Unexpected

di Jules_Kennedy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cold night ***
Capitolo 2: *** I need a doctor ***
Capitolo 3: *** Coincidences ***
Capitolo 4: *** There can be miracles ***
Capitolo 5: *** Friends ***
Capitolo 6: *** Chatting ***
Capitolo 7: *** Anything can happen ***
Capitolo 8: *** Healing ***



Capitolo 1
*** Cold night ***


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Unexpected 



-Per la decima volta, non ne so niente di quella partita di droga. Non ho idea di come ci sia finita quella roba nella mia macchina, e se qualcuno ha cercato di incastrarmi c’è riuscito benissimo. Ora posso andare a casa?- chiese nuovamente l’uomo, sollevando di poco la testa per osservare la sua interlocutrice dritta negli occhi. Dal canto suo la donna gli sorrise affabile, sporgendosi di poco verso di lui e lasciando intravedere velatamente le forme prosperose.
-Signor Trafalgar Law, lei potrà continuare a ripetere questa frase fino a quando vuole, ma fino a che non mi dirà la verità su come siano andate le cose, casa sua se la scorda.- lo freddò, gli occhi chiari illuminati di una luce inquietante.

-Abbiamo seguito le sue tracce per mesi, misurato i suoi spostamenti, intercettato le sue conversazioni, e anche se in mancanza di prove concrete lei ha sicuramente qualcosa a che fare con questo caso, sia alla luce di ciò che abbiamo trovato nella perquisizione di stanotte, sia solo per la familiarità che intrattiene con il diretto rivale di Crocodile, Donquixote Doflamingo. Per cui la prego, se davvero vuole tornarsene a casa con un bel programma di protezione testimoni, la invito nuovamente a dirmi tutto quello che sa a riguardo, e per favore..- lasciò in sospeso portandosi accanto a lui -Non mi costringa ad usare le maniere forti. Sa che lo farò se cercherà in qualsiasi modo di fregarmi, e non vorrà mica che quel bel viso venga rovinato da uno di questi, giusto?- chiese candida, mostrando il pugno chiuso a lasciar intendere cosa intendesse per maniere forti.

Dopo qualche secondo di riflessione, sospirando profondamente, Law piegò la bocca in una smorfia sconfitta, portando le mani sul tavolo, incrociandole e rivolgendosi a testa alta verso l’investigatrice. Intensificò lo sguardo, come a lasciar intendere che effettivamente non valeva la pena di mantenere un segreto del genere visto come sarebbero andare le cose se lui avesse continuato a fare lo gnorri.

La donna si sedette di fianco a lui, le lunghe gambe accavallate, un sorriso trionfante ma leggermente occultato ben stampato in viso.

Ce l’aveva fatta.

Nel momento in cui Law prese fiato per parlare il corpo della giovane si irrigidì, pronta ad accogliere le informazioni che bramava ormai da mesi nel tentativo di risolvere quel delicato caso di spaccio ed omicidio che le avevano affibbiato in unione al suo collega più fidato, il maggiore Sabo.

Drizzò le orecchie, e finalmente Law parlò.

-.. Come le ho detto quasi un’ora fa, io non ne so niente ne della droga, ne di come me la sia ritrovata in macchina, e non ho nessun legame con il signor Crocodile.- ripetè nuovamente, godendosi la faccia basita dell’investigatrice.

-Se ha fatto bene le sue ricerche, agente Surebo, il mio nome non figura in nessuno dei suoi archivi, non sono un suo sottoposto né un sicario, non sono un mercenario, e diciamocelo, se fossi un assassino non lavorerei per uno che non sa nemmeno trovarsi un chirurgo decente che gli aggiusti quella cicatrice orrida che ha in faccia.- scandì molto tranquillamente, ghignando internamente nel constatare come l’espressione di soddisfazione della detective si fosse trasformata in profonda e mera delusione, delusione scatenata dalle sue parole e dalla consapevolezza che molto probabilmente anche lui non era altro che l’ennesimo buco nell’acqua.

-Io sono solo un chirurgo, e lavoro a Dressrosa da dieci anni. Se proprio avessi voluto far parte di un’associazione come la Baroque Works S.p.A di certo non mi sarei cercato una copertura così in vista, non crede? Sarebbe un errore da principiante.- proseguì, sempre più soddisfatto di quanto le sue parole stessero facendo infuriare la sua interlocutrice.

Non gliene fregava niente se quella gentile signorina che l’aveva molto delicatamente sbattuto li dentro si incazzava, non era di certo colpa sua se l’avevano costretto a rinunciare alle sue due ore di sonno canoniche prima del turno in ospedale solo per sottoporlo a quell’interrogatorio inutile, massacrante e privo di frutti.

-Per quanto riguarda la droga che avete trovato nel cofano della mia macchina, immagino che non vi sia sfuggito il leggero segno di scasso sulla superficie della chiave di apertura del retro, e se avete analizzato la plastica di imballaggio della cassa, come suppongo abbiate fatto, avrete sicuramente notato che le mie impronte non ci sono. Oh, e per la cronaca, Doflamingo è mio zio. Dalle vostre intercettazioni non siete riusciti a capire una cosa così basilare? Che delusione.- la ammonì, gli occhi ora taglienti e crudeli.

Koala se ne stava seduta di fronte a lui, impassibile, gli occhi indaco induriti in un’espressione di ostentata freddezza.
Law la guardò sghembo, alzando un irritante sopracciglio giusto per farla esplodere definitivamente. -Mi creda agente, se avessi voluto davvero essere coinvolto in un’operazione del genere, lei non sarebbe mai arrivata a me. Non sono uno sprovveduto come potrebbe pensare, e di certo non mi piace stare qui a sorbirmi il giochetto del poliziotto buono e del poliziotto cattivo quando dovrei essere fuori da qui a prepararmi per il lavoro. Quindi lo ripeto nuovamente, le servono altre informazioni o posso andare?- concluse mellifluo, imitando il sorriso omicida che Koala gli aveva regalato pochi minuti prima.

Dopo qualche minuto di silenzio la giovane si alzò dalla sedia su cui si era accomodata, dandogli le spalle per raggiungere l’unica porta che dalla stanza degli interrogatori portava al resto dell’edificio. -Aspetti qui.- si limitò a rispondergli, scomparendo nel corridoio buio e lasciandolo da solo.

Stiracchiandosi come un gatto Law si stese completamente sulla sediolina di plastica, ghignando soddisfatto e salutando con una mano tatuata chiunque si trovasse al di la del vetro specchiato, e che probabilmente aveva ascoltato tutta la conversazione intrattenuta tra lui e l’agente Surebo.

A dirla tutta all’inizio non voleva nemmeno essere offensivo, sapeva che così come il suo lavoro era salvare vite in ospedale quello della detective era tutelare i cittadini senza che loro lo sapessero.

Ammirava in un certo senso il suo coraggio, la spavalderia con cui gli si era rivolta pur sapendo quanto effettivamente la sua famiglia fosse pericolosa e potente, incurante di mettersi contro l’intero clan Donquixote pur di raggiungere il suo scopo.

Che poi a pensarci bene, una come l’agente Surebo non se lo immaginava mica che potesse far parte dei servizi speciali. Ad occhio e croce aveva più o meno due o tre anni in meno di lui anche se dal modo di comportarsi e di parlare sembrava
infinitamente più grande.

Certo, lui sembrava un quarantenne cocainomane grazie alle perenni occhiaie sempre appiccicate sotto gli occhi e la barba incolta, ma non è che avesse realmente cazzi di apparire diverso da quello che era.

Se c’era una cosa che aveva imparato in quasi undici anni di studio e sette di carriera, era che se sei un bravo medico puoi anche sembrare un fiammifero, un ananas, un pinguino, un orso polare, a nessuno importerà, perché se un uomo sta morendo e tu sei l’unico che può tirarlo fuori da quella situazione, di certo nessuno ti farà storie se indossi un cappello fatto da tua mamma o se sei pieno di tatuaggi e hai due borsoni di Prada sotto gli occhi per la stanchezza.

Perso nelle sue elucubrazioni su quanto fosse brutto il cappello che Pen, suo amico e collega si ostinasse a portare in reparto ogni volta che aveva un’operazione importante, nemmeno si accorse che la donna era rientrata di nuovo nell’angusta saletta, piantandosi di fronte a lui con sguardo deciso.
-Può andare.- gli disse asciutta, osservandolo alzarsi tranquillamente e recuperare il pesante giaccone nero a macchie gialle dal retro della sediolina. Le si avvicinò, portandosi al suo fianco e voltando la testa verso di lei. -Sono pulito?- le chiese beffardo, consapevole di saper essere parecchio bastardo quando voleva. Ma con sua sorpresa la detective si limitò a ghignare al suo indirizzo, osservandolo di sbieco. -Per il momento si- gli rispose -ma può star certo che io verrò a capo di questa situazione. Non sarà una pista sbagliata a fermarmi.- chiarì decisa, fissandolo con gli occhi indaco accesi da una luce furba. -Non lo metto in dubbio.- la liquidò Law, uscendo con estrema calma da quella stanzetta asettica e finalmente pronto a tornarsene al calduccio insieme al suo husky Inuarashi, sotto le coperte, e insonnia permettendo a farsi qualche ora di riposo.

Nel momento in cui mise piede fuori dalla centrale il freddo di febbraio lo investì in pieno viso, tanto che nonostante le basse temperature non gli dessero particolare fastidio fu costretto a sollevare maggiormente il bavero del pesante indumento, nel tentativo di ripararsi gli occhi dal vento tagliente che passeggiava per le strade deserte della città.
Grugnendo infastidito dal fatto che la sua macchina fosse stata sequestrata, essendo coinvolta nel caso, si rassegnò ad avviarsi a piedi fino alla propria abitazione che per sua estrema sfortuna si trovava a parecchi chilometri di distanza dalla centrale.

Si incamminò quindi a passo lento, arrestandosi tuttavia  nel momento in cui sentì una voce chiamarlo da dietro di se. Si voltò appena per freddare chiunque osasse disturbarlo in quel frangente così drammatico, incrociando con sorpresa gli occhi dell’agente che fino a poco prima l’aveva torchiato manco fosse lui stesso Crocodile. La vide uscire con solo la leggera camicia bianca con su un gilet bordeaux, le lunghe gambe fasciate appena da due parigine scure. Non si mosse per andarle incontro, e fu tentato più di una volta di ignorarla e tornarsene a casa, ma quando vide ciò che la donna teneva in mano si diede dell’idiota cento volte, tornando di malavoglia sui suoi passi per raggiungerla.

-Signor Trafalgar!- lo chiamò nuovamente la detective, arrivatagli a meno di venti centimetri di distanza.

 -Ha scordato questo.- lo informò, mostrandogli uno zaino azzurro a fantasia maculata parecchio logoro e ben intonato alla stessa bizzarra fantasia dei pantaloni dell’uomo. Law stese silenziosamente una mano per prendere il suo vecchio cimelio di scuola, dandosi mentalmente del cretino per esserselo dimenticato ma senza la minima traccia di vergogna per la strana scelta di colori o per il semplice fatto che un adulto con quella faccia sempre così mortalmente seria se ne andasse in giro con una roba del genere. Rimessosi il sacco informe in spalla restò qualche secondo a fissarla, osservandola tremare visibilmente per il freddo.

-Dovrebbe rientrare agente.- la ammonì indicando la porta dell’edificio alle sue spalle. -Si preoccupa per me signor Trafalgar?- gli chiese prontamente quella, prendendolo in contropiede. Sollevando un sopracciglio, Law si limitò ad indurire lo sguardo, freddandola.   -Niente affatto. Semplicemente mi seccherebbe alquanto dover perdere altro tempo per intervenire se dovesse andare in ipotermia.- spiegò secco, senza ottenere tuttavia l’effetto sperato. La ragazza gli sorrise furba, guardandolo di sottecchi. Imperterrito l’uomo non perse la sua verve, cambiando argomento. -Come mai me l’ha riportato?- si informò. -Poteva tranquillamente tenerselo come avete fatto con la macchina, magari dentro c’era qualche prova che avrebbe potuto confermare la mia colpevolezza.- la schernì quasi involontariamente, incrociando nuovamente gli occhi indaco della giovane che sembravano illuminati da un sincero divertimento. -Oh, non si preoccupi per quello, non credo più che lei sia coinvolto nel caso.- disse sardonica, alzando le spalle. -Ma davvero?- si stupì Law.

Cioè fino a dieci minuti prima sembrava che lo stessero per condannare a dieci ergastoli che manco il pluriomicida Marshall D.
Teach, e adesso se ne usciva così?

-Sinceramente dubito che qualcuno che tiene un orsetto bianco di pelouche nello zaino possa essere pericoloso.- lo spiazzò, facendogli sgranare leggermente gli occhi.

Che aveva detto?

-Oh, non si preoccupi, non lo dirò a nessuno.- lo anticipò facendogli l’occhiolino.  Senza riuscire a connettere, Law si rese conto troppo tardi di avere una faccia da pesce lesso basito e sconvolto nel momento in cui Koala trattenne una risatina sommessa, riportandolo alla realtà. Incapace di dire o fare alcunchè, seguì con gli occhi senza nemmeno accorgersene la figura snella della detective che si allontanava, diretta verso l’uscio socchiuso da cui filtrava uno spiraglio di luce giallastra. -Buonanotte signor Trafalgar! Ci vediamo la settimana prossima per la seconda sessione dell'interrogatorio!- lo salutò sorridente l’agente lanciandogli un occhiolino, lasciandolo li, in quella strada gelida e deserta, con il mano il suo zaino del liceo ed una bruciante umiliazione a smaltire nel profondo della sua anima.

-Non ci credo..- sussurrò più a se stesso che al vento, riflettendo su quanto quella donna fosse riuscita a raggirarlo. 
Non solo l'aveva colto in flagrante trovandogli Bepo nello zaino, ma l'aveva anche incastrato per un secondo interrogatorio. 

Conosceva Koala surebo da meno di due ore e già era piuttosto certo che quando si ci metteva era peggio di una piovra che si attacca alla preda: non la stacchi nemmeno a bastonate sugli occhi...

Non appena la porta dell’edificio si chiuse eliminando definitivamente l’unico spiraglio di luce che dava colore al lastricato, quasi come se gli avessero dato una sberla devastante Law in qualche modo si riscosse, aprendo lo zaino e cercando freneticamente il fantomatico orsetto nei meandri oscuri dell’informe sacco azzurro. Spostò chiavi, portafogli, libri, tablet, auricolari, cartacce di merendine che erano li da secoli, trucioli di matita.

E alla fine lo trovò.

Estrasse il piccolo pupazzo soffice dalla stoffa scura in cui si era incastrato, fissandolo con odio misto ad imbarazzo. Se l’agente Surebo si era fatta un’idea di lui, di certo trovare Bepo aveva cambiato completamente la sua visione.

E non per forza in meglio.
Non che ciò avesse cambiato le cose comunque, sempre un sospettato restava, maledizione a lei.

Però quasi quasi preferiva essere considerato un potenziale spacciatore che un infantile medico che fa il duro e poi si porta dietro i suoi giocattoli.

Eppure, nonostante tutto, non ce la faceva proprio ad avercela con quell’orsetto.

Per un secondo gli tornò alla mente il momento in cui sua madre lo aveva infilato senza farsi notare nella pesante cartella che gli pendeva dalle spalle, il suo primo giorno di scuola.
Un sorriso privo di qualsivoglia ironia si stese sulle sue labbra, ben occultato dall’oscurità che lo avvolgeva.

Rimase qualche secondo immobile, gli occhi ora persi tra i lampioni spenti che emettevano sporadici rigurgiti luminosi, accendendo e spegnendo ritmicamente il grande viale su cui si trovava. Con un sospiro stanco ripose l’orsetto insieme a tutto il resto nello zaino, caricandoselo in spalla ed avviandosi a passo lento verso l’agognata dimora.

Nel momento in cui avrebbe rivisto l’agente Koala Surebo, e non se lo augurava, gliene avrebbe dette sicuramente quattro per averlo fatto sentire un’idiota.

Ma per stavolta, andava bene così.

-Buonanotte a lei, agente.- ghignò infine infilandosi in uno stretto vicolo, inghiottito dal buio e accompagnato solo dal suono dei suoi passi, che lentamente si persero nello sferzare incessante del vento che risuonava tra le strade con il suo roboante muggito.
 
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE

Buonasera a tutti! *^* finalmente posso pubblicare, non sapete che casino è in questo momento la mia vita :’)
Ma ci tenevo a pubblicare questo piccolo capitolo introduttivo di questa mini long, che per la cronaca partecipa alla challenge “This would be love” indetta dal forum http://fairypiece-fanfictionimages.forumfree.it/, vi lascio il link se volete andare a dare un’occhiata u.u
 
Chissà quale sarà l’amore a cui si ispira questa storia?
Un indizio: la risposta è nel titolo.
Che dire, ci vediamo la settimana prossima con il prossimo capitolo, un bacione e a presto! ^^

Jules


 

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Capitolo 2
*** I need a doctor ***


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Il reparto era silenzioso.


Troppo silenzioso.

Pen si svaccò sulla sedia libera dietro il bancone delle cartelle, dandosi la spinta e roteando come un bambino di cinque anni con tanto di “Yuppiii” annesso. Terminò la terza rotazione voltandosi verso Dadan, la nerboruta infermiera dai capelli ramati che lo fissava disgustata.

-Ti rendi conto da solo di essere un imbecille, no?- lo apostrofò con voce roca la donna, scartando l’ennesimo pacchetto di sigarette per portarsene una alla bocca.
-Dadan-san, non si può fumare qui, lo sai!- la ignorò Pen, roteando nella sua direzione con un sorrisino inquietante in viso.

-Ma per te potrei anche non fare la spia..- sussurrò, sbirciando il viso austero dell’infermiera da sotto la visiera del cappello.

-Vedi di levarti dai piedi, microbo! Altrimenti finisce che ti spiaccico la testa contro quel cappello ridicolo che ti ritrovi!- berciò la donna, scostandolo di malagrazia e facendolo finire piedi all’aria. -Spero ti sia venuta una commozione cerebrale.- sibilò con voce cavernosa, passandogli accanto diretta verso l’uscita di sicurezza con la sigaretta già strategicamente posizionata tra le labbra scure. Ancora a terra Penguin la osservò allontanarsi, ridacchiando tra se e se per le maniere burbere dell’infermiera. Nel momento in cui Dadan gli lanciò un ultimo sguardo di fuoco, sbattendosi la porta alle spalle, senza nemmeno dargli il tempo di rialzarsi un piede battè leggermente sul suo fianco, facendolo voltare per incrociare gli occhi chiari ed inespressivi di Marco. Il biondo torreggiava su di lui con la sua solita espressione atona,  fissandolo dall’alto come a chiedersi per l’ennesima volta come avesse fatto Pen a conseguire una laurea in medicina.

Non senza fatica il rosso si tirò su, portandosi accanto all’amico appoggiandosi con fare ammiccante al bancone, gli occhi fissi sulla porta d’emergenza da cui Dadan era appena uscita. -E’ pazza di me.- scandì fermamente, ghignando all’indirizzo di Marco che dal canto suo iniziò silenziosamente a chiedersi se fosse possibile analizzare il cervello del collega per capire l’origine delle sue turbe mentali.

Non si stupì di quel pensiero, del resto passava anche fin troppo tempo insieme a quel sadico del suo primario.

Non fece in tempo a chiedergli il consenso per vivisezionarlo che, manco se lo fosse chiamato, il cercapersone di entrambi squillò, attirando l’attenzione del due medici. -Che succede?- chiese Pen trafficando con l’aggeggio per cercare di spegnerlo. -Law.- disse semplicemente Marco, con un tono che non ammetteva repliche o ulteriori richieste.

Del resto se c’era una cosa che i medici di pronto soccorso del Kyros Memorial Hospital come Pen e Marco potevano affermare, era che Law non chiamava quasi mai al cercapersone.

E se lo faceva, di sicuro era successo qualcosa di parecchio grave.

Consci di ciò i due si lanciarono lungo il corridoio, raggiungendo le scale di emergenza per scendere al piano -1 dove si trovava il pronto soccorso. Non appena misero piede nel reparto, la situazione si rivelò nettamente peggiore di quello che i due medici si erano immaginati.

Il reparto era LETTERALMENTE intasato, affollato oltre l’inverosimile e, chiaramente, in completo delirio.

Le barelle entravano senza sosta dall’ingresso principale a gruppi di tre o quattro, nonostante non ci fosse palesemente lo spazio per accogliere le persone già presenti. C’erano decine, forse quasi un centinaio di pazienti, tutti o quasi in gravi condizioni.

Lesioni superficiali, ossa rotte, ustioni, contusioni, tumefazioni.

In tanti anni di emergenze e disastri, raramente Pen aveva assistito ad un disastro di proporzioni tali.

Il caldo che si era venuto a creare nonostante fuori ci fosse il gelo artico, e i lamenti dei feriti si intersecavano nell’aria, rendendo l’atmosfera pesante ed irrespirabile.

-Dobbiamo trovare Law.- chiarì deciso Marco, gli occhi saettanti tra le decine di pazienti in attesa di essere trattati come meglio si poteva. Le infermiere schizzavano qua e la con buste di salina, aghi, flebo, garze, siringhe, cariche come muli a fare la spola da un lettino all’altro.

-Tu cerca Law, io mi occupo di smaltire l’ingresso.- disse semplicemente Pen, prima di venire inghiottito dalla marea di gente che si spostava da una parte all’altra della stanza. Non appena Marco vide il collega sparire tra le infermiere ed i pazienti, si avviò di tutta fretta alla ricerca del primario.

Se qualcuno poteva spiegargli che cavolo era successo, quello era Law. Si barcamenò a fatica tra le barelle, dando qua e la qualche indicazione su come procedere per i casi più gravi, addentrandosi nell’ala rianimazione quasi senza volerlo. Oltrepassò decine di pazienti, la metà dei quali non sembravano nemmeno coscienti.

Alla fine, dopo interminabili minuti di ricerca, lo vide.

Chino sul corpo di qualcuno che veniva scosso ritmicamente dalla carica elettrica del defibrillatore, Law stava applicando la rianimazione cardiopolmonare a qualcuno che ad una prima occhiata sembrava messo peggio di molti altri li dentro. Il volto reso quasi irriconoscibile dal sangue e dalle croste, i vestiti ridotti a brandelli. Senza pensarci due volte il biondo si portò al fianco del collega, affiancandolo nella rianimazione. Continuò l’insufflazione alternandosi con le compressioni e la scarica del defibrillatore, per un tempo che gli sembrò eterno.

Perché Law si stesse accanendo su quel paziente proprio non gli era chiaro.

Sapeva che il medico, da primario di pronto soccorso era perfettamente in grado di capire quando per un paziente non c’era più nulla da fare, ed era sempre stato in grado di prendersi carico delle sue responsabilità e dedicarsi a chi aveva ancora speranza di sopravvivere.

Eppure non mollava.

Goccioloni di sudore gli scorrevano sulle tempie perdendosi tra le basette scure, gli occhi cerchiati affilati come una lama, i muscoli tesi nel tentativo di imprimere la giusta pressione.
Scarica dopo scarica, finalmente il paziente ristabilì un battito. Non appena Law percepì il “bip” del monitor, sgranò impercettibilmente gli occhi, fermando Marco con un gesto della mano dal procedere con una successiva insufflazione.

Entrambi ancorarono gli occhi allo schermetto verdastro, in attesa.

Ormai anche Marco si era preso a cuore la situazione disastrata di quel poveretto, per cui non ruppe il silenzio che si era creato dopo quell’unico battito percepito dal sensore.

Rimasero li, ansimanti.
E poi, lo sentirono.
“Bip”
I muscoli di Law fremettero a qual suono, ma il medico si impose di restare immobile.
“Bip”
Un sospiro flebile lasciò le labbra di Marco, impassibile come sempre ma visibilmente sollevato,
“Bip” “Bip” “Bip”

Entrambi finalmente si rilassarono impercettibilmente, osservando con malcelato sollievo il battito riprendere regolarmente sul monitor, chiaro segno che il paziente aveva lottato con loro ed aveva vinto la sua partita. Sbuffando per scaricare la tensione muscolare Marco spostò gli occhi sul corpo che ingombrava il lettino, concedendosi di dare un’occhiata approfondita al paziente per cui tanto avevano faticato.

Con suo sommo stupore si accorse che “il” paziente, in realtà era “la” paziente.

Come avesse fatto a non accorgersi delle due collinette che sporgevano al di fuori della camicetta non se lo seppe spiegare.
Probabilmente c’entrava il fatto che fosse gay, e che di donne non gliene fregasse poi un granchè.

Quella notizia però rendeva il comportamento di Law ancora più interessante.

Del resto che Law fosse contemporaneamente un misogino ed un casanova consumato non era un mistero per nessuno, seppure chiunque si chiedesse come facessero le donne a cadere ai piedi di qualcuno che le considerava nettamente inferiori al suo incommensurabile genio. In fondo era anche vero che Law considerava chiunque al di sotto del suo incommensurabile genio, ma le donne proprio non riusciva a farsele piacere per più di una notte.  

Il biondo fissò gli occhi sul viso serio del collega, ancora impegnato a valutare le condizioni generali della donna.

Come riscossosi da un sogno Marco guardò oltre la testa di Law, scorgendo il pronto soccorso ancora in delirio, probabilmente ancora più incasinato di prima.

Posto che le sue priorità erano cercare di salvare quanta più gente possibile, il medico cercò di richiamare l’attenzione dell’amico, che stizzito gli concesse la sua attenzione. -Che c’è?- chiese impassibile Law, perfettamente consapevole del suo atteggiamento ben poco etico e decisamente poco professionale.
Marco lo fissò intensamente, sicuro che non sarebbero servite molte parole per esprimere ciò che voleva dire.

-Abbiamo un pronto soccorso pieno come un uovo, e se non mi sbaglio eri stato tu a dirmi, il mio primissimo giorno, che specialmente nelle situazioni più drammatiche dobbiamo mantenere il sangue freddo e restare distaccati.- lo freddò, consapevole di aver fatto pienamente centro. -Ma chiunque sia questa donna, ha lo stesso diritto di tutti gli altri a ricevere lo stesso identico trattamento, e tu lo sai.- proseguì, gli occhi in apparenza freddi, fiammeggianti.

-Mi occuperò degli altri pazienti quando sarò sicuro che lei è fuori pericolo.- disse semplicemente Law, tornando ad esaminare il corpo immobile della giovane intubata.

Senza una parola Marco si scostò, oltrepassando il collega per dirigersi a passo furente alla ricerca di Penguin per dare un ordine ed un aiuto al reparto in subbuglio.

-Ho chiamato te e Pen perché sapevo che avreste gestito questa situazione esattamente come avrei fatto io. Non l’avrei fatto se non avessi dovuto occuparmi di questo caso.- lo richiamò Law, facendolo fermare in mezzo alla corsia.
Voltandosi a tre quarti Marco non sapeva cosa pensare. Se essere lusingato per ciò che il primario gli aveva detto, o sconvolto dalla sua inaspettata mancanza di freddezza e distacco che lo contraddistinguevano.

Una sola domanda gli venne in mente per levarsi ogni dubbio, e senza timore quella fece.

-Chi è quella donna, Law? E che diamine è successo qui dentro?- chiese con tono tranquillo, gli occhi accesi tuttavia da una febbrile agitazione, in attesa di una risposta decente che gli levasse il tarlo dal cervello.

Law riportò lo sguardo dritto verso di se, levandosi guanti e mascherina. Si voltò verso il collega, i cerchi attorno agli occhi ancora più scuri di quanto non sembrassero con il fazzoletto verde ad occultarli in parte.

