Il tuo sguardo in pochi mesi

di Silyia_Shio
(/viewuser.php?uid=100657)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Con il bordo di un cocktail ***
Capitolo 2: *** 63 ***
Capitolo 3: *** Di menta e sorrisi ***
Capitolo 4: *** Istanti ***



Capitolo 1
*** Con il bordo di un cocktail ***


Con il bordo di un cocktail
 

Non era così che si era immaginato sarebbe finita la serata, certo aveva programmato di finire sotto il corpo di un ragazzo, solo per questo aveva deciso di rimettere piede in una discoteca, in quella stessa discoteca, ed era rimasto estasiato quando quel ragazzo gli si era avvicinato al bancone e aveva battuto il suo cocktail contro il bordo di quello che stringeva svogliatamente tra le dita. Inizialmente si era voltato verso lo sconosciuto con l’intenzione di fulminarlo con lo sguardo, ma quando si era accorto di dover alzare il capo per incontrare il suo sguardo, aveva capito che la caccia poteva dirsi conclusa, aveva davanti un bell’esemplare di altezza e muscoli, sembrava emanasse forza fisica, esattamente ciò che voleva trovare tra le lenzuola.
Non aveva immaginato, in quel locale asfissiante e delirante, che quella forza fisica sarebbe stata scambiata con la delicatezza una volta finiti sul materasso. Vedeva quei muscoli illuminati dalla luce dei lampioni che filtrava dalla finestra che non si tendevano nell’atto di afferrare i suoi fianchi, ma che si muovevano come ondeggiando dolcemente mentre il roso lo baciava: prima le guance, poi il collo, la schiena, i fianchi…le sue mani si poggiavano sulla sua pelle per fargli cambiare posizione, ma era un invito, una richiesta, non un ordine.
Più di tutto Bakugo non aveva previsto che quel ragazzo appena incontrato potesse interrompere i suoi noiosi baci per guardarlo negli occhi e accarezzargli una guancia.
Avrebbe voluto morderlo o tirargli un pugno su quel cavolo di volto e cancellargli quello sguardo di tenerezza, come poteva guardarlo così dopo quanto, due ore, massimo tre insieme? Eppure era bloccato, tutto quel fastidio che provava era come aggrovigliato nella sua gola insieme alle solite parole sprezzanti che non risparmiava a nessuno, o forse più che bloccato era soggiogato, perché il suo corpo era pienamente partecipe del gioco che il rosso stava intavolando.


 
Almeno alla fine era rimasto silenzioso, si era coricato sul fianco e ancora una volta gli aveva spostato una ciocca dalla guancia per accarezzarlo, ma Bakugo non gli aveva permesso di finire quel gesto, era stato alle sue regole fin troppo, gli aveva allontanato la mano e nudo si era defilato in bagno. Se non fossero finiti a casa sua avrebbe preso i propri abiti e sarebbe salito sul primo tram disponibile, o meglio ancora, avrebbe camminato per sbollire l’irritazione, invece era nel suo appartamento e, così come non era riuscito a rifiutare la tenerezza, ora non riusciva a scacciare quel ragazzo dal suo appartamento.
Alzò lo sguardo dal marmo del lavandino e lo specchio gli rimandò un’immagine pietosa: aveva gli occhi sgranati e la mandibola contratta, era la stessa espressione che faceva da bambino quando si ostinava a non lasciar vincere le lacrime.
Si lavò il viso diverse volte finché non si accorse che finalmente il suo respiro si era scongelato e lo sguardo era tornato quello solito, quello arrogante. Era pronto a buttare fuori quel tipo.
Quando tornò in camera però il ragazzo se n’era già andato. Le coperte erano state risistemate a coprire il materasso e i suoi vestiti erano piegati e impilati in un angolo.
“Almeno una giusta l’hai fatta, te ne sei andato.” pensò Bakugo mentre disfaceva il letto.  




.....................................

N.d.A.
Son passati quattro anni dall'ultima volta che ho scritto qualcosa qua su EFP, e giustamente torno con una scena veloce e amara che la mia mente ha deciso di ideare mentre già sveglia aspettavo che la sveglia suonasse.
Comunque l'idea è quella di scrivere una serie di one-shot flashfic o drabble che come fotografie dovrebbero creare una storia alternando i pensieri dei due ragazzi, cosa riuscirò a fare effettivamente è un mistero visto il poco tempo e visto la mia assenza da questa piattaforma per un periodo così lungo.

