Il figlio del Ghiaccio e del Fuoco

di Gian_Snow_91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 - THE GOLDEN COMPANY ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 - WINTERFELL ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 - THE FALL OF THE WALL ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 6 - WHEN THE WINDS OF WINTER BLOW... ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 7 - THE SONG OF ICE AND FIRE ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 8 - NO ONE ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


CAPITOLO 1
 
 
[JON]
Le ultime casse con il Vetro di Drago erano state caricate sulle scialuppe che le avrebbero portate alle navi. La flotta era schierata, in attesa della partenza, e Jon e Davos passeggiavano sulla spiaggia della Roccia del Drago. Davos lo stava aggiornando sulla quantità di Ossidiana estratta e sul numero di uomini che sarebbero riusciti ad armare, quando Ser Jorah Mormont si avvicinò a loro.
“Siamo pronti per la partenza Ser?” chiese Davos.
“Non ancora Ser Davos. Vorrei parlare con Re Jon se non ti dispiace” Ser Davos chinò il capo verso il suo re e si congedò.
“Solo Jon” gli sorrise “Non sono più Re, Ser Jorah. Di cosa mi vuoi parlare?”
“Di lei” disse senza giri di parole, con un pizzico di rassegnazione. Daenerys aveva passato le ultime ore chiusa nella sua stanza a Roccia del Drago. E Jon sapeva bene il perché. Uno dei suoi draghi era morto e anche se lei si era dimostrata di ghiaccio per tutto quel tempo, sapeva quanto stesse soffrendo, lo aveva visto con i suoi occhi.
“Vorrei poter fare qualcosa”
“Sei l’unico che può fare qualcosa” disse il vecchio cavaliere.
“Cosa intendi?”
“Sono al servizio della Regina Daenerys da molti anni. La conosco meglio di chiunque altro. Ho visto suo fratello venderla in cambio di un esercito che non ha mai avuto, ed ero lì quando il principe Viserys è stato ucciso da Khal Drogo. Poco dopo il Khal è stato ferito in battaglia, e la ferita si è infettata, qualcosa di evitabilissimo. Lei ha cercato di salvarlo ma una maegi le ha mentito e le ha portato via anche suo figlio. Ma non si è arresa nemmeno allora, Jon. Ha allestito la pira funeraria per il suo Khal e sistemato le sue uova di drago intorno a lui prima di legare la maegi alla pira. E vi è entrata lei stessa. Credevi che Non Bruciata fosse solo un nome? Beh non è così. Quando il fuoco si è spento, pensavo di dover solo raccogliere le sue ceneri. E invece no, lei era viva, con tre piccoli draghi avvolti intorno alle braccia e alle gambe. E adesso che uno dei suoi figli è morto. Non può perdonarselo, capisci?”
“Certo. Ma perché io, Jorah? Perché lo stai dicendo a me?” Ma Jon conosceva la risposta.
“Ho visto come la guardi, Jon Snow, ed ho visto il suo sguardo preoccupato prima della spedizione a nord della Barriera. Non ha mai guardato nessuno così dopo Drogo, e forse nemmeno lui” Jorah riprese fiato rumorosamente prima di concludere. “Salva la mia Regina, Jon. Non permettere che si spezzi” disse prima di dargli le spalle e allontanarsi.
 
“Cosa voleva?” chiese Ser Davos quando lo raggiunse al piccolo porto.
“Parlarmi della Regina” tagliò corto Jon.
“Beh anch’io vorrei farlo” continuò il Cavaliere delle Cipolle.
“So cosa diranno i Lord, sarà difficile tenerli a bada. Penseremo a loro quando sarà il momento” Jon sbuffò sonoramente. La morte marciava verso di loro e quegli uomini si sarebbero accapigliati per uno stupido Trono.
“Non accetteranno un Targaryen come regnante” convenne Davos “Ma credo di avere una soluzione a questo. Dovresti sposarla”
“Un bastardo non è degno di una Regina, Davos”
“È vero, maestà. Ma tu non sei solo un bastardo. Sei stato Re, e per la tua gente lo sei ancora”
Sposarla. Dovette reprimere un sorriso. Daenerys le suscitava emozioni dimenticate. Emozioni che non aveva più provato da quando era tornato dalla morte. Ma pensare di chiederle di sposarlo era una follia. Lei non avrebbe accettato, e lui non sarebbe stato così stupido da proporlo, rischiando di rompere la loro alleanza. Però non poteva negare a se stesso la sensazione di aver conosciuto una persona con un animo affine. Era una convinzione più che una sensazione. Lei aveva sacrificato tanto per salvarli, proprio come aveva fatto lui per salvare il Popolo Libero. E le parole di Ser Jorah lo turbavano. Solo con una personalità di ferro qualcuno avrebbe potuto sopravvivere a quelle avversità.
Fuoco! Non ferro.
Si ritrovò a pensare alla presunta maledizione che la strega le aveva lanciato, e alla convinzione che lei aveva di non poter avere figli. Aveva creduto fosse solo una sciocca storiella, ma le parole del Cavaliere dell’Orso gli avevano fatto sorgere dei dubbi. Magari non avrebbe potuto sposarla, ma di certo avrebbe tenuto fede al suo giuramento. E se questo significava reprimere i suoi impulsi e tacitare i suoi pensieri, l’avrebbe fatto senza remore.  
 
 
[DAENERYS]
“Mia Regina” Missandei si era fatta precedere da un leggero bussare che lei nemmeno aveva sentito. “È tutto pronto per la partenza”.
Si asciugò frettolosamente le guance prima di allontanarsi dalla finestra. Il ricordo di quello che era accaduto oltre la Barriera la tormentava ancora, anche a distanza di molti giorni. Non riusciva a scacciare il ricordo degli occhi azzurri del Re della Notte pronto a scoccare la sua lancia, o l’urlo di Viseryon mentre crollava nel lago di ghiaccio. E continuava a rivivere quegli attimi interminabili in cima alla Barriera aspettando che Jon tornasse. Per quanto avesse voluto negarlo a se stessa, il suono del corno dei Guardiani era stata l’unica cosa che l’aveva tenuta lontana dall’oscurità, che le aveva mostrato di nuovo la luce. Era come se fosse stata sull’orlo del baratro di follia in cui era caduto anche suo padre. Era per quello che Aerys era impazzito? Per il dolore della perdita di suo figlio?
“Sono pronta Missandei” le rivolse un sorriso stanco, indossando la sua mantella nera con ricamato il drago rosso a tre teste.
Sulla tolda della Mhysa, la nave ammiraglia della flotta della Regina, Tyrion e Ser Jorah la attendevano guardando da lontano l’isola di Roccia del Drago, probabilmente pregando di rivederla. Il Cavaliere dell’isola dell’Orso le tese la mano per aiutarla a salire a bordo, poi aiutò Missandei.
Anche Jon era sulla tolda della nave. Se ne stava a prua, lo sguardo perso chissà dove nel mare e una mano poggiata sul rostro a forma di testa di drago.
“Mia Regina” la salutò sorpreso quando lei gli si affiancò.
“Confido che tutto sia stato organizzato al meglio, mio Lord” disse reprimendo un brivido di freddo. O almeno credeva che lo fosse finché Jon le sorrise. Un sorriso che fece fare al suo stomaco una bella capriola, effetto che Jon le faceva sempre più spesso, fin da quella volta nella cava d’Ossidiana.
“Tutto come previsto. Non ci aspettiamo nessun intoppo, almeno fino a quando arriveremo a Grande Inverno” il suo sorriso si spense sostituito da uno sguardo preoccupato. “Tu stai bene, Altezza? Tieni indossa questo” aggiunse slegando il mantello dal suo collo e posandolo sulle sue spalle in un unico gesto aggraziato. Le sue dita armeggiarono delicatamente con la spilla a forma di testa di lupo, sfiorandole appena il mento.
“Ti ringrazio” si strinse nel mantello concentrandosi per non arrossire. Quelle piccole attenzione che Jon le riservava riuscivano a distrarla dai suoi patimenti. Il giuramento di fedeltà davanti a tutti i presenti alla Fossa del Drago poi, non aveva fatto altro che confermarle il genere d’uomo che aveva davanti a se. Leale a costo della vita, oltre che guerriero eccezionale, e pronto a sacrificare se stesso e il suo onore per gli altri. Le era ben chiaro perché il Nord lo aveva eletto Re, anche a discapito della sua condizione di bastardo. Jon Snow era nato per esserlo, nel temperamento oltre che nell’aspetto.
“Sai Jon, quando sono partita per Westeros il mio obiettivo era quello di salvare il popolo spezzando il braccio di ferro tra le grandi casate nobiliari. Volevo distruggere la ruota”. Jon la guardava con la bocca socchiusa con un’espressione metà curiosa e metà stupita. “Ma più di tutto, volevo vendetta per la mia famiglia, per mio fratello Rhaegar e la sua famiglia, per mia madre e anche per mio padre, quali che fossero i suoi difetti. Viserys mi ha insegnato ad odiare l’Usurpatore e i suoi cani. Così li chiamava. Se lui avesse comandato la mia armata sarebbe stata la fine di tutto” si strinse ancora nel mantello ricordando la paura in cui l’aveva costretta l’unico uomo al mondo che avrebbe dovuto proteggerla. “Ho bisogno di un comandante che guidi il mio esercito, Jon Snow, e voglio che quel comandante sia tu” allacciò il suo sguardo a quello di Jon con tale intensità che le parve di scottarsi, una sensazione letteralmente mai provata prima.
Lui sembrava stupito, forse dubbioso. “Hai molti uomini che possono guidare il tuo esercito: Ser Jorah, Verme Grigio o il capo dei Dotraki. Ma se questo è il tuo volere non disattenderò ad un tuo ordine, Altezza” chinò il capo in segno di rispetto.
Daenerys allungò una mano per interrompere il suo gesto, e strinse le sue dita intorno al polso di lui che rialzò di colpo la testa. “Non te lo sto ordinando Jon. Te lo sto chiedendo perché sono sicura che tu sia l’uomo giusto. Dovrai solo imparare un po’ di Valiryano e magari qualche parola Dotraki”
“Temo sia più facile sconfiggere il Re della Notte che farmi capire da Jhago o Rollo” Jon le sorrise ancora, intrecciando le dita alle sue. “Avrò bisogno di un insegnante, dunque”
“Sei fortunato. Missandei è la migliore” scherzò ricambiando la stretta.
“Non vorrai appesantirla con un compito così gravoso, Altezza. Una Regina ha il dovere di farsi carico degli incarichi peggiori” scherzò lui con finto tono di rimprovero.
“Temo tu abbia ragione, mio Lord. Dopotutto Valyrio muño ēngos ñuhys issa il valyriano è la mia lingua madre” sorrise abbassando lo sguardo sulle loro mani giunte. “Ora dovremo scendere sotto coperta”
“Tieni pure il mantello” le disse quando lei armeggiò goffamente con la spilla per slacciarlo. “Farà sempre più freddo”. Coprì ancora la mano di lei con la sua.
“Grazie Jon”. Lo ringraziò rivolgendogli l’ennesimo sorriso. E prima di poter fare qualcosa di cui pentirsi scese i pochi scalini che portavano alla sua cabina. Si voltò un attimo prima di chiudere la porta alle sue spalle. Jon l’accompagnava con lo sguardo, chinò appena il capo quando si accorse che lei si era voltata a guardarlo.
 
 
[ARYA]
Jon le aveva informate che stava tornando a Grande Inverno con la Regina Daenerys Targaryen e tutto il suo esercito. Non vedeva l’ora che arrivasse. Da quando aveva capito che essere Nessuno voleva dire tornare ad essere Arya Stark, o meglio significava poter scegliere chi essere, se c’era qualcuno che le era mancato più di tutti, quello era Jon. Forse per via di Ago, che per anni era stata l’unico ricordo della sua casa, l’unico ricordo della sua famiglia.
Prima regola: infilzali con la punta.
Non aspettava altro che sentirlo sussurrare sorellina mentre le scompigliava i capelli. Sempre se il Re del Nord non si era montato troppo la testa. Sarebbe stato fiero di come aveva imparato ad usare la spada che lui le aveva regalato. E di sicuro l’avrebbe sfidato a duello e battuto. Sansa diceva che Jon era diventato uno spadaccino straordinario, ma la sua Danza dell’Acqua lo avrebbe messo in seria difficoltà. Arya ne era certa.
Bran bruciava dalla febbre. Passare ore intere nel Parco degli Dei sotto la neve non era stata una buona idea da parte sua. Arya aveva passato molto tempo con il fratello, mentre Sansa si occupava di gestire Grande Inverno e le terre degli Stark. Non che avesse altro da fare, si allenava per qualche ora al mattino e qualche volta usciva insieme a Spettro nella Foresta del Lupo. Ma ora anche il Meta-Lupo di Jon sembrava preferire il tepore della camera di Bran al freddo e alle tempeste di neve dell’esterno. Sansa li raggiungeva di sera, quando i suoi compiti di Lady le davano un po’ tregua, perciò si stupì quando la vide arrivare in pieno giorno.
“Non li sopporto più” esclamò dopo essersi sincerata delle condizioni di Bran, perso in uno dei suoi Sogni dell’Oltre.
“A chi ti riferisci?” chiese Arya distrattamente.
“A Lord Glover, Lord Cerwyn e a quel ciccione di Lord Manderly. Non fanno altro che lamentarsi di questo o di quello. Perfino Lady Mormont comincia a dubitare di Jon, l’hai sentita. E ancora non sanno che lui ha giurato fedeltà alla Targaryen. Tu cosa ne pensi?”
“Sai cosa penso di loro. Ne abbiamo già parlato”
“Intendevo cosa pensi della Targaryen. Ho smesso di ascoltare i tuoi consigli su come rapportarmi con i nostri Lord”.
Anche battibeccare con Sansa le era mancato molto. Il ricordo della loro ultima conversazione ad Approdo del Re prima della sua fuga, un litigio per l’appunto, l’aveva fatta soffrire per molto tempo. Quando non era sicura di rivederla soffriva per averla lasciata nelle mani dei Lannister senza poter far niente.
“Io mi fido di Jon. Sapeva a cosa andava incontro inginocchiandosi, sapeva che i nostri Lord avrebbero protestato e sbraitato. Ho sentito molte cose su Daenerys Targaryen quando ero a Braavos. Ha liberato tutti gli schiavi della Baia degli Schiavisti. E non dimenticare che nonostante i suoi tre draghi non ha attaccato Approdo del Re, e può averlo fatto solo per non uccidere migliaia di innocenti”.
“Di sicuro non può essere peggiore di Cersei Lannister” convenne Sansa.
“Ma avresti voluto che Jon si consultasse con te prima” capì al volo Arya. “Lo capisco. Ma Jon è Jon. L’onore che nostro padre gli ha insegnato mitiga la sua impulsività. Ha fatto la scelta giusta, ne sono certa”
“Sai dove lo ha portato quell’onore Arya? Alla morte”
“Per i Sette Dei Sansa, sei la persona più pessimista che conosco”
“Sansa dice il vero, Arya” Bran si era risvegliato dal suo stato di trance, e probabilmente aveva ascoltato il loro scambio di opinioni in silenzio. “Jon è stato ucciso dai suoi confratelli dei Guardiani della Notte”
“E una strega rossa lo ha riportato in vita” concluse Sansa.
“Cosa?” Arya era senza parole.
“Si Arya. Se non fosse stato per Melisandre di Asshai, Jon non sarebbe con noi”
Melisandre di Asshai era sulla sua lista, un tempo. E aveva giurato a se stessa che avrebbe completato quella lista.  “Questo non cambia le cose” esclamò.
“Cosa non cambia?” chiese Sansa colpita da quella frase fuori luogo.
“Anche Melisandre è sulla sua lista” intervenne ancora Bran.
La loro piccola riunione venne interrotta da un soldato che bussò alla porta per annunciare il ritorno di Brienne e Podrick. Sansa si lasciò andare ad un sorriso felice. “Finalmente. Vieni con me Arya? Scopriamo cosa è successo ad Approdo del Re”. Jon, nella sua lettera, aveva accennato ad un incontro con i Lannister per persuaderli a combattere al loro fianco. Fidarsi di Daenerys Targaryen poteva rivelarsi una scelta giusta, Arya ne era certa, ma un’alleanza con Cersei Lannister era un azzardo enorme anche in quella situazione.
Brienne raccontò dell’incontro e delle difficoltà che avevano incontrato per raggiungere un accordo.
“Sapevo che Lord Tyrion avrebbe trovato una soluzione efficiente” asserì Sansa alla fine del racconto di Brienne. “Mi chiedo solo cosa possa aver convinto Cersei”
“Non lo so, mia Signora. So solo che gli eserciti Lannister ci aiuteranno”
“E cosa succederà una volta sconfitti gli Estranei? Se mai ci riuscissimo” chiese Arya fino a quel punto silenziosa. “Le terre del Nord saranno in balia di eserciti stranieri”
“Mie signore, Ser Jaime mi ha promesso che una volta finita la Grande Guerra riporterà i suoi eserciti a sud. Mi fido di lui” le rassicurò Brienne.
“Grazie Brienne” Sansa sorrise a lei e al giovane Podrick che arrossì vistosamente “Andate pure a riposare un po’. Il viaggio è stato lungo e faticoso ne sono certa”
Quando Brienne e Podrick furono usciti dalla Sala Grande, Sansa richiamò l’attendente e il capo della guardia di Grande Inverno, Adrian Cassell, nipote del compianto Ser Rodrik: “Voglio che i turni sulle mura siano raddoppiati. Dobbiamo prepararci per un eventuale assedio. Tutte le squadre di cacciatori partiranno oggi stesso. E dobbiamo dare il via al razionamento delle scorte”
L’attendente si congedò con un inchino, mentre il giovane Cassell si trattenne ancora qualche attimo. “Mia Lady, è arrivato un altro uomo mentre eravate nella camera di vostro fratello” si rivolse a Sansa con un po’ di imbarazzo. “Dice di essere stato mandato da Re Jon per gestire la fucina di Grande Inverno”
“Mi occupo io di lui. Se è una spia dei Lannister condividerà la sorte di Ditocorto. Dove lo trovo?”
“L’ho mandato alla fucina, ma non gli ho permesso di prenderne il comando, spetta a voi, Mia Lady” rispose il giovane.
“Ottimo lavoro Adrian, me ne occupo io” Arya li lasciò da soli. Aveva notato una certa tensione nascere tra sua sorella e il giovane comandante delle guardie quando lui le aveva rivolto la parola. Solo gli Dei sapevano quanto Sansa meritasse un uomo forte ed onesto al suo fianco, e da quanto aveva potuto vedere Adrian Cassell era un vero uomo del Nord. Dopotutto era cresciuto a Grande Inverno allenandosi con Robb e Jon, ed era uno dei pochi ad essere tornati dalla Guerra dei Cinque Re, quando era solo uno scudiero.
La fucina di Grande Inverno era dall’altra parte del Castello, vicino alla palestra degli allenamenti e all’armeria. Alcuni cavalieri della Valle si allenavano in una sorta di torneo che organizzavano tutti i giorni. Arya aveva partecipato il primo giorno tra le risate generali. Risate che erano terminate quando tre o quattro uomini erano caduti sotto i colpi di Ago.
Già dal cortile poté sentire i colpi di diversi martelli battere l’acciaio. La fucina di Grande Inverno era in piena attività da settimane per armare al meglio il Nord.
“Sto cercando il nuovo arrivato” esordì Arya entrando.
“Sapevo che saresti venuta a controllare l’intruso, mia Lady” uno dei fabbri la salutò enfatizzando particolarmente le ultime parole.
Gendry se ne stava in piedi davanti a lei, il martello da fabbro in una mano, una spada incandescente nell’altra, a torso nudo. I muscoli del suo petto erano imperlati di sudore, e un sorriso gli illuminava il volto.
Molte emozioni si susseguirono. La felicità di rivederlo fu presto affiancata dalla rabbia per averla abbandonata. “Allora sei vivo. Forse ti metterò nella mia lista sai, si è liberato un posto da poco”. Suo malgrado rispose al sorriso di lui.
 
 
[JAIME]
Viaggiare con Bronn nel suo stato d’animo non era stato facile. Il mercenario cantava le sue canzoni sconce per metà del tempo e per l’altra metà continuava a chiedere come si sarebbero comportati e cosa avrebbero fatto. La sera quando si accampavano era il momento peggiore perché non poteva evitare le domande del mercenario semplicemente spingendo il cavallo al galoppo. Così si era trovato a condividere con Bronn il suo piano.
“Se non ricordo male volevi un castello, Ser Bronn. Si dà il caso che ce ne sia uno poco lontano da qui sprovvisto di Lord. Se sei in grado di riunire l’esercito dei Frey e condurlo al Moat Cailin, alla fine della guerra mi assicurerò che quei castelli siano tuoi” gli disse una sera, dopo essersi accampati lungo la sponda sud dell’Occhio degli Dei.
“Lord Blackwater delle Torri Gemelle. Cosa te ne pare, ser?” il mercenario si pavoneggiò compiaciuto. “Ma non fingere che sia un regalo. Quel dannato castello me lo sono meritato cento volte”.
Così si erano separati con la promessa di incontrarsi al Moat Cailin, prima di proseguire verso Nord.
Gli ultimi giorni di viaggio in solitaria erano trascorsi dannatamente lenti. E senza nient’altro da fare se non condurre il cavallo si era ritrovato a pensare a Cersei, al suo sguardo folle quando l’aveva lasciata nel suo solarium e alla rabbia repressa quando lei aveva finto di ordinare alla Montagna di ucciderlo. Poi aveva attraversato il Bosco dei Sussurri, e si era sorpreso nello scoprire che quella sconfitta contro Robb Stark non gli rodeva più come un tempo.
Delta delle Acque era esattamente come la ricordava. Era stato lì non più di un anno prima. Rimasta senza Lord dopo la morte dei Frey, la fortezza era gestita dalla guarnigione Lannister che lui stesso aveva lasciato a protezione delle Terre dei Fiumi. O almeno così credeva.
Quando giunse al cancello si rese subito conto che qualcosa gli era sfuggito. Sul mastio principale sventolava la trota argentea su sfondo rosso e blu di casa Tully. Non gli ci volle molto per capire che i Tully avevano ripreso possesso del loro castello.
Il ponte levatoio fu abbassato davanti all’unico visitatore e Jaime Lannister entrò nel cortile in sella al suo destriero nero. Mezza dozzina di soldati lo accerchiarono non appena smontò.
“Cosa ci fa qui il dannato Sterminatore di Re?” domandò quello che sembrava essere il capo, di certo puzzava più degli altri.
“Sono qui per incontrare il vostro Signore” rispose Jaime con tranquillità. L’ultima cosa che voleva era scontrarsi con quegli uomini. Magari un tempo ne avrebbe atterrati la metà senza problemi, perché ne aveva le capacità ma anche per via della sua testa calda. Ora non più. Jaime Lannister non era più uno dei migliori spadaccini dei Sette Regni, ma di certo era diventato un uomo migliore.
“Riposo soldati” ordinò una voce autoritaria. Lord Edmure Tully si avvicinò a loro. “Lannister. Cosa ci fai qui? Credevo che tutto quello che volessi era tornate dalla tua amata sorella” lo schernì il Lord di Delta delle Acque.
“Ho bisogno di conferire con te di una questione della massima urgenza, Lord Edmure”
Probabilmente il Tully notò la sua preoccupazione perché si girò verso i suoi uomini e ordinò: “Trovate a Ser Jaime un alloggio degno del suo sangue e portategli del cibo” poi si rivolse di nuovo a lui. “Fa un bagno ser, e rifocillati. Io ti aspetto nel mio solarium, ho un’altra questione di cui occuparmi. Diciamo che tra un’ora andrà bene” lo salutò con un altro sguardo preoccupato.
 
Lord Edmure Tully lo attendeva nel suo solarium insieme ai suoi Lord alfieri seduti intorno ad un tavolo ovale. Due soldati montavano la guardia alla porta.
“Ser Jaime” lo salutò “Lei è mia moglie, Lady Roslin Tully”.
La giovane piegò il capo in segno di rispetto. “Mia Signora, è un piacere fare la tua conoscenza. Spero che tuo figlio stia crescendo in salute” ricambiò il saluto.
Lei ebbe uno sguardo dubbioso. “Ti… ti ringrazio, mio Lord”
Edmure riprese la parola presentando gli altri alfieri intorno al tavolo: i Lord Bracken, Mallister e Piper.
“E di certo ti ricorderai di mio zio, ser Brynden” concluse il Tully.
Una delle due guardie alla porta si fece avanti quando il Lord lo chiamò. “Sterminatore di Re. Non volevo crederci quando mi hanno detto che eri venuto qui da solo” esordì con freddezza il Pesce Nero. Ancora quel nomignolo, si era illuso che un giorno potesse finalmente cancellarlo ma aveva abbandonato quell’idea da tempo. Ricordo le parole di suo fratello Tyrion. Fanne la tua armatura e non potranno usarla contro di te. Credi che a me importi se mi chiamano Folletto o nano. Lasciali fare, tanto li fotto tutti.
“Pesce Nero” rispose a tono “Mi avevano detto che eri morto. A quanto pare sono parecchie le cose che non so” rivolse il suo sguardo a Edmure.
“È stato solo un trucco. Mio nipote ha trovato il modo di far vivere tutti quando ti ha consegnato il castello, e non ti nascondo che mi ha piacevolmente stupito” confessò Ser Brynden.
“Beh meglio così. Ci servirà la tua spada nella prossima guerra. Che ne è stato della guarnigione Lannister?”
“Credevo fossi qui per parlare non per chiedere” Lord Edmure lo scrutò a lungo prima di continuare. “I tuoi uomini sono rinchiusi nelle celle, stanno un po’ stretti ma la maggior parte di loro è ancora viva e in salute. Sono morti solo quelli che non hanno abbassato le armi”
“Ti ringrazio per questo, Lord Edmure”.
“E ora dicci perché sei qui o finisci nella cella più affollata” intervenne ancora Ser Brynden col suo solito tono rude.
“Dobbiamo mobilitare immediatamente tutti i nostri eserciti e andare a Nord. La morte marcia verso la Barriera”
Intorno al tavolo la tensione si fece palpabile. Sicuramente quegli uomini avevano udito voci sulla minaccia incombente, e magari avevano deciso di credere che fosse solo la solita storiella sull’inverno.
“Abbiamo ricevuto un corvo dal Re del Nord, un po’ di tempo fa. E non mi fido del bastardo di Stark, Catelyn diffidava di lui e io intendo seguire le sue orme” asserì Lord Edmure.
“Lady Sansa siede al suo fianco come consigliera, mio Lord. Credi che seguirebbe quell’uomo se non fosse meritevole di fiducia? Lady Catelyn era una gran donna, ma non era infallibile. Io l’ho conosciuto. E andrò a Nord con o senza di te. In tal caso ti chiedo solo di permettere ai miei uomini di seguirmi”
“Quindi tu ritieni vere queste voci sui morti?” chiese uno degli uomini al tavolo. Ovviamente Jaime aveva già dimenticato il suo nome. Lord Mallister forse.
“Mio malgrado ne ho visto uno. Jon Snow e la Targaryen lo hanno condotto ad Approdo del Re per ottenere una tregua con mia sorella”
Lady Tully sospirò e il marito le pose una mano sulla spalla per tranquillizzarla. Fu il Pesce Nero a parlare. “Credo che Ser Jaime abbia ragione. Dobbiamo radunare gli eserciti e marciare per raggiungere Grande Inverno”
Edmure era ancora molto dubbioso, cercando di venire a capo di quella situazione.
“E perché dovremo fidarci di un bastardo senza madre e dello Sterminatore di Re?” un altro degli alfieri delle Terre dei fiumi, Lord Pyper, non nascose il suo disprezzo.
“Se posso chiedere, di quanti uomini disponete?” ser Jaime si rivolse direttamente al Pesce Nero, decidendo di lasciar correre gli insulti di quel giovane sbarbatello.
“Contando gli uomini di Mallister, Piper e Bracken, gli uomini di Delta delle Acque e i tuoi uomini nelle segrete arriviamo appena a duemila” contò velocemente l’uomo.
“Non era quello che mi aspettavo, ma meglio di niente. Un mio uomo sta riunendo l’esercito dei Frey. Potrebbero raddoppiare il nostro numero”
“Bene. Anche perché non mi sentirei sicuro a lasciare la mia famiglia con l’esercito Frey ancora in giro” Lord Edmure si alzò in piedi. “Lasceremo cento uomini a proteggere Delta delle Acque, mia moglie e il mio erede. Miei Lord radunate i vostri eserciti, e ogni uomo in grado di impugnare un arma. Partiremo il prima possibile” concluse con un sospiro.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


CAPITOLO 2

CAPITOLO 2

 

 

[JON]

Dopo le centinaia di notti passate di guardia in cima alla Barriera o in una tenda in un punto imprecisato a nord di essa, non gli dispiaceva passare qualche ora notturna sulla tolda della nave di fianco al braciere. Solo pochi marinai restavano svegli di notte, e sulla Mhysa regnava il silenzio. Nuvole permettendo, osservava per un po’ le stelle, o semplicemente rimuginava sui suoi pensieri. Qualche sera era capitato che Tyrion o Davos passassero un po’ di tempo con lui, salvo poi ricredersi in fretta per via del freddo.

Quella notte era stato fortunato. Dopo giorni di tempeste incessanti, le nuvole avevano lasciato spazio ad una notte limpida, illuminata dalla Luna e da migliaia di stelle lontane. Conosceva da sempre le costellazioni. Maestro Luwin aveva insegnato a lui e Robb a riconoscerle per potersi orientare di notte. La Corona del Re gli sembrò più vicina delle altre, come se incombesse sulla flotta in movimento. Colse una sottile ironia in tutto ciò. Ora che non era più un Re, si trovava ad osservare proprio quella costellazione splendere più delle altre. Verso est riconobbe il Ladro rinchiuso nella Fanciulla di Luna. Il Popolo Libero credeva che, le notti in cui si verificava quella particolare congiunzione astrale, fossero le più propizie per un uomo che intendeva rubare una donna. Come la notte in cui aveva conosciuto, e quasi ucciso, Ygritte.

Rhaegal planò silenzioso sopra le navi in movimento. Le sue scaglie verdi e bronzee scintillarono alla fioca luce della Luna crescente.

“Lady Melisandre non sarebbe felice di sapere che il suo pupillo contempla le tenebre”

Jon sussultò riconoscendo la voce di Daenerys appena dietro di lui. Distratto dai ricordi e dalla magnificenza del drago, non l’aveva sentita avvicinarsi. Indossava il mantello che lui le aveva lasciato tenere il giorno della partenza. Aveva solo sostituito la spilla argentea a forma di Meta-Lupo con un anello di ferro cremisi decorato dal Drago a tre Teste, simbolo della sua casata. Non potè fare a meno di chiedersi che fine avesse fatto la spilla originale.

“Non sono il pupillo della Donna Rossa, Altezza. L’ho perfino esiliata da Grande Inverno”

“Avresti dovuto sentirla parlare del Re del Nord quando è venuta alla Roccia del Drago” Daenerys si appoggiò alla balaustra con un gomito, rivolta verso di lui. “Non ho idea di cosa significhi, ma lei crede che uno di noi due sia il principe che fu promesso”

“Onore a cui non tengo. Quel titolo è tutto tuo se lo vuoi, Maestà”

“Andiamo Jon, non credi sia il caso di smetterla con queste formalità?” Daenerys gli sorrise. E dietro agli sguardi addolorati che aveva intercettato in tutti quei giorni di navigata, mentre Missandei cercava di insegnarli le basi della lingua Dothraki, riuscì a scorgere la stessa dolcezza che aveva visto in lei navigando verso sud, dopo la missione oltre la Barriera, quando si era risvegliato e lei era lì, seduta accanto a lui sul letto, con gli occhi pieni di lacrime. Gli era sembrato di risvegliarsi di nuovo dalla morte. O di risvegliarsi per davvero dalla morte?

“Ma certo, Daenerys” Jon ricambiò il sorriso di lei, prima di alzare lo sguardo in cerca dello spettacolo offerto dalle scaglie di Rhaegal brillare nella notte, ma il drago era ormai lontano.

“Perché hai scelto giurarmi fedeltà?” chiese all’improvviso. “Cosa hai visto in me, Jon Snow?”

Jon si voltò a guardarla, quasi senza parole. Non ci aveva pensato davvero, anche se la scelta era stata ardua. Il sacrificio che aveva compiuto a Nord della Barriera era, senz’altro, il motivo principale, ma gli sembrava scontato risolverla così facilmente. Daenerys l’aveva in qualche modo stregato. Non solo per la sua bellezza, anche se quando incrociava i suoi occhi viola doveva concentrarsi per non perdersi in essi. L’aveva stregato per la sua forza d’animo, per la sua capacità di ragionare lucidamente anche in situazioni difficili, oltre che per il suo spirito di sacrifico. E solo gli Dei sapevano quanto bisogno avessero di persone come lei.

“Ora avresti dovuto dire che lo hai fatto perché sono la tua legittima Regina e vedi in me un sovrano giusto e saggio” continuò lei con un pizzico di stizza, quando lui non rispose perso nei suoi pensieri.

“L’ho fatto perché ti sei sacrificata per salvarmi, per salvare tutti noi. Perché ho visto in te una… speranza” disse infine senza troppa convinzione.

“Tutto qui?” fece un passo verso di lui guardandolo dritto negli occhi, con sfrontatezza. “Non c’è nessun altro motivo?”

“Ecco… Io…” balbettò in difficoltà. Il vento si era fatto più intenso, come se volesse nascondere le loro parole nel suo soffio. Daenerys fece un altro passo verso di lui e Jon non riuscì più a sostenere il suo sguardo. Così lo abbassò sulle labbra di lei, ma capì immediatamente il suo errore. Ancora pochi attimi e non sarebbe più stato in grado di controllare le sue azioni. Daenerys lo legava sempre più stretto a se con il suo sguardo languido ma deciso.

“Sai Jon” poté sentire il fiato di lei sul viso. Profumava di menta e arancia. “A volte vorrei che non ci fosse nessuna guerra da combattere, nessun Trono da conquistare, nessun uomo da salvare o proteggere. A volte vorrei solo essere me stessa… E tu, Jon Snow, hai un desiderio?”

Daenerys coprì la poca distanza che ancora li separava con un solo passo, e si ritrovò con il viso all’altezza del suo collo. Con uno slancio di coraggio e incoscienza, Jon pose una mano sulla guancia di lei, con il pollice seguì la curva dello zigomo, fino alle palpebre inumidite da lacrime trattenute a stento. Chiuse gli occhi al tocco di lui, cullandosi nel tocco caldo del suo guanto.

“Vorrei che quest’attimo potesse durare per sempre” sussurrò. Daenerys riaprì gli occhi lentamente, e solo in quel momento Jon si rese conto di quanto davvero fossero vicini. Poteva sentire il corpo della regina premere contro il suo, come se volesse esprimere il desiderio di legarsi a lui. La strinse, cingendola con una mano sulla schiena per annullare ulteriormente la distanza che li separava. Temeva che lei potesse ritrarsi, ma Daenerys continuò a fissarlo con le labbra socchiuse, e un’espressione dolce e allo stesso tempo sfrontata. Non aveva mai visto nulla di così bello, di così perfetto. La desiderava, avrebbe passato tutta la notte a mordere le sue labbra rosee o a baciare ogni centimetro della sua pelle candida. E sentiva che lei voleva la stessa cosa.

Si rese conto di non poter più resistere quando Daenerys sospirò di piacere, vicino al suo collo. Piegò dolcemente il capo a poggiare la sua fronte su quella di lei, e i loro nasi si sfiorarono suscitando in entrambi un sorriso spontaneo. Quando le loro labbra si incontrarono tutto quello che c’era intorno a loro scomparì, le navi, il mare, il vento. Perfino la guerra. Solo Daenerys era reale, la schiena appena inarcata per aderire perfettamente al suo corpo e una mano incatenata ai suoi capelli.   

All’inizio fu un bacio casto, labbra che si studiano e si conoscono. Fino a quando Daenerys non strinse la presa sui suoi capelli abbandonandosi tra le sue braccia. Le labbra di lei si incurvarono in un sorriso, e presto lo trasformò in un leggero morso al suo labbro inferiore. Jon sentiva di poter restare in quel limbo per tutto il resto della sua vita. Dimenticò di essere un bastardo, ex Re di un Regno che probabilmente lo avrebbe disprezzato per le sue scelte, dimenticò l’onore e le promesse fatte a se stesso di resistere ai suoi impulsi. Per un attimo fu solo Jon, che stringeva tra le braccia quanto di più prezioso ci fosse al mondo. Il bacio divenne più intenso, come un bisogno da soddisfare in fretta, prima che sia troppo tardi. Quando si separarono avevano entrambi il fiatone.

“Non avrei dovuto. Perdonami Daenerys. Io…” Jon allentò la stretta intorno ai fianchi, ma Daenerys non si mosse. Restò a guardarlo con la testa poggiata alla sua spalla.

“Va tutto bene Jon” si allungò appena sulle punte e lo baciò brevemente. “Sapevo sarebbe successo”

“Spero di essere stato all’altezza delle tue aspettative, allora” scherzò lui abbozzando un sorriso.

Lei gli rifilò uno sguardo tagliente, e un colpetto affettuoso al petto, prima di un ultimo sorriso. “Buonanotte Jon Snow”.

 

 

[CERSEI]

Lord Quiburn si era occupato di organizzare tutte le difese della città. La Fortezza Rossa era il posto più sicuro dei Sette Regni, e il Maestro senza catena era riuscito a scoprire decine di passaggi segreti nelle mura della fortezza, uno addirittura conduceva fuori dalle mura di cinta, in una baia nascosta, perfetto per una fuga veloce in caso di necessità.

“Euron e la Compagnia Dorata sono sulla via del ritorno, Vostra Grazia. Hanno già ricevuto i loro ordini” disse Quiburn col suo solito tono adulatorio.

“Greyjoy non rispetterà quegli ordini. Verrà ad Approdo del Re a riscuotere il suo credito” sbuffò lei.

“E come intendi comportarti a riguardo, Altezza? Vuoi che mi occupi io di lui?”

“No Quiburn, posso gestire un balordo delle Isole di Ferro. È a nord che devi rivolgere il tuo sguardo. Voglio sapere tutto quello che succede”

“I miei uccelletti sono già in volo, Maestà. Presto ci giungeranno i loro sussurri” sorrise ancora mellifluo.

“Hai parlato con i piromanti?”

“Certo Vostra Grazia. Il Lord Piromante attende di incontrarti”

“Lord Piromante…” lo schernì non nascondendo il suo disprezzo.

Con un pigro cenno della mano acconsentì a farlo entrare. Conosceva il vecchio Lord Piromante, ma suo padre lo aveva fatto giustiziare dopo la Battaglia della Baia delle Acque Nere, come capro espiatorio per le fiamme verdi che avevano distrutto la Flotta Reale.

Il nuovo Lord Piromante era un uomo più giovane ma altrettanto inquietante. Un uomo dalla schiena incurvata e la testa calva. Indossava lo stesso saio di chi lo aveva preceduto, color talpa bordato d’argento. Fece un profondo inchino davanti al Trono di Spade.

“La mia Regina voleva vedermi?” chiese quando si fu raddrizzato.

“Il tuo ordine aveva ricevuto una richiesta dal Trono. Gradirei sapere a che punto siete con le scorte di Alto Fuoco”

“Stiamo lavorando ininterrottamente da allora, Altezza. Contiamo di soddisfare le richieste di Sua Grazia entro la prossima luna” chinò ancora il capo in segno di rispetto.

“Bene. Voglio che seguiate il piano alla lettera. D’ora in poi, Lord Malyne, ti confronterai con Lord Quiburn. Rispetta i suoi ordini come se venissero dalla mia bocca. Puoi andare”

Il Lord Piromante Malyne si inginocchiò di nuovo prima di lasciare la sala del Trono.