-C’è stata un’esplosione nella filiale locale della Baroque Works S.p.A., nei pressi del Flower Hill. L’incidente è stato causato dal versamento di uno dei container che stavano entrando nel capannone principale, dietro via delle Acacie. Il container doveva contenere le derrate alimentari destinate alle mense cittadine, ma in realtà era ripieno di armi ed esplosivi. La squadra speciale della polizia stava conducendo un’indagine sui traffici illeciti di Crocodile da un bel po’, ed a quanto pare avevano ragione. Ma credo che non abbiano previsto che un’imboscata a quel preciso container avrebbe potuto produrre un’esplosione di quell’intensità, ne hanno considerato le conseguenze che ci sarebbero state sui lavoratori e sul circondario.- spiegò in fretta ma chiaramente. Marco stette a sentire, alzando un sopracciglio.
-Quindi questi pazienti sono i lavoratori della Baroque Works ed i passanti che si trovavano da quelle parti nel momento dell’esplosione?- indicò con la testa il reparto pieno, senza lasciar intendere nulla.

Law annuì, in attesa della domanda più importante.
-E lei?- chiese infatti Marco dopo nemmeno un secondo.

Il moro fissò impassibile il volto insanguinato della ragazza, le ferite ricucite in fretta per impedire l’emorragia. -Lei fa parte della squadra degli agenti che stavano indagando su Crocodile.- spiegò serio, lasciando involontariamente intendere a Marco che quei due si conoscessero da prima dell’incidente.

In ogni caso, il biondo ritenne di non avere il tempo necessario per ascoltare tutta la storia, per cui si accontentò di quell’insperato sprazzo di loquacità del collega per annuire velocemente, abbastanza soddisfatto delle informazioni ricevute, andando alla ricerca di Pen per dare aiuto nella maniera più efficace possibile.

Non appena Marco sparì nel corridoio, Law si sedette sullo sgabellino che si era portato accanto al letto, fissando il petto dell’agente alzarsi ed abbassarsi.

Era un miracolo che fosse riuscito a salvarla.

E ciò che lo infastidiva era che a dirla tutta, lui non aveva alcuna motivazione per spendersi a tal punto per lei.
Non dopo ciò che gli aveva fatto.

Eppure, nel vederla entrare senza alcun preavviso ridotta ad un colabrodo, in arresto cardiaco ed in fin di vita lo aveva inaspettatamente e contro ogni logica scosso, cosa che accadeva con estrema rarità. E sebbene ogni singola cosa di quella donna lo infastidisse, pur avendola vista solo per due ore appena la notte prima, Law non ci aveva pensato due volte a dare il tutto per tutto per recuperarla dalla fossa.

Sospirò, rialzandosi diretto anch’egli finalmente verso le altre stanze, tranquillizzato da un’infermiera che appena arrivata nel box l'aveva salutato per poi controllare le condizioni della paziente dedicandosi a lei per mantenerla stabile sotto suo ordine.

-Dottore!- lo richiamò la ragazza, facendolo voltare. - Kaimie?- la interrogò, notando immediatamente il vago rossore sulle guance dell’infermiera. -Mi scusi, ecco, ehm.. ecco, lei non ha scritto il nome della paziente sulla cartella.- spiegò la giovane, abbassando lo sguardo di fronte agli occhi intimidatori dell’uomo. Law la fissò per qualche secondo, spostando gli occhi sulla paziente stesa sul lettino.

-Surebo. Koala Surebo.- disse semplicemente, lasciando Kaimie a scrivere velocemente il nome sul foglio per poi osservarla con la coda dell’occhio mentre cambiava la flebo e controllava lo stato delle ferite.
-Prenditi cura di lei. Ci siamo intesi?- scandì senza voler sembrare severo, ma invano. -Certo dottore!- si infervorò infatti la giovane, arrossendo se possibile ancor di più di prima.

-Grazie.- fu l’ultima parola che le rivolse, allontanandosi poi a passo svelto in mezzo alla folla, scomparendo velocemente dalla vista di Kaimie.

-.. P-prego..- balbettò dopo qualche secondo di blackout l’infermiera, disinfettando le ferite che si erano riaperte e controllando costantemente i parametri vitali sul monitor. -Ti riprenderai, sta tranquilla..- sussurrò, accarezzando i capelli incrostati della giovane che non era chiaramente in grado di sentirla.
-Sembra un burbero stronzo.. ma è il miglior dottore che abbiamo!– ridacchiò, lasciando Koala con la sacca nuova ed annotandosi mentalmente il box in cui era alloggiata per non dimenticarselo quando sarebbe dovuta venire a controllarla.

-Ci vediamo dopo Koala!- la salutò alla fine, lanciandole un’ultima occhiata per poi sparire a sua volta nell’ingorgo di pazienti che ancora aspettavano di ricevere assistenza.

Erano ancora le dieci del mattino, ma era chiaro a tutti che quella sarebbe stata una lunga mattinata.

Lunghissima.






ANGOLO AUTRICE

Ed eccoci qui con il secondo capitolo della mini long!
Non ho molto da dire, se non che sono felicissima di essere riuscita ad aggiornare in anticipo e che spero che questo capitolo sia di vostro gradimento. 
Inoltre ringrazio le giovani donzelle che hanno recensito lo scorso capitolo, mi avete resa immensamente felice! <3

Un bacione e alla settimana prossima! 

Jules


 

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Capitolo 3
*** Coincidences ***


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Un timido sole fece capolino al di la della spessa coltre di nuvole che ricoprivano il cielo.

Sparì quasi subito, occultato da grossi, minacciosi nuvoloni carichi di pioggia pronti a scaraventare su Dressrosa l’intero quantitativo di precipitazioni dell’anno in una sola tempesta. Qualche goccia fredda iniziò a cadere, schiantandosi con eleganza sull’asfalto umido. Il semaforo perennemente rosso posto tra Rue de Royal Palace e Toy Street segnalava impietoso l’obbligo di fermarsi, sebbene non ci fossero molte macchine in strada, lampeggiando semioscurato dalla fitta pioggia che aveva alla fine deciso di cadere.

Un suono lontano di scricchiolare di gomme giunse presso il grande incrocio, in tempo per vedere una Ryuusouken color argento lanciarsi a velocità folle verso il semaforo, frenando appena in tempo per evitare una collisione spaventosa.

-Cazzo, il semaforo no, il semaforo no!- sbottò il conducente, passandosi una mano tra i capelli biondi con fare esasperato. -Oggi qualcuno ce l’ha con noi Sabo.- gli diede corda il passeggero seduto accanto a lui, la testa appoggiata alla mano, una gamba in continuo movimento per scaricare la tensione.
-Dobbiamo sbrigarci, ora prendiamo una scorciatoia.- dichiarò il biondo, incrociando gli occhi del fratello che lo fissava tra lo stranito e lo scettico. -Sabo, le tue scorciatoie fanno sempre schifo. E io non ho intenzione di far aspettare Koala solo perché TU devi prendere una strada che probabilmente ci porterà in un altro continente!- lo smontò il moro, incontrando il favore del terzo ed ultimo occupante della macchina. -Beh, tesoro Ace non ha tutti i torti..- iniziò infatti la giovane seduta sul sedile posteriore, affacciandosi tra le spalliere davanti a se. -Oh, perfetto, adesso anche mia moglie non crede più in me! Ditelo che oggi volete farmi impazzire, ditelo così io vi mollo la macchina e me ne vado a piedi fino all’ospedale!- sibilò iroso il biondo, rimettendo in moto nel momento in cui il semaforo cambiò finalmente colore.

-Non credere di essere l’unico preoccupato qui, quindi vedi di darti una calmata!- lo rimbeccò Ace, trucidandolo con lo sguardo. -Ah si? E chi è che ha chiamato Dragon-san per avvisare che Koala era.. beh, che lei..- si interruppe, incapace anche solo di concepire il fatto stesso che la sua migliore amica fosse davvero in pericolo.

-In ospedale?- lo anticipò Ace, incurvando le labbra in una smorfia di fastidio. -Si.- rispose lapidario il biondo, girando lo sterzo per infilarsi in una stretta stradina circondata da capannoni.

-L’unico giorno di congedo che mi prendo in un anno, e solo per la prima ecografia di Bibi, e lei cosa fa?! Arrangia un plotone assolutamente non previsto per tentare una missione suicida, e il tutto senza nemmeno degnarsi di chiedermi nulla! Ma che cosa cavolo le è passato per la testa?- continuò a borbottare, inconsapevole degli sguardi che Ace e Bibi si erano scambiati alle sue spalle.

Non ci voleva un genio per capire che se Koala non aveva avvisato Sabo di ciò che stava per fare, come del resto faceva già da un bel po’,  era semplicemente per non caricarlo di ulteriori responsabilità. Non era una stolta, e anche se non ne aveva parlato con nessuno, non si sarebbe mai lanciata in un’operazione pericolosa come quella senza una motivazione valida. E proprio lei, più di chiunque altro, sapeva cosa stava passando il suo migliore amico tra la gravidanza non prevista di Bibi e tutto il carico di apprensione che ne era derivato, il trasloco, gestire Rufy all’ultimo anno di liceo in assenza di nonno Garp..

-Cosa pensava? Di farcela da sola? Io dovevo essere li con lei, maledizione!- sbottò quasi senza accorgersene, facendo sobbalzare Bibi dalla sorpresa. Ace guardò il fratello, fissandolo senza la minima vena di ironia negli occhi.
Lui si fidava ciecamente di Koala, e sapeva che anche per Sabo era lo stesso. E se aveva deciso a mente fredda di estrometterlo dalla missione rischiandone il fallimento, era semplicemente per tenerlo al sicuro. E insieme a lui, anche Bibi ed il bimbo che tutti aspettavano ormai da quasi quattro mesi.

-E comunque sono sicuro che sta bene. Non mi..- iniziò, incrociando gli occhi contrariati del fratello. -.. Ci. Non CI farebbe mai uno scherzetto del genere.- completò, voltandosi con la coda dell’occhio verso il viso comprensivo della ragazza che si teneva ben salda ai sedili anteriori.
-Ho parlato con Marco al telefono prima, mi ha detto che è stato il suo primario ad occuparsi di Koala. Bibi, mi sembra che anche tu lo conosca.. o sbaglio?- si informò Ace cambiando argomento, lo sguardo perso oltre il finestrino appannato nel tentativo di dissipare la tensione. La turchina si portò una mano dietro la testa, grattandosi la nuca. -Diciamo che conosco un’infermiera che ci lavora insieme.- precisò, portando una mano in avanti a coprire quella del marito che ora stringeva la leva del cambio. -E che tipo è? E’ bravo? Possiamo fidarci?- la bombardò inaspettatamente dopo qualche secondo voltandosi ad occhi spalancati verso di lei, lasciando trasparire tutta la sua ansia a differenza di Sabo, che al contrario aveva iniziato a molleggiare con una gamba nell’attesa che l’ennesimo rosso diventasse verde.

-Hai detto che è il primario di Marco, no? Lui non ti ha detto niente?- si intromise il biondo, gli occhi piantati sulla luce rossa piazzata sul marciapiede. -Lo sai com’è Marco, cercare di capire il suo stato d’animo è praticamente impossibile.. potresti sgozzargli il cane davanti agli occhi e lui non cambierebbe espressione! Certo, si incazzerebbe parecchio e probabilmente ti fulminerebbe manco fosse l’onnipotente, ma ecco.. - considerò esasperato Ace, alzando le spalle in segno di resa.

 Bibi piantò gli occhi scuri in quelli nero pece del cognato, sorridendo appena. -Sta tranquillo  Ace, è un tipo apposto. E’ molto bravo, anche se da quello che ho capito non è per niente socievole. Ma sono sicura che si è preso cura di Koala nel migliore dei modi!- cercò di rassicurarlo, non stupendosi quando l’agitazione negli occhi del moro si affievolì ma di poco.
-Trafalgar mi pare si chiamasse.. il nome mi sfugge..- proseguì Bibi, attirando l’attenzione del conducente. Il biondo si voltò verso la moglie, gli occhi sgranati, visibilmente in panico. -Che c’è? Che succede Sabo!?- chiese la turchina, allarmata. -T.. Trafalgar? Trafalgar.. Law?- chiese con un filo di voce, la mascella tesa, le mani strette spasmodicamente sul volante. -Credo di si.. cioè, si, è lui..- confermò la giovane, corrugando le sopracciglia nel tentativo di capire quale fosse il problema. Senza darle il tempo di chiedere alcunchè, Sabo sterzò con violenza, sgommando per inserirsi nell’ennesimo vicolo accelerando oltre il limite consentito.

-Dobbiamo sbrigarci. Se quel bastardo ha anche solo osato farle qualcosa, io, io..- farfugliò in preda alla rabbia, prontamente sostenuto dal fratello. -NOI, noi gli spezzeremo l’osso del collo.- completò per lui Ace, scrutando al di la del parabrezza per riuscire ad individuare l’ospedale che sarebbe dovuto essere da quelle parti.

-Ragazzi, ma che vi prende? Non credo ci sia da preoccuparsi, in fondo è un medico no?- tentò di inserirsi Bibi, seriamente preoccupata per ciò quelle due teste calde avrebbero potuto combinare una volta in ospedale se avessero avuto anche il minimo infondato sospetto che qualcuno aveva contribuito a fare del male a Koala. -Bibi, tu non capisci.- cercò di contraddirla Sabo, beccandosi un pizzicotto. -E allora fammi capire, visto che ne sei così dannatamente sicuro!- lo sfidò sua moglie, incrociando le braccia sotto il seno e squadrandolo con un sopracciglio eloquentemente alzato. -Oh, e dai Bibi, non puoi arrabbiarti con me ancora prima che io abbia combinato qualcosa!- si lamentò esasperato il biondo, fulminando il fratello che sotto i baffi se la sghignazzava sommessamente a suo discapito.

-Tu spiegami che motivo avrebbe il dottor Trafalgar di agire a discapito di Koala.- lo incalzò la giovane, permanendo nella sua posizione inquisitoria. -E’ roba top secret tesoro.- iniziò Sabo con fare superiore.
-Non posso rivelarti nulla che tu non sappia gi… àhia, ahi, ahi mi fai male Bibi! Tesoro, mollami! Mollami l’orecchio! Me lo strappi così!!- urlò di botto, cercando di tendersi tra la presa ferrea di sua moglie e la strada. Ignorando visibilmente le sue proteste, la turchina si voltò verso Ace, che aveva assistito alla scena convinto (inutilmente) di essere al sicuro.

-Se non vuoi fare la sua fine..- iniziò la giovane mollando con veemenza l’appendice del marito e lasciandolo visibilmente dolorante e scosso -Ti conviene dirmi quello che sai su questa storia, perché so che tu hai capito perfettamente quello di cui sta parlando questo cretino! O vi giuro che all’ospedale ci andiamo per curare voi due!- aumentò di intensità, facendo accartocciare Ace su se stesso per il timore di essere divorato.

-Ecco, beh..- iniziò il moro, cercando sostegno nel fratello, il quale con un’alzata di spalle gli comunicò un disperato “AIUTAMI”, dandogli spudoratamente carta bianca. -Oh, e va bene! Te la faccio breve, questo tipo ieri notte è stato interrogato da Koala per una suo presunto coinvolgimento nel traffico di droga che Crocodile, il boss della Baroque Works, sta architettando, e anche se alla fine è stato rilasciato per mancanza di prove, nessuno può dire con certezza se sia davvero un delinquente o meno! E poi sembrava un tipo parecchio astuto e vendicativo da come l’ha descritto Sabo, per cui.. Oh, oh! Sabo rallenta!

-L’ospedale, eccolo, eccolo!- sbraitò Ace interrompendosi senza preavviso, dirottando finalmente l’attenzione su qualcos’altro nel tentativo di distogliere Bibi dai suoi istinti omicidi e salvaguardare le sue orecchie e la reputazione di suo fratello.

Quasi come una visione onirica, Il Kyros Memorial Hospital si mostrò in tutta la sua monumentale grandezza, ergendosi al centro di Place Diamante e torreggiando con i suoi dodici piani costantemente affollati sull’intero isolato. La pioggia continuava senza sosta a schiantarsi contro il lastricato, riversandosi in fiumiciattoli lungo l’asfalto. Sabo parcheggiò alla bell’e meglio di fronte il pronto soccorso, incastrando il freno a mano e riuscendo finalmente a staccarsi dalla mano d’acciaio della moglie. Scesero tutti e tre contemporaneamente dalla lattina che i fratelli Monkey e Portguese avevano il fegato di chiamare “macchina”, avviandosi a passo svelto verso l’ingresso. Sabo si levò la giacca senza pensarci, tendendola sulla testa di Bibi nel tentativo di coprirla dalla pioggia battente, infischiandosene di infradiciarsi esattamente come Ace.

Giunti sulla porta, con un gesto repentino Bibi si portò di fronte l’ingresso, sorpassandoli e voltandosi di scatto verso di loro. Una piccola vena pulsante ben visibile sulla tempia destra le ballava al di sotto della pelle diafana, chiaro segnale che qualsiasi intenzione avesse, se i due avessero cercato di contraddirla, lei li avrebbe polverizzati con una sola occhiata.

-Chiariamo bene una cosa. Io non so perché tu- iniziò indicando Sabo con un sopracciglio alzato -abbia raccontato ad Ace tutta questa storia e con me non ne hai fatto minimamente parola, ma facciamo che ci passerò sopra perché per adesso ci sono cose più importanti a cui pensare. Ora vi dico cosa faremo, e aprite bene le orecchie, perchè non ho intenzione di ripeterlo! Noi entreremo per assicurarci che Koala stia bene..- spiegò lentamente con un’aria di calma assassina che fece venire i brividi lungo la schiena ad entrambi. -..e BASTA! Se vi scopro a combinare casino o a minacciare medici solo perché vi improvvisate detective, vi faccio finire al pronto soccorso ma come pazienti! Siamo intesi?!- li redarguì aspramente, puntandogli contro l’indice con fare accusatorio.

Senza coraggio di replicare, i due piromani casinisti e playboy più famosi della Moby Dick High School annuirono contriti, osservando la giovane minuta entrare tranquillamente all’interno scrutandoli un’ultima volta, gli occhi ridotti a due fessure. -Da quando è incinta tua moglie mi terrorizza, Sabo.- sussurrò Ace, noncurante della pioggia, gli occhi pietrificati sulla figura della turchina che li invitava minacciosamente ad entrare.

-A chi lo dici fratello.. a chi lo dici.- sospirò sconsolato il diretto interessato, scrollando le spalle per portare poi gli occhi a fissarsi sulla porta a vetro che si apriva e chiudeva seguendo il flusso di gente che entrava ed usciva continuamente.

-Andiamo. Koala ci sta aspettando.- fu tutto ciò che ebbe bisogno di dire, camminando velocemente sul lastricato per mettere finalmente piede all’interno dell’ospedale seguito a ruota da Ace, lasciandosi alle spalle la tempesta e tutto ciò che non fosse la sua priorità in quel preciso istante.

Trovare Koala e spezzare l’osso del collo al dottor Trafalgar Law.
 
 
 

 
***
 
 

 
*Il dottor Whitebeard è desiderato in chirurgia. Il dottor Whitebeard è desiderato in chirurgia.*
 

Il suono gracchiante dell’interfono riempì l’aria, insinuandosi tra i corridoi del quarto piano.

Il reparto in realtà non era particolarmente affollato, e gli unici rumori che interrompevano la monotonia erano gli sporadici passi degli zoccoletti di qualche
infermiere o le rotelle gracchianti dei porta flebo che venivano trasportati da una stanza all’altra.

-Uff, ma quanto ci mette?- si lamentò nuovamente una giovane dagli accesi capelli rosa seduta di fronte alla saletta delle visite del dottor Phoenix, accavallando le lunghe gambe coperte dalle parigine a righe bianche e nere.

Si guardò attorno cercando una qualsiasi cosa da fare per ammazzare il tempo. Non c’era molto movimento in quel piano, a parte un paio di anziani signori che passeggiavano per il corridoio appesi alle loro flebo e un’infermiera parecchio inquietante che sembrava uscita da un programma di Drag Queen.

Sbuffando per l’ennesima volta, Perona si alzò dalla sediolina a muro su cui si era accomodata quasi un’ora prima, voltandosi verso il grande finestrone che dava sulla piazza mentre si sgranchiva le braccia addormentate.

Si stava annoiando, si stava annoiando tremendamente. Almeno c’era la tempesta che infuriava fuori a tenerle compagnia, altrimenti la giovane sentiva che sarebbe potuta impazzire da li a cinque minuti.

-Maledetto Izou quando mi ha convinta ad accompagnarlo!- borbottò, specchiandosi nel riflesso del vetro di fronte a se per sistemarsi i capelli ed il makeup, ridotti uno schifo dalla pioggia.

Anche se, a dirla tutta, non è che le fosse andata poi così male.

Per quella mattina le alternative erano due: accompagnare Izou per la sua rettoscopia (e Perona finse di non notare l’estremo entusiasmo del suo migliore amico quando le comunicò che un uomo di li a poco avrebbe messo due dita nel suo didietro), o restare a casa a badare a Torasaburo. E per quanto quella palla di pelo in visibile stato di obesità facesse di tutto per farsi coccolare dalla sua padrona, Perona di stare a casa non ne aveva proprio voglia.
Non quando ogni singolo centimetro di ogni parete non faceva altro che ricordarle lui, lui, e solo lui.

Lui ed il suo sorriso, lui e le sue braccia che la stringevano quando crollava, lui e le sue urla quando se ne era andato di casa sbattendosi la porta alle spalle, senza farsi mai più vedere.

In un lampo di comprensione Perona si riscosse, notando con orrore le tracce del mascara sbavato sulle guance.
-No, non è possibile..- sussurrò orrificata, prtandosi una mano a sfiorare le tracce nerastre chhe le segnavano la pelle chiara. 

Non poteva essere, non poteva essersi messa a piangere come un’idiota di fronte a tutti! Con rabbia strisciò il dorso delle mani coperte dai guanti di pizzo sotto gli occhi, nel tentativo di dissimulare le prove del misfatto.
Senza nemmeno riflettere su dove si stesse dirigendo, si incamminò nel lungo corridoio alla ricerca di un bagno dove poter rimediare alla bell’e meglio al casino che era la sua faccia in quel momento, conscia che qualsiasi cosa stesse facendo Izou in quella saletta con il dottor Phoenix, sicuramente non ne sarebbe uscito in tempi brevi.

Si avventurò un po’ in giro, scoprendo con estremo fastidio che l’intero reparto era completamente deserto. Nessuno che potesse darle un’indicazione, nemmeno quell’infermiera/infermiere di poco prima o quella coppia di vecchietti.
Con sollievo si lanciò verso la porta contrassegnata come toilette che indivuò poco lontano, sbuffando esasperata nel trovarla chiusa a chiave.

Ma in quale ospedale i bagni dei viisitatori vengono già chiusi a chiave alle undici del mattino?!

Di entrare in una stanza a caso ed infilarsi nella toilette privata non se ne parlava. Non esisteva che qualcuno avrebbe potuto sgamarla mentre si rimetteva il suo fondotinta preferito color cadavere pallido, non esisteva proprio!

Lasciandosi scappare qualche “horo horo” di disappunto, Perona girovagò a vuoto per qualche minuto, sconsolata ed infastidita, e senza nemmeno accorgersene si ritrovò in fondo al corridoio, faccia a faccia con le scale che portavano al piano di sopra. Strinse le labbra in un broncio indeciso, grattandosi un braccio con le lunghe unghie rosa pallido. Sporgendosi con la schiena all’indietro guardò prima a destra, poi a sinistra.

Nemmeno un’anima.

-Oh, al diavolo!- concesse alla fine, e tirandosi su il vestito per evitare di inciamparci e rotolare in maniera ben poco aggraziata giù per le scale, imboccò i gradini che portavano al reparto di terapia intensiva, nella speranza di trovare qualcosa da fare o nella migliore delle ipotesi di recuperare uno specchio ed un po’ di dignità.
 
 
 

 
***
 
 
-Qualcuno mi spiega dove stiamo andando?!- borbottò Ace, palesemente confuso nel tentativo di seguire Bibi che si barcamenava perfettamente tra i corridoi affollati, alzando di tanto in tanto la testa al di sopra della folla che ingombrava il passaggio per individuare una coda di cavallo azzurra ed una zazzera bionda al seguito.

Non seppe per quanto cercò di inseguire suo fratello e sua cognata in quell’intricato dedalo di stanze tutte uguali e gente che andava da una parte all’altra, fatto sta che, come aveva ampiamente previsto, si perse come un bambino al supermercato che cerca la mamma.

Portò una mano al fianco mente l’altra si portò sulla testa, impegnata a grattarsi la nuca sperando di trovare un indizio su dove si fossero diretti quei due.

Che poi in realtà Ace non poteva nemmeno lamentarsi, gliel’avevano ripetuto almeno quattro volte dove si trovava Koala: il piano, il reparto, il corridoio e pure il numero della stanza. Il problema era che sebbene lui si sforzasse davvero di ascoltare, l’orario non aiutava per niente. In fondo doveva anche aspettarselo che la sua narcolessia si sarebbe fatta viva, privandolo di quell’attenzione e quell’energia che gli serviva proprio in quel momento.
Alzando un sopracciglio, la bocca piegata in una smorfia imbarazzata, si incamminò in una direzione a caso sperando di ritrovare qualcuno di familiare, anche se con bassissime aspettative.

Oltrepassò un numero infinito di corridoi, stanze, infermieri, dottori, eppure di Bibi, Sabo, Marco, persino del dottor Trafalgar non c’era la minima traccia.
Comunque sia, dopo aver vagato come un senzatetto tra le stanze ed aver scambiato un paio di paroline con un paio di infermiere decisamente molto carine, Ace si ritrovò alla fine di fronte alla porta a vetri che conduceva al reparto di terapia intensiva.

Ora, ciò che successe nel suo cervello nel momento in cui lesse la scritta “Terapia intensiva” è abbastanza complesso da spiegare.

Ciò che ci va più vicino come metafora è immaginare un vecchio macchinario in disuso da molto tempo (un po’ come l’encefalo del lentigginoso pompiere) che viene acceso da un insperato sprazzo di corrente, e si mette in moto con molta, molta, moltissima fatica.
Non che Ace fosse portatore di chissà che ritardo mentale, semplicemente riteneva (come aveva sempre fatto) che le meningi fossero delle parti del corpo superflue, per cui tanto vale allenare altro piuttosto che quelle.

Ecco perché chiunque entrasse da quella porta si ritrovava a fissare con turbamento ed imbarazzo quel giovane di 25 anni, alto, impostato  e dall’espressione concentrata che tentava di associare quella scritta con qualche informazione latente che giaceva nei meandri del suo cervelletto.

Se gliel’avessero chiesto non avrebbe saputo dire per quanto tempo restò in quella posizione, le sopracciglia corrugate, la bocca semischiusa, il fumo che gli usciva dalle orecchie e dalle narici.
Ma alla fine, uno sbuffo di fumo fuoriuscì dalla macchina a vapore che era il suo centro della memoria, dandogli la soddisfazione di ricordare che quello era al 67% (percentuale accuratissima fornita dall’Istat che aveva sede nel suo emisfero destro) il reparto in cui si trovava Koala.

Con un sorriso tronfio e pieno di orgoglio immotivato il pompiere oltrepassò trionfalmente le porte a vetri, ritrovandosi a confrontarsi con un delirio ben peggiore di quello che si era immaginato parlando al telefono con Marco.

Le voci, i rumori, il numero spropositato di pazienti, era tutto troppo amplificato, tanto che sconsolato Ace si chiese come avrebbe fatto a trovare gli altri in mezzo a quel casino.

Anche se, a dire la verità, non ebbe nemmeno il tempo per rifletterci su.

