Love is war

di TheSlavicShadow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Aprile 2009

 

Se qualcuno le avesse chiesto cosa pensasse dell’amore quando era giovane, avrebbe liquidato tutti con una frase cinica e sarcastica. E da adulta, soprattutto nell’ultimo periodo, aveva ritrovato sé stessa più volte a ripetere una frase collaudata, condita con un bel sorriso stampato sulle labbra e gli occhiali da sole che le nascondevano gli occhi.

“Credo nell’attrazione chimica tra due corpi, che poi si conclude con pelle sudata e letti sfatti.”

A questo modo trovava fin troppo facile mantenere il ruolo che aveva costruito e far contenti tutti i giornali scandalistici. Era tornata ad essere Tasha Stark, lo scapolo d’oro che nessuno riusciva a tenere tra le proprie braccia per un tempo prolungato. Si era fatta fotografare in compagnia di attori e cantanti. A volte anche con qualche uomo d’affari. Una volta era anche uscita con il suo ex storico per parlare di affari, e avevano concluso la serata a letto. E non le importava in alcun modo.

Un tempo era sempre stato così. Non si legava a nessuno perché sapeva cosa potesse fare l’amore alle persone. Aveva visto quanto dolore fosse capace di portare. Aveva anche visto cos’era la disperazione della perdita.

E nonostante tutto questo, nonostante fosse sicura che l’amore non facesse per lei, era caduta anche lei in questa trappola.

Aveva amato con tutta sé stessa una persona. L’aveva amata da sempre, da quando ne aveva memoria. E lo trovava in qualche modo stupido. Aveva sempre cercato di essere una persona razionale. Di credere solo in quello che poteva toccare con le proprie dita o spiegare con la scienza e la tecnologia. Aveva sempre funzionato così. Per qualsiasi cosa aveva sempre cercato di usare solo il suo cervello. Suo padre glielo aveva ripetuto più e più volte fino a quando non era diventato un insegnamento indelebile nella sua testa.

Le emozioni rendevano deboli. E poteva fare affidamento solo sul suo brillante cervello. E lo aveva fatto. Aveva sempre usato solo il suo cervello. Aveva sempre fatto affidamento solo sulla propria intelligenza.

Tranne quando si trattava di Steve Rogers.

Steve Rogers aveva sempre mandato all’aria tutta la razionalità che poteva avere.

 

✭✮✭

 

Dal proprio attico Natasha Stark guardava Manhattan che si estendeva ai suoi piedi. Ricordava quando solo un paio di mesi fa era immersa nell’acqua putrida e gelata del fiume Hudson per cercare di rendere ecosostenibile quel palazzo. Quell’edificio era solo il suo ultimo capriccio. Non era interessata in modo particolare alla salvaguardia dell’ambiente. Doveva essere sincera. C’era già un team alle sue dipendenze che se ne occupava. Anche perché se fosse stata davvero attenta all’ambiente avrebbe dovuto vendere tutte le sue macchine sportive. Ma ne andava fin troppo orgogliosa per potersene liberare o per privarsi della gioia di guidarle.

Solo che doveva far tacere in qualche modo l’opinione pubblica che aveva tutti gli occhi di cui disponeva puntati su di lei. E costruire una torre di un centinaio di piani nel centro di New York aveva suscitato fin troppa notizia. La sua megalomania l’aveva portata a questo alla fine. A costruire un palazzo nel centro di Manhattan, ma in realtà era anche quella una mossa tattica.

Lei voleva farlo. Aveva già pensato di far ritornare le Stark Industries a New York a tutti gli effetti. Aveva pensato a qualcosa di nuovo. E Pepper le aveva dato la spinta che serviva subito dopo la battaglia alla Stark Expo.

E lei voleva fare un esperimento a quel punto.

Aveva passato diverso tempo in laboratorio a studiare il nuovo reattore arc e le sue potenzialità. Aveva davvero un’energia illimitata. Il nuovo nucleo sembrava inesauribile e aveva provato tutto quello che le veniva in mente per provare a scaricarlo. Ma non si esauriva mai. La sua energia era sempre al massimo. Cosa che non si poteva dire di lei quando crollava sul tavolo di lavoro. Solo che doveva sapere. Doveva avere la certezza della inesauribilità del nuovo nucleo.

Forse aveva passato davvero troppo tempo in laboratorio e questo aveva decisamente fatto arrabbiare Steve più di una volta. L’uomo era andato a chiamarla infinite volte. Più di una volta l’aveva portata fuori di peso. E avevano litigato tantissimo. Aveva ancora nelle orecchie la sua voce arrabbiata. Però alla fine ci era riuscita. Aveva trovato un altro modo per contenere la potenza del suo nuovo nucleo e l’aveva messo in uso.

La Stark Tower era alimentata dal nuovo reattore arc. Ricordava ancora quando si era dovuta tuffare nell’Hudson per collegare il nuovo reattore ai cavi dell’energia elettrica. Era un piccolo sacrificio che aveva dovuto fare. E aveva dovuto reprimere tutto lo schifo che aveva provato in quel momento. Mai più lo avrebbe fatto.

O almeno fino a quando non avesse dovuto sostituire il reattore con uno migliore. Perché sapeva che prima o poi lo avrebbe fatto. Si conosceva. Sarebbe morta con un cacciavite in mano mentre continuava ad inventare e migliorare tutto quello che le passava per il cervello.

Erano già trascorsi tre mesi da quando si era trasferita alla Stark Tower. E stava cercando di rendere quel attico la sua nuova casa. Di sentirlo suo come lo era la villa a Malibu. E sperava di riuscirci. Era scappata da quella città a gambe levate quasi dieci anni prima. Ci era ritornata per un periodo, e poi era di nuovo tornata a Malibu. A nascondersi nella sua officina con Dum-E e U e lavorare per non pensare. E ora se ne stava appoggiata contro una finestra da cui poteva osservare dall’alto quella città che una volta le stava molto stretta e da cui non vedeva l’ora di scappare.

“A cosa stai pensando?”

Non si era quasi accorta della presenza dietro di lei fino a quando non lo aveva sentito parlare e aveva percepito le sue mani sui fianchi. Aveva osservato il suo riflesso nel vetro e aveva sorriso.

“Al fatto che non abbiamo ancora fatto una prova di quanto velocemente potresti raggiungere terra se ti lanciassi da qui.”

Si era voltata e aveva appoggiato la schiena contro il vetro. Con una mano gli aveva accarezzato una guancia e l’uomo di fronte a lei aveva sorriso.

“Ora parli come Reed e questo non è eccitante. Non avevamo detto che la scienza la lasciavamo per il tuo laboratorio?”

“Per essere un uomo che è stato nello spazio ed essere stato investito da radiazioni che ne hanno mutato il codice genetico rendendolo un uomo focoso, sei davvero un profano quando vuoi limitare la scienza ad una sola stanza. Lo sai questo, Johnny Storm?”

“Posso dimostrarti anche qui quanto so essere focoso, signorina di ferro.”

Aveva riso attirando Johnny verso di sé e baciandolo. L’uomo era andato a recuperarla in officina, trascinandola fuori con la forza. Era un pattern che si doveva ripetere con chiunque, a quanto sembrava. C’era sempre qualcuno nella sua vita che doveva ricordarle che stava lavorando troppo. Che non poteva passare 24 ore di fila rinchiusa lì con i suoi robot.

Steve glielo diceva sempre. Anche quando passava ore seduto sul divano a leggere qualcosa mentre lei lavorava.

Johnny non restava mai in officina per molto tempo. Si annoiava, le diceva. Restava giusto il tempo di darle fastidio e poi se ne andava ridendo mentre lei gli lanciava contro qualche straccio sporco.

Doveva smetterla seriamente di paragonarlo a Steve. Era pessima.

“Signorina Stark, c’è l’agente Coulson dello S.H.I.E.L.D. in linea per lei.”

“So chi è Coulson. Non serve che lo presenti ogni volta così.” Aveva sbuffato appena, staccandosi dalle labbra di Johnny. J.A.R.V.I.S. sapeva sempre come rovinare il momento. Lo avrebbe sul serio riprogrammato. “Digli che non ci sono. O che sono occupata. Non vedi che sono occupata?”

Decisamente non voleva rovinarsi la serata parlando di altro lavoro. Quella mattina aveva passato ore in una riunione noiosissima e che non aveva avuto nessun capo né coda. Ogni volta che si riuniva il consiglio d’amministrazione era così. E ora non voleva passare altre ore al telefono per qualcosa che riguardava un qualche progetto di Fury. Un po’ perché le bruciava non essere idonea per l’iniziativa della sua boyband speciale. Lei era un supereroe e prendeva molto seriamente questo ruolo, nonostante tutto quello che potevano dire di lei. Anche in quei tre anni dall’incidente della Expo lo aveva dimostrato. Era intervenuta più volte salvando la situazione.

“Vorrei poterlo ignorare, signorina, ma dice è urgente e che vorrebbe parlarle subito.”

Vorrebbe solo godersi quell’attimo con Johnny, ma c’è una piccola parte del suo cervello che ha la tentazione di rispondere a Phil Coulson. Se le telefona a quell’ora di notte qualcosa deve essere successo. Non lo farebbe mai in caso contrario. Hanno delle regole lei e quelli dello S.H.I.E.L.D.. E stranamente le rispettano. Lei non entra nel loro database, se non è strettamente necessario. E loro non la chiamano fuori dall’orario d’ufficio, sempre se non è strettamente necessario.

“Per Coulson è tutto importante.”

Johnny aveva sorriso e l’aveva attirata di più a sé, e voleva davvero baciarlo se solo non si fosse aperta la porta dell’ascensore e Phil Coulson non l’avesse guardata male.

Non voleva lo S.H.I.E.L.D. in casa. Significava sempre guai. E sottolineava la parola sempre.

“Signorina Stark. Signor Storm.” Coulson li aveva salutati con un cenno del capo e Johnny si era subito staccato da lei, neanche fossero due ragazzini colti in flagrante.

“Questa è violazione di proprietà privata. L’orario delle consulenze è dalle 8 alle 17, a giovedì alterni. Altri giorni sono da concordare in anticipo.” Si era mossa anche lei. Aveva raggiunto Coulson davanti all’ascensore e lo aveva guardato negli occhi. Era serio e preoccupato. “E non mi piace che mi vengano porte le cose. Dovresti saperlo ormai.”

“Temo non sia per una semplice consulenza. E’ per l’iniziativa Avengers.”

“Ma se sono stata giudicata non idonea per quel ruolo.”

Non le era piaciuto il tono con cui Coulson aveva pronunciato quelle parole. Aveva drizzato le antenne e, andando contro il personaggio che aveva costruito con tanta cura, aveva preso in mano la cartella elettronica portale dall’agente. Senza pensarci due volte l’aveva aperta e tutti i file si erano materializzati di fronte ai suoi occhi.

“Johnny, credo che dovremo rimandare la nostra serata romantica.”

 

✭✮✭

 

“Signorina, sono le 3 e 45 minuti. Le consiglierei di andare a dormire.”

“Non ho sonno.”

Johnny Storm se n’era andato subito. Non appena aveva aperto il file consegnatole da Coulson, Johnny aveva deciso che la loro serata era finita. Non credeva si fosse accorto di qualcosa. Non poteva esserne accorto in alcun modo. Era sempre brava a mantenere la sua poker face in qualsiasi situazione. Se n’era sicuramente andato perché la conosceva quanto bastava per capire che se anche fosse rimasto ad un certo punto lei lo avrebbe lasciato da solo per andare a studiare i file dello S.H.I.E.L.D.. Scheda per scheda. Le avrebbe lette a fondo. E non sarebbe neppure andata a dormire.

Ed infatti, eccola lì a fissare un volto che non dovrebbe neppure essere sul suo schermo olografico. Si era fatta una promessa un paio di anni prima. Non avrebbe più cercato file su Steve Rogers. Non lo avrebbe spiato come una stalker qualunque come aveva fatto mentre vivevano insieme e lui non le parlava delle sue missioni.

Si era alzata dal divano per sgranchirsi le gambe e prendere qualcosa da bere. Aveva letto le schede di quelli che Fury aveva dichiarato idonei al sua iniziativa. Stranamente c’era ancora il suo file, anche se aveva scritto ovunque che era solo una consulente. Lei e Bruce Banner.

Ma il file di Steve era quello che aveva letto più volte. Aveva fatto partire tutti i video più e più volte. Alcuni erano i vecchi video che anche suo padre le aveva fatto vedere quando era piccola e tutti fomentavano la sua sempre crescente ammirazione per Capitan America. Howard. Peggy. Dugan e gli altri. Suo padre era così ossessionato dal ritrovare quell’uomo, che aveva passato quella ossessione anche a lei. Era sempre stata sicura che se Howard non lo avesse mai trovato, quel compito avrebbe fatto parte dell’eredità. Non aveva mai capito del tutto se la ossessione di suo padre per Steve fosse solo scientifica e lui si sentisse una sorta di dottor Frankestein che non poteva abbandonare la sua creatura, o se Howard fosse sempre stato bravo a nascondere una qualche omosessualità latente. Non se ne sarebbe stupita. Steve era davvero affascinante e aveva visto più volte anche degli uomini cercare di corteggiarlo. Ed era sempre fin troppo esilarante vederlo imbarazzato.

“Signorina Stark, credo abbia visto i video del capitano Rogers a sufficienza. Le consiglierei di guardare anche quello della signorina Romanoff. O del signor Barton.”

Aveva ignorato per qualche istante la sua intelligenza artificiale mentre tornava a sedersi sul divano e si portava dietro una bottiglia di whisky e un bicchiere.

“E’ per la scienza. Scientificamente parlando è impossibile dormire per 50 anni e poi svegliarsi come se nulla fosse, anche se protetti dal ghiaccio. Soprattutto se protetti dal ghiaccio. Ci sono celle criogeniche costruite apposta. Il ghiaccio lo avrebbe dovuto uccidere, non farlo diventare la bella addormentata dei nostri giorni. Un comune essere umano sarebbe morto non appena la sua temperatura corporea avesse iniziato a scendere sotto i 33°C.” Si sentiva stupida in quel momento. Aveva lasciato andare Johnny per passare la notte bevendo whisky e guardando vecchi filmati in bianco e nero del suo ex. E non riusciva a staccare gli occhi dal suo sorriso. Adorava guardare quei video in cui sorrideva e rideva con il suo Bucky. Quanto le aveva parlato di quell’uomo. Sentiva quasi di conoscerlo anche lei e non lo aveva mai incontrato. Non aveva mai potuto farlo, al contrario degli altri Howling Comandos. Bucky era quello che lo svegliava di notte. Era quello che li vedeva protagonisti di lunghe ore sul divano bevendo tisane. E Steve le parlava. Le parlava e lei pendeva dalle sue labbra.

Aveva svuotato velocemente il bicchiere per riempirlo subito dopo. Voleva solo annegare tutti i pensieri nell’alcol. Non riusciva a smettere di guardare quei filmati. Non riusciva a togliere gli occhi da ogni movimento del suo corpo, o smettere di ascoltare la sua voce. C’era qualcosa che le opprimeva le viscere nel guardarlo, ma non poteva fare in modo diverso.

“J, sai dove si trova adesso?”

“Non dispongo di questo tipo di informazioni e lei stessa mi ha detto di attivare il protocollo EX ogni volta che la vedo con un bicchiere di whisky in mano.”

“Non sei simpatico. Anche quel protocollo l’ho inventato quando stavo bevendo whisky subito dopo che Steve…” Si era morsa un labbro. Non era finita bene. Non era finita bene di nuovo e quasi doveva esserci abituata. Anche con Steve. Non solo con tutti gli altri. “Credi che abbiano mandato un file così anche a lui? Non dico così tecnologico perché stiamo comunque parlando di Steve e quindi sicuramente sarà tutto cartaceo come si usava 70 anni fa. Stampato e messo in quelle cartelline beige così brutte. Dio, quante ne ho viste nello studio di papà di quelle cartelline.”

“Sì, signorina.” J.A.R.V.I.S. l’aveva interrotta prima che avesse continuato il suo discorso che non avrebbe portato a nulla se non a pensieri che non voleva avere. E il suo AI lo sapeva. J.A.R.V.I.S. sapeva sempre quando qualcosa nella sua testa stava degenerando e la riportava alla realtà. “Se lei ha un fascicolo su di lui, sicuramente il capitano Rogers ne ha uno su di lei. Conoscendolo ora sarà nel suo appartamento, seduto al tavolo della cucina, a leggere la sua scheda personale.”

Aveva sorriso a quella descrizione. Steve si sedeva sempre al tavolo della cucina quando leggeva qualcosa per lavoro. Corrugava sempre le sopracciglia e spesso si portava una mano sulla bocca mentre i suoi occhi scorrevano velocemente le parole stampate. E anche ora era facile immaginarlo così. Se chiudeva gli occhi poteva vederlo seduto sul tavolo retrò del suo appartamento di Brooklyn. Poteva anche immaginare la sua espressione mentre leggeva che anche lei era stata coinvolta in quella missione. Come un civile. Come Steve aveva più volte detto che sarebbe stato giusto. E Steve doveva sapere bene che lei non avrebbe mai potuto accettare solo il ruolo di consulente. Riusciva a sentire la sua voce che le diceva di non pensarci neppure a portare con sé una delle armature. Aveva già davanti agli occhi la faccia che avrebbe fatto quando l’avrebbe vista arrivare sull’helicarrier dello S.H.I.E.L.D.. Si sarebbe vestita di tutto punto. Sarebbe stata una perfetta donna d’affari che era lì solo per rompere a Fury, facendo il gradasso e interprettando al meglio il ruolo di Natasha Stark.

Provava però ansia. Quell’ansia che le comprimeva tutti gli organi interni e le faceva venire da vomitare. Non avrebbe dovuto avere paura di incontrarlo. Era solo lavoro. Avrebbe solo dovuto aiutare il dottor Banner a trovare il Tesseract e sarebbe potuta tornare a casa. Sarebbe dovuta essere solo una cosa da un paio di giorni al massimo. Non era un Avenger. Non faceva parte della cerchia di gente superdotata di Fury. Neppure Banner doveva farne parte. Forse lo aveva chiamato solo perché era una delle menti più brillanti del secolo ed era il più grande esperto di raggi gamma del mondo.

“Signorina Stark, forse sarebbe il caso che lei andasse davvero a letto. Lo S.H.I.E.L.D. farà arrivare un elicottero alle 9 del mattino e le consiglierei di essere pronta.”

“Non sarò disponibile prima di mezzogiorno, e questo non è negoziabile. Pepper vorrà la mia testa su un piatto d’argento se non mi presenterò alla riunione con i giapponesi.” Si era alzata dal divano e aveva appoggiato il bicchiere ora vuoto sul primo mobile a portata di mano. Con un gesto della mano aveva chiuso tutti i file che aveva lasciato aperti e aveva sospirato. Era solo lavoro. Doveva vederla in questo modo. Aveva incrociato Steve un paio di volte in quei ultimi due anni. Si erano ignorati a vicenda e così avrebbero fatto anche questa volta. “J, manda a Fury un messaggio che sarò pronta alle 13, non prima. Digli che ho letto tutti i file e che aiuterò Banner a trovare questo Tesseract.”

“Come desidera, signorina Stark. Avvertirò anche la signorina Potts.”

“Sì, sì. Fai come preferisci.” Aveva salito le scale ed era entrata nella propria stanza. Si era buttata sul letto ancora vestita, affondando il viso nel cuscino e soffocando un gemito. Domani sarebbe stata una giornata pesante. Domani avrebbe dovuto parlare con Pepper. Domani avrebbe dovuto rivedere Fury. E sempre domani avrebbe dovuto cercare di stare più lontana possibile da Steve Rogers. Non era sicura di quello che avrebbe potuto dire in sua presenza o direttamente a lui. Perché si conosceva. Un commento fuori luogo lo avrebbe fatto al 100% e poi se ne sarebbe pentita nel momento in cui le parole avessero lasciato le sue labbra.

 

✭✮✭

 

“Buongiorno, signorina Stark.”

Natasha aveva solo spinto di più sul naso gli occhiali da sole che aveva indossato mentre usciva sul terrazzo fin troppo spazioso della Stark Tower. Dal quinjet appena atterrato era sceso un agente dello S.H.I.E.L.D. vestito esattamente come era solito presentarsi Phil Coulson. Aveva mandato un messaggio a quest’ultimo. Gli aveva chiesto se sarebbe venuto lui a prenderla, e questi le aveva semplicemente risposto che sarebbe stato con il capitano Rogers e che si sarebbero incontrati sul helicarrier.

“Sarà un onore averla con noi, signorina.”

Odiava quella frase. Era una delle frasi che più le davano sui nervi. Non era mai un onore averla lì. Era solo una frase fatta che aveva sentito un miliardo di volte e che le dava sempre più fastidio. Soprattutto quando era qualcuno dello S.H.I.E.L.D. a pronunciarla.

“Sì, sì, ovvio. Tanto non ho avuto voce in capitolo.” Gli aveva tuttavia stretto la mano quando l’agente gliel’aveva porta. Poteva essere civile anche se non voleva assolutamente partecipare a tutto quello. Non voleva lavorare per Fury. Non voleva dover stare sospesa in aria con Steve così vicino. Non era sicura che avrebbe mantenuto l’autocontrollo. Sarebbe bastata una parola di troppo. Un solo gesto. E qualcosa si sarebbe rotto di nuovo e loro avrebbero urlato. Perché facevano così.

“Mi permetta di aiutarla.”

“Aiutami con quella.” Aveva fatto un gesto con la mano, indicando la custodia in metallo alle sue spalle. Aveva notato l’agente fare una smorfia. E lei aveva sorriso perché quell’uomo non sapeva come dirle che non poteva portarsi dietro un’armatura. Perché era chiaro che quella fosse una delle sue armature. Non poteva essere diversamente.

Senza aggiungere una parola era salita sul quinjet. Aveva lasciato a terra il proprio borsone mentre si guardava attorno. Aveva lavorato lei stessa ad alcune parti di quel quinjet, ma era la prima volta che ci saliva. Di solito Coulson la veniva a prendere con dei SUV di dubbio aspetto. A volte le sembrava quasi la stessero per rapire.

“Abbiamo recuperato Stark. Ora vi raggiungiamo.”

Aveva guardato il pilota che non l’aveva degnata di uno sguardo. Almeno lui sembrava non sopportarla dal principio, non come quel poveretto che aveva spinto l’armatura sul quinjet e ora la guardava. Doveva dirle qualcosa, ma con molta probabilità non sapeva come fare. Spesso le persone non sapevano come dirle le cose, e ne era divertita visto che era solo una giovane donna.

“Credevo sarebbe venuto Coulson a recuperarmi.” Si era seduta e aveva guardato l’agente che era stato gentile con lei. Questi continuava a guardare la cassa metallica.

“E’ già sul Helicarrier. Doveva accompagnare il capitano Rogers.” L’aveva guardata allora, dopo aver pronunciato il nome di Steve. Sembrava volesse dirle qualcosa, ma gli mancavano le parole. O forse era qualche petegolezzo succoso.

“Cosa c’è, agente K? C’è qualcosa che devo sapere prima di salire sul quel Helicarrier?”

“Molto probabilmente ci sarà anche l’agente 13 a bordo.”

Questo non lo aveva previsto. Non ci aveva neppure pensato, neanche per un attimo se doveva essere sincera con sé stessa. Ma era abbastanza logico.

“Agente, io devo solo chiudermi in un laboratorio e rintracciare il Tesseract. Poi me ne potrò tornare nella mia bella torre e continuare a giocare ad essere Iron Woman.” Aveva recuperato il tablet dal proprio borsone e avrebbe fatto finta di lavorare. Doveva fare qualcosa. Tutto pur di non continuare a parlare con quell’agente. Non voleva pensare al fatto che avrebbe dovuto lavorare accanto a Steve e alla sua nuova ragazza. Questo era troppo per lei.

Era entrata nel database dello S.H.I.E.L.D., ma non riusciva a trovare nulla di anomalo nel mondo. Chiunque avesse rubato il Tesseract, stava mantenendo un profilo basso dopo aver attaccato la base in cui era custodito. Erano svaniti nell’ombra. Questo sconosciuto di nome Loki, il dottor Selvig, e diversi agenti dello S.H.I.E.L.D..

C’era qualcosa di strano. Non stava succedendo nulla. Non un morto. Non un attacco a qualche sede diplomatica in giro per il mondo. Non un solo massacro. Per cosa diavolo avevano rubato il Tesseract? E per cosa lo stava usando lo S.H.I.E.L.D.? Erano dati così criptati che non riusciva ad accedervi e questo la innervosiva. Non le piaceva lavorare con così tanti punti di domanda in testa. Aveva bisogno di avere quasi tutti i dati di fronte agli occhi per poter lavorare e giungere velocemente alla soluzione. Aveva bisogno di farlo velocemente. Voleva solo tornare nella sua bella torre e chiamare Johnny Storm per passare un weekend piacevole. Nulla di più.

“Il dottor Banner è già arrivato?” Non aveva spostato lo sguardo dal file che stava leggendo. Nulla. Non c’erano notizie di alcun tipo. Sperava davvero che Bruce Banner riuscisse a localizzare il Tesseract anche senza il suo aiuto. E lei si sarebbe solo nascosta da qualche parte cercando di evitare tutti.

“Sì, signorina Stark. E’ arrivato stamattina assieme all’agente Romanoff.”

“Questo lavoro sarà come una gita all’inferno.” Aveva chiuso gli occhi facendo un lungo sospiro. Non doveva accettare. Non doveva affatto accettare tutta questa messinscena lavoro di consulente. Doveva tenersene il più lontano possibile.

Solo che non aveva potuto. Aveva accettato anche per Steve, per poterlo aiutare quando serviva. Per essere sempre sul pezzo e non essere lasciata in disparte. E aveva funzionato all’inizio. Aveva funzionato sul serio e le cose erano andate bene.

Aveva sospirato quando il silenzio appena creatosi era stato interrotto da una comunicazione dal Helicarrier. Qualcosa stava succedendo a Stoccarda, in Germania. Rogers e Romanoff erano diretti lì, aveva sentito. E la cosa non la doveva toccare minimamente. Lei era lì solo per essere consultata e per dare fastidio a tutti. Non doveva interessarle nulla di più.

Salire sul Helicarrier. Localizzare il cubo. E tornare a casa.

Il piano era semplice e molto lineare. Per questo si stava maledicendo per essersi alzata dal sedile e aver aperto la cassa con l’armatura.

“Signorina Stark, cosa crede di fare?” La voce allertata dell’agente che l’aveva accolta la raggiunge subito. Lo aveva sentito alzarsi e avvicinarsi a lei, ma lo ignorava. In questo era sempre stata brava.

“Vado a Stoccarda, no? Potrebbero avere bisogno di una mano.” L’armatura aveva iniziato a comporsi attorno a lei e l’interfaccia si era subito acceso.

“Non credevo di rivederla così presto, signorina. Come posso aiutarla?”

“Anch’io speravo di liberarmi un po’ più a lungo di te, J.”Aveva sorriso, quasi confortata, quando J.A.R.V.I.S. aveva parlato. “Ho bisogno di un piano di volo per Stoccarda subito.”

“Signorina Stark! Lei non è autorizzata a scendere in missione! Dobbiamo portarla sul Helicarrier e sottostare agli ordini del colonnello Fury!”

Si era voltata quando l’agente le aveva messo una mano sul braccio, per cercare inutilmente di fermarla. E il pilota la stava guardando malissimo. Ancora.

“Da quello che mi risulta Natasha Stark non è autorizzata. Ma a me non piace essere  un burattino nelle mani di Fury e Iron Woman è una donna libera che Fury voleva nella sua squadra e che ora uscirà da questo coso con o senza il vostro aiuto. Quindi vi pregherei di aprire lo sportello posteriore in modo che io possa raggiungere la Germania il prima possibile e sistemare il cattivo di turno.”

“Non è autorizzata! Sul luogo sono stati mandati degli uomini. Lei si tolga l’armatura e torni a sedersi subito.”

“Non mi piace ricevere ordini. E’ una cosa che sopporto davvero male.” J.A.R.V.I.S. si era introdotto nel sistema operativo del quinjet e aveva aperto il portellone per lei. Copiando il miglior saluto militare che aveva visto fare a Rhodes aveva saltato dal velivolo. L’intelligenza artificiale aveva già impostato il percorso per la Germania e lei doveva solo godersi il viaggio, cercando di non pensare troppo.

Era una missione. Come quelle che aveva fatto in medioriente. Arrivare, colpire, tornare a casa. Era molto semplice ciò che doveva fare. Davvero molto semplice anche se il nemico, secondo Fury, non era di questo mondo.

“Signorina, stiamo per giungere a Stoccarda. Il capitano Rogers ha ingaggiato una battaglia con il nemico e l’agente Romanoff controlla la situazione da un quinjet.”

Aveva ascoltato J.A.R.V.I.S. darle tutte le informazioni che le servivano. Un morto. Qualche ferito. Steve e la Romanoff già sul posto. Altri agenti dello S.H.I.E.L.D. erano diretti sul posto.

“Oh, non mi dire che ha quella tutina imbarazzante addosso?” Aveva sorriso mentre J.A.R.V.I.S. proiettava il filmato di ciò che stava succedendo a Stoccarda.

“Se avesse ascoltato l’agente Coulson, il mese scorso le aveva detto che avevano intenzione di far tornare Capitan America alla ribalta alla prima occasione utile.”

“No, non lo stavo proprio ascoltando. Sai che ho un filtro quando si parla di Steve.” Non riusciva però a non sorridere mentre lo guardava combattere con la sua bella tutina bianca rossa e blu e lanciare il suo scudo contro il nemico. Si sentiva di nuovo come la bambina che aveva passato troppe ore a guardare vecchi filmati in bianco e nero. “J., metti su un po’ di musica e facciamo sapere a tutti che sono arrivata.”

“Il direttore Fury non ne sarà molto felice, me lo lasci dire.”