“Nemmeno i draghi possono sopravvivere all’Alto Fuoco. Il nostro piano continua, Maestà. C’è un ultima cosa di cui vorrei parlarti” Quiburn appariva preoccupato.

“E allora che aspetti?”

“Si dice che insieme alla Targaryen e agli Stark cavalchi un altro nemico della tua casata, uno dei figli bastardi del Re tuo marito”

“Joffrey fece uccidere tutti i bastardi di Robert, è una notizia falsa”

“Anche se lo fosse io suggerirei di inviare a Capo Tempesta una guarnigione. Da quello che so è una Fortezza inviolabile. E se ne avessimo bisogno potremo ritirarci li. Nemmeno un esercito di morti potrebbe conquistarla”

“E se il bastardo la vuole dovrà conquistarla. La tua perizia mi lascia sempre più senza parole, Lord Primo Cavaliere. 200 uomini saranno più che sufficienti a gestire un assedio a Capo Tempesta. Provvedi”

Scese i gradini del Trono di Spade e si recò nelle sue stanze, il fido ser Gregor sempre alle sue spalle. Nei momenti di solitudine riusciva solo a pensare a Jaime che l’aveva abbandonata. Avrebbe dovuto lasciare che la Montagna lo uccidesse invece di creare un altro nemico. E non poteva far altro che chiedersi se lo sarebbe diventato davvero, un nemico. Ma se avesse osato avrebbe condiviso la sorte degli altri. Niente e nessuno le avrebbe impedito di tramandare il Trono di Spade alla giovane vita che cresceva dentro di lei, non Jaime Lannister, nè tantomeno Daenerys Targaryen.  

 

 

[TYRION]

Aveva sempre odiato navigare. O forse aveva cominciato ad odiare le navi durante il suo viaggio, all’interno di una cassa, verso Essos, alla ricerca di una Regina da servire. Ma, per quanto scomodo, quel viaggio era avvenuto in piena estate ed aveva avuto una sua ragione di essere affrontato. Ora viaggiava verso l’inverno perenne chiuso nella sua cabina o in quella della regina a studiare piani di battaglia ormai triti e ritriti. E uscire sulla tolda della nave anche solo per prendere un po’ d’aria era diventata un’impresa per uomini temerari. Da quando avevano superato la Penisola delle Dita, il vento freddo che sferzava il Mare Stretto era diventato insopportabile. E aveva iniziato a nevicare, anche in mare aperto. Quelle temperature gli ricordavano il suo periodo sulla Barriera e non riusciva ad immaginare come potesse essere la situazione più a Nord. Almeno la dispensa della nave della Regina era ben fornita di quel rosso di Arbor che gli piaceva tanto. Aveva iniziato un po’ tutti al bere, anche la Regina, che ora non disdegnava affatto una coppa durante le riunioni, o anche più di una da quando aveva perso Vyserion.

Per questo Tyrion si stupì quando Daenerys rifiutò la coppa che Missandei le porgeva. Nella cabina della Regina, la più grande della nave, tutte le sere prima di cena, tenevano una piccola riunione, anche se la maggior parte delle volte non c’erano novità da segnalare. Per fortuna quella tortura stava per finire. In soli due giorni avrebbero finalmente raggiunto Porto Bianco.

“Quanti giorni di vantaggio abbiamo su Immacolati e Dotraki?” chiese Jon, che era il più impaziente di tutti. Spesso Tyrion lo aveva visto starsene in piedi a prua, anche sotto le intemperie, forse sperando di avvistare la terra ferma. Il capitano della Mhysa gli aveva raccontato che spesso aiutava anche i marinai nelle loro mansioni.

“Due o tre al massimo” suppose ser Davos “Se non hanno incontrato intoppi dovrebbero essere in prossimità di Harrenhal ora”

“Di quali intoppi parli ser?” chiese Varys con suo solito tono leggero che non lasciava mai trasparire le sue emozioni.

“Nessun intoppo in particolare Lord Varys, ma spesso le cose non vanno come vorremmo. Magari il Tridente è ingrossato dalle piogge e avranno avuto difficoltà ad attraversarlo”

“Ser Davos ha ragione. Le Terre dei Fiumi sono insidiose e, datemi pure del paranoico, ma non mi fido di Cersei” Jon spalleggiò il suo consigliere.

“Mio fratello ha giurato di combattere al nostro fianco” dovette intervenire per troncare sul nascere la situazione “Checché se ne dica è un uomo d’onore. E Cersei rispetterà la tregua, sa bene che non le conviene infrangerla”

Daenerys lo guardò a fondo con uno sguardo a metà tra il confuso e lo stupito. Probabilmente non lo aveva mai sentito parlar bene dei suoi fratelli, non di Cersei almeno.

Riempì di nuovo la sua coppa, e si sporse di nuovo per riempire la coppa della Regina, ma lei rifiutò con cortesia. Qualcosa gli sfuggiva, Daenerys ostentava una calma e una serenità che non le aveva mai visto. Nei giorni precedenti rispondeva alle loro considerazioni con la sua solita impulsività, pronta ad elargire punizioni agli alleati, qualora l’avessero tradita. Quella sera invece era rimasta in silenzio ad ascoltare i loro battibecchi, senza prendere una posizione su come comportarsi una volta raggiunto Grande Inverno. Aveva solo dato l’assenso al piano di Jon su come presentarla ai Lord del Nord, piano che nei giorni precedenti si era premurata di rifiutare più volte. E in risposta al suo assenso aveva ricevuto un bel sorriso dall’ex Re del Nord. L’intesa tra i due si era rafforzata non poco negli ultimi tempi, da quando Jon le aveva giurato fedeltà. Daenerys teneva molto in considerazioni le opinioni del Re del Nord riguardo alla guerra, e Tyrion condivideva questo suo comportamento. Era un po’ più preoccupato per i problemi politici che potevano nascere da un’alleanza così forte. Cersei non era magnanima e di certo avrebbe fatto di tutto per spezzare quell’unione. E lui non poteva permettere che quell’alleanza andasse in frantumi ad un passo dall’ Apocalisse.

 

“Il mio Lord voleva parlarmi” Lord Varys chinò il capo entrando nella sua cabina.

“Entra mio caro amico” l’eunuco lo guardò con circospezione.

Varys si accomodò sulla poltrona ai piedi del letto. Tyrion gli offrì del vino, camminando avanti e indietro per la piccola camera.

“Ho ragione di temere che la nostra alleanza sia in bilico” disse infine.

Varys lo squadrò ancora a lungo soppesando bene le parole: “Condivido la tua preoccupazione, mio Lord. Questa amicizia tra la nostra Regina e Lord Snow è, per così dire, pericolosa. Ma rispondi alla mia domanda, non sarebbe più pericoloso per tutti noi ostacolarla? Se tra loro dovesse scorrere cattivo sangue cosa accadrebbe alla nostra guerra”

“Forse hai ragione, Lord Varys. Mi preoccupo inutilmente per una cosa che non posso impedire. Né tantomeno lo voglio” concluse con un sospiro. Lord Varys non sarebbe stato un alleato per lui in quel frangente. Dopotutto l’eunuco serviva il Reame, o almeno era quello che professava da anni, e la miglior opzione per il Reame erano pur sempre quei due giovani. Avrebbe fatto bene a tacitare i suoi presentimenti e a continuare a servire al meglio la sua Regina anche lui se non voleva finire in pasto a Drogon. Eppure nello sguardo di Varys, mentre lasciava la sua cabina, scorse complicità.

Si versò un’altra coppa di rosso d’Arbor e si recò all’oblò della sua cabina. L’oscurità premeva contro il vetro opaco, solo lo sciabordare delle onde attutito dalle pareti di legno disturbava il silenzio che regnava sulla Mhysa.

Pochi passi silenziosi fuori dalla cabina lo ridestarono dai suoi pensieri. Restò in ascolto, immobile, con le orecchie tese. Alla fine decise di arrischiare una sbirciata fuori dalla porta. Jon Snow era in piedi davanti alla porta della cabina della Regina, una mano poggiata allo stipite. Con l’altra mano seguiva lo stemma di metallo a forma di drago, indeciso sul da farsi. Pochi colpi decisi ruppero il silenzio e Tyrion seppe di non poter più impedire l’inevitabile.

 

 

[DAENERYS]

Missandei si era congedata da pochi minuti, dopo averle preparato un bagno caldo ed averla aiutata ad indossare gli abiti per la notte. Ma invece di mettersi a letto, aveva indossato l’elegante mantello nero che Jon le aveva donato e si era seduta sulla poltrona di legno intarsiato di fianco al letto. Sul tavolino da toeletta teneva spiegata una mappa dettagliata del Nord, ripassando il piano di difesa ideato da Jon. Ma quei castelli, quelle montagne e quei boschi erano sconosciuti per lei, quanto lo erano stati tutti i luoghi che aveva visitato e poi conquistato. Seguì la linea della Barriera dalla Torre delle Ombre al Forte Orientale, indugiando per qualche attimo sul Castello Nero. Ripensò a quel poco che sapeva sui Guardiani della Notte e al loro ultimo Lord Comandante. Quel Jon Snow a cui si era legata tanto, in così poco tempo. Aveva imparato ad amare suo marito Drogo, molti anni prima, e aveva creduto di amare Daario Nahariis, prima di lasciarlo a Meeren a guidare la rinascita della Baia dei Draghi, ma le sensazioni che provava con Jon le sembravano sconosciute, diverse da qualsiasi sentimento provato prima. Si ritrovò a giocherellare con la spilla a forma di meta-lupo che aveva tolto dal mantello e ora portava al collo, agganciata ad una sottile collana d’argento, unico cimelio di sua madre, la Regina Rhaella, che era riuscita ad impedire a Viserys di vendere.

Pochi colpi alla porta la riportarono al presente. Si mosse quasi d’istinto, senza chiedersi chi fosse. In pochi passi raggiunse la porta e la aprì.

“Jon?” sussultò piacevolmente sorpresa di vederlo. Fece un passo di lato per lasciarlo entrare. “Sono felice che tu sia qui”

Richiuse la porta alle sue spalle prima di parlare. “So che potrebbe sembrare disdicevole…” Jon era a disagio e lei sapeva il perché.

“Non lo è” Daenerys pose un dito sulle labbra di lui con uno slancio.

Jon sospirò il suo nome. “Daenerys…”

“Mi piace” gli sorrise.

“Cosa?” chiese Jon disorientato.

“La tua voce profonda che pronuncia il mio nome” portò la mano tra i capelli scuri di lui.

Jon chiuse per un attimo gli occhi al tocco di lei ma restò immobile, leggermente imbarazzato. Dopo qualche attimo di esitazione parlò: “L’altra sera quando mi hai chiesto se avessi un desiderio, ricordi la mia risposta?”

“Certo che la ricordo. Non è più così Jon Snow?” chiese cercando di camuffare la sensazione di disagio che la cosa le suscitava.

“Ovviamente è ancora così. Per questo sono qui” sorrise per rassicurarla e si chinò a baciarla brevemente.

Si rese conto che in qualche modo lo stava aspettando. Attendeva che lui avesse abbastanza coraggio da bussare alla sua porta. Il ricordo del loro bacio la seguiva insieme al mantello nero che ormai indossava ogni volta che aveva freddo, e ogni volta le sembrava che Jon la stesse abbracciando, trasmettendole sicurezza. Si ritrovò a giocherellare con la spilla che appuntava il mantello.

“Mi chiedevo dove fosse il fermaglio a forma di Meta-Lupo” sorrise lui vedendola abbassare lo sguardo, leggermente imbarazzata.

“Vediamo se sei abbastanza audace da scoprirlo da te” lentamente prese la mano di lui e la portò al suo collo. Jon capì immediatamente e armeggiò col fermaglio a forma di drago, lasciando cadere il mantello alle sue spalle. La spilla che Jon cercava luccicò posata sul suo petto, suscitandogli un sorriso raggiante.

“Posso restituirtela se vuoi”

“Te l’ho donata. Ricordi?” scherzò lui. “Quando io e Robb compimmo 12 anni, a poche settimane l’uno dall’altro, nostro padre ci regalò due spille identiche e ci disse che qualunque cosa il futuro avesse in serbo per noi, quel dono ci avrebbe ricordato chi siamo e che il suo sangue scorreva nelle nostre vene. Fu anche la prima volta che ci permise di usare le spade affilate”

“Ecco perché dovresti tenerla tu. Significa molto per te”

“Voglio che la tenga tu. Magari un giorno significherà molto anche per te”.

“È già importante per me”

Jon sorrise ancora e la sollevò appena per baciarla. Senza indugi stavolta. La danza di labbra e lingue riprese esattamente da dove si era interrotta, come se fossero passati solo pochi istanti. I loro sospiri si confondevano rendendo impossibile capire chi dei due avesse emesso quale. La foga del momento la portò a fare qualche passo indietro, verso il letto, trascinando Jon con se. Con rapidità sciolse il gilet di lui e glielo sfilò, lasciandolo in camicia. Con le mani seguì i muscoli della sua schiena, sentendoli tendersi e rilassarsi sotto le sue dita.

Jon dal canto suo era più accorto. La teneva con delicatezza per i fianchi, come se avesse paura che lei l’avesse respinto se si fosse spinto troppo oltre. Era lei a guidare le danze e la cosa le piaceva. Sfilò la camicia di lui e anche nella luce fioca delle candele notò le profonde cicatrici sull’addome e sul petto. Ma non ci badò a lungo. Guidò le mani di Jon a slegare la sua veste azzurra da notte, restando nuda davanti a lui. Nel frattempo Jon si era liberato dei calzari e dei pantaloni senza smettere di baciarla. La sollevò delicatamente per aiutarla a salire sul letto e lei lo trascinò su di se aggrappandosi alle sue spalle. Jon spostò le sue labbra sul collo di lei, provocandole un gemito di piacere.  

“Jon…” gli sussurrò all’orecchio prima di incatenare le sue gambe dietro la schiena di lui. Sentì la sua virilità premere sul suo ventre e lentamente, con una mano, lo guidò dentro di se, gemendo d’estasi in risposta all’espressione di piacere di lui.

Con una leggera spinta si ritrovò sopra Jon che cominciò ad esplorare il suo corpo con le mani. C’erano percorsi di piacere sotto la sua pelle che non sapeva si potessero percorrere. Jon li tracciò per lei, insieme a lei. L’amò piano all’inizio, poi più intensamente, seguendo il ritmo dei suoi gemiti. Si trovarono subito in armonia e la cosa la spiazzò. Jon era con lei ad ogni spinta, anticipava i suoi bisogni come lei faceva con lui. Rotolarono ancora e ancora l’uno sull’altra, l’una con l’altro, e poté vedere la passione e il piacere traboccare dagli occhi del suo amante. Raggiusero il climax nello stesso momento e crollò su di lui senza fiato, esausta, ma felice come non lo era da tempo. Dopo un po’ cercò di sdraiarsi al suo fianco, ma lui la fermò trattenendola in un abbraccio, mentre con l’altra mano tirava un lenzuolo a coprirli fino alla vita.

Daenerys si appoggiò al suo petto, spostando la lunga treccia argentea dietro la spalla. Con l’indice seguì le cicatrici sul suo petto e sugli addominali. “Queste sono le coltellate di cui parlava Ser Davos, vero?” chiese stringendolo. “È per questo che Guardiani della Notte non ti hanno bollato come disertore?”

“È una storia molto lunga. Sei sicura di volerla ascoltare?” Jon non aveva smesso un attimo di accarezzarle la schiena nuda.

“Mi piacerebbe conoscere meglio il Lord Comandante dei Guardiani della Notte, tutto qua” concluse con un sorriso al quale non poter dire di no. “O magari, se non me ne vuoi parlare, come tua Regina, posso ordinartelo” aggiunse con tono falsamente autoritario.

Lo ascoltò raccontare del perché si era unito alla confraternita in nero, dei dissapori iniziali con i confratelli, della scomparsa di suo zio, Benjen Stark, e della spedizione a nord del Lord Comandante Mormont per cercare l’esercito del Re Oltre la Barriera, Mance Rayder, e della finta diserzione.

“È stato allora che ho conosciuto Ygritte” Jon la guardò da sotto le palpebre, con uno sguardo quasi preoccupato.

Daenerys capì cosa lo turbava. “Era importante per te?” Jon annui. “Puoi parlarmi di lei, se vuoi”

Così lui continuò il suo racconto. Parlò della scalata alla Barriera e di come e perchè aveva tradito la fiducia della donna che amava, della Battaglia del Castello Nero e dell’arrivo di Stannis, ed infine, dell’elezione a Lord Comandante e del patto con il Popolo Libero che gli era costato la vita.

“È stata Lady Melisandre, vero? Ti ha riportato lei in vita”

“Ser Davos l’ha convinta a farlo, si. Come hai fatto a…?” Jon era stupito dal suo acume.

“Il culto del Dio Rosso è molto diffuso a Essos. Ho sentito e imparato a mie spese molte cose sui poteri dei preti rossi e sulle magie del sangue” gli rivelò.

Jon la tirò verso di se per baciarla. “So del tradimento della maegi. Non deve essere stato facile per te, lontana da casa”

Casa. Per quanto tempo aveva attraversato il mondo per cercarla? L’aveva bramata, desiderando più di ogni altra cosa al mondo un posto da chiamare casa. Aveva sconfitto più nemici di quanti ricordasse per raggiungerla e aveva provato delusione quanto nella bellezza e nella maestosità di Roccia del Drago aveva visto solo l’ennesima fortezza in cui passare pochi momenti prima di riprendere la sua ricerca. Ed ora l’aveva finalmente trovata. Non era un luogo quello che cercava. Casa era nei sorrisi di Missandei, nella rigidità di Verme Grigio e nei grugniti di Ser Jorah. Il suo lungo e solitario viaggio era giunto al termine, tra le braccia di un uomo del Nord scolpito nel ghiaccio eppure caldo come il fuoco di drago.

 

 

 

[BRAN]

Da giorni ormai aveva smaltito la febbre, ma le continue tempeste di neve non gli permettevano di passare il tempo che voleva nel Parco degli Dei. I giorni erano diventati più cupi e solo raramente il sole riusciva a far capolino dalle possenti nuvole cariche di bufera. La Lunga Notte avanzava incessantemente e lui non aveva ancora imparato ad usare il suo dono in modo appropriato. Era come se il raggio d’azione delle sue visioni fosse in qualche modo ostacolato da qualcosa, o da qualcuno. Da giorni non riusciva a controllare i Sogni dell’Oltre. Arya credeva fossero gli effetti della febbre ma Bran sapeva che il motivo era più profondo, più oscuro. Era la Lunga Notte ad interferire. Più l’oscurità calava su Grande Inverno e meno lui riusciva a farsi largo nell’intricata matassa che era il passato. I sogni erano sempre meno nitidi e sempre più difficili da gestire. Un attimo prima stava rivivendo le guerre dei primi uomini e un attimo dopo si ritrovava catapultato a nord, nel tempo in cui la Barriera veniva costruita.

L’unico con cui parlava apertamente dei suoi sogni era Samwell Tarly. Il giovane Guardiano della Notte era l’uomo più colto che avesse conosciuto dalla morte di Maestro Luwin. Conosceva la storia dei Sette Regni molto bene e lo aveva aiutato spesso a capire quale epoca aveva visitato o il perché di alcune cose accadute. Insieme avevano districato il turbine di eventi che avevano portato alla caduta dei Targaryen e alla nascita di Jon.

Tuttavia c’era un sogno di cui non gli aveva mai parlato: un Albero Diga millenario, avvolto nella nebbia, che nasceva direttamente da un lago ghiacciato. Quando si avvicinava scorgeva un uomo inginocchiato davanti a esso e anche da molto lontano riusciva a percepire la sua paura davanti al volto grave, iracondo inciso sul tronco bianco. Quando provava ad avvicinarsi il vento glielo impediva. Il manto di foglie rosse, sferzato dal vento, si alzava di fronte a lui come un muro e gli impediva di continuare. E Bran urlava, chiamando a gran voce l’uomo, ma questi sembrava non udirlo o non volerlo fare. All’improvviso il gelo calava sulla piccola radura dell’Albero Diga e lui veniva sbattuto fuori dalla sua visione. Più volte aveva tentato di resistere ma mai vi era riuscito.

Il Parco degli Dei era immerso nella nebbia quella mattina, quando Bran, accompagnato da Samwell Tarly aveva raggiunto l’Albero Cuore.  

“Ho pronunciato il mio giuramento nei Guardiani della Notte davanti ad un Albero Diga, eppure ogni volta che ne vedo uno non posso che provare paura e soggezione davanti ai volti scolpiti in essi” disse il giovane Tarly distogliendo lo sguardo.

“Non aver paura. Gli antichi Dei vivono in essi, Sam. E da migliaia di anni proteggono il nord e le sue genti” lo rassicurò.

“Ti lascio solo, mio Lord. Lady Sansa ha chiesto di vedermi”

“Ma certo Sam” lo salutò con un cenno del capo.

Spinse la sedia con le ruote fino alle radici sporgenti dell’Albero Diga pluricentenario e posò una mano sul volto scolpito nel legno.

Le porte di una fortezza si aprirono davanti a lui. La Fortezza Rossa di Approdo del Re. Camminò a lungo per i giardini della fortezza. Uomini d’arme si allenavano nel cortile, ma Brandon non fece molto caso a loro. Continuò la sua esplorazione fino a raggiungere la biblioteca della Fortezza. Un giovane sedeva ad uno dei tavoli di legno istoriati. Aveva i capelli biondo-argento e gli occhi color ametista tipici dei Targaryen, e indossava una tunica interamente nera con l’emblema del Drago a Tre Teste cremisi cucito sulla schiena. Il principe Rhaegar capì osservandolo meglio. Girò intorno al tavolo per scorgere il libro che il giovane stava sfogliando, ma esattamente in quell’istante il principe ereditario richiuse il tomo con un gesto secco e si affrettò all’uscita. Brandon lo seguì fino al cortile degli addestramenti e lo sentì parlare con il maestro d’armi.

“Ser Willem, ho bisogno di un’armatura e una spada. Sembra che io debba diventare un guerriero e vorrei fossi tu ad insegnarmi”

“Sarà un onore per me, mio principe” il cavaliere si inchinò di fronte a lui “Credo che allenarti con Arthur possa aiutare entrambi ad imparare a duellare”

La scena mutò. Rhaegar aveva qualche anno in più e stava scrivendo di suo pugno una lettera. Parlava di draghi, di profezie e di un canto. Il canto del ghiaccio e del fuoco. Sul tavolo lì di fianco altre missive erano sparse alla rinfusa. Bran diede un occhiata veloce e individuò il corrispondente del principe, il suo prozio Aemon, maestro dei Guardiani della Notte.

Il sogno mutò ancora. Il principe Rhaegar, ormai uomo, stringeva tra le braccia il suo primogenito maschio, seduto sul letto di fianco a quella che era sicuramente la principessa Elia di Dorne, sua moglie.

“Aegon. Quale miglior nome per un Re” sorrise il principe.

“Comporrai una canzone per lui” chiese la donna.

“Ha già una canzone” rispose “Lui è il principe che fu promesso, e suo è il canto del Ghiaccio e del Fuoco”.

Ma Bran sapeva come la guerra era stata crudele con quel neonato. Ucciso da Gregor Clegane, la Montagna, quando aveva solo pochi mesi. E dal nulla ebbe un’intuizione. Il principe che venne promesso non era il piccolo sventurato in braccio al principe, ma il suo fratello minore, nato poco tempo dopo nelle lande Dorniane.

Suo è il canto del Ghiaccio e del Fuoco.

Ritornò in se per qualche istante sbalordito dalla scoperta che aveva appena fatto. Avrebbe dovuto parlarne con Samwell Tarly, magari lui conosceva il canto di cui il principe Rhaegar parlava nella sua visione. Più tardi l’avrebbe senz’altro fatto, ma ora gli Antichi Dei richiamavano ancora la sua attenzione. E le sue visioni lo riportarono di nuovo nella Fortezza Rossa di Approdo del Re.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 - THE GOLDEN COMPANY ***


CAPITOLO 3 - LA COMPAGNIA DORATA

CAPITOLO 3 – THE GOLDEN COMPANY

 

 

[SANSA]

Il giorno della partenza di Jon per incontrare la Regina Daenerys Targaryen aveva giurato a se stessa che avrebbe protetto la sua casa e il retaggio degli Stark anche a costo di mettere in gioco la sua stessa vita. E così aveva fatto.

Grazie all’appoggio di Arya e Bran era riuscita finalmente a liberarsi dai giochetti perversi di Ditocorto. Non poteva negare che c’era stato un attimo in cui le parole del mellifluo Lord della Valle avevano instillato in lei dei dubbi. Dubbi sulla legittimità e sulla competenza di Jon quale sovrano del Nord. Ma il tutto era durato poco più di un battito di ciglia. Dopo anni, Sansa Stark aveva imparato a non fidarsi di nessuno. Si era fidata di Cersei Lannister, raccontandole il piano di Lord Eddard di rimandare lei e sua sorella a Grande Inverno e questo aveva causato, in parte, la morte di suo padre. E poi si era fidata di Petyr Baelish che per tutta risposta l’aveva venduta ai Bolton.

C’era sempre stato un limite che Sansa aveva preferito non superare, forse per paura o magari per semplice decenza. Un tempo era stata Lady, la sua Meta-Lupa, a superarlo per lei, sfogandosi nelle lunghe battute di caccia insieme ai suoi fratelli. Ma grazie a Cersei Lannister e al suo stupido orgoglio, aveva dovuto imparare a controllare i suoi impulsi senza l’aiuto della sua metà libera dai doveri di una Lady. Fino al giorno in cui aveva lasciato che Ramsay Bolton venisse sbranato dai suoi stessi mastini, il giorno in cui la sua famiglia era tornata a Grande Inverno. E ora che il branco era di nuovo unito si sentiva finalmente completa, ma non di certo appagata. Baelish aveva pagato per il suo tradimento nei confronti del Lord suo padre, ma c’erano altri che complottavano e avevano complottato nell’ombra contro casa Stark. La regina folle, Cersei Lannister, poteva anche aver concesso una tregua nella guerra per il Trono di Spade, in vista dell’oscurità che incombeva su tutti loro, ma Sansa sapeva bene che sarebbe stata pronta a tradirli alla prima occasione utile. Jon e Daenerys Targaryen si erano fidati della sua parola, o almeno era quello che Brienne e Podrick le avevano raccontato al loro arrivo a Grande Inverno. A quanto dicevano, era stato Tyrion Lannister a convincere la sorella che la minaccia degli Estranei fosse reale. Ma in tutta franchezza Sansa aveva preferito fidarsi solo del proprio istinto, e aveva dato ordine che Grande Inverno si preparasse per affrontare un assedio. I cacciatori erano rientrati in pochi giorni, raccontando di branchi interi di animali che migravano verso sud. Scoiattoli, pecore, cervi, alci e persino lupi e orsi si dirigevano a sud spinti dai venti freddi dell’inverno. Questo aveva favorito la venazione e rimpinguato non poco le scorte di Grande Inverno. Cosa di cui Sansa era grata.

Come tutte le volte che si teneva una riunione nella Sala Grande, i Lord non lesinavano di mostrare il loro malcontento verso il loro Re assente. Le voci sulla missione a nord della Barriera avevamo raggiunto Grande Inverno e, di comune accordo con Arya e Bran, Sansa aveva deciso di raccontare ai Lord alfieri la verità sulle azioni di Re Jon.

Esattamente come si aspettava accadesse, il concilio allargato di tutti i Lord del Nord insorse in una miriade di proteste confuse e rabbiose nel ricevere la notizia del giuramento di fedeltà che, l’ormai ex Re del Nord aveva prestato alla causa di Daenerys Targaryen. A lungo urlarono l’uno contro l’altro, e tutti insieme contro la decisione di Jon Snow.

Sansa attese con pazienza che gli animi si placassero da se. Dopotutto lei stessa aveva provato un moto di incertezza mista a rabbia nel leggere il messaggio che recava la notizia. Arya, al contrario, si agitava visibilmente infastidita dal malcontento verso Jon, con una mano posata sull’elsa di Ago. Aveva sempre amato Jon come gli altri fratelli, e forse anche di più. E dal momento in cui lo aveva rivisto, non era passato giorno in cui Sansa non si fosse vergognata per il modo in cui aveva trattato il fratello negli anni precedenti alla sua partenza per Approdo del Re.

Quando gli uomini si placarono fu la giovane Lyanna Mormont a prendere la parola. La Lady di Isola dell’Orso era la prima sostenitrice del Re del Nord, ma non cercò in alcun modo di nascondere la sua delusione.

“Il Nord aveva giurato che mai più si sarebbe inginocchiato ad un Targaryen. Ha combattuto per questo” disse con il suo solito tono deciso e risoluto. “Il Re del Nord ha tradito la fiducia che abbiamo riposto in lui, mia Signora”  

Lord Royce annuì con convinzione. “La Valle di Arryn non si piegherà all’invasore straniero. In noi scorre il sangue dei Primi Uomini” esclamò orgoglioso.

Arya spostò il peso da un piede all’altro, facendo scricchiolare il palco di legno sotto i suoi piedi.

“Capisco le vostre preoccupazioni e la vostra rabbia, miei Lord e Lady. Ma lasciate che vi ricordi una cosa. Tutti noi, me compresa, abbiamo riposto la nostra fiducia in Jon”. Sansa riprese fiato, fissando negli occhi la giovane Mormont. Sapeva bene che convincendo lei avrebbe convinto anche gli altri Lord, come già era accaduto in passato. “E lo abbiamo fatto perché sapevamo che, a qualunque costo, avrebbe fatto ciò che è meglio per il Nord. E posso assicurarvi che questo non è in alcun modo cambiato”

Lord Glover e Lord Manderly si scambiarono un’occhiata dubbiosa. Fu quest’ultimo ad intervenire. “Mia Lady, le tue azioni contraddicono le tue parole. Grande Inverno è in assetto da assedio da quasi una settimana” fece notare “Si potrebbe pensare che ci stiamo preparando a difenderci da un invasore”

“È esattamente quello che stiamo facendo, Lord Manderly” rispose con tono autoritario. Arya sorrise al suo fianco. “Tuttavia quell’assedio non verrà dagli alleati del nostro Re. Quando arriveranno, le porte di Grande Inverno saranno aperte ad accogliere la Regina Daenerys Targaryen e i comandanti del suo esercito. Tra i quali, se ricordo bene, occupa una posizione di rilievo Ser Jorah Mormont” Sansa rivolse il suo sguardo verso Lady Lyanna.

L’espressione della giovane si indurì, colpita sul vivo. “Mio zio Jorah ha tradito la sua famiglia e tutto il Nord…” cominciò.

“Sam lo ha incontrato di recente” intervenne Bran, fino a quel momento silenzioso e tranquillo come suo solito. “Chiedi a lui di tuo zio, mia Lady”.

Samwell Tarly trasalì, chiamato in causa all’improvviso. Dopo qualche istante però sembrò ritrovare un po’ di coraggio e parlò con sicurezza. “Ser Jorah è un brav’uomo, Lady Mormont. Potrai vederlo con i tuoi occhi quando arriverà”

Sansa fu grata di quelle parole. Ma ancora non bastava a convincerli, c’erano ancora uomini che scuotevano il capo, testardi e fermi sulle loro posizioni.

“Daenerys Targaryen guida un esercito potente, miei Lord. Grande quasi tre volte il nostro. E ha i draghi. Sapete meglio di me che sarebbe un nemico difficile da affrontare. Ma possiamo fare di lei una nostra alleata, seguendo la strada che Re Jon ci ha indicato. Quando gli Estranei saranno sconfitti potremo decidere di chiederle l’indipendenza delle nostre terre se lo riterremo opportuno. Sono certa che ascolterà le vostre ragioni quando sarà il momento”

Sua madre le aveva insegnato che una vera Lady deve saper imporre se stessa e la sua opinione in un concilio di uomini. Ma fu alla voce da Lord di suo padre che Sansa si ispirò in quel momento, a come gli uomini lo seguissero senza la minima esitazione. E in qualche modo funzionò.

 

“Bel discorso” le fece eco Arya quando si sedette accanto a lei per il pranzo. “Ma se non fosse stato per Sam Tarly avresti potuto finire sgozzata sai”

Sansa sorrise stancamente, ripensando a come in qualche modo aveva convinto anche se stessa che Jon avesse preso la decisione giusta. Osservò gli altri Lord seduti tutt’intorno nella sala, al di sotto del palco della famiglia Stark. Il vociare copriva a sufficienza le loro voci permettendogli di poter parlare indisturbate “Non finisce di certo qui. Li conosco. Questa pantomima si ripeterà quando Jon e la Targaryen saranno qui”

“Credo che dovremo cominciare a chiamarla Regina. Sai per farci l’abitudine” sorrise Arya, la bocca mezza piena come faceva da ragazzina.

“Forse hai ragione” le lanciò uno sguardo indagatore. “Ho sentito che il tuo amico è un fabbro eccezionale. Quando ti deciderai a dirmi come lo hai conosciuto?” aggiunse indicando il tavolo più lontano dal palco.

La sorella più giovane le aveva parlato delle peripezie seguite alla fuga da Approdo del Re, di Harrenal, del Mastino e di come si fosse trovata alle Torri Gemelle mentre nella Sala di Lord Frey veniva trucidata la sua famiglia. E le aveva raccontato del suo periodo a Braavos. Ma non aveva mai nominato quel giovane avvenente e sempre un po’ imbronciato che quando non brandiva il suo martello da fabbro imbracciava un martello da guerra e teneva testa ai Cavalieri della Valle e agli uomini del Nord nel cortile degli addestramenti. Solo Arya riusciva a batterlo, quando lo affrontava, di tanto in tanto, sfuggendo ai suoi attacchi e continuando a ripetergli quanto fosse lento.

“Abbiamo viaggiato insieme per un po’ di tempo. Quando sono fuggita da Approdo del Re” rivelò infine. “Dopo Harrenal ci siamo separati. La Donna Rossa lo ha comprato per sacrificarlo al suo stupido Dio”

“E perché avrebbe voluto sacrificare un giovane fabbro?” Sansa sentiva che c’era qualcosa che Arya non le diceva e questo la rendeva inquieta.

“D’accordo si chiama Gendry” Arya si morse il labbro, indecisa. “Ma se vuole dirti chi è sarà lui a farlo” si lamentò Arya prima di andarsene stizzita.

 

Dal cortile degli addestramenti si sentivano le urla dei soldati che incitavano questo o quel contendente. Adrian Cassell, il comandante delle guardie di Grande Inverno, aveva organizzato dei piccoli tornei per invogliare gli uomini ad allenarsi più spesso e con più intensità. Quel pomeriggio le mischie si erano risolte a due contendenti: lo stesso Cassell e il giovane Gendry.

Sansa e Arya osservavano l’ultimo duello dalla balconata. Poco dietro Bran e Samwell Tarly bisbigliavano concitati. Anche Brienne osservava il duello con vivo interesse.

“Cosa avranno da dirsi quei due proprio non lo so” sbuffò Sansa, infastidita dal fatto che il fratello si confidasse con il Tarly piuttosto che con le sue sorelle.

“Non che mi interessi” risolse Arya con un’alzata di spalle, lo sguardo fisso sui due uomini che combattevano. “Qualcuno dovrebbe fermarli prima che uno dei due ci lasci le penne”

“Quindi ti preoccupi per il tuo bel fabbro?” la canzonò con un sorriso.

“Sei tu quella che fai gli occhi dolci al capitano delle guardie”

Mentre loro parlavano il duello si era fatto ancora più aspro e duro. Gendry incombeva sul suo avversario grazie al superiore allungo del suo martello da allenamento rispetto alla spada di Adryan, che tuttavia si difendeva indietreggiando vistosamente. Infine, rapido come un lupo che azzanna la sua preda, Adrian Cassell si abbassò sotto un colpo trasversale del martello i Gendry e lo colpì al torace in affondo. Gendry stramazzò nella neve fresca, tossendo dolorante e riconoscendo la vittoria al suo avversario.

“Devo parlare con lui” Sansa si rivolse a Brienne “Convocalo nel mio solarium, per favore, Lady Brienne. Anche il comandante Cassell.” Arya le tenne dietro imprecando.

 

Dopo poco più di mezz’ora, Gendry le raggiunse nel suo solarium, nella Seconda Fortezza, scortato da Adryan Cassell. Il tepore diffuso dal fuoco rendeva l’aria piacevole in contrapposizione al freddo gelido del cortile degli allenamenti. Il capitano delle guardie salutò con rispetto le Lady di Grande Inverno. Gendry, d’altro canto, scoccò ad Arya uno sguardo interrogativo e a Sansa uno carico di preoccupazione.

“Grazie di essere qui” cominciò dopo aver congedato la cameriera che aveva servito il vino. “So che la fucina di Grande Inverno ha ricominciato a lavorare come faceva al tempo di Mikken. E per questo devo ringraziare te, Gendry. E sono lieta di sapere che tu abbia già fatto la conoscenza di nostro fratello Jon”

Gendry sembrò trovare rassicuranti le sue parole, ma restò in silenzio. Fu Arya ad andare in suo aiuto. “Sei il solito fifone. Mia sorella non vuole la tua testa, ti ha appena ringraziato per il tuo lavoro”

“Sono felice di questo, milady” cominciò titubante “E sono felice di aver combattuto e di poter combattere al fianco di Jon e del Nord”

Sansa non mancò di notare che si rivolgeva a Jon chiamandolo per nome, quando verso di lei aveva usato tutta la cortesia che poteva.

“C’è una cosa di me che dovresti sapere. Jon ne è a conoscenza e anche Lady Arya” sua sorella sembrava sul punto di estrarre la spada per ripagarlo. Odiava essere chiamata Lady. “Mio padre era Robert Baratheon. Sono il suo bastardo”

Dovette ricorrere a tutti gli insegnamenti di sua madre e della sua septa sui comportamenti di una Lady per nascondere la sorpresa.

Grande Inverno era piuttosto affollata e caotica, tanto che Sansa aveva visto Gendry solo poche volte da vicino. Ma ora che poté osservarlo con attenzione vide chiaramente la somiglianza con l’unico vero giovane Baratheon che aveva conosciuto, Lord Renly. Come lo zio aveva folti capelli scuri e gli stessi occhi azzurro cielo. E per di più in allenamento maneggiava un grande martello da guerra, come suo padre quando sul Tridente aveva sconfitto e ucciso il principe Rhaegar.

“Al Nord non si disprezzano i figli illegittimi. Non più” risolse con convinzione “Cersei Lannister è a conoscenza delle tue origini?”

“Mi sono nascosto sotto il loro naso ad Approdo del Re negli ultimi tre anni, quindi credo di no” disse convinto.

“Se lo sapesse cercherebbe certamente di farti uccidere. Tuttavia un erede di casa Baratheon potrebbe essere un valido alleato per il Nord” Sansa non poté fare a meno di ricorrere agli insegnamenti di Ditocorto “E Daenerys Targaryen potrebbe vederti come un avversario per il Trono se venisse a conoscenza delle tue origini”

“Jon e Ser Davos mi hanno detto la stessa cosa. Ma io non voglio il Trono di mio padre. Sono un fabbro… e un guerriero, non un Re”

“Questo gioca senz’altro a tuo vantaggio. E visto che siamo alleati anche a nostro” convenne Sansa “In cambio della tua pretesa al Trono potresti chiedere il seggio di Capo Tempesta. Ti spetta di diritto”

Le forze di Capo Tempesta unite a quelle del Nord, della Valle di Arryn e delle Terre dei Fiumi avevano già messo fine ad una dinastia lunga centinaia di anni. Se a queste forze si aggiungevano gli eserciti di Daenerys Targaryen la guerra contro Cersei Lannister cominciava ad assumere i contorni della Ribellione di Robert.

