Eär Lindë . L'Ulumur di monalisasmile (/viewuser.php?uid=9740)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - ***
Capitolo 2: *** - ***
Capitolo 3: *** - ***
Capitolo 4: *** - ***
Capitolo 5: *** - ***
Capitolo 6: *** - ***
Capitolo 7: *** - ***
Capitolo 1 *** - ***
Capitolo
1
Gli Uruk-hai stavano accelerando il
passo:
li avevano fiutati.
Jill imprecò fra
sè,
sistemandosi meglio la sacca da viaggio sulla schiena; ogni parte del
suo corpo
implorava una sosta. Erano ormai tre giorni e tre notti che inseguivano
il
drappello senza fermarsi: l’ansia per la sorte degli Hobbit
metteva loro le ali
ai piedi.
Un ruzzolone seguito da
un tonfo alle sue spalle le ricordò che c’era chi
accusava più di lei le
fatiche di quella caccia: i Nani, si sa, non potevano vantare gambe da
corridori.
-
Sono sprecato per la corsa
campestre! – si lamentò Gimli – Noi Nani
siamo scattisti nati, pericolosissimi sulle brevi distanze! –
La Corsara rise tra sé,
ma si affrettò a seguire
Legolas e Aragorn, che guidava la spedizione dei quattro componenti
rimasti della
Compagnia.
“ Cinque” si
corresse subito, proiettando il suo
pensiero fino al Lupo.
Grazie alla sua sviluppata
muscolatura, il
possente animale li aveva preceduti, mettendosi alle calcagna degli
Orchi,
sebbene a debita distanza per non farsi scoprire.
“ Huan!” lo
chiamò lei, il fiato corto per la
corsa ininterrotta attraverso il terreno irregolare “Ti
prego, dimmi che gli
Uruk-hai sono allo stremo delle forze e presto si fermeranno!”
“ Vorrei poterti dare
questa speranza, sorella”
le rispose lui “Ma non sembrano intenzionati a desistere.
È come se potessero
attingere a una misteriosa riserva di energia.”
Persino Huan cominciava ad accusare
i segni della
stanchezza e la Corsara era certa che più di un Orco era
uscito ferito dallo
scontro con la Compagnia dell’Anello. Solo una spiegazione le
veniva in mente e
Jill strinse i pugni, frustrata.
“
Magia…”
Doveva però riconoscere
che in tutto questo c’era
un lato positivo: se Saruman si adoperava tanto affinché le
sue milizie
tornassero al più presto a Isengard, doveva essere convinto
che questi avessero
catturato il vero Portatore dell’Anello. E se ne era convinto
lui…
Le tornò alla mente il
Palantir e ciò che vi
aveva visto. Rabbrividì al ricordo della voce che
l’aveva incatenata, tentando
di trascinarla in quel abisso di fiamme e malvagità. Non
l’aveva solo sondata,
l’aveva violata
dall’interno, sbucciando
uno strato dopo l’altro della sua anima come fosse una
cipolla. Cercava qualcosa dentro di
lei… Non aveva la benché
minima idea di cosa si trattasse, ma sperò di non venirlo
mai a scoprire,
conscia che non avrebbe potuto negare
qualcosa a quella voce imperiosa e carica di forza.
Si chiese come Frodo potesse
contrastarne
l’oscura potenza. Gandalf le aveva spiegato che il contatto
con Sauron avveniva
solo in caso lui s’infilasse l’Anello al dito, ma
anche che quel maledetto gioiello
diventava un fardello sempre più pesante man mano che si
avvicinava al suo
legittimo proprietario. Rivide nella sua mente il sorriso ingenuo e gli
occhi
fiduciosi dell’Hobbit. E sentì il cuore stringersi
in una morsa che ormai ben
conosceva: rimorso.
“ Huan…
secondo te ho sbagliato a lasciarlo
andare da solo?”
“ Non è solo,
c’è l’altro Hobbit con lui.”
Jill storse la bocca in una
smorfia: una guardia
del corpo delle dimensioni di un bambino, bell’aiuto!
“ Abbi fiducia in
loro.”
“ Ma sono
così…”
“ Piccoli?”
sentì quello che più assomigliava a
un sorriso farsi largo nella mente del Lupo “ Dal mio punto
di vista tu sei
poco più grande di loro, sorella.”
“ Ma
loro…”
“ Non è con le
armi che vincerete questa guerra”
la interruppe lui “La tua spada, per quanto affilata, non
può fendere le mura
di Mordor e gli eserciti di queste terre, per quanto organizzati, non
potranno
mai schiacciare le orde di Orchi di Sauron. Gli Hobbit sono coraggiosi
e
possono compensare le loro scarse dimensioni con l’ingegno.
Troveranno il modo
di farsi largo tra le file nemiche, abbi fede.”
Jill si chiese con una nota di
ironia da quando
Huan e la Signora di Lorien avessero cominciato a condividere
disquisizioni
filosofiche.
“ Mi sento
inutile…” si lamentò la rossa,
frustrata “ Avevo giurato di proteggere Frodo e
l’unica cosa che posso fare per
aiutarlo è allontanarmi da lui!”
Stava ancora attendendo la risposta
di Huan,
quando si accorse di essere rimasta indietro. Allungò il
passo e sorpassò
Gimli, riportandosi alle spalle di Legolas.
“
C’è molto altro che puoi
fare…”
Ma il pensiero del Lupo si dissolse
come un’eco
senza che la Corsara potesse carpirlo.
All’imbrunire il
drappello di Orchi non era molto
lontano dalla Foresta di Fangorn, dove, secondo Huan, si sarebbero
accampati
per riposare.
Jill riferì il messaggio
e Aragorn consigliò che
il Lupo si appostasse ai margini della boscaglia. Contenta di potersi
godere un
po’ di meritato riposo, la bestia accettò di buon
grado.
Calata la notte, il cielo era
sgombro di nubi e
impreziosito di stelle.
Legolas balzò agile su
un rilievo roccioso e
aguzzò la vista: un poco più a valle un nastro
argentato riluceva nella notte.
Aggrottò la fronte,
indeciso se era il caso di
rallentare o meno il passo. Gli Elfi erano meno soggetti delle altre
razze a
stanchezza, fame e sete. Aragorn era abituato a lunghi viaggi
estenuanti e
senza cibo. Gimli per quanto andasse avanti a borbottare improperi
contro ogni
sporgenza rocciosa era dotato di una buona resistenza, grazie al suo
fisico
massiccio. Mentre Jill…
Non ebbe il tempo di girarsi che
una figura dai
capelli rossi l’oltrepassò, fiondandosi
giù per il pendio a rotta di collo.
Sconvolto, la vide ruzzolare per
terra, facendo
una strana capriola per poi rialzarsi e riprendere la corsa, le mani e
le
ginocchia sporche, i capelli arruffati.
A seguire una frana di barba e
asce, che rovinò
lungo in declivio scosceso con ancor meno decoro della Corsara.
Il Principe di Bosco Atro scosse il
capo,
rassegnato.
“ Come non
detto.”
Aragorn gli si affiancò,
guardando sorridente i
due compagni che si precipitavano verso il rivo come i beduini verso
un’oasi
nel deserto.
-
Li raggiungiamo? Anche io sento la
gola riarsa. –
Detto ciò il futuro re
di Gondor seguì l’esempio
dei due compagni, senza capitomboli ma con la stessa malagrazia.
L’Elfo trasse un sospiro
sconfitto e scivolò
lungo la discesa con eleganza.
A causa dello slancio, Jill si
arrestò solo una
volta che i suoi piedi affondarono nell’acqua limpida del
ruscello. Ma non se
ne curò e si chinò, immergendo le mani per bere
avidamente il liquido fresco. Era
proprio vero che quando la sete era bruciante l’acqua aveva
un sapore
delizioso.
Inspirò a pieni polmoni,
appagata, chiudendo gli
occhi e facendosi cullare dal dolce mormorio del fiume.
“…ill…”
Un eco lontano catturò
la sua attenzione.
“…ill…”
Una voce melodiosa e profonda.
Accompagnata da un
brontolio che ben conosceva.
“…Jill…”
Sgranò gli occhi. Si
trovava in mezzo ai flutti
dell’oceano.
Una volta giunto a valle, Legolas
vide Gimli che si
abbeverava come un animale, la barba immersa completamente
nell’acqua e le mani
affondate nel suolo sabbioso.
Aragorn riempì la
borraccia e si rinfrescò il viso
con l’acqua limpida.
Lo sguardo del Principe di Bosco
Atro si soffermò
sulla ragazza che era immersa nell’acqua fino alla cintola,
le spalle volte ai
compagni a riva.
-
Esci – le si
avvicinò l’Elfo, sorridendo divertito –
altrimenti ti
prenderai nuovamente un malanno! –
Ma lei non colse la provocazione.
Anziché
rispondergli a tono, restò immobile.
Perplesso, Legolas entrò
in acqua, avanzando
rapido fino a trovarsi di fronte a lei.
“ Tutto bene?”
La rossa non rispose, lo sguardo
perso in un punto
indefinito. Sembrava ipnotizzata.
Preoccupato, l’Elfo
raccolse le mani di lei nelle
sue: se le aspettava fredde, vista la bassa temperatura della stagione.
Invece
erano piacevolmente calde.
Gimli lanciò
un’occhiata alla coppia che sostava
immobile nel ruscello sotto il cielo stellato e diede di gomito a
Aragorn.
-
Orecchie a Punta si dà
da fare! – sghignazzò a bassa voce – Mi
gioco
la barba che Jill gli rifila un cazzotto! –
Aragorn gli sorrise, gli occhi
chiari e saggi che
brillavano alla luce argentea.
-
Forse per questa volta è
meglio non scommettere, Mastro Gimli. –
Il Nano bofonchiò un
“fifone”, ma capì l’antifona
e si allontanò insieme al Ramingo.
La sua mente era annebbiata,
pervasa da un suono
che sovrastava ogni altro rumore, conscia solo del contatto
dell’acqua con la
sua pelle e di quella voce profonda che pareva chiamarla dagli abissi.
“…Jill…”
Il mare era tutto attorno a lei e dentro di lei. Poteva udire il gorgoglio
dei flutti, lo scroscio delle onde sugli scogli, l’ululato
del vento impregnato
di salsedine che le sferzava il volto, cantando di mondi sconosciuti in
una
lingua fatta di acqua salmastra. Ah, quanto le era mancato quel soffio
salmastro!
Eppure una parte di sé
sapeva di trovarsi sulla
sponda di un ruscello d’entroterra anziché in
mezzo all’oceano.
Legolas guardò le mani
di lei e s’accorse che
stavano lentamente mutando. Il colorito roseo lasciava spazio a una
sfumatura
bluastra, mentre minuscole scaglie argentee simili a cristalli andavano
formandosi sul dorso delle mani.
Sgranò gli occhi e
rafforzò la presa, senza
smettere di chiamarla dolcemente, accarezzandole delicatamente le mani.
“
Resta…” quasi la scongiurò, sentendola
scivolare via come l’acqua tra le dita “Ti prego,
Jill… resta qui…”
“
Legolas…”
Attraverso la nebbia del ruggito
dell’oceano e
delle nubi tempestose che andavano formandosi nella sua mente,
riuscì a vedere
il suo sguardo dapprima preoccupato, poi sollevato nel sentirla.
“
Legolas…”
“Sono qui. Sono qui con
te.”
“ M-mi sta
chiamando…”
“ Chi, Jill? Chi ti
chiama?”
“ L’oceano…”
L’Elfo
aggrottò la fronte, perplesso: che voleva
dire? Si chiese se la sua mente fosse stata nuovamente da qualche
essere
oscuro, magari da una creatura che dimorava nel fiume. In tal caso
forse poteva
entrare nei suoi pensieri e aiutarla a scacciare quel mostro.
Tentò. Proiettando la
sua coscienza verso di lei,
s’insinuò lentamente nella sua mente, sperando che
la barriera protettiva della
ragazza lo lasciasse passare. Ma non fu contro questa che si
scontrò: dinanzi a
sé trovò un’inespugnabile muraglia di
onde che s’impennavano sotto un cielo
tempestoso. E in cima a quelle altissime creste torreggiava una
misteriosa
figura dai tratti indistinti.
La chiamò per nome, ma
anziché la fanciulla fu il
ruggito dell’oceano a rispondergli, potente quanto il rombo
del tuono e
perentorio come la parola di un sovrano.
Sconvolto, si ritirò
rapidamente.
“
No…” pensò incredulo tra sé
e sé, la schiena
percorsa da un brivido d’inquietudine “Non
può essere…”
Non ebbe il tempo di terminare il
pensiero che
Jill svenne tra le sue braccia.
Huan avrebbe forse percepito quanto
accaduto alla
fanciulla, se non fosse stato distratto da quanto stava succedendo nel
gruppo
degli Uruk-hai. O meglio, tra Uruk-hai e Orchetti.
Gli Uruk-hai erano non solo
più possenti e
muscolosi, ma anche più ordinati e ligi al dovere, delle
macchine da guerra
create per obbedire ciecamente il loro padrone. Gli Orchetti erano
invece più
irrequieti e più indeboliti dalla luce del sole e dalla
stanchezza, sebbene
Huan fosse convinto che lo stregone avesse formulato un incantesimo per
agevolare il loro ritorno a Isengard.
“ Probabilmente lo
stregone è convinto che uno
dei due Hobbit sia il Portatore dell’Anello” aveva
ragionato.
Quella notte il drappello aveva
deciso di fare
una sosta e Huan aveva seguito il consiglio di Aragorn, appostandosi al
limitare della foresta per non perdere di vista i due Hobbit.
Tuttavia c’era qualcosa
che non quadrava, avvertiva
una certa tensione nell’aria. Tese le orecchie, cercando di
carpire frammenti
di conversazione.
Sorrise maligno: a quanto pareva
non era l’unico
a sentire i morsi della fame allo stomaco. Ma il suo divertimento
finì nel
momento in cui si accorse di cosa, o meglio di chi fosse
l’oggetto di quella
discussione sempre più accesa.
Tese i muscoli, pronto a balzare in
avanti nel
caso in cui uno di quei luridi Orchetti avesse tentato di mettere in
pratica il
proposito di cenare con le gambe dei due Hobbit. Ma gli Uruk-hai non
erano
disposti a trasgredire agli ordini del loro signore: i Mezzi Uomini
dovevano
esser portati sino a lui vivi. Un Orchetto tentò
un’offensiva, ma un Uruk-hai
gli tagliò la testa di netto e le creature ringhianti si
gettarono sul cadavere
del ex compagno decapitato, ignorando i due piccoli prigionieri. Huan
vide gli
Hobbit strisciare a terra, le mani legate, tentando di allontanarsi da
quel
macabro banchetto. Tuttavia non erano riusciti a passare del tutto
inosservati,
poiché un Orchetto afferrò Pipino, pronto a farlo
a fettine.
Un attimo dopo, tutto era
precipitato nel caos. Una
squadra di soldati a cavallo erano sbucati improvvisamente dalle ombre,
cogliendo il drappello impreparato e cominciando a far strage degli
Orchi.
Lance e frecce volavano in letali parabole e le spade fendevano
l’aria e le
carni.
Huan cercò con lo
sguardo i due Hobbit, senza
però riuscire a individuarli in quella marea di gambe,
braccia e zampe.
Ringhiando di frustrazione si
costrinse ad
arretrare cautamente verso gli albero per evitare di esser scorto dai
cavalieri.
Fu mentre retrocedeva verso il
folto della
boscaglia che intercettò l’odore degli Hobbit.
Senza più esitare, il
Lupo balzò in avanti,
seguendo la scia: Merry e Pipino erano inseguiti da un Orchetto. A
giudicare
dall’odore doveva essere ferito, ma gli Hobbit erano
disarmati e quindi vulnerabili.
Imitò una delle tecniche
che aveva visto usare a
Jill e spinse la sua mente in avanti, a sondare la foresta: erano
vicini.
Ancora un poco e…
S’arrestò.
Nessun odore gli aveva
preannunciato quella
vista, nemmeno la sua mente l’aveva percepito. Ma non se ne
stupì.
“
Magia…” gli sfuggì un ringhio.
Ancora quella dannata magia. Ancora
quei dannati
stregoni.
La notte era trascorsa, quando
Legolas si voltò
verso il sole nascente.
-
Sorge un sole rosso –
annunciò quasi tra sé – stanotte
è stato versato
del sangue. –
Jill lo seguì con lo
sguardo ma lui evitò
accuratamente di incrociare i suoi occhi. Per l’ennesima
volta.
Si mordicchiò il labbro,
frustrata. Non era
difficile intuire che il motivo di quella ritrosia fosse lo strano
episodio
della notte precedente, eppure non ricordava di aver fatto o detto
nulla di biasimevole.
Aggrottò la fronte. Per
quanto si sforzasse,
riusciva a ricordare solo l’oceano e una voce misteriosa che
la chiamava dalle
sue profondità. Non era riuscita a comprendere quella
visione; per quanto ne
sapeva lei, poteva essere stata una premonizione così come
l’incubo di una
notte di burrasca passata in mare. Si era interrogata a lungo anche su
quel
richiamo, ma aveva finito per concludere che si fosse trattato del
prodotto
della sua immaginazione: tra gli uomini di mare circolavano diverse
storie di
fantasmi che infestano le acque, pronti a trarre in inganno i marinai
incauti e
trascinarli nelle profondità più nere.
In ogni caso non aveva reso nessuno
partecipe
delle sue assurde elucubrazioni, dunque l’Elfo avrebbe dovuto
supporre che il
mancamento fosse dovuto alla stanchezza e alla fame. A meno
che…
“ A meno che non si sia
infiltrato nella mia
mente e abbia visto qualcosa…”
Un moto di rabbia le
salì su per la gola ed ebbe
l’istinto di aprire bocca e dar voce alla frustrazione per la
mancanza di
rispetto della sua intimità. Ma quando schiuse le labbra ne
uscì appena un
soffio indistinto.
Serrò la mascella e
strinse con forza i pugni.
Sentendosi osservata, la rossa
lanciò un’occhiata
avanti a sé, giusto in tempo per intercettare due enigmatici
occhi blu. Fu poco
più di un istante, poi saettarono lontani da lei.
Per tutta la mattina Legolas non
fece che
rimuginare su quanto accaduto. Aveva pochi dubbi
sull’identità della figura che
aveva scorto. Ma cosa poteva avere a che fare con Jill? E soprattutto,
lei
aveva idea di cosa tutto ciò potesse significare?
Studiandola di nascosto aveva come
l’impressione
che lei non se ne ricordasse nemmeno. Eppure era sicuro che la Corsara
avesse
visto e udito più di quanto lui potesse immaginare.
Per un attimo la sua mente
volò di nuovo a quelle
onde, alla potenza della voce tonante e
all’immensità dell’oceano al di
là di
quella barriera. Il suo cuore venne stretto in una morsa.
Da tempo immemorabile gli Elfi
avevano lasciato
lo splendore di Valinor per trasferirsi nella Terra di Mezzo, eppure la
magnificenza di quei luoghi ancora si specchiava negli occhi di coloro
che vi
avevano vissuto e veniva tramandata a chi che non ne avevano avuto il
privilegio.
Legolas era nato e cresciuto nella Terra di Mezzo, tuttavia la stessa
malinconia che albergava nel cuore dei più antichi della sua
stirpe pareva
essersi estesa anche al suo animo.
Per la prima volta si
ritrovò a invidiare lo
spirito della Corsara, che non conosceva né obblighi
né ostacoli. Quello che
per lui era un confine invalicabile per lei rappresentava la chiave
della
libertà, un luogo selvaggio in cui poteva essere sovrana di
se stessa senza
dover rendere conto a nessuno.
Lanciò
un’occhiata alle sue spalle per sbirciare
la sua espressione. Come volevasi dimostrare: era di nuovo arrabbiata.
Stranamente, l’Elfo
sorrise, attento a non farsi
notare da nessuno. Non riusciva ancora a capire come quella fanciulla
riuscisse
a condizionare tanto i suoi stati d’animo, facendolo passare
dalla
preoccupazione, alla frustrazione, alla tenerezza.
“ Prima o poi mi
farà impazzire.”
Tuttavia quel pensiero non gli
cancellò il
sorriso dalle labbra. Forse perché l’idea non gli
dispiaceva poi così tanto:
fino a quel momento aveva condotto un’esistenza placida e
priva di tormenti,
mentre Jill era una costante fonte di guai e di preoccupazioni.
“ In questo senso,
potrebbe fare concorrenza a
Merry e Pipino!”
Al pensiero di quanto
l’avrebbe indispettita con
queste parole, quasi gli venne da ridere.
Fu Aragorn a metterli in guardia
poco prima
dell’arrivo del drappello di soldati a cavallo e la Compagnia
si nascose.
Questi li superarono rapidi senza vederli.
Jill trasse un sospiro di sollievo:
tra Rohan e i
Corsari di Umbar non correva buon sangue e l’idea di dare
battaglia a un intero
squadrone di cavalieri ben armati non la entusiasmava per niente, tanto
più che
l’inseguimento degli Uruk-hai aveva bruciato molte delle sue
energie.
Quasi a prendersi gioco dei suoi
pensieri, il
Ramingo li richiamò a sé.
-
Cavalieri di Rohan! Quali notizie
dal Mark? –
Jill si voltò sbigottita
verso la loro guida:
aveva deciso di farli finire infilzati come spiedini solo per essere
aggiornato
sulle novità di quelle terre?
Subito il soldato in testa al
gruppo sollevò la lancia
e li fece tornare indietro. La Compagnia si ritrovò
circondata da decine di
lance. Un cavaliere emerse dal gruppo per apostrofarli. Jill suppose si
trattasse di uno dei tre marescialli di Rohan, a giudicare dalla
candida coda
di cavallo che adornava il suo copricapo. Portava un’armatura
leggera, adatta a
lunghe cavalcate, e un elmo decorato da un drago bronzeo, che scendeva
sul suo
viso per proteggergli il setto nasale. Non riusciva a vederlo bene in
volto, ma
venne scottata dai suoi occhi scuri: trasmettevano la forza e la
sicurezza di
un condottiero. Abbassò un poco lo sguardo, leggermente
turbata da quei dardi
marroni, e qualcosa sulla sua armatura attirò il suo
sguardo: sangue.
-
Cosa ci fanno un Elfo, un Uomo, un
Nano e… - si soffermò un attimo a
guardarla – una Corsara
nelle terre
del Mark? –
Jill raddrizzò la
schiena impettita: sebbene il
tono del cavaliere non l’avesse sicuramente lasciato
intendere come un
complimento, era soddisfatta per non esser stata catalogata
semplicemente come
una donna.
-
Parlate in fretta! –
aggiunse.
-
Dimmi il tuo nome, signore dei
cavalli, e io ti dirò il mio. -
La Corsara sorrise divertita al
Nano, che non
intendeva far calpestare il proprio orgoglio.
Il cavaliere corrugò la
fronte e smontò dal
proprio destriero. Con passo deciso di avvicinò a Gimli, che
sollevò il mento
con aria di sfida, sotto lo sguardo preoccupato di Aragorn.
-
Ti taglierei la testa, Nano
– caricò di disprezzo l’ultima parola
– se solo si levasse più in alto da
terra. –
Un istante dopo Jill aveva estratto
la spada e
Legolas aveva inforcato una freccia nel suo arco.
-
Moriresti prima di vibrare il colpo
– lo minacciò l’Elfo.
I cavalieri furono rapidi nel
levare anche loro
le armi. Ma Aragorn si frappose tra i suoi compagni e il maresciallo,
placando
gli animi e presentando i membri della Compagnia.
-
Siamo amici di Rohan e di Theoden,
vostro re. – concluse il Ramingo.
Jill piegò la bocca in
una smorfia: non aveva
idea del tipo di rapporto che i suoi compagni avevano con il sovrano di
Rohan,
ma di certo i Corsari non potevano essere considerati suoi amici.
Più disteso, il
cavaliere sfilò l’elmo, rivelando
un volto fiero scolpito dalle battaglie. Il suo sguardo però
s’era velato di
tristezza e delusione. Jill pensò che il giovane guerriero
pareva più vecchio
di quanto dimostrassero i tratti del suo viso, come se un pesante
fardello
l’avesse fatto invecchiare precocemente.
-
Theoden non sa più
riconoscere gli amici dai nemici – sospirò
–
Nemmeno la propria stirpe. -
I cavalieri attorno a loro
abbassarono le lance.
-
Saruman – riprese il
maresciallo – ha avvelenato la mente del re e
stabilito il dominio su queste terre. –
Un brivido percorse la schiena di
Jill. Il suo antico
maestro era sempre stato bravo nell’uso delle parole, ma da
lì a manipolare la
mente di un re…
Strinse i pugni, frustrata e
arrabbiata. Per lungo
tempo ai suoi occhi Saruman era parso un luminare dall’animo
nobile, tanto
generoso da istruire e accogliere nella sua magnifica dimora una
superstite
senza casa né famiglia, proveniente da una città
straniera di cui non restavano
che macerie e cadaveri. Eppure giorno dopo giorno apprendeva sempre
più quanto
quel periodo trascorso nella torre di Isengard a leccarsi le ferite e
poi a
godersi un po’ di ritrovata serenità fosse stato
una mera messinscena: Saruman non
era mai stato intenzionato a darle un futuro, bensì voleva
certamente servirsi
dell’allieva per assoggettare i popoli di quelle terre.
-
La mia compagnia è di
quelle fedeli a Rohan – continuò il cavaliere
–
e per questo veniamo banditi. –
Improvvisamente quel ufficiale le
parve molto
simile a lei: costretto a lasciare la sua casa senza potervi fare
ritorno,
tradito dalla persona che rispettava e cui aveva dato la sua
fedeltà.
-
Lo Stregone Bianco è
astuto – sibilò il cavaliere avvicinandosi ai
viaggiatori – Vaga qua e là, dicono, come un
vecchio con mantello e cappuccio.
E ovunque le sue spie – indirizzò il suo sguardo
verso Jill – sfuggono alle
nostre reti. –
La Corsara sollevò un
sopracciglio di fronte a quell’insinuazione
poco velata, ma fu di nuovo Aragorn a prendere la parola.
