Eär Lindë . L'Ulumur

di monalisasmile
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - ***
Capitolo 2: *** - ***
Capitolo 3: *** - ***
Capitolo 4: *** - ***
Capitolo 5: *** - ***
Capitolo 6: *** - ***
Capitolo 7: *** - ***



Capitolo 1
*** - ***


Capitolo 1

Gli Uruk-hai stavano accelerando il passo: li avevano fiutati.

Jill imprecò fra sè, sistemandosi meglio la sacca da viaggio sulla schiena; ogni parte del suo corpo implorava una sosta. Erano ormai tre giorni e tre notti che inseguivano il drappello senza fermarsi: l’ansia per la sorte degli Hobbit metteva loro le ali ai piedi.

Un ruzzolone seguito da un tonfo alle sue spalle le ricordò che c’era chi accusava più di lei le fatiche di quella caccia: i Nani, si sa, non potevano vantare gambe da corridori.

-      Sono sprecato per la corsa campestre! – si lamentò Gimli – Noi Nani siamo scattisti nati, pericolosissimi sulle brevi distanze! –

La Corsara rise tra sé, ma si affrettò a seguire Legolas e Aragorn, che guidava la spedizione dei quattro componenti rimasti della Compagnia.

“ Cinque” si corresse subito, proiettando il suo pensiero fino al Lupo.

Grazie alla sua sviluppata muscolatura, il possente animale li aveva preceduti, mettendosi alle calcagna degli Orchi, sebbene a debita distanza per non farsi scoprire.

“ Huan!” lo chiamò lei, il fiato corto per la corsa ininterrotta attraverso il terreno irregolare “Ti prego, dimmi che gli Uruk-hai sono allo stremo delle forze e presto si fermeranno!”

“ Vorrei poterti dare questa speranza, sorella” le rispose lui “Ma non sembrano intenzionati a desistere. È come se potessero attingere a una misteriosa riserva di energia.”

Persino Huan cominciava ad accusare i segni della stanchezza e la Corsara era certa che più di un Orco era uscito ferito dallo scontro con la Compagnia dell’Anello. Solo una spiegazione le veniva in mente e Jill strinse i pugni, frustrata.

“ Magia…”

Doveva però riconoscere che in tutto questo c’era un lato positivo: se Saruman si adoperava tanto affinché le sue milizie tornassero al più presto a Isengard, doveva essere convinto che questi avessero catturato il vero Portatore dell’Anello. E se ne era convinto lui…

Le tornò alla mente il Palantir e ciò che vi aveva visto. Rabbrividì al ricordo della voce che l’aveva incatenata, tentando di trascinarla in quel abisso di fiamme e malvagità. Non l’aveva solo sondata, l’aveva violata dall’interno, sbucciando uno strato dopo l’altro della sua anima come fosse una cipolla. Cercava qualcosa dentro di lei… Non aveva la benché minima idea di cosa si trattasse, ma sperò di non venirlo mai a scoprire, conscia che non avrebbe potuto negare qualcosa a quella voce imperiosa e carica di forza.

Si chiese come Frodo potesse contrastarne l’oscura potenza. Gandalf le aveva spiegato che il contatto con Sauron avveniva solo in caso lui s’infilasse l’Anello al dito, ma anche che quel maledetto gioiello diventava un fardello sempre più pesante man mano che si avvicinava al suo legittimo proprietario. Rivide nella sua mente il sorriso ingenuo e gli occhi fiduciosi dell’Hobbit. E sentì il cuore stringersi in una morsa che ormai ben conosceva: rimorso.

“ Huan… secondo te ho sbagliato a lasciarlo andare da solo?”

“ Non è solo, c’è l’altro Hobbit con lui.”

Jill storse la bocca in una smorfia: una guardia del corpo delle dimensioni di un bambino, bell’aiuto!

“ Abbi fiducia in loro.”

“ Ma sono così…”

“ Piccoli?” sentì quello che più assomigliava a un sorriso farsi largo nella mente del Lupo “ Dal mio punto di vista tu sei poco più grande di loro, sorella.”

“ Ma loro…”

“ Non è con le armi che vincerete questa guerra” la interruppe lui “La tua spada, per quanto affilata, non può fendere le mura di Mordor e gli eserciti di queste terre, per quanto organizzati, non potranno mai schiacciare le orde di Orchi di Sauron. Gli Hobbit sono coraggiosi e possono compensare le loro scarse dimensioni con l’ingegno. Troveranno il modo di farsi largo tra le file nemiche, abbi fede.”

Jill si chiese con una nota di ironia da quando Huan e la Signora di Lorien avessero cominciato a condividere disquisizioni filosofiche.

“ Mi sento inutile…” si lamentò la rossa, frustrata “ Avevo giurato di proteggere Frodo e l’unica cosa che posso fare per aiutarlo è allontanarmi da lui!”

Stava ancora attendendo la risposta di Huan, quando si accorse di essere rimasta indietro. Allungò il passo e sorpassò Gimli, riportandosi alle spalle di Legolas.

“ C’è molto altro che puoi fare…”

Ma il pensiero del Lupo si dissolse come un’eco senza che la Corsara potesse carpirlo.

 

All’imbrunire il drappello di Orchi non era molto lontano dalla Foresta di Fangorn, dove, secondo Huan, si sarebbero accampati per riposare.

Jill riferì il messaggio e Aragorn consigliò che il Lupo si appostasse ai margini della boscaglia. Contenta di potersi godere un po’ di meritato riposo, la bestia accettò di buon grado.

 

Calata la notte, il cielo era sgombro di nubi e impreziosito di stelle.

Legolas balzò agile su un rilievo roccioso e aguzzò la vista: un poco più a valle un nastro argentato riluceva nella notte.

Aggrottò la fronte, indeciso se era il caso di rallentare o meno il passo. Gli Elfi erano meno soggetti delle altre razze a stanchezza, fame e sete. Aragorn era abituato a lunghi viaggi estenuanti e senza cibo. Gimli per quanto andasse avanti a borbottare improperi contro ogni sporgenza rocciosa era dotato di una buona resistenza, grazie al suo fisico massiccio. Mentre Jill…

Non ebbe il tempo di girarsi che una figura dai capelli rossi l’oltrepassò, fiondandosi giù per il pendio a rotta di collo.

Sconvolto, la vide ruzzolare per terra, facendo una strana capriola per poi rialzarsi e riprendere la corsa, le mani e le ginocchia sporche, i capelli arruffati.

A seguire una frana di barba e asce, che rovinò lungo in declivio scosceso con ancor meno decoro della Corsara.

Il Principe di Bosco Atro scosse il capo, rassegnato.

“ Come non detto.”

Aragorn gli si affiancò, guardando sorridente i due compagni che si precipitavano verso il rivo come i beduini verso un’oasi nel deserto.

-      Li raggiungiamo? Anche io sento la gola riarsa. –

Detto ciò il futuro re di Gondor seguì l’esempio dei due compagni, senza capitomboli ma con la stessa malagrazia.

L’Elfo trasse un sospiro sconfitto e scivolò lungo la discesa con eleganza.

 

A causa dello slancio, Jill si arrestò solo una volta che i suoi piedi affondarono nell’acqua limpida del ruscello. Ma non se ne curò e si chinò, immergendo le mani per bere avidamente il liquido fresco. Era proprio vero che quando la sete era bruciante l’acqua aveva un sapore delizioso.

Inspirò a pieni polmoni, appagata, chiudendo gli occhi e facendosi cullare dal dolce mormorio del fiume.

“…ill…”

Un eco lontano catturò la sua attenzione.

“…ill…”

Una voce melodiosa e profonda. Accompagnata da un brontolio che ben conosceva.

“…Jill…”

Sgranò gli occhi. Si trovava in mezzo ai flutti dell’oceano.

 

Una volta giunto a valle, Legolas vide Gimli che si abbeverava come un animale, la barba immersa completamente nell’acqua e le mani affondate nel suolo sabbioso.

Aragorn riempì la borraccia e si rinfrescò il viso con l’acqua limpida.

Lo sguardo del Principe di Bosco Atro si soffermò sulla ragazza che era immersa nell’acqua fino alla cintola, le spalle volte ai compagni a riva.

-      Esci – le si avvicinò l’Elfo, sorridendo divertito – altrimenti ti prenderai nuovamente un malanno! –

Ma lei non colse la provocazione. Anziché rispondergli a tono, restò immobile.

Perplesso, Legolas entrò in acqua, avanzando rapido fino a trovarsi di fronte a lei.

“ Tutto bene?”

La rossa non rispose, lo sguardo perso in un punto indefinito. Sembrava ipnotizzata.

Preoccupato, l’Elfo raccolse le mani di lei nelle sue: se le aspettava fredde, vista la bassa temperatura della stagione. Invece erano piacevolmente calde.

 

Gimli lanciò un’occhiata alla coppia che sostava immobile nel ruscello sotto il cielo stellato e diede di gomito a Aragorn.

-      Orecchie a Punta si dà da fare! – sghignazzò a bassa voce – Mi gioco la barba che Jill gli rifila un cazzotto! –

Aragorn gli sorrise, gli occhi chiari e saggi che brillavano alla luce argentea.

-      Forse per questa volta è meglio non scommettere, Mastro Gimli. –

Il Nano bofonchiò un “fifone”, ma capì l’antifona e si allontanò insieme al Ramingo.

 

La sua mente era annebbiata, pervasa da un suono che sovrastava ogni altro rumore, conscia solo del contatto dell’acqua con la sua pelle e di quella voce profonda che pareva chiamarla dagli abissi.

“…Jill…”

Il mare era tutto attorno a lei e dentro di lei. Poteva udire il gorgoglio dei flutti, lo scroscio delle onde sugli scogli, l’ululato del vento impregnato di salsedine che le sferzava il volto, cantando di mondi sconosciuti in una lingua fatta di acqua salmastra. Ah, quanto le era mancato quel soffio salmastro!

Eppure una parte di sé sapeva di trovarsi sulla sponda di un ruscello d’entroterra anziché in mezzo all’oceano.

 

Legolas guardò le mani di lei e s’accorse che stavano lentamente mutando. Il colorito roseo lasciava spazio a una sfumatura bluastra, mentre minuscole scaglie argentee simili a cristalli andavano formandosi sul dorso delle mani.

Sgranò gli occhi e rafforzò la presa, senza smettere di chiamarla dolcemente, accarezzandole delicatamente le mani.

“ Resta…” quasi la scongiurò, sentendola scivolare via come l’acqua tra le dita “Ti prego, Jill… resta qui…”

 

“ Legolas…”

Attraverso la nebbia del ruggito dell’oceano e delle nubi tempestose che andavano formandosi nella sua mente, riuscì a vedere il suo sguardo dapprima preoccupato, poi sollevato nel sentirla.

“ Legolas…”

“Sono qui. Sono qui con te.”

“ M-mi sta chiamando…”

“ Chi, Jill? Chi ti chiama?”

“ L’oceano…”

L’Elfo aggrottò la fronte, perplesso: che voleva dire? Si chiese se la sua mente fosse stata nuovamente da qualche essere oscuro, magari da una creatura che dimorava nel fiume. In tal caso forse poteva entrare nei suoi pensieri e aiutarla a scacciare quel mostro.

Tentò. Proiettando la sua coscienza verso di lei, s’insinuò lentamente nella sua mente, sperando che la barriera protettiva della ragazza lo lasciasse passare. Ma non fu contro questa che si scontrò: dinanzi a sé trovò un’inespugnabile muraglia di onde che s’impennavano sotto un cielo tempestoso. E in cima a quelle altissime creste torreggiava una misteriosa figura dai tratti indistinti.

La chiamò per nome, ma anziché la fanciulla fu il ruggito dell’oceano a rispondergli, potente quanto il rombo del tuono e perentorio come la parola di un sovrano.

Sconvolto, si ritirò rapidamente.

“ No…” pensò incredulo tra sé e sé, la schiena percorsa da un brivido d’inquietudine “Non può essere…”

Non ebbe il tempo di terminare il pensiero che Jill svenne tra le sue braccia.

 

Huan avrebbe forse percepito quanto accaduto alla fanciulla, se non fosse stato distratto da quanto stava succedendo nel gruppo degli Uruk-hai. O meglio, tra Uruk-hai e Orchetti.

Gli Uruk-hai erano non solo più possenti e muscolosi, ma anche più ordinati e ligi al dovere, delle macchine da guerra create per obbedire ciecamente il loro padrone. Gli Orchetti erano invece più irrequieti e più indeboliti dalla luce del sole e dalla stanchezza, sebbene Huan fosse convinto che lo stregone avesse formulato un incantesimo per agevolare il loro ritorno a Isengard.

“ Probabilmente lo stregone è convinto che uno dei due Hobbit sia il Portatore dell’Anello” aveva ragionato.

Quella notte il drappello aveva deciso di fare una sosta e Huan aveva seguito il consiglio di Aragorn, appostandosi al limitare della foresta per non perdere di vista i due Hobbit.

Tuttavia c’era qualcosa che non quadrava, avvertiva una certa tensione nell’aria. Tese le orecchie, cercando di carpire frammenti di conversazione.

Sorrise maligno: a quanto pareva non era l’unico a sentire i morsi della fame allo stomaco. Ma il suo divertimento finì nel momento in cui si accorse di cosa, o meglio di chi fosse l’oggetto di quella discussione sempre più accesa.

Tese i muscoli, pronto a balzare in avanti nel caso in cui uno di quei luridi Orchetti avesse tentato di mettere in pratica il proposito di cenare con le gambe dei due Hobbit. Ma gli Uruk-hai non erano disposti a trasgredire agli ordini del loro signore: i Mezzi Uomini dovevano esser portati sino a lui vivi. Un Orchetto tentò un’offensiva, ma un Uruk-hai gli tagliò la testa di netto e le creature ringhianti si gettarono sul cadavere del ex compagno decapitato, ignorando i due piccoli prigionieri. Huan vide gli Hobbit strisciare a terra, le mani legate, tentando di allontanarsi da quel macabro banchetto. Tuttavia non erano riusciti a passare del tutto inosservati, poiché un Orchetto afferrò Pipino, pronto a farlo a fettine.

Un attimo dopo, tutto era precipitato nel caos. Una squadra di soldati a cavallo erano sbucati improvvisamente dalle ombre, cogliendo il drappello impreparato e cominciando a far strage degli Orchi. Lance e frecce volavano in letali parabole e le spade fendevano l’aria e le carni.

Huan cercò con lo sguardo i due Hobbit, senza però riuscire a individuarli in quella marea di gambe, braccia e zampe.

Ringhiando di frustrazione si costrinse ad arretrare cautamente verso gli albero per evitare di esser scorto dai cavalieri.

Fu mentre retrocedeva verso il folto della boscaglia che intercettò l’odore degli Hobbit.

Senza più esitare, il Lupo balzò in avanti, seguendo la scia: Merry e Pipino erano inseguiti da un Orchetto. A giudicare dall’odore doveva essere ferito, ma gli Hobbit erano disarmati e quindi vulnerabili.

Imitò una delle tecniche che aveva visto usare a Jill e spinse la sua mente in avanti, a sondare la foresta: erano vicini. Ancora un poco e…

S’arrestò.

Nessun odore gli aveva preannunciato quella vista, nemmeno la sua mente l’aveva percepito. Ma non se ne stupì.

“ Magia…” gli sfuggì un ringhio.

Ancora quella dannata magia. Ancora quei dannati stregoni.

 

La notte era trascorsa, quando Legolas si voltò verso il sole nascente.

-      Sorge un sole rosso – annunciò quasi tra sé – stanotte è stato versato del sangue. –

Jill lo seguì con lo sguardo ma lui evitò accuratamente di incrociare i suoi occhi. Per l’ennesima volta.

Si mordicchiò il labbro, frustrata. Non era difficile intuire che il motivo di quella ritrosia fosse lo strano episodio della notte precedente, eppure non ricordava di aver fatto o detto nulla di biasimevole.

Aggrottò la fronte. Per quanto si sforzasse, riusciva a ricordare solo l’oceano e una voce misteriosa che la chiamava dalle sue profondità. Non era riuscita a comprendere quella visione; per quanto ne sapeva lei, poteva essere stata una premonizione così come l’incubo di una notte di burrasca passata in mare. Si era interrogata a lungo anche su quel richiamo, ma aveva finito per concludere che si fosse trattato del prodotto della sua immaginazione: tra gli uomini di mare circolavano diverse storie di fantasmi che infestano le acque, pronti a trarre in inganno i marinai incauti e trascinarli nelle profondità più nere.

In ogni caso non aveva reso nessuno partecipe delle sue assurde elucubrazioni, dunque l’Elfo avrebbe dovuto supporre che il mancamento fosse dovuto alla stanchezza e alla fame. A meno che…

“ A meno che non si sia infiltrato nella mia mente e abbia visto qualcosa…”

Un moto di rabbia le salì su per la gola ed ebbe l’istinto di aprire bocca e dar voce alla frustrazione per la mancanza di rispetto della sua intimità. Ma quando schiuse le labbra ne uscì appena un soffio indistinto.

Serrò la mascella e strinse con forza i pugni.

Sentendosi osservata, la rossa lanciò un’occhiata avanti a sé, giusto in tempo per intercettare due enigmatici occhi blu. Fu poco più di un istante, poi saettarono lontani da lei.

 

Per tutta la mattina Legolas non fece che rimuginare su quanto accaduto. Aveva pochi dubbi sull’identità della figura che aveva scorto. Ma cosa poteva avere a che fare con Jill? E soprattutto, lei aveva idea di cosa tutto ciò potesse significare?

Studiandola di nascosto aveva come l’impressione che lei non se ne ricordasse nemmeno. Eppure era sicuro che la Corsara avesse visto e udito più di quanto lui potesse immaginare.

Per un attimo la sua mente volò di nuovo a quelle onde, alla potenza della voce tonante e all’immensità dell’oceano al di là di quella barriera. Il suo cuore venne stretto in una morsa.

Da tempo immemorabile gli Elfi avevano lasciato lo splendore di Valinor per trasferirsi nella Terra di Mezzo, eppure la magnificenza di quei luoghi ancora si specchiava negli occhi di coloro che vi avevano vissuto e veniva tramandata a chi che non ne avevano avuto il privilegio. Legolas era nato e cresciuto nella Terra di Mezzo, tuttavia la stessa malinconia che albergava nel cuore dei più antichi della sua stirpe pareva essersi estesa anche al suo animo.

Per la prima volta si ritrovò a invidiare lo spirito della Corsara, che non conosceva né obblighi né ostacoli. Quello che per lui era un confine invalicabile per lei rappresentava la chiave della libertà, un luogo selvaggio in cui poteva essere sovrana di se stessa senza dover rendere conto a nessuno.

Lanciò un’occhiata alle sue spalle per sbirciare la sua espressione. Come volevasi dimostrare: era di nuovo arrabbiata.

Stranamente, l’Elfo sorrise, attento a non farsi notare da nessuno. Non riusciva ancora a capire come quella fanciulla riuscisse a condizionare tanto i suoi stati d’animo, facendolo passare dalla preoccupazione, alla frustrazione, alla tenerezza.

“ Prima o poi mi farà impazzire.”

Tuttavia quel pensiero non gli cancellò il sorriso dalle labbra. Forse perché l’idea non gli dispiaceva poi così tanto: fino a quel momento aveva condotto un’esistenza placida e priva di tormenti, mentre Jill era una costante fonte di guai e di preoccupazioni.

“ In questo senso, potrebbe fare concorrenza a Merry e Pipino!”

Al pensiero di quanto l’avrebbe indispettita con queste parole, quasi gli venne da ridere.

 

Fu Aragorn a metterli in guardia poco prima dell’arrivo del drappello di soldati a cavallo e la Compagnia si nascose. Questi li superarono rapidi senza vederli.

Jill trasse un sospiro di sollievo: tra Rohan e i Corsari di Umbar non correva buon sangue e l’idea di dare battaglia a un intero squadrone di cavalieri ben armati non la entusiasmava per niente, tanto più che l’inseguimento degli Uruk-hai aveva bruciato molte delle sue energie.

Quasi a prendersi gioco dei suoi pensieri, il Ramingo li richiamò a sé.

-      Cavalieri di Rohan! Quali notizie dal Mark? –

Jill si voltò sbigottita verso la loro guida: aveva deciso di farli finire infilzati come spiedini solo per essere aggiornato sulle novità di quelle terre?

Subito il soldato in testa al gruppo sollevò la lancia e li fece tornare indietro. La Compagnia si ritrovò circondata da decine di lance. Un cavaliere emerse dal gruppo per apostrofarli. Jill suppose si trattasse di uno dei tre marescialli di Rohan, a giudicare dalla candida coda di cavallo che adornava il suo copricapo. Portava un’armatura leggera, adatta a lunghe cavalcate, e un elmo decorato da un drago bronzeo, che scendeva sul suo viso per proteggergli il setto nasale. Non riusciva a vederlo bene in volto, ma venne scottata dai suoi occhi scuri: trasmettevano la forza e la sicurezza di un condottiero. Abbassò un poco lo sguardo, leggermente turbata da quei dardi marroni, e qualcosa sulla sua armatura attirò il suo sguardo: sangue.

-      Cosa ci fanno un Elfo, un Uomo, un Nano e… - si soffermò un attimo a guardarla – una Corsara nelle terre del Mark? –

Jill raddrizzò la schiena impettita: sebbene il tono del cavaliere non l’avesse sicuramente lasciato intendere come un complimento, era soddisfatta per non esser stata catalogata semplicemente come una donna.

-      Parlate in fretta! – aggiunse.

-      Dimmi il tuo nome, signore dei cavalli, e io ti dirò il mio. -

La Corsara sorrise divertita al Nano, che non intendeva far calpestare il proprio orgoglio.

Il cavaliere corrugò la fronte e smontò dal proprio destriero. Con passo deciso di avvicinò a Gimli, che sollevò il mento con aria di sfida, sotto lo sguardo preoccupato di Aragorn.

-      Ti taglierei la testa, Nano – caricò di disprezzo l’ultima parola – se solo si levasse più in alto da terra. –

Un istante dopo Jill aveva estratto la spada e Legolas aveva inforcato una freccia nel suo arco.

-      Moriresti prima di vibrare il colpo – lo minacciò l’Elfo.

I cavalieri furono rapidi nel levare anche loro le armi. Ma Aragorn si frappose tra i suoi compagni e il maresciallo, placando gli animi e presentando i membri della Compagnia.

-      Siamo amici di Rohan e di Theoden, vostro re. – concluse il Ramingo.

Jill piegò la bocca in una smorfia: non aveva idea del tipo di rapporto che i suoi compagni avevano con il sovrano di Rohan, ma di certo i Corsari non potevano essere considerati suoi amici.

Più disteso, il cavaliere sfilò l’elmo, rivelando un volto fiero scolpito dalle battaglie. Il suo sguardo però s’era velato di tristezza e delusione. Jill pensò che il giovane guerriero pareva più vecchio di quanto dimostrassero i tratti del suo viso, come se un pesante fardello l’avesse fatto invecchiare precocemente.

-      Theoden non sa più riconoscere gli amici dai nemici – sospirò – Nemmeno la propria stirpe. -

I cavalieri attorno a loro abbassarono le lance.

-      Saruman – riprese il maresciallo – ha avvelenato la mente del re e stabilito il dominio su queste terre. –

Un brivido percorse la schiena di Jill. Il suo antico maestro era sempre stato bravo nell’uso delle parole, ma da lì a manipolare la mente di un re…

Strinse i pugni, frustrata e arrabbiata. Per lungo tempo ai suoi occhi Saruman era parso un luminare dall’animo nobile, tanto generoso da istruire e accogliere nella sua magnifica dimora una superstite senza casa né famiglia, proveniente da una città straniera di cui non restavano che macerie e cadaveri. Eppure giorno dopo giorno apprendeva sempre più quanto quel periodo trascorso nella torre di Isengard a leccarsi le ferite e poi a godersi un po’ di ritrovata serenità fosse stato una mera messinscena: Saruman non era mai stato intenzionato a darle un futuro, bensì voleva certamente servirsi dell’allieva per assoggettare i popoli di quelle terre.

-      La mia compagnia è di quelle fedeli a Rohan – continuò il cavaliere – e per questo veniamo banditi. –

Improvvisamente quel ufficiale le parve molto simile a lei: costretto a lasciare la sua casa senza potervi fare ritorno, tradito dalla persona che rispettava e cui aveva dato la sua fedeltà.

-      Lo Stregone Bianco è astuto – sibilò il cavaliere avvicinandosi ai viaggiatori – Vaga qua e là, dicono, come un vecchio con mantello e cappuccio. E ovunque le sue spie – indirizzò il suo sguardo verso Jill – sfuggono alle nostre reti. –

La Corsara sollevò un sopracciglio di fronte a quell’insinuazione poco velata, ma fu di nuovo Aragorn a prendere la parola.