J.A.R.V.I.S. era entrato nel sistema operativo del quinjet senza alcun problema. Del resto li aveva progettati lei stessa e nessun altro ci aveva messo sopra le mani.

“Ma che diavolo…?”

Aveva sentito mormorare Natasha Romanoff e aveva sorriso. Le piaceva fare entrate ad effetto quando nessuno se lo aspettava.

“Agente Romanoff, hai sentito la mia mancanza?”

“Se le dicessi di sì, mi crederebbe?”

Aveva sorriso di più e avrebbe davvero voluto crederle. Natasha Romanoff era quello che più si avvicinava ad una amica. Pepper non valeva. Pepper, come Rhodes, avevano superato il concetto di semplice amicizia.

“Forse.”

Capitan America combatteva sotto di lei con un essere dalle lunga corna dorate e non voleva chiedersi cosa fosse. Credeva di aver visto abbastanza cose strane negli ultimi anni. Aveva avuto a che fare con diversi tipi di criminali. Alcuni dei quali palesemente degli psicopatici. Come Victor von Doom che aveva deciso di schierarsi dalla parte dei cattivi e cercare di distruggere i Fantastici 4.

Aveva osservato Steve per un attimo ancora prima di dare il proprio supporto bellico e attaccare. E stranamente non era stato affatto difficile. L’aveva stupita il modo in cui il nemico avesse fatto scomparire la propria armatura, come se fosse olografica. Ma non sembrava avere dispositivi tecnologici addosso. Almeno J.A.R.V.I.S. non li aveva rilevati.

Era rimasta in piedi, puntando ancora i propulsori e qualche razzo contro il tizio seduto per terra, quando Steve Rogers l’aveva affiancata. Aveva l’istinto di voltarsi subito verso di lui. Una volta lo avrebbe fatto. Avrebbe cercato subito i suoi occhi.

Questa volta era rimasta ferma. Immobile come una statua anche se non era affatto tranquilla.

Quella era la prima volta in cui si trovavano così vicini da quando avevano rotto, e lei non era brava in questo tipo di situazioni.

“Signorina Stark.”

“Capitano.”

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Aprile 2009

 

“Non puoi scendere in battaglia quando non sei autorizzata.”

Aveva preso un profondo respiro prima di rispondere. O voltarsi. O fare qualsiasi cosa. Non si aspettava un incontro ravvicinato così presto. Non mentre stava perdendo tempo nel rimettere l’armatura nella propria custodia facendo finta di controllare che fosse tutto a posto.

“Sei in ritardo per il briefing con Fury. Non dovresti andare?”

Era stata brava. Si era defilata immediatamente, non appena erano saliti sul helicarrier con il prigioniero, e si era nascosta nell’hangar con la sua armatura per sfuggire sia a Fury e Coulson che a Steve. Soprattutto a Steve.

“Fury aspetterà.” Lo aveva sentito muoversi. I suoi stivali avevano scricchiolato contro il pavimento di metallo e Natasha non voleva averlo vicino. Non così tanto da sentirlo muoversi per aggirarla e immettersi nel suo campo visivo. Si erano ignorati per due anni. Avevano fatto finta di non conoscersi. Di essere perfetti estranei che non si erano mai visti prima. “C’erano dei civili. La situazione poteva sfuggire di mano.”

“Le stavi prendendo da uno che sembra uscito da Rock of Ages.” Evitava di voltarsi. Non lo voleva guardare. Non voleva neppure parlargli. Era sicura che non appena fosse tornata a New York avrebbe avuto bisogno di una serata di alcool e Rhodey. E di piangere sul latte versato.

Lo aveva fatto ogni volta in cui aveva incrociato Steve allo S.H.I.E.L.D..

Steve la mandava fuori fase. I suoi circuiti cerebrali sembravano sempre difettosi in qualche modo dopo che lo vedeva.

“Stark, sei una civile. Non puoi fare di testa tua e presentarti in mezzo ad una battaglia!”

Aveva cominciato a chiamarla Stark ogni volta che la incontrava. Non era più Natasha, o un più carino Tasha. Era Stark. E questo metteva ancora più distanza di quanta ce ne fosse in realtà.

Aveva estratto il telecomando dalla propria tasca per chiudere l’armatura e tenerla al sicuro dallo S.H.I.E.L.D.. Non sapeva se Fury lo sapesse o meno, ma aveva installato un sistema di sicurezza anche su quella. Se qualcuno avesse cercato di forzare le ante, si sarebbe autodistrutto tutto. Custodia e armatura.

“Fury poteva non coinvolgermi. Stavo bene a New York e questo è più di un lavoro di consulenza. E non è giovedì.”

Si era voltata questa volta. Aveva guardato Steve Rogers negli occhi ed era da troppo tempo che non succedeva. Aveva quasi dimenticato com’era essere guardata da Steve Rogers quando questi era arrabbiato.

“Non sto scherzando. Sei una civile. Attieniti a questo ruolo finché sei qui.”

“Non sei nella posizione di darmi ordini, Rogers. Non sei neppure nella posizione di esprimere la tua preoccupazione, se è quello che stai cercando di fare. Carter sa che sei qui? Da solo con me? Non credo le farebbe piacere, visto quanto non è affatto brava a nascondere la propria gelosia. Cos’è? Gemi il mio nome mentre sei sopra di lei?”

Steve aveva stretto la mascella. Aveva toccato un punto debole nominando la sua attuale compagna. Ma non le importava. Howard le aveva insegnato che in guerra tutto è lecito. E con Steve era sempre tutto una eterna battaglia.

“Sbrigati a raggiungerci per il briefing, Stark.”

Le aveva dato le spalle dopo aver pronunciato il suo cognome come se fosse qualcosa di sgradevole. Come se fosse un veleno. E un po’ ci sperava di essere un veleno che Steve non riusciva ad espellere dal proprio sangue. A questo modo non avrebbe mai potuto dimenticarla. Sarebbe rimasta dentro di lui fino alla fine dei suoi giorni e avrebbe corroso ogni atomo del suo corpo. Come Steve stava facendo con lei senza molto probabilmente rendersene conto.

Non le piaceva guardare Steve che si allontanava. Non dopo che avevano litigato. Odiava guardare quella schiena rigida dalla rabbia e i pugni stretti che quasi non si muovevano mentre camminava. Steve non era mai stato bravo a nascondere la propria rabbia.

E ora era arrabbiato con lei. Per l’ennesima volta.

Si era appoggiata alla custodia della propria armatura. C’erano momenti in cui avrebbe voluto vivere tutta la propria esistenza protetta da quella armatura. Poteva scappare. Poteva stare zitta. Poteva piangere. Poteva avere qualsiasi espressione avesse voluto sotto l’elmo e nessuno avrebbe mai visto nulla.

Avrebbe aspettato a raggiungere Steve, Fury e tutti gli altri per questo briefing. Non voleva che qualcuno potesse pensare che lei e Steve fossero insieme da soli. Non voleva che a causa sua a Sharon Carter scoppiasse una vena sulla fronte perché non era capace di contenere la propria gelosia. Sperava anzi che la donna fosse rimasta a terra, che Fury fosse stato abbastanza previdente da non portarla in un luogo così contenuto. Non erano mai andate d’accordo loro due. Si erano incontrate qualche volta da bambine, e si erano sempre contese l’amore di Peggy Carter.

E ora la contesa era per Steve Rogers. Anche se Natasha non aveva mai fatto alcuna mossa per riprendersi Steve dopo che questi l’aveva lasciata. Avevano deciso così. Avevano deciso che forse era meglio stare lontani per qualche tempo. Non si erano più cercati. E non si erano più sentiti.

“Signorina Stark, manca solo lei per il briefing.”

Aveva alzato lo sguardo e Phil Coulson era di fronte a lei. Le sorrideva lievemente e sapeva sicuramente cos’era successo. Agente era sempre sul pezzo, anche se non sembrava.

“Devo trovare il cubo. Lo so.” Si era passata una mano sugli occhi, prima di raddrizzare la schiena. Non si doveva mai far vedere debole, da nessuno. Agente compreso, anche se insieme ne avevano passate di cotte e di crude.

“Ho incontrato il Capitano mentre stavo venendo a cercarla. Posso permettermi di darle un consiglio?”

“No, non puoi.” Aveva pensato di vestirsi come se fosse davvero al lavoro. Di far vedere la sua Stark persona, quella pubblica. Aveva pensato ad un tailleur, alle scarpe col tacco, ad un trucco perfetto. Avrebbe in effetti potuto farlo. Era appena rientrata da una riunione e sarebbe bastato salire sul quinjet così.

Ma aveva preferito cambiarsi, mettersi qualcosa di più comodo. Qualcosa che poi le avrebbe permesso di chiudersi in laboratorio senza dover pensare al mal di piedi. Aveva previsto che non sarebbe stata proprio una passeggiata ritrovare il Tesseract. E avrebbe dormito sicuramente in laboratorio, con la testa appoggiata sulla scrivania.

“Dovrebbe parlare con il Capitano. Parlare seriamente, non provocarlo tanto da fargli prendere a pugni il muro. Soprattutto non mentre siamo in volo.”

“Non ho fatto nulla. Gli ho solo chiesto se Carter sapeva che era da solo con me.”

“L’agente 13 non è sul Helicarrier. Fury ha preferito lasciarla a terra.”

“Oh, ora capisco perché Steve era così sulle spine. La piccola Sharon gli avrà fatto scenate su scenate riguardo alla mia presenza. E siamo finiti in mondovisione dopo Stoccarda, giusto? Il romantico ricongiugimento in battaglia tra Rogers e Stark. Ma ti prego.” Si era staccata dalla cabina protettiva della armatura e aveva mosso qualche passo. Sapeva che Coulson l’avrebbe seguita. “Non parlo con Steve da anni, quindi Sharon dovrebbe darsi una calmata.”

“Il Capitano tiene ancora molto a lei, Stark. Dovrebbe rendersi conto che questo non cambierà facilmente.”

“Steve ha deciso che non potevamo più stare insieme.” Anche se la colpa era sua. Se ne rendeva perfettamente conto anche se non era facile da accettare. Pensava che avrebbero superato tutto. Ma non era stato così. Non avevano superato proprio tutto.

“Tasha.” Phil Coulson si era permesso di fermarla per un polso e sembrava molto serio quando l’aveva guardata. “Il Capitano tiene ancora moltissimo a lei. Si era opposto al farla venire qui ad aiutare Banner.”

“Mi sembra alquanto strano e mi viene difficile da credere. Da quando sta con Sharon poi non mi ha più rivolto la parola, neppure quando era necessario.”

“Forse voleva solo evitare che la sua attuale compagna soffrisse nel vedervi interagire.”

Aveva sbuffato e si era mossa di nuovo lungo il corridoio. Aveva notato ad un certo punto il segno lasciato dal pugno di Steve. Doveva essergli proprio entrata sotto la pelle con quell’ultima frase per farlo incazzare tanto. Non stavano insieme da due anni. Due anni in cui si erano parlati pochissimo subito dopo la rottura, e solo per cose strettamente inerenti al lavoro. Salvo poi interrompere ogni contatto quando Steve aveva iniziato ad uscire con Sharon Carter.

“Stark, alla buonora.” Fury aveva tuonato nella sua direzione non appena aveva messo piede sul ponte di comando.

“Stavo facendo un giro turistico con Agente.” Aveva velocemente guardato chi fosse presente. Fury stava in piedi di fronte al tavolo. Li guardava tutti come se fossero dei ragazzini in punizione. Forse lo erano davvero. Dietro di lui, dritta come una scopa, Maria Hill la guardava con disgusto. Nulla di nuovo. La sua mancanza di disciplina aveva sempre dato fastidio al braccio destro di Fury. Thor, il sedicente dio del tuono, era in piedi e guardava dritto davanti a sé perso in chissà quali pensieri. Natasha Romanoff l’aveva guardata con un sorrisetto quando era entrata, per subito dopo riprendere con la sua poker face perfetta. Non avrebbe mai giocato d’azzardo contro quella donna. Bruce Banner era in piedi, sembrava nervoso e continuava ad attorcigliare le dita. Forse lo aveva anche interrotto mentre stava parlando di qualcosa di importante. E Steve Rogers, che non l’aveva degnata di uno sguardo e continuava a guardare Fury.

“Mentre tu passeggiavi, il dottor Banner ci stava illustrando come intende procedere con la localizzazione del Tesseract.”

Aveva fatto finta di ignorare Fury e si era subito avvicinata a Banner. Gli aveva preso le mani tra le proprie e gli aveva sorriso.

“Dottor Banner, per me è un vero piacere conoscerla. Ho studiato a fondo le sue ricerche sui raggi gamma e trovo sorprendente come lei riesca a trasformarsi in quel gigante verde. Mi dispiace che Ross le stia col fiato sul collo. So quanto quell’uomo possa essere una testa di cazzo visto che vuole ottenere anche la mia armatura ad ogni costo. Penso proprio che andremo d’accordo nel lavorare insieme noi due.”

“Ne dubito visto quanto caos crei.”

Doveva essere una frase detta a voce bassa, che nessuno doveva sentire. Ma era accanto a Steve, e non aveva potuto non sentire quando l’aveva pronunciata. Voleva scappare. In quel momento voleva scappare e nascondersi da qualche parte.

“Stark, farai conoscenza con il dottor Banner più tardi. Ora ascolta quello che abbiamo da dire.”

“Loki la manderà per le lunghe e da lui non scopriremo nulla.” Steve Rogers aveva sospirato e lei aveva osservato il suo profilo. Non doveva, ma non poteva farne a meno. “Thor, qual è il suo gioco?”

“Ha un esercito. Si chiamano Chitauri. Non sono di Asgard o di altri mondi conosciuti. Intende condurli alla conquista del vostro popolo. Immagino lo faranno in cambio del Tesseract.” Il dio si era voltato a guardare Steve. Sembrava volesse trovarsi ovunque tranne che in quel luogo. Come tutti loro.

“Non mi torna perché si sia lasciato arrestare così facilmente.” Steve guardava ancora il dio, come se questi potesse avere tutte le risposte. Ma era chiaro non ne avesse. Brancolava nel buio come tutti loro.

“Non credo che dovremmo concentrarci su Loki. Basta guardarlo per vedere che ha un cervello completamente fuori fase.” L’aveva stupita quando Banner aveva preso parola. “Dobbiamo concentrarci sul suo scettro. Credo sia quello la chiave per trovare il Tesseract. Loki è pazzo e non ci dirà nulla.”

“Modera le parole, midgardiano!”

“Thor, Loki ha ucciso 80 persone in 2 giorni.”

Quando la Vedova Nera aveva preso parola, Thor si era zittito di colpo. Guardava la donna e sembrava cercare le parole giuste per ribattere. Ma non c’erano. Anche a lei era sfuggita quella informazione. Sapeva di Stoccarda. C’erano stati un paio di morti, tra cui uno scienziato.

“Fury, chi era il tizio morto a Stoccarda? Quello a cui hanno cavato un occhio.” Si era mossa. Si era avvicinata agli schermi dietro Fury facendo finta di cercare qualche informazione. E le servivano informazioni. Fury non era stato onesto. Non aveva parlato di morti. Certo, aveva dovuto prevedere che nel crollo del centro S.H.I.E.L.D. qualcuno avesse perso la vita, ma quella informazione era stata omessa dal file che le avevano consegnato. Velocemente aveva attaccato un decodificatore su uno degli schermi. Non aveva voluto ricorrervi all’inizio, ma non le piaceva essere lasciata all’oscuro.

“Heinrich Schäfer. Hanno aperto il suo caveau e preso l’iridio che conteneva.”

“Iridio?”

“Produce antiprotoni.” Bruce Banner l’aveva guardata e improvvisamente aveva avuto un’idea. Probabilmente l’aveva avuta anche Banner. “Stanno costruendo un altro portale. Per questo ha preso Selvig.”

“L’iridio è un agente stabilizzante. Il portale non imploderà come è successo a quello dello S.H.I.E.L.D., ma anzi resterà aperto per tutto il tempo che Loki lo desidera, o che gli sarà necessario.” Si era avvicinata a Banner che continuava a guardarla. “Tutte le altre materie prime, Barton o chi per lui, le recupererà facilmente. Ora gli manca una componente ad alta densità energetica. Qualcosa per dare impulso al cubo.”

“Da quando è diventata un’esperta di astrofisica termonucleare?” Maria Hill la guardava come se stesse dicendo un mucchio di fesserie.

“Ieri sera. Mi avete consegnato gli appunti di Selvig, sai Hill? Le carte con la teoria dell’estrazione? Vuoi dire che sono l’unica che li ha letti?”

Non voleva essere lì. E nessuno voleva che lei fosse lì. Hill la guardava come se fosse uno scarafaggio che infestava la sua bella nave volante e non vedeva l’ora di liberarsene. Non era mai andata molto d’accordo con quella donna.

Aveva guardato distrattamente le persone che stavano di fronte a lei. Steve non le toglieva gli occhi di dosso. Poteva sentire il suo sguardo su di sé ogni volta che muoveva un muscolo. E questo la metteva in ansia. La faceva sentire come se fosse stata messa sotto ad un microscopio e Steve la stesse studiando.

Banner. Doveva concentrarsi su Banner. Lui era la sua speranza per distrarre il cervello e non pensare che Steve fosse lì, che Steve le avesse rivolto la parola. Che Steve la stesse ancora guardando.

“A Loki serve una particolare fonte di energia?” Steve le aveva parlato guardandola direttamente gli occhi. Steve sapeva che aveva studiato prima di arrivare sul Helicarrier. Steve la conosceva fin troppo bene.

“Dovrebbe riscaldare il tubo fino a 120 milioni di Kelvin solo per aprire un varco nella barriera di Kuron.” Aveva risposto Banner al posto suo e mentalmente lo aveva ringraziato. Non sapeva quanto effettivamente potesse essere in grado di rispondergli senza iniziare a punzecchiarlo in qualche modo solo per ottenere una reazione da parte sua.

“Sempre se Selvig non abbia trovato un modo per stabilizzare il tunnel quantistico.”

“Se ci riuscisse potrebbe ottenere la fusione di ioni presenti in qualunque reattore del pianeta.”

“Finalmente qualcuno che parla la mia lingua!” Si era avvicinata ancora di più a Banner e aveva invaso il suo spazio personale.

“Perché? Noi cosa parliamo?” Steve si era voltato e l’aveva guardata. E lei non era riuscita a trattenersi. Non questa volta. Non con Steve che la guardava come se non fosse mai successo nulla e loro erano nella sua officina, con lei che parlava a voce alta di quello a cui stava lavorando e Steve la osservava dal divano.

“Steve, stai zitto. Tu non parli la lingua della scienza. Il dottor Banner sì. Parliamo lo stesso linguaggio e tu sai quanto volevo conoscerlo dal vivo.” Si era aggrappata alla manica della giacca di Bruce Banner e Steve aveva inarcato un sopracciglio. Stava per dirle ancora qualcosa, ma Fury lo aveva preceduto.

“Stark, lascia in pace Banner. E’ qui solo per rintracciare il Cubo. Speravo che tu potessi aiutarlo, per quello saresti qui.”

Le toglieva sempre tutto il divertimento. Stuzzicare Steve era sempre un divertimento, anche ora che non si parlavano più.

“Lo scettro di Loki sembra funzionare come un’arma dell’Hydra.” Finalmente Steve aveva smesso di guardarla e lei aveva lasciato andare la giacca di Banner.

“Questo non lo so, ma sembra alimentato dal Cubo e vorrei capire come Loki abbia potuto trasformare due uomini così scaltri in sue personali scimmie volanti.”

“Scimmie volanti? A me sembrano ancora umani. Non capisco.” Thor aveva parlato e sembrava così perso che Natasha doveva trattenersi dal ridere. Vedere un armadio a sei ante con quella espressione persa era sempre impagabile. E credeva che non l’avrebbe mai vista su nessuno oltre a Steve.

“Io sì! Il Meraviglioso Mago di Oz!”

Si era voltato lentamente. L’aveva fatto per abitudine, per cercare la sua approvazione quando indovinava qualche riferimento ad un film. Lo aveva fatto tantissime volte in passato.

“Steve, faresti una più bella figura stando zitto.” Stave per cercare di risponderle di nuovo, ma non ci era riuscito. Lo aveva preceduto lei stessa. “Dottor Banner, vogliamo andare? Sono proprio curiosa di poter lavorare con lei su questo progetto.”

“Romanoff, accompagnali al laboratorio, per favore. Stark, ricordati che qui non sei a casa tua. Cerca di non far esplodere nulla.”

“Non posso promettere nulla.” Lo aveva salutato con la mano e si era subito affiancata a Natasha Romanoff. Aveva tagliato i capelli, aveva notato solo allora. Sembravano anche più ramati. E sembrava molto più preoccupata di quanto l’avesse mai vista. Era sicuramente per Barton. Aveva letto il file. Sapeva che avevano spesso lavorato insieme e che Barton l’aveva portata allo S.H.I.E.L.D..

“Steve ti voleva al sicuro. Quando ha saputo che Loki aveva preso Selvig è andato nel panico. Ha chiesto a Fury di portarti in qualche sede dello S.H.I.E.L.D. e chiuderti in qualche cella per super criminali fino a quando la situazione non si fosse calmata.”

“Per questo sul quinjet era incazzato? Non ero chiusa in gabbia, ma ero lì di fronte a lui con la mia bella armatura scintillante?”

La Vedova Nera le aveva sorriso prima di aprire la porta del laboratorio. Se si fossero conosciute sotto altre circostanze probabilmente sarebbero potute andare molto d’accordo. Ma non si fidava di lei. Lo aveva stupidamente fatto una volta, e ora non avrebbe più fatto lo stesso errore. La Romanoff poteva essere amichevole quanto volesse, ma non sarebbero più tornate al falso rapporto che avevano avuto quando questa la spiava per conto dello S.H.I.E.L.D. con l’aiuto di Steve.

“Questo è il laboratorio allestito da Fury per voi. Se vi viene in mente qualcos’altro che vi serve, non esitate a chiederlo.”

“Reed Richards ci servirebbe.” Era entrata nel laboratorio e con la coda dell’occhio aveva notato Banner annuire. Perché Fury non aveva coinvolto anche Reed? Erano sulla Terra. Sapeva per certo che erano alla Baxter Building, perché Johnny Storm le aveva scritto e mandato una foto per dirle quanto si stava annoiando.

Cosa stava nascondendo Fury da non voler coinvolgere Reed? Qualcosa non le tornava. Era sicura di aver letto anche il nome di Reed Richards nella cartella per il progetto Avengers che Fury le aveva tolto di mano. Era forse risultato anche lui inadatto come lei? E gli altri Fantastici 4? Sue Storm non aveva nulla da invidiare al compagno in quanto ad intelligenza. Perché non c’era almeno lei? Erano stati nello spazio. Forse potevano dargli almeno una dritta su cosa cercare. Su come posizionare i satelliti. Forse avevano anche un’idea su come scrivere l’algoritmo di localizzazione che gli serviva per ritrovare il Tesseract.

Si era voltata verso la spia e anche Natasha sembrava pensierosa al riguardo. Ma non avrebbe parlato, lo sapeva già. Era una spia. Se aveva informazioni non le avrebbe rivelate facilmente.

“Dimmi, Romanoff. Mi sembra che tu abbia preso questa missione molto sul personale. Relazione amorosa con Barton?” Si era avvicinata allo scettro Loki e la prima cosa che aveva notato era il colore. Lo stesso azzurro del suo reattore arc.

“Prima di preoccuparti della mia vita privata, pensa alla tua, Stark. Johnny Storm? Sul serio? Credi che non abbia capito cosa stai facendo?”

“Non so di cosa tu stia parlando e non credo che questi gossip interessino il dottor Banner.”

“Io voglio solo finire qui e tornare a terra.”

Banner le aveva però sorriso in modo titubante e lei era sempre più curiosa. Doveva contenersi o lo avrebbe spaventato sul serio, ma voleva fargli almeno un milione di domande. Come faceva a trasformarsi? Come esattamente era stato modificato il suo DNA? Aveva cercato dati, informazioni, qualsiasi cosa, ma avevano criptato tutto in modo tale che neppure lei era riuscita a trovare quello che cercava. Ci aveva provato seriamente qualche anno prima, quando il suo vecchio reattore arc aveva smesso di funzionare e cercava delle soluzioni.

“Tutti vogliamo finire ed andarcene. Io soprattutto. Sono abbastanza sicura che Sharon vorrà la mia testolina su un piatto d’argento se solo mi avvicino di nuovo a Rogers.” Aveva sfiorato la punta dello scettro. Nei file era scritto che Loki aveva puntato quella contro il cuore di Barton, Selvig e gli altri uomini che aveva portato via con sé.

“Prima l’ho sentito parlare al telefono e sembrava infastidito.” Si era voltata verso l’altra donna e questa stava facendo finta di guardarsi le unghie. “L’ho sentito dire che stava lavorando e che non ammetteva certe distrazioni.”

“Non riuscirò mai a capire da che parte stai davvero, credimi. Questo doppio gioco è troppo anche per me.”

“Sono stato ingannato anch’io dal suo bel faccino.” Aveva sentito Banner mormorare accanto a lei e non aveva trattenuto un sorriso. Sarebbe stato divertente lavorare accanto a quell’uomo. Ne era sicura. Non le capitava spesso di fare lavori di gruppo. Non era brava affatto a stare in gruppo. C’era sempre qualcosa che stonava, la maggior parte delle volte era lei stessa a stonare.

“Dottor Banner, secondo lei da che parte si potrebbe iniziare? Io faccio solo finta di sapere di cosa sto parlando questa volta. Non sono affatto un’esperta in raggi gamma come vorrei far credere.”

“No, ma ha miniaturizzato e potenziato il reattore arc. Oltre ad aver sintetizzato un nuovo elemento. Non mi guardi così. Anche se sono mi sono nascosto al mondo, non ho smesso di informarmi su ciò che succedeva.” Banner l’aveva guardata e aveva sorriso di nuovo. “Gossip compresi.”

“Stark, dottor Banner, vi lascio lavorare. Per qualsiasi cosa potete chiamare me o Coulson.”

Si era voltata di nuovo verso la Vedova Nera e questa le sorrideva lievemente. Avrebbero davvero potuto essere amiche se si fossero conosciute in altre circostanze. Lo credeva sul serio.

La spia gli aveva dato le spalle ed era uscita dal loro laboratorio provvisorio. Aveva sospirato e si era passata una mano sugli occhi non appena la porta si era chiusa silenziosamente. Era strano. In tre anni in cui aveva collaborato con lo S.H.I.E.L.D. come consulente non si era mai trovata a dover davvero lavorare per loro. Erano ritocchi su qualche quinjet, miglioramenti su qualche arma che aveva progettato in passato. Erano pochi lavori che la maggior parte delle volte poteva fare comodamente seduta nella propria officina.

E le mancava J.A.R.V.I.S.. Era abituata ad avere sempre la voce della sua intelligenza artificiale nelle orecchie mentre lavorava. Le parlava, la consigliava, la sgridava. In presenza di Steve si alleava con lui. E ora le mancava.

Si era voltata lentamente verso Banner, che si era già messo all’opera e stava analizzando dei dati. Erano quelli del primo attacco di Loki. Stava sicuramente cercando una traccia, una scia lasciata dal potere dello scettro per poter capire di che tipo di raggi si trattasse esattamente.

Con la coda dell’occhio aveva notato Steve passare davanti alla porta del laboratorio. Aveva voltato la testa nello stesso momento in cui lo aveva fatto anche lui e per un istante i loro sguardi si erano incrociati. Prima che Steve decidesse di interrompere subito il contatto visivo e procedere lungo il corridoio.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Aprile 2009

 

Avrebbe passato la notte sveglia. Totalmente all’erta mentre cercava di stare dietro ai ragionamenti di Banner che erano davvero strabilianti. Doveva ammetterlo. Stare in compagnia di qualcuno con una simile intelligenza era per lei una panacea. Poteva dimenticarsi di dove fosse in quel momento, da chi era attorniata. Poteva davvero credere di essere nella propria officina, al sicuro con i propri robot e le proprie cose. 

Per qualche ora le era sembrato che fosse a casa. Che non ci fosse lo S.H.I.E.L.D. tutto attorno. Che non ci fosse neppure Steve a qualche porta di distanza. Era questo che forse le faceva più paura. Sapere di trovarsi in uno spazio così ristretto assieme a Steve e non poter essere ciò che erano stati. Era una sciocchezza. Lo sapeva benissimo che fosse una sciocchezza perché era colpa sua. Lei aveva fatto una cazzata e ne stava pagando le conseguenze. Non poteva biasimare Steve, non stavolta. Forse mai in realtà.

Per questo stare in compagnia di Banner in quel momento la stava aiutando moltissimo. Anche se era di nuovo alimentata solo dalla caffeina ed era sicura che se avesse appoggiato la testa su una qualsiasi superficie si sarebbe addormentata subito. Erano notti che non dormiva bene, o non dormiva affatto. Anche la notte prima non aveva dormito quasi per nulla. Aveva passato la notte a pensare a quello che doveva fare per lo S.H.I.E.L.D., al fatto che avrebbe dovuto incontrare di nuovo Steve. Ed era questa la cosa che l’avea tenuta sveglia. La teneva sveglia fin troppo spesso nonostante fossero passati due anni da quando tutto era finito.

Aveva bevuto un altro generoso sorso di caffè mentre osservava Banner muoversi avanti e indietro di fronte allo schermo che avevano fissato per già troppe ore. Banner continuava a parlare come se lei non ci fosse neppure. Faceva brainstorming e lei non aveva alcuna intenzione di interromperlo perché non avrebbe neppure saputo cosa dire. Era davvero il top nel suo settore. Ascoltarlo parlare dei raggi gamma da usare anche in quel preciso momento la faceva sentire come se fosse di nuovo una ragazzina seduta ad un banco di scuola.

E faceva bene. Le faceva dannatamente bene.

“Stark, cosa ne pensi?” L’uomo si era voltato verso di lei e poteva quasi essere emozionata di avere l’attenzione di qualcuno che aveva sempre ammirato.

