Embracing Redemption

di Tota22
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


1.






Quel giorno il cielo scuro e minaccioso aveva quasi cancellato la transizione tra dì e notte e con la complicità dell'inverno il buio era arrivato presto.
 

Le condizioni erano state perfette per l’addestramento speciale dei nuovi cavalieri.

Eragon infatti aveva organizzato una missione di ricognizione nella foresta che ricopriva il lato ovest della valle, con i suoi allievi più giovani e rigorosamente senza draghi. La missione aveva lo scopo di far sviluppare ai cavalieri capacità di adattamento e tecniche di combattimento efficaci anche senza la presenza dei loro fedeli compagni.

Spesso sarebbe loro capitato di separarsi dai draghi e senza un bestione sputafuoco, alto diversi metri e pesante tonnellate, affrontare il nemico sarebbe stato un compito per nulla semplice.

Erano partiti in sei, compresi Eragon e Blödhgarm, prima dell’alba. I novizi erano Livar il cavaliere urgali, Elandra della stirpe degli elfi, Odelia l’ultima arrivata dal regno degli uomini e Ulnir dei nani.

La foresta era insidiosa, fitta ed estesa, per questo risultava semplice perdere l’orientamento. La zona della foresta adiacente alla rocca era abitata da diverse creature, centauri e uomini foglia, popolazioni perlopiù pacifiche finché non venivano disturbate. Con alcune di esse Eragon era in ottimi rapporti, spesso contribuivano all’addestramento dei novizi d’accordo con il Cavaliere.

Diverse trappole e agguati erano stati pianificati anzitempo in modo da testare le capacità degli allievi e spingerli ad agire.

L’addestramento era andato a buon fine, nonostante la giornata tetra e gelida. Tutti non vedevano l’ora di tornare al tepore familiare offerto dalle loro stanze nella rocca, ma non prima di avere raggiunto il dente di sega, una conformazione rocciosa dalle punte frastagliate nel mezzo del bosco, tappa imprescindibile alla fine di quella missione.


 

Eragon stava per iniziare la scalata della collina quando sentì Saphira allacciare il proprio pensiero al suo e riversare un fiume di emozioni ribollenti nella sua coscienza: incredulità, eccitazione e una bruciante e sfavillante felicità.

La dragonessa non disse nulla, ma proiettò nella sua mente quello che i suoi occhi stavano vedendo: sullo sfondo dorato, arancio e rosso cupo del cielo occidentale si stagliava una figura scura. Man mano che si avvicinava diventava sempre più grande e nitida.

Era un drago dalle ali possenti, si muoveva con eleganza e forza allo stesso tempo; la luce del sole morente veniva riflessa dalle sue squame che sembravano fatte di fuoco vivo; tuttavia prestando attenzione ai riflessi si capiva che il vero colore della corazza era un bellissimo verde smeraldo.

Eragon sentì la mente di Saphira espandersi fino a toccare quella dell’altro drago, senza però riuscire a sentire la conversazione. Immediatamente dopo il contatto mentale, una vampata di fuoco verde uscì dalle fauci del drago in volo verso la valle.


 

- Firnen! Eragon è proprio lui, sono arrivati! Sono tornati da noi! -


 

Le emozioni di Saphira erano strabordanti, rintoccavano nella mente di Eragon che si mise quasi a tremare.


 

Lei era tornata da lui, alla fine.


 

- Vengo a prenderti, sali sul dente di sega! -


 

Dopo che Eragon ebbe lasciato gli allievi in compagnia di Blödhgarm e ordinato di ritirarsi il prima possibile, il viaggio di ritorno verso la rocca procedette spedito: le sensazioni che drago e cavaliere provarono erano insieme fantastiche e terrificanti. Parlarono poco, condividendo silenziosamente aspettative e paure.


 

Arrivati al castello Saphira lo lasciò davanti all’immenso portone di rovere, l’accesso principale.

La dragonessa spiccò quasi immediatamente il volo verso la torre di vedetta, dove si trovavano i nidi dei draghi, ma prima di partire scrutò il suo cavaliere con i suoi grandi occhi azzurri:


 

- Ti aspetta nella sala delle udienze, lascia alle spalle il passato e dai una possibilità al futuro. -


 

Eragon prese a camminare a passo svelto, con il cuore in tumulto, lungo il corridoio che collegava l’ingresso della rocca dei draghi alla sala delle udienze.


