Not with haste

di Martocchia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Follow through ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Gone forever ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Last to know ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - I bambini fanno oh ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - If I die young ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Un amico in me ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Qui dentro me ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Human ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - With a little help of my friend ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - I will always love you ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Go the distance ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Ci sono anch'io ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Far away ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - La Via di Damasco ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

Tump.

La pallina colpisce il soffitto con un tonfo sordo.
La penombra della chiesa, il chiacchiericcio sommesso della gente che riempie panche e sedie, la bara in mezzo alla navata.

Punf.

La stessa pallina ricade in una mano, che la rilancia subito verso l’alto.
È ancora tutto così maledettamente chiaro e presente nella sua mente…

Tump.

La predica commovente del prete. Anch’egli piange, a tratti fa fatica a parlare, ma va avanti. La conosceva bene. Lei gliel’ha chiesto e non può tirarsi indietro. Esattamente come il ragazzo.

Punf.

Deve cantare e lo fa, cercando di non piangere, perché gliel’ha chiesto lei ed in cuor suo la maledice. Vorrebbe solo piangere. Ma canta. Canta l’ultima canzone che lei ha intonato e gli sembra di sentire anche la sua voce insieme alla propria. E la mente vola indietro…

Tump.

Le ha tenuto la mano finché è diventata di ghiaccio e le labbra livide di morte, anche se fino a qualche minuto prima erano calde e vermiglie sulle sue.

Punf.

Il funerale va avanti. Il sacerdote spiega che lei ha lasciato la registrazione di una canzone. Lui lo sapeva. Gliela aveva detto prima di… Ed ora la sua voce riecheggia fra le pareti di freddo marmo, come se lei fosse ancora qui, a portata di carezza.

Tump.

No, è troppo difficile ricordare quella canzone.
Il ragazzo lancia con ancora più forza la pallina verso il soffitto, serrando gli occhi come se cercasse di trattenere un urlo di dolore.

Punf.

Il sole illumina le lapidi. Una buca profonda è stata scavata a fianco di una tomba più piccola, in pietra bianca, sporcata dal tempo. Il cognome inciso in essa è lo stesso, solo il nome è differente. Nell’aria tersa del primo pomeriggio si leva lo stesso canto che lei aveva intonato inginocchiata davanti a quella tomba, mentre la nonna veniva tumulata dalla parte opposta del cimitero.

Tump.

Le aveva urlato addosso in quell’occasione, non l’aveva ascoltata. Aveva visto solo lui, il suo miglior amico, che ora gli sta accanto con una mano sulla spalla, mentre la bara viene calata lentamente e poi coperta di terra.

Punf.

E il vuoto si è insidiato in lui.

È tornato a casa, è entrato nella sua dependance e ha eliminato tutto: ha preso chitarre, tastiera, spartiti, CD… E li ha chiusi a chiave in un armadio. Con un telo ha coperto il pianoforte. Non ha voluto vedere più nulla. La musica non ha più un senso senza di lei…
Il ragazzo si rigira la pallina fra le mani, poi un’ombra scura cala sui suoi occhi e lui la lancia con violenza contro l’armadio che contiene tutto ciò che lui ora odia.
Il suo corpo ricade pesantemente sui cuscini rossi del divano e lì rimane, fissando il vuoto. In silenzio.

Ora Luca non canta più.

Angolo dell'autrice
Come promesso, sono tornata con il seguito di "Ojos de Cielo", per raccontarvi che cosa accade a Luca dopo la morte di Clara.
Non vi anticipo nulla e vi auguro semplicemente una buona lettura!
Fatemi sapere come vi sembra questo prologo.

Marta

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Follow through ***


Capitolo 1 – Follow through

I mesi sono passati da quei terribili giorni di inizio giugno.
È ormai ottobre e Luca ha cominciato la quinta superiore.
Non che gli importi molto, o che gli importi qualcosa in particolare. Non si cura neanche del vento freddo che caratterizza questo lunedì mattina di inizio autunno. Una volta avrebbe immediatamente chiuso la giacca fin sopra il mento, irritato dalla sola idea che gli venisse un raffreddore, o il mal di gola. Anche lei l’avrebbe fatto, incapace com’era di accettare il fatto di non poter cantare per un tempo superiore alle 24 ore, o anche meno. Ma ormai a Luca non interessano queste cose, per cui lascia il giubbino aperto, mentre cammina lentamente verso scuola. E se si dovesse ammalare? Beh, darà alla cosa lo stesso valore che dà ultimamente a tutto il resto, cioè nessuno.

È in ritardo, ma non ha alcuna intenzione di accelerare il passo.
Lo ha rimproverato anche sua madre, appena entrato in cucina per fare colazione e la sua cinica risposta è stata:

- Tranquilla. Non mi chiudono fuori da scuola, non lo fanno mai. Quando la tua ragazza è morta provano tutti una gran pena per te e puoi fare quello che vuoi, a quanto pare. -.

- Luca! – la donna lo fulmina con lo sguardo – Stai parlando di… -.

- Sì, lo so di chi sto parlando, mamma! - il ragazzo la interrompe prima che possa terminare la frase. – Si chiama sarcasmo. -.

-Oh, lo so che cos’è, caro, ma il fatto che fosse la tua ragazza non ti permette di dire certe cose! Le stai mancando di rispetto. Vorrei proprio vedere come reagiresti se qualcun altro dicesse cose del genere o facesse battute su di lei! – lo rimprovera con durezza.
Lei sa benissimo che il figlio non sta bene, che non è più lo stesso: non lo sente più cantare, suonare e ciò le strazia il cuore, ma sa anche che l’unico modo per tirarlo fuori dall’oscurità in cui è caduto è smettere di trattarlo con i guanti di velluto. La donna non sta aspettando altro che poter andare a fare quattro chiacchere con i professori per farli smettere di concedere tutto a Luca. Non è proprio l’anno giusto per farlo.
Luca, d’altra parte, abbassa lo sguardo e si morde il labbro inferiore frustrato. Sua mamma ha pienamente ragione: se qualcuno osasse solo pronunciare quel nome, lui lo prenderebbe a pugni.

- Non sei ancora andato al cimitero da dopo il funerale, vero? – il tono e l’espressione di sua madre si sono ora addolciti.

- No, ma non vedo come questo ti riguardi. – risponde lui, rimanendo ancora sulla difensiva.

- Riguarda te, che sei mio figlio, ti ricordo… E comunque potrebbe aiutarti. Non hai pianto una sola lacrima da quando sei uscito dall’ospedale e… -.

- E non sono affari tuoi se e come sfogo il mio dolore! Sto bene, mamma. Non ho bisogno di vedere una lastra di pietra con una foto e un nome. Il suo viso e il suo nome me li ricordo benissimo. Adesso devo andare a scuola, sono in ritardo, no? -.

Senza aspettare alcuna risposta, Luca esce di casa, lasciando dietro di sé la madre, la quale si abbandona su una sedia, prendendosi la testa fra le mani. Dopo qualche istante tira fuori da una tasca il cellulare, compone un numero, appoggia il cellulare ad uno orecchio e attende risposta.

- Pronto? -.

- Salve, don. Sono la mamma di Luca. Lui… Lui ha bisogno di aiuto. -.


Luca intanto sta entrando a scuola con più di 10 minuti di ritardo rispetto alla seconda campanella. Secondo il regolamento non dovrebbero permettergli di entrare in classe fino alle nove ed, infatti, il bidello addetto alla portineria esce dallo sgabbiotto in vetro per rimandarlo indietro, ma quando riconosce il ragazzo che ha davanti la sua espressione cambia e da “adesso-ti-faccio-io-una-bella-ramanzina-e-poi-vediamo-se-arrivi-ancora-in-ritardo” si trasforma in puro imbarazzo.

- Oh, Luca, sei tu… Insomma, non potresti entrare… cioè… Sono passate le 8 e 10… Io non dovrei… -.

-Se vuoi resto fuori… - propone il giovane con un tono in cui si legge chiaramente quanto poco lo tocchi la faccenda.

-No, no, no! Se fosse qualcun altro… Ma tu sei un così bravo ragazzo e poi sei in quinta, non puoi perdere ore di lezione. Vai pure in classe. – e con una leggera pacca sulle spalle l’uomo lo spinge verso le scale.

Luca lo ringrazia e si avvia verso la classe sospirando. Dopo un paio di rampe, però, si blocca. Chiude gli occhi e come se fosse ieri rivede una ragazza urtarlo per sbaglio scendendo quei gradini e poi inciampare. Poi rivede se stesso buttarsi in avanti e prenderla per la vita prima che possa impattare contro il pavimento. Allora non la conosceva, non era altro che una ragazza caduta sulle scale, non era importante… Forse sarebbe stato meglio non esserci stato affatto su quella scalinata…
Il ragazzo si riscuote e facendo i gradini a due a due raggiunge il secondo piano in un batter d’occhio. Le porte di tutte le classi sono chiuse, però si sentono comunque le voci dei vari prof. La bidella del piano gli lancia un’occhiata, ma non dice nulla neanche lei, si limita a scuotere leggermente la testa. Luca non ci fa caso e bussa alla porta della propria classe, poi, senza aspettare risposta, entra.

- Scusi l’interruzione, prof. -.

- Luca. Di nuovo in ritardo? – risponde accigliata la professoressa di italiano.

-Lo so, mi dispiace. Non capiterà più. – afferma lui sedendosi al proprio banco.

- Non è la prima volta che te lo sento dire… - la donna lo guarda, indecisa se sgridarlo ulteriormente o meno. Però, appena nota gli occhi irrimediabilmente privi di quella scintilla che li avevano sempre caratterizzati, non riesce ad arrabbiarsi, ma solo ad intristirsi, perché il ragazzo davanti a lei sembra totalmente privo di vita.
- Per tua fortuna ho trascorso questi dieci minuti a litigare con la LIM e non abbiamo ancora iniziato. – la prof decide di lasciare perdere per questa volta e di iniziare la lezione, riproponendosi in cuor suo di fare una bella chiacchierata con il suo alunno. Se continuerà in questo modo per tutto l’anno, la maturità la vedrà con il telescopio…
Dall’altra parte della classe Luca, invece, ha preso il libro ed ha iniziato a sottolineare e prendere appunti meccanicamente, senza in realtà ascoltare sul serio la spiegazione.
Questi trattamenti di favore gli fanno comodo, certo, eppure più che altro lo fanno infuriare. È come se la vittima, quello nella bara, fosse lui. Tutti non fanno altro che essere gentili e delicati con lui, ma lei, lei che fine ha fatto? Se ne sono dimenticati e sembra che solo lui ne porti il pesante fardello del ricordo. È sempre lì, qualunque cosa guardi c’è sempre qualche dettaglio, anche insignificante, che ricorda lei e la sua immagine è costantemente nella sua mente. Non vuole che le persone intorno a lui si comportino come se stessero camminando su dei cocci di vetro. Preferirebbe essere sgridato, punito… Tanto non gli importerebbe: niente sarebbe paragonabile al dolore e all’impotenza già provati.


Poco prima dell’intervallo qualcun altro bussa alla porta della classe: è la bidella con una circolare, che viene subito fatta passare per i banchi, mentre il prof di scienze inizia a leggerla. È il modulo di iscrizione ai corsi extracurriculari. Lo sguardo di Luca cade involontariamente sulle informazioni riguardanti il musical, ma è solo un istante: il suo viso si contrae immediatamente in una smorfia di disgusto e al suono della campanella, uscendo dalla classe, un foglio strappato e accartocciato viene gettato nel cestino della carta.
Luca si appoggia alla parete, appena fuori dall’aula. Non ha alcuna intenzione di andare da qualche parte o di parlare con qualcuno in particolare, sa che, a dispetto che lui lo voglia o meno, lui verrà a parlargli, tutto allegro e pieno di vita come al solito. Davvero irritante, ma è il suo miglior amico.
Ed eccolo, infatti, che si dirige dritto verso il suo bersaglio.

-Ehi, Luca! -.

-Marco. - risponde lui senza entusiasmo a mo’ di saluto.

- Come andiamo oggi? – continua l’amico allegramente, ignorando il tono dell’altro.

- Solito. -.

- Potrei davvero tapparti la bocca con la forza da quanto sei logorroico, ragazzi! – si lamenta scherzosamente Marco, mentre Luca alza gli occhi al cielo.
- Hanno consegnato anche a voi il modulo dei corsi? Non vedevo l’ora di riiniziare con il musical! -.
Luca gli lancia un’occhiata penetrante, senza commentare.
- Dai, non mi dire che non vuoi partecipare neanche al musical?! -.
Ancora una volta Luca non dice niente, limitandosi ad alzare le spalle.
- Come?! Perché? - chiede Marco con espressione attonita.

- Non credo sia un crimine se non partecipo. Sono in quinta e devo studiare sul serio quest’anno. Non posso pensare anche al musical. - si giustifica l’amico con tono irritato.

- Ti ricordo che anch’io sono in quinta… E comunque basta organizzarsi e si riescono a fare tutte e due le cose perfettamente. Insomma quest’anno pensavo che sarebbe stato bello se lo avessimo rifatto insieme… Per lei… - Marco sembra intristirsi tutt’a un tratto – Lei avrebbe voluto rifarlo, avrebbe voluto che noi lo rifacessimo, ne sarebbe stata felice… -.

- Ma cosa ne sai?! - il tono di voce di Luca si fa più alto, diverse persone intorno a loro smettono di parlare e li fissano con sguardi in cui si mischiano sorpresa e compassione.
- Lei non è qui! E tu non puoi sapere cosa vorrebbe o non vorrebbe fare! Non parteciperò al musical, questione chiusa. Non ho tempo per queste cose. E voi piantatela di fissarmi! – esclama rabbiosamente prima di rientrare in classe.

In corridoio le sue parole rimangono sospese nel silenzio per qualche istante, poi il solito chiacchiericcio ritorna a farsi sentire.
Marco è ancora davanti alla classe di Luca con espressione grave. Ora che non è più con lui può lasciare che nubi di tristezza, dolore e rabbia gli oscurino gli occhi, ma ancora più forte è l’affetto per il suo amico e la lealtà verso una promessa che sta cercando di mantenere e che ora sembra costringerlo a misure più drastiche.
Il ragazzo prende in mano il cellulare e chiama l’unica persona che possa aiutarlo, l’unica, oltre a lui, a cui lei ha fatto promettere.

- Marco. Mi ha già chiamato sua mamma stamattina… - la voce dall’altra parte del telefono è preoccupata.

- La situazione sta degenerando. Dobbiamo fare qualcosa… -.

- Lo so. -.

- Io le ho promesso di aiutarlo, di non permettergli di lasciarsi andare… -.
Gli occhi di Marco si fanno lucidi al ricordo delle sue mani che stringono le sue, mentre gli affida ciò che ha di più importante.  
- E sto fallendo. Lui non canta, non suona e se non fa queste cose, non vive. Lo conosco… Li conosco: era lo stesso per lei. -.

- Lo so. Per questo ci vorrà una terapia d’urto. Anch’io ho fatto una promessa e la manterrò. Che lui lo voglia o no. -.

Angolo dell'Autrice
Buonasera!
Ecco il primo capitolo di questo nuovo racconto, in cui vediamo un Luca decisamente diverso da come ce lo ricordavamo... Il don e Marco riusciranno a rispettare la promessa fatta a Clara? Sicuramente Luca non renderà loro le cose semplici.
Buona lettura e fatemi sapere se vi piace o se ho fatto qualche errore (sono appena tornata dall'università, è dalle 6 e mezza che sono in piedi e i miei neuroni stanno giocando a ping pong con altri neuroni come palline, sono distrutta e non ho le forze per rileggere attentamente... Scusatemi se c'è qualche strafalcione!!!).
Buona serata!
Marta

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Gone forever ***


Capitolo 2 – Gone forever

La luce della scrivania è accesa ad illuminare libri e appunti. Luca non avrebbe mai pensato che studiare gli tenesse così occupata la mente da dimenticarsi per qualche istante il dolore. Almeno una parte della promessa è riuscito a mantenerla… Gli ha chiesto di cantare quella maledetta canzone e lui l’ha fatto; gli ha chiesto di continuare a studiare e lui lo sta facendo. Per il resto… Prima di conoscerla non era così difficile fare quelle cose. Cantare, suonare, vivere. Ma ora, senza di lei, a che pro continuare? Gli ha chiesto di amare, ma amare chi? Che cosa? Lui non lo comprende. E che lei possa fulminarlo pure! È stata la sua minaccia, ma allora perché non lo fa? Perché non gli permette di andare da lei?

Toc toc.
Qualcuno che bussa alla porta distoglie dai suoi pensieri Luca, il quale, di malavoglia, si alza per andare ad aprire, chiedendosi chi sia.
“È ormai ora di cena. Le persone non mangiano?” si domanda, mentre apre lo scatolino delle chiavi di fianco all’ingresso della dependance. Si blocca per un istante osservando la copia che aveva fatto fare per lei e che non aveva fatto in tempo a darle prima dell’incidente. Voleva che quello diventasse anche il suo covo, un posto dove poter cantare e stare insieme…
Luca chiude la scatola con un gesto secco e apre la porta d’ingresso: davanti a sé trova sua madre e, dietro di lei, un uomo di mezz’età sorridente. Il colletto bianco, che spunta al di sopra della cerniera della giacca, rende la sua identità inconfondibile.

- Luca, hai visite. Comportati bene, mi raccomando. - la mamma gli rivolge un mezzo sorriso e poi si allontana lasciando il don e il figlio uno davanti all’altro.
Luca si fa da parte per far entrare il prete, senza dire nulla, pallido come un cencio, dopodiché si chiude la porta alle spalle e rimane fermo in piedi, non sapendo bene come comportarsi.

- Se vuole sedersi… - incomincia il ragazzo esitante, indicando il divano.

- Oh, grazie. - risponde il sacerdote accomodandosi. – E dammi pure del tu. Non sono così formale. Non ti ruberò troppo tempo, stavi studiando, vero? -.

- Sì, ma non fa niente. -.
Luca prende una poltroncina e la sposta davanti al divano sedendosi anch’egli.
- Come mai sei venuto qui? Hai bisogno di qualcosa? -.

-In realtà è ciò che vorrei chiedere a te, Luca. È passato qualche mese e volevo accertarmi che tu stessi bene. -.
Dagli occhi dell’uomo traspare un’immensa dolcezza, che non permette a Luca di essere caustico, come lo è con tutti gli altri.

- Sto bene, don. Non ti devi preoccupare. Certo, non è stato facile e non lo è ancora, per essere onesti, ma tiro avanti e con il tempo sta migliorando. -.

- Se ne sei convinto… - il ragazzo ignora la frecciatina del prete e rimane in silenzio. – Comunque è davvero un bel posto questo! – esclama il sacerdote, cambiando argomento. - È dove canti e suoni? -.

Luca cambia posizione sulla sedia, agitato, prendendo tempo.
- Sì… - risponde infine – Ma non ho molto tempo ultimamente… -.

- Capisco. Sei in quinta, avrai molto da studiare. – il suo sguardo sembra scandagliare in profondità l’animo di Luca, come se potesse vedere il buio che in realtà si cela in lui. Il giovane non può fare a meno di sentirsi a disagio.
- Ma, sai, è importante anche riservare del tempo alle proprie passioni, per sfogarsi, schiarirsi le idee. Se si studia e basta si finisce per impazzire. -.

-Presumo di sì. - è la striminzita risposta del ragazzo.

- Scommetto che questo posto piaceva molto anche a lei. – continua a parlare il don, cercando di sondare le reazioni di Luca, il quale sussulta a sentirla nominare.

- Sì, infatti. – annuisce il giovane, cercando di non dare a vedere quanto sia difficile per lui affrontare l’argomento.

- Già… Quando cantava brillava, era la persona più felice del mondo. Quando ti ho sentito cantare al funerale ho capito subito che non potevi essere che tu… - l’uomo sorride dolcemente e gli occhi gli si inumidiscono per un istante.

- Che cosa vuoi dire? – chiede incerto Luca.

- Per te è lo stesso. Solo qualcuno che ama così profondamente la musica avrebbe potuto comprenderla fino a quel punto. Nonostante stessi soffrendo, c’era una luce ad animarti. Una luce che ora non vedo più. – risponde il prete, osservandolo attentamente.

- Che cosa vuoi da me? Perché sei venuto qui? – chiede con tono irritato il ragazzo, alzandosi in piedi.

- Te l’ho detto: per accertarmi che stessi bene e per darti questo. -.
L’uomo tira fuori da una tasca un CD e lo porge a Luca, il quale lo guarda con sospetto.

- Che cos’è? – chiede allungando una mano per prenderlo.

- È la registrazione che ho fatto sentire al funerale, che lei mi ha fatto avere. -.

Luca tira immediatamente indietro la mano, come se si fosse scottato:
- Non la voglio. N… Non posso tenerla io. L’ha data a te e a te deve restare. -.

-Io invece credo che sia giusto che la tenga tu. Penso fosse suo desiderio che te la cedessi, che lo volesse Cl… -.

- Non dire il suo nome! – grida Luca, stringendo i pugni. – Non voglio sentirla nominare, non voglio quel CD e adesso devo chiederti di andartene. -.

- D’accordo. – dice pacificamente il prete, rimettendo il CD a posto e tirando fuori, invece, un foglietto, mentre si alza dal divano e si dirige verso la porta.
- Questo è il mio numero di telefono. Se avessi bisogno, volessi la registrazione o semplicemente volessi fare una chiacchierata più onesta di questa, chiamami. -.
Con la mano sulla maniglia l’uomo rimane per un attimo a fissare il ragazzo davanti a lui, che lo sta guardando con occhi pieni di rabbia e dolore, e prima di uscire gli rivolge altre parole. Sono poche, ma il giovane le scorderà difficilmente:

- Luca, non pronunciare o non sentire il suo nome non cambierà il fatto che lei sia morta. -.
Dopodiché il prete appoggia il foglietto sul tavolino di fianco alla porta e se ne va, lasciando Luca con la testa fra le mani, accasciato sul pavimento.


È passato qualche giorno dalla visita del don e Luca continua a sentire nelle proprie orecchie quella frase. Lui non sta cercando di ignorare la realtà, non sta fuggendo, non… Okay, non convince proprio nessuno.
È, però, affar suo come sta gestendo il lutto! Se questo riesce a farlo sentire meglio, allora… No, non va bene: neanche questo è vero.
“Cosa accidenti mi sta succedendo? Perché adesso mi faccio paranoie? Perché ci sto pensando? Perché cerco di giustificarmi?”.
Il ragazzo si massaggia la fronte ad occhi chiusi, mentre la prof di italiano sta per iniziare a spiegare.

- Tutti a posto, forza che iniziamo! – esclama lei, battendo le mani, nel tentativo di richiamare l’attenzione dei suoi alunni, i quali obbediscono un po’ sbuffando e un po’ con espressioni rassegnate alle due ore di letteratura che li aspettano.
- Bene. – la professoressa si siede alla cattedra tutta sorridente, mentre l’aula si riempie del suono di libri lasciati cadere sul banco e di pagine sfogliate, cercando di ricordarsi l’ultimo argomento fatto. – Andiamo avanti con il nostro Leopardi. L’ultima volta abbiamo letto la prima stanza del “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”. Chi mi sa dire in quale fase del pensiero filosofico leopardiano ci troviamo? -.

- Nella fase del pessimismo cosmico. – risponde prontamente una delle compagne di classe di Luca.

-Ovvero? – chiede ancora l’insegnante. – Qualcun altro per favore. -.

- Leopardi sostiene che l’origine dell’infelicità umanità risieda nella natura, in quanto quest’ultima crea tutte quelle illusioni che fanno credere all’uomo di poter essere felice, nascondendogli, invece la verità, cioè che l’esistenza non è altro che sofferenza. – risponde un altro ragazzo.

- Esattamente. Infatti, se vi ricordate, il pastore in questa canzone si rivolge in particolare alla luna, che. indifferente alle sue richieste, se ne sta silenziosa in cielo. Che cosa vuole comprendere il pastore tramite queste sue continue domande, ve lo ricordate? -.

- Egli vuole capire qual è lo scopo dell’esistenza umana, breve rispetto all’immortalità della luna. -.

- Bravi. E questa esigenza di capire a che pro l’uomo debba vivere percorre tutto il testo. Adesso andiamo avanti con la seconda stanza. Vediamo un po’… - prende tempo la prof, mentre cerca di capire se sia davvero il caso di mettere in pratica ciò che ha pensato di fare prima di entrare in classe, per poi puntare il proprio sguardo in fondo alla classe e prendendo la propria decisione.
- Luca, puoi per favore leggerla. Pezzo per pezzo poi la commentiamo insieme. -.

Il ragazzo annuisce e con poco entusiasmo legge i primi versi.

“Vecchierel bianco, infermo,
mezzo vestito e scalzo,
con gravissimo fascio in su le spalle,
per montagna e per valle,
per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
al vento, alla tempesta, e quando avvampa
l’ora, e quando poi gela,
corre via, corre, anela”

- Ok, puoi fermarti per adesso. Il soggetto di questi versi penso sia chiaro: è una persona anziana, malata e malvestita che corre, corre, in qualunque condizione atmosferica, su qualsiasi tipo di terreno, con un gran peso sulle spalle. Secondo te, Luca, che cosa o chi rappresenta questo vecchierello? -.

- L’uomo in generale, l’umanità, penso. – tenta lui.

- Bene, mentre il gran peso sulle sue spalle? Che cos’è? Non è così difficile se consideri il suo pensiero. – aggiunge la donna, notando lo sguardo perso dell’alunno, in cerca di una spiegazione.

- Potrebbe essere l’infelicità umana? – risponde Luca dopo averci rimuginato su per un istante.
 
- Proprio così! La sofferenza pesa sull’uomo ed ostacola la sua vita, che non è altro che questa lunga e faticosa corsa. Infatti se leggi i tre versi seguenti… -.

Luca continua a leggere obbedientemente:
 
“Varca torrenti e stagni,
cade, risorge, e più e più s’affretta,
senza posa o ristoro”

- E qui si nota ancora la fatica che contraddistingue questa corsa che tende, però, a che punto? Continua pure. – l’insegnante gli fa segno di andare avanti con la lettura, ma appena il ragazzo posa gli occhi sugli ultimi versi della stanza, la sua bocca diventa asciutta e la voce gli si blocca in gola, mentre fissa la pagina stralunato.
- Tutto a posto? C’è qualcosa che non va? – gli chiede la prof, osservandolo intensamente e chiedendosi se non sia andata troppo oltre troppo presto.

- No, va tutto bene. Avevo solo perso il segno. – trova finalmente le parole Luca e, senza lasciare alla donna il tempo di dire altro, riprende a leggere:

“Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
abisso orrido, immenso,
ov’ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.”

-Il punto di arrivo è dunque la morte, che per lui coincide con il nulla, l’oblio e la dimenticanza. – spiega la prof alla classe, prima di essere interrotta dalla mano alzata di Luca.
- Sì, dimmi. -.

- Come fa Leopardi ad essere così sicuro che la morte sia solo questo? -.

- Non ne è sicuro, nessuno può esserlo a proposito. Si può solo credere in una determinata visione, avere una propria idea. Come sappiamo Leopardi era ateo, non credeva in una vita dopo la morte. Probabilmente considerava queste convinzioni semplici illusioni. Quest’anno studierete un importante filosofo che la pensa nello stesso modo ed è, anzi, più esplicito in questo senso. Nietzsche ritiene che Dio, la religione e tutto ciò che essa comporta sia una di quelle che lui definisce menzogne millenarie: concetti resi assoluti dall’uomo, ma che in realtà sono stati creati da lui stesso per rispondere a determinate esigenze, ad un principio di utilità. Ma questa non è altro che una delle tante visioni esistenti. Non si può sapere quale sia quella esatta. – cerca di spiegare la professoressa.

- Per cui chi vive la propria vita secondo il credo cristiano e va incontro alla morte riponendo tutta la propria fede in esso è solo un illuso? Finirà semplicemente in un buco e basta? Non ricorderà più nulla, neanche il più piccolo sentimento, non veglierà su chi è rimasto? – insiste Luca, con la voce tremante di rabbia.

Sulla classe cala il gelo. Gli altri ragazzi si limitano a seguire a disagio lo scambio di battute, aspettandosi che il loro compagno scoppi da un momento all’altro.

- Se vuoi la mia risposta, Luca, non lo so, non lo possiamo sapere, ma spero proprio che non sia come dici tu. Se vuoi, invece, la risposta di Leopardi, allora hai centrato pienamente il suo pensiero. – risponde con cautela la donna.

Luca non prolunga il dibattito oltre e china sconfitto la testa sul banco.
Tutti lo fissano per un lungo istante senza sapere come uscire da questa imbarazzante situazione, fino a quando l’insegnante non si riscuote e sorridendo richiama l’attenzione della classe sulla lezione in corso.

- Andiamo avanti con il componimento. Chi vuole leggere la terza stanza? -.

Fino al suono della campanella dell’intervallo, non si sente più la voce di Luca, il quale si è richiuso nel suo guscio di silenziosa indifferenza.
Appena la classe si svuota la prof di italiano si avvicina al ragazzo, sedendosi al banco davanti al suo.

- Luca? – lo richiama con delicatezza.
Lui rialza piano lo sguardo. Ancora una volta lei rimane senza parole davanti al doloroso vuoto di quegli occhi.

- Lo ha fatto di proposito? Farmi leggere quella stanza… -.

La donna abbassa lo sguardo, colpevole.
- Sì, mi spiace. Forse era troppo presto… -.

- Mi risparmi le sue scuse! – esclama il ragazzo bruscamente, suscitando profondo sbigottimento nella sua insegnante, la quale non aveva mai visto una simile reazione da parte sua.
- Dovete piantarla tutti di scusarvi con me! – continua Luca con occhi fiammeggianti di irritazione – Non mi aiuta affatto essere trattato come una vittima. Non sono io! Mi fa infuriare vedervi tutti così preoccupati per me. A giugno non sono morto io! -.

- Allora non dimostrare il contrario! – esclama la professoressa con severità.

- C…Cosa?! -.

Lo sguardo della donna si addolcisce:
- Sai perché Leopardi mi piace tanto? Tutti i miei studenti in questi anni non lo hanno mai sopportato, hanno sempre pensato fosse un depresso cronico, un nichilista… -.

- Perché? Non lo è forse? Dopo quello che ci ha spiegato oggi… - commenta il ragazzo con sarcasmo.

- Assolutamente no! – afferma lei con convinzione – Il nichilista si lascia andare al vuoto, si svuota egli stesso e si arrende completamente a questa situazione. Leopardi non fa niente di tutto ciò e la canzone che abbiamo letto insieme oggi ne è una prova: lui continua a domandare, a cercare un senso ed una via d’uscita da questo vuoto. Non vuole adagiarsi in esso e rimanere lì! Vuole vivere! Ed onestamente lui mi sembra molto più vivo di te! -.

- Adesso mi dirà anche lei che sono cambiato, che non sono più lo stesso? Non è la prima che lo fa e non lo capisco. È ovvio che sia cambiato dopo tutto ciò che è successo! – esclama Luca esasperato.

- Certo, hai ragione. Ma cambiare non significa lasciarsi morire lentamente. Non mi guardare così, è quello che stai facendo! – lo rimprovera, accennando alla sua espressione incredula – Forse neanche te ne rendi conto… Prova a guardarti per bene allo specchio e ti renderai conto che quelli non sono gli occhi di una persona viva. – detto ciò la prof si rialza e ritorna alla cattedra come se nulla fosse.

Luca rimane per un attimo a fissarla, indeciso sul da farsi. Poi si risolve nel verificare una volta per tutte quella assurda convinzione che tutte le persone intorno a lui hanno cominciato a inculcare anche nella sua testa. Forse sarà la volta buona che si libererà da tutte quelle fastidiose paranoie. La prossima volta che qualcun altro proverà a fargli certi commenti, lui saprà come rispondere.
Per cui si alza dal banco e si dirige in bagno. Si sciacqua il viso stanco e assonnato, per poi fissare il proprio riflesso nello specchio. A dire la verità è da molto che non compie questa semplice azione, o almeno non lo fa prestandoci realmente attenzione.
Le sue mani si stringono al bordo del lavandino finché le nocche sbiancano. Se non avesse quel sostegno probabilmente le gambe gli cederebbero: davanti a sé vede l’abisso orrido e immenso di cui parla Leopardi. Gli occhi di Cielo che lei tanto amava non esistono più.

Angolo dell'Autrice
Buonasera!
In questo capitolo Luca viene messo un po' alla prova, ma sembra iniziare a rendersi conto che non può andare avanti in questo modo. La strada però è ancora lunga...
L'ultima volta mi sono dimenticata di dire che, esattamente come in "Ojos de Cielo", anche in questo caso i titoli dei capitoli sono tutti canzoni che, o sono presenti nel capitolo stesso, o rimandano al suo contenuto nel titolo o nel testo. Per questo capitolo il brano è "Gone forever" dei Three Days Grace, mentre la volta scorsa "Follow Through" di Gavin DeGraw.
Buona lettura!
Marta
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Last to know ***


Capitolo 3 – Last to know

Marco si rigira fra le mani il cellulare sbuffando sonoramente e continuando a girare lento sulla poltroncina a rotelle di Luca.
Questa mattina lo ha invitato a casa sua e lui ne è felice: è da diversi mesi che non permette a quasi nessuno di entrare in quella dependance. Il suo amico, però, sembra animato da un’agitazione interiore, simile a un violento tornado, e ciò lo preoccupa alquanto, dev’essere successo qualcosa…
Da più di un’ora ormai Luca gira per la stanza, tormentato da chissà quali pensieri, senza dire una sola parola. La tensione è percepibile nell’aria, tanto da costringere Marco ad aprire una finestra per cercare di alleviare il disagio di questa strana situazione.

