The Hurting, The Healing, The Loving

di Lady_Night
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'INIZIO ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** L'INIZIO ***


Morte. Tutto ciò che mi circonda è morto, secco, spento. Una landa desolata si stende tutto intorno a me, sul terreno sono riversi dei corpi, alcuni sono sfigurati, troppo putrefatti per poter dare un volto a quella maschera devastata di carne e ossa, altri invece sembrano quasi addormentati. Non una macchia di sangue o di polvere imbratta i loro vestiti, ma so riconoscere un morto quando lo vedo e il loro corpo è troppo rigido e fermo, la pelle troppo bianca. Mi avvio per quel deserto disseminato di cadaveri, persone che conosco, parenti morti da tempo, amici che non ci sono più, persone conosciute di vista, con cui ho scambiato solo poche parole. Sono tutte riverse a terra, rivolte verso di me, mentre mi guardano con quei loro occhi vuoti e spenti. Mi chino su uno di quei corpi. Ha qualcosa di diverso dagli altri, afferro un braccio e lo giro e ciò che vedo mi inorridisce. Al centro del suo petto si estende un buco del diametro di circa 7 cm., ma lo sterno si alza e si abbassa in modo regolare. Indietreggio, se fino a quel momento avevo ostentato una freddezza quasi glaciale alla vista di tutti questi cadaveri, adesso il mio animo era invaso dalla paura e dal disgusto, le sue iride seguono ogni mio movimento. Occhi marrone scuro, belli, se non fosse stato per la rete di capillari sanguigni che occupavano tutta la sclera. I capelli biondo ramato sono scompigliati e impregnati di sudore e sabbia.

Sabbia...

All'improvviso il suo viso mi ricompare nella mente, con i lineamenti dolci, la bocca sorridente e le labbra fini, i capelli sempre in ordine e la posa perennemente rilassata, come se ovunque andasse fosse a casa sua.

-Martin...-

La mia voce è un sussurro impercettibile mentre pronuncio quel nome, quelle 6 lettere che per molto tempo non ho osato menzionare, per paura di ricordare tutto ciò che avevo vissuto in quell'arena. Sabbia, mare, foreste verdi e rigogliose. 24 ragazzi abbandonati su un'isola deserta, senza acqua nè cibo, solo noi e la consapevolezza di dover uccidere 23 ragazzi per poter tornare a casa. Nei miei ricordi si fa vivida l'immagine del sole cocente mentre ci disidratavamo e morivamo di fame. Mi ricordo Martin mentre viene colpito da un lancia al centro del petto. 12 anni, avevo 12 anni e sapevo come tagliare la gola ad una persona, dove affondare il coltello per uccidere più velocemente un uomo. A quell'età non dovresti imparare certe cose, dovresti preoccuparti di andare a scuola, di andare a casa delle amiche, di giocare e divertirti.

Chiudo gli occhi e scaccio quelle immagini dalla mia mente, quando li riapro non mi trovo più nella landa desolata di prima, ma sono in una stanza, è piccola, ordinata e senza finestre. Comincio a guardarmi attorno, in cerca di qualcosa che mi faccia capire dove sono, cosa sia questo posto. Il respiro è bloccato, il cuore batte troppo velocemente. Ogni secondo che passa, ogni volta che sento il mio sterno sollevarsi, il mio sangue scorrere, il mio cervello che elabora pensieri, mi rendo sempre più conto di ciò che è successo, di ciò che ho vissuto, visto, sentito. I ricordi si affollano prepotenti nella mia mente. Urlo, cercando di sopraffare tutti quei rumori, il cozzare delle lame contro le ossa dei miei nemici, il sibilo di una freccia mentre viene scagliata, un corpo che cade a terra, il volto pallido e gli occhi spalancati su un mondo troppo orrido per degli occhi così ingenui, ma che per sua fortuna adesso non potrà più vedere.

Mi rendo a malapena conto che qualcuno mi scuote per le spalle.

“Mila! Mila, guardami! Non è reale!”

No, questo deve essere reale, il dolore che provo, gli odori e la sensazione del sangue fresco ancora sulle mie mani è troppo reale, troppo.

“Camila... Mila, 7 anni, ricordi? 7 anni.”

