High School Holmes

di Feisty Pants
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO I ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO IV ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO V ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO VI ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO VII ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO VIII ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO IX ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO X ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO XI ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO XII ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO XIII ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO XIV ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO XV ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO XVI ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO XVII ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO XVIII ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO XIX ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO XX ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO XXI ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO XXII ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO XXIII ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO XXIV ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO XXV ***
Capitolo 26: *** CAPITOLO XXVI ***
Capitolo 27: *** CAPITOLO XXVII ***
Capitolo 28: *** CAPITOLO XXVIII ***
Capitolo 29: *** CAPITOLO XXIX ***
Capitolo 30: *** CAPITOLO XXX ***
Capitolo 31: *** CAPITOLO XXXI ***
Capitolo 32: *** CAPITOLO XXXII ***
Capitolo 33: *** CAPITOLO XXXIII ***
Capitolo 34: *** CAPITOLO XXXIV ***
Capitolo 35: *** CAPITOLO XXXV ***
Capitolo 36: *** CAPITOLO XXXVI ***
Capitolo 37: *** CAPITOLO XXXVII ***
Capitolo 38: *** CAPITOLO XXXVIII ***
Capitolo 39: *** CAPITOLO XXXIX ***
Capitolo 40: *** CAPITOLO XL ***
Capitolo 41: *** CAPITOLO XLI ***
Capitolo 42: *** CAPITOLO XLII ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO I ***


I.
STRAMBE PRESENTAZIONI


 
“Insomma Anna, ti vuoi dare una mossa?! Di questo passo arriveremo in ritardo!” esclamò esasperata una ragazza di circa diciannove anni.

Era molto alta e magra senza un filo di grasso in eccesso. Indossava delle ballerine azzurre abbinate al cardigan e allo zaino di pelle che portava in spalla contenente diversi libri. I capelli biondi raccolti in una lunga treccia e gli occhi celesti spiccavano sul suo viso chiaro grazie all’ombretto e altri trucchi.

“Oh Elsa, sono le 7.20 e la scuola inizia alle 8.00! Si da il caso che noi abitiamo proprio a cinque minuti da quella. Un secondo!” rispose nervosa una giovane di diciotto anni, mentre scendeva le scale. Indossava delle normalissime converse blu in tinta con lo smalto che si era accuratamente sistemato. Era anche lei alta, magra e molto simile alla sorella se non fosse per i capelli tendenti al rosso, le lentiggini e la carnagione leggermente più scura.

“Non so te, ma non voglio arrivare in ritardo proprio il primo giorno della quinta superiore!” ribatté la maggiore aprendo la porta.

“Sei la prima persona al mondo che non vede l’ora di andare a scuola, va beh… buona giornata mamma e papà!” affermò Anna con un sorriso, uscendo dalla porta e salutando i genitori che stavano parlando in cucina e detto questo si diresse verso la scuola con la sorella.

Le due camminavano per strada parlando del più e del meno quando vennero interrotte da una giovane che piombò davanti ai loro occhi.

“Ciao Punzie!!” urlò Anna abbracciando la ragazza.

“Buongiorno cugine come state?” chiese lei dopo aver abbracciato anche Elsa.

Rapunzel, questo il suo vero nome, era una fanciulla molto bella di diciotto anni. Era compagna di classe e migliore amica di Anna, oltre ad essere loro cugina. Entrambe spensierate, agitate, spesso con la testa fra le nuvole. Rapunzel aveva dei lunghi capelli dorati, degli occhi color smeraldo ed indossava un maglioncino rosa, una gonnellina a fiori e delle converse bianche.

“Ora manca solo Merida, dovrebbe arrivare a momenti…” chiese Elsa preoccupandosi per il ritardo della sua coetanea.

“Sarebbe bello comparire in ritardo, sai quanto io ami la scuola mia cara Elsa, ma essendo il nostro ultimo anno voglio finirlo al più presto” disse una ragazza di diciannove anni alle sue spalle. Il colore dei vestiti era il verde. Aveva dei lucenti occhi blu, ma ciò che sconvolgeva era sicuramente la cascata di ricci rossi che sgorgava dalla sua testa e che nessuno doveva osare toccare.

Rapunzel ed Anna frequentavano il quarto anno di liceo coreutico-musicale in quanto entrambe dotate di una dolce voce e in grado di suonare degli strumenti musicali. La prima era una bravissima chitarrista, mentre la seconda un’abile violinista, per questo motivo venivano soprannominate “le artiste” nel loro strambo gruppo di amiche.

Elsa, invece, aveva deciso di intraprendere gli studi classici e per questo era la più educata ed “antica” del gruppo, sempre precisa, puntuale, ordinata, fissata con la perfezione. Merida, dal canto suo, avrebbe dovuto affrontare la maturità scientifica anche se quel liceo le era stato imposto da sua madre, con la quale non aveva un buon rapporto.

Arrivati all’ingresso della scuola ognuna di loro si diresse nella propria classe con l’accordo di ritrovarsi nel corridoio all’intervallo come ormai facevano da quattro anni.

L’intervallo arrivò e le ragazze si diressero fuori sbuffando dopo le prime ore di lezione in cui i docenti avevano già mostrato i loro istinti omicidi ritirando tutti i compiti delle vacanze.

“Hey, Merida, chi diavolo è quella?” domandò Anna vedendo una ragazza stramba che frugava annoiata nell’ armadietto.

“Ah, è una mia nuova compagna di classe. Si chiama Judy da quel che ho capito, ma è molto strana, infatti la gente le sta già alla larga, a me intriga un sacco invece.” 

“Allora andiamo a conoscerla dai!” propose Anna stringendo la mano dell’amica e portandola con sé.

Judy era una ragazza molto alta con dei capelli mori raccolti in una coda.

“Hey ciao! Ehm… piacere io sono Anna” prese l’iniziativa la giovane un po’ imbarazzata.

“Oh, non ricordavo di aver chiesto un amico!” rispose lei scettica sorridendo e continuando a guardare disgustata i libri che aveva davanti.

“Oookay…ehm veramente mi sembrava gentile” continuò Anna dopo aver guardato confusa Merida.

“Sì è vero gentile. Comunque io sono Judy Hopps, molto piacere” disse stringendole la mano e fu allora che entrò in contatto con i suoi straordinari occhi. Anna non aveva mai visto niente simile! L’iride pareva violacea con qualche sfumatura azzurra. Erano pochi i casi di incontrare gente con quel colore.

“Shh non dirmelo! So già chi sei!” interruppe l’estranea chiudendo l’armadietto e incrociando le braccia sempre con un sorriso fastidioso stampato in faccia.

“..cioè?” domandò curiosa, ma anche timorosa la diciottenne.

“Semplice. Età sicuramente diciotto anni, altrimenti, se fossi del quinto anno saresti probabilmente in giro preoccupata visto tutte le avvertenze che ci hanno dato i professori riguardo la maturità e non puoi di certo essere più piccola, perché di fisionomia non puoi mostrare meno di diciotto anni. Ti piace studiare ed è facile da intuire visto che i libri che ti porti appresso sono davvero trattati bene pur essendo i libri dello scorso anno. Sei la sorella minore di quella spilungona bionda là dietro e solo dal vostro abbigliamento si capiscono molte cose. Lei è una tipa maniaca dell’ordine e per questo motivo ha riordinato il suo armadietto catalogando i libri circa tre volte negli ultimi cinque minuti, controllando che ci fossero tutti. Le piace la moda motivo per cui sceglie i suoi vestiti con gusto, a differenza tua che indossi abiti meno sfarzosi e più sportivi. Deduco, quindi, che tu sia una ragazza abbastanza matura, ma ancora libera, con quell’animo buono da bambino sognante, ma con la testa tra le nuvole, motivo per cui tu e tua sorella litigate spesso anche se tra voi c’è molta affinità, visto che siete state insieme per metà intervallo, altrimenti due comuni sorelle tenderebbero ad evitarsi ad una ricreazione, non trovi?”

Anna e Merida rimasero a bocca aperta senza sapere cosa dire. Quella era pazza
“Ah, ed inoltre so che ti chiami Anna.”

No, questo era troppo, come faceva a saperlo?! Impossibile! Quella era sicuramente matta!

“Wowowo…fermati un attimo! Come fai a sapere tutte queste cose?! Ed anche il mio nome?!” domandò incredula Anna.

“Domanda alquanto banale. Mi dispiace svelare questo tuo enigma, ma hai scritto il tuo nome su tutti i libri che porti tra le braccia in questo momento, non è stato difficile. Comunque è stato davvero un piacere conoscerti Anna! La mia cara compagna Merida l’ho già conosciuta in classe e so che avremo altri momenti. Ora se volete scusarmi, la campanella suonerà tra tre, due, uno…”

Uno squillo annunciò la ripresa delle lezioni e Judy si allontanò dalle ragazze sempre con quel sorrisetto sulla faccia.

Le due amiche, invece, erano estremamente allibite. Quella doveva per forza avere qualche problema, o essere un genio! Per il conto alla rovescia non aveva nemmeno utilizzato un orologio quindi come avrebbe fatto a beccare in modo così preciso il suono della campanella?! E tutte le cose che aveva detto ad Anna? Era tutto vero!

“Quella ha qualcosa che non va. Penso che dopo scuola avremo qualcosa di interessante da raccontare alle altre” concluse ancora scioccata Merida e si diresse verso la sua classe.

Durante l’intervallo in atrio…


L’atrio, in modo particolare il bar, era colmo di gente. Moltissimi ragazze e ragazzi avevano cominciato a spintonarsi per raggiungere il bancone più velocemente e guadagnarsi una succulenta focaccia farcita che, come ben si sapeva, sarebbe terminata nel giro di pochi minuti. In un angolo dell’atrio si distingueva un gruppo di ragazzi che sorseggiava caffè e cioccolata appena comprata alle macchinette poste all’ingresso della scuola.

“Bene ragazzi, allora ci siamo eh! Siamo giunti in quinta liceo! Non so se ridere o piangere” disse un giovane dai folti capelli castani e gli occhi verdi.

“Stai zitto Hiccup! Io e Kristoff abbiamo ancora due anni da farci.”

“Povero Flynn, come cavolo hai fatto a farti bocciare l’anno scorso?! Mi divertivo così tanto in classe con te!” si intromise un ragazzo dai capelli biondi e gli occhi celesti.

“Stai zitto ghiacciolo!” sbottò ancora il giovanotto imbronciato dai capelli e occhi castani.

“Hey Kris, alla fine tua sorella Riley che indirizzo ha scelto?” chiese il ragazzo albino di nome Jack, rivolto all’amico al suo fianco: un alto giovane robusto dai capelli biondi e gli occhi nocciola.

“Oh beh, ha scelto scienze umane. Penso sia perfetto per lei.” Rispose lui.

 Kristoff e Jack erano cresciuti insieme, inseparabili fin da subito. Il primo avrebbe intrapreso la quarta liceo scientifico, mentre al secondo aspettava la maturità classica ed era un compagno di Elsa, anche se non andava sempre d’accordo con quest’ultima. Durante il primo anno di scuola, Jack strinse amicizia con Flynn ed Hiccup e, l’anno successivo, furono lieti di accogliere kristoff nella loro combriccola.

 Il giovane Flynn, invece, era ripetente. Dapprima compagno di Jack, poi bocciato e costretto ad intraprendere di nuovo la quarta superiore. Hiccup, il più mingherlino del gruppo, avrebbe dovuto affrontare la maturità linguistica in quanto appassionato viaggiatore, anche se avrebbe preferito scegliere un liceo che lo indirizzasse verso qualcosa che agevolasse la realizzazione del suo sogno di diventare un veterinario che, sicuramente una volta terminati gli esami, avrebbe perseguito decidendo una facoltà universitaria adatta.

“Le ragazze dove diamine sono?!” domandò Flynn guardandosi intorno cercando le nostre quattro giovani.

“Sono donne. Saranno sicuramente occupate, vedrai che le beccheremo appena finita la mattinata” constatò Kristoff e, dopo aver udito la campanella più odiata da tutti gli studenti, si diressero ognuno nella propria aula.

Quel giorno il sole splendeva e il caldo era ancora insopportabile. Per tutti gli alunni fu una sofferenza lasciare la scuola sapendo di dover, purtroppo, immergersi in quella noiosa routine che li avrebbe spremuti di nuovo fino al prossimo giugno, invece di tuffarsi nel mare fresco che li aveva rallegrati per tre mesi, terminati dannatamente presto. Dalla scuola usciva una quantità esorbitante di studenti. Alcuni entusiasti del loro primo giorno di liceo, altri che imprecavano ed erano già arrabbiati per la valanga di compiti assegnati che già li travolgeva.

“Guarda quel primino come è felice del suo primo giorno di scuola! Ah, Ah, Ah…non preoccuparti caro, qualche mese ancora e implorerai di poter tornare alle elementari”sbuffò schifato Flynn seguendo con gli occhi un ragazzino entrato per la prima volta in quel grande edificio.

“Cavolo Flynn, la scuola ti fa proprio schifo!” constatò ridendo l’amico Jack.

“No guarda la amo! Altrimenti perché mi sarei fatto bocciare?!” rispose sarcastico lui.

“Dai, la scuola non è così male!” si intromise Kristoff.

“Lo dici soltanto perché tu ti sei quasi conquistato Anna!” gli rinfacciò Flynn.

“Beh anche tu con Rapunzel non scherzi caro mio! Ci stai provando da secoli!” rispose il biondo.

“Peccato che lei mi abbia friend zonato mille volte” bofonchiò il bruno rivolgendogli un’occhiataccia.

“Tregua ragazzi, ecco che arrivano” interruppe Hiccup indicando un gruppo di fanciulle che uscivano dall’edificio dirette verso di loro. Anna, appena vide Kristoff, lo abbracciò, mentre le altre si limitarono a salutarsi calorosamente sorridendo.

“Bene, mentre ci dirigiamo verso casa raccontiamo come è andata oggi?” propose Jack felice di essere riunito al suo gruppo di amici al completo, anche se l’unica che lo infastidiva era Elsa, ma il bello era che riuscivano a parlarsi il meno possibile.

Abitavano tutti nello stesso quartiere a parte Kristoff che era l’unico a vivere nella zona più collinare e verde. Durante la loro camminata verso le rispettive case, parlavano di quanto accaduto nelle ore precedenti quando qualcosa attirò la loro attenzione in particolare quella di Merida e di Anna.

Judy era leggermente più avanti di loro e una donna l’aveva appena fermata per chiederle delle indicazioni stradali.

“Certo signora! Bene ora ci troviamo nella zona nord della città, lei deve raggiungere il paese che si trova a sud di questa. Le consiglio di chiamare un taxi perché è distante, ma se la vuole percorrere a piedi le darò le giuste indicazioni. Lo vede quell’incrocio davanti a lei? Bene, vada sempre dritta finché non troverà una rotonda. La percorra fino a prendere la terza strada a sinistra. Prosegua sempre lungo la strada principale, ma, dopo circa cento metri troverà Via Rossini a destra. Si deve immettere in quella per poi girare a destra, poi a sinistra ed infine ancora a destra. Potrà notare un supermercato e una chiesina gialla lungo la strada e troverà poi i cartelli che indicheranno l’arrivo a destinazione. Io le consiglierei di prendere un pullman. So che alle 13.42 passerà il pullman 6A che la porterà li. Se necessita di un biglietto lo può comprare in fondo a questa strada a destra”

La signora era rimasta perplessa dopo il racconto, ma, si allontanò riconoscente.

“Te lo avevo detto che quella è pazza! Sicuramente si è appena trasferita qui e già conosce tutto della nostra città!” esclamò incredula Anna.

“Secondo me ha passato i suoi primi giorni a giocare a Pokemon Go riuscendo così a memorizzare, non si sa per quale motivo, ogni strada.” 
Ironizzò Flynn non riuscendo a strappare un sorriso al gruppo che era troppo preso dalla stranezza di quella sconosciuta.

“Ciao ragazze!” disse Judy avvicinandosi al gruppo.

“Ehm…ciao Judy! C-come è andata oggi?” chiese Anna un po’ intimorita.

“Noioso, superfluo e banale. Solite lezione soporifere per riempirci il cervello di nozioni inutili che conosco già, quindi in compenso, diciamo che mi sono divertita a osservare i miei compagni e conoscerli.”

“Io, però, non ti ho vista parlare con nessuno dei nostri compagni” affermò Merida.

“Oh, certo, ma io trovo inutili le parole quando un solo sguardo può farmi intuire la tua vita.”

“Pff, che diavolo fai? Uno scanner alle persone?” si intromise Flynn.

“Mmm…vediamo. Ragazzo di diciannove anni. I libri posti in modo disordinato all’interno della tua borsa, i capelli spettinati e i pantaloncini fin troppo corti e non adatti ad un ambiente scolastico, mi fanno intuire che tu odi la scuola. Atteggiamento scorbutico ed inopportuno con il desiderio di mettersi in mostra e fare da leader al gruppo. Sicuramente il tuo carattere e il comportamento incontrollato hanno provocato, in modo parziale, il voto basso in condotta che ha giocato sulla tua promozione. Devo andare avanti? Sicuramente sarai pieno di molte e belle qualità ma che, mmm, vediamo… non mi interessano. Bene, arrivederci.”

E detto questo, si allontanò, ancora con quell’odioso sorrisino vittorioso.

“E’ una psicopatica!” urlò Flynn scioccato.

“Sociopatica iperattiva, non scordartelo Ryder!” ribatté lei, ormai in fondo alla via.
 
Angolo Autrice:
Salve a tutti! Giuro non avrei mai pensato di tornare a scrivere così presto, ma ho avuto un’ispirazione.
Prima di tutto voglio chiarire molte cose.
I ragazzi si trovano in un liceo italiano perché mi piaceva l’idea di dividerli in vari indirizzi a seconda delle loro capacità. I fatti delle storie originali non verranno del tutto seguiti. Per esempio i genitori di Elsa ed Anna sono vivi ecc…
Elsa qui ha 19 anni ovvero uno in più di Anna, non 3 in più come nella storia originale perché altrimenti sarebbe stata troppo grande. Anche agli altri personaggi ho cambiato l'etá. 
Questo cross-over, oltre a parlare di beautiful, tratterà di spionaggio e giallo. Come avrete intuito Judy è una tipa stramba, forse un po' OOC, ma nel corso della storia imparerete a conoscerla, sappiate solo che qui, interpreta un po’ il ruolo di Sherlock Holmes (Mi sono innamorata della serie tv) e lo trovo un personaggio simile a lei.
Arriveranno altri personaggi. Riley ce la vedo come sorella di Kristoff…
Bene questo era solo il primo capitolo. Aggiornerò tra moltissimo tempo perché domani parto e tornerò il 23 agosto dalle vacanze, ma non volevo aspettare e ho buttato giù questa idea…
Che ne pensate?
Baci
Anna

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Capitolo 2
*** CAPITOLO II ***


 
II.
UN'AMICA DELLE ARTI MARZIALI

"Allora ragazze? Come è stato questo primo giorno di scuola?" - chiese la mamma delle due sorelle mentre serviva il pranzo sui loro piatti.

"Bene è stato molto interessante anche se hanno già iniziato a metterci ansia per la maturità" - rispose Elsa versandosi dell'acqua nel bicchiere. 

"Tranquilla Elsa, vedrai che non avrai nessun problema a passare l'esame di stato. Se continui a studiare come hai sempre fatto probabilmente vedremo la Lode!" - aggiunse il padre intento a tagliare la carne.
 
"E tu principessa? Come è andata?" - domandò poi la madre notando lo strano silenzio della secondogenita.

"Ehm... si scusami mamma ero intenta a pensare. A me è andata benissimo, pare tutto molto interessante ma...non so oggi qualcosa mi ha stupita. In classe con Merida è arrivata una nuova ragazza un po' strana. Abbiamo provato a fare conoscenza, ma lei è stata troppo fredda e si è allontanata." - spiegò la fanciulla confusa. 

"E come si chiama questa nuova alunna?" - si incuriosì il padre versandosi del vino. 

"Judy Hopps"

Uno strano silenzio avvolse i presenti, in particolar modo i due coniugi che si guardarono un po' preoccupati. 

"Perché quelle facce? La conoscete?" - domandò la figlia maggiore inarcando le sopracciglia.

"Si tesoro ne abbiamo sentito parlare. È una ragazza strana è vero, ma ricordate che dietro ad ogni persona c'è sempre una storia. Io di Judy so solo che in pochissimo tempo ha dovuto trasferirsi qui. I suoi genitori sono morti qualche mese fa e la causa è ancora nascosta. Un giorno si sono allontanati in macchina e i loro corpi sono stati trovati su una strada. Si pensa sia stato un incidente d'auto, anche se l veicolo non è mai stato ritrovato." - spiegò il padre cupo tenendo lo sguardo sul piatto. 

"Probabilmente è per questo che la vedete solitaria e fredda... datele del tempo e siate sempre gentili con lei. Vedrete che con un po' di aiuto e con il vostro affetto la vita qui non le sembrerà più tanto male" - concluse la madre e il pranzo proseguì accompagnato da nuovi discorsi.
Le sorelle, però, ebbero modo di parlare di nuovo di quanto scoperto riferendolo anche alle amiche.
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“Ragazzi quest’anno, per appassionarvi di più allo studio di chimica, ho deciso di proporvi un lavoro a coppie. Avrete tempo una settimana per portarmi una relazione su una reazione chimica a vostra scelta.” - propose la professoressa di Chimica pochi secondi prima del suono della campanella e l’idea di questo lavoro coinvolse la maggior parte della classe.
 
Merida ascoltò l’indicazione con attenzione e si guardò intorno.
Ogni compagno cercava lo sguardo dell’amico del cuore sperando di poter svolgere il compito con lui. Merida decise, allora, di chiedere a Judy di collaborare. La giovane ragazza dai capelli rossi aveva scoperto la storia passata di Judy grazie al racconto delle amiche e l’attività scolastica a coppie le sembrava una buona occasione per conoscerla meglio.
Aspettò il suono della campanella e si avvicinò al suo banco. 

“Judy...” 

“Ciao Merida, sì va benissimo fare il lavoro con te mi sembri molto sveglia, rispetto a tutti i compagni. Volentieri lavoreró con te quindi come ci accordiamo?” - la anticipò Judy sistemando i quaderni nella cartella. 

Merida rimase impietrita! Come faceva a sapere che le avrebbe chiesto quello? 

“O-o-ok...ehm anche per me è una buona idea. Facciamo a casa mia? Domani pomeriggio ti va bene?” - propose lei una volta ripresa dallo shock.

“Domani è perfetto. Grazie per avermi scelta” - disse Judy abbozzando un sorriso. Per Merida fu strano vederla sorridere e le propose di uscire dalla scuola insieme.
Mentre parlavano, però, Judy notò qualcosa che la incuriosì. In fondo al corridoio vide Elsa intenta a riordinare l'armadietto, ma non era sola. Dietro di lei un ragazzo alto, dai capelli rossi le stava accarezzando i fianchi nonostante la ragazza continuasse ad allontanargli le mani.

“Ancora lui... Non ci credo! La scuola è appena iniziata e già rompe le scatole!” - si arrabbiò Merida notando per l’ennesima volta quella scena ed entrambe si avvicinarono all’amica in difficoltà.

“Dai Elsa non puoi continuare a dirmi di no! Io lo so che tu mi vuoi! Fai tanto la santarellina, ma io so che dentro di te vorresti vivere emozioni uniche con me! Io te le posso dare sai? E anche...” 

“Hey! La facciamo finita?” - domandò Judy senza il minimo timore e con una mossa pronta afferrò il braccio del ragazzo allontanandolo dal corpo di Elsa.

“Che diavolo vuoi te, sfigata?!” - chiese lui guardando la nuova giovane con occhi roventi. 

“Hans Westengard, il bullo della scuola immagino” - rispose lei incrociando le braccia senza la minima paura.
Elsa e Merida si guardarono sorprese chiedendosi che razza di fegato avesse quella ragazza. Nessuno aveva mai osato ostacolare Hans!

“Hey Hans, che c’è? Ti da fastidio la nuova arrivata?” - domandò un ragazzo altissimo con i capelli neri come la pece e pallido come la morte e, proprio per queste sue caratteristiche, veniva soprannominato Pitch Black.
Pitch era considerato il peggior bullo della scuola e non si spostava mai senza il suo branco costituito da diversi ragazzi. Il migliore amico di Pitch era sicuramente Hans e le sue guardie del corpo erano due fratelli gemelli muscolosi con i capelli rossi dai quali non si separava mai.

“Ohoh la squadra al completo! Il capo, il suo vice, i due scagnozzi e l’indifeso... Il gruppo perfetto per spaventare la scuola” - ironizzò Judy osservando il giovane alto e con i capelli di un biondo fragola e gli occhi verdi di nome Nick, silenzioso e nascosto dietro ai gemelli.
Judy comprese, solo al primo sguardo, che lui era il bullo obbligato ad essere tale. Era sicuramente il più furbo e il più vanitoso perché, per farsi notare dalle persone, girava con questi imbecilli che in realtà non reputava amici.
Tutto questo rimase celato nella mente di Judy. Probabilmente estraniare tali considerazioni avrebbe fatto surriscaldare troppo i cervellini di quei poveri ragazzi ignoranti generando delle reazioni esagerate.

“Ma si può sapere cosa vuoi te eh?! Hopps sei giusto? La new entry che ha perso i genitori? Beh sai sei molto carina in realtà! Questa mancanza che senti nel cuore sono sicuro di potertela colmare” - scherzò Pitch aggiungendo i soliti riferimenti sessuali sicuro di poter possedere, prima o poi, qualsiasi ragazza dell’Istituto. 

“Lasciatela in pace!” - urlò Merida difendendo Judy al momento destabilizzata dalle parole dette dal bullo. 

“E perchè mai? È una bella tipa e ha degli occhi vogliosi e potremmo...” - Pitch non riuscì a terminare la frase perché, appena avvicinato a Judy, fu respinto dalla sua reattività.
La ragazza, infatti, afferrò il suo braccio girandolo dietro alla schiena e spingendo poi il ragazzo violentemente contro un armadietto.
Il tonfo fu così forte che tutta la scolaresca si zittì e si mise ad osservare la scena.

“Prova ancora una volta a toccarmi o a dare fastidio a queste ragazze e ti garantisco che ti spezzo il braccio usandolo come grissino per il tonno” - ringhiò lei avvicinandosi all'orecchio dell'avversario.
Dopo qualche secondo, con un altro scossone, liberò il cattivone che, intimorito e imbarazzato per la figura appena mostrata, fece cenno ai suoi seguaci di lasciare la scuola. 

Quando i bulli si allontanarono, le nostre ragazze preferite si avvicinarono a Judy tempestandola di ringraziamenti e di domande. 
Judy non rispose.
Congedò le ragazze con un cenno della testa e si allontanò anche lei, senza che voleva rimanere sola.
 Questo episodio fece capire a molti che Judy Hopps aveva un lato tenero...ma anche un centinaio di cinture nere di karate nascoste nel cassetto.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO III ***


III.
UNA PRIMA AMICA
 
“Elsa questa situazione non va per niente bene.” - sbuffò Punzie con le braccia conserte. 

“Esatto bisogna intervenire! Non puoi continuare a ricevere questo trattamento da Hans!” - esordì sua sorella appoggiata ad un albero fuori dalla scuola.

“Cosa volete che faccia?! Niente! Se apro bocca poi è peggio!” -rispose lei alzando il tono di voce. 

“Ho capito ma noi maschi siamo così! Potrebbe farti veramente del male!” - si aggiunse Flynn. 

“Beh stai sicura che per un po’ di tempo non ti romperà le scatole. Avete visto tutti quella Hopps vero? Che coraggio!” - si intromise Kristoff. 

“Esatto pazzesco! Quella mossa poi! Sicuramente fa arti marziali” - aggiunse Hiccup. 

“Dovete tenervela stretta ragazze... Dobbiamo cercare di inserirla nel nostro gruppo” - propose Jack. 

“Si, domani pomeriggio viene a casa mia. Cercherò in tutti i modi di conoscerla meglio” - concluse Merida e il gruppo si sciolse andando ognuno per la propria strada. 
 
 
“Merida il campanello!!” - avvisò la madre della ragazza: una donna alta dai capelli neri intenta a lavare le pentole dopo il pranzo appena consumato.
“Arrivo subito” - rispose Merida mentre scendeva le scale, ma venne immediatamente bloccata dai suoi fratelli di circa undici anni.
 
“Chi è?” - domandò uno dei tre.
 
“Una mia compagna di classe” - rispose la maggiore girando la chiave nella serratura.
 
“È brava a scuola?”
“Perché viene da noi?”
 
“Ragazzi! Calma! È una mia normalissima compagna, è qui perché abbiamo un compito da svolgere per scuola, quindi non rompete per favore” - interruppe la sorella alquanto scocciata.
 
“Ok, mamma noi andiamo a giocare alla play al gioco dell’orso” -  propose uno dopo le parole di Merida.
 
“Assolutamente no! Correte a fare i compiti!” - urlò la madre dalla cucina.
 
“Ma mamma, siamo solo ai primi giorni di scuola! Non abbiamo tanti compiti!” - si lamentò un fratello.
 
“Avete avuto tre mesi di vacanze per giocare ora basta! Solo al sabato e alla domenica potete farlo!” - disse la mamma asciugandosi le mani e avvicinandosi ai figli.
 
Merida decise per l’ennesima volta di far finta di niente, ormai abituata ai capricci pomeridiani e aprì la porta.
 
“Ciao Judy, scusa se ti ho fatta aspettare. In questa famiglia la tranquillità è difficile da trovare” - affermò Merida facendo segno alla ragazza di accomodarsi e, dopo aver salutato il resto della famiglia ancora intenta a litigare, si diressero nella camera da letto.
 
“Perdonali… quando iniziano a urlare non finiscono più” - si scusò Merida una volta seduta sul letto.
 
“Non preoccuparti” - rispose l’ospite osservando attentamente la stanza della compagna.
 
“Allora iniziamo?” - propose Merida e Judy, con un cenno della testa, acconsentì. Prese il suo zaino e, con cautela, estrasse diversi oggetti che Merida aveva visto solo nei laboratori di chimica.
 
“Non ti preoccupare, non rovinerò niente della camera. So utilizzare bene i miei strumenti.” - la tranquillizzò Judy una volta notato lo sguardo della nuova amica.
 
“O-ok mi fido di te. Come fai ad avere tutte queste cose?” - domandò Merida curiosa. Quegli strumenti saranno costati moltissimo!
 
“Erano dei miei genitori. Facevano questo di lavoro e io ho ereditato l’amore per la materia” - rispose Judy senza guardarla in volto.
 
“Mi dispiace, non volevo parlare di loro. Scusami se ti ho fatto male” - disse Merida insultandosi da sola per ciò che aveva detto.
 
“Perché dovresti scusarti? Non lo sapevi… iniziamo?” - concluse Judy cambiando argomento e le due amiche si misero all’opera.
 
Dopo circa un’ora e mezza le due finirono l’esperimento scrivendo accuratamente la relazione per l’insegnante. Merida aveva osservato la compagna attentamente durante il lavoro e rimase affascinata dalla sua maestria nel maneggiare gli oggetti, era stupefacente!
 
“Ora che abbiamo finito ti andrebbe una merenda? Un po’ di succo magari” - propose Merida dirigendosi verso la porta.
 
“Certo! Molto volentieri grazie!” - rispose l’ospite.
 
Merida si diresse fuori lasciando Judy intenta a guardare le fotografie attaccate alle pareti. Alcune immortalavano la ragazza con i tre fratelli più piccoli e il padre, da questo Judy capii che Merida non aveva di certo un ottimo rapporto con la madre. Altre immagini ritraevano, invece, Merida a equitazione o a tirare con l’arco.
 
“Tutto ok?” - chiese la proprietaria di casa entrando in camera con la merenda tra le mani.
 
“Da quanto tempo fai questi sport?” - domandò Judy avvicinandosi a lei.
“Da quando sono piccola. Sono la mia vita si può dire.” - rispose lei offrendo il cibo all’amica.
 
“Devi essere molto brava” - si complimentò Judy.
 
“Tu fai arti marziali giusto?” - domandò allora Merida prendendo la palla al balzo.
 
“Si fanno parte di me. Da piccola sono stata obbligata a farlo in modo intensivo. Ho smesso dopo l’incidente dei miei. Ora però penso di ricominciare.”
 
“In questa città sono molto bravi a farlo! Se vuoi ti posso dare qualche contatto di chi fa i corsi” - aggiunse Merida.
 
“Grazie sei molto gentile!” - ringraziò Judy. Seguirono attimi di silenzio finché Judy non aprì un altro discorso.
 
“A te non piace lo scientifico” - constatò lei.
 
“Ehm… cosa?” - chiese Merida impreparata di fronte alla domanda.
 
“Sei stata obbligata da tua mamma con la quale non hai un buon rapporto.”
 
“Sì” - rispose l’altra con la voce bassa.
 
“È solo un liceo ed è quasi finito. Tranquilla che riuscirai a trovare la tua vera strada e seguire le tue passioni” - la confortò Judy e Merida rimase colpita dalla ragazza che in quel momento la stava consolando…da amica.
 
“Tu cosa vorresti fare nella vita?” - le domandò Merida.
 
“Vorrei entrare in polizia. Mi piacerebbe costruire un lavoro da sola da investigatore privato ma per il momento preferirei essere affiancata da altre persone” - concluse l’altra.
 
“È la tua strada! Saresti sicuramente importante nel corpo di polizia! Servono agenti come te. Penso che tu abbia un dono. Ti ho vista a scuola! Conosci tutto di tutti solo grazie all’intuizione e all’osservazione e hai anche molto coraggio” - disse la rossa.
 
“Grazie per quello che dici. Sai, non ho mai trovato persone in grado di dirmi questo. Nelle altre scuole sono sempre stata messa da parte. Ti chiedo scusa quindi se mi sono presentata come una persona scontrosa e solitaria.” - aggiunse Judy preparando le sue cose per lasciare la casa e si diresse verso la porta ringraziando ancora Merida per l’ospitalità.
 
“Aspetta…riguardo a quello che mi hai appena detto vorrei aggiungere qualcosa. So che per te questo è un periodo difficile. Mi hai detto tu stessa che molte cose sono cambiate, ma io voglio aiutarti! Nelle altre scuole non ti sarai trovata bene, ma qui sono sicura che starai alla grande. Per questo volevo invitarti a conoscere meglio il mio gruppo di amici. Ti assicuro che siamo tutte persone per bene e anche loro non vedono l’ora di stare con te. Che ne dici? Non voglio lasciarti da sola… io a parte Elsa e gli altri non ho nessuno. I ragazzi sono la mia forza e sono sicura che insieme ci potremo aiutare a vicenda” - disse Merida fermandola alla porta.
 
Judy, a sentire tali parole, sorrise di cuore e guardò Merida riconoscente. Il detective che era in lei le fece capire che aveva di fronte una persona vera e buona. Qualcuno di cui poteva veramente fidarsi, una futura amica.
 
“Domani mattina ti aspetto alle 7.25 sulla strada principale. Io e le ragazze ci incontriamo li tutti i giorni per andare a scuola insieme. Ti aspetto” - aggiunse Merida notando il bellissimo sorriso sulle labbra di Judy.
 
“Ci sarò” - furono le uniche parole che Judy espresse, prima di allontanarsi ancora sorridente.  
 
 
NDA:
Ciao a tutti! Prima di tutto voglio ringraziare chi continua a seguire le mie storie e quelle tre persone Yukiwhite, Evy91 e Hakihaki che, nonostante il tempo trascorso, sono state qui pronte a leggere la mia storia e a recensire. Grazie mille a voi!
Per quanto riguarda il capitolo cosa ne dite? Judy pian piano si sta aprendo. Come potete vedere non è per nulla cattiva, anzi…ha un lato tenero! Molto semplicemente per non soffrire preferisce chiudersi in se stessa… soprattutto dopo ciò che ha passato.
Un saluto a tutti
Anna

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Capitolo 4
*** CAPITOLO IV ***


 
IV.
SEGRETI

 
“Davvero ieri è andata così?!” domandò Anna incredula dopo il racconto di Merida riguardante il suo pomeriggio con Judy.
“Hai fatto davvero bene ad invitarla. Sembra una bravissima ragazza!” aggiunse Elsa.
“Spero solo che arrivi alla strada principale” disse Merida speranzosa.
“Vedrai che verrà. Ne sono più che sicura” la incoraggiò Rapunzel.
E fu proprio così. Le amiche non volevano credere ai propri occhi ma, all’incrocio per raggiungere la strada principale, trovarono Judy seduta su un muretto ad aspettarle.
“Ciao Judy!!” salutò Merida felice di vederla lì con loro ma qualcosa catturò la sua attenzione. La ragazza sembrava dolorante e, sulla sua guancia sinistra, era visibile un taglio arrossato, non esageratamente profondo, ma sicuramente recente di qualche minuto.
“Stai bene?” chiesero le altre una volta notato lo stesso particolare.
“Sì…non vi preoccupate” rispose lei non riuscendo a trovare le parole.
“Sei sicura? Cosa è successo?” chiese Anna preoccupata.
“Niente di allarmante davvero. Grazie per il vostro interessamento, ma ora andiamo vi prego” concluse lei e le amiche fecero cenno a Merida, la più vicina a Judy, di fare luce sulla situazione.
Il gruppo si incamminò verso la scuola e Merida, una volta vicino a Judy le chiese:
“A me puoi dire tutto lo sai!”
“Questo non te lo posso dire ancora. Scusami. Stammi vicina…ti chiedo solo questo” rispose l’altra tenendo ancora lo sguardo basso.
“Certo” riuscì a dire Merida spaventata per la sua nuova amica e, senza aggiungere altro, si diressero verso la scuola.
“Questa lezione è veramente orribile” sussurrò Merida all’orecchio di Judy che vedeva silenziosa e triste nel suo banco.
“Come darti torto” rispose lei alzando gli occhi al cielo.
“Beh forse qualcosa di più orribile c’è” affermò la rossa.
“Cosa?” chiese l’altra curiosa.
“Il vestito della prof!! Insomma…come si fa ad andare in giro con una roba del genere addosso?” domandò Merida felice di ricevere in risposta una risata soffocata da parte di Judy.
“Le due simpaticone in fondo alla classe hanno intenzione di finirla? Non voglio avvertirvi una seconda volta” rimproverò l’insegnante accortasi della distrazione delle due alunne.
“Ci scusi” rispose Merida e, dopo essersi scambiate un sorriso, aspettarono il suono della campanella.
“Judy…perché stamattina mi hai chiesto di starti vicina?” domandò Merida una volta sole nei corridoi.
La domanda non era per nulla inaspettata da Judy che rispose prontamente:
“Perché non posso restare da sola…”
“Cosa è successo stamattina? Perché quel graffio Judy? Devi dirmelo! Come faccio a restarti accanto altrimenti?” chiese Merida alquanto preoccupata.
“Lo so, lo so…tu pretendi di sapere ma io non posso parlartene ancora! Stamattina non è successo nulla di grave ed è andata bene. L’importante è questo.”
Concluse lei entrando di nuovo in classe e Merida, confusa, preferì non interferire.
 
Nel pomeriggio Elsa, Rapunzel, Anna e Merida decisero di studiare insieme e, durante la merenda, iniziarono a parlare del più e del meno.
“Quindi come sta procedendo la quinta?” domandò Rapunzel rivolta alle due ragazze dell’ultimo anno.
“A me benissimo, cioè per ora i voti sono buoni” rispose Elsa.
“Facile per te dirlo… a me sta andando discretamente. Potrei fare di meglio ma non ne posso più. Fare questo liceo è sempre stata una forzatura” aggiunse Merida.
“Beh ma ormai ci sei e l’hai quasi finito Meri! Prova ad impegnarti un po’ di più e intanto pensa a cosa fare l’anno prossimo no?” puntualizzò Elsa.
“E ciao… dove vuoi che vada io? Con mia mamma così addosso andrà a finire che farò medicina perché è ciò che vuole lei!” disse lei scocciata.
“Non puoi andare avanti a viverla così però Meri! Hai quasi 19 anni e il tuo futuro dipende da te stessa! Non puoi lasciare che tua mamma ti comandi a bacchetta! Devi dirlo a lei!” consigliò Rapunzel.
“Lo so avete ragione, ma non è semplice… va beh vedrò. Cambiando argomento, sono preoccupata per Judy. Insomma l’avete vista tutti oggi! Aveva quel graffio, continuava a guardarsi intorno e mi ha chiesto di non lasciarla mai sola…altro non mi vuole dire” continuò Merida.
“Anche io sono preoccupata… sicuramente ci nasconde qualcosa che è più grande di lei. Magari c’è qualcuno che la infastidisce o addirittura la picchia” si intromise Anna che per tutto il resto della conversazione aveva la testa fra le nuvole e pensava ad altro.
“Per forza ci sta nascondendo qualcosa! Non possiamo però pretendere di capire cosa sia! Per capire cosa le stia succedendo dobbiamo stare con lei e diventare sue amiche. Di sicuro potremmo invitarla alla festa di capodanno, ma organizziamo qualche pomeriggio e qualche uscita insieme prima di questo evento che sarà tra 3 mesi!” propose Rapunzel guardando le altre.
“A proposito di uscite…scusatemi ma tra 20 minuti esco” aggiunse Anna un po’ imbarazzata.
“Ah si? E dove vai?” chiese la sorella incuriosita.
“Esco dai…” cercò di dire lei abbassando lo sguardo.
“Con Kristoff eh?” stuzzicò Merida maliziosa.
“Sì…” rispose lei velocemente.
“Ma allora è vero! State insieme?!” domandò sua sorella ancora più scioccata.
“No! Cioè… lui si è dichiarato più o meno, ma non mi ha ancora baciata e fa finta di niente…boh è un comportamento strano” Spiegò Anna vincendo l’imbarazzo.
“Beh…gli altri nostri amici non sono proprio degli “esperti in amore” quindi non sanno aiutarlo molto…” affermò Merida versandosi del succo d’arancia.
“Vero… però sono dei bei e bravi ragazzi. Fisicamente sono stra fighi tutti, Flynn incluso, anche se lui a livello di comportamento deve ancora crescere un po’.” Disse Rapunzel con spirito critico.
“Già…va beh allora io vado eh” terminò Anna alzandosi dal tavolo e sistemandosi i capelli.
“Vai principessa che sei già bellissima…in bocca al lupo” salutarono le amiche.
Anna rispose con un sorriso e si diresse fuori con il cuore a mille e le farfalle nello stomaco. Durante gli anni di liceo tra lei e Kristoff si instaurò uno stupendo rapporto che, durante i mesi estivi, si trasformò in qualcosa di più profondo. Ora Anna camminava speditamente per raggiungere in fretta il luogo dell’incontro… sperando di ricevere lì il suo primo bacio con il ragazzo dei suoi sogni.
 
NDA:
Ciao a tutti. Lo so, lo so come sempre torno ad aggiornare dopo secoli, ma in questi giorni continuavo a pensare a questa storia, mi è tornata l’ispirazione ed eccomi qua.
Spero che i più appassionati della storia come Evy, Yukiwhite e Hakihaki non mi abbiano abbandonata ahah.
Spero di poter aggiornare presto, università permettendo. (ho già un capitolo da parte).
Secondo voi nel prossimo capitolo sboccerà l'amore? 
A presto
Anna

 

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Capitolo 5
*** CAPITOLO V ***


 
V.
A WISH COME TRUE
 
 
Anna camminava speditamente per raggiungere velocemente il luogo dell’appuntamento. Nella sua testa frullavano tantissimi pensieri, il cuore le batteva all’impazzata ed era affannata. Il sole aveva colorato tutto il cielo e stava ormai per nascondersi dietro le montagne…un tramonto! Quale scenario migliore per un appuntamento romantico?

 Il luogo dell’appuntamento era un semplice parco, situato lontano dal centro del paese, che si affacciava su un laghetto. All’apparenza non possedeva nulla di particolare, ma tutti gli abitanti l’amavano perché qualche minuto in quel parco permetteva di rilassarsi e di allontanarsi dalla vita frenetica. Per questo motivo il parco era curato da tutti. C’era chi tagliava l’erba e curava le aiuole, chi puliva i sentieri, chi attaccò delle altalene e delle amache agli alberi e, addirittura, chi costruì delle barche in legno per attraversare il piccolo lago. Anche per Anna quel posto era speciale perché aveva custodito i suoi pianti dovuti alla tristezza, alla rabbia, ai litigi con Elsa e con gli amici, i suoi sorrisi causati dalle feste e dal divertimento e i suoi momenti con Kristoff.

Anna incontrò Kristoff proprio in quel bosco quando erano in terza media.
Quel giorno era molto triste perché era stata trattata male ed usata da persone che considerava amiche.
 Era un giorno invernale molto freddo e, nonostante ciò, Anna sentì il bisogno di sfogare la rabbia e la tristezza proprio nel suo amato parco. Appena giunta nel luogo si abbandonò al pianto senza però accorgersi di non essere sola.

“Perché piangi?” chiese un ragazzo robusto dai capelli biondi.

Anna, a sentire la domanda, alzò la testa e, asciugandosi gli occhi, vide il giovane.
In un primo momento non le sembrò bellissimo perché era tutto sudato, sporco di terra e con addosso vestiti pesanti e trasandati. Solo dopo una seconda occhiata notò il piccone che teneva nella mano destra e pensò che, probabilmente, era uno dei tanti volontari che in inverno si prendevano cura del parco.

“Non è niente…ho solo capito che in questo mondo non bisogna mai fidarsi di nessuno. Chi dice di volerti bene in realtà lo fa per usarti” confidò lei senza imbarazzo verso lo sconosciuto.

“Oh beh è il mondo che gira così. Oggi ti volta le spalle uno e domani lo farà un altro. Nonostante questo però non ti devi arrendere… prima o poi troverai gli amici giusti perché sappi che da soli non possiamo andare avanti” consolò lui sedendosi accanto a lei e continuò:

“Capita a tutti di avere giornate no…guarda me per esempio. Anche per me oggi è stato un brutto giorno, ma non voglio farmelo rovinare. Ogni giorno è un dono e io voglio andare a dormire stasera con la coscienza a posto e con almeno un ricordo bello all’interno della giornata storta. Per questo sono venuto qui e mi sono messo a spaccare il ghiaccio che si è formato sul sentiero che porta al lago. Può sembrare un gesto banale ma mi diverte, mi aiuta a sfogarmi e, soprattutto, mi fa sentire utile perché, grazie a questo gesto, nessuno scivolerà sul sentiero del parco.”
Dopo questo racconto Kristoff prese Anna per mano e la portò a vedere il lago.

Da allora diventarono migliori amici trascorrendo mesi e anni in quel parco fino a questo giorno dove, forse, avrebbero concretizzato il loro amore.
 
Anna raggiunse finalmente il parco e trovò Kristoff in riva al lago intento a guardare il tramonto. Appena notò Anna, balzò in piedi e si sistemò la maglietta leggermente imbarazzato.
La ragazza si avvicinò a lui e gli diede un bacio sulla guancia come era solita fare ed invitò il giovane a sedersi accanto a lei. Rimasero per degli interminabili secondi in silenzio finché Kristoff non fu il primo a rompere il ghiaccio.

“Anna…oggi è un giorno molto speciale e…”

“Perché è un giorno speciale?!” interruppe lei curiosa.

“Non iniziare ad interrompermi furia scatenata! Non posso dirti ancora perché è speciale ma gradualmente lo capirai. Ora…vuoi giocare?” domandò lui sorridendo.

“Aspetta…che?” chiese lei perplessa inclinando la testa.

“Mi aspettavo questa risposta…tranquilla. Oggi ho preparato qualcosa di speciale per te, vieni con me” concluse lui prendendola per mano e portandola all’ingresso del parco.

“Ricordi? Qui è dove ci siamo conosciuti e oggi voglio ripercorrere con te i momenti più belli trascorsi insieme.” disse lui facendo sedere Anna su una panca.

“Qui è dove tutto è iniziato. Ricordo che per me era un giorno brutto…ero triste, arrabbiato e spaccavo senza sosta il ghiaccio dal sentiero quando ho visto te. Avevi i capelli raccolti, eri un po’ più grassottella di adesso, avevi i lineamenti ancora dolci di una bambina e stavi piangendo. Non so cosa sia successo quel giorno ma qualcosa in me cambiò. Per un attimo misi da parte il mio orgoglio e mi avvicinai a te per consolarti e da lì siamo diventati amici. Per questo oggi ho un piccolo regalo da farti” disse lui togliendo dalla tasca una piccola pietra bianca e porgendola ad Anna.

“Grazie Kris ma, cos’è?” domandò la ragazza già emozionata per le belle parole girando delicatamente la pietra tra le dita.

“È solo un sasso… ma se lo guardi bene può sembrarti un pezzo di ghiaccio…il primo simbolo di Noi” concluse lui appoggiando la sua mano su quella di Anna.

La ragazza sussultò a quel contatto. Non era la prima volta che veniva toccata da Kristoff ma lei in quel momento fu certa di non avere più dubbi: amava quel ragazzo così speciale. Avrebbe voluto dirglielo subito e unire i loro cuori ma voleva gustarsi tutto di quel bellissimo appuntamento che Kristoff aveva preparato minuziosamente.

Il giovane prese per mano Anna e la portò su un’amaca in mezzo al parco.

“Ricordi questo posto?” chiese lui.

“C…certo qui è dove abbiamo sempre trascorso i momenti belli in estate. Io mi sdraiavo sull’amaca e tu ti sedevi accanto a me” concluse lei con occhi sognanti.

“Esatto…se ricordi bene passavamo interminabili serate a parlare del più e del meno, dei nostri progetti, dei nostri sogni, dei viaggi che avremmo voluto intraprendere…ecco perché ti devo dare un secondo oggetto” affermò lui togliendo dall’altra tasca una piccola lampada magica.
“È quella di Aladdin! Che bella dove l’hai presa?” chiese lei affascinata da quel piccolo oggetto.

“Me l’hanno portata i miei genitori dall’ultimo loro viaggio a Dubai. Sono sicuro che una sognatrice come te conosca bene il significato di quest’oggetto. Una lampada magica ha il potere di esaudire i sogni. Hai a disposizione tre desideri e io sarò lieto di accontentarti…sperando di indovinare quelli giusti. Non dirmeli e usali bene, quando si avvereranno sarai tu la prima a farmelo sapere…”

Anna non stava più nella pelle e i suoi occhi iniziavano a riempirsi di lacrime per l’emozione così esplose:

“Kris…io ti devo dire…” provò a dichiararsi lei ma venne subito fermata.

“Ti prego…fammi finire” bloccò lui accompagnando Anna verso il lago.   

Una volta arrivati di nuovo sulla riva Kristoff la guardò negli occhi e disse:

“Anna…lo so forse sono stato un po’ lungo e sdolcinato, ma ho cercato di rendere il tutto speciale. Simbolicamente ti ho fatto percorrere i momenti brutti e i momenti belli vissuti insieme in questo parco. L’ho fatto perché voglio che tu sappia che io per te ci sarò sempre. Voglio essere il tuo sostenitore, il tuo guerriero, il tuo migliore amico, il tuo primo fan quando diventerai famosa, il tuo primo spettatore ai concerti…insomma voglio essere tutto. Lo so che non sarà tutto rose e fiori, lo so che litigheremo e so che non ti posso offrire molto a parte me stesso…ma ti prometto che farò di tutto per renderti, ogni giorno, una principessa.” e detto questo Kristoff si avvicinò lentamente ad Anna. Prese il suo volto tra le mani, delicatamente come se dovesse custodire un fiore e si inclinò verso di lei.

Anna sapeva cosa stava per succedere e, con il cuore in gola, chiuse gli occhi e attese le labbra di lui che lentamente si appoggiarono sulle sue dando vita al loro primo bacio.

Era uno di quei baci magici, dolci, puliti che si vedono nei film ed Anna non poteva desiderare altro. Lo sognava da anni quel ragazzo del ghiaccio e, proprio per questo, staccandosi dal bacio e guardandolo negli occhi sussurrò:

“Kris…il primo desiderio si è avverato”
 
 
NDA:
Eccomi già di ritorno! Che ve ne pare della loro storia appena nata? Non datemi della fantasiosa o persona astratta eh ahah perché questo capitolo è molto autobiografico (come molti altri che si leggeranno). La lampada di Aladdin e la storia dei 3 desideri è tratta dalla fantasia del mio ragazzo che si è proprio dichiarato così…e più favola di questa non c’è!
Ringrazio come sempre le mie due amiche che non si sono dimenticate di me e della mia storia.
A presto, (esami permettendo)
Anna

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Capitolo 6
*** CAPITOLO VI ***


VI.
MESSAGGIO SEGRETO
 
Anna, dopo un’interminabile ora di baci con Kristoff, tornò a casa ancora sognante. Tutto ciò che aveva appena vissuto non era una favola ma era realtà! Kristoff era finalmente il suo ragazzo e lei si sentiva la persona più felice del mondo.
Una volta entrata a casa Anna guardò in cucina e trovò un biglietto della madre che indicava cosa mangiare per cena visto che lei e il papà sarebbero tornati tardi.

“Elsaaa?” chiamò Anna mettendo la giacca sull’attaccapanni.

Nessuna risposta. Un classico…
Anna sapeva che, quando Elsa lasciava chiusa la porta della stanza e non rispondeva alle chiamate, era intenta a studiare e non voleva essere disturbata. Per questo motivo Anna salì le scale, passò oltre ed entrò nella sua stanza chiudendo la porta.
La casa di Anna ed Elsa era molto grande. Al primo piano vi era una grande sala da pranzo con un tavolo lunghissimo che generalmente veniva utilizzato solo durante le festività, il soggiorno e la cucina.
Il secondo piano conteneva le camere delle ragazze, la stanza dei genitori, un piccolo locale vuoto che Anna utilizzava per la musica e dei bagni. Il tutto circondato da un enorme giardino con un laghetto per le tartarughe, una casetta sull’albero costruita con papà quando le ragazze erano piccole e un cortile dove spesso festeggiavano i compleanni.

Questa non era l’unica casa delle sorelle perché, infatti, durante i mesi estivi erano solite trascorrere le vacanze in un residence al Lago di Garda mentre, in inverno, in una baita in montagna.

La famiglia Arendelle, quindi, era benestante. I genitori lavoravano sodo e guadagnavano molto permettendosi così diverse case. Pur essendo ricchi erano molto umili. I soldi non venivano sprecati ma investiti in case per trascorrere le vacanze, in viaggi per esplorare il mondo e in beneficenza per aiutare i più bisognosi. Non compravano mai vestiti sfarzosi o alla moda, ma abiti normali e non possedevano chissà quali televisori, computer o telefoni…insomma: amavano la semplicità.

Anna, appena entrata in camera, abbandonò la cartella vicino alla scrivania, indossò una tuta per essere più comoda e si mise subito a studiare per le prossime verifiche. Il liceo di Anna era molto impegnativo.
Aveva più ore di tutti i licei e molte materie complicate. Anna era un genio nella musica, motivo per cui quell’indirizzo era davvero adatto per lei. Nel corso della sua carriera scolastica aveva sempre mantenuto la media del 9 nelle materie musicali come l’esecuzione dei due strumenti, teoria analisi e composizione, storia della musica e tecnologie musicali.
Anche nelle altre materie non andava male ottenendo valutazioni ottime in discipline come inglese, storia e filosofia e volando sulla media del 7 su quelle materie che non le andavano molto a genio come matematica e fisica.
Quell’anno, la quarta superiore, era molto importante perché venivano svolti degli esami per confermare le competenze musicali in vista della maturità dell’anno seguente motivo per cui Anna, mentre studiava, riusciva ad allontanare da sé tutto. Per questo motivo Anna cercò di non pensare al suo meraviglioso pomeriggio con Kristoff che, altrimenti, non l’avrebbe più fatta scendere dalle nuvole e concentrare.

Dopo un’ora Elsa bussò alla sua porta ed entrò.

“Hai studiato secchiona?” chiese Anna ridendo.

“Ovvio…adesso però è quasi ora di cena ed è giusto fare pausa” rispose lei sedendosi sul letto.

“Quiiindi… come è andata oggi pomeriggio?” domandò poi curiosa alludendo all’appuntamento con Kristoff.

Anna rimase spiazzata dalla domanda e si mise le mani sul volto come faceva sempre quando era imbarazzata ed Elsa scoppiò in una fragorosa risata.

“Dai vieni qui accanto a me e racconta” propose Elsa facendo spazio alla sorella.

“Ehm…è stato bellissimo! Mi ha portata al parco e mi ha regalato questi due oggetti” spiegò Anna mostrando e descrivendo la lampada e il sasso.

“Vi siete baciati?” domandò poi la maggiore impaziente.

“Sì…è stato pazzesco” aggiunse Anna sdraiandosi sul letto sognante.

“Quindi state insieme! Che bello Anna!” esclamò Elsa contenta per la sorellina e si sdraiò accanto a lei chiedendo tutti i dettagli.
Anna ed Elsa erano sempre state molto legate. Più che sorelle erano amiche perché si confidavano tutto, si aiutavano e litigavano solo per cose banali come “Pulisci tu la cucina” o “Butta te la spazzatura! Io l’ho fatto ieri”. Entrambe trovavano conforto l’una nell’altra, motivo per cui Anna non fu per nulla imbarazzata a parlarle di Kristoff.
 
