Le prodigiose sorprese di un Armadio Svanitore.

di AdhoMu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quel che puoi trovare in un bagno. ***
Capitolo 2: *** Per sorridere ci vogliono solo dodici muscoli. ***
Capitolo 3: *** Spillette, figurine e altre cose da bambinetti. ***
Capitolo 4: *** Nulla di più chic di un bel bagno di champagne. ***
Capitolo 5: *** Quelle cose che è meglio che tu non sappia. ***
Capitolo 6: *** Buon sangue non mente, ma francamente... chissenefrega! ***
Capitolo 7: *** I gioielli di famiglia e altre questioni tutt'altro che irrilevanti. ***
Capitolo 8: *** L’habitat naturale delle Fenici è... ***
Capitolo 9: *** Arcane reliquie, metalli elfici e velli magici. ***
Capitolo 10: *** Fili di lana tessuti fra passato e presente. ***
Capitolo 11: *** Nuvoloni densi come sbuffi di fumo nero. ***
Capitolo 12: *** Scacco matto ai Signori dei Falconi. ***
Capitolo 13: *** Aromagie che sciolgono il ghiaccio. ***
Capitolo 14: *** Misteri svelati alle Orkneyjar. ***
Capitolo 15: *** Le imprevedibili sorprese della vita. ***
Capitolo 16: *** Resistenza in paso doble. ***
Capitolo 17: *** Una separazione e due ricongiungimenti. ***
Capitolo 18: *** La sottile arte del sabotaggio. ***
Capitolo 19: *** Conti resi ad alto Tasso di interessi. ***
Capitolo 20: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Quel che puoi trovare in un bagno. ***


1. Quel che puoi trovare in un bagno. 
(breve capitolo introduttivo)
 
Un altro anno scolastico volgeva al termine. Il suo sesto anno fra le mura di Hogwarts. In quel pomeriggio di fine aprile, nonostante la primavera inoltrata, una fitta nebbia avvolgeva il castello. Dalle vetrate delle ampie finestre del bagno del quarto piano filtrava una luce lattiginosa e smorzata.
Leanne aprì il rubinetto di un vecchio lavandino di ceramica sbeccata e lasciò scorrere l'acqua. Lo specchio macchiato di umidità le restituì il riflesso del suo viso, sporco da fare schifo.
Non era stata per niente una buona idea, quella di prendere posto accanto a quel cretino di McLaggen a Pozioni. Lei, di solito, si guardava bene dal compiere azioni così temerarie ma purtroppo, quel giorno non aveva avuto scelta: la professoressa McGranitt, direttrice della Casa del Grifondoro, l'aveva trattenuta nel suo ufficio per parlarle delle vacanze estive.
Il prossimo luglio, in qualità di strega ormai maggiorenne, Leanne non più avrebbe potuto fare ritorno all'Istituto in cui aveva vissuto per tutta la vita. La McGranitt voleva quindi sapere che cosa avesse intenzione di fare a riguardo ma lei, che pure ci aveva pensato tante volte, non aveva saputo darle una risposta.
Alla fine comunque, quando aveva raggiunto l'aula del professor Piton nei sotterranei del castello, la ragazza si era accorta con un certo dispetto che l’unico posto libero (guarda caso) era vicino a quel cretino di McLaggen. E, com’era immaginabile, le conseguenze non si erano fatte attendere: con la consueta delicatezza da troll, il ragazzo aveva scagliato un bezoar nel calderone, facendo partire una serie di  schizzi fatali che le avevano impiastricciato tutta la faccia.
"Per fortuna quel coglione non aveva ancora aggiunto l'acido di Platano Picchiatore" meditò la ragazza con un moto di sollievo misto a comprensibile stizza.
Lei, quell'insopportabile scozzese non l’aveva mai potuto soffrire, ma era costretta a sopportarlo e a conviverci  a causa dell'amicizia decennale che lo legava alla loro comune amica, Katie Bell. Leanne, peraltro, non si capacitava che una tipa a posto come Eloise Midgen potesse sospirare per un soggetto come lui.
Con le mani a coppa, la ragazza raccolse un po' d'acqua e cominciò a sfregarsi meticolosamente il viso.
In seguito all’accaduto il professor Piton, ovviamente, aveva minimizzato e aveva dichiarato, senza preoccuparsi di nascondere un certo scherno, che non c'era nulla di cui preoccuparsi. Nel frattempo, però, con il suo solito ghigno beffardo (e trasudando un fin troppo esplicito compiacimento), aveva approfittato della grossolanità esibizionista di McLaggen per togliere cinque punti alla Casa del Grifondoro. Poi le aveva detto di andarsi a ripulire; lei era uscita dall’aula diretta al bagno dei sotterranei, ma l’aveva trovato chiuso, e così, risalendo le scale di bagno in bagno (parevano tutti chiusi, quel giorno), era infine approdata a quello del quarto piano.
Dopo aver essersi data una strofinata particolarmente energica, Leanne si fermò un attimo per osservare il risultato del primo lavaggio. Poco male: la pozione veniva via facilmente. Ancora un paio di sfregatine e...
Crack.
La ragazza alzò di scatto la testa. Un piccolo scoppio, subito seguito da una serie di suoni rasposi, si era sovrapposto allo sciabordio dell'acqua, richiamando la sua attenzione. Attraverso lo specchio, vide che le pupille le si dilatavano nelle iridi castane. La sua stessa espressione, visibilmente agitata, era così ridicola che quasi le venne da ridere.
"Sarà stato un topo" pensò, ricordando con ribrezzo le pantegane che, qualche volta, aveva visto uscire dai water. Facendo finta di nulla, ricominciò a lavarsi. Dopo una breve pausa, tuttavia, lo strano rumore riprese.
Leanne chiuse il rubinetto, si asciugò il viso e girò la testa, avviandosi incerta verso la fila di cubicoli che contenevano le tazze. L'ultimo, come di consueto, era chiuso a chiave; Mastro Gazza lo usava per riporvi flaconi, scope, stracci, spazzoloni e rotoli di carta igienica. Il rumore sospetto veniva proprio da lì.
Mentre si avvicinava con circospezione alla porta chiusa, una voce bassa e profonda biascicò:
- A-aiuto.
Leanne fece un salto indietro e quasi urlò per la sorpresa.
Sconcertata, la ragazza estrasse la bacchetta dalla tasca della veste. Altro che pantegana: quella era la voce di un uomo. Nel bagno delle ragazze. In pieno giorno. Tenendosi sulla difensiva, accostò l'orecchio alla porta e chiese, un po' titubante:
- Chi c'è lì dentro?
- Ti... tirami fuori di qui, ti prego.
La voce risuonò così angosciata ed esausta che lei cominciò preoccuparsi sul serio. Decise quindi di agire e, agitata la bacchetta, pronunciò un veloce:
- Alohomora!
La porta si aprì di scatto.
Dentro al cubicolo, Leanne scorse un ragazzo alto coi capelli scuri e le sopracciglia marcate, che ricambiò il suo sguardo con i grandi occhi grigi cerchiati da occhiaie nerastre. Aveva il volto scavato e presentava un'aria estremamente stanca e patita. La sua divisa scolastica era tutta stropicciata, con l’orlo inferiore della camicia sgualcita che faceva capolino dalla cintura dei pantaloni. Intorno al colletto, però, portava ancora la cravatta verdeargento degli studenti del Serpeverde perfettamente annodata (si trattava di un dettaglio così stridente rispetto all'insieme che, quando lo notò, Leanne lo trovò quasi divertente).
Sul maglione del ragazzo erano appuntate tre spille luccicanti: una P, una C ed una I. Prefetto e Capitano, quindi, ma anche - e ciò gli faceva assai poco onore, pensò subito lei, col sorriso che le si ammosciava all'istante - membro di quell'odiosissima Squadra d'Inquisizione istituita dalla professoressa Umbridge.
Nonostante l'aspetto eccezionalmente dimesso, comunque, la ragazza lo riconobbe immediatamente.
- Ma io ti conosco! - esclamò, guardandolo con cipiglio. - Tu sei Mon...
Ma non ebbe mai il tempo di finire la frase.
Con un rantolo, il ragazzo barcollò pericolosamente verso di lei per poi crollarle addosso, privo di sensi.
 
*
 
- Ma bene, signorina Kaplett.
- Leanne, professore. La prego.
- Non importa - l'interruppe Piton, stizzito, senza degnarsi di rivolgerle di un secondo sguardo. - Dicevo: ma bene. Una sciacquata di faccia bella lunga, la tua. Altri cinque punti in meno a Gri...
- Severus.
La voce rigorosa di Minerva McGranitt risuonò chiara e decisa alle spalle della ragazza. Il professore di Pozioni, sollevati gli occhi, fissò la collega con non poca sorpresa.
- Minerva. A cosa devo la visita?
- Leanne si è attardata fuori dall'aula per una buona ragione - continuò la donna, in tono sbrigativo.
- E sarebbe?
- Quello studente della tua Casa che era sparito. Montague. È ricomparso improvvisamente nel bagno delle ragazze al quarto piano. E Leanne è stata così gentile da soccorrerlo e accompagnarlo in infermeria.
Piton si alzò di scatto dalla cattedra e uscì in fretta dall'aula, facendo svolazzare la veste.
Subito dopo, dal fondo della classe, si udì distintamente l'inconfondibile accento scozzese di Cormac McLaggen che, con la consueta discrezione, esclamava a voce altissima:
- Uh-la-lá, Leanne! Si può sapere cosa ci facevi chiusa in un bagno con Montague?
- Imbecille! Stupeficium!
 
Alcune cosette:
1) Questa storia, i cui capitoli dall’1 al 10 sono già stati pubblicati sull’estinto profilo AdhoMukha nell’Aprile 2018, prende le mosse dal fatto che prediligo lavorare su personaggi di cui si sa poco, molto poco. E nel caso di Montague (il cui nome è controverso) e di Leanne (di cui non sappiamo neppure il cognome), di cose da inventare ce ne sono parecchie.
2) Mi ha sempre intrigata il fatto che Montague sia riuscito a Smaterializzarsi all’interno di Hogwarts – cosa che, teoricamente, dovrebbe essere impossibile. In questa storia, comunque, ho deciso di risparmiargli l’umiliazione di farsi ritrovare incastrato in un cesso.
3) La storia d’amore contrastata prende le mosse dal cognome del protagonista, Montague, che nella versione inglese di Romeo e Giulietta è il cognome di Romeo (in italiano, Montecchi). Per creare una connessione con l’opera shakespeariana, ho inventato il cognome Kaplett per Leanne, storpiando l’originale Capulet.

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Capitolo 2
*** Per sorridere ci vogliono solo dodici muscoli. ***


2. Per sorridere ci vogliono solo dodici muscoli.
 
- Vuoi una cioccorana?
- Che stronzate da bambinetti.
- Oddio, e si può sapere quanti anni avresti tu, vecchione?
- Fatti diciotto a marzo, per tua informazione.
Leanne lo ignorò; scartò la caramella e se la ficcò in bocca.
Uh! Di nuovo Morgana. Ce l'avevo già... - sbuffò, osservando la figurina di cui possedeva già una mezza dozzina di doppioni. Per completare la collezione le mancava solo Panoramix il Druido, ma quel briccone non saltava mai fuori.
- Che discorsi del cazzo.
- Senti un po', ma a te non piace niente?
- Ma certo che sì. A tutti piace qualcosa.
- Ah. Per esempio?
- Il Quidditch.
- Oh, per Godric. Ma quanto sei palloso, Graham. Mi ricordi Oliver.
- Che Oliver?
- Oliver Baston.
- Ah sì. Gran Portiere, accidenti a lui.
- Che gran palle...
- Non è l'affair della tua amica?
- Affair?! Ma come accidenti parli, sei Madame Maxime? E poi sentitelo, il pettegolone!... - gli scoppiò a ridere in faccia, guadagnandosi un'occhiataccia obliqua. - Comunque sì, Ollie è la Pluffa al Piede di Katie... La stessa Katie che tu, con la tua proverbiale delicatezza, hai quasi ammazzato nell'ultima partita, giusto per intenderci.
Lui la guardò con sufficienza, con un'espressione del tipo “se l'era cercata”.
- Bah. Ma quanto sei inelegante, comunque – commentò poi il ragazzo, sprezzante, come facendole il verso - Lei lo sa, che lo chiami così?
– Certo. È la prima cosa che le dico tutte le mattine insieme al buongiorno.
Non era vero nulla, ovviamente.
A Leanne piaceva molto Oliver e pensava seriamente che lui e Katie fossero davvero nati lluno per l'altra. Piuttosto stufa di ascoltare i commenti assurdi di Montague, fece quindi per alzarsi e andarsene (in fin dei conti era un pomeriggio bellissimo di inizio giugno; perché starsene rintanati in infermeria in compagnia di un soggetto come quello, che non rideva mai?), ma lui la richiamò.
- Kaplett.
- Leanne, per favore. E dàlli! Sei proprio di coccio, eh? - lo rimbeccò, esasperata, per poi domandargli bruscamente: - Cosa vuoi?
- Torni, domani?
- Ma neanche per sogno. Perché?
Lui alzò gli occhi al cielo. Quella sciocca diceva sempre così.
- Perché, se torni, devo farmi dare una pillola di pazienza da Madama Chips.
- Idiota. Stattene lì nel tuo brodo, allora, che io tolgo subito il disturbo. Adiós!
- Leanne.
- Che cosa c'è, adesso?
- Stavo scherzando, eh - buttò lì lui, con una smorfia truce che poteva essere un abbozzo di sorriso.
- Che senso dell'umorismo merdoso che hai, Graham - commentò lei con aria disgustata. Rimessasi in piedi, si diresse sbuffando verso la porta della camerata, senza voltarsi indietro. Sapeva che lui la stava guardando e non voleva dargli soddisfazione. Neanche se moriva dalla voglia di girarsi e fargli un gestaccio.
 
*
 
Era passato quasi un mese e mezzo dal fantomatico ritrovamento di Montague nello sgabuzzino delle scope. Dopo aver trascorso una quindicina di giorni in uno stato di febbrile incoscienza, le sue condizioni di salute avevano cominciato lentamente a migliorare, tanto da rendere inutile un suo trasferimento al San Mungo – cosa che, nei primi giorni, era stata considerata troppo azzardata per il suo stato di salute estremamente critico.
Nonostante i gemelli Weasley, dopo averlo rinchiuso nell'Armadio Svanitore, si fossero dichiarati estremamente soddisfatti della loro prodezza (del resto era stato lui a provocarli per primo, tentando di sottrarre ingiustamente cinque punti alla Casa del Grifondoro), da ridere c'era stato ben poco.
Il ragazzo era rimasto intrappolato nel mobile incantato per settimane. Incapace di uscire da quella specie di limbo, aveva seriamente rischiato di morire di stenti e, alla fine, se ne era venuto fuori vivo, era solo per due motivi.
Il primo era che, al di là di ogni ragionevole intuizione, aveva deciso di tentare il tutto per tutto e di giocarsi la sua ultima carta, arrischiando una Smaterializzazione d'emergenza. Sapeva bene che smaterializzarsi all’interno di Hogwarts era impossibile e poi, oltretutto, lui non aveva mai sostenuto l'apposito esame. Tuttavia, spinto dalla disperazione, ci aveva provato lo stesso. E, per una qualche ragione non ben definita ma decisamente provvidenziale, ce l'aveva fatta, ritrovandosi poi incastrato nel cubicolo delle scope di quel sudicio bagno.
Il secondo motivo era di ordine puramente fisico e costituzionale.
Se non fosse stato un ragazzo giovane, ben piantato (diciamo pure leggermente in carne) e nel pieno delle forze, probabilmente non sarebbe sopravvissuto all'inedia. La sete l'aveva tormentato fin dal primo giorno ma, per fortuna, da uno spiragio dell'anta dell'armadio sgocciolava un po' d'acqua (probabilmente il mobile era stato piazzato sotto ad una qualche tubatura incrinata), che lui aveva individuato a tentoni e leccato disperatamente, riuscendo così a mantenersi in vita. Quella che aveva vissuto, era stata un'esperienza a dir poco da incubo.
All'inizio, il ragazzo si era infuriato e aveva passato ore ed ore urlando e battendo i pugni sulle superfici interne del mobile. Non appena ne fosse venuto fuori, si diceva, avrebbe dato una ripassata da manuale a quei due rossi imbecilli.
Ben presto, però, si era reso conto del fatto che nessuno poteva udirlo.
Un po' allarmato, si era accoccolato sul fondo dell'armadio, esausto per il tanto battere, e si era appisolato. Al risveglio da quello che, ingenuamente, aveva pensato essere soltanto un brutto sogno, aveva realizzato  con immenso sgomento  di trovarsi davvero intrappolato nel buio. In preda ad una terribile crisi di claustrofobia (lui era molto alto e l’armadio troppo, troppo scomodo e angusto), aveva ricominciato a dibattersi e urlare.
Niente da fare, però: nessuno accorreva in suo aiuto.
E le ore avevano cominciato a passare, lente e inesorabili. Ogni minuto durava un'eternità e, in breve, il ragazzo aveva smesso di chiedersi se fuori ci fossero il sole o le stelle, che ore erano, che giorno della settimana fosse mai.
A poco a poco i crampi della fame, dapprima acutissimi, si erano smorzati.
La sua celebre e consueta forza fisica, che tanto timore incuteva sui campi da Quidditch, aveva pian piano cominciato ad abbandonarlo. Dalla collera era passato al panico, dal panico alla disperazione, dalla disperazione alla rassegnazione e infine, dalla rassegnazione, alla più completa apatia.
Aveva smesso di dimenarsi e di invocare aiuto; col passare dei giorni, trascorreva periodi sempre più lunghi in uno stato di inquieto dormiveglia.
Ogni tanto gli sembrava di percepire delle voci.
Alcune, dal timbro giovane, parevano provenire dal castello; altre, invece, erano voci di adulti. Una volta, quando già si trovava nell'armadio da un tempo incalcolabile, ebbe l'impressione di udire distintamente qualcuno che pronunciava le parole “signor Sinister”. Ma poteva anche essersi trattato semplicemente del frutto della sua mente, annebbiata dallo sconforto e dalla fame.
Poi un giorno, semplicemente, era stato risvegliato dal rumore di una porta che sbatteva, subito seguito dall'echeggiare di passi leggeri. Poco dopo, il cigolio di un rubinetto aveva anticipato il suono dell'acqua fresca che scorreva e che si accumulava, raccogliendosi in un recipiente.
Tormentato dalla sete aveva agito senza pensarci troppo, agitando la bacchetta con le ultime forze che gli rimanevano. 
E alla fine, quella ragazza del Grifondoro era intervenuta, liberandolo dalla sua indecorosa prigione di stracci e flaconi.
 
*
 
Dopo l'increscioso episodio del salvataggio di Montague dal cubicolo del bagno, Leanne si era bellamente fatta gli affari suoi.
Aveva cose più importanti da fare, che non pensare allo sventurato Serpeverde ricoverato in infermeria: con l'avvicinarsi di giugno, come di consueto, i compiti si accumulavano inesorabilmente. E poi c'era quel monello di Roger Davies a tenerla parecchio impegnata nei suoi rari momenti liberi.
Non che costui le piacesse veramente, beninteso. Sapeva fin troppo bene che Davies era un perfetto cretino, abituato a passare da una ragazza all'altra con una disinvoltura che aveva dell’inquietante: obiettiva come sempre, Leanne non si era certo illusa di poter cambiare la natura di un tipo come quello - e sinceramente, neanche le interessava farlo.
Una cosa, però, doveva ammetterla: quello, quando ci si metteva, ci sapeva davvero fare. Roger Davies baciava alla grande ed era indiscutibilmente belloccio.
- Ma come fai a trascorrere il tuo tempo con quella faina? – le chiedeva Katie, incredula, quando la vedeva sgattaiolare fuori dalla Sala Comune del Grifondoro per incontrarsi con lui. Che alla Bell il ragazzo non andasse a genio, era cosa risaputa.
- Fa bene quello che deve fare. Niente di meno, niente di più – rispondeva lei, stringendosi nelle spalle.
Contraddicendo quella che avrebbe dovuto essere la principale caratteristica dei Corvonero, Davies non aveva una mente particolarmente brillante. Ma, oltre ad essere costantemente sorridente e ben disposto, aveva sempre la battuta pronta sulla punta della lingua e questo, tutto sommato, la divertiva.
La loro frequentazione era sporadica (anche se, negli ultimi tempi, si era fatta un pochino più assidua) e non aveva assolutamente nulla di serio ma, a Leanne, la cosa andava bene così. Davies era un tipo simpatico e spigliato e lei, che adorava studiare ed analizzare i più svariati comportamenti umani, trovava assai divertente ed interessante osservare da vicino cotanta (commovente) sicurezza di sé.
 
*
 
Cosicché, in quella domenica di metà maggio, Leanne camminava veloce per i corridoi, affrettandosi a raggiungere Roger che l'aspettava per un appuntamento sulla riva del lago. La ragazza era in netto ritardo. Si era attardata in Sala Comune a chiacchierare con Katie e Eloise, finché i rintocchi dell'orologio a cucù appeso alla parete non avevano richiamato la sua attenzione, facendola balzare in piedi.
- Io vado, ragazze – aveva detto alle amiche, per poi allontanarsi di corsa, sentendosi puntato sulle spalle lo sguardo di disapprovazione di Katie, che era al corrente del suo rendez-vous “con quel laido di un Corvonero”.
Scendendo dalla Torre del Grifondoro, comunque, Leanne aveva scoperto con enorme disappunto che Pix si era dato alla pazza gioia, allagando il corridoio principale per il quale sarebbe dovuta passare; quindi, suo malgrado, le era toccato scegliere un percorso alternativo, decisamente più lungo e che, per combinazione, transitava davanti all'infermeria. Il che l'aveva portata, del tutto inaspettatamente, a rallentare il passo e, complice la porta lasciata aperta, a mettere dentro la testa per dare una sbirciata.
Le brande erano tutte vuote, tranne una: quella occupata da Montague.
Il ragazzo se ne stava là, immobile, affondato in una pila di cuscini. Alzando gli occhi verso la porta, aveva visto Leanne e l’aveva guardata con fare accigliato. La ragazza gli aveva indirizzato  un rapido cenno, che lui aveva ignorato.
E così lei stava per tornare sui suoi passi, quando si era sentita chiamare da Madama Chips.
- Leanne, che sorpresa! Sei venuta a trovare il tuo amico? – le aveva chiesto la donna, gentilmente.
- Veramente no... – aveva risposto lei, piuttosto seccata. “Amico? Quello lì?!”
- Senti, Leanne – le aveva detto l'infermiera, prendendola discretamente da parte. – Rimani per qualche minuto, dài. Non viene mai a trovarlo nessuno, povero ragazzo.
- Ma... veramente, io avrei un impegno... – aveva recalcitrato lei, lanciando un’occhiata all'orologio da polso. Era tardissimo, ormai. Probabilmente Roger, stanco di aspettarla, se n'era già andato.
- Suvvia, Leanne. Solo pochi minuti. Gli farà bene.
E lei, sentendosi assurdamente sciocca, si era lasciata convincere. Un po'titubante, si era avvicinata al bordo del letto. Non sapeva cosa dire. Non lo conosceva per niente e, quel poco che sapeva di lui, non contribuiva certo a renderglielo simpatico.
- Ehm... ciao. Come va?
- Ma che domanda del cazzo – aveva risposto lui, scorbutico, guardandola torvo.
Leanne avrebbe potuto indignarsi per una risposta così e, semplicemente, andarsene subito.
Ma aveva dovuto ammetterlo: Montague aveva perfettamente ragione. Si trovava in una branda da settimane, incapace di muoversi, aveva perso una quindicina di chili e lei non aveva trovato nulla di più intelligente da chiedergli se non “come va?”. E come cavolo doveva andare? Era stata proprio una domanda del cazzo.
E così, senza riuscire a trattenersi, era scoppiata in una risata fragrosa, sovrappiù stimolata dall'espressione sconcertata che aveva visto dipingersi sul volto del ragazzo.
- Che-cazzo-ti-ridi?!
- Oddio, sto male – aveva boccheggiato lei, accasciandosi sulla sedia posizionata accanto al letto.
 
Alcune cosette:
1) In questa storia do per scontato alcune cose che fanno parte del mio personalissimo headcanon. Per esempio, il fatto che Katie Bell e Oliver Baston siano fidanzati (su di loro avevo scritto un paio di storie, che forse ripubblicherò), o che Roger Davies sia belloccio e sentimentalmente disinibito (su questo la Rowling ci fornisce un quadro piuttosto chiaro), o che Eloise Midgen sia innamorata (ad un certo punto ricambiata) di Cormac McLaggen.

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Capitolo 3
*** Spillette, figurine e altre cose da bambinetti. ***


3. Spillette, figurine e altre cose da bambinetti.
 
- Ma com'è che ti devo chiamare, alla fin fine?
- Mon-ta-gue. Sei proprio la Regina dell'Ovvietà, non c'è che dire.
- Ma intendo dire di nome, o perspicacissimo Re dell'Acume.
- Ah, mi spiace dirtelo, ma qui le cose si complicano – sbuffò il ragazzo, facendo una smorfia.
- Un nome è un nome. Che cosa ci sarà di complicato...
- Quanto sei riduttiva. E se ti dicessi che non lo so bene neanch'io?
- Non mi dirai che non sai come ti chiami – lo schernì Leanne, incredula.
- Senti qua: mia madre mi chiama Kain. Mio padre insiste nel chiamarmi Craig. Soddisfatta?
- Ah! – esclamò lei, battendosi il palmo sulla fronte – Comincio a capire da dove salta fuori il tuo profondo disagio esistenziale...
Lui non fece una piega e aggiunse, impassibile:
- E poi... ci sarebbe Graham.
- Oh! Graham mi piace – commentò Leanne con vivo interesse, mettendosi a sedere più dritta.
- Anche a me. È il mio preferito – si lasciò sfuggire lui con una parvenza di vivacità, per poi accorgersi di essersi indebitamente sbilanciato su qualcosa. Per rimediare tentò di giustificarsi con una frase che, con suo grande dispetto, suonò ancor più sentimentale:
- Era la mia balia che mi chiamava così.
- La tua... balia?! Ma dove accidenti vivi, tu? In piena epoca vittoriana?
– No. A Villa Montague, sciocca. Il che, a conti fatti, è all'incirca la stessa cosa.
- Oddio. Io ci rinuncio – gemette Leanne, scuotendo platealmente la testa.
 
*
 
Questo dialogo memorabile era avvenuto alla fine di maggio, in occasione di una delle successive visite di Leanne in infermeria. Dopo la prima volta, infatti, al di là di ogni umana previsione, la ragazza si era nuovamente recata a trovare il solitario Serpeverde, che si trovava ancora costretto a letto. Doveva ammetterlo: quel ragazzo, così solo e smagrito, le aveva fatto una certa tenerezza. Non che fosse esattamente simpatico, per carità, ma la disavventura che lo aveva visto protagonista l'aveva profondamente colpita.
Leanne aveva solo un vago ricordo di lui risalente a prima di quello che, nelle loro conversazioni, chiamavano diplomaticamente “l'incidente” (i gemelli Weasley e la Squadra d'Inquisizione erano stati tacitamente annoverati fra gli argomenti tabù, allo scopo di evitare inutili episodi di recriminazione reciproca) e non si trattava, per così dire, di un ricordo lusinghiero. Montague, le pareva di ricordare, era un tipo grande, grosso e piuttosto manesco, meticolosamente dedito ai falli brutali sul campo da Quidditch  - cosa che la povera Katie sapeva assai bene.
Quello che stato un ragazzone massiccio e tembile, però, non era ora che l'ombra di se stesso e non bisognava certo essere dei geni per capire che questa situazione lo faceva soffrire. Leanne, seppure mossa da una certa diffidenza, si sentiva stringere il cuore immaginando come doveva essere dura  passare dalla più proprompente dinamicità alla più sconfortante immobilità, dalla più bieca spavalderia alla più totale dipendenza.
Di conseguenza, incurante dei suoi modi bruschi (che in realtà la divertivano, perché si vedeva lontano un miglio che lui voleva semplicemente atteggiarsi da spaccone), era tornata a trovarlo. E dopo un po', nonostante il ragazzo facesse sempre tanto il sostenuto, aveva capito distintamente (non avrebbe saputo dire perché; lo sapeva e basta) che, giorno dopo giorno, lui aveva cominciato ad aspettarla. 
C'era, però, una cosa che non le andava giù: e cioè il fatto che per lei, da che mondo era mondo, i cognomi erano nominativi non grati.
E così, dopo qualche tempo e con un po' di esitazione, gli aveva chiesto se poteva chiamarlo in altro modo - ma che, per favore, le dicesse lui come, dato che non ricordava di aver mai sentito pronunciare il suo nome da nessuno. Neppure Lee Jordan, che pure faceva le cronache delle partite di Quidditch da anni e al quale lei si era rivolta con ostentata indifferenza, era stato in grado di sanare il suo dubbio.
Ed era saltato fuori che Montague, di nomi, ne aveva ben tre. Nessuno, però, neppure i suoi familiari più stretti, sapeva esattamente quale fosse quello giusto. A Leanne, definitivamente, “Kain” e “Craig” non piacevano. Il terzo nome, invece... sì, quello era proprio di suo gusto. E così, da quel momento in poi, aveva cominciato a chiamarlo Graham.
 
*
 
Col passare dei giorni aveva cominciato a sentirsi un po' meglio.
La forza fisica, però, non l'aveva  recuperata affatto. Madama Chips era ancora costretta a nutrirlo con un cucchiaio, col quale gli somministrava dosi elefantiche di una non meglio definita pozione azzurrognola.
C'erano giornate in cui non aveva né le energie, né la voglia di fare nulla, e allora sonnecchiava per ore e ore, letteralmente inghiottito dai cuscini. Oppure si tirava su a fatica per guardare attraverso il vetro della finestra, desiderando ardentemente trovarsi là fuori, ad allenarsi sul campo ovale con l'erba appena tagliata – verde come l'amato colore della sua Casa - o a volare fra le nuvole sulla sua Nimbus, veloce come il vento.
E se l'inattività gli pesava, la solitudine faceva il resto.
I suoi genitori erano venuti a trovarlo una sola volta, perché erano molto impegnati con i preparativi della festa di fidanzamento di sua sorella, che in luglio avrebbe sposato il rampollo di un’importante famiglia purosangue. Come loro solito, avevano dato spettacolo in piena infermeria litigando furiosamente per quella ridicola questione del nome: "Si chiama Kain!" "No: è Craig!" mentre lui, esausto, pensava: "Mi fanno cagare entrambi”.
I suoi compagni di Casa, dal canto loro, si erano fatti vivi in pochissime occasioni, accampando la classica scusa dei compiti di fine anno e degli allenamenti di fine campionato.
Ad aumentare esponenzialmente il suo sconforto, c'era poi stata la questione delle tre spillette.
P di Prefetto. C di Capitano della squadra di Quidditch ed I di membro della Squadra di Inquisizione. Subito dopo il ricovero in infermeria, Madama Chips le aveva ritirate dal suo maglione ed appuntate su un puntaspilli, che aveva poi provveduto asistemare sul comodino.
Risvegliatosi dal suo iniziale stato comatoso, il ragazzo si era subito accorto che la “P” era sparita. A chiarire l'arcano era stato il professor Piton, subito chiamato in causa. Il quale, con la sua espressione più imperturbabile, gli aveva comunicato in tono solenne:
- L'ho consegnata io stesso a Warrington, acciocché faccia dignitosamente le tue veci.
Lui, lì per lì, ci era rimasto un po' male, ma si era sforzato di capire. In fondo, era stato per il bene della Casa. 
Poi era stata la volta della “C”. La spilletta alla quale, senz'ombra di dubbio, Montague teneva di più. Era accaduto un pomeriggio quando, con sua grande sorpresa ed iniziale contentezza, la porta dell'infermeria si era aperta e, invece di quell'assurda Leanne Kaplett, era sgattaiolato dentro il suo amico Urquhart. Il quale, però, si era trattenuto giusto il minimo necessario per annunciargli che, da quando lui era sparito, e date le circostanze avverse, gli era toccato sostituirlo nel ruolo di Capitano. E quindi, senza nascondere una ghiotta soddisfazione, gli occhi attraversati da un lampo di cupidigia, si era rapidamente impossessato della preziosa spilletta, lasciando Montague immensamente abbattuto.
Ancora una volta, si era sforzato di essere ragionevole: era per il bene della squadra. Ma sotto sotto cominciava ad essere sinceramente seccato.
Alla fine, sul comodino era rimasta solo la “I”. Alla quale, però, lo sfortunato Serpeverde aveva ben presto cominciato a guardare con un certo astio, attribuendole (forse a ragione) la causa di tutti i suoi mali.
 
*
 
- Ancora cinque minuti...
- Non posso, devo proprio scappare...
- Così mi farai impazzire – la voce del ragazzo era impastata e vagamente supplichevole.
- Oh, ma per Godric! – esclamò Leanne, tirando via per la trentasettesima volta la mano di Roger Davies, che giocherellava con l'orlo della sua camicetta di lino leggero, tentando invano di infilarvisi sotto. 
Avevano trascorso parte di quel torrido pomeriggio di metà giugno a chiacchierare e baciarsi in un'aula vuota, nonostante i M.A.G.O. di lui fossero ormai alle porte.
– Ci vediamo domani, dài.
- Ma si può sapere dove devi andare?
- Ho da fare, te l'ho detto. Au revoir!
Leanne si sporse in avanti, depositò un bacetto sulle labbra screpolate del ragazzo e si allontanò di corsa, diretta chissà dove.
 
*
 
- Dunque. Senti questa bomba: “In vendita da domani il calendario ufficiale della Lega Nazionale Gobbiglie”.
Leanne, seduta sulla seggiola sgangherata, teneva in mano una copia tutta spiegazzata del Settimanale delle Streghe che aveva trovato abbandonata nella Sala Comune del Grifondoro. Tirate su le gambe, aveva appoggiato i piedi sul letto e inclinato la seggiola all'indietro, facendola dondolare distrattamente.
- Kaplett, ma per favore...
- Leanne, testone. Ah, ne preferisci una sul Quidditch? Senti qua: “Tresca in vista? Gwenog Jones beccata in giro a braccetto con Ludo Bagman”.
Graham Montague respirò fondo per impedire a se stesso di ridere.
Quella fuori di testa ci si metteva davvero d'impegno, per farlo diventare matto, ma lui non aveva la minima intenzione di dargliela vinta. Mica poteva bruciarsi la sua proverbiale ferocia, duramente costruita in anni ed anni di impegno, per una rotizia sulle conquiste sentimentali della battitrice delle Harpies.
- Ma tu non hai proprio niente di meglio da fare, oltre che venire qui a raccontarmi cazzate? – le chiese quindi, arcigno.
- Ma è ovvio. Un sacco di cose.
- Ah sì, e come no. Per esempio?
- Studiare. Stare con le mie amiche. Limonare con Roger Davies. Cose così – rispose lei, seria, agitando pigramente la mano come a dire "quisquilie" e bevendosi tranquillamente un sorso di succo di zucca da uno dei bicchieri che Madama Chips aveva posato sul comodino.
Il ragazzo la guardò allibito.
Chiaramente anche a lui erano toccati in sorte due o tre incontri galanti – andati ben oltre il semplice sbaciucchiamento, per dire il vero - con un paio di belle fanciulle sue compagne di Casa. In fin dei conti, essere Capitano della squadra di Quidditch aveva i suoi indiscutibili vantaggi. Ma non si sognava certo di andare in giro a parlarne con cotanta, avventata leggerezza. Erano questioni private, quelle.
- Ma... ma cosa?... Ma tu, il senso della decenza, l'hai rispedito al mittente?
Lei quasi si strozzò con il succo di zucca.
- Il senso della... eeeh?! – la ragazza annaspava sulla sedia, rischiando seriamente di cadere all'indietro. - Ma tu... ma tu sei un bacchettone!...Quanti anni hai detto di avere, Graham? Diciotto o duecento?
Leanne alzò gli occhi, cercando di ricomporsi. E quello che vide, fu così inaspettato da farle rischiare di rompersi davvero l'osso del collo. Un'ombra divertita aleggiava nei grandi occhi grigi del ragazzo, che la guardava con gli angoli della bocca lievemente increspati.
Graham Montague stava... sorridendo.
E poco dopo, incapace di trattenersi, il Serpeverde proruppe in una risata bassa ed inequivocabilmente ghiotta. 
- Co... come è che mi hai chiamato?!
- Ba-bacchettone.
- Tu sei assurda, davvero – bofonchiò lui tossicchiando, per poi rimettere su (con non poca fatica) quella sua solita maschera da eterno scontento.
 
*
 
Ecco quello che era.
Leanne era assurda. Assurdamente vivace, tagliente, caustica e... generosa. Aveva fegato da vendere, quella: a colpi di umorismo, lo aveva conteso alla Dea Tristezza e, alla fine, aveva vinto la partita. Era assurdamente determinata, quando ci si metteva. Cocciuta e decisa come poche. 
E poi (perché negarlo?) era anche assurdamente... beh, carina, forse? No, forse quello non era il termine esatto. Forse sarebbe stato meglio definirla bella, ma di una bellezza un po' inusuale, un po' fuori dalle righe, eppure decisamente interessante. Con quei capelli mossi tagliati corti, che lei teneva indietro con una mollettina a forma di fenice, e i vividi occhi castani, sempre pronti a guardarti con una pungente ironia intrisa di dolcezza. 
Leanne era... viva.
E per lui, cui era toccato in sorte di vivere un’esperienza a dir poco estrema, qualsiasi questione legata alla vita e alla vitalità aveva assunto un significato ed un’importanza mai contemplati in precedenza.
A questo pensava, Montague ormai divenuto Graham, mentre il treno filava spedito alla volta di Londra. Forse, prima, tutte queste cose gli sarebbero parse insignificanti.
Prima.
Prima di scoprire che la vita, intesa come il semplice atto di sopravvivere, è cosa per nulla scontata. 
Prima di rendersi conto che si può essere grandi, grossi e tosti quanto si vuole ma che, quando le cose si mettono male, ci si scopre fragili come il cristallo.
Prima di cominciare ad intuire che in primo luogo, certo, bisogna preoccuparsi di sopravvivere, ma che poi, a conti fatti, per vivere davvero... beh, ci vuole ben altro.
 
*
 
Il treno rallentò la sua corsa e alla fine si fermò. 
Gli studenti, vocianti ed eccitati, cominciarono a scendere in massa dalle carrozze: come sempre, la banchina del binario 9 e ¾ era chiassosa e affollatissima di persone,  animali ed oggetti.
Discesi a fatica i gradini, Graham si fermò per guardarsi intorno; dall'alto della sua statura superiore alla media, individuò subito i genitori e la sorella, che lo aspettavano con uno striscione incantato sul quale c'era scritto: “Bentornato Craig Kain!”. La scritta continuava a cambiare, cancellando alternativamente i nomi "Craig" e "Kain".
Lui però mosse gli occhi, continuando a cercare.
E girando la testa verso la coda del treno, finalmente, la vide.
Leanne, accomiatatasi dalle compagne, camminava sulla piattaforma alla volta della barriera, muovendosi proprio nella sua direzione. Le sue amiche, in un tripudio di esclamazioni e di abbracci, salutavano i loro cari che erano venuti a prenderle: attraverso uno spiraglio della folla, Graham vide Katie Bell che gettava le braccia al collo di Oliver Baston.
Leanne, invece, era sola. Non c'era nessuno ad aspettarla sulla banchina.
Il ragazzo si si spostò leggermente, posizionandosi sulla sua traiettoria. E proprio nel momento in cui lei alzava gli occhi, un piccolo varco si aprì fra di loro. Era la prima volta che si trovavano l'uno davanti all'altra in un luogo che non fosse l'infermeria, ed era la prima volta che Graham non indossava un pigiama; quando lo vide, Leanne gli sorrise e si rallegrò per il fatto di trovarlo in così bella forma.
E lui, un po' impacciato, le sorrise di rimando, mettendo su quel suo ghigno un po' truce, per poi affannarsi a frugare nel taschino della camicia, dal quale estrasse con due dita l'ambitissima figurina di Panoramix il Druido che, facendo leva sulla sua autorità, aveva brutalmente estorto ad un ragazzino del secondo anno.  
E mentre lei, sorridendo meravigliata, affrettava il passo per raggiungerlo, la confusione che regnava tutt'intorno a loro parve dissiparsi; era come se il caotico brulicare dell'intera King's Cross si fosse magicamente arrestato.
E la ragazza si avvicinava, sorpresa e felice, e ormai mancavano solo pochi passi.
Se non che, inaspettatamente, da un gruppetto di Corvonero del settimo anno riuniti a capannello saltò fuori qualcuno, che Graham riconobbe immediatamente come Roger Davies. Il quale, senza tante cerimonie, si accostò all'ignara Leanne – che ancora lo guardava sorridendo, camminando spedita verso di lui - e l'abbracciò di slancio, per poi catturare le sue labbra in un bacio degno della migliore cinematografia romantica babbana.
Il Serpeverde e il Corvonero si erano affrontati tante volte sul campo da Quidditch. Per Graham, Davies era sempre stato null'altro che “uno dei Cacciatori rivali”. Ma mai, in precedenza, tale definizione gli era parsa più appropriata.
In quel momento, si pentì di non avergli spaccato le ossa a dovere, quelle volte che ne aveva avuto l'occasione.
 
Alcune cosette:
1) Non lo scrivo esplicitamente, ma Graham riesce a diplomarsi alla fine dell’anno nonostante la degenza in infermeria. Lo suppongo perché durante l’anno scolastico successivo il Capitano dei Serpeverde é Urquhart.  Quindi, la sua traiettoria di studente termina qui, mentre Leanne ha ancora un anno di scuola davanti a sé.

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Capitolo 4
*** Nulla di più chic di un bel bagno di champagne. ***


4. Nulla di più chic di un bel bagno di champagne.

- E ricordate: stasera ognuno di noi dovrà dare il meglio di sè. il servizio dovrà essere as-so-lu-ta-men-te inappuntabile! -  stava ripetendo per l'ennesima volta, con voce stentorea, il direttore del Grand Hotel Georgiano. Il signor Hollein era un mago alto e canuto dall'aspetto efficiente e un po'pomposo, sempre vestito con abiti carissimi, sobri ed eleganti.
In quella mattinata di fine luglio, nonostante il calore intenso che aveva trasformato Londra in una fornace sudaticcia, l'uomo, imperterrito ed impeccabile, camminava su e giù davanti agli impiegati pazientemente disposti su una fila ordinata, impartendo loro un sermone motivazionale degno di un leader politico dell'ex Blocco Sovietico particolarmente infervorato.
Valletti e cameriere sbuffavano, infastiditi dall'afa, e si scambiavano occhiate ironiche non appena il direttore voltava loro le spalle, ma il signor Hollein aveva i suoi buoni motivi per insistere tanto. Il Grand Hotel Georgiano era il più lussuoso di tutta Diagon Alley, nonché una delle più sofisticate strutture alberghiere di tutto il Mondo Magico. 
Proprio quella sera, nel Salone Nobile, sarebbe stato celebrato il matrimonio dell'anno, che avrebbe visto convolare a nozze i rampolli di due delle più antiche casate magiche d’Irlanda e Gran Bretagna. Le famiglie degli sposi, spendendo l'equivalente di una piccola fortuna, avevano riservato le dipendenze dell'Hotel da mesi, e già da due giorni era tutto un viavai di fioristi, chefs, mêtres chocolatiers, decoratori, fotografi, musicisti e fornitori di bomboniere.
- E quindi, in quest'occasione di sommo prestigio, – chiosò il signor Hollein in tono solenne – non mi aspetto, da parte di ciascuno di voi, nulla di meno della perfezione.
Concluso il discorso, il direttore fece  vagare lo sguardo sulla fila dei dipendenti, sollecitando tacitamente una loro manifestazione di assenso. Al suo cenno, la sala fu pervasa da un leggero mormorio di approvazione.
Proprio in quel momento, qualcuno bussò discretamente alla porta.
? – domandò il signor Hollein, girandosi con sussiego.
Dallo spiraglio semiaperto fece capolino il viso di una ragazza:
- Mi aveva mandata a chiamare, signor Hollein?
- Ah. Signorina Kaplett. Sì, volevo...
- Leanne, signor direttore. La prego.
Il signor Hollein la guardò inarcando un sopracciglio: non amava essere interrotto.
- Che sia, signorina Leanne. Venga con me. per cortesia.
 
*
 
- Se... servire alla festa?
La ragazza fece tanto d'occhi. Da quando lavorava all'Hotel, non era mai stata a diretto contatto con gli ospiti: quella, infatti, era una mansione riservata ai dipendenti dotati di maggiore esperienza.
- Sì, Leanne. Oggi, purtroppo, Rosemary è malata: ho urgentemente bisogno di qualcuno per sostituirla. E, date le circostanze, ho pensato a te. Madama Palude ha espresso apprezzamenti entuasiastici sul gusto squisito con cui hai preparato la sua stanza.
Il signor Hollein le sorrise in modo austero, scrutandola con occhio professionale.
Leanne era decisamente sveglia, precisa e sufficientemente graziosa per incaricarsi di servire lo champagne durante il ricevimento. Sì: era più che sicuro che la sua scelta si sarebbe rivelata azzeccata.  In trent'anni e più di onorato servizio, non si era mai sbagliato in fatto di competenze del personale.
La ragazza si trovava al Grand Hotel Georgiano da quasi un mese, durante il quale il Direttore aveva avuto modo di valutare positivamente le sue capacità. Vi era giunta l'ultimo giorno di giugno, la sera stessa del suo arrivo a King's Cross a bordo dell'Espresso di Hogwarts. Da quel giorno in poi, aveva soggiornato all'Hotel; ma non, come avrebbe potuto pensare qualcuno, in qualità di ospite. No: quel tipo di realtà, definitivamente, non le apparteneva. In quella torrida estate londinese Leanne, al Georgiano, ci lavorava.
Del resto, non aveva avuto scelta. Perché la verità, la cruda verità, era che lei, un posto dove trascorrere le vacanze, non ce l'aveva.
La professoressa McGranitt, in occasione del loro colloquio avvenuto poco prima che la ragazza riscattasse Graham Montague dallo sgabuzzino delle scope, era stata estremamente chiara in merito: era maggiorenne, ormai, e quindi, purtroppo per lei, all'Istituto non ci poteva tornare.
Il motivo era semplice. Lei era una strega. Apparteneva al Mondo Magico.
L'Orfanatrofio in cui era cresciuta (quello che lei chiamava semplicemente “l'Istituto”), invece, era una struttura babbana. E secondo le regole dello Statuto Internazionale di Segretezza, le due cose erano assolutamente incompatibili. Urgeva, quindi, trovare una soluzione alternativa.
Ma Leanne, di alternative, non ne aveva.
Non aveva parenti, non aveva risparmi, non aveva un bel nulla.
Un pomeriggio di maggio, però, Leanne si era confidata con Eloise, rendendola partecipe del suo sconforto, e così l'amica, col proposito di aiutarla, aveva interpellato suo padre. Il quale, facendo leva sulla sua irreprensibile reputazione di impiegato modello, aveva convinto il signor Hollein a concedere alla ragazza un'occupazione temporanea per l’estate, completa di vitto e alloggio.
Katie le aveva proposto più di una volta di trascorrere l'estate ad Edimburgo, a casa di sua madre ("Puoi usare la stanza di Carbry*; rimarrà in America per tutta l'estate"), ma Leanne non voleva approfittare della buona volontà altrui.  Non voleva sentirsi in debito, né risultare invadente. E così, quando il signor Midgen le aveva fatto sapere tramite Eloise di averle trovato un posto all'Hotel, Leanne aveva appreso la notizia con immenso sollievo e gratitudine.
Il lavoro le piaceva.
Il signor Hollein le avevo affidato la sistemazione finale delle camere dopo che esse erano state pulite: Leanne, con precisi ed efficienti colpi di bacchetta, si occupava degli ultimi ritocchi - amenities, fiori, cioccolatini, gadgets, biancheria, insomma: tutte quelle piccole chicche fatte apposta per coccolare gli ospiti. La paga, per lei che non aveva mai posseduto nulla, era stratosferica tanto più che, vivendo e mangiando nelle dipendenze dell’Hotel, la ragazza quasi non aveva spese. Le sue uniche uscite di denaro avvenivano sporadicamente, in occasione del suo pomeriggio libero, quando si recava con le colleghe al cinema, oppure a mangiarsi un gelato alla pasticceria di Florian Fortebraccio.
Dopo aver ascoltato la proposta del direttore, Leanne sospirò.
Era venerdì; il giorno in cui, teoricamente, avrebbe avuto il pomeriggio e la serata liberi e, francamente, non aveva la minima voglia di lavorare ad una festa dell'alta società magica. Il servizio sarebbe stato massacrante, e neanche la prospettiva di vedere come se la cavava Graham (sapeva che la sposa era sua sorella) l’allettava granché.
Ma la proposta del signor Hollein, evidentemente, non era declinabile: si trattava, più che altro, di un ordine mascherato da richiesta. Non poteva certo contrariare il signor direttore, che era stato così gentile da concederle il posto, né  voleva mettere in cattiva luce il signor Midgen, che aveva garantito per lei.
E così, ricacciando indietro la malavoglia, raddrizzò la schiena e rispose, obbediente:
- Ma certo, signor Hollein. Che cosa devo fare?
- Subito dalla guardarobiera, per fare le prove dell'uniforme - rispose lui, congiungendo le dita con eleganza e sorridendo compiaciuto.
 