Questo se non ci fossero state battaglie più importanti da combattere. “Temo che dovremo rimandare questi discorsi a tempi migliori. Nostro fratello Bran dice che la Lunga Notte è vicina” fece una pausa prima di rivolgersi al capitano delle guardie. “Gendry è nostro ospite oltre che nostro alleato. Cercate di non uccidervi durante gli allenamenti”

Adrian sorrise “Aye, mia Lady. Ci proveremo”

 

 

[JON]

Erano sbarcati a Porto Bianco da più di dieci giorni ed erano partiti immediatamente a cavallo alla volta di Grande Inverno. Quasi due settimane di navigazione senza alcuna preoccupazione immediata avevano fornito a tutti la forza per affrontare le cavalcate serrate che li attendevano per raggiungere Grande Inverno.

Jon aveva guidato sapientemente il gruppo verso nord-ovest ad incontrare la Strada del Re sfruttando la sua conoscenza del Nord per scegliere i luoghi migliori in cui accamparsi. La maggior parte degli uomini era rimasta indietro, agli ordini di Ser Davos Seaworth, con l’incarico di trasportare il Vetro di Drago. Solo un centinaio di uomini cavalcavano con loro. Questo permetteva al gruppo di muoversi in fretta e di accorciare giorno dopo giorno la distanza da casa.

La fretta di raggiungere Grande Inverno e le continue incursioni per controllare i territori che attraversavano ed evitare spiacevoli sorprese lo avevano tenuto così occupato che non era riuscito a passare un momento da solo con Daenerys. Di giorno, Ser Jorah cavalcava al fianco della sua regina, con Tyrion e Missandei appena dietro, e la sera quando si accampavano il campo era sempre caotico e Daenerys si allontanava spesso per stare con i suoi Draghi. Jon sapeva bene che lo faceva per condividere con loro il suo dolore e in qualche modo lenirlo, e anche se avrebbe voluto che Dany si confidasse con lui le aveva lasciato lo spazio che, tacitamente, lei aveva chiesto.

Così aveva continuato a ripensare alla loro notte insieme, sognandone un’altra.

“Dobbiamo vincere. Jon hai un piano?” gli aveva chiesto lei col capo ancora poggiato al suo petto, i suoi capelli biondo-argento che lo solleticavano appena. Le aveva scostato appena i capelli dal viso quando lei si era voltata a guardarlo.

“Abbiamo un esercito inferiore di numero. Almeno fino a quando gli Immacolati, i Dothraki e i Lannister ci raggiungeranno. E anche se abbiamo ancora la Barriera non credo che questa possa fermarli per sempre. Non so come ma il Re della Notte ha un piano per attraversarla. Prima arriveremo a Grande Inverno e meglio sarà. Dobbiamo conoscere tutti i dettagli e…”

“E non vedi l’ora di rivedere la tua famiglia” aveva concluso lei con un sorriso.

“La mia famiglia è al sicuro per ora. Tanto mi basta” aveva ribattuto con dolcezza. Tirandola ancora un po’ a se. “E’ per te che mi preoccupo Daenerys”.

“Io sto bene Jon” aveva provato a glissare lei, a chiudersi tutto dentro ancora una volta.

“Non ti permetterò di farlo” le aveva detto.

“Cosa non mi permetterai?” aveva ribattuto lei con un pizzico d’orgoglio a rimarcare, forse, la sua condizione di regina.

“Di chiuderti tutto dentro e soffrire in silenzio. Permettimi di aiutarti Daenerys, ti ho giurato fedeltà. Ti prego, fidati di me” Aveva insistito lui provando a pareggiare la testardaggine di lei.

“Lo faccio già” dopodiché si era addormentata.

Anche se si allontanava a cavallo per visitare questo o quel villaggio, nemmeno per un attimo era riuscito a pensare a qualcos’altro che non fosse Daenerys: la sua pelle candida, le mani di lei nei suoi capelli, e i loro gemiti trattenuti a stento che si confondevano.

Sarebbe riuscito ad avere un’altra di quelle notti? Ad ascoltarla raccontare del suo passato, di Essos e delle città Libere, degli schiavi che aveva affrancato?  

Quel giorno la Regina cavalcava pochi metri dietro di lui. Non si era sorpreso affatto nello scoprire che cavalcava bene il cavallo quanto cavalcava bene il suo drago. Dopotutto aveva sposato uno dei Signori dei Cavalli ed era stata una Khaalesi. Indossava abiti tipicamente Dothaki, adattati per il freddo. Un Paio di braghe di pelle nera imbottita e una tunica in crine di cavallo bianca come i suoi capelli. 

Jon conosceva bene quella parte della Strada del Re, la Terra delle Tombe, dove i Figli della Foresta avevano affrontato i Primi Uomini nella più sanguinosa delle battaglie. Si accamparono per la notte all’estremo confine sud della Foresta del Lupo, in un villaggio abbandonato per l’inverno. A primavera gli abitanti sarebbero tornati a ridar vita alle loro terre. Negli ultimi giorni avevano percorso molta più strada di quanto credesse. Grande Inverno era a non più di un giorno di marcia.

Diede ordine ai suoi uomini di provvedere al cavallo della regina e raggiunse Daenerys, Missandei, Tyrion e Ser Jorah all’interno del fortino.

“Io devo continuare” disse più a Daenerys che al resto del gruppo “La Strada del Re è sicura in questa zona. Potete passare la notte qui e ripartire all’alba. Ed entro sera sarete a Grande Inverno”.

“Ci lascereste un secondo da soli” chiese Daenerys con un evidente punta di fastidio e i due uomini e Missandei uscirono.

“Porterò con me solo pochi uomini del Nord e il Mastino. Sarai al sicuro fino a Grande Inverno, circondata dai tuoi uomini” quasi si scusò.

“Non ti ho dato il permesso di andare” gli disse accennando un sorriso preoccupato. Ma lo aveva già detto prima della partenza per la missione oltre la Barriera. Ricordava quel momento. Quanto gli era costato dirle addio davanti a tutti i suoi uomini quando avrebbe voluto solo stringerla a se. E quanto era stato difficile marciare fino alla barca senza voltarsi a bearsi ancora della sua bellezza.

“Maestà, io… la mia famiglia” balbettò lui reggendole il gioco.

“Ma certo Jon, è giusto che tu incontri la tua famiglia prima che io arrivi. E non eravamo d’accordo sul fatto che mi chiamassi Daenerys… quando siamo… ecco…” era in imbarazzo.

“Quando siamo soli. Lo so Daenerys” concluse lui. I loro occhi si cercarono per un attimo. Due occhi di un viola intenso come il fuoco di Drago, capace di sciogliere la pietra.

Dovette concentrare ogni fibra di se stesso per mantenere la lucidità. Poi lei fece un passo verso di lui e lo abbracciò. Le campanelle nei capelli che tintinnarono quando poggiò la testa sul suo petto. E ogni buon proposito andò in fumo.

“Ti ho sognata camminare sui bastioni di Grande Inverno, con la neve nei capelli…” le confidò d’impulso.

“E…?” gli fece eco lei.

“La regina del fuoco baciata dal ghiaccio. Non le renderei giustizia con le parole”

“Trova quelle parole se vuoi che io le ascolti, Jon Snow” rispose lei allontanandosi appena.
I loro occhi s’incontrarono ancora. I suoi profondi occhi viola erano appena un po’ lucidi, velati di tristezza. La fragilità che lei era così brava a nascondere alla luce del giorno era evidente tra le sue braccia. Ma sapeva anche che una volta sciolto quell’abbraccio sarebbe tornata ad essere Daenerys Nata dalla Tempesta, Madre dei Draghi.

“C’è qualcos’altro che mi preoccupa Jon. Il drago ha tre teste” disse pensierosa.

“Non capisco cosa intendi” fece lui dubbioso.

“Il drago ha tre teste. Mio fratello lo ripeteva spesso. E anche Rhaegar ne era ossessionato da quanto ne so. E fino ad ora le aveva. O almeno credevo le avesse. Credevo di poterle guidare tutte e tre. Anche senza Viserys, lui non avrebbe mai potuto cavalcare un drago. Ma mi ero convinta che nonostante tutto potessi farlo da sola. Un solo cavaliere per tre draghi. Ma mi sbagliavo Jon. Viserion è morto, come mio fratello di cui portava il nome, e con lui la terza testa del drago. E se accadesse anche a Rhaegal? Jon, loro sono i miei figli, gli unici figli che potrò mai avere. Senza un cavaliere Rhaegal è vulnerabile”.

“Un Targaryen solo al mondo è qualcosa di orribile” ripensò alle parole dell’anziano Maestro Aemon.

Daenerys stava piangendo. Così testarda, così forte eppure versava le sue lacrime proprio lì, tra le sue braccia. Poi pian piano vide il sollievo apparire nei suoi occhi lucidi. Lei si era aperta con lui. Quel muro che aveva percepito quando l’aveva conosciuta, quella distanza dal quale lei gli parlava era ridotta alla stregua di una lacrima. Aveva lasciato che lui entrasse nel suo cuore. Si era fidata come lui le aveva chiesto di fare.  

“Non metteremo a rischio la vita di Rhaegal. Te lo prometto. Non permetterò che un'altra testa del drago cada” provò a rassicurarla. “Presto conoscerai Spettro, forse potrai trovare un po’ di conforto nella sua presenza. Non potrà sostituire Viserion, ma ti sarà legato, come lo sono io, Daenerys”

“Raccontami del tuo Meta-Lupo, Jon.” chiese lei con dolcezza.

“Il suo pelo è bianco come la neve. Quando mi unii ai Guardiani della Notte si confondeva nella neve tanto che i confratelli cominciarono a girare al largo dai cumuli nel cortile degli addestramenti per paura che lui sbucasse da uno di questi. Ma sono i suoi occhi ad incutere il vero terrore nei nemici, rossi come il fuoco. E ha una peculiarità che i lupi dei miei fratelli non avevano, non l’ho mai sentito ululare. Lui ha voce, ma per qualche motivo che non conosco non la lascia uscire. Neanche quando ha percepito la morte dei suoi fratelli”.

“Come fai a dirlo? Come fai a sapere che ha percepito la morte dei suoi fratelli?” lei era incredula, forse un po’ scettica.

“Perché l’ho percepita anche io”. Rispose con schiettezza. “Nei miei sogni di lupo”.

“I sogni di lupo?” chiese ancora lei sorpresa.

“A volte, quando io e Spettro siamo molto vicini, intendo sia fisicamente che emotivamente sogno di correre con lui, di provare le sue sensazioni e di vedere con i suoi occhi. I Bruti chiamano metamorfi le persone che riescono a controllare gli animali. E anche se io non controllo Spettro, non come un metamorfo almeno, posso sentire il collegamento che c’è tra di noi. Lui mi capisce e io capisco lui”.

Adesso lei gli sorrideva. Gli occhi ancora colmi di lacrime.

“Pensavo di sconvolgerti con questi discorsi su metamorfi e creature dai poteri eterei e tu invece mi sorridi”.

“Tu non sai niente, Jon Snow”

“Perché avesti dovuto sconvolgermi? Jon credo fermamente nel legame di cui parli. Drogon è legato a me nello stesso modo. Tranne che per i sogni forse. Se io soffro percepisco il suo dolore di rimando, e se la furia si impossessa di me anche lui diventa irrequieto e furioso”. Lo strinse più forte nel suo abbraccio. “Non sono mi ero mai sentita realmente sola da quando i miei draghi sono nati. Non prima di incontrarti, Jon Snow. Ma ora non sono più sola”.

Si allontanò appena prendendo le mani di Daenerys tra le sue: “Ora devo andare, Daenerys. Ser Jorah ti proteggerà, lui conosce la strada del Re. E anche i miei uomini”

“Fa attenzione” tentò di trattenerlo ancora un attimo lei.

Diede gli ordini ai suoi uomini e presto era di nuovo in viaggio. Aveva intenzione di arrivare all’alba per preparare i suoi alfieri all’arrivo della nuova regina e per preparare il piano di difesa del Nord. E Arya e Bran erano a Grande Inverno. Il Suo stallone nero non lo avrebbe ringraziato per la dura cavalcata notturna che stava per infliggergli. E nemmeno i suoi uomini.

 

 

[JAIME]

Sin da quando era solo un ragazzo aveva odiato le Terre dei Fiumi per via del clima umido e ventoso che, secondo lui, condizionava anche i caratteri delle genti che le abitavano, rendendoli cupi e irascibili, e per via dei terreni instabili e paludosi che rendevano difficoltosa anche una semplice cavalcata. Si era stupito di quanto facilmente fosse riuscito a convincere il Lord di Delta delle Acque e i suoi alfieri a lasciare la loro terra per dirigersi a nord. Il Pesce Nero aveva di certo avuto un ruolo importante in tale decisione, appoggiando Jaime fin dal primo istante. Tuttavia era anche l’uomo più diffidente che conoscesse. Aveva preteso di sapere perché l’esercito Lannister non l’aveva seguito nella sua marcia verso nord, e alla notizia del doppio gioco di Cersei aveva cominciato a dubitare anche della sua lealtà alla causa.

I Tully si trovavano in una situazione difficile, in quanto, le forze Lannister e Frey eguagliavano le loro. Per questo Jaime era stato costretto a rivangare la promessa che aveva fatto molti anni addietro a Catelyn Stark di non prendere le armi contro la casa Tully. E sorprendentemente Lord Edmure aveva garantito per lui davanti a suo zio e a tutti i Lord.

Ma i problemi non finivano di certo lì. Non scorreva buon sangue da secoli tra gli uomini di Delta delle Acque e delle Torri Gemelle e gli eventi delle Nozze Rosse, in cui gli eserciti del Nord e delle Terre dei Fiumi erano stati massacrati, erano ancora freschi e dolorosi. E se i Lord dei Fiumi, grazie anche alla misteriosa morte dei Frey, avevano messo da parte le ostilità, lo stesso non si poteva dire per i soldati che avevano perso amici e familiari nel massacro perpetrato ai danni degli eserciti Stark e Tully. La prima notte in cui le forze di Delta delle Acque e delle Torri Gemelle si erano accampati vicino allo stesso villaggio, lungo la Forca Verde, c’erano stati due morti, alcune mutilazioni e almeno una mezza dozzina di tende incendiate. Il mattino successivo i responsabili erano stati portati al cospetto di Ser Jaime e Lord Edmure. Ser Brynden, il Pesce Nero, aveva insistito perché fossero giustiziati, ma era sceso a più miti consigli quando gli aveva ricordato quanto bisogno avessero di ognuno di quegli uomini. Jaime aveva relegato quegli uomini a trasportare i viveri in fondo alla colonna, con buona pace di tutti.

Viaggiavano da giorni lungo la Strada del Re, verso Nord. Le piogge incessanti avevano lasciato il posto prima al nevischio e poi a ingenti nevicate. Attraversare l’Incollatura era un compito difficile perfino estate, quando gli acquitrini e le paludi adiacenti alla Strada del Re si ritiravano ed erano meno insidiose. In pieno inverno era davvero un’impresa ardua attraversarla incolumi e con facilità. In alcuni punti la Strada del Re era talmente stretta da permettere l’avanzata di pochi uomini alla volta. Per questo il viaggio gli era sembrato più lungo di qualsiasi altro avesse mai fatto in vita sua. Indossava la sua armatura porpora per intero, con due leoni smaltati in oro sugli spallacci, tranne che per l’elmo appeso alla sella. L’armatura che suo padre gli aveva regalato quando era diventato cavaliere della Guardia Reale.

“È questa l’armatura che dovresti indossare” gli aveva detto il Vecchio Leone “Il Bianco è il colore delle pecore”

“È un onore per me servire il Re” aveva ribattuto da sciocco ragazzino quale era.

“Quel pazzo?” Tywin Lannister aveva riso. Ricordava bene quel momento. Era l’unica volta che aveva visto suo padre ridere di gusto, dopo la morte della Lady sua moglie. “Il tuo Re è destinato a distruzione. È debole, e folle”

“Questo non ti ha impedito di servirlo per anni, padre” aveva ribattuto orgoglioso e sfrontato.

Tywin si era accomodato dietro la sua scrivania, il sorriso tramutato in un ghigno. “Ascoltami bene, figlio mio. Potrebbe essere l’ultima lezione che ti impartisco. Di sicuro è la più importante. Il Leone è la più fiera delle bestie, la più forte. È destinata a calpestare fiori e cacciare cervi, alci e quant’altro. È destinata a comandare eserciti, figliolo. E regni. Quello che non fa è obbedire a bestie estinte”

“Cosa diresti padre ora se sapessi che quelle bestie non sono estinte?”

 

La guida dell’avanguardia era stata affidata a Ser Bronn che aveva preso il comando dei 1500 soldati Frey che era riuscito a radunare nel poco tempo a disposizione.

Durante la marcia più volte il cavaliere delle Acque Nere tornava a fare rapporto ai comandanti. Jaime sospettava lo facesse più per la noia di guidare gli stupidi soldati Frey, come Bronn stesso li aveva definiti, che per reale necessità.

E fu in uno dei suoi rapporti che li informò che gli esploratori avevano avvistato il Moat Cailin.

La neve era caduta fitta per tutta la notte e Jaime sentiva il freddo penetrargli nelle ossa. Magari qualcuno gli avrebbe preparato un bagno quella sera.

“Dobbiamo aspettarci sorprese?” chiese quasi in maniera distratta.

“Il Meta-Lupo degli Stark sventola alto, mio Lord” rispose il mercenario col suo solito sorriso sghembo “Ma teniamo gli occhi ben aperti. Non si sa mai”

Ci volle un’altra mezza giornata perché la pancia dell’esercito arrivasse in vista della roccaforte a guardia dell’Incollatura. Come Ser Bronn aveva preannunciato i vessilli col Meta-Lupo garrivano su due delle torri della fortezza, ormai in rovina. Tuttavia sulla torre del Corpo di Guardia, l’unica che sembrava in grado di superare l’inverno, viste le condizioni delle altre, nessun vessillo era stato innalzato.

“Dovremo inviare qualcuno al Moat prima di far passare l’esercito” disse Jaime rivolto a Lord Edmure.

“Abbiamo inviato dei corvi prima della partenza. Sanno del nostro arrivo. Ci staranno sicuramente aspettando” risolse il Lord di Tully.

“È proprio questo che mi preoccupa” borbottò tra se.

Così diedero ordine all’esercito di avanzare lungo l’ultimo tratto della Strada del Re fino alla fortezza. Dalle tre torri del Moat Cailin nessuno parve accorgersi dell’esercito che marciava verso nord, fino a quando non furono a tiro di frecce. Un fitto nevischio aveva cominciato a cadere, sferzato da un vento contrario che li costringeva a cavalcare con la testa bassa e il cappuccio tirato a coprire il capo.

Un lungo richiamo di corno risuonò nella bruma pomeridiana e Jaime Lannister capì immediatamente l’errore che avevano commesso nel credere che il Moat fosse ancora una piazzaforte di casa Stark.

“Radunatevi. Lancieri radunatevi” urlò. “Su gli scudi”

Dopo pochi attimi centinaia di frecce piombarono su di loro. Ma la maggior parte degli uomini era riuscita a mettersi in salvo dietro i pesanti scudi di legno di cui l’esercito Lannister era dotato.

Ma fu comunque troppo tardi. Uomini a cavallo piombarono su di loro da nord e da ovest, riversandosi fuori dai cancelli della Torre del Corpo di Guardia, o sbucando dalla foresta.

“Cosa diavolo succede?” urlò Ser Brynden cavalcando al suo fianco e decapitando uno degli assalitori.

Jaime si guardò intorno e in lontananza scorse due vessilli: il Leone di Lannister su sfondo porpora e una lunga picca nera con dei teschi dorati in cima.

“La Compagnia Dorata” esclamò rivolto al Pesce Nero “Dobbiamo ritirarci”. Ma gli attaccanti ormai li circondavano.

Proprio in quell’istante anche Lord Edmure, alla testa della retroguardia a cavallo, li raggiunse, rompendo l’accerchiamento nemico “Dobbiamo inoltrarci nelle paludi. È la nostra unica speranza” gridò verso di loro mentre la sua compagnia si univa alla battaglia.

Alcuni mercenari uscirono dalla colonna diretti verso i comandanti dell’esercito dei Fiumi. La battaglia infuriò.

“Non possiamo permettergli di catturare i nostri comandanti” urlò il Pesce Nero, in una pausa tra due duelli. Il vecchio Cavaliere della Porta Insanguinata era ancora un guerriero eccezionale. In sella al suo destriero grigio-bianco si liberava di un soldato dopo l’altro con facilità.

Dopo quelle che gli sembrarono ore di battaglia si ritrovarono di nuovo abbastanza vicini da potersi scambiare qualche parola per organizzare la ritirata.

 “Lord Edmure, guida i tuoi nelle paludi alla ricerca delle Torre delle Acque Grigie. I Crannogman sono alleati del Nord, ti aiuteranno. Ser Jaime, va con loro” Il Pesce Nero era visibilmente provato ma non per questo meno deciso.

“Non se ne parla” rispose a tono Jaime.

“Il Leone è destinato a comandare eserciti, figliolo”

Anche Edmure provò a controbattere al piano dello zio ma non ne ebbe il tempo. La battaglia infuriò di nuovo intorno a loro. Jaime uccise il primo mercenario che gli si parò davanti e colpì il secondo in pieno volto con la mano dorata dopo aver intercettato la sua mazza da guerra con la spada in acciaio di Valyria che era appartenuta a Joffrey.

“Vecchio Leone sarà il suo nome” pensò uccidendo il nemico successivo.

“Bel colpo” rise Bronn, combattendo al suo fianco.

La milizia Lannister che aveva guidato da Delta delle Acque arrivò a dargli man forte, visibilmente decimata. Il capitano gli si affiancò. “Mio Lord, sono i nostri uomini ad attaccarci” disse indicando i vessilli col Leone dorato.

“Se ci attaccano non sono nostri uomini, ser” gli urlò in risposta.

Altri mercenari arrivarono alla carica, ma gli uomini Lannister e Tully resistettero anche alla nuova ondata di fango e acciaio. Fu allora che Jaime si rese conto che gli attaccanti li stavano semplicemente spingendo verso le paludi. Cercavano di catturarli, non di ucciderli.

Una lancia colpì al ventre il suo cavallo. Il destriero si impennò sulle zampe posteriori mandandolo a rotolare nel terreno paludoso. La fortuna fu dalla sua parte, perché il cavallo rovinò a terra di fianco a lui, senza calpestarlo e probabilmente ucciderlo. Si rimise in piedi a fatica giusto in tempo per accorgersi che la battaglia era persa, gli uomini in fuga. Poi qualcosa lo colpì con forza alla tempia scoperta e il mondo divenne solo un turbinio di rumori e oscurità.

 

Quando si riebbe condivideva una cella con degli uomini. Aveva la testa fasciata alla bell’e meglio e la schiena dolorante. Gli ci volle qualche minuto per ricordare l’accaduto.

“Finalmente ti sei risvegliato. Pensavamo di doverti fare il funerale da un momento all’altro” riconobbe il tono canzonatorio di Bronn.

La cella in cui erano rinchiusi era piuttosto ampia, e gli avevano addirittura riservato un letto, per quanto scomodo e raccogliticcio. Accanto a lui, in catene, sedevano Ser Brynden Tully, Ser Bronn delle Acque Nere e uno dei Lord dei Fiumi.

“Cos’è successo? Quanto tempo è passato?” chiese mentre immagini della battaglia gli ritornavano alla mente.

“Due giorni interi” sbuffò l’anziano guerriero con una smorfia di dolore “I tuoi uomini ci hanno fatto un bello scherzetto”

“Quelli non sono miei uomini” in uno scatto d’ira provò a tirarsi a sedere ma una fitta alla schiena lo costrinse a muoversi con prudenza. Respirò a fondo riordinando le idee. “La Compagnia Dorata” ricordò “Non credevo che l’avrebbe inviata così a Nord. Dannata Cersei”

“C’era da aspettarselo” lo contraddisse Bronn “Ma la fortuna non ti ha abbandonato. Il comandante della compagnia è stato qui insieme ad una specie di maestro e gli ha dato l’ordine tassativo di salvarti la vita”

“Suppongo che la mia cara sorellina voglia vedere di persona la mia testa staccarsi dal mio collo” rispose cupo.

Bronn assestò un paio di colpi alla porta al suo fianco e dopo alcuni momenti qualcuno si affacciò dalla piccola apertura in alto.

“Ser Jaime si è svegliato, maledetto idiota” lo apostrofò “Chiama il maestro”.

Il maestro era un giovane ragazzo sbarbatello che somigliava molto più ad un soldato che ad un vero e proprio guaritore. Sedette di fianco a Jaime e cambiò le bende della ferita alla testa.

“Bevi” disse bruscamente “Latte di papavero”

“Niente papavero” rispose Jaime, la testa che pulsava violentemente “Voglio parlare col tuo comandante e voglio farlo subito”

“Temo non sia possibile. Devi restare a letto”

Jaime si puntellò su un gomito. “Mai nessuno che non fosse un Re o il Lord mio padre mi ha detto cosa fare ragazzino” si mise seduto a fatica “Quindi portami dal tuo capo se non vuoi che ti schiaffeggi con la mia mano d’oro”.

Il Moat Cailin era una fortezza in rovina non solo all’esterno. Alcuni gradini di marmo scricchiolavano e minacciavano di sbriciolarsi sotto i loro piedi mentre risalivano dalle segrete. Dalla Torre dell’Ubriaco attraversarono il cortile per raggiungere la Torre del Corpo di Guardia, in cui risiedevano i comandanti della Compagnia Dorata.

Una decina di uomini gozzovigliavano e ridevano seduti intorno ad un tavolo, vantandosi di quanti uomini avessero ucciso nell’ultima battaglia.

“Jaime Lannister” esclamò l’uomo seduto a capotavola quando lo vide “È un piacere per me conoscerti”

“Vorrei poter dire lo stesso” rispose sprezzante.

“Fratelli Dorati lasciate che parli con Ser Jaime” ordinò ancora l’uomo. “Non voi due” aggiunse indicando due suoi compari. Tutti gli altri si alzarono lasciando la sala.

Uno degli uomini rimasti gli aggiustò una sedia e Jaime si sedette.

“Fratelli Dorati?” chiese trattenendo una risata di scherno “Quindi mi viene da pensare che tu ti consideri il Lord dorato. C’è stato un Lord dorato un tempo. Tu sei più come la mia mano doro. Sai è solo placcata in oro. È un imbroglio”

“Vino per Ser Jaime” ordinò l’uomo con un sorriso, giocherellando con i bracciali d’oro intorno alle braccia. “Il mio nome è Harry Strickland. Ho l’onore di essere il capo della Compagnia Dorata. E il mio amico qui è Balaq il Nero, mio braccio destro e comandante degli arcieri della compagnia”. Non si degnò di presentare l’uomo che aveva fornito la sedia a Jaime, che resto in piedi dietro ai suoi capi, fingendo disinteresse, con le mani intorno elsa di un arakh e sul manico di un pugnale a stiletto.

“Veniamo al punto. Non mi sono mai piaciuti i mercenari” picchiettò la mano d’acciaio dorato sul tavolo.

“Il punto è che sei nostro prigioniero e il tuo atteggiamento di superiorità potrebbe costarti la testa, Sterminatore di Re” intervenne Balq il Nero, pensando di intimidirlo.

“Calma Balaq” Strickland pose una mano sulla spalla del suo compare “Ser Jaime è nostro ospite. La regina Cersei tiene molto a lui”

L’uomo lo scrutò a lungo prima di continuare. “Dimmi Ser, vorresti ritornare dalla tua dolce sorella?”

“Domanda stupida. Se avessi voluto l’avrei fatto. Sai non amo molto il freddo”

“E allora perché marciavi a nord col tuo piccolo esercito?” grugnì Balaq.

“Non mi aspetto che dei mercenari che vengono dall’altra parte del mondo possano comprendere le mie motivazioni”

“Sai Sterminatore di Re, forse Balaq ha ragione. Dovrei tagliarti la testa e finirla qui” risolse Harry Strickland.

“Invece mi offri del vino e hai chiesto al tuo mezzo maestro di curarmi. Dimmi, mio Lord, perché?”

Cersei era una sciocca a fidarsi di quegli uomini. Si diceva che la Compagnia Dorata non avesse mai rotto un contratto, ma Jaime sapeva bene che più di tutto i soldati tenevano alla loro vita. Molto più di quanto tenessero all’oro.

“Parte del tuo esercito ci è sfuggito” rivelò Strickland.

“A quanto pare non siete molto svegli. Proprio come pensavo. Cos’è? Il tuo capo degli arcieri qui non è riuscito a smettere di bere nemmeno per dare l’ordine di uccidere i fuggitivi?”

Balaq il Nero cadde nella sua provocazione. Batté entrambe le mani sul tavolo, balzando in piedi “Adesso basta. Non accetto di essere infamato da un uomo senza onore” gli urlò contro.

Strickland dal canto suo ridacchiò “Ti stavo offrendo la possibilità di unirti a noi ser Jaime” sospirò prima di rivolgersi all’uomo semi-nascosto dalla penombra alle sue spalle “Ma a quanto pare il nostro ospite ha rifiutato il nostro invito. Riportalo alla sua cella”.

Il terzo mercenario, rimasto indifferente allo scambio, gli fece strada attraverso il cortile.

“E tu chi saresti? Non porti i bracciali come i tuoi comandanti” chiese incuriosito dall’uomo che gli dava le spalle in silenzio, come se non avesse paura che lui potesse aggredirlo.

“Loro non sono i miei comandanti” rispose senza voltarsi, le mani sempre poggiate sulle armi. Jaime guardò meglio le impugnature. Due donne lascive, perfettamente identiche se non fosse stato per i capelli dell’impugnatura dell’arakh dipinti d’argento. “Mi sono solo accodato a loro quando ho saputo che facevano rotta su Westeros”

L’uomo gli sorrise e ammiccò mentre reggeva la porta della cella in cui erano rinchiusi. 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTORE (Se mai potrò definirmi tale)…

Salve a tutti ragazzi, innanzitutto voglio ringraziare i tre lettori che hanno recensito il capitolo precedente: GiorgiaXX, Reyf e love_veg… Grazie per aver impiegato il vostro tempo per lasciarmi il vostro pensiero, spero di risentirvi presto…  :*

Detto questo, la storia entra nel vivo. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto con l’apparizione di nuovi personaggi (Stickland e la Golden Company) e il ritorno di vecchi amici.

Nei prossimi capitoli vedremo l’arrivo a Grande Inverno di Jon e Daenerys e quanto prima anche la cara Regina Cersei.

 

 

VI LASCIO CON UN’ANTICIPAZIONE DAL CAPITOLO 4

“Il Canto di cui parlava Rhaegar si riferisce al Principe che fu Promesso”

Sam tossicchiò per la sorpresa. “Il Principe Promesso? Azor Ahai intendi? Lady Melisandre credeva che Stannis Baratheon fosse il misterioso guerriero che guiderà gli uomini nella Battaglia per l’Alba”

“Cosa sai del mito della Lunga Notte, Sam? Del Principe Promesso in particolare”

 

A presto :D

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 - WINTERFELL ***


CAPITOLO 4 - WINTERFELL

CAPITOLO 4 – WINTERFELL

 

 

[BRAN]

“Non puoi dirglielo così su due piedi, Sam. Lo distruggerebbe” Bran ne era assolutamente convinto.

Jon aveva vissuto tutta la vita nella convinzione che Eddard Stark fosse suo padre, con la promessa di conoscere la vera identità di sua madre, un giorno. E ora che Brandon aveva districato i meandri della storia, sapeva di non potergliene parlare con leggerezza. Le menzogne dell’uomo che l’aveva cresciuto avrebbero minato le sue certezze, costruite in anni e anni di sacrificio e privazione. Jon si era unito ai Guardiani della Notte per redimersi dalla sua condizione di bastardo, per dimostrare al mondo e a se stesso di essere un vero Stark, anche a causa degli sguardi di disprezzo di Lady Stark. Lady Catelyn aveva odiato il giovane Snow per tutta la vita a causa di una menzogna.

“Può una bugia detta a fin di bene risultare meno dolorosa?”

Se l’era chiesto spesso, Brandon Stark, e l’unica risposta che era riuscito a darsi era no. Jon ne avrebbe sofferto ugualmente. Scoprire di non aver mai conosciuto il suo vero padre e di non poter conoscere sua madre avrebbe distrutto anche l’uomo più forte e risoluto del mondo.

Eppure Bran non poteva biasimare suo padre. Quella bugia aveva protetto Jon da orrori ben più gravi dell’essere etichettato come bastardo.

“Quindi dovremo semplicemente mantenere il segreto?” piagnucolò Samwell Tarly. “Non sono mai stato bravo a mentire. Jon è stato il mio unico amico per molto tempo”. Avvolto in numerosi strati di pelliccia con il solo volto in vista, Sam accompagnava Bran quando questi aveva voglia di visitare il Parco degli Dei e passava il resto del suo tempo immerso in biblioteca a cercare notizie sulla Lunga Notte e su come sconfiggere gli Estranei.

“Non devi mentirgli. Devi solo aspettare il momento giusto per dirglielo”

“E quando sarà?” chiese Sam, non ancora del tutto convinto.

“Lo capirai”

Sam Tarly sembrò convincersi che mantenere il silenzio sulla faccenda fosse la cosa migliore e cambiò argomento.

“Hai visto qualcos’altro di cui vuoi parlarmi, mio principe?”

“No Sam. Le mie visioni continuano ad essere confuse, annebbiate” Bran cercò di nascondere la sua preoccupazione ma non dovette riuscirci molto bene perché Samwell gli lanciò un lungo sguardo interrogativo.

“Ho visto delle cose… Ho fatto delle cose…” lasciò andare tutta la sua frustrazione “Io… non sono se ero me stesso negli ultimi Sogni dell’Oltre. È colpa mia Sam… Hodor… Il Re Folle… Io…”.

Sam sembrò capire a fondo i suoi turbamenti. “Qualsiasi cosa sia successa, so che non era tua intenzione fare del male” provò a rassicurarlo.

Ma Brandon sapeva che prima o poi avrebbe dovuto risponderne agli Antichi Dei, a quegli Alberi Diga che dapprima l’avevano guidato ed ora sembravano averlo abbandonato al suo destino.

“Non ero ancora pronto. Il vecchio corvo mi aveva avvertito”

Ma era stato presuntuoso, sciocco. Aveva creduto di poter controllare l’immenso potere che gli era stato dato, ed ora, con la Lunga Notte ad un passo, l’ultima speranza per gli uomini era un ragazzino storpio che non era in grado di svolgere il suo compito.

D’improvviso si ricordò della canzone di cui il principe Rhaegar parlava in una delle sue visioni.

“Sam, hai mai sentito parlare del Canto del Ghiaccio e del Fuoco?”

“Il Canto del Ghiaccio e del Fuoco?” chiese Sam dubbioso “Io… non credo. Perché me lo chiedi?”

“Ho visto il principe Rhaegar parlarne a sua moglie” rivelò Brandon.

“Il principe Rhaegar?” chiese stupito. “Tu… sai a cosa si riferisse?”

“No” dovette ammettere. “Rhaegar pensava che il Canto si riferisse al suo primogenito, l’infante che fu ucciso nel sacco di Approdo del Re, durante la Ribellione di Robert”

“Mi dispiace Bran, non ne ho mai sentito parlare. Ma posso cercare nella libreria del tuo castello. Anche se non è saggio interrompere le ricerche sulla Lunga Notte, anche solo per qualche ora”

“Non dovrai farlo. La canzone di cui parlava Rhaegar, credo si riferisca al Principe che fu Promesso”

Sam tossì per la sorpresa. “Il Principe Promesso? Azor Ahai intendi? Lady Melisandre credeva che Stannis fosse il misterioso guerriero che guiderà gli uomini nella Battaglia per l’Alba”

“Ma Stannis Baratheon è morto. Cosa sai del mito della Lunga Notte, Sam? Del Principe Promesso o di Azor Ahai”. Se c’era qualcuno che poteva aiutarlo a ricomporre il puzzle quello era Sam.

“Niente più di quello che ho sentito da Melisandre. Che è rinato dal sale e dal fumo e che, in battaglia, brandisce la Spada Rossa degli Eroi. E non molto altro” rabbrividì. “Non mi piacciono molto le profezie. Preferisco la storia vera”

“Pensaci Sam. Rinato dal sale e dal fumo”

“Jon?” Sam per poco non si strozzò per la sorpresa. “Ma il sale e il fumo?”

“Non lo so. Qualcuno una volta ha detto che le profezie sono come spade senza elsa, difficili da maneggiare. Non sempre una profezia si avvera come ci si aspetta. Durante l’Età degli Eroi ad un Lord fu predetto che sarebbe morto sotto le mura di un castello. Perciò per tutta la vita si tenne lontano almeno cento miglia da tutti i castelli di Westeros. Tuttavia quando la morte lo colse si trovava di fronte ad una locanda, nelle Terre dei Fiumi, sotto l’insegna che recava inciso un maestoso castello”.

“D’accordo… d’accordo. Devo andare in biblioteca immediatamente” risolse Sam con una punta di eccitazione nella voce. “Tu dovresti andare a riposare un po’ Bran”.

Quando Sam lasciò il Parco degli Dei si apprestava la mezzanotte. Bran spinse la sedia con le ruote che maestro Wolkan gli aveva gentilmente costruito fino alla radura dell’Albero Diga. La neve cadeva ancora fitta, come aveva faceva ormai da giorni, ma i vapori delle sorgenti calde del Parco degli Dei di Grande Inverno rendevano il freddo quantomeno sopportabile.

Spettro, che era rimasto accovacciato per tutto il tempo vicino al piccolo laghetto, sembrò fiutare qualcosa nell’aria. Alzò di scatto la testa, annusando l’ambiente circostante, prima di lanciarsi a capofitto verso l’arco in pietra che delimitava l’entrata del Parco. Bran avrebbe potuto facilmente scivolare dentro di lui come un tempo faceva con Estate. L’aveva fatto alcune volte e gli era sembrato di sentire Jon accanto a lui, a sussurragli indicazioni su come scoccare una freccia con precisione o a sorridergli come faceva quando lo guardava scalare le mura di Grande Inverno.

“Il Canto del Ghiaccio e del Fuoco” disse a mezza voce scrutando l’antico volto austero.

 

Un’arpa suonava una triste melodia, in una fortezza semidistrutta, bruciata. Qualcuno cantava di un eroe, di sacrificio e di gioia, di colpa e d’amore.

 

Una regina sedeva sul Trono di Spade, con avanti a se un uomo dal volto nascosto da un cappuccio.

 

Un esercito di morti cancellava tutto ciò che aveva davanti a se, alle porte di un castello in fiamme.

 

Un principe dal capo ornato d’oro uccideva la sua amata trapassandola con la spada.

 

Un uomo che odiava il fuoco guidava un attacco tra le fiamme.

 

Un cavaliere in una scintillante armatura nera cavalcava contro la morte, la Spada degli Eroi in pugno.

 

Decine di fiere combattevano l’una al fianco dell’altra. Meta-Lupo e Leone, e Orso, Cane, Cervo. Su tutti dominava la più stupefacente delle bestie, il Drago.

 

Un donna dai capelli biondo-argento sedeva con le spalle poggiate all’unica colonna risparmiata dalla catastrofe.

 

Un neonato dormiva in una culla di ghiaccio con le piccole braccia avvolte intorno ad un uovo di drago.

 

 

[ARYA]

Grande Inverno attendeva il ritorno del Re del Nord con ansia e trepidazione. I Lord alfieri del Nord e della Valle di Arryn pretendevano spiegazioni da lui. Spiegazioni che né Sansa né, tantomeno, Arya avrebbero potuto dargli. Anche se nessuno aveva più parlato apertamente della faccenda, Arya sapeva che erano semplicemente riuscite a tenerli a bada fino a quel momento.