- Non ci sono più… - mormora di punto in bianco Luca, suscitando lo stupore dell’amico, il quale ora lo fissa interrogativamente.

- Come, scusa? – chiede Marco confuso.
Il ragazzo scuote la testa, sedendosi sul divano e iniziando a massaggiarsi le tempie con espressione sofferente.
- Non stai bene? – chiede ancora l’amico con preoccupazione.

Per tutta risposta Luca ridacchia. È una risata che suona amara, anzi, quasi isterica.
- È buffo come questa domanda sia la frase che ho sentito più spesso in questo periodo, in tutte le sue varianti: “Come stai?”, “Stai bene?”, “Va tutto bene?”. È come una cantilena, dopo un po’ perde il suo significato, esattamente come la mia risposta. Non dò peso alla domanda, perché dovrei darlo alle mie parole? -.

- Ok. Non stai bene. – o almeno è in questo modo che Marco ha interpretato le sue frasi criptiche.

- Complimenti per le doti deduttive. – un angolo della bocca di Luca si alza in atteggiamento sarcastico.
L’amico sgrana gli occhi stupito alla sua improvvisa confessione. L’altro lo guarda storto:
- Chiudi la bocca che entrano le mosche. Cos’hai da guardarmi così? Sì, lo ammetto: non sto bene, non sto per niente bene! -.

- Beh, direi che questo è un passo avanti. -.

- Un passo avanti in cosa di preciso? Dirlo non mi fa assolutamente sentire meglio, anzi, per dirla tutta va anche peggio di prima. – controbatte Luca.

- Nell’elaborazione del lutto… - risponde Marco, cercando di farsi più piccolo possibile sotto lo sguardo rovente del suo migliore amico.
- Insomma, la prima fase di negazione e accettazione è stata decisamente lunga, ma… -.

- Chi ti ha detto che io l’abbia accettato? – lo interrompe bruscamente Luca – Come posso accettare una cosa del genere?! -.

- Hai altri piani brillanti in mente, per caso? Illuminami! – chiede Marco, incrociando le braccia ed appoggiandosi allo schienale della sedia, in attesa di una risposta, che però non arriva: l’altro ragazzo si limita a mordersi il labbro inferiore con frustrazione.
-  Hai intenzione di commiserarti per il resto della vita, rinunciando alla musica come una sorta di espiazione per non so quale colpa tu pensi di avere, trattando tutti come pezze da piedi, mentendo e distruggendoti lentamente? Perché è questo che stai facendo e se lei ti vedesse… -.

- Piantala di dirmi ciò che lei vorrebbe o non vorrebbe per me! Lei non c’è, lei è morta e non può più fare niente. Io posso fare ciò che voglio e lei non potrà dire una parola. E tu… tu mi parli di elaborazione del lutto?! Sembra che tu l’abbia superato tutto d’un colpo. E pensare che dicevi di amarla… - ribatte aspramente Luca.

Marco socchiude gli occhi e stringe i pugni nel tentativo di calmare la rabbia che lo sta invadendo, ma è troppa per contenerla.
“Questo è davvero troppo. Sono stato molto, molto paziente con lui e adesso osa dire certe cose… Mi hai dato tu il permesso di farlo, cercherò di non fargli troppo male, ma non ti assicuro nulla.”.
 Senza alcun preavviso il ragazzo si alza di scatto dalla sedia e, come una furia, afferra Luca per la maglietta e gli sferra un pugno dritto sullo zigomo destro, lasciandolo poi cadere sul tappeto, nello spazio fra divano e tavolino.
L’altro porta immediatamente una mano alla guancia dolorante e guarda stupefatto e anche un tantino impaurito gli occhi fiammeggianti di rabbia dell’amico, nei quali, per la prima volta da mesi, vede del profondo dolore, così simile al suo.
Marco si china ancora una volta su Luca, riafferrandolo per avvicinarlo a sé:
- Come ti permetti di fare la predica a me?! Come osi parlare dei miei sentimenti?! Io la amo abbastanza da non ignorare la promessa che le ho fatto! -.

- Di che promessa stai parlando? -.

- Di te sto parlando, tu sei la mia promessa. Mi ha affidato te, mi ha chiesto di mettere il mio dolore da parte per aiutarti a superare il tuo, per non lasciarti andare, per non lasciarti smettere di cantare. -.

- Perché per tutti voi è così importante che io canti e suoni? Non basta che non cerchi di buttarmi giù da un palazzo o di affogarmi nella vasca da bagno?! – chiede Luca esasperato.

- È esattamente la stessa cosa, lo sai. Voi siete sempre stati uguali: se non canti, ti lasci andare ad una lenta agonia, alla morte peggiore. Ma io non lo permetterò! -.

- Non è necessario che tu mantenga la promessa che lei ti ha costretto a fare… - mormora il ragazzo.

Gli occhi di Marco sono brace ardente, la sua stretta sulla sua maglia si fa ancora più forte.
- Luca, lasciatelo dire: fai pena. – sibila – Non riesci neanche a pronunciare il suo nome, non permetti che lo facciano gli altri. Ti fa così paura sentirlo? Pensi che non sentendolo tu possa dimenticarla, fare finta che non sia successo nulla, che non sia mai esistita? Sai cosa ti dico? Non me ne frega niente! Tu non ti meriti questo lusso, non ti meriti tutto l’amore che lei ha voluto donarti anche dopo la sua morte. Perché è così: Clara è morta, Clara è esistita, l’hai vista, toccata, ascoltata, l’hai amata ed è morta! E tu la ami ancora e proprio per questo non puoi fare a meno di cantare. Puoi far finta di odiarlo, di non volerlo fare, ma è solo una scusa per non ritrovarti davanti a lei e ai sentimenti che provi davvero. -.

Luca abbassa lo sguardo, sofferente, come se altri pugni lo avessero colpito.

- Non rimanere così, inerte, accidenti! – grida Marco, con gli occhi pieni di lacrime – Non posso permettere che tu la cancelli in questo modo. Lei non se lo merita! – e detto ciò trascina l’amico davanti al pianoforte, toglie il telo che lo ricopre e spinge Luca sullo sgabello posto davanti allo strumento.
- Canta, suona, vivi, per l’amor del cielo! Dai un qualche senso ai sacrifici che io ho dovuto fare per amore di Clara e per te! -.

- D’accordo!  Vuoi sentire quali sono i miei sentimenti adesso? ti accontento! – esclama l’altro con improvvisa ira, cominciando a premere sui tasti con foga, come se non avesse mai smesso, come se avesse suonato l’ultima nota un minuto prima.

“She just walked away.
Why didn't she tell me
And where do I go tonight
This isn't happening to me
This can't be happening to me
She didn't say a word
Just walked away

You were the first to say
That we were not ok
You were the first to lie
When we were not alright
This was my first love
She was the first to go
And when she left me for you
I was the last to know

Why didn't she tell me
Where to go tonight
She didn't say a word
She just walked away

You were the first to say
That we were not ok
You were the first to lie
When we were not alright
This was my first love
She was the first to go
And when she left me for you
I was the last to know

I'll be the first to say
That now I'm ok
And for the first time
I've opened up my eyes
This was my worst love
You'll be the first to go
And when she leaves you for dead
You'll be the last to know

I'll be the first to say
That now I'm ok
And for the first time
I've opened up my eyes
This was my worst love
You'll be the first to go
And when she leaves you for dead
You'll be the last to know.”


Le mani di Luca ricadono tremanti sulle sue gambe, una goccia di sudore scende lenta sulla tempia sinistra. I suoi occhi privi di espressione si rivolgono nuovamente verso Marco, poi, con un gesto secco, il telo ritorna a ricoprire il pianoforte.

- Non farmelo fare mai più. – è l’unico commento del ragazzo.

- Tu sei arrabbiato. – un lampo di comprensione attraversa lo sguardo di Marco.

- Con te? Certo che lo sono! -.

- No, non con me. Tu sei arrabbiato con Clara. -.

Luca lo guarda per un istante senza proferire parola, si passa una mano sul viso, sospirando.
- Hai ragione e questo mi fa sentire in colpa. Provare tutta questa rabbia per una persona morta, per la mia ragazza per giunta… Ma come posso non essere arrabbiato? Lei mi ha lasciato, mi ha tenuta nascosta la sua condizione, mi ha allontanato e ha sganciato la bomba quando ormai non c’era più nulla da fare. Come mi dovrei sentire io? -.

L’amico avvicina la poltroncina e si siede davanti a lui, chinandosi in avanti, in cerca dei suoi occhi.
- Luca, Clara l’ha fatto con buone intenzioni, lo sai. Non voleva costringerti a vederla soffrire, morire e non voleva restare chiusa in una stanza d’ospedale ad aspettare la fine.  – gli spiega con il tono più delicato possibile.

- So tutto questo, ma lei non mi ha dato alcuna possibilità di scelta, ha deciso lei per me… Io avrei solo voluto avere più tempo, starle accanto e sfruttare il poco tempo che ci rimaneva… - la voce di Luca trema tanto da far pensare a Marco che stia piangendo, ma i suoi occhi sono completamente asciutti. È la frustrazione a farla tremare.

Il suo migliore amico appoggia con prudenza una mano su un suo ginocchio:
- Clara pensava che tu non saresti riuscito a sopportarlo, aveva paura che il dolore sarebbe stato troppo. Ha pensato al tuo bene, ma è stata anche egoista… Se n’è resa conto troppo tardi. -.

- Tu quando lo hai scoperto? – gli chiede l’altro. Si è appena reso conto che non ne hanno mai parlato, ha sempre dato per scontato che anche Marco non sapesse nulla, ma da ciò che gli sta dicendo è evidente che sa molto più di lui.

- Ho costretto Clara a parlarmene il giorno dello spettacolo, dopo le prove. Avevo capito che c’era qualcosa sotto, ma non avrei mai potuto immaginare… – Marco scuote la testa, lasciando la frase in sospeso – Ti posso assicurare che stava soffrendo quanto te, se non di più. Fingeva che tutto andasse bene, esattamente come te adesso, e intanto negava le sue stesse condizioni, evitava di pensarci, considerando solamente il dolore delle persone intorno a lei. Se lo avesse capito prima… Se io mi fossi deciso a parlarle prima, forse le cose sarebbero state diverse, lei avrebbe capito di aver bisogno di te più di qualunque altra cosa o persona. – gli occhi gli si riempiono di lacrime e la voce di amarezza - Tu l’hai vista serena, Luca, anche negli ultimi istanti ha pensato a te, ma era terrorizzata dall’idea di lasciarti, per questo ha chiesto ad alcune persone di prendersi cura di te al suo posto. -.

- Lei mi ha solo strappato una promessa… - mormora l’altro ragazzo.

- Avresti potuto chiedere spiegazioni. A quel punto te le avrebbe date. -.

Luca scuote la testa, sorridendo amaramente.
- Come puoi dire ad una persona che sta morendo davanti ai tuoi occhi che sei arrabbiato con lei, che non sai come mantenere una promessa? -.

- Sì, che sai come fare. Il problema è un altro, Luca. – Marco lo guarda dritto negli occhi con uno sguardo che non ha bisogno di altre parole per spiegarsi.

Luca non commenta, si alza dallo sgabello e si dirige in cucina, verso il frigorifero, da cui tira fuori due panetti di ghiaccio. Li avvolge in due asciugamani, uno lo appoggia sul suo zigomo colpito, mentre l’altro lo porge a Marco, il quale lo fissa interrogativamente.

- Questo è per la tua mano. – spiega l’amico, accennando alle escoriazioni sulle nocche dell’altro ragazzo, il quale non vi aveva fatto assolutamente caso, ma ora, a contatto con il freddo, il dolore si fa sentire forte e chiaro. Una smorfia sofferente compare sul volto di Marco, molto simile a quella di Luca, deformata dal gonfiore della guancia.
I due rimangono in silenzio per qualche minuto, leccandosi le ferite di guerra e pensando alla conversazione appena avuta.
Luca riesce a comprendere meglio le decisioni di Clara, ma non trova ancora la forza per perdonarla e per perdonarsi.
Marco, invece, si chiede se non sia andato troppo oltre o se fosse proprio ciò di cui il suo migliore amico aveva bisogno.
È quest’ultimo a rompere il silenzio:
- Forse a questo punto dovresti concedere una chiacchierata più onesta anche ad un’altra persona. -.

- E tu come lo… - chiede l’altro stupito.

- Secondo te a chi altri avrebbe potuto far promettere Clara? – ribatte Marco sorridendo divertito – Vai da lui. Ti puoi fidare. Voleva un gran bene a Clara, la conosceva. Vi dovreste intendere bene voi due. -.
Luca annuisce, senza dire altro.

- Fase della rabbia. – continua l’amico, con cipiglio pensieroso – È un’altra delle fasi dell’elaborazione del lutto. È normale, non devi sentirti in colpa, ma non devi neanche rimanere legato a questi sentimenti. -.

- Se non la finisci di fare lo psicoterapeuta, ti restituisco il pugno di prima. – lo minaccia Luca, lasciando che un piccolo sorriso faccia capolino sulle sue labbra.

Angolo dell'Autrice
Eccomi con il nuovo capitolo. Questa volta Luca ha ricevuto una bella scossa ed è stato costretto per una volta ad essere onesto con i propri sentimenti. Adesso però dovrà confrontarsi con un'altra persona... Chissà se sarà in grado di aprirsi ancora di più o terrà per sé altri segreti.
Buona lettura!
Marta

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - I bambini fanno oh ***


Capitolo 4 – I bambini fanno oh

La guancia di Luca da rossa è diventata di un colore fra il blu e il viola, perfetto con i suoi occhi in tinta con il lago nelle giornate più assolate.
Quando sua madre ha visto il livido, l’ha guardato di sbieco per un attimo, per poi sorridere con soddisfazione:
- Finalmente qualcuno ti ha tirato un pugno. Cominciavo a chiedermi come le persone fossero ancora in grado di sopportarti! – esclama allegramente, versando del latte caldo nella tazza del figlio.

- Sto bene, mamma. Grazie per avermelo chiesto. – replica quest’ultimo, alzando gli occhi al cielo.

- Oh, ma dai. Adesso pretendi che ti chieda come stai? Dopo mesi in cui non hai mai voluto darmi una risposta? Poi non venirmi a dire che non ho ragione. Sei davvero una persona difficile, tesoro! – risponde la donna con le mani sui fianchi e un’espressione esasperata stampata sul volto.
- È stato Marco? – gli chiede.

- Sì. – sospira Luca – Ma tu come lo sai? -.

 - È l’unico che abbia ancora la forza e la pazienza di tentare di parlarti e poi… Ieri quando sei rientrato da scuola stavi bene, poi in casa è entrato solo Marco, da quanto so io. Non ci vuole molto a capirlo. Comunque ha fatto bene. -.

- Ma non sai neanche perché l’ha fatto! – esclama il ragazzo, con la bocca piena di biscotti al cioccolato.

- Per lo stesso motivo per cui avrei voluto farlo anch’io tante volte e per cui potrei farlo ora se non ti dai una mossa. Basta ritardi! – e detto ciò l’ha sbattuto fuori dalla porta di casa.

Ora Luca sta osservando con occhio critico il proprio livido allo specchio. Appena prova a toccarlo con la punta delle dita, trattiene un gemito.
“Cavolo se ci è andato giù pesante…” pensa, ricordando la rabbia bruciante di Marco.
Non lo aveva mai visto così, non pensava che qualcun altro provasse il suo stesso dolore e che fosse in grado di nasconderlo meglio di lui. O forse il suo amico sta semplicemente reagendo, elaborando il lutto, detto con le sue parole. Comunque Luca non è in grado di prendere in giro proprio nessuno: i suoi occhi parlano per lui, quell’abisso scuro è insostenibile anche per lui.
Non può dare tutti i torti né alla madre né al suo migliore amico. Dal momento in cui ha posato il proprio sguardo nei suoi occhi allo specchio ha compreso di essersi completamente perso, di non essere più in grado di andare avanti, non da solo almeno.
La sua mente ritorna a quella canzone dettata dalla rabbia… Nell’esatto istante in cui ha sfiorato con le dita i tasti del pianoforte, si è sentito percorrere da nuova energia, è ritornato per un attimo in sé, ma Marco ha ragione: quando canta vede lei. È lì, davanti a lui, che canta con lui. Allungando una mano potrebbe toccarla, ma non può, è un’illusione e se anche non lo fosse ne avrebbe troppa paura, anzi, terrore, di ciò che lei gli direbbe, di leggere delusione nel suo sguardo per non aver rispettato la promessa, o, al contrario, amore e perdono, che Luca non pensa di meritare. È troppo doloroso e per questo, nonostante il bisogno e la mancanza delle sette note, se l’è impedito per tanto tempo.
Anche quel dannato pomeriggio, cantando la sua stramaledetta canzone, l’aveva vista e all’inizio ne era stato rincuorato: se con la musica poteva averla sempre accanto ce l’avrebbe fatta a riprendere in mano la propria vita. Ma poi i suoi occhi sono calati sulla bara in legno chiaro… E tutto è diventato nero.

Il telefono vibra, annunciando l’arrivo di un nuovo messaggio. Luca lo cerca per la stanza, fino a trovarlo sul tavolino all’ingresso, allunga un braccio per prenderlo, per poi sospirare davanti alle solite conversazioni sul gruppo della sua classe. Infine i suoi occhi si posano sul piccolo foglietto bianco ripiegato, che era proprio di fianco al suo cellulare. Non lo aveva toccato da quando il don lo aveva lasciato lì. Aveva pensato di buttarlo, ma per qualche motivo non lo aveva fatto, se n’era dimenticato, o forse sapeva di aver bisogno di quella conversazione più onesta già allora.

Il ragazzo prende in mano il biglietto, se lo rigira per un po’ fra le dita indeciso, finché, preso un gran respiro, lo apre, digita il numero e preme il tasto di chiamata:

- Pronto. – la risposta arriva dopo qualche squillo.

- Sì, ehm… Sono Luca. – balbetta lui a disagio.

- Oh, ciao! Alla fine hai usato il mio numero. -.

- Ehm, già… Ecco, ti ho chiamato per sapere se sei ancora disponibile per una chiacchierata… - chiede Luca timidamente.

- Ma certo. Venerdì pomeriggio per te va bene? – risponde immediatamente il prete.

- Sì, credo di sì. -.

- Cinque e un quarto? -.

- Va bene. -.

- Perfetto. A venerdì allora. -.
Chiamata terminata. Luca guarda il proprio cellulare sospirando: ora non può proprio tirarsi indietro.

È venerdì pomeriggio, cinque e un quarto spaccate, e Luca è davanti al cancelletto dell’oratorio di Luino. È la prima volta che vi mette piede: il cortile in asfalto davanti all’edificio principale è circondato da aiuole e da un muro di sassi, che separa l’oratorio dal cimitero retrostante; alla sinistra dell’entrata vie un breve sentierino lastricato, che porta alla sacrestia della chiesetta di San Pietro in campagna, luogo in genere adibito ai funerali, per la sua vicinanza al camposanto. Su questa chiesa circolano diverse storie di spiriti, alcune più vecchie, altre molto recenti, ed altre ancora fomentate dal don stesso per prendere in giro ragazzi ed educatori paurosi. In fondo al cortile, dalla parte opposta rispetto alla chiesa, vi è un ampio spazio di gioco con campo da calcio, basket, beach volley, altalene e anche una carrucola, presa d’assalto da bambini che hanno appena concluso il proprio incontro di catechismo.
Proprio davanti al campo, sotto un portico, c’è il don, il quale sta accogliendo fra le proprio braccia una bambina tutta affannata dalla corsa fatta per poterlo raggiungere.

- Oplà! – esclama il sacerdote tirandola su con un braccio e facendole il solletico sulla pancia con l’altra mano.
La risata cristallina e innocente della bimba si spande nell’aria, come a voler diffondere particelle di felicità in modo da farle respirare a chiunque si trovi nelle vicinanze. Lo stesso Luca non può fare a meno di addolcire il proprio sguardo davanti a tanta tenerezza e piegare le labbra in un piccolo sorriso.
Le risa si fermano quando la bambina si accorge della presenza del ragazzo:

- Don, qualcuno ti sta cercando. – dice lei, picchiettando le sue piccole dita su una spalla del prete, il quale si volta immediatamente verso il suo ospite, aprendosi in un grande e caldo sorriso. Mette giù con delicatezza la sua piccola amica, dicendole di tornare a giocare e finalmente posa i propri occhi su Luca, concentrandosi subito sul livido violaceo.

- È stato Marco? – chiede.
Il ragazzo annuisce. Ha oramai smesso di chiedersi come le persone sembrino leggergli nel pensiero.
- Cavolo, certo che l’ha presa proprio alla lettera la sua promessa… - borbotta il sacerdote con un sopracciglio alzato.

- Ah… Anche questo fa parte delle sue ultime volontà? – chiede Luca, indicando il proprio occhio nero.

- Diciamo che quello che voleva dire Clara era leggermente diverso… Lei desiderava che noi non ti abbandonassimo, a qualunque costo, ti saremmo dovuti rimanere accanto a romperti le scatole, fino a quando non saresti stato in grado di cavartela da solo. Marco ha solo applicato alla lettera le sue parole… - spiega il don, per poi aggiungere subito: - Ma non preoccuparti, Clara non l’ha messa giù così con me. E poi non sarebbe appropriato che un prete di mezz’età come me si mettesse a far rissa con un ragazzo come te. Qualche seminarista che conosco non si sarebbe risparmiato, ma da preti si incomincia a farsi degli scrupoli. – e ridendo dà una leggera pacca sulla spalla del ragazzo, il quale ora lo guarda imbarazzato, portando una mano dietro la nuca – un’abitudine che non è mai cambiata – non tanto per le parole dell’uomo, quanto più per la domanda che frulla nella sua testa.

- Per cui, se tu e Marco ultimamente avete così urgenza di parlarmi e farmi parlare è perché, a quanto pare, non sono in grado di stare in piedi da solo? – chiede infine.

- Questo devi dirmelo tu. Noi possiamo avere una certa opinione a proposito, ma in realtà dipende tutto da te. – risponde il sacerdote con serenità – Ma, prima di affrontare con calma il discorso, ti dispiace darmi una mano? Devo spostare degli scatoloni dal salone a una delle aulette di sopra. -.

Luca scuote la testa e i due entrano nell’edificio. Il corridoio del pianoterra colpisce immediatamente per il colore accesso, verde evidenziatore e lime; davanti alla porta d’ingresso se ne apre un’altra, che dà sulle scale che portano al piano superiore. Il don e il suo ospite, però si dirigono verso una porta sulla destra, in fondo al corridoio, proprio di fianco ai bagni. Entrando nella stanza Luca rimane sorpreso dalla presenza di un gruppo di ragazzini, delle medie presumibilmente, e di alcune persone più grandi, alcune all’incirca della sua età, altre con qualche anno in più di lui, universitari, giovani lavoratori.
Devono aver interrotto qualche discorso, poiché appena la porta si apre cigolando il silenzio cala nel salone, a parte per il chiacchiericcio sommesso dei ragazzi.

- Oh, non preoccupatevi. Prendiamo questi due scatoloni e togliamo il disturbo. Continuate pure l’incontro. – spiega sorridendo il prete, scompigliando i capelli a uno dei ragazzini.
Ed infatti in pochi secondi sono già nel corridoio e si stanno approcciando alle scale, con voluminosi contenitori fra le braccia. Il colore delle pareti cambia, da verde diventa blu e azzurro. Giunti al piano superiore si sentono altre voci di adulti e ragazzi, impegnati in discussioni, attività, giochi. Il don apre un’aula chiusa a chiave in fondo al corridoio ed appoggia le due scatole a terra, dopodiché richiude la porta e apre, invece, quella affianco, rivelando dall’altra parte un piccolo appartamento.

- Ti va bene se parliamo in casa mia? È più tranquillo, comodo e nessuno dovrebbe disturbarci. – domanda il sacerdote.

- Va bene. Per me è indifferente. -.

Appena entrati nel soggiorno un gatto bianco e nero corre incontro al don, il quale lo prende in braccio e lo coccola un po’, per poi lasciarlo andare. Il batuffolo di pelo si va subito a strofinare sulle gambe di Luca, miagolando in cerca di attenzione.

- Lui è Marcellino. Tranquillo che non graffia, al massimo mordicchia un po’, ma solo perché gli piace giocare. In realtà è quasi più simile a un cane che a un gatto. – commenta l’uomo ridendo e prendendo posto al tavolo da pranzo. – Accomodati pure. – lo invita cordialmente a sedersi.
Luca non se lo fa ripetere due volte e subito il gattino gli salta sulle ginocchia, accoccolandosi lì. Il ragazzo immerge le dita nel manto morbidissimo, osservando la lunga, soffice coda dondolare da una parte all’altra ad un ritmo ipnotico, e facendogli dei grattini dietro le orecchie e sul collo, provocandone le fusa.
- I ragazzi che hai visto prima sono il gruppo di preadolescenti di cui Clara era educatrice, lavorando in equipe con i giovani che ora stanno tenendo l’incontro. – incomincia a parlare il don.

- Hai fatto apposta a farmi entrare in quella stanza? – chiede il ragazzo, senza alcun tono d’accusa.

- Non è stato premeditato fino al momento in cui oggi mi hanno detto che sarebbero rimasti in salone. – risponde lui pacificamente.

- Ora che mi ci fai pensare, credo di averne visto qualcuno al funerale… - mormora Luca sovrappensiero.

- È molto probabile. Clara è sempre stata molto affettuosa con tutti loro e le volevano bene. Non è stato facile metabolizzare la cosa, ma con l’aiuto e il sostegno degli altri educatori hanno ritrovato un certo equilibrio. -.

- Questo è un modo sottile per dirmi che ho bisogno d’aiuto? – chiede ancora il giovane, guardando dritto negli occhi il prete, mentre le mani continuano ad accarezzare meccanicamente Marcellino.

- Non è ovvio? Perché saresti qui altrimenti? – commenta l’uomo con un sorriso rassicurante stampato sulle labbra.
Luca abbassa lo sguardo, colto in fallo.
- Oggi posso chiederti come stai? – continua con cautela il don.
Il ragazzo si guarda intorno con sguardo vacuo: l’appartamento è molto piccolo, essenziale, decisamente segnato dalla presenza del gatto, con giocattolini, tira-graffi e sabbietta; dalla finestra del soggiorno si vede parte del campo, dove i bambini ancora giocano spensierati, ignari, fortunatamente, di quanto dolore la vita possa riservare.

- Male. – risponde dopo un lungo istante di silenzio.

- Cosa ti è successo per rendertene conto? È stato il pugno di Marco? -.

- No, no, anche se sicuramente è servito a schiarirmi le idee. – ridacchia Luca – Mi sono semplicemente guardato allo specchio e… I miei occhi… La canzone che ho cantato al funerale… - balbetta nervoso, ricordando il vuoto riflesso nei propri occhi.

- Non sono più gli stessi. – conclude per lui la frase il sacerdote.

- Esattamente come mi hai detto tu. – annuisce il ragazzo.

- Noto però che ora permetti alle altre persone di dire il suo nome. Clara. -.

- Sì, insomma… Non ha senso negare agli altri la possibilità di dirlo, di ricordarla. È stato egoista da parte mia ed è sembrato un tentativo di cancellarla, ma non è assolutamente ciò che voglio. -.

- Allora cosa vuoi, Luca? – il don lo fissa dritto negli occhi, scavando sempre più in profondità. Il ragazzo sente la propria bocca inaridirsi, non riesce a sostenere a questo sguardo, deve sfuggirgli.
Si schiarisce la voce e cambia argomento.

- Per quanto riguarda pronunciare io stesso il suo nome, è tutta un’altra storia. È già così onnipresente nelle mie giornate, senza che lo dica. La sua immagine è sempre davanti ai miei occhi, basta una parola, anche stupida, per rievocarla. Se la chiamassi per nome, sarebbe troppo doloroso non sentirla rispondermi con un sorriso come faceva sempre… -.

- O forse è più forte la paura che lei ti possa rispondere davvero… -.
Luca sgrana gli occhi, come se gli avessero tirato un altro pugno, e ancora una volta cambia argomento per evitare di rispondere alla provocazione del prete.

- Io vorrei solo sapere cosa l’ha portata a prendere determinate decisioni. Lei mi ha spiegato delle cose, ma non è abbastanza, il tempo che abbiamo avuto è stato troppo poco. A te invece ha parlato, altrimenti non saresti venuto da me. – chiede il ragazzo con franchezza.
Il gatto intanto è saltato sul tavolo, per giocherellare con le mani del padrone, il quale, prima di iniziare a parlare, prende un grande respiro, con sguardo pensieroso, perso nel ricercare ricordi passati.

- Durante il periodo del coma sono andato a trovare Clara tutti i giorni, sai? I genitori mi hanno informato subito delle sue condizioni, ritenendo che, se lei fosse stata sveglia, me lo avrebbe detto immediatamente. Non credere che per me non sia stato un duro colpo… Le volevo molto bene, me la ricordo ancora la prima volta che l’ho conosciuta, in seconda superiore, così timida, introversa e silenziosa; ricordo la sua prima confessione con me e il cambiamento che a piccoli passi ha cominciato a farsi largo in lei; e ovviamente la sua splendida voce, il modo in cui i suoi occhi brillavano di vita quando cantava. Era destinata a grandi cose, già… - gli occhi gli si inumidiscono, tanto da costringerlo a tirare fuori dalla tasca un fazzoletto – L’unica cosa che ho potuto fare in una situazione tanto critica è stato starle accanto, parlarle, darle dei motivi per svegliarsi, anche solo per dire addio. C’ero anche nel momento in cui Clara ha ricevuto la notizia e ha reagito con una forza d’animo ed una lucidità mentale davvero straordinari. Penso di non averla mai vista così determinata. – ora sorride al ricordo di quella piccola e pallida ragazza, che tiene testa al proprio chirurgo.

- Non si poteva davvero fare nulla? – lo interrompe Luca, con voce tremante.

- L’unica via d’uscita sarebbe stato il trapianto, che alla fine, come si è visto, è stato del tutto inutile ed avrebbe richiesto giorni, al massimo settimane, di attesa in ospedale, ma non era ciò che Clara voleva: ha accettato di essere inserita nella lista trapianti, un’opportunità di vivere la voleva, ma se quelli dovevano essere i suoi ultimi giorni, lei desiderava trascorrerli a modo suo, facendo ciò che amava più di se stessa. -.

- E fin qui posso capirla, per quanto sia comunque da sconsiderati, ma non le avrei mai impedito di farlo! – commenta nervosamente il giovane.

- Non è per questo che ha deciso di tenerti all’oscuro. – lo rassicura il don.

- Allora perché? – chiede lui impaziente.

- Ha voluto tenerlo nascosto a tutti, per poter vivere fino all’ultimo istante come aveva sempre fatto, come Clara e non come una malata terminale. Non voleva che gli sguardi, i commenti, le preoccupazioni di coloro che la circondavano si concentrassero su di lei, perdendo di vista chi lei davvero fosse. -.

- Ma perché mi ha allontanato? Avrebbe potuto semplicemente non dirmelo. – insiste Luca.

- Rimanendoti accanto non sarebbe stata in grado di mentirti e dirtelo ti avrebbe distrutto, ti avrebbe fatto sentire ancora più in colpa. Lei voleva solo risparmiarti tutto ciò ed in quel momento di concitazione il modo migliore di farlo è stato quello di allontanarti da lei. Non credere però che per lei sia stato tutto indolore… Si sentiva una persona orribile per quel segreto… -.

- Ma non lo era… - si lascia sfuggire il ragazzo in tono amaro.

- È ciò che le ho detto anch’io. Il dolore era evidente nei suoi occhi, nel suo sorriso tirato. La lacerava dall’interno costantemente, ma lei sopportava in silenzio. Anche Clara non capiva che quel male doveva condividerlo, così in quegli ultimi giorni è solo sopravvissuta ad esso e non ha vissuto come avrebbe voluto. Purtroppo l’ha capito troppo tardi… -.

- Ora credo di cominciare a capirla meglio… - afferma tristemente Luca.

- Capisco che sia difficile e che tu possa anche essere arrabbiato con lei, ma, se questo ti può consolare, lei non ti ha mai dato alcuna colpa per quanto successo e non ha mai smesso di amarti. – lo rincuora dolcemente il sacerdote.

- Grazie, don. – il giovane gli rivolge un pallido sorriso, per poi scuotere la testa, come se si fosse appena ricordato qualcosa d’importante.
- Hai ancora quel CD? -.

- Certo. Ora te la senti di prenderlo? – gli chiede l’uomo, alzandosi in piedi e mettendosi a frugare in un cassetto.

- Non so se sono ancora pronto per ascoltarlo, ma prima o poi dovrò trovare la forza di farlo e, prima che cambi idea, è meglio che lo abbia a portata di mano. – risponde lui, tormentandosi l’orlo della felpa con le dita.

- Tieni. – il don gli porge il CD – E, mi raccomando, ascoltalo fino alla fine. – gli suggerisce con un occhiolino.