-      Noi non siamo spie – spiegò in tono calmo e conciso – stiamo inseguendo un gruppo di Uruk-hai diretti a ovest. Hanno fatto prigionieri due nostri amici. –

Lo sguardo del cavaliere s’incupì.

-      Gli Uruk sono distrutti, li abbiamo trucidati questa notte. –

-      Ma c’erano due Hobbit! – intervenne Gimli – Hai visto due Hobbit con loro? –

-      Sono piccoli – precisò il Ramingo – dei bambini ai vostri occhi. –

Il maresciallo si prese un attimo per rispondere.

-      Non ci sono vivi. Abbiamo ammassato le carcasse e dato fuoco. – concluse, indicando la colonna di fumo che s’innalzava più avanti nella vallata.

Jill sentì il cuore perdere un battito.

Gandalf.

Boromir.

Merry e Pipino.

Il sacrificio del guerriero di Gondor era stato vano?

“ No, non è possibile…”

Proiettò la sua mente verso il punto indicato dal cavaliere, passando poi a tappeto la zona in cerca di un qualsiasi segno.

“Huan!” chiamò “Huan! Huan, fratello mio, dove sei?”

Nulla.

Una sensazione agghiacciante s’impadronì di lei. Huan non poteva essere morto, altrimenti avrebbe certamente percepito il suo trapasso. Ma allora perché non le rispondeva? I battiti del suo cuore accelerarono, riempiendo le sue orecchie col loro martellante tamburellare.

“Jill” percepì il leggero tocco mentale di Legolas “che ti succede?”

Lo ignorò.

Quasi non si accorse dei due cavalli che il maresciallo aveva fatto avvicinare e delle parole da lui pronunciate.

-      Non fidate nella speranza. – si congedò l’uomo montando in sella – Ha abbandonato queste terre. –

 

 

Continua…

 

 

N.d.a: 

Innanzitutto rivolgo un ringraziamento speciale a OrangeMask, che mi ha restituito la voglia di scrivere.

Mi scuso con tutti coloro che avevano cominciato a leggere questa storia e non hanno potuto leggerne la prosecuzione. Ma dopo aver finito La Corsara mi è venuto una specie di “blocco dello scrittore” e anche se le idee erano tutte pronte nella mia testa, non riuscivo a esprimerle in forma scritta.

Infine auguro buona lettura a tutti quanti, sperando che questa seconda parte vi appassioni almeno quanto la prima. Spero di poter leggere i vostri commenti, sono ben accette sia le critiche positive che quelle negative!

 

A presto,

 

Monalisasmile

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Capitolo 2
*** - ***


Capitolo 2

 

L’incedere ritmico del cavallo di Aragorn cullava la sua mente ma non i suoi pensieri.

“Huan…”

Cosa poteva esser capitato a lui e gli Hobbit?

-          Jill – l’apostrofò il Ramingo in tono pacato – Riesci a sapere da Huan cos’è successo ai nostri amici? –

Jill scosse brevemente il capo, il cuore stretto in una morsa, distogliendo lo sguardo dal volto preoccupato di Aragorn.

 

Smontarono da cavallo di fronte al mucchio di carcasse fumanti.

La puzza era pestilenziale e Jill si coprì il volto con una mano, nauseata. Gimli, testardo, cominciò a frugare tra i resti degli Uruk-hai.

La Corsara lo guardò con la pena nel cuore: sapeva che il Nano sperava di non trovare nulla che potesse ricondurre agli Hobbit, cosicché potessero sperare in una loro fuga dal luogo del massacro. Ma quando Gimli estrasse il fodero bruciacchiato di una delle loro piccole spade, anche quell’ultima speranza si dissolse.

Aragorn emise un grido di rabbia e lei lo osservò accasciarsi sulle ginocchia, impotente e colmo di rimorsi per non essere riuscito a salvare i piccoli amici come si era ripromesso.

“ E come promesso a Boromir.”

Legolas mormorava una preghiera in elfico, mentre Gimli vagava spaesato tra le carcasse degli Orchi.

Il guerriero di Gondor aveva dato la sua vita nel tentativo di salvare quella dei due Hobbit, ma il suo sacrificio era risultato vano.

Ripensò alla spensierata ingenuità dei due Hobbit, al loro contagioso buon umore, alla loro fame insaziabile, al piacere che provavano fumando della buona erba pipa. Vivevano alla giornata e traevano gioia dalle piccole cose come raramente le persone sapevano fare.

“ Non doveva andare così…”

Loro non avrebbero dovuto conoscere gli orrori della guerra e affrontare un viaggio tanto pericoloso. Avrebbero dovuto condurre un’esistenza felice nella loro amata Contea, dove giorni spensierati si sarebbero succeduti gli uni agli altri, in mezzo alla loro gente. Invece erano morti in una terra sconosciuta, prigionieri degli Orchi. Da soli. E terrorizzati.

“ Se solo non ci fossimo fermati l’altra notte…”

Se avessero continuato la marcia un altro poco a quell’ora avrebbero potuto riabbracciare Merry e Pipino.

“ E Huan…”

Forse il cavaliere di Rohan aveva ragione: la speranza aveva davvero abbandonato quelle terre.

Appoggiò una spalla al fusto di un albero e si lasciò scivolare fino a terra, stanca e prossima alle lacrime, il cuore sofferente e la mente incapace di formulare un pensiero coerente. Poggiando una mano sul terreno percepì una vecchia traccia: il Lupo era stato lì, probabilmente acquattato tra gli alberi per celare la propria presenza e nel contempo tenere d’occhio gli Hobbit. Forse nell’agitazione dovuta all’attacco dei cavalieri di Rohan era balzato fuori dal suo nascondiglio per trarre in salvo i due Hobbit ed era stato colpito. Ripensando allo stato di semi incoscienza  in cui era precipitata la sera prima, Jill suppose che sarebbe potuto accadere durante quei minuti oppure subito dopo, quando aveva perso i sensi.

Corrugò la fronte, turbata. Eppure c’era qualcosa che non quadrava. Il loro legame era molto forte, un vincolo di sangue e di anime, per cui era certa che se mai l’avesse perso al risveglio non avrebbe potuto non accorgersene. Non poteva vantare approfondite conoscenze in materia, eppure l’istinto le diceva che Huan era vivo. Tanto più che il suo imponente corpo sarebbe stato facilmente riconoscibile tra i cadaveri degli Orchi.

Quell’ultima conclusione le parve abbastanza assennata da rinvigorire le sue speranze. Tuttavia restava il dilemma sul perché non riuscisse a comunicare con lui.

Si lasciò andare all’indietro, stendendosi tra l’erba soffice che portava ancora l’odore del Lupo, lasciando che quella sensazione confortante l’avvolgesse e lenisse il suo turbamento. Espanse la sua mente a raggiera attorno al suo corpo, cercando di carpire ogni più piccola traccia lasciata da Huan. Sorrise tra sé: le facoltà del suo naso non erano fisicamente migliorate, ma grazie al legame con il Lupo pareva avesse maturato una sorta di sensibilità mentale che le permetteva di percepire meglio le tracce. E non solo.

Non aveva mai percepito tanto distintamente gli odori portati dal vento, il profumo pungente e inebriante del sottobosco. Un leggero raspare attirò la sua attenzione e alzò il volto appena in tempo per scorgere la coda di uno scoiattolo che s’infilava nella corteccia di un albero. Un suono quasi impossibile da captare per l’orecchio di un Uomo, ma che i suoi sensi avevano percepito chiaramente. Si chiese se anche Huan avesse acquisito qualche nuova facoltà grazie al legame con lei. E sgranò gli occhi.

 

Balzò in piedi tanto rapidamente da far sobbalzare Gimli. Si avvicinò al mucchio di carcasse e raccolse il piccolo fodero annerito: se poteva percepire la traccia di Huan forse poteva sentire anche quella dell’Hobbit cui era appartenuto quel oggetto. Aveva solo bisogno di un indizio che le permettesse di riconoscerla.

Chiuse gli occhi e si concentrò. Man mano che passava le mani sul fodero, nel buio della sua mente la guaina prese forma e su di essa sfavillarono come lucciole tanti piccoli segni lasciati da chi era venuto in contatto con quell’oggetto. Cominciò a scartare con attenzione quelle troppo vecchie o troppo confuse, in cerca di una traccia netta e che potesse ricondurre esclusivamente agli Hobbit. Ma si trattava di un manufatto antico che i suoi piccoli compagni avevano ricevuto in dono e che recentemente era stato loro confiscato da un drappello di sudici Orchi.

L’annusò e subito arricciò il naso disgustata, cercando tuttavia di andare al di là della puzza di Uruk-hai. Corrugò la fronte concentrata: le serviva qualcosa di più marcato di quell’odore ripugnante e allo stesso tempo inconfondibile.

“Pensa, Jill, pensa. Che cosa potrebbe lasciare un Hobbit al suo passaggio? Qualcosa di forte, qualcosa di…”

Sorrise: erba pipa! Non fece fatica a individuarne l’odore singolare, forte e un po’ pungente che lei stessa aveva spesso inalato passando quelle settimane in loro compagnia.

Una volta memorizzata la traccia, senza riaprire gli occhi si sedette e puntò le mani sul terreno, spandendo la sua coscienza tutto attorno a sé.

 

Gimli si volse verso Aragorn in cerca di spiegazioni.

-          Credo – parlò cauto il Ramingo, soppesando le sue parole ma con un barlume di speranza nello sguardo – che stia cercando una pista dei nostri amici. –

-          Povera Jill – borbottò il Nano a capo chino – non riesce ad accettare l’ennesima perdita in questa Compagnia. –

 

Il vento soffiava nei capelli rossi, agitandoli attorno al volto concentrato. Legolas osservò i suoi lineamenti, fece scivolare lo sguardo lungo lo zigomo accentuato, scendendo lungo la linea delicata della mandibola fin sulla nuca abbronzata, le spalle dritte e la schiena eretta. Aveva un portamento altero, seduta a terra con le gambe incrociate e le mani affondate nel terreno come nessuna principessa avrebbe mai fatto. Non era sangue reale quello che le scorreva nelle vene, eppure era tanto orgogliosa e caparbia che non si sarebbe piegata di fronte a niente e nessuno.

“ Probabilmente nemmeno davanti ai miei sentimenti…”

Eppure sapeva di tenere a lei anche per quello, perché non era in grado di accettare alcuna imposizione. Al contrario del principe di Bosco Atro, che da tanti anni ormai aveva accettato il destino che altri avevano scelto per lui.

Si soffermò sulle dita della Corsara, segnate da minuscole cicatrici e cosparse di piccoli calli. Nella sua vita Jill aveva combattuto ogni giorno per conquistare e poi difendere il posto che occupava nel mondo, poiché nulla le era stato donato da titoli e privilegi.

A Umbar, come nel resto della Terra di Mezzo, le donne venivano generalmente considerate inferiori agli uomini e inadatte alla guerra come a tutti quei lavori che non rientravano nell’ambito domestico. Le eccezioni erano poche e generalmente non viste di buon occhio, lo sapeva bene. La stessa Compagnia dell’Anello era inizialmente scettica all’idea di accettare una donna tra le sue fila, cosa che era stata possibile principalmente grazie all’intervento di Gandalf. Poteva perciò immaginare quanti avessero tentato di ostacolarla, mettendo in discussione il suo valore, facendo vacillare la sua risolutezza. Eppure da quando l’aveva conosciuta il suo sorriso era sempre stato radioso e l’espressione fiera di chi è sicuro di sé: le ferite, per quanto profonde, avevano temprato il suo spirito senza farle perdere la fiducia in se stessa.

Gli occhi dell’Elfo s’incatenarono alla cicatrice sul collo della fanciulla e il suo ultimo pensiero vacillò. Per quando forte e ostinata, si chiedeva fino a che punto la sua fiducia fosse già stata messa alla prova e quanto ancora lo sarebbe stata.

Si sa: a lungo tirare, anche la corda più robusta finisce col spezzarsi.

 

Jill tese la sua rete mentale tutto attorno a sé, lasciando che le maglie si stringessero attorno a ogni impronta, odore, sapore e sensazione che riuscisse a captare.

Nei suoi pensieri le scene di quella notte cominciarono a prendere forma e il vento parve portarle alle orecchie le grida degli Orchi e dei cavalieri, il metallo che batteva contro altro metallo, il nitrire dei cavalli, il ringhiare degli Uruk-hai e le parole di un Hobbit che intendeva svignarsela.

Drizzò il capo, come un segugio che aveva fiutato la pista giusta. China, con le mani che sfioravano il terreno, si spostò sull’erba bruciacchiata e intrisa di sangue. Toccò il punto in cui la notte prima giacevano i due piccoli corpi, le mani legate.

 

Aragorn le si affiancò, spostando alcune zolle.

-          Qui giaceva un Hobbit – constatò – e qui l’altro… -

Ma Jill era già scattata avanti, i passi sicuri. Toccò una pietra e raccolse una corda spezzata. Se la rigirò un attimo tra le mani, l’annusò e riprese a camminare, seguita dai compagni.

Accelerò il passo, arrestandosi al limitare della foresta e volse il capo a sinistra, dove un’altra scia andava a congiungersi con la precedente.

 

-          Sono fuggiti nella Foresta di Fangorn? –

Lei annuì, poi si volse verso Legolas.

“ Sono stati inseguiti da un Orchetto, ma era ferito. Huan si è messo alle loro calcagna.”

“ Dunque stanno bene?”

Jill aggrottò le sopracciglia, inquieta.

“ Non ne ho idea… Non riesco a sondare la foresta, credo sia schermata da un incantesimo. Non posso comunicare nemmeno con Huan…”

Legolas le posò una mano sulla spalla, regalandole un sorriso rassicurante e costringendola a distogliere lo sguardo per non arrossire fino alle orecchie. Poi spiegò ai compagni quanto la rossa gli aveva comunicato.

“ Stupida Jill” si disse lei, scuotendo il capo come a voler cancellare un pensiero molesto “ non è la prima volta che Legolas ti sorride e non è il caso di farsi venire le ginocchia di burro per questo!”

Una vocina dentro di lei la canzonò: l’indomita Corsara poteva combattere a testa alta contro un drappello di feroci Uruk-hai ma arretrava di fronte al sorriso affabile di un avvenente Elfo?

Per qualche strano motivo quel pensiero la intristì. Forse perché non avrebbe voluto mostrarsi tanto sensibile alle gentilezze. Forse perché nel gesto del principe di Bosco Atro c’era sicuramente solo quello: garbo e amabilità.

 

Aragorn seguì le tracce dei fuggiaschi, che si spingevano sempre più in profondità nella vegetazione. L’Orchetto aveva perso non poco sangue e le sue impronte dopo quelle di Huan erano sempre più evidenti. Svoltarono attorno a una grossa quercia, rimanendo perplessi: le orme del Lupo erano scomparse.

 

-          Queste impronte sono strane… - disse Aragorn.

“ Impronte?” pensò Jill con una smorfia, seguendo lo sguardo del ramingo fino a terra “A me sembrano piuttosto dei crateri! Ma che razza di creature ci sono in questa foresta?”

E dire che fino a pochi mesi prima passeggiava tranquillamente per i suoi sentieri, ascoltando il fruscio delle fronde degli alberi e facendosi cullare dal cinguettio degli uccelli. Ora più che una boscaglia lussureggiante sembrava infestata dai fantasmi.

Gimli andava avanti borbottando di storie su alberi stregati e radici che ghermivano i viaggiatori.

-          Questa foresta è vecchia – commentò Legolas tra sé, porgendo l’orecchio ai suoni della natura – molto vecchia. Piena di ricordi… e rabbia. –

Le fronde si agitarono e le cortecce parvero scricchiolare. Tutti si voltarono a guardare il Nano che aveva alzato l’ascia, spaventato. Aragorn gli fece segno di abbassarla.

Jill rise sotto i baffi del disagio di Gimli e di quanto i suoi timori fossero più fondati di quanto pensasse: magari quegli alberi non se ne andavano a passeggio come nelle storie che aveva sentito, ma quella foresta era senza dubbio più viva di quanto potesse sembrare.

 

Legolas scattò in avanti, tallonato da Aragorn e seguito a ruota da Jill.

-          Aragorn, nad no ennas!  -

Jill alzò gli occhi al cielo: il principe di Bosco Atro e Aragorn avevano questa pessima abitudine di scambiarsi frammenti di conversazioni in elfico. Una cosa piuttosto vanesia e discriminante dal suo punto di vista. Si ripromise di farglielo presente.

-          Man cenich? – gli rispose il Ramingo.

Jill cercò di sondare la boscaglia per darsi da sola una risposta, ma lo stesso incantesimo in cui s’era imbattuta al limitare della foresta le impedì nuovamente di ispezionare il territorio. Lanciò un’occhiata all’espressione seria e guardinga dell’Elfo.

-          Lo Stregone Bianco si avvicina. –

La mano della Corsara andò immediatamente ad afferrare l’elsa di Carcharoth.

Aragorn strinse la mascella.

-          Non lasciate che parli – disse a denti stretti – Ci farebbe un incantesimo. –

Il Ramingo si preparò a sguainare la spada, Gimli strinse la presa sulla sua ascia, Legolas fece scorrere le dita sulle piume della sua freccia e Jill accarezzò dolcemente l’impugnatura dei lunghi pugnali che portava ai due lati della cinta.

-          Dobbiamo agire in fretta. –

Il cuore di Jill batteva all’impazzata nel petto al pensiero che forse era finalmente arrivato il giorno della resa dei conti. Avrebbe mirato alla gola, così da far tacere per sempre quella voce melliflua e velenosa.

Sorrise maligna: era il momento di restituirgli il favore.

 

Si girarono all’unisono e sferrarono l’attacco. Una luce bianca li abbagliò e lo stregone deviò con facilità tutti i loro colpi.

Jill era pronta a mettere mano alla spada e vendere cara la pelle, quando la figura avvolta da quella candida luce parlò.

-          State cercando due giovani Hobbit. –

Qualcosa nel tono di quella voce fermò la mano della fanciulla a mezz’aria. E non era un incantesimo.

-          Dove sono? – gli gridò Aragorn di rimando.

-          Sono passati di qua – non si scompose lo stregone – L’altro ieri. Hanno incontrato qualcuno che non s’aspettavano. Questo vi conforta? –

Qualcosa nel cuore di Jill gridò di gioia e lei sgranò gli occhi, meravigliata da quell’intuizione.

-          Chi sei? – corrugò la fronte Aragorn – Fatti vedere! –

La luce accecante s’attenuò e una figura prese forma a poco a poco.

Jill sorrise, gli occhi già colmi di lacrime e la vista annebbiata.

“Gandalf…”

 

Non era più Gandalf il Grigio. Dopo aver lottato strenuamente contro il Balrog ed essere riuscito a eliminarlo, il suo corpo era ormai allo stremo. Tuttavia il compito assegnatogli non era ancora terminato e il suo spirito era tornato indietro, dandogli nuova vita. I Valar gli avevano fatto dono di nuovi poteri, elevandolo allo status di Bianco.

Svanita quella luce abbagliante alle sue spalle era comparso anche Huan. Il Lupo, comodamente sdraiato e con la testa poggiata sulle zampe anteriori, non aveva fatto una piega, limitandosi ad alzarsi e atterrare con un balzo al fianco della sua compagna. Ma lei aveva occhi solo per il suo ritrovato maestro e Huan si riaccomodò accanto a lei.

Stregoni!” pensò tra sé e sé “A quanto pare non riescono a rinunciare all’appariscenza.”

Gandalf gli strizzò l’occhio e il Lupo poggiò nuovamente la testa sulle zampe: quello stregone tutto sommato non gli dispiaceva.

 

Gandalf li rassicurò immediatamente riguardo le sorti di Merry e Pipino, rimanendo tuttavia piuttosto vaga riguardo l’identità del misterioso Barbalbero.

Jill pensò che certe cose probabilmente non sarebbero mai cambiate, come il gusto del suo maestro per il mistero e il modo in cui custodiva tante informazioni. Eppure quel pensiero anziché stizzirla le diete una piacevole sensazione di conforto.

Lo stregone propose alla Compagnia una breve sosta prima di dirigersi verso Edoras, la capitale del Regno di Rohan. Mentre parlava Jill osservava colma di eccitazione le sue nuove vesti bianche, percependo il nuovo potere che tutta la sua figura emanava, quasi ne fosse intrisa la tela candida.

“Sarebbe quasi il caso di andare a bussare alla porta di Saruman per proporgli un secondo round!” ghignò fra sé, esaltata all’idea del confronto come lo era stata quando un Corsaro lanciava una sfida a un rivale che gli aveva fatto un torto di troppo. Ma qualcosa nell’espressione seria dello stregone soffocò la sua eccitazione sul nascere. Non erano sul ponte di una nave o in un malfamato locale. Lo sfidante non era un losco individuo che s’era appropriato di un sudato bottino o che aveva allungato le mani sulla donna di qualcuno. In gioco non c’erano tesori, amanti o il rispetto di una ciurma. Quelle, in confronto, erano bazzecole: la Compagnia dell’Anello aveva nelle mani le sorti di tutti i popoli della Terra di Mezzo. 

S’accamparono in una piccola radura. Huan s’accucciò al limitare della foresta e la fanciulla andò a raggiungerlo. Sganciò la spada e i lunghi pugnali dai fianchi e si sfilò la sacca da viaggio, posandola a terra. La scatola di legno produsse un tonfo sordo, mentre qualcos’altro al suo interno sbatacchiò.

Jill estrasse la custodia e la soppesò tra le mani. Era lunga più di due spanne e larga e alta una e mezza. Il legno non apparteneva alle piante che si potevano solitamente trovare nell’entroterra della Terra di Mezzo, somigliava piuttosto a quello dei pini marittimi che crescevano lungo le coste del sud. Ma si trattava solo di supposizioni, poiché la salsedine e il tempo avevano consumato quella scatola, deteriorandone il legno e arrugginendo le cerniere metalliche.

Aveva tentato di indovinare più e più volte il suo contenuto: a giudicare dal rumore poteva trattarsi di un oggetto in pietra, ma era più leggero e sembrava avere una forma piuttosto articolata.

Si sdraiò sulla pancia, tenendo la scatola davanti a sé, per poi rigirarsi sulla schiena e alzarla sulla sua testa, verso il cielo stellato sgombro di nubi. Aveva anche provato a forzare la serratura e le cerniere metalliche.

“ Giusto per essere sicura che nel momento del bisogno riesca ad aprirla” si era detta per giustificare la curiosità crescente.

Ma non c’era stato verso di farle saltare, nemmeno incidendo il legno. Aveva tentato anche con la magia, ma di nuovo senza risultati. Probabilmente la scatola era sigillata da qualche potente incantesimo a lei sconosciuto.

Si chiese come mai Dama Galadriel non le avesse spiegato la natura del dono e come avrebbe fatto a capirne il tempo e il modo di un corretto utilizzo.

-          È un dono davvero prezioso quello che tieni tra le mani, piccola Jill. –

La fanciulla sobbalzò e lo stregone entrò nel suo campo visivo. Si mise a sedere e l’Istaro s’accomodò accanto a lei.

Jill mise il broncio.

“ Peccato che Dama Galadriel non mi abbia rivelato cosa contiene!” si lamentò.

Appena pronunciate quelle parole se ne pentì, ricordando la gentilezza e il prestigio della Signora di Lorien e maledicendosi per quel tono irrequieto e irrispettoso. Si aspettò un severo rimprovero, ma il suo maestro rise di gusto.

“ Noto con piacere che la tua menomazione ha frenato la tua lingua ma non il tuo sarcasmo, piccola mia.”

Le accarezzò gentilmente il capo e Jill provò una sensazione che non percepiva da tanto: si sentiva al sicuro e a casa. Con uno slancio abbracciò lo stregone, andando a nascondere il volto nella sua tunica bianca e inspirandone l’odore: sapeva di pini e erbe montane.

 

Gimli tirò su col naso e s’appoggiò alla grande ascia.

-          Sapete – si rivolse ai due compagni che guardavano la scena insieme a lui – è mancato pure a me! –

Aragorn posò una mano sulla spalla del Nano, annuendo: Gandalf era mancato a tutti loro.

 

“ Sei ancora interessata al contenuto di quella scatola?”

Jill si staccò dallo stregone, gli occhi attenti colmi di curiosità. Si rimise seduta a gambe incrociate, la custodia di legno sulle gambe, pronta ad ascoltare le parole del maestro.

“ Ricordi le storie che ti raccontavo a proposito dei Valar, i Signori di Valinor, coloro che gli Uomini chiamano Dei?”

La rossa annuì, ripensando ai miti e alle leggende di cui aveva letto e sentito parlare. Aveva ascoltato piena di meraviglia il racconto della Prima Età del Mondo, quando Morgoth, primo Signore Oscuro, aveva gettato la sua ombra sui regni della Terra di Mezzo con l’unico scopo di distruggere tutto il Creato. Sia gli Undici Valar Supremi che i più grandi condottieri gli avevano mosso guerra durante tutta la Prima Era per liberare quelle terre dalla sua malvagia presenza. I Draghi, I Balrog e lo stesso Sauron erano stati creati e plagiati da Morgoth.