7 anni... Giusto, è finita. 7 anni fa è finito quell'inferno. Eppure io continuo a subirne gli orrori, so meglio di chiunque altro che non se ne andranno mai veramente del tutto, gli incubi, le visioni, i ricordi. Mio fratello mi stringe a se, dai miei occhi cadono lacrime amare, avvolgo le braccia attorno a quel corpo così familiare, caldo e accogliente. Inspiro a pieni polmoni quell'odore così buono, sa di pino e biscotti alla cannella appena sfornati, mio fratello.

“Mi manchi Martin...”

“Anche tu mi manchi piccola pulce.”

Poi tutto ritorna ad essere solo una massa confusa e senza senso.

Spalanco gli occhi nel buio della mia camera, il cuscino è madido di sudore, il mio respiro è affannoso, l'ennesimo sogno, l'ennesimo incubo. Martin, mio fratello maggiore, morto nella mia stessa arena, trafitto da una lancia mentre io non potevo far niente, troppi Favoriti, troppe poche risorse per riuscire ad ucciderli.

Mi concentro sul soffitto della mia minuscola stanza e cerco di regolarizzare il respiro.

Un cigolio acuto mi ridesta dai miei macabri pensieri, la porta si spalanca e un uomo in camice bianco seguito da due guardie entra. Non dice nulla, mi fissa e basta. Sospiro e mi alzo, le gambe deboli riescono a malapena a reggermi, subito i due energumeni si posizionano al mio fianco e tenendomi per le braccia mi trascinano fuori. Non oppongo resistenza. Dopo anni ho imparato la lezione, insubordinazione uguale a punizione. I piedi nudi che strisciano sul pavimento, gli occhi che fissano insistentemente il pavimento, sento rimbombare soltanto i passi dei miei aguzzini, il dottore cammina con passo sicuro davanti a me, le scarpe nere e lucide si muovono ad un ritmo regolare, senza fretta. Come se quello che sta per fare non lo turbi minimamente. Sollevo la testa soltanto quando ci fermiamo. Sulla porta in acciaio che si staglia davanti a me c'è una targhetta.

Laboratorio A-23”

Un singhiozzo esce dalla mia gola. Non voglio. Non voglio tornare là dentro. Non voglio!

“Non voglio...”

Le uniche parole che riesco a pronunciare dopo mesi che non parlo. Il dottore si china verso di me.

“Cosa?”

“Non voglio.”

Questa volta la mia voce è chiara e decisa. Ma il bastardo fa solo un sorrisetto ironico, poi si rialza e spalanca la porta. Questa volta la mia voce si leva in un grido isterico.

“NO! TI PREGO! NON VOGLIO! NO!”

Mi dimeno, cerco di liberarmi. Non mi importa se sono più forti di me. Devo liberarmi. Presa da un raptus di pazzia azzanno il collo della guardia alla mia sinistra, che mi molla all'istante, poi mi giro verso l'altra e con gli occhi spalancati e la bocca ancora imbrattata di sangue riesco a ficcargli un dito negli occhi, stranamente non protetti dal solito paio di occhiali. Mi hanno considerato una figura troppo debole e mi hanno sottovalutata. Grosso errore. Mai sottovalutare una pazza.

Il tipo si porta una mano all'occhio ormai inutilizzabile. Prima che il Bastardo possa anche solo alzare una mano per prendermi io sono già corsa via. Le gambe indebolite cedono spesso sotto il mio peso, ma io continuo imperterrita a correre. Il camice azzurrino che porto addosso svolazza attorno a me come un mantello. Per un attimo il bagliore della speranza si fa largo in me, più avanzo e più sento la speranza continuare a montare nel cuore. Potrei farcela veramente, uscire da qui, scappare e rifugiarmi da...qualche parte, qualsiasi altra parte. Poter respirare e sentire il sole sulla pelle. Dio il calore del sole, quanto mi manca, e il vento che mi accarezza come una madre amorevole. Sette anni. Dopo sette anni magari potrei farcela, forse potrei finalmente riuscirci.

Ma non ci riesco. I pacificatori sbarrano il mio passaggio, mi giro e dietro di me ne stanno arrivando altri. No... no, non può essere... dovevo uscire, dovevo scappare. Come ho potuto credere di potercela fare. Dio... così ingenua sono stata. Ormai mi hanno presa, mi buttano a terra e cominciano a picchiarmi, con calci e manganelli, mi rannicchio e mi copro la testa, il corpo che viene pestato e lacerato, mentre io penso soltanto una cosa...

 

Uccidetemi.