“Che tu sei sprecato in India, o in qualunque posto ti vai a nascondere per sfuggire a questi qui.” Si era alzata dal pavimento su cui era seduta fino a quel momento. “Penso che io farò solo la parte pratica stavolta. Onestamente non sono per nulla afferrata in queste cose, per una volta. Posso capire benissimo quello che ho letto ieri notte sulla fisica termonucleare, ma non è il mio campo. Proprio no. Quindi, dottore, tu dimmi cosa ti devo costruire e io lo faccio.”

Banner le aveva fatto un sorriso timido prima di passarsi una mano tra i capelli.

“Sei diversa da quello che pensavo. Non sei un gradasso.”

“Quella è la Stark persona. Questa è Tasha. E non mi hai ancora vista al mio peggio, ma dammi un paio di giorni chiusi qui dentro e vedrai la vera Tasha Stark nel suo ambiente.” Aveva appoggiato la tazza ormai vuota sulla scrivania e aveva sgranchito il collo. Sarebbero stati giorni lunghi e frenetici. Non avevano un attimo da perdere. “Banner, quanto pensi sia davvero grave tutta questa situazione?”

“Sinceramente? Molto. Se questo Loki riesce davvero ad aprire un portale, un wormhole, o qualsiasi cosa stia cercando di fare, questo potrebbe avere un grandissimo impatto su tutto il mondo scientifico. E quello scettro poi non lo capisco.” Bruce Banner aveva guardato lo scettro di Loki che avevano posizionato sulla scrivania. Non avevano ancora avuto il coraggio di toccarlo davvero. Anche se lei voleva metterci le mani sopra. Voleva smontarlo e mettere sotto analisi quella sorta di gemma che lo illuminava. Ma Banner l’aveva fatta ragionare. Le aveva fatto notare quanto non fosse sicuro visto come era riuscito a far crollare una base dello S.H.I.E.L.D., a trasformare le persone in burattini, e così via. 

“Voglio smontarlo con l’intensità di mille soli.” Aveva fatto qualche passo attorno alla scrivania senza togliere gli occhi dallo scettro. “Voglio capire quel suo nucleo. Sembra quasi il mio reattore. E ora mi chiedo da cosa veramente sia nato il mio reattore. Oh, papà papà, cosa mi hai nascosto stavolta?”

“Non penso che tuo padre potesse lavorare su una cosa simile.” 

“Oh, quell’uomo era pieno di segreti. Il Tesseract era tra questi. Non mi stupirei nello scoprire che abbia nascosto qualche alieno in casa.” Aveva preso un cacciavite cercafase e aveva sfiorato lo scettro. Era pieno di energia. Sembrava proprio energia elettrica e fremeva dal metterci addosso tutto il proprio essere.

“Stark, hai dormito?”

Si era bloccata con il cacciavite a mezz’aria ed era stato il suo cervello ad andare fuori fase. Doveva utilizzarlo su di sé ora quel cercafase. 

Aveva lentamente spostato lo sguardo dallo scettro alla porta, che non aveva neppure sentito aprirsi. 

E lì c’era Steve Rogers. Fermo. Immobile. Appoggiato allo stipite della porta e con le braccia incrociate al petto. Ed era tutto un pattern così ripetitivo che voleva urlare dalla frustrazione. Anche se indossava ancora la sua nuova uniforme da Capitan America, e non sapeva se ridere o insultarlo. 

“E’ una domanda retorica, Rogers.” Con il cacciavite aveva indicato la tazza di caffè, e sapeva che Steve avrebbe capito. Infatti aveva scosso la testa e aveva sospirato. “Nemmeno Banner ha dormito. Abbiamo lavorato. Sai, quella cosa che io faccio spesso di notte perché il mio cervello non si ferma. Tu hai dormito? Dal tuo faccino rilassato direi proprio di sì. Se è davvero così portami altro caffè e qualcosa da mangiare, così continuo a lavorare e poi me ne torno a New York.”

“Vai a dormire.” Non si era mosso dalla porta, e lei aveva notato Banner grattarsi la nuca. Probabilmente era imbarazzato da quella situazione. Lo sarebbe stata forse anche lei se il suo cervello non fosse stato ancora sotto l’effetto di tutta la caffeina che aveva ingurgitato nelle ore precedenti. 

Banner aveva bevuto té verde. E sembrava rilassato. 

Lei sicuramente sembrava un criceto doppato che aveva continuato a correre sulla propria ruota fino a farsi scoppiare il cuore. 

“Forse il Capitano ha ragione, Stark. Un paio d’ore non ci faranno male e poi ritorniamo qui e continuiamo a cercare un algoritmo funzionante.”

Aveva spostato lo sguardo da Steve a Banner, e non era riuscita a trattenere una smorfia. Voleva restare lì. Voleva finire. Voleva tornare a casa e nascondersi nella propria officina. Con cibo spazzatura e alcool. Sapeva che era un meccanismo di difesa sbagliato sotto ogni punto di vista. Ma voleva scappare in un posto dove si sentisse sicura al 100%. 

Quel posto sicuro era al momento la sua torre dalla quale poteva guardare Manhattan ai suoi piedi. Non che se la godesse veramente. Passava la maggior parte delle sue ore di veglia chiusa in officina, ma le piaceva pensare alla visuale che aveva quando si svegliava. 

"Tra un paio d'ore ti faccio trovare caffè e colazione pronti." 

Aveva deglutito a vuoto. Quella frase le aveva stupidamente fatto male. Le sinapsi del suo cervello stavano continuando a lavorare in modo troppo frenetico e questo non era positivo. Non in quel momento. Non doveva pensare a nulla se non alla missione. 

Non poteva permettersi di perdersi in pensieri così distanti dal proprio lavoro. 

Ma quella frase. Quella frase aveva qualcosa di così nostalgico. Aveva risvegliato i ricordi di quello che erano stati. Quante volte l'aveva sentita pronunciare in passato? Ne aveva perso il conto. 

"Non serve, Rogers. Abbiamo qui la macchinetta del caffè e per ora mi basta solo quello." Aveva appoggiato il cacciavite sulla scrivania, e aveva abbassato lo sguardo. Era una resa? Probabilmente in quel momento lo era. Non aveva voglia di discutere. Non aveva nemmeno voglia di parlare ulteriormente. Non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi lì. Operavano in settori totalmente diversi, e normalmente non avrebbero dovuto nemmeno incrociarsi per sbaglio. Anche perché controllava sempre la presenza o meno di Steve nelle varie strutture dello S.H.I.E.L.D. che doveva visitare. Spesso aveva anche lavorato direttamente dalla propria officina per non rischiare incontri spiacevoli. 

"Resta il fatto che dovresti dormire. Una prolungata privazione del sonno non ti fa bene, dovresti saperlo meglio di me." Stavolta si era mosso. Aveva fatto qualche passo all'interno del laboratorio, osservando con molta probabilità il caos che avevano creato in una notte. "Non è la tua officina questa, dovresti tenere più in ordine."

"E tu non sei mia madre per venirmi a fare prediche." Gli aveva messo una mano sul petto, come per spingerlo via, quando Steve si era avvicinato troppo a lei. Lo aveva fatto senza nemmeno pensarci. Era una cosa che facevano in passato quando Steve le faceva prediche mentre stava lavorando. Lo spingeva, muoveva qualche passo, lo mandava a quel paese, e continuavano a discutere. Andava così almeno una volta al giorno. Solo che questa volta aveva spostato la mano velocemente, come se il petto di Steve fosse bollente. "Senti, voglio solo finire il mio lavoro qui e togliermi dai piedi per il bene di tutti. Anche se non sembra, ho del lavoro da finire per le Stark Industries e per una volta sarei felice davvero di svolgere quello." 

"Ho saputo che hai reso la Stark Tower totalmente autosufficiente con l'utilizzo della tecnologia arc." Aveva ringraziato mentalmente Banner che aveva rotto quel momento di stallo tra lei e Steve. Forse l'aveva vista in difficoltà e i pettegolezzi su loro due erano giunti fino in India. 

"Quell'orrendo palazzo nel centro di Manhattan?" 

Aveva guardato malissimo Steve per quella domanda. Sia perché non poteva non sapere che le Stark Industries fossero tornate a tutti gli effetti a New York, ma soprattutto perché non accettava critiche estetiche da parte sua, fermo com'era agli anni '40.

"Quella è casa mia, grazie." Aveva la tentazione di fargli un gestaccio, ma si era trattenuta. Era una signora. E con Steve non aveva più quel grado di intimità o amicizia. Aveva sospirato e aveva ripreso in mano il cacciavite, grattandosi una tempia con la punta. C’era una cosa che le frullava per la testa da quando Coulson aveva fatto irruzione in casa sua. Aveva preso sempre più forma mentre leggeva i file delle persone coinvolte. Ed era diventata una cosa piuttosto concreta quando aveva realizzato che quello doveva essere il “progetto Avengers”. "Perché Fury ci ha radunati? Perché ora? Cosa ci stai nascondendo, Nick?"

"Credi che Fury ci nasconda qualcosa?" Steve aveva chiesto dopo qualche secondo. Come se avesse cercato di assimilare bene quella domanda. 

"Steve, non essere ingenuo. Lui è LA spia. I suoi segreti hanno segreti. È chiaro come il sole che ci nasconde le cose. Io non sapevo nemmeno dei 80 morti in due giorni. Non sapevo neppure cosa avrei dovuto fare esattamente qui. Mi è solo arrivato un fascicolo con gli appunti di Selvig e le vostre cartelle personali, trovandomi pure spaesata dal non leggere certi nomi. Quindi mi innervosisce pure non sapere ancora cosa stia succedendo qui." Aveva poi indicato Bruce con il cacciavite. "Innervosisce anche lui. Chiediglielo." 

"Non coinvolgetemi, grazie. Io voglio solo finire qui e tornare a casa, ovunque sia."

"Dottor Banner." 

Bruce Banner aveva sospirato mentre si toglieva gli occhiali, e si passava subito dopo la mano libera sugli occhi. La voce autoritaria di Steve faceva sempre questo effetto alla gente.

"La battuta che Loki ha rivolto a Fury, un fascio di luce per l'umanità, sembra rivolta a te, Stark. La tua torre è autonoma grazie alla tua energia sostenibile. Per quanto si alimenterà? Un anno? È tantissimo per essere energia pulita. Perché quindi Fury non l'ha coinvolta da subito nello studio sul Tesseract? È probabilmente l'unica che davvero potrebbe capire come usarlo. O come imbrigliarne l’energia in qualche modo."

Era incredula di fronte a quelle parole. Raramente aveva avuto dei complimenti tanto sinceri da un suo pari. Gli uomini del mondo scientifico non la calcolavano minimamente. 

"Dimentichi Reed Richards, Banner. Quello è stato nello spazio."

“Lui sarà stato nello spazio, ma tu hai un reattore arc nel petto che hai costruito in una caverna.”

“Quello era solo un prototipo, totalmente da migliorare.” Aveva distolto lo sguardo e aveva guardato qualsiasi cosa non fosse Banner. Non era possibile che davvero uno scienziato del suo livello facesse dei sinceri complimenti a lei, un ingegnere meccanico.

“Tasha, vivrò anche ai confini della civiltà, ma mi tengo informato. Per questo trovo strano che lo S.H.I.E.L.D. non ti abbia coinvolta da subito in qualsiasi ricerca stiano facendo sul Tesseract. Già il semplice tenere nascosta tutta l’operazione mi sembra fin troppo sospettoso."

"Vedi, Rogers? Non sono l'unica sospettosa qui dentro." Si era seduta sulla scrivania, incrociando le gambe e alzando le mani al cielo. 

"Non trattare questa situazione come se fosse un gioco." 

"In questo preciso momento lo è. Sto giocando ad indovina il complotto.” Aveva guardato Steve negli occhi e sapeva di aver smosso qualcosa anche nella sua testa. Steve era un soldato. Steve eseguiva gli ordini e li metteva in discussione solo quando gli si facevano notare alcune cose. O quando qualcosa diventava troppo personale. “Fury non ci ha fatti incontrare nemmeno una volta in questi due anni. Quando ho dovuto lavorare sul tuo scudo me l’ha spedito a casa con Coulson e sono abbastanza sicura dalla tua faccia in questo momento che nemmeno sapevi ci avevo messo di nuovo le mani sopra. Il progetto Avengers, Fury mi ha detto che non è più di mia pertinenza e non sono mai riuscita ad entrare nei file al riguardo, e sai che ci ho provato più volte. Quindi perché siamo qui davvero? Tu ed io poi, sulla stessa nave volante, dopo che siamo stati così attenti a non incrociarci neppure per sbaglio. E’ andato a recuperare Banner ai confini della civiltà. Ha chiamato anche la Romanoff che mi risulta essere troppo coinvolta emotivamente per poter essere davvero d’aiuto. Sembra essere davvero disperato se ci ha chiamati tutti a raccolta in un momento in cui io in teoria non parlo ancora né con te né con Natasha, e Banner è ricercato dal nostro governo.”

Steve aveva scosso lievemente la testa e spostato lo sguardo da lei allo scettro. Natasha sapeva di avere ragione. Era intuito, che si era affinato negli anni e quando si trattava di Fury aveva sempre avuto ragione quando si diceva che quell’uomo nascondeva ogni volta qualcosa. 

“Quindi hai dei dubbi su cosa stesse davvero facendo con il Tesseract?”

“Ho letto gli appunti di Selvig più volte, ma non è facile da capire se mancano pagine o sono state oscurate parole o frasi. Ho gli appunti, ma sono secretati. Quindi sì, i dubbi li ho e visto che penso sempre il peggio delle persone sto anche temendo il peggio a questo punto. E appena il mio piccolo aggeggio decodificherà i dati criptati e riuscirò ad entrare nel sistema, avrò tutte le risposte.” Aveva alzato le spalle e si era spostata dalla scrivania per avvicinarsi alla macchinetta del caffè. Aveva preso la tazza e premuto subito il pulsante. Non appena si era riempita a sufficienza si era voltata verso Steve e inarcando un sopracciglio aveva bevuto un sorso dopo aver zuccherato quanto bastava. 

Steve l’aveva guardata e dopo qualche secondo aveva sospirato, portandosi una mano agli occhi per massaggiarli.

“Tasha, molla quel caffè e vai a dormire almeno un paio d’ore.” 

Era riuscita a non cambiare espressione, o almeno lo sperava. Con molta probabilità, Steve non si era nemmeno reso conto che la aveva chiamata per nome. E sentirlo pronunciare nuovamente le aveva provocato una sensazione piacevole. Era sbagliato. Lo sapeva quando lo fosse. Erano entrambi impegnati con altre persone e non era affatto giusto sentire il cuore battere per un banale nome pronunciato quasi per caso, per abitudine, e nulla di più. La sua storia con Johnny Storm non era per nulla importante, lo sapevano benissimo entrambi. Erano solo uno tappabuchi con cui passare le serate di noia. Ma per Steve era diverso. Steve si impegnava seriamente in tutte le cose, soprattutto nelle relazioni. Questo probabilmente lei lo sapeva meglio di chiunque altro. 

Era stato un caso, un momento di disattenzione, e quel freddo Stark con cui l’aveva chiamata in precedenza era diventato un troppo intimo Tasha. Pronunciato allo stesso modo esasperato con cui lo aveva pronunciato almeno un migliaio di volte in passato. 

“Se te lo prometto, mi lascerai fare un’ultima prova di localizzazione in pace?” Aveva nuovamente inarcato un sopracciglio e aveva sorriso. Se Steve aveva abbassato le guardie, tanto valeva giocare sporco per ottenere quello che voleva. Finire quel lavoro il prima possibile.

“Una prova. E poi ti fermi.” 

Senza aggiungere altro si era voltato ed era uscito dal laboratorio. Natasha aveva osservato la sua schiena mentre la porta si richiudeva dietro di lui. C’erano state volte in cui aveva adorato guardare le sua schiena. E c’erano altre, come in quel momento, in cui forse la mancanza di una buona notte di sonno stava facendo dei cattivi scherzi. 

“Non riesco ancora a capire a cosa ho davvero assistito.” Bruce si era rimesso gli occhiali e aveva guardato nuovamente lo schermo. 

“Ad una tipica conversazione Stark-Rogers.” Gli si era avvicinata dopo aver abbandonato la tazza di nuovo sulla scrivania. Non aveva nemmeno voglia di caffè in quel preciso istante. Voleva solo dare fastidio a Steve, come se fosse una bambina. “Anche abbastanza civile, oserei aggiungere. La conversazione più lunga che abbiamo avuto negli ultimi due anni, decisamente.”

“Si è speculato molto sul motivo della vostra rottura.”

“Non me ne parlare. Siamo stati assediati dai giornalisti appena hanno capito che non stavamo più insieme. A lui è andata meglio perché lo S.H.I.E.L.D. lo ha nascosto da qualche parte. A me non è andata affatto bene perché tutti conoscono il mio indirizzo.” Erano state delle settimane assurde quelle. Non poteva uscire di casa senza che qualcuno la abbagliasse con qualche flash. Ed aveva quindi smesso di uscire, lasciando che i gossip sulla loro rottura si gonfiassero. Non aveva mai smentito nulla di quello che avevano scritto. Li aveva lasciati fare, perché non avrebbe mai rivelato la verità alla stampa. Forse la verità la sapevano solo lei, Steve, Rhodes, Natasha e Fury. Perché era sicura che Steve lo avesse raccontato a Natasha. E Fury sapeva sempre tutto in qualche modo. 

“Johnny Storm immagino non l’hai scelto per il suo cervello.”

La risata che le era uscita, un misto tra un grugnito e un qualcosa di indefinito, probabilmente aveva dato la risposta che serviva a Banner. 

“In comune abbiamo solo la passione per le macchine sportive.”

 

✭✮✭

Quando aveva aperto gli occhi, sentiva ogni muscolo del suo corpo indolenzito. Del resto, dormire su un pavimento freddo in una posizione non propriamente consona non avrebbe fatto bene a nessuno. Figuriamoci a lei che aveva dormito forse 4 ore in 48 ore. E si era svegliata solo perché il suo programma aveva hackerato i file dello S.H.I.E.L.D.. 

La curiosità prima o poi l’avrebbe uccisa, doveva saperlo. 

“Banner. Banner! Avevo ragione!” Era scattata in piedi, quasi urlando il nome dell’altro scienziato, e questi si era svegliato di soprassalto sulla sedia su cui stava dormendo a sua volta. “Guarda, sono riuscita ad entrare in tutti i file sul Tesseract.” Gli aveva messo subito in mano il proprio tablet, senza dargli neppure il tempo di capire dove fosse o cosa stessero facendo. 

Del resto era frastornata anche lei. Aveva addirittura sognato in quelle due ore di sonno e non le era piaciuto molto quello che ne poteva ricordare. Aveva letto una volta che i sogni sono importanti perché ci mostravano dove eravamo stati feriti, e lei lo sapeva benissimo anche senza avere il bisogno di sognarlo. Quella era la ferita più recente, ma non sapeva se era lei la vittima o il carnefice.

Con molta probabilità era lei il carnefice quella volta. Anche solo moralmente, visto come si erano sviluppate le cose.

“Avevi ragione fin dall’inizio.” Banner aveva spinto gli occhiali più su sul naso mentre leggeva e scorreva i vari file. “Pensavo fossi paranoica quando la prima cosa che mi hai detto una volta rimasti soli fosse che qualcosa ti puzzava sulla questione Tesseract, ma avevi ragione.”

“Dopo l’Afghanistan sono super paranoica e a quanto pare faccio bene.” Aveva distrattamente battuto un dito sul reattore arc e doveva immaginare che il Tesseract non fosse qualcosa che volevano usare a fin di bene. Il reattore arc prendeva la sua energia da quello, ormai ne era più che sicura. E vedere gli utilizzi che voleva farne lo S.H.I.E.L.D. non la tranquillizzava affatto. E con molta probabilità, indirettamente li aveva anche aiutati ad imbrigliarne il potere in contenitori minuscoli. 

“Sembrano armi potenti. Molto potenti. Ma non avevi davvero idea di questi esperimenti?” 

“Ma ti pare? Mi sarei opposta con tutta me stessa. Quando ho detto che smettevo di produrre armi per il governo ero molto seria. Non ho più prodotto nulla da 0, al massimo ho fatto degli aggiornamenti su cose che già avevo creato e non potevo riavere indietro.” Si era sbattuta entrambe le mani in faccia per soffocare un verso di frustrazione che le nasceva dal profondo. Sapeva benissimo che al mondo ci fossero altri armaioli. Ne conosceva a pacchi e sapeva che il governo aveva un nuovo fornitore. Che per fortuna non era più Hammer. 

Ma sapere, avere la quasi totale certezza che li aveva aiutati nell’usare il Tesseract come arma , questo non le stava piacendo affatto. Si sentiva usata e tradita, e avrebbe anche dovuto esserci abituata. Lo S.H.I.E.L.D. poi era spietato quando si trattava del bene superiore. Doveva saperlo bene, invece si era lasciata abbindolare dalle belle parole di Fury e si sentiva oltremodo stupida.

“Stark, mi hanno riferito che c’è una violazione del protocollo di sicurezza.”

Con lentezza si era voltata verso la porta appena aperta per vedere Fury e la Romanoff. Il direttore dello S.H.I.E.L.D. se ne stava con braccia conserte e la osservava.

“Puoi giurarci, Nick. Cos’è questo?” Si era avvicinata ad un monitor più grande, su cui aveva spostato il risultato delle sue ricerche. “Non penso proprio che l’idea di Howard fosse questa quando te l’ha lasciato in custodia.”

“Perché questa sì?” 

Steve Rogers era comparso dietro Fury in tutta la sua gloriosa immagine da Capitan America, con in mano quello che sembrava un fucile uscito direttamente da un film sci-fi. 

“Wow. Non avevo ancora letto che dalla teoria siete già arrivata alla pratica. Magnifico.” Si era avvicinata subito a Steve, che nel frattempo era entrato nel laboratorio e aveva appoggiato il fucile su una delle scrivanie. C’era un lato del suo cervello, doveva essere sincera con sé stessa, che ne era assolutamente affascinato. Era magnifico quel fucile. Chissà che potenza poteva avere con un potere simile a quello del suo reattore. Ma sapere che li aveva aiutati non le stava bene. 

“Stark, tu hai costruito un’armatura che è un’arma a tutti gli effetti.” La voce melliflua della Vedova Nera era arrivata subito alle sue orecchie, e si era solo girata lentamente.

“Tu non sai di cosa stai parlando, e faresti meglio a tacere. Ho letto il tuo fascicolo su di me in modo molto approfondito e poi l’ho usato per alimentare il camino in salotto. Ma qui non stiamo parlando di me e della mia armatura. Stiamo parlando di armi prodotte usando il Tesseract.” 

“Signorina Romanoff, lei mi aveva assicurato che fosse solo un lavoro di ricerca il vostro. Non che fosse un lavoro simile. Concordo con Stark che saremmo dovuti essere messi al corrente per poter decidere se accettare o meno.”

“Dottor Banner.” Fury aveva preso parola, mettendo una mano avanti, quasi volesse cercare di ammansire una bestia feroce. “Proprio perché siete voi abbiamo deciso di omettere alcuni particolari. Avevamo bisogno del vostro aiuto.”

“Oh, mi sento quasi lusingata, Nick.” Natasha si era portata una mano al petto in modo teatrale. “Ma sono armi. Armi prodotte con la tecnologia del Tesseract e del reattore arc, e me l’hai tenuto nascosto fino ad ora.”

“Sono una precauzione a causa sua.” Fury aveva indicato il dio del tuono che si era appena unito a loro e li aveva guardati in modo spaesato.

“Cosa avrei fatto adesso?”

“Quando siamo entrati in contatto con il tuo mondo ci siamo resi conto che non avevamo nessuna arma utilizzabile nel caso di un attacco alieno. Siamo totalmente vulnerabili e impreparati ad una guerra simile. Avete raso al suolo una cittadina e noi non siamo riusciti a muovere un dito per prevenire la catastrofe.”

“Il mio popolo vuole la pace. Non vogliamo conquistarvi.” Thor lo aveva interrotto subito, probabilmente punto sul vivo.

“Ma il tuo non è l'unico popolo lassù. Hai confermato tu stesso che ce ne sono a migliaia e non tutti hanno intenzioni pacifiche. Anche questo mondo si sta popolando di persone che non possiamo controllare.” Natasha aveva sentito gli occhi di Fury su di sé mentre parlava, ma non aveva avuto il tempo di ribattere che Steve aveva preso la parola.

“Come avete controllato il Cubo?” Avrebbe voluto baciarlo in quell’istante per averle tolto le parole di bocca e per aver spostato l’attenzione di Fury.

“Voi avete attirato qui Loki e i suoi alleati. I vostri esperimenti sul Tesseract adesso vi rendono pronti per una nuova forma di guerra più evoluta.” Natasha aveva guardato il dio del tuono e non le erano piaciute le parole che aveva pronunciato. Non ne avevano abbastanza di guerre sul loro misero piccolo pianeta per andare a cercarsene anche altre con mondi totalmente sconosciuti?

“Questo è un deterrente nucleare.” Aveva attirato l’attenzione di tutti su di sé in un solo istante, ma non era riuscita a frenare la bocca. “Quello è sempre la soluzione a tutto.”

“Mi ricordi come hai creato la tua fortuna?” Fury l’aveva guardata e squadrata come se potesse incenerirla con lo sguardo. 

“Se fabbricasse ancora armi, Stark non sarebbe di certo qui adesso.”

Non se lo aspettava. Non si aspettava che Steve prendesse la parola e quasi la difendesse.

“Grazie, Rogers, ma non ho bisogno di un avvocato per portare avanti le mie battaglie.” Lo aveva guardato ed era infinitamente grata che qualunque entità superiore esistesse avesse deciso di far intervenire Thor.

“Credevo che voi umani foste migliorati.”

“Scusami? Noi non siamo venuti da voi e non abbiamo ingaggiato dei combattimenti ferendo e uccidendo le persone.” Fury aveva fronteggiato Thor senza il minimo segno di timore, nonostante fosse sicuramente conscio di non avere assolutamente modo di batterlo se si fosse passato alle mani. Non doveva trovarlo divertente, ma lo era oltremodo vedere qualcuno sfidare Fury così.

“Tratti i tuoi campioni con immensa sfiducia.”

“Tu non sei un mio campione.”

“Ragazzi, siete veramente ingenui. Lo S.H.I.E.L.D. controlla le potenziali minacce.” Natasha Romanoff aveva preso parola nuovamente. 

“Lei controlla le potenziali minacce?” Banner aveva guardato scettico la Romanoff.

“Tutti noi lo facciamo.”

“Oh, hai fatto un ottimo lavoro controllando me, devo dire. Un ottimo, magnifico lavoro.”Non era riuscita a stare zitta ancora una volta. Era più forte di lei, come se qualcosa la costringesse a ribattere. Era sempre così, era famosa per la sua linguaccia. Ma stavolta voleva solo andarsene da lì il prima possibile e non rivedere più quelle persone.

“Stark, un’altra battutaccia e giuro che ti faccio stare zitta.” 

“Oh, Cap, ma questa è violenza verbale e non è da te.”

Qualcosa non andava davvero. Certo, erano tutti nervosi per quella situazione, ma Steve non le aveva mai parlato così. Neppure nei momenti peggiori le aveva detto seriamente una cosa simile. E adesso sembrava serio. Tremendamente serio.

“Signori, calmiamoci tutti quanti.” Fury si era messo in mezzo alla stanza, cercando di guardare tutti i presenti. “Stiamo cercando di trovare delle soluzione per proteggere la Terra.”

“Nick, tu parli di soluzioni, ma io vedo solo caos.” 

“E’ il suo modus operandi. Vi credevate per caso una squadra? Perché io vedo solo una mistura chimica che è sul punto di esplodere. Siamo il Caos.” Banner aveva preso la parola, interrompendo quello poteva essere uno scontro verbale tra Fury e Thor, e se ne era stupita. Sembrava così risoluto in quel momento. Per nulla titubante.

“Banner, lei dovrebbe allontanarsi da qui. Dovrebbe riposare un po’.”

“Dove? La mia cella l’avete affittata a Loki.”

“E lascialo scaricare un po’. Del resto ci stiamo sfogando tutti, no?”

“Sai benissimo perché non può, Stark. Metterebbe in pericolo tutti noi.” Steve le aveva girato attorno, osservandola e facendola sentire minuscola per la prima volta. “Fai tanto il gradasso in continuazione, ma senza la tua armatura non sei nulla, Tasha.”

“Sono un genio, filantropa, femme fatale, miliardaria.” Lo aveva guardato sorridendo, anche se le sue parole l’avevano ferita più di quando non volesse ammettere. Sentire certe parole pronunciate dalla voce di Steve avevano fatto molto più male di quello che credeva possibile. 

“Conosco persone modeste che valgono 10 volte te. Non capisco nemmeno per quale motivo tu sia qui visto che non è una cosa che ti coinvolge personalmente. Sappiamo tutti che Iron Woman combatte solo per sé stessa. Forse non sei una minaccia, ma dovresti smettere di giocare a fare l’eroe.”

“Un eroe? Come te? Sei una cavia da laboratorio, nulla di più. Tutto quello quello che hai di speciale, Rogers, viene da una ampolla. Senza quella saresti finito sotto terra per un misero malanno di stagione.” Non era da lei. Non era assolutamente da lei usare quelle parole per descrivere Steve Rogers. Non lo aveva mai fatto neppure nei momenti peggiori della loro storia, come del resto nemmeno Steve aveva mai usato certe parole con lei. Avevano litigato. Avevano litigato e urlato fino a farsi scoppiare i polmoni nel punto più basso della loro relazione, ma non avevano mai usato certe parole. Perché Steve non era così, e rendeva lei una persona migliore.

“Metti l’armatura, Stark. Ora.” Suonava come una minaccia e nel suo cervello qualcosa stava per scattare e voleva davvero chiudersi nell’armatura. 

