Ricordi – Loquacità e istinto

di Mari Lace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bellissimi ***
Capitolo 2: *** Sono buoni, Rei? ***
Capitolo 3: *** Prometti? ***
Capitolo 4: *** Promesse vecchie e nuove ***



Capitolo 1
*** Bellissimi ***


Bellissimi





«Non è vero! Non sono diverso!» urli, arrabbiatissimo.

Come si permettono? Solo perché non hai i capelli neri…

«Bugiardo!» ti urlano contro.

«Lo sappiamo benissimo che non sei giapponese! È impossibile!»

Sono in cinque, sei circondato. Si limitano a prenderti in giro, ma tu non ci stai.

Ti scagli su quello davanti a te, il bambino che ha cominciato, e gli assesti un pugno in faccia.

Gli altri quattro ti sono subito addosso; non ti limiti a subire, ricambi i colpi, ma alla fine chi resta per terra sei tu.

Ti lasciano lì solo, non trovi la forza di rialzarti. Non subito.

 

Riapri gli occhi. Per poco non lanci un grido; è la prima volta che al risveglio da una rissa vedi qualcuno accanto a te.

È anche la prima volta che una tua coetanea ti osserva tranquilla, senza traccia d’odio o paura nello sguardo.

«Sei vivo!» esclama lei felice, vedendoti sveglio. «Lo sapevo, naturalmente, perché respiravi; ma non ti sei mosso per un po’, e hai tanto sangue… Stai bene?»

«Chi sei?» mormori, cercando di tirarti su. Ti offre prontamente una mano, anzi, non si limita ad offrire: ti passa un braccio intorno al collo e fa lo stesso con il tuo, aiutandoti a rimetterti in piedi.

Poggiando su di lei, ci riesci.

«Mia mamma è brava ad aggiustare le persone; non preoccuparti!» ti dice, cercando d’incoraggiarti.

Non sa che a situazioni come quella sei fin troppo abituato, hai già imparato che dopo un po’ il dolore passa. Ti servono solo tempo e saliva.

«Lasciami», protesti. Non vuoi andare da un’aggiusta-persone o quello che è; vuoi restare solo. Ti hanno umiliato ancora una volta, eppure tu sei nato lì… non è giusto, lo sai.

«Perché fai così?» si lamenta lei, mettendo il broncio. «Stai tanto male? Mamma è vicina!»

«Non voglio andare da tua mamma!» urli. Che problemi ha questa bambina? Perché s’impiccia nei tuoi problemi?

Lei si piega sulle ginocchia per farti sedere a terra – siete arrivati in un parco – senza movimenti troppo bruschi; poi si rialza e, mani sui fianchi, ti affronta. «Perché fai così?» ti chiede; ti accorgi che sta per mettersi a piangere. «Io voglio solo aiutarti!»

È la prima volta che parli così da vicino con una bambina; non sai bene che fare.

Punti lo sguardo sul terreno, pensando che finalmente se ne andrà e ti lascerà in pace.

«Insomma, dico a te» insiste però lei, abbassandosi per guardarti negli occhi.

Alzi la faccia seccato; non la capisci proprio. «Perché lo fai? Vuoi prendermi in giro anche tu?»

«In giro? Perché?» sembra sinceramente stupita; è ancora un po’ arrabbiata, ma il suo tono si è addolcito.

«Perché… i miei capelli…» mormori senza guardarla. Ti tornano in mente le frasi cattive degli altri bambini e inizi a piangere lacrime di rabbia.

Lei si siede e ti osserva in silenzio per qualche secondo.

«Sono invidiosi dei tuoi capelli? Ma è normale, sono bellissimi!» esclama, cogliendoti totalmente di sorpresa. «Non devono mica prenderti in giro, però! Chi è stato? Ci parlerò io!» decide.

La guardi sconvolto; le lacrime si sono fermate.

«Be’? Che c’è?» ti chiede. «Hai uno sguardo strano, va tutto bene…?»

«Cos’hai detto… i miei capelli…» ti escono sussurri spezzati.

«Sono bellissimi», ripete lei con un sorriso. «Mi ricordano quelli di mamma. Vorrei averli anch’io» ti confessa felice.

No, è il tuo sorriso ad essere bellissimo.

La rabbia ti è passata del tutto; era inevitabile, di fronte all’ingenua bontà di quella strana bambina.