­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­
Dopo aver salutato Elsa e le ragazze, Merida era stata invitata a casa di Judy per la cena.

Judy abitava in un appartamento lungo la via principale del paese che non fu difficile da raggiungere.
Merida suonò al campanello e fu Judy stessa ad aprirle.

“Ciao Merida! Accomodati pure.” Salutò Judy aprendo la porta e facendo entrare la compagna di classe.

Merida si guardò attorno. La casa non era particolarmente grande e la famiglia che vi abitava doveva essersi trasferita da poco perché il pavimento era tappezzato di scatoloni e sulle mensole non c’erano ancora oggetti.

“Perdona il disastro cara Merida, stiamo un po’ rivoluzionando la casa” disse una signora molto alta dai capelli neri come la pece e due grandi occhiali che le mascheravano gli occhi.

“Sì non badarci, con il lavoro non riusciamo a trovare il tempo per sistemare tutto, ma ora vieni accomodati” si aggiunse un uomo proveniente da una camera da letto.
Anche lui era molto alto, muscoloso, con i capelli di un castano scuro e gli occhi neri. Quei due personaggi dovevano essere gli zii di Judy di cui aveva sentito nominare. Dopo l’incidente dei suoi genitori, loro erano rimasti i suoi unici parenti.

“Non preoccupatevi…sono abituata al disastro che fanno i miei fratelli a casa” ironizzò Merida dirigendosi in cucina con l’amica.

“Quindi Merida, cosa vorresti fare dopo il liceo?” domandò la zia di Judy mentre tagliava la carne.

“Bella domanda…non so ancora. A casa mi spingono a fare medicina o giurisprudenza ma non credo siano la mia strada” spiegò lei rovesciando per sbaglio il bicchiere d’acqua sulla tavola e asciugando velocemente.

“Non ti preoccupare” intervenne lo zio alzandosi per prendere uno straccio.

“Ma tu a cosa punti?” insistette la zia pulendosi la bocca con il tovagliolo.

“Io ho molte passioni. Dal tiro con l’arco all’equitazione… mi piacerebbe poter continuare a coltivarle facendo di queste un lavoro magari” spiegò lei terminando il pasto e stando attenta a non combinare un altro pasticcio.

“Bene, se non vi dispiace faccio vedere a Merida la mia camera” terminò Judy alzandosi da tavolo ed invitando l’amica a fare lo stesso.

La camera di Judy era minimale e semplice. Il letto dalle coperte blu pareva soffice, la scrivania era molto professionale ma non c’erano oggetti.
Nessuna fotografia dei suoi genitori, nessun poster attaccato al muro ma solo un computer e un coniglio peluche sopra il letto.

“Sì lo so non sembro una tipa da peluche” puntualizzò Judy notando lo sguardo dell’amica.

“E’ molto bello invece” precisò Merida sedendosi sul letto.

“Grazie. Me lo aveva regalato mamma quando avevo 7 anni” sospirò l’altra malinconica.

“Che stupida che sono…è già la seconda volta che ti faccio pensare a loro” si ammonì Merida mettendosi una mano sulla fronte.

“Non è un problema per me parlare di loro. Mi mancano molto ma non sono di certo una di quelle persone che scoppiano a piangere o si infuriano se si parla dei defunti” disse Judy con la sua fermezza mentre s’infilava una felpa viola.

“Beh questo è vero…quando ti ho conosciuta sembravi una senza cuore” rise Merida mangiandosi in seguito le parole appena pronunciate per paura di offendere.

“Nah tranquilla… io ho un cuore ma la vita mi ha insegnato ad essere forte sempre. Posso sembrare scorbutica ma se faccio amicizia con qualcuno quella persona non la lascio più.” Confidò lei tirando fuori dal cassetto un paio di occhiali che utilizzava solo la sera.

“Sono contenta del nostro neonato legame. Spero davvero di poterti essere sempre d’aiuto, anche con le ragazze e i ragazzi. Sai che anche loro ti hanno presa in simpatia” spiegò Merida.

“Strano…non sembro una tipa molto simpatica. A parte la mia solita euforia, volevo ringraziarvi proprio per questo affetto che mi state dimostrando pur non conoscendomi bene. Non ho mai visto un gruppo così affiatato con tanti componenti. Spesso nel mio paese un gruppo del genere durava solo qualche mese…poi eravamo già tutti dietro a picchiarci” raccontò lei accarezzando il peluche.

“Si siamo un po’ strani ma siamo sempre andati d’accordo. Alla fine io esco maggiormente con le ragazze e i ragazzi escono tra di loro. Usciamo tutti insieme per poche occasioni, come per le feste, gli aperitivi e così. A capodanno, ai compleanni e a ferragosto siamo sempre soliti organizzare delle vacanze insieme. Spero ti possa aggregare anche tu” invitò Merida sorridendo.

“Lo spero davvero perché sarebbe bellissimo grazie! Comunque, secondo me, entro la fine dell’anno si formeranno almeno due coppie” disse Judy riponendo il peluche.

“Oh no il tuo spirito investigativo no… comunque su una coppia ti do ragione perché Anna e Kristoff oggi avevano un appuntamento e…”
“Sì loro erano semplicissimi da indovinare… poi punto sui due quasi albini” ironizzò Judy.

“Chi?! Elsa e Jack?! Non si sopportano nemmeno!” si stupì l’amica.

“Le coppie più strane sono le migliori. Ora  Merida penso che sia meglio che tu torni a casa. Domani abbiamo l’interrogazione di mate…”

“Sì che noia…hai ragione. Grazie mille di tutto Judy, ci vediamo in classe” si congedò Merida uscendo dalla porta.

Judy salutò l’amica con la mano poi, proprio quando stava per chiudere la porta, qualcosa catturò la sua attenzione. Dallo zerbino spuntava una busta gialla. La ragazza, con la fronte corrugata, entrò in casa per non destare sospetti e l’aprì. Dentro vi era un foglio bianco con appiccicate delle lettere tagliate da qualche rivista che formavano delle frasi.

Di nuovo… Judy appena visto lo stile capì di non essere ancora del tutto in salvo. La volevano e la cercavano proprio come affermavano nel biglietto:

“Il graffio non ti è bastato? Preparati perché tra poco ci sarà una festa col botto”

Cosa significava? Quale botto? Judy si sentiva molto confusa questa volta. Non aveva indizi su cui lavorare e, in più, temeva quei messaggi.
Seduta sul divano porse la lettera agli zii e loro, dopo averla letta affermarono:

“Dobbiamo aumentare la sicurezza”

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Capitolo 7
*** CAPITOLO VII ***


VII.
ROMPERE IL GHIACCIO
 
Inizio ottobre, la scuola è ormai iniziata da un mese e tutti gli alunni sono immersi nello stress e nel quotidiano scolastico. Ad aiutarli sono le condizioni metereologiche che, al posto delle giornate afose ed estive, propongono un clima autunnale caratterizzato dal vento, dal primo freddo, dal sole che si nasconde dietro le nuvole e dalle foglie variopinte che abbandonano i rami degli alberi per essere cullate fino a terra.

Anche il gruppo dei ragazzi è ormai abituato al nuovo mood che prevede verifiche, agitazione, interrogazioni, compiti e sveglie alle 6 del mattino.
Ore 10.45, la campanella più amata dagli studenti ha finalmente squillato e si vedono centinaia di giovani spingersi sulle scale e nei corridoi per raggiungere e aggiudicarsi per primi le focacce farcite più calde del bar. Hiccup, Kristoff, Jack e Flynn si trovano alle macchinette sorseggiando i miracolosi caffè che permettono loro di affrontare ogni giornata.

“Comunque sono assurde queste ragazze, sempre in ritardo” sbuffò Flynn desideroso di vedere spuntare Rapunzel dalle scale. Aveva palesemente una cotta per lei ma, essendo stato rifiutato molte volte, si limitava a guardarla.

“Calma Flynn, non devi pensare a Rapunzel. Siamo solo all’inizio dell’anno e hai già insaccato delle insufficienze, devi stare con i piedi per terra” lo rimproverò Hiccup.

“Oh è più forte di me! Che vuoi che faccia…sono un ribelle io” rispose lui sedendosi su una panca.

“Ecco che arrivano” affermò innamorato Kristoff notando la sua amata Anna avvicinarsi. Il ragazzo le andò incontro baciandola delicatamente sulle labbra e facendo fatica a staccarsi. Durante le loro effusioni d’amore, anche le altre ragazze raggiusero il gruppo…questa volta con loro c’era anche Judy.

“Ragazzi, oggi finalmente ecco Judy con noi” disse Merida sorridendo e spostandosi una ciocca di capelli ricci dal volto.

“Ciao Judy, benvenuta” salutarono i ragazzi contenti.

“Ciao a tutti. Volevo scusarmi con voi per non essere stata molto simpatica la prima volta. Chiedo perdono a te Flynn soprattutto… so che posso essere veramente sembrata psicopatica per le cose che ti ho detto” si scusò lei tranquilla e per nulla imbarazzata.

“Ma va tranquilla…anzi…non è che puoi fare lo scanner anche agli altri?” domandò lui esaltato venendo subito fulminato dallo sguardo delle ragazze.

“Non credo sia molto conveniente, potrei dire cose poco piacevoli su di voi” avvertì lei alzando le spalle.

“Nono, piuttosto parliamo di cose serie. Visto che la scuola procede come un treno, io e le ragazze pensavamo di fare una giornata di studio insieme e fermarci poi a mangiare una pizza” si inseriscì Rapunzel per cambiare argomento.

“Non potremmo fermarci solo per la pizza?” sussurrò Flynn all’orecchio di Jack cercando di non farsi sentire.

“Certo ottima idea. A che ora facciamo e dove?” chiese Hiccup entusiasta.

“Alle 15.00 dalle Sisters ok?” concluse Merida riferendosi ad Anna ed Elsa Arendelle.
 
Ricevuto l’ok dei presenti, i ragazzi tornarono nelle rispettive aule per concludere la giornata.
 
 
Verso l’orario stabilito Anna ed Elsa sono pronte ad accogliere gli amici per studiare.
Sulla grande tavola della sala da pranzo sono ora appoggiati libri, quaderni, astucci, bicchieri e bottiglie d’acqua per tutti. I primi ad arrivare furono Jack e Kristoff. Elsa e Jack, pur essendo compagni di classe, non si stavano molto simpatici, motivo per cui cercavano di muoversi sempre in gruppo per evitare di stare da soli. Kristoff, però, quel giorno si dimenticò di questo piccolo problema e si allontanò con Anna per poter trascorrere insieme 5 minuti di tranquillità e di baci, lasciando i due ragazzi da soli.

Dopo alcuni ghiacciati istanti di silenzio, Jack sbottò:

“Inizio già a non sopportarli, troppo sdolcinati”

“A chi lo dici…meno male che non ci sono i miei altrimenti non li lascerebbero girare per casa da soli” rispose Elsa alquanto imbarazzata.

“Tu non le dici niente?” aggiunse Jack alludendo alla precisione e ordine di Elsa.

“Sono sua sorella non sua mamma. Almeno io voglio lasciarla libera, magari prima o poi mi restituirà il favore” concluse lei leggermente scocciata per l’accorgimento del compagno di classe.

“Tu con un ragazzo?!” rise Jack immaginando l’eventuale sfortunato che avrebbe accettato di stare con una ragazza così maniaca del controllo e del rispetto delle regole.

“Non sono mica una bambina Frost, ho avuto anche io le mie esperienze” spiazzò lei cercando di redimersi. Non capiva perché ma parlare in questo modo con Jack le provocava delle emozioni contrastanti. Da una parte la portava ad erigere un muro per difendersi dalle leggere accuse ricevute, dall’altra rimaneva attratta da quel giovane così coraggioso e senza scrupoli.

“Sisi non ti scaldare, solo non me l’aspettavo” ironizzò Jack cercando di contenere lo stupore. Anche lui, dentro di sé, provava delle emozioni strane. Da una parte odiava quel fare un po’ smorfioso della ragazza ma dall’altro sentiva come una sorta di eccitazione nel vederla tirare fuori gli artigli. I due ragazzi non avevano niente di pesante che li dividesse ma, semplicemente, la loro antipatia reciproca era condizionata dalla vita di classe. Jack non sopportava molto il fare da secchiona dell’altra e lei, d’altro canto, non tollerava il comportamento del giovane che, come ogni ragazzo della sua età, era abituato a ridere e chiacchierare durante le lezioni. 

“Oh ciao Judy, ciao Merida!” salutò Anna accogliendo le amiche in casa.

Le labbra di Anna erano di un rosso acceso, segno di cinque minuti trascorsi a baciare ardentemente Kristoff. Elsa e Jack se ne accorsero ma, per non interferire, si limitarono a sorridere sotto i baffi per poi sedersi ed iniziare a studiare.

Gli altri invitati arrivarono dopo qualche minuto eccetto Flynn che, come suo solito, si presentò con ben mezz’ora di ritardo.
Il grande tavolo da pranzo era ora circondato di persone e disseminato di libri.

Hiccup, a capo tavola, aveva la testa china su un dizionario di tedesco e faceva tremare la gamba, suo caratteristico segno di concentrazione.
Kristoff, accanto a lui e a Jack, era incurvato sul quaderno e, ogni tanto, alzava la testa per scambiare qualche sguardo con la sua ragazza posta dall’altra parte del tavolo.

Judy e Merida cercavano di risolvere insieme un quesito di matematica, Flynn sbuffava e rosicchiava la penna sperando che, grazie a qualche preghiera, qualcuno si presentasse davanti a lui svolgendogli tutti i compiti, Anna e Rapunzel, invece, ripetevano a bassa voce le pagine da studiare per la verifica di storia della musica.

Elsa era al lato opposto ad Hiccup e manteneva la concentrazione sulla versione di greco.
Jack stava svolgendo la stessa mansione della compagna ma non riusciva ad andare avanti. Avrebbe avuto bisogno di Elsa ma il suo orgoglio non gli permetteva di alzarsi. Farsi aiutare da una secchiona? Che vergogna! Per questo motivo si limitò ad osservarla in silenzio non sapendo più come proseguire nella versione. Guardandola si accorse che, in realtà, non aveva nulla di male quella ragazza. Studiava perché le piaceva farlo e non per farsi vedere e si accorse anche che era davvero bella. Su questo non ci si poteva lamentare. Elsa aveva rubato il cuore a tantissimi ragazzi della scuola, incluso il bullo Hans, ma tutti tenevano segreto il sentimento perché sapevano che lei non si sarebbe concessa a nessuno.
Il ragazzo, caricato da questi pensieri, decise di smetterla di fare il modesto e di chiedere l’aiuto dell’altra. Si alzò quindi lentamente e, senza sedersi accanto alla giovane, le mostrò il libro indicandole il problema.

Elsa, sorpresa dalla richiesta di aiuto, sollevò leggermente il volto rivolgendosi a Jack e, per la prima volta, lo guardò intensamente negli occhi. Non ci aveva mai fatto caso ma erano veramente belli. Azzurri e blu proprio come i suoi. Poteva starle antipatico quanto voleva, ma restava sempre un “figo”.

Dopo aver scosso la testa per scacciare quei pensieri e aver fatto tornare padrona la sua razionalità, la ragazza propose a Jack di sedersi accanto a lei e rispose alla sua domanda.

Passò qualche minuto, una ventina di minuti, mezz’ora, ore…i due ragazzi erano ancora lì: tempo lungo per rispondere a una domanda no?
La cosa che notarono tutti fu che i due giovani continuarono a studiare insieme e, tra loro, era visibile una certa complicità motivo per cui ad Anna venne un’idea.

“Voi dovreste candidarvi come rappresentanti d’istituto” esordì lei rompendo il silenzio.

Gli altri, di scatto, alzarono la testa e guardarono la ragazza confusi.

“Cosa?” domandò Jack perplesso.

“Beh non sarebbe una brutta cosa. Siete al vostro ultimo anno e magari potete dare un contributo alla scuola. Alla fine avete una bella testa e poi, da oggi, mi sembra che andiate finalmente d’accordo” si inserì Hiccup.

“Ma abbiamo tanto da studiare, è troppa responsabilità!” disse Elsa.

“Oh insomma Elsa, va bene la quinta liceo e tutto quello che vuoi, ma alla fine non è chissà quanto impegnativo! La scuola non è solo studiare” rimproverò Merida.

“Non è una cattiva idea in realtà” rispose Jack guardando la compagna che rimaneva perplessa.

“Se lo fate…anche Judy deve partecipare con voi” puntualizzò Rapunzel.

“Aspetta che?!” commentò Judy sentendosi presa in causa.

“Ma certo! Tu faresti vincere tutti!” commentò Kristoff entusiasta.

È vero! Tu sei super intelligente e potresti asfaltare gli avversari!” incoraggiò Flynn svegliatosi dai suoi sogni sui libri.

“Va bene… io ci sto!” esclamò Elsa soddisfatta.

 Jack rimase colpito da quella sua affermazione…era la prima volta che Elsa prendeva una posizione così importante.

“Perfetto siamo tutti d’accordo allora e, come potete vedere, si sono fatte le 19.00…pizza?” chiese Flynn guardandosi l’orologio e tutti scoppiarono in una fragorosa risata.

Dopo aver riordinato il tavolo e aver raccolto le ordinazioni, Elsa si incamminò fuori per andare a prendere le pizze ma Jack la fermò di nuovo.

“Ferma Elsa, sta venendo buio. Vengo con te, ho qua la macchina” propose Jack raggiungendola di corsa. Cosa diavolo gli stava succedendo oggi?! Perché voleva continuare a trascorre del tempo con la ragazza?!

Anche Elsa fu sorpresa dalla richiesta, ma dentro di sé sentiva rimbombare le stesse domande di Jack. C’era poco da fare, da quel giorno Jack le stava meno antipatico. Dopo qualche attimo di silenzio la ragazza annuì con la testa e i due uscirono dall’abitazione.

“Cosa ti avevo detto?” disse Judy soddisfatta a Merida.

“Hai sempre ragione caspita… gli opposti si attraggono!” commentò Merida.

“No, non sono poi così diversi. Sono semplicemente testardi entrambi ma ora che hanno fatto crollare questo muro ghiacciato possono avvicinarsi” concluse la piccola detective dirigendosi poi verso gli altri amici per aiutare ad apparecchiare la tavola.

NDA:
Come vedete sto ricominciando come un treno ahah. Questo è un periodo tosto per me perché ho molti esami ed impegni ma scrivere mi rilassa. Ringrazio le mie due care sostenitrici che leggono e commentano rimanendo fedeli alla storia. Vedo purtroppo che il fandom è spento e le visite alla storia sono calate...ma sono fiduciosa, magari la situazione si rialzerà. Ho voluto portarvi un capitolo leggero su Elsa e Jack... che dite, sboccerà l'amore? Vi piace l'idea di vederli come rappresentanti d'istituto? I prossimi capitoli, penso 3-4, saranno ancora molto soft. Devo presentarvi tutti i personaggi, ma ricordate che questa storia non è una favola ma è la realtà. Tutti noi per esperienza sappiamo che nella vita abbiamo momenti di tregua dove è tutto rose e fiori e delle vere tragedie...queste non tarderanno ad arrivare.

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Capitolo 8
*** CAPITOLO VIII ***


VIII.
HIT THE TARGET
 
Un’altra settimana scolastica trascorse velocemente. Il gruppo era sempre più affiatato, Judy si era facilmente integrata e, insieme a Jack ed Elsa, lavorava costantemente per candidarsi alle elezioni d’istituto.

Jack ed Elsa, grazie a questo avvenimento, erano sempre più affiatati suscitando l’invidia dei tanti “pretendenti” della ragazza, soprattutto quella di Hans che li guardava rabbioso da lontano.

“Allora…come chiamate la lista?” chiese Rapunzel durante l’intervallo.

“Il nome non lo sappiamo ancora, stiamo pensando alle proposte però” rispose Jack ritirando il suo abituale caffè dalla macchinetta.

“Quali sarebbero?” si incuriosì Hiccup incrociando le braccia.

“Di sicuro ci preoccuperemo di problemi concreti della scuola. Beneficenza, più convenzioni per l’alternanza scuola-lavoro…insomma tutte cose noiose all’apparenza, ma utili” spiegò Elsa fiduciosa dell’operato.

“Sì, dobbiamo cercare di fare un misto…” si introduce Judy.

“In che senso?” chiese Merida confusa.

“Se la lista è troppo noiosa nessuno la voterà mai. I ragazzi ragionano con lo stomaco motivo per cui dovremo comunque parlare delle solite cose che, sicuramente, vengono proposte in tutte le liste da ormai dieci anni ossia: le magliette con il logo, la festa di fine anno, l’intervallo più lungo ecc…” spiegò lei annoiata dall’ignoranza comune.

“Cosa proponi di fare per rendere allettanti queste proposte?” domandò Anna tenendo Kristoff per mano.

“Prima di puntare al cuore dei ragazzi dobbiamo avere come bersaglio i docenti e il preside. Possiamo proporre le cose più belle del mondo ma senza il loro consenso non potremo andare da nessuna parte.”

“A proposito di bersaglio…vi devo lasciare. Vado a preparare il laboratorio di tiro con l’arco di oggi pomeriggio e voglio terminare prima dell’intervallo” interruppe Merida.

“Ah…mi sono iscritto al corso” disse Hiccup un po’ titubante.
 
“Perfetto! Allora ci vediamo dopo” concluse lei allontanandosi dal gruppo.
 
Ore 16.00, palestra della scuola.

Merida gestiva il corso di tiro con l’arco dall’inizio del triennio e avrebbe difeso con i denti quel posto. Aiutare gli altri a tirare l’aiutava a rilassarsi, a sentirsi qualcuno e tornare a casa soddisfatta. Era l’unico posto dove poteva esercitarsi senza problemi e senza influenze esterne.
Il corso era sempre frequentato, elemento molto importante per Merida perché la incitava a continuare.

“Ah Hiccup eccoti, vieni che iniziamo subito” disse la rossa vedendo entrare il giovane con la divisa sportiva e il ciuffo ribelle sulla fronte.
“Vacci piano con me… è la prima volta che provo” avvertì lui armandosi di arco e frecce.

“Oh insomma ho fatto il corso anche ai bambini delle elementari, temi che non sappia spiegare a uno della mia età come si tira con l’arco?” rispose lei sarcastica mirando il bersaglio.

“Dai scocca fammi vedere cosa fai senza che io ti dica nulla. Alla fine è uno sport intuitivo” continuò lei allentando la presa dal suo arco.
Hiccup mirò ma, sia per l’inesperienza che per l’ansia da palcoscenico, sbagliò completamente il lancio.

“Faccio schifo” rise lui per non mostrare l’imbarazzo.

“Ma smettila… ora lo facciamo insieme” propose lei ponendosi dietro di lui e correggendo la sua postura.

“Devi sentirla la freccia. Sentire che è nelle tue mani e, tesa, non vede l’ora di colpire il centro rosso. Abbi la pazienza di aspettare, di osservare bene…la fretta non è contemplata in questo sport. Quando senti il possesso degli strumenti e hai mirato correttamente allora scocca.” Sussurrò lei accompagnando i gesti ed aiutando Hiccup a scoccare. Con l’aiuto di Merida la freccia beccò il bersaglio ed Hiccup ne fu molto felice.

Seguirono altri tiri insieme e lui rimase colpito dalla bravura dell’amica.

“Cavolo, ma sei Robin Hood!” affermò lui rimasto di stucco.

Dopo diversi tentativi anche Hiccup iniziò ad avvicinarsi sempre più al centro dell’obbiettivo e cominciò a divertirsi con Merida.

“Hai un dono Merida…dovresti andare alle olimpiadi” le consigliò lui appoggiando l’arco a terra.

“Ahahah…simpatico” rise lei di gusto sistemando gli oggetti del corso.

“Non ti sto prendendo in giro. Se sei brava perché non potresti andare?” domandò lui serio.

“Perché per andare alle olimpiadi ci vogliono tempo, soldi, i giusti istruttori… e io non ho nulla di tutto questo. Se lo dovessi dire a mia madre poi mi scaccerebbe di casa!” spiegò lei senza guardarlo in faccia come sempre sottomessa nel raccontare le sue situazioni familiari.

“Se davvero ci credi puoi riuscirci. Fregatene di tua madre! Meglio avere una figlia che suda e lavora duramente per diventare qualcuno piuttosto che vederla studiare medicina o cose che non l’appagano” consolò lui capendo di aver toccato un tasto dolente e, visto che l’amica non rispondeva, pensò di proporle di uscire.

“Senti…io ora vado come mio solito a fare volontariato in un canile. Vuoi venire con me?” chiese lui mettendo in spalla la borsa del cambio. Merida amava gli animali e non si fece ripetere due volte l’invito dirigendosi fuori dalla palestra con Hiccup.

Arrivati nel luogo, la ragazza fu triste nel vedere un grande edificio grigio rovinato e con le pareti incrostate  ma fu felice di ascoltare i cani abbaiare.

“Vieni te li presento” disse Hiccup prendendo la mano dell’amica e accompagnandola dentro.

“Come mai vieni qua?” domandò Merida mentre si inoltravano nell’edificio.

“Amo gli animali. Vorrei fare il veterinario l’anno prossimo e stare a contatto con loro mi aiuta e mi forma” rispose lui contento. Merida capì che anche per lui quel posto doveva essere importante per allontanarsi dai problemi della vita.

“Allora…ci siamo. Questi sono tutti cani abbandonati. Ce ne sono di tutte le razze.” Spiegò lui mentre apriva la porta per entrare nelle celle.

Appena entrati Merida notò un lungo corridoio i cui lati erano occupati da gabbie per gli animali. Hiccup le spiegò che li tenevano lì solo per dormire perché, per il resto, li portavano a spasso o li lasciavano correre e giocare nel giardino posteriore.

“Ecco lei è Lilli” disse lui aprendo la gabbia di una piccola cagnolina di razza cocker di colore castano chiaro.

“Ma ciao!” esclamò Merida accarezzando Lilli che era venuta a farle le feste.

“Lei è qui da circa un anno. E’ molto dolce ma anche precisina e vanitosa. Se vede che dai troppe attenzioni agli altri cani inizia ad arrabbiarsi gelosa” disse Hiccup chinato sulla cagnolina e si diresse verso un’altra gabbia.

“Questo invece è Pongo” presentò lui indicando un dalmata piuttosto anziano sdraiato a terra.

“Che gli è successo? Non mi sembra abbia una bella cera” constatò Merida senza entrare nella gabbia.

“E’ stato abbandonato qualche mese fa. E’ vecchio e cieco. La famiglia probabilmente l’ha lasciato sulla strada per questo motivo. Non gli resta molto”

“Quindi qui ogni giorno accogliete cani senza famiglia?” domandò Merida mentre accarezzava un cane di nome Balto.

“In pratica sì. Prendiamo quelli che troviamo in strada e diamo loro affetto e alloggio sperando ardentemente che qualcuno venga a prenderli, ma questo accade raramente e noi dobbiamo arrangiarci con ciò che abbiamo…anche perché il comune non ci finanzia molto” rispose Hiccup amareggiato.

“Ma sono così belli e anche gratis! Perché la gente non li vuole?!” chiese la ragazza sbigottita.

“Perché la gente vuole la perfezione. Le famiglie hanno in testa solo i propri interessi. Se si prende un cane bisogna comprarlo di razza, sano e cucciolo per vederlo crescere. Qui ancora ancora i cuccioli riusciamo a darli via ma abbiamo sostanzialmente cani anziani o sfigurati per colpa di alcuni incidenti che hanno incontrato sulla strada…e nessuno li vuole” puntualizzò Hiccup indicando un cane senza un occhio.

“E tu non ne hai adottato nessuno?” domandò Merida dubbiosa.

“Non sai quanto vorrei farlo ma non posso. Da quando i miei si sono separati l’atmosfera in casa è abbastanza tesa e del cane dovrei occuparmi io. Non sarebbe un problema ma l’anno prossimo, però, andando all’università non so come potrei fare a portarmelo dietro” spiegò lui triste per la sua condizione familiare.

Merida non rispose più. Vedeva in quel ragazzo la sua stessa sofferenza. Le loro condizioni familiari erano simili, gli hobby uguali ma, soprattutto, erano entrambi piegati dalle aspettative dei propri genitori. Anche per loro due stava iniziando qualcosa di nuovo.

NDA:
Ciao a tutti, mi stupisco anche io di come riesca a pubblicare i capitoli. Lo so lo so devo studiare, ho un sacco di impegni...ma scrivere mi rilassa e mi pare giusto buttare giù le idee quando ci sono. Ovviamente ringrazio come sempre le mie due fedeli amiche che commentano e mi spronano. Senza questo "feedback" non potrei andare avanti. Grazie ragazze!
Tornando alla storia...come vedete sto presentando tutti i personaggi e per ognuno ho inventato degli hobby e delle storie che potrebbero ritrarli protagonisti nel nostro mondo. Non avendo purtroppo i draghi (in realtà esistono anche da noi! ahah) ho scelto di utilizzare i cani anche perché mi saranno molto utili per il percorso di Hiccup. Merida, ovviamente, è bravissima nel tiro con l'arco e perché non farle organizzare un laboratorio sportivo a scuola? 
Preparatevi perché nel prossimo episodio ci sarà il dibattito dei rappresentanti d'istituto. Vi comunico che mancano circa 3 capitoli...prima che le cose inizino ad incrinarsi.
A presto!

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Capitolo 9
*** CAPITOLO IX ***


IX.
MISSIONE SPECIALE: “ESPERTI IN AMORE”
 
15 Ottobre, giorno del dibattito.

L’atrio della scuola era affollato e occupato dalle classi pronte ad entrare in auditorium per ascoltare il dibattito dei papabili futuri rappresentanti d’istituto. Jack, Elsa e Judy erano pronti per fare la loro arringa e camminavano freneticamente dietro le quinte. Jack indossava dei jeans e una camicia azzurra elegante che faceva risaltare i suoi occhi. Elsa e Judy, invece, portavano delle magliette a maniche lunghe molto carine. Avevano stabilito, infatti, di essere eleganti ma non troppo. Alcuni partecipanti delle liste rivali indossavano tacchi alti per fare colpo mentre, altri, portavano delle semplici felpe. Secondo Judy loro non davano nessun esempio di serietà.

La prima lista in gara era stata ideata da tre ragazzi di terza liceo. La ragazza che ruppe il ghiaccio si chiamava Aurora. Era molto bella se non fosse che, per colpa del suo tono di voce e per “l’entusiasmo”, stava per far addormentare tutta la platea. La loro lista proponeva più corsi sportivi, l’inserimento di nuovi alimenti più naturali nel bar e la richiesta di fare più interrogazioni programmate.

“Banali e inutili oserei dire… loro li stracciamo di sicuro” commentò Judy all’orecchio di Elsa che annuì pienamente d’accordo.

La seconda lista era molto interessante. Il manifesto diceva: “Lista APP: ci applichiamo e informiamo per voi” ed era capitanata dai ragazzi che studiavano informatica. Tra loro vi erano lo pseudo bullo Nick e un giovane ragazzino di nome Hiro. Si dimostrarono molto capaci ed intelligenti e le loro proposte non erano niente male: sistemare l’aula computer, inserire un proiettore in tutte le classi ecc… Il loro problema stava nel fatto che non erano abbastanza popolari tra gli studenti ed inserivano nel discorso troppi termini difficili legati al mondo dell’informatica.

La terza lista era la più stupida, ma sicuramente quella che avrebbe vinto. Non era rappresentata da ragazzi intelligenti ma dai bulli e dai personaggi più belli della scuola. Tra tutti spiccava la figura di Hans e quella di una ragazza molto vanitosa di nome Astrid. Le loro proposte facevano davvero pena. Intervallo più lungo, meno verifiche, terminare la scuola prima, fare la festa di fine anno in qualche posto super di lusso insomma, tutte cose impossibili da realizzare senza un’adeguata motivazione. Il problema stava nel fatto che la folla di studenti, in quanto ignorante, continuava ad urlare e applaudire quei quattro deficienti.

La partita iniziava a farsi interessante.

Fu il turno dell’ultima lista: “Lista da favola…per avverare i vostri desideri” di Judy, Jack ed Elsa. I tre ragazzi si sedettero davanti al microfono e Jack iniziò a spiegare le proposte della lista.

“La prima proposta che vi facciamo è quella di programmare attività di beneficenza per i più bisognosi. Non vi chiediamo soldi, impegno o altro ma qualcosa di semplice. Una volta ogni due mesi verrà preparato, durante l’intervallo, un banco dei dolci dove ognuno, al posto di comprare una focaccia, potrà acquistare delle fette di torta o dei biscotti, preparati da chi avrà voglia di mettersi in gioco, il cui ricavato potrà migliorare la giornata a chi è più sfortunato di noi”

“La seconda proposta” si inserì Elsa “E’ quella di creare più convenzioni per l’alternanza scuola-lavoro. Da qualche anno, infatti, alcune classi hanno dovuto svolgere una sorta di stage presso dei luoghi per colpa della nuova legge. Da queste esperienze ci siamo accorti che molti di voi hanno finito per frequentare ambienti lavorativi per nulla interessanti e stimolanti. Noi vi aiuteremo a cercare per tempo il luogo che preferite per trascorrere il periodo di tirocinio, a seconda dei vostri scopi ed interessi”

“La terza proposta riguarda la richiesta di allungare l’intervallo di cinque minuti. Questa scelta non è dettata dal nostro stomaco o dal desiderio di trascorrere il maggior numero di tempo possibile fuori dalle aule, ma da un problema concreto. Come sapete questo istituto ha la fortuna di avere molti indirizzi, uno di questi è il Liceo Musicale. I ragazzi del Musicale trascorrono il 50% del tempo nell’altra ala della scuola che è caratterizzata dalla presenza di strumenti musicali dove loro, puntualmente, studiano tre volte a settimana. I ragazzi terminano quindi queste ore di lezione con l’intervallo e, dovendo sistemare gli strumenti e percorrere i corridoi per tornare in classe, devono fare le corse per riuscire ad andare almeno in bagno prima del termine della ricreazione. Per loro l’intervallo si trasforma in un’attività e non in una pausa.” Disse Judy presentando poi tutte le altre proposte simili a quelle delle liste rivali.

Dopo l’esposizione di tutte le tematiche, si sarebbe tenuto un dibattito fra i candidati dove ognuno doveva difendere le proprie proposte e motivarle al meglio.

I primi che iniziarono a discutere furono gli Informatici e gli Addormentati. Seguì poi lo squadrone di Hans che si accanì immediatamente contro la lista dei tre amici… molto probabilmente perché vi era Elsa in quel team.

“Non capisco cosa crediate di fare con la vostra lista. Proponete cose che non importano più a nessuno. Torte nell’atrio, che nessuno mangerà perché siamo tutti interessati al cibo del bar, convenzione per l’alternanza scuola-lavoro che tanto non potremo gestire noi ma i docenti” criticò la ragazza bionda di nome Astrid passando poi il microfono ad Hans ma Jack si intromise.

“Tutte le nostre proposte sono state accordate con i docenti e con il preside. Non abbiamo proposto nessuna iniziativa senza il loro consenso” si difese lui.

“E cosa ci dite della festa di fine anno, la volete fare qui a scuola?! Ma voi siete impazziti! Come pensate che alla gente possa interessare una festa svolta ancora una volta a scuola! Non sarà concesso l’alcool e ci saranno anche i docenti” rettificò un altro avversario.

“La festa, visto che viene chiamata “dell’istituto” implica l’utilizzo dell’istituto. L’istituto è formato da tutte quelle persone che ci vivono e contribuiscono al suo miglioramento. E’ quindi giusto che insegnanti, personale non docente e preside possano partecipare. Visto che vi importa tanto l’alcool, noi non vogliamo fare i conservatori o i moralisti, infatti nessuno ha detto che questo verrà vietato. Tornando sul luogo, noi abbiamo proposto la scuola perché altrimenti, come succede ormai da 4 anni, si finisce per proporre la casa di qualcuno, un pub, un locale in affitto che, puntualmente, all’ultimo non danno più la disponibilità finendo per fare la festa in giro per strada o a casa di altri diventando un party per pochi eletti. Almeno, con la festa a scuola, potranno partecipare tutti, specialmente i ragazzi del primo anno.” Spiegò Elsa lasciando di sasso tutti e facendo partire l’applauso.

In platea Anna era molto emozionata a sentire le parole della sorella. Non l’aveva mai vista così determinata!

“Qua dovevamo far partire la dab” disse Flynn rivolto ad Hiccup.

Anche i docenti parteciparono all’applauso felici di notare, finalmente, degli alunni con il cervello.

“Sembrava di sentir parlare me” sussurrò Judy all’orecchio di Jack che era rimasto colpito dal discorso di Elsa.

“Ma cosa vuoi saperne tu della festa che non sei mai venuta? Sempre ferma sui libri!” insultò Hans facendo un simbolo fallico con la mano rivolto ad Elsa mentre altri continuavano il discorso. Quel gesto diede non poco fastidio a Jack che, improvvisamente, provò una sensazione di calore invadergli tutto il corpo. Quello schifo di persona…come si permetteva a fare quella cosa ad Elsa?!

“Dopo li asfalto io tranquillo. Lasciali sfogare. Si rovineranno con le proprie mani” gli disse Judy vedendo l’amico infuriato pronto a ribattere.

“Esatto se una persona non viene a una cosa non può giudicarla” si intromise un ragazzo di un’altra lista portando alla nascita di un brusio generale nell’auditorium.
L’atmosfera stava sfuggendo di mano e tutti sembravano sostenere la lista degli ignoranti motivo per cui Judy si alzò ed iniziò la sua arringa finale.

“Ci rimangono esattamente 3 minuti per finire il dibattito e cercherò di difendere la mia lista dalle accuse e di essere incisiva. Prima di tutto io non sono qua per litigare con voi altri candidati ma per parlare ai compagni seduti di fronte a noi. Vorrei prima di tutto ricordare a tutti voi che le nostre sono solo proposte che speriamo si possano realizzare, ma questo non è il nostro obbiettivo. Il dibattito, le liste…ci servono solo per allenarci a vivere. Abbiamo riportato qui una campagna elettorale, una lite su argomenti di vario tipo proprio come succede nella vita reale quando dobbiamo decidere chi vogliamo al governo della nostra nazione. Le nostre proposte sono inusuali, all’apparenza noiose ma noi, almeno, vi abbiamo dato delle motivazioni in più. Guardate la storia dell’intervallo! Le altre liste vogliono allungarlo solo per i propri capricci noi, invece, abbiamo trovato un problema concreto da risolvere e che riguarda il Liceo Musicale. Noi non facciamo il nostro interesse ma il vostro. Sempre su questo punto, senza un’adeguata motivazione, il preside non avrebbe mai acconsentito ad allungare l’orario dell’intervallo ma, con l’emergere di una problematica si è lui stesso interrogato. Per questo vi chiedo di ragionare con la testa e non con lo stomaco!...  e lasciatemi finire che voi avete avuto tutto il tempo per sclerare su cose futili” – commentò Judy vedendo, con la coda dell’occhio, il gruppo dei bulli pronti ad interromperla- “Io vi chiedo di ragionare bene. Come diceva George Orwell nella Fattoria degli animali, noi non dobbiamo essere pecore che ripetono tutto ciò che gli viene detto e seguono le persone che sembrano poter risolvere i loro problemi, ma dobbiamo essere uomini capaci di scegliere l’opzione migliore. Ora sta a voi decidere. Votate chi volete, chi vi ha colpito di più, siete liberi di pensare e ragionare! Ma ricordate che noi abbiamo usato l’intelligenza loro, invece, hanno scelto la rabbia e la competizione”


Detto questo il timer segnò lo scadere del tempo per il dibattito.

Dopo un attimo di silenzio tutti i ragazzi balzarono in piedi e, con fischi, applausi e grida, fecero sentire il loro interessamento verso il discorso di Judy che si dimostrò una ragazza coraggiosa, in grado di far tacere i presuntuosi. Avevano la vittoria in pugno.
 
Due giorni dopo…

Erano passati due giorni dal dibattito e gli animi si erano già placati. Gli studenti avevano avuto quindi il tempo di ragionare al meglio e decidere chi votare senza essere influenzati. La vittoria era chiara però: il team “da favola” aveva spopolato ricevendo anche i complimenti dei docenti.

Alle ore 12.00, dopo aver fatto votare tutte le classi, si scoprirono le carte dando la netta vittoria proprio a Jack, Elsa e Judy che diventarono i nuovi rappresentanti d’istituto.

Al momento della vittoria gli unici presenti erano Jack ed Elsa. Judy era intenta a fare una verifica, motivo per cui le avrebbero riferito l’esito al termine della scuola.

Preso dall’euforia del momento Jack abbracciò Elsa che rispose positivamente al gesto. Solo dopo alcuni istanti i due si staccarono molto imbarazzati guardandosi intorno per non incrociare lo sguardo. Quel contatto aveva fatto arrossire entrambi ma aveva trasmesso qualcosa.
A tutti e due il cuore batteva all’impazzata, il respiro veniva meno, le guance si tingevano di rosso e scottavano ma nei due ragazzi prevaleva il solito orgoglio che portò a sopprimere subito il sentimento appena nato.

I due finirono per sorridersi, scambiarsi due parole per poi tornare in classe insieme senza aprire bocca.
 
 
La sera…

 “Elsa…sei già sveglia oppure dormi?” domandò Anna bussando alla porta verso le 22.00.

“Entra pure” rispose lei dall’altra parte.

“Hey allora come ti senti rappresentante d’Istituto?” chiese Anna chiudendosi la porta alle spalle.

“Strana…” confidò lei confusa.

“Tu sei emozionata per altro lo so” affermò Anna sorridendo.

“Cioè?!”

“Il tuo problema ha un nome: Jack”

“Ma cosa stai dicendo?!” disse Elsa leggermente imbarazzata.

“Insomma Elsa! Lo sai che a me puoi dire tutto…confidati no?” sgridò la sorella sedendosi accanto a lei.

“Non può essere Anna io l’ho sempre odiato quel ragazzo. Mi aveva sempre dato l’idea di un fannullone, invece conoscendolo è diverso. I miei erano solo pregiudizi e adesso ho paura che…” sospirò Elsa guardando in basso.

“Hai paura di innamorarti” concluse Anna con voce calma.

“Non lo so cosa mi stia succedendo. Sento delle sensazioni forti quando sto con lui ma il mio orgoglio non mi lascia spazio. Sai come sono”

“Fredda e timida, certo che lo so. Motivo per cui tu ora prendi il cellulare e gli scrivi”

“Aspetta che?” domandò Elsa perplessa.
 
Allo stesso orario, in un’altra stanza, Jack stava giocando alla play station con Kristoff.

“Cavolo, giocare con il rappresentante d’Istituto mi mette soggezione” disse Kris ironico.

“Ma smettila, non cambierà nulla!” rispose Jack sbuffando.

“Ma con Elsa forse le cose cambieranno…” affermò Kristoff consapevole di aver toccato una questione calda motivo per cui, non ricevendo risposta dall’amico, mise in pausa il gioco.

“Ti piace vero?” domandò lui.

“Elsa?! A me?! Ma va…” rispose Jack facendo una smorfia non riuscendo però a guardare Kristoff.

“Sì, sei innamorato” constatò Kristoff scettico sdraiandosi sul letto della stanza.

“Tu dici?” crollò Jack mettendosi le mani sul volto.

“Certo! Ma rimani un cretino!” disse Kristoff tirandosi in piedi di scatto.

“Wo calmo, non è colpa mia se sono orgoglioso. Dai, fino a qualche settimana fa la insultavo, la prendevo in giro e ora mi piace…non è normale Kris! Devo solo farmela uscire dalla testa”

“Che discorsi del cavolo che stai facendo! Hai cambiato idea su di lei come probabilmente farà lei con te. Sta di fatto che vi siete legati molto e l’hanno notato tutti. Metti da parte l’orgoglio e prendi il telefono: chiedile di uscire.” Consigliò l’amico esperto in amore. Jack, all’inizio un po’ titubante, prese il cellulare ed inviò una richiesta ad Elsa.
 
Nella stanza delle due sorelle il telefono tremò nelle mani di Elsa.

“Un messaggio non letto: Jack”

Elsa rimase di stucco nel vedere che i due ragazzi si stavano pensando reciprocamente.

“Non hai messo tu lo zampino vero?!” chiese Elsa sospettosa rivolta alla sorella che le fece cenno di tacere ed aprire il messaggio.

Jack: “Ciao Elsa, visto che abbiamo lavorato molto per il grande traguardo raggiunto oggi, penso sia giusto festeggiare. Ti va di venire a cena con me domani sera?”

Elsa iniziò a tremare e non sapeva cosa fare ma Anna la fece ragionare ed Elsa, ascoltando per la prima volta il suo cuore e non la ragione, attivò la tastiera e, lentamente, rispose:

“Sì”

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Capitolo 10
*** CAPITOLO X ***


X.
CUORE DI GHIACCIO

 
 
“ANNNAAAAAAA” strillò Elsa in pieno panico.

Si sentirono rumori di passi che salgono pesanti e velocemente le scale poi un tonfo sordo, una voce dolorante che dice “Accidenti” e di nuovo i passi…più lenti e zoppicanti questa volta.

“Ma sei pazza?! Che hai?!” si informò Anna varcata la soglia della camera di Elsa massaggiandosi lo stinco che aveva appena picchiato inciampando sulle scale.

“Che mi metto?!” domandò Elsa mostrando alla sorella un abito lungo azzurro e uno rosa e nero di pizzo.

“Fammi capire…tu hai urlato, hai rotto le scatole, mi hai fatta correre, rozzolare sulle scale e quasi spaccarmi una gamba per aiutarti a decidere l’abito?!” si lamenta incredula la sorella sedendosi sul letto di Elsa.

“Come sei esagerata!” borbottò Elsa alzando gli occhi al cielo.

“Comunque…io direi di mettere quello rosa e nero. Quello azzurro è estivo ed ha troppi brillantini per una prima uscita” consigliò Anna guardando i vestiti.

“Oh Anna ho paura… e se mi bacia?!” chiese la sorella appoggiando gli abiti vicino al letto e picchiando i piedi per terra agitata.
“Beh sarebbe anche ora!” constatò la minore.

“Ma non so come comportarmi, sai che…”

“Shhhh cambiati e non rompermi più, vai e lascia che sia l’atmosfera a guidarti” interruppe Anna dando un bacio sulla guancia alla sorella ed uscendo dalla stanza.
 
Ore 20.00

Jack era appoggiato alla sua macchina ed attendeva Elsa con le mani in tasca. Indossava dei pantaloni eleganti abbinati a una giacchetta… inutile negare: tutti e due volevano fare colpo l’uno sull’altra. Elsa, finalmente, uscì dall’abitazione e si avvicinò a Jack. Il ragazzo rimase di stucco di fronte alla bellezza di questa e non poté fare a meno di aprire leggermente la bocca per lo stupore. Elsa indossava un vestito nero e rosa a maniche lunghe abbinato a una giacca. I capelli biondi erano raccolti in una treccia che le ciondolava su una spalla e il lieve tocco di trucco le illuminava il viso.

Ripreso dall’abbaglio, il ragazzo salutò Elsa facendola accomodare in macchina.

Durante il tragitto i due erano molto imbarazzati e finirono per parlare di compiti e questioni scolastiche per non lasciare tutto nel silenzio.

Dopo dieci minuti di viaggio arrivarono nel luogo dell’appuntamento. All’apparenza era un semplice ristorante incantonato tra le varie case ma il suo nome era già una garanzia: “Bella Notte”

Jack chiese ad Elsa di prenderlo a braccetto e si accomodarono. Il tavolo loro riservato era rivestito da una coperta a quadri rossi e bianchi ed era apparecchiata con bicchieri e grissini.

“Dicono che lo chef Toni sia il più bravo qui a preparare i migliori spaghetti della città” disse Jack guardando il menù.

“Beh allora sappiamo già cosa ordinare” concluse Elsa chiudendo il menù e ponendolo all’estremità del tavolo.

Oltre agli spaghetti Jack aggiunse anche una bottiglia di vino rosso per rendere tutto più romantico.

“Spero ti piaccia il posto. E’ semplice lo so ma mi ha sempre ispirato. Non c’è tanta gente, è tranquillo e mi dicono si mangi bene” spiegò Jack cercando di smuovere l’altra che non riusciva a guardarlo in faccia.

“Certo, è bellissimo! Hai avuto davvero buon gusto” rispose lei accennando un sorriso e muovendo le gambe velocemente.

Non sapeva la ragione del suo comportamento. La timidezza stava prendendo il sopravvento e non riusciva ad essere sé stessa. Elsa sapeva bene che con un atteggiamento del genere poteva dare l’idea di non essere interessata a Jack, ma non sapeva che fare. Si odiava quando accadevano questi avvenimenti.
Anche Jack aveva percepito il problema e si sentiva leggermente imbarazzato pure lui non sapendo come risolvere la situazione. Sperava solo che, a stomaco pieno e con l’aiuto dell’atmosfera, venisse tutto da sé.

La cena trascorse felicemente. Elsa, di fronte al suo grande piatto di pasta, si sentiva più libera e riuscì a parlare con Jack, a ridere e scherzare. Jack la osservava mentre parlavano del più e del meno. Wow…come aveva fatto ad odiarla per cinque anni?! Era semplicemente perfetta. Lineamenti dolci, pelle senza imperfezioni, magra al punto giusto, occhi glaciali, capelli soffici e biondi…insomma: la ragazza dei sogni! Certo, l’unica pecca rimaneva questa dannata timidezza che non le permetteva di schiudersi.

Dopo il dessert Jack propose alla ragazza di uscire. Doveva farsi sotto e scoprire tutte le sue carte.

Elsa accettò ed iniziarono a passeggiare in silenzio. Anche Elsa sapeva cosa stava per succedere e ne aveva tremendamente paura. Seguirono alcuni minuti prima che Jack, finalmente, sfiorò la mano di Elsa e la intrecciò alla sua. Elsa trasalì al contatto e la mano iniziò a sudarle…che imbarazzo.

Elsa sapeva che quello era il campanello dall’allarme perché, infatti, i due si sedettero su una panchina e Jack, molto lentamente, iniziò ad avvicinare il volto al suo.

Elsa cominciò a tremare andando completamente nel panico. Cosa doveva fare? Doveva avvicinarsi anche lei? No forse era meglio scappare… la situazione le stava davvero scivolando di mano. Jack continuò a muoversi finché non appoggiò le labbra su quelle della ragazza.
La sensazione non fu delle migliori. Elsa si staccò quasi subito dal bacio e si vergognò all’istante. Non era il primo ragazzo che baciava ma con gli altri lo aveva fatto per gioco, con Jack provava dei sentimenti ma forse non lo conosceva ancora abbastanza. Non comprendeva il motivo di quella rigidità. Jack le piaceva davvero tanto ma non riusciva ad aprirsi con lui.

Anche Jack rimase molto male per quel gesto. Baciare una statua sarebbe stato più entusiasmante. Sapeva però che Elsa era diversa da tutte le altre. Era matura, intelligente, bella e fragile. Il ragazzo era a conoscenza del fatto che la relazione con lei sarebbe stata difficile. Lui avrebbe dovuto portare pazienza, lasciarle tempo e pian piano aiutarla ad aprirsi. Tempo, fatica…era disposto ad affrontare tutto questo? Certo! Jack sapeva che non sarebbe stato semplice come in una favola, ma voleva provarci: una ragazza così speciale non poteva farsela scappare…prima o poi sarebbe sbocciata e voleva essere lui a coglierla.

“Elsa…tranquilla” disse lui vedendo l’altra spaventata.

“Scusa Jack, scusa” affermò lei scuotendo la testa.

“Hey, calma. Può capitare!” consolò lui muovendola dolcemente.

“Ma ho fatto una pessima figura! Tu mi piaci davvero tanto ma non riesco ad aprirmi. Lo so sono ridicola per quello che sto dicendo ma non mi capisco!” motivò lei cercando di non piangere.

“E’ tutto a posto. Se tu sei consapevole di provare qualcosa per me allora ci lavoriamo insieme ok? L’amore non è tutto rose e fiori, bisogna mettersi in gioco. Io sono disposto ad aspettarti e a comportarmi rispettando i tuoi tempi. Vedrai che pian piano migliorerà tutto” confortò lui accarezzandole il volto felice di sapere che Elsa era interessato a lui, almeno aveva la base su cui lavorare.

Elsa, sentite queste parole, sorrise al ragazzo accettando il suo abbraccio. Non stavano ancora insieme del tutto perché la loro storia era ancora da scrivere e modellare. Jack sapeva che avrebbe dovuto lavorare duramente per far sciogliere quel grosso pezzo di ghiaccio, ma era fiducioso e consapevole di riuscirci.

Elsa non se la sarebbe persa per nulla al mondo, anche a costo di baciarla male per tutta la vita. Il suo obbiettivo non era comandato da ciò che aveva tra le gambe ma dall’amore…e il vero Amore è capace di aspettare e aiutare la persona amata ad uscire fuori dal guscio per diventare migliore.

“Ti fidi di me?” chiese lui sorridendo e alzandosi dalla panchina.

“Sì” rispose lei e, prendendo la sua mano, si fece accompagnare a casa.
 
 
Trascorsero altri 10 giorni dalla cena dei due spasimanti e l’atmosfera non cambiò molto. Elsa si era confidata con le amiche e lo stesso fece Jack. Kristoff era d’accordo con l’amico e lo ammirava per il coraggio e la pazienza con cui si prendeva cura di Elsa. Anna, Merida, Judy e Rapunzel, invece, cercavano di sbrogliare la ragazza per permetterle di ripigliarsi da quell’odiosa timidezza che la opprimeva.
 
Si avvicinava, per i ragazzi, il weekend del 31 ottobre e tutti erano intenzionati a trascorrerlo insieme.

“Allora, cosa facciamo il prossimo weekend?” domandò Hiccup fuori dalla scuola.

“Wooo è Halloween dobbiamo fare casino!” esclamò Flynn appoggiandosi alla spalla di Kristoff.

“Che festa odiosa” sbuffò Anna incrociando le braccia.

“Sapete che noi non festeggiamo Halloween ma il 1 Novembre, ossia il giorno dei morti” rettificò Elsa.

“Nessuno qua sta mettendo in discussione scelte etiche e religiose ma semplicemente ci piacerebbe trascorrere la serata insieme.” Spiegò Merida tranquillamente.

“Visto che siamo in tema potremmo andare a casa di qualcuno e guardarci Coco! Amo troppo quel film!” propose Rapunzel saltellando.

“Apprezziamo l’idea ma ci starebbe fare qualcosa di più piccante” continuò Merida.

“Che intendi dire?!” chiese Jack dubbioso.

“Escape room” si intromise Judy.

“Cheee?! Nonono, io quelle cose non le faccio! Muoio d’infarto!” brontolò Anna preoccupata.

“Insomma ragazzi, siamo un bel gruppo, è tutto finto, non costa tanto e alla fine è solo un gioco d’astuzia” spiegò ancora Merida.

“Io ci sto! Poi con Judy vinciamo in due secondi” disse Flynn elettrizzato dall’idea.

Pian piano tutti i presenti si convinsero dell’attività e programmarono l’uscita.
Chissà come avrebbe reagito il gruppo nell’escape room.

NDA:
Eccomi con un nuovo capitolo. Spero vi piaccia. Come sempre ringrazio le mie due sostenitrici che puntualmente leggono e commentano. Come vedete mi diverto ad inserire degli Easter Egg... se ne trovate nel corso della storia fatemeli notare mi raccomando! 
Elsa e Jack, cosa mi dite? L'ho detto che non sarebbe stata una favola questa ff. 
Vi svelo già che mancano esattamente due capitoli al crollo di tutto. 
A presto

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Capitolo 11
*** CAPITOLO XI ***


XI.
SCAPPIAMO?


 
Halloween, 31 ottobre ore 20.00

La notte calò ed il buio inghiottì le case permettendo solo ad alcuni lampioni di illuminare fiocamente le vie del paese.
L’aria era fredda e la nebbia divorava ogni angolo. Era proprio l’atmosfera perfetta per un film dell’orrore e i ragazzi avevano deciso di peggiorare la situazione giocando in una escape room.

“Mi sto già cagando sotto” affermò Anna appena giunta davanti al luogo del gioco.

“Ti ripeto che è solo un gioco e scegliamo apposta una stanza che non faccia troppa paura” la rincuorò Judy.

“Ok, ok…sono caaaalma” rispose lei respirando a fondo e accompagnando il gesto con le mani.

“Bene, benvenuti ragazzi, io sono Tiana e vi accompagnerò in questo viaggio. Verrete posti in una stanza completamente buia e avrete esattamente un’ora di tempo per risolvere i quesiti e trovare la chiave che aprirà la porta per uscire. L’unico oggetto che vi diamo in dotazione ora è una candela. La sua luce sarà debole e durerà poco, quindi dovrete sbrigarvi a guardarvi intorno e scegliere l’oggetto che potrà aiutarvi nel corso di tutta la missione. Cercate di uscire prima dello scadere del tempo altrimenti per voi…saranno guai. In bocca al lupo.” Spiegò una ragazza alta dalla carnagione scura che accompagnò i ragazzi all’ingresso della stanza.