 

Il passaggio era stretto, ma non comunicava un senso di occlusione poiché era illuminato da enormi vetrate che affacciavano sulla valle e reso arioso dai soffitti alti puntellati da travi di legno intagliato.

La luce della luna illuminava gli arazzi appesi alla parete di ardesia; le porzioni di pietra lasciate libere dai ricchi tessuti decorativi rilucevano come pietre preziose.

 

Il Cavaliere era quasi arrivato davanti alla porta di legno scuro; i suoi occhi si muovevano febbrili, seguendo i contorni di ferro battuto e le borchie di metallo, mentre cercava il coraggio di aprire quei battenti che lo separavano dalla sua più grande debolezza, da colei che gli aveva spezzato il cuore.

Arya ed Eragon non avevano avuto più contatti dalla notte in cui, trent’anni prima, Eragon aveva confessato nuovamente, tramite uno specchio magico, il proprio amore.

Dopo cent'anni di separazione la regina degli elfi si era rifiutata nuovamente di partire, recidendo il loro legame che era rimasto vivo, nonostante la lontananza.

 

All'inizio Eragon, ferito e disilluso, convinto che la regina non provasse nulla per lui e che mai potesse essere ricambiato, non aveva voluto più alcun contatto.

Ad esclusione di rapporti diplomatici, che per la maggior parte gestivano gli altri elfi o i cavalieri, non volle mai ritentare confronto.

Con il tempo però desiderò sempre di più un segno da Arya, anche se si rifiutava di ammetterlo o cedere e inviarle un messaggio. Nessuna notizia era più giunta al suo orecchio, fino a che un mese prima degli sconcertati messaggeri dall'Alagaesia gli acomunicarono che Arya aveva abdicato in favore del suo braccio destro, Lumnarì.

Dissero anche che la regina era partita per un lungo viaggio: la destinazione, sconosciuta.

Scosso e incredulo Eragon si era convinto che sarebbe stato impossibile rivederla, fino a quel momento.

Arya aveva raggiunto la Valle dei Draghi, il nuovo angolo di mondo culla dell'Ordine dei Cavalieri.

Nella testa di Eragon turbinavano mille domande: perché si era diretta proprio lì? Era venuta per discutere faccende diplomatiche? O forse, non osava sperare, era venuta per lui?


 

Entrò nella stanza delle udienze, illuminata fiocamente dalle lampade dei nani, accostando la porta dolcemente. La stanza era piccola e intima, un grande tavolo rotondo campeggiava nel centro, circondato da sedie di diversa fattura e altezza.

Nella penombra scorse una figura, seduta su una panca di legno: un'elfa dai lunghi capelli corvini.

Porgeva le spalle alla porta, assorta nella contemplazione di un bassorilievo decorativo della Valle, scolpito nella parete di legno.

La dama vestiva abiti da viaggio di un verde bosco profondo, che esaltava l’alabastro della sua pelle; i capelli neri, adagiati sulla spalla, erano ornati da qualche filo argenteo.

Eragon riconobbe le spalle forti e sottili, la curva del collo, il profilo degli zigomi.

In quel momento il tempo sembrava essersi fermato. Eragon non osava muoversi, chiamarla o toccarle la mente, poiché temeva che fosse un'incantevole illusione.

Quante volte gli era sembrato di vederla nella foresta o scivolare tra i corridoi del castello, un fantasma nei suoi pensieri che acquisiva corporeità quando più sentiva la sua mancanza.


 

Tuttavia l'amuleto urgali appeso a un gancio alla destra della porta si mise a suonare, smosso dalla brezza che filtrava dall'uscio aperto, sul quale il cavaliere era rimasto fermo come una statua.


 

Come risvegliata dalla trance in cui era caduta, la dama si riscosse girandosi verso di lui.

I due cavalieri dei draghi si guardarono negli occhi, dopo più di cento trenta anni.

Fu un contatto doloroso e pieno di gioia nascosta. Eragon lesse negli occhi di Arya angoscia, senso di colpa, stanchezza, ma gli sembrò di percepire dalla curva delle labbra e dal guizzo degli occhi un inaspettato sentimento di speranza.

Il bellissimo viso dell'elfa non sembrava mutato dal tempo e dagli eventi. Le linee armoniose degli zigomi e del mento erano intatte, anche se per qualche ragione Eragon lesse nella sua espressione una grandissima tristezza.