«Senti, come ti chiami? Io sono Akemi! Che dici, diventiamo amici? A casa sono sempre sola con mamma e papà… Ma presto avrò una sorellina, sai? Mamma dice che mi piacerà tantissimo, e io le credo! Non vedo l’ora… potrebbe anche essere un fratellino, però! Spero che non mi faccia i dispetti…»

Ti travolge con la sua parlantina, ma a te non dispiace. È la prima volta che qualcuno che non sia un adulto ti parla tanto senza insultarti. Non sei certo sia del tutto normale, però…

«…insomma, sì, potrebbe succedere, ma penso che… ehi, mi stai ascoltando?»

Improvvisamente scoppi a ridere.

Lei gonfia le guance, pensando che tu voglia prenderla in giro. «Non sei gentile», sbuffa.

«A te piace proprio parlare, vero?» le dici.

«Non c’è niente di male» si difende lei, offesa.

«Sì, lo so» confermi.

«Ah». Abbassa la guardia. «Quindi non ti sto antipatica?»

Scuoti la testa. «Mi chiamo Rei», l’informi. «Vuoi ancora che siamo amici?»

La sua espressione ti dice di sì prima ancora di sentirglielo esclamare.

 

 




NdA

 

Non ho molto da dire, leggendo il 1011 ho gioito internamente per tutto il flashback di Amuro, ho amato che conoscesse Akemi e che lei lo abbia trascinato da sua madre perché “Abbiamo un ferito!”. Dovevo riversare l’emozione da qualche parte o rischiavo di implodere.

Ho cercato di semplificare al massimo, trattandosi di bambini. Spero sia riuscito bene.

Se volete commentare gli ultimi avvenimenti del manga, la butto qui, a me farebbe piacere.

Alla prossima!

 

Mari

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Capitolo 2
*** Sono buoni, Rei? ***


Regalo




«Rei, Rei!»

È venuta di nuovo a trovarti. Con lei non l’ammetteresti, ma ne sei felice. Akemi non ti giudica, e sua madre… con lei stai bene. Forse è per quello che le hai sentito dire, “Lui è come me!”.

Non devi più combattere per farti accettare, almeno non con loro.

Continui ad essere periodicamente coinvolto in risse, ma con una frequenza minore.

Adesso però c’è sempre Akemi che, dopo averti rimbeccato, ti aiuta a rialzarti con un bel sorriso.

La parte in cui ti appone i cerotti è un po’ meno piacevole, ma te ne importa poco.

«Reiiiiiii!» ti ha finalmente raggiunto. Rumorosa come sempre, ma… forse oggi un po’ di più.

«Che c’è oggi?» le chiedi. «Sembri più ip… ipra… insomma, sei tanto attiva, più del solito».

«È il compleanno di mamma!!» risponde lei battendo le mani.

Oh. L’immagine di quella donna gentile ti riempie la mente, ti senti scaldare da dentro. Non capisci cosa ti succede ma ti senti stranamente allegro.

«Sei tutto rosso» ride Akemi, poi all’improvviso torna serissima. «Mi aiuterai?»

Dopo il suo commento, potrebbero facilmente scambiarti per un pomodoro. «Aiutarti con che?»

«Ma a farle il regalo, ovvio» dice, con il tono di chi sottolinea un'ovvietà.

«Va bene, ma non fare la saputella» ribatti. «Che ne sapevo…» improvvisamente ti colpisce un pensiero; ti porti d’istinto le mani alle tasche. Tasti un paio di caramelle… e nient’altro.

Le guance, finalmente tornate al loro normale colorito, tornano a tingersi delicatamente di rosso. «Non ho soldi», confessi dispiaciuto. Volevi davvero farle un regalo…

Akemi ti osserva confusa. «Soldi? Che c’entra?» mormora.

Ora è il tuo turno di confonderti. «Come pensi di farle un regalo?»

«Con le mie mani, ovviamente!» ti annuncia fiera. «Le farò dei buonissimi biscotti… ma tu che pensavi?»

L’osservi ancora più smarrito di prima. «Non so cucinare».

La tua amica scoppia a ridere. «Male, ma non importa! Sarai il mio assaggiatore!» ti comunica.

Vorresti chiederle cosa sia esattamente, quel parolone lì, ma non lo fai.

Annuisci con forza; se puoi renderti utile in qualche modo, vuoi farlo!

