Denti di Soffione

di _Bri_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wild ***
Capitolo 2: *** Primo appuntamento ***
Capitolo 3: *** George's Dilemma ***
Capitolo 4: *** La Festa ***



Capitolo 1
*** Wild ***


Denti di Soffione

 

 

Wild

 

Il terreno coperto di crepitante neve, cedeva sotto gli scarponi ammorbiditi dal tanto camminare, in cui quei piedi davvero piccini erano ben chiusi.

 

Aveva scelto quelle scarpe in un momento di estrema solennità, in un negozio di attrezzatura tecnica babbana, perché spesso e volentieri i maghi erano troppo pieni di sé, troppo sicuri che con la magia avrebbero potuto risolvere e migliorare qualsiasi cosa e, per questo, non esisteva in tutta Inghilterra un negozio con prodotti “magici” abbastanza validi. Ma i babbani potevano affidarsi solo a loro stessi, al loro corpo che necessitava di essere salvaguardato in ogni modo, perché non ci sarebbe stata magia, pozione od unguento a rimediare repentinamente a qualche infortunio di sorta. Così aveva infilato quelle scarpe, sotto lo sguardo allibito del commesso che guardava quella ragazzina troppo mingherlina, che di certo avrebbe avuto difficoltà persino ad affrontare un sentiero collinare; figuriamoci quando lei, serenamente, confessò al curioso ragazzo babbano che avrebbe presto raggiunto il campo base dell’Annapurna

 

“Che c’è, sei in un gruppo organizzato?”

 

Quello, con una zazzera di capelli ramati che le facevano male allo stomaco, continuava a farle domande ed appunti davvero sconvenienti; era proprio un impiccione: Ma quanti anni hai? Hai mai affrontato un sentiero di montagna? Mamma e papà cosa ne pensano? Ma lei si limitava a camminare avanti e indietro per il corridoio del negozio, spostava il peso sulle punte e poi sui talloni, piegava le ginocchia. Alla fine uscì dal negozio dopo aver risposto giusto alla metà di quelle domande ed in maniera piuttosto vaga, ma quando il babbano aveva visto la montagna di sterline in contanti, utili a pagare scarponi, borraccia, zaino tecnico, impermeabile e due paia di calzoncini da trekking, aveva cucito la bocca ed era passato ad occuparsi del prossimo cliente.

 

Matilda riempì lo zaino quella notte stessa, all’interno di una delle accoglienti stanze del Paiolo Magico. Nessun incantesimo di estensione fu posto su di esso, perché per il momento sentiva, forte, l’esigenza di farcela davvero da sola, per una volta nella vita. Era stato tutto troppo; sentiva, senza reale motivazione, di dover espiare delle colpe che non le appartenevano. Alla fioca luce di una lampada ad olio, con lo zaino riposto in un angolo sicuro della stanza, aveva ricontrollato più volte la mappa che aveva studiato con attenzione sulla quale, con meticolosità maniacale, aveva appuntato i quattro punti di viaggio che l’avrebbero accompagnata per due anni

 

Nepal

 

Sierra Nevada

 

Sud Africa

 

Svezia

 

Aveva ripiegato la mappa con un colpo di bacchetta e, spenta la luce, si era rifugiata sotto le coperte, sicura che avrebbe passato quella notte senza chiudere occhio. Del resto il giorno dopo una passaporta prenotata due mesi prima le avrebbe aperto la strada ad un viaggio lungo e complicato.


A ripensare a quella nottata le veniva da ridere. Ormai era partita da un anno e mezzo e non le mancava che l’ultima tappa, per completare il suo viaggio formativo.


La Sierra Nevada l’aveva messa a dura prova: aveva preso contatti con un’importante studiosa di Magizoologia; una strega d’origini greche, che aveva passato la propria vita a studiare i Jobberknoll, di cui il brullo territorio Statunitense brulicava. Per raggiungerla ed affiancarla nell’osservazione ornitologica, Matilda aveva affrontato lunghi percorsi tortuosi e si era ritrovata più di una volta, durante il corso della prima settimana, a pensare davvero di voler mandare tutto al diavolo e tornarsene alle comodità della sua vita. Quando le scarpe le spaccarono i talloni ed indolenzirono le unghie degli alluci tanto da farle venire le lacrime, Matilda si era fermata e, presa da un raptus di rabbia le aveva sfilate e scagliate via. Fortuna che nessun avventuroso babbano passò di lì in quel momento, altrimenti oltre ad essere scambiata per pazza, avrebbe anche dovuto sostenere una conversazione che non voleva affrontare.

Così, seduta su un masso dolce poco distante dallo stretto e dissestato sentiero che stava seguendo, a piedi scalzi e con le lacrime agli occhi, Matilda cedette alla malinconia ed alla nostalgia di casa.

Nostalgia per i suoi genitori, che non aveva più visto dalla notte della battaglia di Hogwarts, avvenuta ormai più di un anno prima.

Nostalgia per Draco, del quale aveva rifiutato gli incontri, perché non si sentiva ancora pronta ad affrontare lui, tantomeno il germoglio del loro nuovo rapporto, che per il momento doveva, secondo Matilda, riposare ancora sotto la terra per rinforzarsi e fiorire con dignità.

Nostalgia dei suoi amici e della sua famiglia, che comprendeva sia i Weasley che Andromeda ed il piccolo Teddy. Una delle colpe che sentiva di dover sollevare era di certo quella nei confronti dei Weasley; aveva ridotto, con loro, le spiegazioni all’osso, dicendo che doveva partire, che era un’occasione unica e che non avrebbe più esitato. Se Arthur e Molly fecero finta di crederci, Ginny le aveva inviato subito un gufo da Hogwarts, chiedendole spiegazioni. Ma lei non lo poteva di certo dire, che con George le cose non stavano andando come avrebbe sperato; ne parlò con Hermione (che aveva rapito durante una sua uscita ad Hogsmeade) e si confidò con Daphne, che intanto aveva trovato, assieme a Lee, un modesto appartamentino a Diagon Alley. Ma a Ginny proprio non riuscì a dire nulla, perché sapeva che l’avrebbe ferita e che lei avrebbe fatto di tutto per fermarla e convincerla a risolvere le cose nell’imminente.

No. Toccava a lui, parlare con i propri genitori e con la sorella.

Lasciò a George le spiegazioni del caso.

George, la sua altra, enorme, mancanza.

Il vento rigido e tagliante non la risparmiò, in quel drammatico momento. E con quello arrivò l’immagine di George, a torturarla ancora di più. Le mancava da morire, questo era un fatto. Si chiese se non avesse fatto una cosa assurda, scegliendo di lasciarsi la loro relazione alle spalle, per affrontare qualcosa che, con ogni evidenza, era troppo grande per lei. Ma chi si credeva di essere, eh?

Era arrivata, lei: Matilda Malfoy, tremate al suo passaggio! Nessun’avversità l’avrebbe fermata, perché lei avrebbe domato la natura selvaggia conquistando i saperi più remoti delle creature magiche!

Si, come no.

Ridicola, ecco cos’era. Ridicola. Lei, il suo zaino troppo pieno e le sue inutili e scomode scarpe babbane. Era vero, i primi cinque mesi di viaggio erano passati e lei aveva spuntato la tappa nepalese, da cui aveva appreso moltissime cose utili sugli Occamy, aveva conosciuto maghi e streghe eccezionali ed aveva fatto il pieno di serenità approcciando, con animo scoperto, allo spirito meditativo con cui quell’incredibile popolo si affacciava alla vita. Ma appena lasciato il Nepal, Matilda si sentì svuotata e, nuovamente, era crollata in un angusto malessere in cui a malapena riusciva a respirare.

 

La notte passò lentamente, troppo lentamente. Non era più in grado di definire quando era stata l’ultima volta che aveva dormito in pace sette ore di fila; eppure non si diede per vinta, testarda com’era. All’alba del nuovo giorno chiuse la tenda magica, la incastrò sulla cima dello zaino e decise di riprendere il suo cammino.

 

Fu l’incontro con Metrodora a darle una nuova carica d’energia. Matilda la incontrò nella sua riserva dopo tre settimane di cammino; la strega all’apparenza rigida e ostica, dall’accento mediterraneo, si mostrò una donna di grandi qualità. Il fisico minuto ma ben definito era lo specchio di una vita di solitudine emotiva, dedicata in tutto e per tutto alla sua grande passione. Matilda, dopo una ripida salita conclusa al calar del sole, intravide la strega accanto ad un cespuglio di rovi, apparentemente nel nulla cosmico, con le mani poggiate sui fianchi

 

-Voi inglesi! L’unico frangente in cui dimostrate di avere forza è sul campo di Quidditch!- le gridò la donna, che subito le dette le spalle facendole segno di seguirla. Matilda non riuscì a balbettare una singola parola, complice l’estrema stanchezza ed il fatto che quel “saluto” l’aveva davvero colta alla sprovvista. Eppure, una volta dentro la piccola casa di legno situata ai margini del lago Tahoe, la streghetta si sentì subito meglio; Metrodora la nutrì a sufficienza, fornendole una lunga serie di pietanze che lei divorò con l’ingordigia di chi non consuma un pasto decente da settimane. Con tutta quella fame non aveva nemmeno fatto caso all’enorme quantità di monili, libri e pergamene che ingombravano lo spazio, comunque molto accogliente.

Dopo essersi riempita la pancia ed aver ingollato un quarto di retsina, vino greco dall’intenso sapore di resina di pino d’Aleppo, Matilda alzò finalmente gli occhi su Metrodora, sedutale davanti ed intenta ad intrecciare la lunghissima chioma scura in una lunga treccia a spiga. Matilda sospirò davanti a quella scena, ricordando con molta amarezza quel gesto che lei soleva compire quasi ogni giorno, spesso e volentieri per contrastare episodi d’ansia galoppante che tendevano ad attanagliare lo stomaco. Lo sguardo accigliato non sfuggì alla donna, la quale assottigliò gli occhi scuri, increspati da lunghe ciglia nere e contornati da una manciata di rughe, che tutto sommato contribuivano ad aumentare il fascino severo della strega. Le labbra sottili scoccarono assieme ad un brusco movimento della mano, che andò a scacciare l’aria davanti lo sguardo tremolante di Matilda

 

-Dalle tue lettere mi aspettavo molto più entusiasmo, ragazzina. Se nemmeno un mese di cammino ti ha già ridotta in queste condizioni, non oso immaginare come uscirai dai cinque mesi di preparazione nella riserva-

 

Non si aspettava quell’irruenza lì, no davvero. Matilda si ritrovò a pensare che la solitudine fosse una droga potente, dalla dipendenza facile; avrebbe difatti preferito tornare a dormire sul pavimento ruvido dei sentieri montuosi, piuttosto che essere scaraventata in un confronto con quella donna. Nonostante la voglia di ribaltare il tavolo e scappare via, Matilda ingoiò le lacrime e l’amaro, decidendo infine di rispondere che no, non era preoccupata dai mesi che sarebbero seguiti e che mai aveva desiderato tanto portare avanti un obiettivo, ma che era ancora molto provata dagli eventi dell’ultimo anno, di cui comunque non voleva parlare. Metrodora la studiò a lungo, prima di annuire e condurla nella modesta stanza in cui avrebbe dormito: il giorno dopo sarebbe iniziato il suo “addestramento” al nascere del sole, momento migliore, a detta della strega più anziana, per interagire con i Jobberknoll.

Quasi decisa a mollare, ma troppo stanca per prendere davvero in considerazione l’idea, Matilda si abbandonò sul letto a seguito di un lungo bagno ristoratore. L’ultimo pensiero prima di chiudere gli occhi, quella notte, fu rivolto ai pasticci di zucca di Molly Weasley, accoglienti come i suoi caldi abbracci.

Fu il giorno seguente, che Matilda fece la conoscenza di Santiago.   

 

A ripensarci, mentre allungava il passo chiusa in un guscio di goretex, implementato da un incantesimo riscaldante, verso l’ultima meta del suo lungo viaggio, Matilda non riuscì a negarsi un sorriso. Quella era stata una vera iniezione di energia, al tempo della meta nord americana.