 Dopo aver dato tutte le indicazioni riguardanti la sicurezza e aver fatto firmare il regolamento, l’aiutante fece entrare i ragazzi nel luogo, accese la candela, chiuse la porta e, con un segnale acustico, diede inizio al tempo.

“Bene iniziamo ragazzi. La candela durerà veramente poco, dobbiamo cercare l’oggetto più utile per continuare a giocare dopo il suo spegnimento. Veloci!” indicò Judy iniziando a scrutare nel buio grazie alla fioca luce della candela.
Non si vedeva nulla nemmeno con quella!  I ragazzi iniziarono a mettere le mani da tutte le parti mostrando a Judy chiodi, martelli, cacciaviti…

“No, no, no questi ci serviranno dopo se mai! Ora dobbiamo trovare qualcosa che possa sostituire la candela!” consigliò Flynn mentre toccava di qua e di là cercando di afferrare qualcosa.

“La candela si sta spegnendo!” avvertì Rapunzel indicando la fiamma che stava per estinguersi.

“Mette già abbastanza ansia sto gioco, non influire!” si lamentò Elsa ansimando.

“Trovato!” urlò Flynn portando al gruppo un elmetto con incorporata una torcia e delle pile di scorta.

“Geniale! Grande!” si complimentò Judy preparando accuratamente la torcia. Hiccup e Jack si guardarono: da quando il loro amico era così sveglio?

“Ora continuiamo! Con la luce dovremo cercare gli indizi. Guardatevi intorno e ditemi se notate qualcosa di interessante” condusse Judy allontanandosi un poco dall’ingresso della stanza.

“Di qui! Guarda ci sono delle orme rosse” constatò Merida indicando dei segni sul pavimento un po’ più distanti.

“Non dirmi che è…”

“SANGUE?!” urlò Anna spaventata mettendosi le mani sulla faccia e, nello stesso istante, l’effetto sonoro di un grido rimbombò nelle orecchie di tutti facendo trasalire il gruppo.  

“Bello, iniziano i jumpscare!” constatò Hiccup mettendosi una mano sul cuore e abbozzando un sorriso ironico.

“Ragazzi! Ricordate che è tutto finto… è solo tempera rossa. Forza seguiamo l’indizio” continuò Judy più determinata che mai.

Il gruppo seguì le orme arrivando dinanzi a una cassa metallica chiusa con un lucchetto.

“Serve un codice di 4 numeri” proferì Jack chinato sul nuovo strumento.

“Perfetto, iniziamo a cercare! I numeri devono essere da qualche parte!” consigliò Merida iniziando a cercare.

“Con una luce sola possiamo fare gran poco però!” si lamentò Kristoff a gattoni mentre sfrugava sul pavimento.

“E’ tutto ciò che abbiamo forza!” continuò Flynn mentre strisciava sotto alcuni mobili.

Passarono alcuni minuti e nulla. Non trovavano niente e l’ansia iniziava a salire perché il timer ricordava loro che il tempo scorreva velocemente.

Flynn continuava a riempirsi di polvere e si muoveva sotto sedie e tavoli senza trovare nulla. Ad un certo punto qualcosa attirò la sua attenzione.
Sotto un tappetto erano disegnati dei quadratini ognuno contenente una lettera. 

“A- M- W- G”

Flynn trovò vicino a lui anche un gessetto ed iniziò a scrivere e scarabocchiare sul pavimento.

Scrisse e cancellò più volte sbuffando e grattandosi la nuca pensieroso. Era probabilmente la prima volta che ragionava così accuratamente. Poi capì.

“2-6-9-4!!!” esclamò lui soddisfatto scattando in piedi.

“Li hai trovati?! Come hai fatto!?” gli chiese Anna sbalordita.

“Ho trovato delle lettere! Ho ragionato a lungo e corrispondono ai tasti dei telefonini vecchi quindi la risposta è 2-6-9-4!” spiegò lui contento. Rapunzel rimase di stucco come il resto del gruppo. Flynn era serio nel gioco e stava mettendo tutto sé stesso. Nessuno l’aveva mai visto così sveglio e attivo.

Una volta sbloccata la cassa, Judy trovò un biglietto contenente un indizio:

“Per gli studenti dell’aurora c’è un tesoro fra i libri”.

“Che significa?!” domandò Elsa dubbiosa.

“Aurora e libri. Servono queste due cose!” ragionò Judy tenendo l’indizio in mano.

“L’aurora come la prendiamo? Qui è tutto buio!” constatò Kristoff agitato. Il gruppo aguzzò la vista cercando di scrutare qualcosa di particolare nel buio. I ragazzi, facendo questo, iniziarono a dividersi e Judy, osservandoli, capì al volo.

“E’ un gioco di squadra! Vogliono che siamo noi a crearla!” si illuminò Judy.

“Che intendi dire?” domandò confusa Rapunzel.

“Dobbiamo…” Judy non riuscì a continuare perché un nuovo urlo squarciò il silenzio annunciando l’inizio degli ultimi 25 minuti di gioco.

“Dobbiamo sbrigarci. Prima avete visto le orme rosse no? Perfetto, Hiccup e Jack cercate la tempera rossa. Elsa ed Anna andate a prendere la cera sciolta della candela” ordinò la piccola detective cercando frenetica qualcosa morsicandosi le labbra.

“Ho trovato dei fiammiferi!” esclamò Merida contenta nel frattempo.

“Perfetto, Jack ed Elsa prendetene un po’” disse Judy dividendo equamente i legnetti e le squadre partirono per la missione affidata.

“Cosa cerchi?” domandò Kristoff vedendo l’amica investigatrice intenta a scrutare ogni angolo.

“Deve esserci una botola, un angolo smosso da qualche parte. Sarà li che dovremo agire” spiegò lei.

“Non ho ancora capito a cosa serve ciò che stiamo facendo” chiese Merida confusa.

“Deve esserci un punto, una botola, qualcosa di strano al tatto sul quale dovremo colorare. Il colore principale dell’aurora è un rosso tenue motivo per cui noi dovremo unire la tempera rossa e la cera per dipingere il punto in questione… AHHHH trovata!” disse lei euforica accarezzando un punto della parete particolarmente liscio rispetto al resto.

Nel frattempo Jack e Hiccup, grazie all’aiuto dei fiammiferi, erano tornati sulle orme rosse e avevano trovato un’altra cassa questa volta senza lucchetto. Jack l’aprì senza esitare… per poi richiuderla subito.

“No mi fa troppo schifo, mi rifiuto” disse lui scuotendo la testa e voltandosi all’improvviso.

“Cioè?” chiese Hiccup corrugando la fronte.

“Ci sono i ragni lì dentro!” disse Jack con faccia schifata.

Hiccup alzò gli occhi al cielo e, senza esitare, infilò la mano nella scatola estraendo un contenitore di tempera.

“Ma come diavolo hai fatto?” gli chiese l’amico sbigottito di fronte alla scena mentre tornavano dal gruppo.

“Amo tutti gli animali e i ragni non mi hanno mai fatto impressione…non erano nemmeno velenosi”
 
“Ecco gli ingredienti ragazzi!” dissero i due gruppi consegnando a Judy gli strumenti.

“Il tempo stringe, forza coloriamo con le mani” affermò Judy dopo aver sciolto la cera con il fiammifero ed averla miscelata alla vernice. Non avendo i pennelli, i ragazzi iniziarono a colorare la parete con le mani finché non comparve una scritta.

“C’era una volta…” disse Rapunzel leggendo le lettere.

“Cosa vuol dire?!” domandò Jack.

Un altro urlo risuonò nella stanza annunciando gli ultimi 10 minuti di gioco. I ragazzi saltarono in aria nuovamente anche perché il pavimento cominciò a tremare e una mano finta sbucò dal muro afferrando il braccio di Anna facendola sobbalzare di paura.

“Io qui ci muoio veramente!” disse lei divincolandosi dalla mano meccanica.

“Ho capito! L’indizio precedente era “un tesoro fra i libri” e c’era una volta è l’incipit dei libri di favole! Veloci! Dobbiamo trovare una libreria!” si illuminò Flynn lasciando nuovamente di sasso tutti.

Il gruppo si mise di nuovo a cercare grazie all’aiuto degli innumerevoli fiammiferi e della torcia.

5 minuti.

 I ragazzi iniziarono a farsi prendere dal panico perché trovavano libri ovunque ma erano tutti di altri argomenti.

“L’ho trovato!” urlò Merida notando, sotto un armadietto, un grosso libro impolverato.

“Ma non c’è scritto nulla su c’era una volta” disse lei sfogliando le prime pagine di un vecchio tomo marrone.

“Siamo alla fine del gioco! Non all’inizio! Cerca nell’ultima pagina!” concluse ancora una volta Flynn dimostrando di essere il più geniale del gruppo.

Dopo aver sfogliato il libro ecco comparire, nelle ultime pagine, un buco contenente una chiave.
Avevano finito.

Il gruppo rise di gusto e, dopo aver trovato la porta, inserì la chiave ed uscì dalla stanza tornando finalmente alla luce dove il team dell’Escape Room si congratulò con i ragazzi tramite applausi e fischi.

“E’ stato davvero emozionante!” disse Merida felice uscendo dall’edificio del gioco.

“La prossima volta potremo provare quelle veramente horror” consigliò Hiccup spavaldo.

“NO” si intromise Anna ancora sconvolta ricevendo un bacio sulla guancia dal fidanzato e suscitando la risata di tutti.

Rapunzel, però, non rispose. Era rimasta troppo colpita da Flynn che si era dimostrato un’altra persona, molto più affascinante e coraggiosa.

“Sei stato bravissimo prima” si complimentò lei andandogli vicino e lui ringraziò con un sorriso.

“Dovresti credere di più in te stesso sai?” consigliò lei sorridendo.

“Che intendi dire?” chiese lui fermandosi sulla strada e rimanendo solo con la ragazza dei suoi sogni.

“Sei intelligente, furbo, determinato, coraggioso. Hai un sacco di qualità che potresti utilizzare a scuola!”

Flynn non rispose. A lui la scuola non era mai piaciuta perché l’annoiava, però Rapunzel aveva ragione. Se si fosse impegnato un po’ di più poteva recuperare tutte le materie e non farsi più bocciare. Studiare però era veramente noioso…non era come giocare.

“Se vuoi ti posso aiutare io a studiare, che dici?” chiese lei propositiva mettendo le mani in tasca.

“Sì dai, ci sta” rispose lui continuando a camminare con l’amica.

La proposta non lo elettrizzava molto, ma un’occasione del genere per stare da solo con Rapunzel non se la sarebbe mai fatta scappare.
 
NDA:
Scusatemi tanto se sto pubblicando a scatti ma in questi giorni ho gli esami e sono presa. Questo capitolo non mi convince molto ma ho voluto provare comunque a scriverlo. Cosa dite di Flynn?
Dico due riferimenti: il tomo che trovano è ovviamente simile a quello del programma tv “Once upon a time” mentre la frase “Per gli studenti dell’aurora c’è un tesoro tra i libri” è tratto dal film: “Una ragazza, un maggiordomo e una lady”.
 

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Capitolo 12
*** CAPITOLO XII ***


XII.
L’INCANTESIMO DEL LAGO
 


Inizio novembre.

Judy era nella sua stanza e aveva appena finito di studiare motivo per cui, per rilassarsi, accese il computer navigando sul web. Dopo aver girato le e-mail e i vari social network, nei quali possedeva dei profili falsi, la sua attenzione fu catturata da un articolo di giornale che comparve nella bacheca delle notizie.

“TENTATIVO DI RAPINA ALLA BANCA HOLS: LADRI NON IDENTIFICATI.”

Un brivido percorse il corpo di Judy spaventata nel sentire presa in causa la banca del suo vecchio paese, nella quale i suoi genitori depositavano spesso il conto. La ragazza cercò di calmarsi e proseguì nella lettura. L’articolo affermava che alle ore 00.25 tre persone vestite di nero avevano cercato di entrare dal retro della banca per poi fuggire appena notate le telecamere e l’allarme. Si sospetta una banda di ragazzi non molto esperta.

Judy sbuffò non convinta di quanto appena letto. La ragazza si agitò di nuovo. Temeva quel che credeva, motivo per cui cominciò a sudare freddo e chiamò gli zii ai quali riferì l’accaduto.
 
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Quel giorno il sole era alto nel cielo e riusciva, nonostante l’inverno ormai alle porte, a donare un dolce tepore. Rapunzel attendeva Flynn a casa sua per studiare e fu felice di notare che, questa volta, lui fu in orario. Dopo aver bevuto un succo di frutta e aver chiacchierato, i due iniziarono a studiare.

Che fatica! Flynn non aveva proprio voglia di farlo e questo fece arrabbiare Rapunzel.

“Dai Flynn, se non ti applichi non ce la farai mai!” lo incitò lei riponendo la matita sul tavolo.

“Ti giuro Punzie che è più forte di me” disse lui lasciandosi crollare sulla sedia. Dopo alcuni istanti di silenzio, Rapunzel prese il libro di filosofia e glielo picchiò sulla testa.

“Ahia, ma sei pazza?!” sbottò lui massaggiandosi la nuca.

“Ora ti metti sotto. Filosofia è una materia bellissima e in parte vi è anche la logica che ami tanto! E’ come leggere una favola!” spiegò Rapunzel scocciata.

“Ma si fanno solo un sacco di seghe mentali dai!” si lamentò lui cercando di leggere il libro.

“Può anche darsi ma i loro ragionamenti sono intriganti. Guarda Pascal per esempio! Questo suo brano è meraviglioso…” spiegò Rapunzel leggendo un passo tratto da “La scommessa su Dio” di Blaise Pascal.
Flynn non era un tipo molto religioso ma la storia lo intrigò. Rapunzel poi leggeva benissimo e riusciva a coinvolgere l’amico scansafatiche. Pian piano Flynn iniziò ad appassionarsi alla materia e trascorsero circa due ore tra domande, letture e commenti di filosofia.

“Pazzesco! Bravo! Ti meriti una super pausa…facciamo una passeggiata?” propose la ragazza felice del lavoro svolto. Flynn accettò volentieri e suggerì di andare al parco.

“A te come sta andando la scuola?” domandò Flynn mentre si dirigevano verso il luogo stabilito.

“Bene! Quest’anno avrò l’esame per la certificazione del secondo strumento che, come sai, è il flauto traverso. Mi sta piacendo molto! In generale sto dando il meglio di me in ogni materia. La scuola a me è sempre piaciuta” spiegò lei camminando spedita.

“Spero che anche a te la scuola inizi a piacere da oggi” aggiunse poi lei guardandolo negli occhi.

“Lo spero anche io…hai fatto molto per me oggi” ringraziò lui sorridendole.

Trascorsero altri minuti e, tra un discorso e l’altro, i due non si accorsero di essere già arrivati al parco. Il tempo con quella ragazza magnifica passava in un istante! Dopo essersi accomodati vicino alla riva, Flynn guardò il lago. L’acqua era calma, cristallina e il sole stava per tramontare. Il paesaggio gli fece balenare un’idea.

“Che ne dici di un bel giretto in barca?” propose lui alzandosi in piedi e togliendosi i sassolini rimasti attaccati ai pantaloni.

“Ma si può? Non è estate!” disse lei un po’ titubante.

“Certo! L’importante è che il lago non sia ghiacciato e oggi c’è il clima perfetto! Dai vieni!” continuò lui afferrando la mano della ragazza e trascinandola verso la piccola baita delle imbarcazioni.

Appena presa una barca il ragazzo iniziò a remare non allontanandosi troppo dal molo per questioni di sicurezza.

“E’ meraviglioso qui!” affermò Rapunzel osservando i colori del tramonto che si specchiavano nel lago.

Flynn non rispose perché anche lui contemplava il paesaggio.

Il ragazzo, però, rimaneva dell’idea che il particolare più bello di quello spettacolo era Rapunzel.

La ragazza aveva i capelli dorati che le cadevano sulla schiena, leggermente mossi dal venticello. Gli occhi verdi guardavano l’orizzonte riflettendo i colori dell’acqua e il sorriso sul suo volto era l’elemento più ripagante di quel quadro.

L’atmosfera era perfetta.

Flynn avrebbe voluto baciarla, ma non lo fece.

Non era il contesto giusto e non voleva rovinare un attimo bello come quello. Era grato del pomeriggio trascorso con l’amica ma non voleva accelerare le cose. Si stupì lui stesso di questa scelta.

Lui, che veniva sopranominato “Don Giovanni” aveva ora deciso di non fare nulla con Rapunzel.
Si sentì immediatamente orgoglioso di quel pensiero.

Lui aveva avuto mille ragazze ma non ne aveva amata nessuna. Rapunzel, invece, era diversa: era pura, perfetta, pulita…la ragazza che amava.
Proprio per questo volle lasciarla libera, il pomeriggio era già stato una grande conquista.

Tornati a riva con la barca Flynn decise di accompagnare la ragazza fino a metà strada dove, dopo averla ringraziata per la bella giornata, si incamminò verso l’abitazione fischiettante e felice.
Rapunzel rimase ad osservarlo da lontano completamente persa per quel giovane che si era dimostrato in grado di cambiare.

Non stava nella pelle e voleva raccontare subito a qualcuno il bel pomeriggio con il ragazzo, per questo compose il numero di Anna e la chiamò.

“Ciao Punzie tutto bene?”

“Sì! E’ stato un pomeriggio pazzesco! Flynn si è impegnato a studiare e ha dimostrato di avere grandi potenzialità. Te l’ho detto che sta cambiando e sta diventando migliore. Mi ha anche portata al lago e mi ha fatto fare un giro in barca. Era un’atmosfera da favola! Lui, conoscendolo, avrebbe potuto baciarmi o saltarmi addosso, invece è stato fermo immobile ad osservarmi e basta e…”

“Frena, frena…troppe cose per la mia testa. Comunque, ci stiamo accorgendo tutti del miglioramento di Flynn che, grazie a te, sta diventando maturo. Non mi dirai mica che ti piace eh?” chiese Anna con voce maliziosa.

“Ma è troppo presto! Cosa stai dic…”

Rapunzel non riuscì a terminare la frase perché qualcosa la fece bloccare di colpo in mezzo alla strada.

Si sentiva strana.

La testa le girava e un piccolo pizzicore si stava facendo largo tra le sue costole.
Stava avvenendo quello che loro musiciste, in musica, chiamavano “crescendo” perché il pizzicore nacque leggero per poi trasformarsi e diventare sempre più doloroso.

“Punzie?!”

“Anna, non mi sento bene. Improvvisamente” rispose Rapunzel in panico sentendo ora una vera e propria fitta invaderle il petto.

“Tranquilla, cosa ti senti? Non mettermi giù finché non sei a casa!” rassicurò Anna già pronta a correre fuori dall’abitazione o ad avvertire gli zii della situazione.

“Non so, sento un dolore intercostale fortissimo. Come se avessi uno spillo che mi buca qualcosa.” Spiegò Rapunzel piegata in due dal male.
Fortunatamente riusciva a camminare speditamente. La casa era già visibile alla sua vista, ma le sembrava lontanissima. Era pazzesco come un dolore così forte la stesse divorando non permettendole di proseguire il breve tragitto.

Cosa aveva?! Possibile che un dolore intercostale facesse così male?!”

“Anna ora non riesco nemmeno a respirare bene” continuò Punzie strizzando gli occhi e ponendosi una mano sul costato. Le gambe iniziarono a cedere, schiacciate da quel male che non conosceva motivo per cui crollò in ginocchio sul marciapiede.

“MAMMA!!! CORRI!” urlò Anna dal telefono e, restando in linea con la cugina, ordinò alla madre di avvertire subito gli zii.

La madre di Anna, preoccupata per la nipote, chiamò subito la sorella che, insieme al marito, si precipitò fuori correndo nella direzione di Rapunzel.

“Punzie, i tuoi stanno arrivando stai calma! Non agitarti che va tutto bene” confortò Anna al telefono. La sua voce era spezzata e le mani le tremavano.
Cosa stava succedendo a Rapunzel?
Rapunzel non rispose più. Le sue orecchie si erano tappate. Non sentiva nemmeno ciò che diceva Anna.

Era troppo concentrata su quello spillo affilato che si divertiva a farla soffrire.

“Amore, che succede?!” urlò la madre di Rapunzel vedendo la figlia accovacciata su sé stessa.

“Mi fa male…qui…” riuscì a dire lei indicando con le mani un punto della gabbia toracica e della schiena.

“Chiamo l’ambulanza” decise il padre determinato e compose, con mani tremanti, il numero dei soccorsi.
 
NDA:

Eccomi qui. Prima di parlare della fine tragica del capitolo, voglio soffermarmi sulle cose iniziali. Come vedete Judy nasconde qualcosa di cui verrete a conoscenza solo tra molti capitoli. Mi piace torturarvi così ahah. Ovviamente il filosofo preferito di Rapunzel è Pascal in onore del suo animaletto del cartone.

Venendo alla fine del capitolo…

Vi annuncio che dal prossimo capitolo la narrazione tratterà la situazione di Rapunzel. Quello che racconterò non sarà inventato perché mi ispirerò alla mia esperienza. Anche io, come Rapunzel, ho scoperto quello che avevo proprio per strada, di colpo senza che io facessi niente di azzardato. Stavo solo camminando e parlando al telefono con una mia amica (che si chiamava anche lei Anna ahah) e poi boom… quello spillo ha iniziato a rompere le scatole.
Vedremo insieme come affronterà il tutto Rapunzel…

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Capitolo 13
*** CAPITOLO XIII ***


 
XIII
BIANCO
 
 “Rapunzel, le abbiamo diagnosticato uno pneumotorace destro” disse il medico del pronto soccorso con in mano le carte della radiografia appena fatta della ragazza.

“Cioè?! Cos’ha mia figlia?” chiese la madre tenendo stretta la mano della ragazza.

“Guardi” iniziò lui mostrando, sul monitor del computer, la lastra dei raggi.

Si vedeva bene la gabbia toracica della ragazza. Da una parte si notava una massa bianca completamente a contatto con le costole dall’altra, invece, la stessa massa bianca assumeva la grandezza di una noce ed era circondata da una macchia nera.

“Le masse bianche sono i polmoni. Il polmone sinistro è al suo posto mentre, quello destro, è completamente collassato. E’ come se uno spillo avesse bucato un palloncino. Il tuo polmone si è bucato e ora è compresso dall’aria, la parte nera. L’aria che respiri, non entrando più al posto giusto ossia nel polmone, finisce per occuparti la gabbia toracica e farti male.” Spiegò lui togliendosi gli occhiali e cercando di non spaventare la ragazza.

“Cosa deve fare? Come può fare a guarire?” domandò la madre sconvolta.

“Dobbiamo intervenire subito. Ora verrà portata in sala operatoria e trasferita nel reparto di pneumologia dove verrà trattata. Vado a chiamare l’infermiera che le farà un prelievo e attaccherà tutto l’occorrente per le flebo.” Disse il dottore lasciando lo studio.

Rapunzel era rimasta ferma. Immobile. Si sentiva scoppiare. Per un attimo il dolore non la toccò di striscio perché il problema si trovava nella sua testa.

Il cuore le batteva all’impazzata, sentiva freddo e caldo insieme ma, soprattutto, era confusa perché si trovava dinanzi una situazione che non dipendeva da lei.

 Per Rapunzel quella non era la sua prima operazione perché, all’età di 11 anni, aveva subìto un intervento chirurgico alla testa del quale ricordava non il male, ma l’ospedale, la paura, il luogo, le flebo…tutte cose che la terrorizzavano.

Ora avrebbe dovuto rivivere tutto ancora una volta e non sapeva con quale entità. Dentro di lei si faceva largo una sensazione che conosceva bene: un misto di rabbia e di coraggio.

 Di fronte a queste situazioni, il corpo si trasforma subito in un guerriero e si sente invincibile. Se si sopprime questo sentimento è impossibile pensare di poter superare una situazione tragica.

“Amore, va tutto bene. Vedrai che finirà presto” confortò la madre accarezzandole il viso.

 Rapunzel, però, continuava a tenere lo sguardo vuoto puntato per terra. Quelle parole della madre la toccarono e così, non curandosi del luogo, diede inizio a uno sfogo di pianto. La madre l’abbracciò stretta a sé cercando di non piangere ulteriormente.

“Oh tesoro che succede?!” domandarono l’infermiera e il dottore una volta rientrati in studio con tutto l’occorrente per il prelievo.

“Non è niente. Non preoccupatevi è che speravo di non tornare più qui” pianse la ragazza cercando di farsi vedere forte.

“Piangi quanto vuoi cara. E’ giusto così. Io voglio solo dirti che non devi preoccuparti di niente. Qui sono tutti professionisti e risolveranno il problema.” Confortò il medico accarezzando il braccio della giovane.

Nel frattempo l’infermiera aveva scoperto il braccio sinistro della ragazza, l’aveva tamponato con un detergente e, una volta trovata la vena, bucò con l’ago farfalla per le flebo. Rapunzel conosceva bene quella sensazione e, per affrontarla, aveva ormai imparato a seguire un rituale.
Non era un procedimento doloroso ma le faceva impressione, motivo per cui chiudeva sempre gli occhi e cercava di stritolare con la mano ciò che le capitava in tiro. Le sue braccia erano piene di cicatrici per colpa delle flebo ed ora ne avrebbe aggiunta una alla collezione.

Una volta applicata la flebo Rapunzel si guardò e osservò. Il suo braccio aveva ora incorporato un tubicino che le avrebbe fatto compagnia per alcuni giorni.

 Quando aveva 11 anni le era stata applicata una farfalla rosa mentre, adesso, ne aveva una blu, in tinta con il braccialetto: gli unici due elementi di colore in quel posto così spoglio, triste e bianco.

Rapunzel rifiutò la sedia a rotelle e seguì un’infermiera che l’avrebbe condotta nel reparto.

 Lei odiava le sedie a rotelle, la facevano sentire debole e, in quel momento, non doveva esserlo.

Una volta arrivata in reparto attese il chirurgo analizzando per bene il luogo nel quale avrebbe dovuto vivere per un po’ di tempo.

Davanti a sé c’era un lungo corridoio dalle pareti bianche e il pavimento grigio che aveva diverse ramificazioni. La prima porta a destra portava ad un altro corridoio che indicava le stanze, la seconda era uno studio per i dottori e la terza indicava la sala operatoria del reparto.

 Il tutto era condito da un suono che continuava a rimbombarle nelle orecchie: un bip rimarcato a pulsazioni regolari.

Alzando il volto Rapunzel notò un monitor con indicato un nome e cognome e capì che quel suono rappresentava il battito cardiaco di una persona in terapia intensiva.

“Rapunzel, vieni pure” chiamò un signore alto vestito di bianco.

La ragazza si accomodò, insieme alla madre e al padre, nello studio del primario che iniziò a spiegarle la procedura.

“Come sai hai uno pneumotorace. Ora ti spiego cosa accadrà. Ti faremo un’anestesia locale sotto l’ascella in prossimità della gabbia toracica e ti inseriremo un drenaggio, ossia un tubicino che assorbirà l’aria da te persa spostandola in una bottiglia piena d’acqua a lui collegata. Dovrai tenerlo per cinque giorni e verrai monitorata tramite altre radiografie. Vediamo come risponderai al tutto. Se il polmone tornerà alla sua posizione ottimale senza altri interventi allora potremo dimetterti. Ora verrai preparata da una collega e attenderai il nostro arrivo in sala operatoria.” Spiegò lui facendo uscire Rapunzel e rimanendo nello studio con i genitori.

Rapunzel entrò in uno spogliatoio dove tolse tutti i suoi indumenti rimanendo solo in mutande.

 Le avevano detto, infatti, che avrebbe dovuto indossare una sorta di vestaglia per quei giorni perché il drenaggio era abbastanza fastidioso e serviva un abbigliamento comodo.

Si guardò allo specchio e scrutò il proprio corpo.

Dopo quel giorno l’avrebbe visto cambiare.

 Le avevano detto che avrebbe perso molti chili e le sarebbe rimasta una cicatrice per il resto della vita.
All’apparenza era sempre la stessa.

 Il viso dai lineamenti dolci, il corpo magro senza imperfezioni, le braccia forti che le permettevano di abbracciare la sua amata chitarra, i capelli biondi ora raccolti in un cucù e soffocati da una cuffia azzurra, ma dentro di sé qualcosa la divorava.

Aveva un polmone rotto, distrutto per chissà quale motivo.

Era questo che la faceva arrabbiare e preoccupare: nessuno le aveva ancora detto la causa di questo male.

Si sedette sul lettino e, mentre aspettava, fece un colpo di telefono ad Anna.

“Tesoro, che succede?! Non ci hanno ancora detto nulla!” disse la cugina rispondendo immediatamente.

“Mamma e papà stanno parlando con i medici. Non possono più entrare loro” rispose lei con voce roca.

“Sì, ma tu cosa hai? Torni a casa?” insistette Anna.

“No” rispose Rapunzel facendosi forza. Avrebbe voluto sospirare, riempirsi d’aria i polmoni per calmarsi ma era proprio lì il problema: appena provava a farlo avvertiva una fitta e doveva fermarsi. Era pazzesco come un’azione banale come respirare diventasse improvvisamente un obbiettivo difficile di conquistare.

“Ho un polmone collassato. Mi operano tra qualche minuto.”

Anna rimase un attimo di stucco. Anche in lei iniziò a propagarsi il panico, ma doveva essere forte. Rapunzel era tutto per lei: una sorella, una cugina, la sua migliore amica, la sua compagna di classe e di avventure. Odiava vederla soffrire!

“Hey, tranquilla. Vedrai che dopo sarà tutto finito. Starò con te sempre. Ora chiamo gli altri e condivideremo con te questo momento…come abbiamo sempre fatto” rispose Anna con fermezza.

“Grazie… ora devo andare. A dopo” congedò Rapunzel riponendo il telefono nello spogliatoio e seguendo l’infermiera nella sala operatoria.
 
“Ciao cara, distenditi che iniziamo. Dovrai togliere la tunica e rimanere solo con le mutande, purtroppo il reggiseno non puoi tenerlo perché non riusciamo a muoverci bene” disse il dottore indossando mascherina e guanti. Rapunzel rifiutò l’aiuto a rimuovere il tutto.

Voleva farlo lei, sapeva che tra qualche ora sarebbe stata incapace di agire da sola.
Odiava dipendere dagli altri. Tolse anche il reggiseno lasciando quindi il seno libero e nudo di fronte ai medici. La cosa non la imbarazzava per niente, non provava più niente!

“Posso chiudere gli occhi? Vi prego mi fa impressione tutto” crollò lei alla vista di un carrello con appoggiate forbici, bisturi, tamponi, pinze e un grosso tubo di plastica.
Gli avevano detto che le mettevano un tubicino, ma quello sembrava tutto tranne che qualcosa di piccolo. L’avrebbe dovuto tenere dentro di sé per cinque giorni?!

“Tranquilla cara, purtroppo non puoi chiudere gli occhi perché dobbiamo essere sicuri che rimani cosciente. Ti volterai dall’altra parte e guarderai il collega. Non sentirai nulla! Vuoi che ti iniettiamo un liquido che ti stordisce?” calmò il chirurgo accarezzando la giovane.

“Datemi tutto quello che avete” rispose Rapunzel preparandosi al tutto e i medici la assecondarono.

“Allora ora ti facciamo l’anestesia, poi non sentirai nulla tranquilla” disse il chirurgo pungendo la ragazza sotto l’ascella. Il medico aveva ragione perché, oltre a un leggero bruciore, la ragazza non avvertì più nulla.

Iniziò a girarle la testa per colpa del liquido iniettato e, grazie a quello, l’operazione parve durare 5 minuti quando, in realtà, proseguì per oltre mezz’ora. Non sentiva dolore ma solo il medico che spingeva il tubo dentro il suo costato e lo stordimento non la fece nemmeno impressionare di fronte a una vaschetta piena di tamponi sporchi del suo sangue. Ovviamente un’operazione del genere faceva uscire molto sangue.

“Bene abbiamo finito!” disse il chirurgo togliendosi i guanti. Rapunzel si guardò e sentì un agglomerato di garze e cerotti coprirle tutto il fianco e l’ascella. Fece ricadere il braccio lungo la vita e fu allora che l’avvertì. Un tubo spesso e ruvido usciva dal suo corpo e si collegava a una bottiglia contenente dell’acqua. Fortunatamente l’anestesia non le faceva porre domande o ragionamenti.

Le infermiere accompagnarono la ragazza, sdraiata sul lettino, nella sua stanza dove Anna, Elsa e i genitori l’attendevano. Gli altri amici non poterono entrare, quello era un momento delicato e Rapunzel non poteva avere più di 4 parenti nella stanza.

“Amore, ciao!” salutò la madre accarezzandole il volto con le mani. Rapunzel non rispose. Ora iniziava a sentire qualcosa di strano e, soprattutto, provare a parlare le provocava un tremore in tutto il corpo motivo per cui non disse nulla.

“Rapunzel, per vedere se funziona tutto correttamente prova a tossire leggermente” disse il medico una volta entrato nella stanza della paziente.

Rapunzel si concentrò e provò a tossire, ma non fu così facile. Fece diversi tentativi prima di riuscire ad emettere un leggero colpo di tosse. Quel tubo la opprimeva e rendeva difficili anche i gesti più banali. Con il colpo di tosse, l’acqua nella bottiglia emise delle bolle facendo sorridere il medico.

“Perfetto, ora è tutto a posto. Se l’acqua fa le bolle significa che l’aria sta uscendo” spiegò ancora il chirurgo.

“No-n riesco a respi…” riuscì a sussurrare Rapunzel spaventata. Quel coso mica doveva risolverle il problema?! Sembrava soffocarla ancora di più invece!

“Tranquilla Rapunzel, è normale. Ti sentirai così per un po’, devi abituarti” placò lui invitando i genitori ad uscire dalla stanza con la scusa di lasciare le tre ragazze da sole.
 
Una volta fuori, in realtà, il medico parlò chiaro ai parenti.

“E’ un trattamento molto doloroso. La ragazza ora ha ancora in corpo l’effetto dell’anestesia ma domani sarà il giorno peggiore. Sentirà dei dolori fortissimi e saremo anche obbligati ad applicarle l’aspiratore per rimuovere l’aria. Dovrete essere forti e starle accanto. Ovviamente le daremo degli antidolorifici ma preferiamo non somministrarne troppi. Ne ha già uno in vena. La sua patologia non è grave, ma la farà soffrire. Nei prossimi giorni, invece, cercheremo di analizzare anche le cause che l’hanno portata in questa situazione. Il pneumotorace, purtroppo, è una bestia le cui cause sono sconosciute”

Detto questo il dottore si allontanò lasciando i genitori da soli. La madre si fece avvolgere dalle braccia del marito e scoppiò a piangere. Non le importava della patologia e del resto, soffriva nel vedere la sua unica figlia in quelle condizioni. Rapunzel aveva già sofferto tanto a 11 anni ed ora avrebbe patito le pene dell’inferno inutilmente, per un mostro che l’ha colpita a caso.

 La madre avrebbe voluto caricarsi tutto quel male e permettere alla sua bambina di vivere felice, ma ciò non era possibile.
 
 

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Capitolo 14
*** CAPITOLO XIV ***


XIV
VERI AMICI

Ore 6.30 del mattino.

Rapunzel non aveva chiuso occhio tutta notte perché, purtroppo, l’effetto dell’anestesia finì e il tubo iniziò a trafiggerla. Avrebbe tanto voluto riposare ma non sapeva quale posizione assumere perché, appena appoggiava la schiena, sentiva il drenaggio muoversi e infastidirla.
 Non riuscire a dormire in ospedale è la cosa peggiore.

Il tempo in quel posto non passa mai, è come se si fermasse. Troppa tristezza, troppa paura, troppa sofferenza. Non hai nulla da fare se non stare sul letto e dormire per non pensare alla tua malattia…Rapunzel non riusciva a fare nemmeno quello.

Alle 6.30 la vita in ospedale iniziava. Le infermiere passavano per controllare la pressione e la febbre dei pazienti e distribuire la colazione, poi di nuovo il nulla fino alle 11 ossia l’ora in cui passava il primario per la visita di controllo.

Rapunzel non riuscì a toccare cibo, aveva fame ma stava troppo male.

“E’ normale che mi faccia così male?” chiese la giovane rivolta all’infermiera che le stava cambiando la boccetta dell’antidolorifico.
“Sì cara…purtroppo sì” rispose lei mettendosi in tasca il vasetto vuoto della medicina.

Rapunzel non rispose e guardò sua madre, rimasta accanto a lei per tutta la notte. Fece due parole con lei per poi scrivere su whatsapp alle amiche.

Anna: “Come stai Punzie?”

Rapunzel: “Male…davvero.”

Anna: “Stai calma, cerca di portare pazienza. Oggi pomeriggio veniamo tutti a trovarti, vedrai che bello”

Rapunzel: “Lo spero, mi sto deprimendo. Con il suono del tipo in terapia intensiva poi…”

Anna: “Scrivici su un brano”

Rapunzel: “Ahah… buona mattinata a scuola. Salutami tutti”

Anna: “Certo. Hey, io ci sono capito? Ti voglio bene”

I messaggi con Anna fecero sorridere Rapunzel che, in quel momento, aveva solo bisogno di avere vicino le persone che amava.

Ore 9.00
Due ore passarono a fatica, Rapunzel giocò un po’ a carte con la mamma per poi fermarsi sul letto immobilizzata.

Provava troppo dolore.

Sentiva come una lama affilata affondare e tagliare le sue membra. Questo pugnale la feriva, la faceva respirare male e non le permetteva di parlare adeguatamente.

Il peggio arrivò quando l’infermiere attaccò il tubo a qualcosa di strano.

“Che cosa è?” chiese Rapunzel guardando una specie di calorifero portatile.

“Servirà a toglierti l’aria più velocemente” disse l’infermiere per non spaventarla troppo.

 In realtà quell’orribile oggetto era l’aspiratore di cui aveva parlato il chirurgo la sera prima.

Appena acceso la ragazza non soffrì molto, sentiva solo tremare.

Dopo due minuti tutto crollò. Rapunzel sentì un dolore pazzesco, indescrivibile. Il tubo non solo la pugnalava ma le sbatteva tra le costole e aspirava l’aria voracemente, sembrava che qualcuno le stesse succhiando ogni goccia della sua anima. In quel momento non fu più padrona del suo corpo perché questo iniziò a dimenarsi per colpa degli spasmi.

“Rapunzel! Cosa succede?!” chiese la madre di fronte alle convulsioni della figlia, scuotendola per ricevere risposta.

Rapunzel non riuscì a rispondere.

Guardò la mamma negli occhi sperando che potesse capirla, ma chi l’avrebbe mai capita?!

La madre, presa dal panico, schiacciò il pulsante rosso delle emergenze e subito uscì dalla stanza per chiamare il primario.

I medici accorsero velocemente e, trovando Rapunzel in lacrime e sudata dal male in preda alle convulsioni, staccarono il respiratore e le attaccarono l’antidolorifico più forte che avevano.

Appena finita la tortura, Rapunzel scoppiò in singhiozzi. Le faceva male tutto, anche singhiozzare le costava caro, ma non sapeva più come sfogarsi.
Erano passate solo alcune ore, come avrebbe potuto sopportare un dolore simile per altri 5 giorni?!

La madre la coccolò all’istante per poi uscire e parlare con il medico.
 Nel frattempo Rapunzel scrisse ad Anna.

Rapunzel: “Non venite oggi!”

Anna: “Ma che stai dicendo?! Perché?!”

Rapunzel: “Non voglio, sto troppo male, non potete vedermi così!”

Anna: “Ti arrangi! Noi veniamo e basta. Non ti lasciamo sola!”

Rapunzel non rispose, ancora scossa dalla pioggia di lacrime che irrigavano il viso.
 
Passata mezz’ora, un’infermiera arrivò nella stanza di Rapunzel con una sedia a rotelle: doveva portarla a fare una radiografia.

Questa volta Rapunzel dovette accettare il supporto, affermando di essere debole.

Si sedette sulla sedia a rotelle piangendo ancora dal male.
Muoversi le provocava delle fitte atroci.

 L’infermiera la spinse fino alla sala della radiografia dove la mise in coda con le urgenze.

 Rapunzel continuò a piangere non curandosi di tutti gli altri pazienti vicino a lei che la guardavano.
 Cosa avevano tanto da guardare?! Non avevano mai visto una ragazza sofferente?!

 La verità era che vedere una giovane bella e snella come lei con attaccato un tubo che si immergeva in una bottiglia piena di acqua rossa, perché ormai sporca di sangue, faceva impressione.

Dopo aver fatto la radiografia Rapunzel venne portata in stanza dove, dopo essere stata imboccata dalla madre, essendo incapace di muoversi, si sdraiò sul letto.

 Il dolore si era leggermente placato e la ragazza, per questo motivo, riuscì a riposare per circa 4 ore svegliandosi di frequente sempre per colpa del drenaggio che la punzecchiava.

Al risveglio Rapunzel notò per prima cosa una figura accanto a lei.

Era Anna seduta sulla sedia che leggeva un libro nell’attesa del risveglio della cugina.
 La madre era andata a casa per riposarsi e farsi una doccia troppo scossa dagli avvenimenti della giornata.
“Anna” sussurrò Rapunzel sentendosi uno straccio.

“Hey, ciao!” salutò Anna appoggiando il libro sul comodino e dando un bacio sulla fronte a Rapunzel.

 Aveva proprio una brutta cera, si vedeva che aveva sofferto tanto quel giorno. Vederla così le faceva male.
Dov’era la sua Punzie? Il trattamento la stava divorando!

“Ci sono anche le ragazze, sono andate a prendere un caffè, tra poco arriveranno. Sai a scuola ti salutano tutti, ti abbiamo preso questo” disse Anna porgendo alla cugina un libro firmato da tutti i compagni di classe.

Rapunzel sorrise nello sfogliare le pagine.

Le mancava tutto: la scuola, i compagni, l’aria, la libertà, la salute…e aveva perso tutto solo da un giorno. Ancora una volta Rapunzel pensò a quanto spesso la gente, e lei stessa, si lamenti per cose futili quando gli ostacoli nella vita sono ben altri.

“Ciao cara!” salutò Judy entrando nella stanza seguita da Merida ed Elsa.

“Ti vedo bene…” ironizzò Merida prendendo una sedia.

“Ah ah simpatica” rispose l’ammalata non riuscendo ad aprire bene gli occhi.

“Come stanno i ragazzi?” domandò poi dopo aver preso fiato, per quel che riusciva.

“Bene, ti salutano. Abbiamo deciso di fare i turni. Stasera si fermeranno Anna e Flynn e i prossimi giorni ci diamo il cambio” spiegò Elsa sistemandole una maglietta vicina.

“Hey bisogna dare un nome a quel coso che hai attaccato” si intromise Judy indicando il bottiglione d’acqua nel quale si era appena formata una bolla.
“Lo chiameremo soffiablabla” disse Anna alludendo a Scuttle del cartone della Sirenetta.

“Ahah…piano che mi fa male ridere” continuò Rapunzel tenendosi la mano sul petto.
 Ridere faceva tremare il tubo, ma le faceva bene al cuore.

 Il gruppo, infatti, fu felice di aver provocato il sorriso dell’amica che da due giorni versava solo lacrime.

“Ma non possono cambiarti quella roba che hai addosso? Ti vediamo le tette!” scherzò ancora Judy ricevendo un’occhiataccia da Merida.

“Sei sempre molto delicata” rise Elsa dandole un colpetto sulla spalla.

“Ma dai guardatela cavolo! Ha su sta tunica tutta sudata che sembra lo straccio che indossa Dobby in Harry Potter!” continuò difendendosi la ragazza. Non voleva offendere nessuno, semplicemente desiderava vedere sorridere le amiche.

Il pomeriggio trascorse felicemente fino alle 18, orario in cui veniva consegnata la cena motivo per cui le ragazze lasciarono l’ospedale.

Anna aiutò l’amica a mangiare. Quello fu un momento terribile perché si rese conto della fragilità di Rapunzel. La ragazza provava dolore anche solo a sollevare il braccio destro per prendere da sola un bicchier d’acqua. Anna la imboccò e le pulì la bocca con il tovagliolo molte volte.
Per una ragazza, vedere la propria migliore amica in certe condizioni fa soffrire molto.

Dopo aver aiutato Rapunzel ad andare in bagno e a rimettersi a letto uscì per telefonare a Kristoff.

Lo doveva sentire, ma quella fu anche una scusa per lasciare soli Rapunzel e Flynn che era appena arrivato nel luogo.

“Hey” esordì lui sbucando dalla porta della stanza.

Rapunzel si imbambolò di fronte al ragazzo non sentendo quasi più il dolore.

 Il giovane indossava dei jeans grigi e una felpa verde scuro. Il ciuffo rimbalzava sulla fronte e, sul suo mento, era visibile un sottile strato di barba.

“Sai, oggi ho preso 8 in filosofia” disse lui sedendosi accanto alla ragazza.

“Che cosa?! Veramente?!” rispose lei sbalordita.

“Sì, ieri ho studiato davvero bene con te. La materia mi è piaciuta tanto. Oggi ho anche fatto tutti gli esercizi di matematica… prima volta nella mia vita” spiegò lui contento di sé stesso.

Dopo l’incidente di Rapunzel qualcosa cambiò in lui.

 Si sentì improvvisamente maturo.

Lui che aveva sempre scherzato e giocato sulla vita, si trovava davanti la ragazza che amava distrutta e sofferente. Aveva capito che era ora di smettere di fare il bambino! Doveva mettersi a studiare seriamente, per far contenta lei e per far contento sé stesso.

“Wow Flynn, grande!” si congratulò lei prima che un’altra fitta la colpisse.
D’istinto la ragazza inarcò la schiena, strizzò gli occhi, digrignò i denti ed afferrò la mano di Flynn. Il contatto fece trasalire il ragazzo che strinse la mano di Rapunzel accarezzandole i capelli.

Ora ne era sicuro: l’amava con tutto sé stesso perché vederla soffrire gli procurava dei dolori al cuore.

 Più la guardava e più si innamorava e sì che Rapunzel in quel momento non era un bello spettacolo.
 Flynn era abituato ad uscire con ragazze truccate, con i capelli piastrati, lo smalto e i tacchi mentre, questa volta, stava impazzendo per una che aveva i capelli crespi, non riuscendo a muoversi abbastanza per lavarsi, le occhiaie e gli occhi gonfi per le lacrime, la pelle umida per aver sudato, e il corpo trafitto da quel tubo che la trasfigurava. Nonostante questo l’amava…e quanto l’amava! Non voleva lasciarla andare più!

“Hey, hey, guarda ti ho preso un regalo…” disse lui mostrandole un piccolo peluche di un camaleonte. Rapunzel sorrise asciugandosi una lacrima versata per il dolore.

“E’ bellissimo!” constatò lei toccando il peluche.

“Potremmo chiamarlo Pascal, che dici? Il nostro filosofo preferito!” propose lui continuando ad accarezzare la giovane. Rapunzel, per ringraziarlo, avvicinò la mano del ragazzo alla bocca baciandola.

Passò ancora un’ora e in stanza tornò la madre di Rapunzel.

“Tesoro, come stai?” domandò lei entrando nella camera.
Si vedeva che era stanca! Aveva vissuto uno shock e una notte insonne. Dopo aver parlato con la figlia e i suoi amici, nel reparto si spensero le luci, segnale di dover andare a letto.  

“Mamma vai a casa” disse Rapunzel con un filo di voce. Vedere la madre sofferente la faceva star male ancora di più.

“No amore non posso, mi farò fare un permesso al lavoro, ma non posso lasciarti da sola”

“Non è sola.” Dissero Anna e Flynn.

“Cioè?” rispose lei guardando i ragazzi.

“Ci siamo noi. Stiamo qui con lei per la notte…alla fine sarà un after alternativo no?” rise il ragazzo e la madre, ringraziandoli, salutò e se ne andò sollevata, sicura di aver lasciato la figlia in buone mani.

nda:
Continua il racconto della malattia di Rapunzel. Ne avrò ancora per qualche capitolo ma diciamo che il peggio è passato. Quello che ho descritto me lo ricordo benissimo, soprattutto quel cavolo di aspiratore. Spero di aver dato l'idea. Anche il riferimento a Dobby e al Soffiablabla è tratto dalla mia esperienza perché le mie sorelle, per farmi ridere, continuavano a fare riferimenti alle altre storie. Spero vi piacciano questi capitoli anche se abbastanza crudi. A me sta facendo molto piacere scrivere e raccontare a qualcuno questa avventura che ho vissuto 3 anni fa.

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Capitolo 15
*** CAPITOLO XV ***


XV.
SEMPRE PIU’ BIANCO
 
La notte scese nell’ospedale. L’unico suono percepibile era il bip continuo del battito cardiaco della persona in coma.

 In un giorno Rapunzel era entrata in contatto con tante realtà diverse: dalla gente in terapia intensiva ai suoi vicini di stanza magri con le vene in vista e senza i capelli, indeboliti dal cancro, ai tanti anziani lasciati soli con le loro malattie: soli perché dimenticati dai parenti. Vedere tutte queste situazioni le provocava delle emozioni forti e, ancora una volta, si rese conto di quanto la vita fosse preziosa e da valorizzare in ogni istante.

Rapunzel, dopo un’ora, riuscì finalmente a cadere nelle braccia di Morfeo e stessa cosa provarono a fare Anna e Flynn seduti sulle sedie vicine.

Dormire sulle sedie, però, non era per niente comodo.

Si fecero le 2 di notte quando Anna, in dormiveglia, pensò bene di appoggiare la testa al muro accendendo per sbaglio tutte le luci della stanza.
Flynn balzò in piedi spaventato mentre Rapunzel aprì leggermente gli occhi per poi richiuderli.

“Scusa, scusa!” si scusò Anna a bassa voce cogliendo lo sguardo ammonitore di Flynn.

“Caffè? Tanto ormai ho capito che non dormiremo nulla” propose Flynn e i due uscirono per prendersi la bevanda.

Davanti alle macchinette Anna non poté fare a meno di parlare della situazione della cugina.

“Mi fa troppo male vederla così. Non si merita una sofferenza del genere” si confidò lei ma senza ottenere risposta dall’altro.

“Tu come fai?” domandò poi.

“A fare cosa?” chiese lui mescolando il caffè.

“Io soffro nel vedere mia cugina dolorante, non oso immaginare il dolore che prova la persona che la ama”

Di fronte a quell’affermazione Flynn chiuse gli occhi dispiaciuto.

E’ vero il dolore era davvero insopportabile.

“Si vede così tanto che la amo?” si confidò lui approfittando del momento.

“Sì, pure tu piaci a lei”

“Cosa?” esclamò lui sconvolto smettendo di bere di scatto.

“Sì…me lo stava dicendo al telefono prima di avvertire il dolore per strada.”

Flynn fu molto felice di questo pensiero e non poté fare a meno di abbozzare un sorriso.

La sua Rapunzel si stava innamorando di lui. Mai avrebbe pensato a una cosa del genere!

Per questo motivo doveva starle accanto, farle vedere che era cambiato e che poteva fidarsi di lui. Voleva esserci per lei, dimostrarle che, una volta uscita dall’ospedale, lui l’avrebbe sostenuta.

“Ora come ci organizziamo?” domandò poi la ragazza.

“Vai a casa, so che domani hai un’interrogazione. Resto io stanotte” disse Flynn e, dopo aver convinto Anna ad andare, tornò nella stanza di Rapunzel.

La guardò dormire.

Non era un sonno tranquillo.
La ragazza respirava a scatti e aveva la fronte corrugata, quanto diavolo stava soffrendo?!

Flynn le accarezzò la pelle e si accorse che scottava.

Preoccupato lo riferì all’infermiera del reparto che lo tranquillizzò dicendo che la febbre era normale in quanto la ragazza aveva un corpo estraneo dentro di sé, non accettato dall’organismo.

La sua piccola aveva anche la febbre.

“Flynn” chiamò lei con un fil di voce.

“Hey, che fai già sveglia sono appena le 4” disse lui rientrando nella stanza e prendendole la mano.

“Speravo fosse passato un po’ di più, mi sento uno straccio” confidò lei continuando a muoversi per non urtare il tubo.

Era assurdo che la ragazza non potesse dormire serenamente! Flynn doveva ingegnarsi qualcosa per farla stare meglio.

Sicuramente se Rapunzel avesse dormito sul fianco opposto al drenaggio non avrebbe sentito dolore, il problema stava nel fatto che, appena lo faceva, il tubo iniziava a tirare perché troppo lontano dalla bottiglia.

Doveva fare in modo di accorciare la distanza. Al diavolo le regole, in ospedale tutti cercano di trattarti con un occhio di riguardo ma non hanno il tempo materiale per assistere ogni dolore! Doveva fare qualcosa lui!

Flynn prese quindi una sedia e, lentamente, sollevò la bottiglia del drenaggio appoggiandola sopra di essa, facendo attenzione a non far oscillare il tubo che altrimenti avrebbe fatto del male alla ragazza.

Appena girata sul fianco Rapunzel provò sollievo e chiese a Flynn di sdraiarsi accanto a lei. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e lasciò che Rapunzel appoggiasse la testa sul suo petto.

La sensazione che provò fu una delle più belle della sua vita.
Non aveva mai avuto Rapunzel così vicina a sé! In quel momento voleva assaporare ogni istante. La ragazza aveva i capelli sporchi per colpa del sudore e dell’impossibilità di farsi una doccia completa, era pallida, il corpo era fragile ed aveva addosso l’odore di ospedale. Flynn, però, vedeva tutt’altro: una ragazza bellissima con il profumo più buono del mondo e una guerriera straordinaria. Era la prima volta che guardava così una ragazza. Prima gli importava che fossero belle, vestite bene, truccate e profumate a dovere. Ora, invece, trovava meravigliosa la ragazza meno curata. L’amava…questo era poco ma sicuro.
Rapunzel lo guardò e ringraziò con lo sguardo per poi cadere in un sonno profondo, finalmente!

Flynn fu contento di sentirla dormire tranquilla, su di lui. Le accarezzava i capelli mentre riposava e si sentiva felice. Quel contatto gli riempiva il cuore.

“Tesoro, ti proteggerò sempre, te lo prometto” sussurrò lui prima di posarle un bacio sulla fronte e appisolarsi.
 
Rapunzel riuscì a dormire fino alle 6.30 orario in cui passavano le infermiere. Flynn, dopo averla aiutata a sistemarsi, la salutò e, assonnato, lasciò a malincuore la stanza per andare a scuola.
 
Rapunzel si sentiva meglio, il riposo con Flynn l’aveva rilassata molto ed oggi riusciva addirittura a camminare da sola tenendo con una mano la bottiglia.

“Allora Rapunzel, abbiamo guardato la tua radiografia: è tutto a posto, il polmone sta rispondendo bene e sta già tornando al suo posto dopo solo due giorni di drenaggio. Questo significa che dopodomani te lo togliamo. Mi dispiace che tu abbia sofferto tanto ieri, ma era normale” spiegò il medico mostrando le lastre e Rapunzel fu felice di notare il suo polmone quasi nella norma, ma la situazione non le andava giù: voleva capirne di più.

“Mi scusi, si sa la causa del mio male?” chiese la ragazza e il medico esitò prima di risponderle.

“E’ giusto che tu lo voglia sapere. Le cause purtroppo sono innumerevoli per questa patologia. La cosa certa è che in genere colpisce i maschi e non le femmine. I ragazzi, infatti, durante lo sviluppo crescono in altezza vertiginosamente motivo per cui il polmone di alcuni di loro, non adattandosi velocemente al cambiamento, finisce per rompersi. Succede inoltre a chi fuma, ma non è il tuo caso. Nelle ragazze è molto strano e improbabile che succeda, eppure tu sei uno dei casi”

“Quindi quali possono essere le mie cause? Io non mi sono mai alzata di colpo, ho sempre avuto una crescita regolare”

“Infatti questa non è la causa, la tua patologia potrebbe essere dovuta a un’endometriosi toracica.”

“Ossia?!”

“E’ probabile che tu abbia un po’ di tessuto dell’endometrio nel torace motivo per cui, in fase mestruale, questo tenda a gonfiarsi. In alcuni casi, come ti è appena successo, il tessuto può espandersi tanto da far rompere il polmone.”

“E adesso cosa mi succederà?!”

“Potrebbe ricapitarti…potrebbe rompersi di nuovo ma le probabilità di avere un secondo pneumotorace sono bassissime.”
“E questa endometriosi cosa può comportare?”

“L’infertilità”

Rapunzel non rispose. La spaventava di più questa cosa che il dolore al polmone. Cosa significava, non avrebbe mai avuto bambini?! La sua testa non era pronta a tutti quegli shock!

“Non è il caso che tu ti allarmi per questo adesso. La mia è solo un’ipotesi, non è il mio ambito di studio. Quando deciderai di avere un figlio prenderai tutti i provvedimenti necessari e farai delle visite specializzate, ora bisogna pensare al tuo polmone.”