Non fece infatti manco un passo all’interno del reparto, che senza preavviso e assolutamente dal nulla un qualcuno o un qualcosa gli piombò addosso come un bulldozer, senza dargli nemmeno il tempo di scansarsi ed evitare di capitombolare a terra come un cretino.
Sovrastato da una marea di stoffa scura, il giovane riuscì non senza fatica a riemergere da quella matassa di capelli rosa che l’avevano sommerso, ritrovandosi con sua immensa sorpresa a stringere tra le braccia un corpicino minuto che non pensava avrebbe mai potuto produrre quell’impatto contro il suo, anche se si fosse lanciato alla velocità della luce.

In ogni caso, minuto o non minuto, Ace non aveva nemmeno un secondo da perdere, per cui cercò di districarsi dal groviglio di capelli, gambe e braccia in cui era incastrato.

Ma nel momento stesso in cui sollevò lo sguardo ad incrociare gli occhi onice impastati di mascare della ragazza più bella che avesse mai visto in assoluto, stretta a se e con le guance imporporate e le labbra ciliegia schiuse, visibilmente imbarazzata, il giovane smise di ribellarsi, incantato da ciò che si era spontaneamente gettato tra le sue braccia.

Non riuscì ad emettere una sola parola, nulla che non fosse l’espressione più ebete che gli fosse mai capitato di avere (e per uno come lui, ce ne voleva).

Non si rese nemmeno conto che la rosa stava cercando a differenza sua di tirarsi su nonostante l’ingombro del vestito, né Ace in un primo momento fu capace di lasciarla andare ed allontanarsi come ogni bravo sconosciuto farebbe se una ragazza ti cade addosso, probabilmente per sbaglio.
 
E anche se adesso lei lo stava visibilmente picchiando, a lui andava bene così.

Tutto ciò che fu capace di fare, fu considerare che alla fine, tutto sommato, perdersi non era stata poi una così una cattiva idea.

 
Proprio per niente.
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE

Raaagaaaaazzi, non sapete che felicità sia per me pubblicare FINAMENTE questo capitolo! *^*

Sono incasinatissima, ho utilizzato tutte le pause studio possibili e anche le nottate per riuscire a completarlo in tempo, e alla fine sono davvero felicissima di come è venuto! U.u

In questo capitolo facciamo finalmente la conoscenza di tanta bella gente, a partire da Sabo e Bibi, e per finire con Ace, Izou e Perona! *^*
 
Chi sarà la sconosciuta che è caduta tra le braccia di Ace proprio a terapia intensiva?
E che fine avrà fatto Izou?
E Sabo alla fine è riuscito a riattaccarsi l’orecchio dopo che Bibi gliel’ha quasi strappato?
E Law, è davvero in pericolo “spezzamento di collo”?
 
La risposta a queste e a tante altre domande la avremo nel prossimo capitolo! Xd
Quindi che dire, ci vediamo nell’angolino recensioni e alla prossima! ^^
 
Jules

 

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Capitolo 4
*** There can be miracles ***


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Se Law, quel giorno, alzandosi alle sei del mattino dopo ben due ore di sonno, si era aspettato di trascorrere una giornata si impegnativa ma tutto sommato gestibile, arrivato a quel punto della mattinata (ed erano solo le undici), aveva abbastanza materiale per mandare a quel paese il suo aplomb e fare cadere dal cielo una quindicina di figure santificate giusto per il gusto di scaricarsi su qualcuno.

Per fortuna lui non era come Eustass Kid, quell’idiota, grezzo e volgare meccanico che si era ritrovato appioppato addosso a sei anni come compagno di banco e che ora poteva essere definito più o meno la persona più vicina a lui.
No, lui non era come Kid che faceva scomodare il creatore in persona ogni dieci minuti per motivazioni gravissime quali avere finito la maschera ai lamponi per i suoi morbidi e “lucenti” capelli rossi da demone, o peggio, avere esaurito la sua boccetta di smalto preferito, o anche aver perso le rondelle del sei o la chiave del sedici per “dare attenzioni” alla sua mastodontica moto, la Jack Skull.

Aaah, quell’Eustass-ya.. se non ci fosse il Signore ci avrebbe ripensato due volte prima di inventarlo.

Beh, c’è da dire che Law se l’era cercata negli anni addietro mostrandosi come uno dei dottori più capaci dell’intero ospedale, ma il fatto che, con il casino che aveva invaso l’intero reparto, non potesse compiere un passo in mezzo al corridoio senza che qualcuno iniziasse a sbraitare il suo nome manco fosse Beyoncè, quello iniziava ad irritarlo.

Persino il suo ego si era stufato di essere chiamato in causa come “Unico baluardo di conoscenza e saggezza” da quel pozzo colmo di nulla che i non addetti ai lavori chiamavano “Struttura sanitaria estremamente specializzata”, il che era decisamente indicativo sul suo stato mentale.

-Dottor Trafalgar!-

Per un secondo Law chiuse gli occhi, inspirando profondamente.

Concentrazione, calma, e tutte quelle inutili ore al corso di recitazione che zio Cora l’aveva costretto a sopportare: se anche le avesse invocate contemporaneamente non sarebbero bastate per rispondere con raffinatezza e charme a quell’ennesimo insulto al suo spazio interiore.

“Non ce la posso fare” considerò tra se e se con estrema tranquillità, mettendo su l’espressione di noncuranza più falsa degli ultimi dieci anni.

-Si?- rispose atono, sollevando di poco lo sguardo dalla cartella che stava analizzando. Davanti ai suoi occhi comparve una giovane infermiera lentigginosa dai capelli blu elettrico, piantata di fronte a se a sostenere senza timore il peso dei suoi occhi di ghiaccio, dissimilmente da quasi tutta la popolazione femminile impiegata al Kyros Memorial.

Nel momento in cui Law si accorse di chi fosse stata a chiamarlo ghignò, osservando con quanta noncuranza quell’infermiera lo scrutava sorridendo maliziosamente a sua volta.

-Ishley! Quale onore che tu dall’alto della tua estrema sapienza, ti rivolga a me!- la schernì con lo stesso tono piatto e posato, consapevole di aver centrato l’obiettivo pungendo l’ego della sfrontata infermiera.

Dal canto suo Ishley inclinò la testa, alzando un sopracciglio in un’espressione di puro compatimento per il moro. -Law- iniziò, venendo immediatamente interrotta dal diretto interessato. -Dottor Trafalgar a lavoro, Infermiera Aquamarine.- la riprese, assottigliando lo sguardo.
Per quanto stanco e distrutto fosse, i ruoli e l’ordine prima di ogni cosa.
Senza mutare espressione Ishley sorrise, sospirando per il visibile peggioramento del disturbo ossessivo compulsivo del medico. -DOTTOR TRAFALGAR- ricominciò incidendo particolarmente con l’epiteto utilizzato per chiamarlo, fissandolo come a dire “Ora ti va bene, pignolo che non sei altro?”
-Continua.- si limitò a rispondere Law, passatosi indice e pollice sugli occhi. Non si reggeva visibilmente in piedi. -Dicevo, il giorno in cui IO avrò bisogno del SUO consiglio, sarà il giorno in cui Iva-san verrà a lavoro vestita decentemente.- lo zittì, voltando appena lo sguardo ad incrociare le nerborute gambe irsute della collega che volteggiavano nel corridoio, in tinta con una pettinatura afro dal vago color lilla ed un trucco che Trixie Mattel, levate.

Senza potersi controllare, Law si lasciò andare ad un sospiro sconsolato ed ironico, sorridendo appena per la testarda caparbietà di Ishley nel mostrarsi sempre così sicura e fiera.

Del resto non gli importava di fare colpo su di lei, nonostante in quelle condizioni mentali non sarebbe riuscito a fare colpo nemmeno su un sasso. Che poi ad essere sinceri, non gli importava mai di fare colpo quasi su nessuno. Se succedeva era quasi sempre per caso, ma con quella testa pazza dai capelli blu non ci aveva mai davvero provato.

La verità era che Ishley gli piaceva. Con quel suo modo sempre spontaneo di parlare, la sua totale mancanza di filtri e il fatto che anche se era stata assunta appena due mesi prima, sembrava che di lui non avesse mai avuto e non avrebbe mai avuto paura.

-E allora che c’è?- chiese semplicemente Law guardandola dritto negli occhi, implicitamente implorante per un po’ di pace.
-C’è della gente che la sta cercando.- lo avvisò schietta l’infermiera, indicando con un cenno della testa due persone che poco dietro di lei stavano amabilmente battibeccando mentre l’infermiera Dadan, seduta al bancone delle infermiere si godeva la scena.
Mancavano solo i Pop Corn e poi il quadretto sarebbe stato davvero perfetto.

Law inasprì lo sguardo incrociando la testa bionda che ondeggiava a ritmo con le parole che uscivano dalla sua bocca, inquadrando la cicatrice sull’occhio sinistro. -Tu sai chi sono?- sussurrò sovrappensiero, ignorando il fatto che Ishley ormai era bella che andata.-Ishey, ti ho chiesto se sai chi s.. Ishley?- chiese nuovamente, sbuffando all’idea che quella ragazzina gliel’aveva fatta di nuovo.
Inspirò impercettibilmente, voltandosi verso il tizio biondo e la signorina con i capelli simili a quelli dell’infermiera Aquamarine che discutevano, pronto a rovinare la festa a Dadan e a levarsi quell’impiccio dai piedi il prima possibile.

Guardò l’orologio da polso dei Digimon: segnava le undici e cinque. Era da quando l’aveva rianimata che non andava a controllare Koala, e sebbene si fidasse di Kaimye per qualche strana ragione il suo ingombrante inconscio gli stava letteralmente urlando di andare a verificare che fosse tutto apposto di persona.

Il perché ancora non era chiaro nemmeno a lui.

Deciso quindi a sbrigarsi tutte le incombenze in quel ristretto arco di tempo che aveva prima che le sue gambe si muovessero di loro spontanea volontà verso la stanza 221B in fondo al terzo corridoio di quel piano, Law si diresse verso la coppietta felice, cercando di fare quanto più training autogeno possibile per sopportare le voci assurdamente tonanti di entrambi i litiganti. Nel momento stesso in cui si portò ad una distanza che non avrebbe definito ottimale secondo i suoi standard, il biondo e la turchina smisero di discutere, fissandolo. Lui con parecchio astio, lei con un che di… rassegnato negli occhi?

Alzò un sopracciglio, preparandosi a ripetere quelle due parole in croce che riservava ai parenti dei suoi pazienti.

“Salve, sono il dottor Trafalgar Law, il vostro/a _inserire il nome del paziente_ è in ottime mani. Stavo giusto andando a controllarlo/a, quindi se volete scusarmi.-

Facile, breve, indolore ed elegante. Perfettamente consono al suo stile.

Prese un bel respiro.

-Salve, sono il dottor..-
-DIMMI DOVE SI TROVA KOALA, E NESSUNO SI FARA’ MALE!-  

Un attimo. Successe tutto in un attimo.

Senza nemmeno rendersene conto Law si ritrovò a terra, il fiato spezzato e quell’invasato biondo a cavalcioni  su di se con un ginocchio dritto dritto al centro del petto, pronto a spappolargli le viscere se si fosse mosso nella maniera sbagliata.
Ora, differentemente da quello che si sarebbe potuto pensare guardandolo, Law era si magro, ma anche parecchio prestante. Esperto di Kendo ed agile judoka, era perfettamente in grado di liberarsi da una presa del genere, specie se applicata con la specifica intenzione di minacciare e non di fare del male vero e proprio.
-E lei chi sarebbe?- chiese quindi con voce tranquilla, posizionando le mani in maniera strategica in modo da distrarre il suo aggressore e ribaltarlo nel momento in cui avesse perso il controllo della sua posizione per rispondergli.
-Io sono il maggiore Monkey D. Sabo, e lei, SIGNOR Trafalgar, ieri notte è stato interrogato per sospetta collaborazione in traffici illeciti. E ora non mi venga a dire che con quest’incidente non centra niente!- s’infervorò il giovane, premendo maggiormente sullo sterno di Law.

-Sabo, piantala per tutti i kami!- sospirò imbarazzata Bibi, appoggiandosi con un gomito al bancone prontamente sostenuta da Dadan (che non si sarebbe persa le prestanti doti di combattimento del dottor Trafalgar nemmeno per tutto l’oro del mondo.) -Sto lavorando tesoro, lasciami fare per piacere!- asserì serio Sabo, prontamente sostenuto da Law.               
-Signorina non si preoccupi, abbiamo la situazione perfettamente sotto controllo.- chiarì infatti il moro con estrema tranquillità. Sabo inizialmente annuì, felice di aver trovato un ulteriore sostenitore dei suoi metodi, ma riscosse violentemente la testa quando percepì il velato tono di ironia nelle parole di quel medicastro sospettato spacciatore. -Lei non faccia tanti scherzi, dottore!- sibilò, guardandosi alle spalle come se da un momento all’altro qualcuno potesse assalirlo per liberare il suo obiettivo.

-Vedo che ti sei fatto un nuovo amico Law!- cinguettò Ishley, portandosi una mano alla bocca mentre riattraversava con estrema lentezza il
corridoio, sghignazzando per la scena che si stava consumando di fronte a lei.

-Dottor Trafalgar, Ishley!
-Signorina, non si immischi per favore!-

Sabo e Law si guardarono simultaneamente, consapevoli ed irritati di aver parlato l’uno contemporaneamente all’altro. -Si, siete proprio fatti l’uno per l’altro!- ridacchiò l’infermiera ignorando bellamente entrambi i commenti, avviandosi a passo svelto verso la medicheria ancora scossa dai singulti delle risa.

-Ha ragione lei, Sabo. Su di me non ti sei mai buttato con così tanta veemenza.- commentò con insospettabile ironia la turchina, lasciandosi trasportare dalle risate insieme a Dadan e ad Ishley, che infischiandosene momentaneamente dei suoi compiti era ritornata sui suoi passi, obbligata dalla curiosità barbina che l’aveva assalita.

-BIBI!-

-Tua moglie ha ragione Sabo, dovresti vedere la tua faccia in questo momento. Pura estasi.-

-Marco, non ti ci mettere anche tu!- esclamò piccato il biondo, individuando la figura snella del medico altrettanto biondo che si avvicinava a loro. -Tutto bene Law?- chiese atono come al solito, rivolgendo lo sguardo in terra al collega spiaccicato contro il pavimento.
-Non c’è male.- si limitò a rispondere l’interpellato.
-Dottor Trafalgar, la prego di scusare mio marito..- riuscì a dire Bibi in mezzo agli ultimi spasmi di ridarella che le scuotevano il corpo.
-Non si preoccupi, sono abituato ad essere aggredito senza una motivazione valida.- sciorinò velenoso il diretto interessato sorridendo alla giovane, ghignando poi nel vedere un sopracciglio fine di Marco sollevarsi come a dargli dello sbruffone anche senza pronunciare una parola. -Comunque sia, dov’eri finito? Io e Pen ti abbiamo cercato ovunque ma sembravi sparito nel nulla.- indagò poi Law, sollevando a sua volta un sopracciglio interrogativo, nel tentativo di carpire qualche informazione da quel totem senza espressione della faccia del collega.

-Visita inaspettata.- esalò quello, enigmatico.

-Allora, chiariamo bene una cosa tutti voi!- cercò di riprendere la situazione in mano Sabo -qui c’è in atto un interrogatorio, per cui siete gentilmente pregati di togliervi dai..-

-Guarda che sei tu che mi sei piombato addosso!!-
-Beh, se avessi saputo che c’eri tu ad aspettarmi a braccia aperte l’avrei fatto davvero e senza nemmeno fingere che fosse stato un incidente..-
-Finiscila! Io so solo che hai cercato di stritolarmi e per questo te la farò pagare!!-
-Ma mi spieghi perché avrei dovuto cercare di buttarti a terra e stritolarti?-
-E che ne so! Chiedilo al tuo cervello in letargo!-
-Aspetta sarebbe una battuta? Cervello in letar.. Oh, Sabo! Bibi, Marco! Vi ho trovati finalmente! Ma dove vi eravate cacciati ragazzi?-

-Ace!- gemette il biondo alla vista del fratello che si aggiungeva all’allegra combriccola insieme ad una variopinta signorina dai capelli rosa che stava probabilmente cercando di trattenersi dall’ucciderlo. -Dove ti eri cacciato tu, piuttosto! Te l’avevo detto almeno tre volte, reparto di terapia intensiva, quinto piano, corridoio A3 stanza 221B!- lo apostrofò Bibi, gettando gli occhi al cielo quando il cognato le rispose con un’alzata di spalle evidentemente colpevole. -Comunque sia ragazzi, lei è Perona!- fece allegramente Ace, prendendo la giovane per un fianco con evidente fastidio di quest’ultima. -Ecco, lei è mia cognata Bibi..- iniziò indirizzando la ragazza verso la turchina. -Piacere di conoscerti!- rispose con fare materno l’interpellata, stringendo delicatamente la mano restia di Perona visibilmente confusa da quell’ammasso di gente sconsiderata che si era ritrovata davanti.
-Lui è Marco, mio ex compagno di scuola..- proseguì Ace, sfiorando la schiena di Perona per imprimerle una leggera spinta in avanti verso l’amico. -Piacere, Dottor Marco Phoenix.- si presentò il biondo, inarcando le sopracciglia alla vista della giovane.

Contemporaneamente, come se qualcuno le avesse appena dato una botta in testa, Perona scosse la testa osservando ad occhi sgranati il giovane medico di fronte a se. -Lei sarebbe il dottor Phoenix?- chiese scettica. -In persona. Qualche problema?- rispose secco Marco, incrociando le braccia al petto. Perona gli si portò ad un palmo di naso, puntandogli un dito a petto. -Oh, nessunissimo problema. Semplicemente mi chiedo perché la sua visita al mio amico Izou Newgate sia durata così tanto.- insinuò piegando il broncio carico di lipgloss alla ciliegia in un ghigno indecifrabile.

Marco dal canto suo rimase pietrificato. Non che la sia espressione fosse cambiata di molto, ma anche quel semplice indurimento dei tratti fu chiaramente visibile sia a Law, che ancora se ne stava steso a terra in posizione stella marina ben attento alla discussione, sia ad Ace, il cui sorriso di incoraggiamento per Perona si piegò in una strana smorfia di difficile interpretazione. -Marco, di che Izou sta parlando Perona? Non sarà quell’Izou che ti eri ripromesso di non vedere mai più, o sbaglio?- insinuò accusatorio Ace, battendo ritmicamente un piede a terra per sottolineare l’impazienza di ricevere una risposta decente da parte dell’amico. -Il decerebrato qui ha ragione! E’ pregato di fornire una risposta dottore, e pretendo di sapere dove si trova il mio amico adesso!- gli diede manforte Perona, incrociando le braccia allo stesso modo di Ace. Marco si schiarì la gola, in preda ad un violento tumulto interiore. Non che da fuori si notasse alcunchè, ma Law fu celere nell’intercettare lo sguardo fugace del collega, liquidandolo con un semplice battito delle palpebre.

-Ace, ma ti pare il momento di mettersi a fare questi discorsi!- venne inaspettatamente in suo aiuto Sabo, distogliendo l’attenzione di tutti da lui e ricordando all’intero gruppetto che Sabo se ne stava ancora con un ginocchio ormai calcificato tra le costole di Law, in attesa di lanciare il suo colpo di grazia e salvare Koala dalle grinfie di quel malvagio dottorino senza scrupoli. -Ma perché, qual è il problema, Sabo?- si spazientì Ace, inclinando la testa con gli occhi fissi sull’uomo steso sotto il fratello. -Ma che stai facendo?- chiese dopo qualche secondo, lasciando tutti quanto meno interdetti. -Cioè fammi capire..- iniziò Sabo tenendosi la radice del naco con l’indice ed il pollice  -..non ti eri accorto che io ero seduto sopra il dottor Trafalgar nel chiaro tentativo di minacciarlo anche se mi hai palesemente visto e salutato?- ricapitolò per tutti, sconvolto anche lui, suo malgrado, dalla scioccante mancanza di attenzione del fratello.

-Oh, beh.. ecco io stavo parlando con Perona e beh, mi sono un po’ perso..- ridacchiò il pompiere, grattandosi la nuca e sorridendo come se non ci fosse nulla di male in ciò che aveva detto. Perona dal canto suo si voltò verso di lui, arrossendo violentemente. Durò meno di un secondo, dopo il quale continuò imperterrita a torchiare Marco che ormai non sapeva più che pesci prendere per evitare l’inevitabile.

-Ma aspetta, hai detto che lui è il dottor Trafalgar?!- sbraitò Ace con rinnovato fervore, digrignando i denti alla vista dell’espressione assolutamente disinteressata di Law. -E’ un’ora che te lo sto dicendo, allora mi dai una mano o no?!- lo incalzò Sabo, sorridendo nell’incrociare le iridi complici del fratello. -Ace, non ti ci mettere anche tu, ti prego..- gemette Bibi, una mano spiaccicata in faccia per la vergogna ormai tremendamente evidente. 
-Dove si trova Koala, eh? E che cosa le hai fatto?!- ripetè a pappagallo il moro, chinandosi e bloccando le mani di Law che ora era sempre più convinto che  da un momento all’altro sarebbe arrivato qualcuno a stuprarlo. -Se mi lasciaste parlare ve lo direi, ma dubito che capireste anche solo un decimo di quello che dico.- cercò di spiegare con calma il medico, gli occhi rassegnati fissi sul soffitto bianco.

-Credo che ci stia prendendo per il culo, Sabo.- considerò Ace, lo sguardo serio fisso sul viso inespressivo di Law.
-Lo credo anche io.- rispose secco il biondo.
-Beh, allora se è così..- ghignò cospiratore il moro, incontrando il favore di Sabo nel dare una bella lezione a quel presuntuoso che si prendeva gioco di loro.
-Ragazzi, basta!- li ammonì Bibi, che era passata dal rosso della vergogna al verde di rabbia furente.

-MAAARCO-CHHAAAAAAAAAAAAAAAAAAN!-

Una sola, semplice e chiarissima esclamazione bastò a zittire tutti quanti. Ace, Sabo, Bibi, Perona, tutti percepirono quell’urlo disumano che aveva interrotto i loro sproloqui.

Marco sbiancò violentemente, socchiudendo gli occhi.

-Kami, ti prego no. Fa che non sia lui.- sussurrò, attirando l’attenzione di Perona.
Purtroppo la fortuna non era dalla sua in quell'uggiosa mattina di febbraio.

-Marco-chaaaaaaaaaan, hai dimenticato le mutande nella saletta! E comunque mi piace l’accostamento dei colibrì con i rami di fiori di ciliegio, non ti facevo così romantico!- cinguettò l’ultimo arrivato della compagnia.

Sette paia di occhi (Dadan inclusa che non si era persa un singolo minuscolo secondo di discussione) si voltarono verso il lato ovest del corridoio, da cui spuntò, raggiante ed fluttuante, un giovane che definire fuori dal comune era un eufemismo.

Pelle pallida, probabilmente coperta da strati di fondotinta bianco, labbra dipinte alla maniera delle geishe di un rosso ciliegia intenso, occhi scuri contornati da un eyeliner decisamente perfetto. A completare quel viso che sembrava di porcellana si aggiungeva una massa voluminosa di apelli neri, lucidi e brillanti cotonati in una grossa crocchia con qualche ciuffo disordinato che sfuggiva al controllo del pesante fermaglio con stampa orientale che teneva l’intera acconciatura in piedi, jeans scuri così aderenti che quasi quasi si intravedeva il bozzo delle vene al di sotto della stoffa ed un leggero maglioncino lilla con su una delicata trama a quadretti e rombi violacei.

In una parola..

-Izou!- esclamarono contemporaneamente Sabo, Ace, Marco e Perona, seppur con quattro intonazioni diverse e quattro intenzioni differenti.

-Ragazzi, quanto tempo!- trillò allegro il giovane avvicinandosi lentamente ad Ace e Sabo che lo fissavano in tralice, impazienti di concludere il loro compito con il dottor Trafalgar. Il corvino lanciò un’occhiata proprio a Law, sorridendo poi bonario agli amici. -Ottima scelta.- si congratulò, facendogli l’occhiolino e tornando sui suoi passi per riconsegnare a Marco il suo indumento perduto.

-Ecco qui Marco-chan, non vorrei mica che prendessi freddo al tuo..-
-Izou, non qui per favore.- lo implorò Marco con quanta più veemenza le sue scarse doti di mimica facciale gli concedessero. -Oh, su non fare il timido! Penso che chiunque sia passato davanti alla tua stanza abbia sentito le stesse cose che sto per dire qui!- lo confortò a modo suo il giovane, voltandosi poi lentamente alle sue spalle per incrociare gli occhi furenti dell’ultima persona che avrebbe dovuto ignorare in quel momento.

-NO, MA SAI PARLA, PARLA PURE! IO NON SONO MICA QUI AD ASPETTARE LE TUE SCUSE EH!- sbraitò infuriata Perona, afferrando l’amico dall’orecchio e tirando l’orecchino di perla che ne ornava il lobo.
-Perona i capelli, i capelli!- strillo Izou, cercando di divincolarsi mentre con la mano libera tentò di risistemare i ciuffi che erano sfuggiti alla lacca. -Capelli un corno! Si può sapere dove cavolo eri? Per colpa tua che ci hai messo così tanto io sono quasi stata aggredita da quel tipo!- sibilò inviperita la rosa, indicando Ace con un cenno della testa. Quello si voltò di scatto, contestando con un sonoro -Ehi!- di risentimento l’accusa a lui rivolta.

-Ace, concentrati! Il collo, ricordi?- lo riportò sulla retta via Sabo, gli occhi piantati sul viso sempre più apatico di Law, che ormai aveva iniziato ad apprezzare quella posizione. -Se proverete a spezzarmi il collo, voglio che scriviate sulla mia tomba “Sono morto circondato da idioti”.- chiese semplicemente il medico, ghignando alla vista dei due fratelli sempre più furenti.

-Beh almeno è carino!- continuava intanto Izou, impegnato a discutere con Perona su quanto gli piacesse il suo nuovo futuro ragazzo (come l’aveva battezzato nel momento stesso in cui l’aveva visto) e cercando di giustificarsi dando la colpa della sua assenza prolungata a Marco e al suo bastone magico.

Bibi del resto osservava tutta la scena, ormai al di fuori di ogni comprensibile emozione umana.

-Ci vorrebbe un miracolo per fermare questo casino..- sospirò sconsolata, socchiudendo gli occhi e portandosi una mano al pancione che iniziava a farsi evidente da sotto la maglia azzurra di flanella.

Ora, non fu chiaro se per intercessione divina o per un puro caso, ma quasi come se se la fosse chiamata, dallo stesso punto in cui poco prima era comparso Izou fece il suo ingresso ad effetto una minuta infermiera dai capelli verdi, che correndo a perdifiato cadde in avanti e si rialzò almeno quattro volte. Capitombolò e si rimise in piedi senza arrendersi fino ad arrivare dove si trovavano loro, sbracciandosi e cercando in tutti i modi di attirare l’attenzione del dottor Trafalgar o di Marco, ma inutilmente.

Tuttavia la ragazza sapeva di non poter demordere, quello che aveva da dire era di fondamentale importanza e non poteva farsi sovrastare per l’ennesima volta solo perché non aveva il coraggio di fare sentire la sua voce al di sopra di quella degli altri.

E fu li, che la piccola, dolce ed amabile Kaymie perse definitivamente la pazienza.

-ADESSO BASTA, PIANTATELA TUTTI QUANTI!- urlò, puntando i piedi per terra e strizzando gli occhi per lo sforzo.

In un secondo, il chiacchiericcio si fermò, e tutti si voltarono verso il viso bordeaux dell’infermiera, ansimante.

-Kaymie, che ti prende?- la interrogò Marco voltandosi verso di lei, più posato degli altri nel rispondere a quell’intrusione.
-C’è una cosa che devo dirvi!- esclamò subitanea la verdina, con un tono più basso ma ugualmente autoritario.
-E allora dilla, che aspetti?- la invitò semplicemente Law, facendola mettere sull’attenti con il solo suono della sua voce.