 

Dopo una colazione così frugale da ricordarle la permanenza nella casa della vecchia prozia Lucrezia (ancora assurdamente viva e nel pieno delle forze, per quanto ne sapeva), Metrodora l’aveva condotta lungo i margini di quel meraviglioso specchio d’acqua che ricalcava le sagome del territorio montuoso, per poi inoltrarsi fra gli imponenti pini che svettavano verso il cielo ancora tinto di sfumature rosee

 

-Allora ragazzina, cosa sai dei Jobberknoll?-

 

Matilda, che tentava di tenere il passo dell’energica strega, rispose svelta e puntuale, come ai tempi di Hogwarts

 

-Sono piccoli volatili dal piumaggio chiazzato; sono innocui ma molto utili! Difatti le loro piume possono essere utilizzate per potenti pozioni mnemoniche, nonché nella preparazione della veritaserum! La particolarità di questo piccolo uccello magico è che, per tutta la vita, essi non emettono un suono, essenzialmente sono muti: solo in punto di morte, il Jobberknoll pronuncia un verso che racchiude ogni singolo suono che ha registrato nel corso della sua intera esistenza!-

 

-Ehi! Sarà mica un Jobberknoll anche lei? Metro, forse dobbiamo preoccuparci per la piccoletta, visto tutte le parole che è riuscita a pronunciare in un’unica risposta!-

 

Quel tono canzonatorio arrivò alla destra di Matilda, nei pressi di Metrodora. Matilda si guardò intorno con frenesia, piccata da quell’intrusione

 

-Scusa il ritardo, fossi stata sola sai che ci avrei messo la metà del tempo ad arrivare-

 

Accanto ad un’alta torretta di legno, un ragazzo teneva le braccia conserte e guardava, divertito, nella loro direzione

 

-E dire che di solito sono io quello perennemente in ritardo! Allora, tu saresti Matilda?-

 

Sorriso limpido, largo e fastidioso. Carnagione ambrata. Occhi sottili, ma docili e neri come il buio. Una chioma mediamente lunga rasata ai lati e tirata in un codino lucido sopra la nuca.

 

Matilda spiò prima Metrodora, che si era avvicinata al punto di vedetta e poi il mago, che ricambiava incuriosito e divertito quell’occhiataccia

 

-Forza, tutti dentro!- li intimò Metrodora. Il giovane mago si spostò dall’entrata

 

-Prima le signore- disse, allargando un braccio ed accompagnando il movimento con un sorriso molto divertito. Matilda non gli negò un’altra brutta occhiata, prima di seguire con passetti celeri Metrodora arrampicata sulle scale a chiocciola interne alla struttura.

 

Il ragazzo si era presentato come Santiago. A detta di Metrodora lui era il suo assistente da circa cinque anni; l’unica persona con cui la strega aveva assiduamente a che fare nella solitaria riserva dedicata ai Jobberknoll. Matilda aveva ricevuto da quello tutta una serie di informazioni di cui non voleva sapere nulla: di origini miste, Santiago aveva 24 anni, era figlio di una visionaria Cubana e di un mago Washoe, popolo che in tempi antichi aveva popolato il lago Tahoe e di cui pochi reduci costituivano una piccola comunità magica agli argini opposti del lago. Non la finiva più di parlare, quello lì. Matilda aveva risposto, per pura cortesia, solo ad un terzo delle domande che Santiago le aveva posto con viva curiosità. Poi lo mandò al diavolo quando, tutta presa dall’osservazione di un piccolo stormo appollaiato poco distante, Santiago cacciò un urlo alle sue spalle, che aveva fatto volare via gli occhiali incantati che le erano stati forniti da Metrodora (terribilmente simili a quelli spettrocoli che Luna Lovegood soleva indossare)

 

-Finalmente è arrivato il mensile dei Guardiani della Notte! Che figata pazzesca!-

 

Matilda rinforcò gli occhiali che mascherarono lo sgomento indirizzato a Santiago, tutto eccitato  con quella stramba rivista in mano e che sembrava indifferente alle beccate che il gufo gli stava rifilando per farsi dare il compenso.

Santiago era arrivato come un terremoto, nella vita decisamente scombinata di Matilda, così come Metrodora fu un fondamentale ago della bilancia.

 

Socchiuse gli occhi e percepì l’aria gelida insinuarsi sotto la sciarpa atta a coprire buona parte del volto. Da quell’incontro era passato un anno, ma era come non fosse passato un giorno.

 

La conoscenza con Santiago si era assodata pianissimo, con una ritualità assordante e chiassosa, costante come lo scorrere dell’acqua di un magro torrente.

Dal loro primo incontro, ogni singola sera tranne il venerdì, perché come lui aveva specificato il venerdì doveva occuparsi dell’istruzione del fratello minore e degli altri piccoli maghi e streghe della sua comunità, Santiago si presentava alla porta della casa di Metrodora portando con se confusione e vitalità. All’inizio Matilda si mostrò restia a qualsiasi tipo di contatto che non fosse finalizzato allo studio e la cura dei Jobberknoll, ritirandosi nella sua stanza dopo aver consumato il pasto ed aiutato l’ospite nelle faccende domestiche. Eppure, quando si chiudeva la porta alle spalle per immergersi in letture sacrosante e solitarie, le voci dall’atipico accento la massacravano: risate, bisticci, canzoni accompagnate dal ritmico suono della chitarra classica che Santiago portava sempre con sé. Se agli albori di quel rapporto Matilda rifiutava le confidenze, più i giorni passavano, più Metrodora riusciva a strapparle qualche parola. Così le parole sbocconcellate diventarono fiumi in piena che sfondarono le porte dei traumi accumulati: tra un bicchiere di retsina e l’altro, che non mancava mai sulla tavola di Metro, Matilda parlò ai due compagni della seconda Grande Guerra Magica, dei Mangiamorte e della sua famiglia, ponendo l’accento sul suo gemello, da cui aveva preso le distanze in giovanissima età. Raccontò delle torture che i Carrow avevano inferto ai giovani ribelli di Hogwarts, del loro amato Preside che non c’era più e di come Harry Potter aveva sconfitto Tom Riddle. Parlò dei suoi amici e della famiglia ritrovata e poi smembrata. Accennò ai Weasley, senza però scendere in quei dettagli che facevano sanguinare una ferita ancora fresca.

Durante la tiepida sera del trenta Maggio, mentre Santiago accordava la chitarra e Matilda affiancava Metrodora nella preparazione della cena, si ritrovò a nominare, inconsapevolmente e per la prima volta, Fred e George. Era lì, a tagliare dei cavolini di bruxelles ed inevitabilmente si ritrovò a ricordare quell’episodio collocato in un tempo troppo lontano, quando George l’aveva frenata dal saltare alla gola del suo amico Ron. Ne parlò serenamente, tirando via anche una risata, per poi rabbuiarsi all’istante. Santiago smise di manovrare la chitarra e puntò lo sguardo su l’inglese, con i pugni serrati sui margini del lavello di marmo; Metro rilasciò i coltelli con un fugace movimento di bacchetta, prima di poggiare una mano sulla spalla di Matilda

 

-Non devi, se non te la senti-

 

Ma lei scosse con furia la chioma leonina, che aveva deciso di continuare a tagliare sopra le spalle. Rivoli caldi di lacrime salate andarono a perdersi sul fondo del lavello, prima solitarie nella loro discesa, poi torrenziali

 

-Fred era il gemello di George- pigolò, tirandosi via le lacrime con il polso.  Metro e Santiago si scambiarono un’occhiata d’intesa, così la donna accompagnò Matilda a sedersi. Dopo un lungo silenzio inondato dal pianto, trovò la forza di confidare l’ultimo tassello che mancava alla sua storia. Raccontò di quel suo primo grande amore, di come era stata conquistata dalla vitalità e l’energia di George, affermando di aver trovato il coraggio di seguire la sua strada solo a seguito della conoscenza del mago. I due spettatori di quella drammatica confessione capirono al volo quale rapporto aveva legato Fred a Matilda e del perché lei non riuscisse ad accantonare tutto quel dolore. Era passato più di un anno da quella tragica notte che aveva visto vincitore il popolo magico d’Inghilterra, ma che aveva anche portato alla morte di Tonks e Fred, membri della sua vera famiglia.

Per la prima volta non si curarono del tempo che stava trascorrendo; del resto i Jobberknoll avrebbero aspettato. Era decisamente più importante dare spazio alla strana compagna che aveva incontrato il loro cammino, bisognosa di tirare fuori tutto quel dolore.

Arrivò così, anche per Matilda, il tempo di cominciare a guarire davvero.

Festeggiarono i suoi diciannove anni in privato, accompagnati solo dai rumori della radura in cui erano inseriti. Il regalo più grande che quei semi sconosciuti le fecero, fu permetterle di aprirsi a loro e ricambiare con i loro pezzi.

Così Matilda scoprì che Metrodora aveva abbandonato Skyros, la piccola isola greca da cui proveniva, in giovanissima età per seguire il suo maestro in America, ma che a seguito della morte d’avvelenamento del mago, al quale non riuscirono a porre rimedio trovandosi isolati, Metro aveva deciso di rimanere nella Sierra Nevada e dedicare la propria esistenza alla ricerca e la cura di quei particolari volatili, studiati in vita con estrema passione dall’uomo.

Da Santiago ricevette molte più informazioni, essendo spigliato e logorroico per natura: i genitori vivevano nella comunità magica di cui faceva parte, laddove la madre esercitava il suo lavoro di veggente. Aveva un fratello di ben quattordici anni più piccolo, che presto sarebbe entrato ad Ilvermorny, la scuola di Stregoneria in cui aveva studiato anche lui. Matilda e Santiago parlarono a lungo delle diverse scuole e delle case di appartenenza; il mago la prese sufficientemente in giro per aver fatto parte della casa di Salazar, così come Matilda non si risparmiò di urlargli contro che Tuono Alato suonava tanto come una presa in giro, per uno dalle origini nativo americane come le sue.

 

Si sentì arrossire, eppure il freddo del territorio svedese in cui era inserita era un valido deterrente del calore. Lanciò uno sguardo alla guida che le stava facendo strada, che si lamentava di qualcosa nella sua lingua madre. Probabilmente aveva timore di incontrare dei Berretti Rossi, pronti ad attaccare gli avventurieri che percorrevano la breve ma difficoltosa distanza che li separava dalla riserva; per via di incantesimi di protezione molto potenti, infatti, nessuno aveva il permesso di percorrere quel chilometro se non a piedi. Ma a Matilda non importò, persa com’era nei ricordi di una delle ultime sere passate sul lago Tahoe.

 

-E quindi fra tre giorni te ne vai. Devo ammettere che mi mancherai, ragazzina- Metrodora allungò le gambe sul dondolo posto sulla veranda, per dare slancio e movimento. Stavano attendendo l’arrivo di Santiago, che aveva promesso non avrebbe mancato la visita nonostante fosse venerdì. Matilda rabbrividì appena e si strinse nella coperta di lana viola di Metro; fortuna che presto sarebbe sbarcata in Africa e di coperte non avrebbe avuto il bisogno

 

-Sono sicura che non rimpiangerai la mia presenza costante: finalmente potrai tornare alla tua amata solitudine, anche se Santiago continuerà ad assillarti-

 

Metrodora ridacchiò ed allungò una mano per spingere appena la spalla di Matilda

 

-Sai, ho l’impressione che non lo vedrò più così spesso fuori dall’orario “lavorativo”-

 

Matilda la guardò stupita –Come mai dici questo?-

 

-Ah, ragazzina…devo spiegartelo io o ci arrivi da sola? Tiago non è mai stato così tanto presente, prima che arrivassi tu. All’inizio credevo si fosse responsabilizzato un po’, magari per darsi un tono davanti ad un’estranea tanto volenterosa come te…ma poi questa vecchia strega si è resa conto che ci fosse dell’altro-

 

-Tu non sei vecchia!- rispose a caso, Matilda, non capendo comunque bene dove l’altra volesse andare a parare

 

-Ti pensavo più arguta; davvero vuoi farmi credere di non aver capito che ha un debole per i tuoi larghi occhi chiari?-

 

Matilda, imbambolata, fece scoccare la bocca un paio di volte, anche se alcun suono uscì dalle sue labbra, cosa che fece ridere Metro di cuore

 

-Onos! Hai passato troppo tempo con i nostri cari volatili! Oh, è arrivato Tiago-

 

Metro scese dal dondolo lasciando Matilda a boccheggiare ancora un po’, mentre Santiago correva verso di loro trafelato, con i capelli ondulati lasciati sciolti, a coprire la rasatura

 

-El idiota de mi hermano! Era sparito! Proprio oggi!- Ruggì lui, liberando la schiena dalla tracolla della chitarra

 

-Potete smetterla di parlare nelle vostre lingue e tornare all’inglese, per piacere?- protestò Matilda, dalla ritrovata parola. Quando però incontrò lo sguardo di Santiago che, come sempre, aveva in un attimo ritrovato il sorriso, Matilda avvampò. Fortuna che la notte nascose per bene il suo anomalo colorito

 

Metrodora mollò una pacca sulla spalla di Santiago -Finalmente ti riconosco, sei tornato a fare ritardo. Forza andiamo dentro, bisogna festeggiare!-

 

Consumarono la cena irrorando i pasti di vino, seguito da dell’ottimo gin che Matilda si era premurata di reperire il giorno stesso. Sulle note della chitarra di Santiago, i tre passarono buona parte della serata a ridere a perdifiato, spendendosi in racconti di ricordi decisamente imbarazzanti. Scoprirono che Metrodora, in età scolastica, era apparsa sulla copertina de “Le luci di Atene”, indossando un costume all’ultimo grido. Lei specificò più volte che aveva accettato quel servizio fotografico solo per mettersi in tasca un po’ di soldi e che non era mai stata una fanatica, ma quando il naso affilato si fece rosso per il tanto bere, mostrò ai due una copia della rivista che custodiva con gelosia nella libreria inaccessibile agli ospiti, collocata nella sua stanza privata. Era decisamente su di giri, Metro, ma non al punto di non capire quando fosse il momento di filare via. Dichiarò quindi di essere troppo attempata per fare le ore tanto piccole a bere e, per questo, dava loro la buonanotte.

