Linda

di Niaile
(/viewuser.php?uid=732660)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Romanticismo sbilenco ***
Capitolo 2: *** Brutte abitudini ***
Capitolo 3: *** Fine ***



Capitolo 1
*** Romanticismo sbilenco ***


Buona lettura:

Ciao, sono Linda e questa è la storia di una ragazza e di un ragazzo che si sono conosciuti solo quando conoscersi non serviva più, quando si sono dati le spalle e si sono allontanati.

Non vi dirò che è stata colpa sua, probabilmente dovrei dire che è stata colpa mia, però sono dell'idea che è stata colpa del momento.

Mi portava margherite e tulipani, mi accarezzava dietro l'orecchio, cantava per me e mi ascoltava leggere. Però non è mai stato innamorato di me.

Era il mio migliore amico.

 

 

Era un giovedì qualunque, la radio trasmetteva un canzone d'amore moderna, di quelle sottili, dove le parolacce rafforzano i concetti, era il tre novembre ma non faceva freddo e mentre mia madre lavava i piatti, mio padre preparava il caffè, mio fratello faceva i compiti e la gente continuava la sua quotidiana monotonia, io ero in macchina con lui diretta al mare.

-Penso di amarti!

-Ami me o un'idea completamente assurda di me?

-Amo i tuoi gesti nei miei confronti.

-Allora ami ciò che io faccio per renderti felice?!

-Amo il fatto che tu mi renda felice.

-Quindi ami molta gente?!

Avevo il mare davanti, un'immensa distesa d'acqua che si fondeva tranquillamente col cielo in un gioco d'ombre all'orizzonte. E lui, così dannato, che tirava sassi e disturbava le onde, non mi guardava neanche mentre io mi aprivo.

Aprirmi. Non mi è mai riuscito bene anche se l'ho sempre fatto, nessun mio sentimento è stato trattenuto da ragione o raziocinio, forse perché ho sempre tenuto bene distinti la ragione dal sentimento, però l'ho sempre fatto in maniera sbagliata: troppa foga, troppa ansia, troppo velocemente, o fin troppo esasperatamente. Insomma non arrossivo solo io ma chiunque fosse la vittima dei miei sentimenti.

Poi è arrivato lui.

Pieno di problemi e guai. Con un amore sbagliato alle spalle, che di finire però non ne voleva sapere. Con un incidente mortale di cui ancora porta cicatrici psichiche profonde, più di quelle che, quando si graffia per l'ansia, sanguinano. Con un pacchetto di sigarette sempre dietro. Con i ricci in disordine. Con la fissa per la palestra.

-Non è questo il punto.

-E- ispira dalla sigaretta -dimmi- nuvola di fumo -quale sarebbe il punto?

Non lo so. Non so mai nulla con lui. Non so rispondere mai. Io che sono un'indigestione di parole, con lui non so rispondere, con lui non trovo le parole. E anche se le parole le trovassi, non riuscirei comunque a parafrasarle.

-Il punto è che tu sei il "a capo" e quindi non possiamo continuare. Il punto è che io sono il punto e non andremo mai d'accordo.

-Sai che puoi esprimerti meglio.

Avevamo ancora il mare davanti. Disturbava ancora le onde. Ma si era appena fermato a guardarmi. Era bello. Aveva gli occhi grandi di quel castano per cui da piccoli ci si beccava un "marrone cacca". Era espressivo. Non parlava ma diceva un sacco di cose. Aveva il naso all'insù di un aristocratico accattivante. Aveva le lentiggini. Ne aveva un sacco. E io ne amavo tantissimo una, sopra al labbro, sotto la narice destra, era più grande e scura delle altre e rendeva le sue labbra così sexy. Perdevo ore ed ore a guardarla. Immaginavo di leccarla e poi morderla, e poi dedicarmi con più dovizia a tutto il resto. Aveva delle mani grandi, di quelle ben definite, piene di vene e con le unghie larghe. Si mangiava le pellicine e quindi li aveva sempre insanguinate e piene di cerotti. Era bello. Avevo i brividi.

-Possiamo anche far finta che io non mi sia dichiarata e continuare il nostro pomeriggio rilassante.

-Non ti vedo molto rilassata.

-Ma tu continui a sorvolare.

-Cosa vuoi detto, Linda?

-Hai già detto abbastanza.

Si era alzato. Mi guardava. Avevo la sua attenzione.

-A volte mi sembri stupida. Altre volte me lo dimostri.

Mi ero alzata. Lo guardavo. Aveva il mio odio.

-Non ti sto chiedendo di amarmi. Ti sto solo dicendo che ti amo.

-E vuoi una risposta da me.

-No.

-Si, altrimenti non me lo avresti detto.

-Sarò pure stupida, come dici, ma sono anche trasparente. Ho bisogno di parlare, di aprirmi.

-Non ti amo, Linda.

-Lo so.

-No, non è vero. Ci speri ogni notte. Ci speri in ogni nostro momento insieme. Ci speri quando mi dici di andare a prendere un caffè o quando mi fai leggere le tue moleskine. Ci speri da quando mi conosci…

-…Non ti conosco.

Non potevo continuare ad ascoltare. Stava dicendo una verità imbarazzante e in quell'esatto momento mi sono resa conto che non lo conoscevo.

-E allora come fai ad amarmi?

-Nella stessa maniera in cui ho amato il mare fin dalla prima volta che l'ho visto. Nella stessa maniera in cui amo il cielo o le margherite o scrivere. Ti amo e basta. Senza ragione. Ti amo quando ti guardo. Ti amo quando mi guardi. Ti amo quando ti giri a cercarmi. Ti amo quando mi pensi e mi chiami. Ti amo quando mi regali un libro che ti ricorda me. Ti amo quando trovo un libro che mi ricorda te. Ti amo quando ascolto la musica. Ti amo quando mi aspetti sotto casa. Ti amo quando litighiamo e a casa mia non vieni. Ti amo quando parti. Ti amo perché torni. Ti amo. Ma non ti conosco. E non ho bisogno di conoscerti perché non ho bisogno d'altro per amarti.

Aveva il mare alle spalle. Si confondeva con esso perché in quell'esatto momento era diventato il mio orizzonte, ma io avevo appena capito che in quell'orizzonte non c'era posto per la nostra amicizia.

-Il tuo è un romanticismo da quattro soldi.

Aveva il solito giubbotto di pelle ormai invecchiato. Aveva la maglietta con la margherita che gli regalai anni addietro. Aveva il solito ghigno di chi non ha niente da dire.

-Un romanticismo sbilenco. Come il tuo ghigno oserei dire.

Ride. La sua risata cristallina. Tossisce. Le sue troppe sigarette. Strofina gli occhi ben chiusi. Ha capito.

-Non ti sei dichiarata. Hai apertamente dichiarato che è finita. Non è vero?

-Sono sempre stata io il libro aperto tra i due.

Me ne andai.

Era finita. Come quando guardi negli occhi qualcuno e più che leggere la sua consapevolezza, ammetti la tua.

 

 

Ciao, sono Linda. E questo è l'inizio della mia storia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pensieri e Parole:

Sono tornata. Non mi do nessuna scadenza, perchè tra l'università e la mia tormentata vita amorosa, sono sicura che deluderei tutti, quindi vi posso solo dire che, anche se le collega un filo, sono comunque storie autoconclusive, quindi mi aspetto lo stesso qualche recensione! 

Vivogliotroppobene

Sempre vostra Nia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Brutte abitudini ***


-Avevamo quella brutta abitudine di parlare in continuazione di stupidaggini e poi, appena arrivati davanti porta di casa, iniziare un discorso serio e lungo ore che ci permetteva di stare ancora lì, vicini, comodi su sedili che ci inghiottivano mentre io inghiottivo l'insana voglia di baciarti prima di scendere dalla macchina e augurarti la buonanotte.

Avevamo sempre questa brutta abitudine di fissarci e non dire niente mentre dentro soffocavo il bisogno di urlarti il mio dolore in faccia, ma mirdevo le labbra e allora tu continuavi a fissarmi, mi lasciavi fare e sospiravi.

Avevamo sbagliato tutto. Dall'inizio.

Avevamo questa stupida abitudine di starci addosso, di graffiarci, di odiarci.

Eravamo felici di quelle attenzioni strambe, di quei bicchieri sempre troppo pieni, dei nostri silenzi per niente imbarazzati, delle marce che scalavi velocemente perchè sapevi quanto mi piacesse.

Già, avevamo quella brutta abitudine di sapere tutto dell'altro con l'ingenua convinzione che non ci fosse più niente da imparare mentre mi aggrappavo con poca fatica a ciò che tu eri, perchè era facile aggrapparmi a te, un po' meno sapere che tu non ti stavi aggrappando a me... mi lasciavi andare e nello stesso tempo mi rinchiudevi nel tuo inferno.

Io dovevo esserci sempre: dovevo amarti, sfiorarti, permetterti di distruggermi ma non potevo chiederti di respirarmi, di baciarmi, di credere in quell'abbraccio che reclamavi.

Sei stato un inferno freddo, un'incostante presenza nelle mie dolci torture.

Sei stato sale nella ferita, filo spinato intorno al cuore.

Facevi male.

E lo sapevo che niente di tutto questo aveva senso, ma che senso avrei dovuto cercare? Dio mio! Hai stretto la mia mano e in quella maniera non l'avevi mai stretta a nessuno!

Mi hai chiesto di fermarmi, non corrore, non chiedere nulla, mi hai chiesto di non farlo, di non permettermi di lasciarmi sopraffare da te.

Me lo hai chiesto con gli occhi lucidi e il fiatone.

Me lo hai chiesto guardandomi.

Eri serio.

Avevamo questa terribile abitudine di essere seri quando dovevamo dichiararci qualcosa.

E che cosa ci siamo dichiarati?

Amavi l'alba, una mattina d'agosto mi dicesti, eppure noi siamo stati solo un lungo irriverente tramonto.-

 

Avrei dovuto scriverglielo, avrei dovuto sputarglielo in faccia. Avrebbe dovuto saperlo.

Avrebbe dovuto sapere la storia che avremmo potuto vivere.

Invece gli ho permesso di mandarmi via.

Ed io me ne sono andata.

Via.

Da lui.

E un po', forse anche troppo, da me.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Fine ***


Buona lettura:

“Amami e ti amerò”.

Aveva scritto e strappato un intero quaderno. Per la prima volta non sapeva continuare. Non doveva parlare di sé. Non doveva parlare di lui. Non doveva parlare di loro. Come poteva scrivere qualcosa che non racchiudesse loro due? Lui era il fulcro di tutte le parole. Lui era il fulcro dei suoi sentimenti. Lui era il fulcro dei suoi problemi.

Eppure come iniziare una storia? Così come era iniziata la loro relazione? Ma loro non avevano una relazione.

“Ciao!” le relazioni si iniziano così? Lei non era capace. Non era capace di iniziare un bel niente lei. Ma anche lui non era bravo in niente, manco a rispondere.

“Hei” ma che conversazione era? Niente. Non ci riuscivano proprio. Si andavano incontro e poi si distruggevano. Si facevano male. E ricominciavano.

Gli opposti si attraggono ma a lungo andare si distruggono. E loro si erano distrutti. Avevano distrutto i loro sorrisi, i loro segreti, le loro giornate. Non erano capaci di stare insieme.

Messaggi su messaggi di litigi senza senso. Lui che non riusciva mai a farsela passare. Lei che non riusciva mai ad essere dolce. Mai. Ma che poi di dolcezza ne aveva in abbondanza! Era dolce e premurosa e a modo suo lo dimostrava anche. Solo che i pensieri non arrivano a destinazione se non premi invio. E lei non lo aveva mai premuto. I suoi pensieri sono stati sepolti dentro di lei come dentro di lei è stata sepolta quella storia.

Storia che non è mai stata storia. Storia che è stata solo parole, foto, sussurri.

Però c’era una cosa in cui lui era bravo: gli abbracci. Ti si attaccava al collo, asfissiante e appiccicoso e poi ti stringeva forte fino a quando il suo cuore iniziava a battere pure per te e iniziavi a sentirti compatibile col mondo, un pezzo incastratosi per bene nella sua vita. Lei che odiava gli abbracci. Lei che riusciva a contare fino a cinque e poi sentiva il bisogno incessante di allontarsi, con lui si abbandonava totalmente.

Un merito, in fondo, bisognava darglielo: le aveva insegnato ad amare. Che poi l'avesse anche distrutta era tutt'altra cosa. Che poi l'avesse lasciata nel baratro di un amore completamente malsano era tutt'altra cosa.

Loro due erano tutt'altra cosa.

Perchè fino a quando lei sapeva di poter riversare in lui le sue paranoie, i suoi problemi e le sue torture, tutto sarebbe andato bene.

Ma lui sarebbe stato in grado di sopportare ciò?

È nell'ordine naturale degli eventi che le cose finiscono, le albe, i tramonti, le ere, gli eroi, gli amori.

E così finirono loro.

Per il loro bene.

Per il loro amore.

Per il loro bisogno costante di sputarsi adosso paure inesistenti che pesano più dei mostri sul petto la notte.

Era finita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pensieri e parole:

Bisogna dare una fine. E in effetti io e lui la fine ce la sia concessa. Mi fa ridere che abbiamo chiuso tutto senza parlarne, noi che abbiamo parlato più di quanto abbiam mai parlato con nessun altro.

Una storia confusissima mi ha reso più matura? No!

Mi ha reso più comprensiva? No, non direi.

Mi ha reso meno problematica? Ahahahahahah

bene cari lettori, in un insieme di tre storie abbastanza confusionarie e piene di rancore ho deciso che è abbastanza inutile riversare su l'idea di quello che lui ha provato per me, ciò che io ho provato per lui.

Mi concedo una fine.

Non molto dignitosa, ma finalmente una fine.

 

 

Ho sempre avuto bisogno di metabolizzarle, le avventure!

 

Vi chiederei una recensione, ma mi affido al vostro buon senso.

Vivogliotantobene Nia <3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3799303