*
 
Graham Montague si stava annoiando a morte.
In qualità di fratello della sposa si era dovuto sorbire una caterva di congratulazioni e felicitazioni (quasi tutte catalogabili fra il banale, il baggiano e l'insensato) che l'avevano immensamente seccato. Sua madre, euforica ("Non è tutti i giorni, Kain, che si celebra un matrimonio fra una Montague ed un Avery! Che fortunata, la nostra piccola Keira!"), lo trascinava qua e là per presentarlo alle sue amiche dotate di figlie in età da marito. Suo padre, immensamente orgoglioso ("Tua sorella Caroline è davvero splendida, stasera, non trovi anche tu, Craig?"), appellava un calice di champagne dietro l'altro.
Lui, Graham, era assolutamente stufo, e sul suo viso aleggiava un'espressione più cupa che mai. Sull'onda dello sconforto, aveva quindi deciso di seguire l'esempio paterno e di darsi all'alcool, per tentare di sopravvivere a quella pallosissima serata.
Stava appunto cercando il vassoio di calici più vicino quando, con sua immensa sorpresa, vide Leanne che circolava discretamente fra gli invitati.
"Kaplett?!"
Meravigliato, si mise a seguirla con lo sguardo (non si è alti un metro e novanta per nulla: a parte le continue capocciate negli stipiti bassi, un qualche vantaggio bisognerà pure averlo). La ragazza indossava l'uniforme delle cameriere del Georgiano (un vestito nero e stretto a maniche corte e collo alto, gonna al ginocchio e grembiule di pizzo bianco inamidato con crestina coordinata) e, con la bacchetta, faceva levitare un luccicante vassoio d'argento dall'aspetto pesantissimo, ricolmo di calici di champagne dallo stelo sottile.
Graham mise su un'espressione impassibile, ma non potè fare a meno di pensare che, anche così abbigliata, Leanne era davvero graziosa, così alta e slanciata e naturalmente elegante. Retrocedendo di qualche passo, tentò di mantenersi fuori dal suo cono visivo per potersi permettersi l’agio di osservarla con calma.
Era da fine giugno che non la incontrava.
Dopo aver visto quel dannato Corvonero che l'abbrancava così platealmente in piena King's Cross, infatti, Graham aveva dapprima resistito all'istinto assassino (che gli ingiungeva di prendere Davies e di torcergli il collo a mani nude), per poi decidere di voltare le spalle a quella scena incresciosa ed andarsene.
Si era davvero sentito un idiota, lui, con la sua sciocca figurina ancora stretta fra le dita; nonostante fossero già passate alcune settimane, pensarci lo faceva ancora incazzare come una bestia.
E a proposito di Davies Graham si era accorto, con estremo disappunto, che alla festa era presente anche lui. E che (non riusciva a credere ai propri occhi!) quell'imbecille, in piedi in piena pista da ballo, si stava dando da fare per sedurre una ragazza bionda con l'aria da principessina viziata - la quale, per dovere di cronaca, sembrava piuttosto contenta delle attenzioni rivoltele dal piacente giovanotto. La cosa contribuì ad irritarlo oltremodo.
"Razza di cretino" ringhiò fra sé e sé, per poi accorgersi che Leanne, ignara, si stava muovendo proprio in direzione dell'indiscreta coppia. Graham strinse gli occhi, osservando nervosamente la scena. A causa della gran quantità di gente che ballava, probabilmente, la ragazza non li aveva ancora notati.
Tentando di abbassare un po' la testa per non farsi vedere, il ragazzo scivolò fra la folla.
 
*
 
Leanne si spostava fra gli invitati con estrema cautela per evitare disastri.
Il Salone Nobile era molto affollato: alla festa dovevano esserci più di trecento persone. La ragazza non si capacitava: com'era possibile che qualcuno si potesse permettere un ricevimento del genere? Eppure, vista l'importanza delle famiglie coinvolte, avrebbe dovuto aspettarselo.
Gli Avery erano una delle casate magiche più antiche e importanti d'Irlanda. In un angolo della sala, Leanne riconobbe Aidan Avery*, il fratello dello sposo, intento a bere whisky incendiario in compagnia del suo amico Bastian Macnair* - il quale, come suo solito, lanciava tutt'intorno a sé occhiate glaciali. Sebbene si fossero diplomati quando lei era solo al secondo anno, la ragazza si ricordava molto bene di quei due, che erano stati studenti temuti da tutta la scuola. Quando Leanne era al sesto anno, Macnair aveva poi fatto ritorno ad Hogwarts in qualità di Assistente del professor Piton alla cattedra di Pozioni, dando ulteriore conferma del suo temperamento gelido e vagamente inquietante.
E quanto ai Montague... beh. Dal poco che le aveva raccontato Graham durante le sue visite in infermeria, si trattava di una famiglia estremamente tradizionalista e piena di soldi. Nulla di cui stupirsi, quindi.
Già: Graham. 
Anche lui, evidentemente, doveva trovarsi lì. Le sarebbe piaciuto vedere come se la passava, se stava bene, se si era rimesso del tutto dalla sua triste disavventura. Ma Leanne, occupata com'era, non aveva ancora avuto il tempo di cercarlo.
Per il resto, le parve che quasi tutti gli invitati presenti alla festa erano in qualche modo legati alla Casa di Serpeverde. Fra la folla sconosciuta, Leanne riconobbe i Malfoy, i Goyle, le signorine Greengrass e altri volti noti. Quando si avvicinò ai ragazzi e alle ragazze della sua età con il vassoio, nessuno diede segno di averla riconosciuta, e per lei fu decisamente meglio così. Non erano persone che frequentava, a scuola, e di certo non le passava neanche per la testa di cominciare ad intavolare conversazioni con loro proprio in quell'occasione.
Richiamata dai cenni di alcuni maghi dall'aria alticcia, Leanne si avventurò sulla písta da ballo. Mentre camminava, stando bene attenta a non scontrarsi con nessuno, una voce femminile piuttosto secca richiamò la sua attenzione:
- Champagne, per favore.
Leanne alzò gli occhi e si ritrovò di fronte una giovane strega bionda, inguainata in un elegantissimo vestito di seta rosa a cinque cifre. Notò che la ragazza si era girata quel tanto che bastava per prelevare il calice dal vassoio; il resto del suo corpo si trovava praticamente incollato a quello di un ragazzo attraente, vestito di tutto punto. Era Roger Davies. Il quale, non appena riconobbe Leanne, la guardò sorpreso, spalancando gli occhi in un'espressione leggermente colpevole. A lei venne un po’ da ridere perché non le importava un accidente della disinvoltura sentimentale di Davies (che, dopo l'episodio della stazione, non aveva più incontrato). E si apprestava a salutarlo con il massimo della disinvoltura quando, d'un tratto, il contenuto dei calici di cristallo che recava sul vassoio entrò in rapida ebollizione, per poi esplodere con uno schianto in faccia all'ex-Capitano del Corvonero e alla sua sventurata accompagnatrice, lavandoli da capo a piedi.
Leanne rimase impietrita.
- O-oddio – balbettò, osservando esterrefatta il disastro che era avvenuto sotto ai suoi occhi e senza sapere bene come comportarsi.
L'amica di Roger Davies, il cui bell’abito era stato irrimediabilmente macchiato, schiumava di rabbia.
Estratta la bacchetta la fece sferzare, puntandola su Leanne con l’intento di colpirla con un Incantesimo Schiaffo. Ma lei fu più veloce: aveva sempre avuto i riflessi pronti, cosa che il signor Lupin, quando era stato suo professore, aveva spesso lodato. Senza pensarci troppo, brandì a sua volta la bacchetta, andando a parare lo Schiaffesimo con un Incantesimo Scudo. Il che, ovviamente, peggiorò infinitamente la già grave situazione dal momento che lo Schiaffo, opportunamente schermato, rimbalzò all'indietro, abbattendosi con forza sul viso dell'inzuppata ragazza. Quella cacciò un urlo, portando la mano alla guancia.
- Oh...oh, per Godric! – Leanne boccheggiava, paonazza – Mi... mi dispiace, oh, per Morgana!...
- Che cosa succede, qui?
La voce adirata del signor Hollein la fece tremare. Richiamato dal tafferuglio, il direttore (che si era sempre distinto per la sua innata capacità di fiutare la minima grana a miglia e miglia di distanza) si era subito precipitato sul luogo del delitto. Ed ora, fremendo indignato, osservava Leanne che, al centro del piccolo vuoto venutosi a creare intorno a lei, si guardava intorno disperata.
- Io... io non ho fatto niente, signor Hollein, mi creda! – disse la ragazza con un filo di voce, non appena lo vide. - Glielo giuro!
- Signorina Kaplett, la invito a lasciare la sala – soffiò lui, gelido. - Vada subito a raccogliere le sue cose.
Leanne scuoteva la testa, incredula. E proprio in quel momento si accorse di Graham, che si trovava in piedi alle spalle di Roger Davies e della fradicia e malconcia ragazza.
- Graham! – lo chiamò allora, affranta. – Tu... tu eri lì dietro, devi avere visto... ti prego, diglielo tu che io non ho...
- Signorina Kaplett, per cortesia, non me lo faccia ripetere una seconda volta. Esca-subito-di-qui.
Leanne si arrese.
Stringendo i pugni, abbassò gli occhi e raggiunse velocemente la porta, abbattuta, mentre gli invitati si scostavano per lasciarla passare. Graham rimase fermo per un attimo, guardandola correre via. Poi, gettato in aria il calice di champagne che ancora reggeva fra le dita, la seguì di corsa.
 
Alcune cosette:
1) Piccole delucidazioni sugli OC qui citati. Carbry Bell è il fratello maggiore di Katie Bell; come scopriremo più avanti, non ha studiato ad Hogwarts ma a Ilvermorny in virtù delle origini paterne (il signor Bell è di Chicago). Per ulteriori informazioni su di lui, cfr. La Cura Universale, mini-long che gli è dedicata e spin/sequel di questa storia. Aidan Avery e Bastian Macnair sono due studenti della Casa di Serpeverde classe 1974 e assai poco raccomandabili. Il secondo, pozionista abilissimo, è stato assistente di Piton al sesto anno di Leanne ad Hogwarts (settimo di Graham); la long L'Assistente di Pozioni lo vede protagonista.

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Capitolo 5
*** Quelle cose che è meglio che tu non sappia. ***


5. Quelle cose che è meglio che tu non sappia.
 
- Aspetta!
Sentendosi chiamare, la ragazza rallentò il passo e si voltò. Graham Montague si stava avvicinando di corsa, con la giacca aperta che gli svolazzava alle spalle.
Quando incrociò lo sguardo di Leanne, il ragazzo si accorse subito dei suoi occhi umidi e ne fu molto dispiaciuto perché le lacrime, definitivamente, non erano da lei. E difatti, vedendolo arrivare, lei le ricacciò velocemente indietro, tirando su col naso e forzando un sorriso che, però, risultò alquanto mesto.
- Oh, ma guarda un po' chi si vede – commentò, cercando di darsi un tono.
Graham la raggiunse con una lunga scivolata sul pavimento di marmo lucido; siccome, però, non aveva fatto i conti con l'inceratura impeccabile che le cameriere del Georgiano applicavano una volta alla settimana con speciali Incantesimi Lucidanti, calcolò male le distanze (prendendo sotto gamba quella che i fisici babbani avrebbero definito “energia cinetica aumentata dalla sua taglia superiore alla media”) e, rischiando di fare un indesiderabile strike di Leanne, andò quasi a sbatterle addosso. 
Per evitare di rovinare miseramente al suolo, afferrò d'impulso i gomiti della ragazza, per poi arrestarsi, tentennante, come se l'improvviso contatto con la pelle nuda delle braccia di lei gli avesse scottato le mani.
Era la prima volta che la toccava, ed era anche la prima che lei gli si trovava così vicina. Inspirando, non potè fare a meno di notare che da Leanne emanava un delizioso aroma di sapone bianco, simile a quello dei panni lavati nel ruscello e stesi ad asciugare al sole - così diverso dalle fragranze carissime usate dalle sofisticate fanciulle che aveva (diciamo così) frequentato in precedenza. 
Profumava di buono.
Nel rendersi conto del tenore dei suoi pensieri, ovviamente, si sentì il Re dei Babbei, ma il considerevole quantitativo di champagne che aveva buttato giù durante la festa (altri, sprovvisti della sua corporatura, sarebbero collassati da un pezzo) gli fece subito recuperare la consueta spavalderia, che tanto timore incuteva nei corridoi della scuola e sul campo da Quidditch.
- Leanne – le disse, trafelato, guardandola negli occhi.
Lei sostenne tristemente il suo sguardo, stringendo le labbra in un modo che, unitamente alle bollicine di champagne che gli scoppiettavano nel sangue e nonostante il momento assolutamente inadatto, lo rese temerario.
“Adesso lo faccio” pensò, determinato. “E chissenefrega se la cosa è fuori luogo”. E si apprestava a chinarsi su di lei, quando un rumore di passi veloci richiamò la loro attenzione.
Roger Davies, tutto elegante nel suo smoking nero grondante champagne carissimo, correva lungo il corridoio, affrettandosi a raggiungerli, e chiamava Leanne a gran voce.
- Kaplett!
- Si chiama Leanne, pezzo di idiota! - sbraitò Graham, sommamente inferocito da quell'inopportuna interruzione. E giratosi di scatto con la bacchetta sguainata, proruppe in un tonante:
- Petrificus Totalus!
Davies incespicò e rotolò a terra come un salame, colpito ai garretti da un Incantesimo delle Pastoie degno di un Eccezionale Summa cum Laude ai M.A.G.O. di decimo livello. Digrignando i denti, Graham ripose lentamente la bacchetta nella tasca della giacca. E, per quanto si sforzasse di mantenersi impassibile, l'ex-Serpeverde non riuscì a nascondere una certa qual ghiotta soddisfazione. Adesso sì che si riconosceva, nella sua feroce malevolezza.
Leanne, dal canto suo, era rimasta di sasso.
Graham! – esclamò, coprendosi la bocca com la mano.
- Se le è meritate, questo cretino, tutte e due.
- Tutte e due?... ehi! – gemette Davies, tentando invano di divincolarsi mentre Graham, con gli occhi stretti a fessura, lo guardava in cagnesco.
La ragazza scrutò prima uno e poi l'altro, sgranando gli occhi. 
- Mi stai dicendo che l'incidente... lo champagne, poco fa... sei stato tu?!
Graham sbuffò, stringendosi nelle spalle.
- Ti stava... ti stava mancando di rispetto, ecco – si giustificò poi, ergendosi in tutta la sua statura (faceva davvero soggezione e, a giudicare dalla sua espressione impaurita,  Davies pensava lo stesso), ma rifuggendo accuratamente lo sguardo della ragazza.
- Ma dove accidenti vivi, tu? - gli chiese lei, scuotendo la testa, mentre Graham si faceva paonazzo – Ai tempi dell'Amor Cortese? Dello Schiaffo-col-guanto? Del Fazzoletto-gettato-a-terra?!
- Senti: è assolutamente inammissibile che... – cominciò lui, visibilmente imbarazzato.
- Oh, per Godric. Mi sembra di sentire il signor Hollein – lo interruppe lei, strattonandogli il braccio - Graham... guarda che a me, di quello che combina quell'idiota di Roger, non me ne importa un accidenti!
- Ah, grazie mille per la sincerità, eh – si lamentò quello, ancora disteso a terra.
Graham ammutolì; non sapeva che pesci pigliare.
Le rivolse un'occhiata talmente mortificata che, se non si fosse trovata in un mare di guai, Leanne sarebbe certamente scoppiata a ridere. "Incredibile" pensò, sinceramente stupita. Graham Montague aveva quasi affogato Roger Davies nello champagne più caro del Mondo Magico... per difendere il suo onore. Robe da da matti.
- Ehm, ho... ho fatto una cazzata, eh? – bofonchiò infine il ragazzo.
- Diciamo pure che ora sono nella merda fino al collo,  – rispose lei con la consueta schiettezza, storcendo il viso in una smorfia avvilita.
- Oh. No. Ma certo che no. Tu vai a dormire, ora. Ci parlo io, con quel tizio infiocchettato. Considera risolta la faccenda.
- Non servirà a nulla... – mormorò Leanne, rassegnata.
- Lascia fare a me. Fidati.– la bloccò lui, con un tono che non ammetteva repliche.
In quella, si udì tossicchiare. Roger Davies, ancora immobilizzato, si rivolse a a Leanne con un sorriso candido e ammiccante:
- Ehm... gattina, non è che, prima di andare, mi faresti il controincantesimo? Poi magari, se vuoi, ti ci accompagno io a dormire.
Il caratteristico sibilo di una bacchetta sferzante fendette l'aria, subito seguito da un ringhio inconfondibile:
- Avada...
- Oddio, Graham!
- Oh. Stavo solo...ehm, scherzando – mugugnò lui, mettendo su un sorriso da lupo, per poi sghignazzare in faccia al terrorizzato Davies che, nonostante lo smoking già bagnato, si era visibilmente pisciato addosso. E per concludere in bellezza (e sfoderando ancora una volta la sua proverbiale perfidia di ex-Serpeverde), Graham non resistette alla tentazione di freddarlo con un impietoso:
- Stupeficium! (Coglione!)
 
*
 
Il giorno dopo, Leanne apprese con immenso sollievo che Graham era davvero riuscito a chiarire l'equivoco e a sistemare le cose. Attraverso un biglietto infilato sotto la porta, il signor Hollein la informava che, se lo avesse voluto, le sarebbe stato permesso restare - nel qual caso, la pregava di scendere in Direzione quanto prima per organizzare il lavoro della giornata.
Il fatto di non avere perso il posto la rincuorò tanto che, nei giorni successivi, Leanne lavorò con una lena e una dedizione superiori alla media. E gli ospiti di cui si occupò dimostrarono un così sincero entusiasmo per la sistemazione delle loro camere che, alla fine, il signor Hollein dovette ammettere che aveva fatto molto bene a non mandarla via.
- Molto bene, Kaplett... ehm, Leanne – arrivò a dirle una sera, mentre le consegnava una grassa busta contenente le generose mance che i clienti avevano lasciato per lei.
La ragazza ne fu molto felice.
Le sarebbe piaciuto far sapere a Graham che era andato tutto bene e ringraziarlo per averla aiutata (certo: il pasticcio l'aveva combinato lui, ma bisognava ammettere che si era dimostrato molto corretto nel volervi porre rimedio). Purtroppo, però, non sapeva dove trovarlo.
Se non che, il venerdì successivo, accadde qualcosa che la sorprese moltissimo.
Già da qualche giorno si era messa d'accordo con alcune colleghe per andare a farsi un giro tutte insieme; bersi un tè, prendere un gelato, passeggiare un po' e, magari, andare anche al cinema a vedere il film sulla carriera delle Sorelle Stravagarie. Al momento di uscire, però, - si trovavano ancora dietro alla porta a vetri girevole - una delle giovani streghe che si trovavano con lei indicò con un cenno del capo il muro dirimpetto all'Hotel e, ridacchiando, esclamò:
- Ma che gran tocco di ragazzo, per la barba di Merlino! - subito imitata dalle altre ragazze che, ammonticchiatesi dietro al vetro,cominciarono a spendersi incommenti catalogabili fra l'entusiastico, il sospiroso e il piccante.
Al che Leanne, che era l'ultima della fila, alzò gli occhi incuriosita.
Appoggiato al muro, dall'altra parte della strada, c'era effettivamente un ragazzo, alto oltre la media, coi capelli scuri un po' spettinati ed occhiali da sole con la montatura di corno. Dalla tasca dei pantaloni spuntava la codina di una cravatta nera, evidantemente ritirata e messa via in gran fretta. Ai piedi portava scarpette verdi da Quidditch, che poco avevano a che spartire col resto del vestiario.
Era Graham.
No: era Graham in splendida forma fisica, si corresse Leanne, un po' turbata. Quando lo aveva incontrato alla festa, la settimana precedente, il trambusto che era seguito all'esplosione dei calici le aveva impedito di farci caso.
Ma, in quel caldo pomeriggio, il sole di inizio agosto lo rivelava chiaramente: la permanenza forzata nell'Armadio Svanitore gli aveva fatto perdere i chili di troppo ed ora, recuperato quel tanto che bastava per porre rimedio all'eccessiva magrezza, il ragazzo presentava un aspetto veramente invidiabile. Probabilmente aveva anche ricominciato ad allenarsi.
Leanne tentò di ricordarlo smagrito, smunto e infilato in quel ridicolo pigiama a righe verdi e argentate ma, per quanto si sforzasse, la cosa non le riuscì.
E Graham fumava, tranquillamente appoggiato al muro, in paziente attesa.
- È... è un mio amico - disse Leanne alle colleghe, arrossendo leggermente. Quelle si girarono a guardarla, piuttosto ammirate.
- Quel ragazzo era presente al matrimonio, venerdì scorso – osservò una collega.
- L’ho notato anch’io. Credo fosse il fratello della sposa. Gran bel ragazzo.
- È tuo amico, Leanne?!
Lei scosse la testa con ostentata noncuranza.
- Voi andate pure avanti. Ci vediamo da Florian.
E, saltellando in modo canzonatorio, discese i gradini dell'Hotel, dirigendosi verso di lui.
- La mamma non te l' ha detto, Kain, che fumare fa male? - lo apostrofò allegramente, non appena l'ebbe raggiunto.
Lui fece spallucce, guardandola dall'alto in basso con alterigia.
- Il papà di Craig fuma come un turco da più di trent'anni e sta alla grande - le rispose, soffiando fuori il fumo con supponenza. Leanne tossicchiò, irritata.
- Senti un po': sei qui ad aspettare il treno? Guarda che la stazione è dall'altra parte di Londra.
- Ma certo che no. Aspettavo te, sciocca. 
- Ah sì? - fece Leanne, presa in contropiede da una dichiarazione d'intenti così esplicita. - E a cosa devo l'onore?
- Volevo sincerarmi che il cicisbeo imparruccato non ti avesse sbattuta fuori - sbuffò lui, sforzandosi di adottare un atteggiamento indisponente.
- Misfatto fatto: eccomi qui - ribattè lei, senza raccogliere la provocazione. Divertita dalla locuzione coniata all’indirizzo del signor Hollein, fece una rapida giravolta. - Soddisfatto, ora?
- Forse.
- Perché "forse"?
- Perché mi devi un gelato. Per ripagarmi dei servigi che ti ho reso.
- Un gelato?! Pensavo la considerassi una stronzata da bambinetti.
- Hai perfettamente ragione. Facciamo una Burrobirra Ghiacciata, dai - rispose lui, staccando le spalle dal muro.
 
*
 
Senza che lo avessero esplicitamente concordato, la Burrobirra del Giorno Libero divenne una sorta di tacita tradizione settimanale.
Tutti i venerdì, Graham si faceva trovare davanti alla porta del Georgiano, stando bene attento a farsi vedere dal signor Hollein (che non gli venisse in mente, a quel damerino perennemente in tiro, di fare uno sgarbo a colei che si stava impegnando a corteggiare con cotanto metodo).
Le colleghe di Leanne se lo mangiavano con gli occhi e le intimavano, per l'amor di Morgana, di darsi da fare. Lei, però, le zittiva ridendo:
- Siamo solo amici, suvvia.
- Non si direbbe che lui la pensi allo stesso modo - sibilavano quelle.
Lei le ignorava e discendeva rapidamente i gradini per corrergli incontro. Insieme, passavano il pomeriggio a passeggiare, mangiare (Graham aveva un appetito apparentemente inesauribile), chiacchierare e, ovviamente, rimbeccarsi.
Le tappe obbligatorie dei loro giri erano il Ghirigoro ("Andiamo?” “Un momento! Siamo appena arrivati!" "Guardi sempre le stesse scartoffie" "Mulo!") e Accessori di Prima Qualità per il Quidditch ("Che palle" "Ma quanto sei rozza. Guarda che manico: questa sì che è pura poesia" "Sei proprio un invasato”); per il resto, vagabondavano qua e là senza una meta precisa.
Dalle loro conversazioni, Leanne aveva scoperto che Graham, grazie ai contatti di suo padre, era stato assunto alla Gringott, ma che il lavoro gli faceva schifo.
- Ma non ti dicono niente, per il fatto che sparisci tutti i venerdì?
- Se mi licenziano, tanto meglio - borbottava lui, accendendosi una sigaretta con un colpo di bacchetta.
"Beato te che te lo puoi permettere" pensava Leanne, lavandolo immancabilmente con un Aguamenti per spegnergli la brace.
- Piantala di rompere. Mi sembri il mio coach.
- Il tuo coach ha ragione, razza di testone incatramato.
Quando Graham esagerava coi suoi modi indisponenti da Serpeverde presuntuoso, la ragazza sbottava, fingendo di redarguirlo: - Ma tu, non hai niente di meglio da fare che venire a tediare i miei pomeriggi liberi?
- Ma certo. Un sacco di cose.
- Ah sì? Per esempio?
- Contare galeoni, emettere ordini di pagamento, pesare diamanti, liquidare assegni.
- Davvero entusiasmante.
- Davvero una gran rottura di palle - precisava lui alzando un dito, per poi scoppiare a ridere, seguito a ruota da Leanne.
 
*
 
Qualche volta, tanto per cambiare un po', i due si avventuravano nella Londra babbana, che Leanne conosceva assai bene. Graham, all'inizio, si era dimostrato piuttosto restio ad allontanarsi dal Mondo Magico, ma poi era stato contagiato dalla Febbre dell'Esploratore. I babbani riuscivano ad essere davvero ingegnosi, rifletteva stupito mentre, ammirato, seguiva Leanne che lo trascinava freneticamente qua e là.
Da bravo Serpeverde astuto, insisteva sempre per spostarsi in autobus e metropolitana, scegliendo ovviamente le linee più affollate, per avere la scusa di starle un po' più vicino e bearsi del suo delizioso profumo di sapone di Marsiglia.
- Ma tu come le sai, tutte queste cose? Segui Babbanologia? - le chiedeva, intrigato.
- Certo! La professoressa Burbage è bravíssima... – rispondeva lei, rimanendo sul vago.
- Io, quella materia, non l'ho fatta.
"Ma certo che no" pensava la ragazza, mentre una punta di tristezza andava ad incrinare la sua felicità.
Perché ormai era ufficiale, non c'era nulla da fare: Leanne era in ambasce.
Non era una stupida e possedeva abbastanza esperienza da avere capito chiaramente - anche perché Graham, ormai, non faceva più nulla per nasconderlo - di piacergli. E, che dannata fosse la Casa di Salazar, anche lui cominciava a piacerle sul serio. Lo trovava istigante, arguto e sbruffone al punto giusto,con quella sua insospettabile (ma innegabile) dolcezza, perennemente nascosta dietro all'espressione un po' truce.
Leanne, però, sapeva fin troppo bene che, in gioco, c'erano cose più grandi di lei e della sua cotta incipiente per il Serpeverde. Da una parte, una ricca e tradizionalissima casata di maghi purosangue. Dall’altra, lei. Che, delle sue origini, non sapeva assolutamente nulla.
I suoi genitori erano stati un mago e una strega? Oppure, come tanti altri, era anche lei una Nata Babbana? Leanne non ne aveva idea. Non sapeva neppure quale fosse il suo vero cognome.
E per omertà, o per timore, o a causa dell"incertezza che l'attanagliava, non aveva mai avuto il coraggio di confidarsi con lui. All'inizio non l'aveva fatto perché, in cuor suo, riteneva che queste faccende non lo riguardassero. Ma poi, con l'avanzare dell'estate, il motivo era cambiato.
Leanne, infatti, aveva cominciato a temere che Graham, una volta venuto a conoscenza delle sue reali condizioni, si sarebbe categoricamente rifiutato di continuare ad avere a che fare con lei.
 
Alcune cosette:
1) E qui comincia il dramma. I giovani si piacciono ma fra loro esistono alcuni ostacoli obiettivi... Ideali, famiglie (o assenza di esse), Case rivali, status, reddito e chi più ne ha più ne metta.

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Capitolo 6
*** Buon sangue non mente, ma francamente... chissenefrega! ***


6. Buon sangue non mente, ma francamente... chissenefrega!
 
Il rollìo del treno si portava via l'estate.
Dondolata dal vagone, Leanne teneva gli occhi fissi sul paesaggio che sfilava veloce dietro al vetro del finestrino, senza però vederlo davvero. I pensieri scivolavano fluidi nella sua testa, riportandola indietro, a Londra, apparentemente così lontana dal luogo imprecisato in cui si trovava in quel momento. Pensava a Graham, ovviamente. E, col cuore gonfio di nostalgia, rievocava le immagini di quell'ultimo venerdì pomeriggio trascorso con lui; a quello che era accaduto e non accaduto, a quello che si erano detti e, soprattutto, a quello che non si erano detti. Nei giorni precedenti il loro ultimo incontro prima della ripresa della scuola, Leanne si era arrovellata (era prevedibile, del resto): nell'imminenza della separazione qualcosa, fra loro due, si sarebbe inevitabilmente smosso.
Si era lambiccata il cervello, attanagliata dal cruccio, senza riuscire a darsi pace. In un momento di sconforto particolarmente acuto, aveva addirittura accarezzato l'ipotesi – subito scartata, non appena l'aveva intravisto oltre il vetro della porta girevole – di darsi malata per evitare di incontrarlo. Ma, chiaramente, non ce l’aveva fatta.
Come ogni settimana, si era infilata nella ruota di cristallo (che girava, girava, girava, come la sua testa confusa quando lui faceva capolino nei suoi pensieri), aveva disceso i gradini con passo leggero e gli era corsa incontro ingiungendogli, per l’amor di Morgana, di spegnere quella benedetta cicca.
E così, avevano bevuto la loro immancabile Burrobirra, avevano chiaccherato, bisticciato e passeggiato (per Diagon Alley prima e nella Londra babbana poi), fingendo che si trattasse di un venerdì pomeriggio uguale a tutti gli altri. Finché alla fine - ed era ormai calata la sera –, stanchi, si erano seduti uno accanto all'altra sulla groppa di uno dei leoni di bronzo di Trafalgar Square, uno dei luoghi che Graham apprezzava di più (“Adoro mettere i piedi in testa ai Leoni” la provocava, mettendo su quel suo ghigno indisponente).
- Sarà strano non tornare a scuola – buttò lì Graham, dopo qualche minuto di silenzio.
- L'infermeria e Madama Chips ti mancano da morire, dì la verità– lo canzonò Leanne, guardandolo di sottecchi.
- No. Per la verità, mi mancherai tu – le rispose lui, con disarmante semplicità.
Ruotando su se stesso, fece scivolare una gamba oltre la groppa del leone, sedendovisi sopra a cavalcioni, per poi sporgersi in avanti e abbracciarla di slancio, avvicinandola a sé.
Lì per lì Leanne rimase interdetta ma lo lasciò fare, deliziata da quel contatto reverenzialmente temuto e sommamente desiderato. Con un lieve sospiro, accostò la guancia al petto del ragazzo, lasciandosi avvolgere dalle sue braccia, che erano solide e calde nella brezza fresca della sera.
- Che miracolo – commentò lui qualche istante dopo. La ragazza si voltò gli rivolse una rapida occhiata interrogativa, per poi tornare a guardare lontano, verso la folla che gremiva la piazza.
- Una volta tanto, non hai niente da dire – aggiunse Graham, a mo’ di risposta.
- E che cosa dovrei dire?
Lui la scostò delicatamente, prendendola per le spalle e forzandola a girarsi per guardarlo negli occhi.
- Dimmelo e basta.
- Non so di cosa accidenti...
Graham non le permise di finire la frase. Ne aveva abbastanza, e Salazar solo sapeva quanto gli era costato tenere a freno, fino a quel momento, il suo carattere naturalmente impulsivo. Le prese il viso fra le mani, carezzandole le guance con i pollici e affondando la punta dei polpastrelli nei suoi riccioli corti color del miele. E sollevatole il mento con due dita, si chinò su di lei, catturando le sue labbra in un morbido bacio al sapore di tabacco.
A quel contatto Leanne rabbrividì e avvampò, gioì e soffrì, amò e odiò, rise e pianse, esplose ed implose, tutto in una volta - mentre, sotto di loro, orde di turisti giapponesi in solluchero scattavano fotografie entusiastiche di quella bella coppia che si baciava sulla groppa del leone.
Cosa avrebbe voluto fare, Leanne (davvero-davvero)?
Evidente: allacciargli le mani dietro al collo, carezzargli la nuca e dischiudere le labbra, per gustare fino in fondo quel delizioso aroma di fumo che, nelle ultime settimane, aveva cominciato ad associare a qualcosa di buono.
La coscienza della dura realtà, però, la fece rapidamente rinsavire. Quella in cui si trovavano era la Londra babbana; un territorio neutro in cui certe cose, magari, potevano anche succedere. Non così nel Mondo Magico; là, le cose funzionavano in tutt'altra maniera. Là, accanto ad uno come Graham, non c'era posto per una come lei. Quindi, facendo appello a tutta la sua determinazione, Leanne si scostò bruscamente da lui, lasciandolo sgradevolmente sorpreso.
- Perché...?
- Perché no.
- Con quel cretino di Davies, però...
- Era diverso.
- E cosa c'era, di diverso?
- C'era che a me, di lui, non è mai importato un accidente.
Lui mise su un sorriso duro, guardandola sarcastico.
- Ah, e di me, invece...
"Di te mi importa. Eccome. Più di... qualsiasi altra cosa, credimi. È per questo che mi tengo alla larga” avrebbe voluto rispondergli. Ma non lo fece. Invece di parlare, gli prese le braccia e se le avvolse intorno, tornando ad apoggiare la guancia al suo petto.
E Graham, dopo un attimo di esitazione, comprese che in quel gesto di Leanne c'erano tante cose sofferte e non dette; cose che per il momento, e per qualche oscura ragione (che lui, non essendo uno stupido, cominciava piano piano ad intuire), la ragazza preferiva tenere per sé. E per farle capire che rispettava questa decisione l'abbracciò a sua volta, stringendola forte e affondando il naso fra i suoi capelli profumati di sapone bianco.
 
*
 
Seduto in un angolo immerso nella penombra, Graham Montague fumava in silenzio, rigirando distrattamente il ghiaccio nel suo bicchiere di Soda Antartica. Il Paiolo Magico era pieno, quella sera; il ragazzo stava immensamente scomodo ma, suo malgrado, non aveva trovato altri posti liberi. Con immensa insofferenza, aveva faticosamente incastrato le gambe troppo lunghe sotto al tavolino troppo basso.
Graham lanciò un'occhiata impaziente alla parete dirimpetto, che era completamente ricoperta dei più svariati marchingegni preposti alla misurazione del tempo. La singolare collezione era venuta a crearsi nel corso dei secoli grazie al volenteroso zelo dei maghi e delle streghe che avevano fatto dono agli antenati del vecchio Tom dei dispositivi più disparati, raccolti nei più reconditi angoli del mondo. C'erano orologi a cucù di legno intagliato e clessidre di cristallo, meridiane in cirillico e sveglie babbane dai colori vivaci, schermetti a cristalli liquidi, modellini in scala di circoli megalitici, calendari aztechi coi rubini attivi e perfino un paio di cipollotti d'oro zecchino. Tutti i congegni (per chi avesse saputo oportunamente interpretarli) segnavano la stessa ora: erano le sette di sera.
E ciò, per Graham, significava che il Capitano era in netto ritardo.
"Strano", pensò . Fra tutti i suoi proverbiali difetti, la mancanza di puntualità non gli era caratteristica.
Il ragazzo socchiuse gli occhi, meditabondo. Proprio come aveva previsto, Leanne gli mancava da morire. Leanne, che gli non parlava mai della sua vita fuori da Hogwarts e che non gli aveva mai raccontato nulla della sua famiglia. Leanne, che non aveva nessuno ad attenderla alla stazione. Leanne, che sapeva tutte quelle cose sui babbani – cose che, di sicuro, non aveva imparato a Babbanologia. Leanne, che si muoveva nel mondo non- magico con estrema disinvoltura, come se ci fosse... cresciuta. Leanne, che lo teneva a distanza nonostante - era evidente! - lui non le fosse indifferente. Leanne che, una ritornata a scuola, aveva tagliato i ponti con lui. Graham le aveva mandato un gufo alla settimana (dapprima missive scherzose, poi pungenti, poi preoccupate ed infine indignate), ma non aveva mai ricevuto risposta. Leanne, che era il suo pensiero fisso, la sua (neanche troppo) segreta ossessione.
Il campanellino appeso sopra all'uscio del locale tintinnò, distogliendolo dai suoi pensieri.
La porta del Paiolo Magico si aprì e, accompagnato da uno spiffero di aria gelida, Marcus Flint fece finalmente ingresso nel locale. Avvistato Graham, che sedeva tranquillo nel suo angoletto, gli si avvicinò, tendendo la mano per salutarlo.
- Bentrovato, Montague. Come andiamo?
- Alla buon'ora, Capitano - rispose lui, soffiando fuori il fumo. - Pensavo avessi deciso di darmela buca.
Capitano.
Dopo tanti anni, e anche dopo averlo sostituito alla guida della squadra di Quidditch di Serpeverde, a Graham veniva ancora spontaneo chiamarlo così. Marcus Flint sapeva essere un coglione insopportabile e vantarsene assai, ma era sempre stato un gran giocatore e, dal punto di vista tecnico, un buon leader. Nel corso degli anni, Graham aveva imparato a considerarlo una specie di amico. E così, ogni tanto, da quando anche lui aveva finito la scuola, i due si incontravano per sbevazzare un po' e rivangare i vecchi tempi.
- Grane sul lavoro – spiegò laconicamente Flint, sciogliendosi la sciarpa. Una volta seduto, appellò con la bacchetta un bicchiere di whisky incendiario.
- È esplosa una fabbrica di calderoni? – domandò Graham con leggerezza.
Ormai era abituato ai resoconti catastrofici del suo ex-Capitano. Non essendo mai stato un alunno particolarmente brillante, Marcus Flint aveva trovato una modesta occupazione come addetto all'accettazione dell'Ospedale San Mungo e quindi, ogni volta, ne aveva di ogni da raccontare.
- Macché. Due vittime da Maledizione Oscura. Non ti dico il casino. Proprio mentre stavo smontando, accidenti.
E, finendo di sbottonarsi il pesante mantello nero, raccontò a Graham che, proprio mentre si recava allo stanzino degli impiegati per raccogliere le sue cose, una piccola delegazione proveniente da Hogwarts aveva fatto irruzione nell'atrio dell'Ospedale fra urla, strepiti e accorate invocazioni d'aiuto.
- Da Hogwarts? – Graham fece tanto d'occhi.
- Non ci crederai. All'inizio non sono riuscito a capirci un granché, perché Maggie aveva già preso il mio posto dietro al bancone. Poi, però, è saltato fuori che una delle vittime era quella brunetta che gioca nella squadra dei Grifoni, hai presente? Katie Bell.
- La ragazza di Baston? - chiese Graham, un po' nervoso. Quella Bell era molto amica di Leanne, per la Spocchia di Salazar.
- Proprio lei. Davvero niente male, quella b...
- E l'altra vittima, chi è? - l'interruppe bruscamente Graham, che cominciava ad avvertire un brutto presentimento.
- Una sua amica, non so come si chiami. Una Grifondoro della sua stessa classe, non lo so, non l'ho vista.
Graham rimase impietrito.
Le Grifondoro classe 1979 erano solo tre. Una era la Bell. L'altra, Eloise Midgen (ma la ragazza era capace di rendersi invisibile come la nebbia, quindi Graham, lì per lì, non la incluse nel conteggio). E l'altra... era Leanne.
Il ragazzo cacciò un urlo che terrorizzò i clienti del pub e saltò in piedi, rovesciando malamente il già traballante tavolino. Poi, agitando la bacchetta, si smaterializzò in tutta fretta, lanciando via il mozzicone. Il quale, per somma sventura, andò a cadere nel whisky incendiario che Flint (ritenendosi astuto) aveva afferrato al volo, facendolo esplodere.
"E mi ha anche lasciato il conto da pagare" pensò seccato l'ex-Capitano Serpeverde, rassegnato, grattandosi via la fuliggine dal viso.
 
*
 
Graham correva per i corridoi, con una mezza dozzina di medimaghi che, disperatamente attaccati al suo mantello, cercavano invano di trattenerlo. Lui se li trascinava dietro come fossero fili di paglia, limitandosi a lanciare un Protego di tanto in tanto, giusto per evitare che quelli riuscissero ad impastoiarlo.
Il ragazzo era fuori di sé. Non appena si era materializzato nell'atrio del San Mungo, aveva immediatamente individuato un cartello con su scritto "Reparto Lesioni da Maledizioni, Anatemi, Magia Oscura e Affini" e, senza consultare nessuno, si era messo a seguire le indicazioni. L'attendente (probabilmente si trattava di Maggie, la collega di Flint) aveva tentato di chiedergli che cosa volesse ma lui, che non era disposto a perdere tempo, l'aveva bellamente ignorata ed era partito dicorsa su per le scale. In breve, mezzo ospedale gli si era messo alle calcagna, nel vano tentativo di fermarlo.
"Oh, per Salazar, per Salazar il Saggio" pensava, mortalmente angosciato. "Fa' che lei... che Leanne... che non le sia successo niente di grave".
Ad un certo punto, gli si parò davanti agli occhi una porta, su cui c'era scritto semplicemente "Hogwarts".
Graham frenò bruscamente, con i poveri medimaghi che andavano a sbattergli contro, accatastandosi miseramente l'uno sull'altro. Senza pensarci due volte, il ragazzo afferrò la maniglia e aprì la porta, correndo il serio rischio di scardinarla. Trafelato, fece quindi irruzione nella stanza.
La vista che gli si parò davanti lo fece sprofondare nella disperazione. Un gruppetto di Guaritori si affaccendava intorno ad un letto bianco sul quale era stato adagiato un corpo, immobile e deturpato da orribili ferite. Proprio in quel momento, alcune infermiere con la cuffia inamidata si affrettavano a ritirare lunghe bende intrise di sangue. Gettata in un angolo della stanza, il ragazzo vide un'uniforme del Grifondoro piena di strappi e di macchie scure dall’aspetto sospetto.
Era una visione a dir poco raccapricciante.
- Leanne! No! - sbraitò Graham, gettandosi in avanti.
In quella, travolse impietosamente un paio di infermiere e un tavolino sul quale erano appoggiati flaconi e boccettini, che rovinarono a terra frantumandosi. Disturbato dal chiasso, un mago piuttosto anziano, probabilmente il Capoguaritore, alzò la testa infuriato e strepitò:
- Ma chi è questo pazzo? Fuori di qui!
- Io non vado da nessuna parte! - ringhiò lui, digrignando i denti con fare minaccioso.
- Chiamate la squadra degli Schiantatori! - strillò un'infermiera dall'espressione arcigna, osservando atterrita quel ragazzone che aveva tutta l'aria di volersi mettere a scagliare qua e là mobilia e personale medico.
Fortunatamente, proprio in quel momento la porta si aprì ed un piccolo gruppo di persone entrò nella stanza. Graham riconobbe immediatamente il professor Silente e la professoressa McGranitt; insieme a loro, c'erano una strega coi capelli scuri raccolti a crocchia ed un giovane mago col kilt. La vicepreside, sbigottita, squadrò il suo ex alunno, per poi apostrofarlo con la consueta severità.
- Signor Montague, che cosa diavolo sta facendo?
- Professoressa: Leanne... Leanne Kaplett... vogliono che me ne vada...
- Signor Montague, quella sul letto è la signorina Bell.
Graham rimase di sasso. Era entrato in quella stanza con tanta furia, che si era dimenticato di controllare di chi fosse il corpo sulla branda.
La strega e il giovane mago col kilt lo guardarono tristemente, addolorati.
- Oh. Mi dispiace... signora. Oh, per tutta la Casata Magica di Salazar Serpeverde...
- Graham.
La voce pacata del professor Silente lo richaimò all'attenzione.
- Leanne si trova nella stanza qui accanto. Sta bene; i medimaghi le hanno solo somministrato un sedativo per tenere sotto controllo lo shock.
- Quindi, lei non...
- No. Ma ha bisogno di qualcuno che le stia vicino. Vorresti essere così gentile da occupartene tu?
Il ragazzo, con un cenno deciso del capo, si precipitò fuori dalla stanza.
 
*
 
- Graham.
- Hmm.
La voce di Leanne sussurrava il suo nome rompendo il silenzio, subito assorbita dalla cortina di buio che li avvolgeva. Il ragazzo, sdraiato accanto a lei sulla minuscola branda, la teneva stretta a sé.
- Io non so niente.
- Non sai niente... di cosa?
- Non so niente di me. Della mia famiglia. Delle mie origini. Niente di niente. Io sono stata... allevata dai babbani.
La sua voce sommessa suonava esitante ma la ragazza, dopo una piccola pausa, continuò.
- Non so se i miei genitori erano un mago e una strega. Non so se erano babbani. Non so se sono vivi o se, al contrario, non ci sono più.
Leanne proseguiva a ruota libera, ormai; il suo respiro si era fatto affannoso e Graham se la sentiva tremare fra le braccia.
-Potrei essere... qualsiasi cosa. Capisci? Potrei essere una strega. Potrei essere una Nata Babbana... potrei essere quello che v-voi chiamate m-mezzosan...
- Taci.
- E se così fosse, capisco che p-per te... 
- Chiudi il becco, Leanne - la interruppe bruscamente lui, con un ringhio basso, per poi chiudersi nel mutismo più totale.
Graham rimase in silenzio per qualche tempo. Fino a quel momento, non aveva saputo collegare con esattezza tutti i pezzi che componevano il rompicapo, ma c'era arrivato vicino. Ed ora, la confessione della ragazza aveva finalmente sistemato i tasselli nella loro giusta collocazione. Ma, lungi dal risolvere le cose, queste novità sdoganavano interrogativi ancora più grandi. Il ragazzo si sentì attanagliare da un insopportabile senso di frustrazione e, quando parlò, lo fece seccamente, quasi con rabbia:
- Non me ne frega un cazzo di queste cose. Sono tutte stronzate.
- Ma...
- Zitta e dormi. Non è questo il momento di pensarci - le sussurò, stringendola con dolcezza. – Domani, con calma, mi racconti tutto quello che c'è da sapere.