Bastò uno sguardo fra i due rimasti. Matilda si avvolse nella coperta di lana e, infilate le scarpe, saltellò fuori seguita da Santiago.

Sotto la luce delle stelle, incredibilmente vivide vista l’assenza della luna nascosta dal suo manto, Santiago sedette al suo fianco su quel dondolo malandato, ma estremamente accogliente. Prese a suonare una canzone dolce, malinconica, così diversa dalle solite armonie con cui il mago soleva accompagnare le loro serate. Non guardò Matilda, non ancora; gli occhi socchiusi vibravano con le labbra, che lasciavano spazio a quelle parole che la ragazza riconosceva appena

 

“Esto no puede ser no mas que una cancion
Quisiera fuera una declaracion de amor
Romantica sin reparar en formas tales
Que ponga freno a lo que siento ahora a raudales…”
 

 

E poi aprì gli occhi, scontrandosi con quelli grigi di Matilda, che ricambiava con attenzione

 

“Te amo
Te amo
Eternamente te amo
Si me faltaras no voy a morirme
Si he de morir quiero que sea contigo
Mi soledad se siente acompañada
Por eso a veces se que necesito
Tu mano
Tu mano…”
 

 

Lei poggiò il mento sulle ginocchia strette al petto, avvolta in quella calda coperta che le evitò di tremare, se non per l’emozione di sentire la voce argentina di Tiago cantare quei versi con tutta l’emozione che gli era propria

 

“Eternamente tu mano
Cuando te vi sabia que era cierto
Este temor de hallarme descubierto
Tu me desnudas con siete razones
Me abres el pecho siempre que me colmas
De amores…”

 

E mentre quella canzone andava a disperdersi nell’aria umida della notte, un senso di atipica quiete carezzò Matilda con tocco tiepido. Nemmeno si rese conto che la canzone era finita, così come non si accorse che il mago aveva abbandonato la chitarra ai piedi del dondolo e si era fatto incredibilmente vicino. Le labbra abbondanti e morbide si spiegarono in un sorriso accennato, quando si affiancarono a quelle di lei, sfiorate da qualche curva chiara di ricci ribelli. Quelle iridi tanto scure da confondersi alle pupille, si inchiodarono negli occhi di Matilda, all’opposto chiarissimi ed incerti, prima di sfiorarle la bocca con le dita. Quando il tocco della bocca di Santiago prese il posto della solida mano, Matilda apprese il cuore accelerare nel battito.

Non ci aveva mai pensato, a baciare qualcuno che non fosse George. Semplicemente non ne trovava il senso e quindi aveva escluso l’ipotesi.

Ma nel percepire il profumo dei capelli neri confonderle l’olfatto e le labbra, intensamente calde, schiudersi senza esitare, Matilda smise di farsi domande.

I denti fecero spazio ad un bacio più intimo e profondo, che Santiago non permise di interrompere, nemmeno per un momento.

Era impossibile dire che non fosse piacevole, intenso, bello.

Una cosa buona.

 

Rise. Rise nonostante la neve scendeva copiosa su di lei, indolenzita dal camminare su quel sentiero bianco e complicato. Rise nell’afferrare quel ricordo di pura gioia.

 

Fu solo dopo aver regalato tutto il calore di Cuba alle labbra di lei, che Santiago si scostò appena

 

-Non so se l’hai capito, ma io vorrei davvero, che tu non partissi- sussurrò roco sulle bocca, intanto che intrecciava un indice nella spirale di una ciocca chiara. Matilda schiuse gli occhi per permettersi di guardarlo; non sapeva cosa dire, non sapeva cosa fare. Decise di prendersi qualche momento, per riflettere, mentre le carezze di Santiago la coccolavano ed il suo respiro caldo scacciava il freddo.

Ma di parole, Santiago, non ne aveva bisogno; gli bastò sprofondare nei suoi grandi occhi incerti, per capire cosa fosse nascosto nel profondo di quelle ciglia fragili

 

-Ma tu hai un sacco di sospesi, non è vero?-

 

Matilda annuì un po’ esitante

 

-Tiago…io non so cosa fare…non sono molto lucida ultimamente-

 

Sorprendentemente, Santiago scoppiò a ridere, prima di stringere di nuovo il viso di Matilda fra le mani

 

-A dire la verità io lo so, cosa devi fare e sai, Mati, sono sicura lo sappia anche tu. Però permettermi di avere un po’ di motivi per vantarmi di te, quando avrai deciso di finire il tuo viaggio e tornare . Mi farò bastare l’idea di averti strappato un altro bacio e sapere che non ti è dispiaciuto-

 

Quando si rintanò nel letto, fu spontaneo toccarsi la bocca. La sentiva ancora pizzicare, torturata da quei baci che l’avevano scossa tanto. Si sorprese.

Matilda sorrideva.

Intrappolata in un’emozione sensazionale, di rinascita prepotente ma niente affatto dolorosa.

Sorrideva nel pensare a quanto le fosse piaciuto essere vittima del rimorso di ciò che aveva fatto.

Era vero. A tutti gli effetti il legame con George si era interrotto nel momento stesso in cui aveva abbandonato quel letto, la mattina del 21 Novembre. Eppure, a distanza di quasi un anno, la consapevolezza che il pensiero costante di lui l’aveva accompagnata nel corso di quel viaggio completo a metà, la innalzò a nuova vita.

Le labbra di Santiago non erano quelle di George.

Le sue mani, più ferme, non erano quelle di George.

L’odore piacevole di foreste sempreverdi, che la avviluppava ancora con voracità, non era quello più intimo e riconoscibile di George, che lei adorava ricercare in tanti e diversi frangenti.

Di una cosa era certa, pensò mentre ricercava la posizione che avrebbe portato il conforto di un sonno gradevole: per quanto le cose fossero andate nel peggiore dei modi ed il distacco era stato necessario al loro rispettivo processo di guarigione, Matilda sentiva il profondo amore per George scaldarle il cuore.

Ci sarebbe voluto tempo; doveva terminare quel viaggio. Ma da quel momento avrebbe camminato stringendosi alla certezza che non era da quel sentimento potente ed afrodisiaco che era fuggita.

 

Santiago fu un tassello fondamentale per il suo puzzle emotivo e di questo, Matilda gliene sarebbe stata sempre, tacitamente, grata.

 

Il giorno antecedente alla partenza di Matilda, Metrodora spinse i due verso la finestrella della torre di vedetta, con gli occhi che si erano fatti lucidi

 

-Tiago presto! L’incantesimo di registrazione!-

 

Un Jobberknoll che avevano tenuto sott’occhio nell’ultimo mese stava per lasciare quel mondo. In preda all’eccitazione e con mano tremante, Santiago mosse la bacchetta con una mano e tese a Metrodora una particolare ampolla d’alluminio. Recitato l’incantesimo, si fece spazio fra le due donne, delle quale strinse le spalle con le braccia

 

-Ascoltate!-

 

Il volatile, attorniato da una decina di suoi simili, mosse il piumaggio ormai sbiadito. Matilda trattenne un verso di stupore e si strinse a Santiago, imitata da Metro, con lo sguardo fisso sull’uccello che, disperato, innalzò il becco al cielo.

Un suono di incredibile potenza squarciò il silenzio della foresta. Quella scia melodiosa prese forma; lattiginosa e soffice, la coda trasparente originata dal Jobberknoll viaggiò in direzione della torretta, fino ad infilarsi nell’ampollina che Metrodora stringeva nella mano e che con prontezza richiuse, non appena quel lungo e lamentoso suono ebbe fine, assieme all’accasciarsi nel proprio nido del piccolo uccello.

Risa di emozione scoccarono dai tre, che si strinsero in un abbraccio agitato ed euforico, mentre lo stormo di Jobberknoll si innalzava, muto, nel candido cielo riflesso dal lago Tahoe.

Mai avrebbe dimenticato quel canto, che andò a chiudere il cerchio della tappa nord americana.

 

 

-Arrivati!-

 

L’altissimo svedese si fermò e si spostò di lato, lasciando a Matilda la possibilità di scovare l’ingresso della riserva del Grugnocorto Svedese, fra i fiocchi che cadevano fitti e silenziosi. Gli occhi cerulei si velarono di commozione, dinanzi l’imponente cancellata di ferro battuto, spezzata da un portone monolitico sul quale, generati dall’intreccio di cordoli di metallo, i profili di due draghi andavano a fondersi nell’abbraccio dei lunghi colli. La mano ricoperta dal guanto andò a ricercare, nella tasca, quel braccialetto creato con le piume di quel Jobberknoll di cui morte avevano assistito mesi prima, alla riserva di Metro, donatogli da Santiago la mattina della sua partenza per il Sud Africa.

E Matilda, colma di gioia, si lasciò andare alla commozione del momento, perché il suo più grande sogno stava per diventare realtà.

I draghi la stavano aspettando e lei non si sarebbe fatta attendere oltre.

 

 


 

L’Annapurna è una delle maestose cime che va a costituire la catena dell’Himalaya. Situata in Nepal, la cima raggiunge gli 8.091 metri, guadagnandosi il titolo di decimo monte più alto della Terra.

 

In quel piccolo gioiello di “Animali fantastici: dove trovarli” – parlo del libro- la Rowling ci descrive molti animali. Di questi fa pare il Jobberknoll, che non starò qui a descrivere dato che Matilda mi ha, ovviamente, preceduta. Del resto l’appassionata è senz’altro lei.

 

Il lago Tahoe esiste realmente ed è situato proprio nei territori della Sierra Nevada. Anticamente popolato realmente dai Washoe, popolazione di nativi americani.

 

La rivista “I guardiani della Notte” vuole essere un omaggio spassionato ai lettori appassionati de “Le cronache del Ghiaccio e del Fuoco”, o della sua trasposizione serializzatta dalla HBO “Game of Thrones” .

 

Consiglio a chi avrà l’occasione di farlo, di visitare Skyros, splendida e minuscola perla del mare greco. E se potete (se è ancora possibile farlo, ci sono stata troppi anni fa e non sono aggiornata purtroppo) spendeteci un paio di notti in campeggio libero. Lavarsi con l’acqua del pozzo del paese è un’esperienza unica.

 

Santiago (nome che adoro) canta per Matilda la meravigliosa “Yolanda”, canzone cubana di Pablo Milanés.

 

“Quei larghi occhi chiari” è un riferimento a una delle meravigliosi canzoni del grande Faber “Per i tuoi larghi occhi chiari”. Sono sicura che gli appassionati di De Andrè avranno già colto la citazione.

 

 

Dopo questa interminabile e tediosa lista di note (comunque necessaria) eccomi qui. Wild apre ufficialmente la raccolta di Os “Denti di Soffione” legata alla mia long “Di Ghiaccio e Tempesta”. Prima di tutto una piccola specifica in riferimento al titolo. Volevo descrivere da tempo questo viaggio che ha affrontato Matilda Malfoy, il mio oc e protagonista di Ghiaccio; circa un mese fa le mie sinapsi si sono scontrate per bene: ho realizzato che il viaggio di Mati avesse qualcosa a che fare con quello che la protagonista di Wild, splendido film tratto dal libro “Wild – una storia selvaggia di avventura e rinascita” e di cui consiglio caldamente la visione, ha intrapreso. Per questo motivo ho deciso di dedicare a questa prima os un titolo tanto importante.

Come vi avevo promesso sono tornata per colmare un po’ di vuoti lasciati dalla fine della long. Questa è solo la prima di una serie di vicende che vedrà coinvolti, ogni volta, protagonisti diversi legati all’universo di Ghiaccio e al mio headcanon. Matilda apparirà spesso, ma tanti altri personaggi conquisteranno il loro spazio. Non vi nego che scrivere questa prima storia è stato difficile, in quanto riprendere in mano la storia di Matilda, dopo essermi affaticata tanto per chiudere Ghiaccio senza uscirne troppo rotta, si è rivelato complicato. Comunque tantissime storie andranno a riempire questa raccolta che dedico a tutti i lettori della long. Spero davvero che mi sarete vicini anche in questo percorso, seppur più breve del precedente e che riuscirò a farvi apprezzare ogni singola storiella, anche se alcune saranno sicuramente più frivole di altre.