ANGOLO AUTRICE:
Eeeeehiiiiii!
Spero che questa piccola introduzione vi abbia suscitato un po' di curiosità. Ditremi cosa ne pensate con un commento, ci vediamo al prossimo capitolo.
UN BACIO 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Nell'ultimo anno le torture sono aumentate esponenzialmente, se prima sembrava che lo facessero solo per utilizzarmi come cavia da laboratorio, adesso sembra quasi ci sia un piano ed una motivazione più grande dietro.

E' veramente così che vivrò? Continuerò a rimanere in questo posto finchè non mi uccideranno con i loro continui esperimenti?

Il corpo non risponde ai comandi. Le gambe non si alzano e le braccia non si muovono.

Sono diventata paraplegica? Sarò condannata ad essere una cavia da laboratorio paraplegica, pazza e muta? Wow, un futuro entusiasmante.

Non dormo, non ci riesco. Ma forse è un bene, se iniziassi a sognare tornerebbero gli incubi e là non posso fermarli, posso solo aspettare che si concludano. Almeno se sto sveglia posso continuare a pensare senza che quei volti mi vengano in mente.

Sono giorni che nessuno viene a portarmi fuori per degli esperimenti, entrano solo per portarmi l'acqua e quella poltiglia verdognola che loro chiamano cibo. Non la mangio mai. Così i vassoi si sono accumulati e adesso emanano un olezzo nauseabondo dopo tutti questi giorni trascorsi all'aria. L'acqua è evaporata o ne rimane ben poca, comunque.

Poi la porta si spalanca. Che sia già ora di mangiare di nuovo? Eppure mi sembrava che l'ultimo pasto me l'avessero portato poco fa. Non alzo nemmeno gli occhi per vedere chi sia. Mi prendono e mi trascinano. Mi sembrava che fosse passato troppo tempo. Guardo il pavimento senza vederlo, vengo condotta per i corridoi senza nemmeno accorgermene.