 

Il cavaliere rimase però impassibile, cercando di non far passare alcuna emozione dal movimento del viso o del corpo. Era ancora titubante, insicuro della vera ragione che aveva spinto Arya fino alla Valle. Si rifiutò di nutrire false speranze: seguendo l'etichetta degli elfi prese parola per primo, chinò impercettibilmente il capo e la salutò con la formula nella antica lingua, come ci si aspetta dinnanzi a un reale.


 

- Atra esterní ono thelduin -


 

L'espressione di Arya mutò e si indurì, era rimasta colpita dal saluto freddo e distaccato. Si alzò dalla panca con un movimento fluido, numerosi passi la separavano da Eragon. Piegò a sua volta il capo, tanto che delle ciocche le scivolarono in avanti coprendole momentaneamente il viso, e rispose al saluto.

 

- Mor'ranr lífa unin hjarta onr -


 

- Un du evarínya ono varda. Arya Dröttning, non aspettavamo il tuo arrivo alla Valle dei Draghi -

 

Non appena pronunciate, Eragon desiderò di poter cancellare quelle parole che suonavano ostili, anche se non riusciva a pensare a un modo più amichevole di parlarle.

L'elfa non rispose, rimase invece immobile a fissarlo in cerca di qualcosa sul viso di lui che le ricordasse il ragazzo con cui aveva combattuto e vinto una guerra. Il ragazzo con cui aveva posto le fondamenta di un nuovo mondo. Il ragazzo con cui aveva scambiato il proprio vero nome.

 

- Suppongo che la tua visita sia dettata da urgenti questioni diplomatiche. Il fatto che la regina degli elfi si trovi dall'altra parte del mondo rispetto alla Du Wendelvarden, mi fa temere che qualcosa di preoccupante sia accaduto in Alagaësia -

 

Gli occhi di Arya scintillarono e un sorriso le increspò le labbra.

 

- Fortunatamente nulla di grave è accaduto nel vecchio mondo. Sono convinta che la notizia dell'abdicazione in favore di Lumnarì abbia preceduto il mio arrivo alla Valle. Non sono qui in veste di regina...Argetlam -

 

La distanza tra loro si stava accorciando dato che ad ogni parola Arya si avvicinava a lui, guardandolo negli occhi. Il corpo di Eragon iniziò a reagire alla vicinanza dell'elfa, elettrizzato. Non desiderava altro che il suo tocco e la morbida carezza della voce di lei nelle orecchie; ma sopra ogni altra cosa agognava il contatto tra le loro menti. Un privilegio intimo, non sapeva se gli era ancora concesso.

 

- Perché allora sei... -

 

La domanda si spense sulle labbra perché Arya era a un passo da lui.

 

- Sono qui in veste di cavaliere dei draghi; se preferisci sono soltanto una vecchia amica che torna a trovarti.

Spero tu mi permetta di restare, Eragon -


 

Il suo nome pronunciato da lei era come un balsamo, per un istante Eragon abbandonò il risentimento, la paura e la ritrosia per abbracciare quelle parole che gli davano speranza.


 

Non gli importava nulla che fosse per poco o per sempre, quali fossero le ragioni della sua visita o se ricambiasse il suo amore che mai si era spento. Tutto quello che riusciva a pensare era che si trovava lì, davanti a lui, in carne ed ossa.


 

Non accettò che il dolore di quegli anni di lontananza gli impedisse di essere ribollente di felicità. Sentì le lacrime agli occhi, abbandonò l'atteggiamento formale e porse le mani in avanti, invitando Arya a prenderle.


 

- Questa è la tua casa, Shur'tugal, sei la benvenuta e puoi restare quanto vuoi -


 

L'elfa, commossa, prese le mani di Eragon tra le sue; le congiunse e le portò alla fronte piegando il capo per non mostrare le lacrime.


 

- Grazie, Eragon -


 

Finalmente sentì nella sua coscienza la carezza della mente di lei, accompagnata dalla musica eterea e tintinnante che l'aveva sempre contraddistinta. Tra i sentimenti confusi di Arya che riusciva a percepire spiccavano innegabilmente sollievo e gioia.

 

- La tua mente è diversa, ha un nuovo suono - il sussurro di lei lo stupì per il tono ammirato e dolce. La loro conversazione mentale era onesta e pura, opposta rispetto a quella di poco prima.