Non immagini a cosa stai andando incontro…

Segui Akemi a casa sua, è la prima volta che ci vai. Finora sei stato solo alla clinica dei suoi genitori. Una volta dentro ti guardi intorno ammirato; è diversa da casa tua, molto più colorata, piena di oggetti. Mette allegria solo a vederla, pensi.

Sposta una sedia e ci sale sopra per poter raggiungere la dispensa. Si allunga il più possibile ma non riesce comunque a raggiungere lo scaffale più alto. Sbuffa indispettita.

«Sei un po’ più alto» ammette. «Provaci tu!»

Sorridi, orgoglioso dei tuoi due centimetri di superiorità. Per riuscire nell’impresa devi reggerti sulle punte anche tu, e per poco non cadi.

«Attento!» urla Akemi, preoccupata. Ti indica gli ingredienti che le interessano e tu le passi tutto, facendo molta attenzione a non sbilanciarti. Con la bottiglia d’olio rischi grosso.

Quando scendi dalla sedia pensi d’aver finito, ma non è così; ora la bambina apre il frigo e ne estrae una bottiglia di vetro. La stappi e l’odore del liquido all’interno ti punge il naso; non l’hai mai sentito prima, chissà cos’è.

Ti siedi al tavolo, poggiando la testa sul mobile, e osservi con curiosità il lavoro di Akemi. Questa parte è tutta sua.

La vedi svuotare il contenitore dello zucchero, la busta della farina e le due bottiglie sul tavolo, con l’olio e il liquido sconosciuto, in una grande ciotola. Dopodiché mette le mani nella poltiglia che ha ottenuto e ce le muove molto a lungo.

«Che stai facendo?» le chiedi. Dalla tua posizione non riesci a vedere cosa avviene dentro alla ciotola.

«Imbasto, no, impasto» spiega lei. «Me l’ha insegnato papà. Questi sono i biscotti preferiti di mamma».

Apri la bocca stupito. Tuo padre non cucina mai. «Perché non li prepara lui allora?»

Akemi s’indigna a quella domanda. «Voglio fargli una sorpresa!» esclama.

Non sapendo bene come rispondere, ti limiti ad annuire.

«Mmhhh, non va bene» mormora lei dopo un po’. «Mi serve altra farina!»

Ti sbrighi a procurargliela, arrampicandoti nuovamente sulla sedia. Stavolta tocca a te versarla; mentre esegui puoi vedere il prodotto degli sforzi di Akemi. Nella ciotola c’è una massa più o meno liquida, con qualche piccola sfera solida qua e là. Aggiungi parecchia farina, mentre la piccola cuoca continua a mischiare. Torni al tuo posto.

Lei continua a impastare per almeno altri dieci minuti, che a te sembrano molti di più.

Poi finalmente fa un sorriso soddisfatto. «È pronto! Ora devo solo fare le forme!»

Non riesci proprio a trattenere uno sbadiglio.

Akemi non si arrabbia, anzi. «Vuoi farle con me?» ti propone con un sorriso.

La guardi un po’ impacciato. Sei felice di quella proposta, ma…

«Come si fa?»

«Oh, è facilissimo» dice afferrandoti la mano con una delle sue. È tutta appiccicosa, ma ti lasci guidare ugualmente.

Si ferma un attimo prima di mettertela nell’impasto. «Hai lavato le mani?» indaga.

Arrossisci imbarazzato. «No», confessi. Lei ti lascia e tu corri a rimediare.

Tornando al tavolo vedi che ha già cominciato. Ha preso un po’ della sostanza nella ciotola e la sta modellando con le dita. Ti avvicini per vedere meglio.

«Che cos’è?» chiedi curioso. Ti fa pensare alla testa di un alieno, con due antennine lunghe come hai visto una volta in televisione.

«Un coniglio!» risponde lei allegra. «Che altro potrebbe essere?»

Per qualche motivo preferisci non rispondere. Akemi non ci fa caso.

«Dai, prova anche tu» ti esorta, mettendo il coniglietto su una teglia. Ti prende la mano e te la mette dentro alla ciotola. «È facile!»

Immergi la mano nell’impasto, incerto. È tutto appiccicoso; non hai mai toccato niente del genere, prima.

«Che devo fare?»

La piccola cuoca sfoggia un sorriso da maestrina. «Fai come me», dice, poi immerge a sua volta la mano e porta fuori un po’ d’impasto, più o meno quanto ne sta in un pugno. La copi.