- Cosa intendi? – domanda Luca confuso. In fondo lo ha già sentito al funerale…

- Intendo dire che forse quella che hai sentito tu non era la vera conclusione della registrazione. -.
Il ragazzo prende in mano il CD, osservandolo tristemente. Il prete invece guarda l’essere fragile, spezzato, davanti a lui, che sta cercando pian piano di raccogliere i cocci della propria vita per riattaccarli insieme, in qualche modo. 
- Senti, Luca… - incomincia infine in tono serio – So che hai deciso di abbandonare la musica… - il suo giovane ospite corruccia la fronte in un’espressione frustrata -  Ma onestamente penso che sia ciò di cui hai maggiormente bisogno. So anche che è il metodo più difficile e doloroso, perché è l’elemento che ti lega a Clara al di sopra di qualunque altro e perciò ti mette davvero davanti a lei, totalmente scoperto, la rende più concreta; ma d’altra parte solamente affrontando questa paura, potrai accogliere in te il dolore, trasformandolo in luce, ricordo e rinascita. – e detto ciò gli appoggia, con affetto paterno, una mano sulla spalla.
Luca cerca di farsi piccolo, piccolo nella sua carezza, senza proferire alcuna parola.
- Bene, direi che ti ho rubato abbastanza tempo. Dovrai studiare, immagino. Ma lascia che ti lanci un ultimo invito: hai detto di voler capire di più Clara… Perché non conosci i suoi amici, il gruppo Giovani? Venerdì prossimo ci troviamo in chiesa per l’Adorazione. Se vuoi venire, siamo lì. -.
Luca annuisce, poco convinto, per poi ringraziare il don per la sua disponibilità e congedarsi. Uscendo dall’edificio deve sedersi un attimo su una panchina a riprendere il fiato, è stata una conversazione decisamente intensa. Appoggia la testa contro il muro retrostante, chiudendo per un attimo gli occhi. Quando li riapre per poco non si lascia sfuggire un verso di spavento: davanti a lui c’è una ragazzina, sbucata da non si sa bene dove, che lo sta scrutando attentamente.

- Ehm, hai per caso bisogno di qualcosa? – prova a chiederle.

- Tu eri il ragazzo di Clara. Ti ho sentito cantare al suo funerale. – afferma lei, ignorando del tutto la richiesta.

- Sì, sono io. Tu invece devi far parte del gruppo di preadolescenti di cui si occupava lei… -.
La ragazzina annuisce.
- In realtà la conoscevo già da prima delle medie. Mi ha fatto d’animatrice fin dalle elementari e anche da catechista. – spiega sorridendo, poi punta i propri occhietti vispi di nuovo sul ragazzo, squadrandolo per bene.
- Perché sei così triste e tetro? -.

- Tetro? – Luca la guarda interrogativamente.

- Sì, come se una cappa nera ti avvolgesse, o nuvola piena di pioggia ti seguisse ovunque… Stai ancora male per Clara? Perché? – chiede stupita.

- Beh, era la mia ragazza, le volevo molto bene… - cerca di spiegare il giovane, non capendo perché dovrebbe giustificare la propria tristezza.

- Anch’io le volevo bene, mi manca tanto, ma, se lei fosse qui, mi sgriderebbe vedendomi tutta triste. Cercherebbe di tirarmi su il morale. Il modo migliore per dimostrare quanto effettivamente ci tengo a lei è sorridere, non farmi abbattere da nulla ed essere felice. Dovresti provare anche tu. – e senza dire altro, neanche un ciao, com’è arrivata la ragazzina se ne va, trotterellando verso la carrucola.

Luca rimane a fissarla sbigottito: “Fantastico… Una preadolescente sa rispettare meglio di me delle promesse, senza neanche averle fatte.”.

Angolo dell'Autrice
Buonasera!
Finalmente questa chiacchierata più onesta è avvenuta. Avrà aiutato Luca? E lui avrà davvero detto tutto al don? Il prossimo capitolo sarà una grande batosta per il protagonista, più forte anche del pugno di Marco...
Buona lettura!
Marta

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - If I die young ***


Capitolo 5 – If I die young


È venerdì sera, una settimana esatta dopo il colloquio con il don, e Luca si trova davanti ad una piccola chiesa sul lungolago di Luino, indeciso se entrare o meno, continuando a guardare il proprio cellulare con nervosismo. All’improvviso una mano si posa sulla sua spalla:

- Ehi, cosa ci fai qui fuori al freddo? Perché non sei ancora entrato? – gli chiede Marco.
Effettivamente fa davvero molto freddo, il fiato si trasforma in nuvolette bianche, le mani si fanno di ghiaccio, mentre guance e naso si colorano di un rosso acceso. L’inverno si fa sempre più vicino, eppure Luca non vi fa caso, forse perché per lui è già arrivato da diverso tempo, è oramai l’unica stagione che abita il suo cuore.

- Io… - balbetta il ragazzo a disagio – Io non li conosco. Non sono ancora sicuro che sia stata una buona idea venire… -.

- Luca… - sospira l’amico, alzando gli occhi al cielo – Non ti mangiano, sai?! Anzi, non vedono l’ora di conoscerti. -.
È stato proprio Marco a convincerlo ad andare in chiesa quella sera. Non avrebbe mai immaginato che il suo migliore amico avesse cominciato a frequentare il gruppo giovani… E, invece, lo aveva stupito ancora una volta, senza però spiegargli come ciò fosse accaduto.
Ora, osservandolo alla luce calda proveniente dall’interno della chiesa, Luca fa fatica a riconoscere pienamente il ragazzo che ha di fronte: il suo sguardo brilla di una determinazione e di una pace che non erano mai stati suoi prima di allora. Non che fosse una persona insicura, proprio no, anzi, forse anche eccessivamente. Lei, quando parlava di lui, di come era cambiato nel corso degli anni, diceva che era diventato egocentrico e narcisista, troppo distante dal ragazzo che era stato il suo primo amore. Eppure non aveva mai smesso di volergli bene e preoccuparsi per lui.
Sicuramente, vedendo questa nuova versione di Marco, ne sarebbe stata fiera.
 Luca sorride malinconicamente, mentre l’amico gli lancia uno sguardo preoccupato.

- È tutto a posto? – chiede.

- Sì, tranquillo. Ma non sono ancora convinto di questa faccenda. Insomma, non sono mai stato il tipo da preghiera o cose del genere. Non so cosa dovrei fare… -.

- Anch’io all’inizio non ero affatto sicuro di cosa stessi facendo, ma non me ne sono mai pentito. Credimi, ti sarà utile e gli altri ti accoglieranno a braccia aperte. Non devi fare grandi cose: basta che rimani in silenzio e il resto verrà da sé. Ti dò solo un ultimo avvertimento: la prima volta… beh… Può essere dura. Io ho pianto parecchio. – confessa Marco con grande imbarazzo – Allora, entriamo? – si riscuote immediatamente.

- Va bene. – sospira Luca con rassegnazione.

L’interno della chiesa li accoglie con un gradito calore ed un ovattato silenzio, riempito dal lieve sussurrare dei giovai. Sono una decina, sparsi sulle prime panche, che non appena vedono entrare i due ragazzi, salutano calorosamente Marco e sorridono con la stessa familiarità anche a Luca, il quale davvero non ha idea di come comportarsi. Fra i vari volti riconosce le sue amiche, che lei gli aveva presentato alla festa di Capodanno e che saluta timidamente; e il fratello maggiore, nel cui sguardo nota una punta di sorpresa nell’incontrarlo lì. Lui era molto geloso e protettivo nei confronti della sorella, che aveva sempre mascherato con una certa indifferenza verso i suoi ragazzi e così era stato anche per lui, ma ora il giovane gli si avvicina e, con un sorriso tirato, gli dà una leggera pacca su una spalla, senza dire una parola, per poi tornare immediatamente alla sua chitarra. Alla vista dello strumento Luca sente l’insostenibile desiderio di toccarne le corde con le dita, ma stringe i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi - la terribile abitudine di tenerle leggermente lunghe per suonare non era ancora scomparsa -, e volge gli occhi dalla parte opposta. Il don è sull’altare ad accendere le candele e, appena si accorge della sua presenza, il suo sguardo si illumina di gioia.
I due ragazzi si siedono su una panca vuota.
Poco dopo l’adorazione ha inizio.

L’arpeggio della chitarra riempie la chiesa, mentre un coro di giovani voci si leva limpido e il prete sale sull’altare, ponendo il Santissimo sulla mensa.
Ancora una volta Luca deve stringere i pugni e mordersi la lingua per resistere al richiamo della musica.
Tutti si inginocchiano, il ragazzo li imita, alza lo sguardo su quella semplice e, apparentemente, insignificante ostia rotonda posta nell’ostensorio dorato, senza ben comprendere cosa vi sia di così sconvolgente nel restare lì imbambolati davanti a quella “cosa”. Guarda l’amico al suo fianco, sperando in una qualche indicazione o spiegazione, ma lui, con il capo chino, gli occhi chiusi e le mani giunte, è immerso in una silenziosa preghiera.
“Starà parlando con lei?” si chiede Luca e per un attimo si sente impossessare da un’insensata gelosia, rimproverandosi immediatamente per le stupidaggini che gli riempiono il cervello.
Rivolgendo nuovamente gli occhi all’altare, la sua mente ritorna indietro nei mesi al ricordo di una conversazione avuta con lei poco dopo prima di Natale…
Gli aveva spiegato come proprio un momento di Adorazione, mentre era in montagna come educatrice dei preadolescenti, avesse totalmente stravolto la sua vita, o meglio, devastato, per usare le sue esatte parole.
- Può sembrare negativo come termine, ma non ne trovo un altro abbastanza esplicativo. – aveva cercato di spiegare, davanti alla sua espressione confusa – Tutto ciò che pensavo di me stessa, tutte le mie convinzioni, i miei pensieri, sono crollati come un castello di carte. L’immagine che avevo di me si è rivelata essere solo un patetico cartonato, una maschera indossata per così tanto tempo da convincermi che fosse vera, da dimenticarmi cosa, o meglio, chi ci fosse sotto. -.
Era bastata mezz’ora nel silenzio per ribaltarla completamente e farle decidere di dare una svolta alla propria vita. Il tempo del vittimismo era finito: era ora di rialzarsi in piedi e volare alto, senza più alcuna paura di mostrare se stessa al mondo.
- C’è stato un momento in cui l’ho sentita… La Sua voce nella mia testa che mi diceva che, nonostante mi sforzassi di ignorarla, la mia più grande paura, che il mio cuore nascondeva, non era altro che io stessa. – gli aveva confessato, con gli occhi ancora luccicanti di lacrime al ricordo – Lo so che posso sembrare una pazza. Cavolo, sto dicendo di aver sentito le voci! Ma non me ne vergogno assolutamente. La mia Fede è qualcosa che, soprattutto negli ultimi anni, è diventato sempre più parte di me, in modo assolutamente inscindibile. Se non ne parlassi, se non comunicassi la gioia che Essa mi dà, farei un torto a me stessa, non sarei onesta con gli altri e nasconderei ancora una volta una parte di me. -.
Il suo sguardo, parlando di ciò, brillava di una felicità e di una commozione così vere…
“Ed io di cosa ho più paura?” si chiede Luca, senza smettere di fissare l’altare, come in trans. La risposta giunge fulminea alla sua mente, per un attimo il ragazzo ha la sensazione che qualcuno gliel’abbia sussurrata all’orecchio. Si guarda intorno, ma tutti sono seduti sulle panche, immersi nel silenzio dei propri pensieri. L’unico ancora in ginocchio è proprio lui. Lentamente si risiede e tira fuori dalla tasca della giacca il proprio cellulare. Appena tornato a casa dalla chiacchierata con il don aveva scaricato sul cellulare la famosa registrazione, senza avere il coraggio di ascoltarla. Ora però gli sembra il giusto momento per farlo: attacca gli auricolari al telefono, per poi infilarseli nelle orecchie. Infine, con mani tremanti, preme il tasto di avvio e immediatamente la sua dolce voce si riversa dentro di lui, come sorgente di calore.


If I die young bury me in satin
Lay me down on a bed of roses
Sink me in the river at dawn
Send me away with the words of a love song
Uh oh uh oh

Lord make me a rainbow, I'll shine down on my mother
She'll know I'm safe with you when
She stands under my colours, oh and
Life ain't always what you think it ought a be, no
Ain't even grey, but she buries her baby
The sharp knife of a short life,
Well, I've had just enough time

If I die young bury me in satin.
Lay me down on a bed of roses
Sink me in the river at dawn
Send me away with the words of a love song

The sharp knife of a short life,
Well I've had just enough time

And I'll be wearing white when I come into your kingdom
I'm as green as the ring on my little cold finger
I've never known the lovin' of a man
But it sure felt nice when he was holding my hand
There's a boy here in town says he'll love me forever
Who would have thought forever could be severed by

The sharp knife of a short life,
Well I've had just enough time

So put on your best boys and I'll wear my pearls
What I never did is done

A penny for my thoughts, oh no I'll sell them for a dollar
They're worth so much more after I'm a goner
And maybe then you'll hear the words I been singin'
Funny when you're dead how people start listenin'

If I die young bury me in satin
Lay me down on a bed of roses
Sink me in the river at dawn
Send me away with the words of a love song
Uh oh (uh oh)

The ballad of a dove
Go with peace and love
Gather up your tears, keep 'em in your pocket
Save 'em for a time when your really gonna need 'em oh

The sharp knife of a short life,
Well I've had just enough time
So put on your best boys, and I'll wear my pearls

È identica a come se la ricordava… Nelle parti più basse la sua voce è calda e morbida, mentre nelle note alte è così limpida e cristallina da portarti con lei su cime inesplorate. E le emozioni di cui è pregna risuonano nella mente di Luca come chiare parole. Il canto era sempre stato il suo linguaggio, un modo diretto per comunicare con il cuore delle persone e fino alla fine non si è voluta smentire.
Può addirittura immaginarsela mentre seduta sul suo letto registra la canzone, ad occhi chiusi, levando il volto verso l’alto, mentre una lacrima scende piano, fino ad accarezzare le sue labbra, piegate in un sorriso.
Di riflesso sorride anche lui quando l’ultima nota si spegne, ma il sorriso si tramuta in stupore dopo pochi secondi, nel momento in cui risente la sua voce rivolgersi proprio a lui:

“Luca, se tu ora stai sentendo questa registrazione è perché io non ci sono più. Spero di essere riuscita a rivelarti delle mie condizioni, di aver potuto parlare con te e di averti avuto accanto mentre me ne andavo. È un desiderio egoista, lo so. Non augurerei mai a nessuno di trovarsi accanto ad una persona in quel momento, ma la mia paura è troppo grande per affrontarla da sola. Probabilmente questo non te lo avrò detto: avrò sorriso, avrò cercato di sembrare forte per te. Spero di averti detto di non smettere assolutamente di cantare… - il respiro di Luca si blocca – Se non l’ho fatto, te lo dico adesso: canta, studia, ama, vivi! Fallo, ti scongiuro! Non buttare in un cestino la possibilità che ti è data! Probabilmente tu ora mi odierai, sarai arrabbiato… Ne hai tutto il diritto, ma non usare questo come una scusa per mollare tutto.
Lo sai, quando ti ho raccontato della mia prima Adorazione, non ti ho detto una cosa fondamentale: per tanto, troppo tempo, ho visto in me solo difetti e imperfezioni e per questo mi condannavo continuamente, mi sentivo totalmente inadeguata alla vita che mi era stata donata. Quella sera ho compreso che la mia definizione di perfezione era totalmente sbagliata! La mia bellezza era costituita proprio da quelle mie cicatrici, dalla mia storia, dalla mia sofferenza, trasformatasi in una luce così luminosa da illuminare tutti i miei angoli più oscuri, rendendoli splendidi capolavori.
Dalla prima volta in cui ti ho visto, in cui ho posato il mio sguardo sui tuoi occhi, ho capito che tu avevi già in te quella bellezza in una forma così pura da rendere inevitabile che fossi attratta da te. Eppure tu non l’hai ancora scoperta, nonostante la gioia che emani costantemente, non te ne rendi conto. Ora quella bellezza ha subito delle ferite profondissime, l’emorragia sembra ancora incontenibile, ma, credimi, si rimargineranno. Tu trasformale in feritoie da cui far entrare la luce, falla penetrare fino al cuore del tuo dolore, vivilo fino in fondo, conosci, accetta ed ama le tue cicatrici e i miei amatissimi Occhi di Cielo ritorneranno a brillare. Non sarai solo, mai. Ti sarò sempre accanto, non dubitare di ciò. Sarò dentro di te ed ogni volta che mi cercherai, mi troverai lì. Non ti abbandono, Luca.
Penso di aver parlato anche troppo… - la sua lieve risata fa stringere il cuore del ragazzo, il quale vorrebbe continuare ad ascoltare la sua voce all’infinito – Ma prima di chiudere la registrazione voglio cantarti un’altra canzone. Esprime ciò che ho provato in queste settimane, in cui, da testarda quale sono, ho tenuto per me tutto questo dolore, la nuvola scura della morte, che non volevo macchiasse il tuo cuore puro… Penso che ora questo brano riassuma bene anche ciò che provi tu. -.

Ed ancora una volta Luca si lascia avvolgere dalla sua voce, che lo riporta a quelle terribili settimane… L’incidente, il coma, la gioia per il suo risveglio, subito sostituita dalla rabbia, la tristezza e la confusione per la sua decisione di lasciarlo; le giornate a scuola trascorse a guardarla da lontano, cercando di tirarle fuori delle spiegazioni, ma venendo continuamente respinto; le prove del musical, le parole di quelle canzoni che sembravano raccontare perfettamente i loro pensieri e sentimenti; infine, lo spettacolo, la rivelazione delle sue condizioni disperate e l’atroce dolore di vederla morire davanti ai suoi occhi.
Luca conficca sempre più a fondo le unghie nei palmi delle mani, serra le palpebre, lottando contro quei sentimenti contrastanti che spingono per uscire tutti in una volta, per potersi finalmente manifestare, ma il ragazzo non vuole, non è ancora pronto, e li sotterra nell’angolo più nascosto della sua anima.
La sua voce, quelle parole, cercano di metterlo con le spalle al muro, scavano dentro di lui. Più lui sotterra, più loro cercano di tirare fuori. Al termine del brano, il giovane sente una goccia di sudore scendergli giù per il collo, ha il respiro corto, come se avesse corso i 100 metri.
Tira un sospiro di sollievo, ma le emozioni non sono ancora finite…

“Ah, mi sono dimenticata una cosa importante: amore mio…” Luca sgrana gli occhi, mentre la registrazione termina ed il silenzio ripiomba su di lui come un macigno.
Non ha neanche il tempo materiale per permettere alla propria mente di registrare le sue ultime parole, che il don sale nuovamente sull’altare per la benedizione finale e la reposizione del Santissimo. Un nuovo canto riempie la chiesa, rompendo definitivamente il silenzio, ma il ragazzo non lo sente. Non sente assolutamente nulla. Guarda fisso davanti sé, gli occhi come nubi burrascose, che riflettono perfettamente il turbine di pensieri che lo stanno assalendo. Un altro punto si è aggiunto alla promessa, un altro punto che non è ancora in grado di mantenere.

Angolo dell'Autrice
Buonasera a tutti!
Questo capitolo, oltre a rappresentare un'altra bella mazzata per Luca, è anche un po' particolare per me...
Quando scrivo non posso mai fare a meno di metterci qualcosa di mio e questa volta lo ritroviamo sia nei flashback di Luca, sia nelle stesse parole di Clara, e rappresenta un po' quella che si potrebbe definire la mia "epifania" o "moment of being" (tanto per citare Virginia Woolf...).
Chissà da adesso in poi come si evolverà la situazione... Manca ancora un "piccolo" ostacolo...
Buona lettura!
Marta
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Un amico in me ***


Capitolo 6 – Un amico in me

- Ehi, Luca? Stai bene? – Marco lo sta scuotendo per una spalla con espressione preoccupata.

- Io… Che succede? – Luca batte più volte le palpebre, come appena svegliatosi da un incubo, guardandosi intorno sperduto. Gli altri giovani presenti all’Adorazione si sono alzati dalle panche e si stanno dirigendo all’uscita della chiesa chiacchierando allegramente.

-Dovrei chiederlo io a te. Avevi lo sguardo fisso e non mi rispondevi. Sembrava che stessi per svenire… Mi hai fatto spaventare! – gli spiega, stringendogli una spalla, come per accertarsi che non gli cada davvero svenuto davanti agli occhi.

-Scusa. Stavo solo pensando ad alcune cose e ho perso la percezione del tempo e dello spazio. Ma sto bene, non preoccuparti. – cerca di rincuorarlo.

- Meno male… - sospira l’amico sollevato – Dai, usciamo. Gli altri saranno già in oratorio per bere qualcosa. Vieni con me, così te li faccio conoscere per bene. – e senza aspettare una risposta lo ha trascinato fuori dall’edificio, fino alla macchina.

Il freddo si è fatto ancora più pungente, il cielo è livido, come se le nuvole fossero cariche di neve in procinto di cadere lievemente al suolo. Luca lo guarda, con le mani infilate nelle tasche.
Sono davanti al cancello dell’oratorio e lui si è bloccato davanti ad esso, chiedendosi ancora una volta cosa ci faccia in quel posto… Dopo ciò che aveva sentito quella sera, dopo ciò che lei gli aveva detto, come poteva meritarsi di essere avvolto da quell’allegria e quell’infinito affetto che era già riuscito a percepire in quei brevi momenti in chiesa?
Marco attende paziente a pochi passi da lui. Sa che deve essere successo qualcosa di sconvolgente durante l’Adorazione, se lo immaginava. Se fatta seriamente può portare a risultati inaspettati, spesso profondamente dolorosi… In quel silenzio, nonostante si abbiano persone intorno, in realtà si è da soli davanti a Dio e a sé stessi, che forse è addirittura peggio. Non si può mentire come si fa quando si è insieme ad altre persone e Luca lo sta facendo già da troppo tempo. Lui lo ha visto sfiorire davanti ai propri occhi, sotto il peso del dolore, della falsa indifferenza e della rabbia, esattamente come lei durante le settimane dopo l’incidente… Questa volta non avrebbe permesso che se ne andasse anche lui. Non avrebbe mai potuto sopportarlo.

-Luca. – sussurra infine, avvicinandosi all’amico – Lo so che ti ho trascinato io qui a forza e che tu non ne sei convinto, ma non lo avrei mai fatto se non fossi sicuro che loro ti saranno di grande aiuto. Come lo sono stati per me. -.

Luca abbassa lo sguardo, fissandolo con espressione interrogativa su Marco:
- In che senso sono stati un aiuto anche per te? -.

- Te ne parlo più tardi. Ora entriamo al caldo, che qui si congela. Il don avrà già preparato una camomilla bollente per tutti. – l’amico gli dà una pacca sulla spalla e lo spinge delicatamente all’interno dell’edificio.

Appena attraversata la soglia dell’oratorio, li accolgono risate e chiacchiere rumorose. Dalla porta del bar esce trotterellando Marcellino, che agitando la propria lunga coda da scoiattolo, si dirige verso Luca, strusciandosi contro la sua gamba a mo’ di saluto.

- A quanto pare tu gli stai simpatico. – un gruppetto di giovani è uscito dalla stanza e osserva sorridendo il comportamento del gatto del don.
- Ciao Marco! – salutano allegramente il suo migliore amico, il quale si è già tolto la giacca e si è accovacciato per prendere in braccio l’animale, che ora gli sta amorevolmente mordicchiando una mano.

-Ehi! Ciao anche a te ruffiano di un gatto! – esclama ridendo con innocenza. Luca è fermo immobile, con il piumino ancora allacciato, non sapendo assolutamente come dovrebbe comportarsi.

- Luca, ma cosa ci fai lì impalato?! Dai, appendi la giacca e vieni al bar a bere qualcosa di caldo così conosci tutti. -.
Dal gruppetto di giovani si fa largo una delle sue amiche, Cinzia, o almeno è quanto ricorda il ragazzo, che gli si avvicina e lo invita ad unirsi al gruppo. Velocemente si sveste ed entra nel bar, dove tutti lo accolgono calorosamente, con pacche, strette di mano, gli viene messa in mano una tazza di camomilla da qualcuno di cui non riesce ancora a ricordare il nome – gli si sono presentati in troppi –, tutti gli fanno domande, ridono, fanno battute, si punzecchiano, ma è evidente l’affetto e la stima che li lega l’uno all’altro.
Sorseggiando la propria tisana bollente, Luca si rende conto di quanto poco tempo ci abbia messo per sentirsi a proprio agio in quel luogo, qualcosa che non gli succedeva da davvero molto tempo. Riesce a comprendere pienamente come mai lei vi fosse tanto legata… Per la prima volta dopo mesi negli occhi di quei ragazzi non ha visto pietà o compassione per lui, non hanno dosato le parole, non lo hanno trattato come se fosse un vaso di cristallo in bilico sul bordo di un tavolo, come il povero adolescente in lutto per la morte della propria ragazza, ma semplicemente come Luca, con rispetto, ovviamente, però in modo spontaneo e genuino. In quegli occhi ha visto un calore inspiegabile per quei pochi minuti di conversazione, come se l’affetto che loro provavano per lei si fosse automaticamente riversato anche su di lui.

Il don per tutto il tempo si è destreggiato fra camomilla, gatto e ha cercato di parlare un po’ con tutti, guardando sempre con la coda dell’occhio Luca, cercando di capire come si sentisse in quella situazione.
Si avvicina sorridendo a Marco, in quale è intento anch’egli ad osservare l’amico chiacchierare con altri giovani.

- Allora come se la sta cavando? – gli chiede il prete.

- Sembrerebbe bene, mi sembra a suo agio e più sereno del solito. È stata una buona idea farlo venire qui. – risponde il ragazzo, addentando una fetta di crostata al cioccolato.

- E l’Adorazione? -.

- Credo che abbia avuto il suo effetto. Ma non so dirti se in negativo o in positivo. Sicuramente è stata una bella batosta… Alla fine ho avuto l’impressione che stesse per piangere, ma è da prima del funerale che non versa una lacrima… - commenta grattandosi la nuca pensieroso.

- Davvero? Da così tanto? – chiede stupito il sacerdote.

Marco annuisce:
- Impressionante come sia identico alla Clara delle ultime settimane… -.

- Già. – sospira l’uomo – Se tutto questo avrà l’esito che speriamo, quando scoppierà sarà davvero molto molto doloroso. -.

- Non più di quanto non sia già, don. Qualunque cosa sarebbe meglio del male che si sta autoinfliggendo. Finché non lo rivedo fare ciò che entrambi amavano così tanto, non considero la mia promessa mantenuta. – dice il giovane con determinazione, puntando ancora una volta gli occhi sull’amico.

- Staremo a vedere. D’ora in poi dipende soprattutto da lui. Più che stargli accanto ed ascoltarlo, non possiamo fare molto altro… Ora penso che andrò a scambiare quattro parole con lui… - e dopo aver dato un’affettuosa pacca sulla schiena a Marco, il don si dirige dalla parte opposta della stanza, dove Luca ha appena salutato due ragazzi e sta appoggiando la tazza vuota su un tavolo.
Voltandosi nota la figura del sacerdote avvicinarsi a lui e gli sorride cordialmente:
- Ciao don. – lo saluta con semplicità.

- Ciao! Tutto bene? Come ti stai trovando in questa gabbia di matti? – gli chiede lui ridacchiando.

- Inaspettatamente bene, direi. Sono tutti molto gentili con me, anche se non mi conoscono affatto… -.

- In realtà un pochino ti conoscono. Sanno ciò che raccontava Clara di te. – gli spiega l’uomo.

- Parlava di me? – domanda Luca stupito.

- Continuamente. – risponde il don sorridendo, ma abbassando gli occhi sulle mani del ragazzo la sua espressione muta radicalmente – Cosa sono quei segni? Ti sei tagliato con qualcosa? – chiede allarmato.

Luca si guarda i palmi confuso e strabuzza gli occhi non appena si rende conto di aver stretto i pugni così forte e a lungo da far fuoriuscire delle piccole gocce di sangue e lasciare piccoli, ma profondi solchi.

- Io… Non me n’ero proprio accorto… - mormora imbarazzato.

- Vieni con me in ufficio a farti disinfettare e a mettere due cerotti. – ed il ragazzo segue docilmente il prete all’interno della segreteria dell’oratorio. Da un armadietto l’uomo tira fuori un cassettina del pronto soccorso ed incomincia a medicare Luca, esattamente come se fosse uno dei tanti bambini che in oratorio ruzzolano per terra mentre giocano, sbucciandosi le ginocchia.
- L’adorazione invece com’è stata? Qualcosa di troppo strano per te? – il don rompe il silenzio creatasi, mentre con un batuffolo di cotone pulisce e disinfetta le piccole ferite.

- Di sicuro è stato strano… Inaspettato forse è la parola più esatta. Sia lei che Marco me ne avevano parlato, ma finché non lo provi di persona non ne puoi neanche immaginare l’effetto… - dice come sovrappensiero il giovane.

- Questo significa che allora qualche effetto c’è stato, o sbaglio? – domanda a bruciapelo il sacerdote.

- Ho ascoltato la registrazione… Fino in fondo. – confessa Luca in un soffio.
Il prete interrompe immediatamente il proprio lavoro, fissando seriamente il proprio sguardo su quei tristi, ma comunque stupefacenti, occhi.

- E… - cerca di incoraggiarlo.

- Ed è stata una bella batosta, peggio di qualunque pugno Marco mi possa dare. Mi ha ricordato che ho fatto una promessa che non ho assolutamente mantenuto e lei mi ha chiesto altro… Ma se lasciassi che mi accadesse io non so se sarei mai in grado di fermarmi…-  le mani del ragazzo incominciano a tremare – Mi sento così in colpa e sono ancora così arrabbiato… -.

Il don lo prende per le spalle e gli sorride paternamente, cercando di calmarlo:
- Luca, stai tranquillo. Va tutto bene. Non sei da solo, ok? Tutto questo lo puoi affrontare, hai tutta la forza necessaria per farlo, ma un passo alla volta. Fino ad una settimana fa non mi avresti mai detto qualcosa del genere! Se non è un progresso questo! Capisco che tu ti senta in dovere di rispettare la parola data, ma Clara non ti ha dato un tempo limite, una data di scadenza. Puoi soffrire, devi! -.
Dopodiché l’uomo prende due cerotti e delicatamente li applica sulle mani del giovane, il quale è rimasto in silenzio, con gli occhi bassi.
Dopo aver finito il don rimette tutto in ordine ed infine mette una mano sulla spalla di Luca:
- Questa sera ti ho visto più sereno. Se ti aiuta perché non incominci a frequentare il Gruppo Giovani, come Marco e ad aiutarmi per qualche lavoretto qua in oratorio. C’è sempre tanto da fare da queste parti e distrarti un po’ ogni tanto da questi pensieri e dallo studio matto e disperatissimo della quinta non può che farti bene. Pensaci, ok? -.
Il ragazzo annuisce, sorridendo debolmente.

I due, poco dopo, rientrano nel salone, dove vengono accolti da commenti concitati:
-Finalmente siete tornati! – esclama un giovane allegramente – Stavamo pensando di cantare qualcosa e visto che Clara ci ha raccontato che suoni e canti così bene, potresti accompagnarci al piano e farci sentire qualcosa. – l’invito è accompagnato da altre esortazioni entusiaste, ma Luca si sente morire dentro.
Ad un’estremità della sala vi è un pianoforte a muro, che il ragazzo non aveva assolutamente notato prima, poiché coperto da un telo.
Lo fissa stralunato, senza riuscire a dare una risposta, mentre lentamente cala il silenzio all’interno del bar…
- Io… - tenta di giustificarsi, ma le parole rifiutano di lasciarsi articolare. Alla fine, non trovando altra via d’uscita, Luca si volta e si precipita all’esterno dell’edificio.

Il don fissa il ragazzo colpevole del misfatto con sguardo a dir poco contrariato, sotto il quale lui non può fare altre che abbassare le orecchie come un cane bastonato.
- Troppo presto? – bofonchia.
Il prete sospira, passandosi una mano sul viso esasperato.
- Meglio che vada da Luca. – dice Marco, guardando l’uomo in cerca di un segno di assenso.

- Sì, vai tu. Deve avere avuto un piccolo attacco di panico… Assicurati che stia bene e scusati da parte di tutti noi per favore. -.
Il giovane annuisce ed esce dalla stanza alla ricerca dell’amico.

Lo ritrova all’esterno, nel cortile, seduto su una panchina, senza giacca in quel freddo intenso, spalle appoggiate al muro e capo rivolto verso il cielo. Gli si avvicina con cautela, senza riuscire a comprendere se lui ha notato la sua presenza o meno.

- Luca, stai bene? – gli chiede infine.

- Scusatemi… Non dovevo scappare così, ma non ce l’ho fatta. Non so perché ho reagito così invece di dire un semplice no, non l’avevo mai fatto prima. – si giustifica il ragazzo, continuando a tenere gli occhi fissi verso l’alto.

Marco si siede al suo fianco e gli porge il piumino. Luca abbassa lo sguardo su di esso con sorpresa: non si era accorto di essersene dimenticato, fino a quel momento non aveva fatto caso alla temperatura. Indossa la giacca, mormorando un ringraziamento all’amico.

- Non devi scusarti. Siamo noi a doverlo fare… Io e il don ci siamo dimenticati di avvisare gli altri di questa tua scelta. Non è stato fatto con malizia, affatto, semplicemente non potevano saperlo. -.

- Lo so, non preoccuparti. Non sembrano proprio i tipi da fare scherzi del genere, o non sarebbero stati tanto cari a lei. – sorride lievemente Luca.

- Hai ragione. Sono persone speciali… - commenta Marco con dolcezza.

-Ma come lei hai conosciute? Anche nel tuo caso c’è stato lo zampino del don? – domanda l’amico con curiosità.

- Quello c’è sempre, ovviamente. – il giovane ridacchia, per poi assumere la stessa identica posizione dell’altro. E mentre i suoi occhi guardano assenti l’oscurità che li circonda, la mente vaga nei ricordi.
- Dopo la morte di Clara è stato difficile anche per me… Molto difficile. Mi sentivo così in colpa per il modo in cui l’avevo trattata a suo tempo ed un totale fallito per averla allontanata da me. Lei era così luminosa… - i suoi occhi diventano lucidi, mentre continua a raccontare – Anch’io ho pensato di non essere in grado di mantenere la mia promessa, era complicato il solo alzarsi dal letto, figuriamoci tenere testa a te. – tira una leggera spallata all’amico, il quale sorride malinconicamente – Ma proprio in quel momento il don mi ha contattato, mi sono fidato, memore dell’affetto di Clara per lui, e mi ha introdotto a questo gruppo di matti. Devo molto sia la don che a tutti loro: ho ricominciato a respirare e mi hanno dato la forza necessaria per reagire al dolore, trasformandolo in spinta per aiutare anche te. -.