Lo sapeva perché aveva osservato con attenzione tutti gli abitanti del castello. Dalla giovane Lady Mormont, fino ad arrivare all’anziano e burbero Lord Royce, passando per tutti gli altri Lord, i comandanti e anche i nuovi stallieri, maniscalchi e fattorini. E se il popolino di Città dell’Inverno sognava estasiato dei draghi e della loro Regina, non così i Lord.

Ogni volta che poteva, Gendry la raggiungeva scovandola in qualsiasi luogo del castello lei si trovasse. Sospettava che Sansa fosse l’informatrice del giovane mezzo-Baratheon. Aveva scoperto con stupore, ma anche con immenso piacere, che collaborare con la sorella rendeva il compito di gestire Grande Inverno decisamente più semplice per entrambe. Sansa si occupava di tenere in ordine i conti, di organizzare la servitù e, grazie all’aiuto di Adryan Cassel, di tenere alte le difese. Arya invece, memore degli insegnamenti di Syrio Forell, osservava silenziosa i comportamenti di tutti, anticipando le esigenze tanto dei Lord quanto del popolino. Le due sorelle erano comunque in eterno conflitto per via dei loro caratteri agli antipodi, ma si erano date delle regole per cooperare al meglio. Il branco unito era più forte, ed Arya e Sansa insieme avevano dimostrato di poter governare il Nord anche in un’epoca di guerra e morte. Jon sarebbe stato fiero del loro operato.

Un corvo era giunto da Porto Bianco, recante la notizia dello sbarco del Re del Nord e della Regina dei Draghi. Da quel giorno Arya non aveva fatto altro che aggirarsi per la fortezza di Grande Inverno in attesa di ricongiungersi al fratello. Non poteva prevedere con precisione il giorno del suo arrivo, così ogni volta che poteva si recava in cima alle mura a sud a scrutare l’orizzonte. La neve e il vento erano i suoi elementi. Era in grado di starsene immobile tra una merlatura e l’altra anche per tutta la notte se necessario, quando persino i soldati di vedetta preferivano rintanarsi intorno ai fuochi nelle torri di guardia, a ripararsi dalle intemperie.

Quella notte la neve non cadeva così fitta da non permettere di vedere oltre un palmo dal naso, come aveva fatto per tutto il giorno, anche se i venti dell’inverno non si risparmiavano certo. Ma Arya non si era fatta intimidire dalle condizioni avverse e si era messa di guardia su uno dei camminamenti non sorvegliati dai soldati. In qualche modo lei stessa sperava che Gendry la raggiungesse, anche se non l’avrebbe mai detto ad alta voce.

Non si era resa conto di quanto tempo fosse passato quando decise di accendere un fuoco in uno dei bracieri sistemati tra due merlature.

Furono proprio le fiamme ad attirare l’attenzione di Gendry che usciva dalla fucina. Il giovane la raggiunse in cima alle mura credendo di coglierla di sorpresa. Lo faceva sempre, ma nemmeno una volta Arya non lo aveva sentito avvicinarsi.

“Un uri farebbe meno rumore di te” lo apostrofò quando fu abbastanza vicino da udire la sua voce nella tormenta di neve.

“Come hai fatto ad accorgerti di me? Stavolta sono più che sicuro di non aver fatto nessun rumore” si lamentò Gendry.

“Ti ho sentito lo stesso” Arya gli sorrise.

“Allora ti sarai anche accorta del Meta-Lupo di tuo fratello che raschia la porta sud cercando di uscire” le rispose infastidito. Non gli andava proprio giù di non riuscire mai a sorprenderla. In qualche modo Arya trovava tenero questo suo comportamento.

“Spettro?” chiese allarmata.

“E chi se no” confermò lui.

Se Spettro era impaziente di uscire poteva voler dire una sola cosa. Jon era vicino a casa.

In fretta e furia gettò una coperta bagnata e irrigidita dal freddo sul braciere per spegnere il fuoco e si diresse di corsa verso le stalle. Anche a notte fonda e con una tormenta in atto sarebbe andata incontro a suo fratello. Gendry le tenne dietro imprecando.

“Dove stai andando?”

“Da Jon. Tornatene ai tuoi impegni”

“Non se ne parla. Credi davvero che ti farei uscire da sola con questo tempo?”

“Spettro verrà con me. E non mi serve certo il tuo permesso per…”

“No, non ti serve” la interruppe lui, testardo come sempre. “Ma non puoi impedirmi di venire con te”

Straniera, la sua puledra nera come la notte, la attendeva nelle stalle. Scalciò impaziente mentre Arya armeggiava con le stringe della sella. Quando l’aveva vista per la prima volta nella foresta azzuffarsi con un paio di lupi ed uscirne vittoriosa le aveva ricordato un altro cavallo dal pessimo carattere, e quando era riuscita a portarla con se a Grande Inverno le aveva dato il suo stesso nome.

Dopo pochi minuti Spettro correva, confondendosi nelle distese nevose. I cavalli di Arya e Gendry arrancavano per tenergli dietro.

Poche miglia più avanti, con il Meta-Lupo che era scomparso nella notte, Arya decise di lasciare la Strada del Re ed inoltrarsi nella Foresta del Lupo. Tacitate le proteste di Gendry che aveva paura di azzoppare il cavallo e rompersi il collo nella caduta, ripresero la loro marcia.

Cavalcavano solo da un paio d’ore, quando si trovarono in prossimità di Castel Cerwyn. Arya sospettava che Jon avrebbe seguito la strada del Re, perciò decise di fermarsi a meno di un miglio da un ruscello a nord della fortezza, dove probabilmente il convoglio si sarebbe fermato ad abbeverare i cavalli. Trovarono una piccola insenatura sul fianco scosceso di una collina, per ripararsi dal vento e dalla neve, che comunque erano diminuiti di intensità in confronto a quando erano partiti.

Arya aveva intenzione di riposare per qualche ora e riprendere la marcia verso sud appena prima dell’alba. Nella piccola caverna trovarono della legna abbastanza asciutta per accendere un piccolo fuoco e riscaldarsi un po’. Gendry si era lamentato del freddo ogni volta che aveva potuto così Arya non obiettò quando lui lo propose.

“Tua sorella ha ragione” cominciò il giovane bastardo quando il fuoco ebbe attecchito sulla legna mezza bagnata. “Quando ti lanci a capofitto in qualcosa non pensi mai alle conseguenze”

“Quindi è lei a dirti dove trovarmi ogni volta che mi allontano” sovvenne Arya.

Gendry arrossì vistosamente. “Tranquillo, se non avessi voluto farmi trovare nemmeno le indicazioni di mia sorella ti avrebbero aiutato”

“Beh, mentre tu pensavi solo a sellare i cavalli io ho preso un po’ di cibo per il viaggio”. Tirò fuori dalla bisaccia due salsicce e una forma di pane.

Mangiarono in silenzio per qualche minuto. Quando ebbe finito estrasse Ago e si mise ad affilarla sulla gote. Gendry la osservava in silenzio, con un mezzo sorriso sulle labbra.

“Cos’hai da guardare?” lo apostrofò sentendo lo sguardo pesante di lui addosso.

“Niente” rispose baldanzoso. “È solo che affili la tua spada nel modo sbagliato”

“Ma davvero?” gli fece eco lei. “Se sei così esperto perché non lo fai tu?”

Gendry si alzò e andò a sedersi accanto a lei. “D’accordo. Il tuo modo si affilarla andrebbe bene per una spada lunga. Ma per una spada dalla lama così sottile è meglio fare in questo modo. Guarda”

Prese Ago e ne osservò filo e bilanciamento. Dopodiché estrasse un panno oleato dalla sua borsa da fabbro e si mise a lavoro. Arya lo osservò incantata. I suoi movimenti erano fluidi ed esperti e mai, nemmeno per un attimo, alzò gli occhi dalla spada, come un maestro guaritore chino sul suo paziente. Quando gliela rese, la lama era talmente affilata da apparire bluastra alla flebile luce delle poche braci rimaste.

“Hai fatto un buon lavoro. Grazie” si costrinse a dirgli.

“Questo ed altro per la mia Lady”

Arya si protese per assestargli uno schiaffo ma Gendry intercettò la sua mano a metà strada e scoppiò a ridere divertito. La bellezza del suo sorriso le fece quasi male.

“Lasciami andare” gli disse distogliendo lo sguardo.

“Non credo proprio” sorrise ancora lui tirandola verso di se. Arya glielo permise senza opporre resistenza.

Si baciarono per un breve istante. Una ragazza non credeva di poter provare sentimenti così forti per qualcuno, Arya Stark si rese conto di averli nascosti a se stessa per troppo tempo. Poi Gendry si scostò appena.

“Cosa c’è?” chiese un po’ imbarazzata e un po’ arrabbiata. “Credevo fosse quello che volevi”

“Certo che lo è” sorrise ancora anche se stavolta sembrava preoccupato. “Ma ho bisogno di sapere una cosa prima”

“Avanti spara” Arya stava perdendo la pazienza.

“Ecco… io…” balbettò. “Ho bisogno di sapere se sei la mia Lady?”

Fuori dalla caverna un cavallo nitrì. Entrambi si resero conto che quel momento idilliaco era svanito. Gendry distolse lo sguardo imbarazzato. Subito dopo delle voci ruppero l’oscurità.

“Jon” sussurrò Arya balzando in piedi. Gendry imprecò sottovoce suscitandole un sorriso spontaneo.

Si accostò all’entrata della piccola caverna in cui avevano trovato riparo. Le prime luci del mattino illuminavano il mondo esterno. Come Arya aveva previsto alcuni uomini si erano fermati per abbeverare i propri cavalli nel ruscello poco lontano. Qualcuno imprecava cercando di rompere lo strato di ghiaccio che si era formato sull’acqua.

“Non posso crederci” si voltò verso Gendry. “È il Mastino”. Raccolse Ago da terra.

“Cosa credi di fare da sola?” bisbigliò Gendry seguendola nella boscaglia.

Sgusciò tra gli alberi, quanto più vicino poté al ruscello. Degli uomini abbeveravano i cavalli. Jon era pochi passi dietro di loro, intento a tranquillizzare il suo cavallo che sembrava mezzo imbizzarrito e provato dalla lunga cavalcata.

Il suo cuore perse un colpo.

Tornò indietro silenziosa e svelta come un gatto. Straniera la attendeva all’entrata della caverna, Gendry l’aveva sellata per lei. Lo ringrazio con un cenno e balzò in sella dirigendosi di gran carriera verso il ruscello.

“Jon” urlò, uscendo dal folto del bosco.

Gli uomini estrassero le spade pronti a dare battaglia. Il Mastino si voltò verso di loro lanciando una risata roca. “Fossi in voi rinfodererei le spade. La ragazzina è pericolosa quasi quanto me”

Era a meno di cento metri da loro. La pianura innevata si apriva davanti a lei. Vide Jon saltare in sella al suo destriero e cavalcarle incontro. Dopo pochi attimi si ritrovarono a cavalcare in cerchio, l’uno intorno all’altra. Jon sorrideva come non lo aveva mai visto fare prima, Arya a stento trattenne le lacrime.

“Credevo di non rivederti mai più, sorellina” le disse Jon quando furono scesi da cavallo, scompigliandole i capelli.

Le sembrò come se non fosse passato nemmeno un giorno da quando si erano lasciati. Anche se il Jon che aveva davanti somigliava molto poco al giovane che aveva salutato diretto alla Barriera. Somigliava di più a suo padre Ned, molto più di quanto Arya avesse immaginato.

Gli saltò in braccio, il viso immerso nella folta pelliccia nera che indossava.

“Mi sei mancata”

“Anche tu, fratello. Ma non aspettarti che ti chiami Maestà” lo prese in giro.

Rise. “Non devi farlo, visto che non sono più Re di niente” Jon abbassò lo sguardo.

“Ho saputo. Dov’è la Regina? Credevo di sentirvi arrivare da dieci miglia almeno”

“Ci raggiungeranno presto. Non potevo attendere un’altra notte, così vicino a casa”

Arya osservò la reazione di Jon e capì che Daenerys Targaryen era per lui più che una semplice Regina. Avrebbe indagato a fondo più tardi, l’emozione per aver ritrovato suo fratello era troppo forte per pensare a qualsiasi altra cosa. Anche Gendry sembrò capirlo, perché dopo aver salutato Jon non fece nient’altro per avvicinarla. Cosa di cui Arya gli fu grata. Ci sarebbe stato tempo, più tardi, per rispondere alla sua domanda.

“Ragazzina. Dovrei staccarti la testa per avermi lasciato a morire” grugnì il Mastino quando si rimisero in marcia.

“Visto come è andata a finire forse dovresti ringraziarmi, Clegane” entrambi risero. Sandor le tese il braccio e Arya lo strinse in segno di rispetto reciproco.

Fratello e sorella cavalcarono fianco a fianco fino alle porte di Grande Inverno scambiandosi storie sugli anni passati lontano, dall’altra parte del mondo l’uno rispetto all’altra. 

“Credevo che Spettro mi avesse anticipato” gli rivelò ad un certo punto del viaggio. “Sono uscita per seguirlo convinta che avesse fiutato il tuo ritorno”

“Magari qualche animale lo ha distratto e si è messo ad inseguirlo. Niente paura, tornerà presto”

 

 

[DAENERYS]

Avvistarono la sagoma di Grande Inverno con il giorno che volgeva ormai al termine. Una fortezza scura in lontananza, ben visibile anche nell’immane coltre di neve. Persino da quella distanza poteva percepire la maestosità di quel luogo, tanto nelle fattezze quanto nella storia di cui era impregnato. Ricordò di come Tyrion le aveva raccontato che il castello era stato bruciato dai Greyjoy, saccheggiato dai Bolton e aveva subito un assedio da poco. Ma nonostante tutto questo si ergeva ancora maestoso nella pianura innevata.

Grande Inverno era lì da migliaia di anni, a governare il Nord. E dopo chissà quanti anni, una Targaryen stava per visitarla di nuovo. Grande Inverno che aveva combattuto al fianco di Robert Baratheon per spodestare il Re suo padre.

Inevitabilmente si ritrovò a pensare a quanto i Lord del Nord potessero odiare l’ultima Targaryen. Qualcuno l’avrebbe ritenuta un’usurpatrice. Avrebbe dovuto sopportare sarcasmo e sicuramente qualche insulto ma sapeva che Jon sarebbe stato al suo fianco. Non che ne cercasse la protezione, cercava la sua compagnia e la possibilità di essere se stessa con lui. L’alleanza col Nord doveva funzionare per la guerra e per Daenerys.

“Sei il sangue del Drago. Funzionerà”

Lungo le ultime tre miglia prima del Castello erano state piantate delle torce su entrambi i lati. Illuminavano la Strada del Re fino all’ingresso della fortezza. Il Re del Nord, accompagnato da una scorta di uomini a cavallo, li attendeva nel punto in cui le cominciavano le torce.

“Spero che l’ultimo giorno di viaggio sia stato veloce e privo di rischi, Maestà. È bello rivederti” le disse Jon cavalcandole al fianco.

“Lo è stato, Jon” rispose beandosi un attimo della sua presenza al suo fianco. Ricordò di come le aveva raccontato di averla sognata camminare sui bastioni di Grande Inverno. Arrossì appena abbassando lo sguardo per nasconderlo. Non voleva deludere le sue aspettative.

“La regina del fuoco baciata dal ghiaccio”

Cavalcarono in silenzio fino all’interno del cortile di Grande Inverno dove Lord e Lady attendevano l’arrivo della Regina. Ser Jorah le tese la mano per scendere da cavallo. Jon fu in un attimo al suo fianco.

“Maestà, loro sono la mia famiglia. Sansa Stark, Lady di Grande Inverno” presentò Jon. Sansa si inchinò appena in segno di rispetto. Era di una bellezza veramente rara pensò Daenerys. I lunghi capelli castano ramati, il volto fiero e attraente, gli occhi di un blu intenso e profondo. Qualcosa in lei le ricordava Cersei Lannister: il portamento retto e lo sguardo indagatore. Tyrion le aveva parlato dei fratelli Stark, e Daenerys aveva intuito dalle sue parole la stima che lui provava per la giovane principessa del Nord.

“Brandon Stark, erede diretto di Lord Eddard Stark”. Fu lei stavolta a chinare appena il capo verso Bran che rispose con un piccolo cennò della testa. I suoi occhi erano di un castano molto profondo. “Occhi che vedono tutto” pensò.

Le sembrò che Bran non fosse realmente lì con loro. Una sensazione che di sicuro anche gli altri provavano. Si sentì nuda davanti a lui. Non in senso fisico, bensì come se il suo sguardo potesse scavare nel suo passato, come se lui potesse vedere chi realmente lei fosse.

“E la più piccola delle mie sorelle, Arya Stark” concluse Jon.

Arya fu più calorosa dei fratelli, o quantomeno più loquace. Fece un passo avanti e la guardò dritta negli occhi. “Jon ci ha detto cosa hai fatto per lui al di là della Barriera. Te ne sono grata”. Quella giovane ragazza dal viso indurito rinchiudeva un’immensa forza dentro di se. Daenerys poté percepirla chiaramente.

“Lei è la Regina Daenerys della casa…” cominciò Missandei.

“No mia cara, non ora. Lascia che parli io” la interruppe. “Io sono Daenerys, di casa Targaryen. Sono lieta di conoscere la famiglia Stark e visitare Grande Inverno. Spero possa nascere una proficua alleanza tra il Meta-Lupo e il Drago. Lasceremo le presentazioni ufficiali ad un altro momento”. Tyrion al suo fianco annuì compiaciuto.

“Loro sono parte della mia corte” continuò. “Conoscerete sicuramente Lord Tyrion di casa Lannister, Primo Cavaliere della Regina, e Ser Jorah Mormont, mio consigliere. E lei è Missandei, la mia ancella”

In quell’esatto momento Drogon ruggì nei cieli lì intorno. E dopo un istante lui e Rhaegal volarono sopra la Fortezza di Grande Inverno. Gli occhi di tutti andarono al cielo. Grida e sospiri di stupore riempirono il cortile.

Fu Jon ad interrompere quel momento di trance generale. “Maestà ci sono notizie di cui devi essere informata e i Lord alfieri attendono di fare la tua conoscenza. Ho fatto predisporre degli appartamenti per te. Se ti compiace puoi rilassarti per un po’ e poi raggiungerci”.

“Ne ho davvero bisogno. Ti ringrazio”. Dopo giorni di serrato viaggio a cavallo aveva proprio bisogno di un bagno caldo e di un vestito pulito. Certo aveva cavalcato più a lungo e più duramente attraversando la Desolazione Rossa o il Mare Dotraki, ma per presentarsi ai Lord alfieri di Casa Stark avrebbe dovuto essere in pieno possesso di tutte le sue facoltà.

“Accompagno io la Regina Daenerys alle sue stanze” si propose Arya.

Seguì la sorella di Jon all’interno del castello con Missandei appena dietro. Gli appartamenti che le erano stati riservati si trovavano all’interno della Prima Fortezza di Grande Inverno, che Jon aveva fatto ristrutturare dopo aver ripreso il Castello. Erano stati gli appartamenti di Lady Catelyn Stark le raccontò Arya. Sansa non li utilizzava perché preferiva vivere nella Seconda Fortezza, più piccola ma di costruzione più recente. Solo Jon viveva nella Prima Fortezza, un piano più giù negli appartamenti da dove Lord Eddard Stark aveva amministrato il Nord. Il camino sempre acceso nel solarium, in ricordo del Lord defunto.

“Sono felice di conoscere la storia del vostro casato, Lady Arya” le disse con trasporto. “Jon mi ha parlato della Prima Fortezza, ma devo dire che la sua bellezza e la sua maestosità mi hanno sorpreso. Roccia del Drago non è un castello così grande, così… eterno”.

“Aspetta di entrare nel bagno che era di mia madre, Maestà. Le sorgenti calde sotto questo castello saranno di certo qui per l’eternità. E preferisco che mi si chiami Arya, non sono mai stata una Lady”. Arya le sorrise congedandosi.

“Grazie Arya”.

Un’ora dopo, Missandei la aiutò ad indossare il vestito che una delle ancelle di Lady Sansa le aveva lasciato sul letto. Un corpetto di pelle nera lucida su una camicia cremisi, con una gonna anch’essa nera, a più strati, lunga fino alle caviglie, con pieghe striate della stessa sfumatura di rosso della camicia. Sopra indossò il mantello di lana nera, fermato al collo dal fermaglio d’acciaio rosso a forma di drago a tre teste, che Jon le aveva donato.

I colori della mia casata” pensò con un moto d’orgoglio.

Quei vestiti erano caldi e accoglienti e le ricordarono le braccia di Jon, e quanto si sentisse completa insieme lui.

Arya la attendeva davanti alla sua camera per accompagnarla nella Sala Grande. “Alcuni si opporranno, urleranno e ti malediranno. Ma Jon è stato piuttosto convincente. Dice che tutti vedranno chi sei e capiranno perché ti ha giurato fedeltà. Si fida e a me tanto basta”. Le disse con solennità.

“Basta per cosa?” si trovò a chiederle, piacevolmente colpita.

“Per seguirti. Per rispettare la decisione di Jon” rispose Arya con semplicità.

“Ti ringrazio”.

Fu piacevolmente sorpresa da quel giuramento di fedeltà, seppur non ufficiale. Fu lieta per una volta di piacere a qualcuno senza dover conquistare la sua ammirazione. Un po’ come le era successo con Jon. Lei lo aveva trattenuto a Roccia del Drago e a lui era piaciuta la Regina dei Draghi. Senza dovergli dimostrare nulla, semplicemente essendo se stessa.

I Lord erano tutti raccolti nella Sala Grande, seduti su lunghe panche o in piedi alle spalle di esse. Entrarono da una porta dietro al palco reale dove la famiglia Stark sedeva. Jon al centro sul piccolo Trono in legno-ferro con il Meta-Lupo scolpito sul vertice dello schienale, Sansa seduta alla sua sinistra e Bran un posto più in là.

“Maestà, sali accanto a noi sul palco. I nostri Lord attendono di conoscerti”. La invitò Jon allungando la mano per aiutarla a salire i pochi gradini di legno.

“Daenerys, Nata dalla Tempesta, della nobile casa Targaryen, prima del suo nome, Regina degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, Signora dei Sette Regni e protettrice del Reame, Principessa di Roccia del Drago, Khaleesi del Grande Mare d'Erba, la Non-bruciata, Madre dei Draghi, Regina di Meereen e Distruttrice di catene” presentò Missandei.

Rimase in piedi accanto a Jon per qualche secondo osservando gli uomini nella sala. Erano uomini rudi, temprati dall’inverno, anche se alcuni dei quali molto giovani.

“Miei Lord” esordì. “Non sono qui per conquistare il Nord o per sottometterlo. Sono qui per combattere insieme al Nord. I miei eserciti giungeranno presto a dar man forte ai vostri…”

“Chi ci dice che quegli eserciti non attaccheranno i nostri invece che aiutarli.” urlò qualcuno.

“Non ci inginocchieremo davanti ad un invasore straniero” si unì un’altra voce.

“Il Re del Nord è il nostro Re”. Molte voci si unirono agli oppositori. “Stark! Stark!”.

Sapeva di dover sopportare le urla di quegli uomini la cui fedeltà era stata promessa ad una famiglia che avevano combattuto anni prima, Arya l’aveva avvertita e prima di lei anche Jon e Tyrion. Lasciò che tutti urlassero il proprio disappunto cercando di cogliere tutte le obiezioni che le venivano fatte.

Lady Sansa si alzò in piedi. “Miei Lord, vi prego”. Attese che si calmassero prima di continuare.

“Regina Daenerys, cerca di capire i nostri dubbi. I nostri padri hanno combattuto la tua famiglia per molti anni e sono morti, nella Battaglia del Tridente e in tante altre. E abbiamo ottenuto il diritto di governarci da soli quando nostro fratello Robb fu acclamato Re del Nord durante la Guerra dei Cinque Re, e poi quando Jon fu parimenti eletto dopo la Battaglia dei Bastardi. Per noi è difficile accettare di sottostare ad un nuovo sovrano del sud, che non conosciamo e della quale abbiamo sentito solo storie lontane e magari mal raccontate. Ti prego continua”.

Tutti i presenti si erano quietati quando la Lady di Grande Inverno aveva preso la parola sintetizzando quelle urla irrequiete. Daenerys non poté che provare ammirazione, per una donna che aveva conquistato il rispetto di uomini così duri e legati ai loro principi, e gratitudine per l’aiuto che le aveva dato.

“Ti ringrazio, Lady Sansa. I miei eserciti non attaccheranno i vostri schieramenti e i miei Draghi non faranno del male alla popolazione di Grande Inverno e del Nord tutto. Avete la mia parola. Sono qui solo per combattere il Re della Notte e per chiedervi di seguirmi in guerra come il vostro Re ha scelto di fare. Parleremo dei Sette Regni dopo averli salvati. Anche io ho visto l’armata dei non-morti. Seguite il vostro Re, seguite me e vi prometto che li combatteremo con tutta la nostra forza, Drago e Lupo insieme, Fuoco e Ghiaccio”.

La sala grande esplose in una cacofonia di suoni confusi. Alcuni uomini inneggiavano ancora a casa Stark, molti altri invece alla nuova alleanza che andava creandosi.

“Fuoco e Ghiaccio! Drago e Lupo” urlarono e urlarono.

“Gli uomini seguono chi gli dà speranza. Convincili che sei la loro occasione migliore per sconfiggere gli Estranei e ti acclameranno” le aveva detto Lord Tyrion quando lei gli aveva confessato i suoi timori. E aveva funzionato.

Quando le urla di giubilo si placarono Jon prese la parola. “Grazie miei Lord. Al più presto riuniremo il concilio di guerra. Vi chiedo di mettere da parte l’orgoglio ferito e lottare con onore al nostro fianco. Mio padre diceva che incontri i tuoi veri amici sul campo di battaglia, e noi stiamo per combattere il più grande nemico della storia. La morte è il nostro nemico. Il primo e l’ultimo. Abbiamo bisogno di fidarci l’uno dell’altro”.

Le piacque il modo che aveva di parlare ai suoi uomini. Non aveva bisogno di mostrarsi forte, Jon Snow, perché era incredibilmente autorevole.

Aspettò che gli uomini lasciassero la Sala Grande prima di riprendere. “Ser Davos chiedi all’attendente di servire la cena alla Regina e al suo seguito nel solarium dei suoi appartamenti.” Riuscì a mantenere il contegno che il suo ruolo richiedeva in quella situazione ma i loro occhi si incontrarono per un attimo. Profondi occhi neri, velati della solita malinconia che lo contraddistingueva eppure dolci verso di lei, occhi che le appartenevano e urlavano il desiderio di starle ancora accanto.

“Presto Jon Snow, presto”. Gli sorrise di rimando.

 

 

[CERSEI]

Dal giorno in cui si era seduta sul Trono di Spade quale legittima sovrana dei Sette Regni aveva dovuto affrontare la diffidenza e le chiacchiere della gente. Nonostante l’esplosione del Tempio di Baelor avesse messo la parola fine sulla diatriba con il Credo e i Tyrell, il popolino continuava a parlare di come lei aveva tradito il Re suo marito, giacendo con suo fratello e organizzando la sua morte. E da quel momento in poi la gente del volgo aveva aggiunto un nome ai suoi titoli: Regina Folle.

Quando Lord Quiburn gliene aveva parlato era stata sul punto di ordinare alla Montagna di staccare la testa del mezzo maestro per essersi permesso di pronunciare quelle parole in sua presenza. Ma Quiburn, come al solito, era stato svelto di pensiero e aveva fornito alle guardie i nomi di tutti gli uomini che si erano macchiati di tradimento nei confronti della Regina Cersei. Qualcuno aveva preteso un processo equo, per questo Cersei lo aveva consegnato a Quiburn stesso, qualsiasi cosa lui ne facesse. Qualcun altro aveva preteso un giudizio per singolar tenzone. Cersei non aveva nemmeno assistito ai duelli. La Montagna se ne era occupato in fretta. Le mura della Fortezza Rossa erano ornate con decine di teste infilzate su picche. Ogni volta che le vedeva, Cersei si sentiva potente e appagata.

L’inverno era giunto anche sulla capitale. I tetti erano imbiancati da molti giorni e al mattino le finestre della Fortezza erano ricoperte da uno spesso strato di ghiaccio. Per suo ordine in tutti i camini del castello ardeva un fuoco e i bracieri nella Sala del Trono erano sempre pulsanti ed incandescenti. Ma al Fondo delle Pulci la situazione era ben peggiore. I rigori dell’inverno erano cosa rara ad Approdo del Re. Nell’ultimo inverno la neve era caduta sulla capitale solo per qualche giorno. Al contrario delle settimane di nevicate che già avevano attanagliato le Terre della Corona.

“Che gli Stark e i Targaryen combattano pure i morti. Noi intanto governeremo il Reame. Esigeremo le tasse dal Nord quando sarà il momento” aveva detto a Quiburn quando lui le aveva confermato la facile presa di Capo Tempesta, lasciata praticamente sguarnita quando Stannis si era recato a Nord. Il sud era interamente in mano alla Corona. Con la sconfitta dei Tyrell e dei Martell nessun altro si opponeva al Trono di Spade.

L’unica immediata preoccupazione di Cersei era Euron Greyjoy, rientrato ad Approdo del Re con il conclamato obiettivo di sposare la Regina. E i suoi muti continuavano a creare problemi per la città: risse, tentativi di stupro. Più volte le Cappe Dorate erano dovute intervenire e diversi erano morti nei duelli che ne erano scaturiti.

“Tu e i tuoi uomini siete qui per aiutare la Corona, non per creare scompiglio” era stata costretta a richiamare Occhio di Corvo quando le era giunta notizia dell’ennesimo tafferuglio causato dai suoi uomini.

“I miei uomini anelano vedere il loro Re sedere al tuo fianco, mia Regina” aveva risposto con un ghigno. “Tuo fratello ti ha abbandonato. Mi duole saperti sola nelle lunghe e fredde notti che stiamo vivendo”. 

Cersei sapeva bene di non poter tenere a bada Euron per molto tempo ancora, ma aveva bisogno di lui e dei suoi uomini per vincere la guerra che si apprestava. Euron dal canto suo aspettava solo l’occasione per appropriarsi di ciò che Cersei gli aveva promesso, la sua mano.

E quell’occasione non tardò ad arrivare. Un corvo dal Moat Cailin informò il Trono che un esercito Tully e Lannister, diretto a Nord, era stato sconfitto dalla Compagnia Dorata e che Ser Jaime Lannister era stato fatto prigioniero insieme ad altri uomini. Il solo Edmure Tully era riuscito a sfuggire alla cattura.

“Avresti dovuto rimanere al mio fianco, stupido fratello” pensò Cersei esultante quando Quiburn la informò del contenuto della missiva.

Euron era seduto ai piedi del Trono di Spade, compiaciuto per la notizia.

“Dovresti ringraziarmi, Altezza” le disse quando Quiburn si fu allontanato. “È grazie a me se tutto questo è stato possibile”

“Hai ragione Lord Euron”. Cersei lo scrutò con sussiego avviandosi fuori dalla Sala del Trono.

“Re Euron” la corresse con sfacciataggine, seguendola dappresso verso le sue stanze.

Ser Gregor era a non più di un paio di passi da loro.

“Perché non dici al tuo gorilla di restare fuori dalla porta”

“Ser Gregor è qui per proteggere la mia regale persona. Farai bene a ricordartelo”

“Ma io non voglio mettere in pericolo la tua regale persona, Vostra Grazia” Euron sorrise malizioso.

Era attraente a suo modo. La cicatrice sull’occhio sinistro aveva un che di inquietante ma, nel complesso, Euron Greyjoy era un uomo affascinante.

“Le lacrime non sono l’unica arma di una donna”. Con un cenno della mano ordinò a Ser Gregor di restare di guardia fuori dal solarium. Euron sorrise compiaciuto.

“Credevo fossimo d’accordo che avresti avuto quanto ti è stato promesso dopo aver vinto la guerra” gli disse continuando a camminare senza voltarsi.

Aye… ma quella guerra è stata interrotta e solo il Dio Abissale sa se mai riprenderà”. Euron la trattenne costringendola a guardarlo. “Ti desidero” sussurrò. “E tu? Non desideri festeggiare la prigionia di tuo fratello?”

Ed Euron si prese ciò che secondo lui gli spettava. Ma era Cersei a condurre realmente il gioco.

Lo trascinò fino al tavolo. Lui la aiutò a sedervi sopra, alzandole le gonne con un gesto impaziente.

“Sei mio” pensò con malizia. E non avrai mai il Trono che spetta a mio figlio”.

Ma qualcosa non andò come previsto. Cersei cominciò a sentirsi debole, i pensieri appannati dalla stanchezza. Euron continuava a baciarla sul collo, sulla spalla. Le scoprì un seno poco prima che Cersei svenisse. L’ultima cosa che vide fu lo sguardo tronfio e soddisfatto di Euron Greyjoy.

 

Si svegliò molte ore più tardi, giorni forse, sotto il baldacchino del suo letto. Quiburn era chino su di lei, con una coppa colma di una densa pozione biancastra e l’aria preoccupata.

“Bentornata Altezza” sorrise stancamente.

Aveva la gola secca. “Acqua” riuscì a scandire. Bevve a lungo dalla brocca che una servetta le porse. “Cos’è successo?”

“Non lo so, Vostra Grazia. Sei svenuta, ma ora starai bene” Quiburn provò a rassicurarla.

“Dov’è Greyjoy?” chiese ricordando gli ultimi attimi prima di svenire. “Ero con lui quando è successo”

“Per questo Ser Gregor ha provveduto a rinchiuderlo nelle segrete. Al primo piano come si confà al suo rango. Purtroppo Greyjoy ha provato a reagire e… beh sai com’è Ser Gregor”

“Che non gli venga fatto altro male. Abbiamo ancora bisogno di lui” sentenziò. “Gli parlerò io stessa. E se non mi convincerà di non aver a che fare con il mio malore sarà tutto tuo. I suoi uomini?”

“Non l’hanno presa molto bene. Più di cento navi hanno ripreso il largo bloccando la Baia delle Acque Nere sia in entrata che in uscita. Il resto di loro continua a creare scompiglio in città. Un gruppo si è asserragliato sulla collina di Vysenia uccidendo chiunque incontrasse e fortificando la posizione guadagnata. Almeno cinquanta cappe dorate hanno perso la vita”

La rabbia si impadronì di Cersei Lannister. Un furore cieco che aveva provato solo quando i suoi figli le erano stati portati via, centinaia d’anni prima o solo il giorno precedente.

Dormì poco e male quella notte. Sognò il giorno della morte di Joffrey, il Folletto che riempiva la coppa e la porgeva al Re. Ma il suo volto non era quello di Tyrion Lannister, era Euron Greyjoy ad avvelenare suo figlio, a spingere Tommen dalla finestra, ad uccidere Myrcella. Si svegliò di soprassalto, annaspando nel buio.

Chiamò le serve che accesero le candele, rivelando le candide lenzuola madide di sangue vermiglio.

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTORE…

Bentornati amici. Voglio ringraziare Reyf perché è sempre puntuale nella lettura e nella recensione del capitolo e QueenInTheNord che segue la mia storia con assiduità e mi ha promesso di recensire più spesso ;)… grazie ad entrambi. :*

Grazie anche a tutti coloro che l’hanno inserita nelle preferite o nelle seguite e anche a coloro che leggono soltanto… sarebbe bello sapere cosa ne pensate tutti voi.

A presto amici!

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 5 - THE FALL OF THE WALL ***


CAPITOLO 5 - THE FALL OF THE WALL

CAPITOLO 5 – THE FALL OF THE WALL

 

 

[TYRION]

Gli Immacolati e i Dothraki raggiunsero Grande Inverno pochi giorni dopo l’arrivo del convoglio della Regina, solo un giorno dopo l’arrivo di Ser Davos e i suoi uomini con la scorta di Vetro di Drago.

Su ordine di Jon Snow, gli accampamenti erano stati attrezzati poche miglia a est del castello, così che la Regina Daenerys potesse raggiungerli ogni qualvolta lo desiderasse. Verme Grigio e Jhago, il capo dei Dothraki, avevano fatto immediatamente rapporto. Portavano notizia di un esercito nemico che si era asserragliato su una fortezza in rovina pochi giorni dopo il loro passaggio attraverso l’Incollatura. Alcuni esploratori rimasti indietro avevano riportato la notizia.

“Il Moat Cailin” aveva constatato Jon con aria preoccupata.

Ma secondo il concilio dei Lord non aveva alcun senso controllare il Moat, visto che risultava inespugnabile solo se attaccato da sud. Un esercito ben armato, proveniente da nord, avrebbe potuto conquistare la fortezza in una giornata o due. Inoltre senza l’appoggio delle genti dell’Incollatura era praticamente impossibile controllarlo a lungo. E i Lord della Torre delle Acque Grigie erano tra i più fedeli alfieri di casa Stark da migliaia di anni.

L’unica spiegazione plausibile per quel comportamento era che Cersei Lannister non avesse alcuna intenzione di far marciare il suo esercito fino a Grande Inverno per combattere al loro fianco. Il suo obiettivo era rafforzare le sue posizioni nelle Terre dei Fiumi e proteggere al meglio il suo reame.

Daenerys non aveva preso per niente bene la notizia del presunto tradimento da parte dei Lannister e aveva preteso spiegazioni da Tyrion. Spiegazioni che ovviamente lui non avrebbe saputo dargli neanche volendo.

Un patto era stato siglato e Tyrion si era fatto garante di tale accordo. Non biasimava certo Daenerys per aver cominciato a dubitare della sua perizia nel ruolo di Primo Cavaliere.

“Era più facile essere Primo Cavaliere di un Re imbecille come Joffrey” aveva pensato. “Da quando servo Daenerys non ne ho azzeccata una”

A Meeren era stato raggirato dagli schiavisti e durante la guerra per il Trono di Spade le sue mosse erano state anticipate da Jaime, che gli aveva lasciato Castel Granito e il dominio sulle Terre dell’Ovest pur di conquistare l’Altopiano, terra decisamente più ricca e facile da sottomettere. E ora avrebbe dovuto pagare anche per la stupidità di sua sorella.

Si domandò cosa pensasse Jaime di quel comportamento. Probabilmente era complice di tutto ciò. L’unico Lannister che l’aveva davvero amato come un membro della sua famiglia alla fine lo aveva tradito, come tutti gli altri.

“Avrei dovuto lasciare che Daenerys bruciasse quella stupida città e tutti i suoi abitanti come avevo promesso il giorno del mio processo per regicidio”

Lord Varys aveva una visione diversa della situazione. Secondo lui Cersei aveva rotto l’alleanza senza consultarsi con il suo gemello. Dopotutto, quando mai Cersei Lannister aveva dato ascolto a qualcuno?

Ma se Varys avesse avuto ragione, cosa ne era stato di Jaime? Aveva accettato senza batter ciglio le decisioni della sua Regina? Tyrion ne dubitava. Per quanto fosse follemente innamorato di Cersei, Jaime non era uomo da sottostare ad un regnante che non difende i suoi sudditi o che addirittura li trucida. Tyrion lo conosceva meglio di chiunque altro.

Tutti sapevano cosa era accaduto al Re Folle, ma solo lui conosceva il vero motivo. Jaime glielo aveva raccontato la prima volta che si erano rivisti dopo il sacco di Approdo del Re. E ancora, lo aveva sentito lamentarsi talmente tante volte di Robert Baratheon da temere che prima o poi sarebbe diventato due volte Sterminatore di Re.

Jon Snow era stato più comprensivo di Daenerys, impegnato com’era a difendere le sue terre dall’invasione degli Estranei. Inoltre la diversità di genti che abitavano il Nord rasentava l’inverosimile. Se Bruti e nordisti avevano trovato il modo di vivere insieme, l’arrivo degli Immacolati, e soprattutto dei Dothraki, aveva sconvolto quel fragile equilibrio che si era creato. I guerrieri a cavallo erano, per natura, dei razziatori e le loro stravaganti usanze erano quanto di più lontano ci potesse essere dagli usi e costumi del Nord. C’erano già state diverse scaramucce tra loro e le genti del nord, e Jon aveva dovuto occuparsene prima che degenerassero in una guerra intestina che avrebbe segnato la fine di tutti loro. Per questo l’ex Re del Nord era lontano da Grande Inverno praticamente dal giorno in cui gli eserciti si erano accampati.