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Capitolo 7
*** I gioielli di famiglia e altre questioni tutt'altro che irrilevanti. ***


7. I gioielli di famiglia e altre questioni tutt'altro che irrilevanti.
 
- Sono nata il 14 aprile 1979 in un luogo imprecisato. La data invece, la conosco con esattezza: quando mi portarono all'orfanatrofio, le persone che si trovavano con me dissero che avevo solo un giorno di vita. Er avvolta in una copertina di lana. Le suore se lo ricordano bene perché, quell'anno, la domenica di Pasqua cadde proprio il 15 aprile.
I due ragazzi sedevano a gambe incrociate sulla brandina (messa a dura prova dalla taglia di Graham), uno di fronte all'altra. Leanne, con una tazza di Caffelatte Corroborante stretta fra le mani, aveva appena cominciato a parlare. Lui l'ascoltava con attenzione. Moriva dalla voglia di seguire il racconto fumandosi una bella Hermes Senza Filtro, ma un'infermiera corpulenta e dall'aria intransigente che, entrando, l'aveva sorpreso nell'atto di aprire il pacchetto azzurrino, l'aveva seriamente minacciato di farlo sbattere fuori.
- Pare fossero in due – proseguì la ragazza. - Due donne. Una era bionda; l'altra aveva la pelle più scura. Rimasero a Capulet Drive per un paio di giorni e poi... se ne andarono.
- Una bionda e una bruna.
- È quanto mi hanno riferito.
- E tu pensi che la bionda... - cominciò Graham, alludendo ai capelli chiari di Leanne.
- ...potesse essere mia madre? Ci ho pensato anch'io. Tante volte. Ma francamente, non saprei.
- Continua.
- Non c'è molto da aggiungere, Graham – la ragazza scosse la testa. – Dissero solo che mi chiamavo Leanne. Non specificarono nessun cognome. “Kaplett” mi fu dato della direttrice di allora, Madre Gertrude. Pare si sia ispirata dalla toponomastica dell'Istituto. E, come avrai capito, non mi piace.
- Un nome è solo un nome. Non definisce l’essenza...
- In che senso?
- Beh, ma è evidente: l'Amortentia profumerebbe di... sapone bianco anche se si chiamasse, che ne so, Pimpinella Anisum.
Leanne lo squadrò facendo tanto d'occhi.
- Ma lo sapevi che c'è un dramma babbano in cui la protagonista dice più o meno quello che hai appena detto tu?
- Oddio, che rivelazione.
- Scemo. Ma dicevi del sapone bianco...
- Lascia perdere. Torniamo a noi. Due donne. Aprile 1979. Nient'altro?
- Purtroppo no. Madre Gertrude entrò in clausura due anni dopo il mio arrivo. Io non ebbi mai l'opportunità di farmi dire qualcosa di più. Tutte le notizie di cui dispongo sono di seconda mano, se non addirittura di terza.
- Capisco – sbuffò Graham, un po' deluso. - Effettivamente è poco, molto poco...
- Ah, che sciocca - aggiunse Leanne, dopo un attimo di riflessione. – Stavo per dimenticarmi di questa. Si sporse verso il comodino e afferrò la mollettina a forma di fenice con cui soleva tenere indietro i capelli.
Raffigurava una fenice in miniatura, con le ali aperte e la coda divisa in cinque lunghe penne, sulle cui punte erano stati incastonati piccoli rombi di Corallo di Fuoco. Era un oggetto delicato e dall'aspetto leggermente datato; Graham glielo aveva visto portare così tante volte che quasi non ci faceva più caso. A guardarlo bene, gli parve prezioso, ma non avrebbe saputo dire di quale metallo fosse fatto. Il colore era simile a quello dell'argento, ma di una tonalità più... calda. Graham lo rigirò fra le dita, pensoso. Sotto alla forcina (la parte che si fissava sui capelli), si scorgeva una sorta di minuscola incisione.
Proprio mentre cercava di capire di che cosa si trattasse, si accorse che la forcina era fatto di un metallo diverso da quello della piccola fenice. Aveva tutto l'aspetto di essere stato saldata in un secondo tempo.
- Questa molletta... – chiese allora, intrigato. – Ha sempre avuto questo aspetto?
Leanne lo guardò sorpresa
- No – gli rispose subito, aggrottando la fronte.
– Prima era una specie di ciondolo. Aveva un anellino, qui dietro, che poi si è spezzato perché io lo tiravo sempre. Sono stata io a trasformarla in una molletta per i capelli.
- C'è scritto qualcosa, qui sotto al fermaglio.
- “MM”.
- "MM”?
- Sì. Non so che cosa voglia dire.
- Ti dispiace se le do' un'occhiata?
- Non distruggermela, eh – lo pregò lei.
Sulle sue labbra passò l'ombra di un ironico sorriso. Graham le rivolse un'occhiata volutamente seccata, ma quel rapido lampo di allegria gli scaldò il cuore. Quella era Leanne, la sua Leanne, per Salazar.
Agitata delicatamente la bacchetta, pronunciò un rapido Relascio. Il fermaglio si staccò dal corpo della piccola fenice, rivelando esattamente quello che Leanne gli aveva già anticipato. Il rovescio dell'uccellino recava incise due minuscole M, strette l'una accanto all'altra.
- E la copertina in cui eri avvolta, ce l'hai ancora? – le domandò poi, incuriosito. – Potrebbe essere importante.
- Sì. È ad Hogwarts – rispose lei, infilando la molletta fra i capelli.
– Ma è solo una copertina di lana, non ha nulla di che.
 
*
 
Non ebbero il tempo di divagare oltre perché, improvvisamente, udirono un baccano infernale provenire dal corridoio. Allarmati, i due ragazzi balzarono in piedi e corsero fuori. Il ragazzo col kilt e la strega con la crocchia si sporgevano dalla stanza di Katie Bell e chiamavano aiuto mentre qualcuno, all'interno, faceva una scenata degna della stagione drammatica del Magiteatro Tragico.
- Carbry! – urlò Leanne, atterrita, rivolgendosi al giovane scozzese. – Ma che... che cosa...
- È appena arrivato Oliver... – rispose quello, affannato – L'ho portato qui io poco fa. Ma non pensavo... cioè, neanche la mamma ha...
Leanne si precipitò nella stanza.
- Kitty! Kitty!
Oliver Baston si chinava su Katie urlando come un pazzo e la chiamava, disperato.
- Oliver! – Leanne gli si avvicinò di corsa, cercando di tirarlo via.
Le ferite che segnavano il corpo di Katie non erano certo una vista adatta a qualcuno che si trovava così palesemente sull'orlo di una crisi di nervi. E oltretutto, con tutto quello scomposto agitarsi, Oliver rischiava seriamente di divellere le flebo e i tubicini di pozione che tenevano in vita la sua sventurata fidanzata. Il ragazzo, però, non voleva sentire ragioni; continuava a sbraitare, completamente fuori di sé (si udì distintamente l'anziano Capoguaritore che, passando in corridoio, commentava qualcosa del tipo: “Ma allora è un vizio! Dovrebbero impedirgli l'accesso, a gente così!”).
Leanne rischiò seriamente di beccarsi una gomitata in faccia; indietreggiando per schivare il colpo, poco ci mancò che la ragazza andasse a travolgere la teca di vetro sotto la quale i Guaritori, in attesa di effettuare ulteriori analisi, avevano sistemato la collana di opali maledette che aveva quasi ucciso Katie.
A quel punto, Graham decise di intervenire. Avvicinatosi ad Oliver, lo afferrò con fermezza per le spalle e lo trascinò via (missione tutt'altro che facile, perché neanche il Portiere del Puddlemere United era esattamente uno scricciolo). Lo tenne poi fermo, mentre quello cercava disperatamente di divincolarsi e tornare al capezzale di Katie. Graham lasciò che si dimenasse quanto voleva, per dargli modo di sfogarsi.
 In campo, lui e l'ex-Portiere del Grifondoro non si erano mai sopportati, ma in quel momento Graham si sentì sinceramente dispiaciuto per Baston. Poteva capirlo: lui stesso, il giorno prima, aveva provato lo stesso tipo di angoscia. Solo che lui, grazie a Salazar, era stato fortunato. 
- Cerca di darti una una calmata, Baston - gli suggerì quando lo lasciò  andare.
Non che si fosse aspettato un ringraziamento, beninteso. Tuttavia, quando Oliver si voltò verso di lui e lo riconobbe, reagì malissimo.
- Tu?! – gli disse, guardandolo incredulo. – Cosa cazzo ci fai tu, qui, Montague?!
- Oliver... – s'intromise Leanne, tentando di suonare conciliante. Ma Oliver non era in sé, non era in grado di controllarsi. In quel momento di tensione, tutta la vecchia rivalità fra le loro Case gli si riversò fuori come lava vulcanica particolarmente fluida.
- Non l'hai già malmenata abbastanza dentro al campo, durante le partite? Sei venuto a finire il lavoro? – lo aggredì, ringhiando. Evidentemente, non gli perdonava i troppo numerosi falli commessi su Katie nel corso degli anni.
- Baston – cominciò lui, sforzandosi di mantenere la calma.
- Fuori di qui, Serpeverde di merda! – urlò quello, facendoglisi sotto e sguainando la bacchetta. – E non ti azzardare mai più a rimettere piede in questa stanza!
- Bada a come parli, coglione di un Grifondoro! – rispose Graham, sfoderando a sua volta la bacchetta. Cominciava ad incazzarsi sul serio (nessuno insultava impunemente la Casa di Salazar, grande o piccolo che fosse); strinse gli occhi, minaccioso, e si fece avanti fronteggiando Oliver.
La mamma di Katie osservava la scena a bocca aperta, con un'espressione a dir poco scandalizzata. Leanne era impietrita. Non aveva mai visto Oliver comportarsi così. Non lo riconosceva, e il suo comportamento (per quanto minimamente comprensibile, date le circostanze) aveva avuto il potere di folgorarla. Si era aspettata reazioni avverse alla loro nascente relazione, ovviamente. I Serpeverde più radicali non le avrebbero certo perdonato l'incertezza del suo stato di sangue. Ma, fino ad allora, non aveva mai immaginato che i pregiudizi potessero provenire anche da parte dei suoi, di amici.
- Fianto Duri!
Una forma opalescente si allargò, improvvisa e provvidenziale, all' interno della stanza. Carbry Bell aveva creato una bolla protettiva intorno al letto della sorella.
- Adesso basta! - urlò, furioso. - Uscite immediatamente di qui, tutti e due!
Leanne prese Graham per un braccio e tentò di tirarlo via.
– Andiamo.
Mentre uscivano dalla stanza, Oliver rivolse all'ex-Cacciatore Serpeverde un'occhiata di profondo disprezzo.
- E portati via quella cazzo di magia oscura che  rasuda da ogni dannato poro della tua stramaledettissima casa!... - ringhiò, col fiato corto, per poi voltare loro le spalle.
 
*
 
- Non l'ho mai visto comportarsi così, te lo giuro.
- E se ti dicessi che me ne sbatto?
- Sei il solito insensibile.
- Al contrario. Se non gli ho fatto il mazzo, è proprio perché sono sensibile e, in parte, lo giustifico.
- Ma quanto sei magnanimo! - lo schernì Leanne.
Voleva proprio vederlo, Graham, a fare il mazzo ad uno come Oliver Baston.
Oliver era alto e ben piantato quasi quanto lui, ed era sempre in forma; come mago, era molto capace e, per di più, poteva contare su di un surplus protettivo offerto dai simboli magici celtici e runici che aveva tatuato addosso nel corso degli anni. Subito dopo, però, divertita dalla consueta espressione upponente del ragazzo, Leanne gli sorrise, scuotendo la testa. Non c'era nulla da fare: oramai amava la sua spocchia daSerpeverde; e su questo, Graham Montague non si smentiva mai. Faceva parte di lui.
I due si trovavano in piedi davanti ai cancelli di Hogwarts.
Tutt'intorno a loro, il paesaggio innevato ricordava un presepio ricoperto di glassa e, nonostante fosse solo metà ottobre, lo strato di fiocchi era già bello alto. Il giorno prima, il professor Silente aveva pregato Graham di riaccompagnare Leanne a scuola e lui, chiaramente, era stato ben lieto di accontentarlo ("Non ti faranno storie, in banca ?" "Ma che cazzo me ne frega!). Per permettere loro di raggiungere Hogwarts, il Preside aveva predisposto una Passaporta (un vecchio vaso da notte di stagno, che il ragazzo aveva inizialmente guardato con ribrezzo), dato che nessuno dei due era ancora in grado di smaterializzarsi su distanze così lunghe.
- Oltretutto, in quel momento ero impegnato ad osservare un'altra cosa - aggiunse Graham, pensoso.
- E sarebbe?
- La tua molletta. La Fenice.
Leanne lo guardò stupita. Ricordava solo di averla infilata fra i capelli mentre si fiondava nella stanza di Katie. Nulla di eccezionale.
- Che cos'ha la mia molletta?
- Ad un certo punto, si è illuminata ed è diventata azzurrina.
- È diventata azzurrina?! – Leanne era bigottita.
Graham la guardò fisso. Era davvero carina, con quell'espressione così confusa. Facendo bene attenzione a scegliere le parole giuste, sganciò la bomba:
- Senti... ti è mai venuto il sospetto che possa essere un oggetto... dotato di proprietà magiche?
Lei si strinse nelle spalle.
- Le fenici compaiono molto raramente nell'iconografia babbana, per cui sì , qualche volta ho pensato a questa possibilità. Però, per dire il vero... la mia molletta non ha mai dato segni magia.
- Fino ad oggi.
- Se è davvero andata come dici.
- Esatto.
- Ma cosa potrebbe aver provocato il cambio di colore?
- Non ne ho idea. È stato un cambiamento veloce; dopo pochi secondi, era tornata normale.
- Io non ho mai notato...
- Credo dovremmo investigare.
- Io fino alle vacanze di Natale non posso muovermi da scuola, lo sai.
- E allora, che Natale sia - decretò Graham, serio.
Poi, si sentì un pochino in colpa. "Quello che voi chiamate mezzosangue" gli aveva detto Leanne la notte precedente. E lui le aveva risposto che erano tutte stronzate. Ma allora, perché la possibilità che la piccola fenice fosse un oggetto magico aveva destato così tanto il suo interesse? Avrebbe dovuto fregarsene. Aveva superato da un pezzo l'increscioso periodo della Squadra d'Inquisizione: ne era certo. Eppure, l'ipotesi che Leanne potesse essere figlia di maghi non smetteva di stuzzicarlo. "Certe baggianate sono dure a morire" si disse tristemente, un po' deluso da se stesso.
- Graham.
Era giunto il momento di salutarsi.
Leanne gli si avvicinò e infilò le braccia dentro al suo mantello. Abbracciandolo forte, lo ringrazò di essersi preso cura di lei. Questo semplice gesto lo rasserenò, facendogli dimenticare all'istante tutti i suoi crucci e le inopportune riflessioni di poco prima.
- Dovere - le rispose, chinandosi un poco e stringendola a sua volta.
- Fai la brava, bricconcella. Niente bellimbusti Corvonero fra le balle, intesi?
- Signorsì, signor Capitano! - sorrise lei con fare canzonatorio, fingendo di scattare sull'attenti. Lui stette al gioco e, guardandola con cipiglio, annuì tutto serio, con fare di approvazione.
 - E vedi di rispondere ai miei gufi. Non farmi incazzare, ok?
Per tutta risposta, Leanne lo guardò negli occhi e allungò la mano per accarezzargli la guancia. Poi si alzò sulle punte dei piedi e, fatte scivolare le braccia intorno al suo collo, avvicinò il viso al suo per baciarlo con dolcezza, premurandosi di assaporare lentamente quel suo gustoso aroma di tabacco, tanto a lungo desiderato.
 
*
 
Mezz'ora dopo, videro uno spazientito e sbuffante Gazza che scendeva urlando lungo il viale, seguito a ruota da Mrs. Purr. La povera gatta arrancava nella neve, con un'espressione assassina dipinta negli occhi di brace.
- La vogliamo finire, voi due?? Subito dentro, signorina Kaplett!
- Si chiama Leanne, Mastro Gazza - bofonchiò Graham, mollando a malincuore la presa.
- Oh, signor Montague. Non l'avevo riconosciuta. Come va l'eccellentissima famiglia?
Graham lo ignorò.
Rimase fermo per qualche minuto, osservando Leanne che, ridendo, si precipitava di corsa su per il viale innevato. Poi, con un certo disgusto, riprese in mano il vecchio vaso da notte che lo avrebbe riportato a Londra.
 
Alcune cosette:
1) La frase di Graham sull’Amortentia (poco azzeccata, peraltro, visto che questo Filtro cambia di aroma a seconda di chi lo annusa) è una libera citazione della frase di Giulietta [Atto II, Scena II]: Che cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo. Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d'avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome?

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Capitolo 8
*** L’habitat naturale delle Fenici è... ***


8. L’habitat naturale delle Fenici è...


[Stralcio di esame di specializzazione in Cura delle Creature Magiche, livello M.A.G.O.]
Come habitat naturale, le Fenici allo stato brado prediligono:
(    ) L’acqua.
(    ) La terra.
(    ) L'aria.
( X) Il fuoco.

 
E ottobre passò in un lampo.
E così novembre, per non parlare delle prime settimane di dicembre.
Leanne, tanto per cercare di fare qualcosa di utile, aveva chiesto alla professoressa McGranitt e al professor Vitious di dare un’occhiata alla sua piccola fenice; la cosa, però, non aveva sortito alcun risultato. Entrambi avevano concordato sul fatto che non sembrava trattarsi d’argento, ma non erano stati in grado di dire nulla di più. A lei sarebbe piaciuto interpellare anche il professor Silente ma, purtroppo, questo non le fu possibile perché il Preside, in quegli ultimi mesi del 1996, si trovava spesso in viaggio, lontano da Hogwarts.
In una delle lettere che aveva spedito a Graham, la ragazza l’aveva informato circa l’insuccesso dei suoi tentativi. Nel gufo successivo, lui si era limitato a rispondere:
“Ho già in mente come procedere a riguardo, ma preferisco non anticiparti niente. Tu, nel frattempo, fatti trovare a King’s Cross il 22 dicembre. Ti vengo a prendere io”.
 
*
 
E così Leanne, un po’ esitante, si era recata ad Hogsmeade ed era salita a bordo del treno per Londra.
Era la prima volta che lasciava Hogwarts per Natale. Ed era la prima volta che avrebbe trovato qualcuno ad aspettarla alla stazione. La professoressa McGranitt si era un po’ sorpresa quando aveva notato che il suo nome non figurava nella lista di coloro che sarebbero rimasti a scuola durante le vacanze ma, dato che Leanne era maggiorenne, non trovò nulla da obiettare.
Durante il viaggio, la ragazza tentò di rilassarsi chiaccherando con la sua amica Eloise, anch’essa di ritorno per trascorrere le Feste a Cardiff col padre. Ma concentrarsi era molto, molto difficile.
Man mano che l’Espresso di Hogwarts si avvicinava a Londra, Leanne sentiva crescere l’agitazione. Non solo perché, in breve, avrebbe rivisto Graham, ma anche perché i due avevano stabilito che, durante le vacanze, si sarebbero dedicati alla questione della molletta. Graham le aveva fatto sapere di avere un piano, ma non si era scucito oltre. Leanne moriva di curiosità.
Fu con un certo qual sollievo, quindi, che sentì il treno decelerare e, alla fine, fermarsi accanto alla piattaforma del binario 9 e ¾.
La ragazza aspettò che il convoglio si fosse completamente arrestato; poi, si avviò verso la porta della carrozza. Una volta a terra salutò Eloise, che si diresse verso la fila di camini collegati alla metropolvere, e si avviò verso l'uscita della stazione. 
Graham le aveva detto che l'avrebbe aspettata vicino alla barriera; Leanne sporse la testa per cercare di individuarlo fra la piccola folla di studenti. E infatti, eccolo là, in piedi vicino al muro in capo al binario, proprio come aveva promesso.
Gli corse incontro allegramente, trascinandosi dietro una piccola borsa nella quale aveva riposto le sue cose per le vacanze (trattandosi di sole due settimane, non c'era certo bisogno di fare il baule); lui le sorrise, quando la vide, e mosse qualche passo verso di lei.
Leanne avrebbe ricordato quell'abbraccio per molto tempo.
C'erano tanta nostalgia in quel gesto, tanta spontaneità, tanta voglia di rivedersi; soprattutto, però, quello stringersi l'uno all'altra nel bel mezzo della folla vociante esprimeva la felicità che loro due provavano nel trovarsi nuovamente insieme.
Tuttavia, mentre si staccavano lentamente, per guardardi e sorridersi, furono interrotti da una voce che chiedeva:
- Questo tizio ti sta importunando, Leanne?
Lei si voltò e si trovò davanti Cormac McLaggen.
Di solito, in occasione delle vacanze di Natale, il ragazzo raggiungeva casa sua direttamente dalla scuola (il regolamento prevedeva che gli studenti provenienti dal Nord non avessero l'obbligo di recarsi fino a Londra); quell'anno, però, McLaggen si era imbarcato sull'Espresso di Hogwarts per andare al San Mungo a trovare Katie, che era una sua cara amica d'infanzia.
Leanne si accorse che il ragazzo guardava Graham con diffidenza; e il Serpeverde, dal canto suo, aveva già cominciato ad assottigliare gli occhi e a ricambiare lo sguardo con aria strafottente, il che non era assolutamente un buon segno.
A Leanne, McLaggen non era mai stato molto simpatico (e, oltretutto, sentirgli chiedere se qualcuno le stava dando fastidio era quantomeno bizzarro, visto il soggetto, che viveva importunando le ragazze), ma voleva evitare a tutti i costi che quei due si accapigliassero in piena King's Cross, richiamando indebitamente l'attenzione.
- No... no, McLaggen, va tutto bene. Tranquillo - si affrettò a rispondere, per poi afferrare Graham per un braccio e trascinarlo via attraverso la barriera.
Mentre uscivano dalla stazione, Leanne non poté fare a meno di pensare che, una volta di più, ad essere prevenuta nei confronti di Graham era stata una persona che faceva parte della sua schiera (per quanto lei e Cormac non fossero esattamente amici), e non il contrario.
- Dove andiamo? - buttò lì, tanto per alleggerire la tensione.
- A casa mia.
Leanne lo guardò, spalancando gli occhi.
- Vuoi dire... dove vive la tua famiglia?! - gli chiese, un po' preoccupata all'idea di trovarsi al cospetto dei signori Montague, così, senza alcun preavviso.
- Sì. Ma non ti agitare. I miei genitori sono andati in vacanza in Angola - rispose lui, con noncuranza. - Avremo la villa tutta per noi.
- Non c'è nessuno, quindi? - domandò lei, leggermente sollevata.
- No. Beh, ci sono gli elfi domestici di mio padre. Ma, per ora, ho proibito loro di parlare di te.
- Ah, quand'è così...
 
*
 
La villa dei Montague - un'enorme e lussuosa residenza risalente al periodo vittoriano - si trovava sulla collina di Greenwich, immersa nel parco omonimo, proprio accanto al famoso osservatorio astronomico. I babbani non potevano vederla perché era protetta da una serie di potentissimi incantesimi repelli-babbani, ma Leanne, man mano che risalivano lungo il viale, l'avvistò immediatamente. Graham aveva insistito perché vi si recassero in metropolitana, tanto per avere la scusa di strapazzarla un po' (cosa che, a lei, non era dispiaciuta affatto).
Quella sera, seduti sul morbido e peloso tappeto della sala grande davanti al camino scoppiettante, i due ragazzi misero a punto un piano per l’indomani.
Prima di tutto, sarebbero andati al San Mungo per vedere come stava Katie. Dopo la visita, avrebbero raggiunto il luogo scelto da Graham per dare inizio alle investigazioni (lui, per il momento, si era categoricamente rifiutato di svelare a Leanne che cosa avesse in mente).
Ogni tanto, anticipati da un secco crack, facevano la loro comparsa nel salone gli elfi domestici al servizio di casa. Al suo arrivo in compagnia di Graham, Leanne li aveva trovati nell’atrio della Villa, schierati in fila e vestiti in pompa magna (ossia, con strofinacci scrupolosamente candeggiati e inamidati per l’occasione). La ragazza ne aveva contati ben cinque ma Graham, con estrema noncuranza, l’aveva informata che sua sorella, dopo il matrimonio, si era portata via i suoi due, e che gli altri sei si trovavano in vacanza al seguito di sua madre (“Non muove un passo senza i suoi preziosi servitori, quella”). I rimanenti appartenevano al signor Montague, tranne uno, Brisby, che era stato assegnato a Graham.
Probabilmente, Leanne aveva fatto loro una buona impressione, perché quelli continuavano a comparire e scomparire, fra sorrisi e riverenze, cercando di farle assaggiare l'ennesima fetta di torta ai mirtilli. Il che era un po' un problema, perché i due ragazzi, dopo aver stabilito i programmi per il giorno successivo, si stavano metodicamente dedicando al recupero del tempo perduto, baciandosi con molto entusiasmo davanti al camino. E quelle continue interruzioni, di certo, non giovavano minimamente al clima romantico della serata.
Alla fine, Graham si scocciò a tal punto di tutto quell'indiscreto via vai che, digrignando i denti, intimò agli elfi di levarsi di torno.
- Ma poverini - commentò Leanne, contrariata da tanta malagrazia.
- Poverino sono io - rispose lui, mettendo su un inquietante sorriso da lupo - che non posso neanche starmene un po' in santa pace con la mia ragazza.
A Leanne piacque molto sentirsi definire così. Aveva un che di affettuosamente ufficiale che le scaldò il cuore. Sorridendo, scivolò fra le gambe piegate del ragazzo e lo abbracciò, accostando il naso al suo collo e facendolo rabbrividire con il tocco leggero del suo respiro.
Per Graham, controllarsi divenne una missione impossibile.
Leanne era il suo pensiero fisso da... da quanto tempo, ormai? Non lo sapeva esattamente neanche lui ma, di certo, gli si era insinuata nella testa fin dai tempi dell'infermeria. E poi c'era stata l'estate, e poi il modo in cui si erano salutati ad ottobre, quando le cose fra di loro erano state definitivamente chiarite, e poi i baci che si erano scambiati poco prima... Ed ora, averla lì fra le mani, Leanne, la sua dolce ossessione; no: per un tipo naturalmente esplosivo come lui, resistere alla tentazione era qualcosa di assolutamente intollerabile.
Mandando all’aria i suoi buoni propositi, allungò le braccia e la catturò  in una stretta solida come l'acciaio; poi, chinatosi, cominciò a baciarle lentamente il collo. A quel contatto, la sentì fremere di piacere; tuttavia, dopo poco, la ragazza scattò indietro.
- Graham – sospirò Leanne, un po' a disagio. – Potrebbe... potrebbe arrivare qualcuno...
- Ho ordinato a chiare lettere  a Brisby di presentarsi se, e solo se esplicitamente interpellato...
Crack.
- Ha chiamato, padroncino Craig?
- NO! Ma per la miseria, Brisby!
- Ah... pensavo di dover andare a preparare la stanza della signorina...
- La signorina dorme con me, va bene?! - ruggì Graham, imbestialito - Ed ora, fuori di qui!
L'elfo domestico si smaterializzò, un po' imbarazzato.
Graham si voltò nuovamente verso Leanne.
- Dove eravamo rimasti?
- Ehi, tu. Cosa ti fa pensare che io... - finse di ammonirlo lei, puntandogli contro la bacchetta con fare accigliato.
Lui le si avvicinò lentamente, guardandola fisso.
- Non costringermi a disarmarti - la provocò, per poi sussurrare al suo orecchio una breve sequenza di paroline meravigliosamente magiche. Di quelle che, Leanne ne era sicura, sarebbero state in grado di far aprire anche una camera blindata della Gringott.
Figuriamoci la cerniera di una felpa.
 
*
 
[Conversazione al buio].
- Perché non me lo hai detto?
- Detto cosa?
- Guarda che me ne sono accorto. Non sono uno stupido.
- È che... non credo siano affari tuoi.
- Vorrai scherzare?!...
- Assolutamente no.
[Silenzio].
- Io avevo pensato che, con Davies...
- Ma neanche per idea!
- Ma lui, non ha mai...?
- Certo. Ma io gli ho sempre detto di no.
- E quindi...
- Ma che differenza fa?!
- Una differenza enorme. È ovvio.
- Non vedo in cosa.
[Silenzio].
- Magari, se lo avessi saputo...
- Non sarebbe cambiato niente.
- E invece sì. Avrei potuto essere più... delicato, per esempio.
- Delicato, tu?! Ma fammi il piacere, Graham!
[Silenzio].
- Leanne.
- Hmm.
- Hai il romanticismo di un Platano Picchiatore, lo sai?
- Che palle, Graham...
[Silenzio].
- Graham.
- Dimmi.
- È che... stavo solo aspettando la persona giusta. Tutto qui.
[Risata bassa, inequivocabilmente compiaciuta].
- Cosa ridi?!
- Ah, beh. Modestia a parte, non potevi finire in mani migliori.
- Ma piantala! Oh, per Godric, quanto te la meni!
- Osi dubitare? Vieni qui, che ti rinfresco la memoria.
 
*
 
E, com'era prevedibile, tutti i loro piani per l'indomani andarono a farsi benedire. E anche quelli per il dopodomani. E anche quelli per il giorno ancora successivo.
 
Leanne non riusciva a smettere di chiederselo: era dunque quella, la gioia?
Rotolarsi fra lenzuola di seta (verde) con il più giovane membro di una tradizionalissima famiglia purosangue, in una stanza con pareti (verdi) ricoperte da stendardi col serpente d'argento (per Godric!) e manifesti truculenti dei Falmouth Falcons?
Amarsi così, anima e corpo, in maniera quasi disperata, instancabilmente, per cercare di sopravvivere al desiderio dirompente che li incatenava l'uno all'altra e che, da troppo tempo, covava sotto le ceneri?
Era troppo inverosimile, era troppo difficile crederci. Era troppo bello per essere vero.
E quando il dubbio si manifestava con troppa insistenza, ci pensava Graham, con i suoi perfidi trucchetti da serpe (maledettamente competente, accidenti a lui), a riportarla alla realtà. Il che significava, di solito, tornare immediatamente a smarrirsi fra le spire quasi oniriche di un piacere delirante.
Arrogante, impulsivo e scandalosamente pigro (cosa di cui, peraltro, si vantava assai), Graham adorava starsene disteso sul letto, a fumare con indolenza; nel frattempo, osservava Leanne con gli occhi socchiusi e l'espressione di un falcone che ha appena addocchiato una candida colomba. Lei, curiosa, girava per la stanza ficcando il naso qua e là, infilata in una di quelle camicie verdi troppo grandi (che, quasi sempre, le arrivavano a metà coscia), con lui che non le toglieva gli occhi di dosso. 
Quando si stancava di curiosare, lo raggiungeva e gli si sedeva vicino; ogni tanto, al puro scopo di indispettirlo, gli rubava di mano la Hermes e dava un rapido tiro.
E lui le rivolgeva un'occhiata impertinente, cercando di sbirciare fra i lembi della camicia semiaperta, e ridacchiava piano, pieno di intenzioni splendidamente cattive. Immancabilmente, le labbra di Leanne che si stringevano intorno alla sigaretta, altresì accarezzata dalle sue dita sottili, lo risvegliavano dal suo torpore, come ceneri ancora accese improvvisamente attizzate dalla brezza.
E allora si tirava su, le afferrava i polsi e la rovesciava sul letto; con la consueta insolenza, senza farsi troppi riguardi, le faceva scivolare via la camicia, per poi sporgersi in avanti e sussurrarle subdolamente all'orecchio ciò che aveva intenzione di farle. E Leanne buttava indietro la testa soffocando un grido e una risata, sommamente intrigata dall'affascinante paradosso che, a dispetto degli ammonimenti dispensati a piene mani dalle suore dell'orfanatrofio, vedeva le gioie del Paradiso indissolubilmente legate a pratiche inequivocabilmente degne del Secondo Cerchio dell’Inferno.
Graham, volitivo per natura, prediligeva condurre il gioco, ma amava oltremodo quando le cose gli sfuggivano di mano. Sotto alle sue dita, Leanne era rovente come la fiamma viva e sensibile come una scintilla costantemente innescata: una vera Grifondoro dalla sensualità esplosiva. Era sufficiente soffiare piano sulle sue braci assopite per farla divampare all'istante. 
E lui... beh. Aveva sempre adorato giocare con il fuoco.
Così come, in vita sua, aveva sempre avuto fame; era la sua corporatura ad imporglielo.
La fame che provava ora, però, era di un tipo molto, molto specifico.
Aveva fame di Leanne; fame della sua prorompente vitalià e della sua allegria contagiosa, fame della sua intelligenza sottile e della sua commovente generosità, fame del suo amore e sì, fame di quel corpo sottile per il quale andava matto, e che lui divorava, affannato, con gli occhi, con le labbra, con le mani e, chiaro, con tutto il resto, senza stancarsene mai.

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Capitolo 9
*** Arcane reliquie, metalli elfici e velli magici. ***


9. Arcane reliquie, metalli elfici e velli magici.
 
- Ok. Ora di ripigliarsi. 
- Giusto. 
- Prima , però, una domanda cruciale. 
- Spara. 
- Però devi rispondermi con sincerità. 
- Ma certo. 
- Promesso? 
- Eddài, Graham... 
- A te interessa davvero andare a fondo con questa storia? 
- Beh... ma è evidente. Perché me lo chiedi? 
- Non vorrei che lo stessi facendo... per me. 
Leanne rimase in silenzio per qualche secondo.
- Beh. Un po' è così, non te lo posso negare. Ma sinceramente, lo faccio soprattutto per me. 
- Perché lo sai, vero, che per me sono tutte stronzate? Che io...
- Che tu, cosa?
- Beh, sì. Insomma. Hai capito, no?
Lei gli sorrise con dolcezza. Graham doveva sempre fare il duro, non ce la faceva proprio a dire certe cose. In fondo, l'importante era che le pensasse. A lei, andava più che bene così.
 
*
 
La prima tappa della giornata, come concordato, fu l'Ospedale San Mungo. Mentre si avvicinavano alla stanza occupata da Katie, Leanne si sentì in parte in colpa, per non essere riuscira a passata prima, e in parte in ansia, al pensiero di un ipotetico scontro fra Graham e Oliver.
Fu con un certo sollievo, quindi, che al capezzale della sua amica trovò la signora Bell, che li accolse con un sorriso. Oliver, che aveva fatto la notte, era tornato a casa per farsi una doccia e dormire un po'. Quando Leanne chiese di lui, Carbry Bell (che nel frattempo li aveva raggiunti tenendo fra le mani due tazze di tè di cardo, che poi aveva moltiplicato con un colpo di bacchetta) le raccontò che Oliver aveva preso un periodo di aspettativa e che, ormai da mesi, non faceva ritorno allo stadio del Puddlemere United, né per giocare, né per allenarsi.
Per Leanne, la notizia fu motivo di grande tristezza. Conosceva Oliver da molti anni e sapeva che, per lui, non giocare a Quidditch voleva dire rinunciare ad un pezzo di se stesso; la decisione del ragazzo la commosse molto, perché in essa lesse tutto il disperato attaccamento dell'ex- Capitano del Grifondoro nei confronti di Katie, le cui condizioni, purtroppo, non miglioravano di una virgola. I Guaritori vevano sottoposto la collana di opali ad una gran quantità di stimoli e reagenti, ma non erano riusciti a risalire al tipo di magia oscura che l’aveva quasi uccisa. In assenza di ulteriori elementi, preferivano quindi mantenere la prognosi riservata.
Mentre Leanne si tratteneva per scambiare due chiacchiere con la signora Bell, Graham se n'era rimasto in disparte, in paziente attesa. Si sentiva un po' a disagio in quella stanza fredda e triste, soprattutto perché, proprio come gli aveva rinfacciato Oliver la volta in cui erano quasi venuti allo Schiantesimo, la ragazza costretta a letto era stata tante volte una sua diretta avversaria e lui, doveva ammetterlo, ci era sempre andato giù piuttosto pesante con lei. Nulla, in quella sconosciuta distesa sulla branda, gli ricordava Katie Bell, quella spavalda scozzese che zigzagava qua e là, frangetta al vento e, infischiandosene del sangue dal naso, gli rubava la Pluffa, facendolo imbestialire. L'ambiente sterile ed eccessivamente algido del San Mungo lo fece ripensare ai troppi mesi che aveva trascorso nell'infermeria di Hogwarts, incapace di muovere anche solo un misero dito. Se non fosse stato per Leanne... beh, lo sconforto avrebbe avuto la meglio su di lui. Tutti quei ricordi amari gli misero addosso un'angoscia profonda e gli fecero venire una voglia irrefrenabile di precipitarsi fuori.
- Io scendo. Tu fai pure con calma – disse infine a Leanne. – Ti aspetto di sotto. Arrivederci, signora.
- Vai giù a fumare? – gli chiese Carbry, addocchiando il pacchetto di Hermes, che lui aveva estratto dalla tasca interna del mantello. – Ti accompagno.
In piedi davanti all'entrata del San Mungo, i due ragazzi chiacchierarono per una decina di minuti, soffiando fuori nuvolette di fumo che si condensavano immediatamente nell'aria gelida. Graham, all'inizio, si stupì del fatto che Carbry non lo trattasse con diffidenza, come avevano fatto fino a quel momento i conoscenti di Leanne. Dopo poco, però, scoprì che al fratello di Katie Bell non interessavano minimamente le scaramucce fra Case rivali. Non quelle di Hogwarts, almeno. Carbry aveva studiato ad Ilvermorny, negli Stati Uniti, dove era stato smistato nella Casa del Wampus.
- Ho sentito dire che gliele hai suonate spesso, a Katie – gli disse, guardandolo di sottecchi.
- Questioni di tattica di gioco, niente di personale. – borbottò lui, leggermente imbarazzato.
- Hai fatto bene – sorrise Carbry, accompagnando l'esclamazione con un colpo di tosse piuttosto cavernosa. – Quella piccola sfrontata ogni tanto farebbe uscire dai gangheri anche un Magimonaco del Tibet.
 
*
 
- Ed ora, seconda tappa – esordì Graham una volta che Leanne lo ebbe raggiunto. Salutato Carbry con una stretta di mano, il ragazzo si avviò lungo Diagon Alley, seguito da lei che, ormai, aveva rinunciato a chiedergli dove fossero diretti. Dopo qualche centinaio di metri, Graham svoltò a destra e imboccò un vicolo stretto e scuro. Era ancora pieno giorno, ma la sensazione era di trovarsi in un ambiente crepuscolare.
Un cartello vetusto e arrugginito confermò i suoi sospetti: Notturn Alley.
Era la prima volta che Leanne ci metteva piede e ciò che vide non le piacque affatto, ma siccome si fidava di Graham, lo afferrò per un braccio e lo affiancò senza fare commenti. Le poche persone nelle quali si imbatterono lungo il percorso avevano facce tutt'altro che raccomandabili. In un paio di occasioni, le parve di scorgere in lontananza figure inquietanti che si smaterializzavano dentro ad inequivocabili sbuffi di fumo nero.
"Mangiamorte" pensò, terrorizzata, stringendosi al fianco del ragazzo.
Graham camminava a passo deciso, con un'aria minacciosa dipinta sul volto, facendo valere la sua taglia fuori dal comune e lasciando volutamente in bella vista un piccolo scudo della famiglia Montague appuntato sul suo mantello. Finalmente, si fermò davanti ad una vertina impolverata, infestata di ragnatele. Sull'insegna del negozio, Leanne lesse: “Magie Sinister”. Graham spinse la porta ed entrò, subito seguito da lei, che non aveva alcuna intenzione di restarsene là fuori da sola.
- La molletta, Leanne. Guarda! – le disse subito lui, non appena furono entrati. Lei si affrettò a sfilarsela dai capelli e, quando la guardò, non potè fare a meno di contrarre le dita per la sorpresa. La piccola fenice si era illuminata e brillava di un tenue bagliore azzurrino nell'oscurità del negozio. Leanne l'osservò a bocca aperta, incantata. 
- Ha cominciato ad illuminarsi non appena abbiamo fatto ingresso a Notturn Alley - le rivelò Graham, aggrottando la fronte. – Ora, il bagliore è più intenso. Quella volta al San Mungo, invece, era proprio azzurra.
Nel frattempo, un vecchio mago dall'aria arcigna era comparso dietro il bancone, squadrandoli sospettoso. Poco dopo, però, riconoscendo il blasone della casata di Graham, assunse un'aria untuosa e li apostrofò con un sorriso inquietante.
- Signor... Montague, mi sembra di capire – disse rivolto a Graham, che lo squadrò con alterigia. – In cosa posso esserle utile? 
Il ragazzo prese la piccola fenice dalle mani di Leanne e la posò sul bancone. 
- Che cosa ci sa dire di questa, signor Sinister? 
Il vecchio mago osservò attentamente l'oggetto, facendolo lentamente levitare con la bacchetta. Dopo un paio di minuti, pronunciò il suo verdetto. 
- Mithril.
Il due ragazzi lo guardarono senza capire.
- Metallo forgiato dagli elfi del Nord – spiegò Sinister, che continuava a guardare il gioiello, come ipnotizzato. – Estremamente raro.
- E inequivocabilmente magico – mormorò Graham, socchiudendo gli occhi.
- Senz'ombra di dubbio – convenne Sinister. 
- Ci saprebbe dire qualcos'altro a riguardo? – domandò Leanne, col cuore che le batteva forte nel petto. 
- Il mithril si illumina in presenza di fonti di magia oscura – rispose il vecchio, dopo averla squadrata per qualche secondo.
- La collana di opali! – sbottò Graham, menando un pugno sul bancone. – La fenice si è illuminata quando tu, per evitare la gomitata di Baston, sei quasi andata a sbattere contro alla teca! – aggiunse rivolgendosi a Leanne, che lo guardava a bocca aperta. 
Parve loro che, all'udire la frase di Graham, il signor Sinister si fosse fatto attento. Subito dopo, però, il vecchio assunse un' espressione di bramosa cupidigia. 
- La compro. 
- Non è in vendita. 
- Offro qualsiasi cifra. 
- Glielo ripeto: non è in vendita. 
- Non vorreste dare un'occhiata in negozio? Magari, una permuta...
In quel momento, un tonfo sordo attirò la loro attenzione. Leanne si voltò verso la fonte del rumore, per poi accorgersi che Graham stava guardando qualcosa con gli occhi sbarrati. Seguendo la traiettoria del suo sguardo, individuò un mobile di legno scuro, di forma triangolare, riccamente intagliato.
- Quello... quello – disse il ragazzo con voce strozzata, indietreggiando di qualche passo. Sembrava terrorizzato.
- È un Armadio Svanitore – disse precipitosamente Sinister. – Ma purtroppo  non funziona. 
- Non... no! – urlò Graham, retrocedendo di scatto e andando a travolgere un appendiabiti gremito di vecchie pelli di bestie ignote, che si schiantò al suolo con un clangore agghiacciante. Con un paio di falcate, raggiunse la porta e si precipitò fuori. 
- Graham!
Leanne raccolse in fretta la molletta dal bancone e gli corse dietro, richiamandolo a gran voce.
 
*
 
Tremava e balbettava. 
Non sembrava più lui. Era davvero spaventato. Anzi, no: la parola giusta era atterrito. Graham Montague era letteralmente atterrito.
Al mattino, la visita al San Mungo e i ricordi dell'infermeria. Ed ora, trovarsi davanti una copia esatta di quell'oggetto infernale che, per settimane, l' aveva tenuto intrappolato nel buio. Leanne l'aveva trascinato per tutta Diagon Alley fino al Grand Hotel Georgiano e aveva supplicato il signor Hollein, subito accorso, di poter usare uno dei camini dell'altrio per riportarlo a villa Montague via Metropolvere.
Una volta al sicuro fra le mura di casa, l'aveva fatto sedere su una delle tante sedie della sala da pranzo e gli si era messa davanti, in piedi, stringendogli le braccia intorno alla testa e cullandolo delicatamente. Brisby, nel frattempo, si affaccendava intorno a loro, posando sul tavolo chili e chili di cioccolato, che Graham aveva subito preso a divorare ininterrottamente. Con un rapido gesto, la ragazza aveva appellato la sua copertina di lana, che aveva lasciato in camera da letto. Gliel'aveva avvolta intorno alle spalle per scaldarlo, perché Graham era sotto shock, gelido e scosso da tremiti inconvulsi.
La copertina era morbida e calda e profumata di sapone bianco. Profumata di Leanne. Finalmente, dopo una decina di minuti, il ragazzo aveva cominciato a sentirsi meglio. 
- Io... non – cominciò a dire, soffiando fuori l'aria, ancora un po' affannato.
- Non c'è bisogno di dire niente, Graham – gli disse dolcemente lei, baciandogli la fronte. Lui alzò la testa per guardarla. Le sue braccia stavano appena cominciando a stringersi intorno alla vita sottile della ragazza, quando si udì un lieve crack e un'aggraziata voce femminile che diceva:
- Ehilà, fratello caro. Come andiamo? Oh! Ci sono visite!
 
*
 
Una strega giovane e molto bella si era appena materializzata a pochi passi da loro. Aveva i capelli scuri come quelli di Graham, e gli stessi occhi grigi dal taglio un po' allungato. Guardandola, Leanne non poté fare a meno di pensare che era vestita in modo molto, molto elegante. Sprizzava signorilità da tutti i pori.
- Oooh, signorina Caroline, che piacere rivederla! – squittì Brisby, con una riverenza. 
- Ciao Greta – le disse Graham, sorridendo appena.
- Ah, per fortuna che c'è ancora qualcuno che si ricorda il mio nome preferito, in questa casa – sorrise la ragazza. Poi, girandosi verso Leanne, le rivolse uno sguardo curioso. Lei arrossì leggermente, rendendosi conto di trovarsi ancora stretta fra le braccia del ragazzo.
- P-piacere, signora Avery – le disse, balbettando un pochino e scivolando discretamente lontano da Graham, che tossicchiò divertito. – E... beh, le mie congratulazioni per il matrimonio... 
Greta la guardò fisso per qualche istante; un'ombra fugace le offuscò gli occhi grigi. Poi però, subito dopo, proruppe in una risata argentina. 
- “Signora Avery”?! Mi fai sembrare una vecchia, mia cara ...? 
- Leanne. 
- Mi fai sembrare una vecchia, Leanne. Non me lo merito, suvvia. 
Graham, nel frattempo, si era alzato dalla sedia, senza smettere un istante di ingurgitare cioccolato. 
- Qual buon vento ti porta da queste parti, Gree? – chiese, a bocca piena. 
- Ah, sai com'è. Avevo una gran voglia di dormire nel mio vecchio letto, stanotte. Incredibile quanto siano duri i materassi a casa Avery – rispose lei con un'allegra noncuranza che, a Leanne, parve palesemente studiata. C'era qualcosa di volutamente inespresso, fra le righe della sua frase.
- Desidera un po' di cioccolato, signorina Caroline?
Greta guardò accigliata l'elfo domestico e poi alzò gli occhi al cielo. 
- E va bene... Grazie, Brisby.
 
*
 
Trascorsero un pomeriggio divertente, seguito da una serata all'insegna della spensieratezza , chiacchierando e mangiando il cioccolato che gli elfi domestici rifornivano senza sosta. Leanne era meravigliata. Non si sarebbe mai aspettata di trovarsi così bene in presenza di un membro della famiglia di Graham. Greta non l'aveva guardata con supponenza, non aveva preteso di analizzare il suo albero genealogico e, a fine serata, la stava trattando come se la conoscesse da sempre. 
Inoltre, la sua presenza in casa, quel giorno, servì a fornire ulteriori elementi alle loro indagini sul passato di Leanne.
Accadde per caso. 
Ad una certa ora, Greta si alzò dalla sedia, con il proposito di andarsene a letto. Passando per fare un rapido buffetto sulla testa di Graham, indugiò con la mano sulla copertina di lana di Leanne, ancora stretta intorno al collo del ragazzo, a mo' di sciarpa. La carezzò con le dita, esclamando:
- Che meraviglia di sciarpa, Graham! Vello Magico delle Shetland; chi te l'ha data? 
- È di Leanne e non è una sciarpa.
- Complimenti... questo sì che è un articolo di lusso. Ne ho sempre desiderato uno uguale... 
I due ragazzi si scambiarono un'occhiata, annotando mentalmente questo nuovo e sorprendente elemento.
 
*
 
- Tua sorella è simpatica. 
- Lo dici come se la cosa ti sorpendesse. 
La sentì che si muoveva contro di lui, un po' a disagio.
- Oh... Scusa. No, certo. Ma è che... 
Lui sbuffò. 
- Senti, Leanne. Loro non sono... come me.
- Cosa vuoi dire?
- Che il coglione di famiglia sono sempre stato io. Loro...ascoltami bene: sono schifosamente ricchi e ammanicati e puri fino all'ultima goccia di sangue, ovviamente. Sono eccentrici e conservatori. Ma non hanno mai... 
- Graham... 
- Non sono mai stati Mangiamorte, non hanno mai servito Tu-Sai-Chi... Ai tempi della guerra magica, questa villa ha protetto in gran segreto decine di babbani. Sai a quale casa sono appartenute mia sorella e mia madre?
- ...
- Tassorosso! Ho sfottuto Greta per anni, per questo... Ero solo un bambino ed ero già un idiota.
Leanne era sbalordita. 
- Ma sai qual è il peggio? Io gliel'ho rinfacciato! Mi sono vergognato di loro. Li ho chiamati rammolliti, li ho considerati dei traditori. Loro non sono così. Sono io quello che si è lasciato sedurre dal richiamo della magia oscura. Io, quello che si inorgogliva di tutte ste stronzate sulla purezza di sangue.
Lei rimase in silenzio. 
- Sai cosa mi ha detto mia madre quando ha visto la spilletta della Squadra di Inquisizione? 
Leanne trattenne il fiato.
- Mi ha detto che ero indegno. E Greta, mi ha dato del cazzone. E io le ho mandate a quel paese tutte e due. Non ci siamo parlati per mesi. Quando ero ricoverato in infremeria, i miei si sono fatti vedere una sola volta, da tanto erano delusi.
- Graham, eri solo confuso. 
- Oh, no. Sapevo molto bene quello che facevo. Sempre pronto a saltare su e menare le mani e lanciare incantesimi di pessimo gusto e litigare e difendere ideli da coglione. Sai come ho ottenuto il posto di Capitano? Sulla base della mazzata. Ho quasi fatto la pelle a Warrington, alle selezioni.
- Ma Silente ti ha nominato prefetto.
Lui stava per vomitare fuori altri sproloqui, ma quell'osservazione gli fece inghiottire le parole che aveva in bocca. 
- Già - mormorò, poco dopo. - Non so proprio cosa ci abbia visto, in me. 
- Forse, quello che vedo anch'io. 
- Sarebbe a dire?
- Un cretino. Che parla male di se stesso solo per sentirsi dire che sono tutte cazzate!
Dal silenzio che seguì, Leanne capì che Graham era rimasto interdetto e temette di aver esagerato. Subito dopo, però, lui propruppe una risatina bassa. 
- Ma tu, da dove le tiri fuori certe cose? 
- Me le tiri fuori tu, razza di babbeo! 
- Ma sentitela! ... Io ti giuro che non ho mai conosciuto... 
- Blablablablabla... 
- Ma tu, non hai mai paura a dirmi certe cose?
- Paura? Io? Di te?!
- Oh, per Salazar. Dovevi essere tu. Per forza. Con quella tua linguetta biforcuta, ti amerei anche se fossi la prima punta dei Montrose Magpies - le disse lui, catturandola fra le sue spire da serpente tentatore. 
E Leanne, schiacciata più dalla felicità che dal peso del ragazzo, pensò e ripensò ininterrottamente all'ultima frase che Graham le aveva rivolto.