- Non avevo idea di quanto avessi sofferto anche tu… Mi dispiace per come ti ho trattato, per le cose che ho detto. Sono stato uno stronzo. – si scusa mestamente Luca.

- Già, lo sei stato. E se te lo dice il maestro per eccellenza… -.
I due ragazzi scoppiano a ridere, finché Luca non ritorna a guardare con serena serietà Marco.

- Non sei più quel ragazzo, Marco. Lei sarebbe davvero fiera di te. -.

- E sarebbe felice anche di vedere qua te. – ribatte l’altro, cercando di nascondere una piccola, calda lacrima sfuggita dai suoi occhi.
Luca sorride comprensivo e ritorna a guardare il cielo per non far sentire l’amico a disagio.

- Il don mi ha proposto di frequentare l’oratorio e il Gruppo Giovani. -.

- E cosa intendi fare? – chiede Marco con curiosità.

- Secondo te cosa dovrei fare? – domanda il ragazzo, sospirando.

- Non sta a me dirti che cosa fare. Se pensi che ti possa aiutare, fallo, altrimenti no. – dicendo ciò gli appoggia una mano su una spalla, stringendogliela.

- Non so se lei te lo ha mai raccontato, ma un volta, poco dopo che vi siete lasciati, lei è stata così male da avere un attacco di panico. – incomincia a parlare Luca di punto in bianco.

- Stai per caso cercando di farmi sentire ancora più in colpa? – commenta Marco in tono scherzoso.

- No, affatto. È solo che quando me lo ha raccontato, non riuscivo a capire come si potesse avere una reazione del genere, ma ora… Ho costantemente l’impressione di avere un attacco di panico, mi manca il respiro. Questa sera è la prima volta da tanto tempo che ho sentito i miei polmoni riempirsi e svuotarsi d’aria normalmente. Loro sono riusciti ad alleggerire per un po’ il peso che porto dentro. -.

-Per cui… - l’amico lo incoraggia a giungere ad una conclusione.

- Per cui penso che accetterò la proposta del don. -.

- Bene! – Marco si apre in un enorme sorriso – Vedrai, quando si hanno tante mani a cui aggrapparsi è più semplice tornare a galla. – e detto ciò i due rimangono in silenzio a guardare il cielo, mentre qualche lieve fiocco di neve comincia a cadere su di loro, come a sugellare nel suo bianco silenzio le loro parole ed il loro legame, profondo come mai era stato e il cui anello di connessione è quella ragazza che ha rubato e spezzato il cuore ad entrambi.

Angolo dell'Autrice
Buonasera!
Pian piano Luca, incosapevolmente, sta andando oltre il dolore che si porta dentro, lasciandosi sempre più guidare dalle persone che gli sono accanto e gli vogliono bene.
Il prossimo capitolo sarà uno dei più importanti!
Buona lettura e buon weekend! :)
Marta

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Qui dentro me ***


Capitolo 7 – Qui dentro me

È un sabato mattina assolato di fine febbraio.
Il don è seduto su una panca in una piccola ed antica chiesa, che si trova sul lungolago di Luino, con una vista splendida sul lago Maggiore. Non c’è da stupirsi se tante persone la scelgono per il proprio matrimonio…
L’orario delle confessioni è passato, la chiesa è vuota e il don si sta prendendo del tempo per considerare i propri pensieri in tutta pace, prima di chiudere tutto è ritornare in oratorio per il suo meritato pranzo in compagnia di Marcellino.
Ma, improvvisamente, una delle porte in legno massiccio si apre con un cigolio, una striscia di luce solare si affaccia timidamente all’interno del santuario e su di essa si staglia un’ombra femminile. Il don si volta verso il fondo della chiesa, sorridendo con serenità alla mamma di Luca.

- Stavo proprio pensando a tuo figlio. -.
La donna ride sommessamente, mentre guarda all’altare e si fa un segno di croce, per poi sedersi al fianco del sacerdote.
- Dà tanto da pensare a tutti quel ragazzo… - sospira – Ma sono felice che lo faccia qualcun altro oltre a me. -.

- La preoccupazione è compresa nel pacchetto dell’amore e dell’affetto e lui adesso ne ha tante di persone intorno a lui che hanno accettato di fare questo acquisto. – commenta l’uomo in tono scherzoso.

- E per questo non posso fare altro che ringraziarti. Se tu e Marco non aveste insistito tanto e non lo aveste portato a conoscere gli amici di Clara… Mi terrorizza pensare che cosa sarebbe potuto accadere… - le mani della donna hanno un forte ed istintivo tremore.
Il prete la guarda con paterna dolcezza, posando una mano sulle sue per frenarne il fremito.
- Non serve pensarci ormai. In questi mesi ha fatto molti passi avanti. Ha accettato la sfida e sta facendo tutto ciò che può, pian piano, per ritornare sulla strada giusta. Il problema è che non lo sta ancora facendo per sé stesso, ma per la promessa che ha fatto a Clara. È il senso di colpa per averla ignorata per tanto tempo che lo attanaglia in questo momento, anche se penso che ci sia anche qualcos’altro che non vuole dire… -.

- Ha incominciato a frequentare il Gruppo Giovani, l’oratorio, è andato con voi in montagna a Capodanno, si è messo a studiare seriamente, si è impegnato tanto anche nell’organizzare il Carnevale…Quando l’ho visto giocare e ridere con i bambini non potevo credere ai miei occhi. È più sereno, sorride, eppure… Ho paura che stia ancora girando intorno alla questione più importante, senza cercare di affrontarla. – spiega lei, non nascondendo nel proprio tono di voce una certa preoccupazione.

- È ciò che tutti pensiamo, ma non possiamo di certo costringerlo ad affrontarla, possiamo solo attendere che lo faccia da sé, fargli sapere che noi ci siamo se ne avrà bisogno e stargli accanto, dargli tutto il nostro sostegno quando il momento fatidico arriverà. -.

- Ma lui non canta, non suona, non piange, non è mai andato una volta al cimitero. È come se cercasse di evitare tutto ciò che lo metterebbe nelle condizioni di dire “Clara è morta”. Cerca di andare avanti come se nulla fosse, rimanendo in realtà fermo. – esclama esasperata.

- Posso solo immaginare quanto sia doloroso come madre vedere il proprio figlio in queste condizioni, ma non rimarrà per sempre così. Ci sta provando, lo sai, ce la sta mettendo tutta, ma bisogna dare tempo al tempo. Ferite di questo genere non si possono curare con la bacchetta magica. Ogni cellula deve rigenerarsi, riconnettersi alle altre e formare nuovi tessuti. Si può solo aspettare, con pazienza. -.

I due rimangono in silenzio per qualche minuto, con gli occhi fissi sull’altare e sugli affreschi segnati dal tempo. Le campane di mezzogiorno incominciano a suonare festose, metà giornata è già volata via ed è giunta ormai l’ora di mangiare qualcosa.
La donna si alza, fa nuovamente il segno di croce ed infine, con i piedi già rivolti verso l’uscita, si rivolge nuovamente al prete:
- Fra poco sarebbe stato il compleanno di Clara… Non sarà una giornata semplice per Luca. -.

- Hai ragione… Quella sera ci sarà un incontro del Gruppo Giovani. Magari è la giusta molla che gli darà la spinta per aprirsi ancora un po’ di più. E noi lo ascolteremo e gli staremo vicini come sempre. Non preoccuparti. – la incoraggia l’uomo, alzandosi per accompagnarla all’uscita.
- Facile a dirsi… - sospira lei di rimando.
Il don le apre la porta, il sole lo acceca e l’aria fresca gli riempie i polmoni, dopo ore passate là dentro. La donna si ferma davanti a lui, gli stringe una mano, sorridendo con gratitudine, per poi allontanarsi dalla sua vista, lasciando il sacerdote solo, davanti all’ingresso, con lo sguardo rivolto verso l’alto, come a chiedere un consiglio a Qualcuno che ne sa di più.


La sveglia suona, inesorabile e fastidiosa come tutte le mattine. Luca fa cadere pesantemente una mano su di essa per spegnerla. Con occhi ancora assonnati guarda la data sul display e per poco non si strozza con la sua stessa saliva. Si stropiccia gli occhi, credendo di aver visto male, ma quei piccoli numeri non hanno la benché minima intenzione di cambiare. Il ragazzo lascia ricadere la testa all’indietro sul cuscino e fissa il soffitto con occhi vacui.
“È già passato così tanto tempo…”.
Si mette seduto sul letto e dal soppalco guarda in basso, verso il pianoforte coperto.
“Quel giorno mi sono praticamente dichiarato, ma non è andata esattamente come speravo… - ride ripensando a come il suo cellulare avesse pensato bene di suonare proprio quando stava per baciarla.
“Non sono mai stato tanto in imbarazzo come in quel momento. Era il suo compleanno e volevo solo vederla felice, farla cantare e cantare con lei. Ora invece…”.
- Ah, basta! – esclama con tono esasperato – Se mi metto a pensare a queste cose finirò solo per deprimermi come al solito. Forza, Luca, alzati! – e detto ciò scende dal letto e si dirige in bagno.

Dopo mezz’ora è già fuori di casa, pronto ad affrontare una nuova giornata scolastica, facendo finta che non sia affatto un giorno particolare.
Davanti al suo cancello, però, trova, appollaiato sul muretto come un avvoltoio, in attesa, Marco, il quale, appena lo vede chiudersi la porta d’ingresso alle spalle, si rimette in piedi con un balzo e aspetta che l’amico lo raggiunga, sorridendogli in modo assolutamente anormale per qualunque essere umano al mattino presto.
“E al diavolo il voler fare finta di niente…” Luca sospira rumorosamente e guarda storto il proprio migliore amico.
- Eddai, cos’è quella faccia? Non sei contento di avere compagnia sulla strada verso quel luogo triste e polveroso chiamato scuola? – domanda allegramente il ragazzo.

- Pensi davvero che io creda che sia stato solo un caso che tu mi abbia fatto quest’improvvisata proprio oggi? – chiede per tutta risposta l’amico, cominciando ad incamminarsi, senza aspettare l’altro.

- Sono stato così un illuso da averci sperato giusto un pochino? – Marco gli corre dietro, mentre Luca alle sue parole alza gli occhi al cielo – Ok, ok, era scontato che tu lo capissi, ma almeno apprezza il gesto di profondo affetto che ho fatto per te. -.

- Adesso non fare il melodrammatico! – commenta l’altro ragazzo, guardando con la coda dell’occhio l’espressione da finto offeso dipinta sul viso di Marco – Certo che lo apprezzo, ma non ce n’era bisogno. La data nonostante tutto non cambia e, in fondo, è anche giusto che almeno oggi non combatta con i miei ricordi e lasci la mia memoria vagare un po’, per lei. – la serenità negli occhi di Luca sorprende l’amico, che, incoraggiato da ciò, prova a fare un’altra proposta…

- Senti, a proposito di ricordare… Io oggi pomeriggio andrò al cimitero, da Clara. Vuoi venire con me? -.

Lo sguardo di Luca si incupisce, come il cielo prima che scoppi un temporale. Immagini del funerale scorrono veloci nella sua testa. Ognuna è uno spillo che si diverte a punzecchiare dolorosamente il suo cuore e la sua mente. Il ragazzo stringe le palpebre, cercando di allontanare quei ricordi…
“Qualunque altro ricordo, ma non quello, non oggi.”.
- Penso che per stavolta passerò. – risponde infine in tono neutro – Riesco a ricordarla perfettamente senza vedere la sua tomba. – e detto ciò accelera il passo, lasciando dietro di sé il proprio migliore amico, il quale si sente un po’ colpevole di aver causato quel repentino cambiamento d’umore, proprio quando sembrava che Luca stesse affrontando nel modo giusto la giornata.

- Almeno stasera al Gruppo Giovani ci vieni? – domanda, alzando la voce per farsi sentire dal ragazzo che si sta allontanando sempre più da lui.
Luca alza solo un pollice in segno di assenso e Marco, rincuorato, corre verso di lui, chiedendosi cosa quella serata gli riserverà.


La giornata è assolata e nel cimitero si ode solo il lieve cinguettare degli passerotti, che, incoraggiati dal bel tempo, cantano allegri il prossimo arrivo della primavera. Volano leggeri da un albero all’altro, appoggiandosi ogni tanto su qualche lapide segnata dallo scorrere del tempo, dal vento e dalla pioggia; si guardano attorno, cercando di carpire con i propri piccoli occhietti neri qualche segnale di pericolo, oppure il movimento di qualche insetto commestibile, da portare ai propri piccoli, che li stanno aspettando affamati nel nido.
Ma uno scalpiccio sulla ghiaia spaventa gli uccellini, che decidono di cercare il pranzo altrove. Marco si ferma ad osservarli volare via, rimanendo per attimo a fissare il cielo azzurro, sgombro dalle nuvole.
Riscuotendosi dai propri pensieri si avvicina alla lapide che gli è così familiare: pietra bianca porosa, come quella del fratello di Clara, lì accanto; una piccola statua di un angelo ad occhi chiusi e la bocca semiaperta, le mani giunte e la testa piegata verso l’alto. A Marco è sempre piaciuto pensare che quell’angelo fosse Clara intenta a cantare anche nel posto dove ora si trova. Ai piedi della statua un vaso con dei fiori dall’aria un po’ sofferente: il ragazzo li prende e li getta nel bidone lì vicino, poi riempie un annaffiatoio e colma nuovamente il vaso di acqua fresca, per poi mettervi dentro i fiori che ha portato lui, margherite e lavanda, i preferiti di Clara. Il profumo della seconda impregna intensamente l’aria circostante e Marco chiude gli occhi beandosene per un istante.
- Buon compleanno Clara. - sussurra, sorridendo, mentre un raggio di sole illumina con riflessi dorati le sue iridi nocciola, da cerbiatto, come diceva sempre lei.
- Questa settimana sono venuto a trovarti in un giorno diverso da solito, ma non potevo non venirti a trovare proprio oggi. Hai visto? Ti ho portato un mazzo di fiori ancora più grande. Magari nei prossimi giorni passo a cambiare l’acqua per farlo durare un po’ di più del solito mazzo settimanale… - si ferma per un attimo, lasciando in sospeso il pensiero – Scusami, Clara. Non sono riuscito a portarlo qui… Non è ancora pronto ad affrontare… Questo. Lo capisci, vero? Ma sta bene, almeno credo, insomma, meglio di qualche tempo fa… Ha solo bisogno di ancora un po’ di tempo per prepararsi, non è certo facile la prima volta… -.
Una piccola lacrima fa capolino, mentre Marco ricorda la sua prima visita a quella tomba, il giorno dopo la prima Adorazione che gli aveva cambiato la vita, in cui l’aveva sentita, aveva percepito chiaramente il suo calore, che da allora non l’aveva più lasciato. Era terrorizzato dall’idea di trovarsi di fronte a quella lapide, alla prova inconfutabile che la sua Clara non c’era più, ed aveva pianto così tanto, buttando fuori tutti i suoi sentimenti, le sue paure ed i suoi dubbi. E così aveva cominciato a parlare con lei tutte le settimane, raccontandole dei suoi amici, della scuola, del musical e dei progressi di Luca.
- Sai, sono sicuro che manchi poco. Qualcosa mi dice che presto lo vedrai qui. Sta per succedere qualcosa di grosso… Meglio che vada, mi aspetta un incontro del Gruppo Giovani che si prospetta molto interessante. Ho l’impressione che stasera Luca avrà bisogno del sottoscritto, ma non preoccuparti, andrà tutto bene, ne sono sicuro! – esclama il ragazzo, sorridendo con ottimismo, per poi addolcire la propria espressione – Ci vediamo presto, Clara. Ti amo. – dice infine, baciando la punta delle proprie dita, appoggiandole poi su una guancia dell’angelo – Lo so che è una causa persa in partenza, ma la speranza è l’ultima a morire, no? Può darsi che su in Paradiso, a forza di sentirmi parlare tu abbia cambiato idea e abbia finalmente capito quanto io sia fantastico. Sicuramente renderebbe le cose molto più interessanti quando saremo di nuovo tutti e tre insieme. – commenta Marco ridendo – Ma lo so che tu già vedi in me molto più di quanto io possa immaginare, semplicemente Luca è a un livello totalmente diverso dal mio, lo capisco. La purezza del suo amore per te… In pochi la possiedono. Mi accontenterò del secondo posto nel tuo cuore, sempre meglio di niente. – e detto ciò Marco si allontana verso l’uscita sorridendo e guardando con occhi brillanti di speranza il cielo limpido, ormai sul punto di scurirsi con l’avvicinarsi del tramonto.


C’è aria di festa nell’oratorio di Luino: luci accese, il tepore dei caloriferi, cartoni di pizza vuoti impilati in un angolo, risate allegre. L’ora dell’incontro vero e proprio è ancora lontana, ma il desiderio di stare insieme ha vinto la stanchezza di una settimana per alcuni di scuola o di università, per altri di lavoro, e in mezz’ora una cena in compagnia è stata organizzata. Marcellino scorrazza sotto sedie e tavoli, fermandosi solo ad annusare e leccare scarpe o per farsi coccolare e in questo il gruppo di giovani non si risparmia, sopportando pazientemente le sue zampate e i suoi morsi giocosi.
L’atmosfera è leggera, sembra che nulla possa turbarla. Nessuno ha parlato della ricorrenza del giorno, anche se è chiaro che tutto questo è stato messo in piedi soprattutto per festeggiarla e stare vicini a Luca, il quale, nel segreto del suo cuore, sta ringraziando i suoi amici.

- Manca più di mezz’ora alle nove… Perché non cantiamo qualcosa? – propone una delle ragazze, rivolgendosi immediatamente verso Luca con espressione imbarazzata – Sempre che non ti dia fastidio… -.

Luca sorride accondiscendente:
- Tranquilli, fate pure. Non dovete trattenervi per me e poi oggi mi sembra la giornata giusta per farlo, lei lo apprezzerebbe molto. -.

- Allora bisogna recuperare una chitarra, la mia l’ho lasciata in salone. – dice suo fratello, accingendosi ad alzarsi per andare a prendere lo strumento, ma Luca lo blocca.

- Vado io. Almeno mi sento partecipe, visto che né canto né suono. – e si dirige verso la porta.

- Sei sicuro? – gli sussurra Marco, afferrandolo per un braccio prima che possa uscire dalla stanza.

Il ragazzo appoggia una mano su quella dell’amico e lo guarda negli occhi, cercando di sembrare il più sicuro e rassicurante possibile:
- Sì, non preoccuparti. Non devo suonarla, ma solo portarla qui. Penso di potercela fare. – ma non ne è convinto neanche lui, eppure si libera con delicatezza dalla presa di Marco e si dirige a passo spedito verso il salone.
Appena vi entra ed individua con lo sguardo lo strumento, però, si irrigidisce come una statua di sale. Sente il battito del proprio cuore accelerare e le mani diventare sudaticce.
“È solo una chitarra, non è lei, Luca! Datti una calmata e comportati da persona normale!” pensa, scuotendo la testa con foga ed avvicinandosi alla custodia aperta. Ma nel momento in cui il ragazzo tocca il manico di legno dello strumento le sue dita incominciano a tremare. Come sotto ipnosi, sfiora con i polpastrelli le corde, ne segue il profilo fino in fondo, alla cassa, avvertendo sempre più forte il bisogno di far emettere loro una nota, anche una sola. E così, incapace di trattenersi, ne pizzica una e un singolo, limpido, suono riecheggia nel salone, nel corridoio, fino a giungere al bar, dove non passa certo inosservato: tutti si zittiscono e si guardano con occhi sgranati.
- Luca… - sussurra Marco incredulo, spostando gli occhi sul don, il quale gli sorride e annuisce. In men che non si dica tutto il gruppo di giovani è in corridoio a spiare il ragazzo, il quale, intanto, ignaro della loro presenza, ha imbracciato la chitarra, come se non fosse passato un solo giorno da quando l’ha suonata per l’ultima volta. La mano sinistra preme le corde pronta a riprodurre qualunque accordo, la destra attende di generare altre note da quello strumento, perché quell’unico, misero, suono non gli è bastato. Luca lo sapeva che se avesse pizzicato quella corda non sarebbe più riuscito a smettere. La musica è una droga, lui ne è dipendente, lo sono entrambi, e da troppo tempo si è imposto un’astinenza decisamente dannosa.
Il ragazzo non ha più la forza di opporsi ai propri desideri, a lei. Respira profondamente, alza gli occhi verso l’alto, mentre le sue dita cominciano a muoversi fluide sulle corde e la sua voce si leva nell’aria senza incertezze.

A volte mi guardo e
mi sento come se avessi sbagliato tutto
quasi come se
questa vita non abbia poi un senso
improvvisamente
non vedo più niente
tutto si appanna
qui dentro me
qui dentro me
qui dentro me
qui dentro me
qui dentro me

Ed eccola, proprio lì davanti a lui, ad occhi chiusi, ondeggiando lentamente al ritmo del musica. Poi quegli occhi si aprono e si fissano sul ragazzo, provocandogli un brivido di emozione: quegli occhi sono pieni di dolcezza, esattamente come lui temeva, e brillano tanto da far male.
“Occhi di Cielo…” si ritrova a pensare Luca “Com’è possibile che tu vedessi tanta luce nei miei? Ora sembra non esserci mai stata… L’ho spenta, mi sono spento quel giorno in ospedale e da allora mi sono autocondannato all’oscurità.”.
L’amore di quello sguardo sembra tagliarlo in due e allora chiude gli occhi, ma eccolo che riappare indelebile nella sua mente.
“Basta, non puoi guardarmi così, non puoi. Non lo merito. Non ti ho ascoltata, non ho neanche provato a mantenere la promessa fatta, perché speravo davvero che tu mi fulminassi, o qualcosa del genere, e mi riportassi da te. Senza di te sono completamente perso e, lo ammetto, finché non ho incontrato i tuoi amici, ho pensato molte volte che questa vita non riservasse più nulla per me… “.

E poi c'è chi pretende
che io sia solamente un bel sorriso
una certezza un paradiso
ma non è così
non è così facile
anche se sembra semplice
solo tu mi hai dato
la forza
di guardarmi dentro
di superare il vuoto senza morire mai
nonostante me nonostante i miei guai
sono qui dentro me
sei qui dentro me
sono qui dentro me
qui dentro me

“Ma, nonostante io abbia continuato a ribellarmi e a nascondermi dalla serenità che avrei potuto riacquistare così facilmente, nonostante abbia fatto di tutto per farmi odiare da chiunque, anche da te, tu non mi hai mai abbandonato. Ci sei sempre stata, nelle persone che mi hai messo accanto e che non si sono arrese davanti ai miei rifiuti, e dentro il mio cuore. Durante quell’Adorazione la tua voce ha rimescolato tutto dentro di me: non volevo più morire, desideravo solo vivere.”.

Quando ho paura dammi forza
e quando mi perdo dammi chiarezza
e questo amaro che ho qui in bocca
resti pure basti che serva

“Eppure la paura è rimasta, insieme al senso di colpa, intatti, come un masso davanti all’entrata di una grotta. Non ho voluto permettermi ancora di cantare e suonare, ero terrorizzato dall’idea di dover fare questa conversazione, avevo paura di ciò che avresti pensato di me, dopo che ho eliminato la musica dalla mia vita per tanto tempo. Quanto sono stato stupido… Solo cantando una canzone mi sto sentendo rinascere, il masso si fa più leggero sul mio cuore, aiutami a spostarlo e a distruggerlo, dammi una mano a recuperare i miei Occhi di Cielo.”.

Sono stanco di chi troppo aspetta
Cosa volete io dica stavolta
la vita corre ma non va in fretta
c'è speranza solo per chi la cerca
Sei qui dentro me
qui dentro me
qui dentro me
qui dentro me
qui dentro me

“Ok. Penso sia arrivato il momento di dirmelo chiaro e tondo: tu sei morta, ma da morta sei più viva di quanto io lo sia stato in questi mesi. Io sono vivo ed è arrivato il momento di dimostrarlo, perché la vita mi riserva ancora grande cose e voglio viverla per due, come mi hai detto tu, per te e insieme a te, che sei sempre dentro di me.”.

L’ultimo accordo si spegne nell’aria, le mani di Luca rimangono, però, ancorate allo strumento, come se, ora che lo ha ritrovato, non volesse più lasciarlo andare.
Lei è ancora davanti a lui, con un dolce sorriso stampato sulle labbra. Gli si avvicina, posa una mano sul cuore del ragazzo e con l’altra gli accarezza il viso, mentre una lacrima le attraversa una guancia.
Le sua bocca si muove, pronunciando le ultime parole della registrazione:
“Amore mio, piangi.”.
E così gli occhi di Luca si riempiono di lacrime, che incominciano a cadere copiose sulla chitarra. Il ragazzo si lascia cadere in ginocchio sul pavimento del salone, emettendo un grido, smorzato dal pianto, il cui oggetto è un’unica, inconfondibile, parola:
- Clara. -.

Angolo dell'Autrice
Rieccomi con un nuovo capitolo. Scusate l'attesa, ma la sessione d'esami si sta avvicinando ed inoltre ultimamente ho davvero tanti impegni anche in oratorio, ma soprattutto volevo che questo capitolo fosse davvero perfetto, perché è uno dei punti di cardine della storia.
Adesso chissà cosa riserva l'avveire per Luca... Incontrerà diverse persone, alcune conosciute, altre nuove e, soprattutto, dovrà compiere una scelta importante riguardo al proprio futuro e vi posso assicurare che sorprenderà diverse persone...
Buona lettura e, se non riesco a pubblicare il prossimo capitolo prima di Natale, buone Feste!!!
Marta

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Human ***


Capitolo 8 – Human

Luca è inginocchiato per terra, aggrappato alla chitarra come se fosse un’ancora. Un’infinità di lacrime bagnano lo strumento e continuano a scendere, intervallate da grida strazianti e spasmi di dolore. Ecco, dolore… L’unica cosa che il ragazzo ora vede, sente, percepisce. Lo sta buttando fuori tutto in una volta e sembra volerlo affogare in sé. Lo aveva sempre saputo che se si fosse permesso di piangere, non sarebbe più stato in grado di smettere, di controllarsi.
Marco fa un passo avanti verso di lui, per sorreggerlo, o fare qualunque cosa il suo amico abbia bisogno, ma il don lo prende per un braccio, bloccandolo sul posto:

-Lascialo un attimo solo. Permettigli di scontrarsi con il proprio dolore. Dopo tutto questo tempo deve farlo. – gli spiega, con lo sguardo fisso sul giovane, il quale sembra spezzato in due dal dolore. Se non ci fosse la chitarra, sarebbe probabilmente riverso a terra.

- Clara… Clara… Perché? Clara! – continua a urlare, rivivendo in un loop apparentemente infinito gli ultimi momenti della sua vita e il funerale.
- Perdonami Clara, perdonami… Non lasciarmi solo! Resta! -.

- No, don. Non ce la faccio a vederlo così. Non può sentirsi solo, non lo è… - dice con voce rotta Marco, mentre i suoi occhi si riempiono di lacrime.
Il prete allenta la presa sul suo braccio, ma il ragazzo non fa in tempo a raggiungere il proprio migliore amico, che un’altra, inaspettata, persona lo supera e si china davanti a Luca, appoggiandogli una mano su una spalla.
Il giovane alza di scatto la testa, come se fosse stato fino a quel momento sotto ipnosi.
- La tua chitarra… Dovevo portartela… Mi spiace… Io… -.
Il fratello di Clara prende lo strumento, lo appoggia sul pavimento di fianco a sé, per poi abbracciare goffamente Luca.

- Non sei solo, hai capito? Non ti ha lasciato da solo! La mia sorellina non lo avrebbe mai fatto… Ci siamo noi. – senza guardarli, fa cenno anche agli altri di avvicinarsi. Tutti ubbidiscono senza porsi domande e circondano lo strano duo, inginocchiandosi alla loro altezza. – Questo dolore incontrollabile e che sembra voglia ingoiarti, non è solo tuo. Non renderlo tale. Non fare come Clara che si è riempita da sola della propria e dell’altrui sofferenza, sigillandola dentro di sé come se non esistesse. Fallo uscire, condividilo. Noi lo conosciamo, lo abbiamo provato…  - la sua voce trema di pianto. Deve prendere un grande respiro per continuare a parlare: - Era la mia unica sorellina, era parte di me. Pensi che non mi sia sentito così? Che non abbia voluto mandare tutto e tutti al diavolo? Quel dolore è sempre lì, dietro l’angolo, ma ho imparato a prenderne la parte migliore, quella che mi permette di ricordare ciò che la sua esistenza mi insegnato, ciò che mi ha lasciato. E il resto… Non sono da solo, posso sfogarmi, parlare. Puoi farlo anche tu, nessuno te lo impedisce, solo te stesso. -.
Luca si allontana dall’abbraccio del giovane con occhi pieni di stupore e lacrime, che non accennano a terminare la propria corsa lungo le sue guance.
- Piangere da soli non fa bene. Fai piangere un po’ anche noi, altrimenti ci offendiamo! – esclama questa volta Marco, dando una leggera spintarella all’amico, senza badare al fatto che lui sta già piangendo da un bel po’, come la maggior parte dei suoi amici in verità.
Il ragazzo si guarda intorno, incrociando gli sguardi commossi e pieni di affetto di tutti, fino a posare i propri occhi su quello del don, così pieno di vita, com’era il suo una volta. E quello sguardo lui lo rivuole, ma non più per Clara: finalmente lo vuole per sé.

-Io… - incomincia con voce flebile – Non è vero che non sono in grado di mantenere la promessa, semplicemente non ho mai voluto… Lei mi aveva detto che se non l’avessi rispettata mi avrebbe fulminato ed io l’ho interpretata come la giusta punizione per l’unica persona che sarebbe dovuta essere in quel letto d’ospedale ed ancora prima su quella strada, riversa sull’asfalto. Lei si è sacrificata per me, ha avuto l’inspiegabile lucidità di pensare che se era per me, allora ne valeva la pena, qualunque fosse stato il prezzo da pagare. Ed il suo stato salatissimo, e per cosa poi? Per un incapace come me che ha pensato bene che il modo migliore per ringraziarla fosse buttare nella spazzatura la vita che adesso, grazie a lei, ho davanti… Solo perché ho pensato che così facendo l’avrei rivista presto, avrei potuto riabbracciarla di nuovo. E mi sono arrabbiato, perché nonostante i casini che ho combinato, lei non mi ha ripreso con sé. Mi sono arrabbiato con Clara, con Dio che non l’ha guarita e non l’ha fatta rimanere con me. E invece per imparare a vivere ho evidentemente bisogno che qualcuno perda la propria vita al posto mio… Ma in fondo la persona con cui sono più arrabbiato, anzi, furioso, non è altri che me stesso, proprio per tutto ciò che ho appena detto. Perché ho sempre saputo che quella promessa Clara non me l’aveva fatta fare per lei, no… È sempre stato un patto solo con me stesso, una sfida che ho deciso di perdere in partenza. E se lei non mi ha fulminato, come mi aveva detto, è perché lo stavo facendo già da me e non avevo bisogno di essere punito, ma di essere aiutato. Per questo motivo mi ha mandato voi, non è rimasta impassibile come io, da orribile egoista ho pensato. –.
I suoi occhi sembrano il cielo che si schiarisce dopo un temporale. Sono pieni di speranza ed amore. Un luccichio lontano incomincia a farsi strada per riprendere il proprio posto. 
- Quindi adesso che cosa vuoi fare, Luca? – chiede il don serenamente, rompendo il silenzio creatasi, con grande disappunto del gruppo di giovani che a quanto pare stava apprezzando quell’attimo comunitario di commozione e lacrime a fiumi.

Il ragazzo lo guarda con determinazione e il suo viso si apre in un enorme sorriso, come non se ne vedevano da mesi ormai.
-Voglio vivere, davvero, come Clara. Voglio meritarmi il posto che mi aspetta al suo fianco e voglio che perdoni il disastro che ho rischiato di combinare, anche se già so che con il cuore grande che ha mi avrà perdonato da tempo… -.

- E noi? Cosa possiamo fare? – chiede timidamente una delle amiche di Clara.

- Esserci. Basta questo. Se so di avere persone accanto su cui fare affidamento nei miei momenti bui, non avrò più paura di riaccendere la luce! – esclama ridendo. – E poi c’è sempre bisogno di qualcuno che mi dia un pugno ben assestato se mi dimentico di nuovo chi sono e dove devo andare. Giusto, Marco? – e dicendolo abbraccia fraternamente il proprio migliore amico, il quale sta ancora piangendo copiosamente, ormai più per la felicità di aver compiuto il proprio compito e di poter portare belle notizie a Clara.
- E poi voglio suonare e cantare. Ora! È da troppo tempo che non lo faccio e mi prudono le mani da quando ho visto quel pianoforte al bar. Mi fate compagnia? -.
Tutti annuiscono sorridendo, con occhi ancora lucidi di pianto.
Luca si rialza in piedi e tende una mano al fratello di Clara, che la afferra prontamente e si tira su anch’egli: - Il programma era comunque quello in origine. -.
Come se non aspettasse altro da secoli, il giovane corre al bar e, con uno strattone deciso, lascia cadere il telo che copre il pianoforte a muro, per poi sedersi sulla sedia posta davanti allo strumento, scrocchiandosi le dita con impazienza.
- Clara aveva proprio ragione: la musica è vita ed io me ne sento ricolmo quasi fino a scoppiare, solo all’idea di crearla di nuovo con le mie dita e la mia voce. – sospira dolcemente, accarezzando i tasti.

-Allora cosa aspetti? Cosa ci canti? – lo incoraggia Marco, raggiante di felicità (ora che ha finalmente smesso di piangere e singhiozzare…).