“Siete davvero ridicoli. E voi dovreste essere i combattenti migliori che la Terra ha da offrire. Sembrate dei bambini piagnucolosi.” Mentalmente aveva ringraziato Thor per quel momento le aveva dato modo di distogliere gli occhi da quelli di Steve ed interrompere così un contatto visivo che non le piaceva. 

Quello che poteva vedere negli occhi di Steve Rogers era odio.

“Sì, siamo decisamente una vera squadra.” 

“Agente Romanoff, puoi scortare il dottor Banner fuori da qui?”

“Per rinchiudermi dove, Fury? Se avevate paura di me potevate lasciarmi dov’ero, non portarmi qui e farmi pure vedere la cella dove volevate rinchiudermi.”

“La cella era solo nel caso…”

“Nel caso in cui avreste voluto uccidermi?” Banner aveva interrotto Fury per l’ennesima volta, e c’era qualcosa che davvero non andava. In tutta la stanza c’era qualcosa che non andava. “Beh, mi dispiace deludervi ma non potete. Perché ci ho provato. Ho preso una pistola e mi sono sparato in bocca. E l’altro ha sputato il proiettile. Quindi, no. Non ci sono modi per far fuori l’altro. E se era questa la vostra paura potevate lasciarmi dov’ero perché ero riuscito a continuare una vita pacifica fino al vostro arrivo.”

Aveva deglutito. Fury e la Romanoff avevano portato le mani alle pistole che tenevano alla coscia. Steve aveva stranamente mosso un passo di fronte a lei, nonostante le parole che le aveva rivolto poco prima.

“Dottor Banner.” La voce di Steve era calma, ma decisa. Era la voce da militare che gli aveva sentito qualche volta. “Metta giù lo scettro, per favore.”

Bruce Banner aveva abbassato lo sguardo sullo scettro che stringeva in mano e la cui pietra sembrava ancora più luminosa di quando l’avevano analizzata. 

“Signorina Stark, abbiamo localizzato il Tesseract, sembrerebbe.” La voce della sua intelligenza artificiale aveva rotto il silenzio che si era creato in quel momento all’interno della stanza e in cui tutti erano concentrati su Banner e la sua successiva mossa. Si era mossa in un secondo, anche solo per allontanarsi da Steve. Sullo schermo vedeva un punto. Un punto rosso e pulsante, solo che non aveva senso assolutamente. 

Quella era la loro esatta posizione, e il Tesseract non poteva assolutamente trovarsi lì.

Stava per aprire bocca per renderlo noto a tutti quando qualcosa era esploso ed era finita a terra. Gli allarmi di tutto l’Hellicarrier sembravano impazziti. 

“Stai bene?” Steve Rogers la stava aiutando a mettersi seduta. Sembrava improvvisamente quello di sempre, come se non le avesse mai detto quelle parole. “Stavolta metti l’armatura sul serio, ok?”

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Aprile 2009

 

“Come stai?”

Era seduta per terra, con la schiena appoggiata contro il freddo metallo di quella che doveva essere la stanza costruita appositamente per Hulk. Ormai priva della cella di vetro, era completamente vuota. 

Loki era andato, svanito assieme ai suoi salvatori. Thor scomparso. Hulk uguale. Erano rimasti lei, Steve e Natasha. Avevano recuperato Clint Barton, a quanto le aveva riferito Fury, ma non sapeva se fosse utile o meno averlo con loro dopo la possessione da parte di Loki. E avevano avuto diverse perdite tra gli agenti dello S.H.I.E.L.D..

“Non me l’hai chiesto sul serio, vero?”

Aveva voltato lentamente la testa verso Steve. Finalmente si era cambiato. Finalmente non aveva Capitan America di fronte con la sua tutina sgargiante, ma era ricomparso Steve Rogers con una maglietta altrettanto aderente, ma almeno non era a stelle e strisce. 

Avevano passato una buona mezz’ora con Fury dopo l’attacco dei sottoposti di Loki. Il direttore dello S.H.I.E.L.D. li aveva informati di tutto quello che era successo mentre loro cercavano di riparare uno dei motori messi fuori uso. Era stato Fury ad informarli di Thor che era stato fregato da Loki e rinchiuso nella cella di Hulk per essere sparato chissà dove. Sempre lui li aveva informati che Banner aveva perso il controllo ed era scomparso dopo averli attaccati. Così avevano anche saputo che Natasha Romanoff aveva combattuto contro Barton, che ora era in infermeria in stato di incoscienza. 

Stranamente loro due erano rimasti lontani dalla battaglia vera e propria. Ancora più stranamente avevano lavorato insieme, in modo abbastanza serio e senza discutere troppo. 

“So che eravate amici di lunga data.”

“Non eravamo amici.” Si era messa in piedi e aveva osservato la macchia di sangue a qualche metro di distanza. Nessuno aveva ancora pulito nulla. I segni della battaglia erano ovunque attorno a loro, e lei stava quasi per complimentarsi con sé stessa di non aver ancora dato di matto davanti a tutti. “Lui era un agente, e a me faceva comodo.”

“Tasha, lo sappiamo che gli eri affezionata, almeno con me non devi mentire. Lo conoscevi da moltissimo tempo e ne avete passate tante insieme.”

“Era un idiota.” Lo aveva guardato. “Cosa gli avrà detto il cervello quando è venuto qui da solo per fronteggiare Loki? Certo, complimenti per il coraggio, ma lui con questi aveva già avuto a che fare e sapeva che era solo un semplice essere umano che non poteva avere speranza!”

“Era un soldato, ha fatto il suo dovere.”

“Ma io non sono un soldato e non voglio capire questo modo di ragionare!” Aveva alzato la voce, senza smettere di guardarlo. Scoprire da Fury della morte di Phil Coulson per lei era stato un colpo al cuore. Non aveva mai pensato che sarebbe successo. Non in tempi così brevi. Non in modo così imprevisto. Phil Coulson doveva tornare da lei dopo pochi mesi, con una nuova cartellina in mano, a darle nuove istruzioni su qualche lavoro inutile per Fury. “A me non interessa di Fury, dello S.H.I.E.L.D., del suo Progetto Avengers. Cosa sperava di ottenere portandoci qui tutti quanti? Davvero credeva che saremmo potuti diventare la migliore versione di noi stessi e lavorare tutti insieme? Tu ed io poi? Non siamo rimasti da soli in una stanza fino ad adesso!”

“Non è stato male lavorare con te.”

“Vaffanculo, Steve.” Non era riuscita a trattenere un lieve sorriso e guardare l’uomo che non le si era ancora avvicinato. Se ne stava immobile, con la schiena poggiata contro il muro e le braccia conserte al petto. “Torna ai tuoi alloggi finché non troviamo un modo di localizzare gli altri e vedere come procedere. Se avremo ancora una possibilità di procedere, a questo punto.”

“Sappiamo solo che a Loki occorre una fonte di energia per alimentare il Tesseract, e non sappiamo nemmeno quanti uomini sono rimasti esattamente. Pensi davvero che riuscirei a tornare nella mia cabina?” Si era spostato dal muro e le si era avvicinato. Non c’era più traccia dello Steve rabbioso che aveva fronteggiato in laboratorio. Che lo scettro di Loki avesse avuto anche quel potere? Tirare fuori il peggio di loro e farlo esplodere senza avere modo di contenerlo? Perché Steve doveva nutrire molto risentimento verso di lei. Quelle parole da qualche parte dovevano essere nate. Tenute nascoste, sepolte da qualche parte, ma dovevano essere già da qualche parte. 

“Steve, è una cosa a livello personale questa.”

“Di cosa stai parlando?”

“Loki. Ci ha colpiti qui, dove eravamo tutti più vulnerabili perché non ci aspettavamo un suo attacco. Si è fatto catturare senza opporre resistenza, e se ti ricordi te l’ho fatto notare subito sul quinjet che era troppo pacifico. Aveva pianificato tutto, ma perché?”

“Per dividerci, sembrerebbe.”

“Giusto, dividi et impera.” Lo aveva guardato e qualcosa stava prendendo forma nella sua testa. “Sa che deve eliminarci per poter avere una chance di vittoria. Ma insieme, che parola strana da dire adesso, insieme sa che siamo probabilmente troppo forti. Quindi quale cosa migliore che colpirci dall’interno e farci esplodere. Probabilmente sperava che ci saremo fatti fuori tra di noi, e ci era quasi riuscito. Loki vuole fare le cose in grande stile. Vorrà essere acclamato dalla folla per aver fatto fuori gli eroi della Terra. Vorrà avere un pubblico mentre lo fa.”

“Come ha fatto in Germania. Voleva essere al centro dell’attenzione.”

“Bingo, Rogers.” Gli aveva battuto un pugno sul petto prima di allontanarsi di qualche passo. Ragionare e camminare era sempre stato il suo punto forte. “Quella era la prova generale, questa è la prima. Entrambe riuscite egregiamente devo dire. Ora gli serve il gran finale. Loki è una diva a tutti gli effetti. Vuole un pubblico immenso. I fiori. Gli applausi. Un monumento in cielo con il suo nome scritto sopra.” Si era bloccata alle sue stesse parole e aveva guardato Steve. “Quel gran figlio di puttana. Sta andando a casa mia.”

“Dovevi sapere che le tue manie di protagonismo ti si sarebbero rivolte contro prima o poi.” Aveva allungato una mano verso di lei, sembrava gliela avesse porta per aiutarla a scendere dagli scalini su cui era salita mentre parlava. E lei l’aveva presa senza volerci pensare. Quello che succedeva sul Hellicarrier restava sul Hellicarrier. Finita la missione sarebbero tornati con i piedi per terra e alle loro nuove vite. Steve diviso tra Washington e Brooklyn, e lei a Manhattan. 

“Non sono manie di protagonismo. E’ solo la dimostrazione di potere su chi abbia l’uccello più grande negli affari. Sono pur sempre Natasha Stark, non posso di certo fare le cose in modo scialbo.” Aveva stretto la sua mano con più forza di quanto avrebbe voluto. Ma era calda. Era così calda che lo aveva quasi dimenticato. Era quel calore che ti dava sicurezza. Quel calore che sembrava ti potesse proteggere da qualsiasi cosa il mondo ti sbattesse addosso. “Mi dispiace, Steve.”

“Non credo sia questo il momento più adatto per parlarne, non credi?” Aveva risposto alla sua stretta, e non aveva spostato la mano come avrebbe creduto. “Dobbiamo salvare il mondo e poi magari ci possiamo sedere di fronte ad un bicchiere di whisky e parlare.”

“E se non avessimo più un mondo da salvare?”

“Quanto pessimismo, signorina Stark.” Aveva lasciato la sua mano questa volta e le aveva rivolto un piccolo sorriso. “Va a sistemare l’armatura. Io vado a vedere se Natasha è dei nostri, così possiamo andare a prendere a calci Loki. E salvare casa tua.”

Le aveva dato le spalle, continuando a sorriderle. Steve era davvero andato oltre? Non era rimasto ancorato al passato come lei? Perché lei non ci riusciva. Continuava a pensare e ripensare. Non aveva trovato un modo di reagire allora e non lo trovava neppure adesso. Il suo cervello era sempre così. Continuava a farle rivedere le stesse scene, analizzarle e analizzarle senza sosta, cercando quasi di trovare qualcosa di nuovo. Ma ovviamente non c’era. Non c’era nulla che le fosse sfuggito nel rivivere gli stessi momenti. 

Ci aveva pensato da sobria. Ci aveva ripensato da ubriaca. Di giorno e di notte. Perché lei non era affatto riuscita ad andare oltre. 

In apparenza sì. 

In apparenza era brava a fare le cose. La Stark Tower. I suoi uomini trofeo. Il suo conto in banca che era salito ancora di più. Ostentava la sua posizione e tutti presupponevano che avesse superato tutto. Anche la fase da “brava ragazza” che aveva avuto stando con Steve Rogers, simbolo indiscusso dell’integrità americana.

Ma questi erano solo gli insegnamenti lasciatele in eredità da suo padre. Non doveva mai e proprio mai farsi vedere debole e vulnerabile. Da nessuno. Non in casa e men che meno fuori casa. 

Era fatta di ferro ed era intoccabile sempre.

Ma con molta probabilità tutti sapevano che la sua fosse solo una recita. Le persone che le erano più vicine lo sapevano sicuramente, perché la conoscevano. Sapevano che non era capace di farsi scivolare le cose addosso come invece voleva far credere a tutti. Rhodes lo sapeva e glielo diceva sempre che doveva anche farsi vedere da qualcuno per superare le varie situazioni che continuava a rivivere nella sua testa. Dello stesso avviso era Pepper, che in alcuni momenti particolarmente stressanti non aveva esitato ad essere molto più diretta di Rhodes. Solo che lei era brava nel fuggire dai problemi. Li accantonava fino a quando non la colpivano direttamente in faccia e doveva affrontarli.

Come Steve. 

Non averci avuto nulla a che fare per qualche tempo le aveva permesso di ignorare il problema. Aveva potuto fare finta che dovesse andare così, che era solo il naturale corso degli eventi. La maggior parte delle relazioni prima o poi finiva, e Steve e lei non erano l’eccezione alla regola. Anzi, sarebbe dovuto essere chiaro ad entrambi che non avrebbero mai potuto funzionare dal principio. 

 

✭✮✭

 

Come aveva previsto, la Stark Tower era stata usata da Loki per alimentare il Tesseract. Sulla sua pedana di atterraggio vedeva il congegno costruito da Selvig acceso e funzionante. E sembrava così tanto la struttura del reattore arc che provava un misto di orgoglio e disperazione. Orgoglio perché erano stati loro, gli Stark, a costruire una cosa tanto geniale. Disperazione perché sapeva che sarebbe stata una impresa non da poco cercare di fermarlo. 

E Selvig lo aveva già acceso.

Era solo questione di minuti e avrebbe aperto un portale verso un mondo ignoto. Avrebbe portato sopra la sua Manhattan qualcosa che non sapevano neppure come combattere. Qualcosa che poteva tranquillamente essere Alien vs Predator e aveva visto quei film troppe volte per sapere che non finiva mai bene per nessuno. 

Forse solo Sigourney Weaver avrebbe potuto aiutarli in quella situazione.

Se solo Alien fosse stata una storia vera, anche se i dubbi adesso iniziavano a venirle. 

Non aveva mai messo davvero in dubbio l’esistenza degli alieni, perché solo uno sciocco poteva credere che gli esseri umani fossero gli unici abitanti dell’universo. Ma aveva anche sempre ritenuto la Terra un posto molto poco attraente e abitato da esseri sottosviluppati per poter essere davvero interesse di una potenziale invasione aliena. 

Ora doveva ricredersi anche su questo.

Ricredersene davvero. L’arrivo di Thor aveva confermato l’esistenza di altri mondi, ma lo credeva un incontro più unico che raro. Thor stesso se ne era tornato ad Asgard per, in teoria, non farsi vedere mai più. 

E mentre guardava il macchinario di Selvig si stava seriamente chiedendo se dopo quella giornata ci sarebbe stata ancora una Terra da proteggere. Non aveva alcuna idea di cosa sarebbe potuto uscire dal portale.

Doveva per prima cosa cambiare armatura. Quella era ormai da rottamare, e non poteva di certo sperare di combattere con quella addosso. Era già tanto se era riuscita a farla volare dall’Hellicarrier fino a Manhattan. Se avesse provato a sfidare questi Chitauri sicuramente sarebbe morta subito. Non riusciva a scalfire il campo di energia creato da Selvig per proteggere il Cubo, figuriamoci se aveva qualche speranza con quello che li avrebbe aspettati dì lì a poco.

Era rientrata nel proprio appartamento perché aveva davvero bisogno di una nuova armatura. Il macchinario di Selvig che puntava dritto al cielo sembrava che dovesse aprire il portale da un momento all’altro, e non voleva farsi trovare impreparata. Non quando poteva evitarlo. 

Dalla pedana di atterraggio aveva notato qualcuno all’interno dell’appartamento e aveva subito riconosciuto Loki nel losco figuro che la guardava attraverso le vetrate.

“J.A.R.V.I.S., prepara subito la nuova armatura.” Non appena i pezzi dell’armatura avevano iniziato ad abbandonare il suo corpo, si era sentita come se fosse nuda. Come se fosse vulnerabile. Forse perché quello di fronte a lei era comunque un essere molto molto più forte di quanto lei non lo sarebbe mai stata. Aveva visto Steve Rogers venire atterrato da quel Loki.

“Non è ancora pronta, signorina Stark. Mancano ancora diversi test da portare a termine.”

“Sempre questi infiniti test… Ne ho bisogno ora. E ne ho davvero bisogno.” Non appena aveva messo piede all’interno della casa, Loki si era voltato verso di lei e le sorrideva. Soddisfatto. Vittorioso. 

“Stark, ti aspettavo. Dimmi, farai appello alla mia umanità? Mi chiederai di interrompere tutto? Di abbandonare la vostra piccola misera Terra e tornarmene da dove sono venuto?” Il dio dell’inganno aveva mosso qualche passo verso di lei, e sembrava così sicuro della sua vittoria che voleva dargli subito un pugno.

“Oh no, sarebbe una perdita di tempo anche provarci. Al massimo potrei provare a minacciarti e spaventarti. Vuoi un drink?” Loki non le aveva tolto gli occhi di dosso, e sorrideva divertito. Sapeva che senza armatura non incuteva timore a nessuno. E come avrebbe potuto con il suo metro e settanta scarso? 

“Stai cercando di prendere tempo? Non funzionerà.”

“Direi di no. Io ho seriamente bisogno di un drink per affrontare quello che succederà tra poco.” Aveva preso il decanter col whisky e ne aveva versato due dita in un bicchiere. Sul bancone della zona bar aveva lasciato gli ultimi prototipi. Stava lavorando ad una armatura che poteva richiamare a distanza. In teoria funzionava. In teoria. Per quello stava lavorando ancora sui braccialetti che avrebbero dovuto richiamare l’armatura. Era la sua ultima creazione, era l’armatura che aveva creato fino a qualche giorno addietro. Ma non aveva avuto il tempo materiale di testarla. 

“I Chitauri stanno arrivando. Oramai nulla può cambiare.” Loki si era voltato. Le aveva dato le spalle per guardare fuori dalle finestre panoramiche dell’attico e lei ne aveva approfittato per mettere i braccialetti. Si erano subito accesi, non appena erano giunti a contatto con la sua pelle. “Cosa dovrei temere secondo te, umana?”

Si era voltato nuovamente verso di lei, e le sembrava davvero uscito da una recita shakespeariana con quel suo atteggiamento regale.

“Gli Avengers. Ci facciamo chiamare così.” Aveva fatto un’alzata di spalle quando il suo interlocutore l’aveva guardata confuso. “Una specie di squadra. Gli eroi più potenti della Terra.”

“Sì, li ho conosciuti.” Il dio le aveva sorriso beffardo, perché non erano eroi e non erano potenti. Li aveva sconfitti su tutta la linea.

“Già, devo ammetterlo. Sei stato bravo a colpirci dall’interno. Molto astuto. Un vero cavallo di Troia.” Aveva bevuto ancora un sorso di whisky e sperava che quella giornata finisse il prima possibile così da rifugiarsi nella sua bella torre lontana da tutti. “Ma, ricapitolando, tra le nostre fila abbiamo tuo fratello, il semidio.” Lo aveva visto fare una smorfia e sicuramente tra i due correva la classica trita e ritrita gelosia fraterna. In quei momenti era felice di essere figlia unica. “Un supersoldato, una leggenda che vive nella leggenda. Un uomo gentile ma con grossi problemi a gestire la rabbia. Due assassini provetti. Io. E tu, tu sei riuscito a farci incazzare tutti quanti.”

“Era questo il piano.”

“Un pessimo piano, perché hai solo svegliato il can che dorme. Gli Avengers arriveranno, e arriveranno per te.” Si era spostata dal bar, con il bicchiere di whisky ancora in mano. Avrebbe cercato di prendere più tempo possibile per permettere a tutti di raggiungerla a Manhattan. 

“Siete una manciata di uomini. Io ho un esercito con cui conquistarvi.” Loki le aveva sorriso, come se avesse detto qualcosa di davvero divertente. Del resto non poteva dargli torto. Loro erano per lo più umani, e stavano per arrivare degli alieni.

“Credo che tu non abbia colto il punto. Non c’è nessun trono da conquistare qui. Arriverà il tuo esercito, e con molta probabilità sarà molto più potente di noi. Ma ricordati, se non riusciremo a salvare la Terra, stai certo che la vendicheremo.” 

Loki l’aveva guardata seriamente. Per un istante aveva perso il ghigno con cui l’aveva guardata poco prima. 

“E dimmi, come pensi che potranno combattere il mio esercito mentre saranno occupati a combattere contro di te?” Le si era avvicinato, guardandola per la prima volta minaccioso mentre alzava lo scettro e con la punta colpiva il suo reattore arc. Aveva avuto paura. Aveva il terrore di trasformarsi nel burattino di Loki. Di fare del male ai propri amici. Di boicottare tutti gli sforzi, seppur miseri, che avevano fatto per dare alla Terra qualche attimo in più. Cosa avrebbero fatto i suoi compagni per combatterla? Per contenerla? Steve. Steve l’avrebbe davvero combattuta? Avrebbe dovuto farlo al massimo delle sue forze, perché sicuramente lei avrebbe combattuto al 100% del suo potere. 

Ma non era successo nulla. Loki aveva colpito il suo reattore una seconda volta, ma si era sentito solo il rumore dello scettro sulla superficie vitrea del reattore. 

“Io non capisco. Di solito funziona.” Loki guardava la punta dello scettro spaesato. Del resto lo era anche lei. Molto anche. Aveva già previsto gli scenari peggiori nella propria testa. 

“Può capitare di fare cilecca. Non è così raro. 1 volta su 5 dicono.” Doveva stare zitta. Lo sapeva che doveva stare zitta e che la sua linguaccia le avrebbe portato solo guai. Lo aveva capito nell’esatto momento in cui la mano di Loki era attorno al suo collo e la alzava in aria con un solo braccio e la scaraventava per terra.

“J.A.R.V.I.S., quando vuoi puoi avviare. Avvia. Avvia!” Non era stato piacevole l’incontro con il freddo e duro pavimento. Non aveva previsto di finire così, altrimenti avrebbe indossato subito la sua armatura. Aveva timore in quel momento. Era solo una misera umana di fronte ad un semidio, e si sentiva tremendamente vulnerabile. 

“Vi inginocchierete tutti al mio cospetto. Tutti.” Loki l’aveva alzata nuovamente da terra tenendola per il collo, e della sua armatura non c’era ancora traccia. E questa volta l’aveva lanciata contro la finestra che si era frantumata in migliaia di piccoli pezzi contro la sua schiena. 

Stava precipitando nel vuoto dal 90° piano della sua magnifica torre di Manhattan. E questo le avrebbe fatto venire i capelli bianchi, ne era certa. Il suo cuore non avrebbe retto e sarebbe morta ancora prima di toccare terra. Non voleva neppure pensare o immaginare che tipo di poltiglia sarebbe diventata una volta raggiunto il marciapiede. E non invidiava nessun povero soccoritore che avrebbe dovuto raccogliere i suoi resti per metterli in un sacchetto nero.

Quando ormai si dava per spacciata, aveva sentito il fischio ed il rumore della sua nuova armatura che stava arrivando. Sparata come un proiettile dalla sua cabina armadio, la nuova armatura si era aperta, dividendosi in altri pezzi per avvolgere il suo corpo che stava precipitando a velocità sempre più forte. 

La visiera si era chiusa giusto in tempo per permetterle di virare ed evitare di uccidere se stessa e qualche povero passante che ancora non sapeva cosa sarebbe successo di lì a poco. 

In un attimo era di nuovo in alto, di fronte a Loki che la guardava tra il meravigliato e il disgustato dal fatto che fosse ancora viva e vegeta.

“In più, dio cornuto, mi hai fatta incazzare a morte per Phil Coulson.” Aveva alzato un braccio ed era stata più veloce di Loki nel sparare con il suo propulsore, scaraventandolo a terra e rendendolo almeno per poco fuori gioco. Poteva non sembrare così, ma con l’armatura era potente. Con l’armatura addosso poteva tenere testa anche a Thor. Non batterlo, non aveva questa presunzione. Ma quando era Iron Woman poteva tenere testa quasi a chiunque. Ogni nuova versione era poi potenziata. Per questo sperava che anche contro gli alieni qualcosa la sua armatura avrebbe fatto. 

Assicuratasi che Loki fosse fuori gioco almeno per un po’, la sua attenzione si era concentrata su Selvig. Come aveva potuto Loki corrompere una mente tanto brillante?

Ma si era velocemente data una risposta. Se lo scettro gli dava la conoscenza infinita probabilmente si sarebbe fatta corrompere anche lei. Quasi sicuramente. 

Un fascio di luce, di energia, aveva squarciato il cielo. Era come in un film. Solo che quella era la realtà e adesso aveva davvero paura di non farcela. 

L’esercito di Chitauri tra pochi istanti si sarebbe riversato per le strade di Manhattan, sterminando o imprigionando i suoi abitanti. Loki non era stato molto chiaro su cosa i Chitauri avrebbero poi fatto della loro Terra, ma era abbastanza sicura che almeno una parte della popolazione sarebbe stata ridotta in schiavitù. Facevano così i conquistatori, no? Nei libri di storia era un pattern che si ripeteva all’infinito già dall’antichità. Il proprio potere si dimostrava anche dalla quantità di popolazioni che venivano soggiogate. 

Solo che lei non si sarebbe fatta catturare di nuovo. Avrebbe piuttosto scelto la morte che essere di nuovo prigioniera di qualcuno. 

Si era lanciata verso il buco aperto dal Tesseract. Quel portale non aveva nemmeno idea in quale parte dell’universo potesse portare. Non era nemmeno sicura fosse nella loro dimensione, perché ormai metteva in dubbio tutto quello che aveva sempre studiato. Già l’arrivo di Thor l’anno prima aveva stravolto tutte le teorie sull’universo. Questo nuovo attacco non faceva che confermarle tutte. 

Si era lanciata senza esitazione contro i primi Chitauri che stavano arrivando. Erano orripilanti alla vista, ma sembravano usciti direttamente da uno dei film sci-fi che guardava in continuazione. 

Si augurava che Steve e gli altri avrebbero fatto in fretta ad arrivare a Manhattan, perché sapeva che non ce l’avrebbe fatta a trattenerli per molto lì in alto. Erano troppi e lei era da sola. Se anche fosse riuscita a ucciderne qualcuno, non poteva trattenere la maggior parte che scendeva a frotte. Sarebbe servito un esercito di armature per respingerli tutti. E lei in realtà ce l’aveva. Ma non era utilizzabile da remoto. 

“Tasha, siamo a Manhattan.” La voce di Steve era improvvisamente nelle sue orecchie, e ne era immensamente felice in quel momento. Non sapeva quanto avrebbero davvero potuto fare, ma almeno non era più da sola. “Com’è la situazione?”

“Devo essere sincera? Una merda.” Quei così erano potenti e ci metteva un po’ a farli fuori. Non era proprio immediato come aveva ardentemente desiderato e sperato. “Quindi muovi il culo sotto la torre e aiutami a far fuori quelli che mi sono scappati di mano. Ce ne sono troppi.” 

Chiedere aiuto non era da lei. Era solita fare tutto da sola. Missioni comprese. 

Ma questa volta aveva davvero bisogno di una mano da parte di quante più persone possibili. Steve, Natasha Romanoff e Clint Barton erano arrivati. Il suo sesto senso le diceva che anche Thor e Banner sarebbero arrivati entro poco tempo. Erano in 6. Non sapeva esattamente cosa avrebbero potuto fare contro un vero e proprio esercito. Sembrava un’orda barbarica che senza sosta continuava a caricare contro i popoli che volevano sottomettere. 

 

✭✮✭

 

“Stark.” Sentire la voce di Nick Fury nelle orecchie non era la cosa più piacevole del mondo. Soprattutto perché voleva dire che aveva bypassato il protocollo di sicurezza  J.A.R.V.I.S. ed era entrato nel sistema di comunicazione che aveva aperto con gli altri. “C’è una testata nucleare che si sta dirigendo verso Manhattan.”

“Wow. Grazie. Non ci bastavano i Chitauri?”

“Non è stata una decisione mia. Hai due minuti prima dell’impatto.”

“Fantastico.” Mentalmente lo aveva maledetto mentre cercava di intercettare dove esattamente si trovasse questa testata nucleare. I piani alti dovevano essere impazziti per sganciare una cosa simile su Manhattan. Come se solo l’isola ne avrebbe subito le conseguenze. Poteva razionalmente capire che quella era la soluzione disperata ad una situazione disperata, ma non era una soluzione che poteva accettare. “Steve, hanno sganciato una bomba verso di noi e la sto raggiungendo adesso.”

“Si può disinnescare?” La voce di Steve all’altro capo della comunicazione era affannata, e non se ne stupiva affatto. I Chitauri non gli davano tregua. Continuavano ad uscire a sciami dal portale.

“Non penso proprio di avere tutto questo tempo a disposizione, ma so dove posso spedirla a mia volta.” Aveva raggiunto la bomba e si era infilata sotto di essa, cercando di curvarla subito per dirigerla dove le serviva. Magari non sarebbe servito a nulla e la sua era un’idea altrettanto disperata, ma almeno avrebbe tentato. Era l’unica cosa che poteva fare in quel momento.

“Stark, ho recuperato lo scettro di Loki e posso chiudere il portale.” La voce della Vedova Nera l’aveva stupita. Non pensava che qualcuno sarebbe riuscito ad arrivare così velocemente allo scettro. 

“Aspetta, devo mandargli un regalo ai Chitauri.”

“Tasha, non fare pazzie.” La voce di Steve Rogers sembrava preoccupata ed era l’unico che aveva capito cosa volesse fare probabilmente. La conosceva bene nonostante tutto. O forse proprio per il nonostante tutto.