-
Noi non siamo spie –
spiegò in tono calmo e conciso – stiamo
inseguendo un gruppo di Uruk-hai diretti a ovest. Hanno fatto
prigionieri due
nostri amici. –
Lo sguardo del cavaliere
s’incupì.
-
Gli Uruk sono distrutti, li abbiamo
trucidati questa notte. –
-
Ma c’erano due Hobbit!
–
intervenne Gimli – Hai visto due Hobbit con loro? –
-
Sono piccoli –
precisò il Ramingo – dei bambini ai vostri occhi.
–
Il maresciallo si prese un attimo
per rispondere.
-
Non ci sono vivi. Abbiamo ammassato
le carcasse e dato fuoco. –
concluse, indicando la colonna di fumo che s’innalzava
più avanti nella
vallata.
Jill sentì il cuore
perdere un battito.
Gandalf.
Boromir.
Merry e Pipino.
Il sacrificio del guerriero di
Gondor era stato
vano?
“ No, non è
possibile…”
Proiettò la sua mente
verso il punto indicato dal
cavaliere, passando poi a tappeto la zona in cerca di un qualsiasi
segno.
“Huan!”
chiamò “Huan! Huan, fratello mio, dove
sei?”
Nulla.
Una sensazione agghiacciante
s’impadronì di lei.
Huan non poteva essere morto, altrimenti avrebbe certamente percepito
il suo
trapasso. Ma allora perché non le rispondeva? I battiti del
suo cuore accelerarono,
riempiendo le sue orecchie col loro martellante tamburellare.
“Jill”
percepì il leggero tocco mentale di
Legolas “che ti succede?”
Lo ignorò.
Quasi non si accorse dei due
cavalli che il
maresciallo aveva fatto avvicinare e delle parole da lui pronunciate.
-
Non fidate nella speranza.
– si congedò l’uomo montando in sella
– Ha
abbandonato queste terre. –
Continua…
N.d.a:
Innanzitutto
rivolgo un ringraziamento speciale a OrangeMask, che mi ha restituito
la voglia
di scrivere.
Mi scuso
con tutti coloro che avevano cominciato a leggere questa storia e non
hanno
potuto leggerne la prosecuzione. Ma dopo aver finito La Corsara mi
è venuto una
specie di “blocco dello scrittore” e anche se le
idee erano tutte pronte nella
mia testa, non riuscivo a esprimerle in forma scritta.
Infine
auguro buona lettura a tutti quanti, sperando che questa seconda parte
vi
appassioni almeno quanto la prima. Spero di poter leggere i vostri
commenti,
sono ben accette sia le critiche positive che quelle negative!
A presto,
Monalisasmile
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** - ***
Capitolo
2
L’incedere ritmico del
cavallo di Aragorn cullava
la sua mente ma non i suoi pensieri.
“Huan…”
Cosa poteva esser capitato a lui e
gli Hobbit?
-
Jill –
l’apostrofò il Ramingo in tono pacato –
Riesci a sapere da Huan
cos’è successo ai nostri amici? –
Jill scosse brevemente il capo, il
cuore stretto
in una morsa, distogliendo lo sguardo dal volto preoccupato di Aragorn.
Smontarono da cavallo di fronte al
mucchio di
carcasse fumanti.
La puzza era pestilenziale e Jill
si coprì il
volto con una mano, nauseata. Gimli, testardo, cominciò a
frugare tra i resti
degli Uruk-hai.
La Corsara lo guardò con
la pena nel cuore:
sapeva che il Nano sperava di non trovare nulla che potesse ricondurre
agli
Hobbit, cosicché potessero sperare in una loro fuga dal
luogo del massacro. Ma
quando Gimli estrasse il fodero bruciacchiato di una delle loro piccole
spade,
anche quell’ultima speranza si dissolse.
Aragorn emise un grido di rabbia e
lei lo osservò
accasciarsi sulle ginocchia, impotente e colmo di rimorsi per non
essere
riuscito a salvare i piccoli amici come si era ripromesso.
“ E come promesso a
Boromir.”
Legolas mormorava una preghiera in
elfico, mentre
Gimli vagava spaesato tra le carcasse degli Orchi.
Il guerriero di Gondor aveva dato
la sua vita nel
tentativo di salvare quella dei due Hobbit, ma il suo sacrificio era
risultato
vano.
Ripensò alla spensierata
ingenuità dei due
Hobbit, al loro contagioso buon umore, alla loro fame insaziabile, al
piacere
che provavano fumando della buona erba pipa. Vivevano alla giornata e
traevano
gioia dalle piccole cose come raramente le persone sapevano fare.
“ Non doveva andare
così…”
Loro non avrebbero dovuto conoscere
gli orrori
della guerra e affrontare un viaggio tanto pericoloso. Avrebbero dovuto
condurre un’esistenza felice nella loro amata Contea, dove
giorni spensierati
si sarebbero succeduti gli uni agli altri, in mezzo alla loro gente.
Invece
erano morti in una terra sconosciuta, prigionieri degli Orchi. Da soli.
E
terrorizzati.
“ Se solo non ci fossimo
fermati l’altra notte…”
Se avessero continuato la marcia un
altro poco a
quell’ora avrebbero potuto riabbracciare Merry e Pipino.
“ E
Huan…”
Forse il cavaliere di Rohan aveva
ragione: la speranza
aveva davvero abbandonato quelle terre.
Appoggiò una spalla al
fusto di un albero e si
lasciò scivolare fino a terra, stanca e prossima alle
lacrime, il cuore
sofferente e la mente incapace di formulare un pensiero coerente.
Poggiando una
mano sul terreno percepì una vecchia traccia: il Lupo era
stato lì,
probabilmente acquattato tra gli alberi per celare la propria presenza
e nel
contempo tenere d’occhio gli Hobbit. Forse
nell’agitazione dovuta all’attacco
dei cavalieri di Rohan era balzato fuori dal suo nascondiglio per
trarre in
salvo i due Hobbit ed era stato colpito. Ripensando allo stato di semi
incoscienza
in cui era
precipitata la sera prima,
Jill suppose che sarebbe potuto accadere durante quei minuti oppure
subito
dopo, quando aveva perso i sensi.
Corrugò la fronte,
turbata. Eppure c’era qualcosa
che non quadrava. Il loro legame era molto forte, un vincolo di sangue
e di
anime, per cui era certa che se mai l’avesse perso al
risveglio non avrebbe
potuto non accorgersene. Non poteva vantare approfondite conoscenze in
materia,
eppure l’istinto le diceva che Huan era vivo. Tanto
più che il suo imponente
corpo sarebbe stato facilmente riconoscibile tra i cadaveri degli
Orchi.
Quell’ultima conclusione
le parve abbastanza
assennata da rinvigorire le sue speranze. Tuttavia restava il dilemma
sul perché
non riuscisse a comunicare con lui.
Si lasciò andare
all’indietro, stendendosi tra
l’erba soffice che portava ancora l’odore del Lupo,
lasciando che quella
sensazione confortante l’avvolgesse e lenisse il suo
turbamento. Espanse la sua
mente a raggiera attorno al suo corpo, cercando di carpire ogni
più piccola
traccia lasciata da Huan. Sorrise tra sé: le
facoltà del suo naso non erano
fisicamente migliorate, ma grazie al legame con il Lupo pareva avesse
maturato
una sorta di sensibilità mentale che le permetteva di
percepire meglio le
tracce. E non solo.
Non aveva mai percepito tanto
distintamente gli
odori portati dal vento, il profumo pungente e inebriante del
sottobosco. Un
leggero raspare attirò la sua attenzione e alzò
il volto appena in tempo per
scorgere la coda di uno scoiattolo che s’infilava nella
corteccia di un albero.
Un suono quasi impossibile da captare per l’orecchio di un
Uomo, ma che i suoi
sensi avevano percepito chiaramente. Si chiese se anche Huan avesse
acquisito
qualche nuova facoltà grazie al legame con lei. E
sgranò gli occhi.
Balzò in piedi tanto
rapidamente da far sobbalzare
Gimli. Si avvicinò al mucchio di carcasse e raccolse il
piccolo fodero
annerito: se poteva percepire la traccia di Huan forse poteva sentire
anche
quella dell’Hobbit cui era appartenuto quel oggetto. Aveva
solo bisogno di un
indizio che le permettesse di riconoscerla.
Chiuse gli occhi e si
concentrò. Man mano che
passava le mani sul fodero, nel buio della sua mente la guaina prese
forma e su
di essa sfavillarono come lucciole tanti piccoli segni lasciati da chi
era
venuto in contatto con quell’oggetto. Cominciò a
scartare con attenzione quelle
troppo vecchie o troppo confuse, in cerca di una traccia netta e che
potesse
ricondurre esclusivamente agli Hobbit. Ma si trattava di un manufatto
antico
che i suoi piccoli compagni avevano ricevuto in dono e che recentemente
era
stato loro confiscato da un drappello di sudici Orchi.
L’annusò e
subito arricciò il naso disgustata,
cercando tuttavia di andare al di là della puzza di
Uruk-hai. Corrugò la fronte
concentrata: le serviva qualcosa di più marcato di
quell’odore ripugnante e
allo stesso tempo inconfondibile.
“Pensa, Jill, pensa. Che
cosa potrebbe lasciare
un Hobbit al suo passaggio? Qualcosa di forte, qualcosa
di…”
Sorrise: erba pipa! Non fece fatica
a
individuarne l’odore singolare, forte e un po’
pungente che lei stessa aveva
spesso inalato passando quelle settimane in loro compagnia.
Una volta memorizzata la traccia,
senza riaprire
gli occhi si sedette e puntò le mani sul terreno, spandendo
la sua coscienza
tutto attorno a sé.
Gimli si volse verso Aragorn in
cerca di
spiegazioni.
-
Credo – parlò
cauto il Ramingo, soppesando le sue parole ma con un
barlume di speranza nello sguardo – che stia cercando una
pista dei nostri
amici. –
-
Povera Jill –
borbottò il Nano a capo chino – non riesce ad
accettare
l’ennesima perdita in questa Compagnia. –
Il vento soffiava nei capelli
rossi, agitandoli
attorno al volto concentrato. Legolas osservò i suoi
lineamenti, fece scivolare
lo sguardo lungo lo zigomo accentuato, scendendo lungo la linea
delicata della
mandibola fin sulla nuca abbronzata, le spalle dritte e la schiena
eretta. Aveva
un portamento altero, seduta a terra con le gambe incrociate e le mani
affondate nel terreno come nessuna principessa avrebbe mai fatto. Non
era
sangue reale quello che le scorreva nelle vene, eppure era tanto
orgogliosa e
caparbia che non si sarebbe piegata di fronte a niente e nessuno.
“ Probabilmente nemmeno
davanti ai miei
sentimenti…”
Eppure sapeva di tenere a lei anche
per quello,
perché non era in grado di accettare alcuna imposizione. Al
contrario del
principe di Bosco Atro, che da tanti anni ormai aveva accettato il
destino che
altri avevano scelto per lui.
Si soffermò sulle dita
della Corsara, segnate da
minuscole cicatrici e cosparse di piccoli calli. Nella sua vita Jill
aveva
combattuto ogni giorno per conquistare e poi difendere il posto che
occupava
nel mondo, poiché nulla le era stato donato da titoli e
privilegi.
A Umbar, come nel resto della Terra
di Mezzo, le
donne venivano generalmente considerate inferiori agli uomini e
inadatte alla
guerra come a tutti quei lavori che non rientravano
nell’ambito domestico. Le
eccezioni erano poche e generalmente non viste di buon occhio, lo
sapeva bene.
La stessa Compagnia dell’Anello era inizialmente scettica
all’idea di accettare
una donna tra le sue fila, cosa che era stata possibile principalmente
grazie
all’intervento di Gandalf. Poteva perciò
immaginare quanti avessero tentato di
ostacolarla, mettendo in discussione il suo valore, facendo vacillare
la sua
risolutezza. Eppure da quando l’aveva conosciuta il suo
sorriso era sempre
stato radioso e l’espressione fiera di chi è
sicuro di sé: le ferite, per
quanto profonde, avevano temprato il suo spirito senza farle perdere la
fiducia
in se stessa.
Gli occhi dell’Elfo
s’incatenarono alla cicatrice
sul collo della fanciulla e il suo ultimo pensiero vacillò.
Per quando forte e
ostinata, si chiedeva fino a che punto la sua fiducia fosse
già stata messa
alla prova e quanto ancora lo sarebbe stata.
Si sa: a lungo tirare, anche la
corda più robusta
finisce col spezzarsi.
Jill tese la sua rete mentale tutto
attorno a sé,
lasciando che le maglie si stringessero attorno a ogni impronta, odore,
sapore
e sensazione che riuscisse a captare.
Nei suoi pensieri le scene di
quella notte
cominciarono a prendere forma e il vento parve portarle alle orecchie
le grida
degli Orchi e dei cavalieri, il metallo che batteva contro altro
metallo, il
nitrire dei cavalli, il ringhiare degli Uruk-hai e le parole di un
Hobbit che
intendeva svignarsela.
Drizzò il capo, come un
segugio che aveva fiutato
la pista giusta. China, con le mani che sfioravano il terreno, si
spostò
sull’erba bruciacchiata e intrisa di sangue. Toccò
il punto in cui la notte
prima giacevano i due piccoli corpi, le mani legate.
Aragorn le si affiancò,
spostando alcune zolle.
-
Qui giaceva un Hobbit –
constatò – e qui l’altro… -
Ma Jill era già scattata
avanti, i passi sicuri.
Toccò una pietra e raccolse una corda spezzata. Se la
rigirò un attimo tra le
mani, l’annusò e riprese a camminare, seguita dai
compagni.
Accelerò il passo,
arrestandosi al limitare della
foresta e volse il capo a sinistra, dove un’altra scia andava
a congiungersi
con la precedente.
-
Sono fuggiti nella Foresta di
Fangorn? –
Lei annuì, poi si volse
verso Legolas.
“ Sono stati inseguiti da
un Orchetto, ma era
ferito. Huan si è messo alle loro calcagna.”
“ Dunque stanno
bene?”
Jill aggrottò le
sopracciglia, inquieta.
“ Non ne ho
idea… Non riesco a sondare la
foresta, credo sia schermata da un incantesimo. Non posso comunicare
nemmeno
con Huan…”
Legolas le posò una mano
sulla spalla,
regalandole un sorriso rassicurante e costringendola a distogliere lo
sguardo
per non arrossire fino alle orecchie. Poi spiegò ai compagni
quanto la rossa
gli aveva comunicato.
“ Stupida Jill”
si disse lei, scuotendo il capo
come a voler cancellare un pensiero molesto “ non
è la prima volta che Legolas
ti sorride e non è il caso di farsi venire le ginocchia di
burro per questo!”
Una vocina dentro di lei la
canzonò: l’indomita
Corsara poteva combattere a testa alta contro un drappello di feroci
Uruk-hai
ma arretrava di fronte al sorriso affabile di un avvenente Elfo?
Per qualche strano motivo quel
pensiero la
intristì. Forse perché non avrebbe voluto
mostrarsi tanto sensibile alle gentilezze.
Forse perché nel gesto del principe di Bosco Atro
c’era sicuramente solo
quello: garbo e amabilità.
Aragorn seguì le tracce
dei fuggiaschi, che si
spingevano sempre più in profondità nella
vegetazione. L’Orchetto aveva perso
non poco sangue e le sue impronte dopo quelle di Huan erano sempre
più
evidenti. Svoltarono attorno a una grossa quercia, rimanendo perplessi:
le orme
del Lupo erano scomparse.
-
Queste impronte sono
strane… - disse Aragorn.
“ Impronte?”
pensò Jill con una smorfia, seguendo
lo sguardo del ramingo fino a terra “A me sembrano piuttosto
dei crateri! Ma
che razza di creature ci sono in questa foresta?”
E dire che fino a pochi mesi prima
passeggiava
tranquillamente per i suoi sentieri, ascoltando il fruscio delle fronde
degli
alberi e facendosi cullare dal cinguettio degli uccelli. Ora
più che una
boscaglia lussureggiante sembrava infestata dai fantasmi.
Gimli andava avanti borbottando di
storie su
alberi stregati e radici che ghermivano i viaggiatori.
-
Questa foresta è vecchia
– commentò Legolas tra sé, porgendo
l’orecchio ai suoni della natura – molto vecchia.
Piena di ricordi… e rabbia. –
Le fronde si agitarono e le
cortecce parvero
scricchiolare. Tutti si voltarono a guardare il Nano che aveva alzato
l’ascia,
spaventato. Aragorn gli fece segno di abbassarla.
Jill rise sotto i baffi del disagio
di Gimli e di
quanto i suoi timori fossero più fondati di quanto pensasse:
magari quegli
alberi non se ne andavano a passeggio come nelle storie che aveva
sentito, ma
quella foresta era senza dubbio più viva di quanto potesse
sembrare.
Legolas scattò in
avanti, tallonato da Aragorn e
seguito a ruota da Jill.
-
Aragorn, nad no
ennas! -
Jill alzò gli occhi al
cielo: il principe di
Bosco Atro e Aragorn avevano questa pessima abitudine di scambiarsi
frammenti
di conversazioni in elfico. Una cosa piuttosto vanesia e discriminante
dal suo
punto di vista. Si ripromise di farglielo presente.
-
Man cenich? – gli
rispose il Ramingo.
Jill
cercò di sondare la boscaglia per darsi da sola una
risposta, ma lo stesso
incantesimo in cui s’era imbattuta al limitare della foresta
le impedì
nuovamente di ispezionare il territorio. Lanciò
un’occhiata all’espressione
seria e guardinga dell’Elfo.
-
Lo Stregone
Bianco si avvicina. –
La
mano della Corsara andò immediatamente ad afferrare
l’elsa di Carcharoth.
Aragorn
strinse la mascella.
-
Non lasciate che
parli – disse a denti stretti – Ci farebbe un
incantesimo. –
Il
Ramingo si preparò a sguainare la spada, Gimli strinse la
presa sulla sua
ascia, Legolas fece scorrere le dita sulle piume della sua freccia e
Jill
accarezzò dolcemente l’impugnatura dei lunghi
pugnali che portava ai due lati
della cinta.
-
Dobbiamo agire in fretta.
–
Il cuore di Jill batteva
all’impazzata nel petto
al pensiero che forse era finalmente arrivato il giorno della resa dei
conti.
Avrebbe mirato alla gola, così da far tacere per sempre
quella voce melliflua e
velenosa.
Sorrise maligna: era il momento di
restituirgli
il favore.
Si girarono all’unisono e
sferrarono l’attacco.
Una luce bianca li abbagliò e lo stregone deviò
con facilità tutti i loro
colpi.
Jill era pronta a mettere mano alla
spada e
vendere cara la pelle, quando la figura avvolta da quella candida luce
parlò.
-
State cercando due giovani Hobbit.
–
Qualcosa nel tono di quella voce
fermò la mano
della fanciulla a mezz’aria. E non era un incantesimo.
-
Dove sono? – gli
gridò Aragorn di rimando.
-
Sono passati di qua – non
si scompose lo stregone – L’altro ieri.
Hanno incontrato qualcuno che non s’aspettavano. Questo vi
conforta? –
Qualcosa nel cuore di Jill
gridò di gioia e lei
sgranò gli occhi, meravigliata da quell’intuizione.
-
Chi sei? –
corrugò la fronte Aragorn – Fatti vedere!
–
La luce accecante
s’attenuò e una figura prese
forma a poco a poco.
Jill sorrise, gli occhi
già colmi di lacrime e la
vista annebbiata.
“Gandalf…”
Non era più Gandalf il
Grigio. Dopo aver lottato
strenuamente contro il Balrog ed essere riuscito a eliminarlo, il suo
corpo era
ormai allo stremo. Tuttavia il compito assegnatogli non era ancora
terminato e
il suo spirito era tornato indietro, dandogli nuova vita. I Valar gli
avevano
fatto dono di nuovi poteri, elevandolo allo status di Bianco.
Svanita quella luce abbagliante
alle sue spalle
era comparso anche Huan. Il Lupo, comodamente sdraiato e con la testa
poggiata
sulle zampe anteriori, non aveva fatto una piega, limitandosi ad
alzarsi e atterrare
con un balzo al fianco della sua compagna. Ma lei aveva occhi solo per
il suo
ritrovato maestro e Huan si riaccomodò accanto a lei.
“ Stregoni!”
pensò tra sé e sé “A quanto
pare non riescono a rinunciare all’appariscenza.”
Gandalf gli strizzò
l’occhio e il Lupo poggiò
nuovamente la testa sulle zampe: quello stregone tutto sommato non gli
dispiaceva.
Gandalf li rassicurò
immediatamente riguardo le
sorti di Merry e Pipino, rimanendo tuttavia piuttosto vaga riguardo
l’identità
del misterioso Barbalbero.
Jill pensò che certe
cose probabilmente non
sarebbero mai cambiate, come il gusto del suo maestro per il mistero e
il modo
in cui custodiva tante informazioni. Eppure quel pensiero
anziché stizzirla le
diete una piacevole sensazione di conforto.
Lo stregone propose alla Compagnia
una breve
sosta prima di dirigersi verso Edoras, la capitale del Regno di Rohan.
Mentre
parlava Jill osservava colma di eccitazione le sue nuove vesti bianche,
percependo il nuovo potere che tutta la sua figura emanava, quasi ne
fosse
intrisa la tela candida.
“Sarebbe quasi il caso di
andare a bussare alla
porta di Saruman per proporgli un secondo round!”
ghignò fra sé, esaltata
all’idea del confronto come lo era stata quando un Corsaro
lanciava una sfida a
un rivale che gli aveva fatto un torto di troppo. Ma qualcosa
nell’espressione
seria dello stregone soffocò la sua eccitazione sul nascere.
Non erano sul
ponte di una nave o in un malfamato locale. Lo sfidante non era un
losco
individuo che s’era appropriato di un sudato bottino o che
aveva allungato le
mani sulla donna di qualcuno. In gioco non c’erano tesori,
amanti o il rispetto
di una ciurma. Quelle, in confronto, erano bazzecole: la Compagnia
dell’Anello
aveva nelle mani le sorti di tutti i popoli della Terra di Mezzo.
S’accamparono in una
piccola radura. Huan
s’accucciò al limitare della foresta e la
fanciulla andò a raggiungerlo. Sganciò
la spada e i lunghi pugnali dai fianchi e si sfilò la sacca
da viaggio,
posandola a terra. La scatola di legno produsse un tonfo sordo, mentre
qualcos’altro al suo interno sbatacchiò.
Jill estrasse la custodia e la
soppesò tra le
mani. Era lunga più di due spanne e larga e alta una e
mezza. Il legno non
apparteneva alle piante che si potevano solitamente trovare
nell’entroterra
della Terra di Mezzo, somigliava piuttosto a quello dei pini marittimi
che
crescevano lungo le coste del sud. Ma si trattava solo di supposizioni,
poiché
la salsedine e il tempo avevano consumato quella scatola,
deteriorandone il
legno e arrugginendo le cerniere metalliche.
Aveva tentato di indovinare
più e più volte il
suo contenuto: a giudicare dal rumore poteva trattarsi di un oggetto in
pietra,
ma era più leggero e sembrava avere una forma piuttosto
articolata.
Si sdraiò sulla pancia,
tenendo la scatola
davanti a sé, per poi rigirarsi sulla schiena e alzarla
sulla sua testa, verso
il cielo stellato sgombro di nubi. Aveva anche provato a forzare la
serratura e
le cerniere metalliche.
“ Giusto per essere
sicura che nel momento del
bisogno riesca ad aprirla” si era detta per giustificare la
curiosità
crescente.
Ma non c’era stato verso
di farle saltare,
nemmeno incidendo il legno. Aveva tentato anche con la magia, ma di
nuovo senza
risultati. Probabilmente la scatola era sigillata da qualche potente
incantesimo a lei sconosciuto.
Si chiese come mai Dama Galadriel
non le avesse
spiegato la natura del dono e come avrebbe fatto a capirne il tempo e
il modo
di un corretto utilizzo.
-
È un dono davvero
prezioso quello che tieni tra le mani, piccola Jill.
–
La fanciulla sobbalzò e
lo stregone entrò nel suo
campo visivo. Si mise a sedere e l’Istaro
s’accomodò accanto a lei.
Jill mise il broncio.
“ Peccato che Dama
Galadriel non mi abbia
rivelato cosa contiene!” si lamentò.
Appena pronunciate quelle parole se
ne pentì,
ricordando la gentilezza e il prestigio della Signora di Lorien e
maledicendosi
per quel tono irrequieto e irrispettoso. Si aspettò un
severo rimprovero, ma il
suo maestro rise di gusto.
“ Noto con piacere che la
tua menomazione ha
frenato la tua lingua ma non il tuo sarcasmo, piccola mia.”
Le accarezzò gentilmente
il capo e Jill provò una
sensazione che non percepiva da tanto: si sentiva al sicuro e a casa.
Con uno
slancio abbracciò lo stregone, andando a nascondere il volto
nella sua tunica
bianca e inspirandone l’odore: sapeva di pini e erbe montane.
Gimli tirò su col naso e
s’appoggiò alla grande
ascia.
-
Sapete – si rivolse ai
due compagni che guardavano la scena insieme a
lui – è mancato pure a me! –
Aragorn posò una mano
sulla spalla del Nano,
annuendo: Gandalf era mancato a tutti loro.
“ Sei ancora interessata
al contenuto di quella
scatola?”
Jill si staccò dallo
stregone, gli occhi attenti
colmi di curiosità. Si rimise seduta a gambe incrociate, la
custodia di legno
sulle gambe, pronta ad ascoltare le parole del maestro.
“ Ricordi le storie che
ti raccontavo a proposito
dei Valar, i Signori di Valinor, coloro che gli Uomini chiamano
Dei?”