Luca sembra pensarci su per un istante, come se le canzoni che vorrebbe cantare in questo momento fossero troppe per sceglierne una, ma dopo qualche secondo il suo sorriso si allarga ancora di più, riempiendosi di una dolcezza disarmante.
- È l’ultima canzone che Clara mi ha lasciato. Non c’è un momento più adatto per cantarla. – e senza nemmeno dire il titolo ai propri amici, incomincia a premere con dolce sicurezza i tasti del pianoforte.

I can hold my breath
I can bite my tongue
I can stay awake for days
If that’s what you want
Be your number one

I can fake a smile
I can force a laugh
I can dance and play the part
If that’s what you ask
Give you all I am
I can do it
I can do it
I can do it

But I’m only human
And I bleed when I fall down
I’m only human
And I crash and I break down
Your words in my head, knives in my heart
You build me up and then I fall apart
'Cause I’m only human

I can turn it on
Be a good machine
I can hold the weight of worlds
If that’s what you need
Be your everything
I can do it
I can do it
I'll get through it

But I’m only human
And I bleed when I fall down
I’m only human
And I crash and I break down
Your words in my head, knives in my heart
You build me up and then I fall apart
'Cause I’m only human

I’m only human
I’m only human
Just a little human

I can take so much
Until I’ve had enough

‘Cause I’m only human
And I bleed when I fall down
I’m only human
And I crash and I break down
Your words in my head, knives in my heart
You build me up and then I fall apart
‘Cause I’m only human


Angolo dell'Autrice
Fra un esame e l'altro sono riuscita a scrivere un altro capitolo, dove finalmente sono riuscita a descrivere un Luca più simile a quello di "Ojos de Cielo". Non sa ancora tutto ciò che l'aspetta (o meglio... Ciò che la mia mente ha progettato per lui...).
Nell'attesa che sia abbastanza sana di mente per scrivere altri capitoli, vi invito a leggere anche "Ojos de Cielo". Sicuramente è tutto un altro genere, quando ho comincito a scriverlo ero in una fase totalmente diversa della mia vita... Ma è un ottimo aiuto per comprendere meglio questa storia ed in particolar modo il protagonista.
Detto ciò, buona lettura e a presto! (Se sopravvivo all'esame di Psicologia Generale :( Aiuto!!)
Marta
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - With a little help of my friend ***


Capitolo 9 – With a little help of my friend
 
È passata da poco l’una quando Luca rientra a casa. La luna piena brilla intensamente nel cielo limpido di fine inverno. A volte guardandola ci si dimentica che quella luce in realtà non è sua… Così eterea, fredda e delicata sembra non appartenere proprio al calore infuocato del sole. Il ragazzo si ferma ad osservarla con una mano sulla maniglia della porta e l’altra chiusa intorno alla chiave, inserita nella toppa. Da quanto tempo non levava lo sguardo così in alto? Da quanto non si rendeva conto della bellezza che lo circonda? Inspira l’aria tersa della notte ed espira fiato caldo, che si tramuta immediatamente in nuvolette bianche leggere, che si librano nell’aria fino a scomparire.
Un sorriso lieve gli increspa le labbra, mentre entra nella dependance buia, a parte per il chiarore lunare che si fa strada fra le tende. Appoggia le chiavi sul tavolino di fianco all’ingresso e si guarda intorno pensieroso: dovrà lavorare un bel po’ per ridare a quello spazio il suo aspetto originale, per farlo tornare ad essere il suo rifugio pieno di note e musica, ed eliminare quell’aria da prigione.
Il suo sguardo si posa per un momento sulle finestre e nota una luce fioca provenire dalla casa dei genitori.
Apre la porta finestra, attraversa il giardino ed entra nel soggiorno. Sua madre è abbandonata ad un sonno profondo sulla poltrona, con un libro sulle ginocchia e il telefono vicino. Si deve essere addormentata aspettando una telefonata del marito, da qualche giorno all’estero per lavoro. Luca la guarda con tenerezza, per poi spostare il libro da una parte e coprirla con una coperta. Facendo ciò, però, la donna si sveglia e, confusa, lo prende per un braccio.
- Oh, Luca… Sei tornato. È meglio che vada a dormire nel mio letto e anche tu: è tardi. – borbotta, ancora mezza addormentata. Si alza, stropicciandosi gli occhi velati dal sonno e, facendo ciò, nota gli occhi ancora rossi di pianto del figlio e quella piccola, ma pur sempre presente, scintilla di vita che li fa brillare ancor più delle lacrime.
- Ma tu… Tu hai… - lei prova a formulare la domanda, ma se da una parte è troppo emozionata e commossa per credere ai propri occhi, dall’altra ha paura di sbagliarsi e di alterare di nuovo Luca, il quale, comprendendo la sua esitazione, le sorride e l’abbraccia.
 
- Sì, mamma. Ho pianto e sì, l’ho fatto per Clara, anche se forse per una volta è stato più per me che solo per lei. Ah, prima che tu me lo chieda… Sì, ho ricominciato a dire il suo nome. Mi mancava, come mi mancava anche tutto il resto. -.
La donna si mette a piangere sollevata, stringendo fortemente a sé il ragazzo, il quale ridacchia, dandole piccole pacche affettuose sulla schiena.
- No, adesso non piangere anche tu. Adesso sto meglio, non devi più preoccuparti per me. Me la caverò, in un modo nell’altro. Ok? – la madre annuisce, staccandosi dall’abbraccio e accarezzandogli dolcemente una guancia. Lo sguardo di Luca si fa d’un tratto serio e si concentra sulle punte delle proprie scarpe:
- Mi spiace per come ti ho trattato in questi mesi, per tutte le preoccupazioni che ti ho dato e per tutte le volte che ti ho risposto male. Sono stato davvero un figlio degenere… - si scusa, diventando rosso per la vergogna.
Lo sguardo della donna si addolcisce ulteriormente, mentre con una mano gli alza la testa e cerca con i propri occhi quelli del figlio:
- Fai bene a scusarti, perché sei stato davvero terribile e ne dovrai fare di faccende qua in casa per farti perdonare. – comincia a parlare in tono di finto rimprovero – Ma non fa niente, l’importante è che tu sia di nuovo in te. Il resto è solo il dovere di una mamma. Dai, adesso andiamo a dormire. -.
Luca annuisce e si volta per tornare nella dependance, ma si rigira di scatto, bloccando la madre, già sulle scale:
- Se domani mattina non mi vedi qui per casa, stai tranquilla. Devo rimettere un po’ di cose a posto di là e nel pomeriggio credo che andrò a trovare una persona, per cui avrò bisogno della macchina… -.
- Dove vai, tesoro? -.
Il viso di Luca si apre in un largo sorriso.
- Un’amica mia e di Clara. -.
 
È ormai ora di pranzo e Luca si guarda intorno, passandosi una mano sulla fronte lievemente imperlata di sudore e controllando di aver rimesso tutto al suo posto: il pianoforte è scoperto e tanto lucido da luccicare; le chitarre sono state ripulite, le corde cambiate, e messe sui loro sostegni; la tastiera è stata spolverata e rimessa la suo posto sul cavalletto; spartiti e dischi sono tornati sugli scaffali, ben ordinati e i poster sono attaccati nuovamente alle pareti. Ci sono volute ore per ridare a quella dependance l’aspetto l’originale, ma ne è valsa la pena.
Il ragazzo si lascia andare sul divano con aria soddisfatta, continuando a guardarsi intorno e giocherellando, quasi inconsciamente, con il braccialetto che gli aveva regalato Clara per il suo compleanno. Chissà che fine aveva fatto la catenina che le aveva donato lui… L’aveva portata con sé nella tomba o l’aveva lasciata a qualcuno?
A riportare Luca alla realtà è il brontolio del suo stomaco. Guarda l’orologio e sospira. Dovrà farsi in fretta la doccia e prepararsi un panino da mangiare in macchina se vuole arrivare in tempo al monastero. Sì, al monastero, perché l’amica di cui ha parlato a sua madre è una cugina di Clara, una giovane suora di clausura.
Le stranezze nella sua vita non sembravano proprio voler finire mai e, a pensarci bene, erano iniziate tutte proprio con la sua ragazza. Coincidenze? Lui ha imparato a crederci poco da quando ha conosciuto il don e i ragazzi del Gruppo Giovani… C’è sempre lo zampino di qualcun altro, Onnipotente o meno che sia non manca mai, per fortuna.
Perché andare a trovare Emma? Beh, le aveva promesso che sarebbe tornato. Le aveva anche promesso che si sarebbe preso cura di sua cugina, così forte e fragile allo stesso tempo, come ha effettivamente dimostrato fino in fondo. Deve scusarsi con lei e vuole nutrirsi di quella gioia di cui i suoi occhi traboccano, quegli occhi a cui Clara paragonava spesso i suoi. Ora non ne sono che una mera ombra…
 
Dopo poco meno di due ore, Luca è nel parcheggio del monastero, collegato ad esso da un sentiero sterrato, immerso nel verde del bosco. Il ragazzo vi s’incammina, ripensando alla prima e ultima volta in cui era stato in quel luogo per accompagnare Clara: erano felici, lei non vedeva l’ora di presentarle la cugina e lui aveva organizzato un appuntamento speciale per quella sera, quella stramaledettissima sera… Luca interrompe il flusso dei propri pensieri prima che quei ricordi terribili lo prendano alla gola, togliendogli nuovamente il respiro, ed accelera il passo.
In un paio di minuti si ritrova davanti al portone della cappella del convento, guarda l’orologio: è appena in tempo per l’ora media. Entra all’interno dell’edificio, riconoscendone con familiarità il bianco dei muri, il legno chiaro delle panche, il metallo delle sbarre che separano l’assemblea dalle suore e dall’altare. Quella parte della chiesa, però, a differenza di qualche mese prima, è decorata da uno stupendo mosaico, dai colori brillanti, che ricopre l’intera parete. Luca rimane per un attimo incantato ad osservarlo per poi sedersi su una delle panche sul fondo della cappella. Tutte le suore sono già ai loro posti, rivolte verso l’altare e, solo qualche minuto dopo l’arrivo del ragazzo, incominciano a recitare le preghiere, con le loro voci dolci e lievi, che sembrano elevare canti angelici anche quando semplicemente parlano. Luca le ascolta in silenzio per tutto il tempo, fissando il crocifisso, come aspettandosi che quell’Uomo sofferente si stacchi dalla propria croce per abbracciarlo, prendendosi sulle proprie spalle anche la sua. Luca, però, sa bene che deve portarla da solo e imparare a trasformarla in altro che semplice, doloroso peso.
Alla fine dell’ora media nessuno si è staccato da alcuna croce, ma il calore che Luca avverte nel proprio cuore è reale e per quei brevi momenti il fardello è stato condiviso da Qualcun altro per dargli un po’ di sollievo.
Le suore incominciano ad alzarsi dai propri posti per uscire dalla cappella e tornare ai loro doveri in monastero. Anche Luca si alza in piedi, sperando che Emma in questo modo si accorga della sua presenza ed, infatti, la monaca, posando per un attimo lo sguardo dall’altra parte delle sbarre, lo nota e gli sorride gioiosamente, invitandolo ad avvicinarsi. Il ragazzo accetta di buon grado l’invito, ricambiando timidamente il sorriso.
 
- Luca, ti stavo aspettando. – gli dice non appena si è accostato alle sbarre.
Il ragazzo la guarda sorpreso, senza sapere come risponderle. Emma ride piano alla sua reazione: - Mia zia, la mamma di Clara, mi ha parlato spesso di te in questi mesi e ho avuto l’impressione che saresti venuto presto a trovarmi. Ieri era il compleanno di mia cugina… Dev’essere successo qualcosa di importante perché tu decidessi di passare di qua così su due piedi, o sbaglio? -.
- No, non sbagli affatto… -.
- Allora avremo bisogno di stare più comodi per parlare con calma. Vado subito ad aprirti la porta per i parlatori. Ti ricordi dove sono? – Luca annuisce – Bene. Ti aspetto nello stesso dell’altra volta. -.  
Il ragazzo fa ciò che Emma gli ha detto e, uscendo dalla chiesa, si reca immediatamente nei parlatori, attendendo che la giovane suora lo raggiunga.
Sposta una sedia davanti alle sbarre di legno e si siede. Pochi istanti dopo entra nella stanza Emma, con in mano un vassoio pieno di biscotti, una caraffa di succo d’arancia e due bicchieri. Appoggia il tutto su un tavolo per poi aprire una parte delle sbarre, mette la merenda in mezzo a loro ed infine si siede davanti al giovane, prendendogli le mani fra le sue.
 
- Sono contenta di rivederti. Ho pensato e pregato molto per te in questi mesi. Devono essere stati duri per te… - gli dice con dolcezza, stringendo ancora di più le sue mani.
- Dire che sono state duri è un eufemismo… Ti avranno detto che per molto tempo non ho voluto neanche sentire il suo nome, figuriamoci pronunciarlo. Avevo anche smesso di cantare e suonare… - sospira Luca tristemente.
- E adesso, invece? Come stai? -.
Il ragazzo fissa il vuoto per un attimo, pensoso:
- Difficile dirlo con precisione. Bene non è sicuramente il termine più adatto da usare… Clara mi manca da impazzire… Ma non sto neanche male. Lei non mi ha lasciato solo, c’è sempre stata, soprattutto nelle persone che mi ha messo accanto e che, anche quando ieri sono finalmente crollato e mi sono lasciato andare al dolore, mi hanno sostenuto e aiutato a rialzarmi. Ho ricominciato a cantare e suonare e questo mi aiuta. Riesco in qualche modo a comunicare con Clara e a fare pace con me stesso, soprattutto -.
Emma gli sorride dolcemente:
- Avevo proprio ragione su voi due. Eravate esattamente ciò di cui ognuno di voi aveva bisogno. -.
- Sicuramente Clara era ed è ciò di cui ho bisogno… - ribatte il giovane con malinconia.
- Credimi quando ti dico che anche lei la pensava esattamente allo stesso modo. Quando quella volta ti ho chiesto di parlare da soli, l’ho fatto perché in te avevo notato una scintilla particolare… Capisco perfettamente perché mia cugina tenesse a te tanto da fare ciò che ha fatto. -.
La monaca lo sta scrutando intensamente, i suoi occhi brillano così tanto da fare male.
- Ojos de Cielo… Occhi di Cielo… - sussurra Luca – Ora comprendo cosa intendeva Clara. -.
- Definiva così anche i tuoi, vero? – gli chiede ridacchiando Emma.
- Come lo sai?! – esclama sorpreso.
- Perché aveva pienamente ragione. È questo che avevo visto in te. -.
Luca abbassa gli occhi.
- Avevi… Appunto. Li ho spenti, Emma. Non ci sono più gli Occhi di Cielo che lei amava tanto. -.
- Non è vero. – ribatte la suora energicamente – Ci sono, Luca. Il dolore li ha solo annebbiati. Ora che lo stai affrontando faccia a faccia è solo questione di tempo. Continua su questa strada e vedrai che i tuoi occhi brilleranno di nuovo, ancor più di prima. -.
Il ragazzo rimane in silenzio. In quel luogo, i momenti del genere, si ha la sensazione di poter sentire il battito del proprio cuore. I rumori del mondo esterno sembrano tenersi alla larga per non disturbare quelle piccole, grandi donne.
- Sai, ora le mie paure più grandi, sono di lasciarmi inghiottire di nuovo dal dolore e allo stesso tempo, mi terrorizza la prospettiva che esso mi abbandoni e che io mi dimentichi di Clara, del senso di colpa… - riprende a parlare con voce tremante.
- Un dolore del genere rimane, Luca, è giusto che rimanga. Sta soltanto a te decidere se lasciargli la possibilità di espandersi o meno. In ogni caso non ti dimenticherai mai di lei, lo sai bene. La ami troppo, di un amore che è impossibile scrollarsi di dosso come se nulla fosse. Ma non devi sentirti in colpa, non ne hai motivo e Clara non lo vorrebbe mai. – dicendo ciò, Emma prende in mano un bicchiere, lo riempie di succo e lo porge a Luca, il quale lo accetta con un lieve sorriso.
Beve un piccolo sorso e riprende a parlare:
- Lo so, ma non posso fare a meno di pensare che su quella strada in fin di vita sarei dovuto esserci io; che, se fossi rimasto con lei mentre rispondeva al telefono o se avessi notato prima quella dannata auto, non sarebbe successo nulla di tutto questo gran casino e ora potremmo essere qui insieme. -.
La monaca sgranocchia un biscotto, pulisce le briciole dalla veste scura e si sistema meccanicamente il velo, mentre ascolta con attenzione il ragazzo.
- Il giorno in cui siete venuti da me, Clara aveva già la sensazione che qualcosa di importante sarebbe presto successo. Non so… Forse Qualcuno aveva voluto avvisarla, darle l’opportunità di prepararsi a fare una scelta. Le ho promesso di pregare per lei, ma le mie preghiere non sono riuscite a cambiare la Sua volontà e, soprattutto, quella di Clara. Anch’io a volte mi sono sentita in colpa, ho pensato che avrei dovuto pregare di più, anche dopo, anche quando in una delle sue lettere mi ha rivelato le sue condizioni… Ciò che è riuscito a consolarmi, è stato vedere quanto lei fosse convinta delle proprie scelte. Non ha mai rimpianto di essersi messa in mezzo fra te e quella macchina. Riteneva che tu avessi ancora tanto da dare al mondo, che avresti fatto grandi cose, e ne sono sicura anch’io. -.
- Ma io non so neanche che cosa farò dopo la Maturità, non ci ho pensato affatto. Pensavo che non ce l’avrei fatta a sopravvivere fino a quel momento… -.
- Direi che ora è arrivato il momento di pensarci su e rimboccarsi le maniche. – lo incoraggia sorridendo.
- Hai ragione, devo sfruttare fino in fondo la possibilità che Clara mi ha dato! -.
- Allora penso che sia arrivato il momento di darti una cosa. Prendila come una sorta di spinta motivazionale. – detto ciò Emma tira fuori da una tasca un ciondolo in oro bianco a forma di chiave di violino, ricoperto di piccoli brillantini luccicanti.
- Ma questo… - Luca non riesce a terminare la frase, tanta è la sorpresa. Lo prende in mano e lo accarezza con tenerezza.
- Sì, è quello che le hai regalato tu. Me lo ha mandato poco prima di morire, dicendo che io avrei saputo cosa farne. Penso sapesse che prima o poi saresti venuto da me e voleva che lo avessi tu. -.
- Aveva previsto proprio tutto, eh? – Luca sorride con un’espressione in cui si mischiano divertimento e dolcezza.
-Evidentemente ti conosceva bene. – sorride ancor più divertita Emma. Il suono di una campana li interrompe.
- Fra poco ci sarà la Messa, devo andare a mettere a posto queste cose. – esclama dispiaciuta la monaca, rimettendo sul vassoio biscotti, bicchieri e caraffa ed alzandosi dalla sedia. Luca fa lo stesso.
- Mi raccomando, vieni di nuovo a trovarmi appena saprai come impiegare il tuo futuro. – gli dice, stringendogli ancora una volta le mani.
- Contaci. -.
La suora sta già per varcare la porta, quando Luca la richiama.
- Emma… - la giovane si volta, con espressione interrogativa – Volevo chiederti scusa, mi avevi chiesto di proteggerla e non ne sono stato capace… -.
Lo sguardo della donna diventa tremendamente dolce e i suoi occhi diventano lucidi di lacrime.
- Non dire stupidaggini, Luca. Hai fatto tutto ciò che hai potuto. L’hai amata intensamente, le sei stato accanto mentre moriva. Io non ho potuto assistere neanche al funerale… Ciò che hai fatto è per me abbastanza. – e detto ciò se ne va, chiudendosi la porta alle spalle e lasciando Luca da solo.
Il giovane esce dall’edificio, respira a pieni polmoni l’aria fredda del tardo pomeriggio e si avvicina alla cappella. Da lì si apre un panorama stupendo sul lago, una di quelle viste che Clara adorava. Stringe in una mano la chiave di violino, dopodiché apre il ciondolo del proprio braccialetto e la infila al suo interno, insieme al suo plettro. La terrà sempre con sé per non dimenticarsi che la sua Clara gli ha dato la possibilità di vivere e che lui dovrà farlo alla grande, per non deludere lei e soprattutto sé stesso.

Angolo dell'Autrice
La sessione invernale è terminata ed io sono finalmente riuscita a terminare questo capitolo, dove incontriamo/riincontriamo (dipende se avete letto anche Ojos de Cielo) un personaggio particolare, cioè quello di Emma. Con i suoi consigli avrà definitivamente riscosso Luca e cancellato i suoi ultimi dubbi? Vedremo. Sicuramente ora il nostro protagonista è alla ricerca di un obiettivo e non può minimamente immaginare dove lo troverà.
Buona lettura e buona settimana a tutti!
Marta
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - I will always love you ***


Capitolo 10 – I will always love you
 
Sono passati giorni, settimane, in cui altra neve è caduta, a ricoprire ogni cosa nel suo gelido abbraccio; altro vento ha spazzato via le foglie dalle piante, ha increspato la superficie plumbea del lago in onde inquiete e irregolari; poi è arrivata la pioggia a sciogliere la neve e a dissetare dolcemente il terreno. Infine, dopo gli ultimi dispetti di un inverno capriccioso che non se ne vuole andare, il sole primaverile ha cambiato tutto: gli alberi si sono riempiti di tante piccole gemme verdi, pronte a sbocciare in nuove foglie, l’erba è ricresciuta fresca e rigogliosa, insieme ai fiori, che impregnano l’aria di mille dolci profumi. Con i fiori, tanti piccoli animali si sono svegliati dal loro letargo, o sono semplicemente usciti dalle proprie tane per godersi un po’ di tepore primaverile. La vita è tornata, i paesaggi sono cambiati e così anche le persone. Durante l’inverno si vuole rimanere in casa, sotto una coperta, con una tazza di tè caldo fra le mani e sulle gambe il computer aperto su Netflix; si accetta di uscire solo se proprio necessario ed inevitabile. Ma quando arriva la primavera tutto ad un tratto è come se si sentisse l’esigenza di ridurre la propria asocialità e di uscire, sedersi nei prati, prendere il sole, chiacchierare allegramente con gli amici delle serie tv viste durante le lunghe serate invernali. A volte però il cambiamento non si ferma solo a questo, per alcune persone si tratta di una vera e propria rinascita, lenta e silenziosa come l’erba che cresce, ma c’è, è presente, inesorabile, luminosa, come un sorriso spuntato fra le lacrime. Assistere a questo tipo di cambiamenti è assolutamente uno spettacolo, doloroso, commovente, sorprendente e meraviglioso, tutto contemporaneamente. Può rivoltarti, rimescolarti come un mazzo di carte, lasciandoti con un senso di strana confusione che non se ne vuole andare, che continua a chiederti, incessante, se forse hai bisogno anche tu di quel cambiamento e quando incominci a porti delle domande, quelle giuste, e a sentirne le risposte, come un sussurro, dentro di te, allora sai di essere nei guai.
Così era successo a Clara, vedendo sua cugina Emma; la stessa cosa era capitata a Marco, sentendo cantare Clara; ed ora era il turno di Luca, il quale aveva avuto la fortuna di conoscere tutte e tre queste persone.
Marco ride fra sé pensando a quanto siano buffe le coincidenze, o il destino, o la Provvidenza, o come la si vuole chiamare. Erano arrivati a quel punto grazie ad un avvicendarsi di situazioni incredibili, alcune piene di gioia, altre d’indescrivibile dolore. Il ragazzo abbassa lo sguardo sulla tomba di Clara, al fianco della quale è seduto:
-Che ne pensi? Ho rispettato la mia promessa? Ora posso pensare un po’ alle mie ferite? -.
-Secondo me è più che soddisfatta, ma penso che le tue ferite siano pressoché guarite. In fondo era questa l’idea di Clara, no? -.
Marco rialza gli occhi e sopra di lui, in controluce, si staglia la figura del don, a cui sorride, per poi riportare il proprio sguardo sulla lapide.
-Lei aveva previsto tutto, già, come sapeva bene che quei momenti passati insieme prima dello spettacolo sarebbero stati un addio… È vero, le mie ferite sono ormai graffi rispetto a ciò che erano inizialmente, eppure bruciano ancora terribilmente e continueranno a farlo, voglio che lo facciano. -.
-Perché? Se dici così non sei diverso da Luca, o ciò che era poche settimane fa. – lo rimprovera il prete, sedendosi di fronte a lui sull’erba.
Il ragazzo sorride tristemente, inclinando la testa all’indietro, con gli occhi al cielo terso.
- L’unica differenza fra noi due era che i suoi sentimenti erano ricambiati. Ha capito subito quanto Clara fosse speciale e non se l’è lasciata scappare. Io la mia occasione l’ho avuta molto tempo fa e l’ho solo fatta soffrire… Come le ho detto quella sera, ci farò per sempre i conti. -.
- E come sicuramente ti ha detto lei, non hai nulla per cui sentirti in colpa. A quel punto ti aveva già perdonato da molto tempo. Ti voleva un bene immenso, così grande da affidarti la persona che amava. Ha di certo sofferto molto per come sono andate le cose fra di voi, ma non è mai stata in grado di odiarti, neanche di arrabbiarsi seriamente con te. Desiderava solo che tu fossi felice e lo voleva proprio perché ti amava, di un amore diverso rispetto a quello per Luca, ma altrettanto vero e puro. -. Il sacerdote parlando gli appoggia una mano su un ginocchio, con fare paterno.
Nel corso di quei lunghi mesi dalla morte di Clara aveva imparato a conoscere quel ragazzo, all’apparenza talmente sicuro di sé da sfiorare il narcisismo, e a capire perché la ragazza tenesse tanto a lui. In fondo, sotto diversi aspetti, erano molto simili: entrambi erano tremendamente riflessivi, l’impulsività non era assolutamente parte del loro carattere; non parlavano troppo, ma erano buoni ascoltatori e osservatori, per quanto Marco, recitando, avesse tirato fuori un lato più estroverso del proprio carattere; avevano un animo gentile e romantico, che negli ultimi anni il giovane aveva cercato per qualche motivo di tenere nascosto; pretendevano il massimo da loro stessi, soprattutto in ambito scolastico e subivano purtroppo la pressione delle proprie aspettative, più di quelle altrui. Quando lo aveva conosciuto, distrutto dal dolore e dai sensi di colpa, non avrebbe mai pensato che avrebbe fatto tanta strada e, invece, eccolo lì, ancora sofferente, vero, ma con negli occhi una forza che appartiene solo a chi i propri demoni li ha affrontati a viso aperto ed ha vinto, per quanto lui non voglia ammetterlo. Lo ha visto cambiare radicalmente di giorno in giorno, non senza fatica, con determinazione e denti stretti, così com’era stato anche per Clara, e il don è ben consapevole che è stato tutto merito di quella ragazza e del suo affetto per Marco.
- Io in qualche modo capisco perché Luca non volesse rispettare la propria promessa. Come fai ad amare qualcun altro quando hai amato in modo così intenso una persona? Il mio sentimento non è di certo paragonabile a quello che li univa, ma ancora adesso non è cambiato, è ancora forte e chiaro. – sospira il ragazzo, accarezzando con il dorso della mano il viso della statua che sormonta la tomba – Se è così per me, per lui deve essere mille volte peggio. Cavolo, quei due li vedevo già su un altare… - ride con malinconia.
- Già, sarebbe potuta andare così. Ed in quel caso per te non sarebbe stato diverso. Saresti dovuto comunque andare avanti. Oppure, magari, non sarebbe andata in questo modo, difficile dirlo. La vita ha spesso dei rivolti inaspettati, bisogna solo trovarsi nell’attitudine di accoglierli. È ciò che dovrete imparare voi due con il tempo. Amare un’altra persona non cancellerà quello che provate per Clara, questo dovete capirlo bene. Non la dimenticherete. -.
Le parole del prete rimangono per un po’ sospese nell’aria, mentre fra i due cala il silenzio, come se aspettassero che Clara intervenga nella discussione, ma la lapide rimane fredda e muta, o almeno così pare.
-Fra un mese ci sarà il musical, abbiamo deciso di dedicarlo a te, Clara, e anche Luca ha accettato di cantare una canzone. È agitatissimo e di sicuro la starà provando in loop per far sì che sia perfetta, ma dubito che in ogni caso verrà male… Con la voce che si ritrova può fare quello che vuole. – racconta infine Marco, rivolto verso la tomba.
- E per quanto riguarda il post maturità, invece? – chiede d’un tratto il don.
Il ragazzo alza le spalle, sospirando.
-Non ha ancora deciso, non pensava sarebbe importato poi molto… Probabilmente si prenderà del tempo per rifletterci un po’ seriamente. Sicuramente avrebbe il talento necessario per entrare nel mondo della musica, ma penso che voglia comunque continuare a studiare. -.
- Mmm… - il sacerdote si massaggia il mento, pensieroso.
-A cosa stai pensando? Hai qualche idea? – gli chiede incuriosito il giovane.
- Forse… Sempre che voglia davvero prendersi un pausa. Nei prossimi giorni dovrebbe venire a trovarmi un mio amico. Glielo farò conoscere. -.
- Non mi dirai nient’altro? -.
- Ahahah, aspetta e vedrai, Marco. Come ti ho detto la vita riserva dei risvolti inaspettati e questo potrebbe essere davvero sconvolgente per quella di Luca. – e detto ciò il don si alza, dà una pacca sulla spalla al ragazzo, rivolge un tenero sguardo alla tomba di Clara per salutarla e se ne va, lasciando Marco a dir poco confuso e curioso.
 
La dependance di Luca è piena di musica come mai era stata: ci sono spartiti sparsi ovunque, la chitarra è abbandonata sul divano, mentre il giovane è seduto al pianoforte a scribacchiare su un altro spartito, alternando lo scrivere al suonare accordi sempre diversi, per trovare il migliore. È completamente immerso nel proprio lavoro, tanto da aver lasciato raffreddare la tazza di caffè accanto lui. Sta mettendo a punto l’arrangiamento per la canzone che dovrà cantare al musical. La sta pensando esattamente come piacerebbe a Clara, come la canterebbe lei e ride constatando che è esattamente come la farebbe lui. Quando si trattava di musica loro due erano sempre sulla stessa lunghezza d’onda. L’anno prima aveva arrangiato altre canzoni dello spettacolo e lo aveva fatto con il costante consiglio e supporto di Clara. All’inizio a scuola, prima o dopo le ore di laboratorio e quando si sono messi insieme lì, nel suo rifugio, ormai diventato loro. Lei si raggomitolava in un angolo del divano, mentre lui suonava la chitarra accanto a lei, oppure si sedeva al suo fianco al pianoforte. Lo ascoltava ad occhi chiusi e lui sapeva di essere sulla strada giusta quando lei incominciava a sorridere e a cantare. Quanto avrebbe voluto riaverla lì vicino a sé, a sentirla cantare, ad assicurargli che ciò che stava facendo andava bene. Dovrà semplicemente seguire il proprio cuore, più che l’orecchio. Negli ultimi mesi ha compreso quanto questa sia la tecnica migliore, soprattutto per quanto riguarda la musica e, quindi, indirettamente, Clara.
“Io suonerò la chitarra, ma mi serve anche il piano… O registro io la base, oppure devo dare qualcosa di leggibile in mano a chi dovrà suonare.”.
Sovrappensiero prende in mano la tazza di caffè, della cui esistenza si è appena ricordato, e beve un sorso. Sulle sue labbra si dipinge una smorfia di disgusto quando si rende conto che la bevanda è completamente fredda.
Si alza dal pianoforte, stiracchiandosi un po’. È da ore che sta lavorando, forse è il caso di prendersi una pausa.
Si dirige in cucina per scaldare il caffè, canticchiando fra sé e sé, quando il suo cellulare squilla. Lo prende in mano e risponde sorridendo:
- Ehi, don. Tutto bene? -.
- Sì, dai. Stanco, come al solito. Tu, invece? -.
- Sto bene, mi stavo prendendo una pausa dal lavoro per il musical. Hai bisogno che venga in oratorio? – il ragazzo appoggia la tazza sul tavolo e si appoggia al ripiano della cucina.
-No, no, tranquillo. Ma se puoi settimana prossima tieniti libero il più possibile. Voglio farti conoscere una persona, è un mio amico. -.
- D’accordo, ma mi devo preoccupare? L’ultima volta che mi hanno detto di volermi far conoscere delle persone, sono finito nella gabbia di matti del Gruppo Giovani. – chiede Luca in tono scherzoso.
Il don dall’altra parte del telefono fa giocare Marcellino con la propria mano e ridacchia:
- Oh, qui c’è da preoccuparsi molto di più. -.