-Ecco, io.. cioè non io, insomma..- balbettò nuovamente sprofondata nell’imbarazzo l’infermiera, scombussolata nel rendersi conto che in quel marasma aveva attirato in maniera plateale troppe attenzioni su di se.
-Oh, insomma che succede?!- chiese esasperato Izou per tutti, una mano sul fianco ed un sopracciglio alzato. -… Ecco.. Koala..- iniziò la giovane, facendo rizzare le orecchie di tutti quanti.
 
 -Koala.. si è svegliata!- sussurrò, mentre un radioso sorriso di sollievo le si dipingeva chiaro e limpido in viso.






ANGOLO AUTRICE

Ma salve a tutti! *^*

Che dire, sono fiera di me. Sono riuscita a pubblicare così' in anticipo, e non è solo perchè praticamente questo capitolo di DELIRIO si è scritto da solo, ma anche perchè la settimana prossima non posso garantire un aggiornamento sicuro. 

Per cui spero che questo nuovo, scleratissimo e psicopatico capitolo vi possa piacere, e io vi aspetto come sempre nell'angolo recensioni! :D


Jules


 

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Capitolo 5
*** Friends ***


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Koala amava il mare.

Se c’era una cosa a cui non avrebbe mai potuto rinunciare, quella era la sensazione di pace, calma e serenità che riusciva a regalarle solo quell’immensa distesa azzurra sempre in movimento.

Da quando aveva memoria aveva sempre trovato rassicurante il moto continuo delle onde, e lo scrosciare della spuma sui faraglioni che si stagliavano lungo la costa di Dressrosa era un balsamo infallibile per ogni suo cruccio. Ogni qualvolta si sentiva oppressa, stanca e schiacciata dalle mille incombenze della vita quotidiana, prendere la sua barchetta a vela e godersi un po’ di pace in mezzo al blu del cielo che si perdeva tra le onde era un piacere indescrivibile.

Amava osservare il sole quando tramontava, lasciando la sua ombra a stagliarsi sulle increspature dell’acqua, inspirare quel profumo salmastro ed intenso che le ricordava tremendamente casa.

Per questo motivo, nonostante Koala in quel preciso istante si rendesse conto che tutto ciò che vedeva attorno a se non era reale, non si stupì nel ritrovarsi proprio in cima ad uno dei faraglioni più alti della costa ovest dell’isola, chissà perché poi, proprio il suo preferito.

Non si chiese nemmeno come ci fosse arrivata lassù in alto. Si limitò a fare qualche passo incerto, cercando di trovare un posticino confortevole dal quale poter ammirare la potenza dell’oceano che si riversava contro l’enorme lastra di pietra. Sorrise quando una potente folata di brezza marina le si insinuò tra i capelli, scuotendoli nel vento per godersi appieno la fragranza salata che tanto adorava. Senza timore si portò in avanti, sporgendosi verso il bordo tagliente e guardando verso il basso. Grossi cavalloni lucenti ribollivano e si incrociavano, andandosi poi ad abbattere contro la roccia, infrangendosi in un’esplosione di mille cristalli bianchi di schiuma.

Senza preavviso una folata di vento più forte delle altre la spinse oltre il limite di sicurezza facendola barcollare sul limitare del precipizio, convincendola a ritrarsi indietreggiando per mettersi in un punto più sicuro. Si posizionò al centro del declivo che occupava tutta la superficie della formazione rocciosa, e senza proferire una parola si guardò attorno nel tentativo di interpretare il senso di ciò che la circondava.

Il cielo rosato che si estendeva sopra di lei si specchiava sull’acqua scura, e a parte quell’unico baluardo di pietra su cui si trovava, non c’era nulla a circondarla.
Tuttavia nel momento in cui puntò gli occhi di fronte a se a scrutare il confine del mare, inarcò un sopracciglio, perplessa.

Il sole, che visto il colore aranciato del cielo doveva già essere tramontato da un pezzo, se ne stava invece a mezz’aria, per metà sepolto sotto la linea dell’orizzonte mentre l’altra metà scintillava abbagliante come se fosse mezzogiorno, lanciando bagliori innaturali e proiettando strane ombre sulla superficie scura del faraglione.

Koala assottigliò lo sguardo, osservando meglio lo strano astro che sembrava confuso su quale dovesse essere il suo compito: sorgere o tramontare.

-Bella vista, non è così?-

Senza alcun preavviso una voce profonda, cavernosa ed inaspettatamente familiare la fece sobbalzare. La giovane si voltò di scatto, mettendo a fuoco una visione che le ritorse le viscere e le riempì gli occhi di calde lacrime.

Quei pantaloni scuri, quella maglietta con la scritta “Hippo” che lasciava intravedere il sole tatuato sul torace, le proverbiali infradito e la bandana verde militare.

Di fronte a se e sbucato fuori dal nulla si stagliava in tutta la sua mastodontica altezza l’ultima persona che Koala  si aspettava di vedere.
E che in fondo, era l’unica che avrebbe voluto di fianco a se in quel momento.

-Zio Tiger!- esclamò dopo qualche secondo di shock,  gettandoglisi e aggrappandosi a lui in una presa ferrea.

-Ehi, non stritolarmi così forte!- ridacchiò bonario l’uomo, avvolgendola a sua volta con le possenti braccia e stringendola ben attento a non farle male. Koala staccò il viso dal suo petto regalandogli un sorriso di pura felicità, in parte annebbiato dalle poche lacrime di gioia che erano riuscite a scappare al suo controllo.

-Che ci fai qui?- chiese dopo un lungo abbraccio che non avrebbe voluto terminare, staccandosi da lui ed asciugandosi gli occhi con il dorso della manica.

Tiger la scostò con delicatezza e fece qualche passo in avanti, accomodandosi in terra sulla superficie spigolosa della pietra e appoggiando gli avambracci alle ginocchia, lo sguardo fisso su quello strano orizzonte che restava sempre uguale.
-Dovresti saperlo tu, no? In fondo siamo nella tua testa.- considerò ironicamente ma senza cattiveria, battendo con il palmo accanto a se per invitarla a sedersi al suo fianco. -Oh lo sai, nemmeno io sono mai stata capace di capire cosa ci fosse qui dentro!- ridacchiò Koala battendosi ripetutamente la mano chiusa a pugno sulla tempia, prendendo posto accanto a lui con le gambe strette al petto e le braccia a circondarle.

-Sei cresciuta così tanto.- disse Tiger dopo un po’, guardandola con un ampio sorriso sul volto spigoloso. -Tu sei sempre lo stesso invece.- lo prese in giro la ragazza, appoggiando la guancia alle ginocchia per poi girarsi verso di lui e fargli la linguaccia.  -Koala, cosa ti ho insegnato? Niente gestacci!- la redarguì severo l’uomo, cercando di rimanere impassibile mentre Koala rideva mestamente per il suo atteggiamento esageratamente intransigente. Con la coda dell’occhio ancora puntata su Koala, Tiger riportò lo sguardo di fronte a se con ancora un accenno di sorriso in volto, accarezzandosi la folta barba nera che gli adornava la mandibola. -Sai, da quando non ci sei più non c’è nessuno a ricordarmelo. Credo che sia per questo che continuo a fare le linguacce.- sussurrò lei dopo qualche secondo, socchiudendo gli occhi ormai non più sorridenti.

-Beh, allora credo che sia per questo che sono qui.- rispose serio Tiger dopo averci pensato un po’ su, voltandosi verso di lei.
-Per ricordarmi di non fare le linguacce?- lo riprese ironicamente.
-Sono qui perché tu hai bisogno di me.- la interruppe, osservandola fervidamente mentre sgranava gli occhi chiari saldamente incatenati ai
suoi.  


Senza una parola Koala sbattè un paio di volte le palpebre, sospirando.

La pesante consapevolezza di aver intuito vagamente cosa stava accadendo in quel momento al di fuori della sua mente la travolse in piedi, mozzandole il respiro. Tornò a fissare il cielo, abbandonando le iridi indaco sull’enorme figura ardente che ingombrava il bizzarro panorama.

-Sto morendo?- chiese dopo un po’, senza in realtà alcuna nota di paura o tristezza nella voce.

Piano piano iniziava a capire il senso di quel sogno, e non era pienamente sicura se esserne felice o terrorizzata.
-Stavi per morire, si. Ma qualcuno è riuscito a riportarti dall’altro lato.- spiegò con calma Tiger, osservando a sua volta la linea dell’orizzonte.

-Chi?- si incuriosì la giovane.

L’uomo si voltò verso di lei, riservandole un’occhiata basita.

 -Beh, non ne ho la più pallida idea! Ti ricordo che sono nella tua testa, tanto sai tu, tanto so io.- sciorinò tonando con la sua voce possente, beccandosi un’occhiataccia. -Zio, tu non eri quello che sapeva sempre tutto?- lo prese in giro Koala, ghignando nel vedere l’espressione di Tiger passare dal sorpreso al piccato. -Io SO sempre tutto! Ma questa volta sono costretto a darti le risposte che tu stessa ti vuoi sentire dare, quindi accontentati!- le rispose con voce profonda, senza reale rabbia o offesa nella voce.

Sorrise, Koala.

Era sempre stato così zio Tiger. Nonostante lei gli facesse perdere continuamente le staffe per i suoi continui colpi di testa e per i suoi discorsi chilometrici sulla giustizia e sull’onestà che lui ascoltava sempre, senza stancarsi mai.

Risentire quella voce era effettivamente tanto confortante quanto spaventoso.

Confortante come il calore della sua stretta quando i tuoni sconquassavano il cielo e lei si rifugiava nel suo porto sicuro tra le sue braccia, certa che lui l’avrebbe protetta.
Spaventoso come il dolore che la lacerava ogni volta che pensava al fatto che lui non c’era più.

-Koala?- la richiamò nuovamente Tiger, scuotendola per una spalla. Lei si riscosse, sfiorandosi la guancia umida. -Stai bene?- le chiese, passandole un braccio attorno alle spalle. La ragazza non rispose, troppo impegnata ad impedire agli argini che si teneva dentro di esplodere ed inondarla di quella tristezza che conservava sempre chiusa a chiave nel profondo del suo cuore. -Si.. è che..- iniziò mordendosi il labbro per lo sforzo. Lui non rispose, limitandosi a stringerla più forte.

-.. mi manchi così tanto zio Tiger.- sussurrò appena, interrompendosi per i singhiozzi che avevano iniziato a scuoterla contro la sua volontà.

Senza volerlo davvero pianse, pianse come non faceva da troppo tempo, stretta a quel corpo così più grande del suo che pur non essendo reale la riscaldava come più nessuno era stato in grado di fare da quando se n’era andato.
Pianse perché se era un sogno e lei stava davvero per morire, il calore di quell’abbraccio era un ricordo che avrebbe voluto assolutamente portare con se.

Passarono diversi minuti prima che la crisi di pianto si acquietasse, e solo quando Tiger fu sicuro che Koala si fosse almeno in parte calmata, imponendosi di respirare regolarmente, ricominciò a parlare.
-Koala, adesso ti trovi in una situazione di stallo.- iniziò, attirando l’attenzione della diretta interessata che tirò su rumorosamente con il naso puntando gli occhi su di lui. -Il sole non è sospeso a mezz’aria senza un motivo.  Potrebbe sorgere, ma con la stessa facilità potrebbe tramontare.- spiegò puntando il dito verso la palla di fuoco incandescente che sembrava prendersi gioco di loro dall’alto della sua indecisione. -E chi può dire se calerà o si alzerà?- chiese Koala in un soffio, la voce ancora tremolante.

Senza una parola Tiger si alzò in piedi, fissandola dall’alto. -Sei tu a decidere.- dichiarò secco, spostando gli occhi sulle onde turbolente che si affiancavano per poi lanciarsi a tutta forza contro la parete del faraglione.

Koala rimase con lo sguardo fisso su di lui, incerta sul da farsi. Senza nemmeno accorgersene incrociò la traiettoria che Tiger stava seguendo con gli occhi, puntandoli a sua volta sui cavalloni che si affrontavano sotto di loro.

E fu li che capì.

Capì cosa doveva fare per decidere il destino di quel sole, e allo stesso tempo, il suo.

Inspirando profondamente si alzò, facendo qualche passo avanti fino a portarsi sul bordo da cui si era affacciata prima. Il vento sempre più freddo e sferzante le bruciava la pelle, mentre la massa ribollente che la bramava dal basso cominciò ad incresparsi sempre di più, scossa da violente turbolenze di tempesta.
-E’ questo che devo fare, non è vero?- cercò di esclamare per farsi sentire da Tiger al di sopra del sibilare sempre più forte del vento mischiato con l’assordante roboare delle onde.
-E’ il coraggio di fare scelte folli che ci tiene in vita, Koala. Questa è la tua scelta.- urlò a sua volta l’uomo, affiancandola e stringendole la mano con le grandi dita callose. -Puoi restare qui, ed aspettare che il sole tramonti davanti ai tuoi occhi. Nessun dolore, nessun pensiero. Ci sarà il buio ad accoglierti, e potrai restare su questa roccia per sempre.- iniziò, affrontando noncurante degli sprazzi violenti e tempestosi di spuma che riuscivano a risalire fino a lassù, travolgendolo nel tentativo di fargli perdere l’equilibrio. -Oppure..- continuò, guardandola dritto negli occhi -..puoi lanciarti. Rischiare il tutto per tutto. Buttarti in mezzo a questa tempesta e contare sul tuo coraggio e sul tuo cuore, e sperare che il sole si alzi su di te per illuminare il tuo traguardo.- urlò, la voce ormai persa nel turbinare della tempesta che li stava sempre di più inglobando.

Koala rimase sospesa in quell’angolo di nulla senza la capacità di rispondere, sentendo dentro di se quello stesso tumulto che la stava travolgendo all’esterno.

-Se io mi butto..- urlò spezzando il silenzio, gli occhi fissi sulle onde impazzite -.. tu ti butterai con me?- chiese in una disperata richiesta, il viso ormai fradicio per tutta l’acqua che riusciva a risalire la parete rocciosa per esplodere verso l’alto infrangendosi sul suo viso.
Tiger la guardò, facendo l’unica cosa che Koala sperava facesse.

Sorrise.

-Ovunque andrai, io ci sarò…- iniziò a cantare l’uomo, lasciando che le sue parole si perdessero nell’aria salmastra in pieno turbinio. -E lo sai, non ti lascerò..- continuò Koala, ripetendo in mente ogni singola sillaba della canzone che suo zio le cantava da bambina per farla addormentare.
-Perché io sono sempre..- sussurrò Tiger chiudendo gli occhi, certo che lei avrebbe concluso per lui.
-…qui.- completarono insieme, portando entrambi una mano dove il cuore di Koala batteva come un tamburo. Il silenzio che seguì a quell’ultima parola si contrapponeva con il concerto naturale che continuava la sua sinfonia, raggiungendo un climax sempre più violento.

Koala guardò nuovamente giù, espirando lentamente. Si voltò, non stupendosi quando vide il vuoto accanto a se al posto della figura di zio Tiger.

Chiuse gli occhi, portandosi una mano sul cuore.

 -Grazie.- fu tutto ciò che disse.

E sorridendo come non avrebbe mai potuto credere di fare in una situazione del genere si lanciò giù, lasciandosi inghiottire senza alcuna paura dalle ribollenti ondate del mare in tempesta.
 
 
***
 

Si svegliò improvvisamente, aprendo gli occhi di scatto.

Il cuore le rimbombava nel petto come una mandria di bufali impazziti, martellando senza sosta.

Sbattè le palpebre un paio di volte, rendendosi conto a poco a poco di dove si trovasse e in che condizioni.

La prima cosa di cui si accorse era di essere attaccata ad un respiratore: l’aria viziata carica di ossigeno le arrivava dritta al cervello, stordendola più di quanto non lo fosse già per via della (probabile) assurda quantità di farmaci che in quel momento le scorrevano in corpo. Portò una mano a sfiorarsi il viso, scoprendolo con immenso fastidio tumido e gonfio. Alzando lo sguardo incrociò la lampada al neon che campava sul tetto, strizzando le palpebre infastidita, tanto che cercò di ripararsi gli occhi dalla luce accecante con una mano, trovandola senza reale sorpresa fasciata ed attaccata alla flebo. Non senza sforzo tentò di tirarsi su, costringendosi ad ignorare la nausea ed i dolori lancinanti che le pervadevano il corpo.

Si sentiva a pezzi.

Ogni centimetro di pelle le doleva terribilmente, sentiva il respiro condensato accumularsi nell’angusto spazio della mascherina e la gamba sinistra pesava più del dovuto. Guardandosi attorno non riconobbe granchè di familiare: la stanza d’ospedale in cui era ricoverata sembrava parecchio spoglia, e non aveva la più pallida idea di dove fossero i suoi vestiti e le sue cose. Non che l’idea di essere stata spogliata e lavata da uno sconosciuto per poi essere infilata in quella tunica che copriva poco e niente le desse particolarmente fastidio. Si preoccupava di più del suo zainetto e di quello che conteneva, sbuffando nel non vederlo nel raggio di dieci centimetri da dove si trovava lei.

Bastò fare anche un singolo minuscolo movimento in avanti nel tentativo di mettersi dritta che una fitta lancinante alla base della testa le oscurò per qualche secondo la vista, costringendola a riportare la nuca a contatto con il cuscino. -Poteva andare peggio Koala.. poteva andare molto peggio.- disse tra se e se ridacchiando amaramente, considerando che alla fine se era ancora viva, quello era sicuramente un gran traguardo.
Muovendo solo i bulbi oculari diede uno sguardo all’orario impostato sul monitor che la teneva sotto controllo: le undici e dieci.
Chiuse gli occhi, ripensando a tutto quello che era successo appena poche ore prima. Rivide il container, risentì il suono secco degli spari, il crepitio del fuoco, l’esplosione.. e poi il buio.

Espirando profondamente chiuse gli occhi, un unico, chiaro e semplice pensiero in testa: nonostante tutto, non si sarebbe arresa.

Lei non avrebbe mai gettato la spugna senza prima portare a termine il suo compito assicurando quel maledetto alla giustizia, e quello che era successo era solo un piccolo incidente di passaggio. Non avrebbe demorso, ne ora, ne mai.

Cercò di alzarsi per cercare almeno la sua borsa, consapevole che li dentro erano contenute informazioni e documenti che sebbene fossero ben nascosti ed occultati, non dovevano cadere in mano altrui per nessun motivo.
Nel momento stesso in cui portò un piede a terra tuttavia percepì la realtà intorno a se farsi più confusa, e se non fosse stato per due braccia che erano sbucate dal nulla a sorreggerla, sicuramente sarebbe capitombolata a terra rompendosi anche l’altra gamba. -Koala, ma che fai?! Non devi alzarti assolutamente!- la redarguì una voce femminile parecchio squillante, trapanandole le orecchie suo malgrado.

La giovane infermiera che era salvificamente accorsa in suo aiuto l’aiutò a rimettersi a letto, sistemandole le coperte e controllando che nessun sensore o ago si fosse spostato. -Non puoi mica andartene in giro così, sai? Ti sei appena svegliata da un coma che credevamo quasi irreversibile!- borbottò la giovane dai capelli verdi, issandosi sulle punte per cambiarle la sacca della flebo.
-Ma tu.. tu.. come sai.. il mio nome?- gracchiò a fatica Koala abbassandosi la mascherina, cercando di reprimere qualche colpo di tosse di troppo che rischiava di sconquassarla più di quanto potesse sopportare. L’infermiera si voltò verso di lei sorridendole materna. -Me l’ha detto il dottor Trafalgar.- disse semplicemente, continuando ad armeggiare con la strumentazione.

Koala rimase interdetta, la mascella se possibile adesa al pavimento.

Aveva detto.. Trafalgar?

QUEL TRAFALGAR?!

-Scusami, ma.. in che ospedale siamo qui?- sussurrò quanto più forte possibile, sperando con tutte le sue energie che la risposta non fosse..

-Al Kyros Memorial!- rispose allegramente la verdina, tendendole una mano per poi stringere la sua delicatamente. -Io sono Kaimye comunque, e sono così felice che tu ti sia svegliata! Eravamo tutti molto preoccupati..- le confessò eccitata, con un sorriso a trentadue denti stampato in viso.

Dal canto suo Koala non sapeva davvero a che emozione dare retta in quel momento.

Se alla frustrazione per essere finita nell’ospedale dell’unico dottore che probabilmente non avrebbe voluto vederla per niente al mondo dopo come l’aveva torchiato giusto la notte prima, se al sollievo per essersi appena svegliata dopo un incidente mortale o allo stordimento per l’incredibile carica di entusiasmo di Kaimye che gli era piombata addosso tra capo e collo.
Indecisa sul da farsi, si limitò a sorridere e a stringere flebilmente la mano all’infermiera, assumendo poi un’espressione perplessa quando vide il sorriso di Kaimye spegnersi per trasformarsi in un’espressione di orrore misto a sorpresa. Alzò un sopracciglio, osservandone i tratti delicati distorcersi per farsi simili a quelli dell’urlo di Munch.

-Kaimye, è tutto appos..-
-TU.. TU TI SEI SVEGLIATA!!- urlò fuori di se la verdina, spalancando la bocca sgomenta e facendo sobbalzare  non poco Koala per l’improvviso scatto di follia di cui era preda la sua nuova conoscente.

-Tu.. ti sei… SVEGLIATA!- ripetè, portandosi le mani ai lati del viso.

E se ne era accorda dopo avere parlato con lei per almeno cinque minuti..?

-DEVO DIRLO SUBITO AL DOTTOR TRAFALGAR!- sbraitò senza darle nemmeno la possibilità di replicare, raccattando la cartella che se ne stava nella sua custodia appesa al bordo del letto e schizzando fuori con passo fulmineo. -Kaimye, non ce n’è.. non ce n’è bisogno!- esclamò con voce roca la ragazza, certa che quella ormai era completamente andata e non l’avrebbe sentita ne ora ne mai. Si sporse oltre la placca di sicurezza del letto per cercare di individuarla attraverso il vetro che le permetteva di avere un minimo di visibilità sul corridoio, ritraendosi spaventata quando la vide inciampare sui suoi stessi piedi e sbattere la faccia a terra con una violenza inaudita. E si stupì non poco quando la vide rialzarsi come se nulla fosse, scattando come un razzo diretta chissà dove.

-Non potevi farmi finire da qualche altra parte, vero zio Tiger?- chiese al soffitto, inarcando la bocca in un ghigno ironico.
Sbuffando una risata cercò di mettersi più comoda possibile, sperando per lui che il dottor Trafalgar non ne volesse una scusa per iniziare a litigare. Non la conosceva così bene da mettersi contro di lei in un dibattito aperto, e di certo sarebbe stata un’esperienza da cui non si sarebbe ripreso facilmente vista anche la storia dell’orsetto di peluche che lei avrebbe potuto utilizzare per ricattarlo.

Sospirando tra una fitta e l’altra si accoccolò meglio sul cuscino, scavando nel materasso per trovare una posizione confortevole nonostante le decine di tubi, tubicini e robe varie che le entravano ed uscivano dalla pelle. Senza nemmeno accorgersene le palpebre le scivolarono pesanti sugli occhi, accompagnandola verso una dimensione onirica buia e cullata solo dallo scrosciante suono delle onde.
 
 

***
 
 

Sebbene a Koala sembrasse di trovarsi in quella posizione da ore, più o meno restò piegata su un fianco, gli occhi socchiusi e le mani giunte sotto il petto per un tempo compreso tra i due ed i quattro minuti. Non abbastanza da prendere seriamente sonno, ma nemmeno così poco da essere perfettamente funzionante e sveglia, specialmente in quelle condizioni.

Per cui non le sembrò strano ritenersi ancora in un sogno quando, tra le palpebre socchiuse, intravide al di fuori della sua stanza una scena che non poteva essere altro che frutto della sua strana fantasia.
Riconobbe subito l’uomo che stava parlando piuttosto concitatamente ad un gruppetto malassortito di gente spiaccicato contro la porta della sua stanza, nell’evidente tentativo di entrarvi.

Quei capelli disordinati, le basette rasate a regola d’arte, i tatuaggi e quegli orecchini d’oro immancabilmente da tamarro.

In sintesi, il dottor Trafalgar D. Water Law.

E dire che le era bastato vederlo per un paio di ore scarse giusto la notte prima per imprimersi la sua immagine nel cervello in maniera così dettagliata, cosa alla quale Koala non trovava realmente un senso.

Non è come se lui avesse fatto colpo su di lei, ecco.

Comunque sia si riscosse da quei pensieri bizzarri  e completamente fuori luogo, fissando lo sguardo su qualche volto che le parve di riconoscere nella calca che si era accumulata in corridoio. Non fece tuttavia in tempo a razionalizzare ciò che aveva visto, che un giovane biondo con una cicatrice sull’occhio sinistro ed il suo compare mezzo nudo con le lentiggini riuscirono a superare il muro di sbarramento costituito dal dottor Trafalgar ed un altro dottore con una capigliatura platino simile ad un ciuffo d’erba, fiondandosi come due razzi verso di lei.

Senza darle nemmeno un secondo per comprendere quello che stava succedendo, i due le si gettarono addosso, stringendola con fare possessivo ma sempre attenti a non schiacciarla.

-KOAAALAA!- sbraitarono contemporaneamente cercando di darsi un tono, anche se inutilmente.

-Ragazzi.. Ace, Sabo!- sussurrò la giovane dopo qualche secondo di shock, stringendoli flebilmente a sua volta e ricacciando indietro il fastidioso pizzicore delle lacrime che minacciavano di scorrerle impietose sul viso. -Come stai? Ti hanno trattata bene?- la bombardò Ace staccandosi di poco da lei, manco per idea intenzionato a mollarla, seguito a ruota da Sabo. -Se qualcuno ha cercato di darti fastidio basta dircelo, abbiamo già collaudato un metodo per spezzare un collo in maniera assolutamente sicura!- le confermò orgoglioso il biondo, sinceramente offeso nel vedere poi la sua migliore amica ridacchiare nell’ascoltare le sue trovate geniali.

-Ragazzi, non la soffocate!- si inserì una terza persona, infilandosi a fatica tra i due fratelli e sbucando proprio di fronte al viso fasciato di Koala.

-Bibi!- esclamò la ragazza con voce spezzata, portandosi in avanti per abbracciare l’amica che la strinse con gioia. -Il bambino sta bene?-  fu la prima cosa che le chiese sfiorando il pancione della turchina con il dorso della mano. Bibi portò un palmo ad accarezzarle la guancia ferita, addolcendo lo sguardo. -Si tesoro, non devi preoccuparti. Ora tutto ciò che devi fare è riposarti e riprenderti, d’accordo?- sussurrò con voce serena, osservando l’amica annuire con un flebile sorriso in volto.

Non servivano parole per descrivere la conversazione silenziosa che era avvenuta tra le due in quel frangente con il solo ausilio degli
occhi.  Il muto ringraziamento di Bibi prontamente intercettato da Koala, i sorrisi complici che da soli valevano più di mille frasi.

-Perona, vieni! Ti presento la mia migliore amica!- disse ad un certo punto allegramente Ace allontanandosi verso la porta, distraendo l’attenzione della castana. Quest’ultima si voltò interrogativa verso Sabo, che si limitò ad alzare le spalle ghignando.
il ragazzo ritornò in meno di un secondo al suo capezzale, portandosi dietro una giovane piuttosto stravagante, dai fluenti capelli rosa e dall’abbigliamento goth molto ricercato che a Koala dette l’impressione di essere li per tutti i motivi del mondo, tranne che per sua volontà.  

-Ace, non mi sembra il caso..- sussurrò infatti Perona all’orecchio del ragazzo, sviando imbarazzata gli sguardi complici di Koala e Sabo che saettavano da lei al viso beota del fratello. -Ma che male c’è? Sono sicuro che le piacerai, sta tranquilla!- sorrise allegramente il moro ignorando le sue proteste e spingendola in avanti per spronarla a farsi avanti.