La rossa annuì,
ripensando ai miti e alle
leggende di cui aveva letto e sentito parlare. Aveva ascoltato piena di
meraviglia
il racconto della Prima Età del Mondo, quando Morgoth, primo
Signore Oscuro,
aveva gettato la sua ombra sui regni della Terra di Mezzo con
l’unico scopo di
distruggere tutto il Creato. Sia gli Undici Valar Supremi che i
più grandi
condottieri gli avevano mosso guerra durante tutta la Prima Era per
liberare
quelle terre dalla sua malvagia presenza. I Draghi, I Balrog e lo
stesso Sauron
erano stati creati e plagiati da Morgoth.
Jill rabbrividì:
l’idea che fosse esistito un
essere superiore a Sauron in potenza e malvagità le faceva
accapponare la
pelle.
Strinse la mascella. Peccato che
dopo la
sconfitta di Morgoth durante la cosiddetta Guerra d’Ira i
Valar non si siano
più fatti vedere nella Terra di Mezzo, altrimenti Sauron
avrebbe avuto i minuti
contati!
“ Ricorderai gli Undici
Valar Supremi. Manwe è il
primo di tutti i re del Creato, il Sovrano di Valinor e Signore dei
Venti, il
più possente tra i Valar. Ma appena inferiore a Manwe per
potenza c’è Ulmo, il
Signore delle Acque…” sorrise alla fanciulla
“Potremmo considerarlo il
protettore di tutti gli uomini di mare, non ti pare?”
Jill sorrise, annuendo.
Ulmo non aveva una dimora fissa, ma
si muoveva a
piacimento tra le acque e si recava in Valinor solo per trattare le
questioni
più importanti. Egli era inoltre l’unico tra gli
Undici Supremi a non essersi
mai scelto una consorte.
“ Probabilmente
perché non s’addiceva al suo
stile di vita” aveva ragionato Jill con un’alzata
di spalle.
Non amava camminare sulla terra e,
al contrario
degli altri Valar, raramente assumeva forma umana. Correva voce che il
levarsi
del Re del Mare fosse terrificante. Ciò nonostante Ulmo ha
sempre amato sia gli
Elfi che gli Uomini e non li ha mai abbandonati,
tant’è che durante la lunga
guerra contro Morgoth è intervenuto più degli
altri Valar in loro favore. Tutti
i mari, i laghi, i fiumi, le fonti e le sorgenti sono sotto il suo
dominio,
motivo per cui gli Elfi hanno sempre sostenuto che lo spirito di Ulmo
scorra in
tutte le vene del mondo.
La fanciulla si era emozionata
quando Gandalf le
aveva riferito che persino il potente Morgoth aveva sempre temuto il
mare
poiché, come il suo signore Ulmo, impetuoso e libero per
natura, non poteva
essere né plagiato né incatenato.
“
Tendenzialmente” riprese lo stregone “ il Re
delle Acque predilige le profondità dell’oceano e
parla alle genti della Terra
di Mezzo con parole di un linguaggio ai più sconosciuto e
che vengono
interpretate come musica dell’acqua: lo zampillio di una
sorgente, il placido
scorrere di un fiume, l’abbattersi fragoroso di una cascata.
Ma a volte approda
sulle rive della Terra di Mezzo o si spinge all’interno lungo
i fiumi, e qui
intona meravigliose melodie con i suoi grandi corni fatti di
conchiglie, gli
Ulumuri. Chiunque ascolti quella musica non la dimenticherà
mai e nel suo cuore
crescerà sempre più il desiderio del
mare.”
Jill corrugò la fronte e
il suo maestro sorrise
condiscendente.
“ Credo”
proseguì “ che la Signora di Lorien
abbia voluto restituirti in qualche modo il potere della voce,
consegnandoti un
Ulumur del potente Ulmo.”
La fanciulla sgranò gli
occhi, puntandoli
sull’anonima scatola sul suo grembo.
Trascorsero secondi di silenzio,
poi la Corsara
piantò gli occhi scuri in quelli cerulei del Istaro.
“ Ti stai prendendo gioco
di me.” disse, alzando
un sopracciglio.
“ Niente
affatto.”
“ Vorresti farmi credere
che mi sono portata in
giro nella sacca un corno che dovrebbe appartenere a un dio?”
“ Hai già
avuto modo di vedere un Palantir, che
se non vado errando appartiene alla stessa categoria di oggetti
leggendari” le
sorrise astutamente lo stregone “Il Balrog che abbiamo
incontrato nelle miniere
di Moria e lo stesso Sauron prima delle Ere del mondo erano dei Maiar,
dei
minori al servizio degli Undici Valar Supremi. Vuoi farmi credere che
fatichi a
credere di esserti imbattuta in uno degli Ulumuri?”
Lei mise il broncio, seccata:
inutile insistere,
Gandalf riusciva sempre a far tacere le sue proteste e cancellare il
suo
scetticismo.
“Ammesso e non concesso
che dentro a questa
vecchia scatola ci sia un Ulumur” insistette la rossa,
cocciuta “cosa dovrei
farmene di uno strumento musicale?”
“ Le melodie intonate
dagli Ulumuri possono
variare dal dolce scroscio di un ruscello all’assordante
fragore di una
cascata, perché in accordo col loro proprietario. Ulmo
possiede una voce
profonda quanto l’oceano e spaventosa quanto il ruggito di
una tempesta, tant’è
che il suo urlo durante la battaglia terrorizza i nemici e infiamma lo
spirito
degli amici” la guardò dritta negli occhi,
improvvisamente serio “ Sappiamo
entrambi quanto potente e temibile possa essere una voce. È
per questo motivo
che ne sei stata privata.”
Jill strinse i pugni, sentendo una
collera ormai
familiare impossessarsi di lei: la furia della vendetta.
“ Questo
strumento” continuò Gandalf,
costringendola a rimanere concentrata sulle sue parole “
è stato creato per
Ulmo, dunque è difficile dire cosa accadrà se
usato da te. Ma avrai ormai
capito che anche l’oggetto apparentemente più
innocuo può dimostrarsi molto
pericoloso se usato coi propositi sbagliati o in maniera
avventata.”
La Corsara pensò
all’Anello del Potere che nelle
mani di Sauron avrebbe regalato al Signore di Mordor il controllo sulla
Terra
di Mezzo, mentre appeso al collo di Frodo diventava di giorno in giorno
un
fardello più pesante e maligno. Le tornarono in mente i
Palantir, le sette
pietre sferiche create per comunicare anche a grandi distanze, utili
per tale
scopo, ma pericolose se utilizzate dai soggetti sbagliati. Cosa che
aveva
provato sulla sua stessa pelle.
“ Per questo ti
è stato detto di farne uso solo
in caso di necessità.”
Vedendola pensierosa, Gandalf
tornò a sorriderle
con dolcezza.
“ Tranquilla, sono
convinto che saprai usarlo con
avvedutezza e…”
“ Perché
io?” gli chiese quasi titubante, il pensiero
ridotto a un sussurro “Perché uno strumento tanto
prezioso e potente è stato
dato proprio a me, quando molti
altri
sarebbero stati più meritevoli? Non dirmi che Dama Galadriel
l’ha fatto perché
potessi sopperire alla mia menomazione. E come farò a usarlo
nel momento più
opportuno se non sono nemmeno in grado di spezzare
l’incantesimo che tiene
chiusa questa maledetta scatola? ” sollevò il
mento, di nuovo combattiva e
sfrontata “E come mai un Ulumur si trovava a Lorien? Il Re
dei Mari ha saputo
delle mie disgrazie ed è stato tanto impietosito da volermi
regalare uno dei
suoi preziosissimi corni?”
Gandalf si prese qualche secondo
per guardare
quel giovane volto contratto in un espressione decisa, sebbene il suo
sguardo
rivelasse l’amarezza di cui erano intrisi i suoi pensieri.
Quegli occhi tempestosi gli
ricordarono due iridi
dello stesso colore ma tanto profondi che, ne era sicuro, chiunque vi
sarebbe
annegato se solo avesse tentato di sostenerne lo sguardo.
-
Credimi, mia piccola e impaziente
Jill – avvicinò una mano alla fronte
della fanciulla, distendendo con l’indice le rughe di
nervosismo che la
solcavano – avrai tutte le risposte che cerchi. –
“ Fammi
indovinare” ridusse gli occhi a due
fessure “ Avrò le mie risposte a
tempo
debito.”
Gandalf le sorrise. Jill
sbuffò, rilassando le
spalle: per quanto le scocciasse ammetterlo, i sorrisi gentili del suo
maestro
le impedivano di tenergli il broncio. O forse era l’effetto
di qualche incantesimo
calmante.
“ Dannati
stregoni!”
Due occhi scuri non si erano
staccati un istante
da quella scatola. Ma quando Jill la ripose nella sacca, le iridi
tornarono
dorate.
Huan scosse il grosso capo,
infastidito da quella
sensazione che non riconobbe come sua: una curiosità avida,
insana e umana.
Continua…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** - ***
Capitolo
3
Jill capiva che per ovvie ragioni
Huan non poteva
venire a Edoras con loro. Ma che lei
dovesse camuffarsi era assurdo.
-
Vorremmo giungere fino a re Theoden
il più possibile indisturbati – le
aveva spiegato lo stregone – e tu attireresti troppo
l’attenzione. –
Lei aveva sollevato un
sopracciglio, indicando
Gimli, Legolas, Aragorn e infine lo stesso Gandalf, con fare allusivo.
Legolas aveva chinato il capo,
soffocando un
sorrisetto. In effetti la Corsara non aveva tutti i torti: di tutta la
Compagnia
non era affatto certo che fosse lei ad attirare maggiormente
l’attenzione.
-
Jill… - il tono del
Istar era paziente, ma non ammetteva repliche – re
Theoden non vede di buon occhio i Corsari e qui non siamo ad Umbar,
dove una
donna valorosa è considerata pari agli uomini… -
La rossa strinse i pugni, al
pensiero di non
venire accettata al cospetto di un re semplicemente perché
era una donna.
-
Per di più –
le si avvicinò – ho idea che gli Uruk-hai che
avevano
catturato Merry e Pipino avessero anche l’ordine di farti
prigioniera e
riportarti a Isengard. Viva. –
Legolas ripensò alla
battaglia presso le Cascate
di Rauros, durante la quale s’era accorto che gli attacchi
degli Orchi non
sembravano finalizzati ad ucciderla.
-
Non so quali siano le reali
intenzioni di Saruman – continuò lo
stregone – ma vorrei tenerti il più possibile
lontana dal suo sguardo. Dunque,
sapendo che se ti chiedessi di attendere al sicuro nella foresta non
potresti mai obbedirmi –
le sorrise – questo mi
pare un giusto compromesso, non ti pare? –
A malincuore, Jill
annuì.
Ma qualcun altro non era dello
stesso avviso.
-
Chiedo scusa – intervenne
Legolas – ma non sono d’accordo. –
Tutti si voltarono a guardarlo
stupiti: non
capitava spesso che il principe di Bosco Atro discutesse le decisioni
dei
compagni, men che meno quelle di Gandalf.
Eppure il sorriso dello stregone
non s’incrinò,
come se la cosa non lo meravigliasse affatto.
-
Potrei saperne il motivo, principe
Legolas? –
-
Se Saruman ha veramente intenzione
di catturarla, non dovresti
permetterle di venire con noi e correre il rischio di esporsi troppo.
Hai detto
che è riuscito a infiltrarsi nel regno di Rohan:
è uno stregone potente e ingegnoso,
non abbiamo idea di quali incantesimi abbia lanciato su quella corte e
quante
spie vi siano nascoste. Non comprendiamo ancora le sue reali
intenzioni, ma se
venisse a sapere che Jill si trova là è molto
probabile che tenterà di
concludere ciò che gli Uruk-hai non sono riusciti a portare
a termine. –
L’Elfo aveva parlato in
tono pacato ma serio e il
sorriso di Gandalf s’allargò. Un’altra
persona si sarebbe domandata il motivo
di quel gesto compiaciuto, ma Jill era già volta verso il
principe di Bosco
Atro, pronta a tempestarlo d’improperi.
Quasi le avesse letto nella mente e
anticipato la
sua arringa, il biondo si voltò a guardarla, mettendola a
tacere con uno
sguardo duro che la inchiodò al suo posto.
-
Potrai anche disprezzare il
pericolo, ma non puoi essere tanto egoista
da far rischiare la vita a tutta quella gente solo per un tuo
capriccio. Tu più di
chiunque altro dovresti sapere
quanto Saruman può essere spietato. –
Jill rimase pietrificata a quelle
parole.
Legolas la vide abbassare il capo,
abbattuta dalle
due dure parole. Per un attimo quel volto afflitto lo fece vacillare.
Tuttavia
mise rapidamente a tacere la voce del rimorso: era stato severo, ma
l’aveva
fatto per lei.
Non temeva che i tirapiedi di
Saruman potessero
realmente farle del male, tanto più che lui sarebbe stato al
suo fianco, pronto
a proteggerla. Piuttosto
era preoccupato
dall’ossessione dello stregone di Isengard per la sua ex
protetta: c’era
qualcosa in quella Corsara audace e impulsiva che poteva tornare utile
all’Istari. Qualcosa che, ne era certo, aveva a che fare con
quella misteriosa
entità che stava chiamando a sé la fanciulla.
-
Sono d’accordo con
Orecchie a Punta – intervenne Gimli infrangendo
quel silenzio pesante – però credo anche che sia
più saggio restare tutti
uniti. Abbiamo già visto alle Cascate di Rauros quanto possa
essere controproducente
separarsi. –
La Corsara sorrise riconoscente al
Nano, che le
strizzò l’occhio in segno d’intesa.
-
E poi – si rivolse
all’Elfo – Saruman sicuramente è a
conoscenza del
fatto che Jill sta viaggiando con la Compagnia. Se entrassimo a Edoras
senza di
lei intuirebbe che è nascosta nelle vicinanze e potrebbe
cogliere l’occasione
per tentare di catturarla prima del nostro ritorno. Come hai detto tu,
non
sappiamo di quali diavolerie sia capace quel maledetto stregone. Senza
offesa,
Gandalf! –
Con sommo dispiacere di Legolas,
Aragorn
condivideva i suoi timori ma era d’accordo col Nano: meglio
restare uniti e
camuffarla. Saruman era troppo calcolatore per tentare
un’offensiva contro di
lei ora che Gandalf era tornato al suo fianco, rischiando di mandare a
monte il
grande progetto che sicuramente aveva già architettato.
Jill esultò
interiormente.
Gandalf osservò lo
sguardo truce dell’Elfo e
represse un risolino divertito. Era chiaro a tutti, o meglio a quasi tutti, quali fossero state le sue
reali intenzioni e da che tipo di sentimenti fossero mosse.
“ Purtroppo per lui
però Jill è troppo ingenua ed
emotivamente immatura per rendersene conto.”
E qualora lei se ne
accorgesse…
“
Chissà…” rimuginò lo
stregone, abbracciando con
lo sguardo quella coppia tanto bizzarra.
Un principe scuro in viso e una
Corsara gongolante.
Un Elfo e una Donna.
Un lago tranquillo e un mare
impetuoso.
Gandalf cavalcava in testa al
gruppo sulla groppa
di Ombromanto, uno dei leggendari Mearas, Signori tra tutti i cavalli,
che
secondo le leggende erano stati condotti nella Terra di Mezzo da uno
degli
Undici Valar Supremi. Sia re Theoden che molti altri cavalieri avevano
tentato
di domarlo, ma l’animale aveva per deciso di lasciarsi
montare solamente da
Gandalf, che lo cavalcava con gentile fermezza, senza sella
né briglie.
L’Elfo fece scorrere lo
sguardo sul magnifico stallone
dal manto candido e la corporatura perfetta. I Mearas erano conosciuti
non solo
per la loro rara bellezza, ma anche per l’eccezionale forza e
velocità, nonché
intelligenza.
Gandalf montava avvolto in un
grigio e sgualcito mantello
per non lasciare trapelare la veste candida, simbolo del suo nuovo
titolo di
capo dell’Ordine degli Istari, da cui Saruman era stato
destituito una volta convertitosi
alla causa di Sauron.
Legolas cavalcava subito dietro,
con Gimli seduto
alle sue spalle. Alla sua sinistra lo affiancavano Aragorn e Jill.
“Di nuovo sulla stessa
cavalcatura.”
Aggrottò la fronte. Da
poco s’era reso conto
della natura di quella strana sensazione che provava ogni qual volta
vedeva
Jill in compagnia del Numenoreano e l’aveva identificata con
l’unico nome che,
aimè, potesse corrisponderle: gelosia. Non era stato facile
per lui ammettere
quella debolezza, un po’ per orgoglio un po’
perché mai vi si era imbattuto nei
suoi tremila anni di vita. Per quanto si fosse sforzato di ignorarla e
poi di
metterla a tacere, una vocina melliflua gli aveva insistentemente fatto
notare
quanta ammirazione e rispetto la Corsara provasse nei confronti
dell’Erede di
Isildur. Legolas si era ripetuto che in quello non v’era
nulla di insolito:
Aragorn suscitava profonda stima anche nei più grandi
condottieri e regnanti.
“ Peccato che lei sembri
preferire la sua
compagnia alla mia!”
A esser più precisi,
negli ultimi tempi Jill
sembrava preferire la compagnia di chiunque
alla sua. E ora aveva anche un valido motivo per essere arrabbiata con
lui, data
l’arringa che le aveva fatto poco prima per convincerla a
restare al sicuro
nella foresta anziché esporsi al pericolo seguendoli a
Edoras. Inutile dire che
il principe se l’era cercata e lo sapeva bene: ormai la
conosceva abbastanza da
sapere che la Corsara non se ne sarebbe stata con le mani in mano in un
nascondiglio ad attendere il loro ritorno come una donna qualsiasi.
Lanciandole un’occhiata
le sue labbra si piegarono
in un sorriso sghembo.
“ Certamente ora non
potrebbe passare per una donna
qualsiasi.”
Gandalf aveva fatto ricorso alla
magia per
mascherare la sua identità e ora Jill assomigliava piuttosto
a un giovane
scudiere. Il viso era stato schiarito e cosparso di lentiggini, i
capelli
avevano assunto una colorazione quasi castana. Le spalle si erano
allargate, le
braccia inspessite e i fianchi ristretti quanto bastava a darle un
aspetto
virile. Persino gli occhi avevano assunto un’altra
tonalità: da blu come la
notte erano diventati marroni come la terra bagnata. Aveva avvolto
l’elsa della
spada con uno straccio e macchiato la lama per camuffarne il colore
sanguigno,
troppo particolare per non saltare all’occhio. Era stata
solamente indecisa su
cosa fare della scatola donatale da Dama Galadriel che custodiva nella
sacca,
ma Gandalf le aveva assicurato che nessun Uomo avrebbe mai potuto
aprirla,
quindi s’era risolta a portarla con sé.
Legolas sospirò,
tornando a volgere lo sguardo di
fronte a sé: certo così conciata nessuno avrebbe
potuto riconoscerla, ma quella
fastidiosa inquietudine non accennava a lasciare il suo cuore.
-
Il Nero Cancello di Mordor
– piagnucolò Smeagol, ritraendosi dietro
alle rocce come se la sola vista della muraglia bastasse a
terrorizzarlo.
Nemmeno Sam poté dargli
torto, poiché il nome non
bastava a rendere l’idea dell’imponenza della
costruzione: gli Orchi che
pattugliavano le mura sul cammino di ronda sembravano formiche. Il
termine
“inespugnabile” sarebbe stato riduttivo,
poiché Frodo era certo che nemmeno un
esercito aveva la benché minima possibilità di
aprirvi una breccia.
Un ritmico sferragliare e delle
urla di
incitamento gli fecero distogliere l’attenzione dalla
fortezza per posarlo sui
soldati che s’avvicinavano al Cancello. Procedevano in file
ordinate, reggendo
scudi rettangolari e lunghe lance; le corazze bronzee ne celavano
completamente
le fattezze eppure era sicuro che non fossero Orchi. L’Hobbit
non riconobbe i
simboli, ma i colori caldi degli stendardi gli fecero supporre che
appartenessero ai popoli del Sud.
Sconsolato, ripensò ai
compagni che s’era
lasciato alle spalle, alla loro profonda conoscenza della Terra di
Mezzo e
destrezza nel combattimento. Come spesso gli era capitato da quando lui
e Sam
si erano allontanati dalle Cascate di Rauros, sperò che
stessero tutti bene e
si chiese come lo avrebbero consigliato Aragorn, Gandalf,
Jill…
Il pensiero della Corsara lo fece
per un attimo
vergognare della sua insicurezza. Se solo lei fosse stata al suo
fianco, era
certo che sarebbe riuscito a ritrovare un po’ di coraggio.
“ Anche se qua”
si disperò, facendo scorrere lo
sguardo sul Nero Cancello “più del coraggio
servirebbe una buona dose di follia!”
Quasi avesse voluto dare ascolto ai
suoi
pensieri, Sam gli fece notare che il Cancello si stava aprendo per
lasciar
entrare il battaglione appena sopraggiunto e si sporse verso
l’orlo del dirupo,
cercando un modo per scendere.
Lo trovò. La roccia
sotto di lui era più friabile
di quanto sembrasse e l’Hobbit precipitò
giù per la scarpata.
Frodo fu rapido a correre in suo
soccorso, tra le
grida di protesta di Smeagol. Ma il rumore dei frammenti rocciosi che
ruzzolavano giù per il declivio e la polvere sollevata lo
tradì: un soldato si
accorse di quell’anomalia e, affiancato da un compagno, si
allontanò dallo
schieramento per perquisire l’area.
Ormai al fianco
dell’amico, Frodo tentò di farlo
alzare, ma il corpo di Sam era sprofondato nei detriti e i soldati
s’avvicinavano sempre più. Preso dal panico,
l’Hobbit fece scorrere gli occhi
azzurri da un lato e dall’altro della vallata, in cerca di
una soluzione.
Come per magia, gli tornarono in
mente le parole
di Dama Galadriel:
-
C’è sempre una
speranza –
In un gesto più
disperato che razionale, Frodo
afferrò il suo mantello, dono della Signora di Lorien, e vi
si nascose sotto
insieme a Sam.
Entrambi trattennero il respiro. I
passi dei due
soldati s’arrestarono e gli Hobbit sollevarono appena il
mantello: fortuna
volle che gli uomini del Sud si fossero fermati a una spanna dal loro
nascondiglio.
Dopo secondi che parvero ore, i
soldati si
allontanarono.
Frodo scostò il mantello
e, una volta liberato
Sam, s’appostarono insieme dietro a una roccia, pronti a
scattare verso
l’ingresso che andava chiudendosi.
-
Dubito che i mantelli elfici
lì ci potranno nascondere. –
Purtroppo non poteva dare torto
all’amico, ma non
avevano altra scelta: l’Anello andava portato fino al Monte
Fato e lì
distrutto. Aveva preso un impegno e l’avrebbe portato a
termine, a tutti i
costi.
Quando balzarono in avanti, due
braccia ossute ma
forti li bloccarono, tirandoli indietro.
-
No Padrone, no! –
gracchiò Smeagol, quasi supplichevole – Ti
prendono,
ti prendono! Ti prego, non portarlo da Lui! –
Frodo lo guardò basito,
mentre alle sue spalle
l’esercito era quasi completamente entrato.
-
Lui vuole il Tesssoro, Lui lo
cerca! E il Tesssoro vuole tornare da
Lui… - il tono di voce della creatura cambiò,
diventando più bassa e sibilante
– Ma non dobbiamo permettergli di
averlo!
–
L’esercito del Sud era
ormai scomparso alla
vista. Frodo tentò un’ultima volta di avvicinarsi,
ma Smeagol lo bloccò
nuovamente, tornato implorante e disperato.
-
C’è
un’altra strada più sssegreta, una strada buia.
–
-
Allora perché non ce ne
hai parlato prima? – lo attaccò Sam.
-
Perché il Padrone non
l’ha chiesto! – piagnucolò
l’altro,
contorcendosi.
-
Trama qualcosa! –
Il Cancello si chiuse con un boato.
Frodo esitò, guardando i
suoi compagni. Comprendeva
i timori e la diffidenza di Sam, d’altro canto Smeagol li
aveva condotti fino a
lì. E senza di lui le speranze degli Hobbit di raggiungere
il Monte Fato si sarebbero
ridotte drasticamente. Forse avrebbero dovuto fidarsi ancora di
lui…
Ripensò alle parole di
Gandalf nelle miniere di
Moria, quando aveva fatto notare allo stregone la presenza della strana
creatura. Secondo lui Gollum aveva ancora un ruolo da giocare, nel bene
o nel
male. Frodo si era sempre fidato del giudizio del saggio stregone e
aveva
cominciato a pensare che il compito di Smeagol in quella vicenda fosse
di
condurli a Mordor.
Era senza dubbio un rischio: quella
creatura era
stata troppo tempo in possesso dell’Anello e il suo animo era
ormai corrotto,
probabilmente senza possibilità di redenzione. Ma una parte
di Frodo si
ostinava a vedere del buono in lui e a voler credere che la sua anima
potesse
ancora esser salvata. Senza contare che i pericoli sembravano esser
divenuti la
sua ombra da quando aveva lasciato la Contea: avere Smeagol come guida
in quel
tragitto non sarebbe stato il primo né l’ultimo
dei rischi.
-
Facci strada, Smeagol. –
Gli occhi accusatori di Sam lo
costrinsero a
distogliere lo sguardo.
-
Mio Signore – gli
accarezzò gentilmente una mano Eowyn – tuo figlio
è
morto… -
La voce della fanciulla quasi si
ruppe, non
ricevendo risposta, mentre le lacrime a lungo trattenute minacciavano
di
sgorgare.
-
Mio Signore… -
ritentò, con un velo di supplica nella voce rotta
– Zio…
–
Gli occhi lattiginosi di Theoden,
re di Rohan, la
guardarono senza vederla.
-
Non andrai da lui…
–
Non era una domanda. I suoi occhi
umidi rivolsero
una supplica al suo sovrano e zio. Inutilmente.
-
Non farai nulla. –
Un’altra amara
affermazione.