“Nessuna pazzia. Basta che teniate il portale aperto per qualche istante di più.” L’idea era quella di piazzare la bomba nel portale e ritornare indietro. Non sapeva se fosse effettivamente fattibile. Non sapeva nemmeno se la sua armatura avrebbe retto il passaggio in un’altra dimensione, ma era la sola ed unica soluzione che le era venuta in mente. Non poteva far esplodere la bomba da nessuna parte perché era troppo vicina alla città. E farla esplodere nello spazio aperto - o almeno così presumeva - poteva essere una soluzione valida. 

“Signorina Stark, se oltrepassiamo il portale non sono sicuro che l’armatura possa continuare funzionare. Non è stata testata per volare oltre l’atmosfera terrestre. Vuole che la metta in comunicazione privata con il capitano Rogers?” Per quanto fosse solo una voce artificiale, J.A.R.V.I.S. sembrava quasi preoccupato mentre le parlava. Era riuscita a rendere la sua intelligenza artificiale più umana di quello che aveva previsto.

“Come preferisci, ma non ho nulla da dirgli.” Aveva mormorato, ma solo perché odiava quelle situazioni. Lei scappava. Lo aveva sempre fatto alla fine.

“Stark?” Odiava sentirlo preoccupato. Lo aveva sempre fatto. Adesso per lei era anche peggio, perché non sapeva nemmeno da che parte iniziare.

“E’ un’idea di J.A.R.V.I.S. quella di contattarti e parlarti.” Il portale era a pochissimi metri. Ora le sembrava un viaggio di sola andata. “Tenete il portale aperto, ma se non mi vedi tornare, chiudi tutto.”

“Cosa vuol dire “se non mi vedi tornare”? Ti avevo chiesto di non fare pazzie.”

“Non è una pazzia, è una soluzione. Non ne ho trovate altre, Steve. Non so nemmeno se ce ne sono altre.” Il portale era ad un passo. Oltrepassato non sapeva cosa sarebbe successo. “Forse dovremmo rimandare la nostra conversazione di chiarimenti.”

“Tasha, non osa---” 

Come aveva oltrepassato il portale la comunicazione con Steve si era interrotta. Aveva lasciato andare la testata nucleare che si stava dirigendo dritta verso quella che doveva essere l’astronave dei Chitauri. 

“Signorina Stark, il sistema sta andando in blocco.” La voce di J.A.R.V.I.S. si trascinava, come se stesse morendo. E lei non riusciva a muovere un solo dito perché il sistema interno dell’armatura non funzionava più. Tra poco non avrebbe più avuto ossigeno e non poteva rientrare a Manhattan. 

Ma era nello spazio aperto. Nessun essere umano si era mai spinto fino a lì. E lei poteva vedere le stelle. Le nebulose. E godersi anche l’esplosione dell’astronave dei Chitauri.

Tutto quello era uno spettacolo unico, e lei non poteva condividerlo con nessuno.

C’era lei. E lei soltanto. E non sapeva nemmeno a quanti anni luce fosse da casa in quel preciso istante. 

Era tutto meraviglioso e spaventoso allo stesso tempo. E tutto quello che sentiva era solo freddo e paura. 

Forse avrebbe dovuto dire a Steve tutto quello che aveva dentro da troppi anni. Doveva chiedergli scusa e doveva poi sparire per permettergli di essere felice con Sharon Carter. Magari così sarebbero andati oltre entrambi e avrebbero finalmente chiuso quel circolo vizioso che era il loro rapporto. 

Solo che faceva freddo e lei iniziava ad avere sempre più sonno.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Aprile 2009

 

Se ne stava seduta sul divano, ormai rovinato da qualsiasi furia si fosse scatenata nel suo salotto, con del ghiaccio che le copriva occhi e fronte. In mano aveva un bicchiere pieno di whisky ma non lo stava effettivamente bevendo. Non lo aveva neppure assaggiato, ma le serviva come salvagente per non lasciarsi andare in pensieri che in quel momento non voleva affrontare. Prevedeva già molte notti insonni con quel whisky come unico compagno.

Avevano combattuto contro degli alieni ed erano sopravvissuti. Non solo erano sopravvissuti ma addirittura avevano vinto. Non voleva sapere quante perdite in vite umane c’erano state. Non in quel momento in realtà. Ci avrebbe pensato più avanti conoscendosi e avrebbe cercato di fare qualcosa. Un fondo per chi aveva perso tutto. Aiuti concreti per ricostruire le case distrutte. Qualcosa avrebbe fatto.

Solo non riusciva a pensare lucidamente in quel momento. Il suo salotto era troppo affollato. C’erano troppi agenti S.H.I.E.L.D. che si aggiravano per il piano. Sentiva i loro stivali che stridevano sul pavimento, nei punti in cui non c’erano macerie. Sentiva il rumore del vetro rotto sotto gli stivali di tutti quelli che si trovavano nel raggio di pochi metri. Nelle sue orecchie arrivavano mormorii e non riusciva a concentrarsi su nulla, non riusciva a cogliere i suoni, ma solo perché la sua testa non riusciva a concentrarsi su nulla.

Non capiva sinceramente nemmeno come potesse davvero essere ancora lì. Ricordava benissimo il freddo gelido che era penetrato nella sua armatura e che le aveva avvolto perfino le ossa. Non sapeva più se era una sensazione reale o se era solo il suo cervello ad essere andato sotto shock e aveva deciso di farle sentire freddo. Perché sul suo corpo non c’erano segni di congelamento da nessuna parte. Ricordava nitidamente l’esplosione dell’astronave dei Chitauri. Sembravano mille fuochi d’artificio nello spazio aperto, con uno sfondo così scuro che sembrava inglobarla e non lasciarle alcuna via di fuga. 

Il buio ed il freddo erano le uniche cose che ricordava e non riusciva ancora a credere di essere nuovamente a Manhattan, nel suo attico, sul suo divano. Le sembrava così surreale perché credeva davvero che sarebbe morta questa volta, che finalmente la sua lenta danza con la morte avrebbe avuto fine e la signora vestita di nero se la sarebbe presa.

Ma non era stato così nemmeno questa volta. Doveva davvero avere una fortuna sfacciata o qualche santo che la proteggeva, perché non riusciva a spiegarsi come era riuscita a cavarsela contro gli alieni nello spazio aperto.

“Stark, se ti alzi ti porto al quartier generale dello S.H.I.E.L.D. e ti diamo una sistemata.”

Aveva spostato il ghiaccio da un occhio e aveva guardato Nick Fury di fronte a sé. Ovviamente era lì. Era arrivato subito dopo che lei aveva spedito la bomba del portale. 

“No, grazie. Mi basta avervi qui adesso per farmi venire la nausea. Se ti seguo morirò sicuramente stavolta.” Con la coda dell'occhio aveva notato Steve vicino a quelle che erano state le sue vetrate panoramiche che parlava con un uomo incravattato. Quello doveva essere il famoso Alexander Pierce, il gran capo di tutta la baracca. “Appena sloggiate me ne torno a Long Island e potrai mandarmi lì tutte le scartoffie. Per posta, grazie. Non voglio vedervi per qualche tempo.”

“Sai che questo non sarà possibile. Non questa volta con un evento di questa portata. Forse dovrò davvero mettere in piedi la boy band di cui ti parlavo.”

“Quando fai il simpatico mi fai venire i brividi.” Aveva spostato totalmente il ghiaccio dal proprio viso, e aveva finalmente bevuto un po’ di whisky. Il suo bellissimo attico nuovo era distrutto. Si era impegnata tanto per renderlo accogliente e cercare di sentirlo come casa. Non era facile. Malibu era casa. Quello era il posto in cui desiderava tornare in quel preciso istante nonostante fosse pieno di ricordi. O forse proprio perché era così pieno di ricordi. “Prendete il cubo, lo scettro, Loki, anche tutti gli altri se vuoi, ma fammi andare via di qui.”

Si era alzata in piedi e aveva visto Steve muovere subito qualche passo verso di lei. L’aveva tenuta sotto controllo tutto il tempo, e non aveva avuto dubbi su quello.

Anche se sperava con tutta sé stessa che l’avrebbe ignorata fino alla fine dei suoi giorni. 

Perché Steve “Mister Correttezza” Rogers aveva messo entrambi in una posizione scomoda, molto scomoda, e per una volta in vita sua voleva evitare qualsiasi scandalo.

“Stark, dovresti riposare.”

“Parla con la mano, Rogers.” Aveva alzato un palmo nella sua direzione e non lo aveva guardato. Non voleva guardarlo. Per una volta aveva delle remore morali verso una terza persona. 

Steve “Dannato Deficiente” Rogers aveva deciso arbitrariamente che doveva manifestare la sua presunta gioia nel vederla ancora viva dandole un bacio, che qualche maledetto reporter o un semplice cretino curioso a caccia del filmato perfetto da passare al telegiornale aveva giusto ripreso.

Sarebbe stato lo scoop dell’anno. Trasmesso e ritrasmesso ovunque, e sarebbe così arrivato agli occhi poco gentili della nuova compagna di Steve. E lei non poteva neppure darle torto questa volta. Aveva sempre odiato Sharon Carter, ma questa volta si sentiva quasi in colpa. E non era neppure colpa sua. Lei era solo quasi morta, il resto lo aveva fatto Steve da solo. 

Anche Fury aveva osservato Steve con il suo occhio buono, e non sembrava per nulla contento. Probabilmente anche allo S.H.I.E.L.D. c’era la regola che sul posto di lavoro non dovessero esserci storie d’amore tra colleghi. Con molta probabilità aveva anche chiuso un’occhio perché si trattava di Steve Rogers e la nipote di Margareth “Ti Spacco Il Culo” Carter, e ora non voleva trovarsi nel fuoco incrociato.

“Signorina Stark, è un piacere conoscerla finalmente, anche se le circostanze non sono delle migliori. Alexander Pierce, sottosegretario del Consiglio Mondiale della Sicurezza.” L’uomo le aveva porto la mano, sorridendo affabile, come per cercare di risolvere quella situazione di stallo. Peggio di un qualsiasi film romantico, ecco come stava vivendo quella sensazione.

“Natasha Stark.” Gli aveva stretto la mano e aveva sfoggiato il suo miglior sorriso. Falso come una moneta da 10 dollari, ma di questo nessuno si stupiva più. “E vorrei che tutti voi sloggiaste dal mio appartamento e anche dalla mia torre.”

Alexander Pierce le aveva rivolto un sorriso ancora più grande, e non sembrava affatto stupito dalla sua richiesta.

“Ora ce ne andiamo. Abbiamo preso quello che ci serviva e togliamo il disturbo.” L’uomo non le aveva dato modo di rispondere e aveva subito dato ordini di scortare fuori Loki, lo scettro e il Tesseract. Aveva notato solo allora che Bruce Banner era seduto in un angolo e sembrava terrorizzato dalla presenza di tutti quei agenti. Era stata nuovamente Natashacentrica e non aveva pensato a come il suo nuovo amico dovesse sentirsi in quella situazione. Il rapporto di Bruce Banner con militari e affini era molto molto molto peggiore di qualsiasi rapporto potesse avere lei. E voleva evitare di vedere Hulk nuovamente nel suo appartamento. O in quello che ormai ne restava.

“Bruciebear, non hai dimenticato che andiamo a mangiarci un po’ di sano shawarma adesso, vero?” Gli occhi di Banner erano su di lei in una frazione di secondo e aveva annuito quasi con un movimento impercettibile della testa. “Vengono anche gli altri, non ti preoccupare, che lo vogliano o no.”

“Se troviamo un posto aperto!” Clint Barton le aveva sorriso e in un istante le era accanto mettendole un braccio attorno alle spalle. “Mi stupisci, Stark. Ah, e piacere di conoscerti ufficialmente.” 

Aveva inarcato un sopracciglio guardando l’arciere, e poi aveva semplicemente scosso la testa sorridendo. Ci voleva leggerezza in quel momento, e quell’uomo lo sapeva visto come si stava comportando da quando avevano chiuso il portale. Aveva fatto qualche battuta già da quando Steve aveva combinato il danno. Esplicitamente gli aveva detto di non tornare a casa ma di scappare in Messico e diventare Capitan Mexico. Gli aveva dato anche qualche consiglio sul suo nuovo costume e come fingere un accento messicano. Gli aveva consigliato di farsi crescere i baffi e tingere subito i capelli.

“Non credo sia il caso di farci vedere troppo in giro in questo momento. Dovremmo andare tutti quanti al quartier generale e riprenderci lì.”

Aveva massaggiato gli occhi e sbuffato. Non aveva davvero alcuna voglia di starlo ad ascoltare. Non in quel momento in cui sperava che il video non fosse già online, ma ne dubitava caldamente. 

“Tu fai quello che vuoi, non sei il nostro capo. E io non rispondo a nessuno qui presente ma solo e soltanto a me stessa.” Si era voltata e lo aveva guardato negli occhi, seria come forse poche volte lo era stata in passato con lui. “Io e i miei nuovi amici ce ne andiamo a mangiare. Tu e la Romanoff potete seguire Fury se preferite.”

“Veramente, vengo a mangiare anch’io con voi stavolta.” Con la coda dell’occhio aveva notato la Vedova Nera alzare un braccio e subito dopo Clint Barton le batteva il cinque. Erano tutti contro Steve in quel momento. Sicuramente anche Thor, che in quel momento era troppo impegnato a controllare che le manette del fratello fossero ben chiuse.

Steve aveva sostenuto il suo sguardo. Aveva corrugato le sopracciglia ed era in modalità Capitan America in quel momento, non semplicemente Steve Rogers. Cercava di intimorirla con la sua aura da maschio alpha solo che con lei quelle cose avevano smesso di funzionare da molto tempo. 

“Mangiamo e poi torniamo a casa. Non è saggio restare troppo in giro.” L’aveva guardata ancora per un istante e poi le aveva dato la schiena. La tentazione di alzare una mano e fargli il medio era enorme. E non sapeva cosa la stesse fermando dal farlo davvero. Forse solo la voglia di avere una parvenza di buon senso.

Steve si era avvicinato a Fury. Gli aveva detto qualcosa a bassa voce perché non aveva sentito alcun mormorio. E l’aveva guardata ancora. 

Sapeva bene che le cose non erano finite così. Ci sarebbe stato il round #2 e non era pronta per parlare seriamente. Lo era stata sull’Hellicarrier quando era convinta che sarebbero morti tutti entro poche ore e non aveva quindi nulla da perdere. Ora invece non lo era più. Non voleva più affrontare discorsi seri con Steve. Soprattutto certi. 

“A me sembra che la cotta di Rogers non sia ancora passata.” Clint aveva guardato la Romanoff, continuando però a tenere un braccio attorno alle sue spalle.

“Steve deve fare pace col cervello stavolta. Si è cacciato in una situazione pessima.” 

“E per una volta non è colpa mia.”

“Non direttamente.” La Romanoff le aveva sorriso ed era un sorriso caldo, aveva notato stranamente. “Ma è sempre un po’ colpa tua quando si tratta di Steve, almeno di questo dovresti essere conscia.”

“No no, stavolta è colpa di Fury che mi ha portata sull’Hellicarrier su cui c’era anche Steve ed era impossibile evitarlo anche se avrei voluto tantissimo. E poi è colpa di Steve che non so che diavolo gli abbia detto il cervello sul serio.”

“Non puoi essere davvero così ingenua. So che non ti conosco, ma sei Natasha Stark. La sua Tasha di cui parlava fino a farci venire il vomito. Davvero non immagini perché ti abbia baciata?” Clint Barton aveva ridacchiato e scosso la testa, e poi si era allontanato di qualche passo per richiamare l’attenzione di Thor. Non le aveva dato neppure il tempo di ribattere qualcosa. Avrebbe tanto voluto dire che non era così. Steve se ne era andato. Steve aveva le scatole piene di lei e dei suoi problemi. 

“Non pensarci troppo.” Natasha Romanoff le aveva messo una mano sulla spalla, stringendo lievemente, come per darle conforto. “Pensa piuttosto a trovare un posto aperto adesso.”

 

✭✮✭

 

Non aveva mai visto il salotto della casa dei suoi genitori così affollato da gente svaccata ovunque si potesse appoggiare il proprio fondoschiena stanco. Non aveva trovato altra soluzione che trascinarseli tutti con sé fino a Long Island. Avevano mangiato shawarma nel primo posto che avevano trovato aperto, per modo di dire, subito fuori dalla torre. Ma non prima di aver assistito ad una penosa telefonata da parte di Sharon Carter. 

Non poteva neppure incolpare la donna. Lei probabilmente avrebbe fatto molto peggio di una semplice telefonata se fosse stata al suo posto. Si sarebbe precipitata a New York alla velocità della luce e avrebbe fatto una piazzata degna di tale nome.

Nessuno era riuscito a bloccare la pubblicazione del video su YouTube, ed era ovviamente diventato virale in men che non si dica. E naturalmente Sharon Carter lo aveva visto subito. 

Steve Rogers aveva mangiato il suo shawarma con la faccia di un cane bastonato e lei ne era infastidita. Infastidita perché odiava vederlo così. E infastidita perché si sentiva in colpa per qualcosa che stavolta non aveva potuto neppure evitare. 

Aveva cercato il video non appena erano arrivati alla Stark Mansion di Long Island. E se fosse stato un momento diverso della sua complicata e burrascosa relazione personale con Steve, con molta probabilità lo avrebbe trovato in qualche modo dolce, romantico, e forse un po’ disperato. 

Hulk l’aveva presa al volo mentre stava precipitando dal portale ormai chiuso mentre lei era priva di coscienza e cadeva a peso morto. Se Banner non l’avesse presa al volo sarebbe sicuramente morta con l’impatto con l’asfalto. Adagiata in malo modo a terra dall’omone verde, Steve le era subito addosso per controllare i suoi parametri vitali, dopo aver strappato la visiera del suo casco. Chi aveva fatto il video doveva in realtà essere anche abbastanza vicino al gruppo di supereroi, perché era riuscita a vedere l’espressione di Steve nitidamente. Sembrava disperazione. Sembrava triste e distrutto come poche volte lo aveva visto. Ed era arrabbiata per quello che vedeva. Steve se ne era andato. Steve ne aveva le scatole piene di lei. Glielo aveva detto. Glielo aveva urlato mentre faceva i bagagli e lei se ne restava ferma ed immobile sulla soglia della porta di quella che era stata la loro stanza. Non era riuscita a dirgli nulla, perché non era nello stato mentale giusto per fermarlo, ma questo non lo avrebbe mai ammesso a nessuno. Andava bene in quel momento. Steve aveva preso una scelta e lei l’avrebbe rispettata perché non sapeva come aiutare sé stessa figuriamoci lui e la loro relazione.

C’era stato un capolinea ed entrambi erano scesi da quel treno per prendere strade diverse. Steve si era trasferito a Washington, glielo aveva comunicato lui stesso. Forse per tenerla informata, forse per darle una possibilità di fare qualcosa. Ma lei non si era mossa nella sua direzione. Gli aveva augurato buona fortuna e si era nascosta nelle cose che le davano conforto. I suoi robot, le sue armature, l’alcool. E infine era tornata a New York per costruire la Stark Tower e dominare Manhattan. 

Steve Rogers non avrebbe mai dovuto baciarla. E non solo perché aveva un’altra relazione, ma perché la loro relazione era finita. Per lei, vedere quel filmato era stato un colpo al cuore perché Steve era distrutto e quello per lui doveva essere un bacio d’addio visto che l’avevano creduta morta per qualche istante. 

E lei non lo voleva. C’erano state tante emozioni tra di loro. Una passione così ardente che si incontra forse una volta nella vita. Per lei poi Steve era il primo amore. Era l’uomo che nonostante tutto, nonostante tutti gli anni che avevano passato separati, aveva sempre amato.

Vederlo ora, seduto in quel salotto in cui avevano anche convissuto insieme, con una birra in mano, presente fisicamente ma non mentalmente, aveva un ché di sbagliato. Voleva tornare a quando aveva 20 anni e bastava abbracciarlo per sistemare le cose. Perché ora, in quella situazione, non avrebbe potuto dire o fare nulla. Qualsiasi cosa avrebbe peggiorato le cose.

“Stark, non riesco a capire perché ti sei costruita quell'immensa torre in città quando hai questa casetta niente male qui.” Clint Barton, seduto nella poltrona su cui aveva spesso visto suo padre quando era in vita, aveva alzato la birra in aria facendola roteare come a segnare tutta la stanza che li circondava.

“Perché puzza di naftalina.” Aveva bevuto un generoso sorso di birra e voleva così tanto distogliere la sua attenzione da Steve ma non ci riusciva proprio. “Preferisco il mio piccolo rifugio di Malibu.”

“Chiamalo piccolo.” Natasha Romanoff le aveva sorriso. Era seduta accanto a Clint, e si stava seriamente chiedendo che tipo di relazione potesse esserci tra loro due. Erano entrambi troppo coinvolti uno dall’altra, ma non riusciva a capirli. “La tua cabina armadio è più grande del mio appartamento.”

“Questo perché dovresti chiedere un aumento a Fury. L’ho sempre detto anche a Steve che venite pagati troppo poco per il lavoro che fate.” Come aveva pronunciato il nome dell’uomo lo aveva visto subito spostare lo sguardo su di lei, come se fino a quel momento non fosse lì con loro. E con molta probabilità non lo era. Era sicuramente perso nei propri pensieri che dovevano essere tutt’altro che piacevoli. Era riuscita a rivolgergli un piccolo, timido sorriso e Steve aveva sospirato.

“Scusatemi, ho bisogno di una boccata d’aria.” Si era alzato senza aspettare che qualcuno dicesse qualcosa ed era uscito dalla stanza. Natasha era sicura fosse andato in giardino.

“Noto che Rogers si muove con una certa dimestichezza in questa casa.” Clint lo aveva seguito con lo sguardo, prima di scolarsi la birra in un solo sorso. 

“Ha vissuto anche lui qui per un periodo. Non abbiamo convissuto solo a Malibu.” Aveva alzato le spalle.

“Stark, tu hai una relazione con Rogers? Per questo ti ha baciata?” Thor, il possente dio del tuono, la guardava come un bambino che non capiva la matematica. 

“Se avessero una relazione sarebbero in camera da letto adesso, non qui con noi.” Aveva guardato male Clint Barton che si prendeva troppe libertà, ma sapeva anche che in realtà aveva ragione.

“Hanno avuto la love story del secolo, ma poi di punto in bianco sono scoppiati come una bolla di sapone e stranamente sono riusciti a tenere nascosto il motivo alla stampa.” Natasha Romanoff aveva sorriso lievemente in direzione di Thor.

“Tanto sono sicura al 100% che a te Steve ha raccontato tutto.” Si era alzata dal pavimento su cui era stata seduta fino a quel momento, e aveva fatto un lungo e stanco sospiro. “Vado a vedere cos’ha e vi prego, che nessuno informi Carter che siamo rimasti di nuovo da soli. Vorrei evitare uno scontro diretto con lei.”

Era uscita anche lei dal salotto e come aveva previsto Steve era in giardino. Era in realtà molto indecisa sul da farsi. Avvicinarsi ora a lui avrebbe voluto dire che dovevano parlare. Parlare seriamente e di cose di cui non voleva più parlare. 

Steve Rogers era appoggiato sul bordo della ringhiera che separava il portico dal giardino. Con le dita di una mano si massaggiava gli occhi e qualcosa le diceva anche che sapeva quali fossero il suoi pensieri. Odiava il fatto che a distanza di anni ancora conoscesse così bene quell'uomo. 

“Steve, se devi avere quel muso lungo non faresti meglio a tornare a Washington?” Si era appoggiata al muro dopo essere uscita e aver chiuso la porta. Voleva lasciare dello spazio tra di loro, come a dirgli ci sono, sono qui, ma non come una volta. Voleva mantenere distanza tra di loro, come tutta quella che avevano avuto negli ultimi due anni. 

“Mi ha detto di non tornare.” Aveva sospirato e l’aveva guardata. “Farà recapitare tutte le mie cose al quartier generale di Washington. Ho provato a telefonarle più volte, ma non risponde. Addirittura mi ha telefonato Peggy e non è stata una conversazione per nulla piacevole.”

“Lo sapevo che non era il caso che noi due ci incontrassimo ancora. Non pensavo ad un finale simile, ma sapevo che non era una buona idea.” Non riusciva a smettere di guardarlo e c’era una minuscola parte del suo cervello che le ripeteva che Steve era di nuovo single, che ora non aveva nulla di cui sentirsi in colpa. Ma non era così. Vederlo così turbato e sapere di esserne la causa la faceva sentire in colpa, anche se effettivamente non lo era.

“Era necessario stavolta.” La guardava ancora e avere una conversazione civile e pacifica era davvero strano. Sull’Hellicarrier, subito dopo Stoccarda, non era stato così benevolo alla sua presenza. “Come stai?”

“Bene, sto sempre bene.” Lo aveva visto inarcare un sopracciglio e sapeva che con lui non poteva bluffare. “Non lo so in realtà. Mi sembra strano essere qui in questo momento. Quando ero lassù mi sembrava di essere inghiottita dal buio e credo che stanotte dormirò con tutte le luci accese.”

“Credevo di averti persa per sempre.” 

Steve aveva parlato a bassa voce, ma era riuscita a sentirlo. E non voleva. Non voleva nuovamente ripercorrere tutte quelle emozioni che Steve le faceva provare facendola sentire ancora una ragazzina di 16 anni alla sua prima cotta. 

“Te ne sei andato tu l’ultima volta.” In quella frase era tutto sbagliato. In una coppia non era normale andarsene, come invece loro facevano in continuazione. Non c’era nulla di sano in tutto quello. E ancora meno sano era il fatto che continuavano a gravitare uno nell’orbita dell’altro e quando finivano per collidere era sempre un disastro per entrambi. Solo che non riusciva a definirla una relazione tossica. Non era sana, non era normale, ma non era tossica. Insieme non erano mai stati tossici uno per l’altra. Steve l'aveva sempre fatta sentire migliore. L'aveva spronata a dare sempre il meglio di sé. Tutte le altre sue “relazioni” erano tossiche, ma non quella con Steve Rogers. 

“Non riuscivo più a vederti in quello stato. Non ti facevi aiutare da nessuno, e non sapevo più cosa fare.” 

Lo sapeva. Non aveva bisogno che Steve glielo dicesse per sapere che la colpa era stata sua e non aveva scusanti per quello che era successo. Lei si era rinchiusa nel suo dolore e non aveva permesso a nessuno di penetrarvi. Tanto meno a Steve. 

“Non voglio parlarne.”

“Vedi? Hai fatto la stessa cosa all'epoca.” Steve aveva sorriso, ma era un sorriso triste, pieno di amarezza e rimorso. “Tu non vuoi mai parlarne, e finiamo inevitabilmente a litigare, a lasciarci, a ritornare insieme, e lasciarci ancora. E ogni volta senza uno straccio di chiarimento.”

“Anche parlando non possiamo cambiare quello che è stato.” Aveva spostato lo sguardo dal suo perché si sentiva a pezzi. C’era stato un momento sull’Hellicarrier in cui aveva voluto parlare, ma forse solo perché era mossa dalla disperazione, dalla sicurezza di non avere una seconda possibilità di chiedergli scusa. Voleva il perdono per potersene andare con la coscienza leggera. 

“No, cambiare il passato non si può, chi meglio di me lo può sapere questo.” Si era mosso dalla ringhiera e le si era avvicinato. Avrebbe tanto voluto scappare, mettere altro spazio tra di loro, ma non riusciva a muoversi. Era come se i suoi piedi avessero messo radici in quel posto e non volevano nemmeno tentare di spostarsi. “Tu non mi hai mai permesso di aiutarti. Non so perché hai sempre avuto questo comportamento anche con me. Posso capire il voler tenere lontano tutti gli altri, ma me?”

“Non so chiedere aiuto, Steve. Risolvo le cose da me, con i miei modi per quanto siano discutibili e dannosi.”

“Ma io ero il tuo compagno, non uno sconosciuto qualsiasi.”

“Ho perso un bambino, Steve!” Senza rendersene conto aveva alzato la voce. E non voleva vedere quella espressione sul volto di quell’uomo. Non di nuovo. Non voleva rivivere tutto un’altra volta. Si era spezzato ancora una volta di fronte a lei ed era sempre straziante vederlo così a causa sua. 

“Era anche mio figlio.”

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Aprile/Maggio 2009

 

Aveva passato la notte nella sua vecchia stanza. Era totalmente vuota. Non c’era più nulla che appartenesse alla sua vecchia vita tra quelle mura, a parte i mobili. Tutta la casa era quasi così, svuotata della maggior parte delle cose che le erano appartenute, a cui era stata abituata. 

Le aveva portate a Malibu. Le aveva portate a Manhattan. 

In quelle mura erano rimaste però le cose dei suoi genitori. I mobili e i soprammobili. Le tende che aveva sempre trovato orrende ma che non aveva mai tolto, neppure dopo la morte di sua madre. O tutte le ceramiche di cui sua madre era tanto orgogliosa. Quelle non le aveva mai spostate. Le aveva lasciate lì perché non le sembrava giusto spostarle. Appartenevano a quella casa e ai fantasmi del passato che la infestavano.

Ma aveva cancellato sé stessa da quella casa. Se ne era resa conto quando vi aveva soggiornato in occasione della Expo. Aveva minuziosamente svuotato la casa di tutto quello che le era appartenuto. 

Tranne dei ricordi. Perché in quella stessa stanza aveva passato dei momenti indimenticabili con Steve Rogers. La sua prima, la loro prima convivenza, era successa tra quelle mura. Tante cose erano successe tra quelle mura. 

Il loro primo bacio quando era ancora solo una ragazzina, e che non aveva portato a nulla. Solo al consolidarsi della loro amicizia e dei sentimenti che aveva sempre provato per quell’uomo. 

Avevano vissuto lì, erano diventati una coppia sempre lì, solo a seguito ad uno degli eventi più traumatici della sua vita. Perché poteva fare finta che non l’avesse mai toccata più di tanto, ma la morte dei suoi genitori era stato, lo era sempre, un trauma non da poco. Ritrovarsi orfana a 19 anni, per quanto fosse oppositiva con i suoi genitori come ogni adolescente che si rispetti, non era stato un colpo che aveva saputo attutire. Ma Steve era riuscito a rimetterla in piedi. Erano stati felici. Oh, se erano stati felici. Aveva passato dei mesi che definire spensierati sarebbe stato sbagliato. Erano stati dei mesi magnifici. Dei mesi in cui aveva potuto quasi toccare il cielo con un dito.