Come altre note aggiungerei che sia Kirishima che Bakugo vanno per i 24 anni e che come si può intuire è una raccolta AU (forse dovevo specificarlo nell'introduzione? Non ricordo più come funzionano queste cose.)
Per il resto, spero quello che ho scritto sia gradevole e possa incuriosire.
Ci vediamo prima dei prossimi quattro anni, mi auguro.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 63 ***


63


Tre numeri.
Tre maledettissimi numeri. Come cavolo era possibile che per far scorrere tre numeri ci volessero le ore? Avevano assunto dei bradipi o quei vecchi con l'Alzheimer si erano scordati come si pagassero le bollette?
Da quando aveva messo piede in quel luogo sembrava il tempo si fosse fermato, ma non per lui; le immagini della nottata gli rimbalzavano in testa come luci stroboscopiche e correvano a sfumarsi con i ricordi che aveva sperato di non rivivere.
Ogni secondo, così infinito per quei vecchi, equivaleva per la sua mente a riprodurre un'intera pellicola di un film che aveva tentato di seppellire.
Il tocco leggero e titubante di una mano sul suo braccio, l'ultimo contatto tra loro due prima che il suo orgoglio facesse saltare il ponte che per così tanti anni li aveva uniti.
Quella mano gigante che gli scorreva lungo la coscia e risaliva al fianco e al petto e seguendo le linee della clavicola e dei nervi del collo gli si poggiava sulla guancia, come se stesse scorrendo su una pagina in braille.
Contrasse la mandibola e puntò il proprio sguardo nello schermo luminoso che riproducevano i numeri del turno corrente, ma niente era cambiato da quand'era entrato.
Avrebbe voluto poter far saltare in aria quello schermo solo fissandolo.
Cinque canzoni. 
Erano già iniziate e finite cinque canzoni eppure quelle cavoli di lucine non volevano ricomporsi a formare il numero 61.
Cinque canzoni, circa venticinque minuti, quasi mezz'ora che perdeva inutilmente perché il mondo era lento. 
Da bambino, quando sbuffava e faceva saltare la penna tra le dita perché si annoiava ad aspettare i suoi compagni di classe che capissero il mistero dietro a "15*3=45", si era sentito dire che era lui ad essere troppo intelligente e che doveva essere paziente e che doveva piantarla di distrarre gli altri con i rumori della penna.
Sua sorella, quando Bakugo faceva ballare la gamba perché non sopportava aspettare gli esiti degli esami, gli diceva che era colpa del suo segno zodiacale, si sa, gli ariete sono impazienti.
Lui credeva solo che fossero gli altri ad essere lenti.
Troppo lenti.
Estremamente lenti.
Ottava canzone, quaranta minuti, numero 61.
Ancora due numeri, sempre che quel vecchio riuscisse a lasciare il bancone prima di domani così da far passare il numero 61.
Si portò una mano al viso a premere sulle palpebre, sentiva il peso delle ore in bianco che gli scavavano dei tunnel verso il cranio.
Non era bastata la delusione a letto.
Il suo cervello si aveva ovviamente deciso di proiettare la sua adolescenza appena aveva provato ad addormentarsi, non si era lasciato scappare l'occasione di associare lo sguardo d'affetto di quel rosso con quello del suo...migliore amico, amico d'infanzia, amico-nemico, e ovviamente non aveva avuto intenzione di piantarla neanche una volta zittita la sveglia.
Giganteschi occhi nocciola sempre sgranati in uno sguardo di ammirazione e dolcezza su un volto cosparso di stelle. 
Uno sguardo attento ai suoi respiri e alle sue espressioni che brillava sotto una cicatrice ad artiglio.
Numero 62.
Meno uno.
Lo sguardo di preoccupazione quando si era ribaltato in un'aiuola con la bicicletta perché aveva lasciato correre la bici giù per la discesa senza frenare, così da sentire l'aria e la velocità.
Le pupille gigantesche quando gli raccontava storie dell'orrore sotto il fortino di lenzuola alla luce lugubre della torcia.
Occhi invadenti che aveva incrociato per un secondo dopo aver assecondato quella mano che gli voltava il viso per baciarlo.
Il sorriso che gli increscapava le labbra e gli occhi vedendolo entrare in camera con i quaderni con i compiti quando si ammalava.
Alzò la musica ignorando il messaggio del cellulare che avvertiva di non superare la soglia, voleva solo poter uscire di lì e andare a lezione, almeno avrebbe potuto impegnare la mente e dare un senso a quella giornata terribile. 
63. 

Quel numero non si avvicinava neanche lontanamente a tutte le volte che aveva immaginato le sue labbra sulla sua pelle.




