

“No, niente lavoro oggi. Vieni qui.”    Isabelle, che si era svegliata e ora era inginocchiata sul materasso, lo fece voltare gentilmente per poi prendergli il viso bollente tra le mani, costringerlo a chinarsi e baciarlo dolcemente sulle labbra. 

Quando si staccò si allontanò solo di pochi centimetri dal suo viso, sfiorandogli uno zigomo con le dita e guardandolo annuire e ricambiare il suo sguardo con occhi vacui. 
L’ex Serpeverde si limitò a mormorare un “ok” appena udibile – troppo stanco per discutere o fermarsi a riflettere sulle parole della moglie – e quasi senza rendersene conto si lasciò guidare di nuovo sotto le coperte come in trance, godendosi l’abbraccio di Isabelle e le carezze sui suoi capelli. 

Sentì distrattamente un bacio sulla tempia e la voce di Belle mormorargli di dormire, e Jude non se lo fece ripetere due volte: per una volta chiuse gli occhi e obbedì, troppo stanco per muovere un singolo muscolo. 

Forse, in fin dei conti, avere la febbre non era poi così male.


*


Beatrix aveva la febbre, e ora la bambina di quattro anni sonnecchiava nel letto matrimoniale dei genitori, rannicchiata in mezzo a lui e a Belle.
Belle che come la figlia maggiore dormiva, esausta dopo aver passato buona parte della notte in bianco per prendersi cura di lei. Jude invece era sveglio, steso su un fianco, impegnato a guardare la figlia dormire serena e a sfiorarle il viso con le dita.

Ripensò a come aveva dovuto affrontare lui gran parte dei suoi malanni infantili, ossia da solo, e guardando la figlia si ripetè ancora una volta che lei, che loro, avrebbero avuto tutto ciò che a lui era mancato. Tanto affetto, prima di tutto.
 

Quando sentì un debole rumore di piedini sul pavimento Jude abbozzò un sorriso, ma non si voltò finché non sentì una piccola mano tirargli la maglietta del pigiama: 

“Papy! Acche io voio stare con voi.”

Jude si voltò leggermente e sorrise alla figlia minore di due anni, che teneva il suo coniglio di peluche sottobraccio e indossava il suo pigiamino rosa.

“Va bene piccola… vieni anche tu.”
Audrey sorrise e tese immediatamente le braccia verso di lui, lasciandosi sollevare per essere sistemata sul letto accanto al padre. 
Jude sentì la manina di Audrey poggiarglisi sul petto e la guardò con affetto, mentre la bambina ricambiava il suo sguardo con i grandi occhi chiarissimi, molto simili ad uno di quelli del padre, lo stesso occhio che aveva cercato di nascondere per buona parte della sua vita: 

“Trixie sta male?”
“Ha la febbre piccola.”
“Acche io ce l’ho!” Audrey gli prese la mano e gli fece toccare la sua fronte, guardandolo annuire:

“Hai ragione, è meglio se dormi qui anche tu.” 
“Sì.”

Audrey annuì e poi, soddisfatta, si accoccolò sul padre stringendo il peluche a sè. Jude sorrise appena nel buio della stanza, pensando a quanto fosse piacevole, di tanto in tanto, lasciarsi coccolare dalla propria famiglia quando si era malati. 
Solo che, a differenza di sua figlia, lui ci aveva messo molto tempo per capirlo.







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Angolo Autrice: 

Dopo quasi cinque mesi rieccomi con i Judelle… Niente da fare, ogni tanto ci scappa sempre qualcosa su questa coppia. Questa volta qualcosa di decisamente più dolce rispetto alle ultime volte in cui ho scritto di loro, ma ci voleva.
A presto, 
Signorina Granger 

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