La morte di Jarvis era stato un altro colpo non indifferente, giusto quando si stava riprendendo del tutto e stava finalmente bene. Era stata felice in quei mesi in quella casa. C’era Steve, c’era Jarvis. Mancavano Howard e Maria, era una assenza pesante, ma era riuscita ad essere felice. Ma la morte del maggiordomo di famiglia, che le aveva fatto anche da padre in più di una occasione, era stata la goccia che aveva fatto straripare un vaso troppo pieno di emozioni, non tutte positive, che non era riuscita a controllare.

La sua vita era precipitata e non sapeva se si era in realtà mai ripresa sul serio. Con molta probabilità no. Aveva passato degli anni interi passando da un eccesso all’altro per cercare di stare bene, di riprendersi, ma non c’era stato verso di rimettersi davvero in carreggiata.

Poi c’era stato il suo viaggio di lavoro in Afghanistan. Da quella esperienza e tutto quello che ne era conseguito non si sarebbe mai ripresa, perché era alla fin fine tutto collegato. La sua vita davvero si poteva dividere in pre e post Afghanistan. Cercava di non pensarci. Cercava di dire a sé stessa che la sua vita non era cambiata. Ma erano tutte bugie che diceva a sé stessa per poter dormire la notte.

L’Afghanistan aveva portato delle conseguenze sia sulla sua mente che sul suo corpo. 

Aveva sempre saputo che Steve Rogers desiderava avere una famiglia. Dei piccoli biondissimi baby Rogers con cui riempire una casetta in periferia con la staccionata bianca e la bandiera americana in giardino, dove avrebbero grigliato ogni domenica e fatto grandi festeggiamenti per il 4 luglio. Lo aveva sempre preso in giro che quella era la sua casa ideale, e Steve le sorrideva con dolcezza quando lo diceva. 

Aveva accettato tutto quell’uomo. Aveva accettato la sua mancanza di istinto materno all’inizio, giustificata anche dalla giovane età, e aveva accettato la sua incapacità fisica poi di mettere al mondo dei figli. Glielo aveva detto che sarebbe rimasto con lei con o senza figli. Si poteva essere una famiglia anche così, solo loro due e i suoi robot. Non erano i figli che avrebbero cambiato quello che c’era tra loro. Glielo aveva detto una notte in quella stessa casa, dopo la Expo e Vanko, mentre avevano soggiornato a New York per qualche tempo prima di ritornarsene a Malibu. 

Invece i figli avevano alla fine cambiato tutto.

E per due anni lei non aveva smesso di pensarci. Era diventato un tarlo nella sua mente e la stava logorando. Anche perché lei non aveva fatto, come sempre, assolutamente nulla per risolvere il problema. Non ne aveva parlato con nessuno, cambiando sempre argomento se anche solo vagamente saltava fuori con le poche persone che ne erano a conoscenza. E ancora meno era andata in terapia. 

Era stata una gravidanza inaspettata, ma stranamente non indesiderata. E si era stupita anche di questo. Nonostante le avessero detto che le sue possibilità di concepire un figlio erano molto basse, avevano sempre avuto rapporti protetti. Non voleva rischiare nemmeno un po’ di mettere al mondo un essere umano che poi sarebbe cresciuto uno sbandato sicuramente avendo lei per madre. E Steve era molto preciso su questo e i loro rapporti erano sempre stati protetti. Se ci fosse stata anche solo una piccola possibilità di avere dei figli, dovevano deciderlo insieme e non lasciare tutto al caso, le diceva sempre. E come si poteva non amare un uomo che ti diceva così e lasciava a te la decisione finale? Steve aveva sempre rispettato la sua scelta di non volere dei figli. E forse era proprio per questo che aveva iniziato a cambiare lentamente idea e seppur sapesse che era quasi impossibile, non le faceva più ribrezzo l’idea di avere dei figli.

Il suo ciclo non era mai stato molto regolare. Da ragazzina non le veniva anche per mesi, causandole a volte qualche preoccupazione. Da ventenne quasi non ci pensava. E dopo l’Afghanistan si stupiva di averlo ancora. 

Si era alzata dal letto e aveva deciso che doveva farsi un caffè. Non aveva praticamente dormito tutta la notte. Tutti quei pensieri e il ricordo della battaglia non le permettevano di dormire. Tanto valeva iniziare la giornata, che sarebbe stata molto lunga. Già prevedeva l’arrivo di Pepper e Rhodes, e una lunga paternale da parte dell’uomo. 

Non si era stupita quando in cucina aveva sentito la radio accesa e l’odore di caffè già pronto. Se non aveva dormito lei, non aveva dormito nemmeno Steve Rogers. Probabilmente non avevano dormito nemmeno gli altri ma erano ancora nelle stanze degli ospiti. Natasha Romanoff aveva deciso di condividere la sua con Clint Barton ed era curiosa da morire di scoprire che tipo di relazione avessero. Anche solo per non pensare ai suoi di problemi.

Era rimasta sulla soglia, indecisa se entrare in cucina o battere in ritirata. 

Non era pronta per un nuovo confronto.

La sera prima lo aveva visto nuovamente sgretolarsi davanti ai suoi occhi con una semplice frase. E aveva battuto in ritirata. Non aveva ribattuto niente perché non c’era nulla che potesse davvero dire. Dimenticava sempre che la perdita non era soltanto sua, ma anche di Steve. 

Erano passati due anni e sembrava che nessuno dei due si fosse mosso davvero in avanti da quel giorno. 

Solo che vedere Steve Rogers in quella cucina a preparare nuovamente il caffè e la colazione era qualcosa di così familiare che voleva piangere. Erano troppe le emozioni che aveva tenuto imbottigliate negli ultimi giorni e non sapeva se sarebbe riuscita a trattenersi.

Era fatta di ferro. Gli Stark erano di ferro. Ma anche il ferro a volte si piegava, questo Howard si dimenticava sempre di dirglielo. Se si esercitava la giusta pressione, se si scaldava, anche il ferro si piegava e non tornava più lo stesso di prima.

“Quando hai fatto la spesa?” Aveva mosso qualche passo in cucina per avvicinarsi alla credenza in cui c’erano le tazze per la colazione. 

“E’ stato Fury. Ci ha fatto consegnare la spesa e ci ha consigliato di rimanere qui per qualche giorno. A quanto pare molte persone non sono contente di come siano andate le cose.” Non l’aveva guardata, ma almeno le aveva parlato normalmente. Stava preparando i pancakes e si rendeva conto solo adesso di quanto le era mancato anche tutto questo. 

Avere qualcuno con cui fare colazione, qualcuno che ti prepara la colazione. Dopo Steve non c’era mai stato nessuno con cui aveva davvero voluto sedersi e fare colazione. Non che avesse avuto davvero delle relazioni degne di nota negli ultimi due anni. 

“Le persone non sono mai contente, e non posso biasimarli questa volta. Midtown è stata distrutta e non ci sono neppure i colpevoli. Solo noi. O io, di solito. Finiscono sempre per prendersela con me alla fine.” Aveva versato il caffè in una tazza, spostandosi solo un po’ da Steve per prendere il latte dal frigo.

“Per forza, sei un civile che gioca a fare il supereroe.”

“Ancora con questa storia. Mi farai di nuovo la predica per Stoccarda? Fino a prova contraria alla fine vi ho salvato il culo a tutti, perché se fosse stato per i tuoi capi adesso saremmo tutti quanti cenere radioattiva.”

“No, stavolta nessuna predica. Quello che hai fatto ieri è stato da vera incosciente, ma se non fosse stato per te, come hai detto, non saremmo qui.” Aveva impiattato alcuni pancake su due piatti e li aveva portati al tavolo. “Mi fai compagnia?”

Lo aveva guardato e non sapeva più cosa fare, come fare. Era rassegnato come lei al fatto che non sapevano funzionare da persone sane e normali quando si trattava dell’altro.

“Sai che questo porterà altre battute ambigue da parte di Barton?” Si era seduta di fronte a lui, con il caffè ancora in mano, e lo aveva guardato. “Dovevamo davvero salvarlo?”

“E’ molto importante per Natasha.” Steve le aveva rivolto un leggero sorriso, ma non era spensierato. Era pensieroso. Era triste. Stare insieme aveva con molta probabilità risvegliato i ricordi anche in lui.

Era andato più avanti di lei. Aveva avuto una nuova relazione. Una nuova convivenza. Aveva cercato almeno una parvenza di normalità e stabilità. Non sapeva molto altro, ma sapeva che Steve Rogers aveva sicuramente messo tutto sé stesso per far funzionare al meglio la relazione con Sharon Carter. Fino a quando lei non era ricomparsa di nuovo nell'equazione. 

“Hai provato a sentire Sharon?”

“Non vuole proprio sentirmi più.” Aveva sospirato e l’aveva guardata. “Ha sempre avuto paura di un ritorno di fiamma, come lo definisce lei, e non vuole ascoltarmi.”

“Non è un ritorno di fiamma, vero?”

“Non lo so.” Si era passato una mano sul viso e l’aveva guardata con una tale intensità che le sembrava che tutto il suo corpo fosse scosso da qualcosa. “So solo che ero convinto di averti persa per sempre. Davvero questa volta. E’ successo troppe volte che tu fossi ad un passo dalla morte, ma in qualche modo sei sempre ritornata qui, da me. Stavolta eri fredda e non respiravi. E le emozioni hanno avuto il sopravvento. Non posso neppure arrabbiarmi con Sharon se non vuole più parlarmi. Tutto il mondo ha visto.”

“Non ho ancora avuto il coraggio di controllare i titoli dei giornali, e nemmeno il mio cellulare ad essere onesta. Sicuramente avrò almeno una dozzina di messaggi da parte di Rhodey, e altrettante telefonate da Johnny.” 

“Ah, è vero. Stai uscendo con lui.”

“Uscire è una parola grossa e dovresti saperlo anche tu.” Aveva sorriso un po’ e vedere anche il viso di Steve distendersi era confortante. “Lo sa anche lui di essere solo un rimpiazzo e nulla di più. Ti pare che posso avere una relazione seria con Johnny Storm?”

“Beh, stando ai titoli dei giornali siete una coppia molto discussa e affiatata.”

“Stronzate, come sempre. Ogni volta che finisco su qualche giornale diventano relazioni molto discusse e affiatate. Anche con te erano sempre uguali i titoli.”

“Tiberius Stone. Ritorno di fiamma?”

Aveva buttato la testa all’indietro, rilasciando un gorgoglio non ben definito, un misto di frustrazione e rassegnazione.

“Non stavo bene, ok? Doveva essere solo una cena di lavoro, non eravamo neppure da soli al ristorante quella sera. Ma non stavo bene e avevo bisogno di contatto fisico. Come suona patetico detto a voce alta.” Aveva nascosto il viso tra le mani e aveva sospirato. Non stava bene, decisamente. Era successo veramente pochissimo tempo dopo che Steve l’aveva lasciata. E quando Steve non c’era lei non sapeva più funzionare. 

“Adesso mi rendo conto che non me ne sarei dovuto andare e lasciarti da sola, ma non sapevo reagire diversamente.” Steve aveva parlato dopo diversi attimi di silenzio. Aveva parlato lentamente come se dovesse soppesare ogni parola che stava pronunciando. “Ma a mia discolpa posso solo dire che non stavo bene nemmeno io in quel periodo. Non sapevo cosa fare né con te né con me stesso e ho scelto la strada più breve alla fine.”

“Siamo tossici uno per l’altro.” Aveva scosso la testa e lo aveva guardato ancora. “Mettiamo tutte le carte in tavola?” Aveva chiesto con titubanza e non sapeva nemmeno lei perché lo aveva chiesto. Ricordava ancora perfettamente il momento in cui aveva fatto il test di gravidanza. Aveva avuto un ritardo importante, ma non gli aveva dato molta importanza in un primo momento. Era sempre così il suo ciclo. Veniva quando voleva, senza seguire un calendario fisso.

“Avevi nausea in continuazione e vomitavi. Credevo fosse di nuovo avvelenamento per via del reattore arc. Anche perché solo pochi mesi prima ti avevo trovata in bagno più e più volte a vomitare e mi assicuravi che non eri affatto incinta.” 

“Come potevo essere incinta se hai sempre messo il preservativo? Spiegami questo.”

“Beh, a quanto pare per una volta aveva fallito in seguito, no?” Le aveva rivolto un timido sorriso, ma i suoi occhi non sorridevano. C’erano troppe emozioni profonde in quello sguardo e non era più sicura di voler continuare quella conversazione nonostante l’avesse iniziata lei.

“Ne ero felice, sai? Terrorizzata fino alle ossa, ma lo vedevo quasi come un miracolo. Era un miracolo.” Il test di gravidanza era stato più che positivo. La seconda lineetta rosa era da subito diventata molto marcata, con suo sommo orrore nel primissimo istante in cui l’aveva guardato. 

Era già incinta di 7 settimane quando aveva fatto la prima visita. Avevano sentito il cuore battere come un treno e aveva pianto. Aveva pianto come una sciocca guardando l’ecografia sullo schermo. Era un puntino. Era ancora così minuscolo che non aveva un filo di pancia e non aveva messo su nemmeno un grammo. Ma era lì. Era lì, sano e forte.

Aveva fatto subito dei progetti. Il ginecologo le aveva consigliato di non strafare, poteva capirlo. Lei si portava sempre fisicamente al limite. Aveva ascoltato il consiglio e come aveva promesso una volta a Steve, aveva abbandonato Iron Woman. Non stava neppure lavorando più sulle armature o sul migliorare il nuovo reattore. Si era concentrata su quel fagiolo che aveva nella pancia e stava progettando la nursery. Stava facendo ricerche su cosa dovesse avere per forza in casa per l’arrivo di un bambino. 

Mancava troppo tempo, era al solo inizio, ma voleva che fosse tutto pronto per tempo. 

“Ne ero felice anch’io. Tu eri radiosa e sembrava che camminassi sulle nuvole. Credo di non averti mai vista così serena come in quei mesi.”

Sarebbe stato un maschio. Lo avevano scoperto da soli guardando lo schermo. Steve le teneva la mano quando lo aveva sentito chiedere titubante se quello che vedeva era un pisellino. Aveva riso guardando il viso di Steve e gli aveva stretto la mano. Era a 15 settimane e tutto stava procedendo fin troppo bene. Non c’erano più le nausee e tutto stava procedendo bene. Il bambino cresceva e anche i suoi chili. 

Solo che se sei Natasha Stark devi sapere che le cose belle per te non vanno mai a buon fine.

Gli avevano dato un nome. Avevano deciso che sarebbe stato James Rogers-Stark, in onore dei loro migliori amici. Non avevano dovuto nemmeno discutere perché avevano le idee molto chiare sui nomi. 

Solo poche settimane dopo avergli dato un nome si era ritrovata in un lago di sangue mentre era tranquillamente seduta sul divano a lavorare sul tablet. Non c’erano state minacce di aborto. Stranamente la placenta era attaccata benissimo. Il bambino stava benissimo. Ma doveva sapere che nulla di bello sarebbe mai stato duraturo.

“Non ci voglio mai più passare, Steve. Non ci posso più passare.” Aveva abbassato lo sguardo perché non era sicura che sarebbe riuscita a trattenere le lacrime. Non ci riusciva mai quando le tornava in mente, e purtroppo succedeva spesso. “Stava andando tutto così bene e noi eravamo felici. Quasi metà gravidanza senza nemmeno un problema, non ti sembra troppo crudele così?”

Prima che se ne rendesse conto era tra le braccia di Steve. L’uomo la stringeva con forza e quello aveva rotto gli argini. Si era aggrappata a lui come se la sua vita dipendesse da quello, e si era sentita piccola e impottente come si era sentita all’epoca. 

Non c’era stato nulla da fare. Quando era arrivata in ospedale non c’era più battito e avevano solo dovuto aspettare. Non era nemmeno riuscita a piangere in quel momento. Era troppo sotto shock, e non era sicura nemmeno di ricordare cosa le avevano detto.

Solo una cosa aveva capito. Era stata colpa sua. Non l’avevano messa in questi termini, ma già alla prima visita avevano notato che il suo utero aveva dei problemi. Gentile ricordo lasciato dall’Afghanistan anche quello. L’infezione che aveva avuto in seguito al suo primo aborto aveva fatto danni. Yinsen l’aveva curata come meglio aveva potuto, ma erano in una caverna con a stento dell’acqua potabile. Era già tanto che fosse sopravvissuta.

Questa volta era in un ospedale all’avanguardia. Circondata da medici e infermieri. E Steve con lei che non aveva smesso di tenerle la mano per tutto il tempo. 

Partorire e sapere che non avrebbe avuto nulla da stringere in braccio era stato troppo per lei. Non lo pensava possibile. Credeva che non avrebbe mai avuto attaccamento verso qualcuno che in realtà non aveva ancora conosciuto. Per scaramanzia continuava a chiamare il bambino feto, come se rivolgersi a lui con un nome proprio potesse portare male. Aveva sempre avuto il terrore che quella gravidanza non arrivasse a termine. Non lo aveva mai detto a voce alta, men che meno a Steve. Ma ne aveva sempre avuto il terrore. 

Una gravidanza su tre si interrompe entro il primo trimestre, e fortunatamente erano fuori da quel lasso di tempo. Erano statistiche, e lei ragionava sempre con i numeri alla mano. Aveva motivi reali per avere dei timori, ma voleva essere fiduciosa nonostante tutto e lasciare le proprie paure solo per sé. Anche solo per non rovinare l’entusiasmo di Steve. 

Era felice e radioso. Le toccava una pancia che ancora non si vedeva affatto e sorrideva nel mentre. 

Era una cosa nuova per entrambi. Era uno step che non avevano proprio immaginato nella loro relazione, ma l’avevano presa meglio del previsto. 

Erano felici.

“Non è giusto, no.” Steve le aveva accarezzato i capelli e quella era stata la goccia che aveva aperto i suoi condotti lacrimali. Non aveva pianto tra le braccia di Steve da quel giorno in ospedale quando tutto era finito. Non se ne erano resi conto, ma già in quel momento qualcosa tra entrambi si era spezzato.

Dopo nemmeno tre mesi, Steve se ne era andato da Malibu. Lei non aveva fatto altro che passare tutto il suo tempo in officina, con spesso troppo alcool in corpo. E Steve si arrabbiava in continuazione. Odiava vederla così, le aveva detto. Odiava il fatto che non gli rivolgesse la parola per giorni per starsene da sola. La capiva, le aveva detto, capiva il suo dolore, ma lei era troppo sorda, completamente annebbiata dal proprio lutto per rendersi davvero conto che aveva rovinato la loro relazione.

Quello era un momento che avrebbero dovuto superare insieme. Ma lei non ce la faceva proprio. Non riusciva a parlarne. Non era riuscita a parlarne con Pepper quando la donna era corsa in ospedale. L’aveva mandata via a male parole. Non ne aveva parlato nemmeno con Rhodes, che era rimasto seduto con lei in officina per diverse ore in assoluto silenzio aspettando che lei si spostasse dall’ennesima armatura che aveva costruito. 

Si era chiusa nel suo stesso dolore e aveva permesso che rovinasse tutto.

Steve era stanco. Era distrutto. Era ferito. Aveva perso un figlio e lei non aveva visto questa parte della medaglia. Era stata tremendamente egoista, e quando aveva capito il reale danno, non era riuscita a dirgli nulla.

Lo aveva guardato in assoluto silenzio mentre se ne andava di casa. Era a pezzi, ma non era riuscita a fermarlo. Con molta probabilità sarebbe bastato anche un semplice “resta” e Steve avrebbe disfatto tutti i bagagli e sarebbe rimasto con lei. 

Avrebbero potuto superare tutto insieme se solo lei non fosse stata per l’ennesima volta la testa di cazzo che l’accusavano sempre di essere. Ci aveva pensato tante volte che sarebbe bastato anche solo telefonargli e scusarsi. Che avrebbe solo dovuto tirare fuori la testa dal culo e chiedere aiuto almeno a lui e non lasciarsi logorare lentamente dall’interno.

Ma non ci era riuscita.

Riusciva solo a pensare che era stata colpa sua e che sicuramente anche Steve sotto sotto la incolpasse di quello che era successo. Ma si era astenuta da qualsiasi lavoro faticoso, aveva preso tutte le vitamine in modo preciso. La sua alimentazione era stata impeccabile e ad orari umani. Era rilassata come non lo era stata forse mai in vita sua.

Era stato un miracolo che nessuno avesse venduto uno scoop simile ai giornali e che la storia non fosse mai venuta a galla. 

“Ogni tanto vado a trovarlo.” Steve aveva parlato pianissimo, continuando ad accarezzarle i capelli. Sembrava quasi che stesse cercando di calmare un animale spaventato. 

“Lo so, ho visto i fiori.” Gli avevano fatto un funerale privato e super blindato al cimitero di Long Island. Era una cosa che aveva dato conforto a Steve e lo aveva assecondato. Anche perché non era stata assolutamente in grado di ragionare in quel momento. Ricordava vagamente che in ospedale gli avessero chiesto cosa volessero farne, ed era stato Steve a rispondere e decidere. A lui aveva dato conforto quel gesto. A lei no. Odiava i funerali e i cimiteri, e non trovava mai alcun conforto in quelle cose. 

Ma era tornata a New York anche per quello e a volte, anche se raramente, si avventurava fino al cimitero ben camuffata e si piazzava di fronte alla piccola tomba sulla cui lapide avevano fatto incidere solo le iniziali. Restava a fissarla per ore. A volte sistemava i fiori che entrambi portavano. E in due anni non si erano mai incontrati in quel luogo. 

“Possiamo tornarci insieme la prossima volta.”

Non sapeva cosa avesse fatto più male nella frase appena pronunciata da Steve. Non sapeva se era la parola insieme o la possibilità di un momento futuro in cui ancora si sarebbero parlati. Non era nemmeno sicura che finita quella convivenza forzata ci sarebbero davvero stati motivi per parlarsi ancora. 

Non voleva sperarci di poter riavere Steve Rogers nella sua vita. Non le importava in che ruolo, ma non voleva sperarci perché se qualcosa fosse andato di nuovo storto sarebbe stato un altro duro colpo da incassare. E non ce la poteva fare in quel momento. Non dopo tutto quello che era successo sia negli anni che nelle ultime ore. 

La sua maschera avrebbe vacillato prima o poi, e la Stark figura che aveva costruito con tanta cura si sarebbe sgretolata se non faceva attenzione. Già adesso avrebbe dovuto affrontare tutta la shitstrom senza precedenti per quello che era successo a New York.

Chitauri, distruzione di mezza città, Steve Rogers che doveva essere Steve Rogers sempre.

“Non darmi speranze di un rapporto civile tra di noi. In questo istante ti direi di sì a qualsiasi cosa, ma domani saremo fuori di qui e dovrò affrontare l’opinione pubblica su tutto ciò che ho fatto negli ultimi 29 anni di vita. E non posso farcela a sopportare tutto.” Si era staccata solo lievemente da Steve, solo per poterlo guardare. “Tu sarai di nuovo inglobato da Fury e dai suoi ordini, ben protetto dallo S.H.I.E.L.D. e io sarò data in pasto ai giornalisti, perché tanto Tasha Stark ci è abituata, no?”

“Non è quello che voglio.”

“E pensi che ora Fury ti lascerà fare quello che vuoi tu?” Aveva sorriso e gli aveva accarezzato una guancia. Fino a quel momento non si era nemmeno resa conto di quanto agognasse avere un contatto fisico con quell’uomo. Era una cosa stupida. Razionalmente non avrebbe più dovuto desiderare una cosa simile, una simile vicinanza, ma quelli erano i momenti in cui si rendeva conto che di razionale lei non aveva nulla la maggior parte delle volte. La razionalità era qualcosa di cui amava convincersi, ma non le apparteneva davvero. 

“Non ho intenzione di ascoltare Fury dopo quanto è successo. Non sono la sua scimmia ammaestrata.”

“Non si direbbe.”

Steve le aveva sorriso. Un sorriso diverso dai precedenti. Sembravano essersi illuminati anche i suoi occhi. E faceva male. Ancora più male del previsto. Se solo la vita fosse stata un po’ più giusta con loro, non avrebbe mai perso quel sorriso. Sarebbe forse diventato ancora più luminoso e avrebbe fatto parte della sua vita ogni giorno. 

Aveva perso tutto quel giorno in ospedale. Tutta la gioia e la felicità le erano state portate via in un sol colpo ed era un colpo davvero troppo duro. 

“Mi dispiace non averti mai chiamato o cercato.”

“Avrei potuto farlo anch’io, Tasha.”

 

✭✮✭

 

Non potendo uscire di casa perché assediata dai giornalisti, Natasha aveva passato buona parte delle successive giornate rinchiusa nella sua vecchia officina. Aveva cercato di evitare quanto più possibile tutti gli abitanti momentanei della casa. Perché erano chiassosi ed impiccioni. Oppure la guardavano e sorridevano maliziosi. E non li sopportava. Le sembrava di essere quasi tornata ad essere una ragazzina al campus, togliendo però le feste ed il divertimento.

La colazione con Steve era stata interrotta dalla Vedova Nera che aveva finto un colpo di tosse mentre entrava in cucina. Non voleva nemmeno sapere quanto avesse davvero sentito di quella conversazione e per fortuna la donna aveva fatto finta di nulla. Non aveva chiesto il perché delle sue lacrime o di quell’abbraccio. Sapeva tutto. Ne era sicura che Steve le avesse raccontato tutto per filo e per segno, ma almeno aveva fatto finta che non fosse successo assolutamente nulla.

Clint Barton al contrario non aveva smesso di prenderli in giro da quando aveva fatto la sua entrata in cucina. Battute anche di pessimo gusto su che fine avrebbero fatto i gioielli di famiglia di Steve non appena fosse ritornato a Washington per riprendere tutte le proprie cose dall’appartamento di Sharon Carter. Voleva rispedirlo a Fury quanto prima, ma questo avrebbe implicato telefonargli e non lo voleva. 

Non voleva in quel momento avere alcun contatto reale con lo S.H.I.E.L.D. o chi per loro. Nessuno le aveva ancora chiesto cosa avesse davvero visto dall’altra parte del portale, ma sapeva che prima o poi qualcuno sarebbe arrivato a bussare alla sua porta. E lei avrebbe scansato tutti e sarebbe rimasta rintanata in quella officina anche per mesi se necessario.

La televisione continuava a parlare di New York, di loro - gli Avengers -, di lei e Steve. Era un loop continuo. Ogni maledettissimo canale parlava solo di quello.

C’erano persone molto scontente. Una piccola parte per ora, ma facevano sentire la loro voce e protestavano sotto la Stark Tower. Ovviamente sotto la Stark Tower. Dove andare se non sotto casa sua a farsi sentire per qualcosa su di cui lei non aveva assolutamente nessun potere. Non aveva avuto potere sull’arrivo di Loki. Sull’arrivo di Thor. Ancora meno sull’arrivo dei Chitauri e di tutto il resto. 

“Dovresti smettere di ascoltare il telegiornale.” Silenziosa come un gatto, Natasha Romanoff si era seduta sul divano accanto a lei e aveva appoggiato due tazze di caffè sul tavolino. 

“Ti ho invitata a sederti?” Aveva inarcato un sopracciglio nella direzione dell’altra donna e l’aveva guardata. La Romanoff sorrideva e sembrava stranamente rilassata, come se la distruzione del mondo fosse un lontanissimo ricordo. 

“No, ma avevo bisogno di allontanarmi dalla gara di testosterone del piano di sopra. I maschi sono proprio stupidi ogni tanto.” 

“Solo ogni tanto? Guarda lì. Ti pare una cosa da fare da parte di una persona dotata di cervello?” Aveva indicato con un gesto teatrale della mano l’ennesimo programma che parlava del bacio. L’unica cosa che importava del post distruzione era quel bacio. “O parlano del fatto che sarebbe colpa mia la distruzione di Manhattan o di questo bacio. Non si sta parlando di altro da tre giorni ed è insopportabile.”

“Dovresti infatti spegnere la tv. Non ti fa bene ascoltare tutto il tempo queste notizie.”

“Dovrei lavorare, ma non ne ho minimamente voglia in questo istante. Mi sono presa delle ferie senza avvertire nessuno. E non sto neppure rispondendo al telefono che sta continuando a squillare senza sosta.” Aveva buttato la testa all’indietro, appoggiandola sullo schienale e guardando il soffitto. Pepper era preoccupata e continuava a telefonarle. Rhodes idem. Johnny Storm voleva venire a trovarla e per un istante voleva vederlo accanto a Steve nella stessa stanza per vedere il testosterone schizzare alle stelle, ma era stata un adulto responsabile e gli aveva detto di non presentarsi assolutamente. Ne era seguita una scenata di gelosia e gli aveva attaccato il telefono in faccia. Non si sarebbe stupita se davvero si fosse presentato alla sua porta. 

“Di sopra Clint ha sfidato Thor in una partita di birra pong, e sta perdendo miseramente. Potrebbe essere un ottimo svago umiliarlo ancora.” 

“Voglio vedere Steve Rogers umiliato dal testosterone di Thor.”

“No, sta in disparte con Banner e ridono di Clint.” Le aveva sorriso e aveva preso una delle due tazze in mano. Aveva sorseggiato lentamente, godendo probabilmente anche lei della pace di quel luogo.

“Di un po’, che rapporto hai con Barton? Perché siete fin troppo ambigui, sappilo.” Aveva girato la testa verso l’altra donna e l’aveva osservata. Quella era la prima volta che sedevano sul divano insieme a quel modo. Da pari a pari, e senza complotti segreti sotto. Lo aveva sempre saputo e detto che se le circostanze del loro incontro fossero state diverse sarebbero potute essere amiche. 