Alcune cosette:
1) Mini cross-over. Il mithril è un metallo elfico citato ne Il Signore degli Anelli, solitamente usato per la realizzazione di armi da taglio. L’ho mischiato con un altro metallo elfico sempre tolkieniano, che assume una tonalità azzurrina e brillante in caso di pericolo.


 

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Capitolo 10
*** Fili di lana tessuti fra passato e presente. ***


10. Fili di lana tessuti fra passato e presente.
 
- Hai giocato bene sabato scorso.
- Oh. Ti... ti ringrazio.
La ragazza lo guardò, un po' titubante. Non era da lui spendersi in commenti sulla sua tecnica di gioco. Tutt'altro: più di una volta, la frequenza degli allenamenti era stata motivo di violenti dissidi fra loro. Era stata una delle ragioni della sua decisione. Non la principale, certo. 
C'erano cose molto, molto più gravi, in ballo.
E difatti, rotto il ghiaccio, lui riprese la parola e palesò le sue intenzioni.
- Ovviamente non ti ho chiesto di incontrarmi per parlare di Quidditch.
- Lo immaginavo.
- Brava. E qui va la mia domanda: ci hai pensato?
Lei prese tempo, perché rispondergli era davvero molto, molto complicato. Ares le piaceva ancora. Ma non lo riconosceva più. Non era più lo stesso, da troppo tempo ormai. Non riusciva più a mentire a sé stessa: era cambiato, e lei non approvava per nulla quello che combinava insieme ai suoi compari. 
Erano cose cattive. Erano cose insane. 
Aveva cercato tante volte di farlo ragionare, ma le sue parole erano cadute nel vuoto. E così, col cuore a pezzi, lo aveva lasciato.
- Sì - gli rispose quindi, sentendosi pizzicare gli occhi.
- E...?
- E niente, Ares. Indietro non si torna.
- Tu straparli - le disse lui avanzando di qualche passo, con fare minaccioso.
- Sì invece. Sono le cose che combinate voi, ad essere folli! - urlò lei, tirandosi indietro. Ares le faceva paura, quando metteva su quella faccia. Prima, non le si sarebbe mai rivolto in quel modo. Prima.
Il ragazzo stese la mano e l'afferrò dietro la nuca, facendo affondare le dita nella morbida criniera di riccioli color del miele che lei lasciava sciolti sulle spalle. L'attirò delicatamente a sé e apoggiò la fronte alla sua:
- Mary - le disse con dolcezza. Per un secondo, le parve di riconoscere il vecchio Ares, quello che aveva amato e con cui per un breve periodo era stata felice. Dentro di sé, però, sapeva perfettamente che era tutta un'illusione. - Non sono cose... cattive, come pensi tu. Devi solo cercare di vederle da un altro punto di vista. Sono cose che possono cambiare...
- Sì che lo sono! È magia oscura, Ares!... È una cosa cattiva!...
- Ti hanno fatto il lavaggio del cervello... - Ares cominciava ad irritarsi. - Apri gli occhi! Quei tuoi amici supponenti... Potter, la Evans, quel rammollito di Black... ti vogliono separare da me.
- No! - la ragazza si divincolò - Voi... siete voi ad essere tutti dei pazzi!
Sfoderò la bacchetta, puntandogliela contro. Lui si irrigidì.
- Mi stai minacciando? - le chiese spingendola via, il volto istantaneamente adombrato, gli occhi stretti a fessura.
- Lasciami... lasciami in pace! Io non... non esisto più per te! - gridò lei. Arretrò affannata e gli voltò le spalle, tentando di allontanarsi di corsa.
Ma lui non glielo permise.
- Tu non vai da nessuna parte. Levicorpus! - Mary, colta di sorpresa, si ritrovò a galleggiare a mezz'aria. Annaspò, tentando di liberarsi, mentre lui si avvicinava a passi pesanti, facendo svolazzare la veste nera - Tu, per quanto mi riguarda, stai ancora con me. Non spetta a te decidere se lasciarmi o no. Hai capito? 
- Lasciami andare!
Lui la fissò, impassibile.
- Tu sei ancora la ragazza di Ares Mulciber – soffiò, digrignando i denti. - Non-spetta-a-te-decidere.
Lei continuava a dibattersi. Tutta quella ostinazione lo fece infuriare; agitata la bacchetta, pronunciò senza pensarci un paio di paroline che aveva imparato da poco. Gliele aveva ripassate Lestrange, che le aveva a sua volta scovate in un vecchio libro del reparto proibito.
Mary cominciò a contorcersi e boccheggiare. Il ciondolo che portava al collo (un piccolo uccello con la coda di fuoco), fuoriuscito dal colletto della camicia nel momento in cui lei aveva preso a levitare, si tinse di un intenso azzurro cobalto. Il ragazzo rimase fermo ad osservare la scena, sgomento e affascinato al tempo stesso.
In quel momento, due voci maschili sconosciute risuonarono all'unisono:

- Finitus!
- Expelliarmus!
Il primo incantesimo andò a buon fine: Mary, liberata, ricadde pesantemente al suolo. Il secondo, invece, non raggiunse l'obiettivo. Ares Mulciber sbattè le palpebre e si riscosse, per poi darsi alla fuga verso l'estremità opposta del corridoio.
I due ragazzi che erano intervenuti si avvicinarono, piuttosto scossi. Intorno al loro collo erano annodate cravatte gialle e nere della Casa del Tassorosso.
- Chi era...?
- Non l'ho visto in faccia... 
- Serpeverde, però.
- Indubbio.
- È... è viva? - il più basso dei due, un giovane coi capelli lunghi e scuri, si avvicinò a Mary.
- Credo di sì, Benji - rispose il suo amico, un soggetto alto e biondo piuttosto ben piantato.
- La portiamo in infermeria?
- È il minimo - il ragazzo alto la rigirò, tirandola su di peso. - Oh! Ma per l'erbario di Tosca...
- Che c'è, Sturgis?
- Ma io la conosco... guarda! Questa è la Macdonald... la Cacciatrice del Grifondoro!...

 
*

- Ma certo che ce la puoi fare.
- Tu sei matta. Ci spaccheremo tutti e due!
- Senti un po' - sbuffò Leanne per la decima volta. - Sei l'unico di cui si abbia notizia che sia riuscito a smaterializzarsi dentro Hogwarts...
- Ma qui si tratta di percorrere migliaia di chilometri! - borbottò Graham, seccato. - Le Shetland non sono mica dietro l'angolo, lo sai?
Leanne lo stava scocciando da due giorni per convincerlo a fare una capatina nel Nord. Non che lui non morisse dalla voglia di saperne di più sulla questione della copertina di lana. Ma proprio non sapeva come raggiungere quel luogo tanto remoto. Raggiungerlo con la scopa in pieno inverno era da pazzi, e poi Leanne non era capace di tenersi in equilibrio per più di trenta secondi (la sua Firebolt reggeva a malapena lui; cavalcarla in due era decisamente fuori discussione). Attivare una Passaporta esigeva competenze troppo complesse per loro. La Metropolvere... bah, non conoscevano l'indirizzo di nessun camino, lassù. E così, lei aveva preso ad assillarlo sul tema della smaterializzazione.
In quella, la porta della sala da pranzo si aprì ed entrò Greta.
Si trovava ancora a Villa Montague, ma la vedevano di rado. Quel mattino aveva il viso triste e le palpebre gonfie; sembrava avesse pianto. Vedendoli, però, scosse la testa e s'impose di sorridere.
- Si bisticcia, qui dentro? - domandò, sforzandosi di apparire allegra.
- Ordinaria amministrazione - rispose Leanne, ancora sulle spine.
- Leanne è una testona - bofonchiò pigramente Graham, dando un tiro di Hermes. 
E con calma, spiegò alla sorella (continuamente interrotto da Leanne) il motivo dei loro botta e risposta. Greta li ascoltò attentamente; poi, al termine del racconto, si alzò in piedi ed esclamò:
- Potevate dirmelo. Di corsa a prendere mantelli e cuffie, da bravi. Fa molto freddo lassù, in questa stagione. 
I due la guardarono senza capire.
- Vi porto io, no?
*

Purtroppo, però, non avevano trovato nulla.
Le isole erano battute dai venti e dalle bufere di neve; intorno ad esse, le onde fustigavano violentemente le scogliere e i faraglioni.  Graham, Greta e leanne avevano tentato di parlare con qualcuno in due o tre villaggi, senza successo. In giro non c'era anima viva: né persone (maghe o babbane che fossero), né pecore. Faceva troppo freddo. I tre avevano fatto ritorno a Londra nel giro di poche ore, con le pive nel sacco e mezzi congelati, per la gioia degli elfi domestici, che si impegnarono ad imbottirli di bevande bollenti e dolci ad alto contenuto calorico.
E così, una volta ripresa la scuola (il 6 gennaio, Graham e Greta - che non aveva più fatto ritorno a casa Avery - l'avevano accompagnata a King's Cross per riprendere il treno), Leanne aveva dovuto rassegnarsi e ricorrere al Piano B.
Cosa che, sinceramente, non l'aggradava più di tanto.
"Forza e coraggio" si disse, avvicinandosi alla famigerata poltroncina posizionata accanto al camino della Sala Comune. La poltrona preferita di Cormac McLaggen. Al quale, da che mondo era mondo, Leanne rivolgeva la parola soltanto in casi di estrema necessità. "Ma questo" si impose di pensare, stringendo la copertina fra le dita "è un caso eccezionale".
- Ciao - esordì, respirando fondo. 
Il ragazzo, piuttosto sorpreso, tirò su la testa dalla sua lettura. Era uno dei soliti giornalini poco edificanti che la facevano imbestialire solo a guardarli. Leanne non riusciva proprio a capacitarsi del fatto che una tipa a posto come Eloise potesse sospirare per un soggetto del genere.
- Leanne - rispose lui, serafico. Mentre la metteva a fuoco, qualcosa parve accendersi nelle sue pupille. - Oh.
- Che... che c'è?
- Mi sembri... - il ragazzo raddrizzò la schiena. - Ehi! Non mi dirai che... no! Per Godric! Tu hai... Oh, per tutti gli anelli di Saturno... Kain Montague?!...
Leanne era scioccata. McLaggen si era sempre vantato di avere un fiuto speciale per certe cose. Ed evidentemente era vero, accidenti a lui. Altro che Divinazione: il ragazzo ci aveva preso in pieno, indovinando in un battito di ciglia quello che era successo durante le vacanze. Al suo confronto, la Cooman possedeva la sensibilità mistica di uno Snaso.
- Senti - sibilò, stringendo le labbra e abbassando la voce. - Sono cose che non ti riguardano!
Lui scosse la testa bionda e ricciuta e si ricompose un minimo.
- Oh, no. Certo che no - disse, reprimendo un risolino. - Cosa vuoi?
- La tua famiglia alleva pecore, giusto?
- Non esattamente. Il mio clan alleva le migliori pecore Vello Magico delle Shetland fin dai tempi dei Fondatori - precisò McLaggen, non senza un certo orgoglio.
- Giusto. E cosa mi sai dire di questa? - Leanne gli tese la copertina.
- Vello Magico, senza dubbio - disse lui, dopo una rapida analisi. - Dei migliori. Quanti anni ha?
- Diciassette anni e mezzo. La mia età.
- Precisamente. Vedi? Non si infeltrisce, non si creano palline, non si assottiglia né si indurisce. Non invecchia. È sempre morbida; più calda della lana normale, più leggera di qualsiasi altro filato.
Leanne lo ascoltava affascinata. Le era capitato poche volte di sentirlo parlare seriamente e con competenza di cose non legate ad argomenti sciocchi e inopportuni.
- Sapresti dirmi dove è stata fatta?
- No. Sembra realizzata ai ferri magici, però. E qui sul bordo - continuò McLaggen, mostrandole una fascia ornamentale composta da varie M intrecciate - vedo il motivo decorativo che mia madre chiama "Punto Mary".
- "Punto Mary"?
- Non chiedermi altro, per favore. Mica so fare a maglia, io, cosa credi?
- Ah, certo... Beh, grazie per le informazioni, Cormac.
- Di nulla. Ora - le propose lui, appellando rapidamente un'altra poltrona - perché non ti siedi qui e mi racconti cosa hai combinato durante le vacanze??
- Cretino.
- Opportunista - l'accusò McLaggen ridendo, senza prendersela minimamente.

 
*

Durante le vacanze di Pasqua, Graham e Leanne non riuscirono a vedersi. 
Il ragazzo, che aveva da poco cominciato il corso di Spezzaincantesimi, si trovava in Costa d'Avorio per ordine della Gringott. Dalle parole contenute nella sua ultima lettera, Leanne intuì che la cosa lo aveva fatto imbestialire oltre misura, ma che non aveva avuto scelta perché i folletti minacciavano di bloccargli la camera blindata. Le dispiaceva molto non vederlo perché le mancava tantissimo, ma era orgogliosa di lui. Fare lo Spezzaincantesimi non era da tutti; ci voleva una fibra particolare per quel tipo di lavoro e, evidentemente, Graham la possedeva.
Lei aveva comunque approfittato delle vacanze per fare una capatina al San Mungo e vedere come se la passava Katie. Fu molto lieta di scoprire che la situazione era nettamente migliorata: finalmente, era stata trovata una cura e tutto indicava che, nel giro di poche settimane, la sua amica (che, per ora, era ancora mantenuta in stato di incoscienza dai Guaritori) sarebbe tornata come nuova.
In quell'occasione, Leanne ebbe anche l'opportunità di chiarirsi con Oliver Baston, che quel giorno era di ottimo umore. A darle man forte, del tutto inaspettatamente, ci si mise anche Carbry Bell, che sul conto di Graham espresse un categorico "È un tipo a posto", sottolineandolo con uno sbuffo di fumo ad anello dall'aria ufficiale.
Alla fine il Portiere del Puddlemere United, che era sempre stato una delle persone più corrette e ragionevoli che Leanne conosceva, si lasciò convincere della necessità di rivedere le sue posizioni e si sbilanciò in un diplomatico "Vedremo".

 
*

Graham non sapeva che pesci pigliare. 
Aprile era già cominciato e il compleanno di Leanne si avvicinava. Voleva farle un regalo, ma non sapeva da che parte cominciare. Camminava su e giù per Diagon Alley durante la pausa pranzo, alla ricerca disperata di un'idea.
Capi di abbigliamento, profumi, accessori non gli passarono neanche per la testa. Lui, di quelle robe da femmina, non ne sapeva un cavolo e, francamente, non gliene fregava nulla. 
Tiri Vispi? Ma neanche per sogno. Non voleva finire ad Azkaban per tentato omicidio. 
Mentre si fermava per accendersi una Hermes, si specchiò in una vetrina tutta rosa nella quale erano esposti reggiseni e sottovesti. Niente male, pensò, prima di ricordarsi che il regalo era per Leanne, non per lui. Però poi si allontanò fantasticando assai, con un sorriso da lupo dipinto sul viso.
Decise allora di sbirciare al Ghirigoro. Leggere le piaceva, lo trascinava sempre là, la scorsa estate, ai tempi dei loro memorabili venerdì pomeriggio. Ma c’erano troppi libri da vagliare e lui non si ricordava quali fossero i suoi autori preferiti. Graham fece quasi impazzire una mezza dozzina di commesse e, alla fine, se ne andò a mani vuote.
Quasi per caso, si ritrovò a passare davanti alla vetrina di Accessori di Prima Qualità per il Quidditch. Sbirciando gli articoli esposti, gli venne un’idea. 
Così, spinse la porta ed entrò.
- Buongiorno. Desidera? – lo accolse un’affabile voce femminile dall’accento esotico.
Graham sbattè le palpebre, sorpreso. Conosceva bene la ragazza dietro al bancone. Aveva spesso frequentato le lezioni di Pozioni con la sua classe, ai tempi della scuola. E l’aveva incontrata tante volte anche sul campo di Quidditch; era stata una sua diretta avversaria per anni. Molto brava. Veloce e precisa. E, come si era commentato spesso negli spogliatoi maschili (non proprio con queste esatte parole), una gran bellezza.
- Ehilà, Spinnet - l'apostrofò, inarcando un sopracciglio.
- Montague. Ehm...in cosa posso?...
Era sempre stata una di poche parole.
- Ce l'avresti una maglietta di Fanny Flappers dei Falcons?
- Certo... Taglia XXL?
- No. Taglia S. Modello da... femmina.
- Oh - Alicia Spinnet lo guardò, leggermente incuriosita. - Certo, vado a prenderla - aggiunse, per poi sparire rapidamente nel retrobottega.
Un manifesto appeso alla parete ritraeva la squadra dei Wallgong Warriors di Brisbane. 
Alicia sorrideva nel mezzo degli altri giocatori; Graham aveva sentito dire che la ragazza, subito dopo il diploma, era tornata in Australia, sua terra natale, per entrare negli Warriors come Cacciatrice riserva. Ma non sapeva che avesse poi deciso di trasferirsi nuovamente in Inghilterra.
Mentre aspettava, il campanello suonò e la porta si aprì. Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, Graham si ritrovò davanti una vecchia conoscenza. 
Era Bastian Macnair, un ex alunno della sua Casa, di qualche anno più vecchio di lui. Grande amico di Aidan Avery, il fratello di suo cognato. In passato, Graham aveva molto stimato entrambi. Ora... un po' meno, forse.
Macnair gli sorrise appena, raggelandolo con un'occhiata celeste ed un cenno del capo piuttosto eloquente. Evidentemente, in quel momento, lo avrebbe voluto fuori dai piedi.
In quella, Alicia Spinnet fece ritorno, reggendo la maglietta fra le mani.
- Ecco qui. Ci ho messo parecchio a trovarla, era l'u... - cominciò a dire, ma la frase le morì in gola.
Macnair la fissò. Graham, che non era certo una mammoletta, trovò la scena assolutamente agghiacciante. La Spinnet distolse lo sguardo e si mise a incartare la maglietta con una lentezza esasperante. Nel frattempo, stranamente loquace, continuava a chiedergli se, per caso, non avesse voglia di dare un'occhiata ai lucidi per i manici o ai saldi di metà stagione.
- E c'è anche una nuova linea di Pluffe... Roba da Cacciatori di primo livello, per chi se ne intende...
Cercava di trattenerlo, il che era tutto dire, visto che fra loro non era mai corso un sangue particolarmente buono. Ci mise una vita per contare il denaro e dargli il resto. Graham avrebbe potuto tagliare la tensione col coltello. Macnair restava in silenzio, in attesa.
Proprio mentre Graham si apprestava ad andarsene, la porta si aprì ed una vociante comitiva di maghi e streghe bulgari fece il suo provvidenziale ingresso nel negozio.

 
*

Un pomeriggio di metà maggio, inaspettatamente, Demelza Robins cercò Leanne per recapitarle un messaggio della professoressa McGranitt.
- Pare ci siano visite per te.
Incuriosita, la ragazza salutò Eloise e Katie (che nel frattempo era tornata a scuola) e scese dalla torre del Grifondoro, diretta al parlatorio. Non aveva proprio idea di chi potesse trattarsi; nei suoi gufi, Graham non l'aveva avvisata di nulla.
Proprio per questo, quando se lo ritrovò davanti non riuscì a tenere a freno la felicità e, urlando di gioia, volò fra le sue braccia.
- Leanne - le disse subito lui strizzandole l'occhio e sciogliendosi piano piano dal suo abbraccio. - Non siamo, ehm... soli.
Lei si riscosse e sbirciò oltre la sua spalla, paralizzandosi all'istante. 
In piedi vicino al camino c'era una coppia dall'aria altera. Leanne li riconobbe subito.
Il signor Montague vestiva un mantello da viaggio elegantissimo, verde coi profili argentati, e fumava un sigaro profumato di pino. Sua moglie indossava una splendida veste giallo-oro con ricami neri che raffiguravano piante e animali. 
Quando vide Leanne, la strega tossicchiò discretamente e le disse:
- Signorina Lou-Anne. Potrebbe concederci un breve colloquio?


Alcune cosette:
1) Mary Macdonald compare in due degli spezzoni di ricordo di Piton. In uno di essi, Lily Evans dice che Mulciber (il cui nome è sconosciuto, Ares è farina del mio classico sacco) ha tentato di farle qualcosa di brutto. Benji Fenwick e Sturgis Podmore saranno futuri membri dell'Ordine della Fenice. L'attribuzione a Tassorosso è mia.
2) La scena che vede coinvolti Alicia Spinnet e Bastian Macnair potrebbe sembrare un po' slegata dal contesto, ma ha senso alla luce di alcuni fatti che avverranno più avanti.

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Capitolo 11
*** Nuvoloni densi come sbuffi di fumo nero. ***


11. Nuvoloni densi come sbuffi di fumo nero.
 
Leanne spostò gli occhi dall'uno all'altra, intimidita. I signori Montague la guardavano, in attesa; lui continuava a dare lente boccate di sigaro, lei si lisciava la splendida veste con le dita curatissime dalle unghie perfette.
Avvertì una stretta leggera sulla spalla: la grande mano di Graham che le infondeva coraggio, invitandola a farsi avanti.
La ragazza deglutì.
- Ma certo, signora Montague - rispose infine. Avanzò di qualche passo e prese posto su uno dei divanetti spelacchiati che arredavano la stanza. Graham sedette accanto a lei. Il vecchio mobile cigolò in tono di protesta. Era da gennaio che non lo vedeva: sbirciandolo di sottecchi, Leanne ebbe l'impressione che il corso di Spezzaincantesimi lo avesse reso ancor più imponente.
Seguì un breve silenzio imbarazzato; dopodiché il signor Montague si schiarì la voce e prese parola.
- Molto bene - disse, con voce profonda e roca da fumatore trentennale. - Anzitutto, piacere di conoscerla, signorina Lausanne...
- È Lou-Anne - lo interruppe la moglie.
- È Leanne - tossicchiò Graham, irritato.
- ...l'ultima volta che ci siamo incontrati, come forse ricorda, non abbiamo avuto modo di procedere alle dovute presentazioni - continuò lui, come se nulla fosse.
Leanne avvampò al ricordo del disastro avvenuto durante il matrimonio di Greta. E poi, sentendosi una sciocca, si vergognò del fatto che i genitori di Graham si ricordassero di lei vestita da cameriera e aspramente redarguita dal signor Hollein.
- Oh, non si senta in imbarazzo, la prego - soggiunse la signora Montague, che si era accorta del suo colorito acceso. - Kain ci ha raccontato come sono andate le cose. Sappiamo che lei non è responsabile per quello che è successo e che, anzi, è stato lui a far esplodere i calici di champagne.
- Oh. Beh...
- Oltretutto, nostra figlia Caroline ci ha riferito di aver trascorso dei momenti molto piacevoli in sua compagnia - aggiunse il signor Montague, soffiando fuori il fumo.
Leanne ci capiva meno di nulla. Non sembrava avessero intenzione di passarla al microscopio, né di sottoporla a giudizio. Che cosa volevano da lei? Rivolse una rapida occhiata interrogativa a Graham, che le fece un cenno col capo, come a voler dire "aspetta".
- Craig ci ha raccontato anche altre cose davvero interessanti su di lei - proseguì l'uomo socchiudendo gli occhi grigi. La ragazza non potè fare a meno di notare che, in quel momento, la somiglianza fra Graham e suo padre - intensificata dai modi sottilmente inquietanti tipicamente da Serpeverde - era impressionante.
- Già - s'inserì la signora Montague, fissandola intensamente. - Sappiamo tutto del salvataggio e della convalescenza. E questo significa...
- ...che le dobbiamo molto, signorina Lausanne - concluse il signor Montague, rivolgendo un sorriso tirato a Leanne, che non credeva alle proprie orecchie.
- Si chiama Leanne...
- Siamo consci del fatto che, se non fosse stato per lei, forse, Kain non se la sarebbe cavata così a buon mercato.
Gli occhi dell'elegante strega brillavano, velati di lacrime.
- Oh, ma io... non ho fatto nulla - balbettò Leanne, imbarazzata. - Graham...ehm, Kain... Craig... insomma, vostro figlio si era già smaterializzato fuori dall'Armadio Svanitore...
- Ma lei lo ha tirato fuori dal bagno. Lui, a quel punto, non ne avrebbe avuto le forze.
- E poi è tornata a trovarlo in infermeria, quando pareva che tutti (noi compresi) lo avessero abbandonato...
- Siamo così pentiti. Siamo stati dei genitori snaturati. Eravamo così delusi da nostro figlio, in quel periodo... La Squadra di Inquisizione, le pessime compagnie... Lo abbiamo lasciato solo.
Leanne non sapeva cosa dire: percepiva un immenso a disagio. Sobbalzò leggermente, quando sentì la mano di Graham posarsi sulla sua.
- Lo guardi, ora. Sano e salvo, in ottima forma, prossimo a diventare uno Spezzaincantesimi. Davvero un figlio di cui inorgoglirsi. Noi non ci speravamo più... E non penso di esagerare - dichiarò la signora Montague, accorata - nell'affermare che, tutto questo, lo dobbiamo a lei, signorina Lou-Anne.
- È LEANNE! Le-an-ne!...
- E quindi - interloquì il signor Montague in tono serio, ignorando l'esclamazione esasperata di Graham - oltre che per ringraziarla, siamo qui per farle una proposta.
Leanne sbattè le palpebre.
- Una... proposta?
- Ascolti con attenzione e ci pensi su. Avrà tempo fino al termine dell'anno scolastico per darci una risposta.
 
*
 
"Si ricordi, signorina Lausanne" le aveva detto il signor Montague a fine colloquio ("Si chiama Leanne!!! Maccheccazzo!" "Kain! Ma che linguaggio!"). "Le nostre fonti ci informano che, ormai, il Mondo Magico è sull'orlo del collasso. Tutti coloro che, come lei, non dispongono o, per cause di forza maggiore, non possono disporre di un solido attestato di sangue, corrono seri rischi. Ci permetta di ricambiare il favore che ci ha reso aiutando nostro figlio; le offriamo la protezione ufficiale della nostra famiglia".
"Signori Montague" aveva detto lei dopo qualche attimo, arrossendo vistosamente. Avrebbe preferito non farlo, ma le sembrò onesto mettere le carte in tavola. "Vostro figlio v-vi ha detto che... che..." Non riusciva a finire la frase, accidenti a lei.
"Che fra voi due esiste un... legame sentimentale?" le era venuta incontro la signora Montague, sorridendole in modo affabile e scegliendo attentamente le parole. "Sì, ne eravamo al corrente già prima del nostro colloquio".
"Stia tranquilla" aveva soggiunto il signor Montague. "Non ha motivi si preoccuparsi per questo, glielo garantisco".
Leanne si era sentita un po' sciocca. Il modo in cui aveva abbracciato Graham quando lo aveva visto, del resto, sarebbe stato sufficiente per fugare ogni dubbio. Poi, però, il sollievo e la gratitudine avevano preso il sopravvento.
La ragazza era uscita dalla sala delle visite felice come poche altre volte si era sentita nella vita.
Lì per lì, comunque, non avrebbe accettato la proposta.
Poi, però, la situazione che degenerava ogni giorno di più (il culmine fu la tragica morte del professor Silente) la fece decidere il contrario. 
E così, al termine del suo ultimo viaggio sull'Espresso di Hogwarts in qualità di studentessa, Leanne sbarcò sulla banchina e si mise in cerca di Graham, che era venuto a prenderla per accompagnarla alla Villa.
- Le mie cose sono tutte lì dentro - gli disse dopo averlo abbracciato con affetto, additando il baule e un paio di borsoni voluminosi.
- Molto bene, principessa. Brisby!
Crack.
- Comandi, padroncino Craig.
- Porta a casa gli effetti personali della signorina, per cortesia.
- Sì, padroncino Craig. E... ehm.
- Che c'è?
- In quale stanza devo portarli, padroncino Craig?
- Come, in quale stanza?...
- In quella fatta predisporre dalla Signora o nella sua, padroncino Craig?
Leanne scoppiò a ridere, un po' per la domanda e un po' perché non si era mai del tutto abituata a sentir chiamare Graham "padroncino".
- Forse è meglio farle portare nella stanza scelta da tua madre, Graham - rise la ragazza, mentre lui la fissava contrariato.
- Sarà fatto, signorina Lausanne!
- Si chiama Leanne, Brisby! Maporcavacca!...
 
*
 
Vivere a Villa Montague si rivelò un'esperienza illuminante e completamente diversa da come se l'era aspettata.
La casa era enorme e bellissima, piena di libri rari (la biblioteca era enorme e fornitissima, e le ricordava quella de La Bella e la Bestia, un cartone animato che aveva visto al cinema in una delle rare escursioni con i bambini dell'orfanatrofio) e di opere d'arte. Quando passava nei corridoi, i ritratti appesi alle pareti la salutavano con sussiego e, spesso, la pregavano di trattenersi qualche minuto per fare conversazione. 
Il giardino, poi, era splendido. Ombroso e lussureggiante, occupava un intero versante della collina di Greenwich e grande parte del parco omonimo. C'erano laghetti, alberi secolari e specie esotiche, piante magiche e non magiche (una sorta di piccolo ma nutrito orto botanico), grotte artificiali e cespugli densi abitati da creature di ogni tipo. 
Dentro casa, Leanne era costantemente servita e riverita dagli elfi domestici, che non smettevano un solo istante di vezzeggiarla.  
La ragazza aveva temuto di ritrovarsi invischiata in pasti ufficiali, imbanditi nell'imponente sala da pranzo (non avrebbe di certo saputo maneggiare cinque paia di posate d'argento) ma, per fortuna, si rese conto subito che le cose andavano diversamente. I signori Montague, certo, facevano colazione, pranzavano e cenavano in quelo modo, ma Graham, quando era a casa, preferiva mangiare in cucina, e lei gli faceva compagnia più che volentieri.
- Mia madre dice che mangio troppo e in modo troppo vorace - le confidò un giorno il ragazzo. - Se mangiassi con loro, dovrei sorbirmi le sue lamentele ad ogni benedetto pasto.
La signora Montague le aveva assegnato una stanza luminosa rivolta ad ovest; a fine pomeriggio, gli ultimi raggi di sole estivo filtravano attraverso il finestrone e illuminavano le pareti tappezzate di broccato giallo scuro, facendole risplendere come oro fuso. La camera - massimo del lusso - disponeva anche di un bagno privato con una meravigliosa vasca di ceramica che Leanne riempiva tutti i giorni a fine giornata, concedendosi lunghe e rilassanti sedute nell'acqua calda.
"Davvero niente male, questa vita da ricchi" pensava la ragazza, affondando pigramente nella schiuma aromatizzata alla vaniglia.
Qualche volta, soprattutto nel fine settimana, Greta veniva a trovare i genitori, talvolta accompagnata dal marito, più frequentemente da sola. Quando aveva deciso di trasferirsi a Villa Montague, Leanne sapeva già che non l'avrebbe incontrata molto spesso: la sorella di Graham, infatti, aveva fatto ritorno a Casa Avery all'inizio di marzo (glielo aveva raccontato lui in una lettera). La prima volta che si erano incontrate in luglio (si trovavano tutti e tre in giardino, seduti all'ombra di una rarissima e imponente araucaria), il ragazzo aveva insistito:
- Dai Gree, raccontale la novità, o dovrò imbavagliare nostra madre per impedirle di farlo per prima. Non la tiene più nessuno, quella.
E Greta, con gli occhi che le brillavano, aveva rivelato a Leanne di essere in attesa del suo primogenito. Sembrava davvero felice, eppure Leanne, una volta di più, ebbe l'impressione che dietro ai suoi occhi passasse un'ombra fugace.
Non voleva dare l'idea di impicciarsi dei fatti altrui, ma in quell'occasione la ragazza non potè fare a meno di chiedere a Graham, una volta che furono rimasti soli:
- Graham, secondo te... Greta sta bene?
- Ma certo che no - rispose lui, secco.
- Ah.
Leanne era sorpresa da tanta schiettezza.
- In fin dei conti, con un cognato così sempre in giro per casa - proseguì lui, accendendosi una Hermes - a cosa serve avere dei nemici?
- Ti riferisci a... ?
- Aidan Avery. Proprio lui. Davvero un tipo agghiacciante, lui e quell'altro suo amico.
- Macnair. Quello con gli occhi chiari.
- In persona - rispose Graham con aria grave ed un'espressione del tipo "com'è che ti ricordi del colore degli occhi di Macnair?!" -  Li conosco bene, tutti e due. Ovviamente, prima, li ammiravo moltissimo. Col senno di poi, ti posso dire che con quel tipo di gente c'è poco da scherzare.
- Ma il marito di Greta, tuo cognato...?
- Ah, Eean è a posto. Ma ha un carattere troppo debole. Aidan se lo rigira come vuole.
- Oh, accidenti. Che situazione... - sospirò Leanne, sinceramente rattristata dalle circostanze.
- Davvero una situazione di merda - sentenziò lui, dando una scrollata alla cenere. - Staremo a vedere, dai.
 
Quando era arrivata alla Villa, Leanne aveva stabilito insieme ai signori Montague che avrebbe continuato a lavorare al Georgiano (non voleva dipendere in tutto e per tutto da loro) durante il giorno e che, la sera, avrebbe fatto ritorno a Greenwich, per passare la notte al sicuro fra le sue mura incantate. Il signor Hollein si era dimostrato molto entusiasta all'idea di riammetterla all'Hotel e l'aveva posizionata alla reception; Leanne sospettava che, sotto, ci fosse lo zampino dei Montague, ma aveva saggiamente deciso di fare finta di nulla.
Un giorno, dopo qualche settimana di lavoro, le era capitato di imbattersi per caso nel signor Midgen, appena giunto all'Hotel per prendere servizio come portiere notturno. Dopo averla salutata calorosamente, l'uomo le aveva riferito che Eloise si era appena trasferita a Stennes, nelle Isole Orcadi, in compagnia del suo nuovo fidanzato. "Un tipo simpatico un po' fuori dalle righe" aveva commentato il signor Midgen, descrivendo Cormac McLaggen in modo assai diplomatico (che, a lei, aveva fatto molto ridere) *.
La sera, quando smontava dal turno, Leanne tornava alla Villa attraverso la Metropolvere; passava a salutare la signora Montague nel suo salottino, si faceva il suo sacrosanto bagno alla vaniglia e sgattaiolava in cucina, in attesa che Graham facesse ritorno dalla Gringott. Il corso di Spezzaincantesimi lo teneva ancora piuttosto impegnato ma, finalmente, il ragazzo aveva cominciato a dimostrare entusiasmo nei confronti del lavoro. 
- Molto meglio che starsene seduti a contare rubini - soleva commentare fra un tiro di Hermes e l'altro. - Oggi abbiamo imparato come eludere le protezioni dei Lamassù assiro-babilonesi che sorvegliano le tombe mesopotamiche... - raccontava, visibilmente ispirato. Leanne si sentiva molto, molto fiera di lui.
Gli elfi domestici le tenevano compagnia finchè Graham non arrivava. Poi, i due ragazzi cenavano insieme e si raccontavano delle rispettive giornate. 
Dopo cena, trascorrevano le serate chiacchierando, seduti sul tappeto peloso della biblioteca. Le loro indagini sul passato di Leanne si erano irrimediabilmente arenate, e i due passavano ore tentando di elaborare strategie per riprendere il filo (avevano deciso che durante la prima settimana di agosto, in concomitanza con le ferie del ragazzo dalla Gringott, si sarebbero recati nuovamente alle Shetland per cercare di ottenere, complice il bel tempo, qualche informazione in più). 
E più tardi... beh. Inutile dire che, puntualmente, Graham si materializzava nella stanza giallo oro di Leanne per dormire con lei, infischiandosene bellamente del bon ton imposto dalla sua onorevole (e assai poco convinta) madre tanto attenta alle buone apparenze.
 
*
 
Nonostante la situazione generale si facesse ogni giorno più cupa (spesso, quando al mattino arrivavano a Diagon Alley, Graham e Leanne avevano la spiacevole sorpresa di trovare chiuso qualche negozio in attività fino al giorno prima), le cose procedevano in modo apparentemente lineare. Si tentava di andare avanti, insomma.
Un brutto giorno, però – e si era già all’ultima settimana di luglio – accadde un fatto che cambiò radicalmente le carte in tavola, mandando irrimediabilmente all’aria i piani dei due ragazzi.
Leanne si trovava in servizio al Georgiano, in piedi dietro il bancone in attesa degli ormai rari ospiti dell’Hotel quando, attraverso il vetro della porta girevole, vide materializzarsi un paio di inquietanti sbuffi di fumo nero.
Fu questione di un attimo.
Il signor Hollein, che in quel momento si trovava proprio accanto a lei, le afferrò la testa e la spinse giù con malagrazia, facendola chinare per farla nascondere sotto al bancone.
- Non fiatare e vedi di strisciare fino al mio ufficio senza farti vedere. Svelta! – sibilò al suo indirizzo il vecchio mago mentre la porta, con un cigolio, prendeva a ruotare su se stessa.
Leanne rimase paralizzata per qualche secondo; poi, lentamente, cominciò a camminare a quattro zampe verso l’ufficio del Direttore, che si trovava alle spalle della reception. Si mosse con estrema cautela, tentando di non fare rumore; per fortuna l’atrio di un grande hotel come il Georgiano non era, per definizione, un luogo particolarmente silenzioso.
Nel frattempo, un rumore di passi decisi le annunciò che qualcuno stava attraversando il salone e si avvicinava spedito al luogo in cui, fino a poco prima, si trovava anche lei.
- Buongiorno, signore. In cosa posso esserle utile? - domandò la voce del signor Hollein in tono deferente.
- Cerco la signorina Kaplett. Leanne Kaplett. La conosce? - rispose una voce maschile sconosciuta dal timbro basso e leggermente inquietante. Il signor Hollein seppe mirabilmente mantenere l'aplomb.
- Se la conosco? Ma certo.
- Sa dirmi dove si trova? Da quanto mi risulta, lavora qui - continuò la voce. A Leanne vennero i brividi.
- No, sono desolato. Per fortuna non ho più nulla a che fare con quella pestifera ragazza. L'ho licenziata giusto qualche giorno fa, dopo l'ennesimo disastro. Non so dove si trovi attualmente e, francamente, neanche mi interessa saperlo.
Seguì un silenzio gravido di tensione.
Leanne, raggiunta carponi la Direzione, sgattaiolò dentro attraverso la porta semiaperta, richiudendosela pian piano alle spalle. Una volta al sicuro da occhi indiscreti, la ragazza si alzò in piedi. Sulla parete dell'ufficio del signor Hollein si apriva un'ampia vetrata che dava sul bancone; il Direttore la usava per sorvegliare gli impiegati al lavoro nel salone, ma dalla parte esterna era impossibile guardare dentro perché il vetro era stato incantato per riflettere le immagini come uno specchio.
Leanne afferrò la cornetta del citofono che permetteva di udire le conversazioni tenute all'esterno e sbirciò attraverso il vetro.
Il signor Hollein si trovava in compagnia di un mago adulto completamente vestito di nero, che la ragazza non aveva mai visto. Non le fu necessario rivolgergli una seconda occhiata per capire che si trattava di un tipo assai poco raccomandabile.
- Se la vede, le dica di entrare in contatto col Ministero - stava dicendo costui al compunto Direttore. - Ho l'ordine di consegnarle una lettera di convocazione da parte del Settore Purezza Ematica.
- Ma certo, sarà fatto senz'altro, signor...?
- Mulciber. Ares Mulciber.
 
Alcune cosette:
1) Tanto per evitare confusioni (visto che la cosa in sé è, effettivamente, piuttosto confusa), i signori Montague hanno alcuni problemi con i nomi. La madre chiama i figli, rispettivamente, Keira e Kain. Il padre li chiama Caroline e Craig. Entrambi i ragazzi, però, prediligono il nome dato loro dalla balia: Greta e Graham. La nobile coppia, a quanto pare, ha deciso di storpiare anche il nome di Leanne: la signora Montague la chiama Lou-Anne; il signor Montague, Lausanne (Brisby, l'elfo domestico, prima di essere attribuito a Graham apparteneva a lui, per cui rispetta la nomenclatura da lui istituita). Tutto questo casino di nomi prende spunto dal fatto che Montague, nella saga, un vero nome non ce l'ha; in alcuni Paesi viene chiamato Kain, in altri Craig e in altri ancora Graham.
2) Leanne ricorda bene il colore degli occhi di Macnair perché, quando era sua studentessa e parlava di lui con i compagni, gli affibbiava spesso appellativi come MacSplendid, MacCool e MacSexy per sottolinearne l'avvenenza (cfr. L'Assistente di Pozioni).
3) * Per chi volesse saperne di più sulla coppia Midgen-McLaggen, si consiglia la lettura di Appuntamento al Buio...pesto Peruviano.

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Capitolo 12
*** Scacco matto ai Signori dei Falconi. ***


12. Scacco matto ai Signori dei Falconi.
 
- A proposito di prima...
- Non c’è bisogno di dire nulla, dài - disse lui, stringendole delicatamente il braccio intorno alle spalle. Mary alzò la testa per guardarlo in viso.
- E invece sì.
- Il mio comportamento è stato fuori luogo, lo so - sospirò lui, un po’ rammaricato.
- Al contrario. Io avrei reagito esattamente come te - lo contraddisse lei, scuotendo la testa. - Anch’io me ne sarei andata sbattendo la porta, se avessero chiesto a te di fare una cosa del genere.
- Ti hanno praticamente obbligata ad accettare...
- Non abbiamo molta scelta, lo sai. È per il bene superiore.
- A volte Silente si riempie la bocca, con questo bene superiore...
- Ma, purtroppo o per fortuna, ha ragione. Dobbiamo assolutamente recuperare quel Giratempo. Non possiamo lasciarlo in mano a loro, o saranno guai seri.
- Sì, ma... usare te come esca...
- Sei preoccupato.
- Non dovrei esserlo?
Mary appoggiò la guancia sulla sua spalla tiepida.
- Dovresti. Devi. Sì. É pericoloso, lo so.
Lui le carezzò i riccioli dorati e rimase in silenzio per qualche minuto.
- La maggior parte delle persone sedute a quel tavolo, poco fa... James, Lily, Silente stesso... non hanno visto quello che ho visto io quel giorno.
- Ne sono tutti al corrente.
- Sì, ma non hanno visto di persona quello che ti ha fatto, quel... Non hanno visto come urlavi e ti contorcevi a mezz’aria... – lei si tirò su di scatto, decisa a fermarlo, ma lui proseguì. – Non ti hanno vista cadere a terra in quel modo. Sembravi... sembravi...
- ...morta.
- Sì.
Un silenzio gravido di angoscia cadde nuovamente fra loro. Ancora una volta, fu lui a romperlo per primo, dopo qualche minuto di riflessione. Si tirò su a sedere sul letto, sfilandosi dall'abbraccio della ragazza. Tirandosi dietro il lenzuolo, allungò una mano per prendere qualcosa dal comodino.
- Ascolta, Mary.
- Dimmi.
- Quando dovrai... fare quello che ti è stato chiesto di fare, vorrei che tu usassi questo.
Le prese la mano e vi depose un piccolo oggetto luccicante, richiudendogli intorno le dita che lei, incuriosita, aprì subito per vedere di cosa si trattava. Era un piccolo scudo metà giallo e metà nero, con un piccolo rilievo dell’inconfondibile Tasso argentato piazzato nel mezzo.
- Ma questa è...
- Sì. La mia spilla di Prefetto. Il professor Cirrell vi appose uno speciale incantesimo protettivo come premio per un mio compito che giudicò particolarmente buono.
- Eri già così bravo in Difesa contro le Arti Oscure?
- Secondo lui sì... – replicò lui abbassando il capo, modesto.
- Non potevi che diventare un membro dell’Ordine – Mary lo guardò, sorridendo ammirata.
- I Tassorosso non sono versati per le Arti Oscure – si giustificò lui, un po' imbarazzato. Dalla sua voce, però, traspariva tutto l'orgoglio che provava per la sua Casa. - Usala tu, ti prego.
- Ma potresti averne bisogno...
- Io ho bisogno di sapere che tu sei al sicuro – rispose lui, carezzandole la guancia con dolcezza. Avvicinato poi il viso a quello di Mary, accostò le labbra alle sue e la baciò a lungo, con il cuore che gli batteva forte nel petto, un po' felice e un po' angosciato.
 
*
 
- Io ho bisogno di sapere che tu sei al sicuro! – stava sbraitando Graham, mentre percorreva a grandi falcate il lato lungo della sala da pranzo. Tutto ciò che, sventuratamente, si trovava sulla linea della sua traiettoria (mobili, oggetti, vegetali ed elfi domestici) veniva meticolosamente travolto e lanciato altrove.
- Kain... - tentò di calmarlo la signora Montague, invano. Graham era una furia incontenibile in quel momento, probabilmente prossimo all'autocombustione.
Leanne, seduta su una delle grandi sedie rivestite di cuoio disposte intorno all'enorme tavolo, lo osservava senza dire nulla.
Subito dopo che Ares Mulciber aveva lasciato il Georgiano, il signor Hollein aveva mandato il suo Patronus alla Gringott per chiedere a Graham di raggiungerli al più presto. Quando il ragazzo si era trovato davanti il pomposo pinguino che parlava con la voce del Direttore, aveva immediatamente piantato in asso baracca e burattini e si era precipitato fuori.
Senza dire una parola, con la sua espressione più ermetica e impassibile, aveva ascoltato il resoconto di Leanne e di Hollein; poi, insieme alla ragazza, aveva preso la Metropolvere diretto a casa. Leanne non osava aprire bocca perché sapeva che, presto o tardi, Graham sarebbe esploso – e ovviamente, quando lo fece, lo fece con il maggiore strepito possibile.
Chicazzoè sto Mulciber e checazzovuole da te?! – lo si udì ruggire fin dalle pendici del giardino. Dai cipressi secolari disposti lungo il viale si levarono stormi di passeri in fuga.
- Kain...
- Io gli torco il collo. Torco il collo a tutti!
- Padroncino Craig, le porcellane Ming no, la prego... – squittiva Brisby, afferrando al volo i piatti e i vasi di delicatissima ceramica bianca e azzurra che volavano nell’aria come pop corn.
 - Questo Mulciber è una persona molto, molto pericolosa, Kain. Ai tempi della Prima Guerra, pare abbia fatto a pezzi Benji Fenwick, un mio compagno di casa - disse la signora Montague in un soffio.
- E perché non si trova ad Azkaban? - rabbrividì Leanne, rompendo il silenzio per la prima volta da quando era arrivata.
- Walden Macnair gli fornì un alibi di ferro - s'inserì il signor Montague, che fino a quel momento se n'era rimasto zitto. - Tutti a spalleggiarsi a vicenda. Macnair, Lestrange, Mulciber, Piton e quella pazza furiosa di Bellatrix Black. Era dura far parte della Casa di Salazar, a quei tempi. Si vedevano di quelle cose...
- Per fortuna hai cercato compagnia altrove - gli sorrise la moglie.
- Sì. Io e Andromeda Black siamo stati così fortunati da accaparrarci dei Tassorosso.
Si udì tossire. Graham guardava i genitori, un po' a disagio.
- Come la mettiamo, quindi? - chiese poi, laconico.
- La mettiamo che, da domani, Lausanne non mette piede fuori di qui.
E così fu.
 