 

- La tua musica invece è incantevole come sempre, Arya. -

L'elfa sollevò la testa dalle loro mani congiunte, guardandolo con una passione e un sentimento che il cavaliere non aveva mai visto prima.

- Ho sbagliato, Eragon. Me ne sono accorta solo ora di quanto ho sbagliato!

A non vivere una vita che fosse solo mia, a credere che chi mi voleva bene avrebbe capito ogni mio gesto con completa abnegazione, sacrificando la propria felicità per la mia causa. Sono stata cieca ed egoista!-

Si staccò da lui, voltandogli le spalle e prendendo il viso tra le mani, lasciandogli un enorme senso di vuoto.

 

- Ti chiedo scusa per la sofferenza che ti ho causato. Non so se potrai mai perdonarmi, ma la tua accoglienza mi rende felice e la tua confidenza mi da speranza di poter fare ammenda. -

 

Eragon in un attimo la raggiunse e, senza chiedere il permesso, l'accolse fra le sue braccia. L'elfa si irrigidì, ma poco dopo appoggiò il capo sul suo petto inspirando il profumo di lui, sapeva di resina, acciaio e sambuco; lasciò che le sue mani grandi e forti le accarezzassero i capelli e le sue labbra si posassero sulla sommità del suo capo. Lui non le rispose, non accettò le scuse né le garantì il suo perdono. Ma ciò che le offrì fu più prezioso delle parole: l'abbraccio di un amico; l'amore per lei, mai spento.






N/A
Ciao a tutti, grazie per aver letto questa prima parte, spero che vi sia piaciuta. La storia chiude la trilogia di one shots che sono magicamente diventate 4 ( la terza storia era troppo lunga), ma è in puro stile Christopher Paolini che ha aggiunto Brisingr in mezzo a sorpresa, quindi non mi sento troppo in colpa. Come sempre apprezzo moltissimo quando lasciate i vostri pensieri. A presto per la seconda parte!
Tota

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Capitolo 2
*** 2. ***


                   2.

 

Arya stava passeggiando nei giardini della Rocca quando inconsciamente si ritrovò nei pressi della Fonte; si sedette sotto le fronde spioventi dell’unico salice che lì cresceva e aspettò che la luna spuntasse da oriente per riflettersi pallida sulla superficie dell'acqua. Arya si era innamorata di quell’angolo della Valle che appunto veniva chiamato la Fonte dell’Occhio. Era una sorgente termale che sgorgava dalla profondità delle montagne attorno Valle dei Draghi, incastonandosi in un'insenatura naturale dalla forma oblunga, che ricordava quella di un occhio. Quando la luna si rifletteva sull’acqua diventava come un’iride perlacea.

Sulle sponde dello specchio erano nati arbusti bassi, decorati da inflorescenze candide, insieme ad alberi di diverse specie. In quel punto della valle le piante, godendo della
vicinanza con l'acqua e il calore, erano sempre rigogliose anche quando il clima si irrigidiva.

 

Erano passati più di sei mesi dall'arrivo di Arya nel nuovo mondo e quella sera, come molte altre precedenti, ella sedeva sotto lo stesso salice, celata al mondo esterno dai tendaggi della pianta.


L'aria era fresca e umida tanto che l'elfa rabbrividì un paio di volte. Non aveva portato con sé il mantello ed era vestita di un abito bianco piuttosto leggero, che le lasciava scoperti gli avambracci e le caviglie.

 


 

Ma non sarebbe tornata indietro per recuperare qualcosa di più caldo; il suo intento era quello di rimanere seduta e nascosta, in pace, per poter riflettere senza che gli sguardi
indagatori di Fìrnen e Saphira la mettessero sotto processo.

 


 

Nel silenzio della sera si ritrovò a pensare che ormai aveva trovato una nuova vita ed una nuova dimensione nella Valle dei Draghi.
 

All'inizio era stato strano adattarsi, non avere più la responsabilità del governo di una nazione e di un intero popolo sulle proprie spalle.
 

Qualche giorno, ancora, si sentiva persa, inutile, troppo leggera.
 

A volte l'irrequietezza la portava a passare le proprie giornate impegnata in febbrili attività. Nelle prime settimane era stato semplice trovarsi impegnata: sin da subito i suoi appartamenti privati erano stati spostati in una delle torri della Rocca, dunque quasi tutto il suo tempo era stato dedicato al “canto” della sua nuova casa.