“Solo amici e colleghi di lavoro, e puoi insinuare quello che vuoi, ma è davvero solo questo da parte di entrambi.”

“Non si smuovono mari e monti per un collega.” Aveva inarcato un sopracciglio, ma la stava in realtà prendendo in giro e basta. Rhodes per lei lo aveva fatto. Mai quanto Steve, ma lo aveva sempre fatto anche Rhodes. 

“Lo avrei fatto anche se si fosse trattato di Steve, dovresti saperlo.”

“Ho sempre saputo che avevate una tresca.”

Aveva visto la Vedova Nera scoppiare a ridere e quella era forse la prima volta che la vedeva ridere davvero. E non aveva potuto non sorridere di rimando. Un attimo di tranquillità e spensieratezza serviva a tutti.

“Preferisco i mori ai biondi. Non ho mai sfiorato Steve nemmeno con un dito, tranquilla. Magari solo spogliato con gli occhi un paio di volte.”

“Non è una mia proprietà e puoi farci quello che vuoi.”

“Voi due mi farete uscire pazza, lo sai? Tu non puoi capire quanto sia stressante lavorare con Steve Rogers, perché parla sempre e soltanto di te.”

“Dubito abbia parlato di me in questi anni.”

La donna l’aveva guardata con la faccia di una che aveva sentito il suo nome pronunciato troppe volte e le dava la nausea.

“Ogni volta che usciva una qualsiasi notizia su di te, quell’uomo era intrattabile. E si sfogava con me per lo più. A volte c’era anche Clint e te lo può confermare, ma era insopportabile. Visto che ora vi siete finalmente chiariti, forse, e dico forse perché abbiamo altri drammi all’orizzonte, avrò un po’ di pace.”

Steve parlava di lei. Sentirselo dire così non sapeva neppure lei come prenderlo. Ne era felice, era sempre felice di sapere che Steve non la poteva accantonare davvero. Ma era davvero sbagliato su molti livelli. Non avrebbero mai potuto costruire una relazione sana con nessuno se prima non tagliavano i ponti.

“Mi dispiace per Sharon, sai? La conosco da quando eravamo bambine praticamente, l’ho incontrata più volte, ma non siamo mai andate d’accordo. Entrambe volevamo l’attenzione di sua zia. Poi ci siamo totalmente perse di vista crescendo. Dovevo immaginare che anche lei fosse cresciuta con una cotta pazzesca per Steve Rogers.”

“Non poteva funzionare in ogni caso tra di loro. E’ troppo gelosa di qualsiasi cosa entri in contatto con Steve, anche un granello di polvere. Per forza sarebbero scoppiati prima o poi, e Steve ha dato il colpo di grazia.” 

“Wow, non pensavo che ti avrei mai sentita parlare sinceramente su qualcosa. Dobbiamo brindare a questo. Champagne?”

“Che esagerata.” Stranamente la donna le sorrideva ancora. Si era messa più comoda e continuava a tenere la tazza di caffè tra le mani. “Ma sarà divertente andare al lavoro adesso. Questi sono i motivi per cui vietano le relazioni tra colleghi.”

“Fury se lo merita.” Aveva agguantato la tazza di caffè e ne aveva bevuto subito un sorso molto generoso. Con la coda dell’occhio aveva visto Natasha Romanoff annuire lievemente. Ancora si chiedeva cosa esattamente fosse venuta a fare lì in officina. 

“Mi ha telefonato poco fa. Vuole che tu faccia un rapporto su cosa hai visto oltre il portale e io dovrei convincerti a scriverlo, ma so che non lo faresti nemmeno se ti puntassi una pistola alla tempia.”

“Sapevo che avevi un secondo fine. Lo hai sempre.” Aveva sbuffato, ma non si era mossa dal divano. Non si sarebbe mossa da lì nemmeno sotto tortura. Avrebbe tanto voluto andare davvero in qualche posto remoto per qualche tempo e non farsi trovare da nessuno. Restarsene da sola in una baita in montagna a non fare assolutamente nulla. Oppure starsene su una spiaggia dalla sabbia bianchissima a sorseggiare qualche cocktail.

Ma non poteva.

Quando quella reclusione forzata sarebbe finita, e sperava entro breve, sarebbe dovuta tornare subito al lavoro. La Stark Industries aveva bisogno di lei. E allo stesso modo la Stark Tower che aveva bisogno urgente di ristrutturazione.

“Pensi che gli Avengers lavoreranno ancora insieme?” Ci aveva pensato molte volte in quei giorni. Fury voleva mettere in piedi una squadra di supereroi. Non aveva letto tutto il progetto, ma a grandi linee poteva immaginare cosa fosse. E loro alla fine si erano uniti da soli per dare vita al suo progetto. Ognuno con un motivo personale di vendetta, ma si erano uniti e avevano sconfitto il nemico comune.

“Tu lo vorresti?” 

Aveva guardato la donna che le sedeva accanto e non sapeva nemmeno lei cosa rispondere a quella domanda.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Maggio 2009

 

Era passata ormai una settimana dalla battaglia di New York e dall’inizio di quella convivenza forzata. Doveva ammettere che alla fine non era tanto male tenerli tutti lì. Le evitavano di pensare troppo alle cose brutte su cui si però il suo cervello si soffermava in ogni caso la notte. Ma almeno durante la giornata era sempre distratta in qualche modo.

Era tutto come un pigiama party infinito che non finiva al mattino dopo. Un loop continuo di urla e schiamazzi, nemmeno fossero un gruppo di adolescenti senza la supervisione di un adulto. O forse erano davvero così.

Con molta probabilità non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, ma avere compagnia era davvero molto positivo. Forse non solo per lei, visto che Bruce Banner non aveva ancora espresso il desiderio di andarsene e sembrava inserirsi sempre più nel gruppo. Avevano anche passato una notte intera nella sua vecchia officina a parlare di wormhole e cercare di scrivere un algoritmo che non prevedesse di usare il suo reattore arc e il Tesseract per aprire un portale. L’uomo non le aveva mai chiesto cosa avesse visto dall’altra parte. Stranamente non glielo stava chiedendo nessuno e gliene era grata. 

Non avrebbe saputo esattamente cosa rispondere a quella domanda. Anche perché le era rimasta addosso solo la sensazione di freddo gelido.

Ma Banner non le chiedeva nulla nonostante sicuramente fosse curioso. Lei lo sarebbe stata da morire. Le parlava soltanto di numeri, formule, teorie. E lei gliene era tremendamente grata. 

Thor, figlio di Odino e dio del tuono, come amava ripetere all’infinito, allietava le loro serate raccontando storie di guerre per loro mitologiche, e vedeva Steve Rogers scuotere la testa. Anche messo di fronte all’esistenza di altre divinità, divinità in carne ed ossa, continuava a ripetere che di Dio ce ne fosse soltanto uno. E quasi stava ammirando la forza della sua fede.

Erano giorni quasi spensierati. Colazioni, pranzi e cene sempre in compagnia. Steve cucinava per tutti e lei aveva anche osato dargli una mano, più morale che letterale, qualche volta. 

Steve e lei camminavano uno attorno l’altra in punta di piedi. Non avevano più affrontato nessun argomento serio. Lei non gli aveva chiesto nulla quando lo aveva incontrato in giardino, e Steve era al telefono. Sapeva che era al telefono con Sharon e sapeva che Steve stava cercando di salvare il salvabile con lei. 

E del resto lui non le aveva detto nulla quando Johnny Storm si era presentato alla porta di casa ed era stato proprio lui ad aprire la porta. Lei era subito arrivata e voleva quasi ridere al fatto che il suo desiderio di vederli uno di fronte all’altro si fosse avverato. Era pessima, e sapeva che se ne sarebbe pentita non appena l’ultimo arrivato avesse aperto bocca. Gli altri erano accorsi subito anche loro, mossi dalla curiosità su chi avesse potuto venire in visita. E non avevano fiatato. Le uniche battute le aveva fatte Clint Barton come c’era da immaginarselo. Le aveva fatte ad entrambi e lei aveva davvero la tentazione di telefonare a Fury per far allontanare Barton da casa sua. 

Johnny Storm le aveva piantato una scenata in piena regola non appena erano rimasti da soli. Ed era la cosa più assurda che le fosse mai capitata. Johnny Storm, l’uomo che cambiava partner con la stessa frequenza con cui cambiava le mutande, stava piantando a lei una scenata di gelosia in piena regola.

Inutile dire che tutti lo avevano sentito, e quando lei lo aveva accompagnato alla porta, era stata accolta dalle risate di tutti, Steve compreso. E non aveva potuto che ridere anche lei per l’assurdità della situazione.

Era stata lasciata da Johnny Storm. Qualcosa in tutta quella situazione era profondamente sbagliata, ma la trovava così ridicola che aveva solo riso con i suoi compagni di sventure. 

La settimana dopo la battaglia di New York poteva davvero essere messa al primo posto dei periodi più assurdi della sua vita fino a quel momento. 

La seconda visita assurda, ma di cui non si era minimamente stupita era stata quella di James Rhodes. Il suo migliore amico era arrivato non appena aveva potuto e stavolta era stata lei ad aprire la porta. Voleva questa volta evitare che fosse Steve ad aprire, ma solo perché non voleva assistere a Rhodes che lo attaccava. 

Per quanto lei potesse essere strana e sbagliata, Rhodes finiva per essere sempre dalla sua parte. E non le piaceva mai quando i due uomini più importanti della sua vita discutevano. Era riuscita a trascinarlo nella propria officina senza incontrare Steve, ma forse si era tenuto a distanza apposta. 

Aveva stappato due birre e si era seduta sul divano accanto a Rhodes. L’uomo la guardava seriamente e seriamente preoccupato.

“Inizi tu o inizio io?”

“Mi vogliono di nuovo processare perché ho osato disobbedire a ordini dall’alto e ho salvato Manhattan oppure mi vogliono dare una medaglia? Se è la seconda voglio che sia di nuovo Stern a darmela, ok?”

“Sii seria per una volta.”

Aveva bevuto un sorso di birra e messo il broncio. Non aveva proprio voglia di affrontare alcun argomento troppo serio in quel momento. Era stata una buona giornata. Era anche riuscita a dormire un paio d’ore senza incubi. Non voleva rovinare tutto il suo buon umore parlando di cose che non sapeva nemmeno come spiegare a parole.

“Sono stata mollata da Johnny.”

Rhodes era rimasto in silenzio e l’aveva guardata come se le fossero spuntate due teste.

“Come, scusa? Johnny Storm? Stiamo parlando di quel Johnny, vero?”

“Il solo ed unico. Mi ha mollata perché Steve mi ha baciata, precisiamolo, e siamo qui sotto lo stesso tetto e lui non può fidarsi di una situazione simile.” Aveva sorseggiato altra birra, mentre inarcava un sopracciglio e guardava il suo migliore amico. Lo aveva visto scuotere la testa e bere dalla bottiglia a sua volta. 

“Non so nemmeno come commentare questa notizia. Sono davvero senza parole.”

“Sono stata presa per i fondelli da tutti i presenti. Persino Steve si è preso la libertà di ridere, perché ovviamente tutti lo hanno sentito.” Aveva scosso la testa e sospirato. “E ho riso pure io perché davvero sono ancora troppo sconvolta da tutto questo.”

“Solo sconvolta?” Lo aveva guardato e lo odiava quando la conosceva così bene. “Come stai?”

“Devo proprio essere sincera? Non lo so. Sono successe davvero troppe cose e non sto metabolizzando nulla. Hai saputo di Coulson?” Rhodes aveva annuito e lei aveva sospirato. “Non mi va giù che sia morto per nulla. Non ha nemmeno rallentato Loki. Quello lo ha solo preso per il culo! Così è proprio inutile e inaccettabile!”

“Avevate instaurato un bel rapporto alla fine in questi anni. Era l’unico agente S.H.I.E.L.D. con cui parlavi sempre, anche se facevi tante storie.”

“Perché non era male. Era un fanboy come me!”

“Posso chiederti dell’altra cosa spinosa allora?”

“Tanto la chiederai anche se ti dico di no. Sei qui per questo.” Aveva bevuto un lungo sorso di birra e poi aveva appoggiato la birra sul tavolino, stiracchiandosi poi come un gatto prima di aprire bocca. “Per assurdo abbiamo parlato da persone civili. Abbiamo parlato di quello che è successo e forse ora potremo finalmente fare un passo in avanti entrambi. L’ho sentito parlare al telefono con Sharon l’altra sera e penso che lui stia davvero cercando di salvare la sua relazione con lei. Ed è giusto così perché abbiamo avuto così tante occasioni per stare insieme e le abbiamo sempre mandate all’aria.”

Rhodes l’aveva attirata a sé e l’aveva stretta tra le proprie braccia, e lei non aveva fatto altro che accucciarsi contro di lui per bearsi del suo calore. 

“Delle parole così mature dalla tua bocca non me le sarei mai aspettate.”

“Oh, non sono matura affatto, Rhodey caro. Sai che non lo sono e Steve Rogers è sempre la mia più grande debolezza. Sono stata piantata, cioè io sono stata piantata tralasciamo poi da chi, e non l’ho nemmeno presa male perché lui era qui. Non è una cosa sana questa. E se me ne rendo conto io siamo davvero messi male.”

“Almeno te ne rendi conto.” Avrebbe voluto ribattere, ma non ne aveva avuto il tempo. “La cosa più assurda è che quando siete insieme non siete tossici uno per l’altro come lo siete quando avete questi periodi grigi in cui non capisco davvero chi me lo fa fare di venirti a controllare. Ma almeno stavolta non sei messa male come al solito.”

“Per assurdo parlarne direttamente con lui sembra che ci abbia tolto un peso ad entrambi. Non si può tornare indietro e non possiamo nemmeno cambiare quello che è successo. Ma abbiamo fatto un passo in avanti per liberarci dal passato.” Piangere tra le braccia di Steve Rogers era stato liberatorio. Pensandoci a mente fredda era giunta alla conclusione che avrebbe davvero dovuto farlo molto tempo addietro e non sarebbero arrivati in quella situazione. “Se solo io non mi fossi chiusa a riccio e non lo avessi allontanato con tutte le mie forze, lui sarebbe rimasto al mio fianco e avremmo superato tutto insieme. Ma come sempre mi rendo conto delle cose che mi circondano quando è troppo tardi. Era anche figlio suo, ma io ero davvero troppo accecata dal dolore per rendermene conto.”

Rhodes le aveva accarezzato i capelli e l’aveva stretta con forza a sé, quasi fosse ancora fatta di cristallo e avesse paura che si sarebbe spezzata nuovamente davanti ai suoi occhi. Il suo migliore amico alla fine era sempre stato presente, nei momenti belli e nei momenti brutti. Ricordava vagamente che era sempre stato attorno a loro quando aveva perso il bambino. Passava a trovarli. Ricordava di averlo accolto in casa, o semplicemente Steve che la avvertiva che era arrivato anche se lei poi restava in officina. Ed era sempre stato presente quando Steve se ne era andato. Non avrebbe mai saputo spiegargli a parole quanto gliene fosse grata. 

“A me basta che dopo questa esperienza non finisca come l’altra volta, perché davvero, picchio sia te che Tiberius Stone.”

“Oh no, anche Steve ha dovuto rinfacciarmelo.” Aveva ridacchiato e si era staccata da Rhodes per poterlo guardare. “Però sul serio, credimi, parlare con Steve è stata la cosa meno traumatica di questa settimana. Anche se mi ha fatta sentire di nuovo come se avessi 17 anni e l’unica cosa che volessi fosse farmi notare da lui. Come ero e sono patetica.”

“Patetica solo un po’, ma temo non ci sia nulla da fare per questa tua cotta. Ti ho conosciuta che eri cotta di quest’uomo presunto morto, e ti ritrovo dopo 15 anni ancora cotta come allora. E per assurdo in questi 15 anni avete una storia che Beautiful a confronto ha solo da imparare da voi.”

Aveva riso ancora e si era sentita davvero rilassata assieme a Rhodes. L’uomo era sempre stato davvero presente nella sua vita e aveva fatto tantissimo per lei. Non avrebbe mai saputo dirgli quanto gli fosse davvero grata per tutto quello che faceva per lei, anche se spesso litigavano. 

“Hai sentito Pepper per caso in questi giorni? Perché una sua scenata porterebbe questo Beautiful a tutto un altro livello.”

“Sì, sei fortunata perché è impegnata a Los Angeles. Voleva partire, ma per tua fortuna le Stark Industries sono nuovamente al centro dell’attenzione.”

Aveva sospirato e aveva ripreso la bottiglia di birra in mano. Ne aveva bevuto un lungo sorso, quasi finendola, per poi mettersi nuovamente comoda sul divano. Rhodes aveva preso il telecomando in mano e aveva acceso la tv. Faceva zapping e storceva il naso ogni volta che sentivano il cognome di Natasha pronunciato da qualche giornalista e non solo. Raramente nominavano gli altri per nome. Al massimo Banner e solo perché era considerato una minaccia pubblica forse maggiore di lei. 

Di Steve Rogers nessuno parlava male. Capitan America era pur sempre Capitan America. E vederlo in televisione le faceva sempre un effetto strano. Era da molto tempo che non compariva in pubblico. E in passato era sempre stato con lei.

“Rhodey, cosa credi che dovrei fare adesso? Me ne torno a Malibu? Resto a New York? Tronco ogni rapporto con tutti o formo gli Avengers ufficialmente?”

“Già il semplice fatto che tu ci abbia pensato ti da la risposta.”

 

✭✮✭

 

Se ne stava seduta al grande tavolo della sala da pranzo imbronciata come se avesse ancora 16 anni e dall’altra parte ci fosse seduto suo padre che le faceva una ramanzina. Seduta scomposta e con le braccia incrociate al petto, osservava in silenzio il direttore dello S.H.I.E.L.D. che non sembrava affatto turbato dalla sua recita. Perché tutti sapevano che era solo una recita. Era troppo stanca in tutti i sensi per mettersi a litigare con Nick Fury di qualsiasi cosa fosse venuto a parlarle. Non aveva mai scritto il rapporto che le aveva chiesto, e non lo avrebbe nemmeno fatto se glielo avesse imposto in quel momento. Questo lo sapeva benissimo anche Fury e non le aveva stranamente chiesto proprio nulla al riguardo.

“Stark.”

“Stark un cazzo, Nick. Non sei il benvenuto tra queste mura in questo preciso istante. E non so nemmeno perché ti hanno fatto entrare.” Aveva guardato male Steve Rogers, colpevole di averlo accolto in casa, che se ne stava in piedi appoggiato al muro e con le braccia conserte a sua volta.

“Perché magari così ci dice che possiamo andarcene da qui?”

“Oh, mamma e papà litigano di nuovo!” Clint Barton aveva dovuto prendere la parola, come sempre, facendo però sorridere Banner. E questo lei lo reputava sempre positivo. 

“I litigi sono la linfa vitale dei rapporti amorosi.” Il dio del tuono aveva battuto un pugno sul palmo della mano e aveva guardato verso Steve. Non voleva nemmeno sapere cosa volesse significare quello sguardo nella loro lingua di maschi alpha pieni di testosterone. 

“Se avessi avuto te per figlio, Barton, saresti già finito giù dal monte Taigeto.”

“Questa è cattiva. Non si prendono in giro le persone con delle disabilità.” L’arciere le aveva fatto il dito medio, ma sorrideva. Non avevano fatto altro che punzecchiarsi per tutta quella lunga lunghissima settimana che era diventata più di una settimana. 

“Almeno hai sviluppato la vista, dato che l’udito è quello che è.” 

“Devo mettervi in punizione in un angolo voi due?” Fury li aveva guardati entrambi. Serio, come se fosse l’unico adulto presente nella stanza. “Possiamo parlare per un attimo di cose serie così poi siamo tutti liberi?” 

“Ho quattro domande. 1) Che fine ha fatto il cubo? 2) Che fine ha fatto lo scettro? 3) Che fine ha fatto Loki? E 4) vogliono processarci?” Natasha si era alzata dalla sedia e si era avvicinata al bar. Sapeva che la stavano osservando tutti, ma era incurante mentre si versava da bere. Era una recita anche quella. Aveva pensato davvero a tutte quelle domande mentre erano rinchiusi in casa e forse avrebbe avuto delle risposte in quel momento. Forse. “Servitevi pure, non serve che mi osserviate così.”

“Perché dici che vogliono processarci?”

“Oh, Steve. A volte davvero mi stupisco della tua ingenuità, sul serio. Siamo due civili, tre agenti dello S.H.I.E.L.D. e un semi dio che hanno deciso di non seguire gli ordini dall’alto. Eri presente quando mi hanno portata in giudizio per lo stesso motivo qualche anno fa. Hai vissuto con me da quando sono diventata Iron Woman e tu stesso mi hai ripetuto più volte che sono un civile non autorizzato a portare avanti operazioni belliche.”

“Abbiamo salvato New York e il mondo intero. La popolazione ci è grata, nonostante tutto.”

Si era massaggiata le tempie, perché avevano avuto quella conversazione più volte in quei giorni e Steve continuava ad essere sempre il solito ottimista. Per lui, stando a quello che leggeva sul giornale al mattino, la maggioranza della popolazione li acclamava come eroi e per questo erano intoccabili.

“Romanoff, glielo rispieghi tu per favore, perché io non ce la faccio più.”

“Steve, per una volta Stark ha ragione. Potrebbero anche portarci di fronte alla corte marziale perché abbiamo effettivamente disobbedito agli ordini. Abbiamo salvato il mondo, ma abbiamo distrutto Midtown e ci sono stati dei morti. E noi non avevamo ordini per agire.”

Aveva visto Steve aprire bocca per rispondere a Natasha Romanoff , ma Fury era stato più veloce di lui. L’uomo però continuava a guardare lei, e questo non le piaceva particolarmente.

“Il cubo e lo scettro sono al sicuro nelle mani dello S.H.I.E.L.D. e per ora nessuno ha intenzione di studiarli e/o usarli in qualche modo. Loki vi verrà restituito e Thor potrà portarlo ad Asgard per processarlo secondo le loro leggi. E nessuno vuole processare voi, anche se l’intento c’era. I motivi li potete capire tutti quanti da soli. Siete un gruppo di persone con poteri e abilità fuori dal normale. Vi siete mossi da soli contro il nemico, senza fare riferimento a nessun organo, Stato o chi volete. Per questa volta chiuderanno un occhio e sarete acclamati come eroi.”

“Voglio formare ufficialmente gli Avengers.” Sapeva che tutti gli occhi erano di colpo su di lei, anche se lei guardava Fury. Di rimando l’aveva guardata come se si aspettasse una frase simile da parte sua. Probabilmente era stata manipolata per bene, ma tutto quello che era successo, quello che aveva visto e non le dava pace, aveva solo fatto maturare seriamente in lei l’idea che qualcosa o qualcuno dovesse proteggere la Terra. “Non si parla più di proteggere la Terra solo dai terroristi. Finora mi sono sempre occupata solo di trafficanti di armi Stark e dei loro compratori. Qui si parla di alieni e semidei. Non sono nemici che si possono sconfiggere con una pistola. E’ su tutto un altro livello la battaglia ormai.”

“Tasha, non puoi parlare seriamente.” Steve si era mosso verso di lei. In quei giorni era tornata ad essere Tasha sempre più spesso. Aveva abbandonato Stark per strada ed era tornata ad essere semplicemente Tasha per lui. 

“Sono molto seria invece. Cosa potremmo fare se tornassero e non fossimo pronti? Ora sappiamo che esistono e loro sanno che qui abbiamo cose che potrebbero fargli gola. Prima o poi arriveranno ancora.”

“Vuoi armarci tu? Non avevi smesso con la produzione di armi?”

“Sai che non è la stessa cosa. Sei insopportabile quando fai così.” Aveva appoggiato il bicchiere sul bancone del bar ed era pronta per uno scontro. “Io parlo di noi. Parlo di questo gruppo di persone. Non voglio armare un esercito privato o lo S.H.I.E.L.D.. Voglio preparare noi a qualsiasi possibile attacco umano o alieno che possa mettere tutti in pericolo.”

“Sei un civile.”

“Giuro sul tuo Dio che se me lo dici un’altra volta ti spacco i denti, Steve. Te lo giuro.”

“Stark ha ragione e in questa occasione si è dimostrato fondamentale che voi non prendeste ordini da nessuno. Se foste stati davvero sotto gli ordini del Consiglio, New York non ci sarebbe più.” 

Aveva guardato Fury e l’uomo sembrava troppo compiaciuto. L’aveva manipolata. Erano anni che la voleva dentro al suo progetto Avengers e ora lo aveva proposto lei stessa. Si era scavata la fossa da sola, ma non poteva fare diversamente. Non ora. Non dopo tutto quello che era successo. 

“Veramente io non voglio fare parte di questo gruppo. Non so come l’altro potrebbe prendere questa decisione.”

“Oh, Bruciebear non fare così! Possiamo divertirci moltissimo insieme e ho bisogno anche di te per progettare tutto quello che ho in mente.”

“Io ci sto. Mi piace l’idea del supereroe.” Clint sembrava entusiasta del nuovo progetto lavorativo. Sorrideva e guardava la Romanoff che era invece imperscrutabile. “Dai, Nat. Potrebbe essere molto divertente dall’essere solo la spia dello S.H.I.E.L.D..”

“Io, Thor, figlio di Odino, dio del tuono, metto il mio martello a protezione di Midgard.” Il semidio si era alzato dalla sedia su cui era seduto, e come dimostrazione pratica aveva appoggiato il suo martello sul tavolo. Non aveva potuto fare a meno di sorridere. Ben due persone su cinque erano entusiaste della sua idea. Era anche abbastanza sicura che Bruce Banner sarebbe stato dalla sua parte dopo qualche parola di incoraggiamento. 

“Ci sono molte cose da prendere in considerazione. Sotto il comando di chi dovremmo operare per esempio.” Steve “La Voce Della Ragione” Rogers doveva sempre avere qualcosa da ridire. Sempre. 

“Sotto il comando di quelli che non avrebbero esitato a farci saltare in aria assieme a tutta la città? Vuoi questo? Io no. E con te o senza di te mi preparerò per la prossima battaglia. Anche se preferirei con te.” Si era pentita nell’istante stesso in cui aveva pronunciato le ultime parole di quello che aveva detto. Tutti gli occhi erano puntati su di loro. Poteva notare con la coda dell’occhio Clint Barton che faceva un cuore con le dita nella loro direzione, ma continuava a sostenere lo sguardo di Steve. Non voleva fargli vedere nemmeno un po’ di titubanza. 

Dopo qualche istante l’uomo di fronte a lei aveva sospirato e scosso la testa. Sembrava più rassegnato che convinto. 

“E va bene. Appoggio questa tua folle idea.”

Gli aveva sorriso. Ed era un sorriso vero. Non era uno dei soliti sorrisi di circostanza che riservava a tutti. Gli aveva sorriso davvero grata delle sue parole e del suo appoggio. Non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, soprattutto non di fronte a tutte quelle persone, ma ne era davvero felice. 

“Vedi? Non è stato difficile. Puoi anche essere tu il capo se vuoi. La leadership è una tua prerogativa. Io farò lo scienziato pazzo che vi rende tutti più fighi. Ho anche il posto giusto da usare come quartier generale. Avevo giusto dei piani vuoti che non sapevo come riempire.”

“Motivo in più perché io debba rifiutare, Tasha.” Si era subito voltata verso Banner. “Farmi stare a New York potrebbe essere pericoloso per tutti.”

“Per me è una convinzione tutta tua questa. Per quanto tempo l’altro non si è fatto vivo? Non so se è perché fumi erba o fai molto yoga, ma hai controllato sempre Hulk negli ultimi anni. E se non ti senti sicuro possiamo sempre costruire qualcosa che possa contenere la sua forza distruttiva.” Non si era nemmeno accorta che mentre parlava si era mossa e aveva messo una mano sul braccio di Steve. Era in quel momento troppo concentrata su altro per rendersi davvero conto di quello che aveva fatto. Non era nulla di grave. Solo era qualcosa che era solita fare quando erano una coppia. Quando Steve era nel suo raggio di azione finiva spesso per toccarlo in qualche modo mentre parlava. E Steve non l’aveva allontanata in alcun modo. “Possiamo impegnarci tutti per impedire all’altro di uscire, e se proprio dovesse uscire possiamo cercare un modo per fermarlo. Del resto siamo dotati di due energumeni muscolosi e con una forza fuori dal normale che potrebbero cercare di fermarlo anche fisicamente. Sarebbero dati interessanti per la scienza e anche per le tue ricerche. Del resto hai qui il vero Steve Rogers da studiare.”

“Non usarmi come cavia. Di nuovo.” Lo aveva guardato e Steve le aveva sorriso. Potevano avere un rapporto civile. Potevano andare avanti in qualche modo. 

“Oh, non vuoi che renda pubbliche le mie ricerche sulla forza di un super soldato?”

“Perché ho la sensazione che si stia parlando di cose vietate ai minori?” Barton continuava a guardarli e a sorridere. Non sapeva che razza di rapporto Steve avesse con lui, ma se lo prendeva in giro così erano sicuramente amici. 

“Lo sono moltissimo.” Natasha aveva sorriso e aveva spostato la mano dal braccio di Steve. Lo guardava ancora. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Avevano un progetto in comune adesso. Certo, lo aveva trascinato lei, quasi costretto ad accettare, ma lei ci sarebbe stato. L’avrebbe aiutata a mettere in piedi quella stramba squadra di protezione della Terra.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Maggio 2009

 

Si era svegliata madida di sudore e di soprassalto. Aveva il fiato corto come se avesse corso la maratona con tutte le forze che aveva ed ora il cuore le stesse per scoppiare nel petto. Lo sentiva martellare fino nelle tempie. Aveva guardato in basso, le proprie mani, e tremavano. Aveva cercato di chiuderle a pugno perché non sopportava di vedere le proprie dita così tremanti, ma non ci riusciva. Continuava a tremare e cercare di riprendere fiato. Sentiva anche pizzicare gli occhi da quelle che sapeva essere lacrime. 