Jill rabbrividì: l’idea che fosse esistito un essere superiore a Sauron in potenza e malvagità le faceva accapponare la pelle.

Strinse la mascella. Peccato che dopo la sconfitta di Morgoth durante la cosiddetta Guerra d’Ira i Valar non si siano più fatti vedere nella Terra di Mezzo, altrimenti Sauron avrebbe avuto i minuti contati!

“ Ricorderai gli Undici Valar Supremi. Manwe è il primo di tutti i re del Creato, il Sovrano di Valinor e Signore dei Venti, il più possente tra i Valar. Ma appena inferiore a Manwe per potenza c’è Ulmo, il Signore delle Acque…” sorrise alla fanciulla “Potremmo considerarlo il protettore di tutti gli uomini di mare, non ti pare?”

Jill sorrise, annuendo.

Ulmo non aveva una dimora fissa, ma si muoveva a piacimento tra le acque e si recava in Valinor solo per trattare le questioni più importanti. Egli era inoltre l’unico tra gli Undici Supremi a non essersi mai scelto una consorte.

“ Probabilmente perché non s’addiceva al suo stile di vita” aveva ragionato Jill con un’alzata di spalle.

Non amava camminare sulla terra e, al contrario degli altri Valar, raramente assumeva forma umana. Correva voce che il levarsi del Re del Mare fosse terrificante. Ciò nonostante Ulmo ha sempre amato sia gli Elfi che gli Uomini e non li ha mai abbandonati, tant’è che durante la lunga guerra contro Morgoth è intervenuto più degli altri Valar in loro favore. Tutti i mari, i laghi, i fiumi, le fonti e le sorgenti sono sotto il suo dominio, motivo per cui gli Elfi hanno sempre sostenuto che lo spirito di Ulmo scorra in tutte le vene del mondo.

La fanciulla si era emozionata quando Gandalf le aveva riferito che persino il potente Morgoth aveva sempre temuto il mare poiché, come il suo signore Ulmo, impetuoso e libero per natura, non poteva essere né plagiato né incatenato.

“ Tendenzialmente” riprese lo stregone “ il Re delle Acque predilige le profondità dell’oceano e parla alle genti della Terra di Mezzo con parole di un linguaggio ai più sconosciuto e che vengono interpretate come musica dell’acqua: lo zampillio di una sorgente, il placido scorrere di un fiume, l’abbattersi fragoroso di una cascata. Ma a volte approda sulle rive della Terra di Mezzo o si spinge all’interno lungo i fiumi, e qui intona meravigliose melodie con i suoi grandi corni fatti di conchiglie, gli Ulumuri. Chiunque ascolti quella musica non la dimenticherà mai e nel suo cuore crescerà sempre più il desiderio del mare.”

Jill corrugò la fronte e il suo maestro sorrise condiscendente.

“ Credo” proseguì “ che la Signora di Lorien abbia voluto restituirti in qualche modo il potere della voce, consegnandoti un Ulumur del potente Ulmo.”

La fanciulla sgranò gli occhi, puntandoli sull’anonima scatola sul suo grembo.

Trascorsero secondi di silenzio, poi la Corsara piantò gli occhi scuri in quelli cerulei del Istaro.

“ Ti stai prendendo gioco di me.” disse, alzando un sopracciglio.

“ Niente affatto.”

“ Vorresti farmi credere che mi sono portata in giro nella sacca un corno che dovrebbe appartenere a un dio?”

“ Hai già avuto modo di vedere un Palantir, che se non vado errando appartiene alla stessa categoria di oggetti leggendari” le sorrise astutamente lo stregone “Il Balrog che abbiamo incontrato nelle miniere di Moria e lo stesso Sauron prima delle Ere del mondo erano dei Maiar, dei minori al servizio degli Undici Valar Supremi. Vuoi farmi credere che fatichi a credere di esserti imbattuta in uno degli Ulumuri?”

Lei mise il broncio, seccata: inutile insistere, Gandalf riusciva sempre a far tacere le sue proteste e cancellare il suo scetticismo.

“Ammesso e non concesso che dentro a questa vecchia scatola ci sia un Ulumur” insistette la rossa, cocciuta “cosa dovrei farmene di uno strumento musicale?”

“ Le melodie intonate dagli Ulumuri possono variare dal dolce scroscio di un ruscello all’assordante fragore di una cascata, perché in accordo col loro proprietario. Ulmo possiede una voce profonda quanto l’oceano e spaventosa quanto il ruggito di una tempesta, tant’è che il suo urlo durante la battaglia terrorizza i nemici e infiamma lo spirito degli amici” la guardò dritta negli occhi, improvvisamente serio “ Sappiamo entrambi quanto potente e temibile possa essere una voce. È per questo motivo che ne sei stata privata.”

Jill strinse i pugni, sentendo una collera ormai familiare impossessarsi di lei: la furia della vendetta.

“ Questo strumento” continuò Gandalf, costringendola a rimanere concentrata sulle sue parole “ è stato creato per Ulmo, dunque è difficile dire cosa accadrà se usato da te. Ma avrai ormai capito che anche l’oggetto apparentemente più innocuo può dimostrarsi molto pericoloso se usato coi propositi sbagliati o in maniera avventata.”

La Corsara pensò all’Anello del Potere che nelle mani di Sauron avrebbe regalato al Signore di Mordor il controllo sulla Terra di Mezzo, mentre appeso al collo di Frodo diventava di giorno in giorno un fardello più pesante e maligno. Le tornarono in mente i Palantir, le sette pietre sferiche create per comunicare anche a grandi distanze, utili per tale scopo, ma pericolose se utilizzate dai soggetti sbagliati. Cosa che aveva provato sulla sua stessa pelle.

“ Per questo ti è stato detto di farne uso solo in caso di necessità.”

Vedendola pensierosa, Gandalf tornò a sorriderle con dolcezza.

“ Tranquilla, sono convinto che saprai usarlo con avvedutezza e…”

“ Perché io?” gli chiese quasi titubante, il pensiero ridotto a un sussurro “Perché uno strumento tanto prezioso e potente è stato dato proprio a me, quando molti altri sarebbero stati più meritevoli? Non dirmi che Dama Galadriel l’ha fatto perché potessi sopperire alla mia menomazione. E come farò a usarlo nel momento più opportuno se non sono nemmeno in grado di spezzare l’incantesimo che tiene chiusa questa maledetta scatola? ” sollevò il mento, di nuovo combattiva e sfrontata “E come mai un Ulumur si trovava a Lorien? Il Re dei Mari ha saputo delle mie disgrazie ed è stato tanto impietosito da volermi regalare uno dei suoi preziosissimi corni?”

 

Gandalf si prese qualche secondo per guardare quel giovane volto contratto in un espressione decisa, sebbene il suo sguardo rivelasse l’amarezza di cui erano intrisi i suoi pensieri.

Quegli occhi tempestosi gli ricordarono due iridi dello stesso colore ma tanto profondi che, ne era sicuro, chiunque vi sarebbe annegato se solo avesse tentato di sostenerne lo sguardo.

-          Credimi, mia piccola e impaziente Jill – avvicinò una mano alla fronte della fanciulla, distendendo con l’indice le rughe di nervosismo che la solcavano – avrai tutte le risposte che cerchi. –

“ Fammi indovinare” ridusse gli occhi a due fessure “ Avrò le mie risposte a tempo debito.”

Gandalf le sorrise. Jill sbuffò, rilassando le spalle: per quanto le scocciasse ammetterlo, i sorrisi gentili del suo maestro le impedivano di tenergli il broncio. O forse era l’effetto di qualche incantesimo calmante.

“ Dannati stregoni!”

 

Due occhi scuri non si erano staccati un istante da quella scatola. Ma quando Jill la ripose nella sacca, le iridi tornarono dorate.

Huan scosse il grosso capo, infastidito da quella sensazione che non riconobbe come sua: una curiosità avida, insana e umana.

 

 

 

Continua…

 

 

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Capitolo 3
*** - ***


Capitolo 3

 

Jill capiva che per ovvie ragioni Huan non poteva venire a Edoras con loro. Ma che lei dovesse camuffarsi era assurdo.

-          Vorremmo giungere fino a re Theoden il più possibile indisturbati – le aveva spiegato lo stregone – e tu attireresti troppo l’attenzione. –

Lei aveva sollevato un sopracciglio, indicando Gimli, Legolas, Aragorn e infine lo stesso Gandalf, con fare allusivo.

Legolas aveva chinato il capo, soffocando un sorrisetto. In effetti la Corsara non aveva tutti i torti: di tutta la Compagnia non era affatto certo che fosse lei ad attirare maggiormente l’attenzione.

-          Jill… - il tono del Istar era paziente, ma non ammetteva repliche – re Theoden non vede di buon occhio i Corsari e qui non siamo ad Umbar, dove una donna valorosa è considerata pari agli uomini… -

La rossa strinse i pugni, al pensiero di non venire accettata al cospetto di un re semplicemente perché era una donna.

-          Per di più – le si avvicinò – ho idea che gli Uruk-hai che avevano catturato Merry e Pipino avessero anche l’ordine di farti prigioniera e riportarti a Isengard. Viva. –

Legolas ripensò alla battaglia presso le Cascate di Rauros, durante la quale s’era accorto che gli attacchi degli Orchi non sembravano finalizzati ad ucciderla.

-          Non so quali siano le reali intenzioni di Saruman – continuò lo stregone – ma vorrei tenerti il più possibile lontana dal suo sguardo. Dunque, sapendo che se ti chiedessi di attendere al sicuro nella foresta non potresti mai obbedirmi – le sorrise – questo mi pare un giusto compromesso, non ti pare? –

A malincuore, Jill annuì.

Ma qualcun altro non era dello stesso avviso.

 

-          Chiedo scusa – intervenne Legolas – ma non sono d’accordo. –

Tutti si voltarono a guardarlo stupiti: non capitava spesso che il principe di Bosco Atro discutesse le decisioni dei compagni, men che meno quelle di Gandalf.

Eppure il sorriso dello stregone non s’incrinò, come se la cosa non lo meravigliasse affatto.

-          Potrei saperne il motivo, principe Legolas? –

-          Se Saruman ha veramente intenzione di catturarla, non dovresti permetterle di venire con noi e correre il rischio di esporsi troppo. Hai detto che è riuscito a infiltrarsi nel regno di Rohan: è uno stregone potente e ingegnoso, non abbiamo idea di quali incantesimi abbia lanciato su quella corte e quante spie vi siano nascoste. Non comprendiamo ancora le sue reali intenzioni, ma se venisse a sapere che Jill si trova là è molto probabile che tenterà di concludere ciò che gli Uruk-hai non sono riusciti a portare a termine. –

L’Elfo aveva parlato in tono pacato ma serio e il sorriso di Gandalf s’allargò. Un’altra persona si sarebbe domandata il motivo di quel gesto compiaciuto, ma Jill era già volta verso il principe di Bosco Atro, pronta a tempestarlo d’improperi. 

Quasi le avesse letto nella mente e anticipato la sua arringa, il biondo si voltò a guardarla, mettendola a tacere con uno sguardo duro che la inchiodò al suo posto.

-          Potrai anche disprezzare il pericolo, ma non puoi essere tanto egoista da far rischiare la vita a tutta quella gente solo per un tuo capriccio. Tu più di chiunque altro dovresti sapere quanto Saruman può essere spietato. –

 

Jill rimase pietrificata a quelle parole.

 

Legolas la vide abbassare il capo, abbattuta dalle due dure parole. Per un attimo quel volto afflitto lo fece vacillare. Tuttavia mise rapidamente a tacere la voce del rimorso: era stato severo, ma l’aveva fatto per lei.

Non temeva che i tirapiedi di Saruman potessero realmente farle del male, tanto più che lui sarebbe stato al suo fianco, pronto a proteggerla.  Piuttosto era preoccupato dall’ossessione dello stregone di Isengard per la sua ex protetta: c’era qualcosa in quella Corsara audace e impulsiva che poteva tornare utile all’Istari. Qualcosa che, ne era certo, aveva a che fare con quella misteriosa entità che stava chiamando a sé la fanciulla.

 

-          Sono d’accordo con Orecchie a Punta – intervenne Gimli infrangendo quel silenzio pesante – però credo anche che sia più saggio restare tutti uniti. Abbiamo già visto alle Cascate di Rauros quanto possa essere controproducente separarsi. –

La Corsara sorrise riconoscente al Nano, che le strizzò l’occhio in segno d’intesa.

-          E poi – si rivolse all’Elfo – Saruman sicuramente è a conoscenza del fatto che Jill sta viaggiando con la Compagnia. Se entrassimo a Edoras senza di lei intuirebbe che è nascosta nelle vicinanze e potrebbe cogliere l’occasione per tentare di catturarla prima del nostro ritorno. Come hai detto tu, non sappiamo di quali diavolerie sia capace quel maledetto stregone. Senza offesa, Gandalf! –

Con sommo dispiacere di Legolas, Aragorn condivideva i suoi timori ma era d’accordo col Nano: meglio restare uniti e camuffarla. Saruman era troppo calcolatore per tentare un’offensiva contro di lei ora che Gandalf era tornato al suo fianco, rischiando di mandare a monte il grande progetto che sicuramente aveva già architettato.

Jill esultò interiormente.

 

Gandalf osservò lo sguardo truce dell’Elfo e represse un risolino divertito. Era chiaro a tutti, o meglio a quasi tutti, quali fossero state le sue reali intenzioni e da che tipo di sentimenti fossero mosse.

“ Purtroppo per lui però Jill è troppo ingenua ed emotivamente immatura per rendersene conto.”

E qualora lei se ne accorgesse…

“ Chissà…” rimuginò lo stregone, abbracciando con lo sguardo quella coppia tanto bizzarra.

Un principe scuro in viso e una Corsara gongolante.

Un Elfo e una Donna.

Un lago tranquillo e un mare impetuoso.

 

Gandalf cavalcava in testa al gruppo sulla groppa di Ombromanto, uno dei leggendari Mearas, Signori tra tutti i cavalli, che secondo le leggende erano stati condotti nella Terra di Mezzo da uno degli Undici Valar Supremi. Sia re Theoden che molti altri cavalieri avevano tentato di domarlo, ma l’animale aveva per deciso di lasciarsi montare solamente da Gandalf, che lo cavalcava con gentile fermezza, senza sella né briglie.

L’Elfo fece scorrere lo sguardo sul magnifico stallone dal manto candido e la corporatura perfetta. I Mearas erano conosciuti non solo per la loro rara bellezza, ma anche per l’eccezionale forza e velocità, nonché intelligenza.

Gandalf montava avvolto in un grigio e sgualcito mantello per non lasciare trapelare la veste candida, simbolo del suo nuovo titolo di capo dell’Ordine degli Istari, da cui Saruman era stato destituito una volta convertitosi alla causa di Sauron.

Legolas cavalcava subito dietro, con Gimli seduto alle sue spalle. Alla sua sinistra lo affiancavano Aragorn e Jill.

“Di nuovo sulla stessa cavalcatura.”

Aggrottò la fronte. Da poco s’era reso conto della natura di quella strana sensazione che provava ogni qual volta vedeva Jill in compagnia del Numenoreano e l’aveva identificata con l’unico nome che, aimè, potesse corrisponderle: gelosia. Non era stato facile per lui ammettere quella debolezza, un po’ per orgoglio un po’ perché mai vi si era imbattuto nei suoi tremila anni di vita. Per quanto si fosse sforzato di ignorarla e poi di metterla a tacere, una vocina melliflua gli aveva insistentemente fatto notare quanta ammirazione e rispetto la Corsara provasse nei confronti dell’Erede di Isildur. Legolas si era ripetuto che in quello non v’era nulla di insolito: Aragorn suscitava profonda stima anche nei più grandi condottieri e regnanti.

“ Peccato che lei sembri preferire la sua compagnia alla mia!”

A esser più precisi, negli ultimi tempi Jill sembrava preferire la compagnia di chiunque alla sua. E ora aveva anche un valido motivo per essere arrabbiata con lui, data l’arringa che le aveva fatto poco prima per convincerla a restare al sicuro nella foresta anziché esporsi al pericolo seguendoli a Edoras. Inutile dire che il principe se l’era cercata e lo sapeva bene: ormai la conosceva abbastanza da sapere che la Corsara non se ne sarebbe stata con le mani in mano in un nascondiglio ad attendere il loro ritorno come una donna qualsiasi.

Lanciandole un’occhiata le sue labbra si piegarono in un sorriso sghembo.

“ Certamente ora non potrebbe passare per una donna qualsiasi.”

Gandalf aveva fatto ricorso alla magia per mascherare la sua identità e ora Jill assomigliava piuttosto a un giovane scudiere. Il viso era stato schiarito e cosparso di lentiggini, i capelli avevano assunto una colorazione quasi castana. Le spalle si erano allargate, le braccia inspessite e i fianchi ristretti quanto bastava a darle un aspetto virile. Persino gli occhi avevano assunto un’altra tonalità: da blu come la notte erano diventati marroni come la terra bagnata. Aveva avvolto l’elsa della spada con uno straccio e macchiato la lama per camuffarne il colore sanguigno, troppo particolare per non saltare all’occhio. Era stata solamente indecisa su cosa fare della scatola donatale da Dama Galadriel che custodiva nella sacca, ma Gandalf le aveva assicurato che nessun Uomo avrebbe mai potuto aprirla, quindi s’era risolta a portarla con sé.

Legolas sospirò, tornando a volgere lo sguardo di fronte a sé: certo così conciata nessuno avrebbe potuto riconoscerla, ma quella fastidiosa inquietudine non accennava a lasciare il suo cuore.

 

-          Il Nero Cancello di Mordor – piagnucolò Smeagol, ritraendosi dietro alle rocce come se la sola vista della muraglia bastasse a terrorizzarlo.

Nemmeno Sam poté dargli torto, poiché il nome non bastava a rendere l’idea dell’imponenza della costruzione: gli Orchi che pattugliavano le mura sul cammino di ronda sembravano formiche. Il termine “inespugnabile” sarebbe stato riduttivo, poiché Frodo era certo che nemmeno un esercito aveva la benché minima possibilità di aprirvi una breccia.

Un ritmico sferragliare e delle urla di incitamento gli fecero distogliere l’attenzione dalla fortezza per posarlo sui soldati che s’avvicinavano al Cancello. Procedevano in file ordinate, reggendo scudi rettangolari e lunghe lance; le corazze bronzee ne celavano completamente le fattezze eppure era sicuro che non fossero Orchi. L’Hobbit non riconobbe i simboli, ma i colori caldi degli stendardi gli fecero supporre che appartenessero ai popoli del Sud.

Sconsolato, ripensò ai compagni che s’era lasciato alle spalle, alla loro profonda conoscenza della Terra di Mezzo e destrezza nel combattimento. Come spesso gli era capitato da quando lui e Sam si erano allontanati dalle Cascate di Rauros, sperò che stessero tutti bene e si chiese come lo avrebbero consigliato Aragorn, Gandalf, Jill…

Il pensiero della Corsara lo fece per un attimo vergognare della sua insicurezza. Se solo lei fosse stata al suo fianco, era certo che sarebbe riuscito a ritrovare un po’ di coraggio.

“ Anche se qua” si disperò, facendo scorrere lo sguardo sul Nero Cancello “più del coraggio servirebbe una buona dose di follia!”

Quasi avesse voluto dare ascolto ai suoi pensieri, Sam gli fece notare che il Cancello si stava aprendo per lasciar entrare il battaglione appena sopraggiunto e si sporse verso l’orlo del dirupo, cercando un modo per scendere.

Lo trovò. La roccia sotto di lui era più friabile di quanto sembrasse e l’Hobbit precipitò giù per la scarpata. 

Frodo fu rapido a correre in suo soccorso, tra le grida di protesta di Smeagol. Ma il rumore dei frammenti rocciosi che ruzzolavano giù per il declivio e la polvere sollevata lo tradì: un soldato si accorse di quell’anomalia e, affiancato da un compagno, si allontanò dallo schieramento per perquisire l’area.

Ormai al fianco dell’amico, Frodo tentò di farlo alzare, ma il corpo di Sam era sprofondato nei detriti e i soldati s’avvicinavano sempre più. Preso dal panico, l’Hobbit fece scorrere gli occhi azzurri da un lato e dall’altro della vallata, in cerca di una soluzione.

Come per magia, gli tornarono in mente le parole di Dama Galadriel:

-          C’è sempre una speranza –

In un gesto più disperato che razionale, Frodo afferrò il suo mantello, dono della Signora di Lorien, e vi si nascose sotto insieme a Sam.

Entrambi trattennero il respiro. I passi dei due soldati s’arrestarono e gli Hobbit sollevarono appena il mantello: fortuna volle che gli uomini del Sud si fossero fermati a una spanna dal loro nascondiglio.

Dopo secondi che parvero ore, i soldati si allontanarono.

Frodo scostò il mantello e, una volta liberato Sam, s’appostarono insieme dietro a una roccia, pronti a scattare verso l’ingresso che andava chiudendosi.

-          Dubito che i mantelli elfici lì ci potranno nascondere. –

Purtroppo non poteva dare torto all’amico, ma non avevano altra scelta: l’Anello andava portato fino al Monte Fato e lì distrutto. Aveva preso un impegno e l’avrebbe portato a termine, a tutti i costi.

Quando balzarono in avanti, due braccia ossute ma forti li bloccarono, tirandoli indietro.

-          No Padrone, no! – gracchiò Smeagol, quasi supplichevole – Ti prendono, ti prendono! Ti prego, non portarlo da Lui! –

Frodo lo guardò basito, mentre alle sue spalle l’esercito era quasi completamente entrato.

-          Lui vuole il Tesssoro, Lui lo cerca! E il Tesssoro vuole tornare da Lui… - il tono di voce della creatura cambiò, diventando più bassa e sibilante – Ma non dobbiamo permettergli di averlo! –

L’esercito del Sud era ormai scomparso alla vista. Frodo tentò un’ultima volta di avvicinarsi, ma Smeagol lo bloccò nuovamente, tornato implorante e disperato.

-          C’è un’altra strada più sssegreta, una strada buia. –

-          Allora perché non ce ne hai parlato prima? – lo attaccò Sam.

-          Perché il Padrone non l’ha chiesto! – piagnucolò l’altro, contorcendosi.

-          Trama qualcosa! –

Il Cancello si chiuse con un boato.

Frodo esitò, guardando i suoi compagni. Comprendeva i timori e la diffidenza di Sam, d’altro canto Smeagol li aveva condotti fino a lì. E senza di lui le speranze degli Hobbit di raggiungere il Monte Fato si sarebbero ridotte drasticamente. Forse avrebbero dovuto fidarsi ancora di lui…

Ripensò alle parole di Gandalf nelle miniere di Moria, quando aveva fatto notare allo stregone la presenza della strana creatura. Secondo lui Gollum aveva ancora un ruolo da giocare, nel bene o nel male. Frodo si era sempre fidato del giudizio del saggio stregone e aveva cominciato a pensare che il compito di Smeagol in quella vicenda fosse di condurli a Mordor.

Era senza dubbio un rischio: quella creatura era stata troppo tempo in possesso dell’Anello e il suo animo era ormai corrotto, probabilmente senza possibilità di redenzione. Ma una parte di Frodo si ostinava a vedere del buono in lui e a voler credere che la sua anima potesse ancora esser salvata. Senza contare che i pericoli sembravano esser divenuti la sua ombra da quando aveva lasciato la Contea: avere Smeagol come guida in quel tragitto non sarebbe stato il primo né l’ultimo dei rischi.

-          Facci strada, Smeagol. –

Gli occhi accusatori di Sam lo costrinsero a distogliere lo sguardo.

 

-          Mio Signore – gli accarezzò gentilmente una mano Eowyn – tuo figlio è morto… -

La voce della fanciulla quasi si ruppe, non ricevendo risposta, mentre le lacrime a lungo trattenute minacciavano di sgorgare.

-          Mio Signore… - ritentò, con un velo di supplica nella voce rotta – Zio… –

Gli occhi lattiginosi di Theoden, re di Rohan, la guardarono senza vederla.

-          Non andrai da lui… –

Non era una domanda. I suoi occhi umidi rivolsero una supplica al suo sovrano e zio. Inutilmente.

-          Non farai nulla. –

Un’altra amara affermazione.

 

Eowyn pianse a lungo sul corpo ormai privo di vita di Theodred, suo cugino e legittimo erede al trono di Rohan. Ora che il figlio del re era morto, il primo in linea di successione sarebbe stato Eomer. Se non che il fratello della fanciulla fosse appena stato esiliato.

Tremò, scossa da un singhiozzo, travolta dalla consapevolezza che i suoi incubi si stavano tramutando in realtà: la sua casata si stava sgretolando. E con essa tutti i suoi sogni.