In sua assenza era Lady Sansa a gestire il castello. Da quanto aveva sentito dire dagli uomini di Grande Inverno la giovane Lady del Nord si era comportata in maniera egregia in assenza del fratello. Nulla che Tyrion non sapesse già. Sansa era una donna decisa e risoluta, che era stata capace di sopravvivere a Joffrey, a Ramsey Bolton e a Ditocorto, cosa che non era riuscita al suo stesso padre e a molti altri.

In più occasioni Tyrion l’aveva vista imporsi, in tutta la sua bellezza, in decisioni difficili, che era state accettate di buon grado praticamente da tutti, popolino e Lord. Anche quando queste scontentavano qualcuno. La tempra che aveva levigato negli anni difficili della sua vita aveva trasformato una ragazza sciocca e sognatrice in una vera regina, con tutti i vantaggi e le difficoltà del caso. 

Dal suo arrivo avevano avuto solo l’occasione di salutarsi ma la Lady di Grande Inverno gli aveva fatto sapere che presto avrebbero passato del tempo davanti ad un buon bicchiere di vino, in ricordo dei vecchi tempi. Non sapeva bene cosa le avrebbe detto. Sansa era stata sua moglie, un tempo, e questo gli creava un certo imbarazzo. Tyrion Lannister che si imbarazzava davanti ad una ragazza che aveva poco più della metà dei suoi anni…

 

“La mia Lady sarebbe felice di riceverti nel suo solarium, mio Lord di Lannister”. Brienne di Tarth lo accompagnò attraverso i corridoi di Grande Inverno, verso le stanze della sua Signora.

“Posso farti una domanda Lord Tyrion?” gli chiese.

“Ma certo, Lady Brienne”

“Credi che Ser Jaime sia complice della Regina?”. Lo disse tutto d’un fiato, tradendo una certa inquietudine.

“Credo che se ne avesse avuto la forza avrebbe dato lustro al suo soprannome” rispose con schiettezza. “Quanto alla sua condizione attuale sono preoccupato quanto te”

Lady Sansa lo attendeva in un piccolo solarium al primo piano della seconda fortezza di Grande Inverno. Un piccolo fuoco scoppiettava nel caminetto e almeno una dozzina di candele illuminavano l’ambiente e lo profumavano con una leggera essenza d’agrumi. Sansa indossava un abito nero di pelle lucida, con due meta-lupi ricamati sul petto e una leggera pelliccia sulle spalle. I lunghi capelli ramati acconciati in una treccia.

“Lord Tyrion” lo salutò con un sorriso. “Accomodati pure. Non ho più bisogno di te per oggi, Lady Brienne. Grazie”. La donna cavaliere chinò il capo a mo’ di saluto ed uscì. 

Sansa stessa riempì due coppe di vino e gliene porse una.

“Noto con piacere che non disdegni una buona coppa di rosso, mia Signora” provò a rompere il ghiaccio, ingollando quasi mezza coppa per sciogliere i nervi e la lingua.

“Ho imparato dal migliore in tal senso” scherzò lei.

Tyrion rise. “Ho saputo in che modo hai aiutato tuo fratello a riprendere Grande Inverno e come ti sei disfatta di Ditocorto. Devo dire che non avrei saputo fare di meglio”

“Uno dei miei momenti migliori”. Scosse appena la sua coppa in segno di vittoria e si bagnò appena le labbra. La determinazione nel suo sorriso gli ricordò un’altra regina.

“Potrei aver paura della tua risolutezza”

Stavolta fu il turno di Sansa di ridere. “Stamattina è arrivato un corvo di Lord Reed dalle Acque Grigie. Credo tu voglia leggerlo”  

La lettera recava la notizia di un esercito guidato da Edmure Tully e Jaime Lannister sconfitto dalla Compagnia Dorata al Moat Cailin. I capitani erano stati presi prigionieri ad eccezione di Lord Tully. Ma il Lord delle Acque Grigie li informava di star organizzando un piano per liberarli.

“La Compagnia Dorata? Maledizione!”.

Tyrion fu enormemente sollevato che Jaime avesse finalmente sciolto le briglie da Cersei, ma allo stesso tempo preoccupato per la sua prigionia. Se Jaime aveva abbandonato la sua gemella non restava nessuno ad arginare i suoi peggiori impulsi, ed ora lui era prigioniero di mercenari avidi di denaro e sangue.

Quando rialzò gli occhi dalla missiva Sansa parlò di nuovo. “Ho fatto in modo di parlarne con te per primo, mio Lord. Informa tu la regina, se vuoi”.

“Cosa penserebbe Jon di questo sotterfugio, mia Signora? La regina dovrebbe essere la prima a sapere questo genere di cose”. Tyrion le rivolse un sorriso disarmante.

“Jon si fida del mio giudizio”. L’espressione di Sansa si era indurita solo per un attimo.

“C’è un’altra cosa di cui volevo parlarti. Celebreremo l’alleanza con un banchetto. L’etichetta lo richiede, nonostante la situazione. Spero che questo possa convincere tutti che il Nord e Daenerys Targaryen faranno fronte unito contro il nemico comune. Definitivamente” Sansa interruppe il corso dei suoi pensieri cambiando argomento.

“Hai tutta la mia approvazione, mia Lady. Non c’è niente di meglio del vino per dimenticare vecchie scaramucce. O per crearne di nuove”.

Sansa incrociò le braccia intorno al petto e assunse un’espressione accigliata.

“…ma non è per il banchetto che mi hai fatto venire qui. E nemmeno per la lettera di Lord Reed. Dico bene?”

“Astuto come sempre, Lord Tyrion” sorrise Sansa. “Voglio sapere se è un’alleanza esclusivamente militare quella che lega la regina a mio fratello”. Finalmente Sansa arrivò al punto.

“Dovresti chiederlo a loro, mia Signora. Io sono solo un servitore di sua Maestà” provò a glissare.

“Sappiamo bene entrambi che sei molto più di questo, Lord Tyrion. Cersei avrebbe avuto modo di tradirci solo se tu glielo avessi concesso. E sai meglio di me che anche Daenerys lo sospetta. Quindi dimmi, c’è qualcos’altro che dovrei sapere?”

Adesso Sansa lo scrutava sospettosa. D’altronde se c’era qualcuno che lo conosceva meglio di altri a Grande Inverno quella persona era Sansa Stark. Gliene aveva appena dato dimostrazione.

“L’unico modo per ottenere quello che volevamo era garantire a Cersei… sicurezza” le rivelò esitante.

Per un attimo vide la sorpresa balenare sul viso della sua giovane interlocutrice. “Sicurezza? L’unica sicurezza che Cersei ha è che qualcuno prima o poi la ucciderà, che sia un rivale politico o un popolano arrabbiato per le sue azioni. Non importa. Non puoi avergli garantito la sopravvivenza di tua iniziativa”

Lady Sansa aveva abbracciato la causa di Daenerys Targaryen? Oppure il suo era solo un gioco per costringerlo a scoprire le sue carte? Tyrion Lannister era nato per questo.

“Sei diventata abile nel gioco del Trono, Lady Sansa. D’accordo ti racconterò tutto ma… abbiamo bisogno di più vino”. Sospirò rumorosamente riempendo ancora la sua coppa. “Non è per la sua vita che ho garantito, ma per quella di mio nipote”

 

 

[SAMWELL]

Ritrovare Jon, il suo primo vero amico, era stato fonte di immensa gioia per Sam Tarly. Vederlo sorridere quando lo aveva salutato nel cortile di Grande Inverno gli aveva dato forza. E nascondergli la verità era stata una delle cose più difficili che avesse mai fatto in vita sua, quasi quanto uccidere un Estraneo. Ma quando era stato sul punto di svelargli tutto gli era bastato incrociare lo sguardo severo e preoccupato di Bran per desistere.

Tuttavia Sam era consapevole di non poter tacere a lungo. Jon meritava di sapere la verità, quali che fossero le conseguenze.

Per fortuna Jon Snow si era allontanato dal castello per occuparsi di altre questioni, cosicché Sam potesse tornare alle sue ricerche sulla Lunga Notte senza il continuo tarlo della verità nascosta all’amico.

Le nevicate erano così fitte e intense da rendere il mondo esterno un’immensa distesa candida e la coltre di nuvole talmente spessa da far pensare che mai più avrebbero sentito il calore dei raggi solari sulla pelle. Qua e là nel castello Sam si diceva a mezza voce che la Lunga Notte era ormai iniziata.

Sam trascorreva la maggior parte delle giornate nella biblioteca di Grande Inverno, in compagnia di decine di antichi tomi e vecchie pergamene.

Quel giorno era chino su un manoscritto che aveva sottratto alla Cittadella, Miti e Leggende sulla Lunga Notte, alla ricerca di un qualche dettaglio che potesse aiutarlo. Si era praticamente arreso quando sentì qualcuno scendere le scale e il bibliotecario precipitarsi ad accoglierlo.

Daenerys Targaryen si fece largo tra i molti scaffali fino a lui. Sam fu grato che ad accompagnarla fossero due Immacolati e non un paio di colossali Dothraki. Conosceva qualche parola di Alto Valyriano per comunicare con i guerrieri eunuchi, ma i Dothraki gli incutevano timore con le loro espressioni feroci e la loro parlata aspra e gutturale.

“Vostra Grazia” la salutò affrettandosi ad alzarsi. Per poco non rovesciò la poltrona su cui sedeva. “Come posso esserti utile?”

“Lasciateci” ordinò loro Daenerys in valyriano. I suoi accompagnatori tornarono sui propri passi. “Lady Sansa mi dice che sei un Guardiano della Notte, Maestro Sam”

“Lo sono, Altezza. Un Guardiano della Notte almeno. Non sono riuscito a forgiare la catena da Maestro. Ho vissuto per un po’ alla Cittadella ma ho dovuto abbandonarla quando ho capito che nessuno lì mi avrebbe aiutato nella mia ricerca” accennò al libro che stava leggendo.

“Tuttavia sei stato in grado di curare Ser Jorah dal morbo grigio. Ad Essos nessuno c’è mai riuscito. E per questo ti sono debitrice”

“Non esserlo, Maestà. Ero io ad avere un debito da saldare con Lord Mormont. Ho servito sotto suo padre Jeor quando era Lord Comandante dei Guardiani della Notte. Sono stato l’attendente personale di un tuo parente, Maestro Aemon”

“Aemon?” chiese Daenerys Targaryen stupita. “Non sapevo ci fossero altri Targaryen in vita”

“Aemon Targaryen, si. Zio di tuo padre Aerys”. Sam esitò. “È morto qualche anno fa, a centodue anni. Era un uomo saggio e gentile. Fino al suo ultimo giorno di vita non ha mai dubitato che tu avresti ridato lustro al vostro antico nome”

Sam vide Daenerys rabbuiarsi. Probabilmente sentir parlare della morte del suo ultimo parente in vita, di cui non conosceva nemmeno l’esistenza fino ad allora, l’aveva intristita. “Perdonami, Altezza. Non era mia intenzione causarti dolore”

“Non è colpa tua Sam. Un giorno ti chiederò di parlarmi di lui”. Daenerys gli sorrise. “Sei di nobili origini dico bene?”

“Lo sono, Maestà. Samwell Tarly di Collina del Corno. O almeno lo ero prima di prendere il Nero”

“Tarly?” Daenerys distolse lo sguardo.

“So che la mia famiglia si è schierata contro di te, Altezza. Ma non hai nulla da temere da me. Io servo Jon Snow e i Guardiani della Notte” si affrettò ad aggiungere.

“Sono lieta di sentirlo, Sam. Ti lascio alle tue ricerche” Daenerys si allontanò senza più incrociare il suo sguardo.

“Forse avresti dovuto tenere per te la tua discendenza, stupido idiota” si biasimò. L’ultima cosa che voleva era creare problemi a Jon per via delle stupide scelte di suo padre.

Richiuse il libro che stava leggendo con un colpo secco, causando uno sbuffo di polvere. Tossì maldicendo la sua goffaggine prima di avviarsi su per le scale.

Gilly lo aspettava nelle sue stanze con il piccolo Sam in un angolo intento a consumare la sua colazione.

“Non sei venuto a letto stanotte” gli disse con un po’ di tristezza. Ogni volta che la baciava, o anche solo posava il suo sguardo su di lei, non poteva fare a meno di sorridere pensando a quanto lei lo aveva cambiato. Ma tutto quello, e condividere le lenzuola con Gilly, era sempre un patimento per Sam per via del suo giuramento. Eppure non poteva fare a meno di amarla. 

“Ho avuto molto da leggere” Sam svicolò evitando di arrossire.

Gilly gli andò incontro e lo baciò brevemente. “Ti ho preparato un bagno. Vieni”. Lo condusse fino al piccolo lavacro attiguo alla sua camera, dove una tinozza piena d’acqua bollente lo attendeva, aiutandolo a slacciare il farsetto.

“Ti ringrazio, Gilly”

 

Qualche ora più tardi, fu svegliato dall’attendente di Grande Inverno che lo informava che Jon Snow era finalmente rientrato dalla sua missione e chiedeva di vederlo. Gilly era di sicuro andata a compiere i suoi doveri di ancella di Lady Sansa così si rivestì in fretta e raggiunse Jon.

Lo attendeva nel suo solarium, seduto davanti al caminetto acceso, insieme a Ser Davos Seaworth. Aveva l’aria particolarmente stanca e sembrava provato dal lungo viaggio.

“Ti prego Sam, dimmi che hai scoperto qualcosa di utile” andò dritto al punto.

“Mi spiace Jon. Ho trovato diversi resoconti sulla Lunga Notte ma nessuno sembra contenere un indizio decisivo. Qua e là si parla di un eroe che sconfiggerà il Re della Notte. Ma come lo farà non è scritto da nessuna parte”

“Dannazione” imprecò Jon. “L’Età degli Eroi è finita da quanto? Ottomila anni?”

“Mi dispiace Jon”

“Non è colpa tua” lo rincuorò. “Dimmi tutto quello che sai su questo eroe

“Non molto in realtà. In Resoconto della Grande Guerra di maestro Ballaban si parla di Azor Ahai quale grande condottiero. Uccise la sua amata, Nissa Nissa, per temprare la sua spada, Portatrice di Luce, la Spada Rossa degli Eroi, e si fece carico del comando nella Grande Guerra. Ballaban viaggiò fino ad Asshai delle Ombre, e lì apprese la leggenda di Azor Ahai e altri dettagli meno importanti. In Miti e Leggende sulla Lunga Notte di Septon Barth, invece, si attende l’arrivo del Principe che venne Promesso. Potremo supporre che siano la stessa persona. Ma chi?” glissò volutamente sulla presunta discendenza del leggendario principe di cui aveva discusso solo con Bran. Septon Barth riteneva dovesse nascere dalla linea di sangue di Aerys il Folle e sua moglie, la Regina Rhaella.

“Melisandre credeva che Stannis fosse questo famigerato eroe” intervenne Ser Davos.

“Ma Stannis…” cominciò Sam d’impulso, interrompendosi per paura di ferire l’anziano Cavaliere delle Cipolle.

“…è morto” concluse per lui Jon.

“C’è un'altra cosa. Secondo le leggende Azor Ahai rinascerà dal sale e dal fumo” concluse Sam.

Davos e Jon si scambiarono un’occhiata eloquente. Sam aveva sentito della resurrezione di Jon per mano di Lady Melisandre ma non aveva avuto il coraggio di chiedere spiegazioni a riguardo. Non a Jon almeno.

“Quindi questo Principe che fu Promesso o Azor Ahai dovrebbe salvarci tutti” concluse Jon. “So cosa stai pensando Davos. Ma io non ho niente in comune con lui. Lady Melisandre e il suo Dio mi hanno riportato in vita, questo è vero, ma il sale e il fumo? E non ho nessuna Spada Rossa. La lama di Lungo Artiglio è come tutte le altre spade valyriane”

“Temo che dovremo fare a meno di questo grande eroe, almeno per il momento” Ser Davos non sembrava uomo da appigliarsi ad una leggenda.

“Ho intenzione di partire per la Barriera da qui a qualche giorno Sam, dopo i festeggiamenti per la celebrare l’alleanza con Daenerys” gli confidò Jon. “Vorrei che tu restassi al sicuro, qui a Grande Inverno”

Sam ne fu sorpreso. E fu ancora più sorpreso dalle parole che uscirono dalla sua stessa bocca. “Io sono un Guardiano della Notte, Jon. Il mio posto è con i miei confratelli. Il nostro è un giuramento per la vita”.

“Quando tutto sarà finito potrebbe non esserlo più” concluse Jon socchiudendo gli occhi dalla stanchezza. “Adesso non me ne vogliate, ma ho bisogno di riposare per qualche ora”

 

 

[DAENERYS]

Grande Inverno l’aveva accolta sorprendentemente bene. Certo, alcuni Lord non lesinavano di mostrarsi astiosi ad ogni occasione, ma il popolino di Città dell’Inverno era arrivato addirittura ad acclamarla quando era atterrata fuori dalle mura in groppa a Drogon, dopo aver visitato gli accampamenti dei suoi eserciti.

I suoi draghi non amavano molto il clima freddo tipico del Nord. Erano irrequieti e particolarmente irascibili. Perciò ogni volta che poteva, tra un concilio di guerra e l’altro, Daenerys passava del tempo con loro sperando di riuscire a tenerli a bada.

Lei stessa era furiosa, con Tyrion in particolare. Cersei aveva tradito gli accordi e l’unica spiegazione che il suo Primo Cavaliere le aveva dato era stata una semplice alzata di spalle. Il pensiero che Tyrion potesse nascondergli qualcosa la mandava ancora su tutte le furie. In un moto d’impeto, era stata sul punto di richiamare i suoi eserciti e marciare a sud fino alla capitale.

Era scesa a più miti consigli in seguito al suo incontro con Samwell Tarly. Nella battaglia lungo il fiume delle Acque Nere aveva giustiziato suo padre e suo fratello. Allora le era sembrata un’azione necessaria, non aveva pensato minimamente alle conseguenze negative di quel gesto. Quel giovane uomo goffo e impacciato aveva salvato Ser Jorah da un destino orribile e lei gli sarebbe stata grata per il resto della vita, ma di fronte a lui si era vergognata del suo gesto inconsulto.  

Quella mattina era uscita a cavallo con una scorta di Dothraki guidati Ser Jorah. Dopo una breve visita agli accampamenti, Daenerys aveva guidato il gruppo in cerca dei suoi draghi. Drogon e Rhaegal avevano sorvolato più volte la loro madre ma si erano entrambi rifiutati di interrompere il loro volo per raggiungerla. Così Daenerys era rimasta ad osservarli per un po’, rimanendo in sella al suo cavallo.

“Maestà”. Ser Jorah richiamò la sua attenzione “Qualcuno si avvicina”.

Daenerys si voltò e riconobbe Arya Stark cavalcare verso di lei in sella alla sua puledra nera.

“Non volevo disturbarti, Maestà. Credevo che qualcuno stesse disturbando i draghi e volevo avvertirlo di allontanarsi”

“Non disturbi affatto, Arya. Ti va di accompagnarmi?” Daenerys spronò il cavallo al passo.

“Sono davvero meravigliosi” le disse la giovane Stark affiancandola.

“Non tutti la pensano come te”.

“C’è qualcosa che ti turba, Altezza?”

Daenerys incrociò lo sguardo di Arya e capì che non aveva senso mentirle.

“Cersei Lannister” le rivelò.

“Pagherà anche per questo. È una promessa”. Arya serrò la mano intorno all’elsa della spada. “Dopo il banchetto di domani ho intenzione di recarmi a sud per farle scontare tutto il male che ha fatto”

Daenerys rimase spiazzata. “Vuoi andare a sud da sola? Ma la tua casa? I tuoi fratelli?”

“Se Jon sarà qui li proteggerà” rispose Arya con convinzione.

Ma Jon si era allontanato pochi giorni dopo il loro arrivo e non aveva ancora fatto ritorno. Anche se gli aveva giurato fedeltà, il Nord rispondeva comunque al Re che si era scelto prima che a lei e, per quanto questo la infastidisse, Daenerys sapeva bene di non poter calcare la mano per non generare ulteriori malcontenti.

“Tornerà presto” la rincuorò Arya come se avesse letto il suo stato d’animo dal suo silenzio.

Rientrarono verso Grande Inverno costeggiando la Foresta del Lupo. Ser Jorah apriva il gruppo, Arya cavalcava al suo fianco. Il resto della scorta Dothraki era tornata all’accampamento dietro suo preciso ordine. Ben presto nel folto della foresta scorsero del fumo nero pece salire al cielo. Drogon e Rhaegal si erano trovati un nascondiglio non molto in profondità nella boscaglia.   

“È stato bello cavalcare con te Arya. Ma perdonami, ho bisogno di stare un po’ con loro” accennò al fumo nero nel cielo.

“Ma certo, Maestà. Vuoi che ti aspetti qui?” rispose la giovane con un sorriso.

“Sei gentile ma no. Potrei allontanarmi con loro”.

Richiamò Ser Jorah e gli ordinò di tornare a Grande Inverno con Arya. L’anziano cavaliere protesto a lungo, elencando i pericoli che la foresta poteva nascondere.

“Non preoccuparti per me ser. Drogon e Rhaegal mi proteggeranno”   

Ser Jorah Mormont la osservò allontanarsi a cavallo con aria angosciata. Da quando era giunti al Nord il cavaliere di Isola dell’Orso era tornato ad essere la sua ombra, come quando, insieme, avevano attraversato il continente orientale. Questo comportamento un po’ la infastidiva, ma allo stesso tempo la faceva sentire protetta. Il suo orso non l’avrebbe mai abbandonata, di questo era assolutamente certa.

 

Seduta su una roccia sporgente, con la schiena poggiata all’imponete collo di Drogon, disteso intorno a lei, Daenerys si ritrovò a pensare a tutto quello che era accaduto da quanto era giunta a Westeros. Nel bel mezzo della Foresta del Lupo, nella radura che i draghi avevano scelto come dimora, centinaia di ossa annerite coprivano il terreno. Ossa di cervi, alci e decine di altri animali diversi.

“È così che i miei draghi avrebbero ridotto Approdo del Re se fossi stata tanto sconsiderata da attaccarla. Un mucchio di rovine e ossa bruciate”

Tutt’intorno alla radura un cerchio di Alberi Diga, faceva la guardia al nascondiglio dei draghi. Stranamente gli Alberi Diga erano gli unici ad essere completamente intatti. Nessuno di loro portava il segno della presenza di un drago. Querce, pini e molti altri alberi erano stati bruciati dal fuoco dei suoi figli, ma non gli alberi dal tronco bianco come ossa e le foglie rosso sangue.

Drogon si mosse, girando la colossale testa cornuta verso l’ingresso della radura, ma Daenerys se ne accorse appena.

“Ser Jorah mi ha detto che ti avrei trovato qui”

Daenerys sobbalzò nell’udire la voce di Jon. Drogon sbuffò fumo nero, ringhiando verso il suo visitatore.

“Buono Drogon” lo tranquillizzò carezzando le scaglie incandescenti.

“Non volevo spaventarti… spaventarvi”. Jon si mosse cautamente aggirando Drogon e andandosi a sedere al suo fianco.

“Ero solo distratta. Trovo strano che i miei draghi abbiano scelto una radura di Alberi Diga come rifugio”.

“Per fortuna non li hanno distrutti. Questa è l’unica radura di Alberi Diga a sud della Barriera”.

Per qualche attimo restarono in silenzio, l’uno accanto all’altra, ad osservare Rhaegal che era riapparso nei cieli grigi.

“Sansa mi ha informato di quello che è successo sul Moat”. Jon sembrava preoccupato dagli ultimi sviluppi.

“E tu credi alla storiella dello Sterminatore di Re prigioniero della sua amante?”

“Non so a cosa credere in realtà. Abbiamo problemi molto più grossi. Dalla Barriera arrivano notizie preoccupanti. Orde di non morti sono state avvistate vicino al Forte Orientale e a Lungo Tumulo già prima che noi arrivassimo a Grande Inverno. E non riceviamo notizie fresche da almeno una settimana. Ho un brutto presentimento”

“Dobbiamo andare a Nord allora. Non possiamo più aspettare”

“Prima dobbiamo presenziare a questo stupido banchetto”. Jon sbuffò sonoramente.

“Tua sorella non sarebbe contenta di sapere che la ritieni una cosa stupida” lo rimproverò.

Lasciò che Drogon strisciasse sotto il suo braccio e la liberasse dal suo abbraccio. Il drago nero e rosso batté violentemente le ali sollevando copiosi sbuffi di neve.

“Un altro colpo d’ali e avremo dovuto scavare nella neve per rivedere il cielo” sorrise Jon facendole scudo con il suo mantello nero.

Daenerys si ritrovò con il viso a pochi centimetri da Jon. Profumava di pino e di neve.

“Vorrei che tu provassi ad avvicinarti a Rhaegal, Jon” gli disse d’impulso. “Potresti essere il suo cavaliere”

“Io? Cavalcare un drago?” Jon era spiazzato e preoccupato allo stesso tempo. “Non saprei da dove cominciare”

“Non è più difficile che andare a cavallo” Daenerys sorrise radiosa. “Conosci già un po’ d’Alto Valyriano. E Drogon non ti ha arrostito quando ti sei avvicinato a lui. Magari piaci anche a Rhaegal”

“Non lo so Daenerys. Io…”

“Quando hai detto che mi avresti aiutato a proteggerlo mentivi dunque?” quasi lo supplicò.

“No. Io… lo farò”

Non sapeva bene come la cosa la facesse sentire. Non aveva mai creduto che qualcuno potesse avvicinarsi ai suoi draghi senza che questi schioccassero le mascelle minacciosi e arrostissero sul posto l’impavido aspirante cavaliere. Ma Drogon si era comportato in maniera sorprendente con Jon. Daenerys non aveva percepito nessuna inquietudine in lui quando Jon si era avvicinato. L’idea che anche Rhaegal avesse un cavaliere la rassicurava tanto quanto la preoccupava.

 

Il drago verde e bronzeo ridiscese volando in cerchio sulla radura. Quando fu abbastanza vicino, Daenerys notò che stringeva tra le fauci una grossa carcassa di un alce. Restò sospeso a pochi metri da terra, battendo con violenza le ali palmate. Jon avanzò di qualche passo sostenendo lo sguardo infuocato di Rhaegal.

Per tutta risposta, il drago toccò terra con un tonfo e scaraventò la carcassa alle sue spalle, ruggendo il suo disappunto verso l’uomo che gli stava davanti. Jon quasi perse l’equilibrio ma fece un altro passo in avanti.

Daenerys trattene il fiato. Era sul punto di richiamare suo figlio quando quello che accade fece perdere al suo cuore almeno un battito.

Rhaegal schioccò le fauci minaccioso, la sua coda fendette la radura alle spalle di Jon. Se solo avesse voluto, avrebbe potuto ucciderlo in un istante. Ma non lo fece. Si piegò ad incontrare la mano tesa di Jon. Lui la scostò appena al primo tocco, ma Rhaegal insistette spingendolo con l’enorme testa cornuta.

L’uomo e il drago restarono l’uno di fronte all’altro per qualche attimo. Gli occhi grigio ghiaccio di Jon Snow fissi negli occhi ocra infuocati di Rhaegal. Fino a quando Jon sussurrò qualcosa. Daenerys non capì cosa, ma Rhaegal riprese il volo sollevando altri sbuffi di neve tutt’intorno.

Entrambi lo seguirono con lo sguardo fino a che non fu lontano.

 

 

[JON]

Aveva visto la sala grande di Grande Inverno agghindata in modo così ricercato solo un’altra volta nella vita, quando Re Robert Baratheon aveva fatto visita al Lord suo padre. Drappi bianchi col meta-lupo grigio ornavano l’intero perimetro. Qua e là altri vessilli si alternavano: un orso bruno su sfondo verde, un pugno di ferro su sfondo rosso scarlatto, un tritone bianco e verde su sfondo blu-verde e molti altri. Tra tutti gli emblemi del Nord solo uno sembrava fuori luogo, il drago rosso su sfondo nero di casa Targaryen. Affiancava il meta-lupo alle spalle del palco della famiglia Stark, nero e rosso contro bianco e grigio-argento.

Anche il cortile degli addestramenti era irriconoscibile. Tutta l’attrezzatura era stata rimossa e la neve fatta sciogliere da decine di falò. Parte del cortile era stata coperta con una struttura in legno per ripararsi dalle intemperie. Panche e tavoli erano stati allineati per permettere a tutti i gli abitanti del castello di sedere e festeggiare l’alleanza tra gli Stark di Grande Inverno e la Regina Daenerys Targaryen.

Jon sarebbe stato contrario, in linea di principio, ad organizzare un banchetto vista la situazione, ma Sansa aveva argomentato che celebrare l’alleanza avrebbe contribuito a rinforzarla e nessuno aveva avuto argomenti per contraddirla. Si era premurata anche di organizzare il banchetto per gli eserciti accampati fuori dalle mura.

Quella sera, tutti i Lord del Nord sarebbero stati presenti ai festeggiamenti nella sala grande e Jon sapeva bene che gli occhi di tutti sarebbero stati puntati sul palco reale.  

Lord Glover e Lord Cerwyn, che lo avevano accompagnato, insieme a Ser Davos, a sedare i disordini sorti tra gli uomini della regina e i Bruti desideravano l’indipendenza del Nord e avevano l’appoggio anche di Lady Mormont e Lord Manderly. Tutti loro avrebbero cercato la minima crepa nel rapporto tra lui e Daenerys per perorare la propria causa. Per fortuna Sansa si era dimostrata ferma nell’appoggiarlo, altrimenti quelle semplici richieste sarebbero potute diventare ben presto delle pretese.

Camminava sul versante nord delle mura del castello quando Arya lo raggiunse. Lo faceva tutte le mattine, scambiando qualche battuta con i soldati di guardia.

“Ti va di allenarti?” chiese la sorella con aria di sfida.

“Non dico mai no ad un duello con la spada ma il cortile è pieno di gente che prepara il banchetto. E non credo che Sansa sarebbe felice di vederci fare a pezzi tutto”

Arya sorrise. “C’è pur sempre la palestra”

Dopo pochi minuti avevano indossato la cotta di maglia ed erano pronti a battersi. La palestra era pressoché vuota ma ben presto una piccola folla si radunò ad osservare il Re del Nord e sua sorella allenarsi.

Jon le girò intorno con circospezione, studiando il suo stile di difesa.

Arya assunse la sua posizione da battaglia. “D’accordo. Se non ti decidi ad attaccare lo faccio io”.

Era un bersaglio sorprendentemente piccolo da colpire, sottile come la spada che brandiva.

“Sei tornato e non ti sei nemmeno degnato di avvertirmi” Arya attaccò in avanti, con un affondo preciso. Jon deviò di lato evitando il colpo. Nel tono scherzoso di Arya scorse dell’altro. Paura?

“Va tutto bene?” le chiese studiando allo stesso tempo un modo per attaccarla.

“Sei tu quello che evita la sua famiglia. Eri tornato solo da un paio di giorni e sei subito ripartito” Arya lo scrutò con sguardo indagatore. “Che succede Jon?” le loro spade cozzarono a mezz’aria.

Per un attimo rimasero immobili l’uno di fronte all’altra.

“Sono solo preoccupato per la guerra che ci aspetta”.

Con uno strattone Arya liberò Ago e balzò indietro preparandosi ad affrontare un nuovo attacco.

“E Daenerys Targaryen non c’entra niente con questa tua preoccupazione?”. Arya era sempre stato una che va dritta al punto, tenace e pragmatica. Scartò verso sinistra attaccandolo alla vita. Jon indietreggiò in difficoltà.

“Cosa intendi dire?”. Si mosse di lato per riprendere fiato.

“Credi che non abbia visto come ti guarda? O come hai sorriso parlando di lei quando ci siamo rivisti al ruscello?” Jon parò l’ennesimo colpo e cominciò ad avanzare mulinando la spada. Arya evitò i suoi attacchi danzando a destra, a sinistra e poi di nuovo a destra.

“Sei un’ottima osservatrice. E io che credevo preferissi la strada della spada a quella della politica” provò goffamente a cambiare argomento, ma Arya continuò ad incalzarlo con un’espressione di rimprovero sul viso.

“Io invece credevo che non ci fossero segreti tra noi”. Arya si immobilizzò, Ago in posizione d’attacco, l’altra mano chiusa a pugno su un fianco.

“Aye. Lo credevo anch’io. Invece scopro che stai per partire per Approdo del Re” ricambiò lo sguardo di rimprovero di lei.

“Quindi avevo ragione su te e Daenerys” lo colpì alla spalla e al ventre con un solo aggraziato movimento, scartando per evitare il suo fendente in risposta.

La sua lama calò di nuovo costringendo Arya ad arretrare vistosamente per riguadagnare una buona difesa. Le restituì molti dei colpi che fino a quel momento aveva incassato e quando si rese conto che sua sorella era in grado di assorbire i suoi attacchi come qualsiasi altro avversario si lasciò andare ad un duello più intenso. Fu l’acciaio a concludere il loro battibecco, come un tempo facevano le gare di tiro con l’arco e le corse a cavallo fino alle porte di Città dell’Inverno.

 

“Combatti bene” Jon appese la spada al piolo.

“Aye. La prossima volta sarò io a vincere” rispose Arya rinfoderando Ago.

“Che intenzioni hai?” la trattenne per un braccio costringendola a guardarlo. “Con Cersei intendo? Non puoi affrontare tutto il suo esercito”

“Non affronterò nessun esercito. Ho un piano” tagliò corto Arya.

“Finalmente avete finito” la voce di Sansa li riportò alla realtà. “Possibile che io sia l’unica con un po’ di discernimento qui? Dovreste andare a prepararvi”. Si voltò infastidita e andò via.

“Sarà meglio che vada a vedere cosa succede” Arya seguì la sorella, lasciandolo con le sue domande e le sue paure.

 

I bracieri rendevano l’aria calda e opprimente. La sala grande era un turbinio di voci che si sovrapponevano l’una all’altra.

Quando Jon varcò la porta con Sansa al braccio gli uomini di Grande Inverno inneggiarono ai loro Signori. Arya camminava poco dietro di loro con Samwell Tarly che spingeva la sedia a ruote di Bran. Il giovane Stark avrebbe preferito restare nel Parco degli Dei ma ancora Sansa aveva preteso anche la sua presenza. Bran aveva l’aria stanca e malaticcia ma aveva rassicurato tutti quando gli avevano suggerito di restare nel castello, anche se in modo piuttosto tetro. Si era limitato a rispondere alle loro proteste dicendo che non era ancora giunta la sua ora.

Daenerys e la sua corte li raggiunsero poco dopo. Il loro ingresso non suscitò lo stesso successo, ma gli occhi di tutti seguirono comunque la regina Daenerys attraversare la sala in tutto il suo splendore. Vestiva i colori della sua casata. Un abito nero, la gonna a più strati e sul corpetto ricamato un drago a tre teste in filo rosso scarlatto. Indossava anche la corona d’oro rosso modellata in tre teste di drago e un mantello nero bordato anch’esso d’oro rosso e pelliccia. I capelli bianco-argentei erano acconciati nella classica maniera Dothraki: una miriade di trecce tenute insieme da tante campanelle d’argento.

Sedette alla sua sinistra rivolgendogli un sorriso. Tyrion Lannister caracollò al suo fianco fino al posto d’onore accanto alla regina. Anche Ser Jorah, Missandei e Verme Grigio li affiancarono, sedendo al tavolo reale.

I festeggiamenti si prolungarono per tutta la sera. Un giovane cantastorie li intrattenne accarezzando la sua arpa di legno levigato. Cantò L’Orso e la Fanciulla bionda e Il Coraggioso Danny Flint per omaggiare il Nord e La Danza dei Draghi e Alysanne in onore della regina Daenerys Targaryen. Concluse la sua esibizione con Sette Spade per Sette Fratelli per tutti i guerrieri che avrebbero difeso le loro terre dagli Estranei.

Per ringraziarlo Sansa lo invitò a sedere al tavolo reale e godere della loro ospitalità, ma il giovane declinò gentilmente l’offerta preferendo sedere nella sala insieme a lord e lady.

La prima portata fu una densa zuppa di verdure e funghi servita in ciotole di legno istoriate, seguita da frittelle di grano che accompagnavano un abbondante arrosto di cacciagione. Jon mangiò poco e bevve anche meno. Al contrario del resto dei suoi commensali. Tyrion Lannister non lesino il cibo né, tantomeno, il vino. E persino Daenerys si profuse in complimenti per i cuochi di Grande Inverno.

Le ancelle stavano servendo tartine al limone accompagnate da grosse ciotole piene zeppe di olive, cipolle bollite al rosmarino e taglieri ricolmi di ogni tipo di formaggio, quando Sansa si sporse verso di lui. “Dovresti dire qualcosa per ringraziarli di essere qui”

Quando Jon finalmente si alzò in piedi la cena volgeva ormai al termine. Tyrion, che aveva decisamente esagerato con il vino, e Gendry, seduto accanto ad Arya, cominciarono a battere le coppe sul tavolo per richiamare l’attenzione.

Gli occhi di tutti si posarono su di lui e sulla sala calò un’immobilità quasi surreale, rotta soltanto dalle ancelle che svolgevano le loro mansioni.

Si schiarì la voce. “Miei Lord… Amici”. Alzò la coppa e tutti lo imitarono.

Ma non ebbe tempo di brindare alla loro alleanza. Il silenzio fu rotto dal suono di un corno, talmente vicino da far vibrare le finestre e gelare il sangue nelle vene. “Aaaaauuuuuuu”.

L’intera sala trattenne il fiato.

“Fa che sia solo uno” piagnucolò Sam Tarly sporgendosi per rassicurare il piccolo Sam in braccio a Gilly.

Dopo interminabili attimi di attesa, quando apparve chiaro che non vi sarebbero stati altri richiami di corno, Ser Davos raggiunse Jon al centro del palco reale.

“Dovremmo andare a vedere cosa succede, mio Signore” gli sussurrò.

Jon si accomiatò in fretta dai suoi commensali scambiando solo uno sguardo preoccupato con Daenerys.

Il cancello nord era aperto e la folla nel cortile si accalcava per osservare i nuovi arrivati. Non portavano alcun vessillo quindi fu impossibile capire di chi si trattasse fino a che non se li ritrovò di fronte.

Tormund Veleno dei Giganti e Lord Beric Dondarrion conducevano i cavalli per le briglie seguiti da non più di una trentina di uomini, Bruti e Guardiani della Notte. Alcuni di loro reggevano delle torce improvvisate, altri arrancavano per scendere da cavallo sostenuti da qualche compagno.

“La Barriera è stata spezzata. Forte Orientale e il Castello Nero sono caduti. Arrivano”

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 6 - WHEN THE WINDS OF WINTER BLOW... ***


CAPITOLO 6

CAPITOLO 6 – When the Winds of Winter blow…

 

 

 

[THEON]

“Sei un Greyjoy e sei uno Stark”

Theon Greyjoy era nato a Pyke da Balon Greyjoy e Alannys Harlaw e da quando aveva dieci anni era stato cresciuto da Lord Eddard Stark a Grande Inverno.

Fin dal giorno in cui aveva lasciato la sua casa per recarsi al Nord quale protetto di Lord Stark aveva creduto di dover scegliere chi essere. Suo padre gli aveva imposto una scelta e, cento e cento volte, si era pentito di averlo ascoltato, di aver scelto tra il suo sangue e il sangue di chi lo aveva cresciuto e amato.