«Ora facci la forma che vuoi». Ha un piatto con un po’ di farina davanti a sé, dove si appoggia per lavorare.

«Che forma dovrei fare?»

«Se te lo dico io non è divertente! Decidi tu».

«Ma è per tua mamma!»

«Un biscotto posso anche regalartelo», concede Akemi. Si sente molto generosa per questo.

«Poi questi dovrai assaggiarli, forse ne faremo altri!»

Ci pensi un po’, ma non troppo, anche perché non ti piace la sensazione dell’impasto sulla pelle.

Lo posi a tua volta nel piatto e cerchi di formare uno zero; così ti hanno soprannominato gli altri bambini, ma a te non dispiace.

«Un cerchio? Bana-ale!» commenta Akemi. È all’opera con il terzo biscotto, sembra molto presa.

Gonfi le guance, punto nell’orgoglio. «Tu che stai facendo allora?»

«È un segreto» ti dice lei mostrandoti la lingua.

Vuoi bene ad Akemi, ma a volte sa essere davvero insopportabile, rifletti mentre sposti il tuo biscotto sulla teglia.

Ti stufi presto di giocare con l’impasto e corri a staccartelo dalle mani, lasciando a lei tutto il lavoro artistico.

Perdi il conto delle ore che passate così, ma improvvisamente senti una gran fame.

«Finito!» esclama soddisfatta la bambina. Afferra la farina e ne sparge un po’ sopra la teglia, poi va ad aprire il forno.

L’aiuti ad inserirci i biscotti. «Abbiamo finito?» chiedi speranzoso.

«Quasi», è la risposta. Akemi guarda l’orologio e le sfugge un urlo. «È già così tardi! Mamma e papà torneranno tra meno di un’ora!»

La vedi armeggiare con uno dei pulsanti del forno.

«Cos’hai fatto?»

«Ho alzato la temperatura», ti spiega. «Così finiamo prima».

Annuisci convinto; è un’idea geniale.

 

«Akemi… è normale questo fumo?» ti trovi a chiederle dieci minuti dopo.

Vi siete spostati in salotto per giocare, ma ora correte subito in cucina. «Aaaah!» urla lei.

No, non è normale, qualcosa ti dice.

La bambina ti guarda disperata. «Rei… abbiamo dato fuoco alla casa!»

La guardi sconvolto. «Abbiamo? Hai fatto tutto tu!»

S’indispettisce e corre davanti al forno, l’origine del fumo. «Devo spegnerlo… ma se mi brucio?»

«Lo faccio io! Dimmi come!» ti proponi in uno slancio d’eroismo.

«Spingi quel tasto» dice lei indicando.

Lo fai, ritraendo poi di scatto la mano. «Scotta!»

«Mettilo sotto l’acqua» ti istruisce mentre recupera un asciugamano da un’altra stanza. Lo usa per aprire il forno; venite investiti da una zaffata di fumo e calore.

A quel punto vorresti tornare a casa, ma l’espressione triste di Akemi ti fa rinunciare.

«Che facciamo ora?» chiedi. Il dito ti fa ancora un po’ male.

Senza una parola, estrae la teglia bollente – sempre con l’asciugamano a proteggerle le dita – e la poggia sul pavimento.

I biscotti, alcuni più altri meno, sono bruciati. Akemi scoppia a piangere.

Vuoi farla smettere ma non sai come. Alla fine ti fai coraggio e afferri quello a forma di zero. È un po’ annerito sul bordo, ma è tra quelli messi meglio. Lei ti guarda confusa. «Che fai…?»

«È solo che ho fame» dici, e lo metti in bocca. Lo mastichi per qualche secondo, sforzandoti di non fare smorfie. Hai i suoi occhi puntati addosso; ha smesso di piangere, per ora.

«Non è tanto male» affermi, sperando di essere convincente.

Lei sposta lo sguardo da te ai biscotti un paio di volte. «Si possono mangiare?» mormora.

Ti affretti ad assentire. «Certo!»

Ti guarda combattuta. «Davvero?»

Annuisci.

«Non ci credo» dice scuotendo la testa. «L’hai detto solo per consolarmi».

«No!» protesti con forza. Non sei arrabbiato, ma hai paura che ti scopra. Prendi un altro biscotto; senti nuovamente in bocca uno strano sapore dolciastro. Il sapore di bruciato non si sente troppo.

«Sono buoni» insisti.