Theoden pareva avesse la mente ottenebrata e che non fosse più in grado di distinguere gli amici dai nemici. Come il viscido Vermilinguo.

La principessa strinse i pugni. Non s’era mai fidata delle parole di quel consigliere fraudolento e il modo in cui la guardava le dava la nausea. Non solo aveva plagiato la mente del re e stava mandando in rovina quel regno, ma Eowyn sapeva che la sua velenosa presenza le era sempre vicina. Troppo vicina.

Come se avesse udito i suoi pensieri, Vermilinguo strisciò nella stanza, avvicinandosi al letto su cui giaceva Theodred. Eowyn osservò la pallida figura del consigliere, le cui vesti scure parevano assorbire la calda luce delle candele e avvelenare di menzogne persino l’aria.

-          Oh, egli deve essere morto durante la notte. –

Eowyn aveva il forte sospetto che Vermilinguo gli avesse facilitato il trapasso. Ma non disse una parola: Theodred era stato gravemente ferito in battaglia e, probabilmente, non sarebbe comunque sopravvissuto.

-          Che tragedia per il re perdere il suo unico figlio ed erede. –

L’uomo si sedette sulla sponda del letto, accanto alla fanciulla inginocchiata.

-          Capisco – sibilò Vermilinguo, sfiorando la spalla di Eowyn con una mano – non è facile accettare la sua morte. Specialmente ora che tuo fratello ti ha abbandonata… -

-          Lasciami sola, serpente! – saltò su lei, furiosa, terrorizzata e disgustata da quel essere maligno.

-          Oh, ma tu sei sola! – quasi si prese gioco di lei il consigliere – Chi lo sa cos’hai detto alle tenebre, nelle amare veglie notturne – le girò attorno come una bestia alla sua preda – quando tutta la tua vita sembra contrarsi e i muri della tua dimora ti si stringono addosso. Una stia in cui si cela qualcosa di selvaggio… -

Eowyn non si mosse, scossa da quelle parole maligne che avevano colto nel segno: lei desiderava la gloria per sé e la sua casata. I re del passato avevano lottato con onore per donare protezione e prosperità al loro regno e per le loro gesta sarebbero stati ricordati in eterno. Ma da quando Theoden aveva perso la sua tempra anche i suoi desideri avevano cominciato a perdere forma. Le notti s’erano affollate di incubi in cui Eowyn si vedeva invecchiare tra le mura di quella confortevole prigione fino a diventare cenere, per poi venir portata via dal vento. Dimenticata.

-          Così bella – sussurrò Vermilinguo, guardandola rapito – così fredda – le sfiorò il viso, scostandole un poco i lunghi capelli biondi – come un mattino di pallida primavera ancora legato al gelo dell’inverno… -

Eowyn rabbrividì, sentendo il sangue gelarsi nelle sue vene. Inspirò a fondo, mentre la mano del consigliere scendeva lungo la sua bianca gola, e rialzò gli occhi su di lui. Fiera, s’impose autocontrollo: non gli avrebbe permesso di giocare con la sua mente come aveva fatto con quella del suo re. Il suo cuore apparteneva solo a lei e mai avrebbe permesso a quel viscido essere di averlo.

-          Le tue parole sono veleno – e si scostò da lui, uscendo da quella stanza e poi dal palazzo.

Fuori il vento le scompigliò i capelli e s’insinuò tra le pieghe della sua candida veste, mentre le bandiere recanti lo stemma di Rohan sferzavano l’aria. Una folata più impetuosa ne strappò una, che volteggiò nel cielo sgombro di nubi fino a scomparire al di là della cinta di Edoras.

 

Erano giunti alle pesanti porte della città, quando uno stendardo volò accanto alle zampe del cavallo di Aragorn. Il Ramingo si soffermò a guardare la stoffa che fuggiva sull’erba dell’altura, mossa dal vento.

L’occhio di Jill cadde invece sulle morbide sporgenze erbose che affioravano ai lati del sentiero e cui non aveva prestato attenzione durante la salita. Li riconobbe come dei tumuli e ipotizzò che al loro interno riposassero i re di Rohan che, generazione dopo generazione, avevano governato su quelle terre. Ognuno di essi era cosparso di piccoli candidi fiori, i Ricordasempre. Tutti tranne uno.

Il suo sguardo indugiò un attimo su quel ultima tomba, scoperta e spoglia di fiori, come se fosse in placida attesa. Poi lei e Aragorn entrarono a Edoras.

 

Jill alzò lo sguardo verso il palazzo e scorse una candida figura dai lunghi capelli biondi e la postura fiera di una regina.

-          Trovi più allegria in un cimitero. – commentò Gimli.

Anche se avesse potuto, Jill non avrebbe trovato nulla da obiettare. Gli sguardi che li accolsero nella capitale di Rohan lasciavano intendere il sospetto e la paura di quella gente nei confronti dei forestieri. Due componenti che, come le aveva spiegato lo stesso Saruman, se miscelate potevano essere particolarmente pericolose.

Quando posò nuovamente gli occhi sulla dimora di Theoden, la fanciulla era scomparsa.

 

-          Non potete stare davanti al re così armati, Gandalf il Grigio – recitò il capitano delle guardie una volta che la Compagnia ebbe raggiunto le porte d’ingresso – per ordine di…Grima Vermilinguo. – aggiunse riluttante.

Jill abbassò leggermente il capo per nascondere il volto: i suoi lineamenti per un attimo si contrassero in un’espressione sinistra.

Gandalf annuì e fece segno ai compagni di seguire le disposizioni.

La Corsara slacciò la cinghia che assicurava il fodero di Carcharoth alla schiena, consegnandola con uno sguardo d’ammonimento a un soldato. Sfilò i lunghi pugnali dalla cinta e poi quelli più piccoli, di cui uno dal fodero legato alla sua coscia.

Sorrise candidamente al soldato perplesso e carico di lame. Se solo l’uomo avesse intuito che il ragazzo che aveva di fronte era in realtà una Corsara, le avrebbe perquisito gli stivali e magari anche la casacca. 

Il capitano si rivolse ancora a Gandalf.

-          Il tuo bastone. –

-          Oh – parve amareggiato lo stregone – non vorrai separare un vecchio dal suo appoggio per camminare. –

Jill si trattenne a stento dal ghignare: evidentemente i Corsari non erano gli unici a beffarsi degli ordini.

Il soldato esitò, per niente convinto, ma annuì e la Compagnia fece il suo ingresso.

 

Re Theoden sedeva in fondo alla sala sul trono rialzato. Il suo corpo era avvizzito e la schiena curva. Al suo fianco stava un uomo pallido vestito di nero, simile a un corvo appollaiato sul bracciolo del seggio e che andava sussurrando nell’orecchio del sovrano: con tutta probabilità Grima Vermilinguo.

Le porte si chiusero alle spalle della Compagnia. Gli occhi di Legolas individuarono il lento incedere di un gruppo di uomini alla loro destra: seguivano i movimenti dei forestieri con sguardo truce. Non indossavano le armature e i simboli del regno, dunque ipotizzò si trattasse di briganti.

Lanciò un’occhiata alla sua sinistra e notò che gli occhi della Corsara s’erano fatti scuri e l’espressione feroce. Seguì la direzione del suo sguardo fino all’uomo cereo accanto al trono.

Non diede a vedere di essersene accorto, ma s’avvicinò di un passo allo scudiero.

 

-          La cortesia del tuo palazzo è alquanto diminuita ultimamente – proruppe Gandalf – re Theoden. –

-          Perché dovrei darti il benvenuto – rispose il sovrano come se ogni parola gli costasse fatica – Gandalf Corvo Tempesta? –

-          Una giusta domanda, mio Signore – gli sussurrò Vermilinguo, per poi alzare il tono affinché tutti lo udissero – Tarda è l’ora in cui questo stregone decide di apparire! – si avvicinò a Gandalf – È un cattivo ospite… -

-          Silenzio! – lo mise a tacere l’Istaro – Tieni la tua lingua forcuta tra i denti. Non ho affrontato fiamme e morte per scambiare parole con un insulso verme. –

Sollevò il bastone puntandolo contro  Vermilinguo, che si ritrasse improvvisamente, come una bestia scottata dalle fiamme.

-          Il bastone… - farfugliò, quasi contorcendosi – Vi avevo detto di prendere il bastone dello stregone! – strepitò.

Ma i soldati di Rohan non si mossero, lasciando che fossero i soli briganti a scagliarsi sulla Compagnia.

Jill atterrò facilmente il primo bandito, per poi prepararsi ad affrontare il secondo, i pugni alti di fronte al viso pronti a colpire. Ma Legolas fu più lesto e con un solo colpo alla nuca lo tramortì.

La Corsara lo fulminò, ma l’Elfo le ammiccò di rimando.

“Maledizione!” imprecò fra sé, voltando le spalle a quel gesto e gettandosi sul prossimo avversario. Schivò con agilità i fendenti della spada, roteò su se stessa portandosi fuori tiro e affondò un calcio nel fianco del bandito. Questi andò a sbattere contro il muro, si voltò dolorante ma non fu abbastanza rapido ad alzare la guardia: un pugno forte e mirato lo raggiunse in mezzo al viso, spaccandogli il naso. Subito Jill si scansò per evitare l’affondo di un’altra lama. Saltellò di qua e di là evitando agilmente il pugnale, ma sufficientemente vicina per poter affondare calci e pugni al suo assalitore appena trovava uno spiraglio. Pareva quasi giocasse col suo avversario come un predatore con la facile preda. Appena l’uomo si sbilanciò troppo in avanti lo disarmò, gli piegò l’arto dietro la schiena e gli tagliò la gola.

 “Ah” inspirò soddisfatta, il sorriso ferino  “Un bel corpo a corpo come ai vecchi tempi!”

-          Re Theoden – avanzò Gandalf – figlio di Thengel! –

L’ultimo bandito stramazzò al suolo con un pugnale tra le spalle e Jill si voltò a cercare Vermilinguo. Lo individuò che tentava di raggiungere l’uscita e mettersi in salvo, strisciando sul pavimento tra i cadaveri dei briganti che egli stesso aveva sicuramente assoldato per la propria sicurezza. Con un solo balzo la Corsara calò sulla sua vittima, l’afferrò per il mantello e la scaraventò con forza ai piedi di una colonna.

-          Troppo a lungo sei rimasto nell’ombra – proseguiva intanto Gandalf – Ascoltami! –

I soldati e i membri della corte si avvicinarono al trono.

-          Io ti libero – lo stregone sollevò una mano aperta – dall’incantesimo. –

 

Il re rise. Un suono aspro e rauco, come se non provenisse realmente dalla sua gola.

-          Non hai alcun potere qui, Gandalf il Grigio. –

Lo stregone sollevò lo sguardo, puntandolo non sul volto del re, ma del parassita che si nascondeva tra le pieghe di quella pelle avvizzita. Lasciò cadere il mantello a terra e una candida luce parve sprigionarsi dalle sue vesti, abbagliando il sovrano improvvisamente sconvolto dal terrore.

-          Io ti estirperò, Saruman – tuonò il Bianco – come il veleno si estirpa dalla ferita! –

Puntò il lungo bastone verso il re, inchiodandolo al trono. Theoden si contorse, stringendo convulsamente i braccioli.

Una fanciulla dai lunghi capelli biondi tentò di soccorrere il sovrano, ma Aragorn la trattenne per un braccio.

-          Se io me ne vado – sibilò una voce maligna che non apparteneva al re – Theoden morirà. –

Come una biscia, Vermilinguo tentò di divincolarsi, ma bastò lo sguardo spietato degli occhi scuri del ragazzo che incombeva su di lui come la Morte su un lebbroso a inchiodarlo al suo posto. Terrorizzato, l’uomo cercò in un ultimo disperato tentativo di trovare una debolezza in quel giovane scudiero cui aggrapparsi.

E notò la cicatrice sulla sua gola.

 

Eowyn temeva per lo zio, ma fece come le aveva detto l’uomo che l’aveva fermata e restò al suo posto. In cuor suo voleva credere che vi fosse una possibilità di salvezza per il suo re. E per lei.

-          Non hai ucciso me – proseguì Gandalf, immune alle parole velenose di Saruman – non ucciderai lui. –

-          ROHAN È MIA! –

-          Vattene! – gli ordinò Gandalf.

-          MIO SIGNORE! – strillò Vermilinguo – È LEI! È QUA! –

Per un istante Gandalf perse la concentrazione e Saruman puntò gli occhi sul giovane uomo che teneva il viscido consigliere fermo a terra.

Con un urlo re Theoden si scagliò in avanti e una potente onda d’urto si scagliò sullo scudiere, che venne scaraventato indietro. Avrebbe sbattuto violentemente la schiena contro una delle colonne se l’Elfo non si fosse frapposto, accogliendolo fra le sue braccia.

Eowyn sgranò gli occhi, sconvolta: quello che fino a pochi secondi prima era un giovane uomo del Nord, ora era senza dubbio una fanciulla del Sud.

Riavutosi dall’attimo di sorpresa, Gandalf si voltò con occhi colmi di rabbia verso il nemico e menò un violento affondo del bastone che apparentemente sferzò solo l’aria. Eppure Theoden s’afflosciò sul trono ed Eowyn fu lesta nel corrergli incontro.

 

Jill scosse il capo, stordita da quella scarica di magia cui non era preparata. Le ricordò la prima volta che era stata colpita dal boma di una nave poiché non era stata sufficientemente attenta al cambio di direzione del vento. Solo che questa volta non era atterrata sul sudicio e puzzolente ponte di un’imbarcazione, ma sull’ampio petto di Legolas.

“M…mu…schio?”

Una parte della sua mente si chiese se tutti gli Elfi Silvani avessero lo stesso profumo. Che dipendesse dal materiale di cui erano fatti i loro indumenti?

“ Stai bene?”

Gli occhi della Corsara misero a fuoco quelli dell’Elfo, vicini e colmi di sincera preoccupazione, ma la ragazza fu lesta a distogliere lo sguardo, imbarazzata e stordita.

 “ Sì… Sì io sto bene…”

Si voltò a guardare Vermilinguo, che era stato afferrato da un furibondo Gimli per il colletto.

“ Ma qualcun altro tra poco starà molto male…” sibilò, furiosa.

Grima si contorse disperato, tentando di divincolarsi dalla ferrea presa del Nano.

Ma le braccia del principe tennero stretta Jill, impedendole di liberarsi. Per un attimo la fanciulla si stupì di quanto fossero forti nonostante l’aspetto esile dell’Elfo.

“ Legolas! Lasciami andare!”

“ No.”

Il suo tono era serio, ma Jill lo ignorò, contorcendosi nel tentativo di liberarsi.

“ Ti ho detto di lasciarmi!”

“ Non voglio che tu ti macchi del sudicio sangue di quella serpe.”

“ Me ne infischio di cosa vuoi tu! Quella carogna merita la morte per tutto ciò che ha fatto e io…”

Un rapido colpo alla nuca le fece perdere i sensi.

-          Era proprio necessario? – lo accusò il Nano con un’occhiataccia.

-          Sì. – rispose il principe di Bosco Atro, sollevandola tra le braccia.

Vermilinguo fu evidentemente sollevato dal gesto dell’Elfo, ma questi si chinò su di lui, gli occhi freddi come due pezzi di ghiaccio e taglienti come diamanti.

-          Non l’ho certo fatto per te, verme… – gli sussurrò all’orecchio, gelandogli il sangue nelle vene – E se al suo risveglio vengo a sapere che hai fatto del male anche a lei… sappi che non ci sarà rifugio in grado di celarti né fortezza in grado di arrestarmi. Ti troverò e ti ucciderò nella maniera più dolorosa che conosco. –

L’uomo rabbrividì, sperando che la fanciulla non si riprendesse molto presto: il suo istinto di preservazione gli suggeriva che, forse, sarebbe stato meglio morire per mano della focosa Corsara piuttosto che del glaciale Elfo.

 

 

 

Continua…

  

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Capitolo 4
*** - ***


Capitolo 4

 

Quando Jill rinvenne scoprì di trovarsi stesa su un letto. Per un attimo la sua mente si perse in quella piacevole novità, mentre il suo corpo godeva delle morbide coltri su cui era stata adagiata. Una luce soffusa entrava dalla finestra e la Corsara si concentrò su quel cielo: le nubi si rincorrevano come cavalli selvaggi. Le montagne stendevano le loro lunghe ombre sulla vallata. Doveva essere mattina.
Quel dato la riscosse del tutto e Jill balzò giù dal letto. Indossava un paio di calzoni e una blusa. I suoi indumenti da viaggio erano stati lavati e appesi al sole, ancora un po’ gocciolanti. Le sue armi e la sua sacca erano stati poggiati su una panca ai piedi del letto. Insieme a un abito pulito.
“Da donna…” storse la bocca leggermente seccata.
Lasciò la veste lì dov’era e s’infilò gli stivali, constatando con somma soddisfazione che nessuno s’era accorto della lama ivi nascosta. Impugnò Carcharoth e la sguainò: la lama era stata ripulita e scintillava sanguigna e sinistra sotto i raggi del sole.
Assicurò l’arma alla schiena e si precipitò fuori dalla stanza, eccitata all’idea della sfida che l’attendeva.

La sua irruenza colse di sorpresa una donna che stava attraversando il corridoio, facendola sobbalzare.
Jill si scusò brevemente con un cenno del capo, ma non si fermò. Ispezionò il piano senza successo, trovando solo servitrici: probabilmente quella era l’area riservata alle donne. Sbuffò e s’accinse a scendere le scale, quando passando di fronte a una finestra qualcosa attirò il suo sguardo, distraendola dai suoi propositi.

Vermilinguo si prostrò ai piedi dello stregone, balbettando stridule scuse per il suo fallimento a Edoras. Saruman lo fissava impassibile, rigido come una statua di granito, il volto tumefatto per il colpo infertogli da Gandalf.
“ Il Bianco…”
Lo stregone strinse la presa sul suo bastone, ripensando al titolo che una volta gli spettava e di cui ora si fregiava colui che gli era sempre stato inferiore. Ma fu solo un attimo.
Un ghigno deformò il suo volto: che Ganfalf si gloriasse pure di quel appellativo, finché poteva.
Non prestò quasi attenzione alle parole del suo misero e ormai inutile servitore: Grima era stato fin dall’inizio una pedina sacrificabile. Certo lo stregone aveva sperato di poterne sfruttare la lingua biforcuta e melliflua per impossessarsi facilmente del Regno di Rohan, ma una volta venuto a conoscenza del ritorno di Gandalf aveva previsto che questi si sarebbe recato a Edoras. E che non sarebbe stato solo.
Voltò le spalle al suo viscido tirapiedi per andarsi a sedere sul seggio in fondo alla sala.
Gandalf era sempre stato così prevedibile! Saruman era sicuro che egli avrebbe fatto in modo di ricongiungersi con la sua protetta. E in cuor suo aveva gioito e riso della stoltezza del Istaro quando, incurante di eventuali orecchie indiscrete, le aveva svelato quale fosse la natura del dono di Dama Galadriel.
“ L’Ulumur…”
Assaporò quel pensiero nella sua mente. Lo scrigno di legno incrostato di salsedine aveva destato da subito la sua curiosità, ma mai avrebbe immaginato che potesse contenere un oggetto tanto prezioso e potente. 
Puntò lo sguardo sul Palantir coperto dal drappo nero.
Sauron doveva esserne tenuto all’oscuro. Lo stregone gli avrebbe consegnato Jill come da lui richiesto, ma avrebbe tenuto l’Ulumur per sé.

-          M-mio S-signore… - balbettò Vermilinguo, ancora prostrato a terra.
Gli Uruk-hai avevano fallito nella cattura della fanciulla così come del portatore dell’Anello, tuttavia quello smacco si stava evolvendo in una nuova opportunità nella mente ingegnosa e calcolatrice dell’Istaro. Dopo essersi accorto del potente incantesimo a lui sconosciuto che proteggeva il contenitore ligneo, aveva deciso di aspettare che fosse la stessa Jill a spezzarlo. Era solo questione di tempo: probabilmente la soluzione a quell’enigma si sarebbe rivelata nell’incalzare del bisogno. 
E lui era pronto a creare l’occasione ideale. 

-          Ricordasempre – disse il sovrano tra sé e sé, facendo cadere un candido fiore sul tumulo spoglio – È solito crescere sulla tomba dei miei antenati. Ora ricoprirà il sepolcro di mio figlio. –
Jill chinò il capo, in piedi accanto a Gandalf.

-          Ahimè, questi giorni funesti spettano a me. – riprese il re, la voce rotta dal dolore – I giovani periscono e i vecchi resistono. Io dovrò vivere per vedere gli ultimi giorni della mia casata. –
-          La morte di Theodred – intervenne lo stregone in tono pacato – non è stata opera tua. –
-          Un genitore non dovrebbe seppellire il figlio. –
Con la pena nel cuore la Corsara vide il re di Rohan coprirsi gli occhi con una mano, le spalle scosse dai singhiozzi.
I suoi pensieri volarono a Umbar e alle famiglie che attendevo ansiose il ritorno delle navi al porto. Spesso Jill aveva visto i loro volti illuminarsi di gioia nel vedere i propri cari scendere dal ponte dell’imbarcazione. Altre volte, invece, mogli e bambini avevano pianto sui corpi dei mariti e dei padri defunti, apparentemente inconsolabili.
Allora, guardando il volto di suo padre, si era convinta che se un giorno lei non fosse più tornata lui non avrebbe potuto trovare alcuna consolazione. Le giovani vedove e gli orfani avevano vissuto abbastanza poco da poter guardare avanti e avere una seconda opportunità di costruire la loro felicità, mentre i padri e le madri non potevano che volgersi indietro e piangere per il resto dei loro giorni la gioia di cui avevano goduto ma che non avrebbero più ritrovato.
Suo padre era sempre stato un uomo solitario. Persa la moglie e restio a instaurare rapporti coi concittadini, riversava tutto il suo amore e tutti i suoi sforzi in lei.

-          Tu sei il mio orgoglio più grande e il mio tesoro più prezioso. – le diceva.
E Jill sapeva che era vero. Non l’aveva mai ostacolata nelle sue scelte, eppure la sua decisione di prendere il mare l’aveva profondamente turbato.   
Non l’aveva mai pensata in questi termini, ma d’improvviso si chiese cosa sarebbe accaduto se quella notte i loro ruoli fossero stati invertiti. Immaginò il cuore e lo spirito del fabbro spezzarsi e le sue grandi spalle curvarsi sotto il peso del dolore. Immaginò il suo orgoglioso padre piangere sul corpo privo di vita dell’amata figlia così come il re di Roharn piangeva sul tumulo del figlio.
E per la prima volta fu grata alla Morte di aver preso suo padre anziché lei.
Chiuse gli occhi e lasciò che il cuore trasudasse tutto il dolore e l’amore che i ricordi le suscitavano, mentre le lacrime rigavano le sue guance.
Nella mente prese forma uno struggente canto d’addio che aveva sentito intonare sulla banchina del porto. Non ne ricordava le parole, bensì le era rimasta impressa la melodia dal sapore agrodolce.
Quasi non s’accorse di aver socchiuso la bocca e piegato la lingua a cucchiaio, come usava fare quando fischiettava un motivetto insieme ai marinai. Un suono a mala pena udibile e indistinto uscì dalle sue labbra bagnate dal pianto, mentre il cuore batteva forte nel petto. Molto forte.

Gandalf puntò lo sguardo sulla Corsara.
Il vento s’era improvvisamente alzato, sferzando i capelli rossi della fanciulla che proseguiva nella sua melodia silenziosa a occhi chiusi. Non era il soffio delle montagne, ma l’alito salmastro del mare.  

Le nuvole presero a correre rapidamente e s’addensarono sopra le loro teste. Una pioggia leggera cominciò a scendere sulla vallata.
Il re di Roharn alzò il capo, perplesso, guardando lo stregone in cerca di una spiegazione. Ma questi gli fece cenno di pazientare, indicando la giovane con un cenno del capo.  

Una parte della mente di Jill avvertì il piacere di quella tiepida pioggia, calda come i rovesci nelle terre di Sud ma leggera come una carezza. Le gocce d’acqua tintinnavano dolcemente sulla pietra, scorrendo tra le crepe, gorgogliando e gocciolando fino a terra. Il rombo del tuono in lontananza scandiva il ritmo di quel orchestra naturale come un tamburo, con suoni cupi che echeggiavano tra le pareti delle vicine montagne.
Un’altra parte porse invece l’orecchio al suono del vento: pareva cantare, modulando le note di quel motivo struggente di cui lei stava scandendo silenziosamente le parole. Era un suono potente come il ruggito del mare, eppure carico di tristezza e malinconia.