Non serve che legga la targhetta per sapere dove sono. Laboratorio A-23. Ne sono certa. Difatti quando entro mi posizionano su una sedia. Una poltrona reclinabile, nera con vicino macchinari e strumenti strani. Tra cui una piccola fiaschetta con dentro un liquido semi trasparente. Ormai sapevo com'era il processo. Mi facevano vedere qualche video di questa Katniss Everdeen, una vincitrice dei giochi che aveva dato origine ad una rivoluzione. Poi prendevano un mio ricordo di un particolare momento della mia vita, come andare a fare la spesa alla panetteria Mellark con mia mamma, o andare a raccogliere fiori al Prato con mio padre, o giocare a palle di neve con mia fratello. Ecco, prendevano uno di questi ricordi e mi convincevano che c'era anche questa Katniss, poi quando mi avevano cambiato le dinamiche del ricordo fanno in modo che il veleno degli aghi inseguitori faccia il resto. Il ricordo modificato viene attaccato dalle tossine che cambiano l'emozione provata in quel momento e rendono un determinato soggetto un nemico, almeno ai miei occhi. In questo caso lo è Everdeen. Ovviamente ci sono dovuta arrivare da sola, sapevo dell'esistenza di questo tipo di tortura. Il depistaggio. Ma non avrei mai potuto pensare che avrei potuto essere io una vittima di questo trattamento. D'altronde io non avevo mai conosciuto questa rivoluzionaria, gli unici ricordi intatti che ho di lei, per adesso, sono di quando la vedevo scendere in città con le sue prede, con quel Gale. Probabilmente lei non saprà nemmeno della mia esistenza, quella lurida stronza, nata solo per farci soffire, se solo... blocco i miei pensieri, sta succedendo di nuovo! Cazzo! Cerco di scacciare le immagini di lei che uccide la mia famiglia, mentre uccide mio fratello nell'arena, mentre mi trascina agli Hunger Games. Non è reale. Non è reale! E' solo il veleno... devo concentrarmi su qualcosa, ma cosa? Un ricordo non manipolato, uno qualsiasi. Pensa pensa pensa. Alla mente mi ricompare solo un ricordo, io e mia mamma, mentre cuciniamo. Lei ride, con la sua voce dolce e affettuosa, ma riesco a trattenerlo solo un momento, poi sento un leggero fastidio nell'interno gomito, un'infermiera mi passa un piccolo batuffolo di cotone bagnato con del disinfettante; la seduta è iniziata, mi legano ad un lettino e con una ago prelevano una piccola quantità di veleno dalla fialetta, poi cominciano con il solito trattamento, per quello sono preparata, poi mi infilano una specie di lastra in plastica tra i denti, aggrotto le sopracciglia, cponfusa da questa novità, avvicinano un elettrode alla mia tempia e solo allora capisco, chiudo gli occhi e poco dopo una scossa parte dal piccolo oggetto in ferro posta al lato della mia test. Sento il mio corpo tendersi e plasmarsi sotto l'effetto della scossa elettrica, quando finalmente l'elettricità smette di scorrere nel mio corpo ritorno a respirare. Trattengo le lacrime che minacciano di uscire. Mi concentro su altro ignorando il dolore lacerante che sento espandersi per tutto il mio organismo. Perchè farmi tutto questo? A quale scopo farmi del male, depistarmi, sprecare tempo con una ragazza come me? Odio non saper dare una risposta a tutte queste domande. Ma non ci penso più appena un nuovo dolore improvviso mi blocca il respiro, grugnisco per trattenere un urlo di dolore. La mandibola si serra e per poco i denti non tranciano di netto l'oggetto in plastica ancora posizionato nella mia bocca, il mio corpo è scosso dalle convulsioni irrefrenabili, dalle labbra contratte fuoriesce una schiuma biancastra che scivola giù per il mio mento. La mia mente, completamente scollegata e inconsapevole di ciò che sta succedendo al corpo vaga in mezzo ai ricordi, ormai non riesco più a distinguere ciò che è successo veramente e ciò che è finzione. Quando la seduta finisce sono completamente svuotata di tutte le energie, non sento le parole che mi vengono rivolte, non percepisco le mani che si serrano sulle mie braccia e che rudemente mi trascinano per i corridoi riportandomi alla mia cella, mi fanno stendere sul letto, i miei occhi spalancati fissano la parete bianca senza riuscire a distogliere lo sguardo, rimango immobile per quelle che mi paiono ore, non ho la forza di fare niente, il mio respiro è quasi assente. Rimango immobile, cercando di tenere la mia mente libera da ogni pensiero, lasciando che il mio corpo soffra e guarisca. Il silenzio viene squarciato da un suono acuto e stridulo, si ripete in modo costante, suono, silenzio, suono, silenzio. Capisco che è una sirena dopo alcuni secondi, poi all'acuto si aggiungono le urla, parole incomprensibili, ordini ripetuti fino allo sfinimento, grida che si inseguono davanti alla camera, la piccola finestrella posta sulla porta proietta le ombre di persone che corrono sul muro che sto fissando, dovrei essere preoccupata, dovrei domandarmi cosa sta accadendo, invece sono immobile a domandarmi invece quando tutto questo finirà. Passa poco tempo prima di accorgermi che c'è qualcosa di diverso nell'illuminazione, la stanza sembra più buia, ed effettivamente mi accorgo che le luci si sono spente tutte, l'unica illuminazione proviene dall'esterno della mia cella, dalla finestrella sulla porta, poi anche quella viene oscurata per un attimo. Finalmente il mio interesse si sposta dalla parete a ciò che sta accadendo all'esterno della stanza in cui sono, con fatica riesco a spostare il mio sguardo verso il fondo della cella, e dalla piccola apertura riesco a vedere un volto sconosciuto, non è un soldato di quelli che sono abituata a vedere, anche se i vestiti sono molto simili... è una donna, lo sguardo che si pianta nel mio. Mi guarda sconvolta, distolgo lo sguardo non riuscendo più a sostenerlo, e ritorno nel mio mondo immaginario, persa in una vita che non esiste più. La porta viene buttata giù, ma non mi importa, vengo sollevata e qualcuno mi prende in braccio, le braccia che mi sostengono non sono muscolose come quelle di un uomo, sono calde e confortevoli, mi viene da pensare che probabilmente è la stessa ragazza di prima, la mia mente riprende lentamente coscienza e comincio ad interessarmi a ciò che ho attorno. Sto venendo trasportata attraverso l'edificio, in una parte in cui non ho mai messo piede. Dove mi porteranno? Quali esperimenti vorranno farmi? A quei pensieri il mio animo viene invaso dalla paura e più avanziamo più la paura aumenta, dalla mia gola cominciano ad uscire dei suoni gutturali simili a dei ringhi, gli occhi spalancati non registrano niente di ciò che vedo. L'ansia e il terrore si impossessano poco alla volta di ogni fibra del mio essere fino a quando tutte le mie emozioni non si scatenato in un violento attacco di panico, il fiato è serrato nella gola, il petto è sconquassato dai battiti veloci e scoordinati del mio cuore, le budella si attorcigliano tra loro. Urlo, tutto ciò che riesco a fare è urlare frasi sconnesse e dimenarmi nelle braccia della donna che adesso mi guarda terrorizzata senza sapere che fare. La guardo negli occhi e tutto ciò a cui riesco a pensare in questo momento è che sono bellissimi. L'attacco passa e mi ritrovo a piangere lacrime disperate mentre il mio sguardo non si sposta dal suo.