*
 
Poi, a poco a poco, richiamati da messaggi e passaparola non pronunciati ma misteriosamente risaputi, i babbani prossimi al Mondo Magico e i Nati Babbani intorno ai quali il cerchio, inesorabilmente, cominciava a stringersi, iniziarono a fare la loro timida comparsa sulla soglia di Villa Montague. Il primo a presentarsi fu un giovane mago gallese che aveva studiato con Greta, insieme ai genitori benzinai. Due giorni dopo, ecco arrivare un altro nucleo familiare; questa volta un mago padre di famiglia con la moglie babbana e due bambini che non avevano mai dato segni di magia.
- Il Ministero ci aveva accordato il permesso di espatrio - spiegò l'uomo, visibilmente agitato. - Ma tutti i canali di uscita sono controllati. Mangiamorte ovunque.
- Esattamente come l'ultima volta - commentò il signor Montague, tirando lunghe boccate di sigaro. E, insieme alla moglie, diede disposizione agli elfi domestici affinché preparassero le stanze per accogliere i nuovi arrivati.
Nei giorni successivi, l'afflusso aumentò in modo considerevole. In breve, la Villa dovette essere sottoposta ad opportuni incantesimi di estensione per farci stare tutti coloro che bussavano alla porta chiedendo ricovero.
Giocoforza, l'ultimo giorno di luglio, i signori Montague fecero chiamare Graham e Leanne nel loro salottino privato per parlare loro di una cosa molto importante.
- Sedetevi, ragazzi - esordì la signora Montague, appellando due poltroncine di velluto.
- Bando alle ciance - cominciò suo marito. - Non c'è molto tempo da perdere. Le nostre fonti ci informano che, ormai, la caduta del Ministero è imminente. 
- Ragion per cui dobbiamo immediatamente cominciare ad operare il Piano di Evacuazione.
Graham e Leanne si scambiarono un'occhiata.
- E come avreste intenzione di fare? - chiese il ragazzo, evidentemente scettico. - Londra è blindata.
- Faremo come l'altra volta - rispose la signora Montague, lisciandosi la veste. - Durante la Prima Guerra Magica, io e tuo padre partecipammo attivamente, insieme ai tuoi nonni, all'evacuazione dei soggetti in pericolo. Proprio da questa Villa. Tu e Keira eravate piccoli e di certo non ve ne ricordate...
- Assolutamente no - ammise Graham, facendosi attento.
- Useremo come rifugio la villa di famiglia sulle Grenadine.
- La villa ai Caraibi?!
- Esatto. Ma avremo bisogno del vostro aiuto. Craig, Lausanne; state bene attenti, ora.
La famiglia Montague, raccontò il mago soffiando fuori il fumo, possedeva una grande casa sulle isole Grenadine (la “Casa Coloniale”), risalente all'epoca della colonizzazione francese. Costruita in legno e circondata da un'ampia e ariosa veranda, era usata pochissimo, ma gli elfi domestici in servizio stabile la mantenevano in uno stato impeccabile. Una lussureggiante e impenetrabile foresta tropicale, potenziata da specie vegetali magiche, cresceva tutt'intorno, celandola agli sguardi indiscreti. Era il luogo ideale per trasferirvi le persone le cui vite si trovavano ora minacciate dai seguaci del Signore Oscuro.
- Ma in che modo state pensando di realizzare il trasferimeno? – domandò Leanne, intrigata.
- Il camino centrale della Casa Coloniale è collegato con quello di questa saletta – spiegò la signora Montague. – Ma l’incantesimo che permette la connessione ha delle... particolarità.
- Esatto – continuò il marito. – Tanto per cominciare, c’è bisogno di qualcuno che lo attivi direttamente da là. E non è tutto: affinché funzioni, ci vuole un discendente di sangue Montague ad ogni estremità.
- Questo significa... – s’intromise Graham, accendendosi una Hermes.
- Che io e tuo padre ci recheremo alle Grenadine per attivare il portale – disse sua madre – mentre tu e Lou-Anne dovrete rimanere qui e, al momento opportuno, completare il processo.
- Ma neanche per sogno! – esclamò il ragazzo, saltando in piedi. – Leanne viene con voi immediatamente. Non può rimanere qui e perdere tempo e rischiare di...
- Non dire baggianate Graham! – strillò Leanne, stringendogli il braccio. – Senza di te non mi muovo di qui!
- Ma l’importante è che ci sia qui io, no? – ribatté lui, testardo.
- Tecnicamente sì, Craig – disse il signor Montague, conciliante. – Ma Lausanne non può venire con noi. Non ha il permesso di espatrio.
- E voi, ce l’avete?
- Noi abbiamo tutto Kain, lo sai – rispose la signora Montague, mentre Graham borbottava qualcosa che suonò simile ad “ammanicati”. – Stammi bene a sentire. Noi partiremo nel giro di due ore. Contiamo di arrivare a destinazione domattina sul presto. Non appena la connessione sarà pronta per essere attivata, ti manderemo Aristide con le istruzioni.
Aristide, il falcone del signor Montague, era già incappucciato e pronto sul suo trespolo. Il padrone gli lisciava le piume, assorto, mentre lui emetteva degli stridii acuti e delicati.
- Siamo d’accordo?
Graham annuì, aggrottando la fronte.
- Nel frattempo, mi raccomando, mantenete alti i sistemi di protezione della Villa – raccomandò la signora Montague, in tono risoluto.
- Nessuno ha mai espugnato questa Villa, madre.
- No. Ma questa volta c’è un piccolo problema – disse il signor Montague, serio, senza smettere di lisciare le piume di Aristide. – Aidan Avery, il cognato di tua sorella, conosce l’ubicazione di casa nostra. L’Incanto Fidelius è quindi invalidato. Dobbiamo giocare sul tempo, prima che loro si accorgano di quello che stiamo facendo.
- A proposito... e Greta?
- Le abbiamo già fatto pervenire un messaggio. Lei e Eean dovrebbero raggiungervi al più presto.
 
*
 
Le ore che seguirono la partenza dei coniugi Montague furono di una calma piatta snervante e densa di elettricità. Quella calma che, di solito, antecede lo scatenarsi della tempesta.
E difatti, la sera del giorno dopo, Graham e Leanne appresero con grande sgomento - ad informarli fu un vecchio Magonò affranto, già scampato alla Prima Guerra e appena approdato alla Villa - che il Ministro Scrimgeour era stato assassinato e che il Ministero era caduto.
- Quindi è questione di ore - osservò Leanne, nervosa, mentre Graham percorreva a grandi passi il perimetro della proprietà recitando complicatissimi incantesimi protettivi che aveva imparato al corso di Spezzaincantesimi. - La protezione del Ministero è svanita. Villa Montague è in pericolo.
E nel cielo terso, nessuna traccia di Aristide. Il tempo stringeva, ma il falcone non si vedeva.
La stessa cosa valeva per Greta. Le ore passavano ma, della sorella di Graham e di suo marito, neanche l'ombra.
Alla luce dei fatti appena accaduti, i maghi e le streghe in fuga continuavano ad arrivare, sempre più numerosi. Dentro la Villa e nelle sue dipendenze, si respirava aria di una polveriera pronta ad esplodere.
 
Spesso, fra un giro di incantesimi e l'altro, Graham si affacciava alla finestra della sua stanza e guardava assorto il giardino, socchiudendo gli occhi. Fra gli alberi secolari avevano cominciato a spuntare delle tende per alloggiare coloro che non trovavano posto dentro casa.
- Che cos'hai, Ham? - gli chiedeva Leanne, infilandosi fra lui, la balaustra e sistemandosigli fra un braccio e l'altro.
- Io sarei stato dall'altra parte, ora - rispondeva lentamente lui, abbassando la testa per posare il mento sulla sua spalla. La sua voce suonava seria e addolorata. - Se non fosse successo quello che è successo, io sarei...
- Ma non lo sei - tagliava corto lei, alzando una mano per tappargli la bocca. - Sei dalla parte giusta, Graham! Ed è questo che conta.
Lui girava il capo per guardarla, incantato dai riflessi del sole che le facevano brillare le iridi castane; faceva scivolare le braccia intorno al suo corpo sottile e la stringeva a sé.
- Vedrai che bello, il Mar dei Caraibi. È verde come lo stendardo di Salazar...
- Che meraviglia avere un fidanzato ricco - commentava Leanne strizzandogli l'occhio e facendolo finalmente sorridere.
- Vedi di tenertelo stretto, allora - sbuffava lui, facendola girare verso di sé e poi trascinandola delicatamente all'interno della stanza, grato per le iniezioni di vita che lei riusciva sempre a regalargli. - Un buon partito come me non si incontra ad ogni angolo, sai.
- Neanche uno sbruffone così spocchioso e pieno di sé, se è per questo - ridacchiava la ragazza, abbracciandolo forte.
 
*
 
Passarono altri due giorni prima che, finalmente, succedesse qualcosa. E quando la situazione si smosse, accadde tutto in una volta.
Graham e Leanne avevano cominciato a chiedersi se, per caso, qualcosa non fosse andato storto alla Casa Coloniale quando all'improvviso, dal giardino, qualcuno urlò:
- Il falcone! GUARDATE!
- Siamo salvi! - acclamarono altre voci.
Si udì un fischio profondo fendere l'aria; i due ragazzi si precipitano sulla terrazza per vedere meglio. Ed eccolo là, Aristide, che descriveva cerchi ampi nel cielo; Graham lo richiamò tendendo il braccio e lui, con una virata regale, venne a posarsi stringendo gli unghioni sulla protezione di cuoio. Legato ad una zampa dell'uccello con un nastrino verde, c'era un piccolo rotolo di pergamena con il sigillo "M".
I rifugiati esultarono. Dopo giorni e giorni trascorsi in preda allo sconforto, l'arrivo di Aristide portava con sé la speranza di farcela.
Stando bene attenta a non farsi beccare (il becco del falcone era tagliente come un rasoio), Leanne afferrò il rotolino di pergamena e lo svolse per leggerlo.
- Il portale è pronto, Graham. Vai ad attivarlo, presto! Io intanto organizzo la fila... Brisby!
- Comandi, signorina Lausanne!
- Aiutami a mettere in ordine gli ospiti, per favore. Prima i bambini!
- Sissignorina, signorina Lausanne!
- Leanne...
- Cosa c'è, Graham?
- Non... Non sono sicuro di saper fare questo incantesimo - borbottò lui, dopo avere letto velocemente il biglietto.
- Io, invece, sono sicura di sì - lo interruppe lei, saltellando da un piede all'altro. - Tu sai fare tutto, ricordi?! Mi hai perfino trovato la figurina di Panoramix il Druido!
- Sciocca... - sorrise lui, facendo una smorfia.
Proprio in quel momento, un secco crack precedette l'arrivo di Greta. Materializzarsi all'interno del cerchio magico le era stato possibile solo perché Villa Montague era ancora casa sua. Era sola, spettinata e molto, molto spaventata.
- Gree! Salazar sia lodato! - esclamò Graham, spalancando gli occhi. - Dov'è Eean?... - chiese poi, sospettoso
- Non c'è un minuto da perdere! - gridò lei trafelata. - Mi hanno quasi...
Una serie di sibili profondi richiamò la loro attenzione. Intorno alla cupola protettiva che avvolgeva Villa Montague cominciarono a zigzagare densi sbuffi di fumo nero.
- Mangiamorte! - strillò una giovane strega, terrorizzata.
- Sbrigati, testone! - urlò Leanne a Graham. - Sono arrivati!...
 
*
 
La barriera avrebbe forse retto per qualche manciata di ore. Forse.
Con l'aiuto di Greta, Graham era riuscito ad attivare il portale e l'evacuazione era cominciata.
Man mano che i rifugiati defluivano lentamente attraverso il camino, Graham, Leanne, Greta e alcuni altri maghi e streghe più abili degli altri si davano da fare per rafforzare lo spessore della cupola. Purtroppo, molti dei quali avrebbero potuto dare una mano si trovavano in condizioni di impotenza, perché le bacchette erano state loro requisite dall'Ufficio Purezza Ematica del Ministero.
Intanto, da fuori, gli attacchi si moltiplicavano.
Protego Maxima! - ripeté Leanne per l'ennesima volta. 
Era esausta e scarmigliata; la piccola fenice di mithril brillava fra i suoi capelli di una luce azzurra che si faceva ad ogni istante più intensa, reagendo alla magia oscura degli assalitori.
Dopo un tempo che parve loro eterno, Brisby venne a chiamarli.
- Signorina Caroline, padroncino Craig, signorina Lausanne. L'evacuazione è prossima al termine. Venite dentro, presto!
Secondo le istruzioni inviate tramite Aristide, Graham avrebbe dovuto attraversare il camino per ultimo; al suo passaggio, la connessione con la Casa Coloniale si sarebbe chiusa ermeticamente.
- Brisby, ti ordino di smaterializzarti alle Grenadine! - comandò il ragazzo, mentre Greta si preparava ad entrare nel camino.
In quel momento, una detonazione fragorosa seguita da un tremore intenso scosse la Villa, facendoli cadere a terra tutti e tre.
Leanne, al colmo dell'orrore, vide la parete dietro al caminetto che si sgretolava in un cumulo di macerie. Greta si rialzò tossicchiando, coperta di polvere; per un soffio non era stata colpita dai calcinacci in caduta libera.
- Molto bene. Che cosa abbiamo qui? - domandò una voce canzonatoria e malvagia.
Aidan Avery, in piedi davanti a loro, li osservava con un ghigno compiaciuto.
Accanto a lui, un manipolo di inquietanti figuri vestiti di nero completava quel quadro apocalittico.

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Capitolo 13
*** Aromagie che sciolgono il ghiaccio. ***


13. Aromagie che sciolgono il ghiaccio.
 
Di tutte le ricchezze che ho viste
Una sola io vorrei davvero
I tuoi occhi di acqua celeste.
(Stefano Benni - Di tutte le ricchezze)

 
Il ghigno sarcastico di Aidan Avery durò poco.
Un lampo di luce gialla, seguito da un grido, balenò nell'aria abbagliando le cornee dei presenti.
Bastardo!
Greta aveva fatto saettare la bacchetta, attaccando il cognato e colpendolo di striscio con un incantesimo tagliente. Quello spalancò gli occhi, incredulo; poi indietreggiò di qualche passo, portando la mano alla guancia ferita, che già sanguinava abbondantemente.
Graham non perse tempo.
Approfittando dell'effetto sorpresa si lanciò in avanti verso i Mangiamorte, travolgendone tre con incantesimi di potenza inaudita che parevano un prolungamento della sua prodigiosa forza fisica; Leanne, nel frattempo, era riuscita a impastoiarne un quarto, mentre Greta, inferocita, faceva sferzare la bacchetta, accanendosi su Avery che, sconcertato, tentava di difendersi come meglio poteva.
Purtroppo gli oppositori erano in molti e i ragazzi, pur determinati a non arrendersi, capirono subito che le cose, per loro, si sarebbero inevitabilmente messe male. Nessuno dei tre era abituato a duellare, eccetto Graham che, a scuola, aveva spesso e volentieri menato le mani e agitato indebitamente la bacchetta. Ma si era trattato pur sempre di scaramucce fra studenti; quella, invece, era una situazione molto seria. Leanne era veloce e possedeva buoni riflessi, ma non aveva mai imparato ad usare la magia come un'arma; Greta, dal canto suo, pur essendo di qualche anno più vecchia di loro e più capace, si vedeva costretta alla cautela a causa della gravidanza. In ogni caso, però, erano tutti e tre decisi a vendere cara la pelle.
Ergendosi in tutta la sua considerevole statura, Graham si scagliò contro coloro che furono così sventurati da capitargli a tiro, travolgendoli con ogni sorta di mezzo magico e babbano. Andò avanti così per qualche minuto, fra urlacci e schiocchi di nasi frantumati e di ossa spezzate finché, inevitabilmente, qualcosa lo fermò. 
Di punto in bianco il ragazzo rimase immobile, improvvisamente esitante.
Bastian Macnair stava in piedi davanti a lui; si mordicchiava il labbro inferiore e lo fissava impassibile, passandolo da parte a parte con il suo sguardo glaciale. Come sempre, non aveva un capello fuori posto ed era vestito in modo impeccabile, come se fosse appena uscito di casa per recarsi ad un appuntamento con una qualche dannata Principessa del Galles.
Stupeficium! - buttò lì Graham, senza troppa convinzione.
Protego - sibilò Macnair in tono basso e piatto, muovendo appena il polso. Colpito di rimbalzo dal suo stesso incantesimo, Graham vacillò.
L'altro non mosse un passo. Non lo attaccò, non tentò di sbaragliarlo né di schiantarlo. Montague era troppo grosso e carico, in quel momento; uno Schiantesimo di media entità, probabilmente, avrebbe avuto ben poco effetto su di lui. Quello sbruffone impulsivo di Avery ci avrebbe senz'altro provato. Ma non Macnair, che era metodico, osservatore e prediligeva agire a freddo. Graham era apparentemente incontenibile, certo, ma era anche suscettibile, infervorato ed eccitabile; aveva commesso il grosso errore di lasciare aperta la mente. Ed in essa, come da copione,  risiedeva la sua vulnerabilità.
Confundus! - la voce bassa e un po' graffiante di Macnair fu sopraffatta dal baccano che risuonava tutt'intorno, ma la formula magica andò a segno; lui strinse impercettibilmente gli occhi quando l'incantesimo si conficcò in profondità nella mente indifesa di Graham che, stordito, sbattè le palpebre e indietreggiò di qualche passo.
 
Graham! - urlò Leanne, vedendolo barcollare. Un momento di distrazione fu sufficiente perché uno Schiantesimo la prendesse alle spalle. La ragazza cadde a terra con un grido. Nel frattempo un Mangiamorte anziano, un certo Yaxley (Graham lo conosceva di vista, avendolo incontrato qualche volta alla Gringott), era riuscito a disarmare Greta e la teneva sotto tiro.
- Gree! Leanne! No! - Graham scosse la testa, cercando di recuperare la concentrazione, ma ormai li aveva tutti addosso; con non poca fatica e un numero considerevole di incantesimi scagliati al suo indirizzo, i Mangiamorte riuscirono infine ad impastoiarlo.
- Ottimo lavoro - commentò Avery, avvicinandosi. Teneva ancora la mano premuta sulla guancia e aveva il colletto della camicia tutto sporco di sangue. Ai suoi piedi, Graham tentava invano di liberarsi e strepitava inferocito, con un'espressione assassina dipinta sul volto. - Chiudetelo in quella stanza laggiù. Me la vedo io con lui.
- Non...non osare! - Greta urlava come una pazza. - Non osare toccarlo! Lui no! Mi hai capita? 
- Chiudi il becco, traditrice del tuo sangue e, ahimè, anche del mio.
Lei spalancò gli occhi e si buttò in avanti, trattenuta per un pelo da Yaxley.
- Sei tu, sei tu che lo hai tradito! Cane!
Avery la fissò con cattiveria.
- Portatelo via - ordinò poi ai suoi accoliti, indicando Graham con un cenno del capo. Greta continuava a dibattersi:
- Se gli torci anche un solo capello io ti ammazzo, maledetto! Ti ammazzo!
- Oh. La lady ha perso l'aplomb - la provocò Avery, ridendole in faccia. Si voltò divertito verso Macnair, ma quello non lo degnò di uno sguardo, impegnato com'era a rimuovere con estrema attenzione un pelucco dalla manica della giacca nera.
Con un'alzata di spalle, Aidan Avery seguì il corpo levitante di Graham fino alla sua cella improvvisata.
 
*
 
- Siamo nei guai.
Leanne, che misurava a grandi passi il perimetro della stanza in cui le avevano rinchiuse, alzò gli occhi e guardò Greta.
- Siamo nella merda, vorrai dire...
- Sì. Nella merda fino al collo - rispose lei, carezzandosi la pancia già lievemente arrotondata.
In altre circostanze, la parola 'merda' in bocca a Greta avrebbe anche potuto suonare divertente, ma in quel momento la situazione non si confaceva all'ilarità.
Leanne le si avvicinò e sedette accanto a lei sul pavimento.  Al momento di chiderle dentro, Macnair aveva fatto evanescere tutti i mobili per evitare che potessero in qualche modo avvalersene per darsi alla fuga. Rimanevano solo il vasto tappeto, segnato laddove decenni di zampe lignee l'avevano pressato, ed una considerevole collezione di vasi di vetro di Murano ordinatamente ammucchiata in un angolo.
- Cosa... cosa è successo a tuo marito, Gree? - chiese Leanne, in un mormorio sommesso.
Greta la guardò tristemente, tentando di organizzare i pensieri.
- Lo hanno... lo hanno colpito. Non so se... se... - disse infine, reclinando la testa all'indietro per appoggiarla alla parete. - Avevamo ricevuto il messaggio di mamma, sai...
Leanne le prese la mano.
- Eravamo pronti a fuggire, lui era d'accordo con me - proseguì Greta, la voce rotta dal pianto. - Eean era... lui era una brava persona. Non come... 
- Non-pronunciare-quel-nome - la interruppe Leanne, con un moto di stizza, come se dire 'Aidan' fosse più grave di nominare il nome completo di Lord Voldemort.
- Insomma, abbiamo preparato tutto, ma dovevamo fare attenzione. C'erano sempre persone indesiderabili in giro per casa. 
- Immagino.
- Quando abbiamo saputo della caduta del Ministero, abbiamo capito che non potevamo aspettare un minuto di più e abbiamo tentato il tutto per tutto. Evidentemente, però, ci tenevano sotto controllo. 
- Ma tu...
- Sì, io ce l'ho fatta, ma solo perché... perché... - Greta non riusciva a terminare la frase.
- Non c'è bisogno di andare avanti, Gree - le disse dolcemente Leanne, stringendole la mano.
- Mi ha urlato di andare avanti. Di non voltarmi a guardare. Di fuggire lontano e portare via Plin.
Plin?
Plin. Questo qui, o questa qui - spiegò Greta con un sorriso mesto, indicandosi la pancia. - Eean lo/la chiamava così. Diceva che è il suono che fa una goccia di rugiada.
 
*
 
Mal di testa.
Mal di collo.
Mal di spalle.
Mal... di tutto.
Sdraiato sul freddo pavimento, gli sembrava di svenire e rinvenire in continuazione. Era esausto e dolorante. Neanche nei lunghi mesi di degenza in infermeria si era sentito così a pezzi. Certo, era rimasto privo di forze per un bel po'. Ma mai, mai in vita sua, prima di allora, gli era toccato sopportare un dolore forte come quello che gli era appena stato inflitto da Avery.
Quel bastardo gli aveva fatto assaggiare un po' di Cruciatus, a più riprese, nel tentativo di farlo cantare. Voleva sapere che cosa fosse accaduto alla Villa, chi erano coloro che vi si erano rifugiati e come avevano fatto a scappare. Graham non aveva aperto bocca, ma il suo silenzio era costato molto, molto caro.
- Eh sì che promettevi bene, quando eri più piccolo - lo schernì Avery. - Saresti stato un perfetto Mangiamorte: sprizzi sangue puro e magia potenzialmente oscura da tutti i pori. Il Signore Oscuro ti avrebbe senz'altro apprezzato molto, Montague. Io stesso avrei scommesso ad occhi chiusi su di te. E invece...
Graham rimase in silenzio. Respirava a fatica, era esausto.
- ...e invece, ci hai ingannati tutti. Che delusione. Un altro schifoso traditore del proprio sangue - concluse Avery, con un sorrisino di ironico rammarico.
Dopo alcuni minuti, il Mangiamorte si chinò su di lui, facendolo girare a pancia in su con un colpo di bacchetta.
- Sei proprio sicuro di non volermi raccontare nulla? – lo incalzò.
Silenzio.
- Lo prendo per un no. E sia. Ma sappi - concluse Avery, guardandolo torvo - che appena arriva Mulciber coi ferri, un bel Marchio Nero onorario non te lo leva nessuno.
E facendo ondeggiare il mantello se ne andò, lasciando Graham steso a terra, pesto e scomposto.
 
*
 
Dopo aver rinchiuso le due streghe nella stanza che gli era parsa più adatta allo scopo, Bastian Macnair era uscito in corridoio e si era messo a guardare fuori da una delle grandi finestre che fiancheggiavano il lato ovest della casa.
Da quella posizione si godeva una gran bella vista del giardino e della collina di Greenwich, che discendeva dolcemente fino alla zona dei canali del Tamigi; in lontananza, i tetti e le torri di Londra si confondevano come in una stampa dal disegno particolarmente intricato.
Macnair fece vagare lo sguardo sugli alberi del giardino.
Tanti anni prima, quando era ancora un bambino col pallino delle pozioni, gli era stato detto che, nel giardino di alcune magioni appartenenti alle casate di maghi più antiche e tradizionali, crescevano numerose specie magiche e non magiche egualmente adatte alla bollitura nel calderone. Villa Montague era una di queste.
“Chissà se se c’è anche...” si domandò; e la sua vista acuta gli fornì una veloce risposta.
Eccolo lì.
Alto e flessuoso, con la chioma verdeargento ed il tronco rossastro, un imponente eucalipto magico si stagliava contro gli arabeschi azzurri e arancioni del cielo al tramonto.
Macnair chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, il sole era già scomparso e il girdino era avvolto nel buio. L’eucalipto e tutte le altre piante, immerse nell’ombra, non si vedevano più; nel frattempo il vetro della finestra, divenuto riflettente come uno specchio, gli rimandò l’immagine di due occhi chiari come l’acqua che lo guardavano fisso.
Erano i suoi.
Belli, ma sempre troppo gelidi e freddi, gli dicevano tutti. Tutti quelli che non sapevano che, dietro a quello strato sottile di ghiaccio, si agitavano ben altri pensieri. Pensieri dolci e al tempo stesso tormentati, pensieri che lo accompagnavano sempre e in ogni dove.
Pensieri che il suo losco compare interruppe bruscamente, avvicinandosi a lui con passo pesante.
- Mi ci sono voluti tre Schiantesimi contro quell’energumeno – esordì Avery. – Non voleva sapere di starsene buono. Oh, ma alla fine l’ho piegato...
- Ha parlato?
- Macché. Neanche sotto Cruciatus.
- E con l’Imperius?
- Niente.
- Davvero un gran peccato non averlo dalla nostra.
- Già.
Avery fece spallucce come a dire “c’esta la vie”.
- Ma sai che ti dico? Quando non si fa breccia da una parte, ci si prova dall’altra. Fammi un po’ vedere cosa abbiamo qui dentro – disse, aggirando l’amico e abbassando la maniglia della stanza dov’erano rinchiuse Leanne e Greta.
 
Attraverso la porta semiaperta, Macnair ebbe modo di ascoltare il breve dialogo che si tenne all’interno. Prima la voce adirata (e allarmata) di Greta che gridava:
- Che cosa vuoi? Dov’è mio fratello? Che cosa gli avete fatto?
E Avery che le rispondeva:
- Si è beccato quel che si meritava, quel bestione.
Poi un’altra voce, probabilmente quella dell’altra ragazza, che lo insultava:
- Maledetto bastardo!
Grave errore, pensò Macnair, socchiudendo gli occhi. Ora, Avery doveva essersi per forza accorto di lei. E, considerando il modo poco ortodosso con cui il suo amico, spesso e volentieri, soleva ‘divertirsi’ con le prigioniere, soprattutto quelle carine come lei, la cosa non prometteva nulla di buono.
Difatti, dopo un silenzio di qualche secondo, si udì nuovamente la voce di Avery che diceva, presumibilmente rivolto a Greta:
- A te non faccio niente (anche se, te lo dico, non mi dispiacerebbe affatto) perché, che tu ci creda o no, nutro ancora qualche scrupolo nei confronti di mio fratello.
- Non osare parlare di lui!
- Ne parlo eccome. E poi – continuò Avery dopo una breve pausa – porti in grembo un membro della mia famiglia, il che ti tiene in salvo. Per ora.
Non aggiunse altro.
Un secondo dopo, Greta era stata sbattuta in malo modo fuori dalla stanza, all’interno della quale cominciò quasi subito a scatenarsi il putiferio. Avery rideva, Leanne urlava ed era tutto un fragore di vasi di Murano frantumati.
 
Greta Montague batteva il pugno sulla porta e singhiozzava, intimando ad Avery di aprire immediatamente la porta. Batté, minacciò e supplicò; tutto invano. Poi voltando la testa ,disperata, si accorse di Macnair, che era rimasto in piedi accanto alla finestra e la guardava impassibile.
- Macnair! – lo implorò lei, afferrandogli d’impulso il braccio. Il ragazzo aveva arrotolato puntigliosamente le maniche della camicia immacolata; le dita di Greta si strinsero attorno al suo polso, sfiorandogli la pelle.
– Ti prego, ti prego!... Non lasciare che Aidan... che le faccia...
Ora, Greta non era mai stata una Legilimens, né un’esperta di Divinazione né, in alcun caso, una strega dotata di chissà quali poteri fuori dal comune. Non seppe mai in che modo riuscì a leggere dentro a Macnair anche se poi, ripensandoci in seguito, finì per convincersi che questo surplus di magia le fosse stato regalato da Plin, la piccola creatura che, da qualche tempo, nuotava beata dentro di lei.
- Ti prego! – ripeté Greta. – Mio fratello la ama... Se mai ti è capitato di amare qualcuno in vita tua, non permettergli di... di...
In quel momento, l’anta della finestra si spalancò, forse mossa dal vento della sera, o forse dalla disperazione di Greta. E l’effluvio intenso dell’eucalipto magico di Villa Montague entrò, impetuoso,  insieme alla corrente d’aria, invadendo il corridoio.
Bastian Macnair ne fu colpito in pieno.
Chiuse gli occhi, vide i bagliori rossastri dell’outback, i canguri e i koala; socchiuse le labbra, inebriato dal profumo di eucalipto che si insinuava in profondità dentro di lui; dilatò le narici per aspirare a pieni polmoni l’aroma della brezza morbida e salata dell’Oceano Pacifico.
La visione durò un attimo, ma fu in grado di scuoterlo da capo a piedi.
 “Se mai hai amato qualcuno, in vita tua...”
Assolutamente sì.
“E se ci fosse lei, là dentro?”
Assolutamente no.
Aveva lasciato aperta la mente. Che errore da principiante. Lo ammise a se stesso e, serenamente, si arrese. Diresse uno sguardo pacato verso Greta e mosse qualche passo verso la porta.
- Quando uscirò da quella stanza con Avery – le disse allora, in tono eloquente – dovrai fare due cose. Innanzitutto, dovrai “coglierci di sorpresa” e Schiantarci. Prima lui, ovviamente, e poi me. Tutti e due.
- Ma...
- Niente “ma”. Devo essere libero da qualsiasi sospetto, o per me non ci sarà scampo.
- Va... va bene. E la seconda cosa?
- Dovrai prelevare le vostre bacchette dalla tasca della giacca di Avery ; poi, dovrai raggiungere tuo fratello al più presto e trovare un modo per uscire di qui. Mulciber arriverà a momenti con i ferri; se non sarete abbastanza veloci, ti ritroverai un Marchio Nero in famiglia – rispose lui, mentre Greta si tappava la bocca con le mani.
- Ci siamo capiti?
- Sì – annuì la strega.
Macnair si alzò e andò ad aprire la porta.
 
Dentro la stanza, la situazione era deplorevole. C’erano pezzi di vetro ovunque e segni di lotta; in un angolo, Avery era finalmente riuscito ad acchiappare Leanne e la teneva ferma a terra, sotto di sé, mentre con una mano armeggiava con la fibbia della cintura. La ragazza cercava invano di divincolarsi; aveva i vestiti a brandelli e un bel po’di lividi distribuiti qua e là.
- Adesso ti faccio vedere io, sporca Mezzosan...
- Avery.
Quello si fermò, un po’ansimante. Con un colpo di testa, gettò all’indietro la chioma scura.
- Cosa vuoi, Macnair? Sei venuto a prenderti la tua parte?
- Io non faccio certe cose – rispose l’altro, gelido. – Mulciber è arrivato.
- Ma per la Spocchia di Salazar! – ringhiò Avery, stringendo la mano intorno al collo di Leanne, che aveva smesso di agitarsi. – Proprio sul più bello...
- Convocazione immediata.
- Peccato. Dover lasciar perdere un’attività così appagante... Dovresti provare, qualche volta.
- Io certe cose non le faccio – ripeté Macnair, piatto.
- E infatti è proprio per questo che quella bella pollastra australiana ti manda sempre in bianco...
Non fece in tempo a finire la frase.
Macnair gli si era lanciato addosso e lo aveva fatto girare su se stesso con un colpo di bacchetta, per poi puntargliela alla gola.
- Non. Osare.
Avery lo guardò con un ghigno, assottigliando lo sguardo. Faceva lo spavaldo, ma in fondo ai suoi occhi brillava un lumicino di apprensione.
- Suvvia, Bastian. Si scherzava.
- Oblivion!
Gli occhi di Avery si fecero vacui. Macnair lo fissò, gelido, e poi non seppe resistere alla tentazione di risparmiare a Greta il lavoro sporco.
- Stupeficium!
Avery cadde all’indietro. Macnair rovistò nelle sue tasche ed estrasse le tre bacchette dei prigioneri.
- Prendi! – ordinò, lanciandole a Leanne che, nel frattempo, si era rialzata in piedi a fatica. Era coperta di lividi e di graffi. La ragazza le prese al volo e si precipitò fuori dalla stanza, per poi rifugiarsi fra le braccia di Greta.
- Va tutto bene – le disse quella, accarezzandole la testa. – Andiamo.
- Montague.
La voce di Macnair richiamò l'attenzione di Greta, che si voltò a guardarlo.
- Ricordati cosa devi fare - soggiunse lui, alludendo a quanto convenuto fra di loro poco prima. E, detto questo, aprì le braccia, preparandosi ad incassare il colpo, che però non arrivò.
Invece di Schiantarlo, Greta gli appioppò un ben più blando Petrificus Totalus.
- Grazie – mormorò, per poi girarsi verso Leanne, che ancora si stringeva a lei tutta tremante, ed esclamare:
- Muoviamoci!
 
*
 
Raggiungere Graham non fu cosa facile.
La Villa e il giardino erano pieni di seguaci del Signore Oscuro, e le due ragazze dovettero procedere con molta cautela.
Mentre si dirigevano in tutta fretta verso la dispensa, però, andarono quasi a sbattere contro un soggetto alto e nerovestito, probabilmente appena arrivato, che reggeva fra le mani una mezza dozzina di oggetti metallici allungati dall'aspetto poco rassicurante. Sembravano ferri per marchiare il bestiame.
Leanne cacciò un urlo.
L'aveva riconosciuto immediatamente: era lo stesso tizio che era andato a chiedere di lei al Georgiano.
Ares Mulciber.
Mentre Leanne lo osservava con gli occhi sbarrati, domandandosi che cosa lei e Greta avrebbero potuto fare contro un tipo così, accadde un fatto inesplicabile. Quando i suoi occhi incontrarono quelli della ragazza, un'espressione di indecifrabile stupore si dipinse sul volto scavato del Mangiamorte. Mulciber rimase impietrito ad osservare quella ragazza bionda e riccia dall'aspetto dimesso, che lo fronteggiava angosciata. Il mago assunse l'espressione di uno cui avessero appena scagliato contro un Confundus; la sua sorpresa parve aumentare quando i suoi occhi si posarono sulla mollettina di mithril, che ormai aveva assunto la tonalità del blu cobalto.
- M-Mary...? - balbettò, incredulo.
Leanne non perse tempo chiedendosi chi diavolo fosse la Mary chiamata in causa; agitò il polso e, mossa dall'impulso, gli scagliò contro il più potente Incantesimo di Ostacolo che le riuscì di produrre:
- Impedimenta!
L'impatto, violento e inaspettato, lo fece volare lontano.
- Oh, per Godric!... L'avrò... l’avrò...
- Arresto Momentum! - gridò Greta, arrestando a mezz'aria un paio di molle da camino che si dirigevano saettando verso di loro. - Andiamo, Leanne!
Altri oppositori, richiamati dal chiasso, erano entrati all'interno della Villa e si erano lanciati al loro inseguimento, bersagliandole di oggetti e sortilegi.
Greta e Leanne corsero a perdifiato, tentando di non inciampare né di farsi colpire dalle fatture che volavano tutto intorno a loro; quando la porta della stanzetta in cui era rinchiuso Graham si parò davanti a loro, le due ragazze proruppero in un Alohomora congiunto che fece quasi scardinare la spessa anta di legno di faggio.
- Colloportus! - gridò Leanne, chiudendosi dentro, mentre Greta, previdente, apponeva sull'uscio un più lungimirante e solido Salvio Hexia.
Graham, semincosciente ma vivo, giaceva sul freddo pavimento del locale, che era piccolo, scuro e privo di finestre.
"Decisamente claustrofobico", osservò Leanne con una stretta al cuore, sapendo quanto gli spazi ristretti lo facessero soffrire.
- Macnair ha detto che la dispensa è stata sottoposta ad incantesimi anti smaterializzazione! - gemette Greta, non appena ebbe recuperato un minimo di fiato. - Siamo in trappola!
- No! - urlò Leanne, gettandosi in ginocchio accanto a Graham. - Graham lo può fare! È l'unico ad essersi smaterializzato dentro Hogwarts...
- È troppo debole, Leanne!
- No! - ripeté lei, ostinata. - Lo può fare! Lui può fare tutto!
Si mise a scuoterlo con forza; per farlo tornare in sé, gli assestò perfino un paio di buffetti sostenuti (erano veri e propri ceffoni, a onor del vero, ma lei sapeva che Graham li avrebbe percepiti come innocue pacchette). Lo sguardo del ragazzo si fece a poco a poco meno vacuo.
- Le... Leanne.
Tentò di stendere le dita per carezzarle una guancia, ma il dolore glielo impedì.
- Cosa ti hanno... - le chiese, accorgendosi dei suoi abiti laceri e dei lividi che cominciavano a costellarle la pelle.
- Ascoltami bene, Graham - lo interruppe lei, prendendogli il viso fra le mani. - Ci devi tirare fuori di qui, hai capito?
Lo stato di coscienza del ragazzo oscillava pericolosamente fra l'acceso e lo spento. Gli occhi grigi gli si facevano vitrei ed era scosso da brividi.
- Non... non posso...
- Sì invece! Graham! - Leanne gli mise in mano la bacchetta; poi gli sollevò la testa e se la strinse al petto. - Tu puoi fare tutto amore mio. Tutto! Ascoltami - gli disse, scostandosi un poco da lui per guardarlo negli occhi. - Tu... eri già uno Spezzaincantesimi, ancora prima di rendertene conto...
- Leanne ha ragione, Graham - Greta gli si era avvicinata alle spalle e lo cingeva da dietro, facendo aderire la pancina rotonda alla schiena del fratello. Da fuori, i colpi e le imprecazioni si susseguivano. - Tiraci fuori di qui, Ham!
E così, stretto fra le due (anzi, tre) persone che gli erano più care al mondo, il ragazzo riuscì a recuperare un briciolo di lucidità.
- Te-tenetevi... - balbettò, con un filo di voce. - Do-dove...?
- A Stennes! - urlò Leanne, tirando fuori il primo luogo che le era venuto in mente.
Crack.
Proprio in quell'istante la porta cedette, spalancandosi con uno schianto. Mentre si smaterializzava insieme a Graham, Greta e Plin, Leanne ebbe la netta impressione di udire un ruggito rabbioso risuonare nell'aria.
 
Alcune cosette:
1) Capitolo un pochino più lunghetto, ma questa volta non me la sono sentita di lasciare in sospeso il filo del racconto.
2) Lo ammetto. Per il passo in cui Greta riesce a convincere Bastian a fare del bene, mi sono ispirata al brano dei Promessi Sposi (Cap. XXI) in cui Lucia converte L’Innominato con la seguente frase: “Dio perdona tante cose per un’opera di Misericordia!”.
3) Per eventuali delucidazioni circa il rapporto di amore/odio fra Macnair e Alicia Spinnet (la “pollastra australiana” è proprio lei, come da Capitolo 10), cfr. (ancora una volta!) la long L'Assistente di Pozioni, fino ad Epilogo A.

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Capitolo 14
*** Misteri svelati alle Orkneyjar. ***


14. Misteri svelati alle Orkneyjar.
 
“Eloise è da poco andata a vivere con il suo ragazzo, un tipo simpatico e un po’ fuori dalle righe” le aveva detto il signor Midgen quando l’aveva incontrata di sfuggita nell’atrio del Georgiano. “Si sono trasferiti in una casa sulla scogliera di Stenness, sulle Isole Orcadi. Allevano pecore”.
E così, senza una ragione precisa, quell’informazione apparentemente ininfluente si era affacciata alla mente di Leanne nel momento del bisogno. Quando Graham, un attimo prima di smaterializzarsi con lei, Greta e Plin, le aveva chiesto dove si doveva recare, la ragazza non aveva esitato e aveva gridato:
- A Stenness!
E così era stato.
 
Crack.
La luna brillava alta nel cielo, illuminando il paesaggio ammantato di ombre. Non appena i loro piedi toccarono terra, Graham vacillò e cadde pesantemente al suolo; le due ragazze tentarono invano di sostenerlo ma, per poco, non vennero travolte dal suo peso in caduta libera.
Mentre Greta si chinava su di lui per cercare di rianimarlo, Leanne si guardò nervosamente intorno. Tutto era silenzio, eccezion fatta per il brontolio sordo delle onde che si infrangevano contro le scogliere e i faraglioni che delimitavano l’isola. Poco lontano, alcune forme lunghe e sottili che, lì per lì, la facero trasalire. Mettendole bene a fuoco, Leanne le riconobbe per quello che erano: steli di pietra, erette chissà quanti millenni prima dai druidi che avevano abitato in quella regione.
Erano finiti all’interno di uno dei celebri Cerchi Magici che costellavano le campagne del Nord. Che poi si trattasse di magia bianca o nera, pacifica o bellicosa, attiva o assopita, Leanne non lo sapeva. Nel dubbio, si strappò dai capelli la mollettina di mithril. La piccola fenice aveva ripreso il suo colore naturale; su di essa, nessuna traccia di azzurro. La nouance argentata del gioiello sembrava anzi riflettere con insolito brillìo la luce argentata della luna.
La ragazza non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo perché, immediatamente, la voce di Greta risonò accanto a lei, intrisa di preoccupazione.
- Leanne, Graham non... non sta bene. Dobbiamo cercare aiuto, guarda.
Graham, in effetti, aveva un aspetto pessimo.
Respirava a fatica, sembrava oppresso da qualcosa. La magia oscura si stava facendo strada dentro di lui; il ragazzo sbatteva ripetutamente le palpebre ma il suo sguardo era vitreo, scollegato dalla realtà.
- Graham!
- Quel bastardo, quel bastardo! – Greta era angosciata. – Non si è limitato a cruciarlo, gli ha fatto qualcosa di peggio...
- Aiutami a tirarlo su, Gree! Dobbiamo cercare...
Levicorpus!
- Cosa facciamo?! Oh, per Godric!...
- Dove accidenti siamo, Leanne?
- Qui.... qui vicino, dovrebbe esserci una Casa Sicura...
Brividi profondi cominciarono a scuotere il corpo di Graham. Il ragazzo prese a lamentarsi.
- Dove? Dove? Leanne, dobbiamo fare in fretta!
Graham iniziò a contorcersi a mezz’aria e poi, di punto in bianco, cacciò un urlo che lacerò il silenzio delle campagne.
- Graham! – Leanne si guardava intorno freneticamente, disperata, ma non riusciva a scorgere nulla. Le steli erano tutte uguali; oltre al Cerchio Magico non si vedeva nulla. La ragazza ebbe l’impressione di essere intrappolata in una ragnatela gigante. Tentò di muovere qualche passo ma, era evidente, fili invisibili si muovevano in continuazione tutt’intorno a loro, precludendo il passaggio.
- Leanne, questo posto è stregato! - Greta tentava di fendere con la bacchetta i fili magici, ma non riusciva a spezzarli. – Questa è magia druidica di alto livello!...
– Aiuto! Aiuto! – Leanne cominciò a strepitare, ormai in preda al panico. La tensione delle ultime settimane, unitamente agli eventi avversi del giorno appena trascorso, l’avevano profondamente  fiaccata. La paura, l’angoscia, il dolore fisico ed emotivo; troppi sentimenti negativi in una volta sola, ed ora, incontrollabile, la vita di Graham che le scivolava fra le dita e la ricolmava del terrore di perdere il ragazzo che amava. Non sapeva più da dove attingere le forze. Ma proprio mentre la speranza stava per abbandonarla, una forma luminosa, spuntata dal nulla, si parò davanti a lei, abbagliandola con il suo fulgore.
Era uno scintillante ariete d’argento. Dopo aver fatto un grazioso cenno con le corna arrotolate, il Patronus parlò loro con una voce ed un accento inconfondibili, che Leanne riconobbe subito:
- Seguitemi, presto. Ci incontriamo a metà strada.
 
Trascinandosi dietro Graham, le ragazze corsero dietro all’ariete su per il sentiero che zigzagava fra le antiche steli finché, finalmente, non riuscirono ad uscire dal Cerchio Magico.
Proprio oltre l’ultimo menhir, Greta e Leanne videro stagliarsi contro il cielo stellato due figure umane, in piedi una vicino all’altra. Una era alta e ben piantata, vestita con un kilt di lana leggera a quadretti verdi e blu, dall’orlo del quale spuntavano un paio di ginocchia tornite. L’altra, piccola e rassicurante, le apostrofò immediatamente con una voce morbida e melodiosa.
Leanne! Che cosa sta succedendo?
- Eloise, Cormac! – Leanne si sarebbe messa a piangere per il sollievo. – Che Godric sia lodato!
- Ma quello è...
Eloise Midgen si era accorta del corpo di Graham, che levitava dietro di loro, ancora scosso da intense convulsioni, e lo guardava stupita. Greta e Leanne erano esauste e logore, incapaci di prolungare oltre l’effetto del loro Levicorpus. Stando bene attente a non farlo precipitare, lo adagiarono piano sull’erba.
- Graham sta male... non sappiamo...
- Portiamolo dentro, presto! – Cormac McLaggen si avvicinò velocemente al ragazzo e lo sollevò di peso, gettandoselo sulla spalla come fosse un agnello particolarmente grosso. – Andiamo.
 
*
 
Una forma indistinta.
Un’immagine sfuocata.
Riccioli biondi, un po’ più lunghi di come li ricordava.
Una figura femminile che si affaccendava intorno a lui.
Cercò di tirarsi su per vedere meglio. Niente da fare. Troppo male.
- Le-Leanne.
La figura si arrestò, sollevando il capo, per poi raggiungere in fretta l’uscio:
- Si è svegliato! Venite!
Buio.
Di nuovo.
 
*
 
- Chi sei?
La voce di Graham, profonda e un po’esitante, ruppe il silenzio che aleggiava all’interno della stanza. Aveva dovuto sbattere un paio di volte le palpebre ma, finalmente, era riuscito a metterla a fuoco. Si trovava in una stanza piccola ma accogliente, tutta rivestita in legno, con le travi a vista sul soffitto basso. Il letto sul quale era adagiato era un po’ troppo corto per lui, ma era morbido, caldo e profumato di erica. In lontananza, oltre la tendina di pizzo che celava il vetro della finestra socchiusa, gli parve di udire il suono delle onde che si infrangevano contro le rocce.
- Stai giù, caro.
Con la coda dell'occhio, Graham intravide una forma argentata, che si lanciò immediatamente fuori dalla finestra.
- Da quanto... da quanto tempo mi trovo qui?
- Questo è il quarto giorno.
Una strega dall’aspetto vagamente familiare, seduta accanto a lui, lo guardava attraverso le calme iridi castane. I lunghi capelli biondi e ricci erano trattenuti da un laccio di cuoio; la sua voce era ferma e rassicurante. Sulle sue spalle, uno scialle di lana leggera a quadretti verdi e blu, sul quale era appuntata una spilla argentata di fattura delicata.
Graham, incredulo, spalancò gli occhi per guardarla meglio.
Rappresentava un grifone in miniatura con le piume della coda adornate da piccoli inserti di corallo di fuoco, ed era sorprendentemente simile alla fenice di Leanne.
- Quella spilla...
- Cerca di stare calmo, mio caro – gli disse pacatamente la strega, passandogli una pezzuola sulla fronte imperlata di sudore. - Ne hai passate di ogni. A tempo debito, ti spiegheremo tutto.
- Dimmi almeno... ehm, mi dica almeno il suo nome...
- Sono Amy, Graham. Amy McLaggen, la mamma di Cormac.
- Co... Cormac?
- Cormac McLaggen.
- Il Portiere riserva... del Grifondoro?
La strega rise.
- Oh, sì. Non gli è mai riuscito di aggiudicarsi il posto da titolare, poverino.
- Signora - la interruppe Graham, tirandosi su e ignorando le sue esclamazioni di protesta. - Le due ragazze che si trovavano con me... sa: mia sorella, la mia fidanzata...
- Stai tranquillo. Stanno bene, tutte e due; anzi, tutte e tre - rispose affabilmente lei, alludendo alla presenza di Plin. - Saranno qui a momenti. Ho già mandato un Patronus per avvisarle che ti sei svegliato.
E difatti, dopo una manciata di secondi, la porta della stanza si aprì.
- Graham!
Leanne, incapace di trattenersi, attraversò di corsa la stanza e volò fra le sue braccia. Il suo profumo di sapone bianco invase la stanza e le narici di Graham; mentre la stringeva a sé con una forza quasi disperata, il ragazzo ebbe l'impressione di non aver mai sentito un aroma così buono.
Alle spalle di Leanne, nel frattempo, avevano fatto capolino sulla porta diverse altre persone. Una era Greta, gli occhi grigi velati da lacrime di felicità; e poi un ragazzone alto e biondo col kilt, che Graham riconobbe immediatamente come Cormac McLaggen. Accanto a lui, una ragazza graziosa dai capelli castani e gli occhi chiarissimi che lui conosceva di vista e, a chiudere la fila, il volto sorridente di Carbry Bell, che lo salutò tossicchiando:
- Benvenuto nelle Orkneyjar, Montague.
 