Grazie per essere arrivati al fondo di questa mina che vi ho scagliato e spero davvero che mi farete avere il vostro parere, ci conto molto.

 

Per chi avesse approcciato ora per la prima volta alle dinamiche di Ghiaccio, mi scuso per la confusione, anche se probabilmente avrete abbandonato l’idea di addentrarvi nella lettura leggendo la presentazione, in cui ho specificato il legame imprescindibile con la long. Per chi desiderasse addentrarsi in questo percorso (coraggiosissimi!) potete trovare, sul mio profilo, “Di Ghiaccio e Tempesta” completa nei suoi 40 capitoli e, aimè, ancora in fase di revisione dei primi (all’incirca) 15.

 

A presto, vostra

 

Bri

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Primo appuntamento ***


Primo appuntamento

 

 

Draco Malfoy ne aveva passate talmente tante, negli ultimi anni da accumulare, sulle spalle, la stanchezza di un vecchio. Si, un vecchio, era esattamente così che si sentiva. Nonostante le cose a seguito della sconfitta di Lord Voldemort, o meglio Tom Riddle (come i più avevano preso a nominarlo dopo la battaglia di Hogwarts) fossero decisamente migliorate per l’intero popolo magico, lui non sentiva trarre giovamento. La sua famiglia era caduta in disgrazia, anche se il giovane rampollo di casa Malfoy non smetteva di ringraziare per la salvezza dei suoi cari, che si erano risparmiati Azkaban. Ma del fasto, dell’opulenza e della coltre luminescente che li aveva sempre circondati, non ne era rimasta che l’ombra.

Suo padre aveva dato di matto un paio di volte e poco ci era mancato che lo rinchiudessero al San Mungo, nel reparto di lunga degenza Janus Thickey Ward(1); fortuna che sua madre aveva sempre pensato a lui, così che Lucius si stava riprendendo, anche se di tanto in tanto continuava a svegliarsi a seguito di orribili incubi che non la smettevano di tormentarlo, spesso e volentieri gridando cose come “vi prego, la ciniglia no! È così scadente e demodé!”.

Narcissa, sebbene fosse una donna distrutta, aveva preso in mano la situazione ed aveva evitato la dilapidazione totale delle ricchezze dei Malfoy(coadiuvata da tutto ciò che aveva ereditato dalla parte Black); diciamo che il Ministero era giunto ad un compromesso con i Malfoy: se loro si fossero impegnati ad aiutare economicamente la comunità magica, al processo che avrebbero subito, il Wizengamot avrebbe tenuto conto della questione. Così Narcissa aveva cominciato ad occuparsi delle generose offerte di beneficienza, riuscendo quantomeno a mantenere per loro la Villa e tutte le proprietà terriere. Cosa avrebbero fatto senza di lei, Draco non sapeva dirlo. Probabilmente lui e suo padre avrebbero subito una sorte ben peggiore di quella che era toccata loro, questo era abbastanza scontato. In tutto questo c’era da aggiungere che il pensiero e la preoccupazione nei confronti di Matilda erano rimasti a regime permanente: avevano infatti saputo che la gemella era partita per un viaggio che Draco riteneva pericoloso ed inaccettabile, ma ben poco poterono fare lui ed i suoi genitori, visto che Matilda aveva interrotto le comunicazioni con un’ultima pergamena dove, una caricatura di lei, cavalcava una cosa strana che, Draco supponeva, doveva rappresentare un drago.

Ogni volta che la pensava, Draco sentiva un gran dolore alla bocca dello stomaco. Si ritrovò a pensare, in più di un’occasione che, se avessero dato retta a lei fin dall’inizio, probabilmente ora sarebbero ancora felici e molto più ricchi. Invece come avevano ignorato la bambina quattordicenne, così avevano continuato a fare per quattro anni ed il risultato era stato guadagnarsi l’amaro in bocca ed assegni da devolvere in beneficienza; per non parlare, poi, del rapporto con Matilda che era andato a farsi benedire. Per questo Draco rimase di stucco, quando una tiepida mattina di fine Maggio, Juno –la civetta di sua sorella- aveva preso a beccare il vetro della sua stanza da letto, che dava luce alla scrivania sulla quale era chino. Inizialmente il tanto beccare lo aveva spaventato e così, con un brutto colpo, aveva fatto cadere l’intera boccetta d’inchiostro sul libro d’approfondimento di magisprudenza che stava studiando con estrema difficoltà. Quando si decise ad aprire a Juno, quella prese a punzecchiargli la mano con insistenza e Draco cominciò a lanciare improperi nei confronti dello scontroso animale; fu ben lieto di liberarla dall’impiccio della pergamena legata alla zampina; Juno non si prese nemmeno il disturbo di richiedere qualcosa da mangiare: volò subito via, dimostrando quanto mal sopportasse la presenza del gemello della sua padroncina.

 

Ed ora Draco si ritrovava nel pieno della Londra babbana, su una panchina ai margini del St Martin’s Gardens (2), tutto concentrato a stropicciarsi le mani. Quella pergamena lo aveva colto talmente tanto alla sprovvista, che aveva dovuto rileggerne il contenuto tre volte, prima di realizzare che Matilda gli stava dando davvero, un appuntamento. Quindi non solo era tornata da quel viaggio che solo qualcuno di mentalmente instabile poteva pensare di affrontare, bensì aveva anche voglia di vederlo. Il tanto nervosismo lo stava facendo smaniare: accavallava le gambe prima in un modo, poi nell’altro; sistemava i capelli con il suo pettine portatile fatto di osso di ippogrifo (quanta gioia ricavava al pensiero che quello fosse dono di un simile di quel maledetto Fierobecco); si schiariva la gola e ripeteva fra sé cosa avrebbe detto alla sorella, mentre donne babbane con marchingegni babbani trainavano i loro bambini babbani. Un’altra babbana si stava avvicinando nella sua direzione con un casco in testa ed uno in mano; ma a che serviranno mai poi, quei cosi, borbottava risentito, mentre guardava quella ragazzina con distrazione, che pareva proprio avvicinarsi a lui. Va bene che il suo fascino era irresistibile, ma era impossibile lo avesse scambiato per qualcun altro, dato che Draco Malfoy rimaneva comunque unico al mondo. Così cominciò a guardarsi le unghie con noncuranza, nella speranza di non sembrare un ragazzino agitato, all’arrivo di Matilda

 

-Che fai, mi ignori?!-

 

Quella vocina acuta l’avrebbe riconosciuta fra un milione, pensò mentre stupito alzava gli occhi grigi con lentezza inesorabile: in piedi davanti a lui, con le mani sui fianchi, il casco sulla testa e grandi occhiali da sole a coprire gli occhi, c’era quella che riconobbe essere Matilda, con le labbra piegate in un sorriso. Non fece nemmeno in tempo a balbettare qualche assurda parola che lei sfilò il casco per liberare il caschetto immancabilmente ingestibile e, subito dopo, smollò l’altro sulle sue gambe

 

-Ma…ma…-

 

-Allora? Non mi saluti? Non ci vediamo da tre anni e tutto quello che sai fare è balbettare come un neonato?-

 

Con le mani a stringere, incerte, quel casco rosso sulle ginocchia e la bocca ancora schiusa dallo stupore, Draco rimase immobile ad assorbire l’abbraccio di sua sorella, calata su di lui. Quel profumo era sempre lo stesso, come la misura di quelle braccia a stringergli il collo con calore

 

-Buon compleanno, versione alternativa (3)- Sussurrò lei, prima di staccarsi dal fratello e guardarlo con uno dei suoi sorrisi più furbi –mettiti questo e vieni con me, ti porto a fare un giro-

 

 

Neanche quando aveva incontrato per la prima volta il Signore Oscuro, Draco aveva fatto quella faccia lì: allibito, orripilato, sconvolto, il mago fissava quell’arnese a due ruote, laccato di viola come il casco di Matilda, sistemato in mezzo a tanti altri sulla strada

 

-Cosa dovrei fare?-

 

-Te l’ho detto, metti il casco e andiamo. Ah, per dovere di cronaca quello è di George e devo riportarlo indietro intatto, quindi evita di dimenarti come un vermicolo, altrimenti rischiamo di cadere, ok?-

 

-Non se ne parla! Cos’è, hai progettato di ammazzarmi?!- Draco cominciò a gesticolare con veemenza, mentre agitava il casco affidatogli da Matilda –Io con te, su quel trabiccolo da quattro galeoni non-ci-sal-go! –

 

-Vuoi che ti cali le braghe davanti a un’orda di babbani?! Per una volta fidati di me, benedettissimo Salazar! E impara a goderti un po’ la vita!-

 

 

Draco aveva gridato più o meno per tutto il tragitto. Si era aggrappato tanto forte alla vita della sorella, che lei aveva dovuto urlargli più volte di allentare la presa, altrimenti avrebbe rischiato di soffocare e lui sarebbe finito sul terribile asfalto babbano. Solo verso la fine aveva cominciato a guardarsi intorno con curiosità; tutto sommato girare su quel marchingegno (motorino! Aveva ripetuto Matilda più volte) non era poi così male: aveva la possibilità di vedere uno scenario che effettivamente, a cavallo di una scopa, non avrebbe potuto fare e anche se non l’avrebbe mai ammesso a Matilda, per giunta visto lo smacco di essere stato costretto ad usare quel coso di George Weasley (una volta sfilato, avrebbe subito compiuto un incantesimo di detersione sulla sua nobile testa), quell’inusuale passeggiata per le vie di Camden Town non gli stava dispiacendo.

Finita la corsa, Matilda gli aveva afferrato entusiasta la mano e lo aveva trascinato in un orribile pub malconcio, ma lei sosteneva che la miglior birra babbana fosse versata proprio lì

 

-Fidati di me, sono stata in luoghi in questi tre anni che ti farebbero porre questo posto sul podio dei locali più puliti al mondo- disse lei, mentre spingeva nella sua direzione un boccale di birra che Draco guardava con sospetto

 

-Non voglio saperlo! Chissà che cosa ti sarai presa, in questi tre anni-

 

-Naaa…il mondo è un posto bellissimo Draco e dovresti davvero pensare di uscire dalle quattro mura della Villa ed approfittarne un po’. Si vive una volta sola, lo sai no?-

 

Draco si incurvò nelle spalle. Purtroppo aveva proprio ragione lei; aveva passato gli ultimi anni a sfuggire la civiltà più o meno come un reietto, sempre chino sui libri nella speranza di allontanare da lui i cattivi pensieri e di poter andare nella bottega di Madama McClan senza intaccare la sua eredità. Lavorare non sarebbe stato d’obbligo per lui, ma sarebbe servito a passare meno tempo a casa, quantomeno.

Con incertezza afferrò il manico opaco di quel boccale che, ne era sicuro, non era mai stato lavato a fondo, ma Matilda ricercava il suo sguardo con impazienza e lui decise di non ostacolare il suo entusiasmo

 

-Buon compleanno- dissero in coro, scontrando i boccali.