Poi, a Roccia del Drago, si era scontrato con tutto quello che significava essere un uomo del nord, nella persona di Jon Snow.

“Lui è parte di te”. Le sue parole gli rimbombavano in testa da allora.

Ed era la verità. Lord Eddard Stark non lo aveva mai lasciato davvero. Era stato per lui un padre migliore di quanto fosse stato Balon Greyjoy. E Robb…

Theon sapeva di aver meritato quello che gli era accaduto, ma non era più alla ricerca del perdono. Diventare un uomo di cui Lord Stark sarebbe stato fiero era il suo obiettivo. L’aveva capito guardando Jon Snow giurare fedeltà a Daenerys Targaryen alla Fossa del Drago.

Aveva commesso tanti errori in vita sua, ma era giunto il momento di rimediare. Per questo era salpato da Roccia del Drago con le uniche due navi della flotta di Yara, sopravvissute alla furia di Euron. La Vento Nero, che in assenza del suo comandante, Yara per l’appunto, era guidata dal suo vice, Qarl la Fanciulla, e la Flagello dell’Ovest che Theon aveva sottratto al suo capitano. Il suo primo atto ufficiale era stato ribattezzarla. L’aveva chiamata Vento Grigio. In onore di Robb Stark che aveva tradito e di sua sorella Yara che doveva salvare.

Euron aveva asserito davanti a tutti i presenti alla Fossa del Drago che sarebbe tornato alle sue Isole di Ferro e nessuno aveva avuto motivo per non credergli. Così Theon e i suoi uomini avevano fatto rotta verso sud per inseguire la Flotta di Ferro, senza però trovarne traccia.

Dopo molti giorni di navigata erano approdati a Lancia del Sole, sulle coste orientali di Dorne per fare rifornimento di acqua e granaglie. Ma avevano scoperto che la loro era la prima nave Greyjoy ad essere avvistata dai dorniani. La cosa gli aveva messo la pulce nell’orecchio e, confrontandosi con i suoi uomini, avevano ritenuto impossibile che gli uomini di ferro non depredassero nessuna nave in arrivo o in partenza da Lancia del Sole o dagli innumerevoli porti lungo la costa. Euron tramava ben più che una semplice fuga verso casa.

Così aveva ordinato di invertire la rotta e tornare a navigare lungo le coste di Tarth.

Theon si era sentito smarrito in quel momento, prigioniero della sua stessa imbarcazione, con un nemico da inseguire e nessuna idea di dove si fosse cacciato.

Ma il Mare Stretto era infido e pericoloso durante le lunghe estati, figurarsi in inverno. Burrasche e mareggiate si susseguivano senza sosta, e per una flotta grande come quella di Euron era praticamente impossibile viaggiare unita evitando o resistendo alle tempeste.

Nei pressi di Estermont, nel Golfo dei Naufragi, avevano individuato un relitto di una nave Greyjoy facilmente riconoscibile da un vessillo mezzo sommerso.

Erano approdati sulle coste meridionali dell’Isola di Zaffiri e si erano presto imbattuti in alcuni naufraghi sopravvissuti. Dopo averli catturati e torturati gli uomini di Euron avevano raccontato loro la verità.

La Flotta di Ferro aveva fatto vela per Essos, ma nessuno aveva idea delle motivazioni che avevano spinto Euron ad Oriente.

Delle sei navi della Flotta di Ferro che erano naufragate nei pressi di Tarth solo due erano riuscite a raggiungere la costa e mettere in salvo parte dell’equipaggio. Gli uomini sopravvissuti avevano depredato un villaggio e vi si erano sistemati in attesa di riparare le imbarcazioni. Nessuno di loro si aspettava che Theon e i suoi calassero su di loro dal mare, uccidendoli o costringendoli in catene.

Theon aveva assegnato le navi lunghe conquistate a due uomini fedeli a sua sorella: Tristifer Botley e Arman Harlaw.

“Euron tornerà” Tris Botley ne era convinto. “Qualsiasi cosa stia facendo ad Essos”.

Theon si era dichiarato d’accordo. “E quando lo farà saremo pronti ad accoglierlo. Libereremo la nostra Regina e la aiuteremo a sedere sul Trono del Mare”

Così gli uomini di ferro si erano dati di nuovo alla pirateria navigando indietro verso nord, senza però saccheggiare villaggi e città marittime, bensì raccogliendo informazioni e aspettando il ritorno della Flotta di Ferro.

Dopo settimane in mare, quando i suoi sottoposti erano ormai vicini ad un ammutinamento alcune navi di Euron avevano fatto la loro comparsa nelle acque di Westeros. Qarl la Fanciulla e i suoi uomini avevano abbordato e affondato una nave, la Grande Ryam, visibilmente danneggiata dalla traversata, prendendo prigionieri il capitano e il primo ufficiale e conducendoli al suo cospetto.

“Theon il senza-cazzo” l’avevano sbeffeggiato quegli uomini. “Non ci piegheremo a te. Da noi non avrai nessuna informazione”.

“Io invece credo proprio che mi dirai tutto quello che voglio sapere”. Durante la prigionia a Forte Terrore e Grande Inverno, Reek aveva sperimentato sulla sua pelle le forme di tortura più crudeli che esistessero. Theon avrebbe preferito cancellare quei momenti, lasciarli nel dimenticatoio per non rischiare di ricadere nel circolo vizioso delle sue debolezze.

“Se non riesci a dimenticare devi trasformare il passato in un armatura, fratello. So che non è facile. Trova un modo” le parole di Yara gli risuonavano in testa mentre interrogava quegli uomini.

“Vediamo se il Dio Abissale gradisce il nostro dono”. Il primo ufficiale della Grande Ryam era finito in mare, legato a un grosso masso. Ma neanche così il capitano si era deciso a parlare.

“Molto bene” Theon aveva richiamato il suo giovane scudiero. “Vediamo se il nostro amico qui è abile nella danza delle dita. Con le mani legate non sarà facile evitare la mia ascia”

Ci vollero solo pochi colpi d’ascia prima che l’uomo si decidesse a parlare. “Se mi permetterai di tenere la mia nave e prendere di nuovo il mare ti dirò quello che vuoi sentire” biascicò stringendosi il moncherino con la mano rimasta.

Theon aveva acconsentito, ma una volta ottenuto ciò che voleva, il capitano della Grande Ryam era finito a far compagnia al suo primo ufficiale sul fondo del mare. Non poteva permettere che corresse da Euron a raccontargli quello che gli era accaduto.

Giovane Theon, Theon il voltagabbana, Reek e ora Theon il senza-cazzo. Lo avevano chiamato in tanti modi durante la sua vita. Ma Theon Greyjoy era, prima di tutto, un uomo di ferro. E come tale si era comportato.

Nei giorni seguenti ingaggiarono battaglia con molte altre navi della Flotta di Ferro che trasportavano la Compagnia Dorata a Westeros. Tutti i prigionieri che avevano catturato, raccontavano di una tempesta che le aveva disperse per il Mare Stretto.

“Il Dio Abissale è con noi” ripetevano i marinai più devoti.

Ma la fortuna non li assistette a lungo. Alcune delle navi che avevano catturato si imbatterono nel grosso della flotta di Euron e furono affondate. Solo Qarl la Fanciulla, a bordo della Vento Nero, era riuscito a fuggire.

“Quando ha riconosciuto la nave della regina quel bastardo di Euron l’ha trascinata sul ponte e le ha messo un cappio al collo. Non abbiamo potuto intervenire, erano in troppi. Per fortuna non una nave di Euron può rivaleggiare in velocità con la nave della regina. Ma tua sorella è ancora viva” aveva raccontato Qarl. “La Silenzio è diretta ad Approdo del Re insieme ad un centinaio di vascelli. Il resto di loro è andata a Nord, non saprei dire dove”

“A tendere un’imboscata a Daenerys”. Si occupò personalmente di scrivere due messaggi identici e di inviarli con gli unici due corvi che avevano. Probabilmente i corvi si sarebbero persi nelle tempeste ma Theon non potè fare di più. Yara era ancora viva. Salvarla contava più di ogni altra cosa.

“Prima o poi dovranno riprendere il mare. Per allora saremo abbastanza forti da fronteggiare Occhio di Corvo e ucciderlo” li aveva rassicurati.

Le azioni di disturbo alla Flotta di Ferro continuarono per giorni. Ogni volta che una nave nemica veniva affondata o confiscata Theon si sentiva un passo più vicino a riavere Yara. E da ogni prigioniero catturato apprendevano qualche notizia fresca dal continente. Cersei aveva inviato una guarnigione Lannister a Capo Tempesta e la Compagnia Dorata a difendere le Terre dei Fiumi. Ad Approdo del Re la situazione era al limite della rivolta. L’inverno aveva raggiunto la capitale e le scorte erano già pericolosamente scarse. Il popolino era stremato.  

Ma non si illudeva. La Flotta di Ferro contava ancora dieci volte il numero delle sue navi e almeno il triplo dei suoi uomini, senza contare le forze Lannister. Attaccare la capitale in quelle condizioni avrebbe significato morte per tutti loro e Theon non aveva nessuna intenzione di condurre i suoi uomini al massacro.

Ma accadde qualcosa che nessuno si aspettava. La Vento Grigio era alla fonda a largo di Roccia del Drago e da qualche giorno non ingaggiava battaglia con una nave nemica quando la Vento Nero, scortata da due navi lunghe della piccola Flotta della Regina, li raggiunse per fare rapporto.

“La Flotta di Ferro ha preso il largo. Hanno creato un cordone di difesa nella baia delle Acque Nere. È il momento che attendevamo, mio signore”. Quarl la Fanciulla era pronto alla battaglia.

Theon annuì con calma. “Per Yara”

 

 

[JAIME]

I giorni e le notti rinchiusi in cella al Moat Cailin non gli fecero rimpiangere la prigionia di Delta delle Acque dopo la sconfitta al Bosco dei Sussurri contro Robb Stark.

Il giovane Piper era morto a causa delle ferite riportate in battaglia. Per sua sfortuna Strickland non aveva chiesto al suo mezzo-maestro di curarlo ad ogni costo.

“Per fortuna tu sei un principe” aveva provato a sdrammatizzare Bronn. 

Lui e il Pesce Nero avevano cercato una via di fuga, ma nessuno dei due sembrava avere una soluzione percorribile. 

Venivano trattati piuttosto bene per essere dei prigionieri. Ricevevano cibo a sufficienza e, di tanto in tanto, anche una candela per spezzare l’oscurità. L’unica, minuscola, finestra di cui la cella era dotata si apriva sulla palude a nord-ovest ma era troppo in alto per guardare all’esterno e troppo piccola per illuminare la cella anche durante le ore di luce. Nei giorni buoni la penombra gli permetteva di vedere oltre il proprio naso.

Non avevano altro da fare se non scambiarsi opinioni e storie sulle loro vite. Un Lord Comandante della Guardia Reale, un’ex Cavaliere della Porta Insanguinata e veterano di cento battaglie, e un mercenario elevato al rango di cavaliere avevano molto di cui parlare. Almeno Jaime non doveva fissare uno steccato, fradicio dalla testa ai piedi tutto il giorno.

“Raccontami cosa è accaduto ai Frey? Ci siete tu e tuo nipote dietro la loro… dipartita. Vero?” voleva far chiarezza su quello che era accaduto alle Torri Gemelle. Quello che aveva sentito dai soldati Frey era confuso e inquietante.

“Ti sbagli” Pesce Nero scosse la testa. “Edmure era rinchiuso nelle segrete di Lord Walder, in attesa di essere inviato a Castel Granito, ed io mi nascondevo a Seagard da Lord Mallister. Tutto quello che so è che ho ricevuto un corvo da Lady Roslin” rispose con un alzata di spalle.

“Ancora non si fida di me” pensò. “E cosa diceva?”. Che il Pesce Nero gli stesse mentendo?

“Che Lord Walder aveva avvelenato tutti i suoi discendenti. E poi era stato trovato nelle sue stanze con la gola tagliata. E qualcosa su una ragazza che indossava il volto del vecchio Lord del Guado”

Jaime capì che, per quanto assurdo gli sembrasse, le parole di Ser Brynden corrispondevano al vero.

“Una ragazza che indossava un volto?” chiese Bronn con espressione corrucciata. “Scommetto che proviene da Braavos”

“Un uomo senza-volto” convenne Jaime soppesando le informazioni di Ser Brynden.

“Una ragazza senza-volto a quanto pare” scherzò Bronn.

“È quello che abbiamo pensato anche io ed Edmure. Ma chi mai lo avrebbe assoldato? Chi, nei Sette Regni, ha abbastanza forza politica o conio per assoldare un assassino di Braavos?”

“Non lo so. Ma ho intenzione di scoprirlo. Un assassino senza-volto in giro per Westeros è un pericolo da non sottovalutare. Chi lo ha assoldato potrebbe avere altri obiettivi” concluse Jaime pensando inevitabilmente a Cersei.

“Non sei più Lord Comandante della Guardia Reale, Ser. Ti fai carico di problemi non tuoi” risolse Bronn.

“Arriva qualcuno”. Sentirono i due carcerieri dare il benvenuto al loro capitano. Dopo un veloce scambio di battute con i suoi uomini e uno sferragliare di catene, Harry Strickland spalancò con un calcio la porta della cella ed entrò baldanzoso, seguito dal mercenario che aveva riaccompagnato Jaime in cella dopo il loro primo incontro. “Bene, bene. Vedo che i nostri ospiti sono ancora tutti interi. Beh tutti interi è una parola grossa” rise indicando la mano d’oro di Jaime. “Diciamo che avete conservato le parti che avevate al vostro arrivo qui”

“Cosa vuoi Strickland? Il luccichio dei tuoi bracciali è fastidioso anche nell’oscurità” lo zittì Jaime. L’altro mercenario ridacchiò divertito per la sua sfacciataggine, ma Strickland lo ignorò.

“Domani partiremo per Approdo del Re. La regina vuole ricompensare i suoi nuovi guerrieri”. Strickland rise di gusto. “I tuoi amici viaggeranno in un carro prigionieri. Per quanto riguarda te, Ser Jaime, potrai cavalcare al mio fianco, se prometti di non costringermi a tagliarti la gola”

Jaime lo guardò torvo. “Sei gentile. Ma preferisco viaggiare con i miei compagni d’armi”

“Proprio come pensavo. Buon viaggio allora”. Strickland rise di nuovo ed uscì dalla cella.

L’altro mercenario indugiò qualche altro momento. “Non andrete ad Approdo del Re, avete la mia parola”. Il suo dente d’oro scintillò.

“Voleva essere una minaccia?” domandò Bronn quando la porta si richiuse alle spalle dei mercenari.

“Smettila con le tue stupide domande” lo zittì Pesce Nero. “Guarda”.

A terra, di fianco alla porta, il mercenario aveva lasciato cadere il suo pugnale a stiletto. Jaime lo recuperò e lo nascose nel pagliericcio sul quale dormiva. Tutto faceva supporre che il mercenario volesse aiutarli.

“Facciamogli aprire questa dannata porta e andiamocene da qui” si affrettò Bronn.

“Vuoi aprirti la strada a colpi di spada contro tutta la stramaledetta Compagnia Dorata?” grugnì il Pesce Nero.

“Ser Brinden ha ragione. Tra non molto calerà la notte. Lasciamo che abbassino la guardia”. L’occasione andava colta anche se si fosse rivelata una trappola. Tutto quello che potevano fare era cercare di non caderci impreparati.

 

Quando giunse la mezzanotte capirono che era giunto il momento di agire. Con due colpi alla porta Bronn richiamò le guardie. “Ser Jaime ha bisogno di cure. La ferita alla testa ha ricominciato a sanguinare”.

Jaime si stupì di come i due carcerieri avessero abboccato a quella stupida bugia. La sua ferita era guarita e il maestro non gli faceva più visita da giorni. Ma una guardia aprì ugualmente la porta della cella.

Ser Bronn e Ser Brynden si occuparono di lui e del suo compare in fretta.

“Seguitemi” Bronn si avviò per primo nel cortile.

“Se non vi dispiace rivorrei il mio pugnale” disse qualcuno dall’oscurità. “Dovete sapere che è molto importante per me”

Il mercenario che li aveva aiutati a fuggire li guidò fino ad uno dei cancelli camminando all’ombra della muraglia ovest.

“Le porte saranno controllate” bisbigliò Bronn impugnando la spada che aveva sottratto al carceriere.

“Certo che lo sono. Controllate dai miei uomini” rispose il mercenario continuando a muoversi guardingo. “Ho anche inviato qualcuno alla ricerca dei vostri che sono fuggiti dalla battaglia. Se sono stati abbastanza svegli da interrogarlo prima di ucciderlo saranno lì fuori ad aspettarci”

“Se i Crannogmen non li hanno già uccisi tutti” convenne tetro Ser Brynden. Gli uomini delle paludi dell’Incollatura era famosi in tutti i Sette Regni per la loro avversione verso i visitatori.

“Fate silenzio adesso. Di qua”. Una dozzina di uomini li aspettavano sotto la torre in rovina. Alcuni di loro portavano le armi e le armature che gli erano state confiscate alla cattura.

Jaime allacciò il suo cinturone alla vita e sfoderò Vecchio Leone. Tutti gli uomini erano già fuori dalle disastrate mura del Moat Cailin. Solo il capo dei mercenari lo attendeva.

“I cavalli sono da questa parte. Vieni”.

Jaime lo trattenne per un braccio. “Chi sei tu? Perché ci aiuti?”.

“Il mio nome è Daario Naharis. Ti ho liberato perché tu puoi condurmi da qualcuno che sto cercando”

 

 

[DAENERYS]

Il dolore e la follia l’avevano consumata per tanto tempo, giorni forse. Non sapeva per quanto tempo avesse volato in groppa a Drogon o in quale direzione si fossero diretti. Sud o nord non le importava. Non ricordava neanche l’ultima volta che aveva mangiato. Ricordava di un banchetto, di un cantastorie, il suono di un corno… le sembravano passati anni.

L’unica cosa che ricordava con chiarezza erano le parole di Tormund.

Viseryon aveva abbattuto la Barriera. La terza testa del drago era tornata in vita per vendicarsi della madre distratta, che aveva sacrificato suo figlio per una guerra.

La paura aveva affiancato il dolore. Il pensiero che Drogon e Rhaegal avrebbero potuto dover affrontare il fratello in battaglia la straziava.

“I draghi non dovrebbero combattere altri draghi, tantomeno se suoi fratelli”.

Drogon era atterrato sul versante orientale di un lago. Capì di essere ancora nei territori a nord dell’Incollatura. Ogni volta che si era sporta dal dorso di Drogon tutto quello che aveva visto erano distese di neve candida. Anche le rive del lago erano ricoperte da un sottile strato di ghiaccio. Indossava ancora l’abito della cerimonia anche se non aveva più niente di regale. I suoi capelli erano sporchi e spettinati e il vestito bruciato e strappato in più punti.

Anche Rhaegal li raggiunse sollevando un enorme spruzzo d’acqua gelida. Sulla riva rocciosa si formarono tante piccole pozze di acqua limpida. Il drago verde tornava da caccia portando con se la carcassa di una capra bruciacchiata.

Daenerys mangiò qualche pezzetto di carne cotto dal fuoco di drago ma riuscì appena a tenerlo nello stomaco.

Lasciò i draghi a cibarsi della loro cacciagione e si avviò lungo la sponda del lago con passo incerto. Raccolse un po’ d’acqua con le mani e la bevve. Non si era resa conto di quando fosse secca la sua gola. Tossì con violenza mentre si sciacquava il viso.

Il contatto con l’acqua gelida ebbe l’effetto di risvegliarla dallo stato di trance in cui aveva versato fino a quel momento. Il paesaggio intorno al lago le tolse il fiato. La neve imbiancava le montagne tutt’intorno e i pini-soldato, le fronde spruzzate di neve candida, svettavano nel cielo grigio. Sulla sponda opposta una fortezza nascosta dalla vegetazione era costruita tra due anse, a guardia del lago. Jon avrebbe saputo dirgli il nome del castello e della nobile famiglia che la abitava.

Il pensiero di Jon le diede un po’ di sollievo. Bevve altre due sorsi d’acqua e si incamminò verso Drogon e Rhaegal che riposavano al riparo dal vento invernale che si stava alzando.

La lunga cavalcata a dorso di drago le aveva lasciato diversi strascichi. Era spossata, di certo leggermente dimagrita. Il suo addome era dolorante, laddove il suo corpo aveva incontrato le scaglie dure di Drogon.

Fece un bel respiro e si sedette a guardare la superficie del lago brillare ai pochi raggi del sole che raggiungevano la superficie.

La Barriera era stata spezzata. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare un epilogo del genere per l’ultimo confine del mondo, perché nessuno aveva mai visto con i propri occhi la potenza distruttiva di un drago.

“Quando le montagne voleranno via nel vento come foglie morte…”

Provò a scacciare via quelle parole di un passato lontano ma queste insistevano nel ricordarle ciò che aveva perso, ciò che aveva dimenticato. Forse era impazzita, come molti suoi antenati e come suo padre prima di lei. Oppure c’era una reale motivazione per quei ricordi improvvisi? Uno scorcio di lucidità dopo interminabili attimi di follia?

“…quando i mari si seccheranno…”

Il Mare Dothraki era un immensa distesa d’erba secca. Una pallida distesa d’erba morta, che secondo la leggenda avrebbe, un giorno, ricoperto il mondo intero. E ogni forma di vita avrebbe avuto fine.

 “…quando il sole sorgerà ad occidente e tramonterà ad oriente, …”

Le antiche storie narravano che, quando la Lunga Notte sarebbe giunta, il sole avrebbe invertito il suo cammino nel cielo fino a non sorgere mai più. E la notte che non ha fine avrebbe avuto inizio.

“…quando il tuo ventre sarà di nuovo fecondo, …”

Un tempo aveva sognato che potesse avvenire, che la profezia potesse avverarsi. Le guerre avevano offuscato i suoi sogni per tanto tempo. Ma ora una profezia sembrava potersi compiere.

“…allora, e solo allora, lui farà ritorno.”

“Impossibile” disse ad alta voce.

Non poteva più crogiolarsi nel suo malessere, nella sua pazzia. Doveva tornare ad essere Daenerys Nata dalla Tempesta. Senza la Barriera a proteggere i Sette Regni il nord era vulnerabile all’attacco degli Estranei. Doveva tornare a Grande Inverno in fretta. Jon aveva bisogno di lei. Mentre si arrampicava sul dorso di Drogon, un po’ si vergognò per il tempo passato a vagare nella sua insania.

 

 

[JON]

Daenerys era volata via da giorni. Quando aveva ascoltato le prime parole di Tormund su come la Barriera aveva ceduto, i suoi lineamenti perfetti erano stati sconvolti dalla follia. Ma Jon aveva scorto solo dolore nei suoi occhi d’ametista.

“Mio figlio…”. Erano state le uniche due parole che era riuscita a pronunciare prima che Drogon atterrasse con un ruggito nel cortile della fortezza, scatenando il panico tra la folla. Daenerys si era arrampicata sul suo dorso senza voltarsi indietro. L’ombra nera aveva ruggito il suo disappunto per le grida e il caos e si era levato in volo, battendo violentemente le immense ali palmate e scaraventando a terra diverse persone. Per fortuna nessuno aveva riportato delle conseguenze, oltre al grosso spavento di ritrovarsi a pochi metri da una bestia leggendaria. Aveva trattenuto il fiato vedendola allontanarsi senza sapere cosa fare. Si sentiva impotente di fronte alla magnificenza dei draghi. In che modo poteva proteggerla lui quando due draghi la accompagnavano?

Per quanto fosse preoccupato per Daenerys, aveva dovuto accantonare il suo cruccio per riorganizzare le difese di Grande Inverno. Tutti convenivano che difendere Grande Inverno era la scelta migliore. La Barriera era caduta da più di una settimana e probabilmente anche Ultimo Focolare aveva condiviso la stessa sorte. Ma il cuore del Nord non sarebbe caduto senza lottare.

Tormund aveva dormito per due interi giorni dopo aver raggiunto Grande Inverno. Così era stato Lord Beric Dondarrion a raccontare nel dettaglio tutto quello che era accaduto dopo che Vyserion e il Re della Notte avevano distrutto l’ultimo confine del mondo. I Guardiani della Notte e i Bruti si erano riorganizzati in fretta e avevano creato un doppio anello di fuoco a coprire la ritirata verso sud.

“Edd era al Pugno dei Primi Uomini. Ha usato la stessa strategia del Lord Comandante Mormont”. Questa strategia aveva funzionato fino a quando avevano raggiunto le Colline della Solitudine.

“È stato allora che è arrivato il vero freddo” aveva ricordato Lord Beric. “Molti di noi lo avevano già assaggiato in passato, e i guerrieri meno esperti sono andati nel panico. Hanno sfondato il nostro fianco sinistro, centinaia di Estranei in sella a cavalli morti e la loro schiera di cadaveri dagli occhi blu. Perfino un paio di giganti. Edd Tollett ha guidato i Guardiani della Notte in battaglia permettendoci di guadagnare terreno. Ma anche con il sacrificio suo e dei suoi uomini non siamo riusciti a limitare le perdite”

Jon aveva chiesto che fosse servito del vino per tutti gli astanti e aveva brindato al 999° Lord Comandante dei Guardiani della Notte.

“E ora la sua guardia si è conclusa” aveva ripetuto Sam, sconvolto nell’apprendere della morte dell’amico.

Ser Davos era terreo in viso come tutti gli altri. “Cosa ne è stato del drago non morto?” aveva chiesto a mezza voce.

Lord Beric era l’unico a non tradire alcuna emozione. “Ha attaccato anche Ultimo Focolare. Da quel poco che siamo riusciti a vedere nelle tempeste di neve e ghiaccio, il castello è stato raso al suolo. Da allora il Re della Notte e il suo animaletto non si sono più fatti vedere”

“Sapevamo che sarebbe successo nel momento in cui abbiamo appresso della caduta della Barriera. In guerra le sconfitte e le vittorie si contano alla fine. Ora dobbiamo difendere Grande Inverno.” aveva sentenziato Jon con cinismo rivolgendosi al capitano delle guardie per avere i dettagli sulle difese del castello.

“L’orda di non morti si scioglierà contro le mura come neve al sole, Altezza. Hai la mia parola” l’aveva rassicurato Adrian Cassel. “Le trincee intorno al castello sono state ultimate e il doppio fossato è ghiacciato solo in superficie. Gendry e io ci siamo occupati di armare al meglio le mura. Cinquanta arpioni sono collocati lungo tutto il perimetro e tutti gli uomini sono equipaggiati a dovere”. Mostrò loro una spada corta con incastonate decine di schegge di vetro di drago.

“Voglio che più arpioni possibili siano modificati per poter lanciare dardi anche verso l’alto. Potremmo dover abbattere un drago e senza Daenerys è l’unica scelta che abbiamo”. Jon temeva che il Re della Notte attaccasse dall’alto nello stesso momento in cui i suoi luogotenenti assediavano il castello da terra. Ricordava bene le storie sulla caduta di Harrenhal, quando Aegon il Conquistatore aveva attaccato in sella a Balerion, il Terrore Nero.

“Non sarà difficile. Ci vorranno poche ore” Gendry aveva lasciato il concilio immediatamente.

“Resta solo da decidere cosa fare con i Dothraki” intervenne Tyrion dal suo angolo. “Non rispetteranno un ordine che non viene direttamente dalla regina”

E così era stato. Jhago e i suoi compari avevano riso in faccia a Jon quando lui gli aveva ricordato che la regina lo aveva messo a capo dell’esercito.

“Restate a Forte Terrore e difendete il Castello. Non attaccate l’orda in campo aperto”

“Tu non sei il mio Khal” aveva sentenziato il guerriero nella lingua comune.

 

L’ennesimo concilio di guerra durato un’intera giornata era appena terminato. E di Daenerys nessun segno. Arya gli era rimasta accanto tutto il tempo che aveva potuto. La giovane Stark lo aveva raggirato per bene, scoprendo della sua relazione con Daenerys con un sotterfugio degno delle migliori corti del sud. Forse proprio perché conosceva i sentimenti che lo legavano alla regina non lo aveva mai perso di vista, temendo che potesse decidere di partire per cercarla.

“Pensavo fossi diretta ad Approdo del Re?”. Non era la prima volta che ne parlavano. Ogni volta che aveva potuto, Jon aveva cercato di farle cambiare idea ma sua sorella era stata irremovibile.

“Non appena Gendry avrà finito di modificare i tuoi arpioni partiremo”. Arya distolse lo sguardo.

“La tua spada potrebbe essere utile anche qui, Arya. Non devi andare per forza”

“Si, invece. Cersei ha condannato a morte nostro padre e tormentato nostra sorella per anni. Ha ucciso Lord, popolani e chissà quante altre persone innocenti. Il Dio dai Mille Volti ha richiesto il suo nome molti anni fa”

“Il Dio dai Mille Volti”. Alcune volte Jon riconosceva a stento sua sorella, Arya sempre-in-mezzo.

“E cosa ne pensa Sansa?” chiese con sguardo indagatore.

“Non le ho detto nulla di tutto ciò. Proverebbe in tutti i modi a fermarmi. Dalle questa quando sarò partita” Arya gli tese una lettera.

“Sarà furiosa con te. Lo sai questo?”

Arya sorrise divertita. “Aye. Ma prima si arrabbierà con te per non avermi fermato”

“D’accordo. So che non l’hai chiesto ma hai il mio consenso”. Jon scrutò l’espressione di sfida di Arya. “Ho solo una richiesta”

“Avanti spara” sbuffò lei.

“Sandor Clegane verrà con te e Gendry”.

 

Dopo che Arya se ne fu andata, restò ad osservare il fuoco scoppiettare nel caminetto del solarium che era stato di suo padre. Non poté non pensare a Lady Melisandre, guardando la fiamma cangiante consumare il legno. Lei lo aveva riportato in vita, il suo Dio l’aveva riportato in vita. Quel Dio che non gli aveva mai parlato e a cui lui non aveva mai rivolto una preghiera o un imprecazione. E ora che voleva davvero qualcosa dalle fiamme, trovare Daenerys e sapere che stava bene, tutto quello che il fuoco gli mostrava era il variare delle sue sfumature di rosso e giallo.

“Tu preghi gli antichi Dei. Non ti serve scrutare le fiamme per sapere che lei sta bene”

Seduto di fronte al fuoco, dopo giorni di inquietudini e preoccupazioni, finalmente Jon Snow era riuscito a calmare i nervi. Cersei li aveva traditi, la morte incombeva su di loro, Arya stava per intraprendere un viaggio suicida e Daenerys era sparita chissà dove. Ma Jon era calmo, come se fosse in attesa, nascosto nell’ombra, con il battito del cuore sotto controllo.

“Dove sei?” mormorò alle fiamme.

Un brivido gli corse lungo la schiena. Eccitazione e smania di colpire lo pervasero. Sentì il bisogno di visitare il Parco degli Dei. Non era mai stato un uomo di fede, non più di molti altri. Ma per anni aveva creduto fermamente nella guida degli Dei di suo padre, gli antichi Dei del Nord. Fino a quando aveva incontrato la morte e visto cosa li attendeva dall’altra parte.

La radura dell’Albero Diga era illuminata da due piccole torce ad olio. Bran faceva in modo di poter visitare gli antichi Dei anche di notte.

“Dove sei?” mormorò ancora, rivolgendosi stavolta al grande albero bianco dagli occhi scolpiti appiccicosi di resina rossa.

Ma furono altri occhi rossi ad attirare la sua attenzione, nella semi-oscurità tra due cespugli vicino al lago delle acque termali.

“Spettro” chiamò.

Il meta-lupo albino si lanciò verso di lui. Si ritrovò disteso sulla schiena con Spettro che lo sovrastava ringhiando la sua approvazione. Provò a tirarsi su ma il meta-lupo lo inchiodò al suolo come se volesse rimproverarlo per la lunga assenza.

“Sono qui ora” disse aggrappandosi al collo della bestia con entrambe le braccia, lasciandosi tirar su da lui.

Per un attimo l’uomo divenne il lupo. Percepì l’odore acre delle foglie dell’albero diga, il sapore del sangue nella propria bocca, il leggero ribollire delle acque calde di Grande Inverno; ma più di tutto sentì il macabro odore del freddo, del gelo che uccide ogni cosa. Odore di morte.

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTORE

Prima di tutto voglio ringraziare giona, Colpani392 e QueenInTheNorth che hanno recensito lo scorso capitolo. E il mio caro amico Reyf che lo ha commentato dal vivo e mi ha dato qualche spunto interessante sulla battaglia di Grande Inverno del prossimo capitolo.

Ci sono state le prime morti. Il tetro sarcasmo di Edd Tollett mi mancherà. Mi dispiace che Sam non abbia potuto incontrarlo un ultima volta. E nella battaglia di Grande Inverno qualcun altro morirà. Mancano Cersei ed Euron in questo capitolo ma nel prossimo ci saranno. Spero.

Grazie anche a tutti quelli che leggono la mia storia e che la inseriscono tra le preferite o le seguite. Siete davvero tanti!

A presto, Gian_Snow_91

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 7 - THE SONG OF ICE AND FIRE ***


CAPITOLO 7 - The Song of Ice and Fire

CAPITOLO 7 - The Song of Ice and Fire

 

 

 

[SANSA]

“Le donne hanno altre armi oltre alle lacrime”

Sansa Stark aveva già vissuto un assedio, in passato. Le sembravano passati secoli da quando Stannis Baratheon era entrato nella Baia delle Acque Nere con tutta la sua flotta e il suo esercito, pronto ad abbattere le mura di Approdo del Re e conquistare il Trono di Spade.

Mentre gli uomini difendevano il suo regno, la regina Cersei aveva organizzato una veglia, nel Fortino di Maegor, per tutte le donne di corte e le mogli dei lord che combattevano per re Joffrey.

Nel Nord quella pantomima non sarebbe stata necessaria. Più della metà delle donne di Grande Inverno, quelle che non si erano già messe in salvo a sud almeno, avrebbe combattuto per la propria vita fianco a fianco con i propri uomini. Ed era certa che anche Arya sarebbe stata in prima linea, con Jon. O almeno lo aveva creduto fino a quel momento.

Inclinò lentamente verso il fuoco del caminetto la lettera che Arya aveva lasciato per lei e riconobbe la scrittura sghemba e allungata della più giovane delle sorelle Stark.

 

Cara Sansa,

Ho preferito affidare queste parole ad una lettera perché sapevo che avremo litigato per quanto sto per dirti. Sono diretta ad Approdo del Re. È il momento che Cersei Lannister risponda dei suoi crimini contro la nostra famiglia. Vendicherò nostro padre, te lo prometto.

Spero di rivederti presto, Arya.

 

“E tu l’hai lasciata andare?” Sansa s’infuriò con Jon.

Aye”. Jon era in imbarazzo. “Ma ho fatto in modo che non andasse sola. Gendry e il Mastino la accompagneranno e proteggeranno”.

“Quindi hai mandato qualcuno ad uccidere Cersei senza parlarne prima con me?”. Non cercò in alcun modo di nascondere la rabbia e la delusione che provava. Odiava essere esclusa da una decisione importante, tanto più se questa riguardava il destino di sua sorella. “E Daenerys lo sa o questo è il tuo regalo di fidanzamento?”

Jon aprì la bocca per ribattere ma si bloccò, a mezza voce, non riuscendo a trovare le parole. “Perché non me lo hai detto Jon? Pensavo che ti fidassi di me”

“Mi dispiace San…” Jon esitò ancora. “Avevo paura del tuo giudizio”

“Paura del mio…?” Sansa era stupita.

“…giudizio, si. Le ho ceduto il Nord ma tu mi hai sostenuto lo stesso. Non volevo che pensassi che mi fossi fatto raggirare o che ti abbia svenduta”. Jon si alzò e si diresse al camino.

“Non l’avrei pensato”. Sansa lo raggiunse trattenendolo per costringerlo a guardarla. “Sei mio fratello… e probabilmente l’uomo migliore che conosco. Se mi avessi detto di voi avrei capito che potevamo fidarci”

“Pare che mi sia sbagliato” Jon guardò fuori dalla finestra come a voler sottolineare l’assenza di Daenerys.

“Tornerà” lo rassicurò.

“Anche Arya. È più scaltra di quanto credi. E infinitamente più forte di te o di me”. Aveva qualcosa in mano. “Ti ho fatto un regalo”. Le passò un piccolo scrigno con inciso il meta-lupo di casa Stark. “Aprilo”

Sansa sorrise tastando il bassorilievo con le dita. “Ne ho fatti fare quattro. Uno per ognuno di noi. Quello di Arya l’ho nascosto nella sua bisaccia. Spero che trovarlo l’aiuti a ricordare chi è”

Su un morbido fazzoletto di stoffa era posato un meta-lupo di pietra grigio-argentea appeso ad una sottile collana di cuoio nero. “Lady”. Era sorprendentemente dettagliato e aveva due scaglie di vetro di drago dipinte d’ocra come occhi.

Sansa si asciugò una lacrima mentre Jon le spostava i capelli con gentilezza e le appuntava al collo il suo dono. “È meraviglioso. Grazie”

“Devo ancora darlo a Bran. Ti va di accompagnarmi?”

Sansa annuì. “Convincilo a venire con noi a sud, Jon. Con ser Davos, Sam, Gilly e suo figlio, e anche Tyrion e il seguito della regina”

“Bran dice di dover rimanere qui a Grande Inverno. Dice che le sue abilità saranno utili. E io… credo che abbia ragione”

“Non stai dicendo sul serio. Vero?” Sansa era sconvolta ma l’espressione di Jon non ammetteva repliche.

 

Poche ore più tardi, mentre attraversava il cortile diretta al cancello, Sansa si fermò a guardarsi intorno. Il castello dalla parte sud era pressoché deserto, un’ora prima dell’alba. Gli occhi di tutti guardavano a nord, in attesa.

“Andrà tutto bene, mia Lady. Grande Inverno sarà ancora qui al tuo ritorno” la rincuorò Adrian affiancandola.

Sansa aveva chiesto a Brienne di lasciarle il tempo di salutare il capitano delle guardie. “Adrian…”

“No” la interruppe. “Lascia parlare me”. Sansa annuì arrossendo delicatamente e ringraziando la semioscurità che celò quel piccolo momento di imbarazzo.  

Adrian prese le sue mani tra le sue. Mani di guerriero, indurite dalla spada e dalla lancia ma al tempo stesso delicate e amorevoli. “Avrei voluto servirti ancora a lungo. Starti a fianco e provare a curare le tue ferite. Ma gli dei hanno altri progetti per…”

Sansa non gli permise di continuare. Lo tirò a se e lo baciò, con foga, a fondo. Troppo a lungo aveva resistito alla tentazione di invitarlo nel suo solarium a bere una coppa di vino per paura che il ricordo dei soprusi subiti potessero, in qualche modo, rovinare quel piccolo segreto che aveva gelosamente nascosto a tutti, tranne che ad Arya. Anche allo stesso Adrian. Ma ora che non c’era più tempo non poteva negarsi quell’attimo, da ricordare nelle fredde notti che la attendevano. E non poteva negarlo a lui.

Adrian la strinse in un abbraccio feroce, come se non aspettasse altro. Sansa lo tratteneva per i legacci della cotta di maglia, esplorando il suo viso coperto da un ispida barba nera con l’altra mano. Sorrise staccandosi per riprendere fiato.

“Sansa…”

“Ti prego non morire”. Lo baciò ancora. Le loro lingue si trovarono, si conobbero, timide e desiderose.

“Ti stanno aspettando”.  

Si costrinse a voltarsi prima di poter anche solo pensare di cambiare i suoi piani. Pochi attimi ancora e avrebbe potuto stravolgerli tutti, decidendo di restare a Grande Inverno pur di avere anche solo un altro di quei momenti. Che stupida era stata a negarseli così a lungo.

“Ci rincontreremo”.