*
 
I fatti che Leanne gli raccontò quello stesso pomeriggio avevano dell'incredibile. 
I due ragazzi se ne stavano seduti uno accanto all'altra su un morbido plaid posizionato vicino al ciglio della scogliera; sotto di loro, un letto d'erica profumata, davanti ai loro occhi, il mare scuro costellato di isolotti. Graham si sentiva molto meglio e ascoltava il racconto di Leanne dando lente boccate di una sigaretta autoprodotta gentilmente offertagli da Carbry ("Graham non dovrebbe fumare!" "Signora McLaggen, il convalescente ha i suoi diritti..." "Come non detto, Carbry, l'apprendista Medimago sei tu..."). Nel frattempo, osservava le evoluzioni di un piccolo gruppo di Neri delle Ebridi che si tuffavano fra le onde a caccia di pesci.
- La sorella di tua madre.
- Sì. 
- Quindi, “MM”...
- “Mary Macdonald”, sorella di Amy Macdonald, cognome da nubile della mamma di Cormac.
- Vi somigliate. Nel dormiveglia, per un istante, l'ho scambiata per te... E poi, facendoci caso, tu e McLaggen avete i capelli uguali - osservò lui, alludendo ai riccioli color del miele che coronavano la testa di entrambi.
- Tutto torna, Graham. I gioielli di mithril, forgiati dagli elfi del Nord: ciascuna delle due sorelle ne possedeva uno. Amy, mia zia, aveva il Grifone. E Mary, mia... mia madre, aveva la Fenice. 
- Erano tutte e due...?
- Della Casa del Grifondoro, sì. Mary aveva tre anni meno di Amy, ma hanno trascorso alcuni anni insieme ad Hogwarts. E senti questa: Mary... mia madre, giocava bene a Quidditch. Era Cacciatrice titolare della squadra.
- Ecco una cosa in cui non le somigli.
- Assolutamente no.
Graham fece un sorriso lieve e annuì, dando un tiro distratto.
- Poi: la copertina di lana – continuò Leanne. – Quando gliela mostrai, lo scorso inverno, Cormac confermò che era fatta di Vello Magico e mi disse che, sul bordo, c’era un motivo decorativo che sua madre chiamava “punto Mary”.
- Sì, me l’avevi scritto.
- Purtroppo la copertina è rimasta a Villa Montague - disse lei, accigliata - ma Amy mi ha mostrato uno schema del punto Mary e io l’ho riconosciuto subito. Lo aveva ideato sua sorella. Le donne, qui, inventano una specie di simbolo di riconoscimento personalizzato per i loro lavori ai ferri magici. Quello di Mary riportava una serie di “M” intrecciate.
- Ma mi chiedo: com'è che quello stordito di McLaggen (...tuo cugino!) non ha mai collegato le cose?
- Anche a me è sembrato strano. Amy però mi ha riferito che Cormac non è mai stato messo al corrente delle vicende riguardanti mia madre. E poi...
- E poi cosa?
- Sai bene che lui...beh, non è mai stato uno che, insomma, guardava le ragazze allo scopo di identificare possibili legami familiari con loro.
- Già. 
- Eh, già.
Graham si dimenò, impaziente.
- Ma... tornando al discorso di prima: come avete fatto, alla fin fine, a collegare le cose?
Leanne si mise a sedere più dritta e incrociò le gambe. Il vento del mare le faceva ondeggiare i capelli, mentre lei guardava lontano.
- Quando siamo arrivati qui, Graham, tu stavi molto, molto male - gli rispose, tentando di mantenere ferma la voce e scegliendo con cura le parole. - Sai, ho avuto paura... quel... quel... ti ha... - balbettò, incapace di formulare la frase e, soprattutto, di pronunciare il nome "Avery".
- Leanne... - Graham le prese la mano.
- Insomma. Siamo rimasti intrappolati nel Cerchio Magico attivato da Cormac e Eloise per ampliare il potere dell'Incanto Fidelius apposto sulla loro casa - spiegò lei, stringendogli la mano. - Per fortuna si sono accorti subito che eravamo noi, e Cormac ci ha mandato il suo Patronus per tirarci fuori.
- Non riesco a ricordare nulla.
- Ci credo! - esclamò stancamente Leanne - Eri praticamente... lasciamo perdere. Sta di fatto, comunque - proseguì poi, ricacciando indietro il groppone che le serrava la gola - che, una volta dentro casa, ci siamo resi conto che, da soli, non avremmo potuto fare molto per te. Greta era disperata, e anch'io...
Graham la guardava senza parlare. Le braccia e le gambe di Leanne erano piene di lividi e di graffi. Intorno al collo sottile aveva segni nerastri che sembravano marchi di dita. Il ragazzo strinse gli occhi.
- Cormac allora ha mandato a chiamare sua madre, che vive qui vicino, sulle Shetland. È una guaritrice molto abile, anche se la sua specialità sono le pecore Vello Magico. Quando è arrivata e mi ha vista ha quasi avuto un mancamento, ma ha tenuto duro perché, con te, non c'era un minuto da perdere. Per fortuna c'era anche Carbry...
- Vive alle Shetland anche lui?
- No, i Bell sono di Edimburgo. Carbry si sta specializzando in Magimedicina e fa la spola fra Londra e Chicago. In questi giorni, però, era andato a trovare i McLaggen; sai, Amy è la sua madrina.
- Capisco.
- La magia oscura aveva quasi preso il sopravvento su di te. Insieme, però, Amy e Carbry sono riusciti ad arginarla... - Leanne gli strinse di nuovo le dita, sbirciandolo con immenso affetto. - E quando hanno visto che eri fuori pericolo, Amy... mia zia è subito venuta a parlare con me.
A questo punto, la ragazza si voltò verso Graham, lo guardò negli occhi e gli prese entrambe le mani fra le sue. Lui ricambiò lo sguardo, la sigaretta stretta fra le labbra.
- Era molto emozionata. Mi ha chiesto quanti anni avessi. Ha voluto sapere della mollettina, che aveva notato immediatamente, non appena mi aveva vista. E così, a poco a poco, i pezzi del rompicapo hanno cominciato ad incastrarsi.
Graham era sbalordito ed eccitato. Aveva la mente accelerata, domande e congetture turbinavano vorticose dentro la sua testa.
- Ma tua madre, che fine ha fatto? Perché non ti hanno allevata loro? E tuo padre, dov'è?
- Stai calmo, Graham, non ti devi stancare - lo interruppe lei, ignorando la sua espressione di disappunto. - Amy non mi ha ancora detto tutto quello che sa; non ne ha avuto il tempo. Ora che tu stai meglio, potrà proseguire nel racconto. In compenso, però, mi ha dato questa - aggiunse, tirando fuori un pezzo di carta dallo scollo della camicetta.
Era una fotografia in bianco e nero che raffigurava due giovani streghe coi capelli ricci e chiari. Erano entrambe molto simili a Leanne, ma la somiglianza fra la ragazza e la più piccola delle due era assolutamente straordinaria. Graham, in altre circostanze, avrebbe passato la foto al microscopio; in quel momento, però, la sua attenzione era stata interamente assorbita da un altro dettaglio. Quando Leanne aveva scostato i lembi del colletto, infatti, lui aveva subito notato il segnaccio scuro che risaltava sulla pelle chiara della ragazza. L'ennesimo livido. 
- Evanesco!
La sigaretta sparì. Graham stese il braccio e infilò la mano fra i lembi della camicetta di Leanne, che alzò di scatto la testa, sgranando gli occhi. Con estrema delicatezza, il ragazzo passò un dito sul livido scuro.
- Chi...? 
Leanne chiuse gli occhi e riabbassò il capo. Da sotto le sue ciglia, cominciarono a stillare grosse lacrime che scendevano verso il basso, rigandole le guance. Senza aggiungere altro, col viso indurito nella sua espressione più truce, Graham spostò la mano e, col dito, le carezzò il segno che aveva sul collo e poi, uno ad uno, tutti gli altri lividi e graffi che le costellavano le braccia e le gambe. Leanne non diceva niente. Piangeva in silenzio.
- Aidan Avery - disse infine lui con un ringhio basso, immaginando il peggio. - La pagherà cara per averti...
- No - mormorò Leanne con un filo di voce, che fu quasi sopraffatta dal fragore delle onde e dagli stridii dei gabbiani. - Macnair glielo ha impedito.
Graham la guardò, leggermente sorpreso.
Poi, avvicinatosi a lei, se la strinse al petto, affondando il viso nei suoi capelli. E Leanne alzò il capo, posò le labbra sulle sue e lo baciò come mai lo aveva baciato prima, con un'intensità ed un ardore disperati, tramite i quali lo scongiurava tacitamente di esorcizzare la paura e il dolore che si era trovata a dover affrontare.
Graham la fece adagiare sul plaid. Sotto di loro, il letto di erica era morbido, accogliente e soavemente profumato.
Con una mano le carezzava il viso; con l'altra le slacciava piano piano i bottoncini di madreperla, facendole poi scivolare via la camicetta sgualcita. Leanne lo aiutò a sfilare la maglia; rimasero per qualche tempo distesi uno accanto all'altra a baciarsi e godere del contatto benefico dei rispettivi corpi tiepidi. E la mano calda di Graham prese a salire lungo la gamba di Leanne, infilandosi sotto la gonna a portafoglio; quando raggiunse il bottone, il ragazzo lo fece scivolare lentamente fuori dall'asola. Si tirò su per guardarla; tutti quei segni neri sulla sua pelle chiara gli fecero male, lo fecero infuriare. Ma Leanne era così bella; Leanne, la sua colomba: Graham si chinò su di lei e, dopo averle carezzato il viso,  risalì con la bocca lungo le gambe della ragazza baciandole con tenerezza i lividi e i graffi che le segnavano le caviglie, i polpacci, le ginocchia, le cosce, le anche.
- Graham!...
E lui non si fece pregare. 
"È davvero uno Spezzaincantesimi nato" pensò grata Leanne mentre l'amore di Graham, a poco a poco, risanava le ferite della sua anima, restituendole la serenità che Avery aveva tentato di portarle via in modo tanto brutale.
 
Alcune cosette:
1) Il circolo megalitico di Stenness esiste davvero, ed è uno dei più importanti ed evocativi del territorio delle Islands scozzesi. In realtà si tratterebbe di un numero limitato di steli; qui l'ho immaginato molto più grande ed articolato - licenza poetica ai fini della storia.
2) Chi ha già letto cose mie probabilmente sa che io detesto le scene al glucosio. Ecco, mi rendo conto che, forse, la parte finale con Graham e Leanne lo è un po'. Chiedo venia; non è venuto fuori nulla di mèjo.

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Capitolo 15
*** Le imprevedibili sorprese della vita. ***


15. Le imprevedibili sorprese della vita.
 
- Io la gonna non me la metto.
- Non è una gonna, Graham. È un kilt.
- Non ha la forma delle gambe. Non ha il cavallo. È tubolare e ha le pieghe. È una gonna. E io, le gonne, non me le metto.
- E allora vorrà dire che andrai in giro a far vedere le mutande a tutta l'isola, razza di testone che non sei altro!
Leanne si alzò in piedi di scatto, esasperata, raccattando il kilt a quadretti verdi e blu che giaceva tutto spiegazzato sul bordo del letto, mentre Graham la guardava con immenso cipiglio. Si trovavano alle Orkneyjar da una settimana; mentre il ragazzo si trovava costretto a letto, affidato alle cure di Carbry Bell e Amy McLaggen, la mamma di Cormac aveva provveduto a far lavare i suoi abiti, che gli erano stati restituiti non appena gli era stato possibile rimettersi in piedi.
Tuttavia, dato che la fuga da Villa Montague era avvenuta in tutta fretta, né Graham, né Greta, né Leanne avevano avuto modo di portarsi dietro alcunché; dopo qualche giorno, quindi, il problema del cambio d'abito si era inevitabilmente ripresentato.
La cosa, nel caso di Greta e di Leanne, non era stata affatto un problema. Leanne aveva preso in prestito alcuni vestiti di Eloise che, pur essendo un pochino più bassa di lei, le si adattarono perfettamente; a Greta, invece, Amy aveva prestato una serie di casacche di un delizioso mix di cotone e Vello Magico estivo, ampie e comode, perfette per alloggiare la sua pancina dentro la quale, nel frattempo, Plin cresceva pian piano.
Con Graham, ovviamente, era stato tutto un altro paio di maniche. Anzi, "tutto un altro paio di gambe", avrebbero detto Fred e George Weasley , che amavano i giochi di parole. Gli uomini delle Orkneyjar non indossavano i pantaloni, mantenendosi orgogliosamente fedeli alla tradizione, che prevedeva l'uso del kilt. Cosa che, com'era prevedibile, a Graham non era andata affatto bene. Cormac, che aveva all'incirca la sua corporatura, gli aveva fatto consegnare alcuni dei suoi capi migliori, ma il ragazzo si rifiutava categoricamente di prenderli in considerazione.
E così, alla fine, Leanne aveva sbotatto che, per quanto la riguardava, Graham poteva anche andarsene in giro nudo, o non andarsene in giro affatto.
 
In mancanza di altre opzioni Graham, rassegnato, aveva dovuto cedere, ed ora se ne stava in piedi davanti alla casa di pietra circondata da ortensie azzurre e rosa, sbuffando, irritato come non mai. 
- Suvvia, Ham - gli disse Leanne, conciliante. - Non stai affatto male vestito alla moda locale. Hai proprio delle belle ginocchia, lo sapevi? - commentò, occhieggiando compiaciuta verso l'orlo del kilt quadrettato.
- Non. Proseguire. Oltre. - rispose lui con voce minacciosa, stringendo gli occhi, mentre la ragazza soffocava una risatina, mascherandola con un discreto colpetto di tosse.
Poco dopo, Cormac ed Eloise uscirono a loro volta di casa, reggendo fra le mani delle tazze di tè di erica freddo, e sedettero sui gradini di pietra. Era ancora piuttosto presto, ma il sole già alto scaldava la campagna, arroventando le rocce dei faraglioni, le pareti della casa e le vetuste steli di pietra del Cerchio Magico.
- Dovrebbero essere qui a momenti - osservò Eloise pensierosa, sorseggiando il liquido rosato.
- Chi, dovrebbe essere qui a ... - cominciò a chiedere Leanne, curiosa come sempre.
Un sonoro pop la interruppe, fornendo immediata risposta alla sua domanda non ancora formulata.
Davanti a loro, stringendo le dita intorno ad una vecchia Pluffa spelacchiata che, evidentemente, era servita loro da Passaporta, si materializzarono all'improvviso due figure ben conosciute.
- Tutto pronto? - cinguettò allegramente Katie Bell, facendo ondeggiare la frangetta corvina.
Accanto a lei, Oliver Baston si stava rimboccando allegramente le maniche della camicia, mettendo in luce il reticolo di tatuaggi celtici e runici che gli ricoprivano le braccia quasi per intero.
- Non vedo l'ora di cominciare! - fu il suo commento, non appena ebbe finito di sistemarsi. - Guerra o non guerra io, il Giorno del Vello, non me lo perdo per niente al mondo.
*
 
Il Giorno del Vello era, da tempi immemorabili, l'evento più atteso di tutto il territorio delle Islands scozzesi. In occasione della Grande Tosatura, infatti, una grande sagra campagnola veniva allestita tutti gli anni nei pressi del villaggio di Stenness; vi prendevano parte i principali allevatori delle Shetland, delle Orcadi e delle Ebridi, nonché curiosi e simpatizzanti provenienti dal resto della Gran Bretagna, dall'Irlanda e da mezzo Mondo Magico.
Per quell'anno, date le circostanze, gli organizzatori non si aspettavano certo un grande afflusso; tuttavia, quando il Ministero era caduto, la sagra era ormai quasi del tutto pronta, cosicché loro si erano categoricamente rifiutati di disdire l'evento. E così la Festa aveva avuto inizio, complice anche il fatto che, su all'estremo Nord, il potere dell'Oscuro Signore e dei suoi seguaci non era ancora riuscito ad affermarsi del tutto.
- Ha tutta l'aria di essere uno degli ultimi festival del Mondo Magico libero che avranno luogo per un bel po' - aveva commentato il signor McLaggen mentre, insieme alla moglie, ripiegava gli scampoli di tessuto quadrettato da esporre nello stand di famiglia. - Mi sembra giusto approfittare di quest'ultima occasione di svagarsi, prima che le cose affondino definitivamente.
Partecipanti e visitatori, comunque, erano scrupolosamente sottoposti ad identificazione e tutta l'area della sagra era stata attentamente schermata da incantesimi ad alta protezione; in corrispondenza dei punti di entrata, Leanne notò che erano stati montati dei sottili portali metallici, sotto ai quali il pubblico doveva passare e che avevano tutta l'aria di essere fatti di mithril. Funzionavano insomma come dei comuni metal-detector babbani, solo che il loro compito era quello di identificare eventuali fonti di magia oscura.
Una volta dentro, il gruppetto composto da Cormac, Eloise, Leanne, Graham, Katie, Oliver, Greta e Carbry si fece largo fra la folla, sorprendentemente numerosa. Da una parte, gli stand degli allevatori; dall'altra i venditori di cibo (l'attenzione di Graham fu subito attratta dall'aroma penetrante e delizioso di pecora fritta, che gli fece fremere le narici); al centro un recinto cosparso di fieno, delimitato da staccionate di legno e balle di paglia.
Lo stand dei McLaggen/Macdonald era uno dei più appariscenti e frequentati; Amy agitò la mano all'indirizzo dei ragazzi, quando li vide, e Greta ne approfittò per andare a sedersi un po' in sua compagnia.
- Attenzione, attenzione! - una voce squillante si impose sul cicaleccio del pubblico e sul suono delle cornamuse, richiamando l'attenzione dei presenti. - Ricordiamo che, alle ore 13.19, avrà inizio la tradizionale gara di Acchiappapecora. Le iscrizioni sono ancora aperte, accorrete numerosi!...
Cormac, Oliver e Carbry si scambiarono un'occhiata, sfregandosi le mani ingolositi. Si vedeva lontano un miglio che non aspettavano altro.
- Sfidarella? - propose Carbry, sornione.
- Ma è ovvio - Cormac McLaggen non si conteneva, da tanto era eccitato.
- E tu, Montague, esimio Cacciatore, ti cimenti o passi? - domandò Oliver in tono bonariamente provocatorio a Graham, che aveva cominciato ad ingozzarsi di bacon di montone.
Cofa bifogna faae? - chiese quello a bocca piena. Oliver ridacchiò. Ci avrebbe messo la mano sul fuoco che Montague, competitivo com'era, avrebbe abboccato all'amo. Non era certo il tipo da tirarsi indietro davanti ad una sfida.
- Niente di che - buttò lì Carbry, con studiata noncuranza. - Nel recinto vengono immessi una trentina di agnelli Vello Magico. Vince chi ne acchiappa e tosa di più...
- ...senza magia - precisò Cormac che, letteralmente, scalpitava, da tanto era su di giri.
- Tutto qui? - bofonchiò Graham, sprezzante. "Acchiappare delle pecore. Che gioco del cazzo". - Largo a Salazar, schiappe.
Quello che proprio non si era aspettato, e che quei tre bastardi si erano guardati bene dal riferirgli, era che gli agnelli Vello Magico erano incredibilmente veloci. Correvano in circolo, scartavano, gli sgusciavano fra le gambe; Graham scoprì ben presto di essere troppo grosso e lento per loro e finì per fare una figura barbina davanti al pubblico in delirio.
- Tutta colpa di questa stupida gonna - disse poi a Leanne con aria truce, nel tentativo di giustificare la sua infelice prestazione. Era tutto sporco di paglia e di fango, sudato e impolverato da fare spavento.
- Ma certo, è evidente - commentò lei, sforzandosi di non ridergli in faccia.
I ragazzi se la cavarono bene. Oliver, sfruttando appieno le sue abilità di Portiere, si aggiudicò la bellezza di venti agnelli, superato per un pelo da Kirk McDougall delle Ebridi e da Herbert Connery di Inverness, che agguantarono rispettivamente 21 e 22 bestie. Carbry e Cormac, che partecipavano al torneo fin da quando erano piccoli, arrivarono a parimerito con 29 capi ciascuno. Alla fine, come da tradizione, lo spareggio: dopo un tempo supplementare di corsa sotto al sole cocente il maggiore dei Bell, fra belati e tentativi di incornate, riuscì ad acchiappare per primo l'Ariete Grasso atterrandolo con una scivolata da terzino sudamericano, il che pose fine alla disfida.
- Dai, l'anno scorso hai vinto tu - disse Carbry al delusissimo Cormac (prontamente consolato da Eloise, che appuntò sulla sua maglietta una splla con su scritto My Wool's King). - Un po' per uno. 
E con estrema soddisfazione, dopo essersi deterso il viso con l'orlo della maglietta rossa dei Chicago Bells (la squadra di Quodpot di cui era tifoso), l'apprendista Medimago si accese una sigaretta, dalla quale aspirò avidamente la nicotina per alleviare gli effetti eccessivamente benefici di un pomeriggio di moto all'aria aperta.
 
*
 
Katie e Oliver, comunque, non si erano avventurati su al Nord soltanto per prendere parte al Giorno del Vello. 
Quella sera, seduti insieme agli altri intorno al tavolo di legno posizionato sotto la pergola, Graham e Leanne scoprirono che, a Sud, la resistenza aveva già cominciato ad organizzarsi, e che la coppia di quiddisti faceva parte di uno degli zoccoli duri della fazione ribelle.
Radio Potter? - ripeté Graham, fumando assorto.
- Già - annuì Oliver, accostandosi allo schienale della sedia. - Ci stiamo ancora organizzando ma, in breve, le trasmissioni dovrebbero avvenire con più regolarità.
- Dovremmo riuscire a trasmettere ogni due settimane circa - spiegò Katie, sporgendosi sul tavolo. - Il signor Weasley ci sta aiutando a montare l'attrezzatura.
A Graham e Leanne, che erano tutti orecchie, fu poi riferito che il cottage di Baston (meglio conosciuto come "il Covo"), situato nelle campagne dello Wiltshire presso il circolo megalitico di Stonehenge, era stato scelto come quartier generale e che, avvalendosi di espedienti magici opportunamente mescolati alla tecnologia elettronica babbana, il Cerchio Magico più famoso di tutta la Gran Bretagna serebbe stato utilizzato come un gigantesco ripetitore di onde radio.
- Ovviamente abbiamo dovuto estendere e potenziare l'Incanto Fidelius già apposto su casa mia - precisò Oliver, cacciando giù un sorso di Burrobirra gelata. - Magic, Mordente, Rodente e River ci stanno dando dentro con gli incantesimi, in questi giorni.
- Magic?... Rodente?...
- Sono i nomi in codice dei membri della redazione - chiarì sorridendo Katie, strizzando l'occhio a Leanne. - Non possiamo correre rischi. Ciascuno di noi ha adottato un soprannome. Io sono Ring; Oliver è Twist. Magic, Mordente, Rodente e River sono, rispettivamente, Angelina, Fred, George e Lee.
- E Alicia... Alicia Spinnet. Non si trova con voi? - chiese Graham, ricordando che la Spinnet e gli altri membri di Radio Potter erano molto amici.
Un'ombra preoccupata passò immediatamente negli occhi grigi di Katie, che ci mise qualche secondo a rispondere.
- La stiamo... cercando - disse infine la ragazza. - A fine luglio, Alicia è tornata in Australia per portare in salvo i genitori di Hermione Granger. Avrebbe dovuito fare ritorno in men che non si dica ma, quando il Ministero è caduto, tutti i canali di entrara ed uscita dal Paese sono stati interrotti. Noi crediamo che... sia rimasta tagliata fuori, ecco.
- Molto probabilmente sta cercando di rientrare clandestinamente - concluse Oliver aggrottando la fronte. Sia lui che Katie avevano tentato di esporre la questione senza fare drammi ma, dalla loro espressione, Leanne capì che erano entrambi molto, molto preoccupati.
Ciononostante, la giornata trascorsa era stata indubbiamente piacevole, pensò Graham, sinceramente meravigliato per il fatto di trovarsi così a suo agio in una tavolata composta quasi esclusivamente da ex membri della Casa del Grifondoro. Quel clima di convivio misto a cospirazione gli piaceva. E, mentre ai quattro lati del tavolo gli spezzoni di conversazione si intrecciavano senza sosta, il ragazzo si sorprese a pensare a quanto strana, imprevedibile e sorprendente possa essere, talvolta, la vita.

 
*
 
Già.
Le sorprese della vita. Che non sempre, purtroppo, si rivelano positive quanto desidereremmo.
Graham e Leanne ne ebbero la riprova qualche giorno dopo quando, una volta conclusasi la sagra e sbrigate tutte le faccende legate ad essa, Amy McLaggen fece ritorno alla casa del figlio, decisa a proseguire nel suo racconto sulla storia di sua sorella Mary.
Katie e Oliver se n'erano già tornati nello Wiltshire; Cormac fu invitato da sua madre a trattenersi (in fin dei conti, Mary era sua zia). Eloise, Greta e Carbry, però, per discrezione, preferirono non prendere parte alla riunione e uscirono a fare una passeggiata nei dintorni, con la scusa di raccogliere funghi per la cena. Graham, che ad essere discreto non ci pensava neanche da tanto era curioso, sedette per primo al tavolo della cucina. Sul pianale di pietra, Amy aveva disposto dolci e tartine, immediatamente attaccate dal ragazzo. Alle sue spalle, un paio di lunghi aghi sferruzzava a mezz'aria una copertina che sarebbe poi andata a rimpolpare il corredino di Plin.
Attraverso il finestrone, i raggi del sole del tardo pomeriggio incendiavano il mare di scaglie dorate.
- Mary ed io avevamo caratteri molto diversi - cominciò Amy, a mo' di incipit. - Io sono sempre stata d'indole più tranquilla. Lei no: era inquieta e amante delle avventure, sempre allegra e piena di vita. Nonostante questo, fummo sempre molto unite. Potete quindi immaginare quanto fu dura, per me, abituarmi all’idea di non rivederla più.
- Quando fu che smetteste di frequentarvi?
- Ai tempi della Guerra Magica. Mary si era diplomata da poco, ma non aveva fatto ritorno alle Shetland: era rimasta a sud. In un’occasione, mi raccontò che viveva a Londra, “con alcuni amici”. Non mi disse di chi si trattava. Era diventata improvvisamente molto, molto cauta; lei, che era sempre stata una chiacchierona entusiasta. Io ebbi sempre l’impressione che era andata ad invischiarsi in qualcosa di più grande di lei.
- Che cosa te lo fa pensare?
- Il riserbo, le distanze. Sembrava volesse “tenerci fuori” da qualcosa – rispose Amy, con aria meditabonda. - Io e tuo padre, Cormac, commentammo più di una volta che Mary non sembrava più la stessa. Col tempo, le sue visite e le sue lettere si fecero sempre più rade.
Leanne non diceva niente, limitandosi a fissare sua zia con un’espressione un po’vacua. Nel frattempo, girava e rigirava fra le dita la piccola fenice di mithril.
- L’ultima volta che ci vedemmo – riprese Amy, dopo avere preso un sorso di tè - fu nel tardo autunno del 1978. Si presentò all’improvviso, senza avvertire; me lo ricordo come fosse oggi. Io ero in attesa di Cormac; ormai mancavano un paio di mesi al termine della gestazione. Mary si trattenne a casa nostra per tre giorni circa; parlò poco ma, dopo aver temporeggiato per qualche tempo, mi confidò di essere incinta a sua volta. Non sembrava felice, però; era stanca e spaventata.
- E... non fece alcuna menzione al padre del bambino? – volle sapere Cormac, appoggiando i gomiti sul tavolo e sporgendosi in avanti.
- No, tesoro. Mi disse soltanto che l’arrivo del nascituro, o meglio, della nascitura – si corresse Amy, guardando Leanne con affetto – era prevista per l’inizio di aprile. Io però ho sempre pensato...
- Pensato cosa, signora Amy? – domandò Graham che, da come si dimenava, sembrava seduto su di un cactus particolarmente spinoso.
- ...che, ecco... insomma: ho sempre avuto una teoria circa la paternità del figlio, o figlia, di mia sorella. Dovete sapere – proseguì Amy, con fare circospetto – che quando frequentava il sesto anno ad Hogwarts, Mary cominciò ad uscire con un ragazzo. Io non lo conoscevo e, oltretutto, mi ero diplomata l’anno prima.
- E chi era?
- Uno studente del suo stesso anno, uno della Casa del Serpeverde.
- Oh. Un buon partito... – commentò Graham, interessatissimo.
- Oh, mio caro. Temo di doverti... contraddire, purtroppo. A quei tempi, sai, la tua Casa era frequentata da soggetti... diciamo così, “poco raccomandabili”. L’influenza di Voi-sapete-chi si stava rafforzando; c’erano già, nell’aria, alcune avvisaglie della guerra imminente...
- E quel ragazzo...
- Non ne ho mai avuto la conferma, ma lasciate che ve lo dica: qualcosa, in lui, mi lasciò assai poco convinta. Mary ce lo portò in visita, sapete, durante l’estate fra il loro sesto e settimo anno. A me non piacque granché. Aveva qualcosa... di vagamente minaccioso, ecco. Ma potrei sbagliarmi...
I tre ragazzi rimasero in silenzio, pensierosi.
- In ogni caso, a Mary piaceva moltissimo. Verso la metà sel settimo anno, mi informò di sfuggita di avere rotto con lui, ma capii che ne soffriva molto. In seguito, mia sorella non mi parlò mai della presenza di altri uomini nella sua vita. E c’è un fatto, cui accennò durante la sua ultima visita, che mi ha sempre fatta pensare che il loro legame non si fosse mai interrotto completamente.
- A cosa ti riferisci, zia?
- Poco prima di ripartire, Mary mi disse che, alcuni mesi prima, era stata costretta a fare una cosa che lei definì “molto grave”. Non so che cosa volesse dire, anche perché non mi permise di cavarle altro dalla bocca. Ma queste sue parole, lasciate che ve lo dica, mi si conficcarono dentro. La scongiurai di non andarsene, ma lei mi rispose che doveva assolutamente fare ritorno da dove era venuta. “Stai attenta, Mary” le dissi, tentando di trattenerla. Lei mi abbracciò e... mi guardò con quel fare che hanno gli agnelli nei giorni che precedono la Pasqua. Quelli che hanno già capito – concluse Amy con un filo di voce, mentre una grossa lacrima le rigava la guancia – di non avere scampo.           
Sulla cucina inondata dagli ultimi raggi di sole calò il silenzio.
- Non la rividi mai più. Di mia sorella, mi restano solo ricordi.
Con un gesto morbido, la strega sospinse verso il centro del tavolo una scatola di cartone colorato. Era piena di vecchie fotografie, che Leanne, Graham e Cormac cominciarono subito a passarsi fra loro. Le foto scattate in famiglia si mescolavano a quelle dei tempi della scuola: Amy e Mary al mare, Amy e Mary fra gli agnelli Vello d'Oro, Amy e Mary nella sala Comune del Grifondoro... Poi Mary in tenuta da Quidditch, a cavallo della scopa, e ancora, la ragazza in compagnia dei compagni di squadra ("Questo tizio è uguale a Potter, guardate!" "Sì Cormac, quello era James, il padre di Harry"). La somiglianza fra Leanne e sua madre era davvero impressionante, pensò Graham stringendo le labbra. Altre foto la ritraevano insieme ad amici e compagni di scuola ("Questa è Lily Evans, la mamma di Harry: lei e Mary erano molto legate"). Ce n'era una, però, che richiamò immediatamente l'attenzione di Leanne: era l'unica in cui sua madre compariva da sola con un ragazzo, che le cingeva le spalle e la guardava di sottecchi, con un fare vagamente... possessivo. Mary sorrideva al suo fianco, sembrava felice. Eppure, per qualche motivo, sulla carta stampata era rimasto impresso un qualcosa di strano, di indeterminato; era come se sulla scena aleggiasse un velo di inquietudine, di negatività.
Leanne non riusciva a staccare gli occhi dalla foto. 
Il giovane mago ritratto in compagnia di sua madre aveva un viso che, in qualche modo, le ricordava qualcuno, ma la ragazza non riusciva a metterlo a fuoco.
- Zia Amy, questo qui...
- Ah, quello è Ares. Il ragazzo di cui vi parlavo poco fa. Ares Mulciber, il fidanzato di Mary.
Graham non ebbe neppure il tempo di sorprendersi: fu lo sgomento ad invaderlo per primo. E, subito dopo, la preoccupazione per la reazione di Leanne.
La quale, alzatasi in piedi di scatto, tremava violentemente e fissava Amy con gli occhi sbarrati, un'espressione di puro orrore dipinta sul viso.
 
Alcune cosette:
1) Alcuni riferimenti a cose già scritte in passato, che ormai sono inscindibili dal mio personalissimo modo di vedere le cose. Una per tutte, il fatto che Oliver Baston è un appassionato di tatuaggi. Questa particolarità prende spunto dal fatto che, come sappiamo, Oliver è diventato un giocatore di Quidditch professionista (è Portiere del Puddlemere United). Quindi, perché non attribuirgli una delle caratteristiche più comuni delle nostre attuali Star dello Sport? Poi ovviamente, nel caso di Oliver, si tratta di simboli magici, di protezione o quant'altro. In secundis, il fatto che Carbry Bell ha studiato ad Ilvermorny, negli Stati Uniti: il padre suo e di Katie, infatti, è originario di Chicago. Carbry ha sempre manifestato con orgoglio le sue origini scozzesi, ma è tifoso della squadra locale di Quodpot (variante nordamericana del Quidditch), i Chicago Bells (in assonanza con i famosi Chicago Bulls dell’NBA).
2) Tutte le vicende relative a Radio Potter riportate in questo capitolo, così come il fatto che Alicia Spinnet si trova  prendono le msse da una mia vecchia storia ("Agli Antipodi") attualmente non disponibile sul mio proflo.

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Capitolo 16
*** Resistenza in paso doble. ***


16. Resistenza in paso doble.

- E così sei tornata. Alla fine, sei tornata da me.
Mary gli rivolse uno sguardo impenetrabile, tentando di non far trasparire l'angoscia che l'attanagliava. Tremando leggermente si portò la mano al petto, stringengola sul punto dove, pressapoco, aveva appuntato la spilletta col piccolo Tasso giallo e nero.
Non appena Ares Mulciber mosse un passo verso di lei, la ragazza avvertì il calore inconfondibile del ciondolo di mithril che s'illuminava contro la sua pelle, ben nascosto dagli strati di stoffa con cui si era vestita.
"Oh, per Godric. Trasuda magia oscura da tutti i pori, ormai" pensò, sgomenta; aveva paura, ma s'impose di non darlo a vedere. Doveva proseguire. Doveva farlo, per il "Bene Superiore". E così, ricacciate indietro la saliva e le lacrime, Mary si prodigò nel sorriso più convincente che le riuscì di mettere su e gli rispose:
- Sì. Mi mancavi tanto!...
Il mago strinse appena gli occhi.
- È un ripensamento un po'tardivo, mi pare...
Lei mosse la mano simulando un'allegria che non provava, come a voler sdrammatizzare.
- Sai, non ero sicura che tu... che tu mi volessi ancora, ecco. Il mio unico dubbio era questo, Ares... Alla fine, però, non ce l'ho fatta. Mi sono detta che dovevo, dovevo tentare.
Lui la squadrò per una manciata di secondi, che le parvero eterni.
Mary riuscì stoicamente a non abbassare lo sguardo e mantenne le iridi castane fisse nelle sue; . quando vide che l'espressione dura di Ares si scioglieva in un impercettibile sorriso, emise un sospiro sollevato.
- Mi sei mancata anche tu - le rispose lui, sfiorandole la guancia con due dita e rivolgendole un'occhiata che la carezzava per intero, con un'insistenza che l'atterrì.
"Aiutami tu, saggia Morgana" fu il solo pensiero della ragazza.
Ora sì che sarebbe cominciata la parte veramente difficile.

Grazie ad una soffiata (Silente aveva sempre qualche asso nella manica), erano venuti a sapere che i seguaci dell'Oscuro Signore, grazie all'abilità di Magdalena Macnair, erano riusciti a procurarsi un Giratempo. L'affascinante strega e abile pozionista, moglie di Wallace Macnair e cognata di Walden, il boia, aveva prima sedotto e poi avvelenato un incauto Auror preposto alla sorveglianza della sala del Ministero in cui erano custoditi questi potenti artefatti magici; grazie a tale mossa, i nemici disponevano ora di uno strumento eccezionalmente potente, capace di cambiare per sempre le sorti del conflitto magico, che si trovava ormai in pieno svolgimento.
I membri dell'Ordine si erano arrovellati per settimane, abbattuti, perché le fila del nemico erano compatte, serrate ed apparentemente impenetrabili.
Poi, piano piano, dopo aver sondato un numero pressoché infinito di possibilità e aver tracciato innumerevoli congetture, la soluzione aveva cominciato a profilarsi. Era stato necessario impegnarsi a fondo per individuare l'anello debole dei sostenitori di Voldemort ma, alla fine, i cospiratori l'avevano trovato.
Ares Mulciber era il suo nome.
Mulciber era senz'altro uno dei più fedeli servitori del Signore Oscuro; era afflitto, però, da una spina nel fianco ancora pulsante: una spina dai morbidi riccioli color del miele chiamata Mary Macdonald, che era stata la sua ragazza ai tempi della scuola.
E la ragazza, per tutta una serie di fortunate (o, forse, fatali) coincidenze, aveva cominciato a frequentare l'organizzazione segreta al seguito dei suoi ex-compagni di Casa: James Potter, Sirius Black, Remus Lupin e, soprattutto, Lily Evans, la sua migliore amica.

Le aveva portato via la bacchetta.
Quel maledetto bastardo aveva approfittato di un suo attimo di distrazione e poi, con un sorriso tutt’altro che candido, le aveva lanciato un
Expelliarmus improvviso, che l’aveva irrimediabilmente disarmata.
- Pe... perché?... – gli aveva chiesto, sentendosi montare dentro un panico liquido e bruciante, simile alla lava che risale la cavità di un vulcano.
- Suvvia, Mary – le aveva risposto lui, con una smorfia falsamente comprensiva. – Qui non ne hai bisogno. Ci sono io, con te.
Ares si riferiva ai frequentatori, tutt’altro che raccomandabili, che giravano per casa a qualsiasi ora del giorno e della notte. Il vecchio castello di proprietà dei Lestrange era stato trasformato in quartier generale dai seguaci dell’Oscuro Signore; era lá che Ares Mulciber l’aveva portata, la sera stessa del loro incontro tutt’altro che casuale nell’oscuro Vicolo della Falena di Notturn Alley, preparato meticolosamente durante mesi e mesi di appostamenti e diagrammi.
L’Operazione Giratempo, che si sarebbe dovuta risolvere nel giro di poche ore o, tutt’al più, di un paio di giorni, si era quindi trasformata in una prigionia prolungata. Privata della sua bacchetta, Mary si era vista completamente tagliata fuori; non aveva modo di comunicare con il mondo esterno, né di chiamare i suoi compagni per farsi aiutare ad evadere.
E così, ormai, si trovava a Castel Lestrange da più di una settimana.
Le era permesso gironzolare dovunque volesse e ficcare il naso qua e là (Ares le aveva detto di aver garantito per lei, e poi, sprovvista di bacchetta, cosa mai avrebbe potuto fare?); lei, però, preferiva tenersi in disparte perché aborriva gli incontri con quelle persone terrificanti che transitavano per casa e che la squadravano come se volessero trapassarla da parte a parte. Malocchio Moody le aveva detto di tenere gli occhi bene aperti, per cercare di imprimersi nella memoria i volti di evantuali agenti-doppi; lei tentava di farlo ma, spesso, la determinazione cedeva il passo alla disperazione, e così Mary, con un sospiro angosciato, si appartava e andava a sedersi per terra in uno stato di trance, desiderando soltanto che il tempo passasse.
Nonostante la paura che provava e il clima opprimente che la circondava, la ragazza non aveva però perso tempo ed era riuscita ad individuare il Giratempo che, proprio come era stato loro riferito dal misterioso informatore di Silente, si trovava rinchiuso al sicuro nel cassetto con fondo falso di un’antica scrivania di mogano, nella stanza da letto di Ares. Approfittando dell’assenza del mago, Mary l’aveva sabotato, rendendolo inutilizzabile, e poi l’aveva riposto nel suo nascondiglio, pregando Morgana che Ares non se ne accorgesse.
Ben presto, oltre all’inquietudine e alla nausea che già provava quando era costretta a recitare la sua parte di casta fidanzatina innamorata (fino a quel momento era sempre riuscita ad accampare delle scuse per evitare che Ares si infilasse nel suo letto, ma purtroppo era solo questione di tempo, e lei lo sapeva), Mary dovette fare i conti con la concretizzazione di un sospetto che le era venuto giusto qualche giorno prima di partire per la sua sventurata missione.
Non ne aveva parlato con nessuno, neppure con Lily, perché sapeva che, se l'ipotesi si fosse rivelata esatta, le avrebbero impedito di partire; ora, però, ne aveva avuto la certezza: dentro di lei cresceva una piccola creatura.
Tutte le volte si vedeva insidiata da Ares, Mary temeva per quella piccola vita, e sospirava sollevata quando, una volta di più, riusciva ad evitare le
avances del suo terrificante carceriere. In quei giorni di prigionia, la ragazza aveva quindi sviluppato un attaccamento viscerale nei confronti del minuscolo essere, l'unico in grado di farle compagnia durante quelle ore interminabili e tremende; e spesso si sorprendeva a parlargli, raccontandogli di pascoli verdi, velli magici e lana soffice, narrandogli la bellezza dei faraglioni e delle scogliere delle Shetland, descrivendogli i brividi caldi che si provano a cavallo di una scopa che vola in picchiata e la felicità che provava a fianco del suo nuovo compagno.
- Tuo padre – sussurrava con dolcezza. – È un uomo degno. Vedrai, vedrai come sarà felice quando saprà di te...
Già. Ma quando, quando sarebbe stata in grado di comunicarglielo?
I giorni passavano e la situazione non si sbloccava.
Mary aveva ormai cominciato a predere le speranze quando una sera, inaspettatamente, si profilò l’occasione buona. Ares era appena tornato da un’escursione di massima segretezza a Londra; non appena aveva messo piede a Castel Lestrange, si era subito recato da Mary per chiederle di preparargli un bel bagno caldo.
- Magari poi mi fai compagnia... – le stava dicendo, guardandola fisso, quando qualcuno bussò discretamente alla porta. Si trattava di un servitore, venuto a chiamare il signor Mulciber per chiedergli di scendere un momento in salotto, dove Lord Lestrange aveva un’importante comunicazione da dargli. Ares si allontanò velocemente.
- Torno subito, Mary – le disse, rivolgendole un’occhiata carezzevole e carica di significati.
La ragazza gli sorrise con dolcezza, in modo invitante, cercando di mantenere celati i battiti galoppanti del suo cuore. Non le era infatti sfuggito che il mago, per la fretta, aveva dimenticato di raccogliere la bacchetta dal comò sul quale l’aveva appoggiata quando era entrato in camera.
Mary non perse tempo. Ora o mai più: quella, probabilmente, sarebbe stata la sua unica possibilità. Afferrata la bacchetta di Ares - e sperando che questa le obbedisse - proruppe in un accorato:
-
Expecto Patronus!
La colomba d’argento volò fuori dalla finestra semiaperta, diretta a Londra, alla sede segreta dell’Ordine della Fenice dove, Mary se lo augurava di tutto cuore, avrebbe recapitato il suo messaggio:
Giratempo sabotato. Sono a Castel Lestrange. Seguono coordinate. Aiutatemi. MM.
La ragazza, però, non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo: proprio mentre il
Patronus volava via, infatti, Ares aveva fatto ritorno nella stanza. E, dall’espressione assassina che si era immediatamente dipinta sul suo volto, aveva visto tutto.
- Che cosa accidenti stai combinando? – ringhiò il mago, afferrandole il polso. Mary si divincolò, in preda al terrore.
- Niente! Non ho fatto niente!...
- Ti ho vista... quello era un
Patronus, dannata bugiarda!...
- No!... No, Ares, non era...
Ares le rise in faccia, sentendosi ribollire il sangue; adorava vederla tremare al suo cospetto. Mary già gli piaceva, era innegabile; l’immagine di Mary terrorizzata, però, lo stuzzicava oltremodo; anzi, si poteva proprio dire che lo eccitava da morire. E quella sera, pensò, si sarebbe preso quello che desiderava; oh sì, che lei lo volesse oppure no. Così, le si strinse addosso, afferrandole il mento con la mano ed avvicinandola a sé.
- Dov’è finita la pecorella smarrita che tanto voleva tornare all’ovile? – le sussurrò, provocatorio.
- Lasciami andare, bastardo!...
Lui spalancò gli occhi, colpito dall'insulto sputato fuori dalle labbra della
dolce Mary e improvvisamente consapevole di tutta quell’indegna farsa.
- Stavi fingendo. – le disse quindi, in un soffio.
In quel momento, Mary ne ebbe piena certezza: Ares l’avrebbe ammazzata. E così finalmente, nell’imminenza di quello che ritenne essere il capolinea della sua (troppo) breve esistenza, gli vomitò addosso tutto il suo disprezzo:
- Sì! Stavo fingendo!... – urlò, esultando segretamente nel percepire il suo sguardo ferito sotto al velo di collera. – Tu mi fai schifo Ares!... Tu e tutta la marmaglia con cui ti accompagni!...
- Taci, infida...
In preda ad un impeto folle, Ares la strattonò con violenza; il colletto della giacca di Mary si aprì di scatto, rivelando la spilletta gialla e nera che lei portava appuntata sulla camicetta e che, fino a quel momento, era sempre riuscita a tenere nascosta.
- E questa cos’è?
- Non... non è niente!...
Lui le restituì uno sguardo tagliente.
- Te lo dico io che cos’è – sibilò, allungando le dita per strapparle via il piccolo oggetto. - É una spilletta di Prefetto... E queste iniziali...
- Ridammela Ares! È mia!...
- Io vi ammazzo tutti e due, maledetta sgualdrina!... Vi ammazzo come cani, tu e quel bastardo di un Tassorosso!...
Ares Mulciber era fuori di sé. Con una spinta, la fece volare lontano: poi, recuperata la bacchetta, gliela puntò contro:
-
Avada Ke...
In quel momento, una detonazione fragorosa fece andare a pezzi i vetri piombati della finestra.
Mary sbattè le palpebre, leggermente stordita. Non era possibile... eppure sì: li riconosceva. Erano loro... Fabian Prewett, Elphias Doge, e dietro di loro Benji e Sturgis; i quattro maghi cominciarono immediatamente a scagliare incantesimi qua e là, scatenando il pandemonio.
Mentre tentava di rimettersi in piedi, Mary avvertì la presa di una mano che le si stringeva sulla spalla. La ragazza si voltò di scatto e si trovò davanti il bel viso scuro di Dorcas Meadowes.
- Andiamo, Macdonald. Svelta! – le urlò la strega, prima di smaterializzarsi con lei, lontano da quell’inferno.