Koala prese la palla al balzo, tendendo in avanti una mano in attesa che Perona facesse lo stesso. Quando la rosa si convinse a stringergliela con le dita pallide ed affusolate, ben attenta a non farle male, la castana si aprì in un sorriso radioso che in meno di un secondo contagiò tutti, facendo addirittura incurvare all’insù gli angoli rosso ciliegia delle labbra di Perona.

-Piacere di conoscerti, io sono..-
-Koala immagino. Io sono.. ecco.. Perona.- la interruppe la rosa imbarazzata, staccandosi quasi subito da lei con una mezzo sorriso per poi portarsi immediatamente e quasi inconsapevolmente di fianco ad Ace, che non si fece scappare l’occasione per prenderla per un fianco e stringerla a se smontando le sue proteste con un semplice sguardo.

Perona cercò in tutti i modi di sviare gli occhi a fissarsi su qualcos’altro, maledicendosi per non essere abbastanza forte da liberarsi dalla presa di quel bruto.

Ma che le prendeva?
Lo conosceva appena e già gli dava queste libertà?!

-Vi pregherei di uscire tutti quanti dalla stanza, e non ho intenzione di ripetermi.-

Una voce roca e strascicata attirò l’attenzione di tutti distogliendola dal quadretto romantico che si era venuto a creare, facendo voltare cinque paia di occhi verso il proprietario di quelle parole per protestare sonoramente. Tuttavia Trafalgar Law non aveva intenzione di assecondare nessun tipo di richiesta, specialmente avendo a che fare con un gruppo problematico come quello.

 -Noi restiamo ancora un po’, chiaro?- lo fulminò Sabo parecchio contrariato, le iridi quasi sbiancate.
Law dal canto suo lo fissò senza espressione, limitandosi a scrutarlo con un sopracciglio alzato. -Devo dedurre che quindi non ve ne importi un bel niente del benessere della paziente?- snocciolò con tranquillità, lasciando Ace e Sabo interdetti e scottati.
-Certo che ci importa!- si infervorò Ace dopo qualche secondi di indecisione -Koala ha bisogno di noi, siamo i suoi migliori amici!- si lamentò, incontrando il favore di Sabo ed il silenzio di Bibi e Perona.

Non una mosca avrebbe osato volare per spezzare quell’atmosfera che si era venuta a creare, afosa e pesante come una pressa meccanica. Koala del resto non sapeva con chi schierarsi, ne’ ne aveva le forze materiali. Cercò di sporgersi verso Ace per prendergli una mano e convincerlo in un altro modo a dare retta al dottore evitando una lite, ma un ennesimo capogiro la costrinse a gettarsi di peso sul cuscino destando la preoccupazione di tutti.

-Koala, che hai? Stai bene?- chiese preoccupata Bibi, scostando suo marito e suo cognato per sfiorare il viso pallido dell’amica. Voltandosi incrociò le iridi plumbee di Law, che pur senza fiatare le avevano già dato una risposta alla sua richiesta.
-Ragazzi, il dottor Trafalgar ha ragione. Torneremo quando Koala starà meglio.- dichiarò con un insperato sprazzo di buonsenso la turchina, alzandosi ed affiancandosi a Perona che nel frattempo era rimasta in disparte e parecchio a disagio.
-Ma Bibi..- cercò di protestare nuovamente in biondo, prontamente fulminato dagli occhi neri della moglie.
-Sabo. Ho detto..-

-La signorina Surebo è ancora debole, maggiore Monkey. Una qualsiasi fonte di stress, positiva o negativa che sia, potrebbe esserle fatale in qualsiasi momento. Per una prognosi riservata vi raggiungerò tra qualche minuto se avrete la pazienza di aspettarmi qui fuori. Vi ringrazio per la collaborazione.- si intromise Law con voce serena, calmando immediatamente le acque e fornendo a tutti una spiegazione valida per convincerli a dargli retta.
Dopo nemmeno un minuto e senza una parola i quattro si avviarono infatti lentamente fuori, prima Ace e Perona seguiti da Bibi ed infine Sabo. Il biondo rimase sul ciglio della porta, voltando il viso di tre quarti a fissarsi su quello del chirurgo.

-Faccia tutto il possibile per prendersi cura di lei.- disse semplicemente.
-E’ il mio lavoro, maggiore.- rispose con altrettanta serietà il moro, avanzando verso il letto della paziente ed osservando con la coda dell’occhio Sabo che richiudeva la porta, allontanandosi di poco insieme a tutti gli altri.

Koala aveva assistito a tutta la scena senza la forza di replicare, inspirando ed espirando con forza nel tentativo di riassumere il controllo delle sue forze. Law le si affiancò di soppiatto, portandole due dita fredde sul lato del collo ed altre due sul polso e rivolgendo lo sguardo in alto mentre misurava il battito carotideo e quello brachiale. Senza darle il tempo di replicare o ostacolarlo procedette con la sua visita, tastando con delicatezza ma decisione tutti i punti che avevano applicato, controllando ogni singola sutura e verificando lo stato di tutti gli ematomi. Nel giro di meno di cinque minuti aveva completato il suo check-up, piuttosto soddisfatto del lavoro svolto da se e dalla sua equipe.

Non che avesse dubbi sulla qualità del suo operato, chiaramente.

Appurato che non c’era nulla che richiedesse un intervento immediato, Law si allontanò quindi tranquillamente, diretto in corridoio a chiamare un’infermiera per farle cambiare la flebo entro un paio di ore.

-E’ stato lei.. a.. a salvarmi?- sussurrò a fatica Koala quando il moro aveva una mano già sulla maniglia, freddandolo sul posto. Law si voltò lentamente, puntando lo sguardo plumbeo sule iridi indaco della giovane.
-Si. Io insieme al mio collega.- spiegò impassibile, accennando con la testa al medico biondo fuori dalla vetrata che parlava con Sabo affiancato da un ragazzo che sembrava una geisha in borghese. Koala lo fissò ancora qualche secondo, aprendosi poi in un sorriso totalmente inaspettato.

-Grazie.- sospirò semplicemente, rilassandosi per l’effetto della morfina e socchiudendo gli occhi, per poi addormentarsi senza nemmeno accorgersene.

Law rimase in quella posizione per un tempo indefinito, gli occhi fissi sul viso tumefatto di Koala. Si impose di mantenere la calma guandando di fronte a se, indeciso sul da farsi.
Continuò a fissare il vetro della porta, cercando nei meandri della sua mente una ragione valida per fermarsi prima di agire in maniera stupida.

Eppure, nonostante tutto, espirò pesantemente scuotendo la testa. Odiava se stesso per ciò che stava per fare.

Assicurandosi che nessuno lo stesse guardando dando un’occhiata alla vetrata, approfittò dell’assenza di tutti per tornare velocemente sui suoi passi, avvicinandosi al comodino vicino alla testa di Koala. Represse l’istinto di sfiorarle i capelli, dandosi dell’idiota e ripromettendosi di fare un discorsetto con il suo cervello.

Certo che ormai la giovane dormiva profondamente per l’effetto degli anestetici, portò poi una mano alla tasca, estraendo un piccolo oggetto che pose sul comodino con estrema delicatezza.

Lo fissò per qualche secondo, riavviandosi verso la porta.

Poco prima di uscire si voltò un’ultima volta, ghignando. -La lascio a te, Bepo.- disse al peluche che si ergeva fiero sul piano del comodino, assolutamente certo di aver ricevuto un cenno di assenso dall’orsetto polare.

-Grazie.- sorrise sicuro che nessuno l’avesse visto, dando un'ultima fugace occhiata al viso sereno di Koala e chiudendosi tranquillamente la porta alle spalle.
 


ANGOLO AUTRICE
Ma sssaaaalve! ^^ 
Eccomi qui, senza nessun preavviso ce l’ho fatta a pubblicare! *^* Ringrazio tutti quelli che stanno leggendo questa storia, chi l’ha messa tra le seguite, chi tra le preferite, e soprattutto a chi la sta recensendo.
Grazie davvero ragazzi, non sapete quanto sia bello leggere ogni volta le vostre parole. Risponderò alle recensioni quanto prima, promesso! Ma sappiate che le leggo tutte, e mi riempite davvero di gioia!
In particolare ringrazio una persona, una persona meravigliosa che mi sprona sempre a non demordere nonostante spesso sia assalita dai dubbi e dalle perplessità su questa storia.
Grazie perché ci sei, e so che ci sarai.
Su questo capitolo non ho molto da dire, semplicemente spero vivamente che vi piaccia. E’ un capitolo a cui tengo davvero molto, per cui se vi andasse di farmi sapere cosa ne pensate ne sarei immensamente felice! 😃
Io vi mando un bacione grandissimo, e ci sentiamo presto!
 
Jules

 

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Capitolo 6
*** Chatting ***


 
Il freddo pungente di febbraio mordeva quell’ennesimo martedì cupo, avvolgendo con il suo grigiume l’intera città di Dressrosa. Ormai da quasi una settimana il tempo sembrava ormai essersi cristallizzato. insieme ai chiari fiocchi di neve che volteggiavano lenti nell’aria, imbiancando i marciapiedi ghiacciati.
 
Lo Shogun bar, poco distante dal complesso del Kyros Memorial e noto per le sue squisitezze fatte in casa, era gremito. Nonostante infatti appena dieci minuti prima non v’era l’ombra un cliente nel raggio di mezzo miglio, nel momento stesso in cui la campanella dell’istituto superiore Heart trillò a segnare che le lezioni mattutine erano finalmente terminate, un’orda di ragazzini sbucati fuori dal nulla si palesò, feroce come un branco di famelici lupi alla ricerca di un pasto, schiacciandosi contro la teca che conteneva i pezzi di rosticceria e sgomitando e ridacchiando per ottenerne uno in una bolgia indescrivibile.

Tutti i prima solitari tavolini vennero brutalmente occupati da quella massa di brufolosi adolescenti in piena crisi ormonale, tranne che per l’unico tavolo esposto al fioco sole invernale sole che dava direttamente sulla strada, ben disposto adiacente alla grande vetrata del bar.

Non che ci fosse qualcosa di sbagliato in quel tavolo, era ordinato ed elegante come tutti gli altri pezzi di arredamento, e nel complesso la posizione risultava anche estremamente piacevole. Il problema era che quel tavolo era occupato da più di un’ora da qualcuno che nemmeno Dolton, il monumentale proprietario del bar avrebbe voluto scomodare.

Qualcuno che ormai controllava l’orologio dorato ben assicurato al polso quasi ogni cinque secondi, lanciando occhiate di fuoco alla pavimentazione stradale, forse nel tentativo di farla esplodere con la forza del pensiero. Una cameriera piuttosto avanti con l’età si azzardò a riavvicinarsi al tavolo a distanza di dieci minuti dalla collega, Aphelandra, che poco prima si era beccata dritta in faccia una delle più colorite bestemmie che chiunque li dentro avesse mai sentito.

-Allora grand’uomo, ancora qui?- chiese senza il minimo timore Kokoro, poggiando una mano sul fianco abbondante e sghignazzandosela nell’osservare la carnagione pallida del solitario avventore diventare quasi dello stesso colore dei suoi capelli sanguigni ben appiccicati in testa. Due occhi d’ambra la scrutarono incandescenti, senza però alcun effetto. -Che vuoi, vecchia?!- sbottò il giovane, incurvando in una smorfia infastidita le fauci truccate. -Oh, su Eustass non essere così cattivo con una povera anziana come me!- lo riprese bonaria la donna, estraendo una boccetta in acciaio dalla tasca interna del panciotto della divisa. Kid la scrutò con un sopracciglio inesistente alzato trincare senza un freno, attaccandosi al sottile collo della fiaschetta ed andando quasi oltre il suo limite di decenza.

Il che era tutto dire.

-Non dovresti bere così tanto, vecchiaccia. Uno di questi giorni ti scoppia lo stomaco.- borbottò incrociando lo sguardo annacquato della cameriera, che dal canto suo non aveva praticamente sentito una parola e continuava a ridersela per chissà quale motivo.

-il fegato Eustass-ya. Le scoppierà il fegato.- lo riprese una voce strascicata e misurata, facendolo voltare di scatto per divorare in un impulso animalesco il ritardatario intruso. -Alla buon’ora, testa di cazzo!- sbraitò Kid sbattendo le mani sul piano del tavolo, attirando l’attenzione di Kokoro che aveva momentaneamente smesso di bere dalla sua preziosa fiaschetta placcata argento.

-Kokoro – san.-

-Trafalgar! Le mie analisi del sangue sono pronte?- chiese la cameriera facendosi indietro per lasciare spazio al giovane corvino che si apprestava a prendere posto di fronte ad Eustass, barcollando leggermente e perdendo pericolosamente l’equilibrio. Senza nemmeno farci caso Law si sporse involontariamente in avanti contemporaneamente a Kid, sorreggendola per un braccio così come il rosso. Si scambiarono un’occhiata atona, mollando immediatamente la presa. -Domani avrò i risultati. Inutile dirti che il consiglio primario è che cercare di tornare sobria ogni tanto non ti farebbe male.- spiegò atono Law, sfilandosi il pesante cappotto scuro e gli occhiali da sole. -Quando il mio fegato deciderà che ne ha abbastanza allora rifaremo questo discorso! Fino ad allora, io e la mia Kalifa non ci separeremo mai!- ridacchiò la donna, ignorando lo sguardo gelido del chirurgo ed avviandosi a passo incerto verso il bancone per portare a Law il suo caffè nero e a Kid la sua birra triplo malto.

-Kalifa?- chiese con tono scettico Law inarcando un sopracciglio all’indirizzo del rosso. -La sua fiaschetta.- borbottò Kid alzando le spalle, sollevando poi le mani dal tavolo per permettere a Kokoro di poggiare le bevande di fronte al rispettivo proprietario. -Grazie.- masticò brusco il meccanico, contemporaneamente a Law che ringraziò la donna con un semplice cenno della testa, osservandola con la coda dell’occhio ritornare sui suoi passi portandosi nuovamente la fiaschetta alla bocca, e come al solito con il suo immancabile sorriso a duecento denti spalmato in viso.

-Sono stato trattenuto a lavoro. E comunque avrei fatto tardi anche solo per farti imbufalire.- spiegò Law senza che nessuno glielo avesse chiesto, un mezzo ghigno in viso e gli occhi puntati sulla strada imbiancata da silenziosi fiocchi che avevano da poco cominciato a scendere.  -Come se credessi ad un cazzo di quello che dici. Dillo che eri impegnato in una visita approfondita con la poliziotta, gran bastardo.- lo punzecchiò malevolo Kid, sollevando appena lo sguardo dal boccale dorato che apprestava a riportarsi alla bocca per puntare gli occhi su quelli sbiancati di Law.

Bingo.

-Credo che non siano cazzi tuoi, Eustass-ya. E comunque meglio di te che ti sei fatto lasciare per la trentesima volta da Reiju.- ribattè acido ma pacato come al solito il diretto interessato, ottenendo esattamente ciò che voleva.
Kid al sentire quel nome ebbe infatti un singulto, tanto che metà della birra che si era ficcato in gola risalì su uscendo da ogni orifizio disponibile sulla sua faccia. Ancora incapace di articolare nemmeno un suono il rosso trucidò l’”amico” con le iridi mielate, sbuffando pesantemente dal naso nel vedere l’evidente compiacimento attraversare i lineamenti di quel bastardo di un chirurgo. -Questi non sono cazzi tuoi, coglione!- sibilò con difficoltà, asciugandosi la faccia con un fazzoletto. -Oh, tu dici?- lo intercettò Law, mollando la tazza e sporgendosi con i gomiti sul tavolo, portandosi a meno di dieci centimetri dal viso ancora mezzo fradicio di Kid.  -Allora mi spieghi perché continui a fare il coglione arrogante e pieno di se con l’unica donna sulla faccia della terra, a parte..- si interruppe, conscio di essere andato oltre. Le pupille del rosso si strinsero come quelle di un animale che percepisce il pericolo, la carnagione se possibile ancora più pallida.

-Comunque sia,- riprese Law riprendendo il suo tono pacato prima che fosse troppo tardi -dicevo, l’unica che riesce a sopportarti senza impazzire dopo cinque minuti o lanciarti addosso un machete e farti fuori? Ti saboti da solo, hai sempre fatto così. Stavolta vedi non fartela sfuggire, perché quando lei si stuferà del tuo atteggiamento da coglione preso di se e se ne andrà sul serio, allora sappiamo entrambi chi dovrà raccogliere i cocci. E dopo l’ultima volta preferirei evitare.- lo apostrofò in un rarissimo slancio di emotività, realmente serio e visibilmente infastidito per la prima volta da quando era arrivato.

Kid dal canto suo era pietrificato. Si passò una mano smaltata tra i capelli, ravvivandoli giusto per distrarre la sua attenzione dalle parole anche troppo reali di Law che gli rimbombavano in testa.

Sapeva che quello stronzo aveva ragione. Su questo aveva sempre avuto ragione, e senza una motivazione reale Kid l’aveva sempre saputo, ma non l’aveva mai ascoltato. E sebbene si fosse sempre comportato da merda qual era con chiunque avesse provato a stargli vicino quando le cose si facevano davvero dure, Law c’era sempre stato.

Certo, passavano tutto il tempo a discutere, litigare, pizzicarsi, insultarsi e lanciarsi oggetti.

Ma nonostante tutto, anche quando Nojiko era.. andata via, Law era rimasto li. Al suo fianco, senza una parola.

Non gli aveva chiesto niente in cambio, ne si era lamentato nel dover recuperare quello che era rimasto del suo migliore amico e rimetterlo insieme con infinita pazienza. Law sapeva infatti meglio di chiunque altro che il cuore del burbero e violento Eustass Kid era nient’altro che una bomba ad orologeria, tanto coriacea e spaventosa fuori quanto fragile e pronta ad esplodere e a sconquassarlo dall’interno ad ogni minimo gesto inconsulto, e la morte della donna che il demone della Supernova High School aveva amato più di quanto fosse umanamente possibile spiegare, lo aveva lacerato con la stessa intensità di una cannonata in pieno petto.

E probabilmente Kid avrebbe preferito mille volte una pugnalata o una cannonata in pieno petto piuttosto che sognare ogni singola, dannatissima notte, quelle immagini che non avrebbe mai potuto dimenticare.
 
 
 
***
 
 
 
 
Era successo in fretta.

Forse troppo in fretta.

Nojiko se ne era andata stringendo la mano di sua sorella Nami, lanciando un ultimo sorriso a Genzo e riservando il suo ultimo sguardo a Kid, che dal fondo della stanza se ne stava con le braccia strette al corpo, il viso pallido di per se ormai di cera, spaventosi brividi a scorrergli lungo la schiena, le labbra scure serrate in un mutismo ostinato.

Nonostante ci si fosse arrovellato sopra per minuti eterni, non era stato capace di trovare la forza di avvicinarsi a lei e dirle addio.

Non seppe per quale miracolo riuscì a non distogliere lo sguardo dall’immagine raccapricciante della sua donna che si spegneva lentamente, mangiata viva da un male che non aveva saputo sconfiggere.

Ogni sensazione era dilatata, allungata e stirata fino all’inverosimile.

Solo il suono fisso e penetrante del monitor che segnalava l’assenza di attività elettrica gli era risuonato nel cervello con l’intensità di una bomba a mano sganciata direttamente sui suoi timpani, squarciando quello che era rimasto della sua speranza in meno di un secondo.

Rimase immobile in quella posizione per un tempo che gli parse lungo una vita, osservando con occhi vuoti la disperazione di Nami, stretta a suo padre, medici ed infermieri che si avvicendavano per cercare di rianimarla, ma inutilmente.
Si riscosse stringendo i denti solo quando una mano sottile e tatuata con un’ironica scritta, “DEATH”, si strinse sulla sua spalla.
Non ebbe bisogno di chiedersi di chi si trattasse, ne aveva la lucidità di rispondere in alcun modo alla comparsa di Trafalgar.

A dirla tutta, in quel momento quella mano era forse l’unico appiglio che gli impediva di cadere nel baratro su cui si stava sporgendo pericolosamente.
-Ha lottato fino alla fine.- disse Law, a voce abbastanza bassa da non farsi sentire dagli altri ma solo da Kid.
-Era una guerriera.- rantolò a sua volta il rosso, il petto stretto in una morsa di ghiaccio, la testa vuota, gli occhi ambrati spalancati ed in fiamme.
Incapace di connettere più di tre parole insieme senza sentire il pressante bisogno di scoppiare, urlare, prendere a calci qualcosa.

-Lo so.- lo rassicurò il chirurgo, stringendo la presa quasi senza volerlo. -Lo so.-
 
 
***
 
 
Come a sbeffeggiare chiunque si aspettasse un funerale piovoso, triste e mesto, la giornata si era rivelata di uno splendore quasi accecante.

Il sole si ergeva fiero nel cielo terso di dicembre, illuminando le gocce di rugiada che pendevano tremule, ancorate disperatamente per un ultimo addio alle foglie delle rose che ornavano il variopinto Campo dei fiori, dove il capannello funerario si iniziava a fare sempre più fitto.

Nessuno del resto si aspettava di poter godere di un clima così piacevole, vivo.

Non in una giornata del genere.

 Il colore scuro degli abiti dei partecipanti stonava nettamente con la ricca corona di fiori che adornava la bara in legno di cedro, chiaro e lucido. L’unica foto quasi sommersa dai fiori e dalle lettere ritraeva un viso giovane, perfettamente modellato e sorridente. Gli occhi luminosi si intonavano al color lavanda dei capelli, che sciolti in corte onde le incorniciavano armoniosamente il volto.

Un ragazzo ben impostato e dotato di una fitta criniera leonina sedeva in prima fila, gli occhi strategicamente occultati da una folta frangia bionda. Il posto vuoto accanto a se fu presto riempito da una giovane pallida e tirata, i capelli arancio raccolti in uno stretto chignon, gli occhi nocciola gonfi di pianto. Voltandosi di poco Killer incrociò lo sguardo di Nami, che accavallando le gambe osservava senza reale interesse il prete discutere con Genzo, suo padre e anche di Nojiko. -Hai idea di dove sia tuo fratello?- chiese in un soffio la giovane, la voce carica di stanchezza. Killer appoggiò gli avambracci alle ginocchia, scuotendo la testa.
 -Non risponde alle chiamate. Se qualcuno è stato abbastanza pazzo da andare a recuperarlo, quello è Law. Dovresti chiedere a lui.- si limitò a rispondere il biondo, accendendosi una sigaretta e rischiando di mandarsi a fuoco la testa. -Non lo trovo. Mi aveva detto che sarebbe stato qui alle undici.- commentò Nami, sciogliendo una ciocca dalla morsa dell’elastico e lasciandola cadere mollemente sul viso.

Killer sospirò, tirando una poderosa boccata di fumo. -Per quanto non sopporti quel chirurgo, non mancherebbe mai di rispetto ad una promessa. Non oggi. Avrà avuto i suoi buoni motivi per essere in ritardo.- lo giustificò quasi non credendo alle sue parole mentre scuoteva la testa.


-Eccoli.- sussurrò Nami, puntando lo sguardo sull’ingresso opulento del Campo dei Fiori. Killer intercettò la traiettoria dei suoi occhi, incrociando due figure illuminate dal sole impavido che si facevano strada verso di loro. Non si stupì più di tanto nel vedere l’aspetto tirato e stanco di Law, in fondo non differiva molto dal suo abituale modo di apparire.

Tuttavia sapeva che c’era una stanchezza diversa nei suoi occhi, una fatica più oscura nascosta nel viola delle sue occhiaie, raramente così pronunciate. E quella stanchezza, quella fatica, si personificavano perfettamente nella figura che camminava alla sua sinistra, sovrastandolo di poco dai suoi due metri e dieci di altezza.

E dire che Killer era cresciuto con Kid. Era stato adottato dalla sua famiglia quando aveva solo tre anni, e da allora lui ed il rosso erano stati inseparabili. Lui, insieme a Law, gli erano stati vicini sempre, sostenendosi a vicenda.
Ma era dalla morte di Elizabeth, la madre di Kid, che il biondo non ricordava di averlo visto con un aspetto più cupo e tetro di quello con cui lo incontrò quel giorno.

Due borse gonfie e livide gli pendevano sotto gli occhi chiari, quasi offuscati da un velo indecifrabile. I capelli rossi sembravano fiacchi, incapaci di tendere al cielo come al solito, e la pelle diafana era costellata di violacei segni di contusione, provocati da chissà quale dei tanti scatti di ira che avevano probabilment tenuto Law parecchio impegnato per l’intera nottata.
Del resto dopo che era successo il fatto, senza nemmeno chiedersi dove fosse suo fratello, Killer sapeva già la risposta. Aveva impiegato parecchio tempo ad accettare che Law era l’unico in grado di rispondere con ragionevolezza alle crisi di isteria di Kid, che lui avrebbe curato a cazzotti in faccia.

E vista la portata dei danni che poté ammirare su Kid, ringraziò di non essere stato presente mentre ciò accadeva.

Altrimenti Law avrebbe dovuto medicare il doppio delle ferite.

-Scusate per il ritardo.- si introdusse il corvino, seguito ad un passo da Kid. Killer accennò appena ad un saluto con la testa in direzione di Law, tornando a concentrarsi sul fratello.

Se non avesse saputo che Law si era sicuramente accertato che Kid era in grado di restare in piedi senza crollare da un momento all’altro, la preoccupazione lo avrebbe già divorato vivo. Leggera come un soffio Nami si avvicinò ai tre, posando una mano sul braccio del cognato.
Senza farlo notare, anche lei si era accorta dei risultati della notte precedente, senza stupirsene. E con un enorme slancio di coraggio, rinunciò a credere di essere l’unica a soffrire per l’assenza di Nojiko.

Perché in fondo, anche se lei e Kid non avevano fatto altro che bisticciare e discutere, per dieci anni si erano affrontati al fianco della donna che entrambi amavano, e sarebbe stato da sciocchi non ammettere quanto Kid tenesse a Nojiko, quanto fosse stato disposto a fare qualsiasi cosa per lei.

Aveva abbandonato il lavoro, le spese, la sua stessa persona per sostenere sua sorella in quella battaglia persa in partenza, combattendo ogni giorno con il suo carattere difficile, duro, scontroso, forgiato dalla sofferenza e dalla rabbia.

E nonostante tutti i suoi sforzi, l’aveva persa.

L’avevano persa.

-Sta cominciando. Nami, sarebbe meglio che raggiungessi Genzo.- le intimò Law, distogliendola dai suoi pensieri. Senza replicare la rossa fece scivolare la mano dal bicipite teso del rosso, avviandosi a passi misurati verso la sediolina in plastica vuota accanto alla figura magra del padre.

Lanciò uno sguardo eloquente a Law, rassicurata dal suo impercettibile cenno del mento.

“Ci penso io a lui”.

-Dovremmo sederci anche noi.- constatò Killer, gli occhi incatenati a quelli vuoti del fratello. -Io me ne vado. Non ho nessun cazzo di motivo per restare qui.- gracchiò all’improvviso Kid, rivelando una voce più secca ed abbattuta di quanto si aspettasse il biondo. -Tu non vai da nessuna parte Eustass-ya. Ora noi ci siederemo e tu pianterai il culo su quella sedia. O giuro che ti ci cucio sopra.- lo minacciò atono il moro, le iridi grigie illuminate di stizza.

-Per quanto mi secchi ammetterlo ha ragione, Kid. Non possiamo andarcene. Tu meno di tutti.- lo sostenne Killer, promettendo a se stesso di fare ammenda per quante volte stava dando ragione a quel cazzone di Trafalgar in troppo poco tempo.

A fatica Kid portò lo sguardo verso la bara, inspirando ed espirando profondamente per calmare il tumulto che quella vista gli provocava. Strinse forte i pugni, arrivando quasi a conficcarsi le unghie nel palmo chiaro.