Non era la prima volta che le capitavano risvegli simili. Ci conviveva da anni ormai, ma non erano mai piacevoli. Cercava di riprendere fiato, di rilassare tutti i muscoli contratti del suo corpo, ma non ci stava riuscendo. 

Non la aiutava il buio della stanza, la cui unica luce proveniva dal suo reattore arc. 

Gli attacchi di panico notturni non erano nulla di nuovo. Li aveva sin da quando era tornata a casa dall’Afghanistan. Stava ancora cercando di imparare come conviverci decentemente e ora si aggiungeva lo spazio aperto a darle il tormento. Quello che sarebbe dovuto essere il traguardo massimo a cui aspirare per ogni scienziato, per lei si stava trasformando in un incubo. Uno di quelli davvero brutti. Uno di quelli da cui vuoi svegliarti ma non ci riesci in alcun modo. 

Aveva lentamente, molto lentamente ripreso fiato. Il suo cuore si era calmato e non le martellava direttamente nel cervello. Aveva messo a fuoco le proprie mani illuminate dal reattore. Vedeva la coperta che stringeva tra le mani. I suoi occhi si stavano abituando al buio e stava lentamente mettendo a fuoco i contorni dei mobili della stanza.

Era la sua vecchia stanza. Era a Long Island. Era il 2009. Mancavano poche settimane al suo compleanno. In casa con lei c’erano Bruce Banner, Thor Odinson, Natasha Romanoff , Clint Barton e Steve Rogers.

Steve Rogers era nella stanza di fronte alla sua. Le bastava alzarsi e andare a bussare alla sua porta. Le avrebbe dato conforto sicuramente. Steve era una brava persona e se lei ne avesse avuto davvero bisogno non le avrebbe mai negato il suo aiuto. Di questo era certa più che mai. 

Steve Rogers era dall’altra parte del corridoio. Stavano entrambi bene. Erano entrambi vivi.

Steve Rogers era lì con lei. 

Non assieme a lei. No, quello non più. Non le importava in quel momento. Ma Steve era lì. Non se ne era andato e le aveva parlato. L’aveva ascoltata. L’aveva abbracciata. 

Steve Rogers era lì.

Un leggero bussare alla porta l’aveva riportata nella stanza distogliendola dai suoi pensieri. 

“Tasha, va tutto bene?”

Steve Rogers. Quella era la voce di Steve Rogers. Calma, ma preoccupata. Odiava il fatto di riuscire ancora a riconoscere così bene le sue emozioni dal semplice tono di voce.

“Sì. Bene. La porta è aperta.” Si era passata una mano sul viso e non sapeva nemmeno lei perché esattamente glielo avesse detto. O meglio, lo sapeva ma non voleva pensarci. Non in quel momento, né mai. Voleva solo vedere Steve. Voleva solo essere sicura di essere ancora a Long Island davvero e non in un posto lontano mille milioni di anni luce da casa. Non voleva che tutto quello che aveva di fronte agli occhi fosse solo un’illusione creata dal suo cervello ancora sotto shock. 

“Brutti sogni?” Steve aveva aperto la porta ed era rimasto sulla soglia. Non aveva stranamente mosso un passo verso di lei, come avrebbe fatto in passato, e non ne era stupita. Avevano parlato, si erano chiariti, ma avevano messo spazio tra di loro. 

“E’ un eufemismo definirli brutti.” Si era passata una mano sugli occhi. Era patetica, vero? Non sapeva in che altro modo definirsi. Quasi 30 anni e svegliarsi nel cuore della notte perché aveva brutti sogni.

“Ti preparo un tè caldo? Lo beviamo sul divano come ai vecchi tempi?”

Aveva espulso troppa aria dal naso, in quella che doveva essere una risata, ma le era uscita male. Erano tutti pattern visti e rivisti all’infinito. Programmati, come se fossero due robot, a ripetere le stesse azioni e gli stessi errori in continuazione. Un bug del sistema che nessuno aveva mai sistemato a dovere e che portava sempre ad un errore finale che non si sapeva come risolvere. 

“Perché no? Tanto non riuscirò a dormire nemmeno volendo.” Si era alzata dal letto e si era stupita che le sue gambe l'avessero retta. Aveva tremato così tanto appena sveglia che aveva temuto non sarebbe riuscita ad alzarsi. 

“Stai bene?” Steve sembrava ancora più preoccupato ora che gli si era avvicinata e lo vedeva alla luce del corridoio. Le aveva appoggiato una mano sulla schiena, come se fosse pronto a prenderla se fosse caduta o qualcos’altro. 

“Sempre.” Aveva cercato di sorridere, ma il sorriso era morto sulle sue labbra come era nato. Era una stronzata. Non stava bene e Steve era l’unica persona a cui non sarebbe mai riuscita davvero a mentire, soprattutto su quello. Vedeva oltre le sue maschere, anche se faceva finta di nulla. “Solo incubi, Capitano. Troppi per una sola notte. Ma è arrivato il mio principe azzurro dalla scintillante armatura in soccorso.” Si era passata una mano sugli occhi all’ultima frase. Era uscita senza che accendesse il filtro cervello/bocca e se ne pentiva. “No, scusami. Era inopportuna come battuta. Sono solo stanca e sto dicendo un mucchio di stronzate.”

“Sono abituato a cose ben peggiori da te.” Le aveva sorriso e le aveva accarezzato lievemente la schiena. Steve ci teneva ancora a lei. Questo era chiaro anche a lei e senza che terze persone dovessero farglielo notare. Non aveva scelto a caso la stanza di fronte alla sua. Era per poter intervenire in caso di bisogno, proprio come aveva fatto. La conosceva bene, meglio di chiunque altro e sapeva che c’erano moltissime cose che non diceva. “Aspettami sul divano mentre preparo il tè."

“Sai che lo correggerò con del whisky, vero?” Si era mossa verso le scale e le aveva scese con la mano di Steve sempre sulla sua schiena. Era rassicurante. Era così dannatamente rassicurante che le dava quasi fastidio. Perché doveva essere ancora Steve Rogers a darle tutta quella sicurezza? Perché non riusciva a trovarla in qualcun altro o in sé stessa? 

“Non te lo vieterò di certo io stavolta. Anzi, potrei quasi chiederti di allungare anche il mio té.”

Aveva scosso la testa, sorridendo, mentre si avviava al soggiorno. Aveva sentito i passi di Steve proseguire fino alla cucina, la porta aprirsi e subito dopo il rumore delle ante delle credenze mentre cercava tazze e bustine del tè. Nel silenzio della notte aveva sentito nitidamente lo scorrere dell’acqua. Era rilassante. Era stupidamente rilassante. Anche solo l’idea di non essere da sola in casa era confortante. 

Si era svegliata da sola troppe volte negli ultimi due anni e spesso non era stato piacevole. Quando nel cuore della notte si svegliava come aveva appena fatto ed era da sola, la sensazione di panico non svaniva così velocemente. Le ci volevano molti minuti e la voce di J.A.R.V.I.S. che le ripeteva più e più volte dove si trovasse, che data fosse, l’ora. Un loop continuo fino a quando il suo cuore non smetteva di battere nelle sue tempie e lei finalmente si calmava e respirava. Non era facile quando era da sola. E lo era stata molto spesso. Nonostante fosse uscita con qualcuno in quei due anni, raramente ci aveva passato tutta la notte. Con Johnny Storm compreso. Vecchie abitudini di non svegliarsi mai accanto alle conquiste occasionali.

“Tu invece perché sei sveglio? Ti ho svegliato io?”

“Ero già sveglio quando ti ho sentito urlare.” Steve aveva appoggiato le tazze sul tavolino di fronte al divano e lei non aveva esitato a versare subito del whisky in entrambe. A Steve non piaceva quando beveva. Glielo aveva detto una notte mentre erano seduti allo stesso modo sul divano e le aveva raccontato di suo padre. Un altro padre che beveva troppo e questo aveva traumatizzato il piccolo Steve. Al contrario di lei che aveva preso la brutta abitudine di Howard e l’aveva fatta sua, per quanto sbagliata potesse essere. “So bene quanto gli incubi possano essere poco piacevoli.”

“Sogni ancora il ghiaccio?” Si era seduta sulla poltrona in modo tale da lasciare dello spazio tra di loro, lasciando il divano tutto per Steve. Non sembrava averci fatto caso, o se lo aveva fatto non le aveva detto nulla. 

“Spesso. Non come dieci anni fa, ma mi capita ancora. Ma non è solo il ghiaccio. C’è la guerra, c’è Bucky, e ci sei anche tu a volte.” Si era messo comodo sul divano, prendendo la tazza tra le mani e guardandola. Aveva corrugato leggermente le sopracciglia, come se anche lui si fosse pentito delle parole appena pronunciate. Ma erano discorsi da 3 di notte. Erano quelle conversazioni che non sarebbero uscite da quelle mura e di cui nessuno avrebbe più riparlato. Ne avevano avute molte nel corso degli anni. Sedute di terapia senza specialista, che rimanevano dei segreti della notte. Le avevano avute ancora prima di essere una coppia. E le stavano avendo ora che non lo erano di nuovo più.

“Prima sognavo solo la grotta e la sabbia. Non riesco ancora a mettere i piedi sulla sabbia senza avere un attacco di panico. E non farò mai nella vita speleologia, credimi.” Aveva bevuto un piccolo sorso di liquido bollente. Era piacevole. Le sembrava che la stesse scaldando tutta. “Ora si sono aggiunti il gelo ed il buio. Non riuscirò più a dormire con la luce spenta, temo. E forse nemmeno a guardare Alien. Magari quella merda esiste davvero e non ci voglio entrare in contatto. No, grazie.”

Steve le aveva sorriso. Si era sicuramente ricordato di quando gli aveva fatto vedere Alien la prima volta e di quanto ne fosse disgustato. 

E poi erano rimasti in silenzio. Ognuno con la propria tazza in mano, la fissavano in assoluto silenzio. E lei odiava il silenzio. Parlava sempre solo per riempire quel vuoto che si creava. Le metteva disagio. Le metteva quasi paura. Il silenzio era sempre assenza di qualcosa e a lei le assenze non piacevano. Anche se poi faceva sempre finta del contrario. Natasha Stark non aveva mai bisogno di altre persone accanto, ma i suoi robot erano solo una patetica imitazione di compagnia. Per non parlare di J.A.R.V.I.S. la cui voce era quella del vecchio maggiordomo di casa Stark. Patetica era dir poco sui suoi comportamenti per combattere la solitudine.  

“Sei convinta di voler rendere ufficiali gli Avengers?” Aveva voltato leggermente la testa verso Steve. L’uomo la guardava con uno sguardo che questa volta non sapeva come interpretare. Serio. Curioso. Rassegnato. 

“La Stark Tower ha diversi piani vuoti, possiamo usarla come quartier generale. Posso anche fornire degli alloggi privati per tutti. So che lo S.H.I.E.L.D. vi offre un alloggio e magari tu, Natasha e Clint siete a posto, ma Banner e Thor non credo abbiano una casa negli States. E visto che dovrò ristrutturare tanto vale apportare delle modifiche.” 

“Ne eri così contraria quando Fury te ne ha parlato la prima volta. Non lo hai nemmeno voluto ascoltare.”

“Perché ha un tempismo di merda, devi ammetterlo. Ero appena sopravvissuta per pura fortuna a Stane e questo se ne esce con sta storia. Nessuno sano di mente lo avrebbe ascoltato.” Aveva bevuto altro tè alcolico e si era messa più comoda nella poltrona. Non aveva smesso di guardare Steve però. Era tutto così strano in quel momento. Non sapeva nemmeno come prendere esattamente quella situazione. 

“Non penso starò molto tempo a New York. Devo tornare a Washington.”

Gli aveva sorriso, ma il suo cuore si era spezzato a quella frase. Non sapeva cosa avesse sperato davvero. In tutti quei giorni Steve non aveva mai nascosto che aveva cercato di telefonare a Sharon Carter più e più volte. A volte la donna gli rispondeva, altre no. Il suo stupido cuore aveva creduto, si era illuso, che quella vicinanza avrebbe forse portato ad altro. Magari lentamente, non subito, ma magari piano piano si sarebbero riavvicinati. 

Era stupida. Lo sapeva benissimo che era stupida e innamorarsi era stata la cosa più sbagliata che avesse mai fatto nella sua vita. Forse Howard non aveva avuto tutti i torti quando le aveva messo i bastoni tra le ruote anni addietro. 

Steve Rogers le aveva spezzato il cuore, proprio come suo padre aveva predetto. Certo, lei aveva fatto la sua parte egregiamente e le avrebbero dovuto dare un premio per questo. Ma si era stupidamente illusa. 

“Ti capisco. Devo tornare a Malibu anch’io.”

Era una bugia. Non doveva tornare da nessuna parte. Avrebbe anche potuto trasferirsi in Alaska che tanto non aveva qualcuno da cui tornare o a cui rendere conto. Nemmeno la sua azienda richiedeva la sua presenza fisica. Bastava che continuasse a produrre progetti su progetti, ma questo poteva farlo da qualsiasi buco in cui si fosse nascosta. 

Aveva abbassato lo sguardo sulla tazza che stringeva tra le mani e il suo cervello era totalmente vuoto. Annebbiato dal dolore che stava provando. Ma era solo lei che si era illusa. Non era cambiato nulla da quel pomeriggio in cui Steve se ne era andato da Malibu. Si sentiva quasi una stupida ragazzina ad aver sperato che qualcosa scoccasse in quei giorni. Aveva forse visto troppi film romantici e quel stupido ed inutile bacio le aveva dato una piccola speranza. 

“Io ti amerò per sempre. Lo sai questo, vero?”

“Ho un cuore troppo debole per ascoltare queste stronzate, Rogers. Potrebbe letteralmente spezzarsi nel vero senso della parola e non vorresti avermi sulla coscienza. Ti perseguiterei finché vivi.” Non aveva il coraggio di guardarlo e aveva dovuto prendere un profondo respiro per cercare di controllarsi. E Steve non poteva averglielo detto sul serio. Non poteva il suo Steve essere così crudele per dirle le parole che in realtà lei aveva sperato di sentirgli dire ancora una volta.

“Ho preso un impegno con un’altra persona, e ci tengo davvero a Sharon. Non si merita il dolore che le ho causato e forse se torno a Washington potrebbe darmi un’altra possibilità. O almeno mi toglierò questo senso di colpa di dosso.” Lo aveva sentito sospirare, ma non aveva ancora abbastanza coraggio per poterlo guardare. Se lo avesse fatto non era sicura di quello che avrebbe potuto dire o fare.

Erano le tre di notte. Quello era l’orario dei discorsi proibiti. Delle conversazioni che sarebbero morte lì. 

“Ti offrirò una birra a Malibu se dovesse prenderti a calci in culo.” Aveva alzato la testa verso di lui. Sapeva, era sicura di avere gli occhi lucidi e con molta probabilità pieni di lacrime che non vedevano l’ora di essere versate. Aveva cercato di sorridere, o almeno di accennare un sorriso. Non era semplice. 

Per due anni non si erano visti. Per due anni avevano fatto quasi finta che l’altro non esistesse. Non si erano incontrati. Non si erano mai più parlati.

E Steve ora le diceva che provava ancora qualcosa per lei. Solo che era troppo tardi per entrambi.

“Tasha, non piangere.” Aveva appoggiato la tazza sul tavolino e lo aveva visto alzarsi dal divano. Era solo riuscita ad alzare una mano nella sua direzione per fermarlo. Non si fidava affatto della propria voce in quel momento. Sarebbe sicuramente uscita spezzata e non lo voleva. Già si era coperta di ridicolo abbastanza. “Merda, non volevo. Scusami.” Si era passato una mano tra i capelli, portandola poi alla bocca. Lo faceva ancora, aveva notato. Quando era pensieroso lo faceva sempre. 

Si era asciugata il viso col bordo della maglietta che aveva usato per dormire e aveva alzato la testa per poggiarla sullo schienale. Aveva guardato il soffitto e cercava di controllarsi. Non era brava in questo. Non lo era mai stata. Quando le emozioni prendevano il sopravvento sul suo cervello, non era mai stata brava a calmarsi. Questo era perché imbottigliava tutto e poi finiva per scoppiare, che fossero emozioni positive o negative poco importava. 

“Odio da morire il fatto che esisti solo tu nella mia testa. Sono così patetica da essere uscita con Johnny Storm solo perché ti assomigliava fisicamente. E non riesco nemmeno a fare come te. Non riesco ad impegnarmi seriamente con altre persone.” Aveva dovuto passare la mano sugli occhi perché non riusciva a controllarsi e le lacrime scorrevano nuovamente. “Se mai dovessi reincarnarmi, verrò a cercarti. Verrò a cercarti e non farò gli stessi errori.”

Patetica. 

Natasha Stark si stava rendendo patetica.

Con la voce spezzata dalle lacrime mendicava l’amore di un uomo che non la voleva più. Ah, se solo suo padre l’avesse vista in quel momento. L’avrebbe denigrata e avrebbe fatto bene. Lei era comunque Natasha Stark. Aveva una certa fama ed in pubblico era sempre un certo tipo di personaggio. Non aveva mai vacillato la sua maschera. Non era mai stata debole. Tutti i suoi eccessi avevano creato un personaggio che in realtà era molto diverso in privato. 

In privato era una ragazzina patetica che piangeva alle tre di notte perché il suo ex compagno aveva solo messo fine un’altra volta a tutto quello che ci poteva essere. Si sentiva come quella mattina a Boston, chiusa nella propria piccola officina casalinga, mentre Steve le diceva che era stato un errore andare a letto con lei. 

“Tasha.” Aveva sussultato quando aveva sentito la mani calde di Steve sulle proprie gambe. Non lo aveva sentito muoversi e non aveva nemmeno fatto caso ai suoi movimenti. “Tu sei la donna più assurda che io abbia mai conosciuto. Sei magnifica. Sei testarda. Sei intelligente. Sei bellissima. Sei impossibile. Sei la persona che più ho amato in vita mia e temo che questo non cambierà mai.”

“Questa è la cosa che mi fa più male.” Lo aveva guardato e l’uomo le sorrideva lievemente. Ma era un sorriso triste, rassegnato. Era il sorriso di qualcuno che stava rinunciando. E non poteva dargli torto. Non aveva mai potuto dargli torto. 

“In una prossima vita non ti lascerò andare nemmeno io. Ti terrò stretta per sempre.”

Si era sporta verso di lui e lo aveva guardato negli occhi. Amava i suoi occhi. Li aveva sempre adorati perché erano così espressivi. A volte le bastava guardarli e capire quello che Steve non stava dicendo. 

“Promettimi solo una cosa, Steve. Promettimi che sarai felice, ok? Non mi importa con chi, ma voglio che tu sia felice.” Gli aveva accarezzato le guance con entrambe le mani senza smettere di guardarlo. Perdersi in quei occhi era così facile. Avrebbe potuto rimanere così, semplicemente a guardarlo, tutta la notte. 

Non le aveva risposto. Non a parole. 

Aveva semplicemente annullato la distanza tra di loro e l’aveva baciata. Un bacio casto. Un bacio d’addio. Un bacio che sanciva la fine. 

Lo aveva abbracciato. Aveva osato tanto perché oramai non aveva più nulla da perdere. E voleva per un’ultima volta essere stretta tra le braccia di quell’uomo. Voleva solo quello. Voleva il ricordo del suo calore. Il ricordo del suo profumo. Della morbidezza e ruvidezza delle sue labbra. 

Voleva solo scolpire quel momento nella sua mente per appigliarglisi nei momenti no, che temeva non sarebbero stati pochi nei mesi successivi. 

 

✭✮✭

 

“Dunque cos’è questo? Un addio? Un arrivederci? Facciamo solo finta di salutarci per fregarli e poi tutti a fare bisboccia alla Torre?”

Natasha aveva spinto gli occhiali da sole di più sul naso, cercando di ignorare la voce petulante di Clint Barton. Non aveva smesso di parlare da quando si erano svegliati quella mattina. Tutto perché avevano ricevuto una telefonata dallo S.H.I.E.L.D.. Erano liberi di andare. La loro quarantena dal mondo era finalmente finita e ognuno poteva tornare alla propria vita.

Avevano fatto colazione quasi in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Ognuno che pensava a cosa avrebbe fatto adesso. Sarebbero potuti davvero tornare alla vita di prima senza problemi? Ne dubitava, e forse ne dubitavano tutti quanti sulla faccia della Terra. 

“Io porterò Loki ad Asgard per assicurarmi che venga rinchiuso dove non potrà più nuocere a nessuno.” E come a sottolineare le sue parole, Thor aveva strattonato la catena a cui erano legati i polsi di suo fratello. Fratellastro. Quello che era. 

Fury, assieme ad un gruppo di agenti, gli aveva dato appuntamento a Central Park. Avevano chiuso una parte del parco solo per loro ed il loro commovente incontro. O saluto. Doveva ancora decidere cosa fosse. Come doveva decidere cosa fare davvero da quel momento in poi.

Avevano fatto scendere Loki da un furgone e la prima tentazione che aveva avuto era stata quella di attaccarlo. Voleva vendicarsi perché era solo colpa sua se erano in quella situazione e se il suo cuore era malandato di nuovo. 

Erano passati altri quattro giorni dalla sua conversazione notturna con Steve e non avevano ovviamente più affrontato il discorso. Quella notte chiudeva il ciclo. Quella notte era stata catartica e doveva mettersela in tasca così com’era e andare avanti. 

Lo aveva osservato mentre preparava il suo borsone. Non aveva avuto intenzione di spiarlo, ma aveva lasciato la porta della stanza aperta e lei non aveva potuto evitare. Era sempre preciso nel fare le cose, ma non nel fare i bagagli. Lo aveva osservato mettere alla rinfusa le cose nel borsone e aveva sorriso. Non sarebbe mai cambiato e questo era in parte confortante. Fortunata era la donna che sarebbe diventata la signora Rogers. 

“Io volevo andare a fare bisboccia.” Clint Barton si era voltato verso di lei, come a cercare un partner per le proprie cattive idee, ma lei non era proprio dell’umore adatto quel giorno. Voleva solo andarsene da quel luogo e stare lontana dallo S.H.I.E.L.D. per un po’. Soprattutto perché Fury aveva deciso di informali solo allora e tramite videochiamata che l’agente Phil Coulson era ancora vivo. 

Era stata manipolata sin dall’inizio. Le scelte che aveva fatto sull’Hellicarrier erano dovute in gran parte al senso di vuoto che aveva provato alla notizia della morte dell’agente che conosceva da quando era una ragazzina. E Fury, era sicura, aveva giocato la carta del senso di colpa, della sua impotenza. La conosceva meglio di quanto lei stessa volesse ammettere e aveva usato i suoi punti deboli, amplificati dalla sua prigionia in Afghanistan, per muoverla come una pedina sulla scacchiera. 

E lei ci era cascata, non vedendo trame nascoste per una volta. La sua paranoia era stata messa da parte perché Phil Coulson era morto e lei voleva vendicarlo. 

Era arrabbiata. Era frustrata. Non sapeva cosa avrebbe fatto esattamente se Fury non gli avesse comunicato la morte dell’agente mentre erano sull’Hellicarrier. Sicuramente sarebbe intervenuta non appena avesse avuto la notizia che la sua Torre era stata usata come fonte di energia per attuare il piano malefico di Loki, ma non si sarebbe mossa tempestivamente. Non avrebbe avuto alcuna epifania parlando con Steve. Sarebbe rimasta in laboratorio o se ne sarebbe andata. 

Non avrebbe fatto squadra. Non subito. Ci avrebbe messo i suoi tempi, ma prima o poi avrebbe capitolato. Invece era stata manipolata per bene ad agire subito, d’istinto. E poi l’aveva lasciata crogiolare nel suo stesso brodo fino a quando non aveva tirato fuori lei stessa il discorso degli Avengers.

“Faremo bisboccia un’altra volta.” A parlare era stato Steve Rogers. Era già pronto per partire in sella alla sua Harley Davidson per andare in direzione Washington. Lo aveva sentito parlare con la Romanoff. Non aveva voluto origliare, ma si era trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato e lo aveva sentito dire che doveva tornare da Sharon. 

“Il mio compleanno è a fine mese, e se mi va potrei invitarvi per una festa.” Aveva guardato tutti tranne Steve. Era così infantile e se ne rendeva conto, ma era più forte di lei. “Non so come invitare te, Thor, ma tieniti libero per il 29.” Il dio del tuono le aveva sorriso, senza mai mollare la presa sulle catene che tenevano legato Loki. “Tu invece non sei invitato, proprio per nulla.” Aveva puntato il dito contro il dio dell’inganno, come se fossero un gruppo di bambini delle elementari.

“Cercherò di esserci, Stark. Statemi tutti bene fino ad allora.” Thor li aveva guardati tutti prima di alzare il martello al cielo. Heimdall, il guardiano del Bifrost di cui gli aveva parlato Thor, aveva aperto un portale e i due asgardiani erano stati investiti da una luce magica. Se non lo avesse visto con i suoi stessi occhi non ci avrebbe mai creduto. Come può uno sano di mente crederci davvero? 

“Banner. Laboratorio. Ora. Deve esistere qualcosa che non sia magia per spiegare tutto questo.” Si era voltata verso Bruce, che cercava di farsi piccolo piccolo di fronte a tutti quei agenti S.H.I.E.L.D. che li circondavano. 

“Non saprei, Tasha. Questo va davvero molto oltre tutto quello che ho studiato.” L’uomo si era passato una mano sulla nuca ed il collo, perché quel discorso lo aveva già affrontato e non trovavano un terreno comune di discussione. Per Banner era solo magia senza alcun fondamento scientifico, per lei doveva esserci un modo per arrivare ad aprire quei portali senza la magia. 

“Mentre voi giocate a fare Harry Potter, io me ne vado. Ho dei rapporti da compilare al quartier generale.” Natasha Romanoff aveva sorriso e aveva mosso qualche passo verso di lei. “Non credo di dover essere io a dirtelo, ma non esagerare con gli esperimenti. Lo S.H.I.E.L.D. ti terrà sott’occhio anche di più adesso. Tieni un profilo basso, ok?”

“Wow, un consiglio su come fregare il gran capo proprio da te. Sto rovinando anche te.” Le aveva sorriso e la spia aveva ricambiato per poi girarsi e fare un gesto con la testa verso Clint. L’uomo aveva annuito, come se avessero parlato telepaticamente. 

“Vado anch’io.” Steve aveva messo gli occhiali da sole e chiuso il giubbetto di pelle. “Vorrei arrivare prima di sera a Washington.”

“Guida piano. Fermati se ti senti stanco. Fai qualche spuntino durante il viaggio.” Lo aveva guardato e gli aveva porto la mano. Non sapeva esattamente come salutarlo. Formale o informale? Non sapeva nemmeno se qualcuno li stesse spiando in quel momento. Il suo istinto le avrebbe detto di dargli un veloce abbraccio, anche solo come augurio di risolvere la situazione a Washington, o per dirgli “io ci sono” come supporto morale per qualsiasi cosa gli servisse. Ma la testa le diceva di essere il più formale possibile. Quindi cosa meglio di una stretta di mano? Professionale e impersonale.

“Lo farò, Tasha.” Le aveva sorriso e aveva stretto la sua mano. Era sempre così calda, l’esatto contrario delle sue. 

“Vale anche per te l’invito alla mia festa di compleanno. So che è difficile ed impossibile che ci sarai, ma l’invito è valido anche per Sharon.” Doveva andare oltre. Doveva lasciarsi Steve alle spalle e permettergli di vivere la sua vita. Non era facile, lo sapeva che per lei sarebbe stato quasi impossibile togliersi dalla testa quell’uomo, ma doveva farlo per lui.

“Gliene parlerò. Stammi bene, Tasha. E se hai bisogno, il mio numero di telefono è sempre lo stesso.” Aveva lasciato andare la sua mano e si era diretto verso Clint e Natasha che stavano parlando a voce bassa. Li aveva salutati e poi era salito in sella alla sua moto e senza ulteriori indugi era partito. Non gli avrebbe mai scritto e ancora meno lo avrebbe chiamato. Lo doveva ad entrambi. Tagliare quel filo rosso che li univa era doloroso, ma era l’unica cosa giusta da fare in quel momento.

“Bruce, andiamo. Abbiamo del lavoro da fare alla Torre.” Aveva cercato le chiavi della macchina in tasca, cercando di essere più neutra possibile. Doveva solo tenere la mente occupata. Se non ci pensava, se si concentrava su altre cose, non avrebbe pensato a Steve, agli alieni, alla sua ennesima quasi morte. Si sarebbe concentrata a lavorare con Banner ai wormhole e al quartier generale degli Avengers. Avrebbe tenuto la testa impegnata in modo tale da non fare cazzate. 

“Se proprio devo.” Lo scienziato aveva sospirato rassegnato, come se non volesse davvero ma fosse stato costretto, ma l’aveva seguita ugualmente, salendo subito in macchina. Tutto sommato non aveva un posto nel mondo neppure lui. Erano un gruppo di randagi che si muoveva senza mete fisse. Per questo avrebbe creato un posto in cui potessero riunirsi al bisogno. Non pensava avrebbe mai avuto pensieri simili verso persone che non fossero Rhodes, Steve o Pepper, soprattutto persone appena conosciute. Ma non poteva fare a meno di pensarla così. 

Avrebbe creato un quartier generale che potesse essere usato come rifugio in qualsiasi momento da qualsiasi membro della squadra. E non avrebbe permesso a nessuno esterno di interferire con i suoi piani.




{{Dopo tutto questo tempo, questa terza parte ha avuto una fine. Quasi non ci credo.
Sono cambiate così tante cose dal 2018 ad oggi.
Ho trovato una persona speciale. Mi sono spostata di 300km. Ho iniziato a convivere. Sono diventata madre (di questo ancora non mi abituo). La mia vita ha avuto un cambiamento a 360°, ma la Stony è sempre presente XD

Grazie a chi ancora oggi ha seguito questo mio vaneggiamento su E3490.}}

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