Gimli s’affrettò a raggiungere una tettoia sotto la quale ripararsi. Fino a un attimo prima splendeva il sole e ora si ritrovava a sguazzare nel fango come un rospo. Il tempo era impazzito!
Il suo sguardo venne attirato da una figura slanciata in piedi sotto la pioggia, gli occhi chiusi e il volto senza età rivolto verso il cielo.
Scosse la testa. Fortuna che c’era ancora un Nano con la testa sulle spalle! 

-          Per tutti gli dei! Gandalf – lo apostrofò Theoden – il cielo sta cantando! –
-          No – sorrise tra sé lo stregone – non è la voce del cielo. 
Il re di Roharn seguì la direzione del suo sguardo fino alla fanciulla. E un brivido di terrore gli percorse la schiena.
Aveva intuito che in quella ragazza dovesse celarsi più di quanto appariva in superficie, così come aveva riconosciuto il valore di Aragorn dal loro primo incontro. Theoden non era un ingenuo: tutti i compagni di Gandalf che ospitava nel suo palazzo erano sicuramente pedine essenziali di quella partita che era solo agli inizi.
Ma mai avrebbe pensato che in quella giovane Corsara dai capelli rossi potesse celarsi un simile potere. Se era in grado di controllare i venti e l’acqua per modulare quel canto, che altro sarebbe stata in grado di fare?
D’un tratto rammentò le storie tramandate dagli uomini di mare e giunte sino alle sue orecchie. Molti erano i racconti sulle terribili sirene, bellissime donne per metà umane e per metà pesci. Esse incantavano i marinai coi loro soavi canti ingannatori, spingendo le imbarcazioni sugli scogli e persuadendo le loro prede a tuffarsi tra i flutti, ghermendole e trascinandole con loro negli abissi. Tanto belle quanto irascibili, si diceva che fossero in grado di generare terrificanti tempeste.
Aveva sempre pensato che fossero tutte fantasticherie, poiché era risaputo che gli uomini di mare fossero particolarmente superstiziosi.
Ma guardando quella fanciulla dai capelli rossi muovere silenziosamente le labbra si chiese fino a che punto potesse fidarsi del giudizio di Gandalf. E di lei.

Legolas lasciò che l’acqua scorresse sul suo volto, scendendo sulle sue guance come le lacrime che non riusciva a versare. Dentro di sé però pianse: di commozione e di angoscia, ammaliato dal suo canto ma conscio che più lei si addentrava in se stessa e più si allontanava da quel mondo. E da lui.

La pioggia era cessata e il vento era calato. Il sole splendeva radioso sulla vallata, facendo risplendere come oro liquido le gocce d’acqua che indugiavano sul tumulo.
Jill aprì gli occhi, osservando colma di sincera meraviglia quello spettacolo sfavillante.
S’avvicinò alla tomba. Non s’inginocchiò né chinò il capo. Portò una mano alla fronte, poi al petto e infine batté il pugno sul cuore.
“ Buon viaggio Theodred, figlio di Theoden. E se dovessi incontrare il mio valoroso padre digli che sarò forte, così da renderlo fiero di me quando ci ricongiungeremo.”
Sorrise.
“ Ma riferiscigli pure che dovrà pazientare, perché la mia battaglia è appena cominciata.”

Il re di Rohan osservò la fanciulla mentre porgeva l’estremo saluto a suo figlio.
Il volto era disteso in un’espressione serena, i capelli bagnati che rifulgevano come rame sotto i raggi dorati del sole. Tutta la sua esile persona pareva imbevuta di nuova forza e determinazione. Per un attimo gli ricordò la sua giovane e fiera nipote Eowyn.
Gli occhi scuri accesi d’ardore guardavano lontano, dimentichi delle persone lì presenti e di quanto aveva appena fatto. La fanciulla si trovava di fronte a lui, eppure gli parve quasi evanescente, come se a legarla a quella terra e impedirle di spiccare il volo vi fosse solo un filo sottile.

Jill voltò le spalle al tumulo.
“ Che ne è stato di Vermilinguo?” si rivolse allo stregone.

-          A Grima Vermilinguo è stata offerta la possibilità di redimersi, servendo fedelmente re Theoden e la sua patria. – disse guardandola dritta negli occhi.
Lei strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.

-          Tuttavia – proseguì il suo maestro – egli ha rifiutato l’offerta ed è tornato a Isengard, sotto l’ombra del suo signore. Il destino di quell’uomo, ormai, è strettamente legato a quello di Saruman. –
Jill chinò il capo, celando lo sguardo. Poi, dopo un rapido cenno di commiato a Theoden e Gandalf, si diresse verso le porte della città.
Il suo spirito era in tumulto, la mente di nuovo concentrata sul suo obiettivo.

Il sovrano la guardò allontanarsi.
-          Gandalf – parlò senza scostare gli occhi da Jill – chi è veramente quella fanciulla? –
-          Difficile dirlo, amico mio. –
La risposta dello stregone suonò decisamente evasiva alle orecchie di Theoden.

Legolas schivò abilmente l’affondo della lama sanguigna, assumendo istintivamente una posizione di difesa. Il terreno del cortile s’era trasformato in un pantano di fango su cui i suoi passi sicuri scivolavano appena.
La Corsara ghignò soddisfatta: non ci sarebbe stato alcun gusto se la vendetta fosse stata troppo semplice.

-          Jill! – la chiamò Gimli da sotto la tettoia di una stalla – Fallo a fette! –
Lei piegò le labbra in un ghigno e annuì, senza distogliere lo sguardo dal suo avversario. Da canto suo,l’Elfo scrutò quegli occhi scuri come la notte, domandandosi cosa fosse balzato nella mente impetuosa della fanciulla.
Aveva previsto che al suo risveglio sarebbe stata intrattabile, dato che non solo le aveva impedito di massacrare Vermilinguo ma l’aveva anche atterrata facendole perdere i sensi. Tuttavia aveva l’impressione di leggere un intento omicida nel suo sguardo.
“Jill…”
Un affondo fulmineo lo costrinse ad arretrare.
“Jill, non è il caso di…”
“Sì, è il caso.”
Un altro attacco schivato, ma non tanto egregiamente. Con la coda dell’occhio notò un piccolo gruppo di soldati prendere posto ai bordi del cortile, probabilmente curiosi.
“Jill, mi rammarico di averti colpit…”
Lei balzò nuovamente in avanti, sorprendentemente veloce, costringendolo ad estrarre il lungo pugnale da caccia, unica arma che aveva tenuto legata alla cinta. Parò il colpo, trovandosi a pochi centimetri da quegli occhi scuri e furiosi.
“L’unica cosa di cui dovresti rammaricarti è di esserti posto tra me e quella lurida serpe.”
Fece leva sul braccio e la spinse via. Ma la Corsara atterrò sicura nel pantano, per nulla scomposta dalla sua reazione.
“Quell’uomo è solo un viscido farabutto, un burattino nelle mani di uno Stregone.” protestò lui veemente “ Non sarebbe stato degno di te sporcarti le mani col suo sangue miserabile!”
Degno di me?” piegò le labbra in una smorfia di insofferenza  “Cosa c’è di tanto spregevole nell’uccidere il proprio seviziatore?”
Il sangue si gelò nelle vene dell’Elfo.

Jill balzò nuovamente in avanti, menando fendenti micidiali. Legolas riusciva a pararli, eppure sembrava intenzionato solo a difendersi dalla furia della Corsara, che non accennava a desistere.
Aragorn si accostò a Gimli, lo sguardo fisso sui due combattenti il cui duello in mezzo al fango aveva attirato l’attenzione di un sempre maggior numero di curiosi.

-          Come mai stanno combattendo? –
-          Non ne ho idea – rispose il Nano eccitato, tirando una boccata dalla sua pipa – Ma questa volta ho la sensazione che Orecchie a Punta l’abbia fatta davvero grossa. E che un attimo fa se ne sia reso conto anche lui. –
Il Ramingo annuì pensieroso, osservando la danza letale che si stava svolgendo: Legolas le stava tenendo testa, eppure i suoi colpi mancavano di efficacia.
Aragorn sorrise rammaricato: non avrebbe mai voluto trovarsi nei suoi panni.

La Corsara comprese che stava duellando con un uomo che non si impegnava al massimo delle sue potenzialità e la sua irritazione crebbe. Spazientita, all’ennesimo affondo parato ma senza risposta, chiuse l’altra mano a pugno e colpì l’Elfo sul volto.
Lui non se l’aspettava e cadde a terra, tra i fischi del pubblico.
“Alzati!” gli intimò con rabbia.
Lui si puntellò sui gomiti e lei lo colpì con un altro pugno, facendolo nuovamente cadere in mezzo al fango.
“Alzati e combatti!”
Lui si sorresse nuovamente su un gomito, la mascella dolorante e la mente confusa che si chiedeva se una donna elfica avesse mai menato le mani a quel modo. Lei gli si gettò addosso, colpendolo ancora con foga.
Lui rimase con la testa nel pantano, lo sguardo fisso sul cielo. Le nubi si erano addensate e s’intravedeva solo qualche fazzoletto ceruleo qua e là.
Lei lo prese per il colletto, le mani sporche del suo sangue.
“Combatti, maledizione!” lo colpì ancora “Almeno questo me lo devi! Vigliacco!”

Qualcosa scattò dentro di lui e il principe di Bosco Atro si liberò della Corsara, che cadde a terra. Ma la sorpresa durò poco e lei fu lesta a scansare l’attacco dell’Elfo, che s’infranse sul terreno in una pioggia di schizzi di fango.
Recuperò la spada e sorrise compiaciuta dello sguardo battagliero del suo avversario.
“Finalmente si ragiona.”
Con la bocca aperta in un muto urlo agguerrito si scagliò nuovamente su di lui e il vero duello ebbe finalmente inizio. Entrambi attaccavano e paravano affondi, roteando su se stessi per sfuggire al raggio d’azione dell’avversario e menando calci tentando di fargli perdere l’equilibrio. Attorno a loro la piccola folla li incitava e acclamava, esaltata dalla lotta.
Con un movimento rotatorio del braccio Legolas disarmò la Corsara, facendo volare la sua spada sul tetto di un granaio, e la colpì al volto con un colpo secco del gomito. Dal naso di Jill schizzarono fiotti di sangue, ma lei non se ne curò; indietreggiò rapidamente, schivò un affondo e poi il successivo, roteò su se stessa e colpì l’Elfo con una gomitata e un pugno nel fianco, lui si piegò dal dolore e lei colse l’occasione per balzare lontano dal suo raggio d’attacco.  Corse verso il granaio e con un paio di agili balzi atterrò sulla sua copertura. Alzò lo sguardo e si trovò di fronte il principe di Bosco Atro.
Lui sollevò il lungo pugnale per colpirla, lei si gettò in avanti per afferrare la sua spada e parare il colpo. Sgusciò via appena in tempo e tentò di colpire l’Elfo sulle gambe. Inutilmente, perché lui balzò leggiadro e sicuro sul colmo del tetto, lontano dalla lama sanguigna.

Balzarono da un colmo a una falda dei tetti sotto lo sguardo ammutolito del pubblico.

-          Sembrano quelle bestie del Haradwaith che saltellano tutto il giorno sugli alberi… - grugnì Gimli, infastidito dallo spostamento continuo del palco su cui si svolgeva lo spettacolo – Come diamine si chiamano… -

-          Scimmie. – sorrise Aragorn.
-          Sì, ecco. Sembrano delle maledettissime scimmie. -

Il principe di Bosco Atro atterrò sulla falda di un tetto, sentendo le travi scricchiolare sotto il suo peso. Guardingo, spostò i piedi lentamente per trovare un appoggio più sicuro. Ma non fece in tempo a muoversi che la Corsara gli fu addosso, falciando l’aria con la sua spada letale e costringendolo a parare il colpo col suo pugnale. La forza dell’impatto e il peso dei due ruppe le travi del tetto ed entrambi precipitarono nel granaio.

Legolas riaprì gli occhi per primo. Si trovava disteso su un cumulo di paglia, avvolto in una nube di polvere e steli. A quattro zampe su di lui, Jill teneva gli occhi serrati per proteggerli dal pulviscolo.
Un raggio di sole forò le nubi e inondò il granaio. La polvere divenne luminosa e i fuscelli fluttuanti dorati. I capelli della Corsara s’accesero come fiamme dalle lingue rosse, bronzee e dorate. I fili di paglia incastrati nei suoi capelli parevano una corona di luce.
Fu solo il barlume di un istante. Poi lei riaprì gli occhi e puntò la lama sanguigna sulla gola candida dell’Elfo.
“Ti arrendi?” gli chiese, sogghignando beffarda.
Lui piegò le sue labbra spaccate in un sorriso.
“Sì.”
Lasciò che il pugnale cadesse a terra e prese il viso di lei tra le mani. La baciò.
Fece scivolare gentilmente i polpastrelli sul suo viso sporco di fango e di sangue, attento a non farle male agli zigomi contusi eppure a memorizzare ogni centimetro del suo volto. Le sue labbra sapevano di sangue, eppure gli parvero dolci e morbide. Le baciò con gentilezza e cautela, il cuore che gli batteva all’impazzata nel petto, raggiante e terrorizzato.

Jill arretrò con pochi secondi di ritardo che parvero minuti.
Le sopracciglia corrugate, lo sguardo stralunato, la bocca contratta in un’espressione incredula. Pigiò la lama sulla gola dell’Elfo, costringendolo a riabbassare il capo. Eppure non era padrona di sé stessa in quel momento.
Il suo petto si alzava e abbassava in maniera evidente, il respiro irregolare, i battiti del cuore assordanti. Il filo della spada si tinse di un rosso più acceso e, con distratta curiosità, Jill osservò un sottile rivolo di sangue scivolare fino all’elsa e lambirle la mano. Si sorprese a pensare a quanto fosse caldo.
Improvvisamente troppo fredda e pesante, la spada le scivolò di mano. Ma non era più importante, non ricordava nemmeno perché l’aveva sguainata. L’unica cosa di cui fosse certa era il colore degli occhi dell’Elfo: azzurro come il cielo luminoso d’estate.
Avvertiva il proprio cuore battere all’impazzata nel petto, quasi dolorosamente. Distrattamente, si chiese come un momento così bello potesse procurarle tanta angoscia.
“Jill… io…”
Il suo pensiero parve scottarla e lei istintivamente si allontanò.

Legolas la vide ritrarsi, il corpo tremante e il viso violentemente arrossito.
Dispiaciuto, intenerito e preoccupato dal suo smarrimento, allungò una mano verso il suo volto, ma lei balzò giù dalla catasta di paglia, recuperò la sua spada e corse fuori dal granaio.
La mano di Legolas restò sospesa in aria ancora per un po’.

Aragorn e Gimli giunsero appena in tempo per scansare una velocissima Corsara. Al Ramingo bastò uno sguardo al suo amico di Bosco Atro per girare sui tacchi e correre all’inseguimento della fanciulla.
Gimli imprecò sonoramente.

-          Per tutti gli Dei! C’è qualcuno qua che non abbia ancora perso la testa?! – tuonò col respiro corto.
Gettò uno sguardo all’Elfo sdraiato nella paglia, le braccia spalancate, lo sguardo perso nel vuoto, le labbra sanguinanti piegate in un sorriso, la linea rossa di un taglio che si intravedeva sul collo.

-          Come non detto… - bofonchiò.
Il Nano scosse la testa. In fondo, in quel momento Orecchie a Punta gli faceva un po’ pena.

 

 

 

Continua…

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Capitolo 5
*** - ***


Capitolo 5

 

Jill sedeva in cima alla torre più alta della città di Edoras.
Quand’era piccola e pestifera soleva fuggire da suo padre o da chi avrebbe potuto punirla rifugiandosi in un luogo alto e isolato. Da lì avrebbe potuto avvistare con sufficiente preavviso il sopraggiungere del fabbro e battere in ritirata, sempre che qualcuno osasse raggiungerla lassù. Aveva infatti notato già allora come molte persone temessero le altezze elevate.
Un leggero fruscio al suo fianco le denunciò l’arrivo di un ospite. Che stesse anche lui fuggendo dalle conseguenze delle sue azioni?
-         
Presumo che tu abbia deciso di arrampicarti quassù per godere della quiete e del panorama. –
Lei sollevò le spalle. Anche.
I luoghi alti erano generalmente tranquilli, l’unico rumore era il malinconico ululare del vento. Appoggiò la schiena con scioltezza al  palo che reggeva lo stendardo del casato di Eorl e fece scorrere lo sguardo sugli immensi spazi verdeggianti, fino alle montagne dalle cime innevate. Poi spinse la sua mente ancora al di là di quelle, diverse miglia più a Sud, dove un’infinita distesa blu s’increspava al sopraggiungere di un’imbarcazione.

-          Trovo surreale il pensiero che un luogo tanto incantevole quanto disagevole per qualcuno possa rappresentare un valido rifugio dai problemi. –
Le gote di Jill si velarono per l’imbarazzo. Si sentiva esattamente come quando era bambina ed era quasi certa che, se si fosse guardata in quel momento allo specchio, avrebbe scorto la stessa monella scarmigliata e dal volto tumefatto per l’ennesima rissa tra ragazzini di quartiere.

-          Avete messo su un duello… interessante. –
Ora il suo volto era sicuramente in fiamme.

-          Sarebbe il caso ti medicassi, non pensi? Hai riportato diversi traumi. –
I lividi e le piccole ferite non erano poi tanto dolorosi.

-          Anche Legolas è rimasto ferito… in più punti. –
Quel pensiero invece sì, faceva male. Jill sospirò, ma la morsa al suo petto non si allentò. L’immagine del volto di Legolas non accennava a uscire dalla sua mente. I suoi lineamenti distesi e il sorriso sereno sul viso tumefatto un attimo prima che alzasse il capo per darle un bacio. Leggero, tenero, gentile. Quell’espressione non era mutata nemmeno quando lei l’aveva lentamente allontanato, la lama premuta sulla sua gola, come se si aspettasse e accettasse la sua reazione. Ma sicuramente non aveva previsto quella successiva. E nemmeno lei.
Si portò le mani alla testa, sconfortata.
“Che cosa ho fatto?”
Di preciso non lo sapeva, ma aveva optato per la scelta più semplice e gettonata di tutti i tempi: la fuga.
Da bambina aveva imparato che quando agiva d’impulso e combinava un guaio, la soluzione migliore era chiedere scusa. Ma qualcosa le diceva che quello non era il tipo di pasticcio per cui chiedere semplicemente perdono.
Scosse la testa con forza, gli occhi serrati come se a riaprirli il mondo sarebbe stato diverso. Invece era tutto esattamente com’era qualche istante prima: Aragorn se ne stava ancora tranquillamente appollaiato al suo fianco con lo sguardo perso sull’orizzonte e lei era ancora una ragazzina sporca, arruffata e ferita in seguito a una zuffa tra compagni.

-          Immagino non sia facile per te, Jill. –
Lei strabuzzò gli occhi, fissando lo sguardo sul Ramingo che ancora osservava le montagne. O forse qualcosa al di là di esse.

-          Sei cresciuta tra uomini, si vede. Sei forte, coraggiosa e orgogliosa tanto quanto me, Legolas e Gimli. – sorrise tra sé – Ti ho persino sentita ruttare come il nostro amico Nano! –
Lei abbassò un poco lo sguardo, insicura se dovesse sentirsi orgogliosa o imbarazzata.
-         
Ma non sei un uomo… Sei una donna. – si voltò a guardarla – Una splendida e fiera donna. Con i suoi desideri, le sue curiosità, i suoi sentimenti… Che sfortunatamente non sempre riescono a trovare la comprensione e lo spazio che meritano in questa realtà fatta di uomini. –
Sospirò.
-         
Purtroppo viviamo in un mondo difficile, pieno di pregiudizi e principi che spesso ci imbrigliano, condizionando e limitando le nostre scelte. So bene – sorrise tristemente – quanto possa esser frustrante. Credimi, vorrei tanto poterti aiutare, poterti spiegare ciò che non ti è chiaro di questo mondo, di te e di quello che senti. E vorrei farlo con le parole giuste, quelle che meriti di sentire. Disgraziatamente temo di cavarmela meglio su un campo di battaglia che in questo ambito. –
Sembrava costernato e Jill lo guardò perplessa.
-         
Ma vorrei non dimenticassi mai, Jill, che, indipendentemente da quello che potranno dirti, non vi è nulla di sbagliato nell’assecondare i propri desideri e sentimenti, anche se non siamo certi di dove ci condurranno. Il nostro dovere in questo mondo, d’altronde, non è vivere secondo i dettami imposti da antiche convenzioni né di seguire il percorso tracciatoci da qualcun altro. Il nostro unico obbligo è quello verso noi stessi.
Sii dunque sempre fedele innanzitutto a te stessa, scegli la tua strada sapendo di esser padrona delle tue gambe e non rinunciare a nulla di ciò che potrebbe renderti felice solo perché qualcuno potrebbe giudicarti o perché potresti commettere un passo falso.
Chi tenta, giorno per giorno, di raggiungere i propri obiettivi sicuramente ogni tanto sbaglierà e cadrà, ma avrà sempre la possibilità di rialzarsi e ricominciare ad avanzare per giungere alla propria meta. Mentre chi si lascia scoraggiare resterà sempre in piedi, fermo e avvilito in compagnia dei rimpianti. –
Jill annuì, abbracciandosi le ginocchia. Aveva l’impressione che Aragorn non alludesse solamente a quanto successo in quel granaio. D’altro canto si rendeva conto che non poteva restare nascosta lassù per sempre. Prima o poi avrebbe dovuto scendere e affrontare Legolas.
Sospirò, frustrata.
“Sì, ma come? Dovrei presentarmi alla porta del suo alloggio per dirgli… cosa esattamente?”
Esordire con la storia del bacio era impensabile, solo l’idea le faceva prendere fuoco le gote. Aveva bisogno di una scusa, o meglio di un valido diversivo.
Il Ramingo tirò fuori un vasetto dalla cintola.
-         
Questo unguento dovrebbe aiutare a rimarginare in fretta le ferite e lenire i dolori delle contusioni. Potrebbe essere utile anche a Legolas. –
Lei lo prese tra le mani, sbigottita. Aragorn le fece un cenno di saluto col capo e si calò giù per la torre.
Jill lo guardò allontanarsi, piegando la bocca in una smorfia.
“Quel maledetto Ramingo non me la racconta giusta: che mi abbia letto nel pensiero?”
Osservò il piccolo contenitore e la sua espressione si addolcì.
“Fa sempre il modesto, ma se la cava piuttosto bene con le parole.” 

Gimli scosse il capo ed emise una nuvola di fumo.
Orecchie a Punta era ridotto peggio di quando erano usciti dalle miniere di Moria, dopo aver visto Gandalf precipitare in quel baratro. Si era appena allontanato dalla stanza dell’Elfo, lasciandolo seduto di fronte la finestra, lo sguardo rivolto all’esterno che fissava il vuoto anziché il panorama.
-         
Ah, le donne… - bofonchiò.
Non che Jill fosse esattamente come le altre donne.
Ancora una volta si meravigliò del sentimento di compassione che provava nei confronti dell’arciere. Legolas era, inutile negarlo, non solo un guerriero micidiale e un compagno coraggioso e leale, ma anche un principe fiero e giudizioso.
“Vorrei ben vedere, con tremila anni di esperienza…”
Eppure tutta la sua abilità e maturità pareva essersi volatilizzata di fronte a quella fanciulla.
E come poteva essere altrimenti? Lei era qualcosa di totalmente nuovo per lui: una guerriera in grado di tenergli testa, un caratterino focoso facilmente suscettibile, uno spirito libero che seguiva solo il suo istinto e perciò totalmente imprevedibile. Ed era bella. Bella in un modo che non aveva nulla a che fare con lo splendore etereo delle fanciulle di razza Elfica: la pelle ambrata, i capelli infuocati, i tratti esotici, gli occhi penetranti, il corpo sinuoso e scattante come i felini di montagna.
Jill era dotata di un fascino eccentrico ma indubbio, era una di quelle donne sicure e indipendenti che avrebbero potuto far perdere la testa a qualunque uomo. Tuttavia lei non ne era minimamente consapevole.
“Né di quanto sia attraente. Né di quanto il principe sia attratto da lei.”
Sorrise, scuotendo la testa: quella ragazza era più ottusa di un Nano. 

Jill fece leva sulle braccia, issandosi sulla finestra e ritrovandosi a pochi centimetri dal volto di Legolas.
“Sta diventando una scomoda abitudine.” pensò arrossendo e distogliendo in fretta lo sguardo.
-         
Presumo che entrare dalla porta sarebbe stato troppo ordinario. – commentò l’Elfo.
“ Disse colui che s’intrufolò nello stesso modo nella stanza di una convalescente sconosciuta.”
“ Già allora non riuscivo a starti lontano troppo a lungo.” le rispose ironicamente.
Jill si voltò pronta a rispondere a tono al suo sarcasmo, ma un sorriso gentile la dissuase. Fece scorrere lo sguardo su quel volto senza età, dai lineamenti delicati ma virili, ora leggermente deturpati dai segni del loro duello.