-Lei non c’è più. E non posso vederla soffocare in una cazzo di bara, seppellita in un cazzo di cimitero.- soffiò a fatica, le lacrime ormai pericolosamente vicine a scorrere impietose rigandogli il viso pallido. -Meriterebbe di stare su una collina, con il cielo sopra di lei, ed un albero di mandarini piantato vicino. Ecco cosa sarebbe giusto. Ma questa.. questa cosa, è una grandissima cazzata. Non può più vedermi, non le fregherà un cazzo se ci sono o meno.- sputò affannato, gli occhi sempre più lucidi, una rabbia confusa ad animare le sue parole.

Law soppesò con attenzione ciò che avrebbe dovuto rispondergli, conscio di muoversi su un terreno minato.

-Anche se non credi in Dio, non significa che non esista. Nojiko ci credeva, e se esiste, lei sarà sicuramente in un luogo felice. E penso che scenderebbe dall’alto dei cieli apposta per picchiarti se ti vedesse comportarti in questo modo.- iniziò, interpretando il silenzio spezzato solo da respiro grosso di Kid come un assenso a continuare. -Devi restare perché è il tuo dovere. Lo devi a Nami, lo devi a Genzo, a Killer, a me. A Nojiko. Sarà pure una farsa, una cazzata organizzata per accontentare qualcuno, ma se adesso ti siederai su quella cazzo di sedia, sarà perché hai amato Nojiko, ed il suo ricordo non ti abbandonerà mai. Così come non abbandonerà me, ne nessun altro.- proseguì, gli occhi fissi sulla corona di fiori.

-So che non sembra così, ma Nami ha bisogno di te. E tu hai bisogno di accettare che tutto questo stia accadendo davvero.- concluse, riportando lo sguardo fisso di fronte a se mentre osservava pigramente la gente prendere posto.
-Spero che se esiste un Dio, sia pronto a farsi massacrare quando andrò a salutarlo.- sputò infine il rosso, avviandosi a passo pesante verso il suo posto, tra Nami e Law che lo raggiunse poco dopo.

Il lamento dell’organo si fece sempre più insistente, costringendo Kid ad inspirare profondamente per evitare di vomitare.

Senza nemmeno poter protestare, nel momento stesso in cui il prete, padre Sengoku iniziò l’omelia, Nami gli strinse la mano.
Così, di getto.

 Esattamente come stava stringendo quella del padre al suo fianco, avvicinando la testa alla mano di Zoro che le stringeva amorevolmente una spalla dal sedile dietro, Nami Cocoyashi, la vanitosa, violenta ed irascibile donna che Kid aveva conosciuto quando era ancora un ragazzino, gli stava stringendo la mano con un’urgenza ed una disperazione che credeva di trovare solo in se stesso.

E forse complici le parole di Law, forse lo sguardo del moro che non l’aveva mollato un attimo, forse il sole che aveva tornato a splendere sul Campo dei fiori, Eustass Kid strinse a sua volta quella fragile e sottile mano, sospirando e guardando dritto in cielo.

-Se esiste un Dio, per quando arriverai tu se la sarà già squagliata. Se è furbo. Altrimenti avremo avuto ragione, e quell’idiota di Marco mi dovrà una montagna di Berry.- sussurrò Law, incrociando poi le braccia per prestare attenzione alle importantissime parole del prete, conscio che Kid lo aveva sentito.

Ed infatti, forse per la prima volta da giorni, Eustass Kid accolse un mezzo sorriso, illuminato da quello strano, strano sole di quella triste giornata di dicembre.
 
 
 
***
 
 
Per quanto ci avesse provato e riprovato, non importava che il fatto risalisse a quasi sei anni nel passato. Law sapeva benissimo che Kid non sarebbe mai riuscito a superare il terrore di rimpiazzare Nojiko. Non senza la donna giusta e qualcuno che glielo facesse presente ogni singola volta che quell’idiota mandava all’aria ogni cosa, rinchiudendosi nel suo pericoloso guscio.

E nonostante non avesse chiesto a nessuno di esserlo, quel qualcuno era proprio Law.

-In ogni caso si tratta di un’agente delle forze speciali, non una poliziotta. E no, non ero con lei, ma con la dottoressa Kureha. Se preferisci le faccio una telefonata per raccontarle che hai insinuato che lei abbia fatto sesso con me.- cambiò improvvisamente argomento il corvino, riuscendo almeno in parte nell’intento di distrarre la mente di Kid dai terrificanti pensieri che, lo sapeva, vi si erano insinuati dentro.

-Non azzardarti a chiamare la vecchia, altrimenti quella mi rifà di nuovo l’esame della prostata. E non ci tengo, grazie tante!- si irrigidì ostentatamente Kid, inspirando impercettibilmente e riportando lo sguardo su quello imperscrutabile dell’amico. -E quindi, come va con “l’agente delle forze speciali”?- gli fece quindi il verso con la sua voce cavernosa, ingurgitando l’ultimo sorso di birra asciugandosi la schiuma residua sul labbro con la manica della pelliccia rossa.

Law distolse gli occhi, tamburellando con un piede contro il piede del tavolino. -Oh, e andiamo! Voglio solo sapere se l’avete fatto!- si lamentò a voce leggermente alta il rosso, attirando l’attenzione di metà degli avventori del locale. Bastò un’occhiata gelida di Law rivolta alla sala per fare cambiare a tutti argomento di conversazione, tornando al proprio panino con un brivido di terrore lungo la schiena. Lentamente Law riportò le pupille a fissarsi sul ghigno malevolo di Kid, incurvando gli angoli della bocca esageratamente all’ingiù.

-Ti pregherei di non discutere delle mie prodezze sessuali coinvolgendo metà del bar, grazie. E comunque no.- rispose atono, sostenendo lo sguardo dell’amico con cipiglio di sfida.

Kid lo scrutò in un chiaro tentativo di riconnettere i cavi nel suo cervello, tirando fuori le sue conoscenze dell’università, liceo, medie elementari ed asilo per interpretare la complessa affermazione del chirurgo.
Passarono tre minuti buoni prima che Kid si sporgesse verso Law, assottigliando gli occhi. -No, che? Non l’avete fatto? O no non vuoi dirmelo? Cazzo Trafalgar, perché devi essere sempre così strano nelle tue cose!- si lamentò quasi ringhiando lanciando le braccia all’aria, ignaro del motivo che si celava dietro all’espressione perplessa che si era dipinta sul volto del corvino.

Del resto anni di studio, esperienza e ricerca non sarebbero bastati per far abituare Law a quanto Kid potesse essere imprevedibile certe volte. Per qualche secondo restò immobile, le sopracciglia corrugate.
Non riusciva a credere che  Eustass-ya fosse davvero così idiota.
No, non era assolutamente possibile. Se si trattava di demenza senile era una condizione esageratamente precoce, ma se fosse stata una malattia genetica neurodegenerativa..

-Ooh, pronto! Terra chiama Trafalgar! Allora, ti decidi a parlare o vuoi rimanere in contatto con l’astronave madre per i prossimi tre mesi?- lo richiamò alla realtà l’oggetto dei suoi studi, sventolandogli una mano davanti alla faccia. Law si riscosse, alzando un sopracciglio ed inspirando profondamente. Il rosso piegò la bocca in una smorfia di disappunto, svaccandosi sulla sedia. -Trafalgar, ti ricordo che sei stato tu a chiedermi di vederci. Se avevi intenzione di restartene zitto per tutto il tempo a fissare il tetto almeno potevi dirmelo che mi portavo qualcosa con cui passare il tempo.- lo schernì piccato, iniziando a trafficare con le sue cose ed apprestandosi ad alzarsi per mollarlo li come il coglione che era.

-Lei crede che io sia gay.- disse distaccato Law dopo un paio di minuti, interrompendo Kid a metà fra l’alzato ed il seduto. Lentamente il rosso riprese posto, sfilandosi la pesante pelliccia e riprendendo la sua posizione educata e composta mentre portava uno stivale sul tavolo. Incrociò le mani appoggiando i gomiti ai braccioli della sedia, facendo un cenno con il mento. -Vai avanti.- lo invitò con fare da intenditore, facendo sbuffare Law. -Non c’è niente di tutto quello che stai pensando. Io sono il suo medico, lei è una paziente. Fine della storia. Non abbiamo avuto rapporti sessuali e non ho in programma di farmi radiare dall’albo solo perché le tue fantasie abbiano una realizzazione.- sospirò il chirurgo, bevendo un’altra sorsata di caffè.

 -E per il fatto del gay? Cos’è, gliel’hai fatto credere tu per evitare di avere problemi?- rincarò curioso Kid, ridacchiando per l’assurdità appena pronunciata dalla sua stessa bocca. -Insomma, sei un maniaco ossessivo e psicopatico, ma non così tan..- continuò a sghignazzare, interrompendosi nell’incrociare lo sguardo di Law, apparentemente atono.
-Non ci posso credere.- sibilò, storcendo la bocca in un’espressione orrificata. -Era l’unica soluzione.- commentò Law, tentando di tagliare la questione. Kid dal canto suo non aveva smesso di guardarlo storto nemmeno per un secondo.
-Fammi capire bene.- inspirò profondamente dopo qualche minuto di silenzio il rosso, interrotto solo dal brusio di sottofondo del bar. -Tu, Trafalgar Law, leggenda delle conquiste ed aprifighe a tradimento, hai fatto credere ad una ragazza che ti piace, e non solo per scoparci, e a cui probabilmente nemmeno tu fai schifo, di essere gay solo per evitare di doverti impegnare in una cazzo di relazione?- espose con estrema perizia, controllando il tono della voce per evitare che la sua testa prendesse fuoco per la rabbia.

-Principalmente per evitare di essere radiato per comportamento scorretto nei confronti di una paziente. E poi non gliel’ho fatto credere. Quella ragazza è senza filtri.- rispose enigmatico Law, lasciando vagare lo sguardo sui tavolini alla sua sinistra con fare disinteressato. -Cos’è, te l’ha chiesto e tu gli hai risposto di si?- si informò esasperato Kid, ormai oltre il limite della comprensione. -Sei più sveglio di quanto pensassi Eustass-ya, niente male. A parte che per un fatto.- si congratulò Law, ghignando per l’espressione fastidiata del rosso. -E sarebbe, pazzo psicopatico?- chiese quello con voce roca, quasi senza voglia.

-Lei non mi piace.- asserì serio il corvino, attingendo nuovamente alla tazza e senza staccare gli occhi dal viso pallido dell’amico.

-Fai proprio cagare come bugiardo.-  l’accusò Kid, beccandosi un’occhiata perplessa. -Oh, andiamo Trafalgar! Lo sai meglio di me che è una cazzata.- tuonò roco, inarcando gli angoli della bocca all’ingiù, ignorando il vistoso dito medio che il suo amico gli aveva regalato.
-Spiegami per quale motivo altrimenti le saresti rimasto praticamente appiccicato in questa ultima settimana.- chiese poi con fare ironico, scrutando il fondo del boccale ed apprestandosi a richiamare qualcuno che lo rifornisse con urgenza.
Ci sarebbe voluto molto più alcool per stare a sentire i deliri di quel folle senza spaccargli il bicchiere e pure il tavolino in testa per la rabbia.
-E’ una paziente. E comunque non le sono rimasto appiccicato.- si difese Law afferrando il cellulare nel tentativo di sembrare disinteressato, ma invano.
-Ti sei fatto cambiare i turni per restare con lei durante la notte. E le hai lasciato quel peloso e ammuffito orso bianco.-
-Non è vero. E comunque non ho idea di chi ti abbia detto queste cazzate.-
-Kaimye è la coinquilina di Reiju, idiota. E comunque a sentire Marco e gli altri non esci dall’ospedale nemmeno per andare a dare da mangiare ad Inuarashi. Ci hai pensato a quel povero fesso di un cane? Eh?- si seccò vistosamente, facendo sorridere Law più palesemente di quanto avrebbe voluto.

-So che ci hai pensato tu. E comunque a Nekomamushi ci ho pensato io quando eri in vacanza a Skypiea, quindi favore restituito.- ghignò il corvino, soddisfatto di essere almeno riuscito a far spuntare un mezzo sorriso sul volto dell’amico. -Questa te la devo, stronzo. E comunque non è solo questo. Me l’hai detto tu stesso che saresti rimasto con lei solo per “obbligo professionale”, e poi scopro che mi hai fottuto quattro giochi dalla collezione che abbiamo in comune e pure il cofanetto deluxe con tutte le stagioni di Game of Thrones. Dimmi tu se questo non significa che ti piace, maledetto coglione!- si infervorò il rosso, addolcendo tuttavia in maniera inconsapevole il tono.

- Per il furto non devi preoccuparti, i Lannister pagano sempre i loro debiti.- lo schernì palesemente Law, inaspettatamente sollevato che l’interrogatorio fosse finalmente finito. -Oh, ma l’inverno è già arrivato, Jeoffrey.- gli rispose a tono Kid, colpendolo nel profondo.

-Jeoffrey? Credo di somigliare più a Cersei piuttosto.- si difese il corvino, trangugiando l’ultimo sorso di caffè e mettendosi lentamente in piedi per avviarsi nuovamente al Kyros Memorial. -Chiunque menta dandosi del gay per evitare di avere problemi con una donna non potrebbe mai essere Cersei. Quella tro..-

-Si, ho capito Eustass-ya, grazie mille per l’antifona.- lo interruppe atono  Law, superandolo al bancone per pagare il conto.
-A quanto stiamo?- si informò Kid sistemandosi il chiodo in pelle borchiata.
-Mi devi ancora un caffè, Eustass-ya.-

-Quando dirai alla poliziotta la verità, allora te ne offrirò mezzo.- rise sguaiatamente il rosso, avviandosi verso la porta e lasciando Law con il resto in mano, a sospirare per la sua sorte e per le sue malsane amicizie.

-Ha ragione, sai. Dovresti dirle la verità.-

Al sentire quell’affermazione, Law rimase pietrificato.

Maledetto Eustass-ya e la sua boccaccia larga.

Con un’espressione carica di quanto più odio e terrore Law riuscì ad infilare in un unico sguardo, il chirurgo voltò lentamente la testa per infliggere la giusta pena a chiunque avesse osato intromettersi nelle sue faccende personali.
Senza darlo a vedere rimase quantomeno sorpreso nell’incrociare le iridi azzurre di una donna, che ad occhio e croce aveva la sua stessa età. Slanciata, formosa al punto giusto, lunghi capelli neri che accarezzavano delicatamente la pelle appena dorata.
Un naso leggermente aquilino pendeva su un sorriso etereo, sottile ed impalpabile, che Law interpretò come palese presa per i fondelli.

-Non ho idea di chi le abbia fatto pensare di potermi dare un parere non richiesto su una faccenda strettamente personale, ma mi creda, la sua opinione è in fondo alla lista dei miei pensieri per il momento.- la freddò, alzando un sopracciglio nel vedere quel sorriso farsi ancora più radioso.

Non aveva vacillato nemmeno un secondo.

-Dottor Trafalgar, mi perdoni per la mia scortesia. Probabilmente per poter parlare di una cosa del genere dovrei almeno dirle il mio nome.- lo prese in contropiede la donna, scusandosi con un tono così calmo e pacato da infastidire non poco il giovane.
-Non me ne potrebbe importare meno di così del suo nome.- la bloccò con freddezza, restandosene fisso sul posto nel vederla alzarsi e dirigersi verso di lui. -Io sono Robin, Nico Robin. Ed è un piacere conoscere l’uomo che ha salvato la mia cuginetta.- spiegò poi la donna con tranquillità, tendendogli una mano sottile.

Inutile dire che nonostante all’esterno Law riuscì a continuarecon la sua recita dell’impassibile bastardo stringendo la mano sottile della cugina di Koala, percepì il familiare calore della figura di merda invaderlo come un fuoco.

Un fuoco di merda e coglionaggine.

-A proposito, stavo giusto andando a trovarla, le va di accompagnarmi? Non sono pratica di questa città. Credo che con lei non ci sia il rischio di perdersi.- continuò Robin, avviandosi a sua volta verso la strada, sicura che Law l’avrebbe raggiunta.

-Non avevo idea che lei fosse la cugina di Koala. Non assomiglia per niente a quella mandria di bufali che la vengono a trovare di solito in reparto.- spiegò secco Law affiancandola e stringendosi il bavero del cappotto al collo per proteggersi dal vento gelido che aveva iniziato a soffiare.
-Oh, come le dicevo non sono di qui. E poi anche se i ragazzi sembrano un po’ troppo espansivi, sono davvero simpatici. Koala è fortunata ad averli accanto. Come è fortunata ad avere lei.- lo stupì nuovamente, sorridendogli senza sosta.

Law si schiarì la gola, cercando di risultare più interessato nella ricerca della strada giusta da imboccare per raggiungere l’ospedale ( in cui lavorava da oltre dieci anni) che sul complimento appena fattogli, risultando nel complesso, abbastanza idiota.

-Faccio il mio lavoro, nulla di più.-
-Allora credo che dovrei iscrivermi in medicina.- rise Robin, attraversando al suo seguito sulle strisce pedonali approfittando del semaforo rosso. -Che vuole dire?- chiese Law, mordendosi la lingua subito dopo.

Non voleva davvero sapere la risposta.

Non voleva.

-Se a medicina vi insegnano come baciare una paziente gettandoglisi addosso con ardore senza farsi scoprire dal personale, credo che sia uno studio che vale la pena di approfondire.- spiegò infatti con interesse Robin, prendendolo per l’ennesima volta nel giro di nemmeno cinque minuti, nel contropiede più totale.

E per una volta Law ringraziò il vento freddo mentre si faceva spazio tra le strade di Dressrosa, che con il suo turbinio gelido riuscì a nascondere e a raffreddare il rossore quanto più evidente possibile che ormai si era fatto spazio sul suo viso.
 
Alla malora Eustass, ya, alla malora medicina e alla malora Kaimye ed i pettegolezzi!
 
-Non potevo fare scienze della comunicazione?- borbottò tra se e se esasperato, e le sue parole si persero insieme alla risata cristallina di Robin, ormai convogliate nell’immensa nuvola di chiari fiocchi di neve, che con grazia ed eleganza aveva nuovamente ricominciato ad imbiancare le strade affollate di Dressrosa.
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE

Ebbene si, non sono morta.
Salve a tutti, e perdonatemi per l’immane ritardo. Sapete come si dice, sessione estiva e addio alla tua vita sociale e non.. mai detto niente di più vero.
Ed insomma, eccoci qua con questo capitolo poco di azione, ma sicuramente più riflessivo ed introspettivo.
Spero che vi sia piaciuto, e ringrazio con infinito amore chi ancora segue questa storia nonostante sembri che io l’abbia abbandonata. Credetemi, non è così! <3
Vi mando un bacione grande ed un abbraccio, 


Jules

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Capitolo 7
*** Anything can happen ***


-Sabo, ti calmi e mi spieghi che è successo?!-

-Koala, non capisci! Ho combinato un casino stavolta..- si lamentò con voce esasperata il biondo, spiattellato con aria sconsolata sulla sediolina accanto al letto. Si era presentato nella sua stanza così di fretta da non darle nemmeno il tempo di ragionare su quello che stava dicendo, sommergendola con un fiume di parole apparentemente inarrestabile.
Una leggera nevicata aveva iniziato ad imbiancare il paesaggio al di fuori della finestra, raffreddando notevolmente le temperature.

Koala si strinse leggermente nel lenzuolo, rabbrividendo appena per il freddo spiffero che si era infiltrato attraverso la guarnizione della finestra. Con un guizzo d’occhi e senza una parola Sabo intercettò l’amica circondarsi le braccia con le mani, alzandosi repentinamente per chiudere meglio la finestra. Koala gli sorrise flebile, ringraziandolo con lo sguardo.

Nell’osservarlo ritornare alla posizione scombinata di prima e ricominciare a lamentarsi di quanto fosse idiota e di quanto Bibi l’avrebbe cazziato una volta scoperto cosa aveva fatto, non potè fare a meno di percepire quel piacevole calore che la riscaldava ogni qualvolta qualcuno si presentava a sorpresa in reparto per farle passare un po’ di tempo o chiederle un consiglio, cogliendola si spesso alla sprovvista, ma rallegrandole inevitabilmente la giornata.

Ripensandoci, da quel fatidico giorno in cui si era ritrovata attorniata da quel branco di pazzi con il dottor Trafalgar che lanciava scintille e saette dagli occhi senza un apparente motivo, non era passato giorno senza che almeno uno tra quelli che Koala aveva sempre riconosciuto o imparava ora a chiamare amico, non le tenesse compagnia per qualche ora.

Erano venuti davvero tutti: Bibi con il suo pancione splendido, Ace che ormai (nonostante fosse passata solo una settimana da quando l’aveva conosciuta)  sembrava non essere capace di spostarsi di un solo passo senza Perona al suo fianco, addirittura anche Izou, l’okama che aveva scoperto essere in fissa con il collega del dottor Trafalgar, Marco, con i maglioncini di flanella dai colori improponibili e le multinazionali del trucco.

Perfino Dragon era riuscito a raggiungerla, anche se a notte fonda e con uno speciale permesso da parte della dirigenza dell’ospedale. Nell’osservare i suoi lineamenti sempre così contratti e seri, sciolti per una volta dalla loro morsa di indifferenza e seriamente preoccupati per la sua salute, Koala non seppe davvero come impedirsi di abbracciarlo come avrebbe fatto con suo padre, o Zio Tiger.

Era bello sapere che il mondo li fuori non si era dimenticato di lei, ed il pensiero che i suoi amici (vecchi o nuovi che fossero) non lasciavano passare giorno senza ricordarglielo, era uno dei pochi motivi che le permettevano di rimanere in quel posto senza impazzire o cercare di scappare.

Del resto era perfettamente conscia della gravità delle sue ferite, di tutto ciò che sarebbe potuto andare storto se non si fosse davvero impegnata in quella convalescenza.

Ma nonostante cio ed il fatto che il dottor Trafalgar, che sembrava costantemente tentato di soffocarla con un cuscino ogni volta che lei apriva bocca, non le avesse mai dato davvero un motivo per non fidarsi di lui, Koala aveva la pessima sensazione di star solo perdendo tempo li dentro.

Ciò che Dragon le aveva detto quell’unica sera in cui era riuscito ad incontrarla, le rimbombava nella testa come una palla impazzita, impedendole di focalizzarsi su quello che nella scala prioritaria veniva prima di tutto, ossia una veloce guarigione per rimettersi subito in pista.

I traffici di Crocodile che erano riusciti a mettere allo scoperto grazie alla sua trovata potenzialmente suicida erano stati messi sotto controllo, un’immane mole di informazioni e testimoni erano stati spremuti fino all’osso per ottenere i nomi ed i dati necessari affinchè la polizia potesse mettere due manette ai polsi di quel verme, eppure sembrava che il coccodrillo fosse sempre un passo avanti a loro.

Forse i soldi non fanno la felicità, ma di certo corrompono una buona parte di quella fetta di persone che con una parola in più o in meno potrebbero determinare il tuo fallimento o la tua cattura, e questo Crocodile lo sapeva perfettamente.
Per questo motivo anche se erano nate numerose piste fresche da seguire, frutto anche dell’intuito di Koala nel decidere di sventare proprio quella precisa trattazione appena una settimana prima, si erano alla fine rivelate quasi tutte impossibili da praticare.

E Koala questo non riusciva a sopportarlo.

Arrivare a gente come Mr Wapol, della Blackdrum.Inc, ad Arlong della Sunpirates & Co. o addirittura fino alla gigantesca multinazionale che si occupava di impianti di sicurezza, la CP9, per poi non riuscire a cavare un ragno dal buco la mandava ai pazzi.

“Certo, è difficile parlare quando ci sono i tuoi interessi in ballo o hai la bocca così piena di berry da non riuscire ad aprirla.”
Questo aveva detto per la prima volta ad uno dei collaboratori minori della Baroque Works, ritrovando quella frase più adatta che mai a ciò che stava succedendo in quel preciso istante.

Con un moto di stizza si arruffò i capelli, attirando l’attenzione di Sabo ed accorgendosi con immenso terrore che quello non aveva smesso per un attimo di parlare, nonostante lei non lo stesse minimamente ascoltando. Gli occhi sgranati per il senso di colpa di aver lasciato il suo migliore amico a raccontarle le sue disavventure senza che lei stesse prestando attenzione nemmeno una sillaba, Koala fece di tutto per seguire il filo logico del discorso di Sabo da quel punto in poi, sperando che quello non si fosse accorto dei suoi pensieri che in quel momento volavano da tutt’altra parte.

-Tutto bene?- le chiese infatti il ragazzo alzando un sopracciglio biondo, osservandola annuire con forse un po’ troppa enfasi. Pregando nelle scarse capacità intuitive di Sabo in ambito non lavorativo, la castana si risistemò meglio sul lettino, cercando di dargli l’impressione di essere pienamente attenta alla discussione e di esserlo stato per tutto il tempo precedente.

-Si, ovvio! Continua!- lo incitò, trattenendo il respiro giusto il tempo di vederlo levarsi il cappello, osservando un punto di fronte a se con occhi pesanti. -Non lo so Koala. Credo che questa volta non mi perdonerà facilmente.- mormorò, spazzando via il sollievo della giovane nell’essersi resa conto che Sabo non si era davvero accorto di nulla, ma lasciandola visibilmente preoccupata.

Che cosa diavolo si era persa?

-Ecco, io non volevo rompere il passeggino nuovo. E’ solo che ecco.. Ace e Rufy sono dei veri imbecilli! Chiedermi di fare una gara di fondo fino in cima a Primerose Hill su un passeggino.. cioè ma ti sembra normale?! Sapevano che io avrei accettato, ma ecco.. io DOVEVO farlo, capisci? Aah, che idiota! - sbottò sbattendosi una mano in fronte dandole involontariamente la risposta che stava cercando.

Quasi senza pensarci Sabo sollevò appena il viso, incrociando lo sguardo realmente perplesso dell’amica.
Quest’ultima dal canto suo era come minimo interdetta.

Era quello il problema?..

Una gara di fondo da una collina con il passeggino nuovo?..

Sembrava troppo stupido pure per tre psicolabili come loro, eppure dallo sguardo contrito dell’amico, koala potè intuire che si trattava della verità.
Quasi le scappò da ridere pensando alla scena.

Tre uomini e un passeggino.  -Sabo, credi davvero che Bibi non sappia quanto tu e quegli altri due siate deficienti a volte?- lo stuzzicò dopo qualche secondo di silenzio, facendolo ghignare appena. -Beh, tu lo sai di certo, per questo non ti stupisci. E’ che.. voglio davvero essere un buon padre, Koala. E se ancora mi lascio coinvolgere in cretinate del genere, io.. ecco..- si inceppò, trovando la mano della castana sulla sua e due occhi indaco a confortarlo.

-Sabo- iniziò guardandolo fisso negli occhi -Tu e Bibi siete sposati ormai da un bel po’. Lei sa perfettamente chi sei, e ti ama così! E credimi, lei ti ama anche per questo tuo lato cretino. Non fare quella faccia, sai che lo è!- si interruppe sghignazzando, osservando la smorfia scocciata del biondo nel sentirsi definire in quel modo.

-Il punto è che tu sei quello che sei, e già il semplice fatto che tu ti ponga il problema di essere un buon padre, ti ci rende a tutti gli effetti. Sarai fantastico Sabo, e  Bibi e il bambino sono fortunati, come lo sono stata io a conoscerti vent’anni fa.- disse semplicemente, allontanandosi di poco dall’amico.

Percepì il proprio sorriso allargarsi nel vedere che Sabo la fissava con gli occhi sgranati, e per qualche secondo si chiese se avesse bisogno di un fazzolettino per asciugarsi le lacrime che sembravano sul punto di uscire.
-Sei ancora vivo o..- lo prese in giro, interrotta di botto dallo scatto felino del ragazzo che con un movimento veloce la circondò con le braccia, stringendola appena per evitare di farle male e sorridendole con quel suo modo di fare che l’aveva sempre contraddistinto. -Koala, tu sei semplicemente meravigliosa!- soffiò con tutto un altro tono rispetto a quando era arrivato, permettendole di godersi l’espressione gioiosa dell’unica persona, insieme ad Ace, che avrebbe sempre definito un fratello anche ad occhi chiusi.