------------------------------------------

N.d.A
Ben ritrovati!
Come prima cosa voglio ringrazziare tutte le persone che hanno dedicato un po' del loro tempo a dare uno sguardo a questa storiella, non immaginavo di poter essere riaccolta con dei buon numeri così in fretta, e in particolare ringrazio Engel per l'attento commento.
Passando al nuovo capitolo, spero si capisca sia la situazione che i personaggi coinvolti nei ricordi e ne approfitto per anticipare che le ambientazioni saranno ispirate a Torino, dove vivo, perchè non conosco abbastanza il Giappone e non ho abbastanza tempo, essendo in sessione, per informarmi su come funzionino le poste, quali siano i quartieri per la movida ecc.
Oltre a ciò non credo ci sia altro da aggiungere se non che spero di nuovo di avervi incurriosita e che rimarrete con me.
Grazie,
al prossimo aggiornamento.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Di menta e sorrisi ***


Di menta e sorrisi
 
 
La condensa sul metallo delle lattine si stava insinuando attraverso le cellule della pelle dei palmi creando un piacevole brivido che gli risaliva lungo gli avambracci.
Alzò una lattina contro la guancia, faceva un caldo eccessivo per quella giornata di metà febbraio. Forse non avrebbe dovuto insistere nel far indossare alla madre quel maglione borgogna che sembrava più una trapunta.
Tornò verso il gazebo che in primavera si ricopriva di un candido lenzuolo di glicine.
La madre sedeva sulla sedia a rotelle nere che insieme, prima che la sua salute iniziasse a peggiorare, avevano rallegrato con un cuscino magenta, uno scialle con delle rose rosse e un vecchio peluche a forma di drago con cui Kirishima dormiva da bambino.
Non era più una carrozzina da ospedale.
Ma neanche sua madre, così raccolta che quasi spariva tra quegli oggetti, non era più la donna che fino a pochi anni fa lo batteva a braccio di ferro.
"Ecco qua, mamma. Thè verde senza zuccheri." disse adagiandole la bevanda tra le dita sottili.
"Grazie tesoro.", il sorriso con cui accompagnò quelle parole però era lo stesso di sempre.
Le si sedette accanto con una carezza alla spalle e aprì la propria lattina; il profumo della bevanda alla menta lo avvolse all'istante e con il primo sorso si rivide in campagna dai nonni nascosto dietro a un cespuglio di menta che cercava di non ridere per non farsi scoprire dalla madre.
"Sembra di essere dai nonni, vero? Il sole sul viso, l'aria fresca e il profumo di menta."
Kirishima sorrise, non si sorprese che anche a sua mamma fosse venuta in mente la stessa sensazione, da che aveva memoria erano sempre stati loro due, lei e la sua mamma, col suo sorriso dolce e le sue braccia forti, che metaforicamente e non avevano sorretto le loro vite.

Allungò le braccia sopra la propria testa rilassando le spalle, si era accorto che da quando la madre era diventata più debole si irrigidiva standole accanto, aveva paura.
Di non fare abbastanza.
Di sbagliare.
Di non fornirle ciò di cui aveva bisogno.
Più di tutto aveva paura di vederla sparire, come se voltandosi a cercare il suo sguardo affettuoso non lo trovasse più.
Espirò profondamente riabbassando le mani sulle proprie ginocchia.
Ma per fortuna sua mamma era ancora lì.
Ancora potevano chiacchierare a lungo non sentendo lo scorrere del tempo.
Ancora le sue dita gli arruffavano i capelli e le sue braccia, con i muscoli ancora percepibili sotto la stoffa degli abiti, si cingevano intorno alle sue spalle.
Sentì il tocco di sua mamma sul ginocchio e con un battito di ciglia scacciò quei pensieri intrusivi che gli rovinavano i bei pomeriggi al parco insieme.
“Sembra non voglia farsi vivo neanche oggi.”
Kirishima sentì gli angoli della bocca tirarsi in un sorriso imbarazzato.
Quante volte la madre aveva visto formarsi quel sorrisetto mentre il suo bambino, ora altissimo e piazzatissimo, ma pur sempre il suo bambino, poggiava lo sguardo sul ragazzo di cui si era infatuato.
La prima volta l’aveva notato dopo una recita scolastica, il suo piccolo le stava accanto mentre lei chiacchierava con le altre madri e, quando lo aveva cercato con lo sguardo per controllare che fosse ancora al suo fianco, aveva visto quel sorriso involontario, l’aveva subito riconosciuto il sorriso delle cotte, ma solo seguendo il suo sguardo aveva realizzato chi lo avesse causato: un bambino.
Quella volta non si era arrovellata più di tanto.
Le volte seguenti si era solo preoccupata che il suo bambino non soffrisse e che si sentisse libero di parlare con lei di quei ragazzi che lo facevano sorridere e arrossire.
Questa volta sperava il suo bambino trovasse i suoi sentimenti ricambiati e non calpestati o derisi.
“Già.” Rispose Kirishima grattandosi il collo dove iniziava a sentire la pelle ribollire, aveva sempre condiviso le sue cotte con sua mamma, ma questa volta aveva deciso di nasconderle la nottata che un mese prima aveva trascorso con quel ragazzo dopo un cocktail di troppo che l'aveva reso eccessivamente intraprendente.
"Peccato, aveva un sorriso dolce. Per quanto l'abbia visto sorridere solo a sua sorella e per il resto rimanere con un'aria corrucciata.” disse con una risata ancora energica. “Un motivo in più per portarmi più spesso al parco.”, aggiunse continuando la risata.
Il profumo di menta della bibita gli tornò alle narici e, mentre rispondeva alla risata della madre, anche il profumo di erbe del ragazzo con cui aveva passato la notte gli ritornò alla mente.