“Uccidimi...”

Una lacrime scende da quegli incredibili occhi color del Prato.

“Ti prego, uccidimi... Ti prego....”

I miei sussurri si fanno via via più fievoli, sento un piccolo pizzicore all'interno del braccio e poco dopo la mia vista si fa sempre più sfocata, l'ultima cosa che riesco a registrare è un soffio di vento che mi carezza il viso e un fascio luminoso che per un secondo mi acceca e mi riscalda.

Sono fuori...

Sono libera.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Gli occhi sono affaticati, non vogliono aprirsi per scoprire in quale altro luogo della struttura mi hanno portata. Sono in una stanza? Sono in un laboratorio? Sono forse morta nel sonno? E' questa la vita dopo la morte? Una continua sensazione di calore e morbidezza con una rassicurante sensazione di protezione? Poi mi rendo conto che il mio respiro non è bloccato, che il mio cuore non è fermo come un masso nel mio petto, no, questa non è la morte. L'ansia di non sapere cosa stia accadendo mi porta poco a poco fuori dall'intorpidimento dovuto al sonno profondo in cui mi hanno fatta cadere. Poco alla volta riesco ad aprire di un minimo le palpebre, attraverso la cortina sfocata che mi appanna la vista riesco a scorgere uno scorcio del luogo in cui mi trovo. Delle tende bianche coprono delle finestre da cui si può notare uno squarcio di cielo scuro. Aspetta... Cielo? Da quando mi è permesso avere un contatto con il mondo esterno? Cerco di girarmi per capire dove io sia quando una voce mi fa irrigidire completamente.

“Finalmente ti sei svegliata...”

Rimango immobile per interminabili secondi, quella voce roca e bassa non l'ho mai sentita prima. Il mio respiro accelera, la mia mente si blocca, adesso sono completamente sveglia.

“Ehi... che succ...”

Una mano si posa sulla mia spalla e prima ancora che il mio cervello possa registrare quel movimento il mio corpo lo percepisce subito come estraneo, come pericoloso. Nemico. E di conseguenza reagisco, la persona non finisce la frase che il mio corpo scatta, più agile ed in forze di quanto io sia mai stata in tutti questi anni di reclusione. Il mio pugno si schianta sulla mascella del soggetto posto affianco al mio giaciglio. Mi alzo di scatto e prima che questo possa riprendersi lo butto a terra con una gomitata nello stomaco che lo coglie di sorpresa. Per un attimo una matassa di capelli corvini mi svolazza attorno mentre il corpo cade a terra, non ci faccio caso e corro verso la finestra per cercare una via d'uscita. Purtroppo sporgendomi mi accorgo che siamo troppo in alto ed io sono troppo debole per provare a saltare da un balconcino ad un altro. Un grugnito ed un imprecazione mi fanno capire che non ho molto tempo prima che la persona che prima ho steso si riprenda completamente. Corro verso la porta, sento qualcosa sfiorarmi il braccio, così schivo quella mano allungata verso di me, pronta a ghermirmi per incatenarmi, per farmi del male, per uccidermi. Per un attimo il mio sguardo e quello dell'individuo, che finalmente capisco essere una donna, si incrociano. Un brillante verde mi mozza il respiro, ma è solo una frazione di secondo, spalanco la porta, la sorpasso e sono in corridoio. Un grido si leva dietro le mie spalle ed io aumento la velocità.

“Ferma! Cazzo!”

Non so dove io stia andando, svolto a destra a sinistra e poi di nuovo a destra. Incontro pochissime persone, nessuno cerca di fermarmi, si limitano a fissarmi attoniti e spaventati. I passi veloci della ragazza sono proprio dietro di me. Il battito frenetico del mio cuore mi rimbomba nelle orecchie, le mie gambe si muovono veloci, non cedono quasi mai, se non dopo qualche passo falso, mi meraviglio della mia inusuale forza fisica. Degli spezzoni di una frase, provenienti da una strana lastra trasparente in cui sono raffigurati dei piccoli uomini in movimenti mi distoglie totalmente dai miei pensieri.