*

A Stennes, uno degli ultimi avamposti del Mondo Magico Libero nonché nucleo agguerrito della Resistenza, le cose procedevano piano piano.
Le famiglie di maghi e streghe del circondario si erano organizzate per difendere strenuamente il territorio e i babbani che vi abitavano; usando metodi di comunicazione alternativa ispirati al mega-trasmettitore di Radio Potter (sulle Islands i circoli magici abbondavano e il signor Weasley era riuscito a connetterli quasi tutti in una rete di ricetrasmittenti efficiente e sicura) gli abitanti si mantenevano in contatto nonostante l'isolamento e contribuivano, ciascuno a modo suo, nel contrastare l'avanzata del Nemico.
Durante una delle sue visite, Arthur Weasley si era presentato in compagnia del figlio Charlie che, con l'aiuto di alcuni giovani maghi locali e avvalendosi delle sue conoscenze sui draghi, aveva organizzato un'ingegnoso metodo di difesa delle coste. Ora, spiagge e faraglioni erano guardati a vista e protetti da interi stormi di Neri delle Ebridi, le uniche creature capaci di sfidare la forza dei venti boreali senza uscirne congelate all'istante.
Verso la fine di settembre, aveva fatto la sua comparsa alle Orkneyjar anche Alicia Spinnet. All'inizio di agosto, poche ore prima della caduta del Ministero, la ragazza aveva lasciato la Gran Bretagna per portare in salvo i genitori di Hermione Granger su richiesta di quest'ultima. Una volta in Australia, però, la caduta del Ministero della Magia Britannico e la presa di potere dei Mangiamorte aveva fatto sì che il suo corrispettivo australiano chiudesse precipitosamente tutti i canali di comunicazione fra i due Paesi; Alicia era quindi rimasta isolata (da qui, la preoccupazione esternata da Katie e Oliver durante il loro soggiorno a Stenness in agosto) e ci aveva messo mesi e mesi per riuscire a fare ritorno a Londra, attraversando mezzo mondo a bordo dei più disparati mezzi di trasporto magici e babbani. Una volta sul posto, però, non era più riuscita a mettersi in contatto con i suoi amici, che nel frattempo avevano fondato Radio Potter, ed era anche sfuggita per un soffio ad un agguato tesole da Bastian Macnair che, per una qualche ragione non meglio definita, la cercava da settimane. Alla fine, dopo essersi spostata freneticamente in lungo e in largo, Alicia si era provvidenzialmente trasferita ad Inverness alla ricerca di tracce dei compagni; lá, per fortuna, si era imbattuta in Cormac ed Eloise, che si erano recati sulla terraferma per approvvigionamenti.
Alicia si era trattenuta a casa loro per qualche giorno, giusto il tempo di recuperare le forze e stabilire un contatto sicuro con Angelina Johnson; dopodiché era ripartita alla volta di Londra per unirsi agli amici ed era divenuta un membro ufficiale dell'equipe di Radio Potter.
Gli altri collaboravano come potevano.
Vista la situazione in netto peggioramento, Carbry Bell aveva deciso di non fare ritorno a Chicago per completare la specializzazione in Magimedicina; ormai, nel Mondo Magico Libero, i guaritori scarseggiavano ed era praticamente impensabile raggiungere Londra e il San Mungo in caso di necessità.
Così, Carbry si era fatto prestare una vecchia motocicletta volante col sidecar dal signor McLaggen, che da ragazzo era stato un grande appassionato di motori babbani truccati, e l'aveva riconvertita in un ambulatorio medico ambulante. Carbry non sapeva guidare (era sccordinato e caotico per natura) ma, fortunatamente, aveva potuto contare sull'aiuto di Morag McDougall, nativa delle Shetland: si trattava di un'amica di vecchia data, di un anno più giovane di Katie, cresciuta in Scozia insieme ai Bell e ai McLaggen.
Quell'autunno, la ragazza aveva deciso di non fare ritorno ad Hogwarts ed era rimasta nelle Islands per aiutare Carbry. Nonostante l'aspetto etereo e minuto e il carattere poco loquace, si era rivelata estremamente abile tanto nel guidare la moto volante, quanto nel fasciare i pazienti e fare iniezioni; così, in quattro e quattr’otto, era stata assoldata nel duplice ruolo di autista e infermiera.
Tutti i lunedì lei e Carbry, imbaccuccati nei loro caldi mantelli da viaggio, sfidavano i venti del Nord per compiere il loro giro di ricognizione nei territori del Nord (che Carbry, con il buon umore di sempre, denominava scherzosamente "il nostro giocare al dottore", anche se si trattava di una cosa maledettamentee seria), alla ricerca di maghi feriti - e talvolta anche di babbani – di cui prendersi cura.
Instancabili, lui e Morag battevano le coste e l'entrotrerra delle Orkneyjar, delle Shetland, delle Ebridi; spesso e volentieri si avventuravano anche sulla terraferma, spingendosi fino alla regione dei Laghi e talvolta anche più a sud, ma comunque mai oltre il Vallo di Adriano perché, a detta di tutti, la situazione al Sud era di una pericolosità inaudita.
- Metti in moto, Mog - Carbry, incurante della vicinanza con il serbatoio pieno zeppo di benzina magica, si accendeva una sigaretta autorollata e, dopo aver appoggiato Miles sul cruscotto (Miles era una vecchia milza-giocattolo che il ragazzo aveva "adottato" al corso di anatomia di Cambridge, e che aveva stregato affinché funzionasse anche come radiolina e navigatore satellitare) prendeva faticosamente posto nella carrozzetta, troppo corta per lui che era alto e sottile. Morag, obbediente, si tirava giù gli occhialoni, schiacciava il tasto di Disillusione e, con una smarmittata rumorosa, procedeva al decollo.
Il venerdì sera (al massimo il sabato mattina) i due facevano ritorno alla base.
Gli amici e i familiari, che sempre li aspettavano preoccupati, tiravano un sospiro di sollievo solo quando le ruote della motocicletta fatata toccavano finalmente terra.
Oltre all'importante ruolo in campo medico, fondamentale nel contesto teso della Resistenza, Carbry e Morag erano inoltre messaggeri di notizie importanti, raccolte qua e là durante i loro vagabondaggi.
In diverse occasioni se l'erano vista brutta ma, per fortuna, erano sempre riusciti a cavarsela con qualche astuto stratagemma, nonché grazie al fatto che entrambi contavano su di un pedigree magico assolutamente impeccabile. Per esempio, sfruttando l'accento ibrido di Carbry, che aveva studiato ad Ilvermorny, i due avevano finto più di una volta di essere un’ignara coppia di magituristi nordamericani; per corroborare questa versione, si erano addirittura procurati un certificato di matrimonio (falso come Minus) che li voleva novelli sposi presso l'Ufficio Sposalizi Magici di Baltimora.

*

Leanne relegata al Nord fino a nuovo ordine, scalpitava ogni giorno di più.
La notizia della probabile paternità l’aveva sconvolta; Graham avrebbe ricordato per sempre quel pomeriggio di fine agosto quando, al termine del racconto di Amy McLaggen, la ragazza era saltata in piedi tirando indietro la sedia con violenza, per poi precipitarsi di corsa fuori dalla stanza.
All'inizio, Leanne si era riufiutata categoricamente di accettare la realtà.
Graham aveva tentato in tutti i modi di farla ragionare e, con la delicatezza che lo contraddistingueva, era perfino arrivato ad infuriarsi con lei "per le cazzate che diceva", ma la ragazza era andata avanti a strepitare per giorni finché, esausta, non si era rinchiusa in un mutismo ostinato.
A sbloccare la situazione, provvidenzialmente, era stato l'arrivo inatteso di Aristide.
Era una gelida mattina di inizio ottobre; Leanne, ancora contrariata, era uscita di buon mattino per andare a fare una passeggiata sul sentiero che costeggiava la scogliera e riflettere un po'in solitudine.
Mentre camminava di buon passo, assorta nei suoi pensieri, una serie di movimenti guizzanti aveva richiamato la sua attenzione. Un gruppetto di Neri delle Ebridi, probabilmente di quelli addestrati da Charlie Weasley, volava in formazione compatta, inseguendo una forma scura di dimensioni più piccole.
Leanne si soffermò ad ammirare l'eleganza di quei maestosi esseri volanti, capaci di muoversi con tanta grazia nell'aria. Con un moto di malinconia, non poté fare a meno di pensare a Mary, sua madre, che a detta di zia Amy e al contrario di lei, era stata un'esimia volatrice.
Mentre se ne stava in piedi sul ciglio della scogliera, accadde qualcosa.
La ragazza spalancò gli occhi per la sorpresa.: l'uccello cacciato dai Neri era nientepopodimeno che Aristide, il falcone del signor Montague. In una delle sue virate, eseguite nel tentativo di disfarsi dei suoi inseguitori, il rapace le si era avvicinato quel tanto che le era bastato per riconoscere i nastrini di raso verde e argento che gli adornavano le zampe.
Tentando di riprodurre il fischio che aveva sentito fare da Graham a Villa Montague prima della loro fuga, Leanne lo richiamò.
Il falcone, evidentemente esausto, si lanciò in picchiata e, con una brusca planata si posò sul suo braccio, affondando gli artigli nel manicotto improvvisato che lei aveva visto bene di assemblare in tutta fretta, utilizzando lo spesso maglione di lana. Fortunatamente, quando videro che il falcone si era posato sul braccio di una delle streghe "autorizzate", i draghi lo lasciarono perdere.
Attaccato alla zampa destra di Aristide c'era un rotolino di pergamena, chiuso con l'inconfondibile sigillo "M".
Stando bene attenta a non farsi beccare, Leanne si mise a correre a perdifiato, percorrendo a ritroso il sentiero che portava alla casa dove probabilmente Cormac ed Eloise stavano facendo colazione e dove, sicuramente, quel pigrone di Graham non si era ancora degnato di alzarsi dal letto.

Alcune cosette:
1) Rieccoci qui dopo la pausa estiva. Ormai non manca moltissimo e, presto, alcuni nodi verranno al pettine... In questo capitolo si è parlato poco di Graham e Leanne, perché ci tenevo a stabilire un parallelo fra le Resistenze della Prima e della Seconda Guerra Magica, recuperando il filo narrativo della Prima Guerra, con la missione di Mary e la comparsa dei Leanne in versione embrionale e poi descrivendo alcune delle iniziative portate avanti durante la Seconda.
2) Nei capitoli precedenti è accaduto spesso che Graham associasse Leanne ad una colomba (che, in un certo senso, contrasta con il falcone a lui associato), e così ho deciso che il Patronus di sua madre fosse, per l'appunto, una colomba.
3) Opporco glutine, m sono accorta che nel copia e incolla è rimasta fuori una nota. Pardon. Dicevo: la signorina McDougall, qui appena citata, è un OS (a dire il vero nella Saga esiste, ma se ne sa solo il nome) di Ems (blackwhite_swan) nella sua "Angus, Thongs and Perfect Snogging" ed è trattata anche da Brigett nell'interattiva "Di necessità virtù". Scusate la pedanteria, ma i crediti sono crediti.

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Capitolo 17
*** Una separazione e due ricongiungimenti. ***


17. Una separazione e due ricongiungimenti.

- È... è bellissima, non è vero, Dorcas?
La strega guardò l'amica, un velo di malinconia sulla bella pelle del viso scuro.
- Sì, Mary. Davvero una bellissima bambina.
Mary strinse a sé il fagottino tiepido, cullandolo fra le braccia. La neonata sonnecchiava tranquilla, avvolta nella calda copertina di lana Vello Magico che Mary aveva lavorato ai ferri, con molto amore, nei mesi precedenti. Come da tradizione fra le streghe tessitrici delle Shetland, il bordo della copertina era decorato con le iniziali dell'artigiana: in questo caso una serie di M incrociate, le iniziali di Mary Macdonald.
- Dorcas...
Dorcas Meadowes le strinse affettuosamente il polso, chiedendole implicitamente di fermarsi.
- So quello che stai per dirmi e sai già come ti risponderò, Mary.
L'altra le rivolse un'occhiata così carica di dolore da farle stringere il cuore.
- Non posso farlo. Non posso separarmi da lei.
- Ma lo devi fare. Ti prego, Mary. Ne abbiamo discusso tante volte - Dorcas tratteneva a stento le lacrime mentre parlava, profondamente toccata dalla tristezza della compagna. - Se vuoi regalarle una chance di sopravvivere devi lasciarla qui, al sicuro.
- Ma... ma crescerà senza affetti, senza la sua mamma, senza qualcuno che le voglia davvero bene.
- Ma almeno crescerà! Ascoltami, Mary - continuò la strega. - Ormai è questione di tempo, lo sai anche tu. Ares Mulciber non si darà per vinto finché non ti avrà trovata...
- Maledetto bastardo!... - Mary inveì, la voce rotta dal pianto.
- ... c'è mancato poco che l'altro giorno non facesse la pelle a tutte e due; anzi, a tutte e tre.
Mary non diceva niente, limitandosi a cullare con infinita dolcezza la figlia appena nata.
- Quanto è passato? Una settimana? Dieci giorni? Dammi ascolto, amica mia – proseguì Dorcas, con un filo di voce. – Questo orfanatrofio babbano è l’ultimo luogo in cui a quel cane verrebbe in mente di cercarla.
Quando la compagna alzò gli occhi verso di lei, Dorcas temette di non possedere abbastanza coraggio per continuare a tentare di farla ragionare.
- Come si può? – le chiese Mary in un soffio. – Come si può essere così cattivi?...
Dorcas le carezzò la guancia e poi si avvicinò, abbracciando in un sol gesto la bambina e l’amica.
- Lasciandola qui, tu le stai donando la vita, Mary. Per la seconda volta nel giro di due giorni.
Mary appoggiò la fronte contro la sua spalla e pianse calde lacrime di tristezza e d’amore.

Il cappio si stringeva inesorabilmente intorno al collo dei membri dell’Ordine; i maledetti servi del Signore Oscuro li stavano stanando uno ad uno, ormai. Benji e Sturgis non erano mai tornati dalla sciagurata missione di salvataggio di Mary; un affranto Elphias Doge aveva raccontato ai compagni, che lo ascoltavano atterriti, che lui e Fabian Prewett erano riusciti a sfuggire per un soffio ai mangiamorte prontamente accorsi a Castel Lestrange. I due ex-Tassorosso, invece, erano scomparsi nel fervore dei combattimenti e, di loro, non si era più saputo più nulla.
Proprio come aveva detto Dorcas, neanche due settimane prima Ares Mulciber era quasi riuscito a sorprenderle nel loro nascondiglio. Quando i suoi occhi velati di follia avevano incontrato quelli di Mary, dopo essersi soffermati per qualche secondo sul suo ventre ormai troppo pieno da poter essere nascosto, il mago oscuro le aveva ringhiato:
- Non appena ti sarai liberata di quella creatura indegna, tu tornerai ad essere mia.
Fortunatamente Dorcas, abile come sempre, era riuscita a trarre entrambe d’impaccio sorprendendo Mulciber con uno Schiantesimo colossale (“Avrei dovuto ammazzarlo” aveva commentato in seguito, amareggiata per il fatto di non essere stata capace di freddarlo con un bell’Avada Kedavra). Le due streghe erano riuscite a fuggire e avevano continuato a spostarsi freneticamente da un luogo all’altro, cosa estremamente penosa per Mary, che si trovava ormai al termine della gravidanza. Sembrava quasi che, di Case Sicure, non ce ne fossero più. Le poche rimaste erano difese da Incanti Fidelius potentissimi, tanto che era impossibile trovarle; Mary, dal canto suo, si rifiutava di fare ritorno al Nord per paura di attirare la furia dei Mangiamorte sulla sua famiglia d’origine.
Alla fine, Dorcas era riuscita ad entrare in contatto con una sua “conoscente fidata”, che lavorava sotto mentite spoglie in un orfanatrofio babbano. Costei si era offerta di prendere in consegna il figlio, o la figlia, di Mary; cosicché, quando la piccola era venuta alla luce, le due streghe l’avevano subito portata alla struttura, situata a Londra in quel di Capulet Drive.
Madre Gertrude aveva proposto loro di rimanere all’orfanatrofio per qualche tempo, ma le due si erano viste costrette a declinare l’invito. Troppo pericoloso. Era primordiale andarsene velocemente senza lasciare tracce, per garantire che Ares Mulciber non fosse mai in grado di risalire all’ubicazione della bambina.

Quando giunse il momento di partire, Mary ruppe il silenzio e si rivolse a Madre Gertrude.
- Mi... piacerebbe che la chiamaste Leanne – le disse porgendole la neonata, che aveva abbracciato e cullato a lungo. - Appuntati alla sua copertina ci sono due oggetti che le appartengono e che vorrei le venissero consegnati.
L'anziana suora prese in braccio la piccola Leanne e la strinse con calore. Sulla copertina di Vello Magico scintillavano la piccola fenice d’argento e la spilletta giallonera con l’immagine del tasso.


Leanne corse a perdifiato lungo il sentiero che, costeggiando la scogliera, portava alla residenza di Cormac McLaggen ed Eloise Midgen. Aristide, nonostante l’evidente stanchezza, spiccò il volo e la seguì.
Una volta raggiunta la casa di pietra circondata da ortensie che, ormai, le era familiare, la ragazza fece irruzione in cucina, dove la coppia stava tranquillamente consumando la prima colazione.
- Dov’è Graham?! – urlò, rossa in viso e trafelata per la lunga corsa.
- Buongiorno anche a te – le rispose Cormac, imburrandosi placidamente una tartina.
- Che succede, Leanne?
Eloise si era alzata in piedi di scatto, preoccupata dall’espressione vagamente spiritata dell’amica.
- Aristide! È arrivato Aristide – rispose quella, saltellando da un piede all’altro. – Il... il falcone dei Montague – precisò poi, dato che i due ragazzi la guardavano straniti.
- Ed era proprio necessario, in ogni caso – chiese una voce intrisa di malumore – fare tutto questo casino?
Graham, in piedi sulla porta della cucina, guardava dentro con l’aria di chi è appena stato buttato giù dal letto ed ha, ovviamente, detestato la cosa.
- Graham!
Leanne gli si avventò letteralmente addosso; cosa che, in effetti, non lo fece vacillare minimamente.
- Aristide! Il tuo falcone!... È qui!...
Lo sguardo del ragazzo si fece immediatamente attento, improvvisamente sgombro di ogni cipiglio.
- Ma cosa...?
- Ha portato un messaggio! – aggiunse Leanne, sventolando il rotolino di pergamenta davanti al viso del ragazzo.
Cormac ed Eloise si avvicinarono incuriositi.
- Fermi tutti – grugnì Graham, sfilando il rotolino dalla mano di Leanne e strappandole un’esclamazione di protesta. – Prima dobbiamo avvertire Gree. Expecto patronum!
E così detto agitò la bacchetta, dalla quale fuoriuscì uno scintillante falcone d’argento. Poi il ragazzo sedette al tavolo e, in attesa che la sorella arrivasse (si trovava ospite poco lontano, alle Shetland, nella casa di Amy MacLaggen, più ampia e confortevole), prese a divorare con estremo metodo una mezza dozzina di pagnotte appena sfornate, con profusione di burro di pecora e marmellata di cardo.
- Che c'è? - chiese dopo qualche minuto, accorgendosi del silenzio innaturale che era calato sulla stanza.
Leanne lo guardava stralunata.
- Ma cosa accidenti stai facendo?!
- Ow. A stomaco vuoto si ragiona male - borbottò il ragazzo, continuando a strafogarsi.
E stava pensando che, per Salazar, le colazioni di Eloise erano assolutamente inarrivabili, quando un colpo di bacchetta fece evanescere le vivande che imbandivano la tavola. Graham si voltò verso Leanne, evidentemente contrariato.
- Ma sei fuori?!... - lo redarguì lei, tirandolo (inutilmente) per il braccio. - Vorresti farla venire fin qui con questo tempaccio? Andiamo noi da lei, forza!
Dal canto loro, Cormac ed Eloise avevano già afferrato i rispettivi mantelli. Quando la porta di casa fu aperta, una folata di vento gelido fece ondeggiare le pieghe del kilt del biondo anfitrione. A Graham non restò altro da fare che non alzarsi dalla sedia, sbuffando rassegnato e consolandosi con il pensiero che, anche da Amy, le colazioni erano tutt'altro che parche.

Si erano portati dietro Aristide, che ora becchettava beato uno speciale mangime ricostituente a base di scaglie di drago. Con lo stomaco opportunamente riempito, Graham era riuscito a recuperare la consueta attenzione; e ce n'era davvero bisogno, dato che il biglietto consegnato loro dal rapace si era rivelato foriero di perplessità e di sorprese.
Per prima cosa, non erano stati né il signor Montague né sua moglie a redigerlo, bensì un non meglio precisato mittente che si firmava con l'anonima sigla "S. A. M."
Il messaggio, vergato con una calligrafia ordinata ed elegante, era breve, ma conteneva informazioni di importanza epocale:
Eean Avery è vivo e sta bene;
L’ho curato personalmente ed è ora nascosto in un luogo sicuro.
Sono disposto a rivelarvi dove si trova ad una condizione, che esporrò solo ed unicamente alla signorina Kaplett.
Mi farò trovare in attesa tutti i martedì alle 14.37, ai piedi dell’orologio del binario 19 della stazione di King’s Cross.
S. A. M.

Non appena Graham l'aveva letto ad alta voce ai presenti, assembrati attorno alla tavola del tinello dei signori McLaggen, Greta era stata incapace di trattenere un grido e si era tappata la bocca con le mani. Leanne le aveva circondato le spalle con il braccio, un po' preoccupata. Non voleva che un eccesso di agitazione potesse fare del male a Plin.
- Eean... - mormorò Greta, con un filo di voce.
E mentre tutti gli altri parlottavano allo stesso tempo, sovrapponendosi gli uni agli altri, Leanne appellò il calendario dalla parete per verificare che giorno della settimana fosse e quando sarebbe caduto il prossimo martedì.
- È dopodomani!...
Altri brusii sommessi; cominciarono a fioccare piani e macchinazioni. All'improvviso, però, la voce profonda di Graham s'impose sul cicaleccio.
- Non se ne parla nemmeno.
Tutti si girarono di scatto verso di lui, guardandolo attoniti.
- Non se ne parla nemmeno - ripetè il ragazzo, stringendo gli occhi. - Leanne non va da nessuna parte. Potrebbe essere una trappola. Troppo pericoloso.
La ragazza saltò in piedi.
- Ma cosa accidenti dici, Graham? Si tratta di Eean!...
- Ah, e chi lo dice?
- Il messaggio...
- E chi cazzo l'ha scritto, sto messaggio? Tu lo sai? Perché io, personalmente, non lo so.
Leanne ammutolì, interdetta. Sulla tavolata calò un silenzio denso, che però venne ben presto rotto dal suono di una voce bassa e melodiosa.
- Io questa grafia l'ho già vista.
Eloise, la fronte aggrottata, girava e rigirava fra le mani il pezzo di pergamena.
- Guarda anche tu, Corm - soggiunse la ragazza, porgendo il bigliettino al fidanzato che, seduto accanto a lei, aveva posato il mento sulla sua spalla.
- Ho già guardato.
- Sì, ma guarda di nuovo...
Cormac tese il collo oltre la spalla della compagna per rileggere il messaggio.
- Che mi venga un colpo! - esclamò il ragazzo, menando una manata sul tavolo. - Con tutti i votacci che mi ha dato in Pozioni al sesto anno... avrei dovuto riconoscerla subito!
- Spiegati meglio, Cormac - Leanne non stava più nella pelle dalla curiosità. Lei, in quelle righe, non ci aveva visto nulla di familiare.
- Ne sono certo: è la grafia di MacDandy!... Sei un genio, Ellie!... - disse McLaggen mentre sua madre Amy, che adorava Eloise (per troppo, troppo tempo aveva temuto che il suo adorato figliolo non si sarebbe mai accasato), stringeva con affetto il polso della ragazza e le riempiva il piatto di biscottini a forma di pecora.
Graham guardò l'ex-Grifondoro sbattendo le palpebre, un po' stranito.
- Mac... MacDandy? E chi accidenti è?
- Il professor Macnair, l'assistente di Piton - rispose Eloise, tendendogli il biglietto. - "Sebastian A. Macnair".
- E perché diavolo lo chiamate così?! - domandò Graham, che proprio non riusciva ad attribuire un soprannome ludico al suo inquietante ex compagno di Casa ed ex professore.
Cormac fece un risolino.
- Oh, beh. Ma questo è il nomignolo più sobrio... avresti proprio dovuto sentire gli altri - rispose a Graham, che lo guardava stringendo gli occhi. Cormac, ovviamente, alludeva agli appellativi di apprezzamento che le compagne, Leanne inclusa, solevano attribuire all'assistente di Pozioni, un tipo quantomeno gelido ma universalmente riconosciuto come assai belloccio dalle studentesse tutte.
- Okay, okay - tagliò corto Leanne, un po'imbarazzata. - Diciamo che il mittente del messaggio è davvero il professor Macnair. Il punto è: che cosa vuole da me?
A quel punto Greta tossicchiò e prese discretamente la parola.
- Io penso... che abbia bisogno di un qualche tipo di favore.
- In che senso, Gree?
- Beh, signora Amy... - cominciò Greta, scegliendo accuratamente le parole. - È stato lui a permetterci di scappare da Villa Montague quando lui e i suoi compari hanno fatto irruzione a casa nostra. Ed è stato lui a... a salvare Leanne quando... quando Avery...
- Non una parola di più, Greta - ringhiò Graham, il quale avvertiva un terribile prurito alla bacchetta e alle mani al solo pensiero di Aidan Avery.
- Va bene - convenne Greta, facendogli cenno di calmarsi. - Insomma: gliene dobbiamo una; soprattutto Leanne. Ed ora - continuò la giovane strega, con il groppo in gola - pare che anche Eean gli debba molto.
- Ma come facciamo a fidarci? - chiese Graham in tono polemico. - Ci ha lasciati andare: va bene. Ma è pur sempre schierato dalla parte del Nemico.
Leanne gli si infilò sotto al braccio, immensamente orgogliosa di lui (una volta di più) nel sentirlo etichettare il Signore Oscuro e i suoi seguaci come "il Nemico". Per uno che era stato membro della Squadra di Inquisizione, si trattava proprio di una metamorfosi fantastica.
- Secondo me si potrebbe tentare - intervenne Amy MacLaggen, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, intenta a vezzeggiare Eloise. - Sempre che Leanne se la senta, beninteso. Questa persona le ha chiesto di incontrarsi con lei in un luogo pubblico e molto frequentato. Con i giusti accorgimenti, non dovrebbe trattarsi di un appuntamento eccessivamente pericoloso.

Nonostante gli strepiti, le proteste e i tentennamenti di Graham, si decise che il contatto andava per lo meno tentato.
- Ragiona, Graham: è molto, molto plausibile che Eean si trovi con lui - continuava a ripetergli Leanne per convincerlo. - Macnair era presente quando tuo cognato si è sacrificato per favorire la fuga di Greta e Plin.
Per questioni di sicurezza, comunque, fu organizzata una sorta di sopralluogo sul posto in cui era stato fissato l'appuntamento: il primo martedì Leanne non si fece viva, ma Amy McLaggen e il marito, cui Macnair era stato descritto con dovizia di particolari, si trovarono a transitare "casualmente" per il binario 19 della stazione di King's Cross. Quando fece ritorno al Nord, però, la coppia riferì di non aver notato nessuno che corrispondesse alla descrizione fornita loro dai ragazzi.
Pertanto, si era già alla seconda metà di ottobre quando Leanne, avvolta in un caldo cappotto babbano che Eloise aveva abilmente sottratto ai vicini, si presentò all'appuntamento, visibilmente inquieta.
La ragazza sapeva che Graham e i suoi amici si trovavano poco lontano, sotto mentite spoglie, camuffati fra la folla che gremiva la stazione; l'idea di stabilire un contatto con un esponente del nemico, però, l'innervosiva parecchio.
Un'occhiata all'orologio appeso sopra la sua testa le confermò che Macnair (sefosse arrivato) si sarebbe presentato a momenti: erano le 14.35. Leanne si guardò intorno, col cuore che le martellava nel petto.
Le 14.37. Niente.
Le avrebbe dato buca?
Le 14.45.
Una mano si strinse improvvisamente sulla sua spalla; poi, improvvisamente, un velo semitrasparente calò su di lei.
- Sttt - le intimò una voce dal timbro basso e graffiante, impedendole di gridare.
Leanne si voltò. Due occhi chiari come l'acqua, appartenenti ad un giovane mago alto ed abbigliato in modo impeccabile, la fissavano impassibili, reiterando implicitamente il messaggio: zitta e ascolta .
- Ma cosa... dove... - bisbigliò Leanne, confusa.
- Incantesimo di Disillusione Tessile - spiegò lui, secco. - Non ci possono vedere, ma dobbiamo fare alla svelta. Prendi questa, presto.
Leanne afferrò la scatola che lui le porgeva.
- Dentro c'è la bacchetta di Eean Avery, come prova del fatto che si trova con me.
- Dov'è? - lo incalzò lei, impaziente.
- Calma. Ogni cosa a suo tempo. Sono disposto a dare questa informazione soltanto ad una persona. E questa persona non sei tu.
- E perché, allora - chiese Leanne, facendo tanto d'occhi - hai fatto venire me?
Lui le rivolse un'occhiata ovvia.
- Perché tu sei, attualmente, la mia unica speranza di mettermi in contatto con lei.
- Oh. E chi...?
- Alicia Spinnet.
Lì per lì, Leanne fu tentata di mentire. Sapeva benissimo dove si trovava Alicia ma, chiaramente, non glielo voleva dire.
- Ma io non so...
- Non mi interessa - tagliò corto lui. - Trovala e consegnale la fialetta che ho messo nella scatola. Dille di guardare il ricordo in essa contenuto e pregala di stare molto, molto attenta, perché il Signore Oscuro è interessato alle opali magiche che suo padre estrae in Australia. L'ordine di catturarla è già stato diramato.
- E chi mi dice che non la vuoi catturare tu?
Il ragazzo proruppe in una risatina afona.
- Catturarla, io? Beh, in un certo senso è così, suppongo. Ma non in quel senso. E comunque - aggiunse, stringendo il gomito di Leanne - dille di presentarsi qui, stessi giorni e stesso orario, ed io le rivelerò dove si trova Eean. È tutto.
Leanne lo fissò.
- Ma perché...?
- Non sono affari tuoi. Vai, ora - la zittì Macnair, per poi soggiungere: - E dì a Montague che quel suo travestimento da folletto è ridicolo. Con la stazza che si ritrova... cosa accidenti pensava di fare?!

Le ragazze Grifondoro erano unite da legami d'amicizia molto solidi, e Bastian Macnair lo sapeva bene. Leanne era molto amica di Katie Bell; la Bell, a sua volta, intratteneva con Alicia Spinnet rapporti quasi fraterni.
Fu quindi molto, molto facile entrare in contatto con l'ex-cacciatrice del Grifondoro attraverso i canali di Radio Potter. Man mano che l'autunno avanzava portando con sé notizie sempre più buie, i membri della stazione radiofonica dissidente erano sempre più occupati; Alicia, però, promise che si sarebbe recata a Stenness non appena le fosse stato possibile. E così fu.
Quando la combriccola del Nord le espose i fatti, la ragazza trasecolò.
Macnair era una sua vecchia conoscenza, non solo nelle vesti di professore (era stato assistente di Piton quando lei frequentava il settimo anno di Pozioni insieme a Graham) ma anche perché, quando Alicia era al primo anno, l'ex-Serpeverde, di qualche anno più grande di loro, aveva tormentato a dovere lei e il suo ornitorinco domestico, Uluru, minacciando di farlo sopprimere da suo zio Walden, il boia. Poi, quando Alicia si trovava al terzo anno e lui al settimo, Macnair le aveva proposto di uscire insieme; quell'invito era stato causa di un profondo disagio, rievocato in tutta forza quando la ragazza, una volta diplomata, aveva iniziato a lavorare da Accessori di Prima Qualità per il Quidditch e lui aveva ricominciato a girarle intorno.
Fosse stato per lei, non avrebbe mai accettato di incontrarlo, perché Macnair la terrorizzava; tuttavia, profondamente toccata dalla gravidanza avanzata di Greta Montague (che, avendo saputo che il marito era vivo, sperava di ritrovarlo prima della nascita del bambino) Alicia si arrese.
A corroborare la sua decisione di intervenire, contribuirono poi due fatti decisivi.
Prima di tutto, un provvidenziale racconto di Carbry Bell e Morag McDougall che, per una fortunata coincidenza, erano rientrati alla base proprio in concomitanza con la visita della Spinnet. I due medimaghi riferirono che, in uno dei loro vagabondaggi a bordo dell'Ambulatorio Volante con il quale portavano aiuto ai feriti di guerra, erano stati fermati da un manipolo di Mangiamorte, ma che ne erano usciti illesi perché Bastian Macnair, che faceva parte del gruppetto, aveva "finto" di non riconoscere Carbry, nonostante sapesse perfettamente chi fosse dato che i due erano stati compagni di stanza allo studentato dell'Università di Cambridge.
Poi c'era la questione del frammento di ricordo che Macnair le aveva fatto pervenire tramite Leanne. In assenza di un Pensatoio dove poterne prendere visione, fu necessario usare una Pozione speciale preparata dallo stesso Macnair e anch'essa inserita nella scatola, attraverso la quale era possibile trasformare un qualsiasi piatto di ceramica in un decodificatore di pensieri.
Nel frammento, risalente all'incirca ad un anno e mezzo prima, Alicia invitava il ragazzo a recarsi con lei in Australia.
La Spinnet guardò e riguardò il ricordo con aria stupefatta. Non riusciva a capacitarsene, perché non ricordava assolutamente di avere mai pronunciato nulla di simile; ciò, tuttavia, le mise la pulce nell'orecchio, soprattutto alla luce di un biglietto aggiuntivo in cui Macnair le diceva:
Aussie,
Molte cose tu non le puoi ricordare perché, al termine del tuo settimo anno, sono stato costretto ad obliviarti. Credo sia giunto il momento di restituirti i ricordi; primo, perché il Signore Oscuro ti cerca a causa delle opali di tuo padre, e io sono preoccupato per te. E secondo, perché mi manchi.
Ti aspetto alla stazione.
Basteen.


Alicia si recò all'appuntamento e Bastian Macnair mantenne la parola data.
Leanne, Graham, Cormac ed Eloise trovarono Eean esattamente dove era stato detto loro; nella soffitta dismessa di un vecchio teatro di Glasgow. Nonostante Macnair, somministrandogli apposita pozione, l'avesse mantenuto in uno stato catatonico, il giovane mago stava bene e si era ripreso dal colpo inflittogli dal suo sciagurato fratello il giorno in cui aveva tentato la fuga insieme a Greta.
La soffitta era protetta da una serie di complicatissimi incantesimi di Alta Disillusione ma Graham, con le abilità che aveva maturato durante il corso di Spezzaincantesimi, era riuscito facilmente a valicarli.
E così Eean Avery riuscì finalmente a ricongiungersi alla moglie; e quando, alla fine di novembre, si decise a venire alla luce con l'aiuto di Carbry e Morag ostetrici improvvisati, la piccola Plin trovò il suo papà pronto a stringerla fra le braccia.
E nonostante il clima sempre più cupo che ammantava d'ombra e tristezza i membri della Comunità Magica tutta, il Natale a Stenness fu luminoso e sereno: il clan McLaggen allargato festeggiò in presenza della famigliola Montague (il nome Avery era stato temporaneamente radiato dalle conversazioni), con Leanne e Graham, padrini orgogliosi, intenti a disputarsi la neonata, dotata di un principesco corredino di Vello Magico.

Note:
1) Per l'appuntamento in stazione in un determinato giorno/ora della settimana ho preso spunto dallo splendido film Slumdog Millionnaire.
2) Questo capitolo si collega alle già citate storie L'Assistente di Pozioni (incentrato sulla coppia Macnair/Spinnet) e La Cura Universale (dedicato a Carbry e Morag). Spero sia comprensibile anche da parte di coloro che non li avessero letti. In ogni caso, il soprannome "Aussie" è stato dato ad Alicia in quanto australiana, mentre "Basteen" è il modo di Alicia, per l'appunto all'australiana, di pronunciare il nome "Bastian". Qualche parola sul ricongiungimento finale di Bastian e Alicia, nel prossimo capitolo.
3) Il capitolo è costruito sull'idea del contrasto. Le diverse sorti di Leanne e Plin, in primis; ma anche la diversità di carattere fra Mulciber e Macnair, opposti rappresentanti della stessa medaglia.

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Capitolo 18
*** La sottile arte del sabotaggio. ***


18. La sottile arte del sabotaggio.

Edgar Bones. Ucciso insieme alla famiglia.
Deaborn Caradoc. Svanito nel nulla.
Benji Fenwick. Ucciso e mutilato; di lui, integro, soltanto un dito.
Dorcas Meadowes. Freddata dal Signore Oscuro in persona.
Alice e Frank Paciock.Torturati fino alla pazzia.
Sturgis Podmore. Mai più ritornato.
Fabian e Gideon Prewett. Messi alle strette da cinque Mangiamorte e poi finiti da Dolohov.
Tutti gli altri: Sirius, Remus, Peter, Albus, James e Lily. Irreperibili.
Era sola.
Mary era rimasta sola.

Senza sapere dove sbattere la testa, aveva tentato di giocarsi l'ultima carta e si era mescolata ai babbani. Incredibile ma vero, aveva trovato lavoro in un negozio che vendeva fiori. Fiori comuni, privi di poteri magici; profumati e belli. Vivaci come lei non era più in grado di essere da molto, molto tempo.
Il lavoro le piaceva; occuparsi di creature viventi inermi e delicate le dava grandi soddisfazioni. Ai virgulti e ai germogli dedicava le cure che avrebbe voluto elargire a sua figlia.
Era passato poco più di un anno da quando lei e Dorcas avevano affidato Leanne alle cure di madre Gertrude. Prudentemente, Mary si era tenuta lontana dall'orfanatrofio di Capulet Drive perché temeva di essere sorvegliata. L'estate e l'autunno del 1979 erano trascorsi in un intollerabile accumulo di tragedie, culminato a gennaio dell'80 con l'assassinio di Dorcas.
Con l'arrivo dell'estate, Mary non era riuscita a resistere alla tentazione di dare una sbirciata; anche solo per pochi attimi. E in una luminosa mattina di metà luglio, spiando fugacemente fra le grate di ferro battuto che recintavano il cortile dell'istituto, l'aveva vista. Piccola, bionda, ricciuta. Leanne tendeva le manine verso una giovane conversa, che le sorrideva agitando un pupazzetto. Ad un certo punto, inspiegabilmente, il giocattolo era decollato dalle mani della ragazza, strappandole un grido di sorpresa, per andarsi a posare fra quelle della bambina.
Il cuore di Mary aveva perso un battito, per poi prendere a pulsare a ritmo forsennato. D'orgoglio e di felicità nel vederla così viva e vispa. Così magica.
E di amarezza; per non poterle essere vicina.
Lì per lì, aveva quasi ceduto all'impulso di materializzarsi nel cortile, prenderla in braccio e portarla via con sé. Poi, però, aveva ricordato a se stessa che non poteva mettere a rischio la vita di sua figlia.
Fino a quel momento Mary era stata fortunata; era riuscita a far perdere le sue tracce mimetizzandosi nella città grande.
Non si illudeva, però.
Mary lo sapeva bene: era solo questione di tempo. Presto o tardi, la resa dei conti sarebbe arrivata anche per lei.

Quando se lo trovò davanti, in quell'uggioso pomeriggio di ottobre, Mary non ebbe neppure la forza di sorprendersi. Era da tanto tempo, ormai, che aspettava la sua visita.
Ares si era forse fatto attendere più del dovuto ma, alla fine, l'aveva trovata. Un rumore di passi ovattati dalla nebbia sull'asfalto del marciapiede, a pochi metri da lei. Non ebbe neppure bisogno di guardarlo in faccia per capire che si trattava di lui.
- Mary.
Un ultimo appello, un'ultima trattativa.
- Sai che cosa devi fare, se vuoi salva la vita.
Un ultimo diniego.
- No.
Un lampo di luce verde.
Verde come l'erba delle Shetland d'estate.
La Signora la prese fra le braccia, avvolgendola nel suo caldo e morbido mantello di Vello Magico.


- "...a parte l'umidità tale da scollare le tappezzerie, si trovano tutti molto bene. Grazie per averci mandato le fotografie di Plin; è davvero splendida. Non vediamo l'ora di conoscerla personalmente e di abbracciarla forte. Un caro abbraccio anche a Lou-Anne. Mamma".
Graham attese che Leanne terminasse di leggere ad alta voce la lettera giunta poche ore prima dalle Grenadine; i genitori l'avevano fatta recapitare loro da un Aristide completamente rinvigorito.
- Oh, beh - commentò poi, stiracchiando pigramente le braccia oltre la testa. - Plin è proprio deliziosa, e come no. Soprattutto quando non dorme per una settimana di fila.
- Oh, ma per questo - rise Leanne, ripiegando accuratamente il foglio di pergamena - c'è sempre lo zio Graham, no?
- Purtroppo per lui - bofonchiò il ragazzo; l'unico in grado di far dormire la nipotina nei casi più emergenziali.
I due ragazzi si trovavano soli in casa Midgen/McLaggen, seduti al grande tavolo della cucina. Eloise e Cormac si trovavano a casa di Amy, sulle Shetland; Graham e Leanne erano rimasti a Stenness perché, vista la situazione (si era ormai alla metà di aprile; le congiunture in suolo inglese erano a dir poco catastrofiche), c'era sempre bisogno di qualcuno che monitorasse il Cerchio Magico situato vicino alla casa di pietra.
Era molto raro che il dispositivo protettivo si mettesse in funzione. Proprio quella sera, Graham aveva a lungo insistito affinché tutti loro si recassero da Amy: non gli andava affatto di rinunciare ad una delle sue fantastiche cene, soltanto sulla base di un'ipotetica quanto remota possibilità.
- Ma Graham, potrebbe arrivare qualcuno...
- Ma va,ma chi vuoi che arrivi. Ci perderemo l'arrosto di montone e basta, te lo dico io.
Per fortuna, però, Leanne era stata irremovibile; i due si erano appena spostati in salotto e messi seduti davanti al camino quando una forma argentata schizzò dentro, infiltrandosi fra le ante della finestra semiaperta. Contemporaneamente, un suono assordante cominciò a diffondersi nell'aria; l'allarme era scattato.
Graham guardò lo strano Patronus aggrottando la fronte.
- Ma che cazzo di animale è?!
- È un ornitorinco!
Leanne saltò in piedi, dirigendosi verso la porta. Nell'atto di afferrare la maniglia si girò verso Graham, che la guardava ancora seduto sul tappeto.
- Un... ornitoche?!
- Andiamo testone! C'è qualcuno intrappolato nel Cerchio Magico!...
Corsero a perdifiato lungo il pendio che scendeva verso il circolo megalitico; le steli di pietra macchiata di licheni si stagliavano contro il cielo scuro, proprio come la sera in cui erano arrivati a Stenness. La filigrana di mithril che circondava i menhir si era illuminata debolmente, segnale del fatto che le persone intrappolate all'interno del circolo erano sì portatrici di un qualche quota di Magia Oscura, ma in quantitativi accettabili.
- Expecto Patronum!
Graham agitò la bacchetta e mandò il suo falcone d'argento a verificare. Poco dopo, i due ragazzi avvertirono il suono di passi affrettati che si muovevano sull'erba al seguito del Patronus; qualcuno procedeva rapidamente lungo il sentiero che conduceva fuori dai meandri del Cerchio Magico. Un'altra manciata di secondi e due ombre fecero capolino da dietro una stele spezzata.
Leanne sbattè le palpebre, sorpresa, e si strinse al fianco di Graham, in attesa con la bacchetta sguainata.
Illuminati dalla luce della luna ma perfettamente riconoscibili, Alicia Spinnet e Bastian Macnair risalivano a fatica la china erbosa, diretti verso di loro.
- Per fortuna ci abbiamo azzeccato - disse Alicia quando li scorse. La ragazza non aveva per nulla un bell'aspetto; zoppicava leggermente e sembrava esausta.
Leanne fece un passo in avanti.
- Abbiamo visto il tuo Patronus, Aussie...
Bastian Macnair scosse la testa.
- Quello non era il Patronus di Alicia. Era il mio.

- Ora va molto, molto meglio.
Alicia apriva e chiudeva le dita della mano destra, sospirando sollevata nel percepire la ritrovata sensibilità dell'arto.
Quando era arrivata insieme al suo improbabile accompagnatore, neanche due ore prima, il suo braccio pendeva lungo il fianco apparentemente privo di vita, nero e rigido. Macnair sembrava fuori di testa; si era messo a chiamare Carbry a gran voce, e quando Graham lo aveva informato che il Medimago si trovava in missione con Morag a bordo dell'Ambulatorio Volante, l'ex Prefetto Serpeverde e ex Assistente di Pozioni aveva fatto il diavolo a quattro e si era messo a urlare:
- Io lo ammazzo. Lo ammazzo!
Leanne lo aveva guardato sbalordita.
- Vu-vuoi... a-ammazzare Carbry?!
- No - aveva ringhiato lui, accostandosi ad Alicia. - Ammazzo quel cane che le ha fatto questo.
Graham, pratico, si era subito messo ad esaminare l'arto della ragazza. La pelle annerita presentava il tipico aspetto di una bruciatura da Incantesimo Oscuro.
- Che cos'è? - aveva domandato poi, pensieroso, la sigaretta stretta fra le dita.
- Non... non lo so - aveva sospirato Alicia, stringendo le labbra. La ragazza non si lamentava ma, dalla sua espressione, si capiva che le faceva male tutto. - Mi hanno colpita con un incantesimo non verbale... all'improvviso non sono più stata in grado di stringere la bacchetta, né di difendermi, né niente.
- Fammi vedere.
Graham non era certo un Medimago, ma al corso di Spezzaincantesimi ne aveva viste di ogni. Ricordava vagamente che alcuni tumuli celtici irlandesi - soprattutto quelli in cui erano custoditi tesori preziosi - erano protetti da maledizioni paralizzanti che inducevano una specie di necrosi negli arti di coloro che tentavano di violarli.
Che si trattasse di qualcosa di simile? Sicuramente valeva la pena tentare.
Aveva quindi fatto scorrere la bacchetta di piatto sulla pelle screpolata della ragazza, mormorando alcune parole che, alle orecchie di Leanne, erano suonate incomprensibili. Cosicché poco dopo, con grande sollievo di tutti, Alicia aveva detto loro di avvertire un formicolio all'altezza del gomito; nel giro di qualche minuto, la sua pelle aveva pian piano cominciato a schiarirsi.
- Tieni, Aussie - le disse Leanne, porgendole la sua bacchetta di eucalipto, che Macnair aveva avuto la prontezza di spirito di prelevare dal luogo del delitto. - Riesci a stringerla fra le dita?
- Sì.
Alicia sorrise soddisfatta e posò il capo sulla spalla di Bastian, seduto accanto a lei con una tazza di tè di cardo fumante fra le mani. Il ragazzo appoggiò la tazza sul tavolo e cinse con il braccio le spalle della compagna, soffermandosi a giocherellare con le punte dei lunghi capelli color del grano.
- Te ne dobbiamo una, Montague.
Graham assunse un'espressione vagamente indagatrice.
- Molto bene - tossicchiò poi. - Che ne direste, allora, di raccontarci un po'di cosette?

Per prima cosa, Alicia e Bastian (che lei, con il suo assurdo accento australiano, chiamava Basteen) li misero al corrente del perché si trovassero insieme; il fatto che si accompagnassero uno all'altra, oltretutto in atteggiamenti affettuosi, era quantomeno bizzarro.
- Quando l'ho incontrato per farmi dire dove si trovava Eean - esordì Alicia, rivolgendo al compagno un'occhiata sorridente - Basteen mi ha consegnato il resto dei suoi ricordi; attraverso essi ho scoperto che noi... che noi due eravamo stati insieme durante il mio ultimo anno ad Hogwarts.
- Quando era nostro professore a Pozioni?! - Leanne non credeva alle sue orecchie.
- Esatto. Proprio per questo motivo, avevamo tenuto segreta la cosa. Solo che, al termine di quell'anno, tutta una serie di pressioni esterne lo ha costretto ad obliviarmi per garantire che io facessi ritorno in Australia sana e salva.
- Che tipo di pressioni esterne?
- Mio zio Walden e i suoi compari - spiegò Macnair, cupo. - Mi volevano dalla loro, e così hanno cominciato a ricattarmi minacciando Alicia.
Graham e Leanne erano orripilati.
- Basteen ha dovuto cedere (guadagnandosi, peraltro, un bel Marchio Nero) - proseguì Alicia, sistemandosi i capelli dietro alle orecchie - ma li ha sabotati dall'interno durante tutto questo tempo.
- Lo so bene - mormorò Leanne, chinando leggermente il capo. - Se non fosse stato per te...
Graham la zittì con una lieve strettarella stritolaossa.
- Quando, all'inizio dell'anno scorso, sono tornata dall'Australia, il Signore Oscuro aveva già manifestato un certo interesse nei confronti delle opali, e aveva ordinato a Basteen di tenermi d'occhio.
- E io - aggiunse Bastian - ho preferito evitare di rivelarle subito la verità perché volevo andare avanti ancora un po' a spiare le loro mosse.
Graham annuì, ricordando la scena cui aveva presenziato l'anno prima da Accessori. All'epoca, Alicia glI era sembrata molto spaventata da Macnair.
- Poi però, quando il Signore Oscuro ha diramato l'ordine di catturarla, mi sono seriamente preoccupato per lei, perché ormai il compito non era più soltanto nelle mie mani. Ho quindi cercato di entrare in contatto con lei per avvertirla ma Alicia, nel frattempo, era sparita.
- E così hai pensato bene di raggiungerla tramite noi.
- Esatto. Poi, una volta recuperati i ricordi, la situazione fra noi si è finalmente chiarita.
- Ma che cosa vuole Voi-Sapete-Chi da te, Aussie?
I nuovi arrivati raccontarono i fatti che avevano preceduto la loro fuga a Stenness.
- Le opali assorbono la magia - riprese Alicia, rivolgendosi al gruppetto di maghi e streghe riuniti intorno al tavolo. Oltre a Graham e Leanne, si erano aggiunti anche Eloise e Cormac, nel frattempo tornati a casa, e Eean Avery, cui era stato chiesto di unirsi a loro. - Il Signore Oscuro l'ha scoperto da un po' e, astutamente, ha pensato di avvalersene durante la guerra.
- Che tipo di magia assorbono? - domandò Graham, interessatissimo.
- Qualsiasi tipo di magia, bianca o nera che sia - rispose Alicia, massaggiandosi il braccio tornato normale. - Le opali della collana che ha maledetto Katie l'anno scorso, per esempio, erano intrise di magia oscura. Il problema però è che bisogna saperle usare: sono pietre bizzose e selvagge, e non obbediscono a chiunque.
- E tuo padre lavora con le opali, laggiù in Australia, giusto Aussie? - interloquì Eloise, che aveva una memoria di ferro.
- Esatto - annuì lei. - È uno dei pochissimi esperti di opali magiche, a livello internazionale. Voi-sapete-chi lo ha scoperto e ha cominciato a fargli la posta, ma papà è troppo lontano da qui e ben protetto dagli incantesimi della Gringott e del governo australiano.
- E quindi... - dedusse Leanne, con un filo di voce.
- E quindi i bastardi hanno cominciato a dare la caccia a lei - sibilò Macnair, con un'espressione assassina dipinta sul volto.
Alicia gli strinse la mano e continuò.
- Noi di Radio Potter siamo venuti a sapere che i seguaci di Colui-che-non-deve-essere-nominato erano riusciti a mettere le mani su di un importante carico di opali, custodito nel negozio di Sinister. Ho chiesto consiglio a papà e lui mi ha spiegato come renderle inoffensive; io e Basteen stavamo appunto tentando di raggiungerle per sabotarle quando siamo stati sorpresi dal loro arrivo.
- Cos'è che è andato storto? - volle sapere Cormac.
- Il negozio di Sinister è custodito da Incantesimi Protettivi che non siamo stati in grado di eludere - disse Macnair, gelido. - L'allarme è scattato e noi non abbiamo avuto il tempo di fuggire.
- E fra questi fantomatici loro - chiese Eean, in tono piatto - c'era anche...
- Puoi scommetterci. - Bastian Macnair strinse gli occhi e sbuffò fuori l'aria. Leanne pensò che non le sarebbe piaciuto averlo come nemico. - Tuo fratello è sempre il primo della fila, quando si tratta di spedizioni punitive. E il braccio di Alicia - aggiunse, sfiorando con le labbra la fronte della ragazza - ne sa qualcosa.