**********************************
N.d.A.
Ben ritrovati!
Come primissimo appunto voglio ringraziare i numerosi lettori, la cara Engel che lascia dei commenti molto attenti e chiunque abbia deciso di inserire questa storia tra le seguite o le preferite, grazie infinite, non mi aspettavo così tanto affetto.
Passando alle scuse: mi scuso per il ritardo nell'aggiornamento.
Per quando riguarda le note vere sul capitolo: eccoci al primo capitolo pensato dal POV di Kirishima; non è stato facile per me trovare la sua voce, caratterialmente somiglio di più a Bakugo, per quanto gli anni mi abbiano smussata, spero ciò nonostante di non essere andata troppo nell' OOC contando che, per come ho strutturato la storia, mi concentrerò sul lato insicuro di Eijirou. Che ne dite, siete riusciti a rivederci Kirishima?

Ringrazio subito chiunque spenderà un po' del suo tempo leggendo le mie parole.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Istanti ***


Istanti


Doveva ricordarsi di ringraziare Mina per avergli consigliato quel locale.
Si guardò intorno e capì perché ne fosse così entusiasta: le pareti erano ricoperte di quadri, tutti ritraevano il cielo nelle sue numerose sfumature dei giorni, e dove i colori lasciavano spazio alla notte, anche i quadri lasciavano spazio alle immagini di pianeti, nebulose e galassie; i pochi spazi lasciati liberi ospitavano scaffali stracolmi di libri dalle copertine bizzarre, colori sgargianti, decorazioni dorate e borchie, che poteva immaginarsi contenessero storie fantascientifiche, weird o steampunk, i generi che piacevano a lei. 
Prese la tazza con il cappuccino tra le mani ghiacciate e sentì subito che le guance stavano smettendo di pungere ormai abituatesi al calore dell'ambiente.
La temperatura era precipitata improvvisamente e la madre aveva deciso di sostituire le passeggiate al parco con le chiacchiere con “Saeko la pet-therapist”, così lui si era ritrovato con del tempo libero dopo tanto tempo.
Assaporò il primo sorso della bevanda bollente.
Non era certo di riuscire a tornare a studiare dopo tutti quegli anni di pausa, per di più non era neanche mai stato un’eccellenza negli studi, però sentiva una strana emozione risalirgli da dentro quando immaginava di aprire il libro che teneva nello zaino.
Si avvicinò a un tavolo vicino a un vecchio giradischi, il legno della base mostrava le sbeccature dell'età con orgoglio. Denki ne sarebbe impazzito.
Guardò fuori dalla finestra chiedendosi se la madre stesse bene. Sicuramente sì, con quella signora era tornata a mostrare il suo sorriso più luminoso e di certo non era tutto merito del dolcissimo labrador che la curava a modo suo.
Sorrise, e mentre si stava facendo scivolare le bretelle dello zaino dalle spalle, notò un volto famigliare
Le guance tornarono a pizzicargli, eppure il cappuccino l'aveva posato sul tavolo.