Tyrion, Sam e Jon la attendevano appena oltre il fossato insieme ad una piccola guarnigione di Grande Inverno al comando di ser Davos Seaworth. Cento Immacolati li aspettavano, invece, a Città della Talpa. Dal primo carro si udivano i pianti del piccolo Sam e le parole di sua madre che cercava di calmarlo. Missandei, Varys e Tyrion condividevano un secondo carro, un po’ più grande del primo, nel quale avrebbe dovuto viaggiare anche lei. Ma Sansa Stark aveva voglia di cavalcare quella mattina.

Jon stava salutando il suo più vecchio amico, Sam. “Non sono un guerriero ma potrei esserti ancora utile. Lasciami restare”

“Mi sei più utile da vivo Sam. Quando tutto sarà finito avremo bisogno di te, mia sorella avrà bisogno di te”.

Samwell Tarly non trattenne le lacrime. “Sei un buon amico, Jon Snow”

“È ora che tu vada”. Sam si arrampicò goffamente sul carro.

Per qualche momento Jon sembrò disorientato.

Tutte le persone su cui contava di più stavano partendo per il sud. In un solo colpo Jon perdeva la saggezza e i consigli di ser Davos e il sostegno della famiglia e del suo amico più caro. “È il destino del Lord Comandante, non avere nessuno con cui condividere il proprio fardello” le aveva detto una sera davanti a uno dei bivacchi dell’accampamento, prima della battaglia di Grande Inverno.

“Occupati di lei, Ser Davos”.

“Lo farò, Altezza”. Ser Davos strinse la mano tesa. “…Jon”

“Ci rivedremo. È una promessa”. Jon la abbracciò e la guardò montare a cavallo al fianco di Brienne. Avrebbe voluto ringraziarlo per averla salvata ancora una volta, perché si stava sacrificando per tutti loro, di nuovo, ma le parole le si impigliarono in gola.

Diede un ultimo sguardo a Grande Inverno e sentì le lacrime congelarsi sulle sue guance.

“Vorrei poter tornare indietro ed urlare a me stessa di non andare!”.

 

 

[JON]

“Un suono per i Ranger di ritorno, due per i Bruti, tre per…”

Tra i soldati di Grande Inverno qualcuno giurava di aver visto il sole tramontare ad oriente la notte precedente. Qualcun altro sosteneva che fosse solo una sensazione dovuta alla minacciosa coltre di nuvole cariche di tempesta che rendevano i raggi del sole solo un lontano ricordo.

Il tramonto era vicino quando il corno del nord lanciò il suo richiamo. Due pattuglie avevano lasciato Grande Inverno ma solo una aveva fatto ritorno. Per questo Jon sapeva che presto sarebbe accaduto. Ma i tre richiami gelarono comunque il sangue nelle vene.

Dalla torre di guardia nord, Jon vide quello che nessun uomo avrebbe mai voluto vedere. Pochi metri oltre le trincee scavate dai suoi uomini, migliaia di occhi di un blu spettrale puntavano verso Grande Inverno. Gli uomini agli arpioni scrutavano il cielo in cerca del drago che aveva abbattuto la Barriera. Daenerys e i suoi draghi non avevano fatto ritorno e se il Re della Notte avesse attaccato Grande Inverno con Viserion i dardi in vetro di drago erano la loro unica speranza di abbatterlo.

“Maledizione. Dove sei?”. Non aveva più il tempo di preoccuparsi per lei. Eppure…

Era certo che sarebbe tornata presto. Tyrion e ser Jorah l’aveva rassicurato. Ma Daenerys non si era vista e Jon aveva cominciato a pensare al peggio. Che li avesse abbandonati? Oppure le era successo qualcosa? Non poteva più scegliere cosa credere.

Altri tre richiami di corno. Ne sarebbero seguiti molti altri quella notte.

Tormund lo aiuto ad allacciare gli spallacci. “Sei pronto Jon Snow? Quei soldati la sotto se la fanno addosso. Dannati figli dell’estate. Guardali”. Sulle mura sotto di loro gli uomini restavano immobili tra le merlature in attesa di ricevere i propri ordini. “Tutti tranne i senza-cazzo forse. E per di più la donna grossa se n’è andata a sud con tua sorella. Quindi vedi di trovare un modo per vincere questa battaglia o stavolta ti ammazzò con le mie mani. Haar

Jon allacciò il cinturone con Lungo Artiglio alla vita e annuì a Tormund. “Andiamo”

Quando comparvero in cima alle scale tutti si voltarono a guardarlo. Si aspettavano che dicesse qualcosa, che gli desse una speranza per sopravvivere, per lottare.

“Guardateli”. Indicò con una mano l’orda che continuava ad ammassarsi a Nord. “Non sono qui per conquistare il castello o saccheggiarlo. Non sono qui per un motivo politico o per riparare ad un torto. Sono qui perché è quello che fanno. Avanzano distruggendo tutto ciò che trovano sulla propria strada. Ma fino ad ora, mai hanno incontrato qualcuno che li conosceva abbastanza da sfidarli. Hanno ucciso i nostri amici che scappavano per salvarsi e ora usano i loro corpi come arma contro di noi”. Jon estrasse Lungo Artiglio con uno strappo e la puntò verso il nemico. “Tutti voi oggi siete lo scudo che veglia sui domini degli uomini. Seguitemi e vi prometto che i regni degli uomini saranno ancora qui all’alba di domani”

Furono gli uomini del Nord i primi ad urlare la propria rabbia, la propria paura. Ognuno invocò il motto della sua casata o il nome della donna per cui combatteva. Poi il popolo libero di unì con urla sconnesse e gli Immacolati fecero cozzare le proprie lance e spade contro gli scudi.

Quando i venti dell’inverno soffiarono via l’ultima luce del giorno l’orda cominciò la sua avanzata.

“Suonate il corno” ruggì per coprire l’urlo dell’esercito. “Incendiate la prima trincea”.

“ARCIERI… Incoccare”. Adrian Cassell trasmise il suo ordine. “Tendere. Scoccare”.

Le frecce incendiarie illuminarono l’oscurità andandosi a conficcare nella trincea più lontana dalle mura. La notte fu rotta dal fuoco.

“È cominciata”. Tormund picchiò la sua ascia sulla murata. “L’ultimo a restare in piedi si prenda la briga di bruciare gli altri”

L’orda cominciò ad attraversare la trincea in fiamme. Le prime file di non-morti caddero vittime del fuoco ma altri cadaveri presero il loro posto. L’urlo stridulo dei non-morti riempi la notte e la prima trincea di legno e fango cedette.

“Incoccare. Tendere. Lanciare”

Un’ondata di frecce incendiarie colpì l’armata senza però rallentarla. Jon imbracciò il suo arco lungo e incoccò la prima freccia. Attese un attimo che la punta prendesse fuoco nel braciere e la scagliò.

“Incendiate la seconda trincea”. Mentre incoccava la seconda freccia si accorse che i non-morti avevano smesso di avanzare.

“Maledizione”. Tormund imprecò ad alta voce. Centinaia di giganti si facevano largo tra i cadaveri. Alcuni cavalcavano mammut morti, altri imbracciavano possenti tronchi d’albero diga o pino soldato.

“ARPIONI…”. Jon corse lungo le mura. “Dardi Incendiari. PRESTO. Mirate ai mammut, poi ai giganti”

Un primo mammut cadde colpito al collo da un dardo trascinando nella neve il gigante che lo cavalcava e altri due. Decine di non-morti rimasero schiacciati rallentando solo per pochi attimi l’avanzata.

Altri giganti morirono sotto la seconda ondata di dardi incendiari ma ben presto anche la seconda trincea cedette.

“ARCIERI… Tirate a volontà”.

Jon si trovò un posto tra due merli, appese la faretra al muro e cominciò la sua danza. Incoccare, incendiare, lanciare… Incoccare, incendiare, lanciare. Finì una prima e una seconda faretra prima di fermarsi a riprendere fiato. Aveva le spalle indolenzite per lo sforzo. Il terreno fangoso aveva rallentato l’orda. I mammut e i giganti arrancavano per via del loro peso. I non morti cadevano sotto la pioggia di fuoco. Ancora nessun uomo aveva perso la vita.

“A Grande Inverno cinquecento uomini vincono contro diecimila”

Lasciò il suo posto ad un altro arciere e andò a cercare Adrian Cassell. “Se cambia qualcosa fa suonare il corno. Se superano l’ultima trincea attieniti al piano. Io vado a cercare Bran. Grande Inverno è al tuo comando”

Aye, mio re”

Brandon Stark era, come al solito, al cospetto dell’Albero Cuore di Grande Inverno. Jon si sorprese nel trovarlo riverso a terra con un braccio intorno ad una colossale radice e una mano protesa verso il volto scolpito nel tronco.

“Bran” chiamò. Il giovane Stark non si mosse. “Che succede? Stai bene?”

“Jon”. Brandon sobbalzò, terreo in viso come se avesse visto il Re della Notte. “Per fortuna sei qui. Non c’è più tempo”.

“Non c’è più tempo per cosa?”. Jon si avvicinò a lui.

“Presto! Devi vedere. Devi sapere…”. Indicò il volto greve dell’Albero Diga. “Tieni l’altra mano sulla mia spalla”.

Jon esitò. Il Parco degli Dei tremò intorno a lui fino a svanire. Perse l’equilibrio e cadde in ginocchio accanto a Bran. O almeno così credette. Quando riaprì gli occhi era Bran ad essere in piedi accanto a lui.

“Bran. Tu… cammini?”

“Shhh… Da questa parte”. Si avviò con impazienza nella foresta alle sue spalle.

Jon lo seguì guardandosi intorno. Gli ci volle qualche momento per capire che quella non era la Foresta del Lupo. Non c’erano pini-soldato o alberi di legno ferro. Era una foresta di cedri, betulle e salici albini; e olmi, pioppi, faggi e aceri. Avevano una sola cosa in comune: un volto intagliato nel tronco. Alcuni erano austeri, altri rabbiosi, altri ancora spaventati o concentrati.

“L’Isola dei Volti”. Ricordava ancora le storie che la vecchia Nan raccontava loro quando erano bambini. “Una foresta in cui crescono tutti gli alberi conosciuti. Dove la magia dei Figli della Foresta è ancora forte e gli Oltre Vedenti conoscono il mondo”

In una piccola radura senza alberi Jon riuscì a scorgere il cielo cristallino. “È primavera?”

“Qualcosa del genere” rispose Bran senza voltarsi. “Ci siamo quasi”

Bran lo guidò fino ad una parete rocciosa fessurata da radici bianche come il latte. In una spaccatura nella roccia si nascondevano dei gradini. Jon percepì la temperatura abbassarsi mentre li saliva con una mano lungo la parete rocciosa e pochi passi più su cominciò anche a nevicare. In cima a quella breve scalata un enorme ramo di Albero Diga sbarrava la strada ai visitatori.

“Io non posso passare. Ci ho già provato”. La voce di Bran che giungeva dall’oscurità alle sue spalle andava via via affievolendosi. “C’è qualcuno al cospetto degli antichi Dei. È importante…”. 

La radura che si parò davanti a lui gli tolse il fiato. Una distesa lucente di ghiaccio tenebroso schermata dalle fronde di un Albero Diga millenario. Come aveva detto Bran c’era una figura in ginocchio tra due radici sporgenti.

“Daenerys”. I capelli biondo-argento dell’uomo lo avrebbero tratto in inganno anche se Daenerys non fosse stato un chiodo fisso nella sua mente. I suoi occhi d’ametista erano di una sfumatura più chiara del violetto di Daenerys ma gli fu subito ovvia la sua appartenenza a Casa Targaryen. Indossava una tunica di cuoio bollito, nera con il drago a tre teste vermiglio cucito sul petto e sulla schiena.

Non era solo. Insieme a lui sedeva una piccola figura nascosta nell’ombra. Aveva la pelle chiazzata di noce, più simile al manto di un daino che alla pelle di un uomo, le orecchie larghe e due grossi occhi rossi dalle pupille verticali.

“Un Oltre Vedente”. La sua voce aveva una musicalità sconosciuta a Jon, come se le sue parole fossero i versi di un canto.

“…sei sicuro del significato del mio sogno?” chiese l’uomo.

“Assolutamente” rispose la creatura, lo sguardo impassibile come quello intagliato nell’Albero Diga. “Non puoi far nulla per cambiare il tuo destino”

Il Targaryen sospirò. “E il Canto del Ghiaccio e del Fuoco?”

“Sei sicuro di volerlo ascoltare?”. L’Oltre Vedente si coprì la bocca con le mani in una grottesca imitazione di un’espressione di sorpresa. “Se dovessi davvero capirne il significato…”

“Hai detto che mai un uomo è riuscito a capirne il significato da quando hai memoria”

“Si. Ma nessuno aveva sangue di drago. Ricorda: Ghiaccio e Fuoco

“Cantalo per me, Custode dell’Occhio”. Lo incitò imbracciando una piccola arpa d’argento.

 

Anche dalle tenebre nasce la luce.

E le ceneri generano fuoco.

Dalla morte, la vita.

 

Spada di ghiaccio, annienta, distrugge

Tempeste e tormente di candide ombre

Re della Notte, sovrano del male.

 

Spada del Fuoco, destino oscuro.

Nato nel voto, di sangue celato.

Ha il cuore del drago e canta dal Ghiaccio.

 

Respinge le tenebre, dei vivi lo scudo

Figlia tempesta, dal folle passato

Ha il sangue di ghiaccio e narra del Fuoco.

 

Sconfiggi le Notte, Portatrice di Luce

Sangue di lupo, è il tempo del drago

È il Canto del Fuoco e del Ghiaccio.

È il Figlio del Ghiaccio e del Fuoco.

 

Quando il canto finì, Jon si ritrovò in ginocchio sul ghiaccio freddo, incapace di muovere un muscolo.

“Lo canterai una sola volta. Prima che i rubini si perdano nella corrente”. L’Oltre Vedente saltò giù dalla radice sulla quale sedeva e si voltò verso di lui come se potesse vederlo o in qualche modo sapesse che lui era lì. “Visita l’Occhio e avrai le risposte che cerchi”.

“Ma sono qui ora e non ho ottenuto nessuna risposta”. Il Targaryen era infuriato e confuso.

“Non era destinato a te, Rhaegar Targaryen. Non è tuo il Canto del Ghiaccio e del Fuoco”. Il Custode dell’Occhio scomparve nella foresta.

“Rhaegar Targaryen?”

 

Tre suoni di corno squarciarono la notte. “Sta nevicando”

Barcollò in avanti, disorientato. Un senso di nausea gli attanagliava le viscere. Era di nuovo nel Parco degli Dei di Grande Inverno con una mano posata sulla spalla di suo fratello Bran.

“Stai bene Jon? Cosa hai visto?”. Bran si tirò su a forza di braccia.

“L’uomo era Rhaegar Targaryen e il Custode dell’Occhio… credo mi abbia parlato”. Aiutò Bran a sedere sulla sua sedie a ruote.

Altri tre suoni di corno. “Devo andare. Tu…”

Bran scosse il capò con un’espressione inquietante. “Non pensare a me. Non è oggi il giorno in cui muoio”. Jon corse fuori dal Parco degli Dei voltandosi solo un attimo a guardare suo fratello rituffarsi in uno dei suoi Sogni dell’Oltre.

Nel cortile gli Immacolati erano schierati a difesa dei cancelli nord ed est. Le grate erano abbassate ma poco oltre la battaglia infuriava.

“Non possono già aver superato le trincee” pensò.

“Dove diavolo sei stato?” lo apostrofò Tormund quando comparve al suo fianco sul mastio principale. Era ricoperto di fango e sangue.

“Io… non importa. Come hanno fatto a superare l’ultima trincea?”

“L’ultima trincea”. Tormund si lasciò andare ad una risata amara. “…ha ceduto da ore. Abbiamo seguito il piano alla lettera ma avevano altri mammut, altri giganti. Guarda tu stesso”. Spinse via un soldato con un grugnito. I non-morti aveva superato anche il fossato e ora assaltavano le mura.

“Due maledettissimi mammut sono morti vicino alle mura ovest. È lì che si è concentrata la battaglia”

“Se i giganti raggiungono le carcasse di mammut è la fine” capì Jon.

“Ringrazia il tuo capitano delle guardie. Se non fosse per lui a quest’ora il tuo castello sarebbe solo un cumulo di pietre, Re Corvo”

“Non sono più un corvo, Tormund”. Sfoderò Lungo Artiglio e si avviò nella direzione indicata dal bruto.

“Una volta che sei corvo ti resta dentro. Lo sei per tutta la vita. Haar

 

 

[DAENERYS]

Nella notte di Grande Inverno centinaia di fuochi resistevano all’oscurità imminente. Quello che vide la lasciò senza fiato. Morte, ovunque.

Le mura ovest erano state abbattute e migliaia di non-morti si riversavano nella fortezza. Vide uomini cadere e altri fuggire urlanti calpestare i propri compagni.

Drogon planò sul castello ruggendo di rabbia.

“Dracarys”. Le bastò pensarlo. Il fuoco di drago spazzò via gli assaltanti, ma la voragine nelle mura venne spazzata da detriti e cadaveri. Un danno collaterale inevitabile. Daenerys cercò Jon volgendo intorno lo sguardo.

“Non è troppo tardi” continuava a ripetersi lungo tutto il viaggio verso nord. “Fa che sia ancora vivo”.

Un’altra fiammata e i difensori di Grande Inverno ebbero il tempo di riorganizzarsi, ma ormai il danno era fatto. I non-morti assalivano il varco guidati da decine di giganti.

Bruti, Immacolati e soldati Stark si preparavano ad affrontarli. “Serrate i ranghi”. Ser Jorah Mormont e Verme Grigio li guidavano.

Drogon fece un altro ampio giro sul castello prima di riscendere sulla battaglia. La Torre Spezzata crollò per metà, quando il drago provò ad appendersi ad essa. Vide Tormund Veleno dei Giganti affrontare da solo quattro cadaveri e poco oltre Jon Snow, Adrian Cassell e altri uomini che lottavano con un gigante che imbracciava un enorme tronco bianco latte e diversi cadaveri che brandivano armi rudimentali e vestivano pelli nere. Disposti in cerchio gli uomini si coprivano le spalle l’un l’altro. Non poteva intervenire senza rischiare di uccidere anche loro.  

“Nooo…” urlò quando il gigante colpì di lato. Alcuni uomini furono sbalzati lontano dalla violenza del colpo e Jon scomparve dal suo campo visivo.

“Proteggete la regina”. Ser Jorah Mormont e Verme Grigio arrivano al suo fianco e altri Immacolati andarono a frapporsi fra il drago e i non-morti.

“Khaleesi. Non dovresti essere qui”. Ser Jorah era sconvolto dalla lunga battaglia ma ancora abbastanza lucido per correre a proteggerla non appena l’aveva vista.

Verme Grigio aveva una ferita ad una spalla ma nel complesso sembrava stare bene.

“Sono qui per combattere, ser Jorah” il suo tono non ammetteva repliche. Il vecchio cavaliere annuì capendo di non poterle far cambiare idea.

Fu sul punto di chiedergli di Viserion ma le parole le si spezzarono in gola. Il Re della Notte non si era visto, questo era ovvio, e per ora tanto le bastò.

“Se mi volto indietro sono perduta”

Drogon spazzò via con un colpo di coda alcuni cadaveri che stavano per aggredirli alle spalle. “Non abbiamo tempo per parlare ora” cominciò ser Jorah. “Combattere dall’alto sarà più sicuro per te, Altezza”

“No. Devo trovare Jon” rispose testarda. “Va. Drogon mi proteggerà”

Quando finalmente lo trovò, Jon stava cercando di portare i salvo i suoi uomini guidandoli verso il cancello a sud. I non-morti li inseguivano.

Come se avesse intuito le sue paure, Drogon balzò giù dalla torre andando a frapporsi fra loro e i nemici che si avvicinavano. I non-morti non ebbero nessuna esitazione neanche di fronte al drago. Lo assalirono con i loro coltelli e le loro asce senza però scalfire minimamente le scaglie dure come l’acciaio. Una lingua di fuoco li respinse lontano, uccidendoli.

“Dany…”. Finalmente Jon corse verso di lei. “Il castello è perduto, dobbiamo andarcene via di qui”.

“Dove sono Tyrion e gli altri?” chiese Daenerys dopo essere scivolata lungo il dorso di Drogon direttamente tra le braccia di Jon.

“Sono partiti due o tre giorni fa verso sud. Ho paura che il Re della Notte possa attaccarli. Qui non si è visto”. Jon la sorresse. “Stai bene?” le chiese allontanandosi appena.

“Sto bene” risolse lei in fretta anche se non era la verità. Non mangiava bene da molti giorni e il suo corpo era al limite.

“Non sembra”. Due non-morti aggirarono la guardia di Drogon ma Jon se ne occupò in fretta. Parò gli attacchi con la sua lama bastarda e con due colpi ben assestati i cadaveri caddero senza vita.

“Ho fatto preparare provviste per tutti prima che…”. Le porse una bisaccia che portava in spalla. “Prendi e vola verso sud. Proteggi la mia famiglia, la nostra famiglia”

“Non posso lasciarti qui”.

“Certo che puoi Dany. Tu sei la regina ed io il comandante del tuo esercito. È mio compito proteggere te, non il contrario”

“No…”. Dany scosse il capo.

Altri non morti si scagliavano contro gli Immacolati a difesa della voragine nelle mura. Centinaia di Dothraki in sella a cavalli morti, migliaia forse. “Il mio Khalasaar?!”. Daenerys sentì le lacrime scorrerle sulle guance. In quel momento anche Rhaegal si aggiunse alla battaglia. Il suo alito infuocato respinse i Dothraki non-morti dando modo agli Immacolati di uccidere i pochi rimasti.

Solo una piccola pausa prima della nuova ondata di morte.

“Non so come sia potuto accadere. Gli avevo ordinato di restare a Forte Terrore”. Jon la scosse per un braccio con tutta la delicatezza che riuscì a racimolare. “Dany, ci sono altri uomini da proteggere, donne da salvare e bambini a cui dare un futuro. Non puoi arrenderti, non ora”.

Daenerys lo guardò, e nei suoi occhi color pece trovò la forza di fare ciò che doveva. Per un attimo fu sul punto di baciarlo. Di dirgli che era suo e che non lo avrebbe lasciato. Poi ricordò le parole che l’avevano tormentata per tutti quei giorni. “Il sole… è tramontato ad oriente. L’ho visto”

“Non sei l’unica a dirlo, ma non possiamo fare niente per…”

Tormund arrivò di corsa in sella ad un purosangue nero mulinando la sua colossale ascia da guerra a decapitare un nemico che si avvicinava. “Jon Snow. Farai all’amore più tardi con la tua regina, Haar. Abbiamo qualche grattacapo da risolvere”

“Dany…”. Jon provò ancora a risvegliarla dal torpore che si era impadronito di lei. “Dany… Sali su Drogon, prendi Rhaegal e va a cercare Sansa, Tyrion e gli altri. Sono diretti a Nido dell’Aquila. O almeno credo”

“D’accordo Jon, lo farò”. Quando Jon fece per parlare ancora, Daenerys lo baciò. Senti il sapore del sangue laddove Jon si era morso la lingua in combattimento e l’odore della polvere che gli incrostava la barba ispida.

“Questa non è la fine per noi. Te lo prometto. Ora va”

Drogon si alzò in volo con un violento colpo d’ali. E Daenerys percepì il sangue gelarle le vene. Un freddo innaturale riempiva l’aria, d’un tratto immota. Lo stesso freddo che aveva percepito a nord della Barriera quando aveva perso Viserion. Una lunga lancia di ghiaccio sibilò vicino alla testa del drago nero. Poi un’altra e un’altra ancora. Gli Estranei avevano fatto la loro comparsa a Grande Inverno. Centinaia di ombre bianche, armate di spade di ghiaccio affilate come rasoi.

“Stavano aspettando i draghi come hanno fatto al lago di ghiaccio”

“Rhaegal” chiamò mentre Drogon si lanciava in picchiata verso gli Estranei che lo assalivano. Ma il drago verde non rispose al suo richiamo, sembrava lottare contro se stesso oltre che provare ad evitare l’attacco delle ombre bianche.

Anche gli Estranei riuscirono ad entrare nel cortile della fortezza. Dall’alto vide Verme Grigio e gli Immacolati confrontarsi con loro. Vetro nero contro ghiaccio candido. Le armi in acciaio si frantumavano al contatto con le lance degli Estranei e Immacolati e uomini del nord morivano sotto i colpi del gelo.

Drogon schivò un’altra lancia ghiacciata e si lanciò in picchiata. Ma il fuoco di drago non ebbe alcun effetto sugli Estranei, sembrò passargli attraverso senza colpirli.

“Il fuoco uccide i non-morti, ma gli Estranei sono fatti di ghiaccio e antica magia, potrebbe non essere così facile sbarazzarsi di loro” aveva detto Samwell Tarly in un concilio di guerra. E in quel momento Daenerys seppe che le sue parole corrispondevano a verità.

Il drago verde e bronzeo si contorse a mezz’aria e per un attimo Daenerys credette di vederlo cadere. Ma non c’era traccia di sofferenza in lui. Non lo aveva mai visto comportarsi in quel modo.

Gli Estranei erano pronti a sferrare un altro attacco e data la vicinanza stavolta non ci sarebbe stato scampo per Drogon. Ma il drago nero sferzò l’aria con la gigantesca coda colpendoli in pieno e mandandoli a rotolare lontano. Alcuni morirono, altri si rialzarono, ma Daenerys e Drogon erano ormai lontani.

L’ultima cosa che vide fu Rhaegal che planava, atterrando nel cortile della fortezza spuntando le sue fiamme incandescenti a difesa di Grande Inverno e Jon correre verso di lui.

“Guidalo in battaglia Jon Snow. Salvalo” sussurrò prima di volare via.

 

 

[BRAN]

“Non camminerai, ma imparerai a volare”

Nell’anno passato nella caverna del Corvo a Tre Occhi, Bran aveva imparato a controllare tutti gli animali che popolavano le terre a nord della Barriera. Dal semplice corvo fino ai colossali alci del nord. Era addirittura riuscito ad insinuarsi nella mente di Hodor, causandone così lo sconvolgimento.

In sogno aveva visto Aegon il Conquistatore cavalcare Balerion il Terrore Nero verso i Sette Regni e sottometterli al suo volere, ma mai avrebbe immaginato di poter cavalcare un drago.

Grande Inverno era pronta a cadere sotto l’assalto dell’esercito degli Estranei. Da quando Jon lo aveva lasciato nel parco Bran aveva cercato il Re della Notte in lungo e in largo sfruttando gli insegnamenti del vecchio Corvo. Forte Terrore era caduto sotto il fuoco del drago di ghiaccio, dopodiché di lui non aveva trovato traccia. Così si era concentrato sulla battaglia.

Centinaia di uomini morivano sotto l’assalto dei non-morti a ovest del castello, dove le mura erano crollate sotto i colpi di giganti e mammut. Gli Immacolati erano gli unici ad affrontare il nemico in formazione compatta. Il resto dell’esercito era in rotta e Jon Snow cercava di guidarli verso la salvezza. L’arrivo di Daenerys e dei suoi draghi aveva migliorato anche se di poco la situazione. Il fuoco di Drogon, che a Bran ricordava un giovane Balerion, aveva respinto diversi assalti. Ma Jon le aveva chiesto di andare via, verso sud, per proteggere Sansa ma anche per proteggere se stessa.

Rhaegal però era rimasto a Grande Inverno a combattere il loro eterno nemico. Il drago verde e bronzeo aveva provato ad opporre resistenza quando Brandon Stark era scivolato dentro di lui. Non era stato come entrare dentro Estate o Spettro, e nemmeno come entrare nella mente indebolita di Hodor. Rhaegal riusciva a tenerlo lontano da se scuotendo violentemente la testa cornuta e battendo le ali nel tentativo di scacciarlo. Ci provò ancora e ancora fino a quando il drago atterrò nella fortezza piegandosi al suo volere.

Jon era lì vicino, circondato dai nemici. Gli bastò una sola fiammata per aiutarlo a liberarsi.

Il drago ruggì con violenza. “Guidami” pensò Bran.

E Jon Snow sembrò capire quello che Rhaegal e Bran cercavano di dirgli. Si aggrappò alle scaglie sporgenti e si tirò su, come se fosse la centesima volta che lo faceva.

“Hai sangue di drago”

Dall’alto riuscirono a vedere che la situazione era davvero critica. Una prima falange di uomini si stava dirigendo a sud, la ritirata coperta da un ampio cerchio di fuoco. E un secondo gruppo era pronto a partire.

Bran percepì Jon dare dei comandi in valyriano al drago e capì cosa fare. Proteggere la ritirata degli uomini verso sud.

L’uomo e il drago volarono sulla fortezza uccidendo tutti i non-morti che incontravano. Ancora, e ancora, e ancora.

Grande Inverno bruciava e nessun uomo era più rimasto al suo interno. Lance di ghiaccio sibilarono intorno a loro. Una di queste colpì Rhaegal ad un’ala. Il dolore fu così intenso da scaraventarlo fuori dalla mente del drago. La paura si impossessò di lui. Il terrore che il drago avrebbe scaraventato via il suo cavaliere una volta resosi conto di averlo in groppa.

Il Parco degli Dei era invaso dai non-morti. Un uomo che brandiva una spada fiammeggiante e un meta-lupo bianco come la neve lo proteggevano dall’assalto dei morti.

“Andate via. Non dovete morire per me. Sono solo un ragazzo storpio” urlò.

“È proprio quello che farò. Il Signore della Luce mi ha tenuto in vita proprio per questo. Ora lo so” rispose Beric Dondarrion colpendo un nemico e incendiando le sue vesti di pelli d’orso.

Spettro si lanciò sul nemico successivo, sbranando la carne putrida all’altezza della spalla.

Il fiato del meta-lupo si condensava nell’aria gelida quanto gli Estranei invasero il Parco degli Dei. Alcuni brandivano grosse asce d’acciaio.

“Vogliono abbattere l’Albero Diga” capì Bran. “Sono qui per me”

Beric Dondarrion rise. Una risata folle, di un uomo spezzato che sa che la sua fine è ormai prossima.

“Lotta Brandon Stark. Io sono morto molti anni fa. Tu, invece, hai tanto altro da fare”. Con queste parole Beric Dondarrion impugnò a due mani la sua spada in fiamme e si lanciò in un attacco suicida. Lo stridio con cui morì il primo Estraneo che affrontò sembrò spaccargli in due i timpani. In pochi attimi però il Lord della Folgore fu sopraffatto dai nemici, trafitto da una lancia di ghiaccio al petto. Ma non crollò neanche stavolta. “Perché la notte è oscura e piena di terrore” furono le sue ultime parole, sussurrate al buio che lo stava avvolgendo.

Spettro ululò. Era la prima volta che Bran lo udiva farlo. Forse il meta-lupo sentiva di stare per raggiungere i suoi fratelli e in qualche modo voleva avvertirli del suo arrivo. L’Estraneo più vicino si preparò a colpire con tutta la sua forza, calò la spada di ghiaccio e Brandon seppe che per Spettro era giunta la fine.

Il ruggito di Rhaegal irruppe nel Parco degli Dei. Jon Snow in groppa al drago arrivò a salvarli. Le acque termali ribollirono al contatto con le scaglie incandescenti del drago che sbuffava le sue fiamme verso i loro nemici.

Jon balzò giù. “Presto Bran”. Se lo caricò sulle spalle con facilità, come faceva Hodor, mentre Rhaegal fronteggiava gli Estranei e Spettro lo seguì sul dorso del drago, mordendo le scaglie sporgenti per non perdere la presa.

Prima di abbandonare Grande Inverno, Jon fece volare Rhaegal sulla fortezza ad incendiare tutto quello che ancora non bruciava. L’ultima cosa che videro fu la casa dei propri avi divorata dal fuoco e dalla morte.

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTORE

Lo so sono terribilmente in ritardo ma pubblicare un capitolo nel mese d’agosto è stato tremendamente complicato. Per ultimo ci si è messo il mal tempo ad interrompere la connessione. Ma finalmente ce l’ho fatta.

Winterfell è caduta e altri personaggi sono morti. Il Night King però non si è ancora mostrato, ha altri piani e nei prossimi capitoli capirete quali. Questo capitolo è incentrato interamente sul nord ma nel prossimo vedremo anche quello che succede a sud, a King’s Landing e all’Incollatura.

Concludo ringraziando chi ha recensito lo scorso capitolo giona, QueenInTheNorth e Reyf e tutti i lettori che silenziosamente continuano a seguire la storia… mi piacerebbe sapere cosa ne pensate anche voi!

Grazie a tutti, a prestissimo :*

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 8 - NO ONE ***


CAPITOLO 8 - NO ONE

CAPITOLO 8 – No One

 

 

 

[ARYA]

I suoi fratelli seguirono le sue orme sulla riva, gelata per metà. Un’immane fortezza, bruciata da secoli, dominava il lago. Il puzzo del fuoco che aveva sciolto la pietra delle torri era ancora intenso, eterno… e pericoloso. Conosceva quel castello, una parte di lei ci aveva vissuto un tempo.

Gli uomini d’oro lo avevano lasciato incustodito. Erano in tanti e dalle intenzioni ostili. Tre dei suoi fratelli erano morti e molti altri erano rimasti feriti l’ultima volta che si erano avvicinati troppo.

L’odore del sangue la guidò per molte miglia verso sud, lungo le sponde del lago e poi attraverso la pianura innevata. Sangue di uomo e sangue di lupo. La neve era chiazzata di vermiglio, i cadaveri quasi interamente seppelliti dalla neve. A giudicare dai resti erano due gli uomini morti e intorno a loro il doppio dei suoi fratelli. Ancora una volta…

Centinaia di ululati si unirono al suo, che risuonò più a lungo e più minaccioso di tutti gli altri.

 

“Che Diavolo ti prende ragazzina?”. Il Mastino la svegliò colpendola al costato con la punta dello stivale, mozzandole il fiato. “Vuoi che tutta la dannata Compagnia Dorata ti senta?”.

Forse aveva di nuovo urlato mentre dormiva, o ululato come i lupi del sogno perché anche Gendry la osservava con quel suo sguardo corrucciato e confuso. Non accettava di buon grado che lei l’avesse, per così dire, allontanato. Ma la sua missione lo aveva reso necessario. Le dolci distrazioni che lui le offriva la portavano lontano dalla realtà e dal suo scopo. Come se di colpo si ritrovasse nella vita di qualcun altro, in un qualcosa che non poteva avere. Non ancora almeno.

“Dobbiamo agire. Stanotte” riuscì appena a scandire mettendosi a sedere e tossendo per il colpo ricevuto.

“C’è una dannata tempesta in corso” grugnì il Mastino soppesando la situazione.

“No” protestò Gendry. “Dobbiamo aspettare che abbassino la guardia”

“Lo faranno questa notte”. Lo sentiva.

“Come puoi esserne sicura?”. Gendry cercò man forte dal Mastino che lo liquidò con un’alzata di spalle.

“Lo so e basta. Preparatevi oppure andate per la vostra strada. Lo farò da sola se necessario”

Gendry arrossì come un ragazzino sotto il suo sguardo tagliente prima di convincersi. “D’accordo”

“Bene. Ripetiamo il piano”

“Oh piantatela ragazzina” grugnì infastidito il Mastino. “Ricordiamo tutti il maledetto piano. Non c’è bisogno di ripeterlo all’infinito. Allora adesso vuoi dirci come facciamo a sapere quando iniziare a sgozzare i mercenari?”

“Lo capirete quando sarà il momento. Cercate di non morire prima di allora”.

La Compagnia Dorata era accampata solo poche miglia più a sud della capanna dove avevano trovato rifugio, lungo l’Occhio degli Dei. La conoscevano, lei e il Mastino, quella casa di pietra grigia dal tetto di legno e paglia. Ma nessuno dei due lo aveva dato a vedere. E nessuno dei due si era azzardato a parlare del fattore e della sua bambina che la abitavano anche se appena entrati Arya aveva visto un lampo negli occhi di Clegane. Rabbia, e tristezza.

Con il favore dell’oscurità e la protezione della boscaglia e dei rumori della tempesta riuscì ad entrare nell’accampamento senza essere vista. Gendry e il Mastino si separarono dirigendosi in direzioni opposte. Seguivano la Compagnia Dorata da giorni, in lungo e in largo per le Terre dei Fiumi, aspettando il momento adatto per colpirli. “Uccidiamo il loro capo e li spargiamo al vento come la neve a primavera”. Questo era quello che aveva detto ai suoi compagni di viaggio. Aveva tenuto per se il vero motivo per cui lo aveva condotti in quella caccia. Non avrebbero capito e lei non aveva alcuna voglia di spiegarglielo.

Rapida e silenziosa come un gatto scivolò tra le tende evitando le piccole piazze in cui ardevano i fuochi di guardia. La tempesta costringeva gli uomini al riparo dai venti freddi dell’inverno. E un uomo infreddolito è poco propenso ad allontanarsi dal fuoco. Probabilmente, nessuno si sarebbe comunque preoccupato di una ragazza che si aggira per un accampamento. L’avrebbero scambiata per una delle puttane che si accodano agli eserciti, ma preferì comunque non rischiare e celarsi ad occhi indiscreti il più possibile.

Una guardia sonnecchiava, appoggiata ad una lancia, all’ingresso della tenda del comandante, gli occhi fissi sulle braci incandescenti di un fuoco quasi estinto. Si accorse appena della daga che scivolò lungo il suo collo lasciando un solco purpureo. Pochi istanti e il mercenario morì con un rantolo, impalandosi sulla sua stessa lancia.

A giudicare dalle ombre c’erano due uomini nel padiglione del comandante. E di Gendry e del Mastino nessun segno. O si erano fatti catturare oppure si erano persi tra le centinaia di tende che sorgevano ovunque. In ogni caso era sola. Avrebbero dovuto incontrarsi davanti alla tenda del comandante per coglierlo di sorpresa. Non muoversi in gruppo, aveva imparato, era un buon modo per non essere beccati.

“Non torneremo indietro per dare la caccia a quei topi” stava dicendo quello che le sembrò essere il capo. “Tu e i tuoi maledetti arcieri ve li siete fatti sfuggire, Balaq. E ora ti aspetti che mandi all’aria tutti i nostri piani per catturare il fottuto Sterminatore di Re e qualche trota? Al diavolo”

“Avevamo anche un altro compito. Scovare e uccidere gli assassini dei Frey. La regina non sarà contenta” brontolò Balaq in risposta.

“Che si fotta la regina. Sarà bella e morta quando arriveremo” ribatté ancora l’uomo e le proteste dell’altro cessarono.

Chiuse gli occhi per prepararsi al duello, inspirò a fondo e per un attimo non fu più solo se stessa. Percepì con molta più chiarezza gli umori della tempesta crescente e, sottovento, gli odori dell’accampamento. “Adesso”. Il tepore della tenda la colpì in pieno viso, risvegliando i suoi sensi.

“E tu chi diavolo sei?” esclamò Harry Strickland balzando in piedi. “Dov’è la guardia?”

Arya sorrise maliziosa. “Oh… è rimasta così contenta del mio trattamento che si è subito… ecco, addormentato”

I due uomini sorrisero cogliendo la sua allusione. “Beh noi siamo degli amatori migliori di quel pivellino”

Le sue dita si chiusero intorno all’elsa di Ago. “Chi ha parlato di sesso?”

Lo spettro della risata di scherno congelò sul viso dei due mercenari. Centinaia di ululati riempirono la notte. I lupi erano molto vicini, persino all’interno dell’accampamento. E quello era un richiamo di guerra.

Fuori dalla tenda spade cozzarono l’una contro l’altra, mischiandosi ai ruggiti e alle urla. Un grugnito familiare le disse che il Mastino e Gendry erano arrivati, alla fine.

“Adesso morirai ragazzina. E poi moriranno quei lupi lì fuori”.