 

 

La prima ora passò di fretta, un bicchiere dopo l’altro. Alla fine non era tanto male quel posto ed il barista sembrava conoscere abbastanza bene la sorella, in quanto nonostante il suo visibile disappunto, continuava a soddisfare le richieste di Matilda con estrema cordialità. Matilda parlò a fiume, raccontandogli di quel lungo viaggio che aveva, coraggiosamente, intrapreso da sola: a ritmo di gin narrò del sud Africa e dei meravigliosi animali che il territorio ospitava; decantò gli splendidi luoghi nascosti nel cuore della Sierra Nevada e di quanto avesse rimpianto di abbandonare la serenità dell’umile, quanto grandioso Nepal. Lasciò il pezzo forte per ultimo, scostando la manica della maglia per mostrare una vivida cicatrice abbastanza estesa, cosa che fece sussultare Draco all’istante

 

-E quella?!- stridulò raccapricciato. Eppure Matilda sorrise allegra e, fiera, avvicinò la spalla di modo che il fratello potesse osservare con più attenzione

 

-Me l’ha fatta il mio amato- ridacchiò frivola. Mai e poi mai Draco aveva immaginato che quel pezzo di sterco di George Weasley potesse arrivare a tanto! Certo, che fosse uscito di testa dopo la morte del suo gemello se l’era pure immaginato, ma permettersi di toccare Matilda fino a lasciarle un segno tanto indelebile! Draco chiuse la mano in un pugno che impattò contro il tavolo ingrigito dall’usura

 

-Quel bastardo! Cosa ti ha fatto?! E tu glielo hai permesso?! Avresti dovuto lasciare quell’infido roditore secoli fa, ci avrei pensato io a sistemarlo!-

 

Matilda, inizialmente, rimase con la bocca spalancata in un’espressione di puro stupore, ma appena si rese conto del misunderstanding, prima scoppiò a ridere, poi si incupì e lanciò uno scappellotto dietro la testa del fratello

 

-Come ti permetti! Secondo te potrei mai stare con qualcuno che mi marchia a fuoco?! Ma poi secondo te ne sarei felice?! Tu non stai bene Draco…io parlavo di Pilade (4), un grugnocorto di cui mi sono occupata in Svezia, demente che non sei altro!-

 

Mentre si massaggiava la testa, Draco cominciò a pensare che forse avrebbe preferito che sua sorella non fosse così tanto appassionata della materia, dato che non sembrava capire che, avere a che fare con i draghi, metteva in serio pericolo la sua vita. Ciò nonostante non aggiunse nulla, onde evitare di tirarsi dietro la sua collera: sapeva che i draghi fossero argomento intoccabile per lei, quindi si limitò a scolarsi il bicchiere di gin ed a chiederne un secondo, mentre Matilda non la finiva più di parlare di quelle bestie immonde, figli diretti del demonio. Fu solo all’inizio del terzo bicchiere, che calò il silenzio fra i due prima che lei, mentre carezzava il bordo del bicchiere con l’indice e ne seguiva il movimento con lo sguardo, potesse rivolgergli la fatidica domanda

 

-E mamma e papà come stanno?-

 

Bere un sorso era l’unica cosa sensata da fare, giusto per prendere tempo. Se lo aspettava, certo, che Matilda chiedesse notizie, ma forse non si era preparato abbastanza

 

-Bene…abbastanza bene. Nostro padre ha passato dei momenti molto difficili, sai…lo hanno duramente interrogato, ha dovuto fare un bel po’ di nomi di Mangiamorte per ritenersi libero, come nostra madre ha dovuto donare un bel po’ di denaro alla comunità…-

 

-Nomi di ex compagni- sottolineò sprezzante, Matilda, che ora teneva gli occhi cerulei puntati sull’avambraccio coperto di Draco, dove sapeva essere nascosto il tatuaggio che, da tre anni, non vibrava più. L’istinto portò il ragazzo a coprire il punto con la mano e a massaggiarlo con vigore

 

-Sappiamo come la vedi, lo abbiamo capito…tu sei l’eroina e noi gli antagonisti. Non c’è bisogno di fare così-

 

Per un breve momento i due si guardarono, prima che Matilda potesse piroettare gli occhi altrove

 

-Non è ancora semplice accettarlo, lo sai-

 

-E secondo te io ne vado fiero?!- la incalzò lui, inalberato da quell’aura di superiorità con cui la sorella tendeva a rivestirsi. Tante notti aveva fatto i conti con quella cosa: lei li aveva rinnegati ed aveva combattuto per la causa che riteneva giusta. Forse aveva avuto ragione, ma questo non voleva dire che le cose non sarebbero potute andare diversamente, ecco. Per Draco era molto complicato affrontare quell’argomento; decise dunque di proseguire, tentando di non ravvivare le braci di un fuoco che era ora si spegnesse del tutto

 

-Manchi molto ad entrambi. Manchi anche a me, se proprio vuoi saperlo-

 

Quella confessione portò Matilda a tornare sul fratello ed addolcire i lineamenti del volto

 

-Anche voi mi siete mancati; non sarei qui ora, a passare il nostro compleanno in questo posto con te se non fosse così-

 

Draco alzò le mani -Ah, grazie di avermi concesso la tua presenza!-

 

-Non sei cambiato minimamente, eh? Orgoglioso come sempre!-

 

-Beh cara mia, in questo noi due siamo proprio uguali! Ciao, sono Matilda e sono cinque anni che non frequento Mangiamorte, ma fammi il piacere!-

 

Sulle prime Matilda sgranò gli occhi, sconvolta da quello scimmiottamento, ma ci volle molto poco prima che Draco si unisse alla sua più sguaiata risata; probabilmente complice l’alcol, eppure per la prima volta dopo moltissimo tempo, la tempesta che aveva imperversato sui gemelli Malfoy, stava lasciando spazio ad una piacevole serenità. Fu così che parlarono a lungo di Lucius e Narcissa: appena la madre aveva saputo che Matilda si era fatta viva, aveva insistito per seguire Draco all’appuntamento, così che lui aveva dovuto nasconderle la data dell’incontro; inoltre, che Matilda gli avesse chiesto di vedersi proprio il 5 Giugno andava a suo vantaggio, perché era decisamente plausibile che lui volesse passare il proprio ventunesimo compleanno in compagnia di Astoria, il che risultò un alibi di ferro. Nel sentire nominare la ragazza, il sorriso alcolico di Matilda si illuminò

 

-Quindi la cosa si fa seria, eh?-

 

-Non fare quella faccia!-

 

-Quale faccia?-

 

-Quella che stai facendo, lo sai! Quel tuo sorrisetto scemo mentre muovi le sopracciglia con quella velocità! Prima di tutto mi fai impressione, secondo poi saprai già tutto, sicuro la bionda non si sarà tenuta lo scoop!-

 

-Pensavi che Daphne non mi dicesse nulla? Certo che l’ha fatto ed io sono ben contenta per te ed Astoria!- Il tono si fece troppo alto, così che Draco dovette farle segno di abbassare la voce, dato che il barista aveva iniziato a fissarli con viva curiosità. La ragazza sbuffo, si tirò avanti con la sedia e si allungò sul tavolo per avvicinare un po’ il viso a quello di lui –Ma io voglio sapere da te, cosa sta succedendo e come sono andate le cose, non tramite un pettegolezzo da parte di terzi-

 

Draco si sentì avvampare; provava molta, moltissima rabbia in quel momento e inutile fu tentare di metterla a freno

 

-Tu sei sparita! Per tre anni Matilda, tre lunghissimi anni! Ed ora pretendi di chiacchierare come nulla fosse e di tirarmi fuori pettegolezzi succosi sulla mia relazione con Astoria Greengrass?!-

 

La verità, con ogni evidenza, schiaffeggiò duramente Matilda. Poco importava che fossero già sufficientemente brilli; Draco aveva ragione, dopotutto. Così si fece indietro, ristabilendo quello sterile muro che, con tutta se stessa, aveva voluto tentare di abbattere. Rispose con una placidità che Draco non si sarebbe aspettato

 

-Dovevo farlo, o ne sarei uscita distrutta. Ho passato più di due anni lontana da tutti Draco, non solo da voi. Ho passato due anni lontana da George…ed è stato…orribile, ma anche giusto. Giusto per me- sottolineò indicandosi, mentre Draco la osservava muto e toccato da quella verità che non conosceva – e non mi pento di averlo fatto. Certo, so che questo ha portato e comporterà conseguenze, ma sto rimettendo insieme, con molta fatica, i pezzi della mia vita, quelli che voglio assemblare. Non ti nascondo che ho pensato più di una volta che sarebbe stato molto più semplice rimanere lassù, in quei territori gelidi ed inospitali con la sola compagnia dei draghi- tornò a guardarlo, fissa, senza battere ciglia. Draco tentò di mantenere lo sguardo, seppur con maggiore esitazione; lei era sempre stata più brava, a mantenere la fermezza delle proprie volontà –ma ad un certo punto ho capito che non riuscivo a stare senza alcune persone; che per quanto ci provassi, nessun drago riusciva a rimpiazzare questo amore che sento di provare. Tu sei una di queste persone, Draco- lentamente e con cautela, Matilda allungò la mano sul tavolo –sarà complicato, su certe cose non riusciremo mai a passarci sopra, né tu né io…ma devo almeno provare a riportarti nella mia vita, non voglio rimpiangere nulla. Non siamo mai stati i gemelli perfetti, quelli che parlano in coro, che condividono gli stessi pensieri nello stesso momento, quelli che si descrivono nei libri…- si bloccò, la mano abbandonata sul tavolo si strinse in un pugno tremante, che rilasciò lentamente –Non siamo Fred e George. Ma ci siamo sempre amati, anche se non abbiamo mai accettato l’altro e questo, per me, è il gioco che vale la candela. Tu sei il mio drago (5)- accennò un debole sorriso –l’animale irruento che non capirò mai totalmente; quello che mi ferisce e che lascia il segno…ma questo segno è il sintomo dell’amore che mi porta a volerti rimanere accanto, nonostante talvolta faccia male. Però sai, porta anche molte soddisfazioni-

 

Per l’ennesima volta, Draco rimase sbalordito nell’ascoltare le parole di Matilda; loro si che erano diametralmente opposti, sotto molteplici ed importanti punti di vista, eppure Draco concordava con ogni singola parola pronunciata da lei. Ne aveva parlato tante volte anche con Astoria, che era sempre stata molto brava non solo ad ascoltarlo, persino a riportare verbalmente quelli che erano i suoi pensieri più macchinosi e complessi, con una naturalezza tale che, era sempre più chiaro, lo portò a concludere che lei fosse la persona, quella perfetta e giusta per lui.

Così Draco non rispose a ciò che aveva detto la gemella: allungò la mano destra per chiuderla su quella di lei e, pian piano, cominciò a raccontare del primo appuntamento con Astoria.

Spiegò a Matilda quanto fosse ancora confuso: non era mai successo, infatti, che fosse lui a prendere un’iniziativa. La prima volta che uscirono insieme capitò perché fu Astoria a volerlo fortemente; la battaglia di Hogwarts era passata da qualche mese e Draco era rimasto chiuso nella villa praticamente per tutto il tempo, continuando comunque a comunicare sotto forma epistolare con Astoria. Poi un giorno sentì un gran fracasso e la madre bussò alla porta della sua camera

 

-Non sai che faccia Matt…dovevi vederla! Nostra madre era arrabbiata da ammattire, eppure cercava di darsi un tono; i Greengrass sono un’ottima famiglia, per carità, ma Daphne li ha rinnegati ed i salotti dei purosangue si sono riempiti subito di questo pettegolezzo, così come del nome “dell’altra loro figlia”- riportò Draco, non riuscendo a risparmiarsi una risatina –“quella che non concorda con gli ideali purosangue”…nostra madre non la sopporta! Pensa quando ha visto presentarsela alla porta!-

 

I due fratelli risero a perdifiato, poi ordinarono un altro bicchiere di gin, tanto ormai era fatta, prima che Draco continuasse a raccontare di come Astoria si era sistemata in salotto, con le braccia conserte e comodamente seduta, chiedendo di poter vedere Draco. Narcissa era stata quindi obbligata ad avvisare il figlio, che raggiunse immediatamente la strega, la quale lo obbligò ad uscire con lei. Lo aveva portato a fare un giro in città, avevano mangiato insieme un gelato ed avevano visto una bellissima mostra di una promettente giovane artista. Davanti ad una delle opere maggiori lei gli aveva preso la mano ed era rimasta lì, a fissare quell’opera d’arte chiamata “Rinascita”, questo dettaglio Draco lo ricordava bene. Per le strade, qualche mago si era fermato a fissare il figlio di Lucius Malfoy scuotendo il capo, ma Astoria aveva gridato loro di farsi i propri affari e portare da un’altra parte il loro circolo di cucito. Draco rise ancora, nel ricordare la veemenza con cui la sua ormai ufficiale fidanzata lo aveva difeso

 

-Lei è…buona Matt, buona e pura e certe volte sai, mi chiedo ancora come sia possibile che abbia scelto uno come me-

 

Matilda sorrise –Credo che Astoria sia riuscita a scovare quel barlume di luce che si nasconde nel tuo cuore-

 

-Forse è così- annuì lui, bevendo un altro goccio di gin. Parlare di Astoria con Matilda era liberatorio; effettivamente era l’unico membro della propria famiglia che accettava di buon grado la loro unione. Draco percepì una punta di amarezza attraversargli la gola; Matilda aveva sempre fatto in modo di augurarsi il meglio per lui, eppure Draco non aveva mai voluto sapere quale sentimento la legasse a quel Weasley da cui, aveva capito, era ritornata a seguito di quel viaggio. Così per la prima volta in vita sua, Draco mise da parte quell’insensato risentimento che provava nei confronti di quella famiglia, alzò lo sguardo sulla gemella e le chiese di parlargli di George.