Eowyn pianse a lungo sul corpo
ormai privo di
vita di Theodred, suo cugino e legittimo erede al trono di Rohan. Ora
che il
figlio del re era morto, il primo in linea di successione sarebbe stato
Eomer.
Se non che il fratello della fanciulla fosse appena stato esiliato.
Tremò, scossa da un
singhiozzo, travolta dalla
consapevolezza che i suoi incubi si stavano tramutando in
realtà: la sua casata
si stava sgretolando. E con essa tutti i suoi sogni.
Theoden pareva avesse la mente
ottenebrata e che
non fosse più in grado di distinguere gli amici dai nemici.
Come il viscido
Vermilinguo.
La principessa strinse i pugni. Non
s’era mai
fidata delle parole di quel consigliere fraudolento e il modo in cui la
guardava le dava la nausea. Non solo aveva plagiato la mente del re e
stava
mandando in rovina quel regno, ma Eowyn sapeva che la sua velenosa
presenza le
era sempre vicina. Troppo vicina.
Come se avesse udito i suoi
pensieri, Vermilinguo
strisciò nella stanza, avvicinandosi al letto su cui giaceva
Theodred. Eowyn
osservò la pallida figura del consigliere, le cui vesti
scure parevano
assorbire la calda luce delle candele e avvelenare di menzogne persino
l’aria.
-
Oh, egli deve essere morto durante
la notte. –
Eowyn aveva il forte sospetto che
Vermilinguo gli
avesse facilitato il trapasso. Ma non disse una parola: Theodred era
stato
gravemente ferito in battaglia e, probabilmente, non sarebbe comunque
sopravvissuto.
-
Che tragedia per il re perdere il
suo unico figlio ed erede. –
L’uomo si sedette sulla
sponda del letto, accanto
alla fanciulla inginocchiata.
-
Capisco –
sibilò Vermilinguo, sfiorando la spalla di Eowyn con una
mano – non è facile accettare la sua morte.
Specialmente ora che tuo fratello
ti ha abbandonata… -
-
Lasciami sola, serpente!
– saltò su lei, furiosa, terrorizzata e
disgustata da quel essere maligno.
-
Oh, ma tu sei
sola! – quasi
si prese gioco di lei il consigliere – Chi lo sa
cos’hai detto alle tenebre,
nelle amare veglie notturne – le girò attorno come
una bestia alla sua preda –
quando tutta la tua vita sembra contrarsi e i muri della tua dimora ti
si stringono
addosso. Una stia in cui si cela qualcosa di selvaggio… -
Eowyn non si mosse, scossa da
quelle parole
maligne che avevano colto nel segno: lei desiderava la gloria per
sé e la sua
casata. I re del passato avevano lottato con onore per donare
protezione e
prosperità al loro regno e per le loro gesta sarebbero stati
ricordati in
eterno. Ma da quando Theoden aveva perso la sua tempra anche i suoi
desideri
avevano cominciato a perdere forma. Le notti s’erano
affollate di incubi in cui
Eowyn si vedeva invecchiare tra le mura di quella confortevole prigione
fino a
diventare cenere, per poi venir portata via dal vento. Dimenticata.
-
Così bella –
sussurrò Vermilinguo, guardandola rapito –
così fredda –
le sfiorò il viso, scostandole un poco i lunghi capelli
biondi – come un
mattino di pallida primavera ancora legato al gelo
dell’inverno… -
Eowyn rabbrividì,
sentendo il sangue gelarsi
nelle sue vene. Inspirò a fondo, mentre la mano del
consigliere scendeva lungo
la sua bianca gola, e rialzò gli occhi su di lui. Fiera,
s’impose
autocontrollo: non gli avrebbe permesso di giocare con la sua mente
come aveva
fatto con quella del suo re. Il suo cuore apparteneva solo a lei e mai
avrebbe
permesso a quel viscido essere di averlo.
-
Le tue parole sono veleno
– e si scostò da lui, uscendo da quella
stanza e poi dal palazzo.
Fuori il vento le
scompigliò i capelli e
s’insinuò tra le pieghe della sua candida veste,
mentre le bandiere recanti lo
stemma di Rohan sferzavano l’aria. Una folata più
impetuosa ne strappò una, che
volteggiò nel cielo sgombro di nubi fino a scomparire al di
là della cinta di
Edoras.
Erano giunti alle pesanti porte
della città,
quando uno stendardo volò accanto alle zampe del cavallo di
Aragorn. Il Ramingo
si soffermò a guardare la stoffa che fuggiva
sull’erba dell’altura, mossa dal
vento.
L’occhio di Jill cadde
invece sulle morbide
sporgenze erbose che affioravano ai lati del sentiero e cui non aveva
prestato
attenzione durante la salita. Li riconobbe come dei tumuli e
ipotizzò che al
loro interno riposassero i re di Rohan che, generazione dopo
generazione,
avevano governato su quelle terre. Ognuno di essi era cosparso di
piccoli
candidi fiori, i Ricordasempre. Tutti tranne uno.
Il suo sguardo indugiò
un attimo su quel ultima
tomba, scoperta e spoglia di fiori, come se fosse in placida attesa.
Poi lei e
Aragorn entrarono a Edoras.
Jill alzò lo sguardo
verso il palazzo e scorse
una candida figura dai lunghi capelli biondi e la postura fiera di una
regina.
-
Trovi più allegria in un
cimitero. – commentò Gimli.
Anche se avesse potuto, Jill non
avrebbe trovato
nulla da obiettare. Gli sguardi che li accolsero nella capitale di
Rohan
lasciavano intendere il sospetto e la paura di quella gente nei
confronti dei
forestieri. Due componenti che, come le aveva spiegato lo stesso
Saruman, se
miscelate potevano essere particolarmente pericolose.
Quando posò nuovamente
gli occhi sulla dimora di
Theoden, la fanciulla era scomparsa.
-
Non potete stare davanti al re
così armati, Gandalf il Grigio – recitò
il capitano delle guardie una volta che la Compagnia ebbe raggiunto le
porte
d’ingresso – per ordine di…Grima
Vermilinguo. – aggiunse riluttante.
Jill abbassò leggermente
il capo per nascondere il
volto: i suoi lineamenti per un attimo si contrassero in
un’espressione
sinistra.
Gandalf annuì e fece
segno ai compagni di seguire
le disposizioni.
La Corsara slacciò la
cinghia che assicurava il
fodero di Carcharoth alla schiena, consegnandola con uno sguardo
d’ammonimento
a un soldato. Sfilò i lunghi pugnali dalla cinta e poi
quelli più piccoli, di
cui uno dal fodero legato alla sua coscia.
Sorrise candidamente al soldato
perplesso e
carico di lame. Se solo l’uomo avesse intuito che il ragazzo
che aveva di
fronte era in realtà una Corsara, le avrebbe perquisito gli
stivali e magari
anche la casacca.
Il capitano si rivolse ancora a
Gandalf.
-
Il tuo bastone. –
-
Oh – parve amareggiato lo
stregone – non vorrai separare un vecchio
dal suo appoggio per camminare. –
Jill si trattenne a stento dal
ghignare:
evidentemente i Corsari non erano gli unici a beffarsi degli ordini.
Il soldato esitò, per
niente convinto, ma annuì e
la Compagnia fece il suo ingresso.
Re Theoden sedeva in fondo alla
sala sul trono
rialzato. Il suo corpo era avvizzito e la schiena curva. Al suo fianco
stava un
uomo pallido vestito di nero, simile a un corvo appollaiato sul
bracciolo del
seggio e che andava sussurrando nell’orecchio del sovrano:
con tutta
probabilità Grima Vermilinguo.
Le porte si chiusero alle spalle
della Compagnia.
Gli occhi di Legolas individuarono il lento incedere di un gruppo di
uomini
alla loro destra: seguivano i movimenti dei forestieri con sguardo
truce. Non
indossavano le armature e i simboli del regno, dunque
ipotizzò si trattasse di
briganti.
Lanciò
un’occhiata alla sua sinistra e notò che
gli occhi della Corsara s’erano fatti scuri e
l’espressione feroce. Seguì la
direzione del suo sguardo fino all’uomo cereo accanto al
trono.
Non diede a vedere di essersene
accorto, ma s’avvicinò
di un passo allo scudiero.
-
La cortesia del tuo palazzo
è alquanto diminuita ultimamente –
proruppe Gandalf – re Theoden. –
-
Perché dovrei darti il
benvenuto – rispose il sovrano come se ogni
parola gli costasse fatica – Gandalf Corvo Tempesta?
–
-
Una giusta domanda, mio Signore
– gli sussurrò Vermilinguo, per poi
alzare il tono affinché tutti lo udissero – Tarda
è l’ora in cui questo
stregone decide di apparire! – si avvicinò a
Gandalf – È un cattivo ospite… -
-
Silenzio! – lo mise a
tacere l’Istaro – Tieni la tua lingua forcuta
tra i denti. Non ho affrontato fiamme e morte per scambiare parole con
un
insulso verme. –
Sollevò il bastone
puntandolo contro Vermilinguo,
che si ritrasse improvvisamente,
come una bestia scottata dalle fiamme.
-
Il bastone… -
farfugliò, quasi contorcendosi – Vi avevo detto di
prendere
il bastone dello stregone! – strepitò.
Ma i soldati di Rohan non si
mossero, lasciando
che fossero i soli briganti a scagliarsi sulla Compagnia.
Jill atterrò facilmente
il primo bandito, per poi
prepararsi ad affrontare il secondo, i pugni alti di fronte al viso
pronti a
colpire. Ma Legolas fu più lesto e con un solo colpo alla
nuca lo tramortì.
La Corsara lo fulminò,
ma l’Elfo le ammiccò di
rimando.
“Maledizione!”
imprecò fra sé, voltando le spalle
a quel gesto e gettandosi sul prossimo avversario. Schivò
con agilità i
fendenti della spada, roteò su se stessa portandosi fuori
tiro e affondò un
calcio nel fianco del bandito. Questi andò a sbattere contro
il muro, si voltò
dolorante ma non fu abbastanza rapido ad alzare la guardia: un pugno
forte e
mirato lo raggiunse in mezzo al viso, spaccandogli il naso. Subito Jill
si
scansò per evitare l’affondo di un’altra
lama. Saltellò di qua e di là evitando
agilmente il pugnale, ma sufficientemente vicina per poter affondare
calci e
pugni al suo assalitore appena trovava uno spiraglio. Pareva quasi
giocasse col
suo avversario come un predatore con la facile preda. Appena
l’uomo si
sbilanciò troppo in avanti lo disarmò, gli
piegò l’arto dietro la schiena e gli
tagliò la gola.
“Ah”
inspirò soddisfatta, il sorriso ferino “Un
bel corpo a corpo come ai vecchi tempi!”
-
Re Theoden –
avanzò Gandalf – figlio di Thengel! –
L’ultimo bandito
stramazzò al suolo con un
pugnale tra le spalle e Jill si voltò a cercare Vermilinguo.
Lo individuò che
tentava di raggiungere l’uscita e mettersi in salvo,
strisciando sul pavimento
tra i cadaveri dei briganti che egli stesso aveva sicuramente assoldato
per la
propria sicurezza. Con un solo balzo la Corsara calò sulla
sua vittima, l’afferrò
per il mantello e la scaraventò con forza ai piedi di una
colonna.
-
Troppo a lungo sei rimasto
nell’ombra – proseguiva intanto Gandalf –
Ascoltami! –
I soldati e i membri della corte si
avvicinarono
al trono.
-
Io ti libero – lo
stregone sollevò una mano aperta –
dall’incantesimo.
–
Il re rise. Un suono aspro e rauco,
come se non
provenisse realmente dalla sua gola.
-
Non hai alcun potere qui, Gandalf
il Grigio. –
Lo stregone sollevò lo
sguardo, puntandolo non
sul volto del re, ma del parassita che si nascondeva tra le pieghe di
quella
pelle avvizzita. Lasciò cadere il mantello a terra e una
candida luce parve
sprigionarsi dalle sue vesti, abbagliando il sovrano improvvisamente
sconvolto dal
terrore.
-
Io ti estirperò, Saruman
– tuonò il Bianco – come il veleno si
estirpa
dalla ferita! –
Puntò il lungo bastone
verso il re, inchiodandolo
al trono. Theoden si contorse, stringendo convulsamente i braccioli.
Una fanciulla dai lunghi capelli
biondi tentò di
soccorrere il sovrano, ma Aragorn la trattenne per un braccio.
-
Se io me ne vado –
sibilò una voce maligna che non apparteneva al re
–
Theoden morirà. –
Come una biscia, Vermilinguo
tentò di
divincolarsi, ma bastò lo sguardo spietato degli occhi scuri
del ragazzo che
incombeva su di lui come la Morte su un lebbroso a inchiodarlo al suo
posto. Terrorizzato,
l’uomo cercò in un ultimo disperato tentativo di
trovare una debolezza in quel
giovane scudiero cui aggrapparsi.
E notò la cicatrice
sulla sua gola.
Eowyn temeva per lo zio, ma fece
come le aveva
detto l’uomo che l’aveva fermata e restò
al suo posto. In cuor suo voleva
credere che vi fosse una
possibilità di salvezza per il suo re. E per lei.
-
Non hai ucciso me –
proseguì Gandalf, immune alle parole velenose di
Saruman – non ucciderai lui. –
-
ROHAN È MIA! –
-
Vattene! – gli
ordinò Gandalf.
-
MIO SIGNORE! –
strillò Vermilinguo – È LEI!
È QUA! –
Per un istante Gandalf perse la
concentrazione e
Saruman puntò gli occhi sul giovane uomo che teneva il
viscido consigliere
fermo a terra.
Con un urlo re Theoden si
scagliò in avanti e una
potente onda d’urto si scagliò sullo scudiere, che
venne scaraventato indietro.
Avrebbe sbattuto violentemente la schiena contro una delle colonne se
l’Elfo
non si fosse frapposto, accogliendolo fra le sue braccia.
Eowyn sgranò gli occhi,
sconvolta: quello che fino
a pochi secondi prima era un giovane uomo del Nord, ora era senza
dubbio una
fanciulla del Sud.
Riavutosi dall’attimo di
sorpresa, Gandalf si
voltò con occhi colmi di rabbia verso il nemico e
menò un violento affondo del
bastone che apparentemente sferzò solo l’aria.
Eppure Theoden s’afflosciò sul
trono ed Eowyn fu lesta nel corrergli incontro.
Jill scosse il capo, stordita da
quella scarica
di magia cui non era preparata. Le ricordò la prima volta
che era stata colpita
dal boma di una nave poiché non era stata sufficientemente
attenta al cambio di
direzione del vento. Solo che questa volta non era atterrata sul
sudicio e
puzzolente ponte di un’imbarcazione, ma sull’ampio
petto di Legolas.
“M…mu…schio?”
Una parte della sua mente si chiese
se tutti gli
Elfi Silvani avessero lo stesso profumo. Che dipendesse dal materiale
di cui
erano fatti i loro indumenti?
“ Stai bene?”
Gli occhi della Corsara misero a
fuoco quelli
dell’Elfo, vicini e colmi di sincera preoccupazione, ma la
ragazza fu lesta a
distogliere lo sguardo, imbarazzata e stordita.
“
Sì… Sì
io sto bene…”
Si voltò a guardare
Vermilinguo, che era stato
afferrato da un furibondo Gimli per il colletto.
“ Ma qualcun altro tra
poco starà molto
male…” sibilò, furiosa.
Grima si contorse disperato,
tentando di
divincolarsi dalla ferrea presa del Nano.
Ma le braccia del principe tennero
stretta Jill,
impedendole di liberarsi. Per un attimo la fanciulla si
stupì di quanto fossero
forti nonostante l’aspetto esile dell’Elfo.
“ Legolas! Lasciami
andare!”
“ No.”
Il suo tono era serio, ma Jill lo
ignorò,
contorcendosi nel tentativo di liberarsi.
“ Ti ho detto di
lasciarmi!”
“ Non voglio che tu ti
macchi del sudicio sangue
di quella serpe.”
“ Me ne infischio di cosa
vuoi tu! Quella carogna merita la
morte per tutto ciò che ha fatto e io…”
Un rapido colpo alla nuca
le fece perdere i sensi.
-
Era proprio necessario? –
lo accusò il Nano con un’occhiataccia.
-
Sì. – rispose
il principe di Bosco Atro, sollevandola tra le braccia.
Vermilinguo fu
evidentemente sollevato dal gesto dell’Elfo, ma questi si
chinò su di lui, gli
occhi freddi come due pezzi di ghiaccio e taglienti come diamanti.
-
Non l’ho certo fatto per
te, verme…
– gli sussurrò all’orecchio, gelandogli
il sangue nelle vene – E se al suo risveglio
vengo a sapere che hai fatto del male anche a lei…
sappi che non ci sarà rifugio in grado di celarti
né fortezza
in grado di arrestarmi. Ti troverò e ti ucciderò
nella maniera più dolorosa che
conosco. –
L’uomo
rabbrividì,
sperando che la fanciulla non si riprendesse molto presto: il suo
istinto di
preservazione gli suggeriva che, forse, sarebbe stato meglio morire per
mano
della focosa Corsara piuttosto che del glaciale Elfo.
Continua…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** - ***
Capitolo
4
Quando Jill rinvenne
scoprì di trovarsi stesa su
un letto. Per un attimo la sua mente si perse in quella piacevole
novità,
mentre il suo corpo godeva delle morbide coltri su cui era stata
adagiata. Una
luce soffusa entrava dalla finestra e la Corsara si
concentrò su quel cielo: le
nubi si rincorrevano come cavalli selvaggi. Le montagne stendevano le
loro
lunghe ombre sulla vallata. Doveva essere mattina.
Quel dato la riscosse del tutto e Jill balzò giù
dal letto. Indossava un paio di calzoni e una blusa. I suoi indumenti
da
viaggio erano stati lavati e appesi al sole, ancora un po’
gocciolanti. Le sue
armi e la sua sacca erano stati poggiati su una panca ai piedi del
letto.
Insieme a un abito pulito.
“Da donna…” storse la bocca leggermente
seccata.
Lasciò la veste lì dov’era e
s’infilò gli
stivali, constatando con somma soddisfazione che nessuno
s’era accorto della
lama ivi nascosta. Impugnò Carcharoth e la
sguainò: la lama era stata ripulita
e scintillava sanguigna e sinistra sotto i raggi del sole.
Assicurò l’arma alla schiena e si
precipitò fuori
dalla stanza, eccitata all’idea della sfida che
l’attendeva.
La sua irruenza colse di sorpresa
una donna che
stava attraversando il corridoio, facendola sobbalzare.
Jill si scusò brevemente con un cenno del capo,
ma non si fermò. Ispezionò il piano senza
successo, trovando solo servitrici:
probabilmente quella era l’area riservata alle donne.
Sbuffò e s’accinse a
scendere le scale, quando passando di fronte a una finestra qualcosa
attirò il
suo sguardo, distraendola dai suoi propositi.
Vermilinguo
si prostrò ai piedi dello stregone,
balbettando stridule scuse per il suo fallimento a Edoras. Saruman lo
fissava
impassibile, rigido come una statua di granito, il volto tumefatto per
il colpo
infertogli da Gandalf.
“ Il Bianco…”
Lo stregone strinse la presa sul suo bastone,
ripensando al titolo che una volta gli spettava e di cui ora si
fregiava colui
che gli era sempre stato inferiore. Ma fu solo un attimo.
Un ghigno deformò il suo volto: che Ganfalf si gloriasse
pure di quel appellativo, finché poteva.
Non prestò quasi attenzione alle parole del suo
misero e ormai inutile servitore: Grima era stato fin
dall’inizio una pedina
sacrificabile. Certo lo stregone aveva sperato di poterne sfruttare la
lingua
biforcuta e melliflua per impossessarsi facilmente del Regno di Rohan,
ma una
volta venuto a conoscenza del ritorno di Gandalf aveva previsto che
questi si
sarebbe recato a Edoras. E che non sarebbe stato solo.
Voltò le spalle al suo viscido tirapiedi per andarsi
a sedere sul seggio in fondo alla sala.
Gandalf era sempre stato così
prevedibile! Saruman era sicuro
che egli avrebbe fatto in modo di ricongiungersi con la sua protetta. E
in cuor
suo aveva gioito e riso della stoltezza del Istaro quando, incurante di
eventuali orecchie indiscrete, le aveva svelato quale fosse la natura
del dono
di Dama Galadriel.
“ L’Ulumur…”
Assaporò quel pensiero nella sua mente. Lo
scrigno di legno incrostato di salsedine aveva destato da subito la sua
curiosità, ma mai avrebbe immaginato che potesse contenere
un oggetto tanto
prezioso e potente.
Puntò lo sguardo sul Palantir coperto dal drappo
nero.
Sauron doveva esserne tenuto all’oscuro. Lo
stregone gli avrebbe consegnato Jill come da lui richiesto, ma avrebbe
tenuto
l’Ulumur per sé.
-
M-mio S-signore… -
balbettò Vermilinguo, ancora prostrato a terra.
Gli Uruk-hai avevano fallito nella cattura della
fanciulla così come del portatore dell’Anello,
tuttavia quello smacco si stava
evolvendo in una nuova opportunità nella mente ingegnosa e
calcolatrice
dell’Istaro. Dopo essersi accorto del potente incantesimo a
lui sconosciuto che
proteggeva il contenitore ligneo, aveva deciso di aspettare che fosse
la stessa
Jill a spezzarlo. Era solo questione di tempo: probabilmente la
soluzione a
quell’enigma si sarebbe rivelata nell’incalzare del
bisogno.
E lui era pronto a creare l’occasione ideale.
-
Ricordasempre – disse il
sovrano tra sé e sé, facendo cadere un
candido fiore sul tumulo spoglio – È solito
crescere sulla tomba dei miei
antenati. Ora ricoprirà il sepolcro di mio figlio.
–
Jill chinò il capo, in piedi accanto a Gandalf.
-
Ahimè, questi giorni
funesti spettano a me. – riprese il re, la voce
rotta dal dolore – I giovani periscono e i vecchi resistono.
Io dovrò vivere
per vedere gli ultimi giorni della mia casata. –
-
La morte di Theodred –
intervenne lo stregone in tono pacato – non è
stata opera tua. –
-
Un genitore non dovrebbe seppellire
il figlio. –
Con la pena nel cuore la Corsara vide il re di
Rohan coprirsi gli occhi con una mano, le spalle scosse dai singhiozzi.
I suoi pensieri volarono a Umbar e alle famiglie
che attendevo ansiose il ritorno delle navi al porto. Spesso Jill aveva
visto i
loro volti illuminarsi di gioia nel vedere i propri cari scendere dal
ponte
dell’imbarcazione. Altre volte, invece, mogli e bambini
avevano pianto sui
corpi dei mariti e dei padri defunti, apparentemente inconsolabili.
Allora, guardando il volto di suo padre, si era
convinta che se un giorno lei non fosse più tornata lui non
avrebbe potuto trovare
alcuna consolazione. Le giovani vedove e gli orfani avevano vissuto
abbastanza
poco da poter guardare avanti e avere una seconda
opportunità di costruire la
loro felicità, mentre i padri e le madri non potevano che
volgersi indietro e
piangere per il resto dei loro giorni la gioia di cui avevano goduto ma
che non
avrebbero più ritrovato.
Suo padre era sempre stato un uomo solitario. Persa
la moglie e restio a instaurare rapporti coi concittadini, riversava
tutto il
suo amore e tutti i suoi sforzi in lei.
-
Tu sei il mio orgoglio
più grande e il mio tesoro più prezioso.
– le
diceva.
E Jill sapeva che era vero. Non l’aveva mai
ostacolata nelle sue scelte, eppure la sua decisione di prendere il
mare
l’aveva profondamente turbato.
Non l’aveva mai pensata in questi termini, ma
d’improvviso si chiese cosa sarebbe accaduto se quella notte
i loro ruoli
fossero stati invertiti. Immaginò il cuore e lo spirito del
fabbro spezzarsi e
le sue grandi spalle curvarsi sotto il peso del dolore.
Immaginò il suo orgoglioso
padre piangere sul corpo privo di vita dell’amata figlia
così come il re di
Roharn piangeva sul tumulo del figlio.
E per la prima volta fu grata alla Morte di aver
preso suo padre anziché lei.
Chiuse gli occhi e lasciò che il cuore trasudasse
tutto il dolore e l’amore che i ricordi le suscitavano,
mentre le lacrime
rigavano le sue guance.
Nella mente prese forma uno struggente canto
d’addio che aveva sentito intonare sulla banchina del porto.
Non ne ricordava
le parole, bensì le era rimasta impressa la melodia dal
sapore agrodolce.
Quasi non s’accorse di aver socchiuso la bocca e
piegato la lingua a cucchiaio, come usava fare quando fischiettava un
motivetto
insieme ai marinai. Un suono a mala pena udibile e indistinto
uscì dalle sue
labbra bagnate dal pianto, mentre il cuore batteva forte nel petto.
Molto
forte.
Gandalf puntò lo sguardo
sulla Corsara.
Il vento s’era improvvisamente alzato, sferzando
i capelli rossi della fanciulla che proseguiva nella sua melodia
silenziosa a
occhi chiusi. Non era il soffio delle montagne, ma l’alito
salmastro del mare.
Le nuvole presero a correre
rapidamente e
s’addensarono sopra le loro teste. Una pioggia leggera
cominciò a scendere
sulla vallata.
Il re di Roharn alzò il capo, perplesso,
guardando lo stregone in cerca di una spiegazione. Ma questi gli fece
cenno di
pazientare, indicando la giovane con un cenno del capo.
Una parte
della mente di Jill avvertì il piacere
di quella tiepida pioggia, calda come i rovesci nelle terre di Sud ma
leggera
come una carezza. Le gocce d’acqua tintinnavano dolcemente
sulla pietra,
scorrendo tra le crepe, gorgogliando e gocciolando fino a terra. Il
rombo del
tuono in lontananza scandiva il ritmo di quel orchestra naturale come
un
tamburo, con suoni cupi che echeggiavano tra le pareti delle vicine
montagne.