“Un anno esatto dalla fine della rivoluzione siamo... -Ed ecco perchè... -oggi Peeta Mellark e Katniss Everdeen!...”

E la mia mente esplode.

Immagini, suoni, parole. Tutto si concentra in quei pochi secondi in cui il piccolo omino pronuncia quel maledetto nome. La mia fuga si arresta subito. E' in quel momento che mi rendo conto di quanto il depistaggio abbia funzionato. Tutto si concentra in quel preciso attimo. Il mio cervello non registra più gli stimoli esterni,il mio unico pensiero ed obbiettivo ormai è uno, ed uno soltanto. Eliminare Katniss Everdeen. Sento un respiro affannoso raggiungermi e fermarsi dietro di me.

“Cazzo se sei veloce!”

Mi giro lentamente e ritrovo una ragazza piegata con le mani sulle ginocchia mentre tenta di recuperare l'ossigeno scarseggiante. Le mie membra sono immobili.

“Andiamo, ti riporto in stanza. Devi riposare. Ed io devo farmi medicare il livido che mi hai lasciato... Ouch.”

Si massaggia la mandibola e poi mi rivolge un piccolo sorriso. Rimango di sasso, totalmente impassibile di fronte alla dolcezza di quella ragazza. Ci fissiamo per poco prima che lei interrompa di nuovo il silenzio.

“Ehi, stai bene? I tuoi occhi sono neri. Ma che...”

Una voce si sovrappone alla sua, una voce che io conosco fin troppo bene purtroppo.

“E' un vero piacere per noi, siamo felici di poter augurare a tutta la nazione una felice giornata della Liberazione.”

Ora la mia attenzione è totalmente dedicata alla lastra di vetro parlante, da cui spunta improvvisamente il volto di quella puttana. Sorride, il suo volto è felice, la carnagione leggermente abbronzata. Dietro di lei fa la sua comparsa il famoso Mellark, il fidanzato di quella bugiarda senza cuore. Si abbracciano, si sorridono. Lei è felice, è felice perchè sa che la mia famiglia è morta, perchè sa di averla uccisa lei. Ride, felice del fatto che io sia qui, a soffrire, mentre lei può godersi il caldo sole del distretto 12, dove una volta i miei genitori percorrevano le stesse strada che adesso percorre lei, camminando tra i fiori del prato dove una volta ci rincoravamo io e mio fratello, senza provare pietà o vergogna per ciò che ha fatto.

La voce della donna di prima mi arriva ovattata, ma non sta parlando con me, lo capisco quando il riconoscibile crepitio di una radio ed una voce metallica mi arrivano alle orecchie. Mi pare stia dicendo qualcosa come -Portala subito nella stanza-.

“Camila, andiamo. Ora.”

Il suo tono gentile e dolce di prima viene completamente sostituito da uno autoritario e severo, che non ha alcun effetto su di me. Cerca di afferrarmi per l'ennesima volta il polso, ma io mi discosto.

“Portami da lei.”

La mia voce è priva di qualsiasi emozione, è piatta ed atona. In un angolino della mia mente la mia parte razionale mi sta urlando di fermarmi, di non fare del male a quella ragazza così bella, ma ormai non controllo più il mio corpo. Quando non si decide a darmi una risposta agisco e passo all'attacco. Con uno scatto mi avvicino al suo corpo, ma questa volta lei è pronta e riesce a parare il mio pugno. Gli insegnamenti appresi durante il periodo di allenamento nella struttura adibita ad alloggio per i tributi prima degli Hunger Games tornano a galla da soli, non serve nemmeno che vada a ripescarli nella memoria, è come se io non avessi mai tentato di reprimerli, come se per tutto questo tempo fossero sempre stati lì, pronti a saltare fuori al momento opportuno. Ogni pugno che sferro, ogni calcio che tiro sono eseguiti in modo perfetto. Il mio volto non si contrae mai di una virgola, sono un automa. Sto per mandare a segno uno dei miei ganci sinistri quando sento una fitta al collo. Istintivamente mi porto una mano al punto dolorante e posso sentire chiaramente la forma di una siringa piantato in esso. La strappo con un gesto di stizza, ma prima che io possa riprendere a sferrare colpi contro la mia avversaria, ciò che mi hanno iniettato, probabilmente un calmante, comincia a fare effetto.

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