Matilda lo guardò con occhi sgranati, con il bicchiere di gin trattenuto a mezz’aria

 

-Sei sicuro?-

 

Draco roteò gli occhi –Se te l’ho chiesto è perché lo voglio sapere. Se dobbiamo rimettere in piedi il nostro rapporto credo che dovrò fare i conti con la presenza di George-

 

Il bicchiere scivolò di nuovo sul tavolo e Matilda sorrise di gioia, prima di cominciare a raccontare, nel dettaglio, cosa fosse successo con George. Raccontò al gemello di come avessero duramente affrontato la perdita di Fred e di Dora Tonks, loro cugina a cui lei era molto legata. Parlò anche di Ted e della sua volontà di aiutare Andromeda a crescerlo; nel sentir nominare quei parenti che non conosceva affatto, Draco si rabbuiò, ma non interruppe Matilda, che continuò a scendere nei dettagli: spiegò cosa l’aveva portata a prendere la decisione di partire e lasciare George e di come quel viaggio le avesse fatto capire che, probabilmente, non sarebbe mai riuscita a mettere da parte il sentimento che provava per quel suo primo grande amore. Raccontò di essere tornata e di quel loro primo, vero, appuntamento: avevano parlato a lungo di tutto ciò che era successo, proprio come in quel momento stavano facendo loro. Dimenticarono totalmente di mangiare, presi com’erano l’uno dall’altra e George insistette per smaterializzarsi, con lei, su un bel vedere accanto alla Tana, da cui si vedevano nitidissime le costellazioni tessute nel cielo. Parlarono e parlarono ancora, senza stancarsi mai, fino a quando l’alba non illuminò i loro visi. L’emozione sul volto di Matilda era visibile, mentre parlava di George e Draco accettò, seppur a malincuore, che sua sorella aveva davvero, incontrato la propria anima gemella.

Matilda proseguì fra un sorso e l’altro, spiegando che lo aveva accompagnato alla porta del proprio appartamento e sull’uscio si erano abbracciati tanto forte, che sembrava non fosse passato un solo giorno. Si baciarono come si fa sotto il vischio a Natale

 

-Io da quel bacio…ma anche da prima effettivamente, io…- Matilda spiegò la bocca in un sorriso sognante –mi è bastato rivederlo per dare una conferma definitiva a tutte le mie certezze: George è il mio uomo. Abbiamo faticato così tanto, per tornare ad amarci senza obblighi, ma questi due mesi con lui sono stati sensazionali. Da quel primo aprile non ci siamo più separati-

 

Draco accennò un sorriso. Le mani a stringere il bicchiere ormai vuoto e le iridi cerulee a scontrarsi con quelle identiche della sorella –Sono felice per te, davvero-

 

 

Davanti al motorino, Draco riconsegnò il casco a Matilda –grazie, ma penso sia meglio smaterializzarmi, sono troppo ubriaco per salire su quel coso-

 

-Pensa io che devo guidarlo- rise lei, prima che Draco le stringesse il polso –Non se ne parla! Non sei nelle condizioni!-

 

-Sto scherzando, scemo. Lo lascio qui e domani spedisco George a recuperarlo-

 

-Senti Matt…forse potresti tornare a casa, uno di questi giorni…i nostri genitori sai…-

 

Matilda sospirò ed accennò un tiepido sorriso –Non credo sia il momento; un passo la volta…-

 

Draco passò la mano con stanchezza fra i capelli chiarissimi, poi annuì

 

-Allora ci vediamo…-

 

-Aspetta- la richiesta di Matilda lo bloccò. Draco la osservò frugare nella borsa di cuoio che aveva con sé, per poi tirare fuori una busta di carta opaca con vergati il suo nome e quello di Astoria, che consegnò nelle sue mani. Appena quella finì fra le dita di Draco, si spiegò, lasciando al mago l’opportunità di essere letta

 

 

George Weasley e Matilda Lucida Malfoy

 

Sono lieti di avervi vicini nel giorno del loro matrimonio

Che si terrà in data 19 Settembre 2001 –sempre che lo sposo si presenti!-

 

 

Draco accennò un sorriso –Sei felice?- si limitò a chiederle

 

-Come non mai- rispose lei, prima di gettarsi ad abbracciarlo.

Dondolarono un po’ sul posto, stretti in quell’abbraccio che, entrambi, non avevano fretta di slacciare.

 

 

Matilda era infine tornata nella sua vita, come un uragano potente e bellissimo. Sistemato nelle braccia accoglienti di Astoria, che sezionava con delicatezza ciocche dei suoi capelli, il mago raccontò alla propria compagna di come, dopo tanto tempo, aveva sentito che la sua vita poteva aggiustarsi davvero. Con lei al fianco, poi, ce l’avrebbe fatta di sicuro.

 

 


 

 

 

(1)  Il Janus Thickey Ward è un reparto dedicato ai pazienti di lunga degenza posto al quinto piano del San Mungo. I maghi e le streghe che vi sono internati hanno subito un danno permanente non curabile. Proprio qui si trovano sia il professor Allock che gli sfortunati coniugi Alice e Frank Longbottom

 

(2)  Il St Martin’s Gardens è un parco situato proprio nel quartiere londinese Camden Town

 

(3)  Nella long “Di Ghiaccio e Tempesta”, Matilda e Draco usavano darsi gli auguri di compleanno con questa frase

 

(4)  Pilade è un omaggio al mio amatissimo felino preferito

 

(5)  Draco prende il nome dalla costellazione del Drago (caratteristica tipica della famiglia Black). Per quanto la Matilda che conoscete sia un’appassionata amante degli animali, ha sempre mostrato una preferenza marcata proprio per queste creature fantastiche. Ecco spiegato il perché, anche se sospetto che molti di voi ci siano arrivati da tempo.

 

 

Eccomi tornata con questa seconda OS, dedicata a questi due gemelli. So che alcuni di voi attendevano questo momento ed io sono stata molto felice di stendere queste pagine. Ovviamente sarei davvero contenta di ricevere la vostra opinione, come sempre.

Di seguito vi lascio uno stralcio dei pensieri della signora Rowling su Draco Malfoy e sulla sua famiglia (della quale condivido ogni singola parola) in cui ho fatto entrare Matilda con estremo piacere. Ma prima voglio fare una piccola premessa: la Rowling immagina che Draco non avrà bisogno di lavorare, vista la ricchezza della sua famiglia; su questo piccolo punto non mi trovo molto d’accordo. Immagino che una piccola punizione, a questi Malfoy, bisognava pur darla, di conseguenza nella mia personale visione dei fatti, non è bastato fare qualche nome di Mangiamorte per far si che ne uscissero puliti, così che Narcissa ha dovuto provvedere a elargire un bel po’ di quattrini. Non servirà a pulire la loro coscienza, ma almeno servirà a renderli un tantino più umili!

 

Vi chiedo inoltre di farmi sapere se vorreste che scriva di qualcosa o qualcuno in particolare (parlo sempre in merito a questa raccolta legata a “di Ghiaccio e Tempesta”): io ho già le idee chiare per ciò che riguarda altre 4 OS, ma sarebbe divertente e piacevole (nonché mi farebbe onore), sapere la vostra opinione in merito. Mi impegnerò a prendere in considerazione le vostre richieste a riguardo e se mi sarà possibile scriverò volentieri di ciò che vorrete. Spero di essermi spiegata, per ora è tutto. Ringrazio tutti coloro che mi seguono e mi dedicano il loro tempo. Grazie davvero.

 

Bri

• 

-J. K. Rowling a proposito di Draco Malfoy-

 

Provo compassione per Draco così come per Dudley. Crescere a casa Malfoy o a casa Dursley sarebbe un’esperienza traumatizzante per chiunque e Draco deve affrontare difficoltà spaventose per colpa degli ideali corrotti della sua famiglia. Tuttavia, i Malfoy si salvano grazie all’amore che li unisce. A motivare Draco è la paura per la propria incolumità tanto quanto per quella dei propri genitori e Narcissa rischia tutto quando mente a Voldemort alla fine dei “Doni della Morte” e gli dice che Harry è morto per poter trovare il figlio.

Per questi motivi, Draco rimane una persona dalla moralità discutibile nel corso dei sette romanzi pubblicati e spesso ho avuto modo di far notare quanto mi innervosiscano le tantissime ragazze che sono cadute ai piedi di questo personaggio (anche se la responsabilità va in parte attribuita alla popolarità di Tom Felton, che nei film interpreta Draco in modo eccellente e, paradossalmente, è pure una persona squisita). Draco ha tutto il fascino oscuro dell’antieroe e le ragazze tendono a idealizzare questo genere di personaggi. Questo mi ha messo nella posizione poco invidiabile di dover sottoporre a una doccia fredda di buonsenso i romantici sogni delle lettrici, facendo loro presente che Draco non nascondeva un cuore d’oro sotto quella montagna di disprezzo e pregiudizi e che no, non era certo destinato a diventare un buon amico di Harry. 

 

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Capitolo 3
*** George's Dilemma ***


 George’s Dilemma
(nel giorno delle viole)

 
     
Daphne non era più abituata ad indossare i tacchi. Difficile ammetterlo, ma dal giorno della battaglia di Hogwarts aveva avuto ben poche occasioni per fare sfoggio dei suoi begli abiti e delle sue scarpe ricercate. Meno difficile, comunque, fu accettare il fatto che aveva capito non le importasse affatto. La sua vita era stata stravolta in maniera decisamente positiva dalla presenza di Lee; quel rapporto che era nato come un gioco e che vedeva le proprie radici nel giorno del ballo del Ceppo, si era radicato fino al punto di far ammettere alla strega che, Lee Jordan, era in assoluto la persona che preferiva al mondo; fu dunque naturale accettare che l’unica cosa che desiderasse, fosse vivere con lui nel modesto appartamento al numero 9 della piazza centrale di Diagon Alley. Da quel giorno non aveva che indossato scarpe e vestiti comodi, per affrontare il corso di comunicazione che le avrebbe spalancato le porte dell’Organizzazione di Eventi, la sua vocazione. Daphne aveva la giusta dose di charme e parlantina per rendere tutto più che impeccabile ed erano una manciata scarsa, gli esami ancora da sostenere per il raggiungimento del diploma supplementare ai M.A.G.O.
Per far pratica aveva convinto Matilda a collaborare all’organizzazione del suo matrimonio, ragion per cui era dalla mattina che girava come una trottola nel casale che la giovane coppia aveva scelto per il grande giorno. Fortunatamente il 19 Settembre si era rivelato un giorno di sole, e solo qualche innocuo cirro pascolava nel cielo limpido. Il Casale di madame Felix non era molto distante dalla Tana, dove Arthur e Molly avrebbero avuto il piacere di ospitare il matrimonio, ma fu George il primo a dissentire (facendo gioire Daphne che riteneva quella casa davvero inadatta per ospitare una cerimonia); prima di tutto George non aveva voglia di far stancare la madre e sapeva che se avessero tenuto il matrimonio proprio alla Tana, la donna non si sarebbe fermata un solo istante. Secondo poi, il ragazzo era cosciente che ci sarebbe stata la remota possibilità che i genitori di Matilda si presentassero al matrimonio, ragion per cui affermò che sarebbe stato meglio trovarsi in un luogo neutrale. Daphne aveva quindi dato sfogo a tutto il suo estro creativo, che sovente Matilda si vide costretta a limitare, altrimenti si sarebbe ritrovata a camminare su tappeti di zaffiri e rubini e per quanto benestanti, visti gli affari di George che andavano molto bene, non avrebbe di certo voluto sostenere costi eccessivi solo per festeggiare il matrimonio. Daphne dovette mordersi più volte la lingua; riteneva infatti inaccettabile che la sua migliore amica si fosse dimostrata così rigida e poco interessata alla cerimonia, ma alla fine arrivò a prendere quella come una sfida personale: un matrimonio in grande stile da milioni di galeoni sarebbe stato in grado di organizzarlo chiunque, invece avere un vincolo di budget significava dover mettere maggior impegno, per risultare egualmente sensazionale.
Ebbene, tutto stava andando secondo i suoi piani ed ogni cosa sembrava trovarsi al posto giusto; ma quando Daphne scorse Lee, perfettamente in tiro ma con la faccia di chi aveva appena ricevuto una pessima notizia, roteò gli occhi verso l’alto: qualcosa doveva pur andare storto, no?
 