Lei fissa i biscotti rimanenti con gli occhi lucidi. «Non ho il tempo di farne altri!»

Ti guarda nuovamente. «Sono davvero buoni?»

«Sì» dici ancora, fissandola negli occhi. Ti senti strano.

Lei ti butta le braccia al collo. «Che bello! Grazie, Rei!» esclama. Per poco non perdi l’equilibrio.

Non sai perché, ma ora ti gira un po’ la testa.

Forse per questo non senti il vociare proveniente dal salotto.

«Mamma!» esclama Akemi.

Ti ha creduto, ora è nuovamente eccitata all’idea di dare il suo bellissimo regalo alla madre.

Poco dopo Elena e Atsushi vi raggiungono in cucina; entrambi con un’espressione preoccupatissima stampata in faccia.

«Buon compleanno!»


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Capitolo 3
*** Prometti? ***


Promessa




«Insomma, Zero!»

A riscuoterti dai tuoi pensieri è una brusca affermazione: sposti lo sguardo alla tua destra e osservi Wataru, un ragazzino non troppo sveglio che non ha mai niente di meglio da fare che prenderti in giro per i tuoi tratti stranieri. Ha preso a chiamarti “Zero” per dispetto, ma non sa che quel soprannome ti piace. Certo, sentirglielo usare non ti fa impazzire, ma neanche ti ferisce.

Lo guardi annoiato, hai ben altro a cui pensare ora.

«Sei diventato anche sordo?» prosegue lui irritato dal tuo atteggiamento indifferente. Improvvisamente però ghigna. «Oggi sei solo».

Se il suo scopo era indisporti, lo raggiunge. L’oggetto dei pensieri che ti hanno tormentato per tutta la mattinata è proprio quello che lui ha appena sottolineato: lei non c’è.

Akemi non manca mai da scuola. Ti rifiuti di ammetterlo, ma sei preoccupato.

Negli ultimi giorni la tua amica, normalmente sempre solare – anche troppo, a volte – si è incupita.

Non sei riuscito a farti dire cos’avesse; non gliel’hai nemmeno chiesto, in realtà. Ogni volta che avresti voluto provarci lei si stampava un sorriso in faccia e tornava la ragazzina dispettosa e iperattiva di sempre.

Avevi pensato anche che fosse stato tutto frutto della tua immaginazione, ma… la verità è che sei bravo, a capire le persone. Ti capita fin troppo spesso di notare dettagli a cui nessun altro fa caso, di indovinare cosa sta per dire o fare quella determinata persona.

Questo, tuttavia, non vale per Akemi. Lei è imprevedibile, con la sua esuberanza ti stupisce nove volte su dieci. Anche per questo ti piace.

Ma perfino con lei sei in grado di notare se c’è qualcosa che non va.

Ti eri convinto d’esserti sbagliato, che andava tutto bene – ma allora, perché non è venuta a scuola?

Stringi il pugno, un gesto che nelle ultime ore hai fatto spesso. Dove sei, Akemi?

Perso come sei – di nuovo – in questi pensieri, non vedi arrivare il pugno di Wataru.

«Chi ti credi di essere?» ti provoca lui. Si volge verso il resto dei vostri compagni – contro i tre, quattro del suo gruppetto, per la verità. Gli altri non vi prestano attenzione.

«Zero si è montato la testa solo perché Miyano gli va dietro! Poverino, non capisce che la sua è solo pena!»

Ti riprendi presto dal pugno. Lo guardi con disprezzo.

Un tempo ti saresti scagliato addosso a lui, avresti ricambiato ogni colpo finché avessi avuto un briciolo d’energia.

Adesso è diverso, però. Sai benissimo che Akemi s’infurierebbe se ti vedesse fare a botte – è già capitato, e la sua reazione non è stata affatto piacevole.

 

«È sbagliato, Rei!» ti ha gridato contro. È imbronciata. Non l’hai mai vista guardarti così… è delusione, quella che scorgi nei suoi occhi? Ti ferisce, più dei lividi che ti hanno procurato gli altri bambini.

«Che ne vuoi sapere tu?» ribatti arrabbiato. Akemi è la tua unica amica; perché non capisce?

Non sei stato tu ad iniziare, sono stati loro. Come sempre.

Difenderti è l’unica cosa che puoi fare.

«Mamma dice sempre che picchiarsi è sbagliato!»

«Anche tu hai picchiato Yuma e Saito, l’altro giorno! Ti ho vista!»