NDA:
Ciao a tutti! Chiedo scusa se sono sparita per un po' ma sono stata a fare un corso lontana da casa e in questi giorni sono molto impegnata. Settimana prossima pubblicherò di più prima di partire per le vacanze ahah. Ringrazio come sempre le mie due sostenitrici. Che dire di questo capitolo...la situazione è in stallo. Rapunzel sta meglio fisicamente, ma ora bisogna pensare a farla stare bene moralmente, soprattutto dopo la notizia ricevuta dal medico... ci penserà Flynn?

 

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Capitolo 16
*** CAPITOLO XVI ***


 XVI.
RAGGIO DI SOLE


 
Passò un altro giorno di ospedale. Lungo, interminabile…

Rapunzel girava per i corridoi del reparto guardandosi intorno. Quel pomeriggio preferì restare da sola e non ricevere visite.
Era ancora scossa per la notizia ricevuta il giorno prima. In realtà non sapeva che cosa pensare…dentro di lei c’era una tale confusione!

Guardava le persone in ospedale e si rese conto che erano tutte uguali a lei. Non importava l’entità della malattia, tutti avevano lo stesso sguardo. Lo sguardo di chi non ne può più di soffrire, di chi si sente solo anche se riceve le visite dei parenti, di chi è crucciato per non aver sfruttato la vita prima, di chi vorrebbe solo uscire da quella prigione e di chi è arrabbiato con Dio.

Anche Rapunzel si sentiva così. I suoi pensieri in quei giorni potevano essere veramente pericolosi. Si era arrabbiata con sé stessa, con la malattia, con la sfortuna e soprattutto con Dio. Lui che poteva fare tutto, perché aveva permesso ciò? Perché Rapunzel non poteva andare a scuola, giocare, divertirsi, viaggiare come tutti i ragazzi della sua età?

La notizia del giorno prima l’aveva agitata molto ma ancora non ne aveva parlato con nessuno se non con la madre che le aveva consigliato di non pensarci. Quella dell’endometriosi era solo un’ipotesi.
 
Dopo il suggerimento della madre Rapunzel decise di ascoltarla e di pensare al fatto che, l’indomani, avrebbe rimosso quel maledetto soffiablabla.
 
 
Mattina di Novembre, ore 10.30

Finalmente era arrivato il giorno di togliere il soffiablabla. Rapunzel era elettrizzata! Ormai si era abituata a vivere con quell’aggeggio ma l’idea di salutarlo per sempre la faceva felice. Anche la rimozione del drenaggio sarebbe stata una sorta di operazione perché le veniva rifatta l’anestesia ed infine applicati dei punti di sutura che le avrebbero lasciato la cicatrice per il resto della vita.

“Eccoci Rapunzel, ci siamo” disse il medico facendo sdraiare Rapunzel sul lettino della sala operatoria.

“Sei contenta?” chiese lui mentre si preparava.

“Non sa quanto!” rispose lei nascondendo, però, la leggera preoccupazione per il dolore che avrebbe sentito.

Il medico le sorrise iniziando a rimuovere tutti i cerotti che servivano per proteggere il tubo e tenerlo fermo. Rapunzel, da vera masochista, decise di guardare la scena ma, una volta osservato il drenaggio che sporgeva dal fianco senza protezioni, si voltò di scatto troppo impressionata.

“Ok non devo guardare” disse serrando gli occhi.

“Ecco brava… allora mi raccomando. Al mio tre trattieni il respiro ok?” disse lui iniettando l’anestesia ed afferrando saldamente il tubo con entrambe le mani.

Seguì un attimo di silenzio dove Rapunzel si preparò psicologicamente.

“1….2….”

Il dottore, vedendo che la ragazza stava già trattenendo il respiro decise di non pronunciare il numero tre e di estrarre di forza il tubo prima che lei potesse rendersene conto.

Rapunzel provò una sensazione assurda. Improvvisamente si sentì libera, in grado di poter respirare a pieni polmoni. Era come tornare a galla e riprendere fiato dopo secondi di apnea.

“Finito?” chiese lei mentre il dottore le applicava i punti.

“Sì, bravissima!” rispose lui continuando a cucire.

“E adesso posso alzarmi e fare ciò che voglio?” domandò lei elettrizzata.

“Certo! Tutto ciò che vuoi…ma stai attenta non ti indebolire troppo”

Dopo essere uscita dalla sala operatoria Rapunzel fu felice di stare in piedi, di camminare da sola e soprattutto di Respirare! Le sembrava di essere appena nata, si sentiva in forma e come nuova.

Presa dall’euforia chiamò subito Anna.

“Cuginetta! Sono libera! Niente più soffiablabla!” urlò Rapunzel felice e saltellante.

“Davvero?! Aspetta che ti metto in vivavoce, così ti sentono anche gli altri. Siamo nell’atrio per l’intervallo” rispose lei facendo salutare anche tutti gli altri membri del gruppo.

Rapunzel, dopo aver raccontato e chiacchierato con loro, rientrò nella sua stanza dove chiese alla madre di accompagnarla in bagno.

“Ora mi sento un po’ debole” constatò mentre si sciacquava la faccia da sola!

“Beh hai fatto tanto la leonessa, adesso è giusto che ti riposi sei…”

“Mamma, zitta… mi viene da svenire” precisò la ragazza avvertendo un giramento di testa e si lasciò cadere tra le braccia della madre.
Quello fu lo svenimento più bello della sua vita. Si sa che gli svenimenti non sono una cosa bella, ma per lei lo fu veramente. In quei pochi secondi fece un sogno bellissimo in cui correva e giocava con i suoi amici.

“Rapunzel, rapunzel! Sveglia!” chiamò il dottore scuotendola.

La ragazza aprì gli occhi e si ritrovò a letto collegata a una flebo di glucosio.

“Che cosa hai combinato?!” rise un’infermiera per alleggerire la tensione creata. La madre di Rapunzel, infatti, era bianca cadaverica. Quanti shock anche per la sua mamma!

“Scusate, era l’euforia! State tranquilli…” tranquillizzò la stessa ragazza facendo sorridere tutti i presenti.

“Ora devi riposarti. Ti avevo detto di stare tranquilla! Sei proprio scatenata eh… prima, con la rimozione del drenaggio, hai perso molto sangue e devi stare riguardata. Ora ti abbiamo dato del glucosio. Te lo teniamo per altre due ore. Tu cerca di restare a letto tutto il pomeriggio e dormi” disse il medico prima di uscire dalla stanza.

Rapunzel non se lo fece ripetere due volte. Appena congedato il dottore, la ragazza crollò in un sonno profondo. Non aveva mai dormito così bene in vita sua!
 
Dormì tutto il pomeriggio fino alle 23.00. Quando si svegliò notò di avere accanto Flynn.

Quanto era stato lì?! In silenzio, a guardarla?!

“Ciao Punzie!” si illuminò lui accortosi del risveglio della ragazza.

Rapunzel lo salutò con lo sguardo e cercò di ricordare ogni cosa di lui. Era davvero un bel ragazzo. I capelli castani con il ciuffo ribelle gli rimbalzavano sulla fronte, indossava una maglietta verde e una felpa marrone e gli occhi brillavano. Perché brillavano? Perché amava Rapunzel.

Questo lei lo sapeva.

 Nel giro di un mese Flynn era cambiato… e l’aveva fatto per lei.

 Era migliorato a scuola, cresciuto e maturato nel comportamento e aveva perso notti e ore per stare accanto a lei.

Fu in quel momento che lo capì: voleva lui accanto a sé. Una volta uscita dall’ospedale desiderava qualcuno che si prendesse cura di lei, disposto ad aiutarla sempre. Voleva Flynn…nessun altro.

Per questo, dopo intensi momenti scambiati a specchiare i propri occhi nei suoi, sbottò:

“Baciami…”

“Cosa?!” domandò lui scuotendo la testa e il suo cuore iniziò ad esplodergli nel petto. Rapunzel non parlò più. Si mosse in avanti e spinse la testa di lui verso di sé.

In un attimo le loro labbra si toccarono, al momento imbarazzante.

Poi iniziarono ad ammorbidirsi.

Si inumidirono e assaporarono per tanti minuti e si staccarono solo quando Flynn si accorse che lei doveva prendere fiato.

“Hey, vacci piano… ti hanno appena aggiustato il polmone” scherzò lui accarezzandole il volto ancora ansimante per le emozioni.

“Userei tutta l’aria che ho in corpo per te”

“Sei sicura?! Perché me?!” domandò lui ancora scosso e al settimo cielo per il momento vissuto.

“Perché mi hai aspettata, rispettata e sei cambiato per me. Non sarà facile starmi vicino adesso ma io non voglio nessun altro al di fuori di te”
Conclusa quest’ultima frase la nuova coppia trascorse le ore successive a baciarsi ininterrottamente.

Terminò così quell’ultima giornata di ospedale, con un piccolo raggio di sole che riuscì a rischiarare il male e il dolore che viveva tra quelle mura.
 
 
NDA:
Eccomi qui con un nuovo aggiornamento. La nuova coppia è fatta, dopo un bel momento romantico nato all’interno di un ospedale. Vedremo insieme come questa coppia si aiuterà di fronte alle difficoltà.
Ora si tornerà alla normalità dove anche gli altri personaggi torneranno ad essere protagonisti… ma non illudetevi perché il PEGGIO deve ancora venire. Ho già pronti i capitoli traumatici ahah (sto diventando sadica come la mia amica Victoria Buchanan).
Ringrazio come sempre le mie due lettrici. Questa storia sarà sempre qui… spero che possa venir letta e scoperta quando magari il fandom tornerà a colpire.

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Capitolo 17
*** CAPITOLO XVII ***


XVII.
RICORDI
 
Rapunzel tornò a casa nei giorni seguenti e venne accolta dal calore della famiglia, degli amici e di tutti coloro che le volevano bene. Lei, però, non era felice.

Trascorreva le giornate nella sua stanza con la chitarra sulle gambe, intenta a studiare la parte per il concerto di Natale che si sarebbe tenuto nei primi giorni di dicembre.

La sua chitarra le era mancata molto ma suonare la faceva riflettere sulla sua situazione.

Rapunzel non avrebbe più potuto fare molte cose.

 Le avevano consigliato di non andare più in aereo, di non salire su montagne troppo alte, di non immergersi troppo sott’acqua, di non trattenere mai il respiro, di non fare giochi adrenalinici e di non suonare il flauto.

Queste raccomandazioni abbracciavano i primi due mesi di convalescenza poi, per il resto, i medici avevano detto a Rapunzel di fare ciò che si sentiva senza diventare schiava della paura.

Alla fine aveva quasi 18 anni e non poteva vivere come se stesse per morire da un momento all’altro!
Rapunzel, però, era traumatizzata.

La paura la stava mangiando dentro.

In ospedale è come se il tempo si bloccasse e desideri solo uscire e ricominciare a vivere ma, una volta fuori non sai più come si faccia.
Una volta fuori vorresti solo ritornare in ospedale perché, almeno lì, ti sentivi al sicuro.

 Nella vita, invece, i pericoli e le difficoltà ti immergono e non sai se ci sarà sempre qualcuno pronto a salvarti.
E’ un grande cerchio, un grande paradosso.

Rapunzel, inoltre, era preoccupata per la questione dell’endometriosi motivo per cui avrebbe vissuto tutte le prossime mestruazioni con l’ansia per timore di rivivere l’inferno dei giorni precedenti.

La situazione si stabilizzò nel giro di settimane anche se la ragazza continuava ad avere crisi di panico e di ansia. Flynn aveva già messo in conto questa fragilità e cercava di spronare Rapunzel ad affrontare la vita e tirarsi su, ma sapeva che avrebbe dovuto pazientare. La sua ripresa psicologica non poteva essere immediata.

La loro storia procedeva a gonfie vele. I genitori della ragazza furono molto felici della presenza di Flynn: era l’unico in grado di dare sicurezza e protezione alla figlia. Anche il gruppo accolse felicemente la storia d’amore affermando che nella vita di Flynn, finalmente, era arrivata “una gioia”.

A parte la lenta ripresa di Rapunzel, la tranquillità tornò a regnare nel gruppo. Anna e Kristoff trascorsero tutto il mese di novembre tra baci, coccole, studio e uscite mentre Elsa e Jack non si erano ancora sciolti. La malattia di Rapunzel aveva permesso ad entrambi di non soffermarsi troppo sulla propria storia ma volevano comunque migliorare ed iniziare ad essere una coppia normale.
 
 
 
Inizio dicembre.

Dicembre inaugurò l’arrivo della stagione più fredda e bianca dell’anno. La città aprì le porte all’inverno che portò un’ondata di novità. Foglie secche cadute per terra, alberi spogli, freddo pungente, ghiaccio sulle strade, nebbia, influenze ma anche tante cose belle come: la cioccolata calda, i biscotti, i dolci, le vie che iniziavano a vestirsi di decorazioni e luci, gente avvolta in sciarpe e berretti che preparava sorridente il presepe fuori dalle chiese, bambini che guardavano speranzosi il cielo in attesa di qualche fiocco di neve e le canzoni natalizie che rimbombavano dai telefoni, dalle radio e dal web.

Anche l’atmosfera a scuola cambiò. I professori fissarono meno verifiche, iniziarono a dettare i compiti delle vacanze e ad interrogare solo chi doveva recuperare qualcosa. Flynn, per la prima volta in tanti anni di scuola, aveva tutte le materie sufficienti.

“Ciao ragazzi come è andata oggi?” chiese Merida una volta unita al gruppo dell’intervallo.

“Bene dai… non ho giù niente!” rise Flynn tenendo per mano Rapunzel.

“Avete visto Elsa?” chiese Jack guardandosi intorno.

“Hey, è la tua compagna di classe mica la nostra.” Scherzò Flynn e il suo sorriso venne spento dalla visione di Elsa in lontananza. La ragazza era appena uscita dal bagno delle femmine ed era stata bloccata in corridoio da Pitch Black, stranamente senza scagnozzi.

“Ancora?! Smette Hans e adesso inizia lui?!” tuonò Jack stringendo i pugni e, senza ascoltare i compagni, si diresse verso la ragazza.

“La finiamo?!” disse lui mettendosi in mezzo. Il bullo lo squadrò da cima a fondo ed iniziò a spintonarlo.

“Frost, da quando prendi posizione?!”

“Lasciala stare hai capito?!” disse lui prendendolo per il bavero.

“Hey calmo, me ne stavo andando già di mio. Tienitela pure quella lì, tanto non la darà mai a nessuno. Ho fatto l’ultimo tentativo. Vado a cercare un’altra ragazza” concluse lui guardando con faccia schifata la ragazza per poi puntare gli occhi su una nuova preda ed allontanarsi.
“Perché non stai più attenta?!” la sgridò Jack una volta allontanato il cattivone.

“Pensi che me le cerchi?!” si incupì lei facendo notare il suo dispiacere.
 
“No… scusami hai ragione. E’ che sei così bella! Tutti cercano di portarti via” si calmò lui spostandole una ciocca di capelli. Lei lo abbracciò ma non rispose. Ancora quella timidezza. Quando se ne sarebbe andata?!


 
La sera Judy era intenta ad impacchettare i regali di Natale per i suoi amici. Aveva preparato qualcosa di speciale per ognuno di loro. Alla fine quel gruppo era diventato la sua salvezza. Gli amici la facevano stare bene, sentire protetta e amata… proprio ciò di cui aveva bisogno dopo quegli anni traumatici che nascondeva dentro di sé. Stava sistemando il fiocco per il dono di Merida quando una mail comparve nella sua casella di posta elettronica. Mail da uno sconosciuto.

“Tic, tac, tic, tac… stiamo impacchettando i regali eh?! Anche io ho preparato un bel regalo per te che riceverai a breve…conta bene: tic,tac,tic,tac. Ho voglia di giocare un po’…vediamo quanto ci metterai a capire di che cosa parlo”

Un’altra sera rovinata, un’altra volta la paura bussò alla sua porta. Ancora quella persona era riuscita a trovarla?! La ragazza chiamò gli zii e raccontò tutto. Solo loro erano a conoscenza della situazione che, però, presto non sarebbe più stata un segreto.
 
12 anni prima…

Era la notte di Natale e il paese era raccolto nell’auditorium per ammirare lo spettacolo organizzato dalle classi elementari. Quell’anno il tema era incentrato sui desideri. Ogni bambino recitava un piccolo monologo in cui, aiutato dal giusto costume e dagli insegnanti, esprimeva il sogno più grande che portava nel cuore.

Una bambina di 7 anni, alta e magra, era pronta a salire sul palco. Le sue iridi violacee scrutavano la scena circostante catturando immagini di bambini in lacrime e spaventati per la recita. Lei, invece, sorrideva ed era felice. Era la bambina più intelligente e determinata della scuola, un vero e proprio genio.

Recitare non la preoccupava, in realtà nulla la preoccupava.

 I genitori, durante la sua infanzia, non dovettero mai asciugare una sua lacrima perché la bambina non le aveva mai versate. Quando si faceva male si rialzava subito ed era spesso lei stessa a calmare la madre, aiutava in casa, non strattonava mai il padre mentre facevano la spesa implorandolo di assecondare qualche capriccio…insomma era una bambina grande, forse fin troppo.

Solo in una cosa non si dimostrava ancora adulta: lei sognava…cosa che gli adulti non fanno più.

Sognava un futuro migliore per tutti, un mondo più bello dove la giustizia e la felicità potessero regnare.

Questo era il tema del suo piccolo monologo.

Dopo altri tre bambini che parlarono del desiderio di comprare un cane, di avere un fratellino e di diventare calciatore, si intromise la piccola dagli occhi particolari che, con le parole giuste, colpì il pubblico spiegando a tutti il suo sogno di diventare un poliziotto. Il poliziotto era per lei quella persona disposta a rischiare tutti i giorni la sua vita per gli altri cercando di ristabilire la pace e la calma per la comunità.

Dopo l’applauso e la fine della recita, la bambina raggiunse una coppia di giovani sposi che l’attendeva all’uscita del teatro.


“Sei stata bravissima” disse l’uomo accarezzando la testolina della piccola.

“L’ho fatto soprattutto per me, per voi, per il mio fratellino o sorellina” disse la bambina accarezzando il pancione della madre.

“Hai dato un grande esempio Judy. La gente conterà molto su di te. Devi sempre dare il meglio”

“Ci proverò sempre. Io voglio rendere il mondo un posto migliore”
 
Presente…
 
La ragazza si svegliò di soprassalto nella notte. Dopo la mail dello sconosciuto, Judy dormì male. Tutte le notti riviveva un momento della sua infanzia. Frammenti di vita che costudiva gelosamente nel suo cuore. Gli unici attimi che le ricordassero la sua famiglia.
 
Quella famiglia che ora non aveva più e che, risognando ogni notte, la faceva piangere al buio.

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Capitolo 18
*** CAPITOLO XVIII ***


XVIII.
TIC,TAC,TIC,TAC
 


Passarono tre giorni e Judy teneva gli occhi bene aperti per capire qualcosa in più su quella mail maledetta ma tutto taceva.
Tutto normale. Magari volevano solo intimorirla per nulla.

La mattina del quarto giorno la classe di Judy era pronta per svolgere una simulazione della seconda prova di maturità. Non sarebbe stata valutata ma i ragazzi erano comunque in panico.

Judy si concentrò sul compito riuscendo a completare la metà dei quesiti in neanche un’ora.

Ad un certo punto alzò la testa per controllare l’orologio.

10.05

Senza pensarci troppo tornò sulla simulazione per poi rialzare il viso di scatto e controllare nuovamente l’apparecchio.
Di colpo buttò indietro la sedia alzandosi in piedi e correndo verso l’uscita della classe.

Aveva capito!

Nella sua testa ora aveva tutto senso!

La mail mandata l’altra sera si riferiva a quel giorno.

Tic, tac, tic, tac… numero 4! Tic, tac, tic, tac… il rumore delle lancette dell’orologio! Tic, tac, tic, tac… mail inviata alle 22.45!

 Era tutto collegato!

 Quattro giorni dopo la mail, alle 10.45, sarebbe successo qualcosa, ma cosa?!

Tic, tac, tic, tac… UN TIMER!

Un timer che non indicava certo la cottura di una torta ma piuttosto…una bomba!

 “Hopps! Dove crede di andare?!” domandò la docente irritata dal comportamento.

“Devo avvisare il preside! Immediatamente, è urgente!”

“Stiamo facendo un compito e non lo può interrompere così nel nulla!” tuonò l’insegnante e Judy, arrabbiata dall’ignoranza della donna, prese la sua verifica, la mise sulla cattedra e schizzò via.

Corse fino all’ufficio del preside ed entrò senza bussare e non badando alla persona presente a dialogare con lui.

“Cosa succede?!” chiese il dirigente scolastico vedendosi piombare davanti la ragazza.

“Preside mi scusi per l’invadenza, ma deve far evacuare la scuola! Qualcosa sta per esplodere!”

“Oh insomma, voi ragazzini! Ne ho abbastanza con le vostre bravate! Non posso far evacuare la suola per un’ipotesi così assurda!” si arrabbiò lui leggermente imbarazzato di fronte all’ospite con cui stava contrattando.

“Va bene, grazie per la vostra considerazione. Mi arrangio io” concluse lei scocciata uscendo dallo studio.
Mancavano ormai pochi minuti all’intervallo e Judy non sapeva cosa fare.

 Si fermò un momento e ragionò.

Come poteva far uscire la gente?

Non li avrebbe mai convinti tutti!

Doveva far partire l’allarme anti incendio!

 In questo modo i ragazzi sarebbero stati obbligati ad uscire.

 Come fare però? La loro scuola era dotata di una tecnologia avanzata, non sarebbe bastato accendere una sigaretta o creare del fumo sotto il sensore! Doveva toccare l’impianto elettrico, ma chi poteva aiutarla?

Nella sua mente si accese una lampadina.

Ricordò che qualche giorno prima Riley, sorella di Kristoff, parlò al fratello dell’arrivo di un ragazzo chiamato Hiro, considerato un vero e proprio genio dell’informatica, della meccanica, dell’elettronica, insomma di tutta quella branca di materie.

“Buongiorno, scusate se interrompo la lezione ma avrei bisogno dell’aiuto di Hiro per aiutarci a sistemare un computer. E’ questione di qualche minuto” disse la ragazza entrando nell’aula del giovane che, un po’ intimorito dalla sconosciuta, si alzò titubante e la seguì all’uscita.

Judy spiegò il problema a Hiro che una volta compresa la missione da compiere si mise all’opera. Sfruttarono l’intervallo per entrare in portineria e rubare le chiavi dell’impianto elettrico.

In lontananza lo pseudo bullo Nick si accorse della situazione e, incuriosito, si avvicinò ed origliò i discorsi della coppia. Anche Nick era bravo in informatica e, senza esitare, piombò di fronte ai due offrendo aiuto.

“Ricordate una cosa importante: quando parte l’antincendio, qualcuno in portineria parla al microfono per avvertire”

“Astuto…cosa pensi di fare Wilde?” chiese Judy incuriosita.

Vedere il ragazzo propositivo era tutta un’altra cosa che notarlo sottomesso ai piedi di altri deficienti. La diagnosi preliminare di Judy sul suo conto era corretta: Nick non era un bullo vero, faceva finta di esserlo.

“Mentre voi fate partire l’allarme io, con un programma apposito, cambierò la mia voce cercando di renderla uguale a quella del segretario e parlerò.”

Astuta la volpe eh?!

“Come posso fidarmi?” domandò la ragazza dubbiosa.

“Se quello che dici è vero, stiamo tutti per morire per colpa di qualche difetto nel sistema o di un attentato di qualche psicopatico. Al 90% la colpa verrà data ai bulli della scuola e questa volta non voglio entrarci.”

Il ragazzo dai capelli rossi e gli occhi color smeraldo sembrava serio e determinato motivo per cui Judy, avendo a disposizione 10 minuti, lo assecondò e corse via con Hiro.

Nick era veramente sincero ed iniziò a lavorare al computer prestando attenzione a non farsi scoprire, anche se il segretario Benjamin Clawhauser sarebbe tornato dopo circa venti minuti, tutti sapevano che trascorreva l’intervallo nel bar vicino ad abbuffarsi di ciambelle. Non c’era pericolo.

Hiro iniziò a sistemare l’impianto elettrico e Judy, sentendosi per la prima volta ignorante in materia, decise di fare la guardia.

“Hiro veloce!” mise ansia lei.

“Non è così immediato sai?! Ancora due minuti!” disse lui facendo viaggiare le mani sui vari dispositivi.

“Ne mancano 3 di minuti prima che esploda quella cosa…” pensò tra sé e sé Judy.

Non fece a tempo a dire altro che l’allarme cominciò a rimbombare nelle sue orecchie.
Ora dovevano assicurarsi che uscissero tutti.

I due corsero velocemente fino all’ingresso quando sentirono Nick che era stato in grado di permutare la propria voce in quella del segretario.

“Attenzione prego! Questa non è un’esercitazione! Mantenete la calma ma sbrigatevi ad abbandonare l’edificio! Sgomberate tutte le classi, la palestra ed ogni millimetro!”

Presi dal panico gli alunni non ascoltarono le dritte dei docenti e si piombarono fuori dalla scuola disordinatamente.

“Sono usciti tutti?” chiese Judy rivolta a Nick.

“Sì, tranne noi… muoviamoci”

I tre scattarono all’aperto e, nell’istante in cui toccarono l’esterno, si avvertì un fracasso enorme.

“Deve essere esploso qualcosa!” urlò il preside stravolto.

“Io l’avevo avvertita!” pizzicò Judy.

“Perché non dici loro quello che hai detto a me?! Che probabilmente c’era una bomba nella palestra ed è esplosa?” chiese Nick spazientito di fronte al mutismo della ragazza.

“Perché la mia era solo un’ipotesi per ridere un po’ e rendere piccante il momento, me lo sentivo che sarebbe successo qualcosa e ho inventato la storia della bomba. Magari in realtà è stato un cortocircuito o un problema alla caldaia che potrebbe essersi congelata visto il freddo” si difese lei.

Fortunatamente era molto brava e preparata a mentire, erano anni che mentiva sulla verità.
Gli altri non potevano sapere o avrebbe rischiato grosso.

“Sei strana forte sai?! Comunque grazie di avermi accettato ed avermi permesso di aiutarti”
ringraziò lui e, dopo un grande sorriso, si allontanò da lei.

Judy rimase immobile ad osservarlo da lontano. Alla fine era viva anche grazie a lui che l’aveva aiutata gratuitamente. Era cocciuto come lei… ma con un grande cuore e questo aspetto la colpì.
Judy venne bombardata di domande da polizia, giornalisti e amici, ma mentì su tutto. Odiava mentire alle forze dell’ordine ma doveva farlo.

Grazie all’astuzia sua e degli zii, il caso venne chiuso in pochi giorni. La scuola terminò il giorno stesso dell’accaduto per permettere la ricostruzione della palestra e migliorare il sistema di sicurezza. La colpa venne data alla prima ipotesi di Judy: l’antigelo malfunzionante o qualche altro problema tecnico avevano fatto esplodere la caldaia situata accanto alla palestra.

Due giorni dopo l’accaduto Judy ricevette un’altra e-mail:

“Sei stata brava… mi hai colpito. So di averti fatto fare gli straordinari ma ora ti meriti le vacanze. Ci rivediamo a gennaio, goditi la tregua. Usa questo tempo per pensare e per deciderti a rivelarmi il segreto… o continuerò a lasciarti regali in giro”

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Capitolo 19
*** CAPITOLO XIX ***


XIX.
BUON NATALE

 
 
I ragazzi furono felici di terminare la scuola con largo anticipo motivo per cui cercavano di trascorrere il tempo insieme tutti i giorni.
Facevano passeggiate, bevevano qualcosa in un bar, andavano al cinema o si trovavano a casa di qualcuno a guardare un film.

“Carrellata di Mamma ho perso l’aereo eh?!” sbuffò Flynn cingendo le spalle a Rapunzel.

Si trovavano a casa di Elsa ed Anna, l’unica talmente grande da poter ospitare tutti.

“E’ un classico Flynn! Non possiamo non vederlo almeno in questo periodo” rise Anna inserendo il dvd.

“A proposito del periodo…fate qualcosa in queste vacanze?” domandò Hiccup sgranocchiando pop corn.

“Io andrò dai parenti in Francia per Natale. Torno il 29” spiegò Kristoff.

“Io sto a casa” disse Jack.

“Anche io” risposero Merida e Judy.

“Beh, per Natale ognuno ha sempre i propri impegni ma per Capodanno? Anche quest’anno potremmo trascorrerlo insieme!” si aggiunse Rapunzel.

“Che volete dire?” chiese Judy dubbiosa.
 
“Ogni anno andiamo nella casa di Anna ed Elsa in montagna e passiamo lì il capodanno. Ovviamente devi venire anche tu!” invitò Flynn.
Judy non rispose. Aveva paura a lasciare la casa. E se le fosse successo qualcosa mentre era via? In realtà la mail parlava chiaro: poteva godersi le vacanze e in genere lui manteneva le promesse. Judy, però, disse che avrebbe dato conferma nei prossimi giorni.
 
24 dicembre…

La vigilia di Natale era sempre un giorno magico per le sorelle Arendelle e per Rapunzel. Le tre ragazze erano solite vivere un vero e proprio rituale in quella giornata, una tradizione che portavano avanti da quando erano bambine.

Si svegliavano la mattina presto e si mettevano in cucina dove preparavano due impasti per i biscotti: uno normale alla vaniglia e l’altro al cacao e cannella. Dovendo poi lasciar riposare il tutto per almeno due ore, si dirigevano verso un negozio natalizio nel quale compravano qualche oggetto nuovo: una statuina del presepe, una pallina particolare per l’albero di natale, una nuova formina per fare i biscotti o un film da guardare tutti insieme. Le tre ragazze giravano fra gli scaffali ridendo e respirando l’atmosfera gioiosa.

“Io direi che quest’anno potremmo comprare questo!” disse Anna prelevando una formina di un pupazzo di neve.

Le altre due risero ed iniziarono ad immaginare tutte le decorazioni da fare sopra quel biscotto.

Nel pomeriggio si mettevano all’opera. In genere Elsa preparava le glasse e faceva sciogliere il cioccolato per fare anche dei cioccolatini, Anna impastava e poi, insieme a Rapunzel, preparavano i biscotti bisticciando su quali formine fossero le più belle.

Ogni anno si scherzava e rideva perché Elsa, troppo precisina, voleva solo formine natalizie e le altre due, di nascosto, riuscivano sempre a creare dei biscotti a forma di fungo, di anatra o automobile senza che la maggiore se ne accorgesse.

“Suvvia sorellona, so che ti facciamo ridere!” disse Anna una volta accortasi dello sguardo della sorella.

“Ma… scusate una cosa… Jack mica era da solo oggi?” si intromise Rapunzel.

“Sì e quindi?!”

“Invitiamolo qui da noi!” propose la cugina.

“Nonono” si imbarazzò Elsa.

“Oh insomma brontolona! Non puoi andare avanti ancora per molto così! Lo ami o no?! Una relazione così non sta in piedi!” la sgridò Anna scocciata per quella timidezza che ormai stava regnando in Elsa.

Elsa, dopo mezz’ora di discussioni sull’argomento, decise di cedere e chiamare Jack che non tardò ad arrivare.

“Hey, grazie per l’invito” salutò lui entrando in casa.

“Jack! Cosa stavi facendo di entusiasmante?” domandò Anna sbattendosi la farina di dosso.

“Niente di così eccitante in realtà, pulivo la macchina”

“Che bello avere una macchina tutta tua!” sospirò la ragazza sognante.

“Aspetta e spera… prima devi far la patente” si aggiunse Rapunzel.

Il pomeriggio continuò serenamente. Jack ed Elsa finirono per divertirsi insieme vivendo dei veri e propri momenti romantici caratterizzati dall’assaggio delle varie creme e dal cospargersi la faccia di farina. Rapunzel ed Anna furono contente del cambiamento e proposero ai genitori di invitare Jack a cena.

Il ragazzo accettò e ringraziò per l’invito, vedere Elsa così serena lo faceva stare bene.

A cena tutta la famiglia si gustò il pasto ridendo e scambiandosi gli auguri per il Natale e i quattro ragazzi finirono per sedersi sul divano e guardare un film natalizio.

Durante la visione, essendoci buio, Elsa prese la mano di Jack e per la prima volta sembravano una vera coppia. Il ragazzo sussultò di gioia al contatto della fidanzata, capì che quella era la giornata giusta per approfondire ed iniziare per davvero la loro relazione.

A mezzanotte la famiglia era solita partecipare alla messa di Natale e così si diressero tutti fuori. Jack ed Elsa, però, rimasero indietro e camminavano mano nella mano. Jack voleva darle il regalo di Natale.

Il biondo, determinato, prese da una tasca della giacca una piccola scatolina e la donò ad Elsa.

Lei lo ringraziò e, incuriosita, aprì il regalo. All’interno della confezione, adagiata su un soffice cuscinetto, c’era un ciondolo a forma di fiocco di neve, ornato da piccoli diamantini.

Elsa amava i gioielli e quel dono le scaldò il cuore!

“Jack, io…non so come ringraziarti!” disse lei emozionata.

“Di cosa? E’ il minimo”

“No, in realtà tu stai facendo tanto per me. Hai portato pazienza e hai aspettato i miei tempi. In questo periodo ho avuto paura. Fino a oggi mi rifiutavo di ascoltare i miei sentimenti per colpa della mia timidezza ma qualcosa ora è cambiato. Ho visto che tu ci tieni veramente tanto a me e non so spiegartelo ma sento come se il mio cuore di ghiaccio si fosse sciolto. Per questo ora vorrei darti il mio regalo di natale” spiegò lei sicura di sé.

Fu così che la ragazza si avvicinò a Jack e posò le labbra sulle sue.

Jack non si aspettava un gesto del genere ma Elsa aveva ragione: era davvero un regalo!

Presi dall’euforia i due iniziarono ad aprire di più le proprie bocche, a scambiarsi effusioni, a gustarsi fino a permettere alle lingue di conoscersi. Un vero e proprio bacio, di quelli che tolgono il respiro, che ti lasciano le labbra rosse e gonfie rendendole delle calamite che, dopo il loro distacco, hanno solo voglia di ricongiungersi ed assaggiarsi nuovamente…come nei film!

I due continuarono fino a sentire il rintocco della mezzanotte.

Come per magia, dal cielo iniziarono a cadere leggeri fiocchi di neve e posarsi sulle spalle della coppia. I due alzarono il viso per guardare il fenomeno che li avvolgeva per poi sorridere e riprendere da dove si erano lasciati.

Finalmente era arrivato il Natale e aveva portato la tranquillità.

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Capitolo 20
*** CAPITOLO XX ***


XX.
FIREWORK

31 Dicembre

I genitori di Elsa ed Anna, essendo benestanti, possedevano molte case delle quali si prendevano cura. Le ragazze ne amavano due in particolare: una in montagna e una presso un lago che usavano rispettivamente per l’inverno e per l’estate.

Ogni anno erano solite partire con il gruppo il 31 dicembre e tornare a casa intorno al 3 gennaio. Quell’anno, però, sarebbe stato tutto diverso perché all’interno del gruppo si erano instaurate delle coppie: Flynn e Rapunzel, Jack ed Elsa, Anna e Kristoff. Si erano organizzati con due macchine guidate da Jack e Flynn. Judy aveva preferito rimanere a casa per sicurezza…uscire così allo scoperto sarebbe stato troppo rischioso e così Hiccup e Merida si ritrovarono in mezzo agli amici innamorati e in preda agli ormoni.

La casa era collocata in un grazioso paese di montagna, molto affollato durante il periodo natalizio per via delle bancarelle che ogni anno occupavano le strade fino all’Epifania. Il caos era loro molto gradito perché anche i ragazzi usavano scatenarsi durante l’ultimo dell’anno.
L’abitazione era in legno suddivisa in tre piani. Al primo piano era presente la cucina e il soggiorno mentre gli altri due erano adibiti alle camere dove, in genere, si finiva per dormire maschi separati dalle femmine, ma quell’anno, forse, sarebbe cambiato tutto.


Appena entrati nella casa, i giovani furono felici di trovarla già calda e pulita come ogni anno e si misero all’opera per preparare la serata.
Elsa e Rapunzel si misero in cucina a preparare lenticchie, polenta e salsiccia mentre, i ragazzi, stappavano bottiglie per inaugurare il tutto con un bell’aperitivo.

“Bene ragazzi, primo brindisi di stasera lo dedichiamo a…”

“Rapunzel e tutte le fatiche che ha affrontato in quest’ultimo mese!” propose Anna alzando il primo bicchiere di prosecco e, appena finito il primo giro di cin-cin, trangugiò tutto velocemente.

“Oh vacci piano… abbiamo tutta la serata ancora!” la sgridò Hiccup picchiandole dentro.

“Esatto Kristoff dille qualcosa… non la vorrai mica ubriaca la prima sera che dormirete insieme” rise Flynn.

“Vorrei sottolineare il “dormirete”” ribadì Jack facendo l’occhiolino a Flynn.

“Wowo calma eh! Mi fa senso pensare a queste cose…ricordate che sono la sorella di Anna e la nostra famiglia non è d’accordo” puntualizzò Elsa tanto per fare la precisina. Sapeva bene come la pensavano i suoi genitori a riguardo ma, da quando stava con Jack, il suo corpo aveva iniziato a cambiare e a provare sensazioni nuove…non voleva essere lei a fare da balia ad Anna.

“Ah già loro sono da sesso dopo il matrimonio, peccato che di questi tempi ci si sposi a 30 anni e il povero Kristoff come farà ad aspettare?!” scherzò ancora Flynn ricevendosi un pugno affettuoso da Rapunzel anche se era divertita dalla conversazione.

Il gruppo cambiò argomento e consumò la cena tra battute e allegria finché Merida non tirò fuori il discorso Judy.

“Ragazzi so che magari non è il momento ma volevo chiedervi di Judy…mi sta preoccupando un po’. Non è venuta con noi, sapeva qualcosa in più dell’incidente a scuola, ultimamente è taciturna e preoccupata”

“E’ vero… penso che ce ne siamo accorti tutti. In questi mesi è cambiata tanto. E’ passata dall’essere psicopatica a normale ma è ovvio che ci nasconda qualcosa” disse Flynn versandosi un bicchiere di coca cola.

“Ragazzi, non dimentichiamo che lei si porta una sofferenza dentro. Alla fine le sono morti i genitori solo un anno fa. Lei è figlia unica e ha solo gli zii. Deve essere dura cambiare città, vita, famiglia in così poco tempo” ipotizzò Elsa ritirando i piatti.

“E’ vero…” sospirò Hiccup triste ed ecco che il silenzio appena creatosi venne rotto dal rimbombo dei primi fuochi d’artificio in lontananza. La serata era già volata e mancavano solo 5 minuti alla mezzanotte.

Ognuno afferrò al volo il proprio cappotto e si precipitò fuori a parte Flynn che aiutò Rapunzel ad incappucciarsi per bene perché, essendo ancora cagionevole di salute per colpa del bombardamento farmacologico, doveva proteggersi dal freddo.
Fuori c’era un’aria pungente che costrinse il gruppo a coprirsi il volto con la sciarpa lasciando scoperti solo gli occhi. Il cielo era punteggiato di stelle, sporcato solo da alcune nubi temporanee dovute allo scoppio dei petardi.

Kristoff cinse Anna da dietro ed insieme si preparano a vedere i fuochi d’artificio, Elsa e Jack si tenevano per mano mentre Flynn teneva stretta Rapunzel in un abbraccio.

Hiccup e Merida rimasero in disparte leggermente imbarazzati dalla scena.

“Sai bene cosa succederà a mezzanotte vero?” chiese lei.

“Si baceranno tutti tranne noi”

“Già…tranne noi” rise lei guardando le stelle.

3,2,1….. BUON ANNO!!

Il gruppo iniziò ad urlare, fischiare e nel cielo esplosero decine di fuochi artificiali che lo invasero con i loro colori sgargianti.

Hiccup, visto che le altre coppie si sbaciucchiavano, iniziò a ridere e, inebriato dall’alcool che circolava nelle vene, disse:

“Ma si dai baciamoci anche noi”

Merida, anche lei svampita per gli alcolici, rise ma accettò la sfida. Alla fine erano solo amici ma un bacio ci stava. Era da tanto che non baciava qualcuno e almeno non si sarebbe sentita un pesce fuor d’acqua.

Così i due ragazzi iniziarono a baciarsi ed assaggiarsi. Il loro bacio non durò molto ma venne notato dal gruppo che rimase scioccato.

“Ma che diavolo state facendo?” domandò Jack in preda alle risate di fronte alla scena. Gli altri erano sconvolti ma, una volta notati i due amici piegati in due dal ridere, capirono che doveva essere uno scherzo.

“Brindiamo a noi”

“Brindiamo alla maturità”

“Brindiamo alle sedie!”

Questi furono solo alcuni dei brindisi che si scambiarono una volta rientrati in casa. Gli amici rimasero svegli altre quattro ore ridendo, bevendo ancora, giocando alla play station o ad altri giochi e mangiando fette di pandoro e panettoni.

Verso le 4 i leoni iniziarono a sbadigliare e a stancarsi motivo per cui proposero di andare a dormire.

Le ragazze avrebbero dormito insieme in una stanza e stessa cosa i ragazzi in un’altra. Rapunzel, però, avrebbe dormito con Flynn. I due non avrebbero concluso nulla perché per Rapunzel la notte era traumatica. La ragazza, da quando era uscita dall’ospedale, soffriva di attacchi di panico che la tormentavano soprattutto la notte e la vicinanza di Flynn la calmava.

Elsa, invece, non si sentiva ancora pronta per dormire con Jack perché, alla fine, stavano insieme veramente da soli 5 giorni.

Merida, Elsa ed Anna preparano i vari letti e si sdraiarono. Merida prese sonno subito, mentre le altre due no.  Anna, credendo di trovare Elsa addormentata, si alzò silenziosa dal letto dirigendosi verso l’uscita più furtiva che poteva ma la maggiore la bloccò subito.

“Ti ho vista, dove vai?” bisbigliò Elsa raggiungendola sul ciglio della porta.

“Oh Elsa… so che non dovrei ma ti prego. Vorrei tanto trascorrere la notte con Kristoff”

Elsa se l’aspettava ma non sapeva cosa fare. In quel momento essere tua sorella può essere un’arma a doppio taglio. Sapeva bene come la pensavano i genitori: niente rapporti prima del matrimonio, no alla convivenza e al dormire con persone dell’altro sesso. Tutti valori ed idee che inculcavano loro fin da piccole e che Elsa, in parte, condivideva. Cosa avrebbe potuto fare? Incarnare il ruolo della sorella rompiscatole e spiona o della sorella buona che pensa al bene dell’altra?

Sapeva che dandole il via libera avrebbe concesso anche i gesti che sarebbero nati dal “dormire” insieme, ma non aveva voglia di mettere il bastone tra le ruote. Anna era la sua migliore amica, non solo una sorella. Il solo anno di differenza che le divideva non precludeva il diritto di considerarsi maggiore, migliore o quant’altro. Elsa non sapeva ancora quali sentimenti meravigliosi si celassero dopo mesi di relazione, cosa che stava provando Anna. Un giorno, magari, anche lei e Jack avrebbero intrapreso la scelta di condividere attimi o nottate insieme e Anna avrebbe dovuto ricambiarle il favore.

“Anna… sei sicura?”

“Sì Elsa… so che mamma e papà non sono d’accordo ma io sono grande ormai. Non dico questo perché ho voglia di ribellarmi ma perché semplicemente non condivido le loro idee. Io amo Kristoff e non vedo nulla di male nello stare insieme una notte.”

“Ok sorellina, ti copro io. Ti prego però, state attenti ma soprattutto, se lo farete, fatelo col cuore”

Anna fu sorpresa del consiglio della sorella e, dopo averla abbracciata, si diresse verso una camera matrimoniale al terzo piano dove l’attendeva Kristoff.

I due non si scambiarono nessuna parola perché le loro bocche si unirono immediatamente. Passò qualche secondo e il bacio, rendendosi ardente, costrinse i due a sdraiarsi a letto dove Kristoff, con gesto deciso, rimosse la maglia di Anna che rimase lì con il seno scoperto.

“Niente reggiseno?!” domandò lui osservandolo con occhi innamorati.

“Ho voluto agevolarti” sussurrò lei languida spingendo la testa di lui sempre più in basso. Kristoff amava ogni centimetro di quella pelle perfetta. Anna aveva un corpo mozzafiato senza imperfezioni.

Ancora qualche minuto ed Anna fu completamente nuda ed assaporava ogni gesto di Kristoff, ogni suo tocco, ogni suo bacio. Il ragazzo le baciava il seno per poi scendere e donarle piacere senza il minimo imbarazzo. I due avevano già imparato a conoscere il proprio corpo nei mesi precedenti anche se Anna l’aveva tenuto per sé. La prima volta che Kristoff sfiorò la sua intimità la ragazza scoppiò in lacrime. Non per dolore o tristezza ma per la gioia! Il contatto del ragazzo le riempiva il cuore e la faceva stare bene! I due avevano imparato fin da subito ad assaporare il sentimento e solo in seguito ad arricchirlo con l’eccitazione, era questo l’ingrediente segreto che permetteva ad entrambi di non trasformarsi in bestie istintive durante le effusioni amorose.

“Kris…voglio fare l’amore con te” sbottò lei lasciandolo impalato mentre muoveva le dita in lei.

“No Anna, io non voglio indurti a quello. Magari adesso l’alcool ha abbassato le nostre barriere mentali ma io non vorrei che…”

“Shhh… sono sobria. L’alcool mi fa girare solo un po’ la testa ma anzi mi fa sentire tutto di più. Io sono sicura…voglio che sia tu” continuò lei.

Lui si sentì onorato delle considerazioni di Anna e, in cuor suo, non vedeva l’ora di poter condividere tutto con lei.

Kristoff si spogliò del tutto lasciando che Anna lo osservasse, prese le giuste precauzioni per l’atto e si posizionò sopra di lei. Il cuore gli batteva all’impazzata. Anna aveva deciso di essere sua, di donargli la sua prima volta.

“Ti prego… se fa male dimmi di fermarmi” disse lui entrando in lei ed iniziando a muoversi piano.

Anna si stava veramente facendo sua e lui, per un attimo, non pensò ai brividi che il suo amico tra le gambe gli inviava, ma al fatto che Anna era sua e voleva lui.
Kristoff era talmente emozionato che dovette trattenersi per far durare il momento di più, Anna era perfetta per lui!

Per la ragazza fu una sensazione indescrivibile, non provava un vero e proprio dolore ma piuttosto un leggero fastidio iniziale.
Non sentiva nemmeno quel piacere di cui tante ragazze parlavano ma per lei era davvero speciale. Kristoff era in lei e lei in lui… questo la emozionava. Non le importava il godimento, non voleva sentirsi appagata o estinguere chissà quale libidine, quelle cose sarebbero venute dopo durante i rapporti successivi.

Concluso l’atto i due si sdraiarono vicini e si addormentarono uno sull’altro, stanchi e riempiti di quella prima esperienza.

Non c’era altro da dire, l’anno nuovo era iniziato con il piede giusto.

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Capitolo 21
*** CAPITOLO XXI ***


XXI.
THE DRAGON

 
 
La mattina seguente ogni ragazzo si svegliò con i propri tempi ma Kristoff ed Anna furono gli ultimi a scendere per la colazione.

“Wooo ecco i dormiglioni” constatò Hiccup sgranocchiando un biscotto.

“Chissà come mai così tardi” continuò Jack.

“Amico…ricorda che chi lo fa il primo dell’anno lo fa tutto l’anno” scherzò Flynn facendo ridere tutti.

Anna non disse nulla e si sedette vicino alle amiche leggermente imbarazzata. Rapunzel continuò a guardarla interrogandola con lo sguardo e quando Anna annuì con la testa, la cugina si mise le mani sulla faccia. Voleva sapere tutto di quella nottata di fuoco!

“Cosa facciamo oggi?” domandò Kristoff per cambiare argomento.

“Noi pensavamo di andare a fare una piccola gita” propose Jack cingendo la vita di Elsa e posandole un leggero bacio sulla guancia.

I ragazzi furono felici dell’idea e si prepararono per la scampagnata. Quel giorno il sole spendeva alto nel cielo, inusuale per essere in pieno inverno e la temperatura era gradevole.

I ragazzi si vestirono a strati, riempirono gli zaini di giacche, cibo e acqua e partirono.

Il monte che volevano raggiungere non era troppo alto, in modo da non spaventare Rapunzel per il polmone. Da lassù si sarebbe vista tutta la valle e il paesino montano.

“Hey allora me lo vuoi dire o no?” chiese Rapunzel ad Anna appena iniziata la passeggiata. Ad Anna si tinsero le gote di rosso e si sentì leggermente imbarazzata.

“Dai! L’avete fatto quindi?!” domandò la cugina cercando di nuovo la conferma ed Anna annuì nuovamente.

“Com’è?!” chiese Rapunzel curiosa.

“Strano… non ho provato chissà che cosa ma è stato bellissimo come gesto e momento vissuto insieme” spiegò Anna guardando bene per terra attenta a non inciampare.

“Beh penso che sia normale la prima volta. Sei diventata donna eh Anna!!” rise ancora la cugina abbracciandola forte e le due continuarono la salita.

Anche Kristoff aveva raccontato agli amici la sua prima volta e Flynn ne approfittò per dare al ragazzo consigli per avere sempre prestazioni migliori.

“Flynn, ma sei un playboy! Con quante ragazze l’hai fatto?!” domandò Jack scioccato per la quantità di particolari che sapeva l’altro.

“Troppe…e mi faccio schifo per questo” rispose lui amareggiato.

“Perché’?!” chiese Hiccup incuriosito.

“Perché l’ho fatto con persone delle quali non mi importava. Ragazze tutte uguali che ora non esistono più per me. Io ho sempre fatto sesso, ma l’amore non l’ho fatto con nessuna.”

“Cavolo amico, non ti facevo così sentimentale. Vedrai che con Rapunzel proverai qualcosa di diverso” confortò Jack. Flynn, sentendo nominare la fidanzata, si girò e la notò in fondo al gruppo con una mano sul torace. Spaventato le corse incontro.

“Cosa succede?!” domandò lui preoccupato.

“Non ce la faccio, mi fa male” spiegò lei.

“Amore, non è vero! Sei tu che lo credi, in realtà stai benissimo!”

“Non è vero non respiro” si lamentò lei sedendosi su una roccia.

“Ok…dimostramelo, forza. Guardami e prova a respirare con me”

Così Flynn iniziò ad inspirare profondamente e anche Rapunzel lo seguì a ruota senza difficoltà.

“Vedi? E’ tutta una cosa che credi tu! Stai bene e anche il tuo polmone funziona correttamente. Non ti stiamo portando in posti pericolosi, il percorso è praticamente pianeggiante!”

“Ma io ho sempre paura…paura di tornare in quell’inferno” iniziò a piangere lei e trovò le braccia di Flynn a consolarla. Il ragazzo provò a ripeterle di vivere la vita, che a 18 anni non poteva smettere anche solo di camminare…ma erano parole al vento. Risollevare Rapunzel non sarebbe stato così semplice.
 
La sera i ragazzi, dopo essersi fatti una doccia ed avere mangiato una pizza, finirono per sedersi sul divano stanchi per la giornata.

“Niente bancarelle?!” domandò Merida già pronta per uscire.

“Siamo stanchi… andiamo domani se proprio!” rispose Elsa abbracciata a Jack.

“Dai io ho voglia di andare, vengo con te” rispose Hiccup e il gruppo fu felice di vedere la nuova papabile coppia uscire insieme.

I due ragazzi camminavano per le vie del paese, parlavano e chiacchieravano del più e del meno quando Hiccup prese per mano la ragazza. A Merida batteva forte il cuore. Il bacio della sera prima, pur essendo nato come uno scherzo, aveva significato molto per entrambi. Merida osservò il giovane. Aveva i capelli castani mossi dal vento e gli occhi di un verde brillante che gli illuminavano il viso. Era davvero bello!

Anche Hiccup era attratto dalla rossa. Non solo amava il suo spirito libertino, il cespuglio di capelli rossi e ricci e la passione per lo sport ma gli piaceva la sua indole buona, il suo interesse per gli animali e per il prossimo.

Osservarono con interesse le varie bancarelle soffermandosi su una in particolare che offriva sculture in legno. I due ragazzi rimasero colpiti dai dettagli e dalla bravura con cui i lavoratori avevano manipolato il materiale. Hiccup si accorse che Merida osservava una scultura di un drago e, appena lei si allontanò per guardare un’altra bancarella, decise di acquistarla in fretta e furia.

“Hey tieni…questo è un regalo per te” disse lui raggiungendola e porgendole il dono comprato.

Merida scartò l’involucro e sorrise trovandosi davanti il drago appena ammirato.

“Hiccup non dovevi! Perché?!” chiese lei abbracciandolo in segno di apprezzamento.

“Ho visto che ti piaceva e poi sai i draghi hanno un bellissimo significato. Certo, sono sempre considerati delle figure mostruose, cattive e portatrici di morte, ma sono anche il simbolo della forza, del coraggio, dell’arte e della creatività…tutte cose che rappresentano te” disse lui fermandosi di fronte a lei e facendo specchiare i propri occhi nei suoi.

Merida non sapeva che cosa dire davanti a quel momento così emozionante. Hiccup approfittò dell’atmosfera e così, pian piano, si avvicinò la ragazza ed iniziò a sporgersi verso di lei.

I due avevano già chiuso gli occhi.

Le loro labbra erano distanti un millimetro, ma erano già pronte ad assaporarsi.

Il cuore dei ragazzi batteva all’impazzata e rimbombava nelle loro orecchie.

Era tutto così perfetto se non fosse per due fari che, inaspettatamente, abbagliarono la folla.

 Nessuno riuscì a valutare velocemente la situazione perché, all’improvviso, un camion attraversò con velocità le bancarelle divorando persone, oggetti e animali. Un drago del male che con le sue fauci divorò in un secondo tutta la bellezza che abbracciava quella tranquilla serata invernale.

 Merida aprì gli occhi. Si sarebbe aspettata di trovare davanti a lei il suo nuovo ragazzo con il quale stava per scambiarsi il primo bacio, ma quel bacio non si concretizzò.

Quando spalancò gli occhi il camion era già passato e aveva separato entrambi.

Lei si trovava seduta per terra segnata da tagli e ferite mentre Hiccup… dov’era Hiccup?!

La ragazza si alzò barcollante trascinando la gamba destra che le doleva per il colpo. Accanto a lei c’erano persone che urlavano, piangevano, imprecavano contro il cielo per colpa di quel dannato camion che aveva ucciso tante vite. Merida si fece forza ed iniziò a guardare il volto delle persone a terra sperando di trovare Hiccup non in loro ma piuttosto nei soccorritori.

La ragazza aguzzò la vista anche se con la polvere e il dolore era difficile comprendere lucidamente la situazione. Scrutò ogni angolo della strada finché non lo notò. Contro ad un muro c’era un ragazzo che piangeva e urlava dal male.

“Hiccup!!” urlò Merida raggiungendolo il più velocemente possibile.
Il ragazzo la guardò e si sentì leggermente sollevato.


 Nessuno dei due aveva compreso il momento, si stavano solo per baciare ed ora perché erano in fin di vita?!

Merida chiamò subito dei soccorritori che erano già in zona per gli altri feriti e, solo quando li caricarono in ambulanza, si accorse della gamba del ragazzo.

Non aveva la sembianza di una gamba ma, piuttosto, di un ammasso di sangue e piaghe… ed Hiccup, prima di perdere conoscenza riuscì solo a dire:

“Non capisco, la tocco e non sento niente! Non riesco nemmeno a muoverla, come se avessi perso la sensibilità!”
 

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Capitolo 22
*** CAPITOLO XXII ***


XXII.
LA VERITA’
 
La mattina seguente Judy si alzò dal letto e si diresse verso la cucina pronta ad iniziare una nuova
giornata. Prese dal frigorifero del latte e ne scaldò un po’. Nell’attesa accese la televisione, solita routine che caratterizza la mattinata di molte persone. Stava finendo di preparare la sua colazione quando una notizia del telegiornale catturò la sua attenzione.

“Ore 21.30, un camion ha attraversato la strada ad alta velocità travolgendo le persone che osservavano le bancarelle”

A Judy si gelò il sangue. Il paese nominato era proprio quello dove alloggiavano i ragazzi. Se qualcuno di loro si fosse fatto del male?! E chi era alla guida di quel camion?! Possibile che anche quello fosse stato un gesto deciso dalla persona che lei tanto temeva?!

La ragazza respirava affannosamente e, visto che voleva delle conferme, prese il cellulare e compose il numero di Merida.

Dovette richiamarla più volte prima di ricevere risposta.

“Pronto, Judy sei tu?”

“Elsa! State bene?! Ho sentito il tg e…”

“Hiccup e Merida, sono stati loro i coinvolti. Noi stiamo bene, siamo qui ad aspettare notizie.”

“Puoi passarmi Merida?!”