-Che succede?- lo incalzò subito Daphne, senza giri di parole. Lee si passò una mano sul viso con gesto disperato
 
-Abbiamo un problema-
 
-Se riguarda l’arco nuziale, mi sono già mossa per dare una bella strigliata a quegli incompetenti che pretendono anche  di farsi chiamare fiorai!- Daphne alzò il naso e scacciò l’aria con la mano. Aveva tutto sotto controllo
 
-Tesoro…apprezzo il tuo pragmatismo, ma il problema è molto più grosso di un mazzo di fiori-
 
-Sentiamo-
 
Lee umettò le labbra, prima di fissare gli occhi algidi della compagna –Si tratta di George…temo ci abbia ripensato-
 
*
 
Matilda aveva cacciato via amiche, zia, suocera e future cognate. Incominciava a sentirsi soffocata e non era esattamente quello che voleva per il suo matrimonio. Pronta ormai da una buona mezz’ora, continuava a guardare la propria figura nello specchio, incapace di credere che quella fosse proprio lei: il caschetto stranamente composto in boccoli ordinati ed impreziosito da una vecchia spilla che la madre ci aveva tenuto tanto a farle avere, incorniciava il viso dal trucco leggero, ma che faceva risplendere quegli occhioni cerulei; quel vestito di tulle ricamato e che arrivava a coprire le ginocchia, la fasciava come una ballerina. Non c’era niente di eccessivo, eppure le ricordò che, quel giorno, la sposa sarebbe stata lei.
Si sarebbe sposata con George Weasley, il grande amore della sua vita, questo era innegabile
 
-Tia, sei proprio bella sai?-
 
Matilda sorrise nel sentire la voce dell’unica persona di cui aveva tollerato la presenza in quella stanza dedicata a lei; dal riflesso dello specchio osservò una matassa di capelli azzurri ed un paio di occhi verdi che la guardavano con stupore. I piedi ancora scalzi piroettarono in direzione di Teddy, anche lui vestito in maniera impeccabile nel completino che la stessa Matilda aveva scelto per lui
 
-Grazie tesoro, ma tu sei sempre il più bello di tutti- rispose lei, mentre si chinava a prendere in braccio il bambino, per poi stringerlo a sé –La zia è molto agitata, lo sai?-
 
Teddy, abbarbicato su di lei, le ispezionava il viso con cipiglio
 
-Pecché? Io sono tanto felice!-
 
-Anche io lo sono- si affrettò a rassicurarlo –ma sai, lo zio George è una testa tutta matta, potrebbe combinare qualche guaio e alla zia i guai non piacciono per niente-
 
Teddy si allacciò con forza al suo collo, ornato dalla semplice catenina con il ciondolo a forma di volpe che proprio George le aveva regalato molti anni prima –Tio è simpatico, mi fa ridere! Voglio che lancia i fuochi attificiali come al mio compleanno!-
 
L’entusiasmo del bambino la fece ridere di cuore –Voglio che lanci- lo corresse –ci divertiremo tantissimo, vedrai…e questa sera potrai chiedergli di lanciare i fuochi con lui, che ne dici?-
 
Gli occhi di Teddy si allargarono in maniera adorabile, mentre i suoi capelli pettinati con cura assunsero nell’immediato un intenso tono di rosso –Si! Anche la nonna? E Harry?-
 
-Anche loro, si…ma attento, perché alla nonna non piacciono tanto gli scherzi dello zio George-
 
Un bussare delicato pose fine a quel dialogo. Con Teddy stretto al collo, Matilda mosse la bacchetta per aprire la porta
 
-Wow…allora ci siamo davvero, sarò costretto ad accettare l’idea di saperti sposata a George Weasley-
 
Matilda sorrise davanti all’immagine del gemello che teneva le mani nel completo blu scuro che indossava con la nonchalance che gli era propria; Teddy dedicò una fugace occhiata a Draco, prima di tornare a guardare Matilda
 
-Lui chi è?- chiese curioso
 
-Si chiama Draco ed è mio fratello-
 
Draco represse la voglia di mostrare lo sdegno davanti alle poche attenzioni di quel bambino insolente; aveva capito al volo chi fosse, anche se era la prima volta che lo incontrava di persona. L’attenzione del mago, comunque, tornò nell’immediato alla sorella: nel rimirarla sentì un nodo ingombrante incastrargli la gola. Matilda era bellissima e radiosa, ma soprattutto sembrava davvero felice. Si scambiarono una lunga occhiata, prima che lei spezzasse il silenzio
 
-Stavo proprio dicendo a Teddy che mi sento molto agitata-
 
-Pecché scoppiamo i fuochi!- urlò Teddy, lanciando le braccine in alto; di nuovo i suoi capelli turchesi virarono al rosso
 
-Credo sia normale, stai per infilarti in una famiglia…- lo sguardo burbero della sorella lo fece esitare, così che la sua risposta si piegò ad un compromesso più tenue -…numerosa, una famiglia molto numerosa-
 
-La tua diplomazia ti fa onore- scherzò Matilda –piuttosto credo sia quasi il momento di andare…dove hai lasciato Astoria? Non l’ho ancora vista!-
 
-Sai quanto sia discreta quella ragazza…ha preferito lasciarti la tua privacy, credo abbia raggiunto quella sciroccata della sorella; Daphne dovrebbe prendersi un calmante, mi è sembrata molto più agitata di te, non credo sia normale-
 
-Che vuol dire scicoccata?-
 
Matilda, esasperata, lanciò l’ennesima occhiataccia a Draco, che di tutta risposta si strinse nelle spalle trattenendo una risata
 
-Ecco tesoro…-
 
Ma la porta si spalancò di nuovo, interrompendo il tentativo di spiegazione: l’espressione di Daphne trapelava agitazione e premura, cosa che non sfuggì affatto a Matilda; la bionda Greengrass fu spostata con forza da Ginny che per poco, vista la tanta irruenza, non distrusse lo chignon in cui aveva chiuso i lunghi capelli rossi
 
-Che succede?-
 
-Matt, dobbiamo parlare- imperò Ginny, puntando poi gli occhi caldi su Draco –Lasciaci sole, Malfoy!-
 
-Ehi! Come ti permetti Weasley?! Ti sei dimenticata che sono il testimone di mia sorella?!-
 
Hermione irruppe nella stanza barcollando sui sandali troppo alti, chiusa nel suo lungo vestito cobalto
 
-Glielo avete detto?-
 
-Detto cosa?- Matilda riuscì a mantenere la calma solo grazie alla presenza di Teddy, ancora tenacemente stretto a lei
 
-Puoi chiedere a tuo fratello di lasciarci sole?- Ginny tentò di oscurare la vista di Draco, ponendosi davanti a lui. Fu il turno di Fleur: la mezza veela fluttuò elegantemente nella stanza, trattenendo fra le mani il bouquet di viole che Hermione l’aveva obbligata a confezionare, asserendo che quella fosse un’importante tradizione babbana; Draco sentì l’ira passare dal galoppo al trotto ed il colpo di grazia arrivò con il profumo di quella splendida donna che sembrava risplendere di luce propria
 
-Oh, Matildà! Tu es splendide!- cinguettò sinceramente commossa Fleur, davanti la vista di Matilda che, di contro, si avvilì nel percepire che la quasi cognata fosse molto più bella di lei, persino nel giorno del suo matrimonio
 
-Si, va bene! Siamo tutti d’accordo, ma ora dovremmo davvero parlarti!- disse agitata Ginny
 
-Tu sarosti Draco?- chiese con sospetto Fleur, fissando il mago che aveva preso a boccheggiare davanti alla sua meravigliosa siluette
 
-Credo sia meglio rimandare a più tardi le presentazioni, Fleur…- mormorò Hermione
 
-Qualcuno ha intenzione di spiegarmi cosa succede, o sono costretta ad assoldare una veggente?-
 
-Si tratta di…George- Daphne usò estrema cautela, anche se trasudava ansia: il suo primo matrimonio stava per andare a rotoli e questo aumentava di gran misura il suo livello d’agitazione. Nel sentir nominare il futuro cognato, Draco sembrò riprendersi e spostò la sua attenzione da Fleur a Daphne, seppure con gran fatica
 
-Che ha combinato quell’idiota?!-
 
-Non dare dell’idiota a mio fratello!-
 
Matilda approfittò di quel bisticcio per avvicinarsi ad Hermione –Reggeresti Teddy?-
 
L’amica annuì e sfoderò un gran sorriso al bambino, che s’aggrappò al suo collo mentre Matilda voltò il capo verso Daphne, che stropicciava le mani con frenesia –Allora? George sta bene? Parla Daphne, mi sto preoccupando!-
 
La bionda Greengrass tornò a fissare l’amica; così prese un gran respiro e sussurrò –Fisicamente si…ma…-
 
-Ma?-
 
-Ecco…ci ha ripensato Matt, non vuole più sposarsi…me l’ha appena detto Lee-
 
Nonostante la strega avesse mantenuto un tono molto basso, pare che tutti avessero sentito quella confessione: subitamente si voltarono a fissare Matilda, terrorizzati da ciò che quella notizia avrebbe scatenato. Draco, per primo, sgranò gli occhi e poi cominciò ad agitare le braccia
 
-Io lo ammazzo! Lo sapevo che non era che un buffone! Dovrebbe ringraziare tutti i defunti maghi per essere riuscito ad avere questa possibilità con te, invece ora non vuole più sposarti?!-
 
Matilda alzò una mano per mettere a tacere lo sproloquio di Draco; l’espressione serena sul suo volto li lasciò di stucco
 
-Forse è scioccata- Sussurrò Ginny ad Hermione
 
La ex serpeverde scosse il capo –Tranquilli, me lo immaginavo. Ci penso io-
 
-C…che?- balbettò stupita Daphne, ma quando vide Matilda avviarsi alla porta, ancora scalza per giunta, saltò sul posto. Appena la giovane sposa scavallò al corridoio, tutti i presenti si scambiarono delle occhiate di reale sgomento e, silenziosi, seguirono la strega
 
*
 
Ron non faceva altro che tamponarsi la fronte con un fazzoletto dello stesso tono di grigio del suo bel completo; aveva risparmiato un sacco di galeoni per poterselo permettere, ma in veste di testimone dello sposo non aveva badato a spese. Certo, probabilmente se non fosse riuscito a far cambiare idea a suo fratello, che attualmente era seduto in un angolo della stanza con la fronte china sulle ginocchia, quel sacrificio economico sarebbe stato inutile. Ron si schiarì la voce prima di rivolgersi all’altro, che non sembrava dare cenni di vita
 
-Georgie…non ti farebbe bene prendere un po’ d’aria? O magari bere qualcosa di fresco…secondo me stai avendo solo un attacco di ansia in piena regola-
 
Ma dal fratello, nessuna risposta. Ron roteò gli occhi al cielo e si passò una mano sulla faccia, prima di ritentare –Vuoi che chiami Bill? O la mamma?-
 
George smosse appena la testa in segno di diniego, gettando Ron nello sconforto. Non era bravo in quelle cose lì, no davvero. In quel momento avrebbe voluto l’aiuto di Harry, o di Hermione che con le parole era senza ombra di dubbio la migliore dei tre. Per questo quando sentì un tenue bussare alla porta, Ron tirò un sospiro di sollievo: qualcuno era venuto in suo aiuto, che Godric sia sempre lodato
 
-Georgie?- quel pigolio delicato fece gelare Ron e scattare la testa di George; il più piccolo dei due si ritrovò a fissare il volto sconvolto del fratello, con gli occhi ridotti a due fessure per il tanto piangere
 
-Matt?!- Rispose George, scattando subito in piedi e scansando Ron, il quale intralciava la traiettoria verso la porta. Quest’ultimo non seppe proprio cosa fare, se non rimanere inerme a guardare il fratello; appena George mise la mano sulla maniglia, pronto ad annullare la distanza che lo separava da Matilda, quest’ultima alzò il tono
 
-Aspetta! Non dovresti guardarmi…le tradizioni, sai…rimaniamo così, va bene?-
 
La mano di George rimase ancora per un po’ incastrata alla maniglia, fin quando non annuì, silenziosamente, lasciando la presa. Dopo qualche secondo volse il capo per rivolgersi al fratello minore
 
-Ron…ci puoi lasciare soli?-
 
Come destatosi d’improvviso, Ron sgranò gli occhi e si affrettò a rispondere –Oh! Si, certo…ecco, permesso…non guardo…non guardate…-
 
Matilda osservò Ron strisciare, con le mani sugli occhi, oltre la porta
 
-Ronald, tu puoi guardarmi-
 
-Meglio di no, le tradizioni…sai-
 
Il giovane Weasley sarebbe caduto, se la mano di Hermione, che con le altre ragazze aveva seguito Matilda, non l’avesse tirato via. A quel punto Matilda si voltò per fissare la piccola corte che l’aveva circondata
 
-Emh…va tutto bene, potete lasciarci soli?-
 
Un po’ a malincuore, comunque tutti annuirono e seguitarono ad allontanarsi, compreso Draco che fu trascinato via da Astoria, unitasi al fiume di persone al seguito di Matilda, senza realmente capire cosa stesse succedendo. Finalmente nel corridoio non era rimasta che lei, che poggiò le mani alla porta nuovamente chiusa; dall’altra parte George aveva assunto inconsapevolmente la stessa posa: entrambi con lo sguardo fisso sul legno che li separava
 
-Matt…mi dispiace, sono un codardo- la voce commossa di George arrivò spezzata alle orecchie di lei, che accennò un sorriso e scosse il capo, anche se sapeva che lui non poteva vederla
 