Scivolò di lato quando il primo dei due calò la spada corta. Ago la deviò di lato e con un affondo alle gambe mandò il mercenario a rovinare contro le pareti della tenda. Uno dei pilastri di legno che la sorreggevano cedette e le pelli e gli stracci avvolsero l’uomo impedendogli di muoversi. Un secondo affondo, dritto alla gola e l’uomo morì. “Infilzali con la parte aguzza”

Il resto del padiglione crollò intorno a loro incendiandosi su uno dei bracieri. Gendry si batteva con due soldati, alle sue spalle. I colpi del suo martello frantumavano gli scudi dei nemici. Non vide Clegane ma non se ne preoccupò. Il fuoco crebbe d’intensità lentamente lungo le pellicce umide respingendo solo parzialmente l’oscurità ma comunque a sufficienza per riflettersi in un paio occhi ocra. Occhi di lupo. “Sei qui. Sapevo che non mi avresti abbandonata” pensò.

Harry Strickland non si accorse della meta-lupa argentea che comparve alle sue spalle. Finalmente era riuscito ad estrarre la sua spada. “Non credere che mi farò uccidere da te, ragazzina. Chi diavolo credi di essere?”

“Che ti importa. Domani potrei essere qualcun’altro”

“Bene allora. Chi ti piacerebbe essere domani?” domandò Harry Strickland preparandosi all’attacco.

“Ho io una domanda per te. Cosa ti ha promesso Euron Greyjoy?”.

Strickland rise, gli occhi colmi d’avidità. “Castel Granito”.

Nymeria scattò in avanti, scavalcando con un balzo l’anello di fuoco che andavano via via avanzando. Le sue fauci si chiusero intorno alla vita di Harry Strickland. L’urlo dell’uomo si disperse negli ululati dei lupi.

 

 

[TYRION]

Lasciarono il Moat all’alba, gli Immacolati come scorta e trenta uomini del nord divisi tra avanguardia e retroguardia. Sansa, Lady Brienne, Podrick e ser Davos Seaworth cavalcano insieme a lui. Il resto del gruppo, Varys, Missandei e Sam Tarly con la sua famiglia viaggiavano sull’unico carro superstite.

La Strada del Re si stendeva tra due campi paludosi, per metà ghiacciati e per l’altra metà irti di canneti anch’essi congelati. Non avevano alcuna notizia da Grande Inverno dal giorno in cui erano partiti e questo lo metteva a disagio, a dir poco. Il chiedersi continuamente se abbandonare il nord era stata la scelta giusta aveva lasciato il posto all’ansia e alla paura di cosa sarebbe accaduto se la battaglia fosse stata persa. Se il nord fosse caduto e l’esercito sconfitto scappare a sud non sarebbe servito a molto. Tanto valeva morire a Grande Inverno. Sarebbe stato più sensato cercare Daenerys e i suoi dannati draghi. Ma Varys era stato l’unico a condividere i suoi dubbi. E non avevano alcuna pista su di lei o sui suoi figli. E come avrebbero mai potuto. Neve e ghiaccio, foreste e ghiaccio, paludi e ghiaccio. E il culo gelato giorno e notte. Ecco cos’era diventato quel viaggio. E come se non bastasse le giornate si erano ridotte a non più di cinque o sei ore di luce.

“Sei ancora convinta di dirigerci verso la Valle, mia lady?” chiese cavalcando accanto a Sansa.

“Mio padre diceva che Nido dell’Aquila è il castello più inespugnabile dei Sette Regni” rispose Sansa Stark senza distogliere lo sguardo dalla strada. Portava il mantello calato sulla fronte ma qualche ciocca di capelli ramati, sfuggita all’acconciatura, le ricadeva su una spalla. Aveva le guance arrosate e gli occhi spenti ma non mancava certo di determinazione. Quel freddo avrebbe piegato chiunque sotto i suoi morsi gelidi. E Sansa Stark, tra tutti loro, era la persona che meglio sopportava quelle temperature.

“Ma è anche molto lontano. Due settimane, forse di più” intervenne ser Davos. “Stabilirci nelle Terre dei Fiumi potrebbe essere una scelta più saggia, vista la situazione”

“Harrenhal dovrebbe essere la nostra destinazione” lo spalleggiò Tyrion.

“Harrenhal è un rudere, mio lord” gli ricordò lady Brienne contrariata dalle opposizioni al piano della sua signora.

“Ne siamo al corrente lady Brienne. Ma da lì avremo una visione migliore di quello che accade nel reame” provò Tyrion con tono conciliante.

“E come proponi di difendere Harrenhal da un qualsiasi attacco? Dimentichi che abbiamo poco più di cento uomini” chiese Sansa.

“Potremo inviarne alcuni a cercare mio fratello e tuo zio, lady Sansa”. Brienne parve convincersi che fosse un’idea sensata o comunque preferì non ribattere.

Sansa Stark ci pensò per qualche istante. “Mandate quegli uomini. Quanto dista Harrenhal?” chiese infine.

 

Al terzo giorno dopo aver lasciato il Moat la neve cadeva così fitta da impedirgli anche solo di scambiare poche parole. La Strada del Re era diventata una lunga distesa di fango ghiacciato e neve cedevole, costringendoli a rallentare fino quasi ad arrancare. Uno dei cavalli che trainava il carro era morto il giorno prima e Tyrion era stato costretto a sostituirlo col suo ronzino e a sedersi accanto a Sam Tarly sul carro.

La strada costeggiava la Baia del Morso, molte miglia a sud di Moat Cailin, dove l’Incollatura sfociava nelle Terre dei Fiumi. Le paludi e gli acquitrini lasciavano il posto alla boscaglia. Ma neanche allora la neve accennò a diminuire.

“Speravo che a sud avremo trovato temperature più miti” si lamentò Tyrion.

“È l’inverno, lord Tyrion. Neanche Approdo del Re, Castel Granito o Alto Giardino saranno risparmiate dal gelo” rispose Sam rabbrividendo.

“Avevo dimenticato quanto sono cupi i Guardiani della Notte” provò a scherzare.

“I Guardiani della Notte non esistono più, mio lord”. Ognuna di quelle parole lo fece soffrire come una lama nel petto, Tyrion glielo lesse in volto, ma Samwell Tarly le pronunciò con tutto l’orgoglio che riuscì a racimolare.

“Suppongo che questo ti metta nella condizione di lord di Collina del Corno” provò a consolarlo. Solo dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio ricordò cosa gli aveva detto Daenerys un attimo prima di nominarlo suo Primo Cavaliere: “Non starà a me dirlo ma fa schifo come consoli, lord Tyrion”.

 

L’avanguardia del nord trovò un punto in cui il fondale del Tridente era sufficientemente basso per guadare. Ma anche così l’acqua arrivo fino alla cintola dei cavalieri. Gli Immacolati dovettero attraversare a nuoto e alcuni di loro furono trascinati a valle dalla corrente. Una dozzina, forse di più. Due cavalli, già profondamente debilitati dal lungo viaggio, morirono sotto i morsi dell’acqua gelida. E tutti gli altri non erano in condizioni migliori.

A mezzo miglio verso sud, lungo il fiume, sorgeva una locanda che gli uomini dell’avanguardia avevano scelto come rifugio per la notte. Tyrion Lannister era già stato lì e, quella volta, aveva dovuto inghiottire il rospo più grosso di tutti, il suo orgoglio, e piegarsi alla cattura da parte di Catelyn Stark. La Guerra dei Cinque Re e tutto quello che ne era seguito aveva ridotto la locanda ad un rudere. Ma la sala grande era larga a sufficienza da accoglierli tutti, soldati compresi, ed era anche in buono stato. E gli alloggi della locandiera, dietro la sudicia cucina, erano piccoli ma forniti di un bagno con una vasca in legno istoriato. Missandei, Sansa e Gilly si concessero il lusso di un bagno e anche Tyrion, dopo che loro furono ricomparse nella sala, si diede una ripulita. Indossò gli stessi indumenti logori che portava ormai da quando erano partiti. Il suo farsetto, un tempo del fiero porpora di casa Lannister, era ridotto ad un mucchio di sfumature di rosa e arancione o di ancor peggiori tinte di marrone e verde. Le sue brache erano in condizioni solo leggermente migliori, ma sentirsi finalmente pulito gli ridiede un po’ di vigore.

“Se in una di quelle botti c’è un po’ di quel vino acquoso delle Terre dei Fiumi potrei quasi sentirmi in forma stasera” pensò mentre rientrava nella sala comune.

Uno dei cacciatori aveva ucciso le due lepri più grosse che Tyrion avesse mai visto e il profumo dello stufato di carote e cipolle selvatiche che ne era derivato gli fece venire l’acquolina in bocca.

“Con un pezzo di quel pane duro ai cereali degli Immacolati sembrerà un banchetto di re Robert” scherzò Tyrion guardando il succulento stufato davanti a se.

Missandei rise di gusto e Gilly gli chiese di raccontargli di uno di quei banchetti. Anche Sansa si concesse un sorriso. La cena si risolse con un racconto delle settantasette portate del matrimonio di Joffrey e Margaery. Del torneo di nani e di come il re lo aveva umiliato di fronte a tutti.

“Quindi è stata la Regina di Spine a uccidere il re?” chiese Sam Tarly stupito.

“Con l’aiuto di Ditocorto” confermò Sansa. “Il veleno era in una delle ametiste della mia collana. Quando ho ripreso il calice reale per passarlo a lord Tyrion, alcune gocce di veleno sono cadute nella coppa”

“Ma avrebbero potuto avvelenare anche te, mia signora”. Gilly era quasi sconvolta dal racconto.

“In realtà no. Perché mai lady Sansa avrebbe dovuto portare la sua coppa vicino al petto?”. Tyrion mostrò il suo bicchiere e mimò il gesto. “Vedi? In nessun caso il mio bicchiere può entrare in contatto col veleno sulla collana”.

“L’omicidio perfetto” commentò ser Davos. “Ditocorto fornisce la collana, la Regina di Spine il veleno per il re, e il nano, invidioso del giovane re, si prende la colpa”

“Non avrei saputo dirlo meglio ser” commentò Tyrion con una risata amara. “Beh… credo che andrò a contemplare questi ricordi mentre svuoto la vescica”.

Gli Immacolati e gli uomini del nord avevano abbattuto degli alberi intorno alla locanda. “Difese di legno e foglie lord” gli disse uno degli Immacolati di guardia scuotendo la testa.

“Almeno non moriremo di freddo stanotte” pensò Tyrion avviandosi con la sua andatura barcollante.

Alcuni soldati erano riuniti intorno al fuoco di guardia all’ingresso della taverna. Si passavano un otre di vino e si raccontavano storie dei loro precedenti inverni. Tyrion passò oltre dirigendosi verso le stalle. La tempesta di neve aveva finalmente fatto il suo corso. Nelle ore migliori di quella notte forse avrebbe addirittura potuto vedere qualche stella. Anche se avrebbe preferito vedere un drago. E un esercito amico se non era chiedere troppo.

Stava per rientrare quando due soldati a cavallo arrivarono nel cortile. “Abbiamo trovato gli eunuchi che la corrente ha trascinato a valle” disse balzando giù da cavallo, rivolto ai suoi compagni vicino al fuoco. “Morti. Tredici uomini. Forse di più. Difficile dirlo con precisione”

“Cosa significa difficile dirlo con precisione?” chiese Tyrion sbucando dall’oscurità.

“Ci stavi spiando nano” sputacchiò uno dei soldati.

Il mondo gli sembrò più freddo nonostante si fosse avvicinato al fuoco di guardia. “No, ser. Stavo solo pisciando. E ora vi ho fatto una domanda e gradirei ricevere una risposta”.

“I loro corpi erano smembrati in tanti pezzi e disposti in modo strano. Una spirale forse, o qualcosa del genere”

“Sono qui” disse Sam Tarly dall’uscio della locanda, la voce ridotta ad un soffio. Ma tutti lo udirono. Tyrion lo capì dalla paura che si allargò sui loro volti come il morbo grigio. Dopo pochi attimi carichi di tensione qualcuno suono il suo corno.

“Dannazione” imprecò. “Tanto vale uscire nella foresta e farci ammazzare”

“Non siamo stati noi, mio lord” gli rispose uno dei soldati. “Viene dalla foresta”

“Oh Sette Dei, fate che sia Jaime”

I polmoni parvero schizzargli fuori dal naso quando inspirò. L’aria gli sembrò un enorme blocco gelido. Eroe, il capo della scorta di Immacolati, urlò qualcosa in valyriano ai suoi uomini, ma Tyrion lo udì appena. Lady Brienne aprì la porta con un calcio e sfoderò la sua spada in acciaio di Valyria, pronta alla battaglia.

“Cosa diavolo succede?” chiese quando vide soltanto degli uomini intorno al fuoco.

“Estranei” rispose Tyrion. “Vi direi di raddoppiare la guardia ma sarebbe una battuta troppo triste per un momento come questo”

Podrick Payne sbucò alle spalle della sua signora. “Credo che ti serva questa, mio Lord” disse porgendogli un arma dall’impugnatura.

“La mia ascia”. Tyrion si sforzò di sorridergli. “Era un dono per il mio scudiero, Pod”

“È vero, lord Tyrion. Ma non hai nulla con cui difenderti. E io preferisco la spada”

Arrivarono da tutte le direzioni, nel medesimo istante. Saltarono e si arrampicarono sugli alberi ammassati intorno alla locanda. Centinaia di morti. Indossavano parti spaiate e distrutte di armature bianche e azzurre e brandivano acciaio forgiato: spade, lance, mazze chiodate. “Un esercito”

I cavalli scalciarono e nitrirono di paura, legati in ciò che restava della stalla. Un uomo urlò di dolore.

Ci fu un attimo, prima che Immacolati e non-morti si scontrassero, in cui Tyrion Lannister si sentì un gigante. Alto quanto gli altri e anche di più.

“Castel Granito! Castel Granito!” ruggì lanciandosi contro il primo non morto che gli arrivò a tiro. L’ascia colpì poco sopra il ginocchio, aprendosi la strada attraverso carne putrida e ossa fragili. Il non-morto cadde rovinosamente a terra ma continuò ad avanzare strisciando e colpendo il terreno con la sua daga. Il secondo colpò gli mozzò di netto il braccio armato. Podrick salto davanti a lui con una bastone infuocato. Il non-morto si contorse mentre le fiamme lo avvolgevano.

Brienne di Tarth combatteva a pochi passi da loro. Giuramento in una mano e una torcia nell’altra. I morti cadevano intorno a lei come foglie infuocate o, colpiti da Giuramento, esplodevano come vasi di coccio.

Qualcuno, o qualcosa, lo afferrò per un braccio, trascinandolo a terra, nella neve e nel fango. Udì Sansa urlare mentre ruzzolava sugli scalini della locanda battendo violentemente una spalla. L’impatto con la pietra gli mozzò il fiato. Si rialzò a fatica stringendo la sua ascia con entrambe le mani. “Fatevi avanti bastardi” urlò.

E lo fecero. I non-morti gli furono addosso in un istante. Le loro lame calarono, ma Tyrion fu abbastanza veloce da evitarle, rotolando indietro fino a battere la schiena sul portone della locanda, grugnendo per il dolore. Era in trappola. Una immane spada dalla lama scura balenò per un attimo sopra la sua testa, tranciando di netto il braccio del non-morto più vicino. Samwell Tarly era in piedi accanto a lui, l’antica spada Veleno del Cuore nel pugno e il terrore disegnato in volto. “Non possiamo respingerli” mugugnò.

“Hai ragione. Non possiamo, dobbiamo” urlò rimettendosi in piedi. “AVANTI. RESPINGETELI”

Non seppe dire per quanto tempo combatterono. Una donna cavaliere e il suo scudiero, un nano e un grassone. Ci fu un altro momento in cui Tyrion credette di morire ma ser Davos Seaworth lo spinse di lato intercettando la mazza da guerra del non-morto.  

La resistenza era pronta a cadere quando un ruggito li costrinse a guardare verso alto, seguito da un grido che sapeva di speranza. “Dracarys”

Una gigantesca ombra nera calò su di loro. Brienne di Tarth urlò a tutti loro di stare indietro salvandoli dalla fiammata di Drogon.

“Daenerys”.

L’ombra nera atterrò davanti a loro. Sul suo dorso Daenerys Targaryen si voltò a guardarli per qualche istante. Incrociando il suo sguardo Tyrion vi lesse più di quanto avrebbe voluto: dolore e forse paura.

“Dracarys” la sentì urlare ancora.

Ma nemmeno il drago nero riuscì a respingere le centinaia di non morti che continuavano a sbucare dalla foresta, da ogni lato. I tronchi tutt’intorno sembrarono esplodere e contorcersi nelle fiamme di Drogon. I non-morti che non avevano ancora varcato il cerchio di fuoco furono costretti a fermarsi. Questo diede loro qualche attimo di tranquillità in cui Tyrion ritrovò la lucidità che aveva perso nella foga della lotta.

“Presto, salite. Vi porto via di qui”. La regina gli tese un braccio per aiutarlo a salire, ma Drogon si voltò per affrontare un nuovo attacco e l’attimo svanì. Il fuoco stava pian piano spegnendosi e i non-morti avevano ricominciato ad attraversarlo. Neanche Drogon avrebbe potuto respingerli ancora a lungo.

Poi degli uomini a cavallo irruppero sulla battaglia. I non-morti caddero sotto i colpi delle loro spade. Alcuni brandivano delle torce di legno, altri dei pugnali o lance. L’uomo che li guidava indossava un’armatura porpora e oro, con sulle spalle il mantello bianco della Guardia Reale. Un leone dorato.

“Jaime. Grazie al cielo”

 

 

[SANSA]

Erano passati tre giorni da quando erano sfuggiti alla morte nella battaglia della taverna sul Tridente e gli esploratori continuavano a riportare notizie di non-morti che li inseguivano nella fuga verso Harrenhal.

Ser Brynden il Pesce Nero e i suoi esploratori conoscevano alla perfezione le Terre dei Fiumi ed erano in grado di sfruttarne ogni piccolo particolare a loro vantaggio. Jaime Lannister guidava l’avanguardia.

L’intervento dell’esercito Lannister-Tully aveva salvato la vita a tutti loro, compresa Daenerys. Neanche Drogon, l’enorme drago nero, sarebbe stato in grado di resistere ancora per molto alle ripetute cariche dei morti.

La regina viaggiava su un carro insieme al suo seguito: lord Tyrion, Missandei e Varys. Durante la battaglia, Daenerys era svenuta, stremata, ed era stata tratta in salvo dai suoi guerrieri Immacolati. Drogon era rimasto ferito colpito più e più volte mentre proteggeva il corpo inerme di sua madre. Da allora, il drago aveva sorvolato il convoglio senza mai allontanarsi troppo e ruggendo.

“Cosa è successo? Da dove arrivavano tutti quei morti?” aveva chiesto Sansa Stark al suo prozio Brynden quando erano stati sufficientemente lontani da sentirsi al sicuro. Si era subito resa conto che non potevano arrivare da nord. Indossavano abiti tipici delle terre a sud dell’Incollatura e a guidarli non c’era nessun Estraneo.

“Dalla Valle di Arryn, mia signora” aveva risposto il Pesce Nero. “Abbiamo saputo che un drago ha attaccato Nido dell’Aquila e gli altri castelli della Valle”

“Il Re della Notte ha fatto la sua mossa” era intervenuto ser Davos, cavalcando al loro fianco. “Nessuno se lo sarebbe mai aspettato ovviamente”

“Nido dell’Aquila è caduto?” Sansa ne fu scioccata. “E cosa ne è stato di lord Robin?”. Il giovane lord della Valle non le era mai stato simpatico, ma era suo cugino e in fondo, Sansa sperava che, in qualche modo, fosse riuscito a mettersi in salvo.

“Non lo sappiamo. Probabilmente è morto” Brynden aveva scosso la testa rabbuiandosi. “Non ero lì per proteggerlo. Un tempo avevo giurato fedeltà al lord di Nido dell’Aquila”

“Non è colpa tua zio. Se fossi stato lì ora saresti solo un’altra spada per l’esercito dei morti. Preferisco vederti brandire la tua spada al fianco dei vivi” lo aveva consolato Sansa. “Cosa sappiamo di quanto accade nel resto del Reame?”

“Molto poco, in verità. Per ora le Terre dei Fiumi restano saldamente in mano nostra. Tuo zio, lord Edmure, tiene Harrenhal e sua moglie, lady Roslin, governa Delta delle Acque. La Compagnia Dorata è diretta a sud, ad Approdo del Re senza dubbio. E non credo che faranno ritorno a nord molto presto”

“Cersei vuole difendere la capitale. E per farlo lascerebbe morire tutti gli altri senza batter ciglio” aveva asserito convinto ser Davos.

“Li ucciderebbe lei stessa se ne avesse l’occasione”. Sansa aveva chiuso così il discorso Cersei.

Dopo un giorno o due di viaggio, Daenerys si era ripresa quel tanto che bastava per farla chiamare e raccontarle quello che era successo a Grande Inverno. “Mi dispiace, lady Sansa” era tutto quello che era riuscita ad aggiungere alla notizia della caduta di Grande Inverno. Sansa avrebbe voluto urlarle contro. Avrebbe voluto dirle che lei era la regina, madre dei draghi, e che aveva lasciato il nord in balia di se stesso allontanandosi con i draghi. Avrebbe voluto urlare e piangere, far voltare il cavallo e tornare di corsa a casa. Da Jon, da Bran e da Adrian. Era stanca di fuggire. Avrebbe voluto saper impugnare una spada e uccidere più non morti di quanti ne aveva uccisi Drogon. E invece aveva continuato a cavalcare verso sud, mantenendo la compostezza che si confaceva al suo rango.

“Rhaegal è rimasto a Grande Inverno. Stanno bene, ne sono certa” l’aveva rassicurata Daenerys. Anche lei aveva perso molto nella battaglia di Grande Inverno. Tutto il suo khaalasar era caduto sotto l’attacco degli Estranei e non aveva notizie dei suoi Immacolati. E anche lei aveva bisogno di credere che Jon fosse ancora vivo. Dopo tutto, Daenerys soffriva quanto lei.

Harrenhal apparve davanti a loro nella bruma mattutina. Giorni e notti di cavalcate serrate avevano lasciato tutto il gruppo senza forze. Sam Tarly non aveva smesso un attimo di tremare con in braccio il piccolo Sam avvolto in un mucchio di pellicce, tanto da farlo sembrare quasi grosso quanto il padre. Tutto quello che avevano potuto fare era stato seguire i loro salvatori attraverso le colline innevate, lungo le pianure ed infine al riparo dalla neve nelle foreste delle Terre dei Fiumi.

Un lungo, spontaneo sospiro di sollievo gli salì alle labbra quando avvistarono l’immane fortezza in rovina di Harren il Nero. Uomini dei Tully avevano approntato il castello per ospitare un esercito, guidati da suo zio, lord Edmure Tully. Sansa non ricordava molto del fratello della sua defunta madre. L’unica volta che lo aveva visto era poco più di una bambina e lord Edmure era diventato un uomo e un lord da allora. I suoi capelli ramati erano striati di grigio e il suo viso era stanco e tetro.

“Lady Sansa” la saluto quando smontò da cavallo. “Sei più bella di quanto tua madre sia mai stata. È un piacere rivederti”

“Anche per me zio”. Sansa lo abbracciò brevemente.

“Ho fatto preparare per te degli appartamenti nella Torre del Rogo del Re”

“Ti ringrazio. Fa in modo che anche la regina Daenerys sia trattata con il massimo riguardo. Te ne prego. È nostra alleata in questa guerra”

Aye”

 

Tyrion Lannister caracollò al suo fianco quando Edmure si fu allontanato. “La regina vorrebbe convocare un concilio ristretto. Gradirebbe che fossi tu a rappresentare il nord”

Sansa osservò Daenerys da lontano. La regina smontò con difficoltà dal carro, sorretta da due Immacolati. Era sparita per settimane, vivendo in territori ostili con la sola compagnia dei suoi draghi e questo aveva lasciato su di lei dei segni evidenti. “Ne sarei felice, lord Tyrion”.

“Bene. Seguimi se ti compiace”

Nell’immenso solarium che un tempo era stato la dimora di Harren il Nero un fuoco ardeva ad allontanare il freddo e l’odore di muffa. Sansa sedette accanto a ser Davos e lord Edmure. Erano presenti, oltre a Tyrion e la regina anche ser Jaime Lannister e Samwell Tarly.

“Grande Inverno è caduta” esordì la regina e Sansa Stark credette di sentire il suo cuore spezzarsi ancora una volta.

“Cosa?” chiese lord Edmure. “Come fa a saperlo?”

“Ci sono stata. Ho partecipato alla battaglia”

“L’esercito è stato sconfitto ed è in fuga verso sud” confermò ser Davos.

“E cosa ne è stato di Jon?” chiese Samwell Tarly con voce incerta e preoccupata.

“Jon sta bene. Sta guidando gli uomini in salvo” rispose la regina come se anch’essa avesse bisogno di crederci. Aveva l’aria stanca e febbricitante ma non sembrava voler cedere, almeno fino a quando la riunione fosse finita.

“Dobbiamo organizzare delle squadre di recupero che vadano loro incontro e li guidino fino ad Harrenhal” propose ser Jaime Lannister.

“Hai ragione ser” lo appoggiò Daenerys. “Dopo che avrò ottenuto il giuramento dei miei nuovi sudditi affronteremo questo discorso”. Si rivolse a Jaime Lannister e a lord Edmure Tully.

Lord Edmure guardò per un attimo Sansa come se cercasse da lei una risposta. Sansa acconsentì impercettibilmente con un cenno del capo e il lord di Delta delle Acque si alzò sfoderando la sua spada.

“Delta delle Acque combatterà per te, maestà” disse. “Tue sono le nostre spade, tua è la nostra vita”

Daenerys si alzò in piedi con un sorriso stanco. “E io mi impegno a non chiedervi mai un’azione che vi arrechi disonore. Alzati Edmure, lord di Delta delle Acque e Protettore del Tridente”.

Ma quando toccò a Jaime Lannister l’aria si caricò di tensione. Il Lannister la guardò sprezzante e anche un po’ annoiato. “Ho giurato di combattere al tuo fianco contro i morti ma non per questo ti giurerò fedeltà. Il tuo obiettivo è quello di spodestare la mia famiglia e io non avrò parte in questo” disse, lo sguardo smeraldino fisso negli occhi ametista della regina.

“Jaime, fratello…” intervenne Tyrion.

“Per favore lord Tyrion” lo interruppe Daenerys. “Capisco le tue motivazione ser. Ma non ti darò l’occasione di tradire ancora la mia famiglia come hai fatto in passato. Arrestatelo”

“Dany, ti prego…” provò ancora Tyrion ma Daenerys lo zittì con lo sguardo.

Due Immacolati si fecero subito avanti per prendere in custodia ser Jaime, ma il Lannister non aveva intenzione di accettare la sentenza. “Hai bruciato migliaia dei miei uomini e tutte le provviste che servivano a sfamare la capitale. Cosa ti aspetti da me?”

“In guerra si fanno cose di cui poi ci si pente, ser. Lo sai bene anche tu” provò ad intercedere ser Davos.

“Ed era guerra anche lasciar bruciare vivi dal drago lord Randyll Tarly e suo figlio?” chiese Jaime divincolandosi dalla presa degli Immacolati.

Nessuno si aspettava che Samwell Tarly potesse esplodere di rabbia in quel modo. Era ancora profondamente scosso dal lungo viaggio e per tutto il tempo era rimasto in silenzio ad ascoltare. “Mio fratello?” chiese.

Daenerys arrossì violentemente. “Io… mi dispiace” riuscì solo a dire.

“Ti dispiace?” Sam era furioso. “Mio fratello aveva sedici anni. Era un bravo ragazzo e tu lo hai dato in pasto ad un drago?”. Balzò in piedi battendo le mani sul tavolo. “Tu non sei la mia regina”

“Samwell…” Tyrion provò ancora a riportare la calma.

“No lord Tyrion” urlò ancora. “Lei non è la mia regina, non è regina di niente. È Jon Snow il vero erede al Trono di Spade”

 

 

[CERSEI]

“Ne sei sicuro?”. Cersei si cinse il ventre con un braccio.

“Ma certo, Altezza” la rassicurò lord Quiburn. “Tuo figlio verrà al mondo sano e forte”.

Aveva seriamente temuto un aborto dopo essersi risvegliata nel suo letto, ricoperta dal suo stesso sangue. Euron Greyjoy poteva averla in qualche modo avvelenata anche se dopo alcuni giorni Quiburn lo aveva escluso. Non aveva riscontrato i sintomi di nessuno dei veleni da lui conosciuti e per questo avevano deciso di rilasciare Euron dalla prigionia. Sperava che qualche settimana di stenti avesse piegato la sua sfacciataggine.

Cersei non scendeva nelle prigioni della Fortezza Rossa da quando vi aveva rinchiuso Ellaria Sand e sua figlia. La ragazzina era morta e sua madre continuava a fissare il suo corpo decomporsi. Ormai doveva essersi ridotto solo ad un mucchietto d’ossa. Passare davanti a quella cella le diede piacere. Ripensare a quel momento le ricordò che lei era la vera regina dei Sette Regni e che nessuno, nemmeno Euron Greyjoy avrebbe mai potuto metterla da parte.

“Siederò sul Trono di Spade oggi” sentenziò continuando a seguire Quiburn lungo il corridoio che conduceva alla cella di Occhio di Corvo. Non lo faceva dal giorno in cui era svenuta.

“I tuoi sudditi saranno lieti di rivederti, Vostra Grazia”. Quiburn armeggiò con un grosso mazzo di chiavi e finalmente trovò quella che apriva la cella di Euron.

Il re delle Isole di Ferro era seduto a terra, con la schiena poggiata al muro e un sorriso sghembo sulle labbra. “Mancavo alla mia regina oppure è giunto il giorno della mia esecuzione?”.

“Lord Greyjoy, sei libero di andare. Richiama i tuoi uomini e riporta l’ordine nella mia città”. Cersei parlò dalla porta.

Euron Greyjoy si alzò uscendo dalla penombra. Guardandolo meglio Cersei notò i segni che Ser Gregor gli aveva lasciato. Aveva la parte destra del viso ancora livida e un braccio appeso al collo. Ma questo non gli impedì di sorridere ancora e di mostrare un dente mancante. “E quand’è che diventerò tuo marito, altezza? Gli uomini di ferro potrebbero non obbedire ad un semplice lord. Vedi sono stato imprigionato e malmenato. Cosa impedirà loro di vedermi solo come un burattino?”

“Sono certa che saprai farti rispettare. Oppure, tra qualche giorno, quando la Compagnia Dorata sarà qui, chiederò a loro di occuparsene. A te la scelta”. Cersei lo lasciò da solo nella semi oscurità della sua cella a rimuginare sulla sua minaccia. Ellaria Sand urlò quando passò di nuovo davanti alla sua cella ma Cersei non le badò affatto.

 

Il Trono di Spade attendeva nella sala del trono, meraviglioso e letale come sempre. Ricordava bene come Joffrey si tagliava spesso sulle lame sporgenti. “Il trono respinge chi non è degno di sedervi”. Anche Aerys II era spesso sanguinante per via di quelle spade tanto da essere stato soprannominato Re Piaga. Ma non Cersei Lannister. Il Trono non la respingeva, lei meritava il Trono di Spade. Salì lentamente i pochi gradini, assaporando passo dopo passo il gusto del potere che quel trono le conferiva.

I bracieri nella sala del Trono riempivano l’aria di un piacevole tepore ma fuori dalle grandi vetrate Cersei poteva vedere l’inverno pressante. Una coltre di nuvole copriva il cielo della capitale e copiose nevicate non si erano fatte certo attendere. L’inverno più duro a memoria d’uomo, secondo i maestri, era cominciato. Il popolino era allo stremo e più volte erano arrivati allo scontro con le cappe dorate. In sua assenza Quiburn aveva gestito con pugno duro quelle piccole scaramucce, ma le ribellioni si facevano sempre più frequenti e sempre più uomini si raccoglievano sotto la fortezza rossa per protestare contro il regime Lannister.

Cersei aveva fatto scrivere un proclama in cui incolpava Daenerys Targaryen e i suoi draghi per aver distrutto tutte le scorte dell’Altopiano che sarebbero dovute servire a rimpinguare le scorte della capitale ma nemmeno questo aveva avuto l’effetto sperato. Così si erano rivolti alla Banca di Ferro di Braavos che attraverso i suoi contatti con i mercanti di Qart e Volantis aveva fatto sì che i morsi della fame fossero allentati, almeno per un po’.

“È fondamentale tenere a bada il popolo. In inverno la paura non basta”. Un altro degli insegnamenti del lord suo padre che Cersei Lannister non aveva mai dimenticato. Per questo quando quella mattina si era affacciata sulla terrazza che dava sulla piazza rossa i soldati si erano uniti all’acclamazione del popolo.

“Un po’ di cibo li terrà calmi per qualche settimana” aveva detto a Quiburn. “Fingono addirittura di amarmi quando sarebbero capaci di vendere la mia testa a quella puttana bionda alla prima occasione”

“Di certo ci proveranno, Altezza”. Quiburn aveva sorriso malevolo. “Ma i tuoi piromanti hanno portato a termine il loro compito. Se mai questo dovesse accadere avranno ciò che meritano. Tutti loro”

“Molto bene lord Primo Cavaliere. Hai notizie della Compagnia Dorata?”

“Un messo di Harry Strickland è giunto stamattina. Il tuo esercito sarà qui in un paio di giorni al massimo. Ma le buone notizie finiscono qui”

“Parla” lo incitò.

“Ser Jaime è fuggito e il suo esercito raccogliticcio ha continuato ad attaccare la Compagnia Dorata mentre viaggiavano verso sud. Il messo dice che facevano causa comune con un branco di lupi”.

Cersei soppesò a lungo quelle informazioni. Sapeva di non potersi fidare di quei mercenari ma non credeva che fossero così incompetenti. La Compagnia Dorata aveva la fama di essere la miglior compagnia mercenaria di tutta Essos eppure Jaime e un pugno di uomini erano riusciti a metterli in difficoltà. Come al solito poteva contare solo sulle sue forze.

“Vostra Grazia”. Euron Greyjoy entrò nella sala del trono accompagnato da due dei suoi uomini di ferro. “La città è di nuovo interamente dalla tua parte. Come avevi richiesto”

“Ti ringrazio lord Euron. Ti sei dimostrato ancora un fedele amico della corona. Per questo il nostro matrimonio sarà celebrato al compimento del prossimo ciclo di luna”. Non poteva più procrastinare quella decisione. Doveva mostrare alla Compagnia Dorata e al reame intero che la casa Lannister era ancora forte, tanto da legare a se la fedeltà di altre casate dei Sette Regni.

Euron sorrise trionfante. “Anche mia nipote parteciperà al banchetto di nozze” sentenziò. “Un uomo di ferro che siede sul Trono di Spade accanto alla regina è qualcosa che non si è mai visto dalle nostre parti”

 

Harry Strickland era un uomo attraente anche se piuttosto avanti con gli anni. Indossava un’armatura dagli spallacci placcati in oro e in vita portava una spada lunga, una spada da scherma e una daga con l’elsa d’osso di drago.

Entrò nella sala del Trono accompagnato da due uomini. Un tyroshi dagli occhi blu come i suoi capelli e un uomo delle Isole delle Estate, dalla pelle nera come la pece e lo sguardo ostile.

“Vostra Grazia” esordì inginocchiandosi al suo cospetto. “La tua bellezza è nota in tutto il mondo conosciuto. Perfino ad Essos”

“Ti ringrazio, lord Strickland”. Cersei lo squadrò malevola. “Ma avevi dei compiti che a quanto ho sentito non hai portato a termine. Cosa ne è stato di mio fratello?”

Strickland si rimise in piedi. “Mi dispiace, maestà. Ser Jaime è riuscito a fuggire e io ho deciso di non dargli la caccia”

“E questa decisione ha una motivazione oppure è stata dettata solo dalla tua codardia?”

“Ha una motivazione più che valida. Dovevamo arrivare nella capitale il più in fretta possibile per proteggere la tua regale persona” disse il capo mercenario stuzzicando la sua curiosità.

“Continua” lo incitò.

“Sei circondata da traditori, altezza”. Il suo sguardo si posò su Euron Greyjoy, seduto al tavolo del concilio e poi su Quiburn in piedi al suo fianco. “Lord Euron mi ha promesso Castel Granito se lo avessi aiutato a sottrarti il trono”

Cersei sentì la rabbia impadronirsi di lei. Sapeva di non potersi fidare di Greyjoy ma non credeva che quel folle avesse preso accordi con la Compagnia Dorata contro di lei. Infondo alla sala, tra gli uomini di ferro cominciò a serpeggiare una certa inquietudine.

“E non è tutto. Quando mi ha assoldato mi ha detto di avere qualcuno all’interno della Fortezza Rossa che lo appoggiava. Qualcuno di molto vicino alla regina” continuò Strickland, prima che lei si riprendesse dalla bomba che le aveva lanciato.

“Queste sono accuse gravi lord Strickland” intervenne Quiburn. “Maestà, quest’uomo è un mentitore”

“Silenzio lord Quiburn”. Cersei Lannister balzò in piedi. “Cosa hai da dire a tua discolpa, lord Euron”

“Nulla”. Con un unico fluido movimento Euron Greyjoy sfoderò la sua spada.

Ser Gregor fu in un attimo al suo fianco pronto a difenderla ma Euron Greyjoy si rivolse a Strickland. “Non so cosa speri di ottenere con le tue menzogne mercenario. Ma a calunniare un uomo potresti trovarti con lui a dover incrociare le spade”

Strickland non si scompose. Sorrise ad Euron Greyjoy prima di rivolgersi nuovamente alla regina. “Ho portato un dono alla regina per provare la mia buona fede. Toro, ti dispiace?”

Il Tyroshi dai capelli blu si inchinò ed uscì dalla sala del trono, rientrando pochi istanti dopo, trascinando un uomo in catene. “Ti porto un nemico della tua casata, altezza, a comprova della mia fedeltà”

Sandor Clegane, zoppicante e coperto di sangue sputò ai piedi del fratello che impugnava la sua spada a due mani.

Cersei Lannister sorrise. Forse, dopotutto, il mercenario stava dicendo la verità. Euron Greyjoy indietreggiò quasi nascondendosi dietro la sua spada. “Credo che il nostro contratto matrimoniale si sia appena interrotto. Riporto i miei uomini in mare, vostra grazia

“Uccideteli” ordinò.

Il sangue lordò il pavimento e le pareti della sala del trono. Gli uomini di ferro attaccarono i soldati della regina e viceversa. La battaglia durò molto poco perché Euron si aprì un varco fino alle porte della sala. Rivolse a Cersei un ultimo sorriso malizioso prima di svanire nei corridoi della fortezza.

“Prendeteli vivi o morti. E se non ci riuscite scacciateli dalla nostra capitale” urlò lord Quiburn e i soldati della corona si affrettarono ad inseguirli.

 

 

 

 

ANGOLO AUTORE

Salve a tutti. Innanzitutto voglio ringraziare chi ha recensito lo scorso capitolo i miei fedelissimi: QueenInTheNorth, Colpani392 e Reyf

So che è passato molto tempo dall’ultima volta ma far combaciare tutti i pezzi della storia mi è risultato più difficile del previsto. Ho praticamente dovuto riscrivere questo capitolo ma spero di essere riuscito ad inserire tutti i pezzi per avviare il puzzle verso il suo completamento. Finalmente c’è qualche informazione sul Re della Notte che sta rimpolpando il suo esercito.

Non c’è, invece, un pov di Jon in questo capitolo ma nel prossimo vedremo cosa scoprirà sull’Occhio degli Dei.

Infine un grosso grazie anche a chi legge la mia storia. Spero che vi stia piacendo. Recensite se potete, sono curioso di sapere cosa ne pensate.

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