Judy non ricevette risposta da Elsa perché l’amica si alzò e si diresse verso la stanza dove Merida era in osservazione e le passò il telefono.

“Merida! Cosa è successo?!” domandò Judy alquanto spaventata.

“Un camion ha investito me ed Hiccup, non ho capito nulla! E’ stato tutto così veloce!” rispose l’amica e dalla sua voce trapelava la paura e l’agitazione.

“Come state?! Dimmi qualcosa di più! Devo sapere tutto, perché non potete essere in pericolo anche voi!”
“Io sto bene, solo shock e qualche ammaccatura. Hiccup non lo so, è in sala operatoria… ma aspetta un attimo, di cosa stai parlando? Pericolo?”

“Non è il momento di parlarne adesso…”

“No! Judy! Tu ci stai nascondendo qualcosa di importante e adesso che siamo stati colpiti anche noi devi dirci la verità!” urlò la ragazza arrabbiata.

“Ok, ti prometto che ti dirò tutto” rispose titubante Judy e, dopo averla salutata freddamente, chiamò gli zii ai quali, ancora una volta, confidò tutto: adesso anche i suoi amici erano in pericolo.
 
Merida aveva passato la nottata in quella stanza attaccata a flebo di zuccheri e antidolorifici, ma era fuori pericolo. Il giorno dopo sarebbe stata dimessa. Nessuno, però, era tranquillo per la situazione di Hiccup. Il ragazzo era stato portato d’urgenza in sala operatoria e non sapevano nulla di lui.

Trascorse ancora un’ora prima che il ragazzo uscì dalla sala operatoria. Era sdraiato su un lettino, dormiva e il suo corpo era completamente rivestito da un telo bianco.

“Dottore come sta?!” domandò Merida scattando seduta sul lettino.

“Sta bene, ora è in coma farmacologico e tra poco lo sveglieremo. Il problema arriverà quando il ragazzo tornerà cosciente”

“Perché?!”

“Il trauma subìto è stato molto forte. La lesione riportata alla gamba è stata impossibile da operare. Abbiamo dovuto amputare, altrimenti il paziente avrebbe rischiato di incubare malattie molto più gravi o infezioni incurabili.”

Merida non rispose più. Amputare?! Hiccup non aveva più una gamba? Non avrebbe più potuto correre, saltare, giocare con i suoi amati cagnolini?

Tutto questo agitava la ragazza che, pur essendo dura e coraggiosa, provava dentro di sé un miscuglio di rabbia e sofferenza per quel giovane che, in così poco, le aveva stregato il cuore. Non sapeva come comportarsi, come avrebbe potuto aiutarlo ad abituarsi a una mancanza del genere, ma una cosa la sapeva: voleva esserci per lui.

La giornata passò molto lentamente e Merida si fece confortare dagli amici con i quali pensò anche ad un modo per affrontare la questione al risveglio di Hiccup. Nel frattempo erano arrivati in ospedale i parenti del ragazzo e Judy stessa che, però, non venne accolta calorosamente da Merida.

“Voglio sapere Judy! Tutto!” le tuonò contro la rossa prendendola in disparte.

“Merida, non so se quello che è successo a Hiccup sia stato organizzato da qualcuno che so io o sia stato semplicemente opera di un attentato in generale! Parlarne non aiuterebbe!” rispose Judy scossa e insicura per la prima volta nella sua vita.

“Non mi importa quali siano le ragioni di questo atto atroce che ha rischiato di farci perdere la vita, io voglio sapere la verità! Tu mi nascondi qualcosa di un certo spessore perché si vede lontano un miglio che soffri! Sono tua amica da mesi ormai e ti voglio bene, perché non ti apri con me?!” si arrabbiò l’amica incrociando le braccia.

Judy non rispose e, portando Merida in un posto isolato, le raccontò tutto.
 
1 anno prima…

La casa di Judy quel giorno era avvolta dal silenzio. La ragazza dagli occhi magici era intenta a studiare, nella stanza accanto un bambino dai capelli color dell’ebano era intento a riordinare i libri di scuola e a prepararsi per la notte. I genitori erano chiusi in una stanza da ore e sembravano preoccupati per qualcosa ma i due fratelli pensavano che fosse dovuto a un normale litigio. Nessuno dei due sapeva che, da quel giorno la loro vita sarebbe cambiata per sempre.

Trascorse ancora un’ora prima di avvertire il rumore di un bicchiere frantumarsi per terra. All’improvviso il padre spalancò la porta iniziando a correre per l’abitazione alla ricerca di una valigia. La madre uscì lentamente dalla stanza tenendosi una mano sul pancione bene in vista.

“Mamma, che succede?!” chiese il ragazzino uscendo dalla propria camera molto preoccupato.

“E’ tutto ok tesoro, vostro fratello sta per nascere” disse la donna affaticata.
Judy, però, notò qualcosa di strano nella sua espressione. Quello sarebbe stato il suo terzo parto e, nonostante questo, la madre sembrava estremamente agitata…ma non per il bambino, piuttosto per qualcosa di esterno. Judy aveva fiuto per queste cose, con uno sguardo riusciva a capire le intenzioni e le emozioni di molte persone. Per non aggiungere problemi, preferì non fare nulla ed attendere le raccomandazioni dei genitori.

“Judy noi andiamo in ospedale, mi raccomando tieni d’occhio tuo fratello e andate a letto presto. Non preoccupatevi per noi, appena sappiamo qualcosa vi chiamiamo” aggiunse il padre abbracciando la figlia maggiore.

Judy assaporò a lungo quell’abbraccio, non sapeva perché ma aveva un brutto presentimento.
Passarono ore dopo l’uscita di casa dei genitori. Judy e Oliver non riuscirono a prendere sonno nonostante le raccomandazioni finendo, così, per sdraiarsi abbracciati sul divano.

Qualche minuto più tardi squillò il telefono.

“Mamma, papà quindi come…”

“Ciao Judy…”

La voce non era quella dei genitori. Chi stava parlando?

“Chi sei?”

“Non preoccuparti, da oggi ci penserò io a te”

Chi era quello sconosciuto?! Cosa voleva?! Perché quella voce metallica?

La ragazza non fece a tempo a rispondere che alcuni uomini, vestiti di nero, riuscirono ad entrare nell’abitazione.

Judy non capì nulla. Provò a difendersi ed allontanarli ma, l’unica cosa che ricordò furono le urla di Oliver e un dolore alla testa che la fece svenire.

Al suo risveglio la ragazza si trovava in ospedale dove le venne data la notizia di aver perso i suoi genitori e il fratellino non ancora nato in un incidente d’auto.
 
Merida non capì nulla da quel discorso se non una piccola informazione in più sull’amica. Judy soffriva, soffriva molto per aver perso la sua famiglia. Ma cosa era realmente successo quella sera? Ed Oliver?!

Non fece a tempo a porle queste domande che Hiccup si svegliò.

Merida, dispiaciuta di dover interrompere il discorso, si allontanò dall’amica ed entrò nella stanza dopo i genitori del ragazzo. Merida osservò i parenti uscire dal posto del ricovero. Avevano il volto provato e gli occhi inumiditi di lacrime, segno del loro sgradevole incontro con la condizione del figlio. Anche Merida sapeva che non sarebbe stato facile entrare in quel luogo ma sapeva solo che per Hiccup avrebbe fatto di tutto.

Entrò nella camera e trovò il ragazzo immobile nel letto, collegato a flebo ed elettrocardiogrammi che mostravano il cuore in fibrillazione per colpa dello spavento ricevuto.

“Merida” sussurrò lui schiarendosi la voce.

“Hey, ciao!” disse lei avvicinandosi e prendendogli la mano. La Merida che conosceva non avrebbe mai fatto una cosa del genere perché non era una persona molto affettuosa, ma per Hiccup era diverso…sentiva come una calamita che l’attirava a lui.

“Mi hanno detto che…che…” provò ad esprimersi lui ma la voce gli si ruppe in gola.

“Sì. Hiccup io non so che dire, non so che fare! Ieri doveva essere una giornata importante per noi, non avrei mai dovuto andare a quelle bancarelle!” si scusò lei cercando di non piangere.

“Non è colpa tua, ieri volevo solo giocare le mie carte e dirti tutto ciò che sento per te, ma non ho avuto tempo. Io non so che stabilità potrò offrirti! Ora sono debole e sono un infermo! Non mi sono ancora visto, non ho avuto il coraggio di farlo” iniziò a piangere lui trattenendo i singhiozzi.

Merida non sapeva cosa fare, motivo per cui rimase in silenzio e abbracciò il ragazzo cercando di fargli capire, con i gesti, che lei non l’avrebbe mai lasciato solo.

Merida trascorse con lui ancora una decina di minuti per poi uscire e tornare da Judy. Tutti quei fatti la stavano confondendo, ma voleva concludere anche la questione con l’amica.

“Mi dispiace per la tua famiglia, ma non capisco… quella gente cosa voleva da te quella sera?!”

“I miei non sono morti in un incidente d’auto. Sono stati uccisi da quella persona che mi chiamò al telefono e che ora continua a perseguitarmi.”

“E cosa vuole da te?!”

“I miei erano scienziati. Avevano appena scoperto una cura in grado di guarire alcune malattie molto gravi ma quella medicina, se usata male, può provocare la morte delle persone. Loro vogliono quella cosa.”

“E tu cosa c’entri? Stai cercando di nasconderla in qualche modo?”

“Non è scritta da nessuna parte, se non nella mia mente. L’unica a conoscenza di quella formula medica sono io.”

“E perché non trovi un compromesso?! Perché non denunci tutto alla polizia?! Possibile che i tuoi zii non facciano nulla…”

“Merida…” interruppe Judy e, dopo aver preso fiato, rivelò la parte più sconvolgente.

“Quelli non sono i miei zii.”

Seguì un’altra pausa di silenzio.

“Quelli sono delle spie incaricate di proteggermi. Io non ho più nessuno! Il mio unico parente rimasto in vita è Oliver… ma non posso denunciare la cosa a nessuno”

Merida era già incredula di suo ma, quando sentì l’ultima affermazione, rimase completamente a bocca aperta:

“Loro hanno mio fratello… e la sua vita è a rischio ogni volta che rispondo male al loro gioco”
 
 

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Capitolo 23
*** CAPITOLO XXIII ***


XXIII.
L'AMORE RESISTE A TUTTO 



 
“Tuo fratello?! E’ stato rapito da loro?! Mi stai dicendo che da un anno a questa parte lo tengono prigioniero?” domandò Merida incredula di fronte al racconto.

“Non so come stia Oliver…sta di fatto che l’hanno loro. Ho solo la certezza che è vivo. Io segretamente mi sto tutelando grazie all’aiuto dei miei falsi zii, ma è un processo lungo. Quelle persone hanno occhi ovunque! Sanno dove abito, il mio numero di telefono, l’indirizzo email…magari sanno anche che sono qui con te ora e sto rischiando grosso”

“Tu dici che anche l’episodio del camion sia opera loro?”

“Non lo so, non so più niente… so che loro mi stanno dando sempre meno tempo e mi stanno mettendo pressione. Prima hanno iniziato con i messaggi, poi mi hanno aggredita per strada quando mi avete visto il graffio, ma i miei zii hanno sempre qualcuno che mi controlla e sono riusciti a salvarmi. Quella persona che mi aveva colpita ora è in galera ma sai come funzionano queste cose… finché non prendi il capo, ci saranno sempre tante pedine disposte a lavorare per lui. E’ come un formicaio, non riesci a fermarne il flusso!”

“Quindi mi stai dicendo che molte cose successe finora sono state opera loro?!”

“Sì… il graffio, poi la tentata rapina alla banca dove depositavano il conto i miei, probabilmente pensavano potesse esserci la formula medica scritta da qualche parte. Hanno iniziato a mandarmi messaggi fino a qualche mese fa quando mi hanno fatto un indovinello che poi ho risolto perché riguardava l’esplosione della bomba a scuola.”

“Aspetta, aspetta… mi stai dicendo che anche la cosa della scuola è organizzata da loro?”

“Sì… diciamo che per ora stanno agendo inconsciamente. Loro sanno del mio dono e della mia intelligenza fuori dal comune e si divertono a mettermi alla prova. Io nel frattempo approfitto di questo loro giochino per cercare di incastrarli ma sto iniziando a temere il peggio…se mi toccano anche voi adesso io non so più che fare!”

“Hey, tranquilla…insieme ne usciremo. Presto lo diremo anche agli altri del gruppo e…”

“No, Merida! Tu devi stare zitta e non dire nulla di questa storia. Non posso rischiare che lo sappia troppa gente. Giurami che manterrai il segreto!”

“Ok, ok te lo prometto, però non posso fare finta di niente. Quando tornerò a casa parlerò con i tuoi zii e mi farò spiegare da loro un po’ di cose per imparare a difendermi e difenderti in caso di necessità”

“Grazie mille Meri…Ora però mi sento ancora più triste”

Judy, dicendo questa frase, si sedette su una sedia vicina e, per la prima volta, si mostrò debole e fragile agli occhi dell’amica.

“E perché mai?” chiese l’altra avvicinandosi colpita dal cambiamento di Judy.

“Non avrei mai voluto tutto questo. Io sono venuta qua per fuggire, cambiare vita e finalmente dopo un anno di mutismo ho trovato persone amiche, come te e gli altri. Io non ho una famiglia, non ho nessuno! Oliver mi manca da impazzire, per non parlare della rabbia che ho addosso contro a quei bastardi che hanno ucciso mia madre, mio padre e il mio secondo fratellino che non ha visto nemmeno la luce. Ora stanno facendo del male anche a voi, Hiccup non ha più una gamba e tutto questo è per colpa mia che non avrei mai dovuto stringere troppa amicizia con voi. Perdonami Merida, per colpa mia il tuo ragazzo ha rischiato la vita e la sua perdita fisica lo condizionerà per sempre…”

A Judy si formò un groppo in gola e le si inumidirono gli occhi. Nessuno l’aveva mai vista così! Merida, commossa dalla situazione, fece un gesto che non aveva mai fatto prima.

Senza pensarci due volte avvolse Judy in un abbraccio e fu felice di sentire l’altra appoggiarsi a sé. Merida provava odio, rabbia, amarezza, ma non contro Judy. Judy era per lei come una sorella ormai e il racconto del suo passato l’aiutò a capirla ancora di più. Merida, mentre l’abbracciava, pensò a molte cose. Da quanto tempo Judy non abbracciava qualcuno? Da quanto tempo non piangeva sulla spalla di un’amica? Da quanto tempo non viveva come una normale ragazza di 19 anni? Da quanto tempo non urlava e imprecava contro il cielo e quelle persone che le avevano tolto tutto?

Judy non aveva nulla! In un secondo, quella sera, aveva perso i genitori, i due fratelli e un pazzo maniaco aveva iniziato a tormentarla.

“Io non posso minimamente comprendere il tuo dolore ma una cosa la so: adesso siamo noi la tua famiglia e ti staremo vicini” concluse Merida porgendo un fazzoletto all’altra che ora si sentiva libera da un fardello che custodiva nel cuore da troppo tempo.

“…comunque…io ed Hiccup non stiamo insieme” continuò la rossa alzandosi e dirigendosi verso la stanza del ragazzo.

“Sarà solo questione di tempo. Mi dispiace ancora per ieri ma sono sicura che Hiccup si riprenderà…proprio grazie a te.” Aggiunse Judy e, dopo averla salutata, si aggregò al gruppo dove tornò la ragazza di sempre.
 
 
Passarono alcuni giorni dall’incidente e tutto parve tornare alla normalità.
Hiccup rimase ricoverato per molto tempo e non aveva ancora avuto il coraggio di guardarsi allo specchio. Il dolore ormai era svanito e il ragazzo veniva trasportato da un posto all’altro tramite la sedia a rotelle. Merida andava a trovarlo tutti i giorni fermandosi anche la notte se necessario. La ragazza aveva già osservato la gamba di Hiccup mentre dormiva e, a parte lo shock iniziale, si stava ormai abituando alla situazione.

“Domani torni a casa non sei contento?!” chiese lei un pomeriggio dopo aver ricevuto la bella notizia.

“No” rispose secco lui senza guardarla.

“Perché?!”

“Perché nulla sarà come prima! Senza la gamba non potrò fare niente! Non so nemmeno se riesco a reggermi in piedi figuriamoci fare tutto il resto!” si lamentò lui.

“Forza vieni” disse lei alzandosi e porgendogli la mano per farlo sedere sulla sedia a rotelle.

“Cosa vuoi fare?!” chiese lui confuso.

“Tu hai paura e non devi averla. Lo so Hiccup non è facile ma prima affronti la nuova realtà e prima l’accetterai. Ora vieni, andiamo in bagno e, allo specchio, aprirai gli occhi e ti guarderai.” Disse lei con fermezza.

Hiccup non rispose. La ragazza aveva ragione, doveva accettarsi! Quei giorni li aveva trascorsi con gli occhi chiusi per paura di vedersi la gamba. Doveva reputarsi fortunato, tante persone quella sera morirono per colpa del camion. Lui stava bene, nonostante la gamba.

Hiccup si trascinò in fondo al letto e scivolò sulla sedia a rotelle. Una volta arrivato in bagno Merida si posizionò davanti a lui e lo invitò a fare forza sull’unica gamba per erigersi in piedi. Hiccup si aspettava di fare molta più fatica ma, in realtà, non fu difficile tirarsi su. Merida sapeva che lo shock sarebbe stato alto, motivo per cui non allontanò il braccio dal fianco del ragazzo.

Hiccup iniziò a fare dei lunghi respiri e spalancò gli occhi quando si sentì pronto.

Si guardò allo specchio e a primo impatto non si riconobbe. Si vedeva dimagrito, pallido, sofferente…poi abbassò il tiro e si osservò le gambe. Una delle due, dal ginocchio in giù, non esisteva più.
Quel momento fu indescrivibile. Si sentì la testa pesante, il cuore a mille e il panico iniziò a divampare in lui. Si sforzò di non piangere ma qualche lacrima gli rigò il viso. Si sentiva un’altra persona con un’altra vita, smarrito, in una realtà non sua.

Si osservò ancora e solo dopo la seconda occhiata si calmò. Questa volta non guardò molto la gamba ma piuttosto le mani di Merida che gli tenevano saldamente il fianco per non farlo cadere. Quel gesto significò molto per lui. Quella ragazza veniva a trovarlo tutti i giorni, lo spronava a guardare il positivo, piangeva e rideva con lui e, in quel momento, lo sosteneva fisicamente e moralmente.
Le mani di Merida così ben ancorate sembrava dicessero: “Io ci sono, ci sarò e non ti lascerò andare. Anche se ora sei sfigurato, io ti voglio per ciò che sei”

Il ragazzo non rivolse più gli occhi allo specchio e si voltò verso la rossa che non si aspettava un atteggiamento del genere.

Avrebbe voluto baciarla, abbracciarla, ma dall’altra parte non voleva condannarla a restare con lui. Lei doveva scegliere l’opportunità migliore. Aveva la libertà di trovarsi un ragazzo normale, bello, agile, con tutte le parti del corpo intatte.

Queste paranoie non servirono a nulla perché Merida, istintivamente, si sporse in avanti ed appoggiò le labbra su quelle di Hiccup. Il ragazzo chiuse gli occhi per assaporarsi il momento e si sentì meglio. Entrambi si fecero travolgere dal bacio che si fece sempre più vissuto. Le labbra si incastravano perfettamente, si inumidirono e le lingue, ogni tanto, si accarezzarono. Un bacio appassionato nel quale condividevano le emozioni di quelle giornate e, finalmente, davano il la alla loro storia d’amore che era nata da una tragedia.

Fu Merida a staccarsi per prima dal bacio vedendo Hiccup barcollante.

“Ti ho emozionato eh? Scommetto che è per questo che non ti reggi in piedi” rise lei abbracciandolo.

“Spiritosa” rispose lui sorridendo dopo tante ore di pianto e disperazione.

“Merida” continuò lui spostandole una ciocca di capelli dal viso.

“Io non ti voglio condizionare. Devi essere libera. Hai visto come sono, ora sono diverso… sono un infermo e sembrerò un vecchio. Non voglio che passi il tuo tempo ad accudirmi, perciò ti prego pensaci bene”

“Tu non hai ancora capito niente. Io voglio esserci! Da solo non ne uscirai mai, ma insieme ce la faremo! La gamba la sistemeremo in qualche modo, comprandone sicuramente una finta che ti permetterà di andare in giro senza stampelle almeno! Voglio condividere ogni momento di questa tua rinascita. E’ come se tu fossi tornato bambino. Sono disposta a vedere i tuoi primi passi, le tue cadute, le corse… perché sono sicura che presto tornerai a fare tutto questo e io sarò in prima fila a tifare per te.”

Non c’erano altre parole da aggiungere, ormai anche il loro amore si era formato e aveva dimostrato di essere forte e puro. Dopo essersi scambiati un altro sorriso, i due uscirono dal bagno e trascorsero la giornata tra baci e risate.

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Capitolo 24
*** CAPITOLO XXIV ***


XXIV.
REGALI CHE CAMBIANO LA VITA

La scuola riprese a un ritmo infernale. Compiti in classe, interrogazioni, studio intenso e molto stress per i ragazzi di quinta superiore ormai travolti dalle simulazioni delle prove di maturità.

Elsa e Jack trascorrevano molte giornate insieme studiando e condividendo non solo momenti d’amore ma anche di studio e aiuto reciproco.

Anna e Kristoff rimanevano la coppia innamorata di sempre, mentre Rapunzel, finalmente, pian piano combatteva la sua paura fisica grazie all’aiuto di Flynn.

Judy, dopo essersi sfogata con Merida, pareva molto più rilassata e, per ora, non aveva ancora ricevuto minacce dai suoi stalker.

L’unico ad essere in difficoltà fu Hiccup. Tornare alla normalità non fu semplice per lui.
Imparare a camminare sempre con le stampelle, accorciare i vestiti, guardare la gamba senza fasciature e girare per strada sapendo di avere gli occhi della gente puntati su di sé non lo faceva stare bene. Merida era la sua unica salvezza. La ragazza gli donava amore in ogni momento, non si scoraggiava di fronte a nulla e lo vedeva sempre con occhi innamorati noncurante della sua disabilità.
Hiccup custodiva dentro di sé un desiderio enorme di poter tornare quello di sempre, ovvero il ragazzo giovane e spensierato che gioca con i cagnolini dell’allevamento, partecipa ai laboratori sportivi di tiro con l’arco e corre come tutti. Le stampelle, però, erano un bell’impedimento e la situazione in casa era ancora più tesa.
Dopo l’incidente, i genitori di Hiccup, separati, iniziarono a litigare ancora di più non capendo la reale condizione del figlio. Litigavano dandosi la colpa e cercando di contrattare il valore dei costi e delle spese che avrebbero dovuto affrontare per gli impedimenti di Hiccup. La famiglia del ragazzo non era benestante e quando la madre guardò il prezzo di una protesi alla gamba impallidì.

Il 20 gennaio si avvicinava e in quella data si sarebbe festeggiato il compleanno di Hiccup anche se lui non era in vena di festeggiarlo.

“Lui non vuole festeggiare nulla” disse Merida triste rivolta agli amici.

“Lui non vuole ma noi sì” aggiunse Flynn.

“Ho un’idea” si illuminò Elsa.

“Potremmo fargli una festa a sorpresa” continuò lei osservando il volto degli amici.

“Ovvio, ma cosa gli regaliamo?” chiese Anna confusa.

“La protesi sarebbe perfetta, ma costa troppo” constatò Merida amareggiata.

“Ma certo ragazzi!!! Ho la soluzione!” esclamò Jack e tutti si prepararono all’ascolto.

“Potremmo proporre una raccolta fondi a scuola. In questa scuola ci sono circa 1500 studenti se non di più se non si considera il fatto che siamo nell’istituto più grande della città. Se ognuno dona qualcosa che sia 5-10 euro, si arriverà a 15.000 euro. Ovviamente sarà offerta libera. Non potremo mai ricoprire il costo dell’intera protesi ma presentare ai genitori di Hiccup un bel gruzzoletto li aiuterà sicuramente!”

“Hai un ragazzo geniale… io se fossi in te gli darei una ricompensa stanotte” bisbigliò Flynn all’orecchio di Elsa ricevendosi la sua occhiatacca.

“Astuto…corriamo a riferirlo al preside, non ci dirà di no” concluse Judy e, seguita dagli altri due rappresentanti d’istituto, raggiunse l’ufficio del dirigente scolastico.

Passarono altri due giorni e i ragazzi si posizionarono nell’atrio. Per non dare nell’occhio e non fare insospettire Hiccup, istituirono un banco di biscotti e torte che costavano dai 5 ai 10 euro. Alcuni ragazzi, conoscendo la reale motivazione della raccolta fondi, decisero di donare anche 20-25 euro affermando che, per quel mese, non sarebbe morto nessuno senza paghetta.

La raccolta proseguì per una settimana e il gruppo, sempre più soddisfatto della risposta positiva all’attività, iniziò ad organizzare la festa. Avrebbero allestito il tutto nella taverna di Hiccup in modo da non scomodarlo troppo. Merida, però, erano giorni che organizzava una particolare sorpresa per il fidanzato.

Il 20 gennaio arrivò velocemente e i ragazzi erano pronti a festeggiare. Quel giorno il tempo era orribile. C’era un cielo plumbeo che scagliava tuoni, lampi, vento, pioggia e neve. Hiccup trascorse tutto il pomeriggio rintanato in casa triste anche per la condizione metereologica. A scuola gli avevano fatto gli auguri e lui li aveva accolti senza entusiasmo. Non aveva senso festeggiare per quei 19 anni segnati da uno stile di vita che lo rendeva un novantenne immobilizzato!

“Hiccup, c’è Merida… mi chiede se posso farla entrare” disse la madre del ragazzo entrando nella sua stanza e ricevendo il consenso del figlio.
“Ciao tesoro” salutò lui vedendola entrare in camera. Vederla lì accanto a lui gli provocava delle emozioni forti, gli faceva battere il cuore a mille e lo rendeva felice. Quale regalo migliore se non avere vicino la propria ragazza?

“Cosa fai qua in gabbia?” domandò lei dopo avergli rubato un bacio a stampo.

“Aspettavo te…” sorrise lui invitandola a sedersi sul letto ma lei rifiutò.

“Ho un regalo per te” disse lei e, senza attendere risposta, uscì dalla stanza per poi rientrare con un grande scatolone tra le braccia.

“Quando sei pronto aprilo” aggiunse lei posandolo davanti a lui.

Hiccup non capì. Cosa poteva avergli regalato di così enorme?

Il ragazzo, preso dalla curiosità, sollevò il coperchio e rimase a bocca aperta di fronte a ciò che gli si era presentato davanti.

In fondo allo scatolone, adagiato su una copertina, c’era un piccolo cagnolino che dormicchiava beato. Aveva il pelo dorato, color del miele con qualche sfumatura marrone scura intorno alle zampe. Appena notata la luce della stanza, il cucciolo si lamentò, aprì gli occhi sbadigliando e si tirò in piedi. In quel momento Hiccup notò il particolare più importante di quel cane: non aveva una zampa…proprio come lui.

Ad Hiccup si strinse il cuore di fronte a quel cane così simile a lui e, istintivamente, lo prese in braccio e lo accostò al petto accarezzandolo. Merida non disse nulla e si gustò la scena.

“E’ mio? Come hai fatto? Hai parlato con mia mamma?” domandò lui con gli occhi lucidi.

“Tutto tuo. Ovvio, tua mamma è d’accordo. Insieme riusciremo ad accudirlo. Non ha ancora un nome, è stato abbandonato tre giorni fa all’allevamento e, appena l’ho visto, ho pensato a te. Vi assomigliate tanto sai? Lui è simpatico, affettuoso e vivace. Avrete tanto da imparare l’uno dall’altro perché lui è come se non si rendesse conto di non avere una zampa. Ci farai caso ma corre molto, cade, rotola e poi si rimette subito in piedi e ci riprova…spero possa succedere anche a te” rispose lei guardando il cagnolino che leccava le dita del suo nuovo padrone.

Hiccup non disse nulla, appoggiò a terra il cane che cominciò a zampettare per la stanza e spinse Merida sul letto dove cominciò a baciarla ardentemente.

In quel bacio la stava ringraziando, le stava dicendo che era innamorato perso di lei e che, allo stesso momento, lei era tutto per lui. Il bacio provocò ad entrambi delle emozioni fisiche molto forti. Nella mente di tutti e due balenò l’idea di spogliarsi e consumare quell’amore ardente, ma preferirono fermarsi. Non era ancora il momento giusto e non dovevano correre.

“Allora come lo chiami?” domandò Merida mettendosi in piedi e sistemandosi i vestiti.

“Sdentato”

“Che?!” esclamò lei confusa di fronte a un nome così strano.

“Mi piace… guardalo! Morde tutto quello che trova, sdentato gli si addice” motivò lui sorridendo al cucciolo intento a sgranocchiare l’angolo del comodino.

“Mi hai fatto un regalo bellissimo” sospirò lui sognante accarezzando il volto della giovane.

“Non esagerare… il meglio deve ancora venire. Vieni con me” disse lei porgendogli le stampelle ed invitandolo ad alzarsi. Hiccup si tirò in piedi e, dopo aver invitato il cagnolino a seguirlo, si diresse fuori.

Merida, una volta arrivati davanti alla taverna del ragazzo, gli coprì il volto con le mani chiedendogli di tacere e non fare domande. In pochi minuti la porta si aprì e la stanza si riempì di voci, auguri, fischi e scoppiettii. Hiccup aprì gli occhi e osservò la sua taverna addobbata, con i tavoli colmi di vivande e, soprattutto, scaldata dall’affetto dei suoi amici che erano lì a festeggiarlo.

Il gruppo lo accolse calorosamente inaugurando il primo brindisi della serata ed illuminandosi vedendo il volto del ragazzo finalmente raggiante. Hiccup pareva tornato quello di sempre e il meglio doveva ancora venire.

“Vieni amico, siediti qui” l’invitò Flynn facendolo sedere su una sedia.

“Questo è un regalo molto grande. Arriva da noi e da tutta la scuola” aggiunse Jack porgendo una busta al festeggiato.

Hiccup accarezzò la busta e l’aprì. Il giovane rimase in silenzio a fissare il contenuto.
Non sapeva cosa dire!
Si sarebbe aspettato un biglietto per andare al cinema, un abbonamento per acquistare libri, un’offerta per visitare musei o anche solo un semplice messaggio d’auguri, invece aveva davanti un assegno di circa 25000 euro. Dove avevano trovato tutti quei soldi? Era una somma enorme che non aveva mai visto in vita sua! Poi collegò tutto: la vendita torte a scuola, la grande affluenza, le generose offerte, l’euforia degli amici… avevano raccolto i fondi per lui, per la sua gamba.

Hiccup toccò l’assegno e lo rigirò tra le dita più volte non credendo all’idea di avere davanti un aiuto così grande. Le sue lacrime e gli sguardi rivolti ai presenti colmarono il cuore di tutti che si sentirono grati di aver potuto contribuire al miglioramento della vita di una persona.

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Capitolo 25
*** CAPITOLO XXV ***


XXV.
OLIVER
 
Trascorsero alcune settimane dalla festa a sorpresa di Hiccup e il ragazzo, grazie al supporto economico e morale degli amici, si stava abituando all’uso della protesi. Inizialmente non fu facile vedersi con una gamba di ferro ma questa lo aiutava molto perché gli permetteva di camminare tranquillamente senza stampelle.

La speranza di poter aggiustare le cose e di tornare il ragazzo energico di sempre permise ad Hiccup di uscire dalla crisi depressiva e immergersi nella vita sociale avvolto dall’affetto degli amici.

L’anno scolastico procedeva a gonfie vele e tutti i componenti del gruppo avevano delle belle medie scolastiche che permetteva loro di uscire spesso e divertirsi insieme.

Flynn, grazie all’aiuto di Rapunzel, era diventato un vero e proprio genio della matematica e della logica.

Con febbraio si apriva il mese degli open-day universitari, attività che colpì molto gli alunni di quinta e che permise loro di condividere le proprie idee sul futuro.

“Avete già qualche idea di che cosa fare l’anno prossimo?” domandò Anna durante l’intervallo mentre sistemava un grosso tomo di composizione musicale nell’armadietto.

“Io sono sicuro della mia strada: veterinario tutta la vita.” Spiegò Hiccup guardando sicuro gli amici.

“Io non so ancora” si aggiunse Jack dubbioso.

“Io penso proprio di iscrivermi a lettere e filosofia. Mi piacerebbe molto insegnare al liceo” disse Elsa determinata.

“Ah io non ne ho la più pallida idea. O meglio… mia madre ha già detto che dovrò fare medicina, ma io non voglio” sospirò triste Merida ricevendosi un colpetto sulla spalla dal fidanzato.

“Tranquilla Meri, vedrai che riuscirai a convincere tua mamma a fare Scienze Motorie” la consolò Judy mangiando una mela.

“Come fai a sapere che vorrei fare quello?!” si stupì lei.

“Ma è ovvio… farai quello e ti allenerai per andare alle Olimpiadi” continuò lei con disinvoltura.

“E le tesine come vanno?” si intromise Rapunzel.

“Ehm…sorvoliamo questo argomento” rise Elsa facendo notare la sua preoccupazione per non avere ancora l’argomento.

“Ma non avevamo cose più divertenti di cui parlare in questo intervallo?” sbuffò Kristoff incrociando le braccia e provocando la risata generale.

La campanella suonò e tutti i ragazzi tornarono nelle rispettive classi.

“Anna aspetta” disse Kristoff fermando la propria ragazza.

“Sabato festeggiamo 5 mesi insieme… i miei saranno via fino a domenica sera. Ti va di trascorrere il sabato da me?” chiese poi lui speranzoso.
Anna impazzì per l’idea e gli posò un leggero bacio sulle labbra. Dopo aver accettato, ringraziò il fidanzato e raggiunse l’aula delle lezioni dove, sognante ed elettrizzata, pensò al weekend focoso che l’attendeva.
 
 
“Judy, tra poco è San Valentino” sussurrò Merida all’orecchio dell’amica durante l’ora di matematica.

“Vuoi vedere la vastità di quel che me ne frega?” rispose lei scrivendo in anticipo la soluzione del quesito che stava affrontando la docente alla lavagna.

“Sì però stai calma” rise Merida picchiandole dentro.

“Non ho mai avuto tempo per l’amore… solo qualche bacio volante con dei ragazzini alle medie e in seconda superiore. Non penso di essermi mai innamorata. Ho sempre avuto la coda di ragazzi a provarci, ma ho declinato più volte”

“Beh in effetti con gli occhi che hai cucchi un sacco.” Aggiunse Merida facendo sorridere l’amica dagli occhi violacei.

“Sinceramente ho paura ad amare. Tutte le persone che ho amato sono morte. Oliver è scomparso e mi rimanete solo voi. L’idea di fidanzarmi adesso e rischiare di perdere un ragazzo che mi ama mi preoccupa.”

“E’ con l’amore che si risponde all’odio Judy. Se ti capiterà, se ti innamorerai di qualcuno pur essendo immersa in questa situazione pericolosa, non rifiutare. Hai quasi 19 anni e ne dimostri 30 per colpa di tutte le cose che stai vivendo”

“Vorrei solo ritrovare Oliver” continuò la mora riponendo la matita nell’astuccio.

“Hopps, visto che continua a parlare, mi dice che cosa ho appena spiegato?” interruppe l’insegnante scocciata delle chiacchiere in sottofondo.

“Ha appena spiegato la definizione di logaritmo e ne ha risolto uno alla lavagna. Mi controlli pure il quaderno, io ho completato il quesito e lo stavo spiegando alla mia compagna di banco” rispose Judy alzando gli occhi al cielo.

La professoressa, non trovando un modo per incolpare l’alunna, continuò la spiegazione anche se le compagne, per rispetto, aspettarono la fine dell’ora per terminare il discorso.

“Tornando al discorso di prima… ho una domanda da farti” chiese Merida mettendosi lo zaino in spalla prima di uscire dall’aula.

“Tu hai idea di dove si trovi tuo fratello? Non sai dove sia il loro appostamento? O il nome dello stalker?”

“No… se lo sapessi sarebbe tutto più semplice e la faccenda si risolverebbe! Riuscire a mettere piede nella loro tana permetterebbe di incastrare una volta per tutte quel branco di delinquenti.”

“Allora è su questo che dobbiamo agire… dobbiamo iniziare a cercare degli indizi. Insomma Judy, avranno anche loro dei punti deboli e devono aver commesso degli sbagli. Basta tenere gli occhi aperti”

“Elementare…Watson…” scherzò Judy facendo roteare gli occhi violacei.

“Che fai, parli come se fossi Sherlock Holmes adesso?! Tornando sulla questione amore…” continuò la rossa.

 “Lo so… hai ragione tu. Dovrei aprirmi di più e comportarmi da ragazza della mia età. Anche se nella testa ho solo mio fratello. Spero stia bene… che si ricordi di me, che si addormenti con la speranza di ritrovarci.”

“Lo troveremo vedrai… qual è il ricordo più bello che hai di lui?”
 
Judy non rispose subito perché le tornarono alla mente tanti ricordi.
 
 
Una bambina dai capelli neri e gli occhi magici era seduta sul divano. Vestiva un pigiamino con dei gattini e abbracciava il peluche di un coniglietto. La bimba era abbracciata al papà ed era pronta a guardare il suo cartone preferito: “Oliver e company”. Il suo papà le aveva spiegato che quel cartone era ispirato a una storia molto triste, di un bambino chiamato Oliver Twist, un orfano che veniva trattato male da delle persone cattive ma che, alla fine, riusciva a trovare dei genitori in grado di volergli bene per sempre.

Judy rimaneva affascinata da quella storia. Lei era una bambina diversa dalle altre. Non le piacevano le bambole, le principesse, le storie romantiche o strappalacrime. Il suo gioco prediletto, infatti, si chiamava “scienza nella serra”, la sua merenda era a base di pane, marmellata e un documentario e i suoi cartoni preferiti nascondevano sempre una storia vera e concreta alle spalle: proprio come Oliver e Company.

“Oliver mi piace tantissimo come nome. Il mio fratellino, sempre che non sia una sorellina, potrebbe chiamarsi Oliver” disse lei guardando il padre negli occhi.

Lui sorrise e, dopo aver spento il cartone, sollevò la figlia e la portò a letto dove le rimboccò le coperte.

“Mamma resta a dormire dalla sua amica quindi?” chiese la figlia una volta appoggiata la testa sul cuscino.

“No, ora vado a prenderla così potrà tornare a casa. Adesso addormentati, tra poco arriveranno gli zii a tenerti compagnia e poi domani, per il tuo compleanno, ci sarà una grande sorpresa” sussurrò il padre contemplando la bellezza della sua bambina.

La mattina seguente Judy si alzò dal letto e sentì silenzio nella casa trovandolo inusuale. Indossò le sue babbucce e si diresse in cucina dove, vicino alla televisione, era presente un grande pacco regalo.

Incuriosita lo scartò prestando attenzione a non distruggere troppo la carta che l’avvolgeva, aveva infatti appena visto un documentario sugli alberi e si sentiva in colpa per loro.

All’interno del regalo vi era un travestimento. Non un vestito celeste da principessa, non un grembiulino per fare il cuoco, ma bensì una divisa…da poliziotto.

La bambina iniziò a saltare di gioia e abbracciò gli indumenti accarezzando il tessuto.

“Allora ti piace?” domandò il papà sbucando dalla porta della cucina dalla quale, in silenzio, aveva ammirato la reazione della figlia.

“E’ bellissima papà!” urlò lei sistemandosi il cappellino in testa e guardandosi fiera allo specchio.

“Bene…allora direi che ora sei pronta per vedere il prossimo regalo. Corri a cambiarti, dobbiamo andare in un posto. La mamma è già lì che ci aspetta.” Concluse lui mettendosi le scarpe.

La bimba non se lo fece ripetere due volte e, entusiasta, salì in macchina. La sua espressione cambiò quando lesse la scritta: “Ospedale” fuori dal finestrino.

Afferrò saldamente la mano del papà e si fece guidare da lui tra i vari reparti finché non ne raggiunse uno nel quale si sentivano pianti e singhiozzi di neonati. Fu allora che la piccola collegò ogni cosa ma, per non rovinare la sorpresa, restò zitta ed aprì lentamente la porta della camera che il papà le aveva indicato.

Sdraiata su un lettino bianco c’era la sua mamma. Era un po’ stanca e affaticata, ma felice mentre stringeva a sé un batuffolino che si muoveva e faceva versetti.

“Judy, auguri tesoro” salutò la madre facendo segno alla piccola di avvicinarsi.

“Shhh mamma! Hai perso tanto sangue! Il parto è classificato come il dolore più forte di tutti e quindi hai bisogno di forze. Non parlare, parlo io” rispose la bimba avvicinandosi al letto.

“Forse dovremmo eliminare il canale dei documentari… va bene che nostra figlia è intelligente ma non vorrei che venisse a sapere troppo presto come si fanno i bambini.” Bisbigliò la madre all’orecchio del marito facendolo sorridere.

“Judy… questa notte, quando ti sei addormentata, sono venuto qui in ospedale perché la mamma mi ha detto che il fratellino stava per nascere. Non abbiamo voluto dirti niente perché doveva essere una sorpresa per te.” Spiegò il padre facendo segno alla moglie di terminare quel discorso importante.

“Judy, d’ora in poi ogni anno festeggerete questo giorno insieme e so già che sarete inseparabili. Per questo, proprio perché sappiamo che a te avrebbe fatto piacere, l’abbiamo chiamato Oliver.”

La bambina aveva capito già la situazione, ma mai si sarebbe aspettata di sentire chiamare il fratellino con il suo nome preferito.

Emozionata la piccola saltò al collo della mamma e le diede un leggero bacio sulla guancia, poi, con il sorriso stampato sul volto, chiese al padre di darle Oliver.

Il piccolo aveva gli occhi chiusi e dei capelli neri proprio come i suoi. La sorellina lo osservò accuratamente per poi promettergli:

“Oliver, tu hai un nome molto importante. E’ il mio preferito perché mi ricorderà sempre di volerti bene, di portare pazienza con te, di non farti sentire mai solo e abbandonato. Io sono la tua sorellona…e ci sarò sempre per te.”

 
Merida rimase a bocca aperta di fronte al racconto, sia per l’argomento, sia per il modo con cui Judy gliel’aveva raccontato.

“Quindi tu e tuo fratello fate gli anni lo stesso giorno! Quando?” domandò poi per alleggerire il momento.
“Il 15 febbraio.” Rispose lei continuando a camminare fermamente.

“Ma è domenica prossima! Non ce l’avresti detto?” esclamò Merida scuotendo la testa incredula.

“Compiere gli anni con Oliver e sapere di averlo perso è per me un fardello enorme. Non ha senso festeggiarlo. Gli abbiamo dato il nome di Oliver come promessa per non essere mai abbandonato…invece è il primo ad incarnare la figura di Oliver Twist: orfano e solo” ribadì lei abbassando lo sguardo.

Merida non rispose ma, sicuramente, non avrebbe mai permesso all’amica di deprimersi e di non festeggiare il compleanno. Era sicura che, prima o poi, lei ed Oliver si sarebbero ritrovati.

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Capitolo 26
*** CAPITOLO XXVI ***


XXVI.
MOTIVI PER FESTEGGIARE


 
Il fine settimana era ormai alle porte e Merida aveva fatto presente agli amici la data del compleanno di Judy.

Per questo motivo il giorno prima decisero tutto nei minimi dettagli.

“Ok quindi Merida, tu la inviterai a casa di Kristoff a trascorrere il pomeriggio e noi nel frattempo organizziamo la merenda con delitto” spiegò Jack mentre sorseggiava il suo aperitivo serale in compagnia degli amici.

“Perfetto…ci stiamo. Ora, però, non so voi ma essendo San Valentino avremmo voglia di un po’ di intimità” disse Kristoff alzandosi in piedi e facendo cenno ad Anna di andare.

“Come lo passerete?” domandò Flynn assumendo una faccia perversa.
"Sei sempre il solito…Elsa, tornerò per mezzanotte. Mi copri tu a casa?” supplicò la minore e, una volta ricevuto l’appoggio della sorella, si allontanò dagli amici stringendo la mano al fidanzato.

Il loro gesto venne copiato anche da Merida ed Hiccup intenzionati a trascorrere una tranquilla serata a casa davanti alle repliche delle olimpiadi invernali. Rimasero due coppie che, ormai sole, decisero di salutarsi ed allontanarsi. Jack ed Elsa avrebbero festeggiato il giorno dell’amore al cinema, alle prese con un film romantico mentre Flynn e Rapunzel avevano intenzione di assistere ad un concerto nel teatro del paese.

“Allora Anna… ti ho fatto una bella sorpresa. Chiudi gli occhi” invitò Kristoff mentre apriva la porta della casa. La ragazza non se lo fece ripetere due volte.

Quando aprì gli occhi notò la tavola apparecchiata per due.
C’era una tovaglia color porpora sulla quale erano adagiati dei petali di rosa, le posate, due calici per il vino e una candela rossa.

“E’ meraviglioso Kris” esclamò lei sorridendo e contemplando ogni elemento.

“Accomodati, porto la cena” propose lui facendola accomodare.

“Non hai cucinato tu” rise lei prendendolo in giro.

“Sì invece! Ho preparato un arrosto nel pomeriggio, ed eccolo qui…” si difese lui posizionando il piatto della ragazza sulla tavola.

“Ehmm…certo magari l’ho fatto cuocere un po’ troppo ma penso sia buono comunque” constatò lui leggermente imbarazzato notando una sfumatura marrone sulla carne.

“Va benissimo Kris! Sarà buonissima…però…”

“Però?!” chiese lui preoccupato.

“Non so…ora non ho molta fame. Conosco un modo per farcela venire!” spiegò lei alzandosi e avvolgendo il collo di Kristoff con le braccia.

“Anna! Da quando parli così?!” rise lui stringendola a sé.

“Da quando…abbiamo casa libera” motivò lei e, dopo essersi scambiati uno sguardo complice, iniziarono a baciarsi ininterrottamente raggiungendo velocemente la camera matrimoniale.

In pochi secondi il pavimento finì per essere ricoperto di vestiti sparpagliati qua e là disordinatamente.

Kristoff afferrò i fianchi della propria ragazza e la osservò così com’era: nuda e perfetta.

Dopo averla spinta leggermente sul letto cominciò a baciare ogni angolo del suo corpo. Il ragazzo assaporò a lungo il contatto con lei, cercando di darle piacere in tutti i modi possibili.

“Kris, così mi fai impazzire” sussurrò lei mentre riceveva dei dolci baci sul seno.

“Mi sa che sei pronta” constatò lui languido massaggiando delicatamente la sua intimità e muovendosi in lei seguendo il ritmo dei suoi sospiri.
“Credo che sia pronto anche tu” aggiunse lei alzando la testa e notando l’eccitazione evidente di Kristoff.

Entrambi scoppiarono a ridere per poi tornare a darsi piacere l’un l’altro. Kristoff attese ancora qualche secondo prima di posizionarsi sopra la ragazza e, mantenendo il contatto visivo con lei, entrò delicatamente prestando attenzione a non farle male. Una volta svanita l’espressione tesa della ragazza, Kristoff si sentì autorizzato a muoversi più velocemente riuscendo a soddisfarsi in pochi minuti.

Per Anna il rapporto sessuale era diventato importante. I due non lo facevano spesso ma la bellezza consisteva nel fatto che, ogni volta, era sempre un momento bellissimo da condividere insieme.
 
“Ora hai fame?” domandò lui baciando il collo della fidanzata e, dopo aver avuto la conferma, si rivestirono pronti a divorare quell’arrosto bruciacchiato che aveva portato alla nascita di quella focosa serata di San Valentino.
 
Il giorno seguente Judy lo trascorse in compagnia degli “zii” che le prepararono una torta. La ragazza, però, non esplodeva di gioia.

“Judy cara… perché non mangi?” domandò la donna dispiaciuta.

Lei non rispose perché nella testa aveva solo lui: Oliver. Quello era il suo 12esimo compleanno e chissà come se lo stava passando.

“Sappiamo che per te è difficile questa situazione, ma vedrai che ne usciremo trionfanti.” Si aggiunse l’uomo porgendole dell’acqua.
“E se Oliver non fosse al sicuro? Quanto vorrei rivelare il segreto e riaverlo con me!”

“E’ brutto da dire Judy, ma se tu cedi loro cercheranno mille altri modi per farvi del male. Oliver sta bene, ne siamo sicuri. Dobbiamo solo cercare di incastrarli. Sai che noi e la centrale stiamo facendo di tutto per tutelarvi” finì la zia accarezzando il volto rigato di lacrime della ragazza.

Quelle spie travestite da zii, erano veramente importanti per Judy. Lei li reputava ormai membri della sua famiglia e si sentiva protetta solo in loro presenza. Questo, però, non le bastava: la sua vera famiglia era il fratellino…e non sopportava più l’idea di averlo distante.

Era immersa da quei pensieri opprimenti quando qualcuno citofonò all’appartamento.

“Judy, ci sono visite” disse la zia aprendole la porta e lasciando entrare Merida con un regalo tra le mani.

“Meri, che ci fai qui?!” esclamò la mora stupita.

“Non penserai mica di trascorrere il tuo diciannovesimo compleanno chiusa in casa! Forza…vieni. Andiamo a fare un giro”

Judy, titubante, seguì l’amica in cortile per poi farsi guidare.

“Dove stiamo andando?” chiese lei.

“Apri questo” rispose la rossa porgendole il pacco regalo.

“Se il compleanno vuoi festeggiare, a casa di un compagno ti dovrai recare.”

“Oh no, la caccia al tesoro no” rise la piccola detective dopo aver letto il messaggio.

“Sarà la casa di Kristoff” continuò poi con sicurezza.

“Come hai fatto a capirlo?!” domandò la rossa sconvolta.

“Sì ma ragazzi, non siete molto svegli! Kristoff ha detto due giorni fa che avrebbe avuto casa libera. E’ ovvio che sia la sua” spiegò lei alzando gli occhi al cielo.

Una volta raggiunta la casa notò il cancello già aperto.

Varcò l’entrata e si trovò davanti una tavolata colma di vivande, ma dov’erano tutti?
Lentamente, uno ad uno, i ragazzi irruppero nella sala da pranzo, senza dire una parola.

“Manca Anna” constatò lei una volta accortasi della mancanza dell’amica.

“Sì cara Judy, c’è stato un omicidio” disse con tono serioso Jack.

“Oh che gioia” scoppiò a ridere lei sedendosi al tavolo.

Seguì un lungo silenzio e Judy aggiunse:

“Ho capito cosa state facendo…mi avete organizzato una merenda con delitto. Dobbiamo giocare a Cluedo e dovrò capire chi di voi è l’assassino. Che bello quando la gente mi mette alla prova!” esclamò lei entusiasta sfregandosi le mani.

“Allora… prima cosa da fare: trovare Anna” disse lei e cominciò a cercare indizi in giro.

Alcune porte erano state lasciate aperte, altre socchiuse e altre ancora chiuse completamente. Sapeva già dove si trovava Anna ma, per non fare troppo la santarellina, fece finta di cercarla nelle stanze chiuse per poi entrare in una di quelle aperte. A quel punto fu facile continuare: cantina buia o soffitta polverosa? Ahimé…l’ingegno umano non è mai troppo sviluppato come il suo! Ovviamente Anna si trovava nella soffitta polverosa, visto che i ragazzi l’avevano sicuramente ragionata così: “La cantina è ovvia e banale, è il primo posto in cui cercherebbe”.

In pochi secondi Judy trovò Anna sdraiata su dei materassini e iniziò ad osservarla per trovare i prossimi indizi. I ragazzi si erano impegnati molto, ma per una come lei era tutto banale e semplice. La mossa seguente fu quella di guardare sotto il materassino dove, ovviamente, trovò il manico di un coltello: l’arma del delitto era stata identificata. Con delicatezza iniziò a osservare il corpo di Anna toccandola in vari punti riuscendo a farla ridere.

“Non sei molto brava a fingere di essere morta” constatò la detective esplorando il braccio di Anna.

“Soffro il solletico, e ringrazia che non sono veramente morta altrimenti mi preoccuperei, non trovi?” rispose la vittima per poi chiudere la bocca di nuovo.

Judy notò anche che, al polso di Anna, mancava un braccialetto che indossava sempre regalatole da Kristoff: volevano portarla fuori pista facendole credere di incolpare il fidanzato, ma Judy scartò l’ipotesi immediatamente. Ad Anna mancava anche un orecchino e un anello.

Ormai aveva capito tutto: Flynn.

Sapeva, infatti, che veniva chiamato “Il ladro” dai compagni di classe.

Dopo aver risolto il caso, gli amici si ammutolirono intristiti.

“Grazie ragazzi…davvero! Avete fatto del vostro meglio e il problema non è la semplicità del caso che avete costruito, ma il fatto che io ho una testa diversa dalle altre e ho fiuto per queste cose. Nonostante questo mi avete rallegrato il pomeriggio, ve ne sono grata perché nessuno mi ha mai dedicato così tanto tempo” esordì Judy colpita dal gesto degli amici.

“Se tu ci avessi rivelato prima il giorno del tuo compleanno fidati che ti avremmo creato un delitto perfetto! Fidati di me…che farò l’ingegnere!” disse Flynn.

“Ma cosa c’entra?!” chiese Rapunzel confusa.
 
“Niente, dai ho fame! E quando ho fame non ragiono più” continuò lui fiondandosi sul cibo e dando inizio a un pomeriggio di risate, giochi e canti che permisero a Judy di non pensare troppo al significato di quel giorno.

 
Nel frattempo, in una zona periferica del paese vicino, c’era un ragazzo raggomitolato in una stanza buia.

Aveva i vestiti strappati e logori, i capelli mori unti e cosparsi di polvere, era magro e aveva la pelle scura non solo per la sporcizia ma anche per i lividi dovuti alle percosse.

Ogni ora veniva controllato da degli uomini vestiti di nero che gli incutevano timore ma mai nessuno poteva spaventarlo quanto il loro capo. Il ragazzo aveva provato più volte a scappare ma ogni tentativo gli costava solo un ammacco e una frustata in più. Ormai aveva capito che, per uscire di lì, avrebbe dovuto usare l’astuzia. La sua stanza era vuota.
C’era solo un letto e la porta che lo separava da tutte le altre stanze della casa abbandonata. Solo un oggetto gli era concesso ed era un vecchio orsachiotto distrutto che i suoi rapitori non toccavano mai considerandolo innocuo ed insignificante.

Loro non sapevano, infatti, che quell’orso aveva una tasca nascosta nella quale il ragazzo custodiva gli oggetti più importanti e che trovava nel corso della sua vita.

“Hey ragazzino… abbiamo saputo che oggi è il tuo compleanno. Se tua sorella si decidesse a rivelarci il segreto, ora saresti libero e spensierato con lei. Oggi però non ti meriti cattiverie. Goditi questo giorno di festa…chiuso qui dentro” disse un uomo diabolico entrando nella stanza.
Quel signore orribile osservò il ragazzo e, dopo aver frugato nella tasca alla ricerca di una sigaretta, si allontanò richiudendo la camera.

Merida, quando parlò con Judy, aveva ragione su una cosa: tutti sbagliano e commettono degli errori. Quell’uomo, aveva fatto un gran regalo di compleanno al ragazzo perché non si accorse che gli scivolò una penna dalla tasca mentre estraeva la sigaretta.

Oliver attese qualche secondo per poi correre ad afferrare e rigirare fra le dita la biro con le lacrime agli occhi.

La osservò felice per poi nasconderla dentro l’orso di peluche dove erano contenuti dei sassolini, una foto con Judy e un foglietto di carta che aveva trovato per strada mentre veniva trascinato con loro da una postazione segreta all’altra.

Oliver si sentiva felice quel giorno e finalmente pieno di speranza. Prese tra le mani la foto stropicciata e consumata con Judy la quale ritraeva i due fratelli abbracciati davanti a una torta di compleanno e sussurrò:

“Judy, ce la faremo. Devo solo trovare il momento opportuno e vedrai che riuscirò a mandarti un messaggio, anche se scritto su un pezzo di carta. Vinceremo noi questa battaglia. Buon compleanno sorellona, ti voglio bene”
 
 

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Capitolo 27
*** CAPITOLO XXVII ***


XXVII.
CRAIG ED HOLLY

 
Il giorno dopo il suo compleanno, Judy si alzò con il sorriso che, però, venne spento immediatamente da una notizia degli zii.

“E’ arrivato un altro messaggio” constatò lui rigirando un foglietto di carta trovato abbandonato fuori dalla porta.

“Buon compleanno Judy! Tu e tuo fratello diventate sempre più grandi, ma noi iniziamo ad arrabbiarci. Ragiona cara, sappiamo dove abiti, dove vai, abbiamo tuo fratello e possiamo piegarlo ad ogni nostro volere. Ti lasciamo ancora 3 mesi di tempo poi è meglio se ti decidi a parlare o ti tortureremo e uccideremo il tuo caro fratellino”

Il cuore iniziò a rimbombarle nelle orecchie, nel petto e in gola. Era la prima volta che la minacciavano così. Erano veramente agli sgoccioli.