Adorava Sabo. Era la prima persona che le era stata vicina ogni singola volta che le cose prendevano una piega, bella o brutta che fosse non importava. Lui c’era sempre stato. E quando si era aggiunto anche il signor Portguese, la situazione era semplicemente migliorata.

Staccandosi da lei e senza smettere di sorridere Sabo si riaccomodò al suo posto, dando un’occhiata fugace all’orologio da polso. -Se devi andare vai sta tranquillo! Tanto tra poco dovrebbe arrivare sicuramente qualcuno.- lo rassicurò Koala sovrappensiero, pentendosi immediatamente di ciò che aveva detto quasi involontariamente.

Si morse la lingua, sperando che anche in quel caso Sabo non avesse prestato attenzione alle sue parole.

Inutilmente, è chiaro.

-E chi?- chiese sospettoso il biondo, socchiudendo gli occhi e cercando di carpire l’informazione dallo sguardo apparentemente impassibile dell’amica. -Beh, intendevo che sicuramente verrà qualcuno a controllarmi, del resto sono in un ospedale, no?- liquidò lei con un’alzata di spalle, percependo la propria credibilità venire meno ogni secondo.

Perché Sabo poteva essere un idiota infantile con visibili problemi di piromania, e fin qui nulla lo differenziava da Ace, ma differentemente dall’amico, lui aveva l’innata capacità di percepire quando Koala voleva tenergli nascosto qualcosa che aveva a che fare con questioni di uomini.

Era una specie di superpotere, inutile come un cartello stradale in mezzo al mare, ma pur sempre ben allenato. E quella volta non faceva eccezione. -Koala, chi è che dovrebbe venire a trovarti? Non dirmi che stai parlando di..-

-Dottor Trafalgar, ma buongiorno! Le sembra questa l’ora di arrivare?!- sbraitò una voce cavernosa e profonda appena fuori dalla porta della camera, attirando l’attenzione di Sabo, levandogli quasi le parole di bocca, e  di Koala che si rilassò momentaneamente emettendo un flebile sospiro, sicura di aver sfiorato il disastro. Più o meno.

Perché se c’era qualcosa di peggio di dover rivelare al proprio migliore amico che l’unico dottore in circolazione in quell’ospedale che lui detestava era la stessa persona che appena due giorni prima lei non aveva resistito alla tentazione di baciare, quel qualcosa era che Sabo si trovasse li nello stesso momento in cui arrivava anche il succitato dottore.
E a nulla valeva il fatto che alla fine il dottor Trafalgar si fosse rivelato dell’altra sponda, non c’era modo di evitare che quel segugio biondo fiutasse l’odore di intrallazzo tra loro due, nessunissima possibilità.

Maledizione.

-Vergo, potresti anche evitare di utilizzare questo tono con me. E’ il mio reparto ed arrivo quando devo, discorso chiuso.- sciorinò calmo Law con voce roca e suadente come al solito, fissando truce l’immenso direttore sanitario della struttura con una fermezza che nessuno riusciva a mantenere di fronte al terrore che incuteva quell’uomo.

Ma che tra Vergo e Law non corresse buon sangue del resto non era una novità, per cui tutti coloro che si stavano godendo lo spettacolo Trafalgar VS Vergo quotidiano non ci misero molto a ritornare alle proprie occupazioni, lasciando quei due alla loro eterna battaglia. -Ora se vuoi scusarmi, dovrei fare il mio lavoro. O per caso devi contestare anche quello invece di startene nel tuo ufficio dove è giusto che te ne resti?- lo fulminò il chirurgo, scrutando senza interesse il viso impassibile della montagna che si ritrovava davanti.

-Ti sei appena guadagnato quattro weekend di guardia, se la cosa ti può interessare. E sappi che io ti osservo, moccioso. Sempre.- scandì con lentezza Vergo, gli occhi invisibili al di la delle scure lenti che portava anche all’interno della struttura per un grave problema di fotosensibilità.

O forse perché spesso si scordava di averli in faccia.

-Ma che paura. E comunque è dottor Trafalgar, per te, VERGO.- fu l’ultima cosa che Law si sprecò di dire a quel bastardo, omettendo appositamente il “Signor” che Vergo si aspettava di ricevere prima del proprio nome ed entrando poi a passo lento nella camera 221B, quarto piano, corridoio A3. E purtroppo per lui, non da solo.

-Robin!-
-Robin!-

Sabo e Koala esclamarono quasi contemporaneamente quel nome, stupiti in egual misura dalla presenza della donna in quel posto, ed ancor di più per il fatto che si accompagnasse al dottor Trafalgar.

Un pensiero colse inevitabilmente Koala, sperando che sua cugina lo avesse incrociato casualmente in ospedale e non avesse avuto il tempo di fargli la radiografia, come spesso faceva rivelandole sempre quanto i suoi potenziali uomini fossero in realtà degli idioti. Ripensò a quando le aveva raccontato di ciò che era successo tra lei e Law, sussurrando quelle parole al telefono per evitare che qualcuno riuscisse a carpirne il significato.

Certo, forse scoprire l’orientamento sessuale dell’uomo che per una settimana si era intrufolato nella sua stanza con sempre una scusa diversa, e che alla fine nemmeno due giorni prima si era ritrovata stringere contro di se in un bacio che nemmeno lei si aspettava di poter ricevere da un tipo del genere, sempre compito e serio, non sarebbe stato male.
Giusto per evitare quell’illusione di essersi presi una sbandata per il proprio medico, oltre che sospettato nell’indagine che stava conducendo, e che a lui la cosa andasse pure a genio.

Ma in fin dei conti, Law era gay.
Capitolo chiuso.

Con un sorriso osservò Sabo avvicinarsi a Robin, abbracciandola come avrebbe fatto con un parente. Cosa che più o meno Robin era per lui, anche se non di sangue. Nemmeno si accorse del fatto che Law si era portato al suo fianco, controllando lo stato delle flebo ed inforcando gli occhiali da vista più sexy che avesse mai visto per dare un’occhiata ai valori nella cartella.
Silenziosamente Koala sperò vivamente che i sensori che aveva attaccati sul petto non segnalassero l’improvviso aumento della sua frequenza cardiaca. Quasi a leggerle nel pensiero, Law si voltò di striscio verso il piccolo monitor, analizzando come un computer l’anomalia presente sul tracciato. La ragazza distolse lo sguardo da quel chirurgo eccessivamente strano e che le faceva un effetto eccessivamente esagerato considerando come l’aveva rassicurata sul fatto che quell’incidente di percorso dell’altra sera era stato assolutamente casuale e non programmato, cercando di concentrarsi su Robin e Sabo che a pochi passi da lei discutevano tranquillamente.

-Oh, Koala, stavo raccontando a Sabo di quello che mi ha detto il dottore mentre venivamo qui. Credo che potrebbe interessarti parecchio.- la richiamò Robin, distogliendola del tutto dall’immagine di Law che la sovrastava e adesso le controllava le ferite, sfiorandole appena la pelle con le lunghe dita fredde e facendola rabbrividire ad ogni tocco.

-Sarebbe?- chiese con un leggero ansito nella voce, maledicendo nemmeno lei sapeva più chi, se Law, se stessa o il Kami.
-Beh, sicuramente di interessante è interessante.- sputò Sabo, voltandosi con uno sguardo omicida in direzione di Law che dal canto suo sembrava non aver ascoltato una parola di quello che si erano detti appena a venti centimetri di distanza da lui.

Con un sospiro quest’ultimo si risistemò il camice spiegazzato, levandosi gli occhiali e voltandosi verso gli ospiti per avvisarli che il turno visite stava per concludersi e congedarsi da quella situazione abbastanza imbarazzante, rendendosi conto solo dopo qualche secondo che tutti gli occupanti della stanza lo stavano fissando.

Nico Robin sorrideva, ma lei sorrideva sempre, quindi era impossibile anche per lui capire cosa le passava per la testa, considerando che la conosceva da meno di mezz’ora.

Monkey D. Sabo, beh, lui non lo aveva mai sopportato, quindi niente di strano.

Ma fu Koala quella che lo mise in allarme. Aveva un’espressione realmente indecifrabile, anche se troppo simile a quella che le aveva visto in viso appena il giorno prima quando le aveva rivelato di essere “senza alcun dubbio” gay.

Che cazzo era successo mentre era distratto a visitarla?
-Cos’avresti da dire a tuo discapito, dottore?- sibilò Sabo, assottigliando lo sguardo nel tentativo di farlo saltare in aria. Il medico alzò un sopracciglio, sinceramente privo di risposte a quella domanda. -Non stavo prestando attenzione, mi perdoni Maggiore. A discapito di cosa?- tentò, mentre un lampo di luce gli illuminava il cervello come un faro.

Possibile che..
No, non l’avrebbe fatto. Non l’avrebbe mai sputtanato così in fretta, non dopo che aveva strasentito la sua conversazione con Eustass-ya e gli aveva assicurato di tenere la bocca chiusa.

Vatti a fidare delle donne.

Pronto ad inventare una scusa plausibile per salvarsi in corner dal dover rivelare quanto in realtà lui fosse estremamente etero, e anche molto problematico, proprio Nico Robin venne in suo aiuto, facendolo sospirare appena di sollievo. -Stavo dicendo a Sabo che forse potrete dimettere Koala tra un paio di settimane e non un mese, dottore. O forse dovevo omettere quest’informazione?- chiese serena, socchiudendo appena gli occhi senza mai smettere di inclinare gli angoli della bocca appena all’insù.

Per un secondo, Law percepì distintamente lo scambio di gas che avveniva a livello dei suoi capillari alveolari, l’anidride carbonica che veniva espulsa nei bronchi, i capillari arteriosi che riportavano il sangue ossigenato al resto dell’organismo. Emise un lungo respiro, perfettamente in grado di rispondere a quella domanda.

-Beh, era un’informazione riservata. Ma dato che lei è una parente e che il Maggiore Sabo sarebbe comunque venuto a saperlo, non vedo che ragione c’è di tenerla nascosta. Si, la signorina Surebo potrebbe essere dimessa tra quindici giorni se avremo i risultati sperati nella risanazione degli arti.- parlò con tranquillità, soffermandosi alla fine sugli occhi sgranati di Koala, che all’idea di poter uscire da quel posto probabilmente sarebbe saltata in aria per la felicità se le fasciature glielo avessero permesso.

Ghignò appena nell’osservare Sabo e Robin che le si avvicinavano, anche loro felici come una pasqua.

Eppure, chissà per quale motivo, non riusciva davvero  a condividere la loro gioia.

Forse perché sin da quando era un marmocchio non aveva mai avuto niente che somigliasse alla gioia nel proprio organismo, solo un immenso disprezzo per il genere umano e conoscenze mediche. Ma su questo Eustass-ya avrebbe avuto di che protestare, dandogli del problematico asociale e lanciandogli addosso qualcosa.

O semplicemente, l’idea di non rivedere Koala gli faceva male più di quanto avrebbe sperato.

Sapeva perfettamente che lei prima o poi sarebbe uscita da quel buco, e che lui avrebbe dovuto arrendersi al fatto che alzandosi per andare a lavoro, non sarebbe più passato da quella stanza per darle il buongiorno e portarle il caffè. Non avrebbe più cercato di nascondersi dietro la vetrata ogni volta che si ritrovava imbambolato a fissarla e rischiava di venir scoperto come un idiota, facendosi dare del caso senza speranza da Marco e Pen.

E dire che quella ragazza era li da appena una settimana. Cos’era riuscita a fargli in così poco tempo non riusciva a capacitarsene nemmeno lui. E solo a ripensare a come era riuscito a rovinare tutto con la bugia più stupida della storia, e solo per le sue cazzo di paure irrazionali, gli sarebbe venuta voglia di prendersi a schiaffi da solo.
 
 
 
***
 

Raramente gli era capitato di mettere piede in quel reparto senza dover ascoltare il chiacchiericcio dei pazienti, le discussioni tra i dottori o le lamentele delle infermiere. Stranamente il corridoio A3 era assolutamente vuoto, ragion per cui evitò di camminare raso al muro per cercare di non farsi notare da qualcuno che si era attardato a lavoro e rispondere quindi alle mille domande che era sicuro avrebbe ricevuto.

Individuò il cartellino contrassegnato con 221B, e con un’ultima occhiata attorno a se, entrò.

Koala se ne stava seduta a mezzo busto, la luce sopra di lei spenta tranne che per un’unica lampadina, gli occhiali della lettura stretti in una mano ed il viso immerso in una pagina che a quanto pare la stava prendendo decisamente molto. Nel momento in cui lo vide abbassò il libro, sorridendogli appena.

Era strano non provare imbarazzo per ciò che quegli unici sguardi stavano a significare. Law ormai restava fino a tarda notte in camera con Koala, sedendosi accanto a lei per guardarla dormire o trovandole qualcosa da fare quando era sveglia. Si era chiesto mille volte perché mai si dava così tanta pena per quella ragazza.

Aveva cercato una risposta in se stesso, in quel caschetto spettinato così morbido e profumato, in quegli occhioni giganteschi che sembravano rapirti ogni volta che ti capitava di soffermartici su.

Si era interrogato in ogni momento libero, guardandosi allo specchio e dandosi del malato di mente per quanto lui stesso fosse impossibilitato di trovarsi una ragione plausibile per essersi irrimediabilmente perso per una paziente.

E non una qualsiasi, ma quella spina nel fianco di Koala Surebo.

Il suo incubo e la sua chiavica, che una volta uscita da li l’avrebbe trattato come il criminale che credeva lui fosse, senza tenere conto di nulla che non fossero le sue indagini.

E non avrebbe avuto torto, Law era il primo a riconoscerlo.

Perché se c’era una cosa che di Koala l’aveva rapito, era la sua determinazione. La sua intelligenza, le sue idee, quella bocca che non smetteva mai di parlare e che si incazzava per stronzate, tornando poi a sorridere dopo nemmeno due minuti. Koala era una persona straordinaria, e di questo se ne era reso conto dopo appena un giorno. Il modo in cui gli aveva tenuto testa senza cedere alle sue provocazioni, la sua sincerità, la sua onestà.

Facendo due conti, aveva ben più di una ragione per essere innamorato di lei. Eppure, nessuna era abbastanza per dargli il coraggio di mettere da parte l’orgoglio e fare felice il suo cuore, una volta tanto.

Per questo si trovava di nuovo li, in ospedale alle tre del mattino senza la divisa da lavoro ma con addosso una semplice tuta, un pc, due tazze e un po’ di caffè in un thermos. Non gli sarebbero bastati mille anni per riuscire a risolvere l’ingarbugliato casino che si estendeva nel suo cervello quando si parlava di relazioni, ignoto per dimensione e volume anche a lui.

La cosa divertente era che in un altro momento, con un’altra persona, avrebbe lasciato perdere. Avrebbe permesso al suo raziocinio di riprendere il controllo, riportandolo sulla sua strada di assoluta indifferenza, che in fondo non si era mai rivelata sbagliata.

Ma questa volta c’era qualcosa che nemmeno il grande Trafalgar Law aveva considerato in gioco: un sentimento assolutamente inaspettato, e tremendamente chiaro.

Sapeva di non dover dare adito alle sue stesse speranze, eppure non riusciva ad impedirsi di farlo. Con un paio di passi fu accanto al letto, e posate le tazze sul comodino si accomodò sul bordo del letto. Estrasse il PC dallo stesso zaino che Koala gli aveva riportato poco tempo prima, osservandola ridacchiare con la coda dell’occhio. -Che c’è?- si informò a voce bassa, alzando un sopracciglio. Lei lo osservò con un’espressione buffa in viso, un sorriso simile a quello di sua sorella Lamy quando gliene combinava una delle sue e poi aspettava che lui se ne accorgesse. -Credevo di aver fatto una cosa buona riportandoti quello zaino, l’altra sera. Mi sono sbagliata!- dichiarò solenne, prendendolo di sorpresa.

E ora che c’entrava lo zaino? -Che vuoi dire?- la interrogò, interessato a capire da dove fosse uscito quel discorso.

-Voglio dire che quella fantasia maculata è semplicemente atroce… avrei fatto meglio a buttarlo!- rise sottovoce, punzecchiandolo ad un fianco. Law si sforzò di non lasciarsi coinvolgere, schivando le dita affusolate che gli bazzicavano contro e posando con molta calma lo zaino a terra. Con un movimento veloce si portò a cavalcioni su di lei, ritornandole il favore del solletico.  -Oh, andiamo dottore!- ansimò lei tra le risate -non mi dire che te la sei presa! E poi è solo la verità. Quello zainetto è così.. - continuò Koala, lasciando che Law le si avvicinasse fino al punto in cui riusciva quasi a percepire il suo respiro sulla pelle.

-.. brutto.- sussurrò. In quel momento, e solo in quel momento si rese conto che lui aveva smesso di farle il solletico, e che lei aveva smesso di ridere.

Smise di parlare, respirando in sincrono con Law che probabilmente non si era nemmeno reso conto di quello che aveva fatto.

Di certo era riuscito a zittirla, e questo era un punto a suo favore.

Restarono a fissarsi per qualche minuto buono, incapaci di fare niente che non fosse guardarsi negli occhi. Gli occhi di
Law non le erano mai sembrati così grandi e caldi come quella sera. E anche ciò che le si arrovellava nelle viscere sembrava particolarmente allegro per la presenza del chirurgo seduto a cavallo sul suo inguine.


Koala non aveva idea del perché non gli avesse ancora intimato di levarsi da li e andare ad accendere la puntata di Game of Thrones a cui erano arrivati, rimanendo piuttosto incastrata nelle iridi grigie del suo medico. L’atmosfera era irrespirabile, l’aria attorno a se sembrava essersi fermata, e l’unica fonte di ossigeno sembrava essere il respiro di Law, che fresco come al solito sapeva di mandorle. E neve.

Koala non aveva minimamente idea di che sapore avesse la neve, ma avvicinandosi sempre di più alla bocca schiusa di Law, era decisa a scoprirlo.
 
 

***



La sensazione di poggiare le labbra su quelle della sua paziente fu una selle sensazioni più indescrivibili che Law avesse mai percepito.

Erano soffici, morbide, eppure allo stesso tempo decise. Portò le mani tatuate in avanti, a stringersi attorno al suo viso per poi risalire affossando le dita i capelli, sentendola schiacciarsi sempre più contro di lui.

Non voleva che andasse così.
Non era previsto, non era previsto per niente.
Avrebbe dovuto tenersi i suoi sentimenti per lui, era questo il piano no?

Eppure avrebbe dovuto capirlo sin dal primo momento che quando si trattava di Koala nessun piano o congettura andava a buon fine. Avrebbe dovuto imparare, e invece quella cosina minuta di appena un metro e sessanta era riuscita a sconquassargli il cervello.

Definitivamente.

Senza alcuna intenzione di smettere, non ora che il danno era fatto, con molta fretta si liberò della pesante felpa, restando solo con la maglia dell’università addosso e percependo le mani di Koala che iniziavano ad esplorare sempre più curiose al di sotto della stoffa, rendendosi conto di aver fatto la scelta giusta.

Scese dalle sue gambe, portandosi al suo fianco e tirandosela addosso. Con quel corpo stretto al suo, quelle curve così morbide premute contro la sua pelle, quel contatto che aveva il sapore della droga, Law si chiese  in uno sprazzo di lucidità per quanto tempo aveva solo annaspato nel buio prima di ritrovare quella piccola luce che adesso se ne stava sdraiata su di lui, avvolgendogli il collo e stringendogli appena i capelli.

Ora, e solo ora si rendeva conto di quanto irrazionale e stupido sarebbe stato impedirsi di provare qualcosa del genere, qualcosa su cui si era sempre interrogato a riguardo ma che aveva intelligentemente scartato come tentazione inutile.

E non che non avesse mai fatto sesso con qualcuno, ma in tutti i casi si riduceva con una nottata di fuoco di cui il giorno dopo faceva lui stesso fatica a ricordare. Qualsiasi cosa fosse quello che stava facendo in quel momento con Koala, non era minimamente paragonabile a ciò che aveva provato in precedenza.

Questo era problema molto più consistente di una sconosciuta nel letto che era facile mandare via con due parole ed un mezzo ghigno. L’amore che sentiva di provare in quel momento e che rischiava di spezzarlo come un tronco colpito da un fulmine, era tremendamente più pericoloso di tutto ciò che c’era stato.

E in fondo non aveva torto.

Koala, il suo respiro, il suo cuore che batteva all’impazzata a ritmo con il proprio erano pericolosi, e la tentazione di tenerseli con se ancora di più.
 
Ma Trafalgar Law non aveva paura, non stavolta.
 
In ospedale lo chiamavano il “Chirurgo della morte”, il ladro di cuori.
Beh, si sbagliavano.

La vera ladra era Koala, perché in fondo non aveva avuto nemmeno bisogno di un bisturi per prendersi il suo. Ed in fin dei conti, Law sapeva che glielo avrebbe lasciato prendere, fosse solo per poterla tenere stretta a se anche solo qualche minuto in più.

Sollevò appena lo sguardo, incrociando due iridi indaco che si erano alzate nello stesso momento, lucide ed affannate. Per un momento, la consapevolezza di ciò che aveva fatto lo investì in pieno, spingendolo disperatamente a lasciare la presa ed andarsene da li, sperando di poter aggiustare le cose come al solito grazie a qualche efferata bugia.
Ma questa volta no. Questa volta Law non sarebbe stato capace di pronunciare una sillaba, figurarsi una frase intera.
 
 
 
                  E mentre Koala si riavventava sulla sua bocca, decisa a farla sua in barba ai mille pensieri che si stavano lentamente sciogliendo nella sua testa, una leggera neve ricominciò a scendere dal cielo scuro e senza luna, posandosi appena sulle cime degli alberi del parco memoriale, imbiancando a poco a poco le strade.
Scese piano piano, appoggiandosi ad ogni superficie e ricoprendo silenziosa anche il bordo di una piccola finestra, che ben chiusa e lontana dal mondo, nascondeva un calore ed un amore di un’intensità tale da far sciogliere, come ghiaccio al sole, la neve dell’intera città.
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE

Saaaaaalve salvino! Bentornati sulla storia infinita, i cui capitoli vengono scritti a ritmi improponibili e prendendo il sopravvento su impegni tipo lo studio o la vita sociale!
Ma in fondo chi se ne frega, questa storia si meritava un po’ di tempo per se u.u
 
Ed eccoci tornati al Kyros Memorial, che un po’ come il Sacro cuore per JD è il luogo in cui tutto accade ed in cui sbocciano amori ed odii. Si dice così? Boh. BOH! T_T
In ogni caaaaso, non saprei cosa dirvi se non che mi fa tantissimo piacere per chi ha letto recentemente la mia storia e per chi segue, siete sempre di più e la cosa non può che rallegrarmi! E chiaramente un ringraziamento speciale a ___Page, senza la quale questa storia forse non sarebbe andata avanti facilmente. 

Io vi mando un bacione e vi aspetto nell’angolino delle recensioni,
un abbraccio
 
Jules

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Capitolo 8
*** Healing ***


-Allora, è tutto chiaro?-
-Law, non c’è bisogno di..-
-Ho detto.. è tutto chiaro?-

Pen sbuffò roteando gli occhi al cielo, incredulo. Non era concepibile che dopo secoli Law gli imponesse ancora quelle stupide regole sulla riduzione di effusioni con, okay forse era un dettaglio non trascurabile, sua sorella. Ma non era mica come se Pen le avesse mai trasgredite quelle imposizioni, attenendosi al rigido protocollo che l’amico gli propinava per ogni singola occasione di famiglia!

Certo, fatta eccezione per quella volta in cui le aveva chiesto di passarle un po’ di tacchino ripieno e Lamy l’aveva imboccato con la sua forchetta senza dargli tempo di porre rimedio. Non avrebbe mai dimenticato il terrore che aveva provato nell’incrociare lo sguardo di Law di fronte a se.

Mai.

Si mosse sul sedile, ansioso di uscire dalla Submarine gialla e terminare in fretta la discussione. –Niente contatto fisico se non strettamente necessario, divieto assoluto di tenersi per mano e mai, mai per nessun motivo espletare “pulsioni sessuali” indesiderate in tua presenza.- calcò l’accento sul “pulsioni sessuali” giusto per il gusto di evidenziare quanto fosse assurdo che l’amico si sentisse ancora in dovere di irretirlo con quella stronzata.

Forchetta esclusa.

Alzò un sopracciglio in attesa che Law annuisse di rito, congedandolo dai suoi doveri fraterni. Con un sospiro aprì la portiera avviandosi insieme a lui lungo il vialetto di terra battuta che portava alla fastosa residenza di campagna dei Donquixote, la famiglia adottiva del chirurgo.

Quando lo aveva conosciuto agli esordi della loro carriera universitaria, farlo aprire sull’argomento parenti era sempre stato uno dei suoi tarli. E non perché Pen fosse chissà che ficcanaso, semplicemente riteneva che l’ammirazione che lui aveva per l’amico fosse anche merito di chi lo aveva cresciuto.

E dopo aver conosciuto Cora, seppe di non essersi sbagliato.

Tuttavia a chiarirgli ogni dubbio sul perché Law avesse speso gran parte della sua infanzia insieme si ad una delle più potenti famiglie di Dressrosa, ma che con lui avevano sempre avuto ben poco a che fare, era stata Lamy, la sua dolce e pura sorellina che per qualche strano caso, Pen si era ritrovato ad amare alla follia.  E per quanto gliene fosse stato grato ai tempi, capì una volta per tutte perché Law era sempre stato così reticente ad aprirsi sull’argomento.

Senza rendersene conto, immerso com’era nei suoi pensieri, si ritrovò affiancato dai pini secolari che costeggiavano il sentiero d’ingresso alla villa, maestosa ed imponente come al solito. –Odio questo posto.- commentò Law sovrappensiero, osservando con occhi freddi le complicate architetture barocche che si arrampicavano tortuose lungo le colonne del portone d’ingresso. Pen sapeva che non mentiva, ma si limitò dal commentare. Fece per dire qualcosa, salendo i tre scalini che conducevano all’immenso portone ancora chiuso, quando le pesanti ante di legno si spalancarono rivelando un fulmine biondo che gli si riversò tra le braccia saltellante. –Pen!- esclamò la ragazza minuta che si era lanciata fuori come un razzo, facendo ondeggiare le corte ciocche bionde mentre lo stringeva a se con forza. –Lamy!- la chiamò, incapace di non ricambiare la stretta nonostante le saette che quasi sicuramente Law gli stava lanciando alle sue spalle. Lamy alzò gli occhi ad incrociarli con i suoi, luminosi come non mai. –Ciao.- soffiò facendo scendere una mano per sfiorare la sua, nascosta agli occhi dardeggianti del moro che ancora aspettava di poter abbracciare sua sorella senza che Pen facesse parte del quadretto familiare. –Fratellone, non sta bene fissare la gente!- lo schernì infatti Lamy quasi intuendo il pensiero del fratello, correndogli incontro per abbracciarlo se possibile con ancora più forza. –Come stai?- le chiese Law senza dare il minimo segno di volerla allontanare da se, lanciando di tanto in tanto un’occhiataccia a Pen che rispondeva prontamente con un bel sorriso da schiaffi.