-No che non lo sei tesoro…hai solo paura, è comprensibile-
 
-Non so perché…mi sento crollare. Pensavo di avercela fatta, di aver superato il dolore, ma oggi…proprio oggi…-
 
-Ne abbiamo parlato tanto, posso dirti come la penso?-
 
George strinse i pugni mentre poggiava la fronte sul legno. Non riusciva a trattenere le lacrime ed il suo consenso si mescolò ad un singhiozzo. Così Matilda socchiuse gli occhi e prese fiato, per munirsi di quell’autocontrollo necessario per supportare entrambi
 
-La verità, Georgie, va bene? Tu hai solo paura che coloro che ami possano scomparire…come è successo con Fred. Me ne sono accorta, sai, che da qualche tempo a questa parte non fai altro che rinunciare: non rischi più, e non è da te! Tu sei un guerriero George…-
 
Un singulto scosse il corpo di George che, piano, roteò per poggiare la schiena alla porta, per poi scivolare giù
 
-Non lo sono mai stato…-
 
-Non è vero! Io ti conosco meglio di chiunque altro…so chi sei George Weasley! Ed è inutile che continui a nasconderti dietro ai sorrisi, è inutile che ti sforzi di fare la parte del burlone, sempre, in ogni momento! Ti prego, ascoltami…-
 
Come se avesse intuito dove fosse andato a finire, Matilda s’accucciò a terra e spianò i palmi sul legno, a cui prese a parlare con delicatezza
 
-Georgie…non devi smettere di lottare contro le cose brutte, questo è ovvio…ma guarda che il dolore serve, amore mio, serve proprio come serve la felicità. Devi rischiare, perché allontanare chi ami non ti servirà a nulla; prima o poi moriremo tutti-
 
-Non dirlo…- George sfregò il viso con violenza; era un pensiero inaccettabile quello di perdere qualcun altro di amato, a cui non riusciva a far fronte.
Aveva accolto la proposta di Matilda con entusiasmo; la sua Matilda non s’era smentita e ad un solo mese dal suo ritorno, mentre George cucinava, gli aveva chiesto con fermezza priva di qualsiasi tipo di romanticismo (ma carica di passione) se avesse voluto sposarla. Lì per lì era rimasto vagamente spiazzato, ritrovatosi a fissare quegli occhioni grigi sgranati, che lo ricercavano impazienti; quell’improvvisata aveva mandato all’aria tutti i suoi piani, che prevedevano una proposta di matrimonio vera e propria, con tanto d’anello che non aveva nemmeno fatto in tempo a comprare. Ma George non aveva esitato, a dirle di si: entrambi convennero sul fatto che non avrebbero voluto nessun altro al proprio fianco e che era giunto il momento di festeggiare la loro relazione, rinata dalle ceneri dopo anni burrascosi; anni che, comunque, avevano trascorso con il pensiero dell’altro sempre ben presente, nella mente e nel cuore. Si erano gettati in quell’avventura con entusiasmo, parlando e riparlando di chi avrebbero voluto invitare, come avrebbero voluto festeggiare, dove sarebbero voluti andare in luna di miele. Matilda a suo solito aveva proposto una meta assurda, decisa a trascinarlo nel Borneo per coniugare svago e studio magizoologico, ma George l’aveva frenata, specificando che l’unica cosa che avrebbero dovuto fare sarebbe stata divertirsi, rilassarsi e, ovviamente, fare l ‘amore senza sosta. Per questo avevano deciso di affidare i preparativi della cerimonia a Daphne, che smaniava per assisterli: Matilda e George avrebbero solo dovuto occuparsi del loro viaggio, celebrativo d’amore e di vita. A quel punto, però, la mente di George cominciò ad offuscarsi, bombardata da pensieri più che negativi: e se qualcosa fosse andato storto? E se Matilda si fosse ammalata di un brutto male incurabile? E se fosse morta?
Morta.
Quella parola non riusciva ad assimilarla; per il tempo in cui lei si era trovata lontana, nonostante George l’avesse sempre costantemente pensata e non avesse smesso di essere in pena per lei, aveva comunque rinunciato all’idea di averla accanto. Ma quando le cose erano cambiate con il ritorno della strega, si era convinto che avrebbe passato il resto della sua vita a tentare di essere felice con Matilda, sempre. Avrebbe condiviso con lei qualsiasi momento buio e sempre con lei avrebbe gioito delle vittorie di entrambi; proprio per questo l’idea di un distacco definitivo era insopportabile da mandare giù. Non dopo la morte di Fred, che ancora, talvolta, faceva fatica a digerire.
L’ovvia conseguenza di quei pensieri fagocitanti e malsani, fu la crescita costante dello stato ansioso, sfogatosi infine in quel giorno, che stava rimettendo in gioco ogni sua decisione più che certa. Forse George non doveva sposarla, forse avrebbe solo dovuto allontanarla e cercare di vivere la propria vita al meglio, anche se senza di lei. Perché, se davvero avesse dovuto perdere anche Matilda, probabilmente questa volta non sarebbe sopravvissuto al dolore.
Dall’altro capo Matilda teneva l’orecchio poggiato alla porta, come ad auscultare il battito del legno, che le restituiva ogni singolo pensiero incastrato nella testa del suo futuro marito. Tirò il fiato all’ennesimo singhiozzo di George, così con vocina roca parlò nuovamente
 
-George, tu mi ami?-
 
Orripilato all’idea che la sua compagna potesse aver frainteso i suoi sentimenti, George smise di piangere e si affrettò a rispondere
 
-Certo che ti amo, ogni giorno di più se possibile, sciocca…-
 
Nel parlare, George si rigirò, trovandosi ora in ginocchio davanti alla porta, fregandosene dell’abito che si stava sgualcendo, sebbene la giacca fosse in salvo appesa nell’armadio
 
-Allora se è così ti prego, non lasciarmi! Possiamo decidere di non sposarci, nessuno ci obbliga a farlo, se non te la senti! Ma non puoi farti sconfiggere dai brutti pensieri: io non ti lascerò mai, te lo prometto…purtroppo non posso assicurarti quanto tempo ancora passeremo insieme, ma credo saremo costretti ad accettare il fatto che, la vita, ci riserba sempre delle sorprese, belle o brutte che siano. George…posso aprire un pezzettino la porta?-
 
George si asciugò le lacrime con un polso e si tirò appena indietro, per lasciare che quella porta si schiudesse appena: un cigolio, poi la mano destra di Matilda sbucò dallo spiraglio e George sapeva che ricercava la sua. La accolse stringendola fra le proprie, baciandola e sfregando il naso affilato sul dorso; era incredibile quanto calmante fosse l’effetto della sua vicinanza. Quel contatto lo tranquillizzò all’istante, così che alla fine si ridusse a tenerla stretta con la sinistra, in attesa che lei andasse avanti.
Dall’altro capo, Matilda stava per scoppiare: avrebbe voluto spalancare la porta e gettarsi su di lui, ma un ultimo barlume di speranza era acceso in lei; auspicava che George tornasse indietro sui suoi passi
 
-Georgie…sarebbe sicuramente più semplice abbandonare tutto e ritirarsi in una vita da eremita, ma quanto sarebbe giusto? Vivere soli e senza amore…io non lo potrei mai permettere, ecco. Ce lo meritiamo, l’amore, ne abbiamo passate troppe per rinunciarci, sebbene io sappia benissimo che questo sentimento s’accompagna sempre al dolore, prima o poi. Però non vuoi goderti il momento? Io voglio essere felice, voglio esserlo con te, per quanto più tempo possibile. Tu lo vuoi?-
 
George deglutì, mentre con distrazione faceva la conta delle sue dita piccole e pallide. Ancora una volta aveva ragione lei. Ebbene si, sarebbe stato più semplice allontanare quante più persone possibili per non rischiare di soffrire, ma sarebbe davvero stato in grado di rinunciare all’amore? Che fosse per Matilda, o per i suoi genitori, i suoi fratelli, i suoi amici. Finalmente George accennò a sorridere: no, non era quello che voleva davvero. Avrebbe vissuto dignitosamente, circondato da quanto più affetto possibile e sarebbe partito proprio da lei.
A Matilda, George, non avrebbe potuto rinunciare mai
 
-Lo voglio Lemonsoda, ma tu promettimi di tirarmi sempre su, come hai fatto ora-
 
La risata di Matilda arrivò cristallina
 
-Bene. Allora, razza di cretino che non sei altro- la mano scivolò velocemente via dalla sua, per ritirarsi oltre alla porta –ora ti metti in piedi, ti fai sistemare quella camicia che so già che sarà tutta sgualcita e scendi di sotto; lo sai che detesto i contrattempi quasi quanto aspettare! E vedi di essere particolarmente bello, che non voglio delle foto dove sarebbe impossibile distinguerti da uno dei rospi del coro di Vitious! Vai un po’ a spiegare alle persone che all’inizio eri un essere umano; già ti manca un orecchio, cerchiamo di non peggiorare la situazione!-
 
George scoppiò a ridere mentre si tirava su a fatica, contemporaneamente a Matilda dall’altro capo che, sentendolo ridere, si rilassò e sorrise
 
-Allora ci vediamo fra poco. Niente più scherzi, Weasley-
 
-Promesso, al massimo potrei, chessò…trasformare il tuo vestito in quello di un dromedario(1)-
 
-Tu provaci, ma poi dovrai vedertela con l’ira di Daphne, credo tenga più lei a queste formalità che noi due-
 
George alzò le mani –per carità, non vorrei mai mettermi contro di lei-
 
*
 
Il grande giardino che circondava il casale, era particolarmente rumoroso: gli ospiti parlottavano tra loro, mentre George, affiancato da Ron e Lee, attendeva sotto l’arco nuziale tempestato di viole. Il sole si apprestava al tramonto e una luce rara e meravigliosa rendeva l’atmosfera particolarmente piacevole. Kingsley, in attesa di officiare il matrimonio, sistemava nervosamente il colletto della camicia; Andromeda teneva Teddy per mano in attesa della sposa e, di tanto in tanto, lanciava un’occhiata all’ultima fila, dove erano apparsi sua sorella ed il marito che, seppur sempre rigido, non riusciva a mascherare un briciolo di commozione, così come Narcissa che, Andromeda lo sospettava, avrebbe voluto essere molto più vicina a Matilda di quanto non lo fosse in realtà. Tra il marasma di Weasley e relativi accompagnatori, mogli e figli, c’era Hagrid, che non faceva altro che soffiarsi rumorosamente il naso, accompagnato da Madame Maxime; l’intero corpo insegnante di Hogwarts si era presentato, così come le amicizie che Matilda aveva coltivato nel corso del suo viaggio: Santiago e Metrodora si sporgevano nella speranza di vedere la sposa; due uomini dalla testa rasata e vestiti d’un caldo arancio, osservavano gli ospiti con aria placida; una donna dai lunghissimi capelli ricchi, scuri come la sua pelle d’ebano, attendeva con aria emozionata al fianco (casuale) di Charlie, che non si risparmiava di studiarla con il sorriso sulle labbra; fra gli altri c’era un ragazzone altissimo e dai capelli molto chiari, la barba lunga e l’espressione ostica.
Insomma, tutti attendevano con impazienza che la sposa si facesse vedere.
Ma su tutti c’era lui, George, che sentiva il cuore battere in gola con ritmo serrato ed incalzante.
E quel battito, per quanto non lo ritenesse possibile, aumentò d’intensità con la musica che accompagnò il fruscio dell’abito da sposa ed i passi di lei, che apparve come d’incanto sul vialetto che conduceva all’arco e che divideva le file delle sedie degli invitati.
Si sentiva improvvisamente un idiota. Lui, che aveva titubato, e che ora si sentiva più leggero che mai; perché qualsiasi dubbio era stato spazzato via con l’arrivo di quella magnifica tempesta, racchiusa in ricci chiari, il sorriso di ciliegia ed un bouquet di violette stretto fra le mani.
Da lontano Matilda liberò una risata imbarazzata e lui ricambiò, non riuscendo proprio a smettere di ispezionarla: era bellissima, lo era per George
 
-Allora Lemonsoda, vedi di sbrigarti!- gridò lui sovrastando la musica –vuoi diventare mia moglie o no?-
 
E Matilda rise ancora, prima di rispondere con tono acuto –Io ho atteso tutta una vita! Qualche minuto non farà la differenza!-
 
Singulti commossi partirono dai presenti, mentre Matilda trasformava i passetti incerti sui tacchi, in una camminata veloce, impaziente, fino a raggiungere Draco che l’attendeva al lato destro  dell’altare e che tirò su col naso, mantenendosi comunque rigido.
George era lì per lei e Matilda l’aveva raggiunto; non avevano occhi che per l’altro, bisognosi