Un’altra parte porse invece l’orecchio al suono
del vento: pareva cantare, modulando le note di quel motivo struggente
di cui
lei stava scandendo silenziosamente le parole. Era un suono potente
come il
ruggito del mare, eppure carico di tristezza e malinconia.
Gimli
s’affrettò a raggiungere una tettoia sotto
la quale ripararsi. Fino a un attimo prima splendeva il sole e ora si
ritrovava
a sguazzare nel fango come un rospo. Il tempo era impazzito!
Il suo sguardo venne attirato da una figura
slanciata in piedi sotto la pioggia, gli occhi chiusi e il volto senza
età
rivolto verso il cielo.
Scosse la testa. Fortuna che c’era ancora un Nano
con la testa sulle spalle!
-
Per tutti gli dei! Gandalf
– lo apostrofò Theoden – il cielo sta cantando! –
-
No – sorrise tra
sé lo stregone – non è la voce del
cielo. –
Il re di Roharn seguì la direzione del suo
sguardo fino alla fanciulla. E un brivido di terrore gli percorse la
schiena.
Aveva intuito che in quella ragazza dovesse
celarsi più di quanto appariva in superficie,
così come aveva riconosciuto il
valore di Aragorn dal loro primo incontro. Theoden non era un ingenuo:
tutti i
compagni di Gandalf che ospitava nel suo palazzo erano sicuramente
pedine
essenziali di quella partita che era solo agli inizi.
Ma mai avrebbe pensato che in quella giovane
Corsara dai capelli rossi potesse celarsi un simile potere. Se era in
grado di
controllare i venti e l’acqua per modulare quel canto, che
altro sarebbe stata
in grado di fare?
D’un tratto rammentò le storie tramandate dagli
uomini di mare e giunte sino alle sue orecchie. Molti erano i racconti
sulle
terribili sirene, bellissime donne per metà umane e per
metà pesci. Esse
incantavano i marinai coi loro soavi canti ingannatori, spingendo le
imbarcazioni sugli scogli e persuadendo le loro prede a tuffarsi tra i
flutti,
ghermendole e trascinandole con loro negli abissi. Tanto belle quanto
irascibili, si diceva che fossero in grado di generare terrificanti
tempeste.
Aveva sempre pensato che fossero tutte fantasticherie,
poiché era risaputo che gli uomini di mare fossero
particolarmente
superstiziosi.
Ma guardando quella fanciulla dai capelli rossi
muovere silenziosamente le labbra si chiese fino a che punto potesse
fidarsi
del giudizio di Gandalf. E di lei.
Legolas
lasciò che l’acqua scorresse sul suo
volto, scendendo sulle sue guance come le lacrime che non riusciva a
versare.
Dentro di sé però pianse: di commozione e di
angoscia, ammaliato dal suo canto
ma conscio che più lei si
addentrava in se stessa e più si allontanava da quel mondo.
E da lui.
La pioggia
era cessata e il vento era calato. Il
sole splendeva radioso sulla vallata, facendo risplendere come oro
liquido le
gocce d’acqua che indugiavano sul tumulo.
Jill aprì gli occhi, osservando colma di sincera
meraviglia quello spettacolo sfavillante.
S’avvicinò alla tomba. Non
s’inginocchiò né chinò
il capo. Portò una mano alla fronte, poi al petto e infine
batté il pugno sul
cuore.
“ Buon viaggio Theodred, figlio di Theoden. E se
dovessi incontrare il mio valoroso padre digli che sarò
forte, così da renderlo
fiero di me quando ci ricongiungeremo.”
Sorrise.
“ Ma riferiscigli pure che dovrà pazientare,
perché la mia battaglia è appena
cominciata.”
Il re di
Rohan osservò la fanciulla mentre
porgeva l’estremo saluto a suo figlio.
Il volto era disteso in un’espressione serena, i
capelli bagnati che rifulgevano come rame sotto i raggi dorati del
sole. Tutta
la sua esile persona pareva imbevuta di nuova forza e determinazione.
Per un
attimo gli ricordò la sua giovane e fiera nipote Eowyn.
Gli occhi scuri accesi d’ardore guardavano
lontano, dimentichi delle persone lì presenti e di quanto
aveva appena fatto. La
fanciulla si trovava di fronte a lui, eppure gli parve quasi
evanescente, come
se a legarla a quella terra e impedirle di spiccare il volo vi fosse
solo un
filo sottile.
Jill voltò le spalle al
tumulo.
“ Che ne è stato di Vermilinguo?” si
rivolse allo
stregone.
-
A Grima Vermilinguo è
stata offerta la possibilità di redimersi,
servendo fedelmente re Theoden e la sua patria. – disse
guardandola dritta
negli occhi.
Lei strinse i pugni fino a farsi sbiancare le
nocche.
-
Tuttavia –
proseguì il suo maestro – egli ha rifiutato
l’offerta ed è
tornato a Isengard, sotto l’ombra del suo signore. Il destino
di quell’uomo,
ormai, è strettamente legato a quello di Saruman. –
Jill chinò il capo, celando lo sguardo. Poi, dopo
un rapido cenno di commiato a Theoden e Gandalf, si diresse verso le
porte
della città.
Il suo spirito era in tumulto, la mente di nuovo
concentrata sul suo obiettivo.
Il sovrano la guardò
allontanarsi.
-
Gandalf –
parlò senza scostare gli occhi da Jill – chi
è veramente
quella fanciulla? –
-
Difficile dirlo, amico mio.
–
La risposta dello stregone suonò decisamente
evasiva alle orecchie di Theoden.
Legolas
schivò abilmente l’affondo della lama
sanguigna, assumendo istintivamente una posizione di difesa. Il terreno
del
cortile s’era trasformato in un pantano di fango su cui i
suoi passi sicuri
scivolavano appena.
La Corsara ghignò soddisfatta: non ci sarebbe
stato alcun gusto se la vendetta fosse stata troppo semplice.
-
Jill! – la
chiamò Gimli da sotto la tettoia di una stalla –
Fallo a
fette! –
Lei piegò le labbra in un ghigno e annuì, senza
distogliere lo sguardo dal suo avversario. Da canto
suo,l’Elfo scrutò quegli
occhi scuri come la notte, domandandosi cosa fosse balzato nella mente
impetuosa della fanciulla.
Aveva previsto che al suo risveglio sarebbe stata
intrattabile, dato che non solo le aveva impedito di massacrare
Vermilinguo ma
l’aveva anche atterrata facendole perdere i sensi. Tuttavia
aveva l’impressione
di leggere un intento omicida nel suo sguardo.
“Jill…”
Un affondo fulmineo lo costrinse ad arretrare.
“Jill, non è il caso di…”
“Sì, è il caso.”
Un altro attacco schivato, ma non tanto egregiamente.
Con la coda dell’occhio notò un piccolo gruppo di
soldati prendere posto ai
bordi del cortile, probabilmente curiosi.
“Jill, mi rammarico di averti colpit…”
Lei balzò nuovamente in avanti, sorprendentemente
veloce, costringendolo ad estrarre il lungo pugnale da caccia, unica
arma che
aveva tenuto legata alla cinta. Parò il colpo, trovandosi a
pochi centimetri da
quegli occhi scuri e furiosi.
“L’unica cosa di cui dovresti rammaricarti
è di
esserti posto tra me e quella lurida serpe.”
Fece leva sul braccio e la spinse via. Ma la
Corsara atterrò sicura nel pantano, per nulla scomposta
dalla sua reazione.
“Quell’uomo è solo un viscido farabutto,
un
burattino nelle mani di uno Stregone.” protestò
lui veemente “ Non sarebbe
stato degno di te sporcarti le mani col suo sangue
miserabile!”
“Degno di
me?” piegò le labbra in una smorfia di
insofferenza “Cosa
c’è di tanto spregevole nell’uccidere il
proprio seviziatore?”
Il sangue si gelò nelle vene dell’Elfo.
Jill
balzò nuovamente in avanti, menando fendenti
micidiali. Legolas riusciva a pararli, eppure sembrava intenzionato
solo a
difendersi dalla furia della Corsara, che non accennava a desistere.
Aragorn si accostò a Gimli, lo sguardo fisso sui
due combattenti il cui duello in mezzo al fango aveva attirato
l’attenzione di
un sempre maggior numero di curiosi.
-
Come mai stanno combattendo?
–
-
Non ne ho idea – rispose
il Nano eccitato, tirando una boccata dalla
sua pipa – Ma questa volta ho la sensazione che Orecchie a
Punta l’abbia fatta
davvero grossa. E che un attimo fa se ne sia reso conto anche lui.
–
Il Ramingo annuì pensieroso, osservando la danza
letale che si stava svolgendo: Legolas le stava tenendo testa, eppure i
suoi
colpi mancavano di efficacia.
Aragorn sorrise rammaricato: non avrebbe mai voluto
trovarsi nei suoi panni.
La Corsara
comprese che stava duellando con un
uomo che non si impegnava al massimo delle sue potenzialità
e la sua
irritazione crebbe. Spazientita, all’ennesimo affondo parato
ma senza risposta,
chiuse l’altra mano a pugno e colpì
l’Elfo sul volto.
Lui non se l’aspettava e cadde a terra, tra i
fischi del pubblico.
“Alzati!” gli intimò con rabbia.
Lui si puntellò sui gomiti e lei lo colpì con un
altro pugno, facendolo nuovamente cadere in mezzo al fango.
“Alzati e combatti!”
Lui si sorresse nuovamente su un gomito, la
mascella dolorante e la mente confusa che si chiedeva se una donna
elfica
avesse mai menato le mani a quel modo. Lei gli si gettò
addosso, colpendolo
ancora con foga.
Lui rimase con la testa nel pantano, lo sguardo fisso
sul cielo. Le nubi si erano addensate e s’intravedeva solo
qualche fazzoletto
ceruleo qua e là.
Lei lo prese per il colletto, le mani sporche del
suo sangue.
“Combatti, maledizione!” lo colpì ancora
“Almeno questo me lo
devi! Vigliacco!”
Qualcosa scattò dentro
di lui e il principe di
Bosco Atro si liberò della Corsara, che cadde a terra. Ma la
sorpresa durò poco
e lei fu lesta a scansare l’attacco dell’Elfo, che
s’infranse sul terreno in
una pioggia di schizzi di fango.
Recuperò la spada e sorrise compiaciuta dello
sguardo battagliero del suo avversario.
“Finalmente si ragiona.”
Con la bocca aperta in un muto urlo agguerrito si
scagliò nuovamente su di lui e il vero duello ebbe
finalmente inizio. Entrambi
attaccavano e paravano affondi, roteando su se stessi per sfuggire al
raggio
d’azione dell’avversario e menando calci tentando
di fargli perdere
l’equilibrio. Attorno a loro la piccola folla li incitava e
acclamava, esaltata
dalla lotta.
Con un movimento rotatorio del braccio Legolas
disarmò la Corsara, facendo volare la sua spada sul tetto di
un granaio, e la
colpì al volto con un colpo secco del gomito. Dal naso di
Jill schizzarono
fiotti di sangue, ma lei non se ne curò;
indietreggiò rapidamente, schivò un affondo
e poi il successivo, roteò su se stessa e colpì
l’Elfo con una gomitata e un
pugno nel fianco, lui si piegò dal dolore e lei colse
l’occasione per balzare
lontano dal suo raggio d’attacco.
Corse
verso il granaio e con un paio di agili balzi atterrò sulla
sua copertura. Alzò
lo sguardo e si trovò di fronte il principe di Bosco Atro.
Lui sollevò il lungo pugnale per colpirla, lei si
gettò in avanti per afferrare la sua spada e parare il
colpo. Sgusciò via
appena in tempo e tentò di colpire l’Elfo sulle
gambe. Inutilmente, perché lui
balzò leggiadro e sicuro sul colmo del tetto, lontano dalla
lama sanguigna.
Balzarono da
un colmo a una falda dei tetti sotto
lo sguardo ammutolito del pubblico.
-
Sembrano quelle bestie del
Haradwaith che saltellano tutto il giorno
sugli alberi… - grugnì Gimli, infastidito dallo
spostamento continuo del palco
su cui si svolgeva lo spettacolo – Come diamine si
chiamano… -
-
Scimmie. – sorrise
Aragorn.
-
Sì, ecco. Sembrano delle
maledettissime scimmie. -
Il principe
di Bosco Atro atterrò sulla falda di
un tetto, sentendo le travi scricchiolare sotto il suo peso. Guardingo,
spostò
i piedi lentamente per trovare un appoggio più sicuro. Ma
non fece in tempo a muoversi
che la Corsara gli fu addosso, falciando l’aria con la sua
spada letale e
costringendolo a parare il colpo col suo pugnale. La forza
dell’impatto e il
peso dei due ruppe le travi del tetto ed entrambi precipitarono nel
granaio.
Legolas
riaprì gli occhi per primo. Si trovava
disteso su un cumulo di paglia, avvolto in una nube di polvere e steli.
A
quattro zampe su di lui, Jill teneva gli occhi serrati per proteggerli
dal
pulviscolo.
Un raggio di sole forò le nubi e inondò il
granaio. La polvere divenne luminosa e i fuscelli fluttuanti dorati. I
capelli
della Corsara s’accesero come fiamme dalle lingue rosse,
bronzee e dorate. I
fili di paglia incastrati nei suoi capelli parevano una corona di luce.
Fu solo il barlume di un istante. Poi lei riaprì
gli occhi e puntò la lama sanguigna sulla gola candida
dell’Elfo.
“Ti arrendi?” gli chiese, sogghignando beffarda.
Lui piegò le sue labbra spaccate in un sorriso.
“Sì.”
Lasciò che il pugnale cadesse a terra e prese il
viso di lei tra le mani. La baciò.
Fece scivolare gentilmente i polpastrelli sul suo
viso sporco di fango e di sangue, attento a non farle male agli zigomi
contusi eppure
a memorizzare ogni centimetro del suo volto. Le sue labbra sapevano di
sangue,
eppure gli parvero dolci e morbide. Le baciò con gentilezza
e cautela, il cuore
che gli batteva all’impazzata nel petto, raggiante e
terrorizzato.
Jill
arretrò con pochi secondi di ritardo che
parvero minuti.
Le sopracciglia corrugate, lo sguardo stralunato,
la bocca contratta in un’espressione incredula.
Pigiò la lama sulla gola
dell’Elfo, costringendolo a riabbassare il capo. Eppure non
era padrona di sé
stessa in quel momento.
Il suo petto si alzava e abbassava in maniera
evidente, il respiro irregolare, i battiti del cuore assordanti. Il
filo della
spada si tinse di un rosso più acceso e, con distratta
curiosità, Jill osservò
un sottile rivolo di sangue scivolare fino all’elsa e
lambirle la mano. Si
sorprese a pensare a quanto fosse caldo.
Improvvisamente troppo fredda e pesante, la spada
le scivolò di mano. Ma non era più importante,
non ricordava nemmeno perché
l’aveva sguainata. L’unica cosa di cui fosse certa
era il colore degli occhi
dell’Elfo: azzurro come il cielo luminoso d’estate.
Avvertiva il proprio cuore battere all’impazzata
nel petto, quasi dolorosamente. Distrattamente, si chiese come un
momento così
bello potesse procurarle tanta angoscia.
“Jill… io…”
Il suo pensiero parve scottarla e lei
istintivamente si allontanò.
Legolas la
vide ritrarsi, il corpo tremante e il
viso violentemente arrossito.
Dispiaciuto, intenerito e preoccupato dal suo
smarrimento, allungò una mano verso il suo volto, ma lei
balzò giù dalla
catasta di paglia, recuperò la sua spada e corse fuori dal
granaio.
La mano di Legolas restò sospesa in aria ancora
per un po’.
Aragorn e
Gimli giunsero appena in tempo per
scansare una velocissima Corsara. Al Ramingo bastò uno
sguardo al suo amico di
Bosco Atro per girare sui tacchi e correre all’inseguimento
della fanciulla.
Gimli imprecò sonoramente.
-
Per tutti gli Dei!
C’è qualcuno qua che non abbia ancora perso la
testa?! – tuonò col respiro corto.
Gettò uno sguardo all’Elfo sdraiato nella paglia,
le braccia spalancate, lo sguardo perso nel vuoto, le labbra
sanguinanti
piegate in un sorriso, la linea rossa di un taglio che si intravedeva
sul
collo.
-
Come non detto… -
bofonchiò.
Il Nano scosse la testa. In fondo, in quel
momento Orecchie a Punta gli faceva un po’ pena.
Continua…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** - ***
Capitolo
5
Jill sedeva in cima alla
torre più alta della città di Edoras.
Quand’era piccola e
pestifera soleva fuggire da suo padre o da chi avrebbe potuto punirla
rifugiandosi in un luogo alto e isolato. Da lì avrebbe
potuto avvistare con
sufficiente preavviso il sopraggiungere del fabbro e battere in
ritirata,
sempre che qualcuno osasse raggiungerla lassù. Aveva infatti
notato già allora
come molte persone temessero le altezze elevate.
Un leggero fruscio al suo
fianco le denunciò l’arrivo di un ospite. Che
stesse anche lui fuggendo dalle
conseguenze delle sue azioni?
-
Presumo che tu abbia deciso di
arrampicarti quassù per godere della
quiete e del panorama. –
Lei sollevò le
spalle.
Anche.
I luoghi alti erano
generalmente tranquilli, l’unico rumore era il malinconico
ululare del vento.
Appoggiò la schiena con scioltezza al
palo che reggeva lo stendardo del casato di Eorl e fece
scorrere lo
sguardo sugli immensi spazi verdeggianti, fino alle montagne dalle cime
innevate. Poi spinse la sua mente ancora al di là di quelle,
diverse miglia più
a Sud, dove un’infinita distesa blu s’increspava al
sopraggiungere di
un’imbarcazione.
-
Trovo surreale il pensiero che un
luogo tanto incantevole quanto
disagevole per qualcuno possa rappresentare un valido rifugio dai
problemi. –
Le gote di Jill si
velarono per l’imbarazzo. Si sentiva esattamente come quando
era bambina ed era
quasi certa che, se si fosse guardata in quel momento allo specchio,
avrebbe
scorto la stessa monella scarmigliata e dal volto tumefatto per
l’ennesima
rissa tra ragazzini di quartiere.
-
Avete messo su un
duello… interessante. –
Ora il suo volto era
sicuramente in fiamme.
-
Sarebbe il caso ti medicassi, non
pensi? Hai riportato diversi traumi.
–
I lividi e le piccole
ferite non erano poi tanto dolorosi.
-
Anche Legolas è rimasto
ferito… in più punti. –
Quel pensiero invece sì,
faceva male. Jill sospirò, ma la morsa al suo petto non si
allentò. L’immagine
del volto di Legolas non accennava a uscire dalla sua mente. I suoi
lineamenti
distesi e il sorriso sereno sul viso tumefatto un attimo prima che
alzasse il
capo per darle un bacio. Leggero, tenero, gentile.
Quell’espressione non era
mutata nemmeno quando lei l’aveva lentamente allontanato, la
lama premuta sulla
sua gola, come se si aspettasse e accettasse la sua reazione. Ma
sicuramente
non aveva previsto quella successiva. E nemmeno lei.
Si portò le mani alla
testa, sconfortata.
“Che cosa ho fatto?”
Di preciso non lo sapeva,
ma aveva optato per la scelta più semplice e gettonata di
tutti i tempi: la
fuga.
Da bambina aveva imparato
che quando agiva d’impulso e combinava un guaio, la soluzione
migliore era
chiedere scusa. Ma qualcosa le diceva che quello non era il tipo di
pasticcio
per cui chiedere semplicemente perdono.
Scosse la testa con
forza, gli occhi serrati come se a riaprirli il mondo sarebbe stato
diverso.
Invece era tutto esattamente com’era qualche istante prima:
Aragorn se ne stava
ancora tranquillamente appollaiato al suo fianco con lo sguardo perso
sull’orizzonte e lei era ancora una ragazzina sporca,
arruffata e ferita in
seguito a una zuffa tra compagni.
-
Immagino non sia facile per te,
Jill. –
Lei strabuzzò gli occhi,
fissando lo sguardo sul Ramingo che ancora osservava le montagne. O
forse
qualcosa al di là di esse.
-
Sei cresciuta tra uomini, si vede.
Sei forte, coraggiosa e orgogliosa tanto
quanto me, Legolas e Gimli. – sorrise tra sé
– Ti ho persino sentita ruttare
come il nostro amico Nano! –
Lei abbassò un poco lo
sguardo, insicura se dovesse sentirsi orgogliosa o imbarazzata.
-
Ma non sei un uomo… Sei
una donna. – si voltò a guardarla – Una
splendida e fiera donna. Con i suoi desideri, le sue
curiosità, i suoi
sentimenti… Che sfortunatamente non sempre riescono a
trovare la comprensione e
lo spazio che meritano in questa realtà fatta di uomini.
–
Sospirò.
-
Purtroppo viviamo in un mondo
difficile, pieno di pregiudizi e
principi che spesso ci imbrigliano, condizionando e limitando le nostre
scelte.
So bene – sorrise tristemente – quanto possa esser
frustrante. Credimi, vorrei
tanto poterti aiutare, poterti spiegare ciò che non ti
è chiaro di questo
mondo, di te e di quello che senti. E vorrei farlo con le parole
giuste, quelle
che meriti di sentire. Disgraziatamente temo di cavarmela meglio su un
campo di
battaglia che in questo ambito. –
Sembrava costernato e
Jill lo guardò perplessa.
-
Ma vorrei non dimenticassi mai,
Jill, che, indipendentemente da quello
che potranno dirti, non vi è nulla di sbagliato
nell’assecondare i propri desideri e sentimenti, anche se non
siamo certi di
dove ci condurranno. Il nostro dovere in questo mondo,
d’altronde, non è vivere
secondo i dettami imposti da antiche convenzioni né di
seguire il percorso
tracciatoci da qualcun altro. Il nostro unico obbligo
è quello verso noi
stessi.
Sii dunque sempre fedele innanzitutto a te
stessa, scegli la tua strada sapendo di esser padrona delle tue gambe e
non
rinunciare a nulla di
ciò che
potrebbe renderti felice solo perché qualcuno potrebbe
giudicarti o perché
potresti commettere un passo falso.
Chi tenta, giorno per giorno, di raggiungere i
propri obiettivi sicuramente ogni tanto sbaglierà e
cadrà, ma avrà sempre la
possibilità di rialzarsi e ricominciare ad avanzare per
giungere alla propria
meta. Mentre chi si lascia scoraggiare resterà sempre in
piedi, fermo e
avvilito in compagnia dei rimpianti. –
Jill annuì,
abbracciandosi le ginocchia. Aveva l’impressione che Aragorn
non alludesse
solamente a quanto successo in quel granaio. D’altro canto si
rendeva conto che
non poteva restare nascosta lassù per sempre. Prima o poi
avrebbe dovuto
scendere e affrontare Legolas.
Sospirò, frustrata.
“Sì, ma come? Dovrei
presentarmi alla porta del suo alloggio per dirgli… cosa esattamente?”
Esordire con la storia
del bacio era impensabile, solo l’idea le faceva prendere
fuoco le gote. Aveva
bisogno di una scusa, o meglio di un valido diversivo.
Il Ramingo tirò fuori un
vasetto dalla cintola.
-
Questo unguento dovrebbe aiutare a
rimarginare in fretta le ferite e
lenire i dolori delle contusioni. Potrebbe essere utile anche a
Legolas. –
Lei lo prese tra le mani,
sbigottita. Aragorn le fece un cenno di saluto col capo e si
calò giù per la
torre.
Jill lo guardò
allontanarsi, piegando la bocca in una smorfia.
“Quel maledetto Ramingo non
me la racconta giusta: che mi abbia letto nel pensiero?”
Osservò il piccolo
contenitore e la sua espressione si addolcì.
“Fa sempre il modesto, ma
se la cava piuttosto bene con le parole.”
Gimli scosse il capo ed
emise una nuvola di fumo.
Orecchie a Punta era
ridotto peggio di quando erano usciti dalle miniere di Moria, dopo aver
visto
Gandalf precipitare in quel baratro. Si era appena allontanato dalla
stanza
dell’Elfo, lasciandolo seduto di fronte la finestra, lo
sguardo rivolto
all’esterno che fissava il vuoto anziché il
panorama.
-
Ah, le donne… -
bofonchiò.
Non che Jill fosse esattamente come
le altre donne.
Ancora una volta si
meravigliò del sentimento di compassione che provava nei
confronti dell’arciere.
Legolas era, inutile negarlo, non solo un guerriero micidiale e un
compagno coraggioso
e leale, ma anche un principe fiero e giudizioso.
“Vorrei ben vedere, con
tremila anni di esperienza…”
Eppure tutta la sua
abilità e maturità pareva essersi volatilizzata
di fronte a quella fanciulla.
E come poteva essere
altrimenti? Lei era qualcosa di totalmente nuovo per lui: una guerriera
in
grado di tenergli testa, un caratterino focoso facilmente suscettibile,
uno
spirito libero che seguiva solo il suo istinto e perciò
totalmente
imprevedibile. Ed era bella. Bella in un modo che non aveva nulla a che
fare
con lo splendore etereo delle fanciulle di razza Elfica: la pelle
ambrata, i
capelli infuocati, i tratti esotici, gli occhi penetranti, il corpo
sinuoso e
scattante come i felini di montagna.
Jill era dotata di un
fascino eccentrico ma indubbio, era una di quelle donne sicure e
indipendenti
che avrebbero potuto far perdere la testa a qualunque uomo. Tuttavia
lei non ne
era minimamente consapevole.
“Né di quanto sia
attraente. Né di quanto il principe sia attratto da
lei.”
Sorrise, scuotendo la
testa: quella ragazza era più ottusa di un Nano.
Jill fece leva sulle
braccia, issandosi sulla finestra e ritrovandosi a pochi centimetri dal
volto
di Legolas.
“Sta diventando una
scomoda abitudine.” pensò arrossendo e
distogliendo in fretta lo sguardo.
-
Presumo che entrare dalla porta
sarebbe stato troppo ordinario. –
commentò l’Elfo.