-Bene! Il reportage è stato grandioso, le foreste nascoste di Skypiea sono immense! Sto scaricando tutte le foto nel pc, ma voi due avrete il diritto di vederle prima dell’editing e della pubblicazione.- annuì soddisfatta, facendoli sorridere entrambi. Quella testolina bionda aveva la capacità di conquistare anche i muri, figuriamoci due tra le persone che più stravedevano per lei in assoluto. –Hai incontrato qualche South Bird mentre eravate li?- fantasticò Pen cingendo le mani sotto al mento. Aveva sempre adorato gli animali esotici, e quel particolare tipo di pennuto era quanto di più raro un ornitologo mancato come lui avrebbe potuto sperare di incontrare. Gli occhi di Lamy si illuminarono di una luce maliziosa, dandogli implicitamente la risposta. –E voi due? Tutto bene a lavoro?- si informò lei precedendoli nell’enorme atrio pieno di statue di dubbio gusto, camminando con passo aggraziato sul pavimento talmente luccicante da chiedersi quanti reni avrebbe dovuto vendersi Pen per potersene permettere anche solo una mattonella.

–Tutto regolare, Dadan ha nuovamente cercato di uccidere il tuo stupido fidanzato e ancora nessuno riesce a capire come faccia ad essere effettivamente un dottore. Nella norma.- si concesse di ironizzare Law camminando a passo svogliato diretto verso il piano di sopra.

Anche se vista la situazione, il rosso non era poi tanto sicuro che stesse scherzando.

–Dove pensi di andare?- lo richiamò la ragazza, mani sui fianchi ed espressione indecifrabile. –In camera mia.- spiegò senza mezzi termini il moro, incapace di comprendere cosa ci fosse di male nel volersi rinchiudere in camera propria durante una riunione di famiglia.

-Ti aspettano tutti di la, lo sai vero?- chiese lei incrociando le braccia sotto il seno, in attesa. Pen pregò con tutte le sue forze di scomparire in una voragine che lo inghiottisse, tutto pur di non trovarsi in mezzo ad una discussione tra la sua ragazza ed uno dei suoi più cari amici. –Sopravvivranno, come hanno sempre fatto. E poi..-

-C’è anche Cora – san.- soffiò appena Lamy, puntando lo sguardo luminoso in quello del fratello.
Bastarono quelle due parole a far perdere un battito al cuore del chirurgo, due parole che si ostinava a non pronunciare mai se non a se stesso, quando la sua mancanza era forte al punto da impedirgli di respirare.

Corazon era vivo.

Per davvero stavolta, non solo nei suoi sogni.

Ed era tornato.

-Datemi un minuto.- borbottò appena, avviandosi di corsa su per le scale. Lamy lo osservò finchè non sparì al di la del corridoio, gli occhi lucidi. Due mani si poggiarono lievi sui suoi fianchi, facendola sospirare rilassata. Poggiò la testa all’indietro, incontrando il petto di Pen che si alzava e si abbassava a ritmo con il suo. –Volevi fargli una sorpresa?- chiese lui cingendola da dietro ed inspirando profondamente il suo profumo, lasciandosi avvolgere. –E’ stata una sorpresa anche per me.. nessuno si aspettava di rivederlo più. Anche zio Dofla sembrava colpito.- mormorò Lamy stringendosi nelle spalle.

–Beh allora credo sia meglio non farci aspettare.- la invitò il rosso baciandola appena sulla tempia, osservandola avviarsi verso l’arcata che portava alla sala da pranzo con un sorriso ancora più ampio e la mano tesa ad aspettare la sua.

Lanciò un’occhiata di striscio al piano di sopra assicurandosi di trovarsi in territorio sicuro e libero da occhiate omicide, sospirando di sollievo. La risata cristallina di lei gli si insinuò nelle orecchie come le note di un carillon perso ormai da
tempo, facendolo ridere a sua volta per il “pericolo Law” che ancora li teneva strettamente sotto osservazione.

Afferrò le dita rivolte verso di se tirandosi Lamy accanto, inspirando appena in suo profumo. Kami, come avrebbe fatto a vivere un altro secondo di più senza rivederla?
–Ti fa ancora ripetere il giuramento in macchina prima di venire qui?- chiese lei ancora scossa dai singulti, contagiandolo suo malgrado mentre camminavano stretti l’uno all’altra. –Mi stupisco che non abbia ancora trovato il modo di infilarmi qualche chip in gola e controllare il mio cervello quando siamo qui!- si lamentò ironicamente Pen, facendola ridere ancora di più.

–Piuttosto prima che ritorni..- sussurrò lei dopo essersi calmata lanciando a sua volta un’occhiata alle scale per poi rivolgersi a lui con aria cospiratrice. Pen alzò un sopracciglio, interrogativo.
-Devi raccontarmi cosa diamine sta combinando mio fratello con quella ragazza.- chiarì Lamy, il tono di chi non ammette repliche.

Per qualche secondo Pen rimase spiazzato, per niente pronto ad affrontare l’inevitabile quesito. Un nodo gli si formò in gola al pensiero di raccontare all’ultima persona che Law avrebbe voluto partecipe di quella storia, dell’incredibile porcata che si era inventato quello scellerato di un sociopatico per scongiurare altri rapporti con la sua paziente, Koala Surebo. Deglutì a vuoto, incapace di distogliere lo sguardo ed evitare ulteriormente di lasciarsi trapassare dagli occhi brucianti di Lamy, così simili a quelli di Law a volte da far paura.
–Come puoi dire che ci sia una ragazza di mezzo?- tentò disperatamente di distoglierla, provando l’approccio della bugia sfrontata e palesemente traballante.
Se non fosse già evidente dall’umore ancora più nero di Law rispetto al solito, Pen sapeva perfettamente quanto Lamy potesse essere testarda e dannatamente brava a scoprire quello che voleva senza mezzi termini, per cui non ci sperò nemmeno più di tanto.

-Eustass – ya.- alzò le spalle lei, fintamente innocente e tremendamente sexy con quello sguardo da angioletto, ali comprese. Un sorriso lasciò le labbra di Pen ormai rassegnato a doversi inventare qualcosa per coprire almeno in parte lo sfacelo di quella situazione, procrastinando il momento della disfatta spalmandosi improvvisamente Lamy addosso ed avvolgendola in un bacio che sperava l’avrebbe distratta momentaneamente.

Nel momento in cui le sue labbra lambirono quelle morbide e delicate di lei, annullò tutto quello che di superfluo gli gironzolava ancora in testa per godersi il momento in cui finalmente potè riprendersi quello che era suo, che era stato così lontano da lui al punto da non poter nemmeno più respirare. Si allontanò appena per lasciarle fiato senza alcuna intenzione di sganciarsi dall’abbraccio in cui l’aveva cinta, osservandola a qualche centimetro di distanza.

Le scostò i capelli biondi dal viso, accarezzandole una guancia con il dorso della mano.

Gli fu impossibile distogliere lo sguardo da quella vista così bella, e non era nemmeno detto che ne avesse voglia. Aveva totalmente dimenticato qualsiasi cosa non c’entrasse o non fosse lei, lei ed ancora lei. Era impossibile spiegare a parole quanto il suono apparentemente comune come la sua voce, il profumo della sua pelle chiara, poter leggere nei suoi occhi tutto ciò che solo lui sapeva trovare, la sensazione di trovarsi a casa ogni secondo di più, gli era mancato in quei mesi.

Perché del resto Penguin adorava tante cose nella vita.

Il sole, la luce, il freddo. I suoi amici sopra ogni cosa e perfino le stupide paranoie del suo migliore amico.

Ma se si parlava di amore, poteva essere ben certo di amare una ed una sola persona, e che in quel momento si trovava esattamente dove fosse giusto che stesse: tra le sue braccia, con gli occhi illuminati dal sole del primo pomeriggio e le labbra increspate all’insù.

Si, Pen adorava decisamente tante cose.

Ma avrebbe amato sempre e solo una persona: Trafalgar Lamy.
 
                                                             


***
 

-Posso chiederti una cosa?-

Ace si risollevò dal cuscino su cui era stravaccato, lasciando che Perona si sistemasse meglio nell’incavo del suo braccio. Si voltò a fissarla, inclinando involontariamente le labbra all’insù. –Che c’è? Ho qualcosa di strano in faccia?- fece lei sfiorandosi una guancia con le dita alla vista della sua espressione divertita, sgranando gli occhi neri.

-Sei bellissima.- sussurrò Ace senza smettere di perdersi nei suoi occhi, facendola arrossire violentemente. Senza guardarlo Perona si passò una mano sul collo, sorridendo suo malgrado nonostante le risultasse ancora difficile accettare quando Ace fosse diretto a volte, forse troppo per i suoi gusti.

O per le sue abitudini.

Perché Ace era così, e lei se n’era già accorta in quei primi cinque folli minuti passati insieme a lui, rischiando di rompersi l’osso del collo cadendogli addosso e ritrovandosi catapultata in quel manicomio che Ace definiva la sua famiglia. Si era stupita, eccome.
Stupita per la facilità con cui quel ragazzo l’aveva trascinata da una quotidianità fatta di pappe per Nekozaemon e pianti interminabili a rivedere la luce del sole che aveva sempre odiato con un occhio totalmente diverso.

Non che le piacesse poi così tanto passeggiare in centro sotto gli occhi di tutti, ne tornare a sfiorare la sabbia con la punta dei piedi dopo anni. Eppure con Ace tutto assumeva una sfumatura talmente indefinita e irreale, che la Principessa dei Fantasmi di Kuragaina aveva quasi dimenticato come si facesse a respirare senza di lui al suo fianco. L’aria stessa sembrava in qualche modo più pulita, più calda. Il sole non pungeva più, ma la riscaldava piacevolmente insieme alle braccia poderose che da qualche tempo la stringev ano ogni volta che quel freddo buio sembrava tornare ad attanagliarla.

E le piaceva, quello le piaceva da morire.

Certo, niente di tutto ciò che era successo era previsto, men che meno finire in un letto a distanza di due settimane senza nemmeno più uno straccio di vestito addosso a cercare di scartavetrargli la faccia in un bacio che quel giorno era tutto tranne che dolce e posato come al solito.

E se Perona aveva capito subito tante cose di Ace, quanto fosse sbadato, narcolettico, svampito ma tanto, forse troppo innamorato dell’amore, una cosa le era stata chiara sin dal loro primo sguardo. Lui non l’avrebbe fatta soffrire. Non sapeva perché si fosse abbandonata a quella certezza, non era da lei.

Non lo era mai stato.

Ma non importava quanto tempo ci avesse messo a fidarsi di quella persona che poco tempo prima le aveva spezzato il cuore, non importavano le mille raccomandazioni fatte a se stessa e fattele da Izou. Nel momento in cui si era resa conto di stare correndo verso un burrone sotto al quale non sapeva cosa avrebbe trovato, per una volta nella vita aveva deciso di non rallentare, ma di buttarsi dritta giù in fondo alla gola.
E quello che aveva trovato valeva più di qualsiasi barriera avrebbe potuto ergere tra se stessa e lui, quello scemo che si addormentava costantemente sul piatto e a cui era costretta a levare i resti di pizza dalla faccia quando le andava bene, il porridge nelle giornate peggiori.

Ci aveva provato Perona ad allontanarlo, il Kami sapeva quanto ci aveva provato. L’aveva caricato di tutti i suoi malumori, scagliandogli contro ogni spina conficcata dentro di se nel tentativo di dimostrargli quanto effettivamente non ne valesse la pena.

Quanto non ne fosse mai valsa fino a quel momento.

Ma Ace non aveva mollato. Con quel sorriso che uccideva aveva bruciato tutte le sue insicurezze, le sue paure, liberandola inconsapevolmente di quel dolore che per tutta la vita era convinta di essersi inflitta per un motivo valido.  Per questo fare l’amore con lui era stato il punto più profondo della caduta, il passo oltre il quale sapeva di non poter più fare finta di nulla.

Il momento in cui aveva capito che Ace avrebbe continuato a guarirla nonostante tutto, tenendola stretta a se senza mai darle motivo di dubitare nonostante davvero, lo conoscesse da così poco tempo da chiedersi se il momento della pazzia non fosse finalmente giunto.
 

E se anche fosse stato? Diventare pazza per decidere di fidarsi di un ragazzo che aveva quasi rischiato di ucciderla e che l’aveva salvata tante volte di più, era una condizione tanto miserabile?
 

-Vodoo?- la richiamò lui distogliendola completamente dal loop in cui si era incastrata, facendole sbattere le lunghe ciglia, spaesata. –Eh?-
-Volevi chiedermi qualcosa?- chiese con tono tranquillo, infilandole una mano tra i capelli accarezzandoglieli. Perona sospirò piacevolmente per quel contatto, scacciando gli ultimi pensieri dalla mente per concentrarsi su quello che gli aveva effettivamente detto all’inizio.

Oh diamine, cos’era che voleva sapere?

-Ecco!- trillò quando le parole le riaffiorarono davanti agli occhi, accomodandosi meglio contro il suo petto. –Koala è tua amica da tanto, no?- iniziò, osservando un sopracciglio di Ace alzarsi. –Beh.. si. Ci conosciamo da una vita, come con..-
-Sabo.- completò lei assumendo un’espressione che Ace definiva “perturbantemente sexy”. –Quello che mi chiedo è perché nessuno sembra essersi accorto che tra lei ed il dottor.. Trafalgar?- alzò lo sguardo sforzandosi di non scoppiare a ridere per il cipiglio assassino che aveva assunto il moro al sentire il nome del chirurgo, sbuffando dalle narici come un toro. –Si.- dichiarò lapidario inchiodando gli occhi al muro,  suppose Perona, sperando di dare fuoco al suddetto dottore a chilometri di distanza.

-Ecco, per me c’è qualcosa tra di loro. E beh.. non guardarmi così!- si lamentò mettendo su il broncio all’occhiata sconvolta di Ace in risposta alle sue parole. –Perona, conosco Koala da anni, non potrebbe mai e poi mai..-
-Credo che tu e Sabo siate gli unici a non esservene accorti.- lo anticipò decisa. Si tirò su portandosi il lenzuolo a coprire il seno, dandogli una pacca sul braccio per riportare la sua attenzione in su, lontano da zone indiscrete. –Ace, dico sul serio. E poi non sembra una cattiva persona. Il dottor Trafalgar, intendo.- alzò le spalle stiracchiandosi, conscia di avere due occhi puntati addosso e per niente dispiaciuta da ciò.

-Per me Koala è troppo intelligente e spettacolare e.. troppo tutto per quell’idiota!- constatò il moro con tono disinvolto mentre le si avvicinava, pronto a tenderle un agguato in pieno stile Portguese.

Il suono del campanello fu più veloce di lui, anticipandolo.

Con un basso ringhio di delusione che scatenò l’ilarità di Perona ormai mezza vestita, Ace si decise a rotolare giù dal materasso per andare a terminare definitivamente la vita di chi l’aveva interrotto durante un agguato.

Nemmeno Michael Jordan in persona sarebbe valso come scusa, nossignore.

-Chi..-
-FRATELLO!-

Un lampo biondo lo scaraventò a terra, lasciandolo per un secondo senza fiato ed ancora più confuso.                    –Sabo?- borbottò cercando di levarsi il biondo di dosso, assestandogli un pugno sulla spalla che lui non si premurò di ricambiare, gli occhi spalancati e la pelle madida di sudore.
-Dove cazzo lo tieni il telefono?!- sbraitò quello rimettendosi in piedi alla febbrile ricerca di qualcosa, con disappunto di Ace a cui ancora non era chiara la dinamica che si stava svolgendo di fronte a se.

Non lo vedeva da almeno una settimana, tra il lavoro e Bibi che ultimamente sembrava essere sempre più stanca, motivo per cui era raro che il biondo la lasciasse da sola o la portasse da qualche parte, assecondando la sua ossessione per la sicurezza di quel bimbo non ancora nato oltre ogni limite non patologico.
E non che Ace non potesse capirlo, semplicemente sapeva distinguere la preoccupazione dalla paura pura e vera come quella che stava attanagliando suo fratello in quel momento, e che non gli aveva più visto addosso da quando aveva saputo del colpo in cui Koala era rimasta ferita. Scosse le spalle per allontanare quella sensazione di vuoto che aveva sentito in fondo alle viscere al solo ripensarci, concentrandosi esclusivamente sulla scheggia impazzita che ancora gli girava per la casa senza alcuna intenzione di fermarsi. –Sabo, che diamine succede? Che stai cercando?!- lo interruppe all’ennesimo tentativo del biondo di trovare qualcosa in casa sua che evidentemente non c’era o non c’era mai stato. –Niente, Ace maledizione non sto cercando niente, solo il tuo stramaledettissimo cellulare per insegnarti come si usa quando qualcuno ti chiama!- ribattè acido, beccandosi un’occhiataccia non del tutto convinta.
-Tu, voi..- riprese, le parole bloccate in gola. -Dovete venire, Bibi.. lei..- esclamò senza fiato, facendolo irrigidire. –Sta male?!- chiese d’un tratto una voce proveniente dal piano di sopra, e gli occhi di Sabo si illuminarono nel vedere Perona. –Lei sta.. sta..-
-Sabo parla maledizione!- sbottò Ace prendendo il fratello per le spalle e scuotendolo con forza nel tentativo di fargli sputare fuori le parole, voltandosi appena incrociando la chioma rosa alle sue spalle.  

Perona si portò ai piedi delle scale, un brillio negli occhi che Sabo sembrò aver interpretato nel senso giusto. –Ace, credo che Sabo stia cercando di dire che Bibi è appena entrata in travaglio.- asserì apparentemente senza alcun tono nella voce, concentrata a fare mente locale su tutto ciò di cui avrebbe potuto aver bisogno l’amica in quel momento. Lo sguardo di Ace prese la stessa forma di quello già sul viso di Sabo, e per chissà quale interconcessione divina Perona si impedì di sospirare esasperata.

Panico, autentico panico.

Sperò che nessuno dei due avesse notato la nota di velata preoccupazione che le animava la voce, sapendo bene che un’interruzione di gravidanza al quinto mese è qualcosa che non sempre si può aggiustare, non senza perdere qualcosa di molto importante in cambio.

Eccome se lo sapeva.

Ma Bibi era forte, e potevano contare su tanti medici eccezionali, forse anche il dottore dei miracoli, Trafalgar Law. Il suo pensiero volò a Bibi, un’amica che non avrebbe potuto sperare di avere neanche nei suoi più sfrenati e gioiosi sogni, un’anima talmente potente da lasciarla senza fiato al solo pensiero di poterla perdere.

Era fuori discussione, assolutamente e totalmente fuori discussione.

Non si chiese cosa stesse provando Sabo, bastava guardarlo in faccia per capirlo. E Nemmeno si rese conto di aver detto effettivamente le parole che le erano passate per la mente, blaterando qualcosa sul fatto che Bibi avrebbe superato qualsiasi cosa e che sarebbe andato tutto bene, ritrovandosi due paia di occhi fissi su di se in trepidante speranza. –Beh, e allora?! Andiamo all’ospedale no?- esclamò con quanto più entusiasmo possibile facendo ad entrambi segno con una mano di muoversi mentre si accingeva a mettere su un borsone di fortuna con quello che aveva a casa e che Ace non aveva manomesso o distrutto o messo sotto i denti.

Sabo dal canto suo scattò immediatamente verso la porta, correndo verso la Ryuusouken parcheggiata alla bell’e meglio per poi appoggiarvisi senza fiato. Non appena aveva realizzato quello che stava succedendo, totalmente in balia del terrore, aveva chiamato Ace complusivamente sperando che rispondesse. Alla fine si era deciso a lasciare Bibi in buone mani, tra suo fratello Pell e suo cugino Koza, per correre a prendere quell’imbecille di suo fratello che a quanto pare non aveva ancora idea di come si usasse un telefono.

Sapeva che non avrebbe dovuto allontanarsi da lei, era la cosa più logica. Ma Sabo aveva bisogno di Ace per superare qualsiasi cosa sarebbe successa.

Ace e la sua idiozia, Ace ed il suo sorriso contagioso.

Ace e la sua fiducia incrollabile.

Cercò di regolarizzare il respiro, autonvincendosi che Bibi era al sicuro e che lui sarebbe tornato a stringerla presto e non da solo, ma il pensiero di ciò che stava per accadere lo terrorizzava oltre ogni limite.

Non poteva perderla, non così, in nessun cazzo di modo. Non poteva.
Ne lui ne quella creatura che ancora per poco forse avrebbe potuto chiamare suo figlio.

Una mano si posò sulla sua spalla, facendolo sobbalzare. Ace si era cambiato in fretta e furia e Perona portava tra le braccia una sacca strapiena di roba sicuramente utile, ed entrambi gli sorridevano incoraggianti. Sentì le lacrime pizzicargli pericolosamente gli angoli degli occhi, prontamente ricacciate con un sorriso a sua volta tirato e pallido, ma sincero.
-Grazie.- sospirò infilandosi in macchina al posto del guidatore, prontamente scansato da Ace che lo lanciò praticamente sul sedile del passeggero. –Ma che fai? Lo sai che non puoi guidare!- si stranì ricordandogli quel piccolo problema di narcolessia che gli aveva anche fatto perdere la patente.
-Si, e tu sei nel pieno di un attacco di panico. Direi che vinco io!- ribattè per niente contrito Ace sfilandogli le chiavi di mano ed accingendosi ad immetterle nel quadrante di accensione.

-Infatti non guida lui! Ace, mettiti dietro.- esalò perentoria Perona, avvicinandosi alla portiera ancora aperta ed invitandolo con lo sguardo ad accomodarsi sul sedile posteriore.

–Vodoo, io posso guidare benissim..-
-Non andrò all’ospedale per un parto anticipato e per farmi curare un trauma cranico da incidente stradale! E se non ti fidi, come credi che faccia ad venire da Kuragaina a qui ogni volta? Una carrozza trainata da cavalli demoniaci?- sbuffò lanciando il borsone dal finestrino aperto dritto dietro il sedile del passeggero, una mano tesa a pronta a ricevere le chiavi della macchina.

Ace la guardò, gli occhi spalancati, se possibile ancora più luminosi di quelli di Sabo che la fissava esattamente allo stesso modo.

-Che c’è?!- strillò quasi lei al limite della sopportazione, pronta a sentire una stronzata colossale per cui si sarebbe pentita di aver dato retta al suo istinto e non aver mandato Ace a quel paese un mese prima.
-Beh non è esattamente così! Sulla carrozza ci hai azzeccato, ma credevo fossero pipistrelli quei cosi che ti trasportano in giro di notte a fare incantesimi!-
Si spiaccicò una mano in faccia, picchiandolo con la poca forza che gli era rimasta per convincerlo a levarsi dai piedi prima di farsi picchiare sul serio.
-E io che pensavo fossero babbuini alati.- asserì quasi serio Sabo dopo qualche secondo, sorridendo mestamente suo malgrado insieme ad Ace, sbragato come al solito dietro di loro.

Con un sospiro la rosa mise in moto, decisa a non ascoltare più una parola da quei due almeno fino a destinazione, sgommando nel vialetto per immettersi nella strada principale.

Alla malora, lei, le sue scelte sdolcinate e quello stupido sorriso maledettamente mozzafiato di Ace!
 
 


***
 
 
Si sciacquò la faccia per la quinta volta, osservandosi allo specchio con occhio più critico che mai. Si sentiva un idiota, un perfetto imbecille a preoccuparsi così tanto dell’aspetto che aveva in quel momento, considerando che lui l’aveva visto in uno stato sicuramente molto peggiore di quello.

L’accenno di occhiaie violacee che portava di solito con arrogante disinteresse era più scuro che mai, e si, gli pesava.

Gli pesava presentarsi alla persona che aveva eretto a suo mentore e modello con quella faccia stravolta, la barba leggermente incolta e la vitalità di uno dei cadaveri dell’obitorio ospedaliero.

Si scrutò per l’ultima volta, fulminandosi da solo con lo sguardo.
 

“Andiamo maledizione, non sembrava così difficile dieci anni fa! Perché dovrebbe esserlo ora?!”
 
Uscì dal bagno annesso alla camera da letto, allentandosi la cravatta che si era deciso ad indossare manco fosse una matricola spaesata al ballo scolastico, cercando di non pensare a quanto quella situazione lo facesse sentire ridicolo.  A passo lento si avviò verso il corridoio, finalmente deciso a scendere in sala da pranzo per raggiungere Cora, Lamy e Pen.

Oh, e tutti gli altri di cui gli importava più o meno quanto i chili persi nell’ultima dieta da Mama, l’infermiera di pediatria del quinto piano.

Si concentrò sul suono dei suoi passi per calmare i battiti che sembravano pronti a fracassargli la cassa toracica, quando sentì qualcosa vibrare nella tasca. Si interruppe a metà delle scale ed estrasse il cellulare che non la smetteva di squillare impazzito. Riconobbe il numero apparso sul display, stupendosi non poco di trovarvi campeggiato il nome del Maggiore Monkey D. Sabo.

Non era esattamente una novità.

L’aveva chiamato un paio di volte, certo, più per insultarlo ed avvisarlo a non farsi strani pensieri sulla sua amica più che per accertarsi delle sue condizioni, anche se ogni conversazione finiva sempre allo stesso modo.
Sabo che lo minacciava di morte e Law che lo sfotteva alla sua maniera, lasciandogli il dubbio se picchiarlo o meno al loro prossimo incontro. Sospirò staccando la suoneria e lasciando lo schermo a lampeggiare ormai muto, reinfilandosi in telefono nella tasca e scendendo gli ultimi scalini. Non aveva tempo per ocuparsi anche di quella questione, non in quel momento.

E poi non doveva preoccuparsi mica il Maggiore Sabo.

Ci aveva già pensato lui a boicottare qualsiasi cosa avrebbe potuto costruire con quella stramaledettissima ragazza. Si passò una mano sugli occhi ripensando solo per un momento alla sua geniale trovata, ormai a pochi metri dalla porta scorrevole della sala da pranzo, fermandosi di botto di fronte ad essa e percependo dentro di se l’improvviso e travolgente impulso di imboccare il corridoio alla sua sinistra e scappare da li senza voltarsi indietro.
Sentiva quasi la voce di Eustass – ya che gli dava del cacasotto rompipalle, trovando insperatamente un po’ di energia dalla rabbia che il solo pensiero di quell’imbecille del suo migliore amico gli causava.

Fissò per qualche secondo le decorazioni in vetro che tempestavano la superficie satinata dell’infisso, puntando lo sguardo poco oltre quella corte annebbiata che lo separava dall’unica persona che per qualche strano motivo era l’ultima che si era aspettata di trovarsi davanti, in quella stupida e deprimente domenica.

E casualmente l’unica che avrebbe davvero voluto vedere in quel momento.

Con un ghigno e le mani in tasca fece l’ultimo passo, abbandonando la stupida idea di fuggire alla sola prospettiva di poter rivedere Cora – San.
Appoggiò una mano alla maniglia, e senza pensarci due volte, entrò.
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Vi racconto una storiella.
Ho iniziato a giocare a nascondino un anno fa, e chissà per quale motivo mi sono nascosta e non mi sono più trovata.
Ahahahah divertente, vero?
Ma ehi, meglio tardi che mai.
Non ho idea di chi segua ancora questa storia, ma se per caso vi foste chiesti se fossi effettivamente morta, beh.. vi do ragione a metà.
Spero che questo capitolo frutto un po’ della sessione, un po’ della sfrenata voglia di riprendere in mano la tastiera e buttare giù tutto ciò che mi gira in testa.
Utilizzerò questo spazietto a me concesso inoltre per ringraziare una persona straordinaria senza la quale ne questa, ne tante altre cose belle che per fortuna ho fatto e ricevuto nell’ultimo anno, sarebbero mai successe.
Grazie _Page.
Grazie per non aver mai smesso di credere in me, per avermi spronata e per avermi dimostrato che in fondo, niente è impossibile con la persona giusta al proprio fianco. Grazie per essere un’autrice sublime ed uno spirito gentile, ma soprattutto.. grazie per essere un’amica vera.
Questa storia è per te, lo è sempre stata e lo sarà fino alla sua conclusione.
Detto ciò vi mando un bacio e spero a presto,
 
Jules

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