Angolo dell'Autrice

E dopo una lunga assenza sono tornata! Mi spiace non essere riuscita a scrivere  e pubblicare in questi mesi, ma, come ho detto più volte  in questa capitolo, la vita ha spesso dei risvolti inaspettati, a volte dolorosi... Ho dovuto affrontare un lutto e sto ancora avendo a che fare con vari problemi di salute in famiglia... Insomma, ho dovuto anch'io dare del tempo alle mie ferite per guarire, proprio come Luca. Ma ora sono pronta per continuare a tracciare la sua storia!
In questo capitolo ho voluto lasciare più spazio a Marco per permettervi di conoscerlo meglio. Adesso c'è solo da scoprire che cos'ha in mente il don e chi è la persona che vuol far conoscere a Luca.
Buona lettura, al prossimo capitolo!
Marta

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Go the distance ***


Capitolo 11 – Go the distance
 
Il don è in aeroporto già da una mezz’ora abbondante, ma del suo amico non c’è ancora traccia. Guarda l’orologio ed incrocia le braccia, guardandosi attorno, osservando la marea di persone che va e viene da quel luogo: c’è chi freme di eccitazione e non vede l’ora di partire all’avventura; chi si riabbraccia dopo tanto tempo e piange di felicità, mentre altri di tristezza, dovendosi salutare. Genitori con lo sguardo preoccupato, che devono lasciare che i propri pulcini lascino il nido; figli che non potranno mai abituarsi al fatto che il lavoro costringa la mamma o il papà ad allontanarsi da loro; amanti che non sanno quando potranno scambiarsi di nuovo un bacio.
- Tommaso! – il don, sentendosi chiamare, si riscuote dalle proprie riflessioni e cerca con lo sguardo la fonte di quella voce, trovandola, infine, in mezzo alla folla, in un uomo, pressappoco della sua età, con il volto bruciato e segnato dal sole e dalla vita, una t-shirt sbiadita, su cui poggia un crocifisso in legno scuro. Si sta sbracciando in direzione del prete, scuotendo da una parte all’altra il proprio borsone.
Il don gli va incontro sorridente:
-Lorenzo! Finalmente ci rivediamo! – i due si abbracciano con affetto, scambiandosi qualche convenevole, per poi dirigersi verso l’esterno dell’aeroporto.
Si erano conosciuti molti anni prima, in uno dei tanti viaggi che il don aveva fatto prima di entrare in seminario, erano diventati amici, tanto da girare il mondo insieme, vivendo un’infinità di avventure. Poi entrambi hanno sentito la chiamata di Qualcuno più in alto di loro, il quale aveva idee un po’ diverse per ognuno dei due. Tommaso era entrato nel seminario della diocesi di Milano e uscito da lì era giunto a Luino, per trascorrere i suoi primi anni pastorali come prete da oratorio, mentre Lorenzo aveva deciso di diventare un prete missionario, ora destinato in Siria, più precisamente nelle zone di Aleppo.
- Non vieni mai a trovarmi, Tommi. Mi costringi sempre ad attraversare i continenti per fare delle brevi rimpatriate. – si lamenta scherzosamente Lorenzo.
-Come se ti dispiacesse ritornare in Italia… Ammettilo che non vedi l’ora di mettere le mani su un piatto di pasta o una pizza! – gli replica ridendo il don, cambiando marcia prima di entrare in autostrada.
- Ti prego, dimmi che a cena ci sono entrambe! Con quanto più condimento possibile, mi raccomando. -.
- D’accordo. – continua a ridere il sacerdote – Comunque non è colpa mia se non riesco mai a prendermi delle vacanze abbastanza lunghe per raggiungerti. C’è troppo da fare a Luino, troppi giovani che hanno bisogno di me. -.
- La verità è che voi preti diocesani invecchiate non appena uscite dal seminario. Vi piace rimanere nella sicurezza delle vostre parrocchie. – lo stuzzica il missionario.
- Vecchio sarai tu! Io sono in perfetta forma! – il don gli lancia una finta occhiataccia – E poi, vai a dire che stanno al sicuro ai parroci di certi quartieri di Milano, vediamo come ti rispondono. Non sono tutti fortunati come me, in una cittadina tranquilla, sul lago. -.
- Infatti, tu fai la bella vita, vecchio mio. – don Tommaso lo guarda di nuovo di sbieco, senza però replicare – Insomma, davvero, quando vieni a trovarmi? -.
Il prete alla guida sospira, esasperato. Non si ricordava quanto potesse essere insistente ed irritante l’amico, ma in fondo gli mancavano le lunghe conversazioni senza capo né coda, che erano abituati a fare durante le notti in viaggio.
- Potrei riuscire a farmi dare una decina di giorni di ferie ad agosto, ma non ti assicuro nulla. Però potresti avere altra compagnia… - Lorenzo lo guarda incuriosito.
- Di chi stai parlando? Chi è il pazzo che vuole andare in Siria? -.
- In realtà non vuole, non ancora almeno. Non sa ancora che potrebbe avere questa opportunità… - ammette il sacerdote, mentre sulle sue labbra si dipinge un sorrisetto che la dice lunga.
- Ah, allora vuoi che tutto il lavoro sporco lo faccia io! – sbuffa il missionario.
- Devi solo parlare di ciò fai laggiù e palesargli una possibilità… - lo rassicura l’amico.
- Almeno mi vuoi dire qualcosa di questo individuo? – chiede Lorenzo, incrociando le braccia al petto.
- Si chiama Luca ed ha 19 anni. Sta per fare la maturità, ma a quanto pare non ha ancora le idee chiare per il proprio futuro. Non ha avuto il tempo per pensarci ultimamente… - incomincia a spiegare don Tommaso.
- In che senso “non ha avuto il tempo di pensarci”? Cos’altro dovrebbe fare un liceale? – lo interrompe con scetticismo l’altro.
- Fammi finire di parlare! – sospira il don – Ha passato dei brutti mesi e non ti dirò nulla di più. Se vorrà, ti racconterà lui, ma, credimi sulla parola, non ha vissuto nulla di semplice per un ragazzo della sua età. Quando l’ho conosciuto era letteralmente a pezzi, se non fossimo intervenuti… Tremo al solo pensiero di ciò che sarebbe potuto accadere…- stringe più forte il volante fra le mani - Ma ora si sta riprendendo, è più forte di quanto pensa. -.
- Perché tieni così tanto a questo ragazzo? -.
- Perché ho fatto una promessa. – l’immagine di Clara in lacrime poche ore prima dello spettacolo, poche ore prima del collasso cardiaco che l’aveva portata via, passa fulminea davanti agli occhi del prete, il cui sguardo si rannuvola per un attimo.
- E quindi pensi che il modo migliore per mantenerla sia mandare il ragazzo nella tana del leone… - commenta divertito l’amico.
- A proposito… - il tono di don Tommaso si fa più serio – Ho saputo cosa ti è accaduto. Come ti senti? – a questa domanda Lorenzo si porta istintivamente una mano alla spalla. In alcuni momenti gli sembra ancora di provare quel dolore bruciante, ma non è altro che un miraggio, un ricordo che non vuole lasciarlo in pace.
- Sto bene. Ad altri è andata peggio di me. – un sorriso malinconico compare sul suo viso, insieme a sottili rughe d’espressione, che sembrano tracciare una cartina sulla pelle abbronzata.
- Mi dispiace per i tuoi confratelli. – il prete gli appoggia una mano su una spalla, stringendola lievemente. Lorenzo non risponde, si limita a rivolgergli un sguardo carico di gratitudine. Dopo qualche minuto rompe di nuovo il silenzio.
- Il ragazzo è pronto? Sei sicuro che ce la farà? -.
Il sacerdote si prende qualche secondo per considerare la domanda:
- Te l’ho detto: è forte, può reggere tutto ciò che potrebbe vedere laggiù. Lui ha un qualcosa… Lo capirai quando lo vedrai. Può fare grandi cose. -.
- D’accordo, ma non ti aspettare che io lo abbracci o lo consoli se dovesse mettersi a piangere come un bambino. Lo sai, io non sono un tipo delicato. La Siria non è affatto delicata. -.
- Esattamente ciò di cui ha bisogno. -.
 
Luca si chiude lo sportello della macchina alle spalle, facendo scattare la serratura. È quasi ora di cena ed il cielo si è dipinto dei colori del crepuscolo. Il ragazzo cammina con tranquillità lungo il marciapiede che corre lungo il perimetro dell’oratorio di Luino, giocherellando con le chiavi dell’auto, un po’ nervoso, ma soprattutto curioso di conoscere questo misterioso amico del don. Oramai sa bene che da lui può aspettarsi di tutto…
Il cancello è già aperto e dalla soglia fa capolino Marcellino, che miagola innocentemente a mo’ di saluto in direzione di Luca, come se fino ad un secondo prima non stesse cercando di andarsene a zonzo per la città.
- Ehi, piccola peste! Dove credi di andare? – gli domanda il giovane, accovacciandosi davanti a lui e dandogli una grattatina sotto il collo, assolutamente gradita dal gatto. Dopodiché se lo prende in braccio e si dirige all’interno dell’edificio, mentre Marcellino, dopo essersi un po’ divincolato, miagola sconfitto, accettando qualche carezza.
Lorenzo e don Tommaso sono nell’appartamento di quest’ultimo. Luca entra in casa proprio mentre stanno scolando la pasta.
- Oh, Luca, sei arrivato giusto in tempo! – lo accoglie il don allegramente, per poi spostare la propria attenzione sull’animale fra le sue braccia –E tu dove eri finito, birbante? – lo guarda con finta severità e per tutta risposta il gatto salta via dalla presa del ragazzo e si rifugia dietro al divano, facendo capolino solo con il musetto –Non so proprio cosa devo fare con te… - il prete ride, con le mani sui fianchi.
L’amico si schiarisce rumorosamente la voce:
-Pensi di fare gli onori di casa o devo fare tutto da solo? -.
- Hai ragione, hai ragione. Adesso faccio le presentazioni. Luca, lui è don Lorenzo, missionario in Siria. Vecchio brontolone che non sei altro, lui è Luca, uno dei nostri giovani. – i due si stringono la mano, quella del sacerdote è forte, ruvida, callosa, da persona che lavora con le proprie mani da tutta una vita; quella del ragazzo è grande, affusolata, giovane e gli unici calli che conosce sono quelli da chitarrista, segni dolci rispetto a quelli che segnano il missionario.
- Chiamami pure solo Lorenzo e dammi del tu. Non sono attaccato ai titoli come questi preti di città. -.
- Ma piantala! – lo rimbrotta subito l’amico – Non farci caso, si diverte a punzecchiarmi. – dice rivolgendosi poi verso Luca, con uno sguardo che chiede la sua pietà e pazienza.
- Eddai! È così tanto che non ci vediamo, devo riscuotere gli arretrati! – scherza Lorenzo, mettendo un braccio intorno alle spalle di don Tommaso, il quale non può fare altro che alzare gli occhi al cielo e scuotere sconsolato la testa.
Il giovane non può fare altro che sorridere di fronte a quell’amicizia, le cui dinamiche gli ricordano tanto il suo rapporto con Marco. Quel ragazzo sa essere molto molesto quando ci si mette d’impegno…
- Sediamoci a mangiare, altrimenti si fredda. – li incoraggia il don, come se ce ne fosse bisogno!
Infatti, per parecchi minuti, a vincere su quella strana consuetudine sociale per cui a tavola è buona norma intrattenere gli ospiti con piacevoli chiacchierate, è la fame.
Dopo aver riempito un po’ lo stomaco, i due sacerdoti incominciano a ricordare i vecchi tempi, raccontando a Luca i loro viaggi in giro per il mondo. Per la prima volta il giovane conosce un nuovo lato di don Tommaso, che mai avrebbe pensato fosse così avventuriero. Non che sembrasse un docile agnellino, proprio per niente! Nei suoi occhi ha sempre visto una luce vivace e un pizzico spericolata, ma non avrebbe mai potuto immaginare che lo fosse fino a questo punto.
- Davvero, adesso non diresti mai che questo vecchietto fosse così attivo! – commenta Lorenzo con un sorriso sardonico, al termine di uno dei loro aneddoti.
- Basta dire che sono vecchio! – esclama il don con tono offeso – E poi, in ogni caso, il più spericolato fra i due eri tu, ti cacciavi sempre nei guai e chi doveva tirartene fuori? Il sottoscritto! Potresti dimostrare almeno un po’ di gratitudine. -.
- D’accordo, su questo punto devo darti ragione, ma non è colpa mia se il gentil sesso era tanto attratto dal mio fascino italico. -.
- Sì, certo, da barbaro italico. – sbuffa l’amico per tutta risposta –Menomale che sei diventato prete. Poverina, altrimenti, la donna che ti avrebbe sposato! -.
- Fascino da barbaro?! Ma cosa ne sai tu?! Accetto pareri solo da Luca. Le tue compagne di classe avranno di sicuro un debole per te. – dice scherzosamente Lorenzo, facendo un occhiolino al ragazzo, il quale abbassa lo sguardo, leggermente a disagio. Non aveva mai fatto quel tipo di pensieri, figuriamoci dopo la morte di Clara.
Don Tommaso tira prontamente un calcio sugli stinchi dell’amico, accompagnato da un’eloquente occhiataccia.
- Ohi! O può darsi di no… - bofonchia il missionario, massaggiandosi la gamba dolorante.
A rompere il silenzio imbarazzante creatosi è, contro ogni aspettativa, proprio Luca:
- Il don prima ha detto che sei missionario in Siria, ma cosa fai esattamente? -.
Il sacerdote tira un altro calcio a Lorenzo, lanciandogli un ulteriore occhiata, che questa volta gridava un “Te l’avevo detto” forte e chiaro.
- Ahia! Beh, innanzitutto faccio il prete e quindi più o meno tutto ciò che fa anche Tommaso, anche se io sono costretto a spostarmi da un villaggio all’altro, o da una città all’altra e questo, in alcuni casi, può richiedere giorni, soprattutto in periodi particolarmente caldi dal punto di vista militare. Mi sono occupato della costruzione di alcuni luoghi particolari, come scuole, oratori ed anche l’ospedale, dove, quando posso, vado a dare una mano, a parlare con i malati e i tanti feriti. Cerco di aiutare come posso le persone del luogo, soprattutto quelle più colpite dalla guerra, e di difenderle da ulteriori orrori… - spiega il missionario con semplicità.
- Ma, nonostante la guerra in corso, vi lasciano stare là? Non è pericoloso? – chiede Luca con interesse. Il don si limita a seguire la conversazione in silenzio, sorseggiando il proprio bicchiere di birra.
- Noi andiamo dove c’è bisogno e là ne hanno tanto, credimi. Alla TV parlano molto di Isis, terrorismo, ma solo quando oltrepassa i confini occidentali, mentre i danni maggiori li fanno proprio a casa loro… Città, villaggi, ospedali, distrutti dalle bombe; bambini che calpestano per caso una mina o vengono colpiti da proiettili vaganti; donne stuprate; cristiani brutalmente perseguitati… - Lorenzo si appoggia con i gomiti sul tavolo e comincia a rigirarsi fra le mani il proprio bicchiere – Quando si parla di persecuzioni cristiane ciò che viene in mente sono gli anfiteatri romani, dove gli imperatori si divertivano a bruciare vivi i credenti, facendoli brillare come torce, oppure li usavano come pasto per le loro belve feroci ed esotiche. E punto. Capitolo chiuso. Tutti pensano che da quel momento la Chiesa abbia governato e tiranneggiato sul mondo, facendo il lavaggio del cervello a tutti e vivendo nel lusso, senza pensieri. -.
- Il mio non è affatto uno stipendio di lusso. – borbotta il don, con le sopracciglia aggrottate.
- Certo che non lo è, ma vallo a spiegare a certa gente che il Papa e tutti noi viviamo essenzialmente di carità e che le tanto rinomate ricchezza della Chiesa sono per lo più chiese, beni artistici e culturali, patrimonio dell’Unesco e quindi invendibili. - commenta in tono aspro il missionario - Comunque, tornando al discorso iniziale, le persecuzioni in realtà non si sono mai interrotte. Non immagini in quanti paesi ancora oggi i cristiani vengano uccisi per la loro fede. Donne e bambine rapite e costrette a convertirsi all’Islam e a sposarsi con perfetti sconosciuti; chiese bruciate durante la Messa domenicale; fedeli usati come bersagli per le mitragliette, donne, uomini, bambini, anziani, non fa differenza; suore stuprate e massacrate; preti e frati rapiti, torturati e decapitati. Ma tu di queste notizie ne senti così tante al telegiornale? – Luca scuote la testa in silenzio. Le mani di Lorenzo stringono tanto il bicchiere che i polpastrelli sono completamente sbiancati - Eh già, se non riguarda il loro piccolo mondo sicuro e felice, allora non importa. Hanno anche il coraggio di dire che in realtà la religione non c’entra nulla, che è solo una questione economica. Sicuramente la mente di tutto questo orrore potrà avere mire di quel tipo, ma le braccia non sono mosse dal desiderio del denaro, no, sono veri e propri invasati religiosi, che credono nell’istituzione di uno Stato Islamico tramite la forza. A loro sì che è stato fatto il lavaggio del cervello. Spero per loro che il Signore sia così pietoso da far conoscere a quegli scellerati la sua misericordia, perché io, con tutte le mostruosità che ho visto loro fare, non sono in grado di dimostrargliene. Dove opero la maggior parte della popolazione è cristiana… Hai idea di cosa significhi avere la costante paura che da un momento all’altro un pazzo con il mitra entri in casa tua ed uccida te e la tua famiglia solo per il dio che tu preghi? Senza contare la minaccia di bombardamenti. Eppure questa gente è disposta a morire pur di non rinnegare la propria fede…Sì, noi cristiani siamo proprio dei viscidi, ottusi, egoisti, bigotti, fermi al Medioevo. È quello che l’opinione pubblica pensa di noi, no? Di qualunque argomento si tratti tutti presumono di sapere cosa ne pensa la Chiesa, si riempiono la bocca di luoghi comuni e schifosi pregiudizi, senza informarsi, o quanto meno chiedere a persone competenti, senza considerare il fatto che Essa non è composta da esseri sovrannaturali, ma da uomini, fatti di carne e sangue e che, in quanto tali, sbagliano, come chiunque altro su questo pianeta. Ma sono anche persone in grado di sacrificarsi per ciò in cui credono, perché in questa Fede hanno trovato qualcosa che va oltre, è più importante della vita stessa. Io ho scelto questo tipo di esistenza consapevole dei rischi a cui andavo incontro ed ogni giorno sono pronto a mettermi davanti ad una famiglia, un bambino, di qualunque razza o religione, per difenderli. E come me lo è anche Tommaso e tutti i preti degni di questo ruolo. Anche qui in Italia, quanti sacerdoti sono morti solo perché volevano portare un po’ di luce in alcuni quartieri dove l’unica opportunità sembra essere il buio… - improvvisamente lascia andare il bicchiere e si passa una mano sul viso – Scusatemi, mi sono lasciato prendere, ma quando parlo di queste cose finisco sempre per inalberarmi e divagare troppo… -.
Luca gli sorride comprensivo:
-Non c’è bisogno che ti scusi. Io vedo solo un uomo che ama quello che fa e ciò in cui crede, tanto da poter sacrificare tutto per quella causa. Non posso non ammirarti per questo. -.
- Oh, ragazzo, grazie, ma è solo il mio dovere. Non potrei guardarmi allo specchio se non fosse così. – il don gli dà una leggera pacca sulla spalla, in segno di sostegno.
- In Siria, nelle zone dove operi, siete in molti? – chiede ancora il giovane e gli occhi di Lorenzo si rabbuiano per un istante.
- Troppo pochi, in realtà, rispetto alla quantità di lavoro da fare. Due mani in più sono sempre bene accette. – e dicendo ciò fissa deciso il proprio sguardo nelle iridi blu di Luca, il quale non può fare a meno di sentirsi preso in causa.
La serata si conclude abbastanza in fretta e dopo aver sparecchiato, messo i piatti in lavastoviglie e aver salutato Lorenzo e Marcellino, il ragazzo esce dall’oratorio, accompagnato dal don. Giunti di fronte all’auto, Luca si rivolge a lui:
- Secondo te dovrei andare in Siria con Lorenzo. – non è una domanda, ma proprio un’affermazione. E non è neanche un’accusa, il giovane ha parlato con tranquillità, come se il soggetto della frase fosse la lista della spesa e non un viaggio in un paese in guerra.
- È così evidente? – chiede il sacerdote sorpreso.
- No, probabilmente ho solo imparato a conoscerti. Non fai mai nulla senza un motivo e una ragione doveva pur esserci dietro questo invito a cena. In ogni caso ora ne ho avuto la conferma. – risponde l’altro ancora con la stessa flemma.
- Ho solo voluto mostrarti una possibilità. La scelta spetta a te, solo a te. -.
Luca alza lo sguardo al cielo con un sorriso tirato sulle labbra, poi, senza dire una sola parola, sale in macchina e se ne va.
Rientrato in casa, ad aspettare il don con le mani sui fianchi c’è Lorenzo, mentre il gatto gli si sta strusciando sulle gambe in cerca di attenzioni.
- Avresti almeno potuto avvisarmi sugli argomenti da evitare, invece di prendermi a calci e farmi fare figuracce. -.
- Mea culpa. – sospira l’amico, sedendosi sul divano e accogliendo sulle proprie ginocchia Marcellino, offeso per essere stato ignorato dal missionario – Comunque cosa ne pensi di lui? -.
- Mi sembra un bravo ragazzo, maturo, educato, con la testa sulle spalle. Se la potrebbe effettivamente cavare laggiù. – risponde sedendosi di fianco a lui.
- Solo questo? – lo incalza di nuovo il prete.
- E poi avevi ragione: ha un nonsoché di particolare… Cavolo, è chiaro che abbia sofferto terribilmente, in lui c’è ancora qualcosa di spezzato, ma in fondo agli occhi ha una luce, che vuole uscire a tutti i costi, che ho visto in poche altre persone. -.
- Ojos de Cielo… - sussurra il don, sorridendo lievemente.
- Come? – chiede l’altro confuso.
- Niente. – l’amico scuote la testa ridacchiando – Noi comunque abbiamo gettato il seme e lo abbiamo annaffiato per bene, ora dobbiamo solo aspettare di vedere se e come sboccerà. -.
 
Da quella panchina fuori dal liceo la vista del lago Maggiore è meravigliosa come sempre, ma quando comincia a fare caldo le sue acque sembrano diventare ancora più blu, è facile confonderle con gli occhi di Luca, il quale sembra essere completamente perso nei propri pensieri, mentre fa sentire a Marco l’arrangiamento pensato per il brano che dovrà cantare al musical fra poco meno di un mese. All’ennesimo accordo sbagliato, l’amico sbuffa:
- Metti giù la chitarra e dimmi cosa c’è che non va. -.
L’altro sgrana gli occhi sorpreso:
- Va tutto bene, sono solo un po’ stanco. – farfuglia, accarezzando meccanicamente le corde dello strumento. Marco alza un sopracciglio, lanciandogli uno sguardo piuttosto eloquente.
- Davvero? A questo punto pensi sul serio di poterti prendere gioco di me? -.
Luca sospira, pone la chitarra al suo fianco, appoggia la schiena allo schienale ed allunga le gambe, senza togliere gli occhi dal panorama lacustre.
- Il don mi ha fatto conoscere una persona, ma sicuramente tu questo lo saprai già, vero? – incomincia a parlare, infrangendo sul nascere l’espressione di studiato stupore che stava per dipingersi sul volto dell’amico, il quale rimane in silenzio, non sapendo come giustificarsi – Cavolo, il vostro passatempo è complottare alle mie spalle! Mi sembra di avere uno strano miscuglio fra due stalker e delle fate madrine. Non so quale delle due cose mi inquieti di più… - ride, con una punta di esasperazione, mentre Marco cerca di sembrare il più innocente possibile.
- Quindi ti hanno chiesto di andare in Siria? – chiede infine, per levarsi dall’imbarazzo.
- Non direttamente, ma era abbastanza chiaro che l’obiettivo della serata fosse quello. -.
- Ed ora questa opportunità ti attira… - constata l’altro, con un sorrisetto poco rassicurante dipinto sulle labbra.
- Che ti ridi?! Io non so cosa fare… Insomma, stiamo parlando di un paese in guerra, non di andare a passare le vacanze ai Caraibi! Ma don Lorenzo mi ha raccontato delle cose… Terrificanti, ma proprio per questo ora non posso fare finta di nulla. Sento il bisogno di fare qualcosa! Ed ho questa idea che mi gira per la testa… - il ragazzo si prende il capo fra le mani, piegandosi sulle ginocchia.
- Che idea? -.
Luca scuote la testa, senza dire nulla.
- Beh, a quanto vedo non mi sembri poi così confuso. La tua decisione l’hai già presa. – commenta Marco, appoggiando la testa al muro e chiudendo gli occhi, beandosi dei raggi del sole primaverile. L’amico rivolge il viso verso di lui. È impressionante il modo in cui quel ragazzo è in grado di leggere le altre persone, al limite del disagiante. Eppure è il suo migliore amico, un’altra persona a cui si è avvicinato grazie a Clara, la quale, a quanto pare, ha davvero rivoluzionato la sua esistenza.
- Pensi che faccia bene? – gli chiede sospirando.
- Non posso dirtelo io, non posso decidere per te. Se senti davvero il bisogno di farlo e pensi che ti aiuti a stare meglio, allora è la strada giusta. –.
- Non sei proprio d’aiuto, lo sai? – lo prende in giro Luca, dandogli una leggera spinta.
- Non c’è di ché. – replica lui, senza scomporsi minimamente.
 
Quella stessa sera Luca si reca in oratorio. Quando i due preti lo vedono arrivare, don Tommaso non può fare a meno di sorridere e guardare l’altro ancora una volta come per dirgli “Te l’avevo detto”.
- Sei diabolico. – è l’unico commento di Lorenzo, prima di avvicinarsi al giovane – Luca, immagino tu sia venuto per parlare con me. – il ragazzo annuisce energicamente, ma non fa in tempo a dire una parola, perché il missionario non gliene dà l’opportunità – Prima che tu dica qualunque cosa lascia che ti avverta un’altra volta: il tuo non sarà un viaggio di piacere, laggiù c’è la guerra, bombardano, sparano, uccidono, tu stesso potresti rischiare di rimanere ferito, se non peggio. Dovrei lavorare molto, non ci sarà il tempo per fare il turista, oppure tirarsi indietro. Vedrai orrori non descrivibili a parole… Devo essere sicuro che questa tua scelta non sia dovuta a semplice e istintivo entusiasmo, o alle aspettative di Tommaso. Devi essere fermamente convinto di volerlo, che sia la cosa più giusta per te. Ce la farai? – gli chiede infine, guardandolo dritto negli occhi, intensamente.
- Ce la farò. – è la semplice, diretta risposta di Luca, il quale sostiene fermamente lo sguardo del sacerdote davanti a lui. Negli occhi del ragazzo quella scintilla di vita sembra brillare più forte, fiera e spavalda.
- D’accordo. A metà luglio, dopo il tuo esame, tornerò e, se sarai ancora così convinto, ti porterò in Siria con me. -.
- Grazie, Lorenzo. -.
Il missionario sghignazza in tono ironicamente amaro:
- Aspetta a ringraziarmi, ragazzo, non hai idea di cosa ti attende realmente. -.

Angolo dell Autrice

Ecco un nuovo capitolo! L'ho pubblicato prima del previsto perchè nei prossimi giorni non so quanto tempo libero avrò a causa delle problematiche di cui ho già parlato. Comunque, devo dire che sono soddisfatta di questo capitolo! Finalmente conosciamo il nome del don: ho tardato tanto a rivelarlo semplicemente perchè, essendo ispirato ad una persona vera, a cui tengo moltissimo, non avevo idea di quale nome dargli oltre a quello vero. Alla fine sono riuscita a trovargliene un altro che mi soddisfasse :)
Da questo capitolo parte la svolta e fra poco cambieremo decisamente scenario, grazie alla coraggiosa scelta di Luca, che chissà dove lo porterà.
Inoltre ci tengo a precisare che tutto ciò che ho fatto dire a Lorenzo durante la cena non sono cose inventate, ma, purtroppo, più reali che mai e mi scuso anch'io, perchè esattamente come il mio personaggio, tendo un po' a inalberarmi affrontando questi discorsi, soprattutto a causa delle cavolate che leggo e vedo sempre più spesso... Da credente è difficile non perdere la calma ogni tanto!
Detto ciò... Buona lettura e al prossimo capitolo!
Marta

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Ci sono anch'io ***


Capitolo 12 – Ci sono anch’io
 
Cara Emma,
a suo tempo ti avevo promesso che non appena avessi capito cosa avrei fatto del mio futuro te lo avrei fatto sapere. A lungo termine non ho ancora le idee chiare, ma riguardo il futuro prossimo ho fatto una scelta, forse stupida e avventata, ma mi sembra la cosa più giusta fatta dalla morte di Clara.
Il don mi ha fatto conoscere un suo amico, un missionario che lavora in Siria, il quale mi ha raccontato tutto ciò che fa laggiù, la realtà di quei luoghi. All’improvviso è stato come se un lampo illuminasse il buio e mi permettesse di vedere un mondo che fino a quel momento avevo ignorato.
La parte difficile è stata convincere i miei genitori…
 
La fatidica conversazione era avvenuta due settimane dopo aver comunicato la propria decisione a don Lorenzo. Fino a quel momento Luca non ne aveva avuto il coraggio e sembrava che non fosse mai il momento adatto: sapeva bene quale sarebbe stata la reazione… Panico, panico assoluto! Eppure confidava nella fiducia che sua madre aveva riposto nel giudizio di don Tommaso quando si trattava di aiutarlo ad uscire dal suo limbo di dolore e solitudine.
Quella sera entrambi i suoi genitori erano a casa e a quanto pare erano di buon umore. I viaggi di lavoro del padre si erano diradati, permettendo loro di gustarsi un po’ di serena vita familiare. Luca, allora, prendendo coraggio, dopo cena aveva fatto sedere entrambi sul divano, mentre lui si era accomodato sulla poltrona, davanti a loro, tormentandosi l’orlo della maglietta, senza sapere bene come iniziare il discorso.
- Cosa succede, tesoro? – aveva domandato sua mamma, notando il suo disagio – È insolito che tu rimanga qua dopo cena invece di andare nel tuo covo a cantare… Lo sai che con noi puoi parlare di tutto, vero? -.
Il ragazzo le aveva rivolto un timido sorriso, mentre suo padre si era limitato a scrutarlo con espressione interrogativa. A causa dei suoi continui viaggi non era stato in grado di stargli molto vicino dopo la perdita di Clara ed era un fatto di cui si rammaricava immensamente. Il figlio che in quel momento si trovava davanti era molto diverso da quello che aveva lasciato prima di partire: aveva negli occhi i segni del lutto e della sofferenza, ma sembrava essere più forte, maturo… Adulto.
-  Mamma, papà, non so esattamente come fare questo discorso… Andare dritti al punto mi pare sia la cosa migliore. Dopo la maturità ho intenzione di partire insieme ad un missionario amico del don e trascorrere un periodo in Siria ad aiutare come posso. -.
Luca non aveva mai visto i propri genitori rimanere così attoniti. Non osava proferire parola, preferendo lasciare loro il tempo necessario per metabolizzare la sua affermazione, ma intanto li guardava, spostando lo sguardo da uno all’altro con preoccupazione.
- C-come? – aveva infine domandato sua madre, balbettando confusa.
- Immaginavo sarebbe stata questa la reazione… - aveva sospirato lui per tutta risposta.
- Figliolo, sono fiero del fatto che tu voglia aiutare persone che sono in grandissima difficoltà, ma ti rendi conto di voler andare in un paese in guerra? – aveva invece chiesto suo papà, chinandosi verso di lui, con sguardo grave.
- Non cercate di spaventarmi, ci ha già provato don Lorenzo. So esattamente a cosa vado incontro. – aveva replicato Luca deciso.
- Temiamo solo che tu abbia preso questa decisione troppo avventatamente… - aveva proseguito il padre. Era finalmente tornato e doveva separarsi così velocemente dal figlio?
- Non è solo entusiasmo missionario, se è quello che intendete. – il tono del ragazzo si è fatto più brusco. Perché non volevano capire? Perché non gli lasciavano prendere in mano la propria vita ora che aveva il coraggio di farlo?
Sua mamma si limitava a guardarlo con occhi colmi di interrogativi e preoccupazioni. Guardandoli Luca si era reso subito conto della paura più grande della donna: che quello fosse solo un altro modo per farsi del male, per rincorrere la morte.
- Mamma. – il giovane si era alzato dalla poltrona per inginocchiarsi davanti alla madre e guardarla dritto negli occhi – Non sono più quel ragazzo, hai capito? Ora voglio vivere. – le aveva parlato dolcemente, prendendole una mano fra le sue – Lo so, sembra una contraddizione, ma in questo momento io ho bisogno di questo, necessito anche della batosta, per imparare a vivere pienamente come voleva Clara.  -.
La donna lo aveva fissato per un lungo istante senza dire nulla. Il suo bambino in Siria? Cosa cavolo gli passava per la testa? Eppure la luce nei suoi occhi sembrava bruciare di impazienza, fuoco all’acqua.
- Va bene. – aveva detto infine, continuando a guardarlo.
- Ma cara… - aveva cercato di ribattere il marito, interrotto da un suo gesto.
- Se davvero pensi che questo viaggio ti possa aiutare a riprendere completamente e a riflettere sul tuo futuro, allora vai. Mi fido di te e di don Tommaso, perché immagino ci sia anche il suo zampino. Ma devi tornare da me, d’accordo? – lo aveva ammonito, prendendolo fra le braccia e Luca aveva annuito, sciogliendosi in quell’abbraccio, mentre suo papà si era limitato a dargli leggere pacche sulle spalle e ad accarezzare con tenerezza la schiena della moglie.
 