A quell’accusa la vedi arrossire. «Sei uno stupido!» urla con le lacrime agli occhi. «Stupido, stupido Rei!»

Non ti piace che ti chiami così.

«Sì, sono stupido a stare qua!»

Te ne vai arrabbiato. Non pensi davvero ciò che hai detto, ma questo lo capisci solo dopo.

Dopo quella litigata, non vi siete più parlati per due settimane, limitandovi a guardarvi storto in classe.

Quel periodo è uno dei tuoi ricordi più brutti. Per farvi far pace è intervenuta Elena, sua mamma, e tu ti sei ripromesso di non farla più arrabbiare in quel modo.

 

Ora resisti alla tentazione di assestare un pugno sul naso del tuo compagno, limitandoti a guardarlo storto.

«Io almeno non ho bisogno di essere circondato da ragazzini insicuri per nutrire il mio ego».

Speri di averlo detto bene; te l’ha spiegato Elena, che chi ti prende in giro lo fa solo perché ha un ego molto fragile, ma non sei sicuro di averlo capito fino in fondo.

Dirlo, però, ti fa sentire importante. E poi, se anche avessi sbagliato un termine sai bene che Wataru e i suoi amichetti non se ne accorgerebbero.

Ti guardano tutti confusi, infatti. Ti alzi.

«Che hai detto?» ti dice Wataru con il suo tono più insolente. Non ti inganna: vedi chiaramente che è a disagio. Si rivolge di nuovo agli altri ragazzi. «Lo straniero si è dimenticato il giapponese!»

Un paio di loro ride, ma gli altri sembrano incerti. Uno si fa timidamente avanti.

«Non so, Taru… a me sembrava un po’ un insulto. Anche se non ho capito».

La faccia del ragazzino diventa tutta rossa; ti guarda furioso e carica un altro pugno, ma stavolta lo vedi arrivare. Ti sposti due secondi prima che ti colpisca, e Wataru cade rovinosamente a terra, sbattendo sulla tua sedia.

«Zero!!» urla furioso, ma tu già non gli dai più retta.

Hai preso una decisione e sei uscito dall’aula; sai bene come lasciare la scuola senza essere notato, le ultime lezioni di oggi dovranno fare a meno della tua presenza.

Trovare Akemi è più importante.

 

Hai girato come un matto per due ore, cercandola in tutti i posti che frequentate di solito, sei passato persino a casa sua; praticamente ti manca solo la clinica dei suoi genitori, ma esiti ad andarci: se Akemi non fosse neanche lì, cosa potresti dire a sua madre?

Ti ci avvii comunque, incerto, ma resti folgorato a metà strada.

Quello lì accanto è… il parco dove avete parlato la prima volta.

Tendi ad evitare quella zona, perché ti riporta brutti ricordi alla mente, ma… è lì che hai incontrato Akemi. Possibile che sia lì?

Possibile o meno che sia, decidi di controllare. Entri nel parco.

Non impieghi molto ad individuare una figura rannicchiata vicino allo scivolo, ma quando sei più vicino ti accorgi che sta singhiozzando.

Ti congeli sul posto.

Non ti piace vederla piangere.

La raggiungi e ti accucci accanto a lei. «’kemi, che fai qui?»

Lei sobbalza, spaventata, e per poco non ti fa venire un infarto.

«Sono io» mormori, confuso dalla sua reazione brusca.

Ti guarda ancora un po’ scioccata; dopo qualche secondo ti sembra che si tranquillizzi.

«Non ti ho sentito arrivare…» dice. Un attimo dopo, te la ritrovi tra le braccia incerto su come ci sia finita. «Rei… non voglio…»

D’istinto, la circondi con un braccio e le dai qualche pacca gentile sulla spalla. Non è mai successo prima, quindi non sai bene come comportarti, ma sembra che voglia sfogarsi e decidi di assecondarla.

«Cos’è successo?»

Lei continua a piangere sulla tua spalla. «…iho…»

«Non si capisce niente» commenti piatto. Vorresti aiutarla, ma se non si fa capire non puoi far nulla.

«Shiho!» urla lei, sempre contro la tua spalla. La senti tremare. «Vogliono portarla via…»

Spalanchi gli occhi. Non sapevi cosa aspettarti, ma certo non questo; chi poteva portar via sua sorella?

«Di che parli, Akemi? Chi è che vuole portarla via?»