“ Disse colui che
s’intrufolò nello stesso modo nella stanza di una
convalescente sconosciuta.”
“ Già allora non riuscivo
a starti lontano troppo a lungo.” le rispose ironicamente.
Jill si voltò pronta a rispondere
a tono al suo sarcasmo, ma un sorriso gentile la dissuase. Fece
scorrere lo
sguardo su quel volto senza età, dai lineamenti delicati ma
virili, ora
leggermente deturpati dai segni del loro duello.
Per un
attimo Legolas si
stupì nel non ricevere una replica al suo commento, non
capitava spesso che la
sua Corsara rinunciasse a una schermaglia mentale con lui.
“La mia
Corsara…”
Quanta dolcezza e
amarezza gli provocò quel pensiero.
Distogliendo lo sguardo
dal suo, Jill si sedette sul davanzale della finestra di fronte a lui.
La vide
armeggiare per estrarre un vasetto in terracotta. Lo schiuse e vi
immerse un
indice, estraendo un po’ di quel preparato pastoso e
dall’odore pungente.
“Aragorn mi ha detto che
questo prodotto aiuta a rimarginare le ferite…”
Il suo tono era fermo, ma
la sua mano tremava in maniera impercettibile e quel dettaglio lo fece
sospirare.
“Ti fa molto male?” lo
guardò lei, allungando l’indice verso il suo
volto. Lui le si avvicinò
leggermente, permettendole di spalmare l’unguento sul suo
zigomo.
“No… non è poi così
doloroso.”
Jill tentava
di
concentrarsi sul suo operato. Non era mai stata un’abile
guaritrice e sentire
lo sguardo dell’Elfo su di sé non la metteva
propriamente a suo agio.
Corrugò la fronte,
spostando una ciocca di capelli dalla propria fronte col dorso della
mano.
Inutilmente, poiché questa le ricadde sul naso.
Soffiò nel tentativo di
scostarla, ma un’altra s’aggiunse alla prima.
Frustrata, stava per usare le
dita impiastricciate d’unguento, quando Legolas
allungò una mano e le spostò la
ciocca dietro l’orecchio.
Un gesto gentile eseguito
con estrema naturalezza, ma che la fece rabbrividire. La mano
dell’Elfo indugiò
dietro il suo orecchio e lei abbassò lo sguardo, conscia che
quegli occhi
azzurri stavano cercando i suoi.
Strinse con forza il
vasetto di terracotta e inspirò a fondo, tentando di
concentrarsi sulle parole
anziché sui battiti assordanti del suo cuore.
“Legolas, non so bene
cosa stia succedendo.”
“Vuoi che te lo spieghi
io?”
Non c’era ironia nel suo
tono, sembrava piuttosto una carezza.
Jill non rispose, lo
sguardo che studiava con attenzione il contenuto del piccolo recipiente
stretto
dalle sue mani appoggiate sul grembo. L’unguento stava
lentamente mutando
colore, osservò, forse per l’esposizione
all’aria.
I secondi passavano,
insopportabilmente lunghi ma non abbastanza da farle venire in mente
qualcosa
di sufficientemente sensato da esser formulato.
Poi le dita di Legolas
scivolarono da dietro l’orecchio lungo la sua mandibola, fino
a fermarsi sotto
il suo mento e alzarlo, incrociando il suo sguardo.
Lo sguardo
spaurito di
lei gli strinse il cuore.
Il suo primo istinto fu
di abbracciarla. Voleva stringerla forte tra le sue braccia, baciarla
con
trasporto fino a farsi sanguinare di nuovo il labbro e dirle che
l’amava e
desiderava con ogni fibra del suo corpo. Ma non lo fece.
“Tengo molto a te, Jill.”
disse invece.
“Anch’io tengo a te.”
“Tengo molto anche ad
Aragorn e a quel testone di un Nano.” le sorrise
“Ma il modo in cui tengo a te
è diverso. Nei tuoi confronti provo dell’affetto
di natura diversa rispetto a
quello che potrei mai nutrire verso di loro.”
“Ah, certo non mi aspetto
di vederti baciare Gimli!”
La Corsara arrossì
violentemente, resasi conto troppo tardi dell’allusione fatta
a quanto successo
nel granaio. Legolas soppresse una risata: credeva di esser impacciato
in campo
sentimentale, ma lei superava di gran lunga il suo livello.
“No” le rispose in tono
divertito “troppa barba, non credo potrebbe esser altrettanto
piacevole.”
“Lo…” esitò lei, abbassando
di nuovo lo sguardo “Lo è stato?”
“Sì.” inclinò lui il capo
per incrociare nuovamente i suoi occhi “È stato
uno dei momenti più piacevoli
della mia vita.”
“Hai vissuto moltissimi
anni…” protestò lei.
“Parecchi, in effetti.
Eppure non ho mai incontrato qualcuno come te.”
“Impulsiva?”
“Importante.”
Lei corrugò la fronte.
“Per me tu sei
importante, unica e insostituibile, così come
l’affetto che provo per te.”
Jill pareva turbata.
“Anche tu sei importante
per me… Ma non sono sicura di cosa provo.”
Alzò lo sguardo, più fiduciosa
ma al tempo stesso costernata.
“Mi dispiace, io non mi
sono mai trovata in situazioni del genere, non sono mai stata baciata…” disse
arrossendo appena “ Non
so cosa si fa in questi casi, o meglio, ne ho una vaga idea. Ma non so
cosa
voglia fare io… con… con
te…”
“Non desidero che tu
faccia nulla di più di ciò che senti affine a te
stessa.” le sorrise.
“ E tu? Tu, Legolas…”
tremava impercettibilmente “Tu cosa vorresti fare?”
“Se me lo permetterai” le
sorrise dolcemente “ vorrei starti vicino.”
“In…” arrossì lei
“In che
senso… vicino?”
“Nel modo che risulterà
più spontaneo e congeniale a entrambi. In ogni
caso” abbassò le mani cingendo
quelle di lei con le sue “io sarò sempre dalla tua
parte. Qualsiasi decisione
tu prenda, in qualsiasi modo si evolva il nostro rapporto, io
sarò sempre tuo
amico e alleato.”
Jill sorrise: da qualche
tempo nella Compagnia parevano esser sbocciati inaspettati oratori.
Fece scorrere lo sguardo
sul suo volto: l’unguento era stato assorbito in fretta e uno
degli ematomi
sembrava già sbiadire. Osservò la sua espressione
calma in cui scorgeva un velo
d’apprensione.
Aveva imparato a
conoscere il principe di Bosco Atro quel tanto da presumere che quelle
parole
dette con disinvoltura fossero state in realtà attentamente
soppesate,
probabilmente per non turbarla.
Lei, che aveva trascorso
tutta la sua vita a contatto con gli uomini, conosceva
l’amicizia, il
cameratismo, il rispetto e la lealtà, ma era totalmente
ignorante riguardo al
tipo di sentimento che sentiva frullare nel suo stomaco come ali di
farfalle e
che percepiva nello sguardo e nel tocco gentile di lui. E
l’Elfo doveva averlo
capito.
Aprì una mano
intrecciando le dita con le sue.
“Grazie, Legolas.”
Per averla compresa. Per
non averla messa in difficoltà con termini e richieste che
non sarebbe stata in
grado di metabolizzare e gestire. Per averle detto che lei è
importante. Per
averla lasciata libera di scegliere, quando e come desiderava.
“Libera…”
Le tornarono alla mente
le parole di Aragorn e improvvisamente i dubbi e le inquietudini che
l’avevano
tormentata nel regno di Lorien le parvero insignificanti.
“A chi importa se lui è
un Elfo e io un Umana? Se lui è un principe e io una
Corsara?”
Alle tradizioni, forse.
Sicuramente a tutti coloro che si ammantavano di pregiudizi e facili
sentenze.
Ma lei era una Corsara, una
fuorilegge per definizione, una donna che solo brandendo la sua spada e
navigando su un’imbarcazione piena zeppa di uomini rudi
già sfidava tutti i tabù
e i pregiudizi dei regni della Terra di
Mezzo. Dunque non sarebbe stata certo lei a porsi dei limiti riguardo a
chi e
come volesse accanto a sé.
E se Legolas l’accettava
per quel che era, Umana e canaglia irrequieta, se capiva e rispettava i
suoi
desideri e le sue necessità senza imporle nulla, lasciandola
libera… Se qualsiasi
scelta lei avesse
preso lui non avrebbe smesso di credere in lei abbastanza da restare
dalla sua
parte…
Legolas
strabuzzò gli
occhi per la sorpresa quando Jill si allungò per cingergli
il busto con le
braccia. Avvertì le mani poggiarsi sulla sua schiena, il
viso di lei accostato
al suo e il respiro caldo che gli accarezzava il lobo di un orecchio.
Pregò che
il cuore non gli saltasse in gola.
“Restiamo vicini, allora,
Legolas…”
Con un sospiro, lui
avvolse la vita stretta di lei, sperando che quel “restiamo
vicini” fosse per
sempre.
Un paio di tonfi alla porta
interruppero il loro abbraccio.
-
Scusa se interrompo il tuo momento
di depressione solitario, ma siamo
attesi da Gandalf e re Theoden nella sala del trono. –
Jill si scostò
velocemente, leggermente stralunata, come se si fosse appena destata.
-
Credo che verrà servita
anche la cena. Vedrai che a stomaco pieno ti
sentirai meglio e i tuoi drammi ti sembreranno delle inezie! –
Legolas trattenne a
stento una risata per le parole che, dal punto di vista del Nano,
avrebbero
dovuto rincuorarlo e invece avevano avuto l’effetto di
imbarazzare nuovamente
la Corsara.
“Sarà meglio che non mi
veda uscire dalla tua stanza.”
“Concordo.”
Lei si voltò per uscire
dalla finestra, quando si voltò appena.
“Ci… ci vediamo là
allora.”
Legolas annuì e lei si
calò giù con un balzo agile e silenzioso.
Jill strinse i pugni con
forza nell’ascoltare la carneficina che le truppe di Saruman
stavano
perpetrando nei villaggi di Roharn.
-
Questo è solo un
assaggio del terrore che Saruman scatenerà. Sarà
sempre più spietato perché ora è
spinto dalla paura di Sauron. –
L’Occhio comparve
improvvisamente nella mente della Corsara, che
s’affrettò a scacciare quel
terribile ricordo.
“Sauron…”
Aveva percepito con
estrema chiarezza la sua potenza e malvagità,
così come aveva sentito il
sussurro velenoso dell’Anello. Sperò che Frodo
stesse bene. Per quanto “bene”
fosse un termine che mal calzava alla situazione in cui si era cacciato
l’Hobbit per tentare di salvare tutti loro.
-
Monta a cavallo e affrontalo.
– Gandalf allungò una mano per afferrare
il bracciolo del seggio del re, parlando in tono inflessibile
– Allontanalo
dalle donne e dai bambini. Devi combattere! –
-
Hai duemila bravi soldati che vanno
a nord mentre parliamo. – aggiunse
Aragorn tirando una boccata di fumo dalla sua pipa – Eomer ti
è fedele. I suoi
uomini torneranno e combatteranno per il loro re. –
-
Saranno a trecento leghe da qui
ormai. – proruppe il sovrano,
alzandosi – Eomer non può più aiutarci.
–
Gandalf si alzò con
decisione, tuttavia Theoden proseguì, perentorio.
-
Lo so cosa vuoi da me –
disse rivolto allo stregone – ma non arrecherò
ulteriore morte al mio popolo. Non rischierò una guerra
aperta. –
-
La guerra aperta incombe
– commentò in tono pacato il Ramingo –
che tu
la rischi o no. –
-
Se ricordo bene, Theoden,
non Aragorn, è il re di Roharn. –
Jill si appoggiò
nervosamente alla parete, le braccia conserte e il volto accigliato di
fronte
all’ottusità del sovrano. Che intenzioni aveva
quel maledetto re? Contrastare
l’offensiva di Saruman barricato nella città di
Edoras?
“Figuriamoci, i suoi
fabbricati non hanno resistito al duello tra me e Legolas!”
Un leggero ghigno sul
volto dell’Elfo le fece comprendere che lui aveva captato i
suoi pensieri.
Gimli ruttò per poi
pulirsi la birra dalla bocca alla bene e meglio. Jill
incrociò il suo sguardo e
annuì: sicuramente nessuno di loro sarebbe fuggito di fronte
alla spietatezza
di quel folle sanguinario.
Si portò una mano alla
gola, sfiorando la cicatrice liscia e pallida.
-
Allora qual è la
decisione del re? –
Jill armeggiava col suo
leggero bagaglio, la mente persa in foschi pensieri.
Non che lei avesse un
ruolo tale in quella faccenda da poter contestare le decisioni di un re
o di
proporre delle valide alternative, ma quel che s’apprestavano
a fare andava
contro la sua natura.
“Chiuderci in un fosso
come conigli in una tana! Io sono
una Corsara,
maledizione!” tirò con
forza la cinghia della sua sacca “Io non fuggo
di fronte al pericolo, l’affronto a viso aperto. E se anche
dovessi battere in
ritirata, sicuramente non sarebbe in un buco
tra le montagne!”
Ma non era solo questo.
C’era qualcosa che la turbava, come un cattivo presentimento.
D’altronde era
vissuta a Isengard abbastanza da conoscere lo Stregone Bianco quel
tanto da
aspettarsi una spiacevole sorpresa da parte sua.
Si sedette sul letto,
pensierosa.
“Saruman è tremendamente
intelligente e calcolatore, non può non aver previsto che
Theoden avrebbe
ripiegato in quella fortezza che, lei stessa si ricordava di averlo
letto
durante il suo apprendistato, si era più volte rivelata
inespugnabile. Dunque
avrà sicuramente un piano…”
E sicuramente quella
serpe di Vermilinguo sarebbe stato prodigo di consigli, dopo essersi a
lungo
infiltrato nella casa reale, avendo accesso alla loro documentazione,
ascoltando e osservando tutto quello che veniva discusso e girovagando
liberamente per tutte le valli del regno. Grima doveva
sapere quali fossero i punti deboli del popolo di Roharn e
li avrebbe certamente sfruttati, così come aveva fatto con
il suo sovrano.
Sospirò, sconfortata:
avvertiva il pericolo e lo scontro farsi sempre più
incalzanti, eppure Gandalf
stava per partire.
“Di nuovo…”
La Compagnia aveva appena
ritrovato un suo componente che già doveva salutarlo. Capiva
la necessità che
fosse lui a partire alla ricerca di Eomer e dei suoi cavalieri: la
velocità e
la resistenza di Ombromanto sarebbero stati cruciali.
“Ma non mi piace… Non mi
piace che la Compagnia si disgreghi, abbiamo già visto
quanto sia controproducente.
Ma soprattutto non mi piace separarmi di nuovo da
lui…”
-
Il tuo pensiero mi commuove,
piccola Jill. –
Lei balzò su dal letto.
-
Deduco che fossi profondamente
assorta. –
“Deduci piuttosto che si
usa bussare alle porte per una ragione.” si
indispettì lei.
-
Ma io ho
bussato – le
sorrise lui paziente – Ben tre volte. Non ricevendo risposta
mi sono permesso
di fare da me. –
Lei fece una smorfia e si
rimise a sedere.
-
Cos’è che
occupa tanto i tuoi pensieri, mia cara? –
“Ho una spiacevole
sensazione. Per la decisione presa dal re, per quello che nemmeno
riesco a
immaginare Saruman abbia in serbo per tutti noi.”
abbassò il capo “Perché ci
stai lasciando, di nuovo…”
Lo stregone sorrise
benevolo, sedendosi accanto a lei.
-
Quel “ci stai
lasciando” suona come un “mi stai
abbandonando”. – disse
calmo – Capisco che tu ti senta turbata da tutto
ciò e condivido la tua
inquietudine. Vorrei poter restare con te, Jill. So che quanto ti sto
dicendo
suona poco più che parole al vento, ma credimi: potessi
controllare il tempo
vorrei tornare a quando scorrazzavamo per la Terra di Mezzo, come
apprendista e
maestro. Ho molta nostalgia di quei giorni sereni e di quella acerba
Jill. –
“Non è che io sia
cresciuta poi molto…” arrossì
lievemente lei.
-
Al contrario, mia cara. Giorno dopo
giorno maturi e apprendi
tantissimo: sia sul mondo che ti circonda che su di te. E io vedo quanti progressi hai fatto e
quanti, enormi, ancora farai. –
Lei storse la bocca in
una smorfia.
“Progressi…”
si schernì da sola “Diciamocelo, senza di te e
tutto il
resto della Compagnia io non sarei in grado di combinare poi
molto.”
Gandalf scosse la testa.
-
Ti sottovaluti. –
“Lo sai che non sono un
tipo modesto.”
-
Questo lo so bene, mia piccola
spaccona! – le diede un leggero
buffetto – Ti sottovaluti perché non ti conosci
abbastanza bene, non riesci
ancora ad essere sufficientemente obiettiva. Al contrario io vedo la forza che
c’è in te. – le
accarezzò i capelli – Né io,
né Aragorn, Gimli o Legolas abbiamo intenzione di
separarci da te. Ma ti assicuro che, anche nella peggiore delle
evenienze, tu
non avresti nulla da temere, perché il tuo potere
è ben più forte del vigore
con cui reggi la tua spada. –
“Le mie braccia e le mie
gambe sono quanto mi restano, da quando Saruman mi ha fatto tagliare le
corde
vocali da quel lurido verme…
Sai bene
che senza la mia voce non posso usare la magia, se non per banali
trucchetti.
L’incantesimo che ho effettuato a Moria sulla tomba del
cugino di Gimli mi
aveva prosciugata di tutte le mie energie e fatto salire la febbre. Mi
hanno
mutilata per rendermi inoffensiva, no? Beh, ci sono riusciti!”
-
Non è proprio
così. La tua
menomazione rappresenta un ostacolo, non un impedimento assoluto.
– parlò lo
stregone in tono fermo.
“Tu stesso mi hai
insegnato l’importanza della parola: è chiamando
una cosa col suo nome che le
diamo forma nella mente ed è così che gli
stregoni invocano la magia e compiono
i sortilegi.”
-
Quel che dici è vero,
mia cara. Eppure – le sorrise – sono persuaso
del fatto che anche se subissi una grave lesione io non cesserei di
essere ciò
che sono, un emissario di Valinor. –
“Già… e io la figlia di
un fabbro.”
Gandalf non rispose,
limitandosi a sorridere. Jill aveva imparato a riconoscere quel
particolare
gesto: il modo in cui lo stregone sorrideva con la bocca e con gli
occhi,
fissando il suo sguardo penetrante negli occhi del suo interlocutore
era la sua
personale maniera di lasciare intendere che vi fossero dei sottointesi.
Tendenzialmente, però, si era anche abituata al fatto che
tali allusioni
fossero impossibili da decifrare.
“Vi è qualcosa di
perverso nel tuo accennare a informazioni che puntualmente decidi di
tenere per
te, lo sai, vero?”
Gandalf rise di gusto,
arruffandole leggermente i capelli.
-
Tornerò presto, piccola
Jill. –
“Non ti vedo molto
preoccupato.”
-
E perché dovrei?
– le sorrise lui – So che lascio questa gente in
ottime mani. –
“Spero che le mie si
dimostrino forti abbastanza in caso di un assedio.”
-
Lo saranno. Ricordati, mia cara,
che la vera forza non sta nel vigore
del braccio, ma nel coraggio del cuore e nella perseveranza di intenti.
–
“Con quelli non si
abbattono molti nemici, temo.” protestò con una
smorfia “Da quel che so io, il
valore di un guerriero si misura in nobili gesta solo nelle
ballate.”
-
Forse. – sorrise di nuovo
enigmatico lui – Eppure io credo che quando
tutto questo sarà finito e
ricorderemo
questi giorni, parleremo del coraggioso Boromir rammentandone la forza
e il
valore non per via dei nemici che ha sconfitto, ma per gli amici che ha
protetto. –
Gandalf non
fu sorpreso
dallo scorgere la figura di Legolas quando si chiuse la porta della
stanza di
Jill alle sue spalle. Sorrise, sornione come un gatto, avvicinandosi al
principe.
L’Elfo lo salutò, in toni
un po’ più ossequiosi di quelli precedentemente
usati dalla Corsara.
-
Mi auguro che ci ricongiungeremo
presto, Mithrandir.
Sii prudente. –
-
Anche tu, principe. – gli
sorrise enigmatico – Anche tu. –
Legolas aggrottò la
fronte, captando il tono ambiguo dello stregone. Ma Gandalf
girò sui tacchi,
incamminandosi verso il proprio alloggio senza dargli il tempo di
interrogarlo
su quella insinuazione.
In effetti vi erano
diversi nuovi e interessanti sviluppi per cui sarebbe volentieri
rimasto
anziché partire alla ricerca di Eomer.
Sorrise tra sé,
assaporando quella solleticante curiosità. Gli ingranaggi
erano stati messi in
moto, ne avvertiva il ticchettio farsi più serrato man mano
che gli eventi si
susseguivano. Le carte in tavola erano ormai quasi tutte scoperte e chi
era in
grado di leggerle avrebbe potuto prevedere parte di ciò che
sarebbe accaduto da
lì in avanti. Tuttavia vi erano ancora figure celate ai suoi
occhi e una
variabile che avrebbe potuto rimescolare tutte le carte.
“ La capacità di scegliere:
la più grande virtù di
qualsiasi essere umano… ma al contempo la più
terribile delle maledizioni.”
Eppure qualcosa, forse
l’istinto o magari la fede, gli diceva che, alla fine,
sarebbe andato tutto per
il meglio. Gettò un’ultima occhiata
all’Elfo alle sue spalle, il cui sguardo
aveva indugiato sulla porta della stanza di Jill per poi allontanarsi
insieme
ai suoi passi, e sorrise.
“ Sì, andrà tutto bene.”
pensò cominciando a canticchiare un motivetto tra
sé e sé.
-
Legolas
Verdefoglia, a
lungo nella foresta
Hai vissuto con gioia. Guardati dall’Onda!
Se il gabbiano odi gridar sulla sponda,
Il tuo cuor più non riposerà nella foresta.* –
Legolas
sospirò, poi
svoltò l’angolo.
Continua…
Nota dell’autrice:
* I fan di Tolkien che
hanno letto “Il Signore degli Anelli” ricorderanno
forse questa citazione: si
tratta di uno dei messaggi che dama Galadriel affida a Gandalf,
profezie di ciò
che il futuro riservava ai membri della Compagnia dell’Anello.
Ho voluto
aggiungere
questa nota perché sono stati questi versi a ispirarmi per
la creazione del
personaggio di Jill e dunque di tutta la storia.
Monalisasmile
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** - ***
Capitolo
6
Frodo assisteva in disparte
all’ennesima
schermaglia tra Sam e Smeagle. Era contento di vedere che almeno per il
momento
il suo giardiniere aveva deciso di deporre l’ascia di guerra
e smetterla di
avvilire quella creatura penosa.
“ Penoso…”
Era in questi termini che vedeva Smeagle, così
come se stesso ogni qualvolta si specchiava in un rivo: un essere
penoso e
debole nel corpo quanto nello spirito. Sam lo rimproverava spesso
perché quasi
non mangiava e dormiva solo quando il suo fisico cedeva sotto il peso
di quel
fardello.
“L’Anello…” pensò,
ma subito distolse la mente da
quell’idea, conscio di quanto ormai fosse sensibile al
richiamo dell’oggetto
oscuro.
Chiuse gli occhi e adottò il metodo che aveva
affinato negli ultimi giorni per tenere la mente lontana dalle spire
dell’Anello di Sauron: pensava a Jill, fantasticando su
meravigliose avventure
che la sua eroina dai capelli rossi aveva o avrebbe compiuto. E
funzionava.
Frodo sorrise, inspirando profondamente l’aria
fresca e godendo dei raggi tiepidi del sole che gli accarezzavano il
volto. Nei
suoi pensieri, però, quella brezza era invece un impetuoso
vento caldo e
salmastro, che spettinava i capelli e gonfiava le vele di una maestosa
nave. Il
ponte dell’imbarcazione era chiazzato qua e là
dalla spuma del mare e la prua
era intagliata in un’avvenente forma femminile. E
lì, con lo sguardo rivolto in
un punto lontano sull’orizzonte e la postura fiera di una
condottiera, stava la
sua coraggiosa Corsara. Il vento s’insinuava nella sua blusa
bianca e nei
lunghi capelli rossi, che sferzavano l’aria come lingue di
fuoco, ma lei non se
ne curava, poiché i suoi pensieri erano rivolti alla
prossima meta.
“Sicuramente un’altra grandiosa
avventura…”
Un suono attirò la sua attenzione, distogliendolo
dalle sue fantasticherie. Incuriosito ma guardingo, strisciò
tra gli arbusti e
la bassa vegetazione fino a giungere in un punto in cui aveva una buona
visuale
dell’altopiano, subito raggiunto da Sam e Smeagle. Sotto i
loro occhi sfilava
un battaglione simile a quello che avevano incontrato di fronte al
Cancello di
Mordor.
-
Chi sono? –
bisbigliò Sam.
-
Uomini malvagi, servi di Sauron.
– sibilò Smeagle – Li hanno chiamati
a Mordor. L’Oscuro raduna tutti gli eserciti, tra poco
sarà pronto. –
-
Pronto per cosa? –
-
Per fare la sua guerra –
sentenziò la creatura raccapricciante –
l’ultima guerra che ridurrà tutto il mondo
nell’ombra. –
Un brivido percorse la schiena di Frodo, il cuore
stretto in una morsa di disperazione.
-
Dobbiamo muoverci. –
sentenziò – Andiamo, Sam. –
-
Padron Frodo – lo
fermò il giardiniere – guardate! Sono Olifanti.
– disse
colmo di meraviglia.
L’Hobbit osservò le gigantesche creature dal naso
ondeggiante e le lunghe zanne bianche. Ricordava di averne osservato
colmo di
stupore le rappresentazioni nei libri di suo zio Bilbo, ma dal vivo
parevano
ben più maestosi e possenti. Sorrise, eccitato quasi quanto
il suo compagno di
viaggio.