Ma alla fine ce l’ho fatta… Dopo gli esami partirò per la Siria. Non so per quanto resterò laggiù, il tempo necessario immagino, fino a quando non sarò pronto a prendere in mano le redini del mio futuro e a condurlo verso una direzione precisa. Molti pensano che debba essere la musica, che io abbia il talento necessario per comporre e fare strada, ma voglio che rimanga solo una passione, il mio canale di sfogo. Se diventasse anche il mio lavoro, ho paura che alla lunga io debba trovare una via di fuga ulteriore.
Per ora mi concentro su questa nuova avventura che mi attende. In don Lorenzo ho visto un uomo che ha sofferto molto, ma incredibilmente forte, con una tempra invidiabile. È questa forza che voglio imparare e a quanto pare si può acquisire solo donandosi agli altri come fa lui, come aveva sempre fatto anche tua cugina, era questa la sua via. Voglio percorrerla anche per lei, con lei, che è sempre insieme a me, lo percepisco. È strano, in questo momento mi sembra di sentirla ridere…
E poi ho questa idea che mi frulla in testa… Le persone che vivono laggiù si portano scolpite nell’anima ferite indicibili, che non hanno nulla a che fare con la mia. Mi chiedo se per far guarire la mia piaga sia necessario imparare a lenire quelle degli altri, portando loro la luce necessaria. Tu che ne dici? Sono sulla via giusta? Lo spero.
Io fremo di impazienza!
Ti prometto che appena tornerò a casa, verrò a trovarti per raccontarti tutto, anzi, magari ti scriverò anche da là quando avrò l’illuminazione del secolo sul mio futuro.
Per adesso non posso fare altro che affidarmi alle tue preghiere.
Grazie per tutto ciò che hai fatto per me (porterò con me il ciondolo di Clara)!
Un abbraccio,
Luca
 
Il ragazzo rilegge per un’ultima volta la lettera, accertandosi di aver scritto tutto ciò che voleva far sapere ad Emma. È seduto di fianco ad una delle entrate laterali del Teatro Sociale di Luino, per approfittare della brezza leggera, caratteristica delle serate di tarda primavera. Guarda con occhi cupi fuori dalla porta, non che ci sia qualcosa di interessante da vedere, solo muro, ma anche quello non era affatto un bel ricordo per lui…
- Ehi, tutto a posto? – Luca alza la testa di scatto, preso di sorpresa. Sopra di lui, nella penombra delle quinte, si staglia la figura slanciata di Marco, perfetto nei suoi abiti di scena.
- Io… Sì, va tutto bene. È solo la memoria a farmi brutti scherzi. – risponde il giovane, sospirando e rimettendo la lettera nella propria busta.
- A chi lo dici… - sorride malinconicamente l’amico – Io avevo salutato Clara proprio dietro alle quinte, poco prima che voi andaste in scena. È stata l’ultima volta che l’ho vista, che le ho potuto dire che l’amavo ed è stato allora che mi ha fatto promettere che mi sarei preso cura di te. -.
- Ed è stato sempre allora che mi hai detto di andare da lei. Mentre vi osservavo da lontano non sai quanto stessi rodendo di gelosia, vedendo la disinvoltura con cui stavate vicini e vi abbracciavate. – Marco ride, mentre l’altro riporta a galla quei ricordi.
- Posso immaginarlo. -.
- Non avevo capito nulla. -.
- Già, proprio nulla. – l’amico ride ancora più forte.
- Quella sera era bella da mozzare il fiato… - ricorda ancora con un sorriso Luca.
- Non so come dovrei replicare a questo: ho paura di essere picchiato se ammettessi che era bellissima. – commenta l’altro in tono scherzoso, guadagnandosi uno spintone giocoso da parte del suo migliore amico.
I due rimangono per qualche istante ancora in silenzio, ognuno impegnato nel rincorrere i propri ricordi e pensieri. Dopodiché Marco scuote la testa, cercando di riacquistare la concentrazione necessaria allo spettacolo.
- Penso proprio sia ora di andare. Devi aprire tu lo show, come solo tu sai fare. – esclama con entusiasmo.
- Lo apriremo io e Clara insieme, come l’anno scorso. In fondo era una delle sue canzoni preferite, la canterà anche lei con me, ne sono sicuro. – replica Luca facendo sorgere sul proprio viso uno di quei sorrisi in grado di illuminarlo e di fargli brillare gli occhi come zeffiri colpiti dalla luce del sole. L’amico gli porge una mano e lui la afferra prontamente, tirandosi in piedi e scambiando uno sguardo complice con l’amico.
- Allora non vedo l’ora di sentirla cantare. – è l’ultima affermazione di Marco, prima di raggiungere gli altri attori.
 
Il buio è calato nella sala, insieme al silenzio. Sono udibili solo i normali bisbigli di adolescenti, pronti a commentare tutto ciò accadrà e ad incoraggiare i propri compagni coinvolti nel musical.
Luca cammina nell’oscurità fino al centro del palco, dove si trova l’asta con il microfono. È solo, accompagnato semplicemente dalla sua fedele chitarra, mentre ai margini del palcoscenico un altro ragazzo è già seduto davanti alla tastiera, attendendo solo un suo segnale per iniziare a suonare. Improvvisamente un faro lo illumina, versi di stupore si levano dalla platea e lui deve sforzarsi di non strizzare gli occhi a causa della forte luce. È tutto esattamente come l’anno prima, eccetto per il fatto che a calcare la scena per prima, da sola, era stata Clara. Ora può comprendere la sua agitazione, il respiro corto, il battito accelerato, le mani sudaticce, la paura di sbagliare, di non essere in grado di controllare la propria voce.
Il giovane chiude gli occhi, visualizzando nella propria mente l’immagine della propria amata quella sera, con quel vestito lilla e la giacca di pelle nera; prende un grande respiro e comincia a suonare la chitarra.
 
Io
di risposte non ne ho
mai avute mai ne avrò
di domande ne ho quante ne vuoi
E tu
neanche tu mi fermerai
neanche tu ci riuscirai
io non sono
quel tipo di uomo e non lo sarò mai


Riaprendo gli occhi, la vede davanti a sé, sotto il palco, a cantare insieme a lui. Si muove al ritmo della musica e i veli leggeri del suo vestito seguono i suoi movimenti dolcemente.

Non so se la rotta è giusta o se
mi sono perduto ed è
troppo tardi
per tornare indietro così
meglio che io vada via
non pensarci, è colpa mia
questo mondo
non sarà mio

 
Erano questi i pensieri con cui si era avvicinato a lei quella sera, prima dello spettacolo. Lei lo aveva guardato come se lo vedesse per la prima volta, con tanta di quella tenerezza e malinconia nello sguardo, che il dolore e il distacco di quelle ultime settimane erano immediatamente scomparsi dal cuore di Luca. Non aveva potuto fare a meno di dirle quanto fosse bella ai suoi occhi. Si aspettava che lei gli dicesse ancora una volta di stare lontano da lei, di non dire più certe cose; invece lo aveva preso per la cravatta, tirato verso di sé e baciato, supplicandolo a fior di labbra di ascoltarla attentamente durante lo spettacolo.

Non so
se è soltanto fantasia
o se è solo una follia
quella stella lontana laggiù
Però
io la seguo e anche se so
che non la raggiungerò
potrò dire
ci sono anch'io

 
Sapeva cosa significava quella richiesta, era diventato un esperto traduttore del suo linguaggio fatto di note e parole. A seguito di quel bacio così intenso e voluto, in lui era rinata una scintilla di speranza, che gli aveva fatto desiderare come non mai di arrivare in fondo alla faccenda. L’avrebbe ascoltata e capita… Finalmente.

Non è
stato facile perché
nessun' altro a parte me
ha creduto
però ora so
che tu
vedi quel che vedo io
il tuo mondo è come il mio
e hai guardato
nell'uomo che sono e sarò

 
La storia che gli veniva narrata, però, sembrava non avere senso: era chiaro come il sole che lei lo amasse più di quanto lui avesse mai potuto immaginare; nella dolcezza della sua voce, nel tremito della sua mano che afferrava esitante quella di Luca, negli occhi lucidi, non era visibile altro che un amore talmente grande da averla costretta a rinunciarci per proteggerlo. Non avrebbe voluto farlo soffrire, ma il male che lei nascondeva era qualcosa che andava ben oltre le sue capacità di combatterlo.
La sua mente aveva cominciato a mettersi in moto, elaborando le informazioni. Tutto era partito dall’incidente… La verità era lì, palese, davanti ai suoi occhi, ma non poteva accettarla, non poteva essere vera.

Ti potranno dire che
non può esistere
niente che non si tocca o si conta o si compra perché
chi è deserto non vuole che qualcosa fiorisca in te

 
Ma durante l’ultima canzone, cantando “Ti lascerò vivere” i suoi occhi si erano riempiti di lacrime, che avevano cominciato a scendere copiose lungo le sue guance. In quel momento, in cui le guardava più attentamente, erano più pallide rispetto all’inizio dello spettacolo, la fronte imperlata di sudore, lo sguardo sofferente, come se si stesse sottoponendo ad uno sforzo troppo grande per lei. La realtà lo aveva colpito con la forza di un tornado: la sua Clara stava morendo, esito prossimo ed inevitabile. Dentro di lui si era spezzato qualcosa ed era crollato tutto rovinosamente. Al termine del brano Clara era sbiancata ed era scappata via, senza dire nulla, mentre lui la chiamava e le correva dietro, non badando assolutamente a tutte le persone che travolgeva lungo il proprio percorso. L’aveva trovata proprio fuori da quella porta laterale, sorretta dai suoi genitori, i quali parlavano di ospedale – prova inconfutabile che non si era affatto sbagliato –, lei era debole, aveva vomitato, ma appena si era resa conto della sua presenza, della sua richiesta di spiegazioni, i suoi occhi sembrava avessero lampeggiato di panico, misto a sollievo. Non aveva fatto in tempo a dire nulla, perché il suo cuore non riusciva più a sostenerla; aveva urlato di dolore, perdendo i sensi, mentre lui correva verso di lei, la prendeva fra le braccia, piangendo e gridando il suo nome, come se fosse l’unica cosa che contasse al mondo, l’unica parola che conoscesse.

E so
che non è una fantasia
Non è stata una follia
quella stella
la vedi anche tu
perciò
io la seguo ed adesso so
che io la raggiungerò
perché al mondo
ci sono anch'io
perché al mondo
ci sono anch'io
ci sono anch'io
ci sono anch'io.


Angolo dell'Autrice

Incredibilmente sono riuscita a pubblicare un altro capitolo!
A quanto pare Luca ha le idee molto chiare rispetto a partire per la Siria, nulla può fargli cambiare idea!
Nella seconda parte, invece, mi sono lasciata andare ai ricordi, ripercorrendo alcuni momenti degli ultimi capitoli di "Ojos de Cielo", questa volta dal punto di vista di Luca. Scrivere quelle cose in origine era stata molto dura, avevo pianto per tutto il tempo (l'empatia è una brutta bestia!), ma anche questa volta non è stato così semplice...
Infine la canzone che ho scelto penso che abbia un testo ed un significato bellissimi, la adoro. Il classico brano che io mi ostino a cantare, nonostante sia in tonalità maschile e non sia nelle mie corde... Per Luca si avvicinano gli esami, ma prima ancora, l'anniversario della morte di Clara: come si comporterà?
Buona lettura e buona serata!
Marta
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Far away ***


Capitolo 13 – Far Away
 
Marco mai si sarebbe aspettato di trovare Luca fuori dalla sua classe ad aspettarlo, appena suonata la campanella dell’intervallo, non proprio oggi, ed invece eccolo lì, appoggiato con nonchalance alla parete, braccia incrociate ed un’espressione più serena di quanto lui si potesse aspettare in questa giornata.
Il ragazzo non fa in tempo a salutarlo, che l’amico lo interrompe, staccandosi dal muro ed avvicinandosi a lui, con una richiesta già sulle labbra:
- Ho bisogno che oggi pomeriggio mi accompagni in un posto. -.
 
Quel luogo dal funerale non è assolutamente cambiato: la stessa ghiaia bianca che scricchiola sotto i piedi; gli alti cipressi che adombrano il vialetto; lo stesso rubinetto che continua a gocciolare perché nessuno si è preoccupato di ripararlo; le lapidi in marmo e pietra, dalle forme più diverse, sormontate da statue, pezzi unici, e decorate da fiori e candele.
Marco attraversa il cancello con tranquillità, come ha fatto in tutte le settimane precedenti, per mesi, come avrebbe fatto ancora a lungo. Questa volta però continua a guardare dietro di sé con la coda dell’occhio, per controllare come se la stia cavando il suo migliore amico.
Luca è entrato nel cimitero non senza esitazione, inspirando ed espirando lentamente, mentre i ricordi già gli affollano la mente. Stringe con forza uno spallaccio della custodia della chitarra, per reprimere il forte istinto di scappare il più lontano da quel posto, e cammina a passo più deciso, seguendo l’altro. Marco, quando ha visto lo strumento sulle spalle dell’amico, lo ha guardato interrogativamente, ma non gli ha fatto domande e non ha proferito parola.
Giunti di fronte alla tomba di Clara, Marco guarda nuovamente Luca di sottecchi, cercando di capire quali siano le sue reazioni ed intenzioni, ma la sua espressione è indecifrabile.
- Vuoi che ti lasci un attimo da solo? – gli domanda infine.
L’amico, il quale fino al quel momento non è riuscito fare altro che fissare la lapide, rialza di scatto la testa, con negli occhi un inconfondibile lampo di panico.
- No, resta. -.
Con uno sforzo che gli pare immane muove qualche passo per avvicinarsi alla tomba ed aggirarla fino a trovarsi esattamente di fronte ad essa. Sfiora con la punta delle dita la statua dell’angelo che canta, per poi spostare la propria attenzione sulla foto di Clara: una cascata di capelli castani, scuri e lisci; occhi di un colore particolarissimo, fra il marrone e il verde, che sembrava mutare a seconda della luce e anche del suo umore; gli occhiali che tendevano sempre a scivolarle sul naso; il sorriso, semplice e timido, di chi non ama farsi fotografare.
- Era bellissima. – mormora dopo attimi infiniti di totale silenzio – Non ho mai dimenticato il suo volto. Ogni giorno, in questi mesi, prima di addormentarmi ho ridisegnato nella mia mente i suoi lineamenti, la sua voce… Ma era ancora più bella di quanto mi ricordassi. -.
Dopodiché sposta lo sguardo sul vaso colmo di fiori freschi e le sue labbra si piegano in un debole sorriso.
- Margherite e lavanda. I suoi preferiti. -.
- Lo so. – commenta Marco, sedendosi al fianco della lapide – Le ho portato un bouquet nuovo ogni settimana. Li ho cambiati appena ieri, in vista della giornata di oggi. Così chi fosse venuto a trovarla avrebbe trovato dei fiori freschi e una tomba in ordine. -.
- Grazie. – gli dice Luca, sedendosi a sua volta e posando vicino a sé la chitarra.
- Di cosa? – chiede l’altro confuso.
- Di aver fatto ciò che avrei dovuto fare io. – gli spiega, tradendo nel tono di voce del rimorso.
- Luca, non fartene una colpa. Eri distrutto e capisco perfettamente che tu non te la sentissi di venire qui. Anch’io ci ho messo del tempo per raccogliere la forza e il coraggio necessari. – si allunga verso di lui e gli appoggia una mano su un ginocchio, tentando di incrociare il suo sguardo e trovando infine in esso un’infinità di emozioni diverse, in tempesta: senso di colpa, vergogna, tristezza, ma in fondo a quegli occhi c’è anche del sollievo, della serenità – Vuoi suonare e cantare per lei? – gli chiede, indicando con un cenno del capo la chitarra.
Luca annuisce e con delicatezza tira fuori dalla custodia lo strumento, imbracciandolo, con un movimento naturale ed automatico, ma senza suonarlo, rimanendo con le dita sospese sulle corde.
- Sai, in questi ultimi mesi ho sempre cantato per lei, l’ho sentita cantare con me, me la sono vista accanto, ma mai come in questo momento. Una sensazione così chiara e reale l’ho provata solo quella prima volta in cui ho cantato di nuovo, in oratorio. Da una parte mi spaventa ancora da morire, ma dall’altra… - senza concludere la frase e senza lasciare spazio a Marco per dire qualunque cosa, Luca comincia a suonare e a cantare, con la sua voce limpida, chiara, come il rumore di un ruscello di montagna, che corre fino a valle per immettersi in un fiume più grande e poi ancora fino al mare; ed allo stesso forte e potente come un temporale estivo; eppure è pregna di una dolcezza disarmante, una carezza della mamma sul ginocchio sbucciato del proprio bambino.
 
This time, this place misused, mistakes
Too long, too late, who was I to make you wait?
Just one chance, just one breath
Just in case there's just one left
'Cause you know you know, you know

 
Luca chiude gli occhi, alzando il viso verso il cielo, e in un attimo si sente ricapultato indietro nel tempo: rivede quella che non era ancora la sua Clara, una ragazza qualunque che inciampa sulle scale e a cui lui ha evitato di cadere rovinosamente. Gli sembra di risentire ancora la sensazione del corpo di Clara che impattava contro il suo, il profumo di shampoo sprigionato dai suoi capelli lunghi, quegli occhi che, illuminati da un raggio di sole, un attimo prima erano verdi e quello dopo si scurivano nel marrone, si ingrandivano dallo stupore alla sua proposta di pranzare insieme. Era un libro aperto su cui le sue emozioni apparivano e scomparivano in modo perfettamente leggibile. Infatti, aveva capito subito quanto amasse la propria piccola città, guardando l’incredibile serenità che il suo sorriso e tutta la sua figura emanava mentre osservava il lago in silenzio. Lo aveva affascinato, ricorda di aver pensato che assomigliava ad una di quelle canzoni che ascolti quando vuoi rilassarti, dolce, un po’ malinconica, ma non triste… Serena, proprio come la sua immagine.

That I love you I have loved you all along and I miss you
Been far away for far too long
I keep dreaming you'll be with me and you'll never go
Stop breathing if I don't see you anymore

 
Luca stesso non sa ancora dire con esattezza cosa lo abbia spinto a ricercare subito un contatto con lei… Quando le aveva teso la mano per andare alle loro prime prove del musical, sapeva che quello era un gesto avventato, ne aveva letto la portata anche nello sguardo confuso e incerto di Clara, ma desiderava che lei l’afferrasse, voleva sentire il suo calore, tenere fra le sue quelle mani così piccole e delicate. Nel momento in cui lei aveva allungato le dita incontrando le sue, gli era sembrata la cosa più naturale del mondo, come anche intrecciarle più fortemente e rassicurarla con dolcezza davanti alla sua agitazione; come mettersi davanti a lei per difenderla dai commenti acidi e ingiusti di un Marco molto diverso da quello che sarebbe diventato il suo migliore amico. Il vero shock, il colpo che lo aveva lasciato completamente inerme davanti a lei, era stato sentirla e vederla cantare: occhi luccicanti di gioia profonda, un tipo di sentimento che lui conosceva bene; una forza coinvolgente e contagiosa; un’emotività in grado di inglobarti nel suo mondo, di farti venire i brividi e di farti provare le sue stesse emozioni, collegate con fili invisibili alle parole delle canzoni che Clara cantava. Probabilmente era stato proprio quello il momento in cui lui si era innamorato, già in maniera irrimediabile e totale, di lei.

On my knees, I'll ask last chance for one last dance
'Cause with you, I'd withstand
All of hell to hold your hand
I'd give it all I'd give for us
Give anything, but I won't give up
'Cause you know you know, you know

 
Luca sorride, ripercorrendo ancora quei primi mesi di amicizia, durante i quali aveva cercato di aiutarla ad affrontare la timidezza e l’emotività che sembravano tanto limitarla nel cantare in pubblico. Aveva imparato a conoscerla a poco a poco, amando sempre più i momenti trascorsi con lei, senza però comprendere la reale natura dei propri sentimenti. Aveva provato una rabbia pungente e fastidiosa, quando Clara gli aveva confessato che Marco l’aveva baciata, ma aveva archiviato quel sentimento come semplice istinto protettivo, non gelosia. Ricordava bene, però, il momento in cui il Velo di Maya era caduto: quel giorno Clara non aveva pranzato con lui come sempre prima delle prove, non rispondeva al telefono e si era presentata in ritardo in aula magna, con un’espressione che diceva tutto, tranne che stesse bene. Quando, preoccupato, le aveva chiesto spiegazioni, lei aveva reagito aggressivamente, alzando la voce, come mai le aveva visto fare, dicendo di lasciarla in pace, che non c’era bisogno che si preoccupasse per lei in quel modo visto che lui non era il suo ragazzo. Quell’affermazione aveva colpito Luca come una proiettile: era vero, lui non era il suo ragazzo, ma lui si era comportato come tale, perché avrebbe voluto esserlo. Mentre, seduto sui gradoni della palestra, la stringeva a sé, cantando per lei, avrebbe voluto rimanere lì, in quel modo, per sempre.

That I love you I have loved you all along and I miss you
Been far away for far too long
I keep dreaming you'll be with me and you'll never go
Stop breathing if I don't see you anymore

 
Da quel momento aveva cercato per mesi il momento ed il modo giusto per confessarle i propri sentimenti, ma l’universo sembrava volerglielo impedire. La sera di Capodanno quando l’aveva vista con Marco sul balcone, aveva compreso subito quanto anche lui fosse innamorato di lei, lo si leggeva chiaramente nel suo sguardo quando si posava su Clara. Per cui quella sera si era limitato a regalarle una catenina e si era accontentato della sua espressione raggiante di felicità e del bracciale che lei aveva comprato per lui. Poi era stata male sua nonna e lui le era semplicemente rimasto accanto come qualunque altro amico avrebbe fatto, fino al giorno del suo diciottesimo compleanno. Luca stava raggiungendo il suo limite di sopportazione ed inoltre voleva donarle un giorno di serenità in quel periodo difficile. L’aveva portata fuori a pranzo e le aveva mostrato il suo rifugio musicale. Quando le aveva proposto di suonare il piano, non pensava che sarebbero arrivati a quel punto, ma non erano mai stati così vicini… Lei seduta sulle sue gambe, la schiena aderiva al suo petto, tanto che lui aveva paura che potesse sentire il suo battito accelerato; lo sforzo di tenere ferme le proprie mani sopra quelle di Clara, mentre le guidava sui tasti, era immenso; la sua voce, così vicina, gli aveva fatto tremare il cuore come mai prima. Pensava di essere l’unico a sentirsi in quel modo, eppure, guardandola negli occhi alla fine della canzone, vi aveva letto agitazione e lo stesso profondo desiderio. Aveva accarezzato quel viso e immerso le dita in quei capelli, come aspettava di fare da tempo, ed era arrivato tanto vicino a baciarla… Quando il suo telefono aveva pensato bene di squillare, fra le loro labbra ci sarebbe passata giusto un ala di farfalla. Ormai i suoi sentimenti erano palesi e non aveva alcuna intenzioni di nasconderli ancora.

So far away, so far away
Been far away for far too long
So far away, so far away
Been far away for far too long
But you know, you know, you know

 
Quando però, al termine del funerale della nonna di Clara, aveva visto Marco baciarla ancora una volta, la sua gelosia aveva preso il sopravvento ed era fuggito via, maledicendosi per aver pensato che sarebbe stato possibile. In seguito se ne era terribilmente pentito: se avesse ascoltato Clara, non l’avrebbe costretta ad affrontare da sola la delusione di Marco davanti al suo rifiuto. Si era sentito così in colpa, mentre la sentiva singhiozzare, aggrappata a lui, che la stava portando via dal proprio amico, e anche mentre ballavano insieme nella sua dependance. L’aveva stretta sé, promettendosi che non l’avrebbe più lasciata andare e abbandonandosi al tanto desiderato ed aspettato bacio. Le settimane successive a quel momento erano state per lui un sogno: ogni volta che posava gli occhi su Clara e lei ricambiava il suo sguardo sorridendo, non poteva non sentirsi al settimo cielo, esattamente come un bambino lodato dai propri genitori. Non pensava che avrebbe potuto amarla così tanto, eppure di giorno in giorno i suoi sentimenti per lei aumentavano in modo esponenziale. Era un sogno, sì… Almeno fino all’incidente.

I wanted, I wanted you to stay
'Cause I needed, I need to hear you say
That I love you, I have loved you all along
And I forgive you, for being away for far too long
So keep breathing, 'cause I'm not leaving
Hold on to me and never let me go

 
Luca, stringe le palpebre e canta più forte.
I suoi ricordi di quella sera erano confusi, frenetici. Aveva lasciato Clara rispondere al telefono ed aveva cominciato ad attraversare la strada. Non aveva visto la macchina, se n’era accorto solo sentendo Clara gridare. Si era impietrito: aveva visto la sua ragazza correre verso di lui, aveva sentito una spinta ed era caduto a lato della strada, mentre l’auto impattava contro qualcos’altro. Si era alzato da terra, senza inizialmente capire cosa fosse successo, poi l’aveva vista: distesa per terra, immobile, una macchia di sangue si allargava sull’asfalto. Era corso verso di lei, chiamando il suo nome, prendendole il volto fra le mani, piangendo disperatamente, sporcandosi con il suo sangue. Qualcuno fra i passanti aveva chiamato l’ambulanza e, appena giunti sul posto, i paramedici lo avevano allontanato da lei, nonostante le sue proteste. In ospedale avevano cercato di visitare anche lui, ma aveva smesso di parlare, di sentire e provare qualsiasi cosa. Non aveva neanche le forze di dire che tutto quel sangue che gli stavano chiedendo da dove uscisse, non era suo.
Dopo aver saputo che Clara era in coma, aveva impiegato giorni prima di decidersi ad andare a trovarla. Si sentiva in colpa, lui avrebbe dovuto essere al suo posto, lui si era ripromesso di proteggerla. Ed invece era stato il contrario. Vedendola in quel letto d’ospedale, avrebbe voluto scomparire, tanto era il rimorso e la vergogna, ma non era più in grado di starle lontano. Le sue labbra erano ancora calde quando l’aveva baciata, come anche le sue mani. Sentendo le sua dita stringersi debolmente attorno al suo palmo, aveva inizialmente creduto di sognare, ma i suoi occhi aperti lo avevano riportato alla realtà e la gioia era stata enorme. La sua Clara era di nuovo con lui. Se lei non gli avesse ordinato di andare a scuola, sarebbe rimasto al suo fianco tutto il giorno. Forse se fosse andata in quel modo, quel pomeriggio Clara avrebbe condiviso con lui la verità sulle sue condizioni e non lo avrebbe tenuto all’oscuro, lasciandolo su due piedi. Era uscito dalla sua stanza quasi di corsa. Fuori c’erano la mamma di lei, allarmata davanti al suo viso sconvolto e paonazzo per il pianto; ed il don, che invece aveva uno sguardo grave, come se sapesse già cosa Clara aveva fatto. A Luca la testa vorticava, non riusciva a smettere di piangere e si era accasciato sul pavimento del corridoio, fuori dalla camera, mentre un flusso di medici, parenti e pazienti continuavano a passargli accanto. Aveva sentito Clara urlare, come se le stessero strappando il cuore ed era stato in quel momento che aveva capito che doveva esserci qualcosa sotto, che lei non poteva non amarlo se soffriva in quel modo, esattamente quanto lui, se non di più. Non avrebbe mai immaginato a quel tempo la vera portata di quel segreto e le sue conseguenze nella vita di Luca.

Keep breathing, 'cause I'm not leaving you anymore
Believe it, hold on to me and
Never let me go, keep breathing
Hold on to me and never let me go (Keep breathing)
Hold on to me and never let me go

 
Luca riapre lentamente gli occhi, lucidi di commozione e posa il proprio sguardo su Marco, sul cui viso luccicano molteplici lacrime. Il ragazzo gli sorride comprensivo, anche lui doveva aver ripercorso nella propria mente i ricordi del tempo trascorso insieme a Clara, molti di più rispetto ai suo… L’aveva conosciuta ad 11 anni… Luca sa che i due sono stati insieme per quasi due anni, ma è a conoscenza solo di ciò che Clara gli aveva raccontato, cioè molto poco. Diceva che la maggior parte dei ricordi collegati a quel periodo erano bellissimi, però quelli successivi affatto. L’aveva fatta soffrire molto, rifiutata più volte ed era diventato una persona completamente diversa e non in senso positivo, purtroppo. Si era spesso chiesto, mentre lei era ancora viva, come facesse a provare ancora tanto affetto verso di lui, ma, in fondo, pensandoci, era proprio una cosa da Clara.
- Questa canzone è davvero bella… Mi ha fatto ripensare a tante cose. Avrei dovuto dirle queste parole molto tempo fa. – Marco interrompe il flusso dei suoi pensieri.
- Sono le mie scuse per averla fatta aspettare tanto tempo prima di cantare ancora, di venire qui, di vivere… - spiega Luca – Glielo dovevo e poi spero che quando sarà il mio turno lei mi accoglierà con parole simili, di perdono. -.
- Ti ha già perdonato. Dovresti farti meno paranoie in questo senso. – l’amico gli tira un amichevole pugno su una spalla.
- Il bue che dà del cornuto all’asino. – il ragazzo guarda Marco alzando un sopracciglio e ricambiando il gesto. I due ridono e rimangono ancora qualche attimo in silenzio, per riprendersi da quella valanga di bellissimi e dolorosissimi ricordi.
- Ci credi? Abbiamo quasi finito il liceo… Questi anni sembrano essere passati in così poco tempo… - sospira infine Marco – Immagino il 100 che ci sarebbe stato di fianco al nome di Clara sul tabellone dei risultati. Davvero troppo secchiona… - ridacchia, mentre il suo migliore amico alza nuovamente un sopracciglio, se possibile ancora più in alto.
- Devo ripetermi, o te lo dici da solo? – gli chiede in tono sarcastico.
- Nah, io ho solo degli obiettivi da raggiungere! – si difende Marco.
- Cioè? Penso che tu non mi abbia mai detto cosa vuoi fare l’anno prossimo… -.
Il ragazzo, sorride con fare misterioso e concentra il proprio sguardo, addolcendolo, sulla foto di Clara:
- Ho sempre voluto studiare medicina, ma d’altra parte lei mi diceva sempre che avrei fatto faville anche come psicologo. Ho deciso allora di coniugare le due cose: studierò medicina e mi specializzerò in psichiatria. In questo modo porterò avanti, in una qualche misura, ciò che studiava e amava lei. -.
- Mi sembra una scelta decisamente azzeccata, amico. Clara aveva perfettamente ragione. Basta che non ti metti a dare pugni a tutti i tuoi clienti, altrimenti non so per quanto potresti rimanere nell’albo dei medici. – scherza Luca, facendogli un occhiolino e scatenando un’altra risata da parte di Marco.
- Tranquillo, quelli li riservo solo a te. -.
Dopodiché i due ragazzi si alzano, riservando un ultimo sguardo di saluto alla lapide davanti a loro. Marco tira fuori dalla tasca dei jeans un foglietto piegato in quattro, inserito in una piccola busta di plastica, e lo appoggia sulla tomba, di fronte all’espressione stupita di Luca.
- È la prima poesia che ho scritto a Clara, prima ancora di metterci insieme. Gliel’avevo lasciata in un quaderno di scuola. Me l’ha ridata pochi anni fa, in un ultimo tentativo di farmi cambiare idea su di noi… Sono stato stupido a non ascoltarla… Comunque è giusto che la tenga lei. – spiega il ragazzo, sorridendo malinconicamente, prima di dirigersi verso l’uscita del cimitero.
L’amico lo guarda allontanarsi, per poi guardare la poesia ed infine la fotografia di Clara:
- Verrò di nuovo qui appena rientrato dalla Siria. Ci vediamo presto, amore mio. Tu continua a vegliare su di me. – sussurra. Imbraccia la sua chitarra e si avvia anche lui verso la propria macchina.
 
L’ultimo giorno di liceo è decisamente strano… Non te ne rendi completamente conto, non sei immediatamente consapevole del fatto che dopo 5 lunghi anni non camminerai più per quei corridoi, non siederai più a quei banchi, non litigherai più con il computer e la LIM. È una giornata frenetica, piena di risate, scherzi e cose stupide che però, se non le fai quel giorno lì, non le farai mai più. Classi che decidono di vestirsi in modi strani, fanno trenini per i corridoi e cantano. La scuola sembra diventare un carnevale! Poi il suono dell’ultima campanella, urla di gioia, bottiglie di spumante stappate e per lo più spruzzate addosso ai propri compagni, i clacson delle auto dei maturandi patentati che si sentono per tutta la città. La malinconia arriva solo dopo, in alcuni casi addirittura dopo mesi, quando, su un treno verso l’università, ti ritrovi a pensare che in fondo quel posto che oramai non sopportavi più, un po’ ti manca...
Luca vive questa giornata con gioia, ma senza farsi coinvolgere troppo dalle pazze idee dei propri compagni. Non che le disprezzi, o non si diverta a guardarli combinarne di ogni sotto gli occhi disperati dei prof, ma ha per la testa tanti pensieri, la malinconia sembra averlo colto anticipatamente. In quella scuola ha studiato per soli due anni, ma la sente casa sua più di quanto lo sia stato il liceo milanese in cui è stato prima, forse proprio per la miriade di ricordi collegati a Clara, o magari perché un ambiente così piccolo è più facile che diventi accogliente e familiare.
I suoi compagni di classe lo avevano accolto bene e fatto inserire fra loro con una semplicità incredibile, mentre i professori lo avevano sempre trattato come se anche lui fosse un loro alunno dalla prima superiore. Si erano sempre comportati nei suoi confronti con gentilezza e delicatezza, soprattutto dopo la morte della sua ragazza. Era stato fortunato, non capitano spesso classi del genere, quella di Clara, per esempio, non era assolutamente così. Ha visto le sue compagne di classe entrare a scuola con bottiglie di liquori già mezze vuote, ridendo come solo le persone un po’ brille fanno. Ha aggrottato le sopracciglia un po’ perplesso, ma si è limitato a sospirare. Può capire perché lei non si trovasse affatto bene con loro, erano due mondi totalmente opposti, e può comprendere perché lei avrebbe vissuto quel giorno con grande sollievo.
 