“Vogliono, vogliono uccidere Oliver?!” iniziò a dire lei non riuscendo a trattenere i singhiozzi.

“Tesoro, tranquilla. Abbiamo già avvisato la centrale. Aumenteremo la copertura e inizieremo ad avvertire tutte le squadre a nostra disposizione. Non devi crollare adesso, non ti toccheranno mai Oliver! Loro vogliono solo te” spiegò la zia abbracciando la ragazza e permettendole di piangere tra le sue braccia.
 

19 anni prima…


In una confortevole giornata primaverile, in una Chiesa, c’era una giovane coppia intenta e desiderosa di proclamare a gran voce quel sì che li avrebbe uniti per sempre.

Lei aveva i capelli castani e gli occhi azzurri con qualche sfumatura più scura che, a seconda della luce, li faceva apparire violacei. Jennifer era il suo nome, soprannominata Jenny dal compagno e dagli amici. Veniva descritta come una ragazza vivace, simpatica, coraggiosa e sempre ottimista. Aveva da poco terminato il lungo percorso che ogni laureato in medicina doveva intraprendere ed ora, insieme al fidanzato, aveva accettato il lavoro di ricercatrice.

Lui, Stuart Hopps, scienziato affascinante dai capelli mori e gli occhi castani, con un’intelligenza fuori dal comune, era ora pronto a scambiarsi le promesse con quella collega meravigliosa che l’aveva stregato fin dal primo incontro in laboratorio.

Accanto a loro, in veste di testimoni di nozze, era presente un’altra coppia di giovani sposi, Craig ed Holly Hunter*, pronti ad assistere a quel matrimonio sensazionale.

Dopo solo 2 mesi di nozze, Jenny scoprì di aspettare una bambina che avrebbero chiamato Judy. Stuart era entusiasta di diventare padre ma, da qualche mese a quella parte, qualcosa era cambiato nel suo lavoro. Lo scienziato, infatti, con l’aiuto della moglie, stava iniziando un progetto strabiliante che gli avrebbe permesso di creare una medicina in grado di guarire alcune forme tumorali.

La medicina, però, se somministrata nel modo sbagliato e non in giuste quantità, avrebbe causato la morte di molte persone finendo per etichettarla come una vera e propria arma.

L’uomo cercò di nascondere la cosa ma gli costò caro: molti furono i curiosi interessati al prodotto disposti a sborsare quantità esorbitanti di denaro ma lui, rifiutando e custodendo con attenzione la cura, riuscì a tutelarsi e a vivere serenamente la sua vita privata.

 La vita dei due sposi continuò serenamente. I due ebbero la fortuna di vedere crescere Judy in forza e sapienza e alla loro famiglia si aggiunse anche, 7 anni dopo, un piccolino chiamato Oliver. Tutti sembravano essersi dimenticati di quella medicina, tranne loro: una banda di criminali capitana da un serial killer che, durante il 17esimo anno di vita di Judy, bussò alla porta dello studio di Stuart.

“Lei chi è?!” domandò il padre preoccupato vedendosi piombare davanti un uomo mascherato.

“Qualcuno che devi temere” ringhiò lo sconosciuto.

“Cosa vuoi da me?!” continuò Stuart con il cuore in gola.

“La medicina che hai creato 17 anni fa. Voglio la formula, in cambio posso darti tutto ciò che desideri”

“Ho già tutto quello che voglio e la medicina è ormai distrutta. Mi dispiace, ma ho il segreto professionale! Non posso rivelare a nessuno le mie scoperte” si difese lui impugnando fermamente il tagliacarte, unico oggetto contundente a disposizione.

“Bene, non vuoi collaborare. Allora userò altri mezzi per estorcerti la verità. A presto scienziato” e detto questo lo sconosciuto svanì, misteriosamente come era venuto.

Trascorsero altri mesi e quell’incontro peggiorò la vita della famiglia Hopps ormai intenta a cercare un modo per difendersi dall’attacco dei delinquenti. Non fu facile mascherare la faccenda ai due figli che, dotati della stessa mentalità ed intelligenza dei genitori, si accorsero immediatamente dell’eventuale pericolo imminente. Judy ed Oliver furono messi a conoscenza del lavoro dei genitori e di quella scoperta scientifica così tanto bramata da diverse persone, ma non sapevano che un branco di criminali minacciava di distruggere la loro famiglia. Parlando segretamente con il padre, la figlia maggiore scoprì che i due erano intenzionati a dimenticare per sempre la formula medica e a cancellare tutte le prove di essa. Judy, però, non fu d’accordo con quella decisione motivo per cui, mentre i genitori dormivano, si intrufolò nel garage e, dopo aver controllato gli archivi del padre, scovò la formula medica che, da quel momento, rimase impressa nella sua memoria.

La madre, nel frattempo, scoprì di aspettare il terzo figlio anche se, purtroppo, non era desiderato. Non volevano far nascere un altro bambino in quella condizione così precaria. Nonostante tutto, i mesi della gravidanza trascorsero serenamente fino a quella fatidica sera in cui i genitori litigarono, uscirono in macchina e non tornarono più.

“Ti hanno minacciato di nuovo?!” urlò la moglie chiudendo la porta della camera per non far sentire la discussione ai figli.

“Sì. Quanto vorrei non aver mai creato quella maledetta medicina. Hanno detto che verranno a riscuotere e distruggeranno tutto pur di ottenere ciò che vogliono” spiegò lui con il capo chino.

“Dobbiamo avvertire Craig ed Holly…” propose la moglie continuando a camminare per la stanza.

“Gli ho scritto una lettera e li ho appena avvertiti di venire qui con gli altri agenti speciali. I nostri figli hanno bisogno di più protezione e…”

Stuart non continuò la frase perché notò la moglie piegata su sé stessa per colpa di un dolore che conoscenza bene: il travaglio.

I due presero velocemente le chiavi della macchina e corsero dritti verso l’ospedale.

Un chilometro, un inseguimento, due spari… e i loro corpi giacevano inermi nell’automobile.

Seguì la telefonata a Judy, l’irruzione, il rapimento di Oliver.

Quando Craig ed Holly, insieme alla squadra speciale, irruppero nell’appartamento trovarono Judy svenuta per terra circondata da alcuni delinquenti pronti a portarla via con loro ma, appena notata la polizia corsero via a gambe levate. Per Oliver, però, era troppo tardi perché era già stato rapito.
Holly corse in ospedale con Judy mentre Craig rimase nell’abitazione alla ricerca di qualche indizio e lo trovò: una lettera lasciata nella camera matrimoniale.

“Caro Craig, la situazione sta precipitando vertiginosamente e penso di essere arrivato a un punto di non ritorno. Come sai non siamo riusciti a sistemare la cosa in questi anni e nessuno è stato in grado di scovare i delinquenti. Ho eliminato ogni residuo di medicina rimasta e anche gli archivi contenenti le formule e so che questo gesto costerà caro a me e a Jenny. Era la cosa giusta da fare: quella scoperta ha solo creato pericoli ed ora sono pronto a pagare il prezzo della mia incoscienza nell’aver manipolato, senza farmi aiutare e proteggere, tutte quelle sostanze mediche. Il mio più grande dispiacere riguarda il fatto che non penso di riuscire a veder crescere i miei figli, motivo per cui lo sto chiedendo a te. Tu ed Holly siete sempre stati i nostri migliori amici, i nostri testimoni di nozze, i fratelli che non abbiamo mai avuto. Siete gli unici di cui io mi possa fidare e so anche che, grazie al vostro lavoro di agenti segreti, riuscirete a proteggere la mia famiglia. Date ad Oliver un futuro sereno e tranquillo ed assistete Judy in tutte le sue scelte. Sappiamo che non sarà facile combattere quei mostri, ma siamo sicuri che ci riuscirete. Vi voglio bene, Stuart”

“Cosa è successo, dove sono mamma e papà?!” disse Judy il giorno seguente, una volta risvegliata.

I due non riuscirono a rispondere facendo intuire alla ragazza la cruda realtà.

I medici furono costretti a sedare di nuovo la giovane per colpa della disperazione che provò attraverso singhiozzi, urla e pianti.

Al momento del secondo risveglio la giovane non disse una parola ma si fece spiegare il quadro completo da Craig ed Holly. La ragazza rivelò loro di essere a conoscenza della formula medica, cosa che destabilizzò tutti e portò all’inizio dello stalking da parte della banda del serial killer. Da quel momento in poi la vita di Judy cambiò. Iniziò a viaggiare da una città all’altra, cambiare scuole, rispondere al gioco dei delinquenti e diventò apatica per sentire meno dolore fino all’arrivo in quella realtà dove, grazie all’aiuto dei ragazzi, riscoprì la bellezza dell’amore e della vita.
 

Presente…


Judy, dopo lo sfogo di pianto, si diresse verso la scuola con la testa fra le nuvole pensando a qualche stratagemma per incastrare le persone che odiava di più al mondo.

“Mi hanno minacciata ancora” confidò lei a Merida durante l’intervallo. Merida non riuscì a risponderle perché notò Hans pronto ad avvicinarsi ad Elsa.
“Ciao bella” disse lui chiudendole di scatto l’armadietto.

“Ciao Hans” salutò lei senza guardarlo in faccia e riaprendo con delicatezza l’armadietto.

“E’ da un po’ che non vengo a salutarti. Non c’è il tuo biondino in giro?” domandò lui guardandosi attorno. Lei non rispose prendendo il materiale dall’armadietto ed allontanandosi.

“Hey, non mi piace essere ignorato!” aggiunse lui seguendola.

“Ma si che non hai proprio fantasia caro Westengard! Ci provi sempre con la stessa ragazza e ti avvicini a lei da codardo mentre il suo ragazzo non è nei paraggi…geniale” si intromise Judy pronta a difendere ancora una volta l’amica.

“Non ho fantasia? Bene allora inizio a prendermela con te” disse lui spingendo Judy con forza ed avvicinandosi a lei.

“Hans, falla finita!” disse una voce dietro di lui.

“Nick, che vuoi?! Il capo sono io ricordi?” gli soffiò contro lui minaccioso.

“Sì, caro il mio capo ma sei già stato sospeso un mese fa e ti consiglierei di startene buono” spiegò tranquillamente il ragazzo con i capelli rossi.

“D’accordo pel di carota…ci vediamo dopo” rispose Hans e, dopo aver guardato male Judy, si allontanò.

“Me la sarei cavata da sola” si difese Judy guardandolo negli occhi.

“Un grazie sarebbe sufficiente” rispose lui appoggiandosi al muro.

“Non sei come loro eppure gli vai dietro…perché?” chiese Judy incuriosita.

“Ho molti vantaggi che non sto qui ad elencarti. Ci vediamo coniglietta impaurita” salutò lui allontanandosi.

“Hey Judy, che voleva?” domandò Anna avvicinandosi insieme al resto del gruppo.

“Non ne ho la più pallida idea” rispose lei ancora confusa per quello strano atteggiamento.

“Sentite…ho saputo che settimana prossima ci sarà una festa, che ne dite ci andiamo?” propose Rapunzel euforica.

“Ci sta… solo donne però” rise Merida dando un bacio sulla guancia ad Hiccup.

“Perfetto, che bello ragazzi abbiamo la serata libera! Birra, play station e sky…meglio di così!” concluse Flynn e il gruppo continuò a ridere e scherzare per tutto il resto dell’intervallo. Non sapevano, però, che il pericolo si nasconde dietro ogni angolo e quella festa sarebbe costata molto cara ad uno di loro.
 
*Craig ed Holly Hunter sono rispettivamente Elastigirl e Mr. Incredible… sono gli unici ad essere degli agenti speciali e mi sembravano appropriati.

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Capitolo 28
*** CAPITOLO XXVIII ***


XXVIII.
BUIO

 


Trascorsero altri giorni e Judy riuscì a tranquillizzarsi. Doveva restare calma altrimenti avrebbe solo peggiorato la situazione. Le squadre speciali avevano già iniziato a perlustrare accuratamente le zone vicine, bisognava avere fede.

“Judy, quindi ci vediamo domani sera alla serata tra donne?” chiese Merida speranzosa di ricevere una risposta affermativa da parte dell’amica.

“Sì, questa volta non me ne starò chiusa in casa. Almeno mi vivo una serata in cui non sono circondata da coppiette smielate.” Rispose lei ironica.

Merida fu felice di quella reazione e cinse con il braccio le spalle dell’amica dirigendosi verso la scuola.


Il giorno seguente…


Rapunzel e Flynn trascorsero il pomeriggio insieme visto che la ragazza non aveva i genitori a casa.

“Vuoi qualcosa?” chiese lei facendo accomodare il ragazzo in camera da letto.

“No, no sono a posto così” rispose lui intento a guardare ogni fotografia appesa al muro. Alcune ritraevano la ragazza appena nata in braccio al padre, altre mostravano lei in compagnia di due bambine, Anna ed Elsa, il giorno di carnevale. La sua foto preferita, però, ritraeva una bimba dai lunghi capelli biondi intenta a suonare la chitarra.

“Visto che stai guardando quella foto…voglio dirti che ho scritto una canzone per te” si intromise lei imbracciando la chitarra.

Flynn si sedette sul letto e si pose in ascolto.

And at last I see the light
And it's like the fog has lifted
And at last I see the light
And it's like the sky is new
And it's warm and real and bright
And the world has somehow shifted
All at once everything looks different
Now that I see you”


Flynn era inebriato dalla dolce voce della fidanzata e la osservava attentamente. Amava le sue dita muoversi speditamente tra le corde di quella chitarra di legno chiaro che lei aveva nominato Miele. Il testo poi era la parte migliore: parlava di loro e della loro capacità di vedere sempre le stelle nonostante le difficoltà.

“Amore, è bellissima! Tu hai talento…diventerai famosissima” riuscì a biascicare lui scosso dalla forte emozione provata.

“Grazie Flynn…era per te, per noi per dirti che ti ringrazio per tutto.” Disse lei agitata sistemando la chitarra ed avvicinandosi al fidanzato.

Flynn, una volta sentita la vicinanza con la ragazza, le prese il viso tra le mani unendo le proprie labbra alle sue. Ci vollero pochi secondi per farsi trascinare da quel bacio travolgente. Le loro labbra si assaggiarono ed assaporarono cercando dei modi sempre diversi per incastrarsi completamente finché Rapunzel, presa da una forza che nessuno conosceva di lei, disse:

“Flynn…ti prego, facciamo l’amore”

Il ragazzo si trovò spiazzato da quella richiesta e subito si susseguirono, nella sua mente, tutti i ricordi delle sue esperienze sessuali vissute con tante ragazze. Lui era un mostro in quelle cose e non voleva rovinare il rapporto con la fidanzata.

“Ma io…Rapunzel, non penso che…” sussurrò lui impedito nel trovare le parole.

“Anche io ho paura Flynn, ma voglio che sia tu. Solo tu mi hai aspettata, mi hai vista cambiare e hai contribuito alla mia crescita. Voglio solo te” riuscì a dire lei con il cuore a mille.

Anche Flynn non vedeva l’ora di poter condividere quel momento con Rapunzel, ma aveva paura. Se lei avesse visto il lato più oscuro di lui sarebbe finita.

Era ancora titubante quando la ragazza cominciò a baciarlo e, in pochi secondi, quei brutti pensieri fecero spazio all’eccitazione e all’adrenalina.

Lei, pur non avendo mai fatto nulla del genere, non trovò difficoltà nel togliere i vestiti a Flynn. Il ragazzo aveva un fisico pazzesco. Era muscoloso e con una tartaruga scolpita bene in vista. Dopo aver esplorato il corpo del ragazzo, Rapunzel riuscì a superare l’ostacolo mentale che non le permetteva di aprirsi, motivo per cui, con la mano, cominciò a toccare l’eccitazione di Flynn e le fu automatico comprendere quale movimento potesse dargli piacere.

Flynn, non riuscì a trattenersi a lungo. Quel contatto era così delicato da farlo impazzire. Dove cavolo aveva imparato ad essere così brava?! Inebriato da quelle sensazioni, il ragazzo invertì le parti finendo per ritrovarsi sopra la ragazza e spogliarla con foga. Una volta nuda, cominciò a baciare ogni angolo di lei voracemente. Lui era abituato a fare così: spogliare le ragazze, mangiare ogni parte di loro per appagare la sua insoddisfazione.
“Hey, amore! Fai piano” sussurrò lei con calma per non farlo imbarazzare.

Da quel momento Flynn imparò a mettere da parte la sua bestialità e fece spazio all’amore. Con delicatezza tastò ogni parte di lei cogliendo particolari che non aveva mai visto prima. Le baciò il seno ed accarezzò la cicatrice rimasta dal drenaggio al polmone: il simbolo del loro amore.
“Vai Flynn…sono pronta” richiamò lei respirando profondamente.

Il ragazzo si preparò all’atto e, dopo aver chiuso gli occhi per controllare l’emozione, entrò dentro di lei.

Rapunzel emise un piccolo grido e strizzò le palpebre per colpa del dolore.

“Scusami, scusami se vuoi esco” disse lui preoccupato fermandosi di colpo.

Per lui era tutto nuovo perché non aveva mai fatto l’amore con una ragazza ancora vergine.

“Dopo il dolore del polmone questo non è niente fidati, vai tranquillo e continua” rise lei accarezzandogli il viso.

All’improvviso cambiò tutto. Flynn iniziò a provare delle sensazioni stupende ed indescrivibili. Rapunzel era veramente sua, la ragazza dei suoi sogni che aveva bramato da anni era ora un corpo solo insieme a lui. Immerso da quei forti pensieri il ragazzo si emozionò a tal punto da iniziare a piangere e fu costretto a interrompere l’atto.

“Che succede?!” domandò Rapunzel vedendo il suo uomo in lacrime.

“Grazie amore…grazie” sussurrò lui grato guardandola negli occhi.

Non dovettero aggiungere altro perché quel momento fu perfetto così.
Rapunzel aveva capito il motivo del pianto ed era felice perché Flynn era davvero cambiato arrivando addirittura a piangere per una cosa bella.
 


La sera le ragazze si ritrovarono lungo la strada principale e si diressero verso il luogo della festa.

“Wow ragazze, che eleganti che siete!” si stupì Merida notando Anna, Elsa e Rapunzel truccate e con indosso tacchi e vestitini.

“Ma non avete freddo?” rise Judy, l’unica che portava un paio di jeans e un maglioncino.

“Ma Judy! Ti sei truccata?!” esclamò Anna notando il rossetto sulle labbra della ragazza.

“Me l’ha messo Merida altrimenti non l’avrei mai fatto” sospirò lei cinica come sempre.

Una volta raggiunto il luogo della festa, le ragazze si divertirono sulla pista da ballo per poi finire al bar e bersi un cocktail a testa.

“Ma l’hai vista quella come va in giro?!” disse Merida osservando una ragazza con la minigonna e senza calze.

“Si va beh… chissà con quanti ragazzi farà sesso stasera!” commentò schifata Anna.

“Anna!” si aggiunse Elsa sorpresa dal pensiero sboccato della sorella.

“Ma si Elsa, ora che tua sorella è diventata esperta nel farlo con Kristoff, è giusto che ci faccia sapere le sue considerazioni” la difese Merida facendo ridere il gruppo.

“Hey, guarda che non siamo così malati di sesso! E sappiate che prima o poi ci cascherete tutte!” brontolò Anna leggermente imbarazzata.

“Ok, ok, io vi prometto che quando lo farà Rapunzel lo farò anche io” disse Merida sicura di sé, convinta del fatto che l’amica avrebbe aspettato tanto a compiere quel gesto.

“L’ha già fatto” si inserì Judy grazie alla sua solita intuizione e, a quel punto, Rapunzel raccontò alle amiche il pomeriggio particolare che aveva trascorso con Flynn.
 

Un’ora dopo…

 
“Ragazze grazie mille della serata, mi sono divertita molto! Ora torno a casa. Anna, io inizio ad avviarmi” disse Elsa salutando le amiche ed uscì dal locale.

 Non si accorse però di lui. Appena varcata la soglia, un ragazzo la seguì furtivo guardandosi indietro sperando di non essere seguito. Fuori era notte fonda ed Elsa camminava speditamente per raggiungere l’abitazione scrivendo dei messaggi in Whatsapp con Jack.

23.40 Jack: “Com’è andata la serata?”

23.40 Elsa: “Bene, ci siamo divertite, ogni tanto ci vuole. Ora sto tornando a casa”

Mentre scriveva non si accorse che, dietro di lei, il ragazzo la seguiva furtivo aumentando il passo.

23. 45 Jack: “E’ tardi però…fai veloce e non farmi preoccupare”

Elsa stava per rispondergli che era quasi arrivata e nulla le sarebbe successo quando, con la coda dell’occhio, vide la figura vestita di nero dietro di sé. Il cuore iniziò a battere freneticamente, si sentì mancare il respiro ed iniziò a sudare freddo. Come poteva fare ad aggirarlo?

Fece finta di niente continuando a scrivere parole senza senso sul cellulare sperando di vedere lo sconosciuto imboccare una delle tante vie laterali, ma questo era intento ad osservare Elsa e seguirla.

La ragazza si sentì prendere dal panico e, con uno scatto fulmineo, cominciò a correre il più velocemente possibile lasciando addirittura per strada i tacchi che aveva indossato, ma ciò non bastò. Il ragazzo aveva già previsto la sua mossa, con agilità la raggiunse e le afferrò il polso trascinandola in una via laterale molto buia.

Elsa iniziò a dimenarsi e cercò di chiamare aiuto ma ancora una volta lui la fermò soffocandole la bocca con la mano ed immobilizzandola contro il muro.

“Ti prego non farmi del male” riuscì a dire Elsa terrorizzata cercando di togliersi di dosso le mani dello sconosciuto.

“Non farti male? O Elsa, ma questo è ciò che ti meriti per non avermi mai guardato, per non avermi mai voluto e per esserti presa gioco di me. Ora la pagherai…”

Elsa riconobbe la voce dello sconosciuto.

Lo osservò bene e pur essendoci buio riuscì a notare i suoi occhi che sembravano riflettere le fiamme dell’inferno.

“Hans ti prego lasciami andare…sei ubriaco” bisbigliò lei sentendo l’odore di alcool e di erba che impregnava i vestiti del ragazzo.

“No! Tu mi appartieni! Lo devi capire che io ti voglio, sei mia!” disse lui afferrando il collo della ragazza e avvinandosi a lei.

“Hans, ti prego…” sussurrò lei sentendosi mancare il respiro.

“Ora mettiti in ginocchio, dimmi che mi ami e fammi un bel lavoretto…alla fine sei una ragazza come tutte le altre, impazzisci per queste cose!
Scommetto che il mio è più bello e più buono di quello di Frost!”
disse lui languido cercando di spingerla verso il cavallo dei suoi pantaloni.

“No! Ti prego smettila!” urlò lei con le lacrime agli occhi una volta liberata la mano dalla bocca.

Quell’urlo le costò molto caro perché Hans si trasformò in una bestia. Guardò la ragazza come se avesse il diavolo in corpo e sfogò su di lei tutta la sua rabbia. Le bloccò di nuovo la bocca con una mano e con l’altra iniziò ad esplorare il suo corpo freneticamente.

Le sue mani afferrarono il seno della ragazza, graffiarono i fianchi fino ad addentrarsi sotto la gonna. Elsa si muoveva con tutta la forza che aveva in corpo, lui non poteva toccarla così, non poteva toccarla e basta! Doveva riuscire a scappare, ma più urlava e cercava di divincolarsi e più Hans si riempiva di rabbia e di eccitazione.

Ad un certo punto il ragazzo non ci vide più. Afferrò i capelli della ragazza sbattendo la sua testa contro il muro in modo da tramortirla. Il colpo fece cedere Elsa che non fu più in grado di urlare e divincolarsi.

Hans la guardò e trovandola in stato confusionale, abbozzò un sorriso maligno e proseguì il suo sporco lavoro. Le strappò le calze e le mutande, si sbottonò i pantaloni ed entrò in lei.

Elsa non aveva più la forza di fare niente, sentiva il sangue uscire dalla sua testa e la sua intimità doleva.

Quel mostro le stava divorando la verginità con una tale violenza da provare delle fitte allucinanti.

Hans più vedeva la ragazza indebolirsi e più spingeva, sentendosi finalmente felice. L’alcool e la droga assunta poco prima avevano cancellato la sua razionalità rendendo protagonista l’istinto. Non aveva mai fatto una cosa del genere ma era ossessionato da quella ragazza. La desiderava dalla prima superiore e l’odiava perché non l’aveva mai scelto e, proprio per questo, decise di godere a pieno di quel momento. Iniziò a spingere violentemente facendo sbattere la ragazza contro il muro pur di soddisfarsi completamente.

Una volta estinto il suo desiderio, si staccò ansante dalla ragazza, si sistemò i vestiti e, quasi dimenticandosi del momento, si allontanò da lei.
Elsa rimase sola. Non capiva più nulla. Sentiva solo un dolore unico in tutto il corpo.

 Ad un certo punto iniziò a vedere bianco e sfuocato, lentamente chiuse gli occhi e si accasciò a terra.

Accanto a lei c’era il suo telefono che continuava a vibrare di chiamate e messaggi.

00.01 Jack: “Elsa dove sei? Perché non rispondi più?! Dovresti già essere a casa!”

00. 08 Jack: “Amore ti prego rispondimi!”

00. 12 Jack: “ELSA!!!”
 
Jack (5 chiamate senza risposta)
 

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Capitolo 29
*** CAPITOLO XXIX ***


XXIX.
GHIACCIATO

 
Ore 00.30

Anna parlava di scuola, rideva e programmava le prossime attività con le sue amiche quando il telefono iniziò a squillare. Era Jack.

“Pronto Jack, tutto ok? Perché chiami a quest’ora?”

“Anna dove diavolo è Elsa?!” domandò lui alquanto agitato.

“E’ uscita un’ora fa per tornare a casa perché?” chiese lei perplessa.

“Ci stavamo scrivendo e le avevo chiesto di scrivermi appena rientrata a casa ma non ha risposto. Le ho fatto anche un sacco di chiamate e niente!” spiegò lui preoccupato per la sua ragazza.

“Ok Jack, corro a casa e ti scrivo subito se è lì. Magari si è addormentata” rispose Anna cercando di mascherare anche la sua preoccupazione.

“Fammi sapere al più presto e per qualsiasi cosa chiama che corro da voi” concluse lui terminando la telefonata. Anna raccontò alle amiche la chiamata e chiese loro di accompagnarla fino a casa.

“Stai tranquilla Anna vedrai che sarà a casa” la confortò Rapunzel mettendole una mano sulla spalla.

“Qualcosa non va… lo so che è brutto ma me lo sento” aggiunse Judy e di colpo il gruppo si fermò per ascoltarla.

“Cosa intendi dire?!” esclamò Anna sbigottita.

“Devo chiamare Jack” disse lei ormai in piena fase investigativa.

“Pronto Jack…”

“Judy?! Cosa sta succedendo?! Cosa…” iniziò a farfugliare lui.

“Zitto! Jack dimmi esattamente a che minuto sono stati inviati i messaggi tra te ed Elsa”

“Perché?!” chiese lui confuso.

“Fallo e basta!” sbottò lei furente.

“Ok… i primi messaggi ce li siamo scambiati alle 23.40. Lei mi ha risposto subito dicendomi che era appena uscita dal locale. Poi alle 23.45 le ho scritto di tornare a casa alla svelta e lei non ha più risposto”

“Perfetto quindi sono passati 5 minuti e poi?” continuò Judy memorizzando gli orari.

“Le ho scritto e l’ho chiamata da mezzanotte in poi ma niente” puntualizzò lui.

“Ok Jack grazie, tieniti lì il telefono che se dovessi avere bisogno ti richiamo” finì lei chiudendo la chiamata ed iniziò a ragionare ad alta voce.

“Elsa è uscita dal locale alle 23.40. Per arrivare a casa vostra ci vogliono circa 10 minuti a piedi e io so che alle 23.45 ha interrotto i messaggi con Jack. Se anche lei non avesse voluto rispondere a quel messaggio gli avrebbe scritto dopo 5 minuti essendo arrivata a casa. Deve aver cambiato strada…dalle 23.45 deve essere successo qualcosa. Ora noi stiamo camminando da 3 minuti proseguiamo la stessa strada di Elsa per altri due minuti e vediamo dove arriviamo”

Le ragazze seguirono alla lettera le parole di Judy ed iniziarono a camminare velocemente per raggiungere il luogo di cui parlava l’amica.

“Sono passati 5 minuti, ma non c’è nulla” disse Merida una volta arrivate.

Judy non le rispose, troppo presa dalla pista su cui stava indagando e camminò da sola ancora per un minuto finché finalmente le trovò: delle scarpe con tacco abbandonate disordinatamente sulla strada.

“Sono i tacchi di Elsa!” esclamò Anna mettendosi una mano sulla bocca. Cosa diavolo era successo a sua sorella!?

“La stavano seguendo… ed ha iniziato a correre” disse Judy dispiaciuta. Risolvere casi le piaceva, ma non sapere che la vittima questa volta era una sua amica.

“Dobbiamo trovarla prima che sia troppo tardi.” Continuò lei e si mise a pensare di nuovo. Si immedesimò in Elsa e cominciò a correre da quel punto immaginando di avere qualcuno dietro.

 Corse, corse, corse e stop. Stava ormai per imboccare una strada laterale quando riprese il telefono e compose un numero.

“Chi chiami ora?” domandò la sorella minore.

“Elsa stessa. Se ha la suoneria attivata il suono può dirci la strada.” Concluse lei ponendosi in ascolto.
La telefonata partì, fu un interminabile secondo di attesa ed ecco finalmente il rumore della suoneria di Elsa.

“E’ in questa via!” affermò Judy correndo.

Lei fu la prima a raggiungere la parte finale della strada dove, in mezzo al buio e ai cassonetti della spazzatura trovò Elsa accasciata al suolo con le gambe e la testa sporche di sangue.

“Elsa, Elsa! Svegliati dai!” iniziò Judy muovendo la ragazza e facendole un massaggio cardiaco.

“E’ svenuta ma respira, chiamate l’ambulanza!” urlò la piccola detective.

Merida si allontanò di poco per chiamare i soccorsi mentre Rapunzel cercò di consolare Anna che si era appena messa in ginocchio vicino alla sorella cercando di svegliarla.

Ad un tratto Elsa aprì leggermente gli occhi e, con un fil di voce, riuscì solo a dire “Hans”.

“Elsa, elsa, cosa ti è successo?! Stai tranquilla arrivano ad aiutarci adesso!” cercò di tranquillizzare Anna con le lacrime che sgorgavano dagli occhi.

“Oh Elsa, oh stai sveglia! Guardaci e continua ad ascoltarci, non devi riaddormentarti è chiaro?!” disse fermamente Judy continuando a scuotere la ragazza, ma Elsa non ci riuscì e chiuse di nuovo gli occhi.
L’ambulanza arrivò poco dopo e caricò Elsa sul lettino trasportandola d’urgenza in ospedale insieme ad Anna. Rapunzel, Merida e Judy avvertirono Jack e le famiglie organizzandosi per raggiungere al più presto l’ospedale.
 
Ospedale 1.30 di notte.
 
La sala d’attesa dell’ospedale era muta e silenziosa. Anna, le ragazze, Jack e i genitori delle due sorelle stavano seduti in silenzio cercando di consolarsi con qualche carezza ogni tanto ma tutti incapaci di parlare, almeno finché non avessero saputo qualcosa dai dottori che stavano controllando Elsa da ormai un’ora.

Finalmente da una porta uscì il primario accompagnato da due poliziotti che erano stati chiamati dopo l’accaduto.

“Dottore, come sta nostra figlia?” domandò la madre di Elsa ed Anna asciugandosi le lacrime.

Tra un singhiozzo e un altro i presenti vennero a sapere che Elsa era stata scaraventata contro il muro provocandosi così un ematoma alla testa e, cosa ancora più grave, era stata vittima di stupro.

A sentire la parola “stupro” quello che più si spaventò fu Jack. Improvvisamente non sentì più i discorsi intorno a sé ma pensava solo alla sua Elsa. La SUA Elsa che non era più sua. Qualcun altro l’aveva toccata, le aveva fatto del male, l’aveva traumatizzata e aveva rovinato il “fare l’amore”, quel gesto che un giorno desiderava tanto poter condividere con lei.

“Sappiamo che non è il momento adatto ma noi siamo qui per farvi alcune domande” domandarono i poliziotti ai ragazzi.

“Sui vestiti della ragazza abbiamo trovato i segni che ci potranno ricondurre al violentatore, li stanno analizzando, ma voi potete dirci qualcosa di più?”

“Non c’è bisogno delle analisi, mia sorella pochi secondi prima di svenire di nuovo ci ha detto subito il nome Hans.” Rispose Anna cercando di mostrarsi forte.

“Potete dirci qualcosa di più su di lui?” chiesero ancora gli agenti.

“E’ un ragazzo che viene nella nostra scuola. E’ nel gruppo dei bulli e ha sempre avuto una cotta per Elsa ma non si è mai spinto oltre prima di oggi” concluse Merida vedendo Anna in difficoltà.

“Grazie mille, andiamo subito a cercare di rintracciarlo” conclusero i poliziotti avvicinandosi ai genitori per scambiare due parole anche con loro.

“Dottore, possiamo entrare a vederla?” domandò Anna prima che il medico tornasse al suo lavoro.

“Appena si sveglierà. Ora cercate di riposare…se potete andate a casa e datevi il cambio. La ragazza è sotto controllo e sta bene”
 
Quella notte fu interminabile ma, gli amici, si fecero forza e decisero di affrontarla insieme. Era proprio questa la loro forza: il non lasciarsi mai nelle difficoltà.
 
Nel frattempo…
 
“Ragazzo, hai fatto ciò che ti ho chiesto?” domandò una figura incappucciata nascosta dietro una scrivania.

“Sì capo… Elsa è k.o e finalmente ho soddisfatto un mio desiderio” rise Hans ancora inebriato dalle sostanze assunte.

“Hai fatto tutto male” rispose lo sconosciuto.

“No cosa? Che dici?” chiese Hans serio per un momento.

“Non ti sei nascosto abbastanza. L’hai fatto senza seguire i miei consigli di copertura. Ora tutti sapranno che sei stato tu. Ti cercheranno, ti metteranno in carcere e in questo modo arriveranno a me” disse il padrone alterandosi e alzandosi dalla sedia per raggiungere il ragazzo.

Hans deglutì spaventato dal rimprovero del capo, non era mai bello deluderlo.

“Io ho fatto ciò che mi ha chiesto! Colpire Elsa per arrivare a Judy!” si scusò il giovane.

“Silenzio! Non posso rischiare…” parlò tra sé e sé il capo.

“Cosa vuoi fare? Hey!” domandò Hans con il cuore in gola.

Poi un ghignò illuminò il volto dello sconosciuto che si avvicinò ad Hans e, dopo essersi messo dei guanti gli sussurrò all’orecchio:

“Ora non mi servi più… addio”

E con forza lo spinse fuori dalla finestra. Un tonfo sordo segnò la morte di Hans Westengard: un ragazzo bullo, come tanti altri che aveva deciso di affidarsi alle persone sbagliate per qualche soldo.

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Capitolo 30
*** CAPITOLO XXX ***


XXX.
LA SPERANZA E' L'ULTIMA A MORIRE


Ore 7.00

Elsa si era svegliata già da un’ora e i suoi genitori erano con lei. Fuori dalla sua stanza Anna aveva appena preso sonno appoggiata a Rapunzel mentre Merida e Judy obbligarono Jack a sgranchirsi le gambe e a prendere con loro un caffè o un té caldo.

I genitori, finalmente, uscirono dalla camera di Elsa facendo cenno al ragazzo di entrare.

Jack non sognava altro ed entrò immediatamente. Appena messo piede nella stanza gli si congelò il sangue. Su un lettino bianco giaceva la sua principessa ferita. Si avvicinò a lei lentamente, le prese subito la mano e osservò le malvagità impresse sul suo corpo. Elsa aveva la testa fasciata nel punto in cui era stata colpita, era tappezzata di lividi e graffi soprattutto sul collo e sulle gambe ma, cosa più grave anche se non visibile, aveva perso la sua verginità in modo talmente brutale da aver costretto i medici ad aggiungere dei punti di sutura per far fronte all’intimità lacerata.

“Jack” sussurrò lei notando lo sguardo distrutto del suo uomo e stringendo la sua mano.

“Jack è colpa mia… non sarei mai dovuta andare a quella festa, io non…” disse lei iniziando a piangere.

A Jack si spezzò il cuore e si riempirono gli occhi di lacrime. Avrebbe voluto piangere, urlare, sfogare la rabbia e il dolore che provava dentro ma non poteva farlo di fronte alla sua donna. Doveva farla sentire al sicuro, anche se non era nemmeno riuscito a proteggerla.

“Amore no…non è colpa tua. Vedrai che passerà e torneremo ad essere felici” disse lui abbracciandola forte a sé.

Tra le sue braccia Elsa si sentì già meglio, finalmente protetta, finalmente a casa. Amava Jack, ma si sentiva uno schifo per ciò che era successo.
“Io non so cosa sia accaduto stanotte Elsa ma prometto che ti difenderò. Ora ti devi affidare a noi, crolla tra le mie braccia e presto ci rialzeremo insieme.”

“Quello non era fare l’amore…e non sono stata tua” aggiunse la ragazza iniziando un nuovo singhiozzo scossa dal trauma vissuto poche ore prima.

“No Elsa, quello non era amore. Quella era bestialità, compiuta da una persona schifosa che ha ottenuto ciò che voleva. Non la farà franca tesoro e non importa ciò che ti ha fatto. Lui non ti ha tolto nulla… non hai ancora fatto l’amore con nessuno, ma un giorno ci riprenderemo questo momento.”

I due rimasero a coccolarsi ancora per un po’ poi Jack uscì lasciando il posto ad Anna e si diresse verso il parco con Merida, Judy e Rapunzel dove avevano dato appuntamento con gli altri ragazzi che erano stati avvertiti in mattinata dell’accaduto.

“Hey come procede?” domandò Flynn abbracciando tutti i presenti.

“Sta bene, ma è scossa.” Rispose Judy.

“Ed ha un aspetto orribile” aggiunse Jack tenendo lo sguardo basso e le mani in tasca. Kristoff capì il momento: il suo migliore amico doveva sfogarsi. Per questo motivo fece un segno ad Hiccup e a Flynn dirigendosi verso il lago con Jack.

“Jack…siamo soli. Tira fuori tutto” disse Kristoff una volta raggiunto il lago.

Jack aspettò a sbottare. Rimase in silenzio a guardare il lago per poi girarsi verso l’amico e urlare. Urlò con tutta l’aria che aveva in corpo e scoppiò a piangere.

“Non è giusto Kris, quel bastardo me l’ha stuprata! Le ha tolto la cosa più importante e me l’ha ridotta in fin di vita. Per colpa di quello stronzo io adesso ho una ragazza terrorizzata che avrà paura di tutto addirittura di me! Non potremo nemmeno fare l’amore tranquillamente un giorno perché lei avrà in testa solo il ricordo di una bestia!” disse Jack singhiozzando, digrignando i denti e continuando a lanciare sassi nel lago.
“Non è vero Jack! Elsa è tua ed insieme le insegnerai a capire il valore dell’amore. Avrete il vostro momento e lei non avrà più paura. E’ una ragazza forte, determinata e coraggiosa. Presto tornerà l’Elsa di sempre.”

“Ma Kris tu non capisci, io voglio ucciderlo Westengard! Deve pagare! Perché Elsa è mia e solo mia!” urlò il giovane in preda alla rabbia.

“Jack…pagherà da solo.”

“Non mi importa, deve soffrire…come ha sofferto Elsa”

“La rabbia non ti porterà da nessuna parte Jack, ora ciò che conta siete tu ed Elsa. Devi darle amore, coraggio, forza, pace e vedrai che tutto si risolverà e avrete il vostro lieto fine.” Concluse Kristoff e, sedendosi accanto all’amico, l’abbracciò continuando a guardare il lago.

Jack non sapeva che il corpo di Hans era già stato trovato sulla strada quella mattina e i poliziotti stavano procedendo segretamente alle indagini.
 

La notte prima…


Il cadavere di Hans Westengard rimase sulla strada per tutta la notte.

L’assassino e i suoi scagnozzi avevano progettato tutto nei minimi dettagli: avevano pulito ogni angolo del loro nascondiglio, cancellato impronte, riempito la stanza e la finestra di bottiglie di alcool. La spiegazione della morte del ragazzo sarebbe stata semplice: suicidio dovuto all’ebrezza e ai sensi di colpa per lo stupro appena compiuto.

Il capo e i suoi aiutanti erano abituati a svolgere mestieri del genere e nessuno li aveva mai scovati.

“Preparate tutto, ci trasferiamo nell’altra base. Abbiamo poco tempo!” ordinò il padrone a tutti i suoi uomini.

Oliver doveva agire adesso. Era la sua occasione!

Il ragazzo prese velocemente il foglietto di carta e, seppur con una brutta calligrafia e le mani tremanti, scrisse tutto ciò che riteneva utile.
Sapeva che presto sarebbero venuti a prenderlo motivo per cui accartocciò il biglietto stringendolo nel pugno sinistro e sperò che nessuno se ne accorgesse.

Gli scagnozzi arrivarono a prelevarlo e con diversi strattoni lo trascinarono fuori dall’appartamento abbandonato. Oliver approfittò dell’agitazione dei rapitori e del buio e, una volta vicini al corpo di Hans, si lasciò scivolare il biglietto dalle dita.

Lui sapeva che sarebbe potuto volare via, che qualcuno avrebbe potuto calpestarlo o semplicemente che nessuno l’avrebbe notato, ma la speranza non l’abbandonava mai.

Come accade nella storia di Hansel e Gretel, anche dei minuscoli sassolini o delle briciole di pane possono ricondurti a casa… e lui sognava di poter tornare dalla sua Judy.

E’ questa la magia dei bambini: per loro anche un insignificante pezzetto di carta può diventare una fonte di salvezza.

Il ragazzo si voltò indietro e notò il minuscolo puntino bianco accanto al cadavere di Hans. Non disse nulla, non fece nulla…se non abbozzare un leggero sorriso.

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Capitolo 31
*** CAPITOLO XXXI ***


XXXI.
NICK WILDE

 

La mattina del ritrovamento di Hans…

 
Nick Wilde si svegliò diverso quella mattina. Era particolarmente agitato e non ne sapeva il motivo, ragione per cui si alzò in fretta e furia con l’intenzione di andare a correre prima di presentarsi a scuola.

Il giovane sistemò il letto, indossò una delle sue tante felpe verdi, dei pantaloncini color nocciola e si preparò ad uscire.

In soggiorno non c’era nessuno, se non lei. Di fronte al caminetto c’era una signora sulla cinquantina, seduta su una carrozzina e attaccata a una flebo. Era magra, debole, pallida e senza capelli. Il cancro l’aveva ormai divorata e se la stava portando via. Nonostante questo lei trovava la forza e il modo di farsi portare, dall’infermiera privata, in salotto tutte le mattine per ricevere quel bacio dal figlio pronto per andare a scuola.

“Ciao mamma io vado a correre, ci vediamo dopo” disse lui con dolcezza posando un leggero bacio sulla guancia della madre.

Nick soffriva ogni giorno per quel bacio perché sapeva che, una volta ritornato a casa dopo la scuola, avrebbe potuto non ritrovarla più lì.

Nick, anche se si dimostrava un ragazzo superficiale, era in realtà molto maturo. Viveva in quella città da quando era piccolo. Lui e il fratello maggiore Finnick erano molto legati e condividevano la maggiorparte del tempo insieme al padre e alla madre. Tutto cambiò 3 anni prima, quando la madre di Nick si ammalò gravemente e la famiglia non rispose positivamente al colpo. Il padre, infatti, riuscì a resistere un anno per poi innamorarsi di un’altra donna e fuggire con lei. La madre, dopo l’abbandono, peggiorò molto finendo così per non essere più autosufficiente. Fortunatamente il padre inviava ogni mese dei contributi per far fronte alle spese domestiche e il fratello Finnick lavorava duramente per compensare il costo delle cure mediche e degli studi di Nick. Il figlio minore, d’altro canto, si impegnava molto a scuola e, nel tempo libero, lavorava come cameriere in dei ristoranti vicini.

L’allontanamento dal padre, però, lo segnò negativamente provocandogli un trauma che lo rese vulnerabile motivo per cui si aggregò ai bulli per evitare di essere additato come perdente.

Quella mattina decise di prendere un’altra strada a correre, una che era un po’ buia e periferica. Era immerso nei suoi pensieri e concentrato nella corsa quando notò una grande folla con lo sguardo chino sul suolo stradale.

Nick, incuriosito, tolse le cuffie dalle orecchie e si avvicinò. Mai si sarebbe aspettato di trovare un corpo senza vita e che quel corpo appartenesse ad Hans.

“Che è successo agenti?” domandò lui.

“Mi dispiace ragazzo, ma sono informazioni riservate. Lo conosci?” chiese l’agente facendo caricare il corpo sull’ambulanza.

“Sì, è un ragazzo che va a scuola con me” rispose lui scosso da quella visione.

“Ah, perfetto! Allora magari successivamente ti faremo delle domande. Ora se vuoi scusarci dobbiamo far allontanare i curiosi”

E detto questo la polizia cominciò a far circolare la gente. Nick, immerso in quell’atmosfera caotica, si chiedeva che cosa potesse essere successo al suo quasi amico. Possibile che si fosse realmente suicidato? Non era da lui.

La risposta a quella domanda la trovò proprio sotto i suoi piedi perché, grazie a una piccola folata di vento, un bigliettino stropicciato iniziò a dimenarsi perché incastrato nelle sue scarpe da ginnastica.

Nick lo prese tra le mani e, solo quando lo stava per buttare nel cestino, notò un nome che catturò la sua attenzione: “Judy”.

Il ragazzo aprì delicatamente il foglio, cominciò a leggere e, dopo aver spalancato gli occhi, si mise a correre il più velocemente possibile verso la scuola: doveva trovare Judy Hopps, quella persona tanto strana che da tempo occupava i suoi pensieri.

Quella mattina a scuola tutti erano venuti a conoscenza dello stupro di Elsa da parte di Hans ma nessuno sapeva della morte del ragazzo, a parte Nick. Durante l’intervallo, infatti, il finto bullo si mese a cercare la ragazza dagli occhi magici da tutte la parti non riuscendo però a trovarla così come tutti i suoi strambi amici motivo per cui chiese a una compagna di classe di dargli il numero di telefono della ragazza.

Nel parco…


Jack e Kristoff avevano trascorso un’ora insieme a parlare e a sfogarsi davanti al lago mentre gli altri ragazzi rimasero all’entrata del parco dove confabulavano e cercavano di capire cosa fosse accaduto o dove avrebbe potuto nascondersi Hans.

Judy stava per rispondere quando le vibrò il telefono.

“Ciao Hopps, sono Nick Wilde. Ti prego dimmi dove sei che ti raggiungo, ho una notizia importante da darti e riguarda Hans”

Judy rispose al messaggio facendo presente agli amici di dover incontrare il finto bullo.

L’incontro avvenne verso le 11.30. I ragazzi non andarono a scuola quel giorno e Nick firmò la giustifica per poter astenersi in anticipo dalle lezioni.

“Ciao Hopps” salutò lui con il fiatone, segno di essere arrivato di corsa.

“Cosa mi devi dire di così importante?” chiese lei con le braccia conserte.

“Hans è morto”

“Che cosa?!” domandò lei per la prima volta colta di sorpresa.

“Sì, sono andato a correre presto e l’ho trovato per terra in una via” continuò lui serio.

“Ok, grazie per avermelo detto e quindi?” disse lei burbera.

“Ho trovato questo…e penso possa riguardare te” aggiunse lui porgendole il foglietto di carta.
 

Nel frattempo in ospedale…

 
Jack e Merida erano tornati in ospedale dopo l’incontro nel parco mentre gli altri si diressero verso le rispettive abitazioni per continuare la vita abituale.
Elsa stava meglio e riusciva a camminare da sola anche se la sua intimità doleva e le rendeva difficile ogni passo.

“Presto tornerai quella di sempre” la incoraggiò Merida facendole fare un giro del reparto.

“L’importante è che Hans non si faccia più vedere” aggiunse lei ancora spaventata.

“Amore, quel verme non si avvicinerà mai a te. Rischia grosso sai? Quello che ti ha fatto gli costerà la galera” ringhiò Jack ancora in collera.

“So che non è opportuno, ma… i medici ti hanno detto qualcosa su una ipotetica gravidanza?” domandò Merida un po’ imbarazzata consapevole di aver toccato un tasto dolente.

“I medici hanno detto che non sono incinta e la gravidanza non si è potuta instaurare. I farmaci che mi hanno dato erano talmente potenti che avrebbero impedito qualsiasi tipo di fecondazione. E’ stato meglio così…” riuscì a dire Elsa guardando in basso.

Nel frattempo due poliziotti tornarono nel reparto e comunicarono alla ragazza del decesso di Hans che lasciò tutti a bocca aperta. Quel bullo si era veramente suicidato?

Solo Judy e Nick, al parco, sapevano realmente la verità.

Judy girò e rigirò tra le mani il foglietto per poi aprirlo e leggerlo. Ancora prima di comprendere il contenuto, la ragazza sobbalzò perché riconobbe la scrittura utilizzata.

“Chiunque tu sia sappi che hai un compito importante. Mi chiamo Oliver Hopps e da circa un anno sono tenuto prigioniero da un serial killer e dai suoi scagnozzi. Questa notte loro hanno provocato la morte di un ragazzo di nome Hans e ora ci stiamo trasferendo nella prossima base segreta. Le vie delle basi utilizzate le scriverò in fondo a questo foglio. Ti prego non prendermi per pazzo, chiunque tu sia sei la mia unica speranza. Trova mia sorella Judy Hopps e porgile questo biglietto così potrà venirmi a salvare. Judy, ora parlo a te: il serial killer si chiama Jim Moriarty. Le sue reclute più giovani erano Hans e un ragazzo soprannominato Pitch Black. Ora hai i loro nomi e gli indirizzi…vienimi a prendere! Io credo in te e so che ci ritroveremo, ti voglio bene! Oliver”

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Capitolo 32
*** CAPITOLO XXXII ***


XXXII.
UN NUOVO AIUTANTE

 
Judy quel giorno pianse leggendo e rileggendo il biglietto di Oliver. Un insignificante pezzo di carta si era ora tramutato in un barlume di speranza che rischiarava la vita della piccola detective. Judy doveva però mantenere la calma e la concentrazione, era ora di organizzare un piano per intrappolarli tutti.

 “Che notizia Judy! Grazie mille anche a te Nick!” ringraziò Holly abbracciando la finta nipote.

“Esatto…sei stato molto utile, ma ora lui sa tutto. Come facciamo?” domandò Craig un po’ titubante.

“Ci penseremo dopo. Bisogna capire, piuttosto, come fare a trovarli tutti. Ok, abbiamo le basi ma non sappiamo in quale momento e in quanti saranno presenti in ogni base. Se sbagliamo ad agire, tutti capiranno che Oliver deve essere riuscito ad entrare in contatto con noi e potrebbero fargli del male” spiegò la zia pensierosa.

“Ho un’idea, posso aiutarvi se me lo concedete” propose Nick e i presenti si posero in ascolto.

“Il ragazzino ha scritto che Hans e Pitch Black sono due nuove reclute. Io sono un loro finto aiutante, nel senso che sono nel loro gruppo di bulli solo per mia convenienza ma ora questa potrebbe essere un’arma a vostro favore. Potrei immischiarmi in questa storia chiedere a loro indicazioni sul clan ed entrarvi. In questo modo posso raccogliere tutte le informazioni necessarie.”

“Astuta la volpe, ma chi ci garantisce che non farai il doppiogioco? Magari invece rivelerai a loro che noi sappiamo del biglietto di Oliver” disse lo zio non fidandosi dello sconosciuto.

“Allora perché avrei cercato Judy? Non mi sarebbe bastato consegnare il biglietto a loro piuttosto che a voi? Io registrerò tutto così avrete una testimonianza in più e la conferma che non vi sto fregando.” Continuò lui serio e sicuro di sé. Gli zii non dissero altro ed iniziarono ad avvertire le squadre speciali, mentre Judy accompagnò Nick all’uscita di casa dove, dopo averlo spinto contro il muro, tuonò:

“A che gioco stai giocando?”

“Che intendi dire?!” si difese lui sorpreso dalla sua mossa.

“Perché vuoi aiutarmi e perché vuoi impicciarti negli affari della mia famiglia?” urlò lei pronta a difendere i pochi affetti che le erano rimasti.

“Senti, capisco che stai male per tuo fratello ma io davvero…”

“No! Io non so se posso fidarmi di te! E’ troppo importante per me! E’ la mia ultima occasione e se tu…”

“Anche io ho perso qualcuno che amo!” interruppe lui gridando e facendo tacere l’altra.

“Cosa?” domandò lei mollando la presa dalla sua felpa.

“Non sei l’unica qui ad aver perso qualcuno a cui vuoi bene, quindi ti capisco ed è per questo che voglio aiutare”

“E perché mai vorresti aiutarmi? Che cosa ci guadagni?” domandò lei.

Questa domanda lasciò di stucco il ragazzo. In effetti perché si stava interessando di fatti non suoi che avrebbero potuto metterlo nei casini? La realtà lui la sapeva, ma non poteva confidarla alla piccola detective motivo per cui rispose di nuovo:

“Ho i miei motivi che non ti posso dire”

“D’accordo…scusami se sono stata dura con te.” Si scusò lei notando la serietà sul viso del coetaneo.

“Ascolta, io voglio aiutarti però hai ragione a non fidarti ciecamente di me. Per questo io ora lavorerò sodo e cercherò di capire tutto da questa storia del clan criminale, ma vorrei anche conoscerti meglio ed uscire con te. In questo modo anche tu avrai prove a sufficienza per capire che non sono un malintenzionato”

I due finirono per guardarsi negli occhi ed accettarono ogni compromesso. L’operazione “Salviamo Oliver” era ormai iniziata e i due protagonisti sarebbero stati proprio loro.

Primi giorni di marzo…


Trascorse un’altra settimana e, ancora una volta, tutto parve tornare alla normalità.

Elsa uscì dall’ospedale tre giorni dopo il trauma e riprese la sua vita quotidiana anche se il suo sonno e i suoi momenti erano scanditi dal ricordo di Hans.

La ragazza iniziò ad avere delle vere e proprie crisi di panico che nessuno, nemmeno Jack, erano in grado di lenire. Per questo motivo i genitori di Elsa iniziarono a portarla da uno psicologo che, attraverso il dialogo e l’aiuto di qualche tranquillante, le permetteva di rilassarsi ed uscire, anche se lentamente, da quella brutta situazione.

A scuola tutto tornò normale anche se la morte di Hans provocò grande tristezza. Era un bullo, ma era pur sempre un ragazzo che magari si comportava così perché frustrato o non capito dalla sua famiglia o dagli altri. Con la morte di Hans, morì anche l’incidenza dei bulli che, senza di lui, si dedicarono ad attività più blande come rubare merendine e soldi ai primini. Questo permise a Nick di non mettersi nei guai e di diventare ancora più amico dei ragazzi maleducati. Con la scusa di aver visto il corpo di Hans, Nick parlò chiaro a Pitch Black dicendogli di voler entrare a far parte del clan criminale e il bullo fu felice di accontentarlo iniziando così a rivelargli alcuni misteri inerenti il capo Moriarty e le sue brutali iniziative.

Ogni pomeriggio Judy finiva per trascorrerlo con Nick e questo atteggiamento diede molto fastidio al gruppo di amici che, come qualsiasi adolescente, iniziò ad ingelosirsi ed indispettirsi di fronte a quel comportamento poco educato.

Fu proprio Merida a tirare fuori l’argomento durante una lezione di italiano.

“I ragazzi sono arrabbiati con te” bisbigliò lei seria.

Solo allora Judy comprese di averli ignorati per giorni perché troppo impegnata nel capire i dettagli della faccenda di Oliver.

“Oh cazzo… scusatemi” si mortificò lei.

“Oh cazzo un corno… Elsa ha bisogno di tutti noi. Ho capito che Nick ti sta aiutando in quel caso e non ho nulla in contrario, ma io penso che tu debba confessare tutto anche agli altri. Siamo la tua famiglia Judy e in questi mesi ti abbiamo sempre dato amore e affetto.” La sgridò Merida, unica a conoscenza della verità.

“Non posso dirlo Meri! E’ troppo pericoloso!” si difese lei.

“Lo so, ma tu ti puoi fidare di loro!” continuò la rossa.

“Sono vicina alla fine del caso Merida! Oliver è davvero a rischio e se non agisco bene ora è finita! Nick mi sta aiutando moltissimo così come state facendo voi restandomi vicini. Non insistere ti prego! Troverò un modo per farmi perdonare dagli altri”

Il discorso si concluse lì. Merida non disse altro perché in parte aveva capito il ragionamento di Judy. Anche lei, nei suoi panni, avrebbe fatto di tutto per salvare suo fratello e tutelare i suoi amici. Era meglio tenere tutto nell’ombra e sviare l’argomento. 