-
Nessuno a casa vorrà
crederci. – bisbigliò Sam.
Un rumore alle loro spalle li distolse dai loro
pensieri e Smeagle arretrò nella vegetazione, allarmato. Un
attimo dopo,
centinaia di frecce cominciarono a fioccare sull’esercito di
Mordor, colpendo i
soldati e le colossali bestie.
Pochi minuti dopo, Frodo e Sam vennero legati e
incappucciati da coloro che avevano teso l’imboscata: i
Raminghi dell’Ithilien.
-
È vero, non si vedono
molte donne tra i Nani. – stava spiegando Gimli
a una divertita Eowyn – In effetti sono talmente simili nella
voce e
nell’aspetto che spesso vengono scambiate per uomini Nani!
–
Lei rise, voltandosi a incontrare lo sguardo di
Aragorn, che cavalcava poco dietro dell’animale montato da
Gimli e da lei
condotto per le briglie.
-
Hanno la barba –
bisbigliò lui, mimando il folto pelo sul mento con la
mano.
La sua risata tintinnò ancora, fresca come
l’acqua di un ruscello.
-
Questo a sua volta ha dato origine
alla credenza che non esistano
donne tra i Nani – continuò Gimli – e
che i Nani, ecco, spuntino dalle buche
del terreno. – mimò scherzando amabilmente
– Il che naturalmente è ridicolo. –
Un istante dopo il cavallo su cui montava il Nano
scattò in avanti, disarcionando il suo maldestro cavaliere
tra le risate della
folla.
-
Non è niente, non
è niente – blaterò lui, tentando di
rimettersi in
piedi – Non abbiate paura! L’ho fatto di proposito!
–
Eowyn si affrettò al suo fianco, senza smettere
di ridere.
Jill la osservò voltarsi in direzione di Aragorn
e pensò a quanto bella e serena fosse quella principessa
sotto i raggi del sole
del mattino, che ne baciava la pelle candida e i lunghi capelli biondi
come
spighe di grano.
“ Si vede che è innamorata di Aragorn.”
Quel pensiero anziché farla sospirare le colmò il
cuore d’amarezza: prima o poi il sorriso di Eowyn sarebbe
stato offuscato dalla
consapevolezza che il cuore dell’uomo di cui s’era
invaghita apparteneva già a
un’altra fanciulla. Arwen era la figlia di Elrond, Signore di
Gran Burrone, e
si diceva che fosse la più avvenente di tutte le fanciulle
elfiche: aveva una
pelle candida come la neve, setosi capelli corvini e due saggi e
luminosi occhi
grigi come la bruma del mattino. La chiamavano Stella del Vespro
perché era
bella come la prima stella che compariva al calar del sole. Ed Aragorn
ne era
totalmente, irrimediabilmente innamorato da diversi anni.
La Corsara fece una smorfia, pensando che nessuno
avrebbe potuto reggere un simile confronto. Rivolse di nuovo la sua
attenzione
all’espressione infatuata di Eowyn e per un attimo vi
intravide qualcosa di
diverso. Pensò allo sguardo che aveva visto Aragorn
rivolgere ad Arwen e corrugò
la fronte, assorta.
“ A che pensi, sorella?” la raggiunse un pensiero
non molto lontano: una volta che il popolo di Rohan aveva lasciato la
città di
Edoras, incamminandosi verso il Fosso di Helm, Huan aveva preso a
spostarsi con
loro, a debita distanza per non mettere in allarme i cavalieri.
“ Penso che la principessa Eowyn sia una donna
piuttosto contorta.”
“ Avverto il tuo interesse nei suoi confronti.”
Jill si chiese cosa in quella fanciulla destasse
tanto la sua attenzione.
“ Forse non sono abituata a vedere donne tanto
risolute da queste parti.” pensò con una vena di
sarcasmo.
Da quando era giunta nel palazzo di Edoras aveva
avuto modo di osservare e ascoltare diverse volte la principessa di
Rohan e da
subito aveva percepito una certa affinità: Eowyn era una
donna indipendente,
sicura di sé e intelligente, nonché
un’abile spadaccina desiderosa di
dimostrare il proprio valore, apparentemente sprezzante del pericolo.
“ E della morte…”
La certezza di quel pensiero la turbava. Osservò ancora
quella figura sottile e sorridente, ma in quel momento le
sembrò incrinata,
come una statua di cristallo in cui si andavano aprendo tante piccole
crepe. A
quel punto nello sguardo infatuato che rivolgeva ad Aragorn le parve di
scorgere una richiesta di aiuto.
Istintivamente i suoi occhi saettarono avanti,
oltre la carovana degli abitanti di Rohan, fino a posarsi sulla figura
che
sostava dritta e sicura come un faro tra i flutti. Si chiese con che
tipo di
sguardo lei lo osservasse. Arrossì, al pensiero che forse
gli rivolgeva le
stesse occhiate infatuate che Eowyn riservava al Ramingo.
Sentendosi
osservato, Legolas voltò il capo,
incrociando lo sguardo di due occhi profondi e pensierosi, che subito
saettarono lontano.
Il principe di Bosco Atro sorrise, intenerito dal
rossore che imporporava le gote della Corsara, tanto valorosa sul campo
di
battaglia quanto impacciata in quello sentimentale.
-
Dov’è lei?
– domandò
Eowyn con garbo
al Ramingo che conduceva il cavallo accanto a lei – La donna
che vi ha donato
quel gioiello. –
Jill osservò Aragorn aggrottare la fronte, perso
in foschi pensieri, e provò una vena di compassione per
entrambi: nella sua
mente se li figurò tendere la mano verso l’oggetto
del loro desiderio che, per
diversi motivi, non riuscivano ad afferrare.
-
Mio signore? –
ripeté la principessa.
Quando rispose, la fronte di Aragorn era solcata
da rughe di afflizione.
-
Sta andando nelle Terre Immortali
con ciò che resta della sua stirpe.
–
Eowyn parve scottata dalle sue parole, o forse
dal suo sguardo tormentato, e allungò il passo.
“
Sorella!”
Il richiamo improvviso di Huan quasi la fece
sobbalzare.
“ Maledizione, Huan, a momenti finivo col sedere
a terra come Gimli! Che succede?”
“ Ho appena staccato la testa a un Orco che
montava un Mannaro. Credo che sia un esploratore.”
“ Dannazione!” imprecò lei, voltando lo
sguardo
verso la carovana di donne, bambini e anziani alle sue spalle che
avanzavano
lentamente sul terreno brullo.
Strinse i pugni con rabbia. Non aveva dubbi su
chi fosse il mittente e quali fossero le sue spregevoli intenzioni.
“ Maledetto Saruman! Aggredire tante persone
indifese con una simile imboscata… intende trucidare tutti
gli abitanti di
Edoras senza lasciar loro la possibilità né di
fronteggiarlo né di proteggersi!
Vigliacco!”
“ Che facciamo, sorella?”
Jill sorrise maligna.
“ Massacriamoli.”
Legolas
avvertì il tocco della mente di Jill e la
vide raggiungerlo al galoppo del suo bianco destriero.
“ Huan ha intercettato un esploratore” gli
comunicò smontando da cavallo “ una squadra di
Mannari si sta avvicinando
rapidamente. Dobbiamo avvertire subito gli altri e dire a re Theoden di
organizzare la cavalleria per fronteggiarli. Altrimenti
quest’allegra
scampagnata fino al Fosso di Helm si tramuterà in una
maledetta carneficina!”
Legolas annuì, serio.
“ Cavalcherai con me?”
“ No” gli rispose con un sorriso sghembo
“ Mi intralceresti.”
Lui sorrise divertito e lei ricambiò il gesto,
per poi allontanarsi di corsa, le gambe agili e veloci come quelle di
un lupo.
Aragorn vide
Jill allontanarsi e poi Legolas
montare a cavallo e raggiungerli al galoppo.
-
Huan ha intercettato un
esploratore. – riferì al gruppo in testa alla
fila di profughi – C’è un folto
drappello di Mannari in avvicinamento. Credo
Saruman gli abbia dato l’ordine di tenderci
un’imboscata prima che potessimo
trovare riparo presso il Fosso di Helm. –
-
Maledizione. –
-
Chi è questo Huan? Un
altro membro della vostra Compagnia? – volle
sapere il sovrano.
-
Sì. – gli
rispose il Ramingo – Lui e Jill sono…
particolarmente
affiatati. –
-
E dov’è questo
Huan nel
momento del bisogno? –
-
Sicuramente molto vicino. Credo che
Jill gli stia andando incontro per
fronteggiare insieme i Mannari. – si scambiò
un’occhiata d’intesa con Legolas,
che annuì.
-
Molto bene, allora non ci faremo
cogliere impreparati dall’agguato di
Saruman. –
Re Theoden diede rapide disposizioni e i soldati
montarono a cavallo, mentre Eowyn ricevette l’ordine di
scortare il popolo di
Rohan al Fosso di Helm. La udì protestare, desiderosa di
combattere e
dimostrare il proprio valore con la spada in pugno. Ma il sovrano fu
irremovibile.
Aragorn le lanciò un ultimo sguardo prima di
raggiungere il resto della cavalleria: la sua figura era fragile eppure
il suo cuore
ardeva fiero e coraggioso come quello delle più grandi
regine.
Poi voltò il cavallo e galoppò verso il campo di
battaglia.
Decine di
Mannari calarono feroci sulla
cavalleria di Rohan.
Theoden infilzò un Orco e subito alzò la guardia
per proteggersi dalla bestia che tentò di staccargli un
braccio. Strattonò il
cavallo e la lancia di un cavaliere infilzò il Mannaro, che
crollò a terra. Il
re si voltò per fronteggiare l’avversario
successivo, quando udì un ululato.
Vide un enorme Lupo correre giù dal rilievo, le
fauci irte di denti dischiuse in un ringhio famelico, in tutto simile
alle
terrificanti bestie che si diceva avessero fiancheggiato gli oscuri
signori
Morgoth e Sauron nelle prime ere del mondo.
Dapprima pensò che fosse un’altra bestia inviata
da Saruman per trucidarli e un brivido gli percorse la schiena; poi
s’accorse
dell’esile figura che lo cavalcava, la spada sanguigna levata
verso il cielo, i
capelli rossi che sferzavano l’aria come uno stendardo. Si
gettarono sul primo
Mannaro: il Lupo strappò la gola alla bestia con un solo
morso, lei trapassò
l’Orco. Un altro avversario incoccò una freccia,
ma non fece in tempo a
puntarla che la Corsara gli fu addosso con un balzo, disarcionandolo
con un
calcio e rimanendo in groppa al Mannaro. La bestia tentò di
disarcionarla e
morderle le gambe, ma lei lo ferì, lo strattonò
per fargli perdere l’equilibrio
e gli tagliò la gola. Il Mannaro stramazzò a
terra morto, lei atterrò con
sicurezza e si diresse verso l’avversario successivo.
Theoden osservò il Lupo affiancarsi alla Corsara
e pensò vi fosse qualcosa di speciale che li legava:
correvano entrambi protesi
in avanti, le bocche spalancate in un muto grido di battaglia, letali,
veloci e
straordinariamente coordinati, quasi fossero un'unica entità.
Legolas
abbatté il Mannaro che stava per balzare
su Gimli.
-
Questo conta come mio! –
protestò il Nano.
Sorrise, divertito dallo smisurato orgoglio del
compagno, e incoccò un’altra freccia. Il dardo
saettò nell’aria con un leggero
sibilo, centrando la gola di un Orco.
Una fanciulla coi capelli rossi gli lanciò uno
sguardo di fuoco.
“ Era a questo
che alludevo. Pensa ai tuoi Orchi,
che io penso ai miei!”
Nascose un ghigno: non credeva possibile vi fosse
qualcuno che potesse competere coi Nani in orgoglio e testardaggine.
Jill
mozzò di netto la testa di un Orco, poi mise
a fuoco la figura di Aragorn, che ne stava disarcionando un altro a
suon di
testate. Sorrise perfida.
“ Aragorn se la cava piuttosto bene.”
pensò
compiaciuta.
Si voltò in cerca di un’altra testa da far
rotolare a terra, ignara che alle sue spalle le cose non stavano
procedendo
come credeva.
La battaglia
era finita e l’altopiano era costellato
di cadaveri: Mannari e Orchi, cavalli e cavalieri. Troppi, purtroppo.
Legolas osservò le bestie superstiti fuggire
disordinatamente su per le alture e cercò con lo sguardo i
compagni. Gimli
aveva divelto l’ascia dall’ultimo avversario, Jill
stava ripulendo la lama
della sua spada sanguigna e Huan stava annusando i cadaveri dei
Mannari, forse
in cerca di un premio per la sua prestazione.
Un’assenza catturò la sua attenzione.
-
Aragorn! –
chiamò – Aragorn! – ripeté,
spostandosi tra i cadaveri e
cercandolo con lo sguardo nella speranza di non trovarlo steso a terra.
Gli occhi di tutti saettarono sul campo di
battaglia, ansiosi di trovare il coraggioso e saggio erede di Isildur.
Un
brivido d’inquietudine attraversò il corpo
dell’Elfo, che istintivamente s’avvicinò
alla scarpata rocciosa che si gettava nel fiume.
Legolas s’affacciò al dirupo, tallonato da Gimli,
Jill e Huan. Una risata soffocata lo fece voltare verso un Orco steso a
terra,
gravemente ferito.
“ L’ho visto combattere contro Aragorn.”
riferì Jill.
-
Cos’è
successo? – gli si rivolse Legolas in tono duro.
L’Orco non rispose, continuando a sghignazzare
tra i fiotti di sangue che gli uscivano dalla bocca.
-
Dimmi cos’è
successo – ripeté Gimli in modo più
persuasivo – e ti
faciliterò il trapasso – aggiunse sollevando
l’ascia sulla testa del moribondo.
-
È…
è morto – balbettò faticosamente
– ha fatto un piccolo capitombolo
dal dirupo. – sghignazzò.
Legolas avvertì il sangue gelarsi nelle vene e la
furia e il dolore montargli in petto. Si chinò
sull’Orco, afferrandolo
brutalmente.
-
Tu menti. – quasi
sibilò a denti stretti.
Non poteva esser successo veramente.
Quell’immonda creatura gli stava certamente mentendo. Decise
di ignorare ogni
prudenza e di sondare la mente di quell’essere moribondo per
vedere da sé cos’era
realmente accaduto. Vide attraverso
gli occhi dell’Orco il loro scontro a cavallo del Mannaro,
fino al tragico
epilogo: Aragorn rimaneva incastrato alle cinghie della sella
dell’animale e
insieme scomparivano oltre il ciglio del burrone. Un attimo dopo tutto
si fece
scuro: l’Orco sghignazzò ed esalò
l’ultimo respiro.
Lo gettò a terra con sprezzo, notando che teneva
qualcosa in una mano. Schiuse le dita prive di vita, trovandovi il ciondolo che Arwen aveva
donato ad Aragorn
come pegno del suo amore.
Incapace di accettare quanto la mente dell’Orco
gli aveva rivelato, si s’affacciò nuovamente al
ciglio del dirupo, guardando di
sotto insieme a Gimli e il re di Rohan: qualche decina di metri di
roccia più
in basso il torrente scorreva impetuoso, schiaffeggiando le sponde
pietrose.
Una parte dell’Elfo avrebbe voluto gettarsi
immediatamente di sotto a cercare il suo più caro amico. Ma
la parte più
razionale mise a tacere quel folle istinto: nessuno avrebbe potuto
sopravvivere
a una simile caduta. Se anche avesse avuto fortuna, il suo corpo non
era in
vista, segno che la corrente impetuosa del fiume l’aveva
trascinato via.
Nessuno disse una parola.
Poi un soldato si avvicinò al sovrano, in attesa
di ordini.
-
I feriti suoi cavalli. –
parlò re Theoden – I lupi delle terre
selvagge torneranno. Lasciate i morti. –
Legolas lo fulminò con lo sguardo, le labbra
serrate. Una parte di lui avrebbe voluto urlare il suo risentimento.
L’altra
invece credeva non dovesse biasimare un sovrano per aver preso la
decisione più
spiacevole ma lungimirante: risparmiare il tempo delle sepolture per
organizzare
al meglio le difese del Fosso di Helm e proteggere la popolazione che
vi aveva
cercato rifugio, fiduciosa del fatto che il loro re li avrebbe protetti.
Strinse i pugni, ben conoscendo i doveri e le
responsabilità di un monarca che, in quanto tale, doveva
anteporre il proprio
regno a tutto, finanche ai propri sentimenti.
-
Vieni – lo
esortò con garbo re Theoden.
Da quando si conoscevano, sia lui che Aragorn
erano sempre stati esposti ai pericoli. Sapeva
che era molto probabile che uno dei due perisse durante una
missione
rischiosa o sul campo di battaglia e in cuor suo paventava il giorno in
cui
avrebbe dovuto piangere sul corpo del suo defunto amico, come aveva
già fatto
su quello di tanti altri compagni che l’avevano
fiancheggiato.
“ E allora perché non riesco ad
accettarlo?”
Legolas voltò le spalle al dirupo, il cuore
stretto in una morsa.
Solo allora alzò lo sguardo e si accorse che Jill
aveva gli occhi sbarrati.
Avvertì il tocco di
Legolas su un braccio e si
riscosse dai propri pensieri.
“ Jill, dobbiamo andare.”
Lei spostò lo sguardo dal suo volto contrito a
quello scuro di Gimli, che teneva il capo chino e andava borbottando
qualcosa,
forse una preghiera.
“ Jill…” ripeté lui non
ricevendo risposta
“dobbiamo and…”
“ È colpa mia.”
“ Cosa è colpa tua?”
“ Se Aragorn è caduto. L’ho visto
lottare contro
quell’Orco in groppa al Mannaro, ma non gli ho prestato
troppa attenzione e gli
ho… voltato le spalle!”
L’espressione della fanciulla pareva inorridita
dalle sue stesse parole.
“ Jill, non l’hai spinto tu giù da quel
dirupo.”
le disse lui pazientemente “ È stata una
fatalità.” le accarezzò delicatamente
una guancia, l’espressione addolorata “ Una tragica
fatalità.”
“ Che io avrei potuto impedire!”
protestò lei “Ero
lì, Legolas!” indicò col dito un punto
poco lontano dal dirupo “ Avrei potuto aiutarlo!
Invece…” strinse i pugni fino a farsi sbiancare le
nocche “ Invece ero troppo
presa dalla mia battaglia, tanto da
non rendermi conto che un mio compagno era in
difficoltà…”
Il principe di Bosco Atro sospirò.
“ Probabilmente non avresti potuto fare nulla per
impedire quanto successo.”
“ Come fai a dirlo?”
“ E tu?”
Jill strinse la mascella, ma non rispose.
“ La vita è piena di “se”, ma
non possiamo
cambiare quanto è già avvenuto, non possiamo
tornare indietro nel tempo.
Tuttavia possiamo decidere cosa fare con quello che ci viene ancora
concesso.
Ora quello che possiamo fare è continuare il nostro cammino
e far sì che la
dipartita di Aragorn non sia stata priva di valore. Ora” la
guardò dritta negli
occhi “quello che possiamo fare è proteggere
questa gente come lui stesso
avrebbe fatto. So che stai soffrendo, tutti noi sentiremo la sua
mancanza.
Enormemente.” si portò una mano al petto
“ Ma il mio cuore mi dice che non
possiamo desistere proprio ora che il bisogno incalza. E il tuo,
Jill?”
La Corsara chiuse gli occhi, traendo un profondo
respiro. Lo esalò lentamente.
“ Anche il mio mi dice di non arrendermi.” disse
con decisione riaprendo gli occhi.
“ Va bene, allora…”
“ Andrò a cercarlo.”
Legolas inspirò a fondo.
“ Jill…”
“ Mi hai chiesto cosa dice il mio cuore.”
alzò il
mento ostinata “ Ebbene, mi dice che Aragorn è
ancora vivo.”
“ Anche con la più grande delle fortune dalla sua
parte non può sopravvivere a quelle rapide, Jill: la
corrente è troppo forte e
le sponde ripide e rocciose. Mi dispiace, ma temo che il suo corpo
potrà
riposare solo una volta a valle, diverse miglia lontano da
qui.”
“ Lo so, per questo vado a cercarlo: avrà bisogno
di aiuto.”
I cavalieri erano rimontati tutti in sella, re
Theoden attendeva pazientemente i superstiti della Compagnia. Legolas
le
afferrò le spalle.
“ Jill, sii ragionevole. Ammiro la tua
determinazione, ma questa volta non c’è tempo per
seguire l’istinto, dobbiamo
fare ciò che ci siamo ripromessi entrando a far parte di
questa Compagnia:
salvare la Terra di Mezzo, proteggere tutta questa gente dallo
sterminio.”
“ Non intendo venir meno alla mia promessa:
questa gente, la Terra di Mezzo, noi
tutti
abbiamo bisogno di Aragorn. Ma ora
è
lui che ha bisogno del nostro aiuto
ed io non posso
abbandonarlo!”
“ Maledizione, Jill!” le strinse le spalle
“ Non
puoi per una volta fare
semplicemente
come ti viene chiesto?!”
“ Io non
voglio fare semplicemente come mi viene chiesto.”
gli rispose lei, il tono
duro e lo sguardo glaciale.
“ Questo s’è capito, tu non vuoi mai seguire i consigli di qualcun altro,
bensì sempre e solo la tua testa cocciuta e
avventata!” sbottò lui “ Ma questo
non è il momento per le leggerezze: c’è
una guerra che incombe, esseri malvagi
e folli che intendono sterminare intere popolazioni stanno
sguinzagliando i
loro eserciti con l’unico scopo di distruggere
tutto ciò che incontrano. Non posso permetterti di
scorrazzare da sola per
queste brughiere che pullulano di Orchi, Mannari e chissà
quali altre
diavolerie!”
“ Perché?” lo sfidò con uno
sguardo sfrontato “
Ho forse bisogno del tuo permesso?”
Legolas si raddrizzò, staccando le mani dalle sue
braccia, come se fosse stato scottato.
“ Hai detto bene” proseguì lei
“ faccio sempre di
testa mia, cosa che fin ora mi ha tenuta in vita, nonostante tutto.
Quindi
continuerò a seguire i consigli del mio cuore
anziché gli ordini di qualcun
altro.” fece una reverenza esagerata “ Col tuo permesso, principe, prendo
congedo.” e si voltò per avvicinarsi a
Huan.
L’Elfo la guardò montare sulla groppa del Lupo e
rivolgere un cenno di commiato a re Theoden e a Gimli. Poi Huan
balzò in
avanti, spostandosi da una roccia all’altra con
agilità, diretto verso il
torrente.
Legolas la osservò dalla cima del dirupo, ma gli
occhi della Corsara restarono ostinatamente puntati verso il corso
d’acqua,
attenti a non incontrare il suo sguardo. Gimli gli si
affiancò.
-
Sai – proruppe
– non immaginavo che anche tu potessi arrabbiarti a quel
modo. –
-
Come, scusa? – gli
rispose Legolas, l’espressione ancora accigliata e
la fronte solcata da rughe di preoccupazione.
-
Non ho la tua età, ma
non sono mica nato ieri, sai? Immagino che tu e
Jill abbiate avuto una bella discussione telepatica, o come diamine
comunicate
voi, giusto? –
Sghignazzò dello sguardo perplesso che l’Elfo gli
rivolse.
-
Amico mio, forse non te ne sei
accorto, ma quando si tratta della piccola
Jill diventi particolarmente espressivo. E non è difficile
intuire il motivo
per cui avete litigato. – accennò al torrente
– La nostra impulsiva Corsara ha
deciso di cercare Aragorn, forse perché convinta che sia
ancora vivo. – scosse
la testa abbattuto.
-
Hai centrato il punto. –
-
Immagino tu abbia tentato di
dissuaderla. –
-
Certamente! È una follia
pensare che possa essere sopravvissuto a una
simile caduta. E anche se ce l’avesse fatta, la corrente del
fiume gli avrà
frantumato le ossa contro le rocce delle sponde. – si
portò le mani alla testa,
accucciandosi a terra – È una follia. Eppure lei
non ha voluto darmi retta e non
ho potuto fare nulla per impedirle di andare a cercarlo. –
-
Da quel che so, Jill ha perso molte
persone a lei care. Suo padre è
stato ucciso, la sua città bruciata e la popolazione
massacrata, Saruman l’ha
tradita e mutilata e per un pelo non perdeva anche Gandalf. Non
è strano dunque
che si aggrappi anche alla più flebile speranza che Aragorn
sia ancora vivo. –
-
Lo so… -
-
E non penso dobbiamo preoccuparci
della sua incolumità nell’immediato.
Sono certo che lei e il Lupo siano in grado di badare a se stessi e che
presto
ci raggiungeranno al Fosso di Helm. –
-
Lo so… -
Il Nano gli batté una pacca sulla spalla.
-
Non ti va a genio l’idea
di separarti da lei, vero? –
-
Per niente. –
-
E di non avere influenza sulle sue
decisioni… -
-
Vorrei solo poterla aiutare e
proteggere… - rispose in tono angosciato
– Ma lei non vuole il mio aiuto e sfugge ai miei tentativi di
tenerla lontana
dai pericoli. Anzi, ogni tanto mi vien da pensare che lo faccia apposta
a
cacciarsi nei guai! –
Gimli scosse la testa, sorridendo sotto i folti
baffi.
-
Amico mio, non ti invidio per
niente: ti sei innamorato di una donna
davvero impegnativa! –
Legolas gli rivolse un altro sguardo sconvolto.
-
E non guardarmi con
quell’espressione stralunata! – rise il Nano
– Te
l’ho detto che quando si tratta di Jill sei estremamente
eloquente: persino un
ebete si accorgerebbe degli sguardi rapiti che le rivolgi! –
-
Non è per quello che
sono sbalordito. Mi hai chiamato “amico mio”.
–
-
Oh – bofonchiò
Gimli – Davvero? Magari hai sentito male. –
-
Due volte. –
ghignò l’Elfo.