Lei continua a singhiozzare, ma si fa forza e ti risponde. «Li ho sentiti… mamma e papà litigavano con quegli uomini… quelli sempre neri… la prenderanno…» improvvisamente si stacca da te. «Io non voglio!» urla arrabbiata e triste insieme.

Rimani un po’ spiazzato.

«Elena non lo permetterà» affermi, convinto. Non hai capito molto di quella storia, ma le persone non possono semplicemente venire e prendersi i bambini degli altri, no?

«Mamma ha paura» ti confessa Akemi, «l’ho visto. E ho paura anch’io».

«Non devi!» esclami con impeto. «Proteggeremo Shiho insieme! Ce la possiamo fare!»

La vedi tirar su con il naso. Le lacrime hanno smesso di scendere, ma ha ancora gli occhi lucidi.

«Ne sei sicuro?» mormora. «Papà dice che quegli uomini sono pericolosi…»

«Certo!» ribadisci. Non sai chi siano, ma vuoi proteggere il sorriso di Akemi a tutti i costi.

Vederla così ti fa troppo male.

Le prendi le mani. «Fidati di me, ci riusciremo».

Il suo sguardo si accende un po’. «Me lo prometti, Rei?»

Sorridi. «Solo se ti togli quest’espressione brutta dalla faccia».

Fa un salto indietro. «Che cattivo!!» esclama, stropicciandosi il viso. «E io che stavo pensando che da gentile eri quasi carino!»

Ridi, perché finalmente rivedi l’Akemi di tutti i giorni. Sei riuscito a distrarla.

Ti avvicini a lei, che continua a guardarti in cagnesco. «Se vuoi prendermi ancora in giro…»

La zittisci poggiandole un dito sulle labbra.

«Te lo prometto, ‘kemi».



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Capitolo 4
*** Promesse vecchie e nuove ***


Missione




«Possiamo andare lì, mamma? Ti preeego!»

Vedi Elena pensarci un po’, per poi scuotere la testa. Sorride alla figlia. «Lo sai che non è possibile, Akemi. Non sei abbastanza alta per le montagne russe».

La tua amica protesta rumorosamente. «Ci dev’essere qualcosa che possiamo fare!» urla.

Era così entusiasta quanto ti ha proposto di andare al parco divertimenti insieme a lei; la maggior parte delle giostre che vorrebbe provare, però, le sono precluse. La vostra giornata speciale rischia di trasformarsi in un’enorme delusione.

Non puoi permetterlo. Ti guardi intorno, alla disperata ricerca di un’idea.

Le tocchi la spalla, lei si gira verso di te, ancora imbronciata. «Sì?»

Senza una parola, le indichi un punto alla vostra destra.

Segue il tuo sguardo, capisce e si riaccende subito, la vedi illuminarsi; e sei contento, Rei, in fondo non chiedi altro per esserlo. Ti basta il suo sorriso, è l’unica luce di cui hai bisogno, da quando l’hai conosciuta.

«Andiamo lì!» esclama Akemi raggiante. Si volta verso sua madre piena di speranza: «lì possiamo, vero?» chiede, supplicandola con lo sguardo.

«La ruota panoramica? Certo, dovrebbe andar bene» annuisce lei, facendovi segno di incamminarvi. Vi segue a pochi passi di distanza, spingendo il passeggino con la piccola Shiho.

Prima di entrare, Elena chiede qualcosa al responsabile dell’attrazione, che annuisce. Lo noti con la coda dell’occhio e ti senti sollevato; temevi ci fosse qualche problema all’ultimo.

Akemi, invece, non si è accorta di nulla: non è più in sé dalla gioia, già pregusta il vostro giro.

La capsula in cui entrate ti sembra enorme; Elena vi accede con il passeggino, fermandosi dal lato opposto al vostro. Le porte si chiudono, siete sigillati; lentamente, la giostra si avvia.

Vi perdete entrambi a guardare il panorama, all’inizio. Poi, gradualmente, la tua attenzione viene calamitata dalla tua amica. Sorride felice, quando nota qualcosa di particolare si lascia sfuggire un’esclamazione; senti caldo, ma non capisci perché. Torni a rivolgerti verso l’esterno.

 

Stringi i pugni; perché quel ricordo è tornato proprio ora?

Non puoi permetterti di distrarti, lo sai benissimo. Devi concentrarti sulla missione, solo questo conta. Solo questo.