“O guarda chi si fa vedere…” disse Anna indispettita una volta vista Judy avvicinarsi.

“Allora sei viva! Perché esci solo con Wilde?! Era amico di Hans!” domandò Rapunzel arrabbiata.

“Ragazze, calma” si aggiunse Merida per cercare di placare la situazione.

“No Merida, non sono difendibile. Ragazze avete perfettamente ragione. Scusatemi ma Nick non è la persona che credete, c’è molto di più” riuscì a biascicare Judy in difficoltà.

“Ti stai innamorando?!” domandò Elsa scossa dalle sue parole.

“No, che? No…cioè…boh… non è questo il punto!” disse lei confusa. Parlare di Nick la imbarazzava, perché?!

“Allora perché ci esci insieme?” continuò Anna con il broncio.

“Perché lui era amico dei miei genitori… e l’ho scoperto solo ora” mentì Judy.
Lei odiava mentire ma sapeva che era la scelta giusta da fare. Prima o poi anche loro avrebbero saputo la verità, ma non quando era così vicina alla soluzione.

Nessuna delle ragazze rispose, sentendosi in colpa, motivo per cui fu la stessa Judy a cambiare discorso.

“Elsa, tu come stai? Come va la scuola?”

“Sono giù di fase. Sono triste, agitata…tutti mi guardano perché sanno cosa mi è successo e questa cosa mi fa arrabbiare. Con Jack va bene ma non riesco a dargli abbastanza attenzioni”

“Penso tu debba accettare la cosa… ti servirà del tempo” la consolò Judy mettendole una mano sulla spalla.

“Sì, ti sono grata perché mi hai salvato la vita grazie al tuo intuito. Scusa se ci siamo arrabbiate con te.”

Detto questo le ragazze tornarono il gruppo affiatato di sempre. Un normale gruppo fatto di litigi e ricongiungimenti: elementi tipici dell’adolescenza.

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Capitolo 33
*** CAPITOLO XXXIII ***


XXXIII.
GLI ULULATORI NOTTURNI

 
Passarono altri giorni e Judy riuscì a fare pace definitivamente con gli amici ai quali dedicò più tempo e supporto, soprattutto ad Elsa.

Gran parte dei pomeriggi, però, li trascorreva sempre con Nick. Quel ragazzo diventò importante per lei, non solo perché l’aiutava nel caso, ma anche perché si stava affezionando a lui.

“Oggi andrò nel loro covo principale. Spero di vedere Oliver e riuscire a dirgli qualcosa” spiegò lui dopo la scuola un po’ preoccupato.

“Perché lo fai Nick? Ti puoi tirare indietro se vuoi! E’ una faccenda pericolosa e non sei tenuto a rischiare per me e la mia famiglia!” lo fermò Judy afferrandogli il braccio.

“Te lo ripeto…tutto ciò che faccio è anche per un mio tornaconto” rispose lui abbozzando un sorriso. Si vergognava a dirle la verità, non era ancora il momento e doveva avere il sangue freddo.

“Chi hai perso?” domandò poi lei incamminandosi con lui.

“Cosa?” chiese lui confuso non capendo il collegamento nel discorso.

“Quando hai deciso di aiutarmi mi dissi che anche tu hai perso qualcuno.”

“Mio padre. E’ scappato di casa quando mia madre ha iniziato a stare male. Quel verme ci ha abbandonati e ora mamma sta peggiorando. Le restano al massimo due mesi. Ormai mi rimane solo mio fratello maggiore Finnick” Rispose lui tutto d’un fiato e digrignando i denti per la rabbia.

“Siamo più simili di quanto crediamo. Capisco ciò che provi. Anche per me è lo stesso: ho solo Oliver”

“Per questo dobbiamo trovarlo… hai solo lui e devi riaverlo con te. I fratelli sono la nostra arma migliore”


A casa di Anna ed Elsa…


Anna era intenta a studiare per la verifica di storia della musica. Passò circa un’ora e, dopo aver ripetuto ininterrottamente, la ragazza decise di fare una pausa ed invitare anche Elsa e Jack, intenti a ripetere nella stanza accanto, ad aggiungersi a lei.

Anna bussò alla porta e i due la invitarono ad entrare immediatamente.

“Cavolo siete davvero seri! Mi aspettavo di trovarvi intenti a sbaciucchiarvi, invece siete chini sui libri” constatò la più piccola con ironia.

“Oggi è una giornata importante Anna! Andiamo a fare merenda, ti raccontiamo” esclamò Jack chiudendo il libro e balzando in piedi.

Elsa era molto raggiante quel giorno. Il suo viso era illuminato da un sorriso e da una tranquillità che da tempo non la caratterizzavano più. La ragazza, mentre preparava delle spremute e dei toast, pensava a come era cambiata in quelle settimane. Lo stupro l’aveva traumatizzata ma ora, grazie all’aiuto dello psicologo, di Jack e della sua famiglia, aveva ricominciato a godersi la vita. Quel fatto l’aveva fatta crescere, all’inizio vivere la spaventava ma ora aveva capito che la rabbia non l’avrebbe portata da nessuna parte. Nella sfortuna era stata fortunata perché molte altre ragazze, al suo posto, perdevano la vita, non venivano ritrovate o scoprivano di portare in grembo il frutto di una violenza.

“Quindi cosa dovete dirmi?” chiese Anna bevendo la sua spremuta d’arancia.

“Ho capito su cosa fare la tesina” disse Elsa emozionata. Per lei la scuola era davvero importante e finalmente era tornata a godersela.
“Cioè?” rispose la sorellina contenta di vedere di nuovo Elsa energica.

“Voglio raccontare cosa mi è successo. La mia tesina sarà strutturata in modo che io sia la portavoce di tante ragazze che, come me, hanno vissuto quello che voi sapete. Mi concentrerò sul ruolo e sulla figura della donna nel corso dei secoli, della storia, della filosofia, della letteratura latina ecc…così posso collegarlo a tutte le materie.” Disse lei entusiasta.

“E’ una bellissima idea! Il voler parlare di quello che ti è successo è sintomo che hai superato e stai superando questo brutto capitolo della tua vita.”

“E’ stato grazie a voi Anna… tu, mamma, papà, gli amici e Jack. Ci siete e io adesso non voglio più essere una vittima. So che questo è solo un proposito, mi servirà ancora del tempo. Portate pazienza…però voglio farcela e parlare di un argomento così delicato per me sarà fondamentale!”

“Brava amore…così bisogna parlare! Visto che siamo tutti felici, bisogna festeggiare. Scrivo un messaggio sul gruppo ed invito i ragazzi a cena, che ne dite?” propose Jack afferrando il telefono e ricevendo il consenso delle due sorelle.

Nel frattempo, in una delle basi segrete…


“Quindi mi hai portato una nuova recluta?” disse l’uomo incappucciato parlando dietro la scrivania.

“Sì, era nel gruppo con me ed Hans. E’ astuto!” rispose Pitch Black con voce sicura.

“Perfetto, fallo entrare”

A Nick venne aperta la porta e venne spinto in quella stanza oscura.

“Bene bene, un altro con i capelli rossi, il colore del male.” Rise l’uomo squadrandolo da cima a fondo.

“Tu sai come lavoriamo?” chiese poi.

“Sì signore.” Rispose Nick per niente titubante. Dove trovava tutto quel coraggio?

“Bene, allora procediamo”

Il signore si alzò e invitò gli scagnozzi a seguirlo in un’altra stanza piena di fialette, siringhe ed altre attrezzature mediche.

“Aspettate…devo potermi fidare del nuovo arrivato. Portatemelo qui”

Nick fu avvicinato al capo che obbligò il ragazzo a togliersi la maglietta. Nick non sapeva cosa stavano per fargli e si mostrò duro e sicuro. Non doveva fare domande e non doveva avere paura…altrimenti l’avrebbero scoperto. L’uomo prese una piastra metallica e, con forza, incise qualcosa sulla schiena del ragazzo.

Nick strizzò gli occhi perché sentì bruciare, come se si fosse scottato. Quel pazzo maniaco lo stava marchiando come si marchia un animale!

“Bene, ora sei dei nostri. Questo è il simbolo del nostro clan, noi siamo gli Ululatori Notturni e tu mi appartieni” aggiunse Moriarty mostrando, attraverso uno specchio, il lavoro appena compiuto.
Nick doleva ancora per il trattamento subìto, ma guardò attentamente la sua spalla attraverso lo specchio.
Aveva incisa nella carne la zampa di un lupo. Era un simbolo innocuo e affascinante da vedere, se solo fosse stato un tatuaggio piuttosto che un’incisione.

“Bene ora che siamo al completo devo dirvi una cosa. Cari miei, oggi è un giorno importante” iniziò il leader “come sapete da tanti anni cerco la formula di quella medicina inventata da Stuart Hopps tempo fa. Abbiamo in ostaggio suo figlio Oliver che torturiamo per colpire la sorella Judy, unica a conoscenza della reale formula medica. Da oggi, però, possiamo non aver più bisogno di lei… Io ho ritrovato delle formule chimiche nello studio di Hopps e, forse, grazie a una lunga analisi, sono riuscito a ricomporre la sua scoperta originale. Ancora qualche settimana e questa sarà ultimata.”

Gli scagnozzi risposero con un urlo maligno in segno di approvazione.

“Cosa ne faremo capo? Quale sarà la prima mossa?” domandò uno dei seguaci.

“La prima mossa sarà vendicarci di tutto quello che gli Hopps ci hanno fatto patire.”

Ci fu una lunga pausa per poi concludere con un’affermazione che spaventò molto Nick.

“Quando la cura sarà ultimata bisognerà testarla e lo faremo proprio su colui che rappresenta la nostra merce di scambio: Oliver Hopps”

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Capitolo 34
*** CAPITOLO XXXIV ***


XXXIV.
PRIMAVERA: STAGIONE DI RINASCITA

 

 

Il giorno seguente Judy trascorse il pomeriggio a casa di Merida dove le due, tra un quesito di matematica e un altro, parlarono di diversi argomenti.

Erano ormai a marzo inoltrato e tutti gli alunni di quinta cominciavano ad essere in trepidazione per l’avvicinarsi dell’esame di stato anche se mancavano ancora dei mesi a giugno.

“Cavolo la prof ha voluto riempirci di studio per domani” sbuffò Merida guardando il libro di matematica.

“Beh, per fortuna che siamo intelligenti e ci escono al primo colpo” commentò Judy continuando a scarabocchiare sul quaderno.

“Su cosa farai la tesina Meri?” domandò poi la detective.

“Vorrei farla sullo sport ma mia madre pensa che sia un’idea stupida” si demoralizzò lei.

“Oh che barba tua mamma, con tutto il rispetto! Adesso basta, se cerca di controllarti anche sull’argomento della tesina siamo alla frutta! Devi importi! Tu sei una persona coraggiosa, devi tirare fuori la grinta che ti caratterizza e dirle che la tua strada è un’altra!” la spronò Judy sbattendo la matita sul tavolo.

“E tu invece? Con Nick?” disse la rossa cambiando discorso e chiudendo il libro.

“Ieri è andato nel clan. Oggi lo incontro e mi dirà che cosa ha scoperto. Preferiamo non dirci nulla per messaggio, potrebbero rintracciarci e…”

“Judy, Judy…ferma! Quello lo so, ma io voglio sapere sull’altro fronte. Com’è Nick?” la interruppe Merida.

“Non lo so Meri. Non è il momento per pensare ai miei sentimenti” cercò di chiudere la ragazza dagli occhi viola.

“Invece è proprio questo il momento. Nick può diventare qualcuno di veramente importante per te! Pensa solo al fatto che ti sta aiutando molto, perché farlo? Cosa ci guadagna?” domandò ancora insistente Merida.

“Non lo so nemmeno io che cosa ci guadagna e per di più che cosa sia l’amore. Te l’ho detto non ho avuto molte esperienze e non è sicuramente questo il momento per pensarci. So solo che io e Nick…siamo molto simili” disse Judy parecchio imbarazzata.

“Ok, è importante per te. Già questo è un buon segno” rise la rossa dando uno spintone all’amica e le due tornarono ai loro esercizi.

Judy non sapeva cosa le stava succedendo. Cercava di non pensare alle trasformazioni che avvertiva nel suo corpo e nel suo cuore ma una cosa l’aveva capita: si stava affezionando a Nick e non vedeva l’ora di stare con lui nel pomeriggio.

Nel pomeriggio…


Anna e Kristoff passeggiavano mano nella mano. Quel giorno il sole splendeva alto nel cielo e il canto degli uccelli faceva da colonna sonora a quel momento magico. La primavera era ormai alle porte! La stagione della vita, della nascita, del risveglio e della bellezza stava per sbocciare.

“Quanto amo la primavera!” affermò la ragazza con il naso all’insù intenta a contemplare gli alberi di nuovo vestiti di foglie verdi.

“Sì, se non fosse per l’allergia” constatò lui scherzoso dopo aver starnutito.

“Senti amore…ho casa libera. Che ne dici di andare lì?” chiese poi lui malizioso.

Non ricevette subito risposta. Anna sembrava assorta nei suoi pensieri. L’aria primaverile la confondeva?

“Amore?” sollecitò lui notando il silenzio.

“Scusa Kris” iniziò lei sospirando “oggi non ne ho tanta voglia” concluse poi continuando a camminare speditamente ed ammirando la natura.

Kristoff non rispose. In genere Anna non si sottraeva mai a richieste di quel genere ma non riaprì l’argomento. La ragazza aveva semplicemente voglia di trascorrere la giornata all’aperto e lui rispettava la sua volontà.

A casa di Judy…


“Ciao Nick!” salutò Holly accogliendo il ragazzo in casa e chiudendo subito la porta.

“Judy vieni” chiamò Craig facendo distogliere l’attenzione della giovane dai compiti scolastici.

“Pff… che cavolate” aggiunse lei riferendosi alla facilità degli esercizi di chimica e dirigendosi verso l’amico in cucina.
“Allora, come è andata?” proseguì lo zio.

“E’ più complesso di quanto pensiate” esordì lui cupo. Aveva finto di essere un duro apatico per un giorno ma ora era il momento di crollare e mostrare le vere emozioni.

“Hai visto Oliver?!” chiese speranzosa Judy curiosa di sapere le condizioni del fratello.

“No, ma hanno detto qualcosa che riguarda lui” rispose lui per poi continuare.

“Ho registrato tutto e questa è già una grande prova a disposizione. Custoditela perché ho rischiato molto. Mi hanno fatto spogliare maglietta e felpa ma per fortuna non hanno controllato la cintura dei pantaloni altrimenti mi avrebbero trovato il vostro mini registratore.” Disse lui porgendo una micro spilla a forma di carota. Le spie che aiutavano Judy avevano veramente tutto!

“Prima di far partire la registrazione voglio descrivervi Moriarty” li fermò lui.

“E’ sempre incappucciato, ma l’ho osservato bene quando mi ha scrutato da cima a fondo. Ha i capelli neri come la pece, la pelle leggermente scura, dei denti bianchissimi, una collana dorata al collo, gli occhi talmente neri da non distinguerli dalle pupille e un neo sul mento” continuò lui descrivendo la fotografia immaginaria impressa nella sua mente prima di dimenticarla.

Dopo averlo ringraziato, la falsa famiglia avviò la riproduzione sonora venendo così a conoscenza della creazione della nuova medicina e della sua futura prova su Oliver.

Judy sbiancò quando sentì la notizia e crollò sul divano. Nick non l’aveva mai vista così debole e gli si strinse il cuore. La ragazza amava davvero tanto il suo fratellino.

“Dobbiamo agire” disse Craig rompendo il silenzio.

“Dobbiamo entrare ed arrestare quel clan al più presto” aggiunse Holly accarezzando Judy e cercando di farla calmare.

“Fermi! La cura sarà pronta tra un mese. Se agite adesso capiranno che è stata colpa mia perché sono l’ultimo arrivato. Aspettate che arrivino altre reclute, tanto so che ogni settimana minimo 2 ragazzi sfortunati decidono di entrare in questa setta.” Si difese Nick facendo ragionare i presenti.

“Hai ragione Nick. Aspetteremo le tue indicazioni e appena ti sarai tutelato entreremo nel loro covo e li arresteremo tutti”

Due giorni dopo…


Anna e Rapunzel camminavano per strada. La cugina dai lunghi capelli biondi le stava raccontando diverse novità. Alcune riguardavano il suo desiderio di provare l’ammissione al conservatorio una volta terminato il liceo, altre trattavano la sua famiglia ed altre ancora erano riferite a Flynn e al loro rapporto che diventava sempre più duraturo e piacevole, anche sotto l’aspetto sessuale.

Fu proprio questo ultimo elemento a confondere Anna.

“Anna si può sapere che diavolo hai?” chiese Rapunzel alla cugina vedendola strana e assorta intenta a mordicchiarsi le unghie.

“Ho un ritardo Punzie” confidò la ragazza amareggiata incrociando all’improvviso le braccia.

“Stai tranquilla sarà solo un ritardo no?” disse la cugina.

“Non se l’ultima volta si è rotto” confidò Anna nascondendo il volto con le mani.

“Cosa?! Anna quindi pensi di essere…” si allarmò Rapunzel sbigottita.

“Sono cose che succedono ed è accaduto, quindi temo quello che pensi tu. Due giorni fa Kristoff voleva rifarlo ma io ho avuto paura che potessi peggiorare la situazione e gli ho detto di no. Mi sento strana” puntualizzò Anna con un nodo in gola.

“Niente allarmismi, stiamo calmi… adesso andiamo insieme a comprare un test e poi vedremo” consigliò Rapunzel pur essendo rimasta scioccata dalla notizia e tese la mano alla cugina per dirigersi alla più vicina farmacia.

Le cugine, dopo aver comprato il test di gravidanza, si recarono in un bar vicino dove Rapunzel ordinò un caffè per ingannare l’attesa.

Anna era in bagno impaziente di conoscere il risultato anche se in cuor suo lo sapeva già. Sperava di non essere incinta, perché proprio a lei doveva capitare la sfortuna? Chissà quante persone nel mondo l’avevano fatta franca nella sua stessa situazione! Lei e Kristoff erano sempre stati attenti! Non avevano mai esagerato se non l’ultima volta in cui il ragazzo si lasciò trasportare di più del previsto. Si era rotto ma capita a tutti almeno una volta!

Perché proprio lei doveva pagarla?! Pensava a tutte queste cose quando notò comparire la scritta: “Incinta 2-3 settimane”

Improvvisamente il mondo intorno ad Anna cominciò a girare. Si sentiva apatica e spaventata allo stesso momento. Cosa avrebbe fatto adesso?! La sua famiglia si sarebbe arrabbiata? Kristoff come l’avrebbe presa?

Non voleva più uscire da quel bagno, non voleva affrontare questi problemi. Un bambino non ci voleva proprio.

“Anna…esci dai…” disse Rapunzel alla porta. La cugina aveva già intuito il risultato e voleva restare vicino ad Anna.

Preso coraggio Anna varcò la soglia e non ebbe la forza di guardare negli occhi la cugina. Che vergogna! Era incinta! Alla sua età con un bambino in grembo, che incosciente!

“Cosa faccio ora?” domandò a Rapunzel con le lacrime agli occhi.

“Vai a dirlo a Kristoff ed insieme capirete che cosa fare” disse Rapunzel accarezzandola e insieme uscirono dal bar.

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Capitolo 35
*** CAPITOLO XXXV ***


XXXV.
SORELLE


Anna ringraziò Rapunzel e, dopo aver preso un lungo respiro, scrisse a Kristoff.

Ore 16.00

Anna: “Incontriamoci al parco tra 10 minuti.”

Kris: “Perché? Che è successo?”

Anna: “E’ urgente, vieni il prima possibile”

Kris: “Ok arrivo”

Ore 16.15

Anna, dopo aver scritto i messaggi a Kristoff, si sedette vicino all’albero che aveva sorretto tutte le sue tristezze. Kristoff, trovandola lì, capì subito che qualcosa non andava.

“Hey amore che succede?” chiese lui con un sorriso sulle labbra avvicinandosi alla fidanzata.

“Sono incinta”

Kristoff si immobilizzò all’istante. Cosa aveva appena sentito?! Seguì un lungo silenzio al quale entrambi non riuscirono a reagire. Un silenzio chiassoso che parlava da solo. Un silenzio che rimbombava nelle loro orecchie e li faceva soffermare sul significato della parola “gravidanza”.

“Ma che stai dicendo?!” chiese lui una volta riacquistata la capacità di parlare.

“Ho appena fatto il test. 2-3 settimane” disse lei guardando lontano, cercando di nascondere le lacrime.

“Non è possibile! E adesso che cavolo facciamo?!” domandò lui mettendosi le mani tra i capelli.

“Lo teniamo, perché avevi dubbi?!” si girò di scatto lei mangiandolo con lo sguardo.

“Ah di dubbi ora ne ho fin troppi ma l’unica cosa su cui sono sicuro è che non lo voglio questo bambino!” sbottò lui agitando le mani.

“Cosa?!” rispose sbigottita la ragazza guardandolo.

“Ma mi vedi Anna?! Un bambino adesso?! Ma stiamo scherzando?! Io non sono pronto! Non possiamo tenerlo! Mi rifiuto!” affermò lui contrariato osservandola incredulo. La sua ragazza stava realmente pensando di farlo diventare padre per colpa di un errore?

“Cosa dici Kristoff?! Abbiamo 18 anni non siamo due ragazzini! Non si può buttare via una vita!” rispose lei alzandosi in piedi di scatto.

“Non me ne frega nulla! Non è il momento per dedicarsi a un bambino! Con che soldi lo manteniamo è?! Cosa pensi che io possa offrirgli?! E cosa dirà la gente?!”

“Veramente ti importa di cosa diranno gli altri?! Io pensavo che ci tenessi a me e invece vuoi lasciarmi sola!” urlò lei iniziando a sentire di nuovo il nodo stringerle la gola. Dov’era Kristoff? Chi era quel ragazzo codardo ed egoista che, in un momento così fragile, la frantumava e la induceva all’aborto?

“Infatti non ti sto lasciando da sola ma ti sto dicendo che non possiamo tenere questo bambino! Porterebbe solo problemi!” sbraitò lui iniziando a camminare freneticamente con le mani in tasca.

“E’ così che la pensi quindi?! Bene! Come vuoi… io però un bambino non lo butto via! E’ colpa nostra se siamo in questa situazione, non sua! Ma fai come vuoi…” concluse lei raccogliendo le sue cose arrabbiata e cercando di allontanarsi il più velocemente possibile.

“Dove stai andando?” domandò lui bloccandole il braccio.

“Via da te! Tu dovresti essere dalla mia parte no?! Belle le parole che mi avevi detto! Ci saresti sempre stato…si come no… perché tu pensi che per una ragazza sia facile abortire?! No! Io non ce la faccio, quindi se non vuoi aiutarmi allora lo crescerò da sola. Ricordati però, che se sono incinta è anche per colpa tua” 

E dette queste parole Anna si allontanò velocemente, inondando il viso di lacrime e senza voltarsi indietro.

La mattina seguente…


“Annaaaaa dai scendi la colazione è pronta!” chiamò la madre mentre versava il latte per tutti nelle tazze.

“Grazie mamma ma oggi non ho molta fame, ci vediamo dopo” disse Anna scendendo le scale e, senza dire altro, uscì di casa dirigendosi verso la scuola.

“Ma che ha?” domandò il padre guardando Elsa.

“Non ne ho idea..è strana” affermò lei e terminò velocemente la colazione per poter raggiungere la sorella.

Elsa uscì in fretta e furia di casa e percorse rapidamente il tragitto senza però vedere Anna. Una volta vicina alla scuola, sentendo suonare la campanella, decise di entrare in classe e cercare Anna all’intervallo.

In classe…


La professoressa di Teoria Analisi e Composizione aveva deciso di interrogare quella mattina e, di conseguenza, nella classe si era creato un profondo silenzio.

“Vediamo…oggi sentiamo…Arendelle” decise l’insegnante guardando la ragazza dell’ultimo banco.

Anna non ci poteva credere, anche quella sfiga?!

Si alzò svogliata, si avvicinò alla cattedra e, con le braccia incrociate, aspettò la domanda.

“Allooora…spiegami come si risolve un accordo di settima di dominante.” Propose la docente ma Anna non rispose. La professoressa non capì, quella era una domanda molto semplice e Anna era una delle migliori della classe nella sua materia, non poteva non sapere la risposta!

“Ok provo con un’altra domanda di analisi. Spiegami e descrivimi le danze che generalmente compongono una Suite di Bach”

Silenzio.

La professoressa guardò Anna e la trovò fredda, diversa e intuì un eventuale problema. Anche la classe era rimasta stupita dal comportamento della ragazza, anche il più incompetente dei compagni avrebbe saputo rispondere a quelle domande ed Anna era la più brava di tutti! Solo Rapunzel conosceva il motivo di quel comportamento e soffriva nel vedere così la cugina.

“Arendelle, mi può dare una motivazione al suo mutismo?! Se non risponde sarò costretta a darle 3” constatò l’insegnante notando l’indifferenza della giovane.

“Me lo dia, non importa” concluse Anna e, fortunatamente, la campanella dell’intervallo suonò permettendo a tutti gli alunni di sgomberare l’aula. Stava per andarsene anche lei quando l’insegnante la bloccò.

“Anna…ora che siamo sole, puoi dirmi che cosa ti prende?” chiese la professoressa preoccupata per la sua alunna più brillante.

“Mi scusi prof, ma questi non sono dei bei giorni per me. Ho scoperto una cosa sconvolgente e probabilmente lo verrà a sapere anche lei molto presto. Giustamente lei sta facendo il suo lavoro, quindi mi dia pure il voto che mi merito e vedrò di recuperare” spiegò Anna cercando di non piangere.

“Senti, hai quasi la media del nove e questa interrogazione mi serviva per confermartela non per abbassartela. Può capitare a tutti di avere delle difficoltà per questo non voglio aggiungerne altre, però stai attenta e cerca di tirarti su alla svelta!” concluse la docente permettendo ad Anna di uscire dall’aula.

Le ragazze aspettavano Anna nel corridoio ma, appena lei le vide, le ignorò e si diresse verso il cortile.

“Ma che diavolo le prende? Rapunzel tu devi saperlo per forza!” chiese Elsa impazientita girandosi verso la cugina che arrossì non sapendo cosa rispondere.

“E’ incinta” constatò Judy con la sua solita calma.

“Cheeeee?! Ma sta volta ti è veramente saltato il cervello!” rispose Merida guardando torva l’amica.

“Nah, io non sbaglio mai. E’ corsa via quasi piangendo, si vergogna di stare con noi e ha pesantemente ignorato Kristoff. O hanno litigato, ma mi sembra stupido ignorare anche le amiche, o è incinta e si sente sola.” Spiegò Judy calma bevendo un sorso d’acqua.

“Ma non ci posso credere Judy, cosa dici?!” borbottò Elsa spaventata.

“Ah, scommetto anche che è stata interrogata e le è andata male.” Continuò la detective.

“Come diavolo lo sai?!” chiese Rapunzel sbalordita.

“No ok qui ho sparato a caso…che sfiga però” concluse lei bevendo un altro sorso.

“Elsa…corri da lei! Subito!” si aggiunse Merida spingendo l’amica ed Elsa si mise a correre per raggiungere velocemente la sorella.
 

Nel cortile della scuola…


“Anna” chiamò Elsa in lontananza vedendo la sorella imboscata in un angolo del cortile. Anna, sentita la voce di Elsa, si alzò cercando di allontanarsi ma Elsa la raggiunse bloccandola bruscamente.

“La vuoi smettere?! Perché non mi dici niente?!” domandò Elsa scocciata.

“Che senso avrebbe!? Mi odieresti!!” rispose Anna scoppiando già a piangere e liberandosi con un gesto secco dalla presa della maggiore.

“Anna…cosa vuoi fare?” chiese poi la maggiore con il cuore in mano.

“Non lo so, non lo so! Ormai sono sola e non so cosa fare! Mamma e papà si arrabbieranno, tu non mi guarderai più come prima, Kristoff non mi vuole più e quando arriverà il pancione tutti mi crederanno una troia. Non penso di farcela a tenerlo” precisò la minore singhiozzando con il viso paonazzo per le lacrime.

“Anna, non ti azzardare a pensare una cosa del genere! Con mamma e papà ci parleremo insieme, Kristoff lo capirà e io non ti lascerò mai. Non ti permetterò di buttare via una vita. La notte in cui ho vissuto l’esperienza più brutta della mia vita ho rischiato anche io di restare incinta.
Fortunatamente non è successo perché altrimenti avrei fatto nascere il figlio di un mostro, ma il tuo bambino non sarà figlio di un mostro. Lui sarà il figlio di una coppia che si ama. Ci saranno difficoltà, magari tu e Kristoff non resterete insieme per sempre ma avrete fatto la cosa giusta, ossia dargli la miglior opportunità: vivere. Della gente non te ne deve importare. Vedranno la pancia e ti giudicheranno? Ma che vadano a quel paese!”
disse Elsa e, senza pensarci due volte, strinse a sé la sorella accarezzandole i capelli.

Una volta calmata, la campanella dell’intervallo suonò di nuovo, segno della ripresa delle lezioni.

“Ora vai in classe e stai tranquilla. Io ci sarò sempre e insieme risolveremo tutto” aggiunse Elsa ed accompagnò Anna in aula serena di averla placata.

Voleva esserci per lei, sempre.
 

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Capitolo 36
*** CAPITOLO XXXVI ***


XXXVI.
RAGIONAMENTI
 

Dopo la scuola…


Nel cortile della scuola il gruppo di amici aspettava gli ultimi per poter tornare a casa insieme. Anna, però, appena visto Kristoff, si incamminò speditamente sulla via del ritorno seguita da Rapunzel che, questa volta, non voleva vederla fuggire via da sola.

Il gruppo, notata la scena, capì che non era il caso di interferire motivo per cui tutti si avviarono verso le rispettive abitazioni senza proferire parola.

“Allora? Cosa mi volevi dire prima in classe?” chiese Jack fermando Elsa una volta fatti allontanare gli altri.

“Anna è incinta” confessò lei a bassa voce guardandosi intorno.

“Che cosa?!” disse lui sorpreso appoggiando la cartella per terra ed incrociando le braccia.

“Lei è distrutta… non voleva nemmeno dirmelo! Stava facendo tutto da sola perché l’hanno piantata in asso. Ha paura della reazione dei miei, degli amici e della gente. Il problema centrale però ha un nome e si chiama Kristoff” spiegò lei.

“Cioè?!?” chiese Jack ancora più sconvolto.

“Da quel che ho capito Kris non l’ha presa bene e deve aver consigliato ad Anna di abortire” puntualizzò lei appoggiandosi al muro.

“Ma cosa sta facendo?! Non si risolvono così i problemi!” affermò Jack arrabbiato.

“Ora cosa proponi di fare?” aggiunse lui poi.

“Ne parlerò con i miei e starò vicina ad Anna” spiegò lei.

“Mi sembra giusto, bisogna aiutare tua sorella altrimenti da sola non può portare avanti la gravidanza. Io penserò a Kristoff…corro subito da lui e vedrò di fargli cambiare idea” concluse Jack riprendendo lo zaino pronto per correre e raggiungere l’amico.

“Grazie amore” ringraziò Elsa abbracciandolo.

“Di niente tesoro…bisogna stare uniti in queste cose. Ora vado, ci teniamo aggiornati”

Detto questo Jack le diede un dolce bacio sulla bocca per poi correre verso Kristoff.
 
 
“Kris” urlò Jack una volta visto l’amico in lontananza. Kristoff stava camminando molto piano. Non aveva voglia di andare a casa e stava meditando su quelle due brutte giornate.

“Ciao Jack” salutò lui triste.

“La pianti di fare il cretino?!” gli gridò Jack con il fiatone una volta avvicinatosi.

“Cosa vuoi che faccia Jack?” rispose a tono Kristoff.

“Non ero il tuo migliore amico?! Mi hai sempre confidato tutto! Questa volta invece te ne stai sbattendo le palle di me, di tutto il resto e della situazione soprattutto! Perché non me l’hai detto?!” sbottò Jack spingendo leggermente l’amico.

“Mi vergogno di me stesso ok?! E non volevo che gli altri ne venissero a conoscenza.” Rispose lui guardandosi intorno e sperando che nessuno li sentisse.

“Tu ti vergogni?! Di cosa dovresti vergognarti scusa?! E’ inutile cadere così dal pero! Svegliati amico, i bambini arrivano se si fa sesso!” disse Jack incredulo di fronte alla vergogna dell’altro.

“Infatti è successo ed è stato un errore” puntualizzò Kristoff non riuscendo a guardarlo in faccia.

“Adesso la smetti di comportarti così! Ma guardati! Hai un problema e lo risolvi in questo modo?! Fregandotene?! E Anna dove la lasci? Per colpa tua sta affrontando da sola una situazione che è più grande di lei!” ringhiò Jack afferrando la maglietta dell’amico e dandogli uno strattone.

“Cosa vuoi che faccia Jack?! Mi vedi? Ho solo 18 anni, vado ancora a scuola, la mia famiglia non è ricchissima! Non me lo posso permettere un bambino, come diavolo lo cresco?!” si sfogò l’amico cercando di divincolarsi dall’altro.

“Almeno tu hai fatto l’amore con la tua ragazza! Io no! Sei stato tu quel giorno a farmi sfogare ricordi?! Tu non sai cosa significhi sapere che un altro, un criminale, ti porti via la tua ragazza! Ed ora Elsa è talmente traumatizzata che anche un semplice bacio è difficile da conquistare! Tu hai avuto la fortuna di aver condiviso tutto di te con Anna e quel momento ha dato frutto. Tu vuoi buttare via una vita nata dal vostro amore solo per un tuo pregiudizio?!” urlò Jack rabbioso, vomitando addosso all’amico tutta la rabbia che provava ancora nei confronti della brutta esperienza di Elsa.

Kristoff rimase di stucco. L’amico aveva ragione. Si stava comportando da codardo e stava abbandonando la sua ragazza.

“Scusami Jack” sospirò lui abbassando la testa.

“Non devi chiedere scusa a me. Devi chiedere scusa ad Anna che sta soffrendo e per colpa tua vuole abortire!” lo scosse Jack.
Kristoff non sapeva più cosa rispondere ma aveva imparato la lezione. Non voleva che Anna vivesse da sola quell’avventura. Non poteva credere che per colpa del suo egoismo la sua amata ragazza crollasse così. Kristoff aveva promesso di proteggerla e di esserci sempre ed ecco che invece, alla prima difficoltà, stava già facendo le valigie.

“Tu la ami?” si intromise Jack interrompendo i suoi pensieri.

“Tantissimo” rispose Kristoff con le lacrime agli occhi.

“Allora corri da lei e stalle vicino. Prenditi le tue responsabilità e insieme riuscirete a superare ogni cosa. Lo so che crescere un bambino non è semplice ma siete entrambi dei giovani adulti ormai, ce la potete fare…anche grazie all’aiuto delle persone che vi stanno vicine.” Incoraggiò Jack mettendo una mano sulla spalla dell’amico.

Kristoff finalmente capì di essersi comportato male, abbracciò l’amico e, pieno di coraggio, si mise a correre per raggiungere la casa di Anna. Doveva dirle che ci sarebbe stato, che non l’avrebbe più lasciata sola…che era pronto ad esaudire gli altri due desideri come le aveva promesso a settembre.

A casa di Anna ed Elsa…


“Ok Anna, tranquilla. Ora lo diremo a mamma e papà. Ti starò vicina” disse la maggiore mettendo una mano sulla spalla alla più piccola che si limitò ad annuire.

Appena varcata la soglia i genitori intuirono subito un eventuale problema.

“Che succede?” domandò la madre inarcando le sopracciglia e appoggiando il cibo sul tavolo.

“Mamma, papà…vi prego non arrabbiatevi. E’ successo e io ora non so come dirvelo” iniziò a biascicare Anna. La ragazza aveva la voce spezzata e il cuore che batteva talmente forte da non permetterle di scandire bene le parole.

“Cosa?!” si aggiunse il padre alzandosi in piedi.

“Sono incinta” disse lei abbassando subito lo sguardo e provocando il silenzio generale.

“Che cosa?!!?” urlò il padre prendendosi i capelli tra le mani.

“Lo so, lo so ma…”

“Zitta! Siete degli incoscienti! E ci avete presi in giro per tutto questo tempo! Noi vi permettiamo di andare in vacanza insieme e voi fate le vostre cose comunque! Bella dimostrazione di affetto e di maturità, complimenti!” gridò la madre in preda all’ira.

“Mamma ora basta…” si intromise Elsa per farli calmare.

“Taci Elsa! Tu li hai sempre coperti e mascherati!” continuò Idunn fuori controllo.

Anna, nel frattempo, non riuscendo a reggere la situazione, corse in camera cercando di nascondere le lacrime e chiuse la porta.

“Siete contenti adesso?! Bell’aiuto! Comunque, mamma, io non so niente della vita personale di Anna e di come e quando vivono la loro intimità! Penso solo che entrambe siamo abbastanza grandi per avere le nostre idee! Anna non ha fatto certe cose con Kristoff per andare contro al vostro volere o al vostro spirito cattolico, ma perché si sente bene con lui! Un amore così non l’ho mai visto ed entrambi sono cresciuti. Ora Anna è sola. Non caricatela di altri dolori perché già decidere di tenere un bambino la farà maturare molto e soffrire! Questo piccolo porterà gioia a tutti noi. Siamo ricchi e abbiamo un sacco di soldi per mantenere un bimbo che alla fine riempirà le nostre giornate di felicità. Voi fate come volete, se non desiderate aiutarci allora le starò vicino io ma ricordate di portarle rispetto perché è di mio nipote che si sta parlando…anzi…nostro nipote!”

Dopo questo lungo monologo Elsa raggiunse Anna in camera e cercò di darle forza lasciando i genitori da soli immersi nei loro pensieri.

“Vado a bere un caffè da mia sorella, così magari mi calmo” aggiunse Idunn salutando il marito ed uscendo velocemente di casa.

Idunn citofonò a una piccola villetta con un giardino curato e una parete rocciosa.

“Ciao zia” salutò Rapunzel aprendole la porta.

“Ciao cara, c’è la mamma?” domandò la zia cercando di non farsi vedere agitata.

“Te la chiamo. Io ora sto uscendo quindi vi lascio da sole…spero riesca a farti ragionare.” Aggiunse Rapunzel che aveva intuito un eventuale scontro con Anna.

Idunn colse a pieno la frecciatina ma non riuscì a rispondere motivo per cui salutò la nipote ed entrò in casa.

“Ciao sorellona, che succede?” salutò la donna dai capelli castani e gli occhi verdi come Rapunzel.

Idunn non rispose perché le si gettò al collo stringendola forte. La madre di Rapunzel fece accomodare la sorella in cucina dove le offrì una tazza di caffè ed ascoltò il racconto.

“Cosa ne pensi?” domandò la maggiore agitata.

“Che hai fatto un gran cavolata” rispose l’altra guardandola torva.

“Io voglio solo proteggere la mia bambina!” disse Idunn senza guardarla negli occhi.

“O vuoi proteggere te stessa?!” pizzicò la minore facendo tacere l’altra. Era il momento di intervenire e farla ragionare, ragion per cui continuò il discorso.

“Idunn…ricordi cosa successe a te tanti anni fa? Esattamente a 18 anni? E’ ora di raccontarlo alle tue figlie. Abortire è una cosa seria e noi donne lo sappiamo! Tu sai quanto io sia contro! Ho avuto quattro aborti spontanei e poi è arrivata Rapunzel, proprio quando stavamo per gettare la spugna. Kristoff e Anna stanno celebrando l’amore! Alla fine per cosa ti stai arrabbiando? Per due ragazzi che hanno consumato prima del matrimonio?! Siamo state noi le prime a non seguire questi insegnamenti ed è ovvio che le nostre figlie si comportino così! Vedrai che questo bambino sarà la tua rivincita…io lo vedrei come un forte segnale…soprattutto per te ed Agnarr”

Idunn non rispose ma capì perfettamente il messaggio della sorella. Perché si era arrabbiata così? Si stava parlando di un bambino! La donna congedò la madre di Rapunzel e tornò a casa: doveva parlare alle sue figlie…e raccontare tutto.
 
 

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Capitolo 37
*** CAPITOLO XXXVII ***


XXXVII
RIVINCITA


 
Idunn tornò a casa stravolta e trovò Agnarr nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato ossia seduto sul divano intento a pensare.

“Quindi, cosa facciamo?” domandò lui triste.

“Non possiamo permettere ad Anna di compiere il nostro stesso errore. Siamo stati stupidi Agnarr!” si accusò lei avvicinandosi al marito.

“Hai ragione. Siamo stati egoisti. In realtà la nostra vita sta diventando sempre più monotona. Siamo benestanti e un bambino è quello che ci manca” concluse lui prendendole la mano ed invitandola a parlare con le ragazze.

Idunn salì le scale piano e si fermò sulla soglia della porta della camera di Anna dove la sentiva piangere e confidare con la sorella. Quella scena le fece stringere il cuore. Le sue bambine erano sempre state unite e si erano sempre aiutate, proprio come lei e la madre di Rapunzel. Idunn bussò alla porta e si sentì morire al pensiero di aver fatto del male alla sua Anna.

“Se entri per restare allora accomodati, altrimenti non venire perché come vedi siamo già in una valle di lacrime” esordì Elsa ancora arrabbiata per prima.

“Oh insomma smettetela adesso. Fammi entrare che vi devo dire una cosa importante” disse Idunn prendendo coraggio e mettendo piede nella stanza con fermezza.

“Anna, scusami” cominciò lei sedendosi di fronte al letto della figlia. Anna stringeva a sé un cuscino e aveva il volto addirittura irritato dalle lacrime.
“Sei coraggiosa… e io sono fiera di te e di tua sorella. Siete state più forti di me” continuò la madre non riuscendo a smuovere la figlia immersa in una profonda crisi di pianto.

“Che intendi dire?” chiese Elsa avvicinandosi e sedendosi accanto ad Anna.

Fu allora che Idunn ripercorse con la memoria i suoi 18 anni.

Una ragazza dai lunghi capelli castani camminava in un parco con il compagno della stessa età. Idunn era una persona timida e silenziosa mentre Agnarr, giovane dai capelli rossicci e il fisico muscoloso, era il capitano della squadra di basket e il più conteso da tutte le studentesse.

Un giorno Idunn visse la stessa situazione della figlia perché, notato il ritardo delle mestruazioni, scoprì di aspettare un bambino.

Agnarr si spaventò subito. Uno dei ragazzi più celebri della scuola pronto a diventare padre?! Ne andava della sua reputazione! Tutto questo non lo disse ad Idunn ma non si fece vedere sicuro di fronte alla notizia, motivo per cui le chiese un giorno di tempo per riflettere.

Idunn si trovò sola. L’unico supporto lo ricevette dalla sorella che la costrinse a parlare con i genitori. I nonni delle sorelle Arendelle erano venuti a mancare molti anni prima ed Anna ed Elsa non li ricordavano bene. Sapevano solo che erano dei ricchi imprenditori che desideravano per la figlia maggiore un futuro strabiliante. La notizia della gravidanza li scosse a tal punto da dividere Agnarr e Idunn. I genitori, infatti, designavano il ragazzo come un nullafacente e non lo desideravano come futuro coniuge della figlia perfetta.

Idunn visse una settimana chiusa in casa, in punizione, senza poter vedere amici, Agnarr e i parenti stessi.
La giovane diventò fredda, apatica, perennemente serrata a chiave in stanza a guardare fuori dalla finestra. Iniziò addirittura ad ignorare la sorella che bussava incessantemente alla sua porta con la speranza di entrare a confortarla.

Per Idunn quella vita diventò insostenibile e cominciò ad odiare il frutto che portava in grembo.

Quel bambino le stava rovinando l’esistenza! Fu così che, recandosi in ospedale per una falsa visita ginecologica, decise di procedere con l’aborto. Il suo fisico ne risentì molto ma tutti, genitori compresi, pensavano che avesse perso il bambino naturalmente e, in cuor loro, erano contenti così: una bocca in meno da sfamare e un figlio illegittimo in meno da motivare. La ripresa per Idunn fu dura. La giovane lasciò Agnarr e capì di aver solo peggiorato la situazione.

Aveva ragionato di pancia, pensando al proprio interesse e aveva così ucciso volontariamente una nuova vita che, forse, le avrebbe solo dato amore.

Trascorsero mesi e la ragazza perdeva peso, si agitava, non mangiava più non riuscendo a perdonarsi per ciò che aveva fatto. Il raggio di luce fu sua sorella che, dopo aver ripreso i rapporti con lei, capì che Idunn aveva abortito e lo riferì ad Agnarr. Il giovane, pur non essendo più il fidanzato di Idunn da diversi mesi, non riusciva a pensare ad altre ragazze. Nel cuore aveva solo lei e quando scoprì dell’aborto si sentì in colpa per non essersi imposto al volere di quei pazzi genitori che avevano chiuso la figlia in una stanza. Agnarr non si arrabbiò con Idunn e ricominciò a frequentarla dicendole che quello era solo stato un momento di debolezza dovuto all’idea malsana di altri. Senza il supporto delle persone vicine, Idunn non avrebbe mai trovato la forza di andare avanti con la gravidanza. I due riuscirono a superare quel duro colpo e, nonostante l’opinione della famiglia di lei, si sposarono diversi anni dopo ricevendo in dono due splendide bambine, anche se il pensiero di quel primo figlio scomparso li perseguitò negli anni.

Il pianto di Anna si era finalmente placato lasciando il posto a una notizia sconvolgente che lei e sua sorella non si sarebbero mai aspettate.
Le Arendelle, quindi, erano in realtà tre fratelli anche se, al primo, vennero tagliate le gambe ancora prima di poter venire al mondo. Anche Elsa non trovava le parole ma nella sua testa immaginò perfettamente la scena: con Anna si stava ripetendo la vicenda della madre con la differenza che, questa volta, i loro genitori non avrebbero commesso di nuovo lo stesso errore.

“Prima eravamo arrabbiati e ci devi scusare. L’idea che un ragazzo abbia rapporti con mia figlia mi ha destabilizzata. Ora, però, non ti permetterò di sbagliare come ho fatto io. Prima ho urlato perché stavo cercando di proteggere anche me stessa ma, come avete appena visto, sono crollata e ho dovuto raccontarvi la verità. Sono certa che questo sia un segno. Non è una coincidenza! Il tuo bambino, Anna, sarà la mia rivincita. Non ho mai voluto quel piccino che portavo in grembo, ma sono certa che lui vivrà nel mio nipotino. Non sarà facile figlia mia ma io ammiro il tuo coraggio. Scusami ancora se ti ho tenuto nascosto un segreto così grande ma ora voglio dirti che ci sarò. Niente più segreti, niente più paure… nella vita ci sono problemi ben più gravi e questo, alla fine, è un dono. La vostra mamma è crollata è vero, ma ora c’è e farà di tutto per voi”

Seguì ancora un silenzio assordante finché Idunn, di scatto, abbracciò la sua bambina dai capelli rossi che, finalmente, si lasciò cullare e supportare dalla persona che le dava più sicurezza in assoluto.

Il pomeriggio trascorse serenamente ed Anna, ripreso coraggio, si mise a studiare per le verifiche seguenti. Si era proposta di studiare duramente e aiutare di più in casa perché non voleva mettere al mondo un figlio e vivere sempre alle spalle di altri. La ragazza cercò anche di non pensare a Kristoff. Dopo aver sentito il racconto della madre si rese conto ancora di più che un figlio unisce o divide.
Il suo cuore amava il ragazzo rude dai capelli biondi ma la sua testa rimaneva arrabbiata con lui per come l’aveva trattata.

Parlando del diavolo ecco che spuntano le corna. Kristoff, dopo aver ricevuto la strigliata da Jack, aveva capito a pieno le sue responsabilità ed era pronto ad assumersele. Nel pomeriggio, infatti, fece presente ai genitori la lieta notizia che li lasciò di sasso. Il padre si arrabbiò molto mentre la madre e la sorella Riley, intuendo subito un miglioramento e una maturazione nel figlio, furono contente di aiutarlo. Anna, alla fine, la consideravano la ragazza perfetta e non avrebbero mai permesso di perderla così.

Dopo cena il giovane prese la macchina diretto verso villa Arendelle. Era intenzionato a chiedere perdono ad Anna senza fiori, senza regali, senza rose ma con il solo ausilio del suo cuore e della sua persona.

Il giovane suonò il campanello e si trovò davanti Agnarr. L’uomo era scuro in volto e non gli rivolse la parola. Il gesto che scaturì dopo imbarazzò molto Kristoff perché l’uomo gli diede una forte sberla sulla guancia.

“Questo è per avuto rapporti con mia figlia e averla messa incinta”

Kristoff non sapeva come difendersi ma il gesto dopo gli fece capire la lezione perché Agnarr, mostrando un sorriso, cinse il giovane in un abbraccio.

“E questo è per dirti che sono contento che tu sia tornato, per restare”

Il ragazzo, dopo aver parlato in privato con i genitori di Anna, ricevette il consenso per raggiungere la persona più importante della sua vita.

Kristoff salì lentamente le scale, con il batticuore per paura di essere rifiutato. Bussò titubante alla porta della ragazza che consentì l’accesso pur non sapendo di chi si trattasse.

La giovane si voltò lentamente per poi girare il volto di scatto e sbottare con un:

“Che cosa ci fai?”

Kristoff si avvicinò alla ragazza e, nel momento in cui lei tentò di fuggire dalla stanza, le afferrò il polso.

“Non scappare! Sono qui per restare!” disse lui stringendo forte il suo braccio.

“Chi ti ha obbligato?!” chiese lei con le lacrime agli occhi.

“Lui” rispose Kristoff e, con un dolce gesto, pose la propria mano sul ventre di Anna.

Quel contatto fece sussultare la giovane che tornò a provare calore e affetto per il suo ragazzo.

“Lo so ho sbagliato. Ti ho lasciata da sola in un giorno così difficile ma ho riflettuto. Ho già parlato con la mia famiglia e con la tua affermando di essere pronto ad assumermi le mie responsabilità. Anna, ieri ho pensato solo a me! Avevo paura! Ora però ci sono per te e insieme voglio costruire la mia vita. Non so come si faccia il padre o in generale come ci si comporti con i bambini ma in questo so che mi aiuterai tu, io per ora ti dico solo che voglio esserci”

Detto questo il giovane si avvicinò ad Anna e cominciò a baciarla ardentemente. I due si sdraiarono a letto dove lui, mentre la baciava, non osava togliere la mano dal suo grembo. Le mani di Kristoff avevano sempre avuto dei poteri magici. Sapevano accarezzare e cullare Anna, la sapevano sorreggere, potevano tagliare il legno e lavorare qualsiasi materiale ed ora proteggevano qualcosa di talmente piccolo che necessitava dell’amore e della protezione di entrambi i genitori per crescere.

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Capitolo 38
*** CAPITOLO XXXVIII ***


XXXVIII.
FALSA SPERANZA



La notizia della gravidanza di Anna fece velocemente il giro della città. Per la ragazza fu difficile adattarsi allo sguardo della gente che la additava come una incosciente ma, dopo solo una settimana, compagni di classe e compaesani trovarono già nuovi argomenti di cui parlare.

Trascorsero altre settimane arrivando, così, ad Aprile. Nick, in quel mese, era riuscito a guadagnarsi la fiducia di Moriarty che gli permetteva di entrare in contatto con Oliver.

“Oggi andrai tu a controllare il prigioniero” ordinò il capo delegando quell’importante compito per la prima volta a una delle sue nuove reclute più brillanti. Nick non esplose di entusiasmo agli occhi del padrone anche se, in cuor suo, era felicissimo di incontrare il famoso ragazzino.

La sua gioia venne spenta nel momento in cui varcò la soglia dello scantinato in cui era rinchiuso il giovane. L’aria che si respirava non era salubre, faceva freddo, era buio, le pareti erano lerce e il pavimento sudicio. L’umidità divorava tutto, persino le coperte del minuscolo letto presente nella stanza. Nick chiuse a chiave la camera, come aveva visto fare dagli altri scagnozzi, e si avvicinò al piccolo cespuglio dai capelli neri che spuntava da dietro al letto.

“Ciao” salutò Nick una volta trovatosi di fronte al ragazzino. Oliver aveva i capelli neri, i lineamenti e gli occhi identici a quelli di Judy con la differenza che i suoi erano più scuri.

“Ti prego, non farmi male” supplicò lui senza guardarlo in volto.

“Oliver” iniziò a sussurrare Nick guardandosi intorno nella speranza di non essere sentito dalle reclute che camminavano fuori dalla stanza.

“Io non sono cattivo, sono amico di Judy”

A sentire quel nome, Oliver alzò di scatto la testa piantando gli occhi in quelli dello sconosciuto.

“Ho trovato io il tuo biglietto quel giorno! Sono amico di Judy e sono diventato una recluta solo per tenere d’occhio la situazione e capire come agire per venirti a salvare” spiegò Nick abbassando sempre di più la voce.

Il piccolo non riuscì a trattenere le lacrime e nascose il volto tra le braccia.

“Ti prometto che ti porterò fuori di qui. Tu devi giurare di comportarti come sempre! Io per te devo rimanere un cattivo d’accordo?” domandò Nick emozionato di fronte alla scena.

“Sì, ma ti prego…dimmi com’è Judy! Sta bene?!” chiese lui strofinandosi il naso nella manica della felpa sporca.

“Sì, non vede l’ora di rivederti”

Il gesto che scaturì dopo colpì molto Nick perché Oliver, infatti, si alzò in piedi e lo abbracciò forte. Nick ricambiò l’abbraccio e cercò di trasmettergli tutto l’amore e la forza che sicuramente gli erano mancati da un anno a quella parte. Chissà da quanto tempo il ragazzino non riceveva affetto.

Quello fu solo uno dei tanti incontri perché Nick, con la scusa di dover controllare il prigioniero, venne a conoscenza di molti particolari utili alla spedizione di salvataggio e nel frattempo faceva da tramite per i messaggi dei due fratelli.

Verso la metà di Aprile, quando finalmente la cura finì per essere ultimata e le nuove reclute si integrarono perfettamente nel gruppo, si decise di procedere con la missione.

“Quindi come ci organizziamo?” domandò Judy curiosa.

“Noi entreremo nella notte di domani nel loro covo e arresteremo tutti, Nick incluso. Lui, però, verrà rilasciato quasi subito come abbiamo concordato con le forze speciali e gli organi di polizia.”

“E io che faccio?” chiese la ragazza.

“Tu starai qui, presidiata da me e altre squadre. Non ti puoi muovere Judy! E’ troppo pericoloso!” disse la zia bloccando l’entusiasmo della ragazza che, però, si convinse della situazione e cominciò ad assaporare l’idea dell’indomani. Ormai era tutto finito! Oliver sarebbe tornato con lei il giorno dopo e avrebbero posto la parola fine a quella brutta storia!

Nel frattempo a casa di Merida…


Merida era intenta a studiare matematica quando ricevette un messaggio di Hiccup.

“Come stai tesoro?”

“Male, devo dire a mia madre di Scienze Motorie. Ho scoperto che ci sono dei test d’ingresso selettivi ai quali posso già partecipare il mese prossimo e voglio farli assolutamente. Devo iscrivermi però… magari faccio tutto segretamente”

“No! Smettila! Ora alzati e vai da tua madre! Devi parlarne Meri, non è possibile che sia lei a decidere tutto della tua vita!”

“Ci penso… dopo ci vediamo?”

“Io sono a casa da solo con Sdentato. Ti aspetto solo se parlerai con tua mamma e smetterai di fare la fifona. Altrimenti resta a casa”

Q
uel messaggio ferì molto Merida che non rispose e tornò a studiare sui libri lanciando il telefonino sul letto.
Dopo 10 minuti, però, la ragazza capì che quello di Hiccup non era un rimprovero ma una provocazione. Lui voleva che lei vivesse in modo più sereno e già da tempo le consigliava di parlare con la madre di tutte le sue scelte di vita.

La ragazza così, mossa da un forte coraggio, scese le scale e, una volta raggiunta la cucina, aspettò che sua madre iniziasse un discorso.

“Puoi andare tu a prendere i gemelli a scuola oggi?” chiese la signora dai lunghi capelli neri mentre firmava dei documenti.

“Sì, sì va bene. Dopo esco già di mio quindi perfetto”

“Dove vai?” domandò la madre guardando attentamente i fogli che aveva tra le mani.

“A consegnare dei documenti all’università per iscrivermi ad un test d’ingresso”

“Brava! Finalmente ti sei iscritta a medicina! Dove devo firmare, dimmi subito che…”

“No mamma” interruppe la ragazza prendendo fiato.

“Voglio iscrivermi a Scienze Motorie” concluse poi provocando il silenzio.


“Che cosa?! Tu sei impazzita!? Mia figlia a gestire le palestre?! Stai scherzando spero! Cosa ho fatto di male per avere una figlia come te?!” cominciò ad urlare la madre fuori di sé.