*** 

Maledetti farmaci.
Maledetti range.
Si pizzicò tra l'indice e il pollice la pelle tra le sopracciglia.
Maledette cifre che continuavano a confondersi l'un l'altra.
E maledetta memoria fotografica che aveva deciso di prendersi una vacanza, erano ore che stava vedendo e rivedendo sempre quelle stesse due maledettissime pagine.
Lasciò la testa ricadere oltre la testiera della sedia, la mano sugli occhi.
Sembrava stesse avendo una crisi come quegli sfigati in aula studio. Sorrise con amarezza.
"Una camomilla o un espresso?"
Bene, ci voleva giusto il cameriere assillante, eppure aveva giurato d'averlo già scacciato una volta, l'occhiata era stata più che esplicita: non aveva ancora finito e non doveva disturbarlo.
"Non ho ancora..." iniziò a dire togliendosi la mano dagli occhi, ma il sguardo incorniciò una massa di aculei rossi che incorniciavano un viso eccessivamente sorridente.
Perfetto, pensò mentre dichiarava la giornata fallimentare sotto tutti i punti di vista.
Eppure la sua mente ricordò tutti i range mentre scambiava i primi convenevoli col rosso.
 
***

Tentennò rimanendo per qualche secondo in più sul bordo della tazza, si era formato uno strano silenzio imbarazzante e non sapeva come riprendere la conversazione, quel ragazzo lo faceva sentire nervoso e tutta la sua audacia sembrava esser svanita con la prima frase, eppure ne era attratto, voleva poter cogliere il suo sguardo per più di qualche secondo fugace.
Abbassò la tazza e cercò i suoi occhi, ma come i minuti precedenti lui stava osservando qualcos’altro: le sue mani intorno alla ceramica bianca del cappuccino.
Le allentò.
Probabilmente era pieno di piccoli taglietti per colpa del freddo.
“Ecco, sì, volevo scusarmi per quella sera.”, si portò una mano al collo in imbarazzo, “Non volevo andarmene così, è che ho ricevuto una chiamata urgente.”, stava per aggiungere che la chiamata era arrivata dal telefono di sua madre e che era Carla e che con la voce stridula gli diceva che la madre era svenuta e che doveva andare subito in ospedale, ma si bloccò, quelle non erano informazioni da confidare a un ragazzo che si voleva conoscere meglio.
“Non importa.” rispose il ragazzo spostando lo sguardo sui propri appunti.
Lo stava disturbando.
Forse doveva lasciarlo in pace.
Ma l’aveva incontrato, non c’erano così tante possibilità che succedesse, neanche così poche a dire il vero, visto che l’aveva già incrociato più volte al parco e fuori dal campus universitario.
Però quelli erano solo istanti, questa la sua occasione. Tutte le altre volte il biondo sembrava troppo inaccessibile, con l’attenzione rivolta solo verso la sorella o con le cuffiette nelle orecchie che sembravano chiuderlo in una bolla personale.
“Mi piacerebbe offrirti un caffè.” spiccicò tentando di non mordersi la lingua.
“Sono a posto, grazie.”
“Oh.”, stava per alzarsi, non era il caso di continuare a infastidirlo, ma poi vide che il ragazzo si stava portando alle labbra la sua tazza, e aggiunse: “No, io intendevo un altro giorno, magari. O anche dopo. O un altro giorno, così dopo puoi studiare.”
Grande abilità dialettica , si rimproverò Kirishima, sperando di non esser risultato un completo idiota.

***

Osservò quel sorriso.
Sembrava di star vedendo due volti fotografati in due momenti differenti e poi sovrapposti.
Uno solo sorrideva.
Non c’è bisogno di sorridere, pensò Bakugo spostando lo sguardo dal suo interlocutore ai suoi appunti.
Tutta la frustrazione per lo studio sembrava essersi sciolta.
E forse non era neanche così male il fatto di aver incontrato di nuovo quel ragazzo.
Guardò le sue labbra muoversi: gli offriva un caffè.
Aveva una bella voce.
E lui un caffè ce l’aveva già.
Prese la tazza tra le mani e bevve. Per finirlo e averne un altro o per distogliere l’attenzione da quella bocca, comunque il caffè lì non era poi così malaccio.
Posò di nuovo la tazza vicino agli appunti e lo sguardo sul volto del rosso, quel sorriso imbarazzato invece era di una sola fotografia.
“Giovedì finisco alle sei.”

 



***********************************
N.d.A.
Bonsoir cari lettori!
Vi state tenendo al caldo sorseggiando thè caffè o cioccolate? O state studiando fino ad impazzire come Bakugo?
Comunque, divagazioni a parte, ringrazio come sempre tutti voi che vi fermate un attimo a leggere queste poche parole che riesco a mettere in fila e che spero vi risultino piacevoli.
Non so se riuscirò a pubblicare un altro capitolo prima di Natale, quindi ne approfitto per augurarvi anche buone feste e tanto buon cibo! 

Ci vediamo al quinto capitolo!

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3801197