Per un attimo Legolas si stupì nel non ricevere una replica al suo commento, non capitava spesso che la sua Corsara rinunciasse a una schermaglia mentale con lui.
“La mia Corsara…”
Quanta dolcezza e amarezza gli provocò quel pensiero.
Distogliendo lo sguardo dal suo, Jill si sedette sul davanzale della finestra di fronte a lui. La vide armeggiare per estrarre un vasetto in terracotta. Lo schiuse e vi immerse un indice, estraendo un po’ di quel preparato pastoso e dall’odore pungente.
“Aragorn mi ha detto che questo prodotto aiuta a rimarginare le ferite…”
Il suo tono era fermo, ma la sua mano tremava in maniera impercettibile e quel dettaglio lo fece sospirare.
“Ti fa molto male?” lo guardò lei, allungando l’indice verso il suo volto. Lui le si avvicinò leggermente, permettendole di spalmare l’unguento sul suo zigomo.
“No… non è poi così doloroso.”

Jill tentava di concentrarsi sul suo operato. Non era mai stata un’abile guaritrice e sentire lo sguardo dell’Elfo su di sé non la metteva propriamente a suo agio.
Corrugò la fronte, spostando una ciocca di capelli dalla propria fronte col dorso della mano. Inutilmente, poiché questa le ricadde sul naso. Soffiò nel tentativo di scostarla, ma un’altra s’aggiunse alla prima. Frustrata, stava per usare le dita impiastricciate d’unguento, quando Legolas allungò una mano e le spostò la ciocca dietro l’orecchio.
Un gesto gentile eseguito con estrema naturalezza, ma che la fece rabbrividire. La mano dell’Elfo indugiò dietro il suo orecchio e lei abbassò lo sguardo, conscia che quegli occhi azzurri stavano cercando i suoi.
Strinse con forza il vasetto di terracotta e inspirò a fondo, tentando di concentrarsi sulle parole anziché sui battiti assordanti del suo cuore.
“Legolas, non so bene cosa stia succedendo.”
“Vuoi che te lo spieghi io?”
Non c’era ironia nel suo tono, sembrava piuttosto una carezza.
Jill non rispose, lo sguardo che studiava con attenzione il contenuto del piccolo recipiente stretto dalle sue mani appoggiate sul grembo. L’unguento stava lentamente mutando colore, osservò, forse per l’esposizione all’aria.
I secondi passavano, insopportabilmente lunghi ma non abbastanza da farle venire in mente qualcosa di sufficientemente sensato da esser formulato.
Poi le dita di Legolas scivolarono da dietro l’orecchio lungo la sua mandibola, fino a fermarsi sotto il suo mento e alzarlo, incrociando il suo sguardo.

Lo sguardo spaurito di lei gli strinse il cuore.
Il suo primo istinto fu di abbracciarla. Voleva stringerla forte tra le sue braccia, baciarla con trasporto fino a farsi sanguinare di nuovo il labbro e dirle che l’amava e desiderava con ogni fibra del suo corpo. Ma non lo fece.
“Tengo molto a te, Jill.” disse invece.
“Anch’io tengo a te.”
“Tengo molto anche ad Aragorn e a quel testone di un Nano.” le sorrise “Ma il modo in cui tengo a te è diverso. Nei tuoi confronti provo dell’affetto di natura diversa rispetto a quello che potrei mai nutrire verso di loro.”
“Ah, certo non mi aspetto di vederti baciare Gimli!”
La Corsara arrossì violentemente, resasi conto troppo tardi dell’allusione fatta a quanto successo nel granaio. Legolas soppresse una risata: credeva di esser impacciato in campo sentimentale, ma lei superava di gran lunga il suo livello.
“No” le rispose in tono divertito “troppa barba, non credo potrebbe esser altrettanto piacevole.”
“Lo…” esitò lei, abbassando di nuovo lo sguardo “Lo è stato?”
“Sì.” inclinò lui il capo per incrociare nuovamente i suoi occhi “È stato uno dei momenti più piacevoli della mia vita.”
“Hai vissuto moltissimi anni…” protestò lei.
“Parecchi, in effetti. Eppure non ho mai incontrato qualcuno come te.”
“Impulsiva?”
“Importante.”
Lei corrugò la fronte.
“Per me tu sei importante, unica e insostituibile, così come l’affetto che provo per te.”
Jill pareva turbata.
“Anche tu sei importante per me… Ma non sono sicura di cosa provo.”
Alzò lo sguardo, più fiduciosa ma al tempo stesso costernata.
“Mi dispiace, io non mi sono mai trovata in situazioni del genere, non sono mai stata baciata…” disse arrossendo appena “ Non so cosa si fa in questi casi, o meglio, ne ho una vaga idea. Ma non so cosa voglia fare io… con… con te…”
“Non desidero che tu faccia nulla di più di ciò che senti affine a te stessa.” le sorrise.
“ E tu? Tu, Legolas…” tremava impercettibilmente “Tu cosa vorresti fare?”
“Se me lo permetterai” le sorrise dolcemente “ vorrei starti vicino.”
“In…” arrossì lei “In che senso… vicino?”
“Nel modo che risulterà più spontaneo e congeniale a entrambi. In ogni caso” abbassò le mani cingendo quelle di lei con le sue “io sarò sempre dalla tua parte. Qualsiasi decisione tu prenda, in qualsiasi modo si evolva il nostro rapporto, io sarò sempre tuo amico e alleato.”

Jill sorrise: da qualche tempo nella Compagnia parevano esser sbocciati inaspettati oratori.
Fece scorrere lo sguardo sul suo volto: l’unguento era stato assorbito in fretta e uno degli ematomi sembrava già sbiadire. Osservò la sua espressione calma in cui scorgeva un velo d’apprensione.
Aveva imparato a conoscere il principe di Bosco Atro quel tanto da presumere che quelle parole dette con disinvoltura fossero state in realtà attentamente soppesate, probabilmente per non turbarla.
Lei, che aveva trascorso tutta la sua vita a contatto con gli uomini, conosceva l’amicizia, il cameratismo, il rispetto e la lealtà, ma era totalmente ignorante riguardo al tipo di sentimento che sentiva frullare nel suo stomaco come ali di farfalle e che percepiva nello sguardo e nel tocco gentile di lui. E l’Elfo doveva averlo capito.
Aprì una mano intrecciando le dita con le sue.
“Grazie, Legolas.”
Per averla compresa. Per non averla messa in difficoltà con termini e richieste che non sarebbe stata in grado di metabolizzare e gestire. Per averle detto che lei è importante. Per averla lasciata libera di scegliere, quando e come desiderava.
“Libera…”
Le tornarono alla mente le parole di Aragorn e improvvisamente i dubbi e le inquietudini che l’avevano tormentata nel regno di Lorien le parvero insignificanti.
“A chi importa se lui è un Elfo e io un Umana? Se lui è un principe e io una Corsara?”
Alle tradizioni, forse. Sicuramente a tutti coloro che si ammantavano di pregiudizi e facili sentenze. Ma lei era una Corsara, una fuorilegge per definizione, una donna che solo brandendo la sua spada e navigando su un’imbarcazione piena zeppa di uomini rudi già sfidava tutti i  tabù e i pregiudizi dei regni della Terra di Mezzo. Dunque non sarebbe stata certo lei a porsi dei limiti riguardo a chi e come volesse accanto a sé.
E se Legolas l’accettava per quel che era, Umana e canaglia irrequieta, se capiva e rispettava i suoi desideri e le sue necessità senza imporle nulla, lasciandola libera… Se qualsiasi scelta lei avesse preso lui non avrebbe smesso di credere in lei abbastanza da restare dalla sua parte…

Legolas strabuzzò gli occhi per la sorpresa quando Jill si allungò per cingergli il busto con le braccia. Avvertì le mani poggiarsi sulla sua schiena, il viso di lei accostato al suo e il respiro caldo che gli accarezzava il lobo di un orecchio. Pregò che il cuore non gli saltasse in gola.
“Restiamo vicini, allora, Legolas…”
Con un sospiro, lui avvolse la vita stretta di lei, sperando che quel “restiamo vicini” fosse per sempre.

 

Un paio di tonfi alla porta interruppero il loro abbraccio.
-         
Scusa se interrompo il tuo momento di depressione solitario, ma siamo attesi da Gandalf e re Theoden nella sala del trono. –
Jill si scostò velocemente, leggermente stralunata, come se si fosse appena destata.
-         
Credo che verrà servita anche la cena. Vedrai che a stomaco pieno ti sentirai meglio e i tuoi drammi ti sembreranno delle inezie! –
Legolas trattenne a stento una risata per le parole che, dal punto di vista del Nano, avrebbero dovuto rincuorarlo e invece avevano avuto l’effetto di imbarazzare nuovamente la Corsara.
“Sarà meglio che non mi veda uscire dalla tua stanza.”
“Concordo.”
Lei si voltò per uscire dalla finestra, quando si voltò appena.
“Ci… ci vediamo là allora.”
Legolas annuì e lei si calò giù con un balzo agile e silenzioso.

 

Jill strinse i pugni con forza nell’ascoltare la carneficina che le truppe di Saruman stavano perpetrando nei villaggi di Roharn.
-         
Questo è solo un assaggio del terrore che Saruman scatenerà. Sarà sempre più spietato perché ora è spinto dalla paura di Sauron. –
L’Occhio comparve improvvisamente nella mente della Corsara, che s’affrettò a scacciare quel terribile ricordo.
“Sauron…”
Aveva percepito con estrema chiarezza la sua potenza e malvagità, così come aveva sentito il sussurro velenoso dell’Anello. Sperò che Frodo stesse bene. Per quanto “bene” fosse un termine che mal calzava alla situazione in cui si era cacciato l’Hobbit per tentare di salvare tutti loro.
-         
Monta a cavallo e affrontalo. – Gandalf allungò una mano per afferrare il bracciolo del seggio del re, parlando in tono inflessibile – Allontanalo dalle donne e dai bambini. Devi combattere! –
-         
Hai duemila bravi soldati che vanno a nord mentre parliamo. – aggiunse Aragorn tirando una boccata di fumo dalla sua pipa – Eomer ti è fedele. I suoi uomini torneranno e combatteranno per il loro re. –
-         
Saranno a trecento leghe da qui ormai. – proruppe il sovrano, alzandosi – Eomer non può più aiutarci. –
Gandalf si alzò con decisione, tuttavia Theoden proseguì, perentorio.
-         
Lo so cosa vuoi da me – disse rivolto allo stregone – ma non arrecherò ulteriore morte al mio popolo. Non rischierò una guerra aperta. –
-         
La guerra aperta incombe – commentò in tono pacato il Ramingo – che tu la rischi o no. –
-         
Se ricordo bene, Theoden, non Aragorn, è il re di Roharn. –
Jill si appoggiò nervosamente alla parete, le braccia conserte e il volto accigliato di fronte all’ottusità del sovrano. Che intenzioni aveva quel maledetto re? Contrastare l’offensiva di Saruman barricato nella città di Edoras?
“Figuriamoci, i suoi fabbricati non hanno resistito al duello tra me e Legolas!”
Un leggero ghigno sul volto dell’Elfo le fece comprendere che lui aveva captato i suoi pensieri.
Gimli ruttò per poi pulirsi la birra dalla bocca alla bene e meglio. Jill incrociò il suo sguardo e annuì: sicuramente nessuno di loro sarebbe fuggito di fronte alla spietatezza di quel folle sanguinario.
Si portò una mano alla gola, sfiorando la cicatrice liscia e pallida.

-          Allora qual è la decisione del re? –

 

Jill armeggiava col suo leggero bagaglio, la mente persa in foschi pensieri.
Non che lei avesse un ruolo tale in quella faccenda da poter contestare le decisioni di un re o di proporre delle valide alternative, ma quel che s’apprestavano a fare andava contro la sua natura.
“Chiuderci in un fosso come conigli in una tana! Io sono una Corsara, maledizione!” tirò con forza la cinghia della sua sacca “Io non fuggo di fronte al pericolo, l’affronto a viso aperto. E se anche dovessi battere in ritirata, sicuramente non sarebbe in un buco tra le montagne!”
Ma non era solo questo. C’era qualcosa che la turbava, come un cattivo presentimento. D’altronde era vissuta a Isengard abbastanza da conoscere lo Stregone Bianco quel tanto da aspettarsi una spiacevole sorpresa da parte sua.
Si sedette sul letto, pensierosa.
“Saruman è tremendamente intelligente e calcolatore, non può non aver previsto che Theoden avrebbe ripiegato in quella fortezza che, lei stessa si ricordava di averlo letto durante il suo apprendistato, si era più volte rivelata inespugnabile. Dunque avrà sicuramente un piano…”
E sicuramente quella serpe di Vermilinguo sarebbe stato prodigo di consigli, dopo essersi a lungo infiltrato nella casa reale, avendo accesso alla loro documentazione, ascoltando e osservando tutto quello che veniva discusso e girovagando liberamente per tutte le valli del regno. Grima doveva sapere quali fossero i punti deboli del popolo di Roharn e li avrebbe certamente sfruttati, così come aveva fatto con il suo sovrano.
Sospirò, sconfortata: avvertiva il pericolo e lo scontro farsi sempre più incalzanti, eppure Gandalf stava per partire.
“Di nuovo…”
La Compagnia aveva appena ritrovato un suo componente che già doveva salutarlo. Capiva la necessità che fosse lui a partire alla ricerca di Eomer e dei suoi cavalieri: la velocità e la resistenza di Ombromanto sarebbero stati cruciali.
“Ma non mi piace… Non mi piace che la Compagnia si disgreghi, abbiamo già visto quanto sia controproducente. Ma soprattutto non mi piace separarmi di nuovo da lui…”
-         
Il tuo pensiero mi commuove, piccola Jill. –
Lei balzò su dal letto.
-         
Deduco che fossi profondamente assorta. –
“Deduci piuttosto che si usa bussare alle porte per una ragione.” si indispettì lei.
-         
Ma io ho bussato – le sorrise lui paziente – Ben tre volte. Non ricevendo risposta mi sono permesso di fare da me. –
Lei fece una smorfia e si rimise a sedere.
-         
Cos’è che occupa tanto i tuoi pensieri, mia cara? –
“Ho una spiacevole sensazione. Per la decisione presa dal re, per quello che nemmeno riesco a immaginare Saruman abbia in serbo per tutti noi.” abbassò il capo “Perché ci stai lasciando, di nuovo…”
Lo stregone sorrise benevolo, sedendosi accanto a lei.
-         
Quel “ci stai lasciando” suona come un “mi stai abbandonando”. – disse calmo – Capisco che tu ti senta turbata da tutto ciò e condivido la tua inquietudine. Vorrei poter restare con te, Jill. So che quanto ti sto dicendo suona poco più che parole al vento, ma credimi: potessi controllare il tempo vorrei tornare a quando scorrazzavamo per la Terra di Mezzo, come apprendista e maestro. Ho molta nostalgia di quei giorni sereni e di quella acerba Jill. –
“Non è che io sia cresciuta poi molto…” arrossì lievemente lei.
-         
Al contrario, mia cara. Giorno dopo giorno maturi e apprendi tantissimo: sia sul mondo che ti circonda che su di te. E io vedo quanti progressi hai fatto e quanti, enormi, ancora farai. –
Lei storse la bocca in una smorfia.
Progressi…” si schernì da sola “Diciamocelo, senza di te e tutto il resto della Compagnia io non sarei in grado di combinare poi molto.”
Gandalf scosse la testa.
-         
Ti sottovaluti. –
“Lo sai che non sono un tipo modesto.”
-         
Questo lo so bene, mia piccola spaccona! – le diede un leggero buffetto – Ti sottovaluti perché non ti conosci abbastanza bene, non riesci ancora ad essere sufficientemente obiettiva. Al contrario io vedo la forza che c’è in te. – le accarezzò i capelli – Né io, né Aragorn, Gimli o Legolas abbiamo intenzione di separarci da te. Ma ti assicuro che, anche nella peggiore delle evenienze, tu non avresti nulla da temere, perché il tuo potere è ben più forte del vigore con cui reggi la tua spada. –
“Le mie braccia e le mie gambe sono quanto mi restano, da quando Saruman mi ha fatto tagliare le corde vocali da quel lurido verme… Sai bene che senza la mia voce non posso usare la magia, se non per banali trucchetti. L’incantesimo che ho effettuato a Moria sulla tomba del cugino di Gimli mi aveva prosciugata di tutte le mie energie e fatto salire la febbre. Mi hanno mutilata per rendermi inoffensiva, no? Beh, ci sono riusciti!”
-         
Non è proprio così. La tua menomazione rappresenta un ostacolo, non un impedimento assoluto. – parlò lo stregone in tono fermo.
“Tu stesso mi hai insegnato l’importanza della parola: è chiamando una cosa col suo nome che le diamo forma nella mente ed è così che gli stregoni invocano la magia e compiono i sortilegi.”
-         
Quel che dici è vero, mia cara. Eppure – le sorrise – sono persuaso del fatto che anche se subissi una grave lesione io non cesserei di essere ciò che sono, un emissario di Valinor. –
“Già… e io la figlia di un fabbro.”
Gandalf non rispose, limitandosi a sorridere. Jill aveva imparato a riconoscere quel particolare gesto: il modo in cui lo stregone sorrideva con la bocca e con gli occhi, fissando il suo sguardo penetrante negli occhi del suo interlocutore era la sua personale maniera di lasciare intendere che vi fossero dei sottointesi. Tendenzialmente, però, si era anche abituata al fatto che tali allusioni fossero impossibili da decifrare.
“Vi è qualcosa di perverso nel tuo accennare a informazioni che puntualmente decidi di tenere per te, lo sai, vero?”
Gandalf rise di gusto, arruffandole leggermente i capelli.
-         
Tornerò presto, piccola Jill. –
“Non ti vedo molto preoccupato.”
-         
E perché dovrei? – le sorrise lui – So che lascio questa gente in ottime mani. –
“Spero che le mie si dimostrino forti abbastanza in caso di un assedio.”
-         
Lo saranno. Ricordati, mia cara, che la vera forza non sta nel vigore del braccio, ma nel coraggio del cuore e nella perseveranza di intenti. –
“Con quelli non si abbattono molti nemici, temo.” protestò con una smorfia “Da quel che so io, il valore di un guerriero si misura in nobili gesta solo nelle ballate.”

-          Forse. – sorrise di nuovo enigmatico lui – Eppure io credo che quando tutto questo sarà finito e  ricorderemo questi giorni, parleremo del coraggioso Boromir rammentandone la forza e il valore non per via dei nemici che ha sconfitto, ma per gli amici che ha protetto. –

Gandalf non fu sorpreso dallo scorgere la figura di Legolas quando si chiuse la porta della stanza di Jill alle sue spalle. Sorrise, sornione come un gatto, avvicinandosi al principe.
L’Elfo lo salutò, in toni un po’ più ossequiosi di quelli precedentemente usati dalla Corsara.
-         
Mi auguro che ci ricongiungeremo presto, Mithrandir. Sii prudente. –
-         
Anche tu, principe. – gli sorrise enigmatico – Anche tu. –
Legolas aggrottò la fronte, captando il tono ambiguo dello stregone. Ma Gandalf girò sui tacchi, incamminandosi verso il proprio alloggio senza dargli il tempo di interrogarlo su quella insinuazione.
In effetti vi erano diversi nuovi e interessanti sviluppi per cui sarebbe volentieri rimasto anziché partire alla ricerca di Eomer.
Sorrise tra sé, assaporando quella solleticante curiosità. Gli ingranaggi erano stati messi in moto, ne avvertiva il ticchettio farsi più serrato man mano che gli eventi si susseguivano. Le carte in tavola erano ormai quasi tutte scoperte e chi era in grado di leggerle avrebbe potuto prevedere parte di ciò che sarebbe accaduto da lì in avanti. Tuttavia vi erano ancora figure celate ai suoi occhi e una variabile che avrebbe potuto rimescolare tutte le carte.
“ La capacità di scegliere: la più grande virtù di qualsiasi essere umano… ma al contempo la più terribile delle maledizioni.”
Eppure qualcosa, forse l’istinto o magari la fede, gli diceva che, alla fine, sarebbe andato tutto per il meglio. Gettò un’ultima occhiata all’Elfo alle sue spalle, il cui sguardo aveva indugiato sulla porta della stanza di Jill per poi allontanarsi insieme ai suoi passi, e sorrise.
“ Sì, andrà tutto bene.” pensò cominciando a canticchiare un motivetto tra sé e sé.
-         
Legolas Verdefoglia, a lungo nella foresta
Hai vissuto con gioia. Guardati dall’Onda!
Se il gabbiano odi gridar sulla sponda,
Il tuo cuor più non riposerà nella foresta
.* –

Legolas sospirò, poi svoltò l’angolo.

 

 

 

Continua…

 

 

 

Nota dell’autrice:

* I fan di Tolkien che hanno letto “Il Signore degli Anelli” ricorderanno forse questa citazione: si tratta di uno dei messaggi che dama Galadriel affida a Gandalf, profezie di ciò che il futuro riservava ai membri della Compagnia dell’Anello.

Ho voluto aggiungere questa nota perché sono stati questi versi a ispirarmi per la creazione del personaggio di Jill e dunque di tutta la storia.

 

Monalisasmile

 

 

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Capitolo 6
*** - ***


Capitolo 6

 

Frodo assisteva in disparte all’ennesima schermaglia tra Sam e Smeagle. Era contento di vedere che almeno per il momento il suo giardiniere aveva deciso di deporre l’ascia di guerra e smetterla di avvilire quella creatura penosa.
“ Penoso…”
Era in questi termini che vedeva Smeagle, così come se stesso ogni qualvolta si specchiava in un rivo: un essere penoso e debole nel corpo quanto nello spirito. Sam lo rimproverava spesso perché quasi non mangiava e dormiva solo quando il suo fisico cedeva sotto il peso di quel fardello.
“L’Anello…” pensò, ma subito distolse la mente da quell’idea, conscio di quanto ormai fosse sensibile al richiamo dell’oggetto oscuro.
Chiuse gli occhi e adottò il metodo che aveva affinato negli ultimi giorni per tenere la mente lontana dalle spire dell’Anello di Sauron: pensava a Jill, fantasticando su meravigliose avventure che la sua eroina dai capelli rossi aveva o avrebbe compiuto. E funzionava.
Frodo sorrise, inspirando profondamente l’aria fresca e godendo dei raggi tiepidi del sole che gli accarezzavano il volto. Nei suoi pensieri, però, quella brezza era invece un impetuoso vento caldo e salmastro, che spettinava i capelli e gonfiava le vele di una maestosa nave. Il ponte dell’imbarcazione era chiazzato qua e là dalla spuma del mare e la prua era intagliata in un’avvenente forma femminile. E lì, con lo sguardo rivolto in un punto lontano sull’orizzonte e la postura fiera di una condottiera, stava la sua coraggiosa Corsara. Il vento s’insinuava nella sua blusa bianca e nei lunghi capelli rossi, che sferzavano l’aria come lingue di fuoco, ma lei non se ne curava, poiché i suoi pensieri erano rivolti alla prossima meta.
“Sicuramente un’altra grandiosa avventura…”
Un suono attirò la sua attenzione, distogliendolo dalle sue fantasticherie. Incuriosito ma guardingo, strisciò tra gli arbusti e la bassa vegetazione fino a giungere in un punto in cui aveva una buona visuale dell’altopiano, subito raggiunto da Sam e Smeagle. Sotto i loro occhi sfilava un battaglione simile a quello che avevano incontrato di fronte al Cancello di Mordor.
-         
Chi sono? – bisbigliò Sam.
-         
Uomini malvagi, servi di Sauron. – sibilò Smeagle – Li hanno chiamati a Mordor. L’Oscuro raduna tutti gli eserciti, tra poco sarà pronto. –
-         
Pronto per cosa? –
-         
Per fare la sua guerra – sentenziò la creatura raccapricciante – l’ultima guerra che ridurrà tutto il mondo nell’ombra. –
Un brivido percorse la schiena di Frodo, il cuore stretto in una morsa di disperazione.
-         
Dobbiamo muoverci. – sentenziò – Andiamo, Sam. –
-         
Padron Frodo – lo fermò il giardiniere – guardate! Sono Olifanti. – disse colmo di meraviglia.
L’Hobbit osservò le gigantesche creature dal naso ondeggiante e le lunghe zanne bianche. Ricordava di averne osservato colmo di stupore le rappresentazioni nei libri di suo zio Bilbo, ma dal vivo parevano ben più maestosi e possenti. Sorrise, eccitato quasi quanto il suo compagno di viaggio.
-         
Nessuno a casa vorrà crederci. – bisbigliò Sam.
Un rumore alle loro spalle li distolse dai loro pensieri e Smeagle arretrò nella vegetazione, allarmato. Un attimo dopo, centinaia di frecce cominciarono a fioccare sull’esercito di Mordor, colpendo i soldati e le colossali bestie.
Pochi minuti dopo, Frodo e Sam vennero legati e incappucciati da coloro che avevano teso l’imboscata: i Raminghi dell’Ithilien.