Non era stato possibile trovare gli stessi pini della sua foresta natìa in Alagaesia, per cantare e levigare il legno che ben conosceva per ricoprire pareti, soffitti e pavimenti. Tuttavia l'elfa era riuscita ad accarezzare il legno di ginepro e a modellare la betulla maculata che costituiva gran parte della foresta della Valle, fino a renderli docili amici.
 

La torre di Arya affacciava sulla foresta da un lato e sulla Rocca dall'altro, a poche centinaia di metri in linea d'aria dalla torre del Primo Cavaliere.

La sera, prima di scivolare nel suo sonno vigile, Arya amava osservare i globi di luce pulsante e aranciata che illuminavano fiocamente le stanze di Eragon. Ogni tanto lui stesso
passava davanti alle grandi finestre, intento a leggere una pergamena
o a camminare avanti e indietro.

 

Dopo pochi mesi l’irrequietezza di Arya e il suo desiderio di impegnarsi a favore dell’Ordine avevano fatto sì che entrasse nel tessuto dell'organizzazione: dapprima l'amministrazione, poi incombenze politiche e infine era diventata un'insegnante per i nuovi
Cavalieri.

 

Arya aveva scoperto che insegnare era la cosa che amava di più. Ogni novizio aveva per lei un talento naturale e la sua missione era scovarlo ed esaltarlo. Livar era dotato di
prontezza di riflessi e un formidabile equilibrio. Odelia di una fervida fantasia e una propensione per le lingue, che la rendevano molto capace nell'inventare nuovi incantesimi. Elandra era sin troppo pacata, ma sapeva mantenere la calma in ogni situazione ed aveva una mente da stratega. Infine Ulnir era un maestro di qualsiasi arma, in brevissimo tempo era in grado di maneggiarla con sicurezza. Arya si era gettata anima e corpo in questo
nuovo compito, assieme a Fìrnen che sembrava divertirsi come non mai
al fianco di Saphira. I due draghi erano inseparabili, l'elfa era ricolma di felicità per il suo compagno.

 

Il pensiero che però le occupava maggiormente la mente era che, nonostante fosse passato ormai molto tempo dal suo arrivo, il proprio rapporto con Eragon era ancora incerto. Non poteva dire di essere vicina a lui come erano legati Saphira e Fìrnen.


Dopo l'abbraccio della prima sera infatti, non erano più stati così vicini; anzi i momenti in cui si erano sfiorati erano sempre stati accidentali e rari.

Durante le prime settimane era stato difficile fare conversazione, come se nulla fosse... sembrava impossibile. Con il tempo le cose erano migliorate, e le loro discussioni avevano riacquistato un’intimità che avevano perduto da tempo. Si incontravano per parlare delle lezioni, condividevano i pasti insieme ai novizi o con gli altri elfi residenti nella Rocca e si allenavano insieme con la spada. Ultimamente si ritrovavano spesso in prossimità l'uno dell'altra e con naturalezza avevano ripreso a parlare e a scambiarsi pensieri e opinioni, come due amici.

Tuttavia era come se un velo invisibile persistesse tra di loro, impossibile da eliminare.
 

Eragon qualche volta si irrigidiva e smetteva di parlare per poi allontanarsi con una scusa; Arya stessa, che per natura era sempre stata molto riservata e mai passionale, faticava ad esternare quello che veramente voleva dire.

Avrebbe voluto sapere della sua vita passata nella Valle, ogni segreto che aveva scoperto nella foresta. Avrebbe voluto domandargli quali ingegnosi incantesimi proteggevano le culle per le nuove uova, oppure quale era il suo passatempo preferito quando il sole sorgeva tardi e tramontava presto e anche... chi fosse quella donna dagli occhi pallidi che con la quale sembrava avere molta confidenza e che lo accompagnava durante le ricognizioni.


 

Quel che Arya non riusciva a comprendere dalle loro conversazioni cercava di carpirlo dall’esterno; infatti per tutto il tempo della sua permanenza aveva condotto un'osservazione accurata di Eragon. Si era resa conto di apprezzare la sua forza d'animo e il suo carattere deciso. Era palese che chiunque nella Valle lo rispettasse e avesse una grande stima di lui.
 