“Di pure quello che vuoi ma io nella vita farò quello che voglio! Sono stufa di stare al tuo volere! Il mio futuro lo decido io! Chissene frega se finirò sotto un ponte senza un lavoro, almeno avrò seguito la strada giusta!” si difese lei con determinazione.

“Stai pur certa che non diventerai nessuno” concluse la madre girandole la faccia.

“Va bene. Ti saluterò e ti ringrazierò di cuore quando sarò qualcuno un giorno”

Detta questa ultima frase, la giovane uscì di casa sbattendo forte la porta. Non sapeva perché ma non era per niente triste, anzi si sentiva libera, con un peso in meno! Lei sapeva che non sarebbe stato facile convivere con la madre nei giorni seguenti ma non doveva mollare. Presa dalla voglia di condividere questo importante traguardo, la giovane si diresse verso casa di Hiccup: doveva ringraziarlo per aver sempre creduto in lei.

La sera seguente…


La notte calò sulla città. Il silenzio avvolgeva le strade. Holly e Craig erano pronti: era il momento di agire.

“In bocca al lupo” augurò Judy tremante seduta sul divano.

“Faremo il possibile per chiudere questa brutta faccenda e regalarti una vita serena” disse Craig piuttosto agitato. La spia, poi, baciò la moglie sulle labbra guardandola negli occhi. Entrambi sapevano che sarebbe stato difficile e avrebbero rischiato tanto, ma erano disposti a tutto pur di proteggere Judy ed Oliver. La coppia non era riuscita ad avere bambini nel corso della vita matrimoniale, e i due giovani erano come dei figli per loro.

Dopo questi saluti Craig e le squadre partirono. Erano tutti vestiti di nero e armati di fronte a ciò che dovevano affrontare.

“Metà di voi presidieranno l’uscita laterale che ci ha indicato Nick mentre noi entreremo dall’ingresso. Sparate solo se siete in grave pericolo. Facciamo vedere a queste teste di cazzo chi comanda” incoraggiò Craig facendo uscire i compagni dal camion ed avvicinandosi di soppiatto all’abitazione segreta.

“Al mio tre… 1…2…3…”

Un grande tonfo fece cadere la porta di ingresso e le squadre di polizia, seguite da quattro cani speciali, irruppero nell’abitacolo con le pistole bene in vista.

Nell’appartamento di tre piani erano presenti circa 45 persone. Nick aveva infatti detto che quel giorno tutti i compagni cattivi si sarebbero ritrovati lì per festeggiare la nascita della cura velenosa.

Qualcuno degli scagnozzi provò a sparare ferendo qualche ufficiale e cercò di fuggire ma il piano architettato andava a gonfie vele.
Dieci minuti di fuoco che videro vincitori i buoni.

“Li abbiamo arrestati tutti?” chiese Craig con il fiatone.

“Sì capo! Ne sono morti 10 ma è stato necessario, legittima difesa” rispose un aiutante guardando gli scagnozzi che venivano caricati sulle macchine della polizia.

“Benissimo ora prendiamo Oliver e Moriarty” rispose lui e, non vedendo l’ora di rivedere il ragazzino, spalancò la porta dello scantinato in cui veniva tenuto prigioniero il piccolo.

La reazione, però, non fu delle migliori. Quel posto era vuoto! Dov’era Oliver? E il capo?

“Dove sono?!” urlò furente Craig.

“Ci hanno fregati” sospirò Nick amareggiato.

“Che intendi dire?!” chiese Craig addolorato.

“Lui aveva detto che sarebbe arrivato per dare inizio alla cerimonia per la cura. Deve aver previsto la cosa e si è portato via Oliver”

“Dobbiamo trovarlo il prima possibile! E’ una situazione delicata ed è un’arma a doppio taglio perché ora è scoperto, debole, senza i suoi complici…ma ha sempre Oliver ed essendo arrabbiato lo può piegare ad ogni suo volere, se non addirittura ucciderlo”

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Capitolo 39
*** CAPITOLO XXXIX ***


XXXIX.
TUTTO FINITO



Judy, per circa una settimana, non mise piede fuori dalla casa. A scuola tutti si chiesero che cosa mai le fosse successo. Gli zii la spronavano di tornare a farsi una vita normale e serena ma lei, ormai, aveva smesso di vivere.

Aveva passato un anno aggrappata alla flebile speranza di riuscire a ricongiungersi con Oliver ma, ora, l’aveva perso per sempre.

Moriarty venne cercato ovunque ininterrottamente ma fu impossibile trovarlo. Di sicuro aveva già ucciso il ragazzino e si era trovato nuove reclute visto che finalmente aveva scoperto la formula medica degli Hopps.

Nick uscì di prigione il giorno dopo l’irruzione e trascorreva la maggiorparte dei pomeriggi a casa di Judy.

“E’ finita Nick” disse la ragazza sdraiata sul letto senza rivolgergli lo sguardo.

“Smettila Judy! Non è vero! Possiamo ancora farcela!” incoraggiò lui posandole una mano sulla spalla.

“Basta con questa speranza Nick! Oliver ormai è perso e non lo troverò mai più!” rispose lei arrabbiata allontanando la mano di lui.

“Senti detective, mia madre sta per morire! Io so che rimarrò da solo per sempre ma qualcosa mi tiene aggrappato a questa realtà e mi permette di viverla al meglio… e sai cos’è? La speranza! Io so che è impossibile ma spero caldamente che possa succedere qualcosa, un miracolo, un miraggio, un intervento qualsiasi cosa che possa guarire mia madre! E’ impossibile ma io ci credo! La stessa cosa la devi fare tu! Io ho visto come agiscono quei delinquenti… quella formula non sarà mai uguale a quella creata da tuo padre! La chiave rimani sempre tu!”

Quell’ultimo discorso di Nick fece ragionare Judy.

“Sai cosa ti dico? Hai ragione! Andrò a cercare Moriarty di persona e gli darò la vera formula medica così potrò riavere Oliver” concluse lei determinata alzandosi in piedi e preparandosi per uscire.

“No, aspetta che? Sei pazza?! Non te lo permetterò!” la fermò lui bloccandola contro il muro e finendo per essere a due centimetri dalle sue labbra. Quel momento fece vibrare i cuori di entrambi e Nick non fu più in grado di parlare.

“Sì, forse sono pazza ma questa è la mia ultima occasione. Guai a te se proverai a fermarmi!” concluse lei approfittando di quel contatto ravvicinato per confondere Nick e scappare fuori dalla stanza chiudendolo all’interno.

“Judy!” continuò ad urlare lui tirando pugni alla porta ma Judy non lo ascoltava: era già in strada alla ricerca del suo nemico.

A casa di Merida…


Merida, in quella settimana, non riuscì a risolvere il diverbio con la madre perché questa, infatti, le rivolgeva la parola solo per parlare di faccende domestiche ed organizzative. Alla ragazza, però, andava bene così per ora. Si stava concentrando al massimo per l’esame di maturità e per quello di ammissione a Scienze Motorie. Una persona sola la stava preoccupando: Judy.

La ragazza, infatti, aveva completamente chiuso i rapporti con il gruppo senza motivare la sua scelta. Merida, essendo la più affezionata alla stramba ragazza, non faceva altro che chiedersi cosa mai fosse successo e perché di punto in bianco la piccola detective avesse smesso di parlarle.

Era immersa in tutti questi pensieri quando Hiccup la richiamò alla realtà.

“Hey, ci sei?” domandò lui trovandola assorta.

“Pensavo a Judy” rispose lei tornando con i piedi per terra.

“Beh ci stiamo chiedendo tutti come mai sia sparita. Come mai è così strana secondo te?” domandò il ragazzo incuriosito.

Merida non rispose subito. Lei aveva capito una cosa: voleva essere sincera con Hiccup. Solo Merida era a conoscenza del fatto che, forse, l’incidente alla gamba del suo ragazzo fosse stato provocato dai criminali di Judy e non era giusto tenere Hiccup all’oscuro.

Per questo motivo la ragazza svuotò il sacco e raccontò ogni singolo particolare della vicenda Hopps al suo fidanzato.

Hiccup rimase senza parole, scioccato specialmente per la vicenda della sua perdita fisica ma c’era qualcosa che lo emozionava ancora di più.

“Tu hai tenuto tutto questo nascosto per proteggerci” disse lui prendendole il viso tra le mani.

“Non sei arrabbiato? Forse è per colpa di quella faccenda se hai perso la gamba!” rispose Merida colpita dal gesto di lui.

“Non mi importa. Sono stato fortunato e quello che mi è successo mi ha cambiato la vita. Sono maturato e ho imparato ad apprezzare molti particolari della vita. Quell’evento mi ha anche fatto guadagnare la ragazza! A parte gli scherzi…sono fiero di te Meri. Hai saputo capire e aiutare Judy.
Sicuramente le deve essere successo qualcosa di brutto questa settimana e tu sei l’unica a poterla aiutare, quindi dopo vai a casa sua e parlale”


Le sue parole toccarono profondamente il cuore della giovane alla quale si inumidirono gli occhi. Al bel discorso seguì un bacio focoso che costrinse i due a sdraiarsi a letto. L’atmosfera diventava sempre più bollente e si sentiva l’affanno nei loro respiri. Merida, presa dalla foga del momento, si tolse la maglietta e fece lo stesso al giovane. Quel gesto costò caro ad entrambi perché, in pochi minuti, tutti i loro vestiti finirono sul pavimento. La coppia si trovò nuda, l’uno vestito del corpo dell’altra. I due assaporarono il calore dovuto al contatto, alle carezze, ai baci e capirono che non ne avrebbero più fatto a meno.

“Meri è meglio se ci fermiamo, non mi controllo più” interruppe lui staccandosi dalle sue labbra.

“E’ ciò che voglio”

“Che cosa?!” domandò lui confuso spostandosi il ciuffo bruno dagli occhi.

“Voglio tutto di te” sussurrò lei alludendo al desiderio di diventare un solo corpo.

Hiccup si sentì leggermente in imbarazzo. Non per il gesto in sé ma per la sua disabilità. La gamba che non aveva non lo avrebbe aiutato molto nei movimenti.

“Hiccup, ho già capito a cosa pensi” iniziò lei notando il suo disagio. “Non devi essere un laureato per farlo! Non mi importa se farai dei movimenti strani e poco romantici. Ti conosco e conosco anche il tuo corpo, sarà tutto perfetto” concluse la ragazza dandogli un bacio sulla guancia.

Quel discorso bastò per caricare il ragazzo che, non curandosi della propria condizione, riuscì a far leva su entrambe le gambe ed iniziare l’atto. Fu così che anche per loro quel giorno diventò particolarmente importante.

La sera a casa di Judy…


“Aiutooooo!” urlò Nick ancora chiuso dentro la stanza della ragazza. Le aveva provate tutte: scassinare la serratura, uscire dalla finestra, chiamare tutti i numeri che conosceva ma niente…tutto inutile. Gli zii avevano trascorso il pomeriggio fuori con le squadre speciali e rientrarono solo in quel momento. Sentendo le urla del giovane i due accorsero e aprirono la porta.

“Nick, ma che succede? Dov’è Judy? Senti…abbiamo una grande notizia: sappiamo dov’è Oliver! Stanno andando a prenderlo! Moriarty è scomparso, bisogna trovare lui ora!” dissero loro entusiasti.

Il ragazzo, però, non fece a tempo a rispondere. Moriarty era là fuori e avrebbe ucciso Judy! Era tutto voluto e programmato! Lui ha sempre desiderato lei! Fu così che il ragazzo prese fiato e si mise a correre: doveva trovare Judy prima del nemico.

Nel frattempo…


Judy aveva trascorso il pomeriggio per strada setacciando ogni angolo della città finché non si fermò esausta vicino al parco. Moriarty era veramente fuggito e con lui Oliver! La ragazza capì di essere stata una stupida e di non avere usato la sua intelligenza ma, forse, era stato quello il bello: per una volta Judy aveva usato l’istinto, ossia un puro tratto umano.

Judy si alzò e si incamminò verso casa quando un fruscio catturò la sua attenzione. La ragazza si voltò di scatto ed ecco una figura nera comparire alle sue spalle.

“Ciao Judy” gracchiò la voce dello sconosciuto.

“Moriarty” constatò la giovane sorridendo per non mostrare la paura.

“Finalmente ci conosciamo!” continuò il losco individuo avvicinandosi alla ragazza.

“Ti facevo più affascinante! Sembri Voldemort, che fantasia che hai avuto con il travestimento” sbuffò la ragazza tirando fuori gli artigli.

“Sei sempre stata coraggiosa” rise lui mostrando la sua collezione di denti bianchi e scintillanti.

“Dov’è Oliver?” domandò poi la giovane.

“Il tuo fratellino è chiuso in una delle mie basi. La cura che ho creato sta per essere ultimata, ma a me non importa più di lui. Il mio obbiettivo, infatti, sei sempre stata tu. Il veleno che ho creato contiene alcune proprietà della cura creata da tuo padre, con la differenza che la mia è ancora più potente.
Non mi rimane che testarla… e su chi farlo se non sulla la ragazza che potrebbe trovare un antidoto data la sua anormale intelligenza?”
ringhiò lui procedendo verso Judy ed estraendo una siringa contenente un liquido dal colore poco invitante.

A Judy iniziò a battere il cuore all’impazzata. Stava veramente per finire così? Se si fosse messa a correre avrebbe solo peggiorato la situazione. Doveva agire ed evitare che quello stronzo la toccasse e le iniettasse il veleno!

“Hey! Fermo!” urlò una voce dietro di loro, chi mai poteva salvarla? Chi poteva saperlo?

“Oh, guarda chi si vede, il primo dei miei traditori” constatò Moriarty rivolgendosi al ragazzo.

Fu allora che Judy capì. C’era buio e non si vedeva bene ma la voce di Nick l’avrebbe riconosciuta tra mille voci.

“Devo ammettere che sei stato furbo. All’inizio non avevo capito il tuo piano, poi farti controllare Oliver è stata la prova. Il ragazzo non aveva paura di te, a differenza di tutti gli altri miei servitori quindi ho avuto la conferma: mi stavi fregando ed era aiutante degli Hopps” continuò l’uomo con il diavolo in corpo non mostrando il viso.

“Ora, però, non mi importi più. Sto per uccidere la ragazza che odio di più al mondo e avrò la mia rivincita.”

Moriarty si rivolse di nuovo a Judy ed avanzò con la siringa bene in vista. Era ormai a due passi da lei quando Nick lo afferrò da dietro e lo scaraventò per terra. I due iniziarono a combattere e a picchiarsi. Nick scagliò un pugno in faccia al nemico togliendogli il cappuccio. Sembrava averlo frastornato ma fu allora che Moriarty, dopo avergli insaccato una ginocchiata in pancia, gli conficcò la siringa nel braccio ed iniettò il liquido.

“No, no, no!” gridò Nick guardandosi il braccio ed iniziando a spaventarsi.

“Incredibile vero? Sei stato la mia prima cavia, ora vediamo quanto ci metterai a morire” constatò l’uomo alzandosi ed allontanandosi leggermente da lui.

Judy, colma di ira e rabbia per ciò a cui aveva appena assistito, corse verso Nick e, una volta estratta la siringa, la caricò d’aria senza dare il tempo al nemico per valutare la pericolosità di quel gesto.

“Stupida ragazzina…ora vedrai il tuo amico morire. Questa volta la tua intelligenza non ti ha salvata” la schernì lui avvicinandosi al suo volto.

“Oh forse, questa volta sei tu che non hai ragionato” concluse la ragazza impugnando saldamente la siringa e conficcandola, con uno scatto fulmineo, nel collo del nemico.

“Pensi che questo possa fermarmi? Guardati! Fai pena! Pensi che uccidendomi potrai dare giustizia ai tuoi genitori?!” sbuffò lui preoccupato ma mostrandosi sempre una persona malvagia.

“No, ma senza di te nei paraggi, potrò rendere il mondo un posto migliore” affermò la giovane bloccandogli le mani. La ragazza stava poi per concludere l’opera quando, da lontano, avvertì uno sparo che colpì in pieno petto il malvivente. Del sangue iniziò a sgorgare dal torace dell’uomo che si accasciò a terra, morto.

“Non avremmo mai permesso che ti sporcassi le mani” constatò il poliziotto che aveva sparato, avvicinandosi alla ragazza. In lontananza Judy scorse anche Craig ed Holly con tutte le squadre speciali ma non aveva tempo per loro.

Scossa da tutta l’adrenalina e la paura di quei momenti, la ragazza si alzò in piedi seppur con le gambe tremanti e corse da Nick. Il ragazzo era diventato pallido e respirava male.

“Nick te lo prometto andrà tutto bene” disse lei prendendolo tra le sue braccia e accarezzandogli il viso.

“Judy, è tutto finito. Ce l’hai fatta!” riuscì a sussurrare lui guardandola negli occhi.

“No, no, non può finire così! Ti prego Nick, resta sveglio! Ora arriveranno i soccorsi e troverò un modo per curarti! Moriarty ha detto che io potrei conoscere un antidoto, vedrai che studierò e ti salverò!” cercò di dire lei iniziando a piangere e prendendosi una pausa di silenzio per poi ricominciare.
“Sei diventato tutto per me! Un amico, un fratello, un posto sicuro! Con te mi sono sentita protetta dopo tanto tempo! Non posso permettere che tu te ne vada! Io…io sono innamorata di te Nick!”

La dichiarazione scioccò i presenti che, ancora una volta, soffrirono per le sventure di quella piccola detective.

“Ricordi quando mi chiedevi che cosa ci guadagnassi? Ecco… ti sei risposta: lo facevo per te” concluse lui con un fil di voce e, dopo averle sorriso, socchiuse gli occhi per poi non riaprili più.

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Capitolo 40
*** CAPITOLO XL ***


XL.

SOGNO O REALTA'




Judy iniziò a captare i suoni attorno a sé. Sentiva il ticchettio di un orologio, il rumore di alcuni carrelli trasportati nelle stanze accanto e il proprio battito cardiaco controllato da un elettrocardiogramma.

Conosceva quei suoni e quelle sensazioni. La ragazza aprì gli occhi e, infatti, si trovava in un letto di ospedale. Aveva già vissuto quella scena più volte nella sua vita. Sicuramente ora sarebbero entrati i suoi zii dicendole che era morto ancora qualcuno.

“Ciao cara” salutò Holly entrando nella stanza. Judy corrugò la fronte. La zia aveva il viso abbastanza rilassato e non dava segno di dover dare una brutta notizia.

“Ricordi qualcosa di ieri sera?” chiese Craig mettendosi le mani in tasca. In un lampo la ragazza vide di nuovo i ricordi della notte precedente. Ricordò Moriarty pronto ad ucciderla, la lotta con Nick, la morte di Moriarty e poi ancora Nick…Nick…dov’era Nick?!

Ecco che all’improvviso il battito della ragazza cominciò a diventare irregolare.

“Hey, tranquilla” disse Holly avvicinandosi e accarezzandola.

“Nick, dov’è Nick?!” si preoccupò Judy. La ragazza sperava che non fosse morto, non avrebbe sopportato anche quel trauma.

“Ieri l’hai soccorso e poi sei svenuta per lo shock, quindi non ricordi. Nick sta bene! Moriarty non era il genio della chimica che si credeva di essere. Ha avvelenato il ragazzo ma non è a rischio di morte. Ora è in coma farmacologico. Lo sveglieranno tra una settimana” spiegò Craig contento.

“Quindi, è tutto finito?! Sono salva, non mi succederà più niente?!” chiese la ragazza con le lacrime agli occhi.

“E’ finita Judy. Ora puoi tornare a vivere come una diciannovenne” le sorrise Holly prendendole la mano.

“E…lui…dov’è?!” domandò ancora la ragazza chiedendosi dove fosse l’altro pezzo del puzzle del suo lieto fine.

Gli zii si guardarono emozionati e, insieme, fecero cenno alla ragazza di uscire nel corridoio.

Delle infermiere staccarono le flebo e l’elettrocardiogramma permettendo alla giovane di mettersi in piedi. Judy esitò ad aprire la porta. Voleva assaporarsi quel momento. Era in stato confusionale e non capiva se stesse vivendo la realtà o un sogno. Quante volte si era trovata in quella situazione per poi rimanere con il cuore spezzato vedendo solo nero. Se dietro quella porta c’era chi credeva lei, allora veramente il suo più grande sogno stava diventando realtà.

Judy assaporò quel momento, chiuse gli occhi, inspirò profondamente e poi aprì con forza la porta trovandosi nel corridoio.

Di primo impatto la ragazza ci rimase male di nuovo: nel corridoio non c’era nessuno. Quella volta, però, valeva la pena di aspettare un attimo perché ecco che, dietro ad un'altra porta, comparve una testolina dai capelli neri che si guardava intorno freneticamente.  

Entrambi si riconobbero subito a vicenda e i loro cuori iniziarono ad esplodere nel petto.

“Oliver?!” urlò lei a voce alta.

Pronunciò il suo nome usando tutta l’aria che aveva nei polmoni come se volesse confermare che non fosse un sogno. Urlò il suo nome non curandosi dell’ambiente in cui si trovava perché era un anno che non vedeva suo fratello. Non ci credeva, non era possibile! Oliver era lì, in carne ed ossa davanti ai suoi occhi!

Il ragazzino cominciò a correrle incontro e si gettò tra le sue braccia.

La ragazza finì per crollare in ginocchio per colpa dei singhiozzi. Nessuno dei due credeva di poter vivere quel momento. Si strinsero con tutta la forza che avevano in corpo senza volersi più separare. Judy, troppo felice ed incredula, alternava gli abbracci a momenti in cui allontanava il fratello per osservarlo meglio. Si era persa più di un anno di lui. Se lo ricordava più basso, con meno capelli, con i lineamenti più da bambino. Ora invece aveva davanti un giovane uomo che era resistito a delle situazioni più grandi di lui. Lo osservava, gli accarezzava il volto toccando ogni angolo di esso e baciandogli le guance sorridendo e ridendo tra le lacrime di gioia.

Anche gli zii osservarono emozionati la scena.

“Stuart, Jenny…promessa mantenuta: i vostri bambini sono di nuovo insieme” sussurrò Holly asciugandosi le lacrime. Gli zii lasciarono i due fratelli da soli per un’ora e, appena la situazione si stabilizzò, fecero loro visita.

“Che bello vedervi insieme!” affermò Holly notando il sorriso sul volto dei due ragazzi.

“Abbiamo una notizia da darvi, speriamo possiate essere d’accordo. Judy, il tuo giudizio sarà determinante” continuò Craig serio ponendo tutti in ascolto.

“La notte in cui accadde quello che voi sapete, io ricevetti una lettera da vostro padre. In questa lui ci ringraziava per esserci sempre stati e, visto che temeva di dover morire, allegò una serie di certificati che ci avrebbero permesso, un giorno, di adottarvi. Ora…noi vi chiediamo se siete d’accordo. Noi faremmo di tutto per voi e vi vogliamo bene come se foste i figli che non abbiamo mai avuto. Judy, tu essendo maggiorenne puoi declinare l’offerta e…”

Judy non lasciò finire lo zio perché lo abbracciò forte facendolo tacere.

“Siete sempre stati i nostri secondi genitori e senza di voi non so cosa avrei fatto. Quindi vi do il mio consenso e penso che anche mio fratello sia d’accordo” disse Judy allargando l’abbraccio ad Oliver e alla zia portando così alla nascita della loro nuova famiglia.

Due ore dopo…


Judy doveva fermarsi in ospedale per accertamenti fino al giorno seguente. Oliver e gli zii tornarono a casa a sistemare la camera del ragazzo. Judy, invece, trascorse un’ora accanto a Nick.

“Sei stato scemo… hai rischiato la tua vita per me” sussurrò la ragazza accarezzando la folta chioma rossa di lui.

“Quando ti sveglierai non saprò come ricompensarti. Hai fatto tanto per me… non vedo l’ora di poter stare di nuovo con te” disse lei felice e, dopo aver ammirato la sua bellezza per un po’, tornò nella propria stanza.

Quella nuova Judy la spaventava. La preoccupava perché non la conosceva. Era una Judy che diceva di sì alla vita! Una Judy sicura di amare Nick, di voler bene ai suoi amici, di voler trascorrere del tempo con la sua famiglia, di cercare la felicità in ogni attimo della sua esistenza. Si sentiva diversa, forse più debole e umana. La Judy razionale e cinica lasciava il posto a una Judy più fragile e coraggiosa allo stesso tempo…e questa Judy le piaceva molto.

Nel pomeriggio…


“Hey, possiamo entrare?” disse una voce familiare.

“Meri!” esclamò Judy vedendo Merida seguita dalle altre ragazze.

Judy saltò giù dal letto e le abbracciò tutte. Non era da lei, ma doveva ringraziarle.

“Avremmo sopportato la verità sai?” disse Rapunzel seria.

“Lo so, ma non ero nemmeno sicura di me stessa. Cercavo un modo per tutelarmi. Voi però mi avete protetta grazie all’amicizia. Mi avete aiutato tantissimo senza nemmeno saperlo” rispose Judy sedendosi di nuovo sul suo lettino bianco ed iniziando un discorso con le amiche.

“Anna…come va la gravidanza?” chiese poi Judy guardando l’amica.

“Per ora tutto bene. Devo ancora abituarmi alle nausee e alle paure di Kristoff” rise lei accarezzandosi il grembo che cominciava a crescere.

“E tu e Nick?” si intromise Elsa sedendole accanto.

“Beh, ci siamo dichiarati… se non fosse che siamo svenuti dopo e non abbiamo potuto dirci altro. Lo so è abbastanza divertente come cosa” scherzò ancora Judy e, con serenità, continuò a dialogare con le amiche per tutto il resto del pomeriggio.

La sera…


Oliver e gli zii tornarono a far visita alla ragazza. Oliver trascorse ogni minuto accanto alla sorella. Dovevano recuperare tutto il tempo perduto. Judy sembrava innamorata anche del fratello. Osservò ogni parte di lui. I suoi occhi dalle leggere sfumature violacee come quelli della mamma, i capelli scuri di papà, le lentiggini come le sue…entrambi i fratelli costudivano nella propria fisionomia i segni predominanti dei genitori.

“Nick come sta?” domandò poi la zia.

“Dicono che sta bene. Sta reagendo benissimo e tra qualche giorno lo sveglieranno” rispose Judy scompigliando i capelli del fratello.

“Allora dovremo fargli un regalo!” aggiunse lo zio Craig e quell’ultimo pensiero scosse Judy.

“Ho un’idea!” disse lei entusiasta.

“Io ho in testa ancora la formula di papà. La mamma di Nick ha un tumore incurabile. Potremmo testarla su di lei. Non posso garantire nulla ma forse questo potrebbe aiutarla a guarire!” continuò Judy cercando l’approvazione dei parenti.

Tutti pensarono che quella sarebbe stata un’ottima idea sia per salvare Nick e la sua famiglia, sia per tutelare la formula Hopps. Quella formula sembrava funzionante e certificata, era solo il momento di provarla permettendo così di guarire tanti sofferenti e non creare situazioni pericolose come quella che avevano appena affrontato.

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Capitolo 41
*** CAPITOLO XLI ***


XLI.
MATURITA'



Le giornate più lunghe, le temperature più calde, gli alberi colmi di ciliegie inaugurarono l’arrivo di maggio che portò con sé una ventata di novità.

Nick stava guarendo perfettamente e Judy, dimessa dall’ospedale, era intenta a rilasciare a medici e scienziati la formula medica da troppo tempo custodita nella sua mente.

In pochi giorni la cura fu pronta e Judy chiese a Finnick, fratello di Nick, il consenso di testarla sulla madre tramite endovena.

Finnick all’inizio ebbe paura ma, forse, quella era l’unica occasione di aiutare la madre. Lei se ne sarebbe dovuta andare perché il tumore era ormai incurabile e quindi perché non sfruttare l’ultima flebile opportunità?

Fu così che Judy, ogni giorno, accompagnava la madre di Nick in ospedale e la assisteva durante il trattamento. Nel frattempo le raccontava delle avventure con il figlio, del suo essere simpatico e maturo ma, soprattutto, di come si fosse perdutamente innamorata di lui. La donna la osservava compiaciuta e commossa contenta di sapere che una brava ragazza amasse suo figlio.

Nick si svegliò dopo una settimana come previsto dai medici e venne dimesso nel giro di due giorni. Non aveva più tracce di quel dannato veleno in corpo e ora poteva tornare a casa.

L’unica cosa che lo stupì fu il fatto di non trovare Judy accanto a sé al momento del risveglio o in generale nei giorni seguenti. La ragazza si limitò a chiamarlo al telefono e dirgli che stava preparandogli una sorpresa. Nick non ci rimase male perché, comunque, in quei giorni era abbastanza debole e frastornato e voleva vedere Judy con energia, nel pieno possesso delle proprie capacità.

Il ragazzo tornò a casa con il fratello Finnick e varcò la soglia dell’abitazione. Il giovane inarcò le sopracciglia quando trovò il salotto vuoto. Dov’era la mamma? Al ragazzo iniziò ad esplodere il cuore nel petto e gli si formò un nodo in gola. Durante il coma l’aveva persa?!

“Nick” ecco che una voce lo chiamò.

Il ragazzo si voltò lentamente e notò la madre in piedi davanti a sé. Era ancora debole, pallida e magra ma aveva un gran sorriso e, cosa più importante, stava eretta sulle proprie gambe da sola aiutata solo da un carrellino!

“Mamma?! Come è possibile?!” esclamò il giovane incredulo guardando anche il fratello alla ricerca di risposte.

“Judy. La cura Hopps è finalmente stata approvata e io sono la prova vivente del suo funzionamento. Non mi curerà dal cancro vista la mia condizione ma mi sta permettendo di fermarlo e di riacquistare forze. Come vedi sto in piedi da sola e cercherò in tutti i modi di rialzarmi anche moralmente e continuare la battaglia” spiegò la madre avanzando lentamente verso il figlio.

Nick, con gli occhi inumiditi dalle lacrime, si avvicinò alla mamma e la strinse delicatamente tra le sue braccia. Era grato a suo fratello per la scelta e la fiducia, a sua madre per il coraggio e a Judy per aver salvato anche la sua famiglia.

“Ora se volete scusarmi…devo andare dalla mia ragazza” affermò lui fiero delle parole appena pronunciate e, una volta ricevuto il sorriso dei familiari, corse fuori diretto verso la casa di Judy.

Pochi minuti dopo…


“Ciao Nick!” salutò Oliver dal balcone notando il ragazzo dai capelli rossi sulla strada.

“Oliver! Caro, ti trovo bene che bello!” constatò il maggiore trovando in forma il più piccolo e rivolgendogli un grande sorriso.

“Ti chiamo Judy, vuoi salire?” chiese Oliver facendogli segno di accomodarsi ma Nick rispose di volerla aspettare in strada.

“Judy…vai giù in strada” urlò il fratello bussando alla porta della ragazza.

“Come mai?! Chi c’è?!” domandò lei curiosa interrompendo lo studio.

“Vai…e fidati di me” concluse lui spingendola verso l’uscita dell’appartamento.

Judy percorse velocemente le scale per poi fermarsi di colpo quando vide una figura da lei conosciuta.

“Nick!” sussurrò lei vedendo il ragazzo vestito di verde appoggiato al muretto di casa. Il cuore iniziò a batterle velocemente nel petto.

“Ciao coniglietta astuta” salutò lui mettendosi le mani in tasca.

“Volpe acuta, quale onore” rise lei prendendo in giro i loro primi soprannomi.

“Facciamo due passi?” propose lei iniziando a camminare accanto al ragazzo.

“Grazie di tutto quello che hai fatto Judy! Ho visto mia mamma…è diversa grazie a te!” disse lui emozionato per ciò che aveva appena visto.

“E’ stato il minimo per tutto quello che hai fatto per me! Grazie a te sto di nuovo con Oliver che è meraviglioso, mi sto preparando agli esami, non c’è più nulla che mi preoccupi, gli zii sono fantastici e…”

“Oh insomma, parli troppo. Sono stato in coma per una settimana, posso baciarti?!” disse lui fermando la ragazza e bloccandola contro un muro.
Judy abbozzò un sorriso e, appena notò avvicinarsi il volto di lui al suo, chiuse gli occhi per assaporare meglio il momento.

Quel bacio fu come ossigeno per lei. Non aveva mai vissuto un amore così intensamente! Ora aveva capito che desiderava tutto di quella nuova vita. Si era finalmente guadagnata il suo lieto fine. Aveva una famiglia meravigliosa, una casa e, adesso, l’ultimo tassello mancante: un ragazzo pronto a dare tutto per lei.

Esami di maturità…


“Elsa sei pronta?!” disse Anna sistemando i capelli biondi della sorella tutta fiera con la sua tesina in mano pronta ad affrontare l’esame orale, ultimo ostacolo per concludere la sua carriera scolastica.

“Sì” rispose lei tranquilla guardando le persone attorno a sé. Aveva lì Jack, gli amici e i suoi genitori. Non avrebbe desiderato nessun altro.

“Elsa…è il tuo turno” chiamò l’insegnante di latino facendo accomodare la candidata.

La ragazza si sedette di fronte ai docenti scrutando i loro volti. Non sapeva perché ma si sentiva tranquilla. In genere prima di un’interrogazione si agitava e rischiava di svenire, ora invece era perfettamente a suo agio come se dentro di sé avesse voglia di dimostrare qualcosa e, soprattutto, di divertirsi.

Alla fine quello era il suo ultimo anno di liceo. In un attimo le passarono nella mente tanti ricordi di quegli anni. Le verifiche, le interrogazioni, le compagne di classe e l’odio per Jack fino all’inizio della quinta superiore. Quell’anno se lo sarebbe portata nel cuore per sempre. Era cresciuta in così poco e aveva imparato così tanto. Aveva conosciuto l’amore, la vera amicizia ed era andata incontro ai veri problemi della vita.

Elsa aveva capito che la scuola non deve mai essere un peso o una gara a chi cerca di ottenere il voto più alto ma deve essere un luogo gradevole dove formarsi e imparare. Ora era pronta a testimoniare la sua brutta esperienza tramite una tesina che avrebbe raccontato la figura della donna nel corso dei secoli. Non voleva farsi compatire, farsi vedere o semplicemente ricevere dei voti aggiuntivi solo perché era stata in grado di commuovere la commissione! Voleva solo mostrare a tutti la sua maturità! Perché alla fine quegli esami non puntano ad etichettare gli alunni o a renderli dei magazzini di nozioni, ma servono a farli crescere e, come afferma la parola stessa, aiutarli a dimostrare una “maturità” in grado di accompagnarli nella vita.

Elsa espose il suo argomento egregiamente senza incepparsi o emozionarsi. Il suo colloquio fu strabiliante! La ragazza aveva un vero e proprio talento e rispondeva prontamente ad ogni domanda lasciando a bocca aperta ogni docente.

“Bene signorina, abbiamo finito. Ora la invitiamo a firmare e poi potrà andare” indicò il presidente porgendo la penna ad Elsa che acconsentì e, dopo aver stretto la mano ad ogni professore, si incamminò verso l’uscita.

“Aspetti…mi scusi…ho un’ultima domanda che ovviamente non è in esame” la bloccò una docente ed Elsa si pose in ascolto.

“Volevo chiederle, se non è troppo personale, come ha fatto a superare la brutta esperienza che ha vissuto”

Quella domanda lasciò di stucco Elsa. La famiglia aveva paura che questa potesse intimorirla ma la ragazza si mostrò più forte che mai e rispose tranquillamente.

“Credo che la risposta si nasconda dietro al desiderio di reagire e di non avere più paura. Sono stati mesi difficili, interminabili. Temevo di non rialzarmi più, non riuscivo più ad uscire di casa e ogni strada periferica mi faceva rivivere quei brutti momenti. Alla fine ho capito che non servono medicine per guarire da un trauma, ma serve la voglia di vivere. Sono riuscita ad alzarmi perché avevo voglia di farlo. Mi sono fatta aiutare dalla mia famiglia, dai medici, dagli amici e, soprattutto, da un uomo. La mia esperienza poteva portarmi ad odiare l’uomo e condannarlo per il suo istinto, ma non è stato così. Da una parte ho vissuto la bestialità di un animale mentre dall’altra ho trovato l’affetto di un uomo pronto ad amarmi, aspettarmi e proteggermi.”

La risposta toccò il cuore di tutti i presenti e, specialmente, quello di Jack che si sentì preso in causa.

Appena uscita dall’aula la ragazza venne avvolta dalle braccia e dai baci delle amiche. Tutti erano lì per congratularsi con lei e la sua fenomenale performance.

“Bravissima tesoro, sei stata fantastica” disse Agnarr accarezzando il volto della sua bambina ormai grande.

“Hai dato un grande esempio, davvero!” aggiunse la madre entusiasta.

“Ora posso dedicarmi a fare la zia a tempo pieno!” affermò Elsa accarezzando il pancino di Anna.

“Posso congratularmi anche io?” si intromise Jack ancora emozionato per prima.

Elsa gli rispose con uno sguardo dolce e, quando tutti fecero partire l’urlo che incitava al“bacio”, i due unirono le proprie labbra per concludere così un altro capitolo della loro vita.

Luglio…


I maturandi conclusero gli esami intorno alla fine di giugno permettendo così a tutti di condividere una vacanza estiva nei primi giorni di luglio.
Tutti erano ormai entrati a conoscenza dei propri voti d’uscita e ne furono entusiasti.

Hiccup, il linguista del gruppo, uscì con 88. Judy, pur non avendo mai studiato molto, riuscì a conquistarsi il 100 grazie alla sua incredibile dote d’intelligenza. Nick concluse il suo percorso informatico con 97, Jack con 89, Elsa ovviamente si meritò il 100 e lode e Merida riuscì a portarsi a casa un bel 90, nonostante i suoi lunghi litigi con la matematica.

Merida aveva passato il test per Scienze Motorie e, il suo notevole punteggio alla maturità aveva reso fiera la madre che finalmente si scusò con la figlia e si preparò a supportarla nella sua futura carriera scolastica cercando di non imporle mai più il suo volere.

“Bene ragazzi, stasera siamo qui! Su questa spiaggia, al tramonto, con una pizza e una birra. Cosa potremmo volere di più?! Io proporrei un brindisi!” esordì Flynn sdraiato beatamente sulla spiaggia con la sua bevanda in mano.

“Io questo brindisi lo dedico ad Elsa, non solo per ciò che ha vissuto ma perché grazie a lei ho capito cosa voglio fare. Studierò giurisprudenza e cercherò di dare giustizia e ordine a tutto” disse Jack guardando negli occhi la sua ragazza.

“Grande, allora lavoreremo spesso insieme perché io, insieme a Judy ovviamente, ho deciso entrare in accademia. Tutto quello che è successo quest’anno mi ha fatto capire che anche io voglio fare il poliziotto” si aggiunse Nick alzando la propria bottiglia.

“Io invece lo dedico a Rapunzel. Non lo dico perché parlo con gli occhi dell’amore, ma perché questa fantastica ragazza ha superato una malattia, ha imparato ad amarmi e mi ha reso migliore sotto molti aspetti, grazie” continuò Flynn dando un bacio a stampo alla biondina.

“Io lo dedico ad Anna e Kristoff. Voi mi state dando esempio di grande maturità. Anna, ti vedo ogni giorno e stai diventando grande…una madre!

Insieme avete deciso di dire sì all’arrivo di un bambino che tra qualche mese vi stravolgerà la vita”
disse Elsa accarezzando la guancia della sorella.

“Io lo dedico a Judy. Lo so è strano ma l’incidente alla gamba mi ha cambiato. All’inizio ero arrabbiato ma quello che è successo mi ha fatto crescere.

Ho imparato a valorizzare ogni gesto. Grazie anche a tutti voi perché ho ricominciato a camminare… in tutti i sensi
” si intromise Hiccup.

“Concludo io ringraziando tutti. Merida, tu mi hai aiutata a sfogarmi, mi hai integrata in un gruppo di amici senza i quali ora non potrei vivere. Grazie ragazzi perché non ho mai vissuto un’amicizia così intensamente. Io non so come diventeremo, cosa faremo in futuro ma so per certo che resteremo sempre uniti…perché un gruppo come il nostro in grado di superare serenamente ogni difficoltà, non l’ho mai visto.”

Con queste ultime parole di Judy si concluse il brindisi. I ragazzi alzarono le proprie bottiglie rivolti alle onde del mare e, in silenzio, contemplarono quel momento meraviglioso.

Si concludeva così un anno ricco di avvenimenti belli e brutti, gioiosi e dolorosi per dei ragazzi normali legati da un’amicizia preziosa che li avrebbe uniti per la vita.

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Capitolo 42
*** CAPITOLO XLII ***


XLII.
LIETO FINE

 

10 anni dopo…


Un uomo dai capelli biondi e i profondi occhi celesti aspettava fuori da un’aula. Stava per compiere 30 anni, indossava una camicia bianca e una cravatta azzurra.

Era in trepidazione e attendeva da circa un’ora il suo turno per poter essere interrogato all’esame di stato di avvocato. Jack aveva studiato giurisprudenza, si era laureato a pieni voti ed ora era pronto a concludere il suo percorso. Non era un esame facile, la maggiorparte delle persone non lo passava, motivo per cui il giovane uomo era particolarmente agitato.

“Jack Frost, è il suo turno!” lo chiamò un docente senza guardarlo in faccia e facendolo accomodare.

Jack entrò tenendo fra le braccia la giacca del vestito e serrando i pugni. Non guardò la sala per paura di emozionarsi e si sedette al suo posto accarezzando l’anello dorato che gli ornava l’anulare della mano sinistra. Quel gesto lo caricò molto: doveva mettercela tutta per sua moglie e la sua famiglia perché anche il loro futuro dipendeva da quell’esito.

I vari docenti cominciarono ad interrogarlo e Jack, seppur titubante e imperfetto in alcune risposte, riuscì a fronteggiare le avversità finché eccolo giunto all’ultima domanda.

“Mi enunci l’articolo che tratta la violenza sulle donne e le conseguenze a cui vanno incontro vittime e aggressori”

Frost rimase di sasso. Ghiacciato. La risposta la sapeva benissimo ma gli si formò un nodo in gola. Quell’esperienza l’aveva vissuta sulla propria pelle 10 anni prima, quando sua moglie subì violenza da uno dei bulli del loro liceo. Jack cercò di rilassarsi e superare quel piccolo trauma poi, preso coraggio, rispose alla domanda.

“Questo argomento è trattato dall’articolo 3 che afferma la pari dignità ed eguaglianza di diritti per tutti i cittadini senza discriminazione sessuale o razzista. Esistono poi diverse leggi contro il femminicidio e la violenza sulle donne. Le conseguenze per l’aggressore sono molte. Sicuramente a questi spetta il carcere e sarà l’entità del danno provocato a stabilirne la durata. La donna, invece, ha diritto a un risarcimento per far fronte al danno fisico ma specialmente psicologico che la accompagnerà per il resto della vita”

La commissione terminò il colloquio e, dopo aver fatto attendere Jack fuori dall’aula per deliberare, richiamò il candidato.

“Dott.Jack Frost laureato in legge, la commissione ha deciso di dichiararla IDONEO. Da questo momento potrà sottoporsi al giuramento statale per la proclamazione di avvocato. Congratulazioni!”

Non ci poteva credere! Ce l’aveva fatta! Jack strinse la mano a tutti i commissari per poi uscire dall’aula e guardarsi intorno. Scrutò ogni angolo accanto a sé alla ricerca di lei. Il suo angelo, la sua musa, la sua metà, la sua migliore amica, sua moglie… ed eccola comparire: una donna dai lunghi capelli biondi, il viso dai lineamenti delicati e gli occhi azzurri lo attendeva vicino alla porta d’uscita.

L’uomo si mise a correrle incontro e, appena raggiunta, la strinse tra le sue braccia e la baciò energicamente. Elsa, sua moglie, aveva sempre creduto in lui. Gli aveva dato forza nei momenti di sconforto e aveva mandato avanti la casa senza lamentarsi quando lui non riusciva a ricavare un profitto. Ora che era avvocato sarebbe cambiato tutto.

“Hey piano a baciarmi, non respiro!” rise lei staccandosi da quel bacio caloroso che le ricordava la giovinezza.
“Hai ragione, devo prestare attenzione e non farti affaticare troppo!” rispose lui accarezzando il grembo della moglie.

I due erano in dolce attesa da quattro mese. Presto sarebbe arrivato la loro prima bambina.

Aurora aveva impiegato diverso tempo per arrivare. Per Jack non fu facile ricostruire le ferite della moglie ma la loro piccola era la prova vivente che ora, al posto del ricordo della violenza, c’era un atto d’amore condiviso che aveva portato frutto.

I due si incamminarono e salirono in macchina pronti a tornare a casa.

“Chi chiami?” chiese Jack al volante vedendo la moglie intenta a cercare un numero in rubrica.

“Chiamo Anna, sta preparando una cena per tutti per fare una rimpatriata!” rispose lei portando il telefono all’orecchio.
“Pronto?” rispose una voce femminile abbastanza acuta e gracile.

“Emma? Sei tu? Sono la zia. Puoi dire alla mamma che Jack ce l’ha fatta e arriveremo tra un’oretta?” spiegò Elsa felice di sentire la nipotina.
Dall’altra parte del telefono, infatti, rispose una bambina di circa 9 anni. Aveva dei lunghi capelli biondi raccolti in una treccia e gli occhi azzurri nascosti da una miriade di lentiggini che le decoravano il volto.

Emma stava crescendo forte, educata e sana. La piccola venne alla luce in una fredda mattinata autunnale da mamma Anna e papà Kristoff.
Per i due genitori l’anno della quinta superiore non fu facile: accudire una bambina che richiedeva energie, studiare per gli esami e decidere che strada intraprendere nel proprio futuro non furono impegni semplici da conciliare.

“Mammaaa… gli zii arriveranno tra un’ora. Zio Jack ha passato l’esame!” urlò lei dal soggiorno mentre pettinava i capelli della sua bambola.

“Davvero tesoro?! Sono felice! Sarà una bella festa allora vedrai!” rispose una donna alta con il viso sporco di farina mentre era intenta a cucinare ed imboccare il suo terzo bambino.

“Oh insomma Nico, dammi una mano! Ho poco tempo e devi collaborare anche tu!” disse lei esasperata di fronte allo scatenato cespuglio biondo di un anno e mezzo che aveva davanti ai suoi occhi.

La verità è che Anna era nata per fare la mamma. Dopo le superiori frequentò il corso di Scienze dell’Educazione finendo così per laurearsi e insegnare presso gli asili nido utilizzando anche, grazie alle proprie conoscenze, la didattica musicale. Kristoff, invece, investì tutto quello che aveva nell’istituzione di un’azienda di legname. Non fu facile giocarsi tutti i risparmi in quell’attività ma ora, l’uomo dai folti capelli biondi, vestiva sempre in giacca e cravatta ed era diventato un imprenditore riuscendo a guadagnare il giusto per vivere serenamente con la propria famiglia.

La nascita di Emma riuscì ad unire ancora di più i due portandoli alle nozze l’anno del loro 25esimo compleanno. Il progetto di vita vedeva per loro l’arrivo di tre bambini che ora giravano per casa e rappresentavano la loro gioia più grande. Emma di 9 anni, Ariel di 4 e l’agitato Nicola di 1 e mezzo. Kristoff era maturato molto e si era trasformato in un marito amorevole e padre affettuoso. Quella lampada regalata ad Anna il giorno del primo appuntamento in quarta liceo, aveva ancora due desideri inespressi: Anna affermò che non aveva bisogno di quelli perché tutto ciò che sognava lo possedeva già.

“Sono a casa!” annunciò Kristoff aprendo la porta e prendendo subito in braccio la bambina di 4 anni dai capelli rossi e gli occhi celesti che protese le braccia verso il collo del padre.

“Ciao amore, gli ospiti stanno per arrivare. Jack ce l’ha fatta!” salutò Anna baciando dolcemente il marito sulle labbra.

“Che bella notizia allora non ci resta che aspettare gli invitati!” disse Kristoff mettendo giù la piccolina ed aiutando la moglie ad apparecchiare la tavola.

In un’altra casa…


“Come sto?” chiese un uomo dai capelli rossi e gli occhi color smeraldo rivolto alla consorte.

“Benissimo!” rispose una donna dai lunghi capelli mori e gli occhi violacei avvicinandosi a lui e abbottonandogli la camicia.

“Senza la divisa mi sento strano!” rise lui dando un bacio alla donna.

Nick e Judy erano entrati in accademia e, da un anno, prestavano servizio all’arma. I due si erano sposati un anno prima e quella sera la donna avrebbe dato a tutti un annuncio importante. Il fratello Oliver aveva ormai 22 anni e studiava chimica all’università. Anche lui cresceva forte e sano trasformandosi in un giovane affascinante e rubacuori anche se, da circa due anni, frequentava una ragazza di cui era follemente innamorato.

“Ok andiamo allora” concluse Nick prendendo le chiavi della macchina e dirigendosi verso il garage.


A casa di Anna e Kristoff…


Tutto era pronto per accogliere gli ospiti. La casa era calda e in ordine.
Sul divano le bambine erano intente a giocare con le bambole mentre il piccolo Nicola zampettava felice intorno al suo papà.

“Ecco i primi!” esclamò Anna pronta ad aprire la porta.

“Stranamente in anticipo vero?” rise Flynn, un uomo alto muscoloso e dai capelli castani.

“Sì, sai come sono fatti gli ingegneri!” si aggiunse la donna bionda al suo fianco abbracciando calorosamente la padrona di casa.

Flynn, dopo essersi diplomato, riuscì a laurearsi in ingegneria e anche lui aveva da poco superato l’esame di stato diventando ufficialmente ingegnere. Rapunzel, invece, aveva conseguito la laurea in conservatorio diventando così una delle migliori chitarriste in circolazione.

Pian piano la casa si riempì di voci e affetto perché arrivarono tutti gli invitati.

All’appello mancavano solo Hiccup e Merida…dov’erano quei due?

Merida, oltre ad aver studiato Scienze Motorie, si allenò duramente in tiro con l’arco riuscendo quell’anno a partecipare alle Olimpiadi. Era la concorrente più giovane. Hiccup, invece, lavorava come veterinario realizzando il suo grande sogno di curare gli animali.

“Accendiamo la tv, spero non abbiano già fatto vedere Merida! Ci sono le finali!” spiegò Anna portando in tavola le varie vivande.

“Giusto! Speriamo…se lo merita!” aggiunse Jack accendendo la televisione.

Ed ecco che, appena illuminato lo schermo, tutti i presenti videro l’esibizione di Merida. La rossa era a parimerito con la campionessa giapponese in carica. Non doveva sbagliare quel lancio!

“Vai Meri, dai il massimo ti prego!” sussurrò Judy stringendo la mano a Nick in trepidazione.

Un attimo di silenzio con il fiato sospeso ed ecco la rossa che scocca. In un millesimo di secondo la freccia raggiunge l’obbiettivo e si sente il boato della folla.

Merida fa il massimo del punteggio portando così l’Italia a festeggiare l’oro nel tiro con l’arco, vedendosi rappresentata da una ragazza focosa e dolce che aveva lottato a lungo per i propri sogni.

Gli amici iniziarono ad urlare felici e a Judy scese addirittura la lacrimuccia di fronte al successo della sua migliore amica.

La rossa venne inquadrata a lungo ed eccola in lacrime intenta a correre verso gli spalti. Dove andasse? Gli amici lo sapevano bene.

Tutti, infatti, vedono la rossa gettarsi tra le braccia di un uomo dai capelli castani con in braccio una bimba dalla folta chioma color rubino e ricevere i loro baci tra le lacrime. La trasmissione dei giochi olimpici si conclude così: con Merida avvolta dall’affetto della sua famiglia.

“Bene, allora io, come siamo soliti fare, proporrei un brindisi a Merida e al suo successo!” esordì Kristoff levando il calice ricordando così le tradizioni di quando erano ragazzini.

“Sì a Merida e a Jack! Ora caro il mio cognato sei finalmente avvocato e ti aspetta una delle avventure più belle: diventare papà!” si aggiunse Anna guardando negli occhi Jack e sua sorella in dolce attesa.

“A proposito di questo… anche io ho una notizia da darvi!” si intromise Judy provocando il silenzio generale.

“Sono incinta anche io” affermò la poliziotta pronta a gustarsi la reazione di Nick, all’oscuro della novità.

Partirono subito le congratulazioni e il neo papà abbracciò emozionato la moglie. Ora anche loro sarebbero diventati una famiglia.

Tutti gioivano…tranne Flynn e Rapunzel. La coppia, infatti, si limitò a sorridere e ad applaudire. Erano felici per gli amici ma anche un po’ invidiosi per non aver ricevuto la loro stessa grazia.

Rapunzel, infatti, durante il percorso universitario avvertì dei dolori al basso ventre venendo a conoscenza del fatto di avere veramente quella malattia, l’endometriosi, ipotizzata quando aveva vissuto l’episodio di pneumotorace in quarta superiore.

Nonostante i numerosi interventi la ragazza non riuscì a combatterla entrando così a contatto con la dura accettazione di non poter mai avere dei bambini.

Flynn si abituò all’idea e, per dare forza alla loro coppia, chiese a Rapunzel di sposarlo. A lui non importava quella loro fragilità, a lui importava lei e la voleva come membro della sua famiglia. Subito dopo le nozze i due fecero domanda per adottare un bambino ma niente: silenzio tombale e nessuna risposta da anni.

Ed ecco invece un raggio di sole. Rapunzel, mentre osservava i suoi amici festeggiare il proprio lieto fine, sentì il telefono squillare e si allontanò leggermente per rispondere.

La ragazza rimase al cellulare per dieci minuti finché i presenti non la trovarono sul pavimento intenta a piangere e a tremare con la mano sul volto.

“Amore che succede?!” disse Flynn accorrendo preoccupato.

“Avremo un bambino! Mi hanno chiamata ora… si scusano per dircelo con così poco anticipo ma c’è questo piccino che cerca una casa. Si chiama Pietro, è italiano e ha solo 2 settimane. Domani possiamo andare a prenderlo!” riuscì a spiegare lei ancora scossa dalla forte emozione.
Flynn avvolse tra le braccia la moglie e la strinse forte a sé cominciando a piangere anche lui.

Si concluse così quella serata. Una serata speciale per un gruppo speciale. Una serata che celebrava l’amore, l’amicizia e il lieto fine. Una serata che custodiva i ricordi e le emozioni di tanti amici, uniti fin dal liceo, pronti a vivere la propria vita e a renderla ogni giorno, nonostante le difficoltà, un’opera d’arte.

Una serata speciale dedicata a tanti piccoli eroi della vita quotidiana: alle mamme che abbracciano i propri figli, ai mariti che amano le proprie donne, ai ragazzi che lavorano duramente per sé stessi e, soprattutto, agli uomini con la voglia di vivere per concretizzare il sogno che una piccola Judy dichiarò a 9 anni: rendere il mondo un posto migliore.
 

…e vissero tutti felici e contenti…

 

N.D.A:

Ciao a tutti! Eccomi giunta anche alla fine di questa storia. Non nascondo il fatto di essere particolarmente emozionata. Concludere questa ff mi rende triste perché ne vado abbastanza fiera. Per me incarna molti tentativi e obbiettivi. E’ la prima storia adattata ai nostri giorni, con tantissimi personaggi e una vicenda complessa da trattare. Ho fatto del mio meglio e chiedo scusa se, magari, a volte ho perso di vista l’obbiettivo o ho dimenticato qualche particolare.

Porterò sempre nel cuore questa ff perché è anche abbastanza autobiografica. La vita di Rapunzel e la sua malattia sono anche la mia quotidianità e scriverla mi ha permesso di affrontare dei momenti difficili che ogni giorno devo superare per colpa della mia salute.

Spero di aver toccato i vostri cuori. Premetto che il mio desiderio non era creare una storia così catastrofica! So per certo che è impossibile che tutti questi ragazzi, in un anno, vivano delle situazioni così difficili! Il mio obbiettivo era di rendere il tutto simbolico ma reale allo stesso tempo. I miei personaggi hanno incarnato le vicende di vita di tante persone nel mondo. Stupro, malattie, attentati, paure individuali, amori difficili, stalker, rapimenti, gravidanze giovanili…sono tutti avvenimenti che ogni giorno vediamo e sentiamo al telegiornale. Questo finale, nel quale ognuno ha trovato il proprio lieto fine, era per convincervi (e convincerMI) che trovare la felicità e realizzare i propri sogni non sono solo obbiettivi delle favole, ma anche nostri!

Ora non so se scriverò un’altra storia o continuerò questa visto che mi sono innamorata di tutti i protagonisti! Conoscendomi devo farmi venire un’idea pazzesca prima di mettermi a scrivere. Ora mi butterò nella mia realtà con i miei impegni e le mie attività sperando che, nei momenti di pausa, mi arrivi qualche ispirazione.

Non ho altro da aggiungere se non ringraziare chi nel silenzio ha letto questa storia, chi la leggerà e vorrà darmi un suo parere e chi, ogni giorno, mi ha supportata e incoraggiata a non smettere di scrivere: IVI, sto parlando di te che sei sempre stata la mia fan n.1!
Sperando di rileggerci presto, vi saluto…

Anna

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