-          È vero, non si vedono molte donne tra i Nani. – stava spiegando Gimli a una divertita Eowyn – In effetti sono talmente simili nella voce e nell’aspetto che spesso vengono scambiate per uomini Nani! –
Lei rise, voltandosi a incontrare lo sguardo di Aragorn, che cavalcava poco dietro dell’animale montato da Gimli e da lei condotto per le briglie.
-         
Hanno la barba – bisbigliò lui, mimando il folto pelo sul mento con la mano.
La sua risata tintinnò ancora, fresca come l’acqua di un ruscello.
-         
Questo a sua volta ha dato origine alla credenza che non esistano donne tra i Nani – continuò Gimli – e che i Nani, ecco, spuntino dalle buche del terreno. – mimò scherzando amabilmente – Il che naturalmente è ridicolo. –
Un istante dopo il cavallo su cui montava il Nano scattò in avanti, disarcionando il suo maldestro cavaliere tra le risate della folla.
-         
Non è niente, non è niente – blaterò lui, tentando di rimettersi in piedi – Non abbiate paura! L’ho fatto di proposito! –
Eowyn si affrettò al suo fianco, senza smettere di ridere.
Jill la osservò voltarsi in direzione di Aragorn e pensò a quanto bella e serena fosse quella principessa sotto i raggi del sole del mattino, che ne baciava la pelle candida e i lunghi capelli biondi come spighe di grano.
“ Si vede che è innamorata di Aragorn.”
Quel pensiero anziché farla sospirare le colmò il cuore d’amarezza: prima o poi il sorriso di Eowyn sarebbe stato offuscato dalla consapevolezza che il cuore dell’uomo di cui s’era invaghita apparteneva già a un’altra fanciulla. Arwen era la figlia di Elrond, Signore di Gran Burrone, e si diceva che fosse la più avvenente di tutte le fanciulle elfiche: aveva una pelle candida come la neve, setosi capelli corvini e due saggi e luminosi occhi grigi come la bruma del mattino. La chiamavano Stella del Vespro perché era bella come la prima stella che compariva al calar del sole. Ed Aragorn ne era totalmente, irrimediabilmente innamorato da diversi anni.
La Corsara fece una smorfia, pensando che nessuno avrebbe potuto reggere un simile confronto. Rivolse di nuovo la sua attenzione all’espressione infatuata di Eowyn e per un attimo vi intravide qualcosa di diverso. Pensò allo sguardo che aveva visto Aragorn rivolgere ad Arwen e corrugò la fronte, assorta.
“ A che pensi, sorella?” la raggiunse un pensiero non molto lontano: una volta che il popolo di Rohan aveva lasciato la città di Edoras, incamminandosi verso il Fosso di Helm, Huan aveva preso a spostarsi con loro, a debita distanza per non mettere in allarme i cavalieri.
“ Penso che la principessa Eowyn sia una donna piuttosto contorta.”
“ Avverto il tuo interesse nei suoi confronti.”
Jill si chiese cosa in quella fanciulla destasse tanto la sua attenzione.
“ Forse non sono abituata a vedere donne tanto risolute da queste parti.” pensò con una vena di sarcasmo.
Da quando era giunta nel palazzo di Edoras aveva avuto modo di osservare e ascoltare diverse volte la principessa di Rohan e da subito aveva percepito una certa affinità: Eowyn era una donna indipendente, sicura di sé e intelligente, nonché un’abile spadaccina desiderosa di dimostrare il proprio valore, apparentemente sprezzante del pericolo.
“ E della morte…”
La certezza di quel pensiero la turbava. Osservò ancora quella figura sottile e sorridente, ma in quel momento le sembrò incrinata, come una statua di cristallo in cui si andavano aprendo tante piccole crepe. A quel punto nello sguardo infatuato che rivolgeva ad Aragorn le parve di scorgere una richiesta di aiuto.
Istintivamente i suoi occhi saettarono avanti, oltre la carovana degli abitanti di Rohan, fino a posarsi sulla figura che sostava dritta e sicura come un faro tra i flutti. Si chiese con che tipo di sguardo lei lo osservasse. Arrossì, al pensiero che forse gli rivolgeva le stesse occhiate infatuate che Eowyn riservava al Ramingo.

Sentendosi osservato, Legolas voltò il capo, incrociando lo sguardo di due occhi profondi e pensierosi, che subito saettarono lontano.
Il principe di Bosco Atro sorrise, intenerito dal rossore che imporporava le gote della Corsara, tanto valorosa sul campo di battaglia quanto impacciata in quello sentimentale.

-          Dov’è lei? –  domandò Eowyn con garbo al Ramingo che conduceva il cavallo accanto a lei – La donna che vi ha donato quel gioiello. –
Jill osservò Aragorn aggrottare la fronte, perso in foschi pensieri, e provò una vena di compassione per entrambi: nella sua mente se li figurò tendere la mano verso l’oggetto del loro desiderio che, per diversi motivi, non riuscivano ad afferrare.
-         
Mio signore? – ripeté la principessa.
Quando rispose, la fronte di Aragorn era solcata da rughe di afflizione.
-         
Sta andando nelle Terre Immortali con ciò che resta della sua stirpe. –
Eowyn parve scottata dalle sue parole, o forse dal suo sguardo tormentato, e allungò il passo.

“ Sorella!”
Il richiamo improvviso di Huan quasi la fece sobbalzare.
“ Maledizione, Huan, a momenti finivo col sedere a terra come Gimli! Che succede?”
“ Ho appena staccato la testa a un Orco che montava un Mannaro. Credo che sia un esploratore.”
“ Dannazione!” imprecò lei, voltando lo sguardo verso la carovana di donne, bambini e anziani alle sue spalle che avanzavano lentamente sul terreno brullo.
Strinse i pugni con rabbia. Non aveva dubbi su chi fosse il mittente e quali fossero le sue spregevoli intenzioni.
“ Maledetto Saruman! Aggredire tante persone indifese con una simile imboscata… intende trucidare tutti gli abitanti di Edoras senza lasciar loro la possibilità né di fronteggiarlo né di proteggersi! Vigliacco!”
“ Che facciamo, sorella?”
Jill sorrise maligna.
“ Massacriamoli.”

Legolas avvertì il tocco della mente di Jill e la vide raggiungerlo al galoppo del suo bianco destriero.
“ Huan ha intercettato un esploratore” gli comunicò smontando da cavallo “ una squadra di Mannari si sta avvicinando rapidamente. Dobbiamo avvertire subito gli altri e dire a re Theoden di organizzare la cavalleria per fronteggiarli. Altrimenti quest’allegra scampagnata fino al Fosso di Helm si tramuterà in una maledetta carneficina!”
Legolas annuì, serio.
“ Cavalcherai con me?”
“ No” gli rispose con un sorriso sghembo “ Mi intralceresti.”
Lui sorrise divertito e lei ricambiò il gesto, per poi allontanarsi di corsa, le gambe agili e veloci come quelle di un lupo.

Aragorn vide Jill allontanarsi e poi Legolas montare a cavallo e raggiungerli al galoppo.
-         
Huan ha intercettato un esploratore. – riferì al gruppo in testa alla fila di profughi – C’è un folto drappello di Mannari in avvicinamento. Credo Saruman gli abbia dato l’ordine di tenderci un’imboscata prima che potessimo trovare riparo presso il Fosso di Helm. –
-         
Maledizione. –
-         
Chi è questo Huan? Un altro membro della vostra Compagnia? – volle sapere il sovrano.
-         
Sì. – gli rispose il Ramingo – Lui e Jill sono… particolarmente affiatati. –
-         
E dov’è questo Huan nel momento del bisogno? –
-         
Sicuramente molto vicino. Credo che Jill gli stia andando incontro per fronteggiare insieme i Mannari. – si scambiò un’occhiata d’intesa con Legolas, che annuì.
-         
Molto bene, allora non ci faremo cogliere impreparati dall’agguato di Saruman. –
Re Theoden diede rapide disposizioni e i soldati montarono a cavallo, mentre Eowyn ricevette l’ordine di scortare il popolo di Rohan al Fosso di Helm. La udì protestare, desiderosa di combattere e dimostrare il proprio valore con la spada in pugno. Ma il sovrano fu irremovibile.
Aragorn le lanciò un ultimo sguardo prima di raggiungere il resto della cavalleria: la sua figura era fragile eppure il suo cuore ardeva fiero e coraggioso come quello delle più grandi regine.
Poi voltò il cavallo e galoppò verso il campo di battaglia.

Decine di Mannari calarono feroci sulla cavalleria di Rohan.
Theoden infilzò un Orco e subito alzò la guardia per proteggersi dalla bestia che tentò di staccargli un braccio. Strattonò il cavallo e la lancia di un cavaliere infilzò il Mannaro, che crollò a terra. Il re si voltò per fronteggiare l’avversario successivo, quando udì un ululato.
Vide un enorme Lupo correre giù dal rilievo, le fauci irte di denti dischiuse in un ringhio famelico, in tutto simile alle terrificanti bestie che si diceva avessero fiancheggiato gli oscuri signori Morgoth e Sauron nelle prime ere del mondo.
Dapprima pensò che fosse un’altra bestia inviata da Saruman per trucidarli e un brivido gli percorse la schiena; poi s’accorse dell’esile figura che lo cavalcava, la spada sanguigna levata verso il cielo, i capelli rossi che sferzavano l’aria come uno stendardo. Si gettarono sul primo Mannaro: il Lupo strappò la gola alla bestia con un solo morso, lei trapassò l’Orco. Un altro avversario incoccò una freccia, ma non fece in tempo a puntarla che la Corsara gli fu addosso con un balzo, disarcionandolo con un calcio e rimanendo in groppa al Mannaro. La bestia tentò di disarcionarla e morderle le gambe, ma lei lo ferì, lo strattonò per fargli perdere l’equilibrio e gli tagliò la gola. Il Mannaro stramazzò a terra morto, lei atterrò con sicurezza e si diresse verso l’avversario successivo.
Theoden osservò il Lupo affiancarsi alla Corsara e pensò vi fosse qualcosa di speciale che li legava: correvano entrambi protesi in avanti, le bocche spalancate in un muto grido di battaglia, letali, veloci e straordinariamente coordinati, quasi fossero un'unica entità.

Legolas abbatté il Mannaro che stava per balzare su Gimli.
-         
Questo conta come mio! – protestò il Nano.
Sorrise, divertito dallo smisurato orgoglio del compagno, e incoccò un’altra freccia. Il dardo saettò nell’aria con un leggero sibilo, centrando la gola di un Orco.
Una fanciulla coi capelli rossi gli lanciò uno sguardo di fuoco.
“ Era a questo che alludevo. Pensa ai tuoi Orchi, che io penso ai miei!”
Nascose un ghigno: non credeva possibile vi fosse qualcuno che potesse competere coi Nani in orgoglio e testardaggine.

Jill mozzò di netto la testa di un Orco, poi mise a fuoco la figura di Aragorn, che ne stava disarcionando un altro a suon di testate. Sorrise perfida.
“ Aragorn se la cava piuttosto bene.” pensò compiaciuta.
Si voltò in cerca di un’altra testa da far rotolare a terra, ignara che alle sue spalle le cose non stavano procedendo come credeva.

La battaglia era finita e l’altopiano era costellato di cadaveri: Mannari e Orchi, cavalli e cavalieri. Troppi, purtroppo.
Legolas osservò le bestie superstiti fuggire disordinatamente su per le alture e cercò con lo sguardo i compagni. Gimli aveva divelto l’ascia dall’ultimo avversario, Jill stava ripulendo la lama della sua spada sanguigna e Huan stava annusando i cadaveri dei Mannari, forse in cerca di un premio per la sua prestazione.
Un’assenza catturò la sua attenzione.
-         
Aragorn! – chiamò – Aragorn! – ripeté, spostandosi tra i cadaveri e cercandolo con lo sguardo nella speranza di non trovarlo steso a terra.
Gli occhi di tutti saettarono sul campo di battaglia, ansiosi di trovare il coraggioso e saggio erede di Isildur. Un brivido d’inquietudine attraversò il corpo dell’Elfo, che istintivamente s’avvicinò alla scarpata rocciosa che si gettava nel fiume.
Legolas s’affacciò al dirupo, tallonato da Gimli, Jill e Huan. Una risata soffocata lo fece voltare verso un Orco steso a terra, gravemente ferito.
“ L’ho visto combattere contro Aragorn.” riferì Jill.
-         
Cos’è successo? – gli si rivolse Legolas in tono duro.
L’Orco non rispose, continuando a sghignazzare tra i fiotti di sangue che gli uscivano dalla bocca.
-         
Dimmi cos’è successo – ripeté Gimli in modo più persuasivo – e ti faciliterò il trapasso – aggiunse sollevando l’ascia sulla testa del moribondo.
-         
È… è morto – balbettò faticosamente – ha fatto un piccolo capitombolo dal dirupo. – sghignazzò.
Legolas avvertì il sangue gelarsi nelle vene e la furia e il dolore montargli in petto. Si chinò sull’Orco, afferrandolo brutalmente.
-         
Tu menti. – quasi sibilò a denti stretti.
Non poteva esser successo veramente. Quell’immonda creatura gli stava certamente mentendo. Decise di ignorare ogni prudenza e di sondare la mente di quell’essere moribondo per vedere da sé cos’era realmente accaduto. Vide attraverso gli occhi dell’Orco il loro scontro a cavallo del Mannaro, fino al tragico epilogo: Aragorn rimaneva incastrato alle cinghie della sella dell’animale e insieme scomparivano oltre il ciglio del burrone. Un attimo dopo tutto si fece scuro: l’Orco sghignazzò ed esalò l’ultimo respiro.
Lo gettò a terra con sprezzo, notando che teneva qualcosa in una mano. Schiuse le dita prive di vita, trovandovi  il ciondolo che Arwen aveva donato ad Aragorn come pegno del suo amore.
Incapace di accettare quanto la mente dell’Orco gli aveva rivelato, si s’affacciò nuovamente al ciglio del dirupo, guardando di sotto insieme a Gimli e il re di Rohan: qualche decina di metri di roccia più in basso il torrente scorreva impetuoso, schiaffeggiando le sponde pietrose.
Una parte dell’Elfo avrebbe voluto gettarsi immediatamente di sotto a cercare il suo più caro amico. Ma la parte più razionale mise a tacere quel folle istinto: nessuno avrebbe potuto sopravvivere a una simile caduta. Se anche avesse avuto fortuna, il suo corpo non era in vista, segno che la corrente impetuosa del fiume l’aveva trascinato via.
Nessuno disse una parola.
Poi un soldato si avvicinò al sovrano, in attesa di ordini.
-         
I feriti suoi cavalli. – parlò re Theoden – I lupi delle terre selvagge torneranno. Lasciate i morti. –
Legolas lo fulminò con lo sguardo, le labbra serrate. Una parte di lui avrebbe voluto urlare il suo risentimento. L’altra invece credeva non dovesse biasimare un sovrano per aver preso la decisione più spiacevole ma lungimirante: risparmiare il tempo delle sepolture per organizzare al meglio le difese del Fosso di Helm e proteggere la popolazione che vi aveva cercato rifugio, fiduciosa del fatto che il loro re li avrebbe protetti.
Strinse i pugni, ben conoscendo i doveri e le responsabilità di un monarca che, in quanto tale, doveva anteporre il proprio regno a tutto, finanche ai propri sentimenti.
-         
Vieni – lo esortò con garbo re Theoden.
Da quando si conoscevano, sia lui che Aragorn erano sempre stati esposti ai pericoli. Sapeva che era molto probabile che uno dei due perisse durante una missione rischiosa o sul campo di battaglia e in cuor suo paventava il giorno in cui avrebbe dovuto piangere sul corpo del suo defunto amico, come aveva già fatto su quello di tanti altri compagni che l’avevano fiancheggiato.
“ E allora perché non riesco ad accettarlo?”
Legolas voltò le spalle al dirupo, il cuore stretto in una morsa.
Solo allora alzò lo sguardo e si accorse che Jill aveva gli occhi sbarrati. 

Avvertì il tocco di Legolas su un braccio e si riscosse dai propri pensieri.
“ Jill, dobbiamo andare.”
Lei spostò lo sguardo dal suo volto contrito a quello scuro di Gimli, che teneva il capo chino e andava borbottando qualcosa, forse una preghiera.
“ Jill…” ripeté lui non ricevendo risposta “dobbiamo and…”
“ È colpa mia.”
“ Cosa è colpa tua?”
“ Se Aragorn è caduto. L’ho visto lottare contro quell’Orco in groppa al Mannaro, ma non gli ho prestato troppa attenzione e gli ho… voltato le spalle!”
L’espressione della fanciulla pareva inorridita dalle sue stesse parole.
“ Jill, non l’hai spinto tu giù da quel dirupo.” le disse lui pazientemente “ È stata una fatalità.” le accarezzò delicatamente una guancia, l’espressione addolorata “ Una tragica fatalità.”
“ Che io avrei potuto impedire!” protestò lei “Ero lì, Legolas!” indicò col dito un punto poco lontano dal dirupo “ Avrei potuto aiutarlo! Invece…” strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche “ Invece ero troppo presa dalla mia battaglia, tanto da non rendermi conto che un mio compagno era in difficoltà…”
Il principe di Bosco Atro sospirò.
“ Probabilmente non avresti potuto fare nulla per impedire quanto successo.”
“ Come fai a dirlo?”
“ E tu?”
Jill strinse la mascella, ma non rispose.
“ La vita è piena di “se”, ma non possiamo cambiare quanto è già avvenuto, non possiamo tornare indietro nel tempo. Tuttavia possiamo decidere cosa fare con quello che ci viene ancora concesso. Ora quello che possiamo fare è continuare il nostro cammino e far sì che la dipartita di Aragorn non sia stata priva di valore. Ora” la guardò dritta negli occhi “quello che possiamo fare è proteggere questa gente come lui stesso avrebbe fatto. So che stai soffrendo, tutti noi sentiremo la sua mancanza. Enormemente.” si portò una mano al petto “ Ma il mio cuore mi dice che non possiamo desistere proprio ora che il bisogno incalza. E il tuo, Jill?”
La Corsara chiuse gli occhi, traendo un profondo respiro. Lo esalò lentamente.
“ Anche il mio mi dice di non arrendermi.” disse con decisione riaprendo gli occhi.
“ Va bene, allora…”
“ Andrò a cercarlo.”
Legolas inspirò a fondo.
“ Jill…”
“ Mi hai chiesto cosa dice il mio cuore.” alzò il mento ostinata “ Ebbene, mi dice che Aragorn è ancora vivo.”
“ Anche con la più grande delle fortune dalla sua parte non può sopravvivere a quelle rapide, Jill: la corrente è troppo forte e le sponde ripide e rocciose. Mi dispiace, ma temo che il suo corpo potrà riposare solo una volta a valle, diverse miglia lontano da qui.”
“ Lo so, per questo vado a cercarlo: avrà bisogno di aiuto.”
I cavalieri erano rimontati tutti in sella, re Theoden attendeva pazientemente i superstiti della Compagnia. Legolas le afferrò le spalle.
“ Jill, sii ragionevole. Ammiro la tua determinazione, ma questa volta non c’è tempo per seguire l’istinto, dobbiamo fare ciò che ci siamo ripromessi entrando a far parte di questa Compagnia: salvare la Terra di Mezzo, proteggere tutta questa gente dallo sterminio.”
“ Non intendo venir meno alla mia promessa: questa gente, la Terra di Mezzo, noi tutti abbiamo bisogno di Aragorn. Ma ora è lui che ha bisogno del nostro aiuto ed io non posso abbandonarlo!”
“ Maledizione, Jill!” le strinse le spalle “ Non puoi per una volta fare semplicemente come ti viene chiesto?!”
“ Io non voglio fare semplicemente come mi viene chiesto.” gli rispose lei, il tono duro e lo sguardo glaciale.
“ Questo s’è capito, tu non vuoi mai seguire i consigli di qualcun altro, bensì sempre e solo la tua testa cocciuta e avventata!” sbottò lui “ Ma questo non è il momento per le leggerezze: c’è una guerra che incombe, esseri malvagi e folli che intendono sterminare intere popolazioni stanno sguinzagliando i loro eserciti con l’unico scopo di distruggere tutto ciò che incontrano. Non posso permetterti di scorrazzare da sola per queste brughiere che pullulano di Orchi, Mannari e chissà quali altre diavolerie!”
“ Perché?” lo sfidò con uno sguardo sfrontato “ Ho forse bisogno del tuo permesso?”
Legolas si raddrizzò, staccando le mani dalle sue braccia, come se fosse stato scottato.
“ Hai detto bene” proseguì lei “ faccio sempre di testa mia, cosa che fin ora mi ha tenuta in vita, nonostante tutto. Quindi continuerò a seguire i consigli del mio cuore anziché gli ordini di qualcun altro.” fece una reverenza esagerata “ Col tuo permesso, principe, prendo congedo.” e si voltò per avvicinarsi a Huan.
L’Elfo la guardò montare sulla groppa del Lupo e rivolgere un cenno di commiato a re Theoden e a Gimli. Poi Huan balzò in avanti, spostandosi da una roccia all’altra con agilità, diretto verso il torrente.
Legolas la osservò dalla cima del dirupo, ma gli occhi della Corsara restarono ostinatamente puntati verso il corso d’acqua, attenti a non incontrare il suo sguardo. Gimli gli si affiancò.
-         
Sai – proruppe – non immaginavo che anche tu potessi arrabbiarti a quel modo. –
-         
Come, scusa? – gli rispose Legolas, l’espressione ancora accigliata e la fronte solcata da rughe di preoccupazione.
-         
Non ho la tua età, ma non sono mica nato ieri, sai? Immagino che tu e Jill abbiate avuto una bella discussione telepatica, o come diamine comunicate voi, giusto? –
Sghignazzò dello sguardo perplesso che l’Elfo gli rivolse.
-         
Amico mio, forse non te ne sei accorto, ma quando si tratta della piccola Jill diventi particolarmente espressivo. E non è difficile intuire il motivo per cui avete litigato. – accennò al torrente – La nostra impulsiva Corsara ha deciso di cercare Aragorn, forse perché convinta che sia ancora vivo. – scosse la testa abbattuto.
-         
Hai centrato il punto. –
-         
Immagino tu abbia tentato di dissuaderla. –
-         
Certamente! È una follia pensare che possa essere sopravvissuto a una simile caduta. E anche se ce l’avesse fatta, la corrente del fiume gli avrà frantumato le ossa contro le rocce delle sponde. – si portò le mani alla testa, accucciandosi a terra – È una follia. Eppure lei non ha voluto darmi retta e non ho potuto fare nulla per impedirle di andare a cercarlo. –
-         
Da quel che so, Jill ha perso molte persone a lei care. Suo padre è stato ucciso, la sua città bruciata e la popolazione massacrata, Saruman l’ha tradita e mutilata e per un pelo non perdeva anche Gandalf. Non è strano dunque che si aggrappi anche alla più flebile speranza che Aragorn sia ancora vivo. –
-         
Lo so… -
-         
E non penso dobbiamo preoccuparci della sua incolumità nell’immediato. Sono certo che lei e il Lupo siano in grado di badare a se stessi e che presto ci raggiungeranno al Fosso di Helm. –
-         
Lo so… -
Il Nano gli batté una pacca sulla spalla.
-         
Non ti va a genio l’idea di separarti da lei, vero? –
-         
Per niente. –
-         
E di non avere influenza sulle sue decisioni… -
-         
Vorrei solo poterla aiutare e proteggere… - rispose in tono angosciato – Ma lei non vuole il mio aiuto e sfugge ai miei tentativi di tenerla lontana dai pericoli. Anzi, ogni tanto mi vien da pensare che lo faccia apposta a cacciarsi nei guai! –
Gimli scosse la testa, sorridendo sotto i folti baffi.
-         
Amico mio, non ti invidio per niente: ti sei innamorato di una donna davvero impegnativa! –
Legolas gli rivolse un altro sguardo sconvolto.
-         
E non guardarmi con quell’espressione stralunata! – rise il Nano – Te l’ho detto che quando si tratta di Jill sei estremamente eloquente: persino un ebete si accorgerebbe degli sguardi rapiti che le rivolgi! –
-         
Non è per quello che sono sbalordito. Mi hai chiamato “amico mio”. –
-         
Oh – bofonchiò Gimli – Davvero? Magari hai sentito male. –
-         
Due volte. – ghignò l’Elfo.
-         
Oh. – distolse lo sguardo impacciato – Abbiamo fatto attendere anche troppo sire Theoden, sarà il caso di rimontare a cavallo e dirigerci verso il Fosso di Helm. Santi numi, c’è una battaglia alle porte! –
Legolas si fermò accanto al destriero.
-         
Ti aiuto a montare in sella, amico mio? –
Il Nano imprecò fra sé e sé per tutto il percorso fino al Fosso di Helm.