Lasciare le opali magiche in possesso del Nemico era assolutamente fuori discussione.
- Troppo pericoloso - decretò Alicia, risoluta. - A Katie è bastato sfiorarne una ed è quasi morta. Dobbiamo trovare un modo di penetrare da Sinister e disattivare il loro potere assorbente.
- E come si fa? - chiese Graham, sinceramente impressionato.
- Magia aborigena - spiegò lei, mordicchiandosi l'interno della bocca. - Papà mi ha insegnato la formula per chiuderne i pori.
- Il negozio di Sinister è blindato - meditò Macnair, sovrappensiero. Poi però l'occhio gli cadde su Graham, intento a pulire il piatto con un pezzo di pane. - Oh, per Salazar.
Il ragazzo gli rivolse un'occhiata di pura simpatia.
- Oh, che meraviglia udire il nome del nostro beneamato Fondatore. Troppi mesi recluso fra i Grifoni...
(Si udì, sullo sfondo, la voce di Cormac che borbottava qualcosa di molto simile a "razza di ingrato").
Bastian, però, ricambiò il sorriso.
- Montague - gli disse quindi, e il suo tono era quello di chi si è appena accorto di aver distillato un calderone di Felix Felicis. - Tu sei uno Spezzaincantesimi.
- Oh beh, mi manca ancora un po' per ottenere il diploma - replicò Graham, per poi aggiungere, con la consueta supponenza: - Però, modestia a parte, spacco. Anzi, spezzo.
Leanne non perse tempo a redarguirlo per la battutaccia.
- Ma certo! - urlò invece, istantaneamente ricolma di entusiasmo. - Ci farai entrare tu!...
- "Ci"? - grugnì Graham sospettoso, guardandola con cipiglio.
- Ovvio. Io, te, il professor Macn... cioè, Sebastian e Alicia!
- Tu non vai da nessuna parte.
- E come no - ribattè lei, con un gesto alla "parla pure, che tanto me ne sbatto".
Graham, estremamente contrariato, mise su un grugno lungo un miglio. Lo sapeva fin troppo bene ormai: col cavolo che sarebbe riuscito ad imporsi, con quella testona.

Per mettere a punto il piano d'attacco i quattro ragazzi si trasferirono a Londra, in una Casa Sicura scrupolosamente bonificata. Si trattava di un minuscolo appartamento in cui Lee Jordan aveva abitato prima dello scoppio della Guerra, situato in un sottotetto con vista su Regent's Park.
I membri di Radio Potter erano riusciti a tenerlo celato agli occhi del Nemico apponendovi un Fidelius Rinforzato; quando non si trovavano ad Amesbury al Covo, lo usavano come quartier generale londinese.
Al momento di partire dalle Island, Leanne fu lì lì per versare una lacrimuccia.
- Stai attenta, figlia mia - le raccomandò zia Amy, stringendola in un abbraccio. E per lei, che non era mai stata chiamata "figlia" da nessuno, separarsi dalla sua nuova famiglia appena ritrovata fu molto penoso.
Ad attenderli a Londra, Graham, Leanne, Alicia e Bastian trovarono la redazione di Radio Potter al gran completo. Leanne e Alicia si unirono ai compagni Grifondoro in un festoso abbraccio collettivo, mentre i due ex-Serpeverde rimanevano in disparte ad osservare la scena.
Graham si sentì prudere la bacchetta quando vide Fred e George Weasley; gli stessi che, due anni prima, gli avevano tirato quel brutto tiro rinchiudendolo nell'Armadio Svanitore. I due ragazzi però lo trattarono in modo amichevole e, addirittura, uno dei due (Graham non seppe mai chi) lo apostrofò allegramente:
- Ce ne devi una, Montague.
- Ah. Bella questa. Io, doverne una a voi.
- Certo - sentenziò l'altro. - Non fosse stato per noi, col cavolo che ora avresti una morosa così bellina.
- Peraltro - annuì il primo, additando con fare scherzoso la graziosa Spinnet che, in quel momento, lasciava discretamente la sala seguita da Sebastian. - Davvero una gran disdetta per noi poveri Grifoni, il fatto che voialtre Serpi abbiate ampliato le vostre riserve di caccia invadendo il nostro territorio...
A quel punto, Graham smise di ascoltarli e guardò di sottecchi la sua ragazza, intenta a parlare con le amiche poco lontano da lui. Leanne era bella, luminosa e piena di vita; e il ragazzo si sorprese a pensare a come, prima di lei, quel Graham che ora lui aveva orgoglio di essere, e che lei tanto ammirava, ancora non conosceva affatto se stesso. Anzi; a pensarci bene, prima di Leanne, non esisteva nessun "Graham", ma solo un ragazzone idiota dai troppi nomi e dalla personalità confusa.
"E non è" si disse, sorridendo in modo impercettibile "che sti due coglioni hanno perfettamente ragione?!"

Dopo essere stato sorpreso con le mani nel sacco dai suoi ex compari, Bastian Macnair non aveva più avuto la possibilità di fare il doppiogioco. Per poter agire, i ragazzi dovettero quindi attendere il segnale propizio da parte di un contatto di Angelina Johnson, una talpa che la ragazza reputava abbastanza sicura.
La sera del due maggio, finalmente, un enigmatico cigno argentato inoltrò loro il via libera: e fu così che, ben nascosti sotto i loro mantelli disillusi, Graham, Leanne, Alicia e Bastian si recarono furtivamente a Notturn Alley, puntando dritti su Magie Sinister. Nessuno di loro sapeva cosa li avrebbe attesi quella notte; certo, qualsiasi missione presentava ormai ampi margini di rischio, ma certo non immaginavano quanto sarebbe seguito alla missione stessa.
Gli incantesimi protettivi apposti sul negozio di Sinister erano davvero formidabili, ma Graham respirò fondo e, a mente vuota, li analizzò uno ad uno. Tutti insieme erano decisamente troppo complessi; separatamente, però, ciascuno col suo nome, erano abbordabili. Uno per uno caddero sotto agli effetti dei controincantesimi che il ragazzo pronunciò a bassa voce, accompagnandoli con movimenti cadenzati del polso, mentre i tre compagni gli facevano il palo.
E quando l'ultimo sortilegio fu spezzato, la serratura scattò.
Mentre varcavano la soglia la mollettina di Leanne, proprio come era accaduto durante la loro precedente visita, si tinse di un azzurro intensissimo; il negozio di Sinister, immerso nella penombra, trasudava magia oscura da ogni angolo, da ogni articolo, da ogni oggetto.
Non c'era un minuto da perdere.
- Accio opali!
Una piccola sacca di cuoio schizzò fuori da uno scomparto segreto ricavato al di sotto del bancone e planò fra le mani di Alicia, che si affrettò a pronunciare le formule magiche aborigene in grado di disattivare il potere delle pietre. Graham la guardava incantato, tentando di memorizzare la complicatissima quanto incomprensibile litania che fuoriusciva dalle sue labbra.
E proprio mentre la fattura impregnava le opali, si udì Bastian che imprecava a mezza voce.
Un bruciore insistente sulla pelle lo aveva costretto a fermarsi e a stringere con la mano l'avambraccio sinistro. Il Signore Oscuro chiamava a sé in suoi servi in vista della Battaglia; il Marchio Nero tatuato sul suo braccio pulsava e si agitava sotto gli occhi sgomenti di Graham e Leanne.
Alicia lo raggiunse immediatamente e gli prese la mano.
- È... è il momento, Basteen?
Lui le restituì lo sguardo.
- Sì. Ci chiama ad Hogwarts. La Battaglia si prepara.
In quello stesso istante, voci sospette risuonarono oltre la soglia del negozio.
- Sono venuti a prendere le opali! - urlò Graham, mentre uno Schiantesimo di Alicia metteva fuori combattimento il Mangiamorte che aveva incautamente girato la maniglia.
- Protego Horribilis! - Leanne, memore dell'assedio a Villa Montague, aveva già cominciato a sciorinare incantesimi protettivi per sigillare il negozio. - Smaterializziamoci, presto!
Purtroppo però, per quanto ci provassero, nessuno di loro ci riuscì. Neppure Graham che, afflitto da una fastidiosa sensazione di claustrofobia, sbraitava formule senza sosta. Gli assalitori li tenevano sotto scacco con fatture anti-smaterializzazione, impedendo loro di fuggire.
- Dobbiamo uscire di qui! Dobbiamo raggiungere Hogwarts! - gridava Alicia stringendo il polso di Bastian, che digrignava i denti per il dolore. Per i disertori come lui, al consueto bruciore indotto dal risveglio del Marchio, andava ad aggiungersi una discreta dose di sofferenza.
- Dobbiamo avvertire gli altri!... La Battaglia è cominciata!...
Leanne, però, aveva smesso di strepitare. Improvvisamente ammutolita, fissava Graham che, immobile, scrutava un oggetto immerso nell'ombra.
Seguendo il suo sguardo, la ragazza lo mise a fuoco. Legno scuro e intagliato. Profilo triangolare.
L' Armadio Svanitore.
- Credo di sapere - mormorò il ragazzo con un filo di voce, e tremando leggermente - come raggiungere Hogwarts.

Alcune cosette:
1) Ovviamente mettere giù il flashback iniziale di questo capitolo mi ha stesa. So che rispetto a storie davvero drammatiche è un nonnulla, ma capitemi: ciò che scrivo, solitamente, presenta ben altro registro.
2) Mi ero ripromessa di farla pagare a Mulciber e Avery in questo capitolo, ma alla fine ho deciso di svilupparlo in modo diverso dai piani iniziali e quindi la vendetta verrà servita fredda al cap. 19
3) Per chi non avesse letto L'Assistente, il Patronus di Bastian è un australianissimo ornitorinco perché il ragazzo è da (quasi) sempre innamorato di Alicia Spinnet. La quale, peraltro, possiede un adorabile ornitorinco domestico, Uluru.
4) Credo che la coppia di Armadi sia stata disattivata dopo la morte di Silente, ma qui mi servivano funzionanti. Piccola licenza.

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Capitolo 19
*** Conti resi ad alto Tasso di interessi. ***


19. Conti resi ad alto Tasso di interessi.
 
Leanne gli rivolse uno sguardo sbalordito.
- Non... non stai parlando sul serio, vero?...
Graham continuava a fissare l'antico mobile; immerso nell'ombra, il legno schuro, gli intagli profondi, le cerniere e le borchie ossidate dal tempo. Non sembrava un semplice Armadio, quanto più un minaccioso strumento di tortura medievale.
- È l'unico modo. Lumos!
Risoluto, il ragazzo mosse alcuni passi e si avvicinò. Alla luce della bacchetta, gli intagli che decoravano il cornicione dell'Armadio Svanitore risultarono ancor più sinistri. Erano stati sbozzati in modo violento; sembravano ferite.
- Malfoy se ne è servito per fare entrare i Mangiamorte ad Hogwarts l'anno scorso - disse infine Graham a Leanne, Alicia e Bastian che, nel frattempo, l'avevano raggiunto. Da fuori, i colpi degli assalitori che tentavano di stanarli si susseguivano senza sosta. L'interno del negozio di Sinister, però, sembrava avvolto in una bolla. La situazione era assolutamente surreale.
- Ma per farlo funzionare ce ne vuole un altro - osservò Bastian che, avendo trascorso l'infanzia nella casa di Walden Macnair, aveva avuto modo di imbattersi in più di un oggetto di Magia Oscura.
- Il suo gemello si trova ad Hogwarts - replicò Leanne, che stentava a capacitarsi della decisione di Graham. - Ham vi è rimasto intrappolato per settimane durante il suo settimo anno.
- Me lo ricordo - disse Bastian che, proprio quell'anno, vi aveva lavorato come Assistente del professor Piton. - Ma non sapevo che l'altro Armadio Svanitore si trovasse ancora a scuola.
- È solo una supposizione - ribattè Graham, guardandolo in tralice. - Mi auguro soltanto che si riveli esatta.
Con un gesto deciso tese la mano, afferrò la maniglia di ferro battuto a forma di salamandra e la tirò verso di sé. L'anta si aprì cigolando. Dentro, buio completo. Graham cominciò a sudare freddo.
- Non sarebbe meglio - propose Alicia, che aveva notato l'irrequietezza del Serpeverde - che vada avanti io?
- No. - la voce di Graham tremava leggermente. - Ci vuole qualcuno che apra la porta dall'altra parte; e noi non sappiamo se ci sarà, effettivamente, qualcuno di là.
- E quindi, come farai ad uscire? - gli chiese lei, scettica.
- Come l'altra volta, Aussie - rispose Leanne al suo posto. - Graham si smaterializzerà fuori dall'armadio e poi aprirà la porta anche a noi.
- Ma non ci si può smaterializzare dentro Hogwarts!...
- Non noi, forse - disse Leanne, e qui rivolse a Graham un sorriso ed un'occhiata di incoraggiamento - ma il baldo Montague ce la fa, ve l'assicuro.
 
Graham deglutì e respirò fondo quando l'anta dell'Armadio Svanitore si chiuse dietro di lui.
Annidati nell'oscurità, i suoi terrori più reconditi gli facevano la posta; lui però tenne duro, ripetendo fra sé e sé le parole del suo istruttore del corso di Spezzaincantesimi, che aveva insegnato loro a concentrarsi sui loro reali obiettivi.
Aveva paura?
Eccome.
Il trauma infertogli dall'esperienza vissuta due anni prima era ancora vivo dentro di lui; da allora, aveva spesso sofferto di claustrofobia e aveva sviluppato una certa avversione nei confronti del buio. Ma doveva tentare; doveva farcela. Lui, Leanne e i compagni dovevano trovare il modo di lasciare Magie Sinister e di raggiungere Hogwarts.
Nonostante l'oscurità che gli impediva di distinguere alcunché, Graham percepì improvvisamente un cambiamento intorno a lui. Qualcosa era mutato: la temperatura dell'aria, l'umidità, l'aroma del legno. 
Il ragazzo capì di trovarsi all'interno dell'armadio gemello. Tentò quindi di spingere l'anta ma quella, come previsto, non si apriva. Graham dovette fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per non farsi prendere da una crisi di panico. 
- Respira, vecchio mio. Respira.
Qualche secondo dopo, tentò la smaterializzazione. Con sua somma gioia, la manovra gli riuscì: estremamente soddisfatto, afferrò quindi la maniglia dell'Armadio gemello dall'esterno, riuscendo finalmente ad aprire l'anta del mobile.
Un vociare concitato alle sue spalle gli fece girare di scatto la testa.
Un gruppetto di studenti abbigliati con le divise delle Case di Hogwarts lo guardava a bocca aperta.
- Che mi venga un colpo - esclamò un ragazzo Grifondoro dai capelli paglierini, che Graham riconobbe come Simon Finnegunn (o qualcosa di simile) - se quello non è quella bestiaccia di Kain Montague!...
 
La Stanza delle Necessità cominciava ad affollarsi; mentre Graham faceva entrare Leanne, Alicia e Bastian attraverso l'Armadio Svanitore, altre persone (membri dell'Ordine della Fenice, abitanti di Hogsmeade ed ex studenti) continuavano ad arrivare.
Leanne conservò sempre ricordi molto confusi di quello che accadde in seguito.
L'arrivo di Harry, Ron e Hermione, la cacciata dei Carrow, l'esposione della Battaglia.
Insieme ai compagni corse fuori da quel locale sicuro, pronta a battersi con tutto il coraggio e la determinazione di cui disponeva. Perché no: un mondo in mano al Signore Oscuro e ai suoi seguaci non era proponibile, non era vivibile. Non era abitabile; tutto era auspicabile, tranne quello.
Fra i frammenti di ricordo di quelle ore forsennate, alcune scene si fissarono in modo indelebile nella sua mente.
Gli assalitori che facevano breccia nella cupola fatata che proteggeva il castello; le urla e le esplosioni, l'aroma proriginoso della polvere pirica e quello pastoso del sangue. 
Carbry Bell e Morag McDougall, affiancati da Madama Chips e da un gruppetto di volontari biancovestiti, si occupavano dei feriti, sempre più numerosi con il passare dei minuti.
I più bravi giocatori di Quidditch (Roger Davies, Angelina, Katie, Oliver e Alicia, insieme a molti altri) saettavano sulle Comet della scuola, bersagliando dall'altro i nemici dai neri mantelli.
Graham, puntando il piede davanti a sé, scagliava incantesimi di potenza inaudita; carico com'era, riusciva ad ingigantire le sue fatture offensive, facendo volare via maschere e gente.
- Ma guarda un po' chi si vede.
Una voce sprezzante alle sue spalle l'aveva fatta raggelare. Leanne si era voltata di scatto, la bacchetta puntata nella mano tremante. Ma Aidan Avery non aveva avuto il tempo di avvicinarlesi, che uno Schiantesimo gli aveva fatto il pelo, andando a riaprire la ferita sulla guancia inflittagli da Greta mesi prima.
Sebastian Macnair gli si era gettato addosso, ingaggiando con lui una lotta senza esclusione di colpi. I due duellavano ad una velocità tale che Leanne non riusciva a seguirli. Fra una fattura e l'altra si insultavano sibilando come serpenti all'attacco: si vedeva che lo scontro si sarebbe concluso soltanto con la morte di uno dei due.
Macnair si trovava in leggero vantaggio perché, a differenza di Avery, era freddo, determinato e mosso da un rancore troppo profondo e incontenibile; nel giro di qualche minuto, probabilmente, una delle sue maledizioni avrebbe infine centrato l'avversario. Se non che in quel mentre, proprio accanto a loro, Walden Macnair era riuscito a far cadere Alicia Spinnet dalla scopa e l'aveva attaccata con una delle sue mannaie, ferendola al braccio.
- Aussie!
- Expelliarmus!
Bastian si era distratto e Avery lo aveva disarmato, facendolo ruzzolare a terra. Il ragazzo si era trovato inerme, in balia dell'altro, che lo guardava con malevolo disprezzo. Leanne era scattata in avanti, cercando di attirare l'attenzione su di sé. Ma prima di avere il tempo di affrontare le sue paure, materializzate nel ghigno cupo del mago oscuro, una nuova voce s'era imposta sul chiasso.
- Razza di vigliacco.
Leanne si era girata e, sommamente sopresa, si era trovata a fianco di Eean Avery. Suo fratello, che lo aveva creduto morto, l'aveva dapprima guardato stupito, ma si era ripreso subito.
- Oh, che sorpresa. Che Salazar mi fulmini se questo non è quel mollaccione di un Tassorosso di mio fratello, la vergogna di famiglia!
Eean gli aveva riso in faccia.
- La vera vergogna la provo io, nel dovermi sentir chiamare "fratello" da uno come te.
Aidan aveva sogghignato, provocatorio.
- Ah sì? - aveva sibilato, sollevando lentamente il braccio. - E io che mi facevo scrupoli. Se lo avessi saputo prima, mi sarei dato da fare con tua moglie...
E poi, fulmineo:
- Avada Kedavra!
- Magma Toscae!
Un fiotto di luce densa come lava, gialla e pulsante, era scaturita dalla bacchetta di Eean e aveva colpito in pieno petto il fratello, cristallizzando sul suo viso il suo ghigno odioso. Per un istante, giusto un secondo prima di centrare l'obiettivo, la materia amorfa del Magma di Tosca aveva assunto la forma di un Tasso, che si era avventato su Aidan con gli unghioni sguainati, per poi liquefarsi nuovamente e inglobarlo.
Eean si era avvicinato ansando.
- Piccolo dettaglio. Mia figlia non porterà mai il nostro cognome maledetto. È lei che non merita una vergogna come questa.
Il mago oscuro era divenuto rigido come pietra e non potè reagire; un istante dopo, una maledizione scagliata inavvertitamente da uno dei suoi compari lo aveva raggiunto, mandandolo in frantumi.
- Siamo pari, Eean - lo aveva ringraziato Bastian mentre Leanne lo aiutava a rialzarsi, per poi correre verso Alicia, il cui avambraccio (lo stesso colpito dalla necrosi magica neanche due settimane prima) sanguinava abbondantemente. Walden Macnair aveva visto in lei il principale motivo di diserzione del nipote, che lui aveva cresciuto nei solidi principi Riddleiani; voleva fargliela pagare per aver traviato Bastian. 
E forse sarebbe anche riuscito ad eliminarla se non fosse stato per Hagrid, che aveva col boia un vecchio conto in sospeso dotato di ali, occhi gialli ed unghioni chiamato Fierobecco. Il Mezzogigante gli si era quindi fatto sotto agitando il suo ombrello rosa, per poi assestargli una ginocchiata che lo aveva spedito ad astra, con esiti fatali.
E mentre intorno a lei la Battaglia infuriava, vite erano mietute e lacrime erano versate, Leanne lo aveva visto.
Immobile dall'altra parte della balconata, vestito di nero, la sacca coi ferri per la Marchiatura appesa alla schiena, Ares Mulciber guardava la giovane strega con la mollettina di mithril, un'espressione terribile dipinta sul volto.
Leanne aveva indietreggiato di un passo, orripilata. Nel giro di un secondo, però, lui l'aveva raggiunta, lasciandosi alle spalle uno sbuffo di fumo nero.
- I-impedimenta! - la voce le era uscita in un rantolo dalla gola; la fattura, troppo debole, non era andata a segno.
Petrificus Totalus.
Con un movimento ascensionale della bacchetta, l'aveva sollevata da terra, facendola levitare a mezz'aria. La scrutava, ora, con espressione che non prometteva nulla di buono.
- Sei uguale a lei - le aveva detto infine, facendola rabbrividire.
- Non... non... - Leanne boccheggiava, tentando invano di liberarsi. Aveva l'impressione che due mani invisibili le serrassero la gola, soffocandola.
- E perché - le aveva chiesto lui - non dovrei?
E dal modo in cui aveva posto la domanda, la ragazza aveva capito. Ares Mulciber aveva ammazzato Mary Macdonald a sangue freddo, e avrebbe fatto lo stesso con lei. La luce insana che brillava in fondo ai suoi occhi glielo rivelava chiaramente: quell'uomo era completamente pazzo, irrimediabilmente assuefatto alla magia oscura. Sul suo capo, la piccola fenice scintillava di un azzurro disperato.
- Darei qualsiasi cosa - gli aveva gridato allora, la voce rotta dal pianto - pur di non essere tua figlia!...
Leanne sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi; Ares Mulciber, però, le aveva rivolto un'occhiata di incredula ironia.
- Tuo padre, io? - aveva ringhiato, stringendo la presa sulla bacchetta. - Quella puttana di tua madre non mi ha mai permesso di sfiorarla neppure con un dito. A quanto pare, però, con gli altri si dava da fare.
- Leanne!
L'urlo di Graham era echeggiato poco lontano, sovrapponendosi al frastuono. Il ragazzo correva nella loro direzione; sembrava fuori di sé.
- Non permetterti di toccarla! Avada Kedavra!
Protego!
Il controincantesimo di Mulciber lo aveva colpito di rimbalzo, facendolo rotolare a terra.
- Graham!
- Un Serpeverde purosangue pronto ad uccidere per te... - l'aveva schernita Mulciber, sprezzante. - Chissà cosa gli devi avere fatto per ridurlo così. Sei proprio della schiatta di tua madre.
Con un gesto secco della bacchetta, l'uomo aveva intensificato la stretta sul collo di Leanne.
- Ed ora a noi, creatura indegna.
Leanne aveva stretto le palpebre, preparandosi all'impatto; quand'ecco, qualcuno era intervenuto e l'aveva salvata:
Stupeficium!
Colto di sorpresa, Ares Mulciber aveva perso l'equilibrio; aveva annaspato per qualche secondo nell'aria, e poi era precipitato dalla balconata. E schiantandosi al suolo era morto in modo atroce, fatalmente trafitto dai ferri che tanto gli stavano a cuore.
Leanne aveva aperto gli occhi, un po' incredula, per mettere a fuoco il suo salvatore.
- Stai... stai bene?
In piedi davanti a lei c'era un mago di mezza età alto e biondo, vestito di giallo e di nero. Cucita sul suo petto c'era una Fenice scintillante: si trattava, evidentemente, di un membro dell'Ordine.
- Sì - rispose Leanne, alzando il capo.
Quando le iridi della ragazza avevano incontrato quelle altrettanto castane dell'uomo, sul viso di questi si era dipinto un genuino stupore.
- Tu... 
Un'esplosione seguita da grida aveva però richiamato la sua attenzione. Il mago aveva aiutato Leanne a rialzarsi ed era corso via, non prima di urlarle un:
- Riguardati!...
Leanne non lo aveva più rivisto.
 
 E la Battaglia era continuata, e alla fine era terminata, con una vittoria resa amara da un immenso carico di dolore.
"Non si vince mai del tutto" pensò tristemente Leanne, il capo posato sulla spalla di Graham, che sonnecchiava accanto a lei. All'esterno della casa di pietra, le onde giocavano a rimpiattino con i faraglioni; il silenzio delle Orkneyjar era cullato dai suoni del vento e del mare.
Al termine del conflitto, i due ragazzi erano subito tornati al Nord insieme agli altri, in cerca di pace.
Bastian Macnair era stato invece trattenuto dagli Auror del Ministero e avrebbe risposto a processo presso la Corte del Wizengamot.
Alicia, Leanne, Graham e mezza Radio Potter gli si erano stretti intorno per impedire la sua cattura, ma gli ordini erano ordini. Sul suo avambraccio, il Marchio Nero che gli era stato imposto con la forza costituiva una mezza ammissione di colpa.
"Chissà com'è incazzato, MacSplendid, ad Azkaban" si disse Leanne, un pochino risollevata dal pensiero che comunque, i Dissennatori, non vi lavoravano più come carcerieri. Ben presto, comunque, i processi per reati di guerra sarebbero cominciati; visto il suo impegno in qualità di infiltrato, Bastian sarebbe stato sicuramente scagionato.
Leanne sentì che Graham si muoveva contro di lei.
- Non dormi, Ham?
- No.
Il ragazzo si tirò su a sedere.
- Senti, Leanne.
- Dimmi.
- Quel Mulciber... ha affermato di non essere tuo padre, vero?
Lei sbuffò fuori l'aria.
- No. E per fortuna, dico io.
- Sì, certo - convenne subito lui. - Ma il dubbio resta.
- Già.
Graham rimase in silenzio per qualche minuto, per poi riprendere la parola.
- Quando mi hai raccontato la tua storia - cominciò, procedendo adagio - ricordo che mi avevi detto che tua madre e la sua amica ti avevano affidato ad una suora anziana...
- Sì: Madre Gertrude.
- Esatto. E che questa suora, quando tu eri ancora piccola, si era poi ritirata in clausura.
- Giusto.
- Ecco, mi chiedevo: non sarebbe forse il caso di farle una visita?
Leanne lo guardò, un po' spiazzata.
- Oh, ma sinceramente... insomma, era già molto anziana a quei tempi; non credo sia... ancora viva, ecco.
Graham però, da gran testardo qual era, insistette.
- Ma potrebbe essere viva, no?
- Oh, beh. Suppongo di sì.
- Sai dove si trova il convento di clausura?
- Sì - annuì lei - è a Kensington. All'orfanatrofio ce ne hanno parlato tante volte.
- E se - propose Graham, stringendole i polsi sottili fra le grosse mani - ci facessimo un salto domani?

E fu così che il giorno dopo i due ragazzi si smaterializzarono fuori dal convento di Kensington; bussarono alla porta e chiesero di parlare con Madre Gertrude.
- Madre Gertrude sta bene - riferì loro una suora i cui occhi severi e un po' acquosi facevano capolino attraverso lo spioncino. - Questo, però, è un convento di clausura. Ergo, non si ammettono visite. Buongiorno.
E, richiuso di scatto lo sportellino, li lasciò con un palmo di naso.
- Hai capito... - grugnì Graham, contrariato.
- A mali estremi... - suggerì Leanne, che ormai aveva abbracciato l'idea. E, preso per mano il ragazzo, si smaterializzò con lui all'interno del convento.
Sulle porte delle celle erano affisse piccole insegne che recavano i nomi delle occupanti.
Quando si affacciarono alla stanzetta di Madre Gertrude, la vecchia suora non dimostrò alcun tipo di sorpresa nel vederli; sembrava, anzi, che li stesse aspettando.
Ascoltò con pazienza la loro storia, fermandoli spesso per elargire carezze a Leanne, alla quale continuava a ripetere "Come sei cresciuta!..."; poi, al termine del loro racconto, si lisciò le pieghe dell'abito scuro e disse.
- Dorcas Meadowes (questo era il nome dell'amica di tua madre) mi conosceva perché la sua famiglia e la mia erano in buoni rapporti. Nell'imminenza della tua nascita, Dorcas rispolverò il legame con la sua vecchia amica Maganò, che sarei io.
Leanne e Graham la guardavano affascinati.
- Purtroppo non mi rivelarono mai l'identità di tuo padre; tuttavia, nell'affidarti a me, Mary mi consegnò alcuni oggetti legati alle tue origini. Il primo è la piccola fenice che tu, vedo, usi come mollettina per i capelli. Poi: la copertina in cui eri avvolta e che, purtroppo, è andata persa. E infine... questa. Che, presumibilmente, apparteneva a tuo padre, dato che Mary era una Grifondoro.
Madre Gertrude frugò rapidamente nel cassetto del suo comodino e ne estrasse un piccolo oggetto luccicante.
Era una spilletta gialla e nera, con al centro un Tasso argentato in leggero rilievo.
Dietro, incise nel metallo, due lettere - probabilmente, due iniziali: S. P.

S. P.
La professoressa McGranitt, seduta alla scrivania nel suo ufficio di Preside, guardò prima Leanne e poi Graham, sforzandosi di ricordare.
- Ragazzi miei, per quanto ciò che sto pensando abbia dell'incredibile - disse poi, sinceramente meravigliata - credo che le variabili del caso siano estremamente ridotte. Spillette come queste erano consegnate ai Prefetti negli anni '70; ve lo posso dire con certezza assoluta perché, in seguito, ne vennero fabbricate altre con modelli leggermente diversi.
- Stiamo quindi cercando un Prefetto del Tassorosso che ha frequentato la scuola in quegli anni? - indagò Graham, curiosissimo.
- Sì, signor Montague. E vi dico di più. Credo anche di sapere di chi si tratta.
Quando Leanne gli strinse la mano, Graham si accorse che quella di lei era leggermente sudata. Le restituì il gesto, accompagnandolo con un'occhiata rassicurante con cui le diceva:
"Sono con te. Come sempre".
- Ed era... era una brava persona?... - domandò la ragazza, con un filo di voce.
- Era ed è un'ottima persona, Leanne. Sturgis Podmore, per quanto ne so, è vivo e vegeto, perdinci!

Alcune cosette:
1) Battaglia di Hogwarts ridotta all'osso e meramente legata alla vicenda dei nostri protagonisti, lo so. Mi è parso inutile (e, peraltro, neppure me la sentivo), in questo contesto, raccontarla per l'ennesima volta per filo e per segno; spero vada bene lo stesso.
2) Mi sono messa in testa che Mulciber è il marchiatore ufficiale dei Mangiamorte; per questo, porta(va) sempre con sé i suoi maledetti ferri.
3) Come avrete capito, il grosso del capitolo era già pronto da tempo. E ormai ci siamo. Ci siamo. Ci siamo. La storia è praticamente conclusa, tutti i tasselli si sono (apparentemente) incastrati. Manca solo l'epilogo... e poi Adho, per un po', entrerà in Reader Mode. 

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Capitolo 20
*** Epilogo. ***


20. Epilogo.

- ...e la conclusione di questa storia, la mia storia, è simile a quella di tanti altri. Non ho mai conosciuto mia madre, il cui impegno e coraggio ho ricostruito a poco a poco grazie ai frammenti di ricordo di coloro che l'hanno conosciuta. Mary Macdonald è scomparsa nel nulla, probabilmente dopo essere stata uccisa a sangue freddo da Ares Mulciber. E per poter riabbracciare mio padre, mi ci sono voluti quasi vent'anni.
Leanne fece una pausa, lasciando vagare lo sguardo sulla platea. L'auditorium del Grand Hotel Georgiano era gremito quella mattina; molta gente, che non aveva trovato posto, sedeva ai piedi del palco, o stava in piedi ai lati della sala, con la schiena appoggiata alle pareti.
Un movimento discreto alla sua sinistra richiamò la sua attenzione: il signor Hollein la informava che Tim e Madama Esmeralda erano pronti.
- Durante la Prima Guerra Magica numerose famiglie furono brutalmente separate. Alcuni riuscirono ad espatriare e si salvarono; altri, meno fortunati, vennero catturati. Alcuni, per proteggere i loro figli, accettarono di lasciarli nelle mani di amici e conoscenti o, come nel mio caso, a strutture babbane. In altri casi, forse ancor più gravi, i figli di Purosangue dissidenti vennero strappati ai genitori ed affidati a famiglie tradizionali simpatizzanti di Lord Voldemort. Questi bambini crebbero ignari delle loro origini e, spesso, vennero loro inculcati ideali che le loro mamme e i loro papà aborrivano. È il caso del qui presente Timothy (Tim) Vaisey, nato Lloyd Cornfoot.
Un brusio eccitato percorse la folla.
- Nell'agosto 1979 - continuò Leanne, soffiando fuori l'aria - Vania e Robert Cornfoot furono uccisi da un manipolo di Mangiamorte. Lloyd si trovava con loro: aveva solo pochi mesi. Visto che gli ordini erano di non sprecare neanche una goccia di sangue magico, i Mangiamorte non lo uccisero; tuttavia, lo prelevarono e lo affidarono alla famiglia Vaisey, che lo chiamò Timothy e lo allevò assieme ai propri figli.
Leanne strinse le labbra e scrutò la platea. Seduti in seconda fila Greta e Eean, con Plin addormentata sulle ginocchia, le rivolsero un sorriso incoraggiante. Dietro di loro Amy McLaggen, il labbro tremulo per l'emozione, stringeva le mani del marito e di Cormac, seduti accanto a lei. Cormac, a sua volta, teneva l'altra mano sul ginocchio di Eloise, accomodata alla sua destra.
Un nuovo movimento fra le tende di velluto che fiancheggiavano il palco indusse Leanne a proseguire. Graham, impaziente, le faceva segno di continuare. Lei gli rivolse un sorriso tirato e si schiarì la voce.
- Nonna Esmeralda, la madre di Vania, non smise mai di cercarlo. Purtroppo, però, tutta una serie di ostacoli oggettivi le impedì di rintracciare il nipote. Fino ad oggi.
Il silenzio calò sull'auditorioum. La platea pendeva dalle labbra di Leanne.
- Da qualche anno la nostra associazione (la Fondazione Mary Macdonald per il Recupero degli Orfani Magici) si impegna nel rintracciare i bambini separati dalle loro famiglie d'origine per favorire il loro ricongiungimento con esse. Ed è con immenso orgoglio che, oggi, abbiamo il piacere di riconsegnare il Nipote n°1 alla sua legittima nonna; ed altri ne seguiranno, ve lo prometto. Timothy (o meglio, Lloyd), Esmeralda; venite avanti, vi prego.
Le tende di velluto si mossero.
Un giovane dai capelli scuri e mossi, vestito di verde, avanzò sul palco, accompagnato da un'anziana strega vestita di blu notte. I due si tenevano per mani e avevano gli occhi rossi, evidentemente per il pianto commosso che aveva preceduto il loro ingresso.
Leanne sorrise e trattenne a stento le lacrime quando si accorse che, in piedi sul fondo dell'auditorium, una figura alta e bionda guardava verso di lei con gli occhi lucidi di commozione e d'orgoglio.
Sturgis Podmore.
Suo padre.

Lauburnum Garden n°2, Clapham.
Sturgis Podmore risiedeva da anni allo stesso indirizzo: Graham e Leanne vi si precipitarono immediatamente, al termine del colloquio rivelatore tenuto con la professoressa McGranitt.
Un po' affannati, si materializzarono sulla soglia di una casetta di mattoni a due piani, con gli infissi dipinti di giallo e i davanzali ingentiliti da gerani rossi. La porta era preceduta da un vialetto di ciottoli scuri e da paio di gradini rivestiti di ardesia nera.
Quando Leanne gli rivolse uno sguardo indeciso, Graham le strinse la mano per esortarla a procedere. E così la ragazza, facendosi forza, salì i gradini e suonò alla porta.
Dopo qualche istante, una figura alta e ben piantata si affacciò alla porta.
Leanne guardò a bocca aperta il mago in piedi davanti a lei: l'espressione stupita, la testa bionda leggermente spettinata, gli occhi castani dallo sguardo affabile, così simili ai suoi. Era lo stesso mago che era provvidenzialmente intervenuto durante la Battaglia di Hogwarts per salvarla dalle grinfie di Mulciber.
- Signor Podmore? - chiese Graham, visto che nessuno dei due spiccicava parola. - Mi chiamo Graham Montague. E questa è... ehm... Leanne. Potremmo... ehm... entrare un attimo, per cortesia?
L'uomo parve riscuotersi tanto quanto bastava per farsi da parte e rivolgere loro un timido cenno d'assenso.
- Scusatemi - disse infine, dopo averli fatti accomodare su un divanetto giallo. Lui sedette a sua volta su una poltrona nera, alle spalle della quale era appeso un enorme quadro che ritraeva un uomo rubizzo a cavallo, sotto al quale una targhetta dorata recitava: "Sir Patrick Delaney-Podmore" - Nelle ultime settimane, ho avuto modo di pensare molto ad una giovane sconosciuta che ho incontrato per caso durante i combattimenti... ma non sapevo come ritrovarla. E il fatto di vedermela rispuntare qui, inaspettatamente, sulla soglia di casa mia, è assolutamente sorprendente.
I due ragazzi lo fissavano in silenzio.
- Il fatto è - proseguì l'uomo, carezzando vigorosamente un gatto nero che gli era saltato in grembo - che lei, signorina Leanne, somiglia in modo impressionante a... a...
- A Mary. Mary Macdonald - continuò Leanne, con un filo di voce. - Mia... mia madre.
Lo sguardo che lui le rivolse non avrebbe potuto essere più sorpreso.
- Mary... una figlia? - domandò balbettando. - Qua-quanti anni...? - le chiese poi.
- Ho diciannove anni e due mesi - rispose lei, ricacciando indietro le lacrime. Poi, dopo aver frugato nella tasca, la ragazza estrasse la spilletta gialla e nera col Tasso argentato. - E questa... apparteneva a mio padre. La... la riconosce?...
Sturgis Podmore tese la mano e prese con immensa delicatezza la sua vecchia spilletta di Prefetto, per poi stringerla fra le dita. Calde lacrime rigarono il suo viso mentre l'uomo accarezzava col polpastrello la superficie smaltata del piccolo oggetto luccicante.
Mary Macdonald, raccontò loro quando tutti e tre si furono un po' calmati, era stato il grande amore della sua vita. Se n'era innamorato subito, fin dai tempi della scuola, quando l'aveva salvata dall'aggressione di Ares Mulciber con l'aiuto del suo amico Benji Fenwick. Una volta diplomati, si erano rivisti alle riunioni dell'Ordine e, dopo qualche tempo, Mary aveva cominciato a ricambiare i suoi sentimenti.
- Quando le fu affidata quella missione sciagurata - spiegò a Graham e Leanne, che lo ascoltavano senza muovere un muscolo - stavamo insieme da circa un anno. E io non sapevo... nessuno sapeva che tu... che tu già esistevi, Leanne. Altrimenti non le avremmo mai permesso...
Sturgis sbuffò, incapace di proseguire.
- Cosa successe - domandò allora Graham, con molto tatto (cosa del tutto inusuale in lui) - al termine della missione?
- Mary ci mandò il suo Patronus chiedendo aiuto, perché Mulciber le aveva portato via la bacchetta. Accorremmo subito il suo soccorso, ma Castel Lestrange rigurgitava Mangiamorte. Ci attaccarono con ferocia; Benji, il mio migliore amico, fu barbaramente ucciso. Io stesso fui gravemente ferito, ma riuscii a fuggire, salvo poi rimanere in bilico fra la vita e la morte per diversi mesi. Fui provvidenzialmente accolto e curato da una famiglia di conoscenti in quel di Cork. Una volta ristabilito, mi misi subito alla ricerca di Mary, ma non seppi mai più nulla di lei.
Leanne sospirò.
- Non sapremo mai che cosa le sia accaduto di preciso - mormorò, tendendo la mano per afferrare la tazza di tè ormai freddo che Sturgis aveva preparato per loro. - Ma mia madre riuscì a salvarmi la vita, ed ora...
Non riuscì a terminare la frase; aveva l'impressione che il cuore le sarebbe esploso nel petto per la troppa emozione.


La brezza del mare le scompigliava i capelli.
Graham aveva proprio ragione: il colore dell'acqua era meraviglioso. Verde e trasparente come cristallo di Murano. Le Grenadine erano davvero un luogo paradisiaco.
Leanne, i gomiti appoggiati alla balaustra di legno della veranda ariosa, osservava Greta, Eean e Plin che si rincorrevano sulla rena bianca e soffice come farina.
Poco più in lá, seduti in veranda su comode poltrone di vimini, i signori Montague chiacchieravano concitati.
- Penny è ogni giorno più carina - cinguettava incessantemente la signora Montague.
- Si chiama Polly, cara. Polly - rispondeva suo marito fra una boccata e l'altra.
- Ma non la smettono mai? - chiese Sturgis, intento a girare la cannuccia nel suo bicchiete ricolmo di un drink coloratissimo. La ragazza gli sorrise.
- Eh no... Ormai devi essertene accorto anche tu, Stuart, o meglio Sonny. O meglio: papà.
Un raggio di sole equatoriale colpì la fede d'oro che portava al dito facendola brillare; il riflesso le ferì gli occhi, tanto che lei fu costretta a socchiuderli.
Leanne guardò l'orologio da polso.
Graham doveva essere in arrivo, ormai. E difatti, dopo pochi sencondi, un sonoro crack echeggiò nel silenzio afoso della Casa Coloniale.
- È arrivato!
Leanne strinse affettuosamente il polso di suo padre e corse dentro. Graham si era appena materializzato accanto a un mobile scuro di forma triangolare.
- Tua zia ti manda un regalo! - esordì il ragazzo, a mo' di saluto. E così detto, porse a Leanne un grosso pacco. Lei lo fece levitare fino al grande tavolo da pranzo e gli si avvicinò per abbracciarlo.
- Come sono andate le bonifiche?
- Oh, benone - rispose lui accendendosi una Hermes, che lei spense all'istante, lasciandolo leggermente contrariato. - Siamo riusciti a restaurare anche quello rinvenuto nel galeone affondato vicino a Noumea e a metterlo in rete.
- Che meraviglia! - esclamò Leanne, tutta allegra. - Quindi ora ne abbiamo quattro!...
- Esatto: Grenadine, Londra, Shetland e Nuova Caledonia. Bastian ha detto che ci pensa lui alla manutenzione; sta mettendo a punto una pozione antiruggine e antitarlo che promette risultati portentosi.
Leanne carezzò con la mano la superficie liscia dell'Armadio Svanitore, grattando via con l'unghia una piccola imperfezione del legno. Erano accadute tante cose da quando Graham si era smaterializzato fuori dall'esemplare un tempo custodito ad Hogwarts (ed ora posato davanti ai suoi occhi) e le era praticamente caduto addosso.
Si era trattato di un evento a dir poco prodigioso e sorprendente; di sicuro, uno dei più bei regali che avesse ricevuto in vita sua.
- E qui, tutto bene?
Leanne gli sorrise.
- Oh, sì. Siamo sulla buona strada per rintracciare l'Orfano Magico n°6.
- Fantastico. E che altro?
Graham, in piedi davanti a lei, la osservava con un'espressione indefinibile; come se, in qualche modo, fiutasse l'aria di novità. Le venne da ridere. Ormai si conoscevano troppo bene: era praticamente impossibile nascondergli qualcosa.
- Stavo pensando alle prodigiose sorprese della vita.
- Sorprese?
- Eeeeh sì. Ed io ne ho una bella grossa per te, caro mio!

Alcune cosette:
1) Vaisey (il nome Timothy l'ho inventato io) è uno studente del Serpeverde citato dalla Rowling. Anche la famiglia Cornfoot è citata nella Saga ed è legata alla Casa del Corvonero.
2) La questione della restituzione degli Orfani Magici mi è stata ispirata dalle Associazioni Madres de Plaza de Mayo e Abuelas de Plaza de Mayo, che lottano per il ricongiungimento dei bambini sottratti durante la dittatura militare argentina con le loro legittime famiglie.
3) L'indirizzo di Sturgis Podmore compare nella Saga quando un trafiletto di giornale dice che Sturgis è stato condannato a sei mesi di reclusione ad Azkaban per tentata invasione al Ministero (noi sappiamo che Lucius Malfoy lo aveva sottoposto a Maledizione Imperius). Il fantasma di Sir Patrick Delaney-Podmore è uno dei partecipanti alla caccia dei Senza Testa; lo vediamo prendersi gioco del povero Nick-Quasi-Senza-Testa.
4) Il 2018 è stato un anno sorprendentemente florido in termini di scrittura; pensandoci bene, non so neanch'io da dove siano scaturite tante idee tutte concentrate in un arco di tempo tutto sommato breve. La conclusione di questa storia sancisce una sorta di chiusura di un ciclo, al quale forse ne seguiranno altri, o forse no. Una cosa, comunque, è certa: senza l'appoggio e l'incentivo di tutti coloro che si sono presi la briga di seguire queste storie, esse difficilmente avrebbero visto la luce. Ho riflettuto a lungo su come rivolgere i sentitissimi ringraziamenti che sento di dovere a chi ha letto, commentato, partecipato; so che, forse, il modo più corretto sarebbe quello di ringraziarvi personalmente, nome per nome, uno per uno. Ma credo che oramai mi conosciate: ho un grande blocco nei confronti delle manifestazioni pubbliche, per cui non vogliatemene se, il mio sentimento di gratitudine, ve lo esprimerò in privato. Non è per questo motivo inferiore a quello di tanti altri, ve l'assicuro.
Grazie, quindi, di cuore: a chi ha letto, a chi sta ancora leggendo, a chi ricorda e preferisce e soprattutto a chi è stato con me fin proprio alla fine.
Grazie!
Ed ora, come diceva la nonna:
Stretta è la foglia, larga è la via, dite la vostra che ho detto la mia
A presto!
AdhoMu, ottobre 2018

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