Respiri profondamente, nascondendoti dietro l’angolo.

Per un solo secondo, hai colto uno scorcio della sua espressione.

La stessa che aveva quel giorno.

 

«Eh? Tutto qui?»

La fissi stupito. «Siamo solo a metà» mormori, confuso.

Lei si stringe nelle spalle, alza lo sguardo. «Volevo arrivare moolto più in alto!» annuncia.

Temi che si rattristi di nuovo, ma non è così: ti rivolge un altro dei suoi bellissimi sorrisi.

«Non fa niente; da grande volerò e andrò molto più in alto di così, ne sono sicura!»

Dopo un attimo di esitazione, scoppi a ridere. «Volerai?» ripeti.

«Certo! Ti porterò con me» dichiara. «Se te lo meriterai» aggiunge, tirando fuori la lingua.

La ruota inizia a scendere, tra pochi minuti sarete di nuovo a terra.

«Promettilo» le dici. Promettimi che mi porterai con te anche quando saremo grandi.

«Che c’è, non ti fidi?» ribatte, prima di porgerti il mignolo.

È deciso.

 

Porti una mano alla fronte. Ti verrebbe quasi da ridere.

Avevi dimenticato quella promessa. Non che abbia importanza: proprio come quella che le hai fatto tu, era destinata a venire infranta.

Volevi proteggere Shiho, vero? Com’eri ingenuo.

Non solo non avevi potuto evitare che la portassero via, no, non era stato così semplice.

Pochi giorni dopo aver preso quell’impegno impossibile da mantenere, l’intera famiglia Miyano era sparita, così, da un momento all’altro.

Senza che nessuno ti avvertisse.

L’unica spiegazione ti era venuta dal maestro, che un giovedì aveva annunciato, come fosse la cosa più naturale del mondo, che Akemi non sarebbe più venuta a lezione. La sua famiglia si era dovuta trasferire per motivi personali.

Non ci avevi potuto, voluto credere. Eri corso alla clinica il prima possibile, ma l’avevi trovata deserta. Sulla porta un cartello recitava “Chiuso”.

Precipitarti in quella che avevi imparato a considerare come una seconda casa non era stata un’impresa più fortunata.

Avevi urlato, e pianto, per giornate, settimane intere, allora. Ma alla fine avevi dovuto accettarlo.

Akemi non c’era, non ci sarebbe stata più.

Faceva male, vero? Non solo aver perso un’amica, non aver mantenuto una promessa.

Una così importante.

Non avrei dovuto sottovalutare la cosa, ti sei ripetuto allo sfinimento.

Adesso lo sai, che non avresti potuto fare nulla comunque.

Adesso sei un poliziotto, le persone come gli uomini che ti hanno sottratto l’infanzia le combatti. Ti sei infiltrato in un’organizzazione criminale, una delle peggiori. Ma non pensavi si trattasse proprio di quella.

Può essere diversamente, tuttavia?

Ardisci dare un altro, rapido sguardo oltre l’angolo che ti sottrae a due paia d’occhi che mai avresti voluto vedere vicine.

Se prima avevi sperato si trattasse di uno scherzo della mente, un’allucinazione creata dalla mancanza di sonno, magari, ora lo sai con certezza. In fondo alla strada c’è Akemi, senza alcun dubbio.

Non è più una bambina.

Come te, è cresciuta; è una donna, ormai. Ti ha dimenticato, forse; di certo, c’è qualcun altro nella sua vita, l’uomo con cui sta ridendo.

E non può essere una coincidenza, che il ragazzo di Akemi sia uno di loro, uno degli assassini su cui stai indagando. È anche lei nel giro, quindi?

Non sai che daresti per chiederglielo, per farti raccontare tutto quel che è successo in quella fatidica giornata, in quelle misere ventiquattro ore che sono bastate a stravolgerti la vita.

Non puoi.

Non puoi far saltare la tua copertura. Puoi solo guardarla in silenzio, da lontano, mentre scherza con Rye.

E allora lanci un ultimo sguardo, spii il suo sorriso per quella che decidi essere l’ultima volta.

Poi volti le spalle e ti allontani con cupa determinazione.

Non puoi riavere la tua amica d’infanzia, è semplicemente impossibile.

Puoi prendere chi te l’ha tolta, e lo farai, qualunque sia il costo che ti verrà richiesto.

 

Manterrò la mia promessa questa volta, Akemi.


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