Jill s’acquattò sulla riva del fiume, sondando con attenzione il terreno.
Dopo minuti che parvero ore si raddrizzò: nulla. Un’occhiata a Huan le fece capire che anche la sua ricerca era stata infruttuosa. Eppure avevano setacciato con attenzione le sponde di quel rivo per un paio di miglia, fino al punto in cui la corrente s’indeboliva. Più avanti un rombo ovattato dalla vegetazione preannunciava la presenza delle rapide.
“ Maledizione!” imprecò verso il cielo.
Sperava di trovare qualche traccia che potesse ricondurre al Ramingo come era accaduto nel caso degli Hobbit al limitare della Foresta di Fangorn, ma non v’era segno di Aragorn lungo quelle sponde. Se solo avesse potuto evocare un incantesimo…
Se!” pensò con frustrazione “ Se avessi ancora la mia voce riuscirei forse a fare un incantesimo di localizzazione, ma io non ce l’ho più la mia dannata voce!” balzò nell’acqua, desiderosa di poter urlare a squarciagola “ Me l’hanno strappata via!” menò un pugno nell’acqua “ Come mi hanno strappato via la mia casa, la mia gente, mio padre! E ora” volse uno sguardo disperato verso l’acqua che scorreva attorno alle sue gambe, le braccia abbandonate lungo i fianchi “tu vuoi portare via Aragorn…”
-         
Chi sarebbe questo Aragorn? –
Jill alzò lo sguardo, incontrando un volto…blu.

 

 

 

Continua…

 

 

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Capitolo 7
*** - ***


Capitolo 7

 

-          Chi sarebbe questo Aragorn? –
Jill alzò lo sguardo, incontrando un volto…blu. La sua bocca si aprì in un muto grido di sorpresa, le  sue braccia rotearono in aria nel tentativo di trovare l’equilibrio e la Corsara franò rovinosamente nell’acqua. Quando sollevò lo sguardo, quel viso era ancora davanti a lei.
“ Chi sei?”
-         
Chi sei tu, piuttosto, che prendi a pugni l’acqua del mio fiume? –
Due occhi dorati rotearono come i bulbi di un pesce, fissandosi su di lei.
“Non volevo prendermela con il fiume.”
Chinò il capo verso l’acqua cristallina, che le rimandò il riflesso di una ragazza ferita e sporca dallo sguardo sconsolato.
La creatura cambiò tono, improvvisamente cordiale e affabile.
-         
Deve esserti capitato qualcosa di brutto, mia cara… - lasciò in sospeso la frase avvicinandosi a lei.
Jill intravide nel riflesso dell’acqua un ghigno famelico profilarsi sul volto indaco e rialzò rapidamente lo sguardo, guardinga.
“Purtroppo sì, me ne sono capitate tante.”
-         
Forse posso aiutarti, se… -  
“ A chi dovrei la mia gratitudine?” lo interruppe decisa.
-         
Oh, non dovresti ringraziarmi, vorrei solo poterti conoscere. -
“Lungo le sponde di questo fiume non è usanza presentarsi quando si vuole fare la conoscenza di qualcuno?”
La creatura lasciò che la sua bocca si piegasse, rivelando i denti aguzzi.
-         
Ti dico il mio nome se tu mi dici il tuo. –
Jill strinse gli occhi. Aveva intuito il giusto: quella creatura doveva appartenere al Popolo Fatato, cui i nomi erano particolarmente importanti.
Le leggende narravano infatti che bastava chiamarli per nome per liberarsi dal loro sortilegio e costringerli a sottomettersi al proprio volere. Allo stesso modo quegli spiriti potevano usare il nome della propria vittima per lanciarle terribili malefici, raggirarla o addirittura impossessarsi del suo corpo. Gandalf le aveva spiegato che il Popolo Fatato era ormai quasi scomparso dalla Terra di Mezzo, ma che alcune creature ancora risiedevano nelle foreste o nel letto dei fiumi, custodi spesso schivi e restii a mostrarsi agli esseri umani che ne avevano causato la lenta estinzione. Bisognava prestare molta cautela in caso capitasse di incontrarne uno, poiché erano spiriti astuti e dispettosi, inclini all’ira e vendicativi, sebbene non per forza malvagi. L’aspetto indifeso o attraente permetteva loro di trarre in inganno le loro vittime, che venivano raggirate e poi ghermite.
La Corsara lo osservò: sembrava un ragazzino coperto di squame turchesi, le mani palmate e gli occhi dorati. Sulle guance aveva delle fessure simili a branchie e i capelli erano un groviglio informe di alghe e sterpi. Nel complesso sembrava un allegro fanciullo dall’aspetto bislacco e gli occhi di miele, non fosse stato per il sorriso irto di denti acuminati che le aveva rivolto. Cercò di indovinare in quale creatura delle acque si fosse imbattuta.
Il ragazzino capovolse la testa.
-         
È per quello che eri tanto arrabbiata? – le chiese con voce squillante – Anch’io menerei pugni in giro se mi avessero tolto la voce. –
Jill s’incupì, sospirando. Non riusciva a capacitarsi di come la sua vita si facesse ogni giorno più difficile, di come qualsiasi situazione si rivelasse sempre contorta, di come continuasse a imbattersi in creature incantate, maligne e ingannevoli. Eppure era solo la figlia di un armaiolo assetata di avventure per mare.
Le ombre andavano allungandosi. Distolse lo sguardo dalla creatura fatata per portarlo sull’orizzonte. Il sole aveva raggiunto il punto più alto nel cielo e a breve avrebbe cominciato la sua lenta discesa oltre quei clivi, da cui presto si sarebbe profilato l’esercito di Saruman. E non dubitava che gli Uruk-hai avrebbero distrutto ogni cosa lungo il loro cammino.
“ Ogni villaggio, ogni campo, persino questa macchia verde di pace…”
Chiuse gli occhi, lasciando che lo stormire del vento tra le foglie le riempisse il cuore, dimentica del ragazzino dai denti aguzzi. Entro poche ore avrebbe dovuto far ritorno e raggiungere il Fosso di Helm.
Huan le si avvicinò e il fanciullo fece un balzo su un albero con uno strillo acuto. Dall’alto dei rami osservò l’enorme Lupo accostarsi alla Corsara. Lei gli posò una mano sul muso.
“ Goditi quest’acqua limpida, gli odori del bosco e l’ebbrezza della tua ultima caccia. Mi dispiace, fratello mio… ma non so se ce ne sarà occasione in futuro.”
Lui le strofinò il muso sul volto e con un balzo s’addentrò tra la vegetazione.

-           Quel mostro è tuo amico? – le si rivolse il ragazzino, che ancora restava appollaiato sull’albero.
“ È mio fratello.”
-         
Tu hai stipulato un legame con quello?! –
Lei si limitò ad annuire, guardando tristemente il punto in cui il fiume curvava per poi proseguire il suo percorso fino alle rapide che si udivano appena ruggire.
-         
Sbaglio o l’atmosfera è piuttosto lugubre? –
Jill si sedette su una roccia, guardandolo balzare giù dall’albero guardingo. Evidentemente la presenza di Huan era bastata a farlo desistere dai suoi intenti famelici. La Corsara provò una stretta al cuore, pensando che presto l’esercito di Saruman sarebbe marciato attraverso quel rivo.
“ Non so quanto tu sia a conoscenza degli eventi di questa terra, ma c’è una guerra in arrivo.”
-         
Gentile da parte tua preoccuparti per me, dolcezza. Ma me ne infischio delle lotte di potere tra esseri umani. –
Lei sorrise della sua spavalderia. In fondo ai suoi occhi era solo un ragazzino.
“ Sono sicura che sai badare a te stesso più che bene. Ma Saruman e Sauron stanno mobilitando eserciti composti da creature mostruose, partorite dalla loro menti malvagie. E non muovono guerra ai sovrani di queste terre, ma alla vita come la conosciamo: uccideranno chiunque incontrino e distruggeranno qualsiasi cosa calpestino. Anche questo fiume… questi alberi… Persino questo vento non porterà più profumi silvestri e il canto degli uccelli, ma solo fumo, putridume e grida.”
Sospirò.
“La Terra di Mezzo, ogni sua cosa bella, ogni forma di vita… e di magia” portò lo sguardo su di lui “scomparirà.”
Improvvisamente gli occhi dorati si fecero seri e quel volto turchese di fanciullo le parve avesse molti più anni di quanti ne dimostrasse.
-         
Io non ho fissa dimora, mia cara. Sono uno spirito dell’acqua e come l’acqua non posso essere imbrigliato o annullato. Muterei forma e scivolerei lontano da questa terra sconvolta dalla violenza. –
“ Certo…”
-         
Anche tu potresti fare lo stesso. – le si avvicinò – Potresti salire sul dorso del tuo grottesco Lupo e mettere in salvo entrambi. Sareste liberi. –
Jill sorrise tristemente tra sé.
-         
Questa non è la tua guerra – la incalzò gentilmente – e sicuramente non è la sua. –
“ Hai ragione. Eppure noi combatteremo.”
-         
Perché? –
“ Perché voglio che un domani vi siano ancora luoghi come questi, in cui sentirsi liberi di sostare…” la sua mente saettò al Lupo che rincorreva una preda “o di cacciare…”
La creatura fatata strinse gli occhi, studiando il suo volto in cerca di una conferma o forse un dubbio cui aggrapparsi.
Trascorsero alcuni minuti, in cui Jill si beò del silenzio e dei raggi del sole che le intiepidivano le gote. Poi il fanciullo parlò di nuovo.
-         
E questo Aragorn… sarebbe utile allo scopo? –
“ Sicuramente lo sarebbe. Ma probabilmente è deceduto cadendo nel fiume.”
-         
Se sai che è morto perché lo stavi cercando? –
“ Perché credevo… Credevo che fosse ancora vivo.”
-         
Allora perché ne hai interrotto la ricerca? –
“ Perché non può essere sopravvissuto…”
La creatura sbuffò.
-         
Deciditi: è vivo o morto? –
Jill tacque.
Sedeva ancora sulla roccia lambita dalla corrente, gli stivali affondati nell’acqua. Inspirò.
“ C’è una parte di me… Una parte di me che continua a ripetermi che è vivo e che devo assolutamente trovarlo. Però ho setacciato il letto del fiume fino a qua senza risultato e oltre quella curva ci sono le rapide. Se è sopravvissuto deve trovarsi alle mie spalle, ma non so più come rintracciarlo…”
Il ragazzino stralunò gli occhi.
-         
Tu possiedi la magia, mia cara. Ne sento l’odore. Perciò non hai che da chiamarlo. –
Lei sollevò il mento, mostrando la gola mutilata.
-         
Non hai bisogno delle corde vocali, quando porti un Ulumur nella bisaccia. –
Jill strabuzzò gli occhi, sorpresa e improvvisamente allarmata, temendo che quel ragazzo coperto di squame cercasse di impossessarsi del potente strumento. Se la creatura percepì la seconda reazione non lo diede a vedere.
-         
Non sai come adoperarlo? –
“ Non so nemmeno come aprirne la custodia.”
-         
Mostramela. –
La Corsara esitò. Huan era troppo lontano per intervenire e lei non era certa di riuscire da sola a tener testa a quella creatura fatata, qualunque fosse la sua natura. Tuttavia non era riuscita nemmeno a scalfire il contenitore dell’Ulumur e c’era una battaglia in arrivo: se fosse morta prima di riuscire ad aprire quella scatola il dono di Dama Galadriel si sarebbe rivelato inutile, qualsiasi potere celasse. Decise che non sarebbe stato il primo e probabilmente nemmeno l’ultimo dei rischi della sua vita.
Estrasse il contenitore dalla sacca da viaggio e la allungò verso il fanciullo turchino. Questi le sorrise.
Poi dette un colpo alla scatola e la fece cadere in acqua.
Jill aprì la bocca in un muto grido di sorpresa, per poi chinarsi a raccogliere la custodia. Aperta.

Con gli occhi sgranati, estrasse dall’acqua una grossa conchiglia perlacea. Da un lato era stata forata in più punti, mentre la punta era stata incisa fino a ricavare l’apertura che faceva da bocchino a quello splendido corno.
-         
Inutile chiederti se sai suonare. –
Jill fissò i suoi occhi sgranati sul fanciullo, che estrasse dal groviglio di capelli un flauto ricavato da un giunco.
“ Ah, è un Nix…” pensò distrattamente, ricordando le leggende sugli spiriti d’acqua mutaforma che attiravano le vittime con l’incanto della loro splendida musica per poi affogarle nei fiumi.
Alla vista dello strumento del Nix fece un passo indietro, che non passò inosservato allo spiritello.
-         
Temi la mia musica… - constatò soddisfatto – Fai bene. – ghignò – Ma rimanderei il nostro duello a un’altra occasione. Ora vorrei darti una dimostrazione. –
Detto ciò portò il flauto alle labbra e soffiò.

Un suono dolce si diffuse nella conca, ma non somigliava alla musica di alcuno strumento a lei conosciuto. Pareva piuttosto lo zampillio di una sorgente montana, le cui gocce tintinnavano sulla pietra, per poi scivolare lungo le fredde insenature. Un attimo dopo qualcosa di gelato le sfiorò il volto e lei allungò una mano: neve. Nulla era cambiato nella vallata, eppure sopra il loro capo s’era formata una sottile coltre, da cui piovevano candidi fiocchi.
Poi la musica cambiò e il sole tornò a scaldare la valletta. Jill riconobbe subito il suono delle onde che si infrangevano sulla costa, il chiocciolio dell’acqua che si ritirava dalla scogliera disseminata di conchiglie. Un piccolo muro d’acqua andò a formarsi al centro del fiume, per poi piegarsi in due lunghe onde dai pennacchi spumosi. Parevano rincorrersi lungo il letto del fiume e con una nota più acuta del flauto presero le sembianze di due lontre festose, che si cercavano e allontanavano in un gioco sinuoso, fino a scomparire tra i flutti del rivo.

Quando la musica terminò Jill aveva ancora gli occhi puntati sul fiume, l’Ulumur stretto tra le mani.
-         
Vedo che hai apprezzato. – gongolò il Nix.
“ Posso… posso farlo anch’io?”
-         
Beh, col tempo forse potresti riuscire… -
“ Insegnami!”
-         
Mi hai scambiato per un maestro? Ritieniti fortunata di aver avuto una dimostrazione che tu possa ricordare. – ghignò.
Jill arrossì, chinando lo sguardo sull’Ulumur, concentrata.
Dunque poteva usare la musica di quello strumento per chiamare Aragorn, così come il Nix aveva chiamato a sé la neve. Poteva modulare suoni diversi per evocare
“ Cosa?”
Il linea di massima qualunque cosa che rispondesse alla sua musica. Fenomeni atmosferici, spostamenti di masse d’acqua cui dare forma.
“ Già, ma come?”
Lei non aveva alcuna dote musicale, sapeva appena fischiare.
Provò a soffiare nella grande conchiglia. Nulla. Riprovò. Nulla.
-         
Sul serio pensi che basti soffiare? – si lasciò cadere su un cuscino di muschi il Nix – E io che credevo di essere speciale! – la canzonò pungente – Invece a quanto pare qualsiasi essere vivente dotato di polmoni e bocca può fare quello che faccio io! –
Jill gli lanciò un’occhiataccia.
-         
Maledizione, mettici un po’ di sensibilità! –
Dunque l’Ulumur non era dissimile dagli altri strumenti musicali: era l’abilità dell’esecutore a dare vita alle melodie. Nelle mani di una persona normale era una semplice conchiglia, ma se Dama Galadriel gliene aveva fatto dono era perché evidentemente c’era qualcosa in lei che la rendeva speciale, come diceva lui.
“ La magia…”
Voce o non voce, la magia albergava ancora in lei, ridotta a una debole fiamma che pure riusciva a scaldarle il petto. Doveva solo riuscire a ridarle vigore.
Portò di nuovo il corno alle labbra, inspirando. Sentì l’aria entrarle dal naso e attraversarle il corpo fino al petto, soffiando sulla fiamma della magia, rinvigorendola. Percepì quella stessa aria risalire lungo la sua gola più calda e lasciò che uscisse dalla sua bocca, attraversando il corno.
Un suono basso uscì dalla conchiglia, simile all’acqua di un lago placido che ne lambiva le rive sabbiose, facendo frusciare dolcemente le foglie del canneto. Il balzo di un pesce disegnò cerchi concentrici sulla sua liscia superficie e una libellula frullò le ali velate al suo orecchio.

Il Nix riportò la sua attenzione su di lei.

Riprovò, soffiando con maggior forza su quella fiamma che ora ardeva dentro di lei come un focolare. Lo scrosciare dell’acqua di tramutò in una risata cristallina e l’acqua del fiume si sollevò in una spirale, modellando il corpo sinuoso di una fanciulla. Danzava sull’acqua, il corpo quasi trasparente e l’abito costellato dei bagliori del sole come da tanti diamanti.

Il ragazzo blu strabuzzò gli occhi.
“ Come diamine…?”
Ma trattenne il fiato, quando uno strappo sui calzoni della Corsara attirò la sua attenzione: la sua pelle era mutata.

Jill sorrise alla fanciulla d’acqua e soffiò ancora, colta dall’ebbrezza del momento. Il focolare dentro di lei crebbe e le fiamme della magia ruggirono. La brezza leggera cominciò a ululare, piegando le fronde degli alberi e sferzando la superficie limpida del fiume. La fanciulla cristallina si dissolse in un sospiro sconsolato e il cielo si adombrò. Gli animali si rintanavano sorpresi nei loro rifugi, mentre l’aria carica degli odori della campagna si arricchiva di una nota salata proveniente da sud.

Il Nix voltò il capo nella direzione da cui spirava quel vento salmastro: una nube scura andava profilandosi all’orizzonte, carica di tempesta. Rabbrividì.
Riportò lo sguardo su di lei. Chi diamine era quella fanciulla dai capelli rossi? Sapeva che la magia ancora albergava in alcuni esseri umani, così fievole che spesso ne erano ignari. In lei l’aveva avvertita in maniera netta, eppure aveva un odore diverso da quello che si aspettava.
“Assomiglia alla mia…”
Inutile dire che quella particolarità l’aveva incuriosito al punto da spingerla a testare l’Ulumur. Ora un altro brivido percorse la sua schiena: quel potere nitido ma contenuto stava crescendo, come una fiamma che si tramuta in un incendio.
“ Forse non è stata una buona idea aprire la custodia dell’Ulumur.”
Una parte di lui sapeva che stava giocando col fuoco. L’altra avrebbe voluto assistere alla sua completa trasformazione, certo che quello che aveva intravisto spandersi sulla sua gamba avrebbe dato forma a qualcosa che non capitava spesso di incontrare. Non in quelle terre.

Jill scostò le labbra dalla conchiglia, riportando la sua attenzione sulla creatura fatata. S’accorse che la fissava a occhi sgranati, il volto blu contratto in un’espressione indecifrabile. Istintivamente abbassò l’Ulumur.
“ Ho sbagliato qualcosa, vero?”
-         
Dipende… - la guardò inclinando il capo – Chi sei? –
“ Ti dico il mio nome se tu mi dici il tuo.”
L’altro scosse una mano, come a cacciare un moscerino molesto.
-         
Lascia perdere il nome, non mi interessa. La tua magia, il tuo potere… Come l’hai ottenuto? –
“ Ci sono nata, credo.”
-         
Credi? –
“ Mio padre era un armaiolo, un uomo dal braccio forte ma nessuna dote magica. Mia madre è morta dandomi alla luce; mi hanno sempre raccontato che mi somigliasse molto, ma nessuno ne ha mai menzionato una particolare abilità. Non so da chi o cosa ho ereditato la magia.”
Il Nix la fissò in silenzio.
“ Hai detto che con questo strumento posso chiamare Aragorn.”
Il ragazzino parve uscire da foschi pensieri.
-         
Sì, l’ho detto. Cosa aspetti? Mi pare che per te fosse abbastanza importante questo Aragorn. E che avessi urgenza di farti fare a fettine in una guerra imminente. I campi di battaglia non aspettano nessuno, perciò ti conviene sbrigarti! –
Senza lasciarle possibilità di replica, balzò in acqua e scomparve.

Jill fissò il punto in cui era sparito tra i flutti. Poi riportò la sua attenzione al corno e, senza sapere bene cosa fare, soffiò.

Grima continuava a tamponare il proprio volto tumefatto, maledicendo interiormente ogni dannato membro della Compagnia dell’Anello.
“ Ma hanno i giorni contati, loro e quell’inutile re di ronzini.”
Si sarebbe impossessato prima dei loro scalpi e poi di quel regno di bifolchi, che si sarebbero piegati a lui e l’avrebbero incoronato loro re. Sarebbe stato Eomer a incoronarlo e a portare all’altare la sua sposa.
“ Eowyn…”
Forse più di tutti voleva sottomettere la bella principessa, che per tutto quel tempo aveva continuato a resistergli. L’avrebbe sposata e fatta sua, mente e corpo. Le avrebbe operato lo stesso intervento fatto alla Corsara, se necessario a far tacere la sua lingua irrispettosa.
Per un attimo gli sovvenne l’espressione glaciale del Principe di Bosco Atro, cosa che lo spinse a concentrarsi nuovamente sul rapporto che stava esponendo a Saruman per concludere quella guerra nel miglior modo possibile.
-         
Il fosso di helm ha un punto debole. – stava spiegando – Le sue mura esterne sono di solita roccia, tranne una galleria di drenaggio situata alla base, un misero canale di scolo. –
Saruman andava riempiendo una grossa giara metallica di piccole perline scure. Grima si avvicinò scettico.
-         
Come può il fuoco disfare la pietra? Che tipo di congegno può fare questo? –
Lo stregone bloccò il suo braccio, allontanando la candela dal materiale infiammabile.
-         
Se si apre una breccia nelle mura, il Fosso di Helm cadrà. – sembrava quasi parlare fra sé e sé il Bianco, avanzando verso la finestra.
Grima lo tallonò.
-         
Anche se si aprisse una breccia, occorrerebbe un numero inimmaginabile, migliaia per prendere la fortezza. – berciò.
-         
Decine di migliaia. –
-         
Ma, mio signore, non esiste un tale esercito. –
Affacciatosi al balcone, Grima trattenne il respiro: sotto di lui un mare scuro di Uruk-hai armati fino ai denti ruggiva la sua sete di sangue.
-         
Un nuovo potere sta sorgendo, la sua vittoria è vicina. – tuonò lo stregone accolto dal boato entusiasta del suo esercito di famelici orchi. – Questa notte la terra verrà macchiata con il sangue di Roharn. Marciate sul Fosso di Helm. Che nessuno resti vivo! Alla guerra! –
Una sola lacrima di compassione rigò il volto esangue di Grima, che per un attimo si sentì la persona miserabile che tutti avevano sempre visto in lui.

-          Non ci sarà un’alba per gli uomini. –

Quando Huan la raggiunse sulle rive del fiume, Jill era in preda allo sconforto: le aveva provate tutte, aveva persino supplicato il fiume di salvare Aragorn e di riportarlo a lei e al resto della Compagnia. Ma del Ramingo non c’era alcun segno. Nulla era apparso nonostante i molteplici tentativi, non una traccia, non una parola.
Il Lupo l’apostrofò gentilmente.
“ Dobbiamo andare, sorella. Avverto un rombo lontano e temo sia una tempesta particolarmente violenta.”
Lei annuì. L’esercito di Saruman doveva essere già in cammino. Si issò sul dorso del grande Lupo, lanciando un ultimo sguardo di rammarico al fiume.
“ Mi dispiace non esser riuscita a salvarti, Aragorn.”

Il Nix osservò l’Uomo che la corrente aveva alfine condotto su una riva sicura, dove un cavallo sfuggito ai rochi dei campi pascolava placidamente. Qualche attimo dopo l’animale parve attratto dall’essere umano.
“ Magicamente…”
Per un attimo si chiese cosa vi fosse di tanto speciale in quell’uomo malridotto da indurre la fanciulla dai capelli rossi a darsi tanta pena per salvarlo.
“ Gli ha addirittura procurato un mezzo di trasporto!” constatò, osservano il cavallo che si piegava sulle zampe per permettergli di issarsi.
Liquidò l’argomento con un’alzata di spalle: femmine, non le avrebbe mai capite davvero. Tuttavia quella in cui si era imbattuto doveva essere una femmina ben più interessante delle altre.
Ripensò alla pelle della fanciulla che andava mutando.
Decisamente più interessante.”

 

 

Continua…

 

 

N.d.a. : dedico il capitolo a FedeSerecanie, che ringrazio ancora per le belle parole che mi spronano a continuare questa storia.

Monalisasmile

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