-
Oh. – distolse lo sguardo
impacciato – Abbiamo fatto attendere anche
troppo sire Theoden, sarà il caso di rimontare a cavallo e
dirigerci verso il
Fosso di Helm. Santi numi, c’è una battaglia alle
porte! –
Legolas si fermò accanto al destriero.
-
Ti aiuto a montare in sella, amico
mio? –
Il Nano imprecò fra sé e sé per tutto
il percorso
fino al Fosso di Helm.
Jill
s’acquattò sulla riva del fiume,
sondando con attenzione il terreno.
Dopo minuti che parvero ore si raddrizzò: nulla.
Un’occhiata a Huan le fece capire che anche la sua ricerca
era stata
infruttuosa. Eppure avevano setacciato con attenzione le sponde di quel
rivo
per un paio di miglia, fino al punto in cui la corrente
s’indeboliva. Più
avanti un rombo ovattato dalla vegetazione preannunciava la presenza
delle
rapide.
“ Maledizione!” imprecò verso il cielo.
Sperava di trovare qualche traccia che potesse
ricondurre al Ramingo come era accaduto nel caso degli Hobbit al
limitare della
Foresta di Fangorn, ma non v’era segno di Aragorn lungo
quelle sponde. Se solo
avesse potuto evocare un incantesimo…
“ Se!”
pensò con frustrazione “ Se avessi ancora la mia
voce riuscirei forse a fare un
incantesimo di localizzazione, ma
io
non ce l’ho più la mia dannata voce!”
balzò nell’acqua, desiderosa di poter
urlare a squarciagola “ Me l’hanno strappata
via!” menò un pugno nell’acqua
“ Come mi hanno strappato via la mia casa,
la mia gente, mio padre! E
ora” volse
uno sguardo disperato verso l’acqua che scorreva attorno alle
sue gambe, le
braccia abbandonate lungo i fianchi “tu
vuoi portare via Aragorn…”
-
Chi sarebbe questo Aragorn?
–
Jill alzò lo sguardo, incontrando un volto…blu.
Continua…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** - ***
Capitolo
7
-
Chi sarebbe questo Aragorn?
–
Jill alzò lo sguardo, incontrando un volto…blu.
La sua bocca si aprì in un muto grido di sorpresa, le sue braccia rotearono in
aria nel tentativo
di trovare l’equilibrio e la Corsara franò
rovinosamente nell’acqua. Quando
sollevò lo sguardo, quel viso era ancora davanti a lei.
“ Chi sei?”
-
Chi sei tu, piuttosto, che prendi a
pugni l’acqua del mio fiume? –
Due occhi dorati rotearono come i bulbi di un
pesce, fissandosi su di lei.
“Non volevo prendermela con il fiume.”
Chinò il capo verso l’acqua cristallina, che le
rimandò il riflesso di una ragazza ferita e sporca dallo
sguardo sconsolato.
La creatura cambiò tono, improvvisamente cordiale
e affabile.
-
Deve esserti capitato qualcosa di
brutto, mia cara… - lasciò in sospeso
la frase avvicinandosi a lei.
Jill intravide nel riflesso dell’acqua un ghigno
famelico profilarsi sul volto indaco e rialzò rapidamente lo
sguardo, guardinga.
“Purtroppo sì, me ne sono capitate
tante.”
-
Forse posso aiutarti,
se… -
“ A chi dovrei la mia gratitudine?” lo interruppe
decisa.
-
Oh, non dovresti ringraziarmi,
vorrei solo poterti conoscere. -
“Lungo le sponde di questo fiume non è usanza
presentarsi quando si vuole fare la conoscenza di qualcuno?”
La creatura lasciò che la sua bocca si piegasse,
rivelando i denti aguzzi.
-
Ti dico il mio nome se tu mi dici
il tuo. –
Jill strinse gli occhi. Aveva intuito il giusto:
quella creatura doveva appartenere al Popolo Fatato, cui i nomi erano
particolarmente importanti.
Le leggende narravano infatti che bastava
chiamarli per nome per liberarsi dal loro sortilegio e costringerli a
sottomettersi al proprio volere. Allo stesso modo quegli spiriti
potevano usare
il nome della propria vittima per lanciarle terribili malefici,
raggirarla o
addirittura impossessarsi del suo corpo. Gandalf le aveva spiegato che
il
Popolo Fatato era ormai quasi scomparso dalla Terra di Mezzo, ma che
alcune
creature ancora risiedevano nelle foreste o nel letto dei fiumi,
custodi spesso
schivi e restii a mostrarsi agli esseri umani che ne avevano causato la
lenta
estinzione. Bisognava prestare molta cautela in caso capitasse di
incontrarne
uno, poiché erano spiriti astuti e dispettosi, inclini
all’ira e vendicativi,
sebbene non per forza malvagi. L’aspetto indifeso o attraente
permetteva loro
di trarre in inganno le loro vittime, che venivano raggirate e poi
ghermite.
La Corsara lo osservò: sembrava un ragazzino
coperto di squame turchesi, le mani palmate e gli occhi dorati. Sulle
guance
aveva delle fessure simili a branchie e i capelli erano un groviglio
informe di
alghe e sterpi. Nel complesso sembrava un allegro fanciullo
dall’aspetto
bislacco e gli occhi di miele, non fosse stato per il sorriso irto di
denti
acuminati che le aveva rivolto. Cercò di indovinare in quale
creatura delle
acque si fosse imbattuta.
Il ragazzino capovolse la testa.
-
È per quello che eri
tanto arrabbiata? – le chiese con voce squillante
– Anch’io menerei pugni in giro se mi avessero
tolto la voce. –
Jill s’incupì, sospirando. Non riusciva a
capacitarsi di come la sua vita si facesse ogni giorno più
difficile, di come
qualsiasi situazione si rivelasse sempre contorta, di come continuasse
a
imbattersi in creature incantate, maligne e ingannevoli. Eppure era
solo la
figlia di un armaiolo assetata di avventure per mare.
Le ombre andavano allungandosi. Distolse lo
sguardo dalla creatura fatata per portarlo sull’orizzonte. Il
sole aveva
raggiunto il punto più alto nel cielo e a breve avrebbe
cominciato la sua lenta
discesa oltre quei clivi, da cui presto si sarebbe profilato
l’esercito di
Saruman. E non dubitava che gli Uruk-hai avrebbero distrutto ogni cosa
lungo il
loro cammino.
“ Ogni villaggio, ogni campo, persino questa
macchia verde di pace…”
Chiuse gli occhi, lasciando che lo stormire del
vento tra le foglie le riempisse il cuore, dimentica del ragazzino dai
denti
aguzzi. Entro poche ore avrebbe dovuto far ritorno e raggiungere il
Fosso di
Helm.
Huan le si avvicinò e il fanciullo fece un balzo
su un albero con uno strillo acuto. Dall’alto dei rami
osservò l’enorme Lupo
accostarsi alla Corsara. Lei gli posò una mano sul muso.
“ Goditi quest’acqua limpida, gli odori del bosco
e l’ebbrezza della tua ultima caccia. Mi dispiace, fratello
mio… ma non so se
ce ne sarà occasione in futuro.”
Lui le strofinò il muso sul volto e con un balzo
s’addentrò tra la vegetazione.
-
Quel
mostro è tuo amico? – le
si rivolse il ragazzino, che ancora restava appollaiato
sull’albero.
“ È mio fratello.”
-
Tu hai stipulato un legame
con quello?! –
Lei si limitò ad annuire, guardando tristemente
il punto in cui il fiume curvava per poi proseguire il suo percorso
fino alle
rapide che si udivano appena ruggire.
-
Sbaglio o l’atmosfera
è piuttosto lugubre? –
Jill si sedette su una roccia, guardandolo
balzare giù dall’albero guardingo. Evidentemente
la presenza di Huan era
bastata a farlo desistere dai suoi intenti famelici. La Corsara
provò una
stretta al cuore, pensando che presto l’esercito di Saruman
sarebbe marciato
attraverso quel rivo.
“ Non so quanto tu sia a conoscenza degli eventi
di questa terra, ma c’è una guerra in
arrivo.”
-
Gentile da parte tua preoccuparti
per me, dolcezza. Ma me ne infischio
delle lotte di potere tra esseri umani. –
Lei sorrise della sua spavalderia. In fondo ai
suoi occhi era solo un ragazzino.
“ Sono sicura che sai badare a te stesso più che
bene. Ma Saruman e Sauron stanno mobilitando eserciti composti da
creature
mostruose, partorite dalla loro menti malvagie. E non muovono guerra ai
sovrani
di queste terre, ma alla vita come la conosciamo: uccideranno chiunque
incontrino
e distruggeranno qualsiasi cosa calpestino. Anche questo
fiume… questi alberi…
Persino questo vento non porterà più profumi
silvestri e il canto degli
uccelli, ma solo fumo, putridume e grida.”
Sospirò.
“La Terra di Mezzo, ogni sua cosa bella, ogni
forma di vita… e di magia” portò lo
sguardo su di lui “scomparirà.”
Improvvisamente gli occhi dorati si fecero seri e
quel volto turchese di fanciullo le parve avesse molti più
anni di quanti ne
dimostrasse.
-
Io non ho fissa dimora, mia cara.
Sono uno spirito dell’acqua e come
l’acqua non posso essere imbrigliato o annullato. Muterei
forma e scivolerei
lontano da questa terra sconvolta dalla violenza. –
“ Certo…”
-
Anche tu potresti fare lo stesso.
– le si avvicinò – Potresti salire
sul dorso del tuo grottesco Lupo e mettere in salvo entrambi. Sareste
liberi. –
Jill sorrise tristemente tra sé.
-
Questa non è la tua
guerra – la incalzò gentilmente – e
sicuramente
non è la sua. –
“ Hai ragione. Eppure noi combatteremo.”
-
Perché? –
“ Perché voglio che un domani vi siano ancora
luoghi come questi, in cui sentirsi liberi di
sostare…” la sua mente saettò al
Lupo che rincorreva una preda “o di
cacciare…”
La creatura fatata strinse gli occhi, studiando
il suo volto in cerca di una conferma o forse un dubbio cui
aggrapparsi.
Trascorsero alcuni minuti, in cui Jill si beò del
silenzio e dei raggi del sole che le intiepidivano le gote. Poi il
fanciullo
parlò di nuovo.
-
E questo Aragorn…
sarebbe
utile allo scopo? –
“ Sicuramente lo sarebbe. Ma probabilmente è
deceduto cadendo nel fiume.”
-
Se sai che è morto
perché lo stavi cercando? –
“ Perché credevo… Credevo che fosse
ancora vivo.”
-
Allora perché ne hai
interrotto la ricerca? –
“ Perché non può essere
sopravvissuto…”
La creatura sbuffò.
-
Deciditi: è vivo o
morto? –
Jill tacque.
Sedeva ancora sulla roccia lambita dalla
corrente, gli stivali affondati nell’acqua.
Inspirò.
“ C’è una parte di me… Una
parte di me che
continua a ripetermi che è vivo e che devo assolutamente
trovarlo. Però ho
setacciato il letto del fiume fino a qua senza risultato e oltre quella
curva
ci sono le rapide. Se è sopravvissuto deve trovarsi alle mie
spalle, ma non so
più come rintracciarlo…”
Il ragazzino stralunò gli occhi.
-
Tu possiedi la magia,
mia
cara. Ne sento l’odore. Perciò non hai che da chiamarlo. –
Lei sollevò il mento, mostrando la gola mutilata.
-
Non hai bisogno delle corde vocali,
quando porti un Ulumur nella
bisaccia. –
Jill strabuzzò gli occhi, sorpresa e
improvvisamente allarmata, temendo che quel ragazzo coperto di squame
cercasse
di impossessarsi del potente strumento. Se la creatura
percepì la seconda
reazione non lo diede a vedere.
-
Non sai come adoperarlo? –
“ Non so nemmeno come aprirne la custodia.”
-
Mostramela. –
La Corsara esitò. Huan era troppo lontano per
intervenire e lei non era certa di riuscire da sola a tener testa a
quella
creatura fatata, qualunque fosse la sua natura. Tuttavia non era
riuscita
nemmeno a scalfire il contenitore dell’Ulumur e
c’era una battaglia in arrivo:
se fosse morta prima di riuscire ad aprire quella scatola il dono di
Dama
Galadriel si sarebbe rivelato inutile, qualsiasi potere celasse. Decise
che non
sarebbe stato il primo e probabilmente nemmeno l’ultimo dei
rischi della sua
vita.
Estrasse il contenitore dalla sacca da viaggio e
la allungò verso il fanciullo turchino. Questi le sorrise.
Poi dette un colpo alla scatola e la fece cadere
in acqua.
Jill aprì la bocca in un muto grido di sorpresa,
per poi chinarsi a raccogliere la custodia. Aperta.
Con gli
occhi sgranati, estrasse dall’acqua una
grossa conchiglia perlacea. Da un lato era stata forata in
più punti, mentre la
punta era stata incisa fino a ricavare l’apertura che faceva
da bocchino a
quello splendido corno.
-
Inutile chiederti se sai suonare.
–
Jill fissò i suoi occhi sgranati sul fanciullo,
che estrasse dal groviglio di capelli un flauto ricavato da un giunco.
“ Ah, è un Nix…”
pensò distrattamente, ricordando
le leggende sugli spiriti d’acqua mutaforma che attiravano le
vittime con
l’incanto della loro splendida musica per poi affogarle nei
fiumi.
Alla vista dello strumento del Nix fece un passo
indietro, che non passò inosservato allo spiritello.
-
Temi la mia musica… -
constatò soddisfatto – Fai bene. –
ghignò – Ma
rimanderei il nostro duello a un’altra occasione. Ora vorrei
darti una
dimostrazione. –
Detto ciò portò il flauto alle labbra e
soffiò.
Un suono
dolce si diffuse nella conca, ma non
somigliava alla musica di alcuno strumento a lei conosciuto. Pareva
piuttosto
lo zampillio di una sorgente montana, le cui gocce tintinnavano sulla
pietra, per
poi scivolare lungo le fredde insenature. Un attimo dopo qualcosa di
gelato le
sfiorò il volto e lei allungò una mano: neve.
Nulla era cambiato nella vallata,
eppure sopra il loro capo s’era formata una sottile coltre,
da cui piovevano
candidi fiocchi.
Poi la musica cambiò e il sole tornò a scaldare
la valletta. Jill riconobbe subito il suono delle onde che si
infrangevano
sulla costa, il chiocciolio dell’acqua che si ritirava dalla
scogliera
disseminata di conchiglie. Un piccolo muro d’acqua
andò a formarsi al centro
del fiume, per poi piegarsi in due lunghe onde dai pennacchi spumosi.
Parevano
rincorrersi lungo il letto del fiume e con una nota più
acuta del flauto
presero le sembianze di due lontre festose, che si cercavano e
allontanavano in
un gioco sinuoso, fino a scomparire tra i flutti del rivo.
Quando la
musica terminò Jill aveva ancora gli
occhi puntati sul fiume, l’Ulumur stretto tra le mani.
-
Vedo che hai apprezzato.
– gongolò il Nix.
“ Posso… posso farlo anch’io?”
-
Beh, col tempo forse
potresti
riuscire… -
“ Insegnami!”
-
Mi hai scambiato per un maestro?
Ritieniti fortunata di aver avuto una
dimostrazione che tu possa ricordare. – ghignò.
Jill arrossì, chinando lo sguardo sull’Ulumur,
concentrata.
Dunque poteva usare la musica di quello strumento
per chiamare Aragorn,
così come il
Nix aveva chiamato a sé la neve. Poteva modulare suoni
diversi per evocare…
“ Cosa?”
Il linea di massima qualunque cosa che
rispondesse alla sua musica. Fenomeni atmosferici, spostamenti di masse
d’acqua
cui dare forma.
“ Già, ma come?”
Lei non aveva alcuna dote musicale, sapeva appena
fischiare.
Provò a soffiare nella grande conchiglia. Nulla.
Riprovò. Nulla.
-
Sul serio pensi che basti soffiare?
– si lasciò cadere su un cuscino di muschi il Nix
– E io che credevo di essere
speciale! – la canzonò pungente – Invece
a quanto pare qualsiasi essere vivente
dotato di polmoni e bocca può fare quello che faccio io!
–
Jill gli lanciò un’occhiataccia.
-
Maledizione, mettici un
po’ di sensibilità! –
Dunque l’Ulumur non era dissimile dagli altri
strumenti musicali: era l’abilità
dell’esecutore a dare vita alle melodie. Nelle
mani di una persona normale era una semplice conchiglia, ma se Dama
Galadriel
gliene aveva fatto dono era perché evidentemente
c’era qualcosa in lei che la
rendeva speciale, come diceva lui.
“ La magia…”
Voce o non voce, la magia albergava ancora in
lei, ridotta a una debole fiamma che pure riusciva a scaldarle il
petto. Doveva
solo riuscire a ridarle vigore.
Portò di nuovo il corno alle labbra, inspirando.
Sentì l’aria entrarle dal naso e attraversarle il
corpo fino al petto,
soffiando sulla fiamma della magia, rinvigorendola. Percepì
quella stessa aria
risalire lungo la sua gola più calda e lasciò che
uscisse dalla sua bocca,
attraversando il corno.
Un suono basso uscì dalla conchiglia, simile
all’acqua di un lago placido che ne lambiva le rive sabbiose,
facendo frusciare
dolcemente le foglie del canneto. Il balzo di un pesce
disegnò cerchi
concentrici sulla sua liscia superficie e una libellula
frullò le ali velate al
suo orecchio.
Il Nix
riportò la sua attenzione su di lei.
Riprovò,
soffiando con maggior forza su quella
fiamma che ora ardeva dentro di lei come un focolare. Lo scrosciare
dell’acqua
di tramutò in una risata cristallina e l’acqua del
fiume si sollevò in una
spirale, modellando il corpo sinuoso di una fanciulla. Danzava
sull’acqua, il
corpo quasi trasparente e l’abito costellato dei bagliori del
sole come da
tanti diamanti.
Il ragazzo
blu strabuzzò gli occhi.
“ Come diamine…?”
Ma trattenne il fiato, quando uno strappo sui
calzoni della Corsara attirò la sua attenzione: la sua pelle
era mutata.
Jill sorrise
alla fanciulla d’acqua e soffiò
ancora, colta dall’ebbrezza del momento. Il focolare dentro
di lei crebbe e le
fiamme della magia ruggirono. La brezza leggera cominciò a
ululare, piegando le
fronde degli alberi e sferzando la superficie limpida del fiume. La
fanciulla
cristallina si dissolse in un sospiro sconsolato e il cielo si
adombrò. Gli
animali si rintanavano sorpresi nei loro rifugi, mentre
l’aria carica degli
odori della campagna si arricchiva di una nota salata proveniente da
sud.
Il Nix
voltò il capo nella direzione da cui
spirava quel vento salmastro: una nube scura andava profilandosi
all’orizzonte,
carica di tempesta. Rabbrividì.
Riportò lo sguardo su di lei. Chi diamine era
quella fanciulla dai capelli rossi? Sapeva che la magia ancora
albergava in
alcuni esseri umani, così fievole che spesso ne erano
ignari. In lei l’aveva
avvertita in maniera netta, eppure aveva un odore diverso da quello che
si
aspettava.
“Assomiglia alla mia…”
Inutile dire che quella particolarità l’aveva
incuriosito al punto da spingerla a testare l’Ulumur. Ora un
altro brivido
percorse la sua schiena: quel potere nitido ma contenuto stava
crescendo, come
una fiamma che si tramuta in un incendio.
“ Forse non è stata una buona idea aprire la
custodia dell’Ulumur.”
Una parte di lui sapeva che stava giocando col
fuoco. L’altra avrebbe voluto assistere alla sua completa
trasformazione, certo
che quello che aveva intravisto spandersi sulla sua gamba avrebbe dato
forma a qualcosa che non capitava
spesso di
incontrare. Non in quelle terre.
Jill
scostò le labbra dalla conchiglia,
riportando la sua attenzione sulla creatura fatata. S’accorse
che la fissava a
occhi sgranati, il volto blu contratto in un’espressione
indecifrabile.
Istintivamente abbassò l’Ulumur.
“ Ho sbagliato qualcosa, vero?”
-
Dipende… - la
guardò inclinando il capo – Chi sei? –
“ Ti dico il mio nome se tu mi dici il tuo.”
L’altro scosse una mano, come a cacciare un
moscerino molesto.
-
Lascia perdere il nome, non mi
interessa. La tua magia, il tuo potere…
Come l’hai ottenuto? –
“ Ci sono nata, credo.”
-
Credi? –
“ Mio padre era un armaiolo, un uomo dal braccio
forte ma nessuna dote magica. Mia madre è morta dandomi alla
luce; mi hanno
sempre raccontato che mi somigliasse molto, ma nessuno ne ha mai
menzionato una
particolare abilità. Non so da chi o cosa ho ereditato la
magia.”
Il Nix la fissò in silenzio.
“ Hai detto che con questo strumento posso chiamare
Aragorn.”
Il ragazzino parve uscire da foschi pensieri.
-
Sì, l’ho
detto. Cosa aspetti? Mi pare che per te fosse abbastanza
importante questo Aragorn. E che
avessi urgenza di farti fare a fettine in una guerra imminente. I campi
di
battaglia non aspettano nessuno, perciò ti conviene
sbrigarti! –
Senza lasciarle possibilità di replica, balzò in
acqua e scomparve.
Jill
fissò il punto in cui era sparito tra i
flutti. Poi riportò la sua attenzione al corno e, senza
sapere bene cosa fare,
soffiò.
Grima
continuava a tamponare il proprio volto
tumefatto, maledicendo interiormente ogni dannato membro della
Compagnia
dell’Anello.
“ Ma hanno i giorni contati, loro e quell’inutile
re di ronzini.”
Si sarebbe impossessato prima dei loro scalpi e
poi di quel regno di bifolchi, che si sarebbero piegati a lui e
l’avrebbero
incoronato loro re. Sarebbe stato Eomer a incoronarlo e a portare
all’altare la
sua sposa.
“ Eowyn…”
Forse più di tutti voleva sottomettere la bella
principessa, che per tutto quel tempo aveva continuato a resistergli.
L’avrebbe
sposata e fatta sua, mente e corpo. Le avrebbe operato lo stesso
intervento
fatto alla Corsara, se necessario a far tacere la sua lingua
irrispettosa.
Per un attimo gli sovvenne l’espressione glaciale
del Principe di Bosco Atro, cosa che lo spinse a concentrarsi
nuovamente sul
rapporto che stava esponendo a Saruman per concludere quella guerra nel
miglior
modo possibile.
-
Il fosso di helm ha un punto
debole. – stava spiegando – Le sue mura
esterne sono di solita roccia, tranne una galleria di drenaggio situata
alla
base, un misero canale di scolo. –
Saruman andava riempiendo una grossa giara
metallica di piccole perline scure. Grima si avvicinò
scettico.
-
Come può il fuoco
disfare la pietra? Che tipo di congegno può fare
questo? –
Lo stregone bloccò il suo braccio, allontanando
la candela dal materiale infiammabile.
-
Se si apre una breccia nelle mura,
il Fosso di Helm cadrà. – sembrava
quasi parlare fra sé e sé il Bianco, avanzando
verso la finestra.
Grima lo tallonò.
-
Anche se si aprisse una breccia,
occorrerebbe un numero
inimmaginabile, migliaia per prendere la fortezza. –
berciò.
-
Decine di migliaia. –
-
Ma, mio signore, non esiste un tale
esercito. –
Affacciatosi al balcone, Grima trattenne il
respiro: sotto di lui un mare scuro di Uruk-hai armati fino ai denti
ruggiva la
sua sete di sangue.
-
Un nuovo potere sta sorgendo, la
sua vittoria è vicina. – tuonò lo
stregone accolto dal boato entusiasta del suo esercito di famelici
orchi. – Questa
notte la terra verrà macchiata con il sangue di Roharn.
Marciate sul Fosso di Helm.
Che nessuno resti vivo! Alla guerra! –
Una sola lacrima di compassione rigò il volto
esangue di Grima, che per un attimo si sentì la persona
miserabile che tutti
avevano sempre visto in lui.
-
Non ci sarà
un’alba per gli uomini. –
Quando Huan
la raggiunse sulle rive del fiume,
Jill era in preda allo sconforto: le aveva provate tutte, aveva persino
supplicato il fiume di salvare Aragorn e di riportarlo a lei e al resto
della
Compagnia. Ma del Ramingo non c’era alcun segno. Nulla era
apparso nonostante i
molteplici tentativi, non una traccia, non una parola.
Il Lupo l’apostrofò gentilmente.
“ Dobbiamo andare, sorella. Avverto un rombo
lontano e temo sia una tempesta particolarmente violenta.”
Lei annuì. L’esercito di Saruman doveva essere
già in cammino. Si issò sul dorso del grande
Lupo, lanciando un ultimo sguardo
di rammarico al fiume.
“ Mi dispiace non esser riuscita a salvarti,
Aragorn.”
Il Nix
osservò l’Uomo che la corrente aveva
alfine condotto su una riva sicura, dove un cavallo sfuggito ai rochi
dei campi
pascolava placidamente. Qualche attimo dopo l’animale parve
attratto
dall’essere umano.
“ Magicamente…”
Per un attimo si chiese cosa vi fosse di tanto
speciale in quell’uomo malridotto da indurre la fanciulla dai
capelli rossi a
darsi tanta pena per salvarlo.
“ Gli ha addirittura procurato un mezzo di
trasporto!” constatò, osservano il cavallo che si
piegava sulle zampe per
permettergli di issarsi.
Liquidò l’argomento con un’alzata di
spalle:
femmine, non le avrebbe mai capite davvero. Tuttavia quella in cui si
era
imbattuto doveva essere una femmina ben più interessante
delle altre.
Ripensò alla pelle della fanciulla che andava
mutando.
“ Decisamente
più interessante.”
Continua…
N.d.a. : dedico il capitolo a
FedeSerecanie, che
ringrazio ancora per le belle parole che mi spronano a continuare
questa
storia.
Monalisasmile
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=748531
|