Sapeva essere severo e duro con i suoi allievi quando lo meritavano, ma il suo sorriso e le sue battute scioglievano anche il più burbero o guardingo dei novizi.
 

 

Il suo stesso aspetto era cambiato: per quanto l'Agaetí Blödhren e la magia dei draghi gli avessero donato per sempre dei tratti tipici della stirpe degli elfi, la sua fisionomia aveva riassunto col tempo alcune forme più umane. Le spalle erano larghe e muscolose, il viso meno affilato e una leggera barba cresceva lentamente sulle guance e il mento, se Eragon non si curava di raderla.
 

I movimenti del corpo slanciato e forte, le mani grandi e ricoperte dai calli della spada, mostravano che il ragazzo che aveva affrontato Galbatorix nel suo castello nero era ormai un uomo da lungo tempo.

 

Arya si era ritrovata spesso ad ammirare la curva del suo collo, il guizzo dei muscoli tesi sotto la tunica e le piccole rughe che gli spuntavano attorno agli occhi, mentre sorrideva.

 

Le osservazioni spesso portavano anche a pensieri che l'elfa non avrebbe mai immaginato di poter concepire. Erano sensazioni che aveva avuto solo una volta durante la sua giovinezza, al tempo dei Varden, ed erano riemerse; ripescate dalla presenza di Eragon.

 

Questi pensieri erano amplificati dal fatto che l'attenzione nei confronti di lui, che in tutti i modi Arya tentava di celare e che principalmente consisteva in sguardi rubati, sembrava
essere ricambiata da Eragon.

 

Più volte aveva colto il Cavaliere osservarla senza mai dire nulla; ma gli sguardi brucianti durante una sessione di allenamento con la spada erano per Arya più eloquenti di mille
parole.

 

Arya non era sicura di cosa provasse; infatti cercava così spesso la solitudine per fare chiarezza nella sua mente e nel suo cuore. Doveva capire se il sentimento che l'aveva spinta a partire fosse solo un riflesso dell'amore sconfinato che Eragon un tempo le aveva donato, oppure se fosse autentico.
 

Forse per lui provava solo profondo affetto,sapeva distinguerlo dall'amore? Ed Eragon cosa provava?

Entrambi avevano cercato di riallacciare il loro legame, senza spingersi troppo oltre né mai
parlare del passato che però si rivelava ogni volta come un fantasma aleggiante. L’ombra del rifiuto e una tensione impalpabile erano perennemente presenti, insieme ad altri sentimenti, alimentati da ogni incrocio di sguardi o tocco leggero.

Tutto quello che Arya sapeva era che voleva di più di quello che avevano ora: beveva ogni sua attenzione ogni sua parola. Voleva stracciare quel velo e vedere chiaramente oltre; toccare, assaporare, esplorare il loro legame senza più paura degli errori commessi in passato. Voleva sentire di nuovo il suo profumo e il suo abbraccio.

 

Immersa nei propri pensieri, l’elfa quasi non si accorse della coppia di passi avvicinarsi alla
Fonte; poco dopo sentì lo sciabordio dell'acqua smossa. Celata dai rami del salice, si mosse con leggerezza per spiare attraverso le foglie e scorse sulla riva l’oggetto dei propri pensieri.

Eragon però non era solo, con lui c’era Astrid, la donna dagli occhi color del miele.

 

Quello che Arya sapeva di lei era che era un abitante di un villaggio dall'altra parte della foresta; ormai da anni collaborava con l'Ordine e fungeva da intermediario  nelle
trattative con i popoli del luogo. Era un'umana, ma qualcosa in lei suggeriva che
la sua vita era stata toccata da qualche magia potente. Il suo sguardo le ricordava quello penetrante di Elva.  


Erano entrambi a pochi metri da lei, immersi nell’acqua fin sopra il bacino.

La donna aveva indosso solo una camiciola, ormai completamente zuppa e che lasciava intravedere le sue forme. Eragon invece aveva tolto la tunica e la camicia e si era immerso solo con le braghe. I lunghi capelli castani, solitamente raccolti alla base del collo erano  lasciati liberi di accarezzargli le scapole.

Arya rimase senza fiato, a causa delle sensazioni che la vista di lui le aveva suscitato; ma soprattutto era sconvolta dal fatto che Eragon fosse in compagnia di Astrid. I gesti e i discorsi che si scambiavano tradivano un'intimità condivisa che le fece provare una profonda delusione, mista a rabbia e ad un altro sentimento che fingeva di non identificare, ma era bruciante gelosia.

 

Arya continuò ad osservarli silenziosamente dietro la cortina di foglie, attenta a non fare il minimo rumore.Quasi si tradì quando la donna appoggiò la propria mano sull'avambraccio di
Eragon per richiamare la sua attenzione.

 

- La porta della mia stanza è sempre aperta, Cavaliere. Spero tu non l'abbia dimenticato.-

 

Quelle parole le inflissero una stoccata peggiore di una spada d’acciaio elfico. Arya sentì qualcosa di caldo ed umido scenderle lungo la guancia: lacrime di frustrazione e tradimento. Dato che le dava le spalle non potè vedere l’espressione del Cavaliere, che sospirò.
 

- Astrid... ne abbiamo già parlato -

 

Lei lasciò la presa e fece qualche passo verso la parte più profonda della fonte, seguita dal suo interlocutore.

 

- Lo so, lo so... la tua regina sul trono di fiori... Ora che è qui so che non c'è più speranza di riprendere i nostri incontri notturni. Ma sono egoista e lo sai, mi piacevi di più quando potevo averti tutto per me -

 

Per Arya era impossibile ascoltare ancora, quella conversazione privata le aveva aperto gli occhi su quanto si era illusa. Il fatto che Eragon avesse parlato di lei e del loro rapporto ad Astrid e che quest’ultima si prendesse gioco di lei, la ferì ancora di più della certezza che i due erano amanti.

 

Eragon intanto era rimasto in silenzio e si era limitato a guardare l'acqua. Astrid rise poi gli posò un bacio sulla spalla e si allontanò per immergersi completamente.

Prima di sparire sotto la superficie urlò:

- Sbrigati a fare la tua mossa Cavaliere! Siete entrambi destinati a vivere in eterno, il tempo non vi manca per struggervi per amore, ma non sarebbe meglio impiegarlo in attività ben più
interessanti invece che esitare?  -

 

- Astrid! Cosa ti viene in mente!-

 

Eragon era imbarazzato, Arya fuori di sé.

 

Si alzò senza più curarsi di non fare rumore, e prese a correre verso la Rocca.

 

- Arya!   -

 

Eragon l’aveva vista.

 

- Arya aspetta!   -

 

Lei non rispose e mosse le gambe più velocemente fino all’imbocco del sentiero che portava al castello. Non fece in tempo a fuggire poiché in poche falcate Eragon la raggiunse e le si parò davanti, bloccandole la strada.

 

- Che succede? Sei apparsa dal nulla e sei scappata…  -

 

Fu a quel punto che Eragon notò le lacrime. Arya vide l’espressione sul viso di lui mutare da confusione a preoccupazione. Lo sguardo si fece appassionato quando le prese dolcemente i polsi e si avvicinò a lei. Le dita fresche sulla pelle di Arya la fecero rabbrividire.
 Arya ti prego parlami   -

 

- Sono una stupida, come ho potuto pensare che io… che tu potessi …-

la voce dell’elfa era un sussurro.

 

- Cosa intendi, non capisco…-
 

- Non perdere tempo con me, torna al tuo bagno serale; credo che qualcuno ti stia aspettando per occupare il tempo in attività più interessanti di una conversazione.-

 

Eragon lasciò la presa di scatto, pallido in volto.

 

- Non hai idea di quello che dici... -

 

- Credo invece di avere un’idea ben precisa, ma non è affar mio come passi il tempo. Non intendo essere invadente. Lasciami passare.. - le labbra di Eragon si piegarono in un sorriso amaro.

 

- Non è affar tuo? Allora come mai stai piangendo?

 

Arya cercò di darsi un contegno, anche se quello che realmente voleva fare era urlargli addosso tutta la sua frustrazione. Replicò con tono gelido:

 

- Piango per me stessa, perché mi sono lasciata illudere da una promessa di cento anni fa che non poteva essere mantenuta. Partire è stato un errore. Hai chiaramente trovato ciò che cercavi. -

 

Gli occhi castani di Eragon si incatenarono ai suoi smeraldini. L’elfa lesse nel suo sguardo rabbia cocente, ma continuò:

 

- La tua vita privata non mi riguarda. Ti prego di perdonarmi, non so a cosa stessi pensando quando…-

 

- A cosa stavi pensando Arya, cosa!? Ti scongiuro dimmelo, non ho la più pallida idea di quello che ti passi per la testa! Non ne ho mai avuto idea e ci conosciamo da più di un secolo… -

 

Il Cavaliere si passò una mano trai capelli umidi avvicinandosi di un passo a lei, nella foga di parlare, mentre Arya rimase immobile con le braccia lungo i fianchi e le mani chiuse a pugno.

 

- Non mi parli mai senza il velo della cortesia o della ritrosia. Tutto quello che ho mai ricevuto da te sono rifiuti e ora mi dici che prometto ciò che non so mantenere? Che
trovo conforto nelle braccia di qualcun'altro? -

 

Eragon era sempre più vicino, Arya poteva sentire il calore che emanava la sua pelle ricoperta di goccioline d’acqua.

Con gli occhi seguì il percorso di una che, intrappolata nella clavicola, aveva poi trovato strada attraverso il petto per poi scendere lungo l’addome e sparire inghiottita dal tessuto fradicio dei pantaloni scuri. Le girava la testa, non poteva sopportare di averlo così vicino, che pronunciasse quelle parole che la laceravano... la spingevano a fuggire a miglia da lui mentre, allo stesso tempo, avrebbe voluto baciare ogni centimetro del suo viso.

 

-Trent'anni! Trent'anni senza un segno. Sarei dovuto rimanere fedele al tuo ricordo sapendo che non mi avresti mai amato? Quanto egoista  e crudele puoi essere? Dal primo momento che ti ho visto ho saputo che saresti stata la mia maledizione, sempre a rincorrerti senza mai sfiorarti, sempre ad osannarti per mendicare un tuo sguardo, una tua attenzione un minuto del tuo tempo. Questo provi ora? Frustrazione, rabbia, gelosia?

Sappi che è quello che ho provato negli ultimi cento anni e se non ti piace….non mi importa! -

Le mani di lui si avvicinarono al suo capo con dei movimenti lenti e dolci, che tradivano il tono appassionato e rabbioso del cavaliere. Le sfiorò i capelli con i palmi per poi far ricadere la braccia lungo i fianchi e chiuse gli occhi, sconfitto.

 

- Non ti sei mai resa conto di quanto mi hai stregato, tanto che pure quando mi hai liberato dal tuo giogo non sono mai stato capace di amare nessun'altro. Ho sempre e solo te nei miei pensieri, anche ora che pretendi di sentirti tradita e arrabbiata. -

 

Arya non sapeva cosa dire, troppe emozioni contrastanti rischiarono di sopraffarla; così decise, per la prima volta, di non ponderare una risposta, ma di lasciare che le azioni parlassero al suo posto.

Accorciò la distanza che li separava e appoggiò le proprie labbra su quelle di Eragon.

Durò un battito di ciglia, ma abbastanza affinché il Cavaliere aprisse gli occhi e capisse che fosse reale.

Rimasero impietriti per qualche secondo, in attesa di una reazione, di un segnale l’uno dall’altra. Erano sul bordo di un baratro, prossimi al punto di non ritorno.

Senza staccare lo sguardo da lui, Arya lo baciò di nuovo, questa volta con passione ed Eragon rispose immediatamente tirandola a sé in un indissolubile abbraccio.

 

***

Arya non si accorse che una radice appuntita del salice aveva bucato il tessuto leggero del suo abito e graffiato la coscia, poiché l’unico tocco che le importava era quello delle mani di Eragon sui fianchi, della sua bocca morbida sul collo e il calore del suo corpo. Non vide Astrid emergere dall’acqua e allontanarsi con un sorriso sulle labbra, poiché vedeva solo un paio d’occhi nocciola esplorare ogni espressione del proprio viso. Non sentì i rumori notturni della foresta intorno alla Valle, ma solo il respiro del Cavaliere nell’orecchio.

Nessuno dei due pensò al futuro o al passato, nemmeno il mattino dopo quando osservarono insieme sorgere il sole, perché quel momento presente era più prezioso di ogni altro.



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Ciao a tutti, eccoci alla fine! Vi ringrazio per essere arrivati fino a qui e soprattutto grazie a chi ha letto tutte le storie della serie! Spero vi siano piaciute come io ho  amato scriverle. A presto :)
T

 

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