Le due settimane successive, che precedono l’inizio degli esami, trascorrono nello studio matto e disperatissimo dell’ultimo minuto. Luca ha a malapena il tempo di organizzare con don Lorenzo la partenza per la Siria. Per il resto si divide fra la conclusione della propria tesina, il ripasso, i gruppi di studio con Marco ed i suoi compagni di classe, finché inevitabilmente arriva il giorno della prima prova. Nell’aria, all’entrata del liceo, è tangibile la tensione dei maturandi. Chiacchierano fra loro, stringendo fra le mani le proprie tesine, mostrandole agli altri, chi orgogliosamente, chi più timidamente perché l’ha quasi totalmente copiata da Wikipedia ed ha mentito spudoratamente nel riportare le fonti. Man mano che si avvicina l’ora di entrare, i commenti vertono sempre più sull’ipotizzare quali tracce ci saranno, quali tipologie di tema preferirebbero fare e i modi in cui potrebbero copiare. Quando la porta finalmente si apre, cala immediatamente il silenzio, mentre le classi vengono chiamate una alla volta e accompagnate al piano dove svolgeranno tutti gli scritti. La classe di Marco viene chiamata prima di quella Luca, i due si sorridono nervosamente e si augurano buona fortuna, mentre il primo raggiunge i propri compagni.
Finalmente anche la sezione di Luca può entrare nell’edificio e viene portata al secondo piano. Lì la vista delle due file di banchi, disposti ai lati del corridoio, non possono non mettere ansia, ma il ragazzo sedendosi respira profondamente, dicendosi che ormai non ha senso agitarsi: è lì e allora tanto vale fare il meglio che può.
E gli scritti sono passati con questa filosofia uno dopo l’altro, ognuno con le proprie difficoltà particolari: il dover lavorare di fantasia per scrivere qualcosa di decente nel tema; spremersi il cervello per risolvere la seconda prova di matematica; pregare tutti i santi del Paradiso perché le materie della terza prova siano quelle studiate meglio e non quelle lasciate un po’ da parte perché a un certo la voglia e la forza di studiare scompaiono in un buco nero.
I giorni precedenti all’orale Luca li ha trascorsi soprattutto in oratorio ad aiutare, per staccare un po’ la spina e non impazzire a ripassare tutto ciò che ha già ripetuto tremila volte durante l’anno. Mette da parte solo del tempo per perfezionare la presentazione della propria tesina.
Infine il giorno fatidico è arrivato. Luca si guarda un ultima volta allo specchio: jeans scuri, scarpe da ginnastica, camicia bianca e ovviamente il braccialetto regalatogli da Clara al polso. Prima di uscire di casa, saluta con un bacio ed un abbraccio i propri genitori, i quali cercano entrambi di trattenere il magone. Chiusa la porta alle proprie spalle, ritrova ad attenderlo, seduto sul muretto, Marco, sorridente e rilassato, soprattutto perché lui ha finito già da qualche giorno e al suo orale ha fatto faville, esattamente come pronosticato dall’amico.
- Buongiorno, quasi maturato! – lo saluta allegramente, saltando giù dal muretto ed incamminandosi insieme a lui verso il liceo.
- Buongiorno, maturato! – lo ricambia Luca, altrettanto allegramente.
Il suo migliore lo squadra per un po’, finché non gli domanda:
- Ma non sei agitato? Mi sembri fin troppo rilassato… - lo guarda con sospetto.
L’altro ridacchia.
- Certo che lo sono, ma in realtà sono più agitato per il dopo. E poi sai che a me non interessa più di tanto il risultato. Quello che potevo fare l’ho già fatto, questa è solo la ciliegina sulla torta. -.
- E che torta! I tuoi scritti sarebbero stati degni di Clara! – esclama Marco, ma il ragazzo con un gesto gli fa intendere che sta esagerando e di non insistere.
I due proseguono in silenzio fino all’edificio scolastico. Raggiunta l’aula dove si terrà l’orale, ancora occupata da uno dei compagni di classe di Luca, si appoggiano alla parete opposta e lui sventola la tesina come un ventaglio, fra il caldo asfissiante e l’ansia che, suo malgrado, lo sta prendendo, si sente quasi soffocare.
Dopo una ventina di minuti il suo compagno esce dalla stanza sorridendo, provando quell’indescrivibile sensazione di libertà e serenità dopo un anno di studi intensi, ansie e pressioni. La porta dell’aula viene chiusa per discutere la sua valutazione finale e Luca comincia a camminare davanti ad essa, mentre Marco ridacchia, rivedendo di fronte a sé Clara tesissima, prima dello spettacolo, camminare avanti e indietro senza fermarsi.
- Luca, è il tuo turno, vieni. – la prof di italiano del ragazzo si affaccia dalla porta ora aperta dell’aula e gli sorride incoraggiante. Il giovane lancia un’ultima occhiata al proprio amico, in cerca di sostegno, per poi entrare a passo deciso.
Nel complesso Luca è soddisfatto del proprio orale. Certo, all’inizio vedere la schiera di professori seduti, tutti intenti ad ascoltarlo, lo ha un po’ intimorito, ma iniziando a parlare della propria tesina si è a poco a poco sciolto. Il resto del colloquio è filato liscio, senza intoppi ed ha ormai finito. Ha la gola secca per il troppo parlare e si sta letteralmente sciogliendo per il caldo. Terminata finalmente l’ultima interrogazione si alza dalla sedia ed il presidente di commissione gli pone la domanda di rito, che tutti sentiranno al proprio esame di maturità:
- Che cos’ha intenzione di fare l’anno prossimo? -.
Luca sorride, gli occhi brillano in modo incontrollato e la sua prof di italiano fa fatica a crederci. In questi ultimi mesi è cambiato tantissimo, ma non pensava così tanto.
- In realtà questo pomeriggio ho un volo prenotato per la Siria e per un po’ farò volontariato laggiù. -.
- Ah. – è la sintetica risposta dell’uomo, il quale lo guarda con gli occhi sgranati, proprio come tutti gli altri professori.
Senza aspettare altri commenti, il ragazzo si avvicina per stringere loro la mano, soffermandosi solo sulla propria insegnante di italiano, guardandola con grande affetto:
- Grazie per avermi fatto guardare allo specchio. – le dice semplicemente, ma basta a farla commuovere.
Dopodiché esce dall’aula, dirigendosi subito verso le scale e verso l’esterno dell’edificio, seguito da Marco. Al cancello lo attende in macchina don Lorenzo, il quale, appena lo scorge, accende il motore.
Luca si volta verso il liceo, dandogli un ultimo saluto con lo sguardo, per poi rivolgerlo verso il proprio migliore amico. I due si abbracciano di slancio, stringendosi come mai avevano fatto.
- Non fare cavolate, d’accordo? Quando verrò a trovarti insieme al don voglio trovarti tutto intero e vivo! – si raccomanda Marco.
- E tu vedi di passare il test di medicina. -.
- Ovvio! Per chi mi hai preso?! – i due ragazzi scoppiano a ridere.
- Grazie di tutto, Marco. Senza di te non so cosa avrei fatto, forse non sarei qui. – gli sorride grato Luca.
- Non dirlo neanche per scherzo! Non devi ringraziarmi, sei il mio migliore amico, non avrei potuto fare altro. – si abbracciano di nuovo.
Luca apre la portiera della macchina, sale e poi sorride ancora all’altro.
- A presto, te lo prometto. -.
- Ci conto. -.
 
Lorenzo parte e l’auto si allontana sempre più da Marco, che li sta ancora salutando.
- Spero che tu in aeroporto abbia intenzione di cambiarti. Mi metti caldo vestito così. – commenta il missionario, guardando Luca di sbieco.
Il ragazzo annuisce, ridacchiando.
- Allora, sei pronto a questa avventura? – gli domanda ancora il prete.
Stanno scendendo verso il lago e Luca non può fare a meno di dedicare un lungo sguardo ad esso, alle montagne, a quelle strade, che gli sono ormai così familiari. Sono casa sua ed erano la casa tanto amata da Clara. Ma in fondo al proprio cuore sente l’adrenalina pompare, il desiderio di vedere fin dove quel viaggio lo porterà.
- Prontissimo. – risponde deciso, salutando tutto ciò che conosce.

Angolo dell'Autrice

Sono tornata! Luca ha finalmente affrontato la paura di visitare la tomba di Clara ed è stato un nuovo viaggio nei suoi ricordi. E poi ha superato il proprio esame di maturità. Scrivendo quella parte ho rivissuto un po' il mio esame (ed infatti ho mantenuto la mia tipologia di maturità), anche con una certa malinconia. 
Dal prossimo capitolo cambieremo ambientazione e ci addentreremo finalmente nel suo viaggio in Siria, dove sicuramente gli accadranno un sacco di cose.
La canzone che ho inserito in questo capito Far Away dei Nickelback è un brano che io adoro (come tutti quelli che inserisco del resto, ma va beh) e che vi consiglio di tenere a mente, perchè potrebbe ripresentarsi...
Per le prossime 2 settimane quasi sicuramente non riuscirò a pubblicare perché sono via, per cui ci rivediamo a fine agosto/inizio settembre (sempre che il sole di Israele non mi sciolga)!
Buona lettura!
Marta

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - La Via di Damasco ***


Capitolo 14 – La via di Damasco
 
Il volo è stato molto lungo, eppure Luca ha a malapena chiuso occhio, tanta è l’adrenalina che gli scorre per tutto il corpo, impedendogli di stare fermo sul sedile. Non è la prima volta che vola, ma guarda il panorama dal finestrino come se lo fosse per davvero. Vorrebbe poter allungare le mani fuori all’esterno ed accarezzare le nuvole, se solo fossero solide; guarda giù e il blu impenetrabile del mare gli fa venire le vertigini; la terraferma gli sembra un modellino in 3D incredibilmente realistico. Dall’alto il mondo è stupefacente, le imperfezioni scompaiono, come anche le ferite inflitte ad esso dall’uomo stesso. Rimane solo la sua pura e naturale bellezza.
Quando l’aereo comincia a scendere verso la pista di atterraggio, il ragazzo accoglie la sensazione di vuoto nella pancia con una sorta di allegria infantile, incominciando a scuotere energicamente don Lorenzo per le spalle. Lui, a differenza del compagno di viaggio, ha dormito per la maggior parte del tempo e per il restante ha osservato Luca. Non riesce ancora a comprenderlo appieno: un attimo prima i suoi occhi brillano come se fossero colpiti continuamente dalla luce del sole; quello dopo il suo sorriso si riempie di malinconia e sembra perdersi in un mondo distante, probabilmente sperduto nei ricordi del passato. Tommaso prima della partenza non aveva voluto dirgli nulla riguardo la storia di quel giovane, ma non gli servivano parole per capire che l’ombra nera della morte lo aveva sfiorato, quel tipo di crepe dell’anima sono perfettamente riconoscibili da chi ne ha di simili e il missionario ne è ricoperto. Quella cicatrice sulla spalla, che ogni tanto torna a bruciare, ne è la prova inconfutabile e un ricordo incancellabile.
È proprio quel dolore a risvegliarlo dal torpore all’improvviso. Per un momento non si ricorda dove si trova e il panico lo investe, è di nuovo in quella baracca di lamiere, lurida, buia e rovente. Ma è questione di un solo secondo: appena vede davanti a sé gli occhi blu di Luca, si ricompone e cancella dal proprio volto qualsiasi traccia di sorpresa e paura.
- Ma ti sembra il modo di svegliare le persone?! – borbotta, guardando storto il ragazzo, celando però una certa tenerezza nel vederlo così esaltato da ciò che lo aspetta.
- Lorenzo siamo arrivati! – esclama il ragazzo, senza minimamente badare al commento del prete.
- Arrivati mi sembra una parolona. – sospira quest’ultimo – Siamo solo a Beirut, in Libano. Da qui dovremo muoverci in macchina fino a Damasco, considerato che i voli sulla Siria sono interdetti. Aspetta a saltare su e giù come un leprotto. – lo prende in giro bonariamente, ma ancora una volta Luca non ci fa caso e guarda con interesse fuori dal finestrino, cercando di cogliere qualche particolare del paesaggio oltre gli aerei e gli edifici che compongono l’aeroporto.
L’aria tremola per il calore emanato ancora dal motore dell’aereo, che ha lentamente fatto manovra, prima di fermarsi e spegnersi.
I portelloni si aprono, le valige caricate in stiva cominciano ad essere trasportate all’interno dell’aeroporto, mentre lentamente i passeggeri si dirigono verso le uscite.
Quando Luca mette piede sulla scaletta, all’esterno del velivolo, il caldo rovente di luglio, accentuato dalle ore passate sotto l’aria condizionata, lo investe prepotentemente, bloccandolo per un attimo, boccheggiante e desideroso di un ventilatore portatile.
Don Lorenzo gli dà una leggera spinta in avanti, perché non blocchi la coda di persone desiderose di scendere dall’aereo. Immediatamente il ragazzo si riscuote e riprende la discesa, mentre scuote con gesti secchi la maglietta che gli si è già incollata al corpo.
- Se questo poco caldo ti crea già dei problemi, iniziamo molto bene ragazzo mio. – lo prende in giro il missionario, appena entrati negli spazi freschi e areati dell’aeroporto, dove Luca si è lasciato andare ad una espressione di beato refrigerio – Hai fatto due metri sotto il sole e già boccheggi… - l’uomo scuote ulteriormente la testa sconsolato.
- Questo sarebbe poco?! Ma se ci saranno almeno quaranta gradi! – si lamenta il giovane.
- Esagerato. Ti sei troppo abituato alle temperature lacustri, all’aria che arriva dalle montagne, e ti sei dimenticato il calore ardente della città. A Milano d’estate le temperature non sono tanto diverse da queste. -.
La conversazione si interrompe giusto il tempo dei controlli del passaporto e il rilascio del visto. Gli impiegati dell’aeroporto hanno fatto loro qualche domanda di routine in un inglese un po’ biascicato, a tratti difficile da comprendere. Dopodiché i due si avvicinano all’area di recupero dei bagagli, attendendo davanti ai nastri trasportatori le loro valigie.
- In realtà – riprende il discorso Luca – non ho mai passato molto tempo in estate a Milano, sono sempre andato dai miei nonni a Luino. Alla fine forse dovevo proprio vivere parte della mia vita là… - ancora una volta gli occhi del ragazzo sembrano perdersi in un mondo tutto loro. È in questi momenti che quella scintilla di vita, tornata pian piano a brillare, si affievolisce sotto una coltre di tristezza e dolore, nubi di una terribile bellezza in quello sguardo stupefacente.
Il nastro scorre davanti a loro, ma delle valigie nemmeno l’ombra.
- Da quanto tempo vivi a Luino? – chiede il prete, cercando di scacciare quelle nuvole che minacciavano la serenità del giovane.
- Due anni. – risponde il giovane.
- Poco tempo allora. Eppure sembri amare molto quella piccola città. -.
- Due anni sono più che sufficienti per innamorarsi, impregnarsi d’amore fino al midollo e anche per soffrire fino alla morte. – lo sguardo di Luca, è fisso sulle grandi finestre che danno sulle piste di decollo. Un grande aereo bianco e blu si è appena staccato da terra e sta salendo sempre più su. Lui ne segue l’ascesa con gli occhi, la sua espressione è insondabile e il missionario non può fare a meno di sentirsi a disagio, mentre un pesante silenzio cala fra i due.
A salvarlo dall’imbarazzo è il provvidenziale arrivo dei bagagli, che riesce finalmente a distrarre Luca dai propri indecifrabili pensieri e a risvegliare il suo entusiasmo.
Il paesaggio che si apre davanti a loro, usciti dall’aeroporto è lo skyline di una città moderna: grattacieli e palazzi dai colori chiari, che ben s’intonano con i colori caldi e luminosi di quelle terre; grandi strade ben asfaltate e percorse da migliaia di automobili.
 Ad attenderli c’è una Jeep dall’aria molto vissuta. Una volta doveva essere stata di colore bianco, ma gli strati di polvere e terra, sommati ai numerosi graffi neri che ne attraversano la carrozzeria, rendono la tinta quasi irriconoscibile.
I due caricano i propri bagagli sul veicolo, con l’aiuto dell’autista, un ragazzo di Damasco, che evidentemente il missionario lo conosce bene, infatti lo saluta calorosamente, dicendogli qualche parola in una lingua incomprensibile a Luca, il quale, intanto, sta appoggiando con cautela la custodia della chitarra sulle altre valigie. La guarda con dolcezza e quasi con commozione, ripensando al momento in cui, pochi giorni prima, il fratello di Clara aveva suonato alla porta della sua dependance per portargliela.
- Perché la vuoi dare a me? – gli aveva chiesto totalmente attonito. Per un musicista i propri strumenti sono qualcosa di sacro, praticamente intoccabili da altri all’infuori del proprietario.
- Con questa chitarra tu hai ricominciato a suonare e a cantare, ad essere di nuovo il ragazzo che mia sorella amava. Spero che possa esserti di nuovo utile in questa avventura che ti aspetta. – gli aveva risposto con una semplicità disarmante, per poi andarsene senza attendere risposta, lasciandogli lo strumento tra le mani. Il contatto con quel legno liscio e tiepido per lui significa casa, con questa precisa chitarra sa invece di un ritorno a casa atteso a lungo.
Clara gli aveva raccontato che andando verso Luino in treno ad un certo punto si imbocca una lunga e nera galleria al termine della quale compare all’improvviso, in tutto il suo splendore, il lago. Ecco, quella vista per lei era casa, era un abbraccio di bentornato, era sollievo e gioia per gli occhi e per il cuore, come se stare lontani, anche se solo per poche ore, da quello spettacolo fosse doloroso, una fune legata all’anima che più ti allontani, più tira e stringe.
Ripensandoci Luca sorride, riproponendosi di tornare a Luino in treno dall’aeroporto quando sarà il momento.
- Forza figliolo, dobbiamo andare se vogliamo arrivare a Damasco prima del tramonto. -.
Il ragazzo viene riportato alla realtà dal richiamo di Lorenzo, il quale gli sta tenendo la portiera aperta, mentre gli fa cenno di muoversi a salire. Gli occhi del missionario cadono poi sullo strumento ed inarca un sopracciglio.
- Era proprio necessaria la chitarra? – chiede, non tanto perché la ritenga un peso inutile, anzi, se da quelle parti c’è bisogno di qualcosa, è proprio l’allegria che un po’ di musica non fa mai mancare, ma poiché teme che possa essere rubata o danneggiata. Ha potuto osservare abbastanza a lungo Luca per arrivare a comprendere quanto l’oggetto sia importante per lui e quindi quanto il perderlo lo turberebbe.
- Decisamente. – risponde prontamente il ragazzo, il quale ha però intuito quali siano le vere preoccupazioni del prete, che ora sospira, alzando gli occhi al cielo e chiedendosi per quale motivo si sia lasciato coinvolgere in quella storia da Tommaso.
- Vorrà dire che stasera ci suonerai qualcosa. – conclude infine, salendo dietro il giovane sull’auto.
 
Il viaggio non è stato di per sé lunghissimo - solo poco più di due ore – ma il caldo infernale patito in quella Jeep senza aria condizionata ha trasformato quelle poche ore in un’eternità di rivoletti di sudore lungo il collo, maglietta incollata alla schiena e tante bottigliette d’acqua vuote sparse sui sedili. Queste le hanno comprate ancor prima di uscire da Beirut da dei bambini che si sono avvicinati alla macchina mentre erano fermi ad un semaforo. Don Lorenzo ha spiegato a Luca che sono profughi siriani, scappati dalla guerra, che cercano di sopravvivere vendendo acqua o souvenir in giro per la città. Ed infatti ne hanno visti molti atri: alcuni a piedi nudi, altri con scarpe di tela, ormai del tutto sfondate; magliette e pantaloncini stinti e rattoppati; corpi magri, visi tondi da bimbo, ma occhi già da adulto.
Luca li guarda con tenerezza e compassione, pensando a come Clara avrebbe sorriso loro ed espresso in cuor suo il desiderio di portarseli tutti a casa con sé, al sicuro nell’abbraccio del suo lago.
 
Il missionario non ha nemmeno dovuto annunciare al ragazzo di essere entrati nella città di Damasco: lui era già con gli occhi stralunati e fissi fuori dal finestrino. Prima di partire Luca aveva cercato di documentarsi, aveva visto foto, servizi del telegiornale… Pensava di essere pronto, che quelle macerie non lo avrebbero turbato più di tanto, invece… Non può credere di trovarsi ancora sul pianeta Terra, sembra un altro mondo. A zone di città integre e fiorenti, in cui gli edifici storici e di culto spiccano in tutta la loro esotica bellezza, con le loro forme tonde e morbide e le punte aguzze che si slanciano verso il cielo, si alternano quartieri totalmente devastati, dominati dalla polvere, la pietra spaccata, esplosa, frantumata, dalla desolazione e dalla morte, la cui aurea Luca riconosce nettamente, come cappa soffocante che incombe dovunque. Sugli scalini della facciata di una casa – tutto ciò che è rimasto di essa – siede una donna, le braccia abbandonate lungo i fianchi e gli occhi vacui persi nel vuoto. In una mano stringe un pupazzo di pezza. È come se aspettasse che il figlioletto ritorni a casa da scuola per giocare con lui o per dargli quel peluche come regalo, ma quel bambino non arriverà mai: non ha più una casa a cui tornare e ormai neanche una madre.
Lo sguardo del giovane rimane concentrato su quella figura abbandonata al dolore più lacerante e sordo finché essa diventa così piccola da essere indistinguibile ai suoi occhi.
Non sa dare un nome a ciò che sta provando: tristezza, sgomento, rabbia, frustrazione, impotenza. Forse tutto, o forse nulla. Non esiste una parola che possa definirlo.
Don Lorenzo, notando l’inevitabile impatto devastante che quella realtà ha avuto su di lui, decide di distrarre Luca.
- Sai perché Damasco è conosciuta nel mondo cristiano? – gli chiede.
- Ha a che fare con San Paolo, vero? – risponde il ragazzo, ben contento di avere qualcosa a cui pensare che non fosse il paesaggio fuori dal finestrino.
- Assolutamente! È proprio recandosi a qui a Damasco che Saulo (perché ancora non si chiamava Paolo) ha sperimentato l’incontro con Cristo e quest’ultimo, credimi, mica ci è andato leggero! -.
- Lo fa mai? – chiede in tono quasi retorico Luca, sbuffando divertito.
- No, effettivamente no. Ma il nostro Saulo non era un tipetto troppo ragionevole e malleabile. Lui perseguitava i cristiani, li uccideva, perché era osservante fino al midollo della Legge ebraica. Si stava recando qui a Damasco proprio per stanare la comunità cristiana della città, ma il Signore aveva altri piani per lui. -.
- Ed anche questa non è una novità. – borbotta ancora il giovane.
- Beh, mica è colpa sua se siamo tanto ciechi da non vedere tutti i cartelli al neon lampeggianti con cui ci indica cosa fare per essere felici. Ah, rimanendo sempre in tema di cecità… Saulo non aveva solo delle fette di prosciutto davanti agli occhi, ma proprio delle bistecche! Allora Gesù ha deciso di mettergliele davvero, in senso figurato ovviamente. – mentre racconta Lorenzo è tutto infervorato dall’entusiasmo e Luca trattiene a stento le risate, anche se quella storia lo sta toccando molto da vicino – Mentre era in viaggio appunto verso Damasco, Cristo gli è apparso sotto forma di una luce così accecante da aver spaventato il cavallo che Saulo stava cavalcando e che ha quindi disarcionato l’uomo, il quale, d’altra parte, ha sentito forte e chiaro una voce chiamarlo e chiedergli perché lo perseguitasse ed è diventato completamente cieco. Quella stessa voce gli disse di farsi condurre in città da un uomo di nome Anania. Così Saulo, avendo riconosciuto in quella voce Gesù, fa quanto gli ha detto e vaga per tre giorni per Damasco finché non trova quest’uomo, dal quale si fa battezzare e subito riacquista la vista. Cambia il proprio nome in Paolo, che significa “il più piccolo”, ed inizia a viaggiare in lungo e in largo per parlare di Gesù e della propria conversione, fino a donare la propria vita proprio per amore di quel Signore che lui aveva perseguitato con tanta ferocia. -.
- Sembri molto legato a questo santo. – Luca lo guarda incuriosito, mentre il missionario sorride imbarazzato, rendendosi conto della foga con cui ha raccontato quella storia.
- Lo sai, io e Tommaso ti abbiamo raccontato molte cose sul nostro passato… Io tutto fuorché che un fervente cristiano, non facevo altro che cacciarmi nei guai… -.
- E poi cos’è successo? Sei stato disarcionato anche tu da cavallo? – chiede il ragazzo scherzosamente.
- No no. Gli incontri giusti bastano a cambiarti la vita. -.
- Hai proprio ragione… - sospira il giovane con un sorriso carico di tenerezza.
 Nei minuti successivi non si è sentito altro rumore che quello frastornante del motore della Jeep, poi all’improvviso quest’ultima si è fermata davanti ad una semplice chiesetta, in mattoni a secco, dotata di un piccolo campanile con un campana arrugginita. I due sono scesi dall’auto, hanno recuperato i propri bagagli, salutato il ragazzo, dandogli appuntamento per il giorno successivo. La macchina è ripartita in un frastuono di ferro e pietre, mentre il prete e Luca si sono addentrati nella fresca penombra dell’edificio, dirigendosi verso la sacrestia, direttamente collegata a un piccolo appartamento, dove i due passeranno la notte.
- In questa casa non vive nessun prete? – domanda il ragazzo, mentre apre le valigie, tirando fuori ciò che gli serve.
Lo sguardo di don Lorenzo sembra rabbuiarsi per un attimo e Luca non comprende se è stato frutto della sua immaginazione, oppure è effettivamente così.
- Dovrebbe arrivare un nuovo parroco nelle prossime settimane. – spiega brevemente l’uomo.
- Cosa è successo a quello precedente? È stato spostato? -.
- È morto. – la risposta del sacerdote è secca, amara. Non lo guarda nemmeno, impegnato a trafficare nelle sue borse in modo evidentemente casuale, come se non sapesse neanche lui cosa cercare.
- Lo conoscevi bene? – domanda ancora a bruciapelo.
Lorenzo sente ancora nella sua testa il raccapricciante suono della lama che trancia di netto il collo del suo confratello. Fa ancora fatica a trattenere i conati di vomito.
- Abbastanza. – taglia corto ed il suo compagno di viaggio comprende che non è il caso che faccia altre domande.
 
Dopo circa un’ora il missionario lascia da solo nell’appartamento Luca per andare a comprare qualcosa da mangiare per cena, suggerendogli di approfittarne per riposare un po’, ma il giovane non ha assolutamente sonno e allora decide di avventurarsi sulla cima del campanile, inerpicandosi per un’accidentata scaletta di legno. Giunto in cima, facendo attenzione a non picchiare la testa contro la campana, si avvicina alla ringhiera, appoggiandovi le mani e guardando dritto davanti a sé. È l’ora del tramonto, il sole, di un arancione brillante, si sta tuffando in un orizzonte rosso sangue che tinge come ferite aperte le case di Damasco e le sue macerie. Che vista terribile e mozzafiato allo stesso tempo. È spaccato in due fra la bellezza e lo sdegno. La temperatura è finalmente più mite e una brezza leggera gli scompiglia i capelli. Chiude gli occhi e sente profumo di deserto, polvere, arbusti odorosi e polvere da sparo. Li riapre e si rende per la prima volta di quanto si trovi lontano da casa propria, da tutto, lontano da un tutto che ora sembra un niente sbiadito ed appassito nella luce di un crepuscolo di fuoco.
Luca rimane lassù per un tempo indefinito, finché non sente dei passi alle sue spalle. Voltandosi trova davanti a sé don Lorenzo.
- La cena è pronta. – ma il ragazzo non si muove di un passo, rimane a guardarlo come imbambolato.
- Tutto questo è bellissimo e bruttissimo. -.
- Lo so. -.
 
Il pasto è molto semplice: del pollo con qualche verdura e due pagnotte di pane. Sedendosi a tavola Luca si rende improvvisamente conto di quanta fame abbia e si butta voracemente sul cibo, mentre il missionario lo osserva con una certa preoccupazione nello sguardo, che l’altro non impiega molto a notare.
- Cosa c’è Lorenzo? Cosa vuol dire quello sguardo? – gli chiede infine, spazientito.
Il prete sospira, appoggia le posate sul piatto ed intreccia le mani davanti a sé.
- Luca, ho notato quanto il primo impatto ti abbia turbato e c’era da aspettarselo, ma comunque devo farti delle raccomandazioni… - incomincia a parlare con serietà.
- Ti ascolto. – lo incoraggia il ragazzo, smettendo anch’egli di mangiare.
- So bene quanto il dolore di questi luoghi sia in grado di risucchiarti completamente in un vortice in cui finisci per dimenticare qualunque altra cosa. Ho anche intuito da tempo che tu stesso ti porti dietro un enorme fardello di sofferenze. Non pretendo che tu me ne parli, se e quando te la sentirai, io ti ascolterò. La cosa importante che devi però ricordarti è che non puoi assolutamente lasciare quel dolore da parte. Non puoi pensare che ora che sei lontano dalla sua fonte, tu debba dimenticarlo e lasciarti coinvolgere completamente da questo. Se Tommaso ha voluto darti questa opportunità è perché ritiene che tutto questo possa aiutarti a comprendere, convivere e produrre frutto dalle tue ferite. Se le ignori però non ha senso. Devi cercare il più possibile di restare lucido, o sarà tutto inutile, non sopporterai questa esperienza. E te lo dico perché il peggio deve ancora venire. -.
Luca durante tutto il discorso lo ascolta attentamente, per poi piegare le proprie labbra in un sorriso di gratitudine e malinconia:
- Grazie Lorenzo, farò tesoro dei tuoi consigli. Per un attimo prima sul campanile il pensiero di poter rimettere una pezza sugli squarci che mi attraversano il cuore, anche solo per un po’, mi ha attraversato la mente, ma poi ho subito realizzato che mi è ormai impossibile. Rimettere quel dolore a dormire, significherebbe mettere da parte il sentimento più puro e vero che io abbia mai provato ed io questo non voglio dimenticarlo. Inoltre la fonte di tutti i miei problemi è sempre con me. – ride leggermente, accarezzando il braccialetto al suo polso – E la chitarra l’ho portata con me proprio come promemoria. A proposito, prima mi è venuta in mente una canzone che secondo me è perfetta per l’inizio di questa avventura. Ti va di sentirla? – chiede al missionario speranzoso.
- E va bene. – risponde con tono accondiscendente, alzando gli occhi al cielo, ma cercando contemporaneamente di nascondere un sorriso.
Luca non se lo fa ripetere due volte e corre a tirare fuori lo strumento dalla custodia, per poi aprire il ciondolo del proprio bracciale per prendere il plettro.
Don Lorenzo, mentre lui compie questo gesto, nota un luccichio proveniente proprio da dove si trovava l’oggettino, ma non pone domande al ragazzo, gustandosi la sua eccitazione, simile a quella di un bambino, mentre imbraccia la chitarra e inizia a cantare allegramente.
 
 Ascoltandoti nel vento ti ho sentito e cantavi
Mi stai chiamando da un po’ di tempo
E bussi deciso alla mia porta
So che tu hai i tuoi ritmi
Alterni tempeste a lunghi silenzi
Sei qui giusto quando volevo
Semplicemente mollare come fan molti
E vivere un po’ senza sognare
È spegnersi un po’
So che tu sei un tipo paziente
General manager accomodante
A volte mi sembri alquanto incosciente
Viste le scelte che mi lasci fare
Adesso perciò dimmi com’è
Che quando ho voluto sbagliare da me
Gli abissi son stati colmati di luce
C’è stata una mano lì a darmi pace
 
E vivere poi si è fatto più forte
Vivere salvi dal senso di morte
La via di Damasco sui passi di molti
Assomiglia ad un bivio tra morti e risorti
 
Sai, sì lo sai
Tutto vive dove ci sei Te
Sai, sì lo sai
Il bene che più conta è qui con me
Sai, sì lo sai
La luce che Tu doni è senza fine
 
Conosci il mio segno, sai quel che valgo
Lo so c’è di meglio
Tu dammi una mano
Se è molto, se è poco dipende dal metro
Se sbaglio comunque ridammi una mano
Il tempo di oggi si è fatto più denso
C’è un senso di peso ma non mi spavento
E quando cado ti riconosco
Vedo un tassello che cambia il mio corso
 
E vivere poi si è fatto più forte
Vivere salvi dal senso di morte
La via di Damasco sui passi di molti
Assomiglia ad un bivio tra morti e risorti
 
Sai, sì lo sai
Tutto vive dove ci sei Te
Sai, sì lo sai
Il bene che più conta è qui con me
Sai, sì lo sai
La luce che Tu doni è senza fine
 
Sai, sì lo sai
Niente muore se Tu sei con me
Sai, sì lo sai
Tutto quel che conta è qui, sei Te
Sai, sì lo sai
La luce che Tu canti è senza fine
 
Yeeee
 
Sai, sì lo sai
Tutto vive dove ci sei Te
Sai, sì lo sai
Il bene che più conta è qui con me
Sai, sì lo sai
La luce che Tu doni è senza fine
 
Sai, sì lo sai
Niente muore se Tu sei con me
Sai, sì lo sai
Tutto quel che conta è qui, sei Te
Sai, sì lo sai
La luce che Tu doni è senza fine



Angolo dell'Autrice
No, non ero scomparsa. Non ho deciso di rimanere in Terra Santa, anche se tornare mi è dispiaciuto molto, perché è stata una delle esperienze più belle della mia vita, se non effettivamente la più bella, a questo non è il luogo per parlarne (io sarei in grado di farlo per ore e ore, ma non penso sia di vostro interesse). Comunque sono stati dei mesetti molto intensi, un po' per  gli esami da preparare, un po' per gli imprevisti della vita che mi hanno messa, e lo fanno ancora, a dura prova e infine un po' perchè la mia vita da pendolare è finita ed ho cominciato quella da fuorisede a Milano, nonostante la mancanza del mio lago si faccia sentire sempre. 
Ad ogni modo sono finalmene riuscita a finire questo capitolo, che spero vi piaccia, soprattutto visto quanto vi ho fatti attendere. Questo è solo l'inizio di un viaggio, altre cose devono ancora accadere e non vedo davvero l'ora che voi possiate leggerle!
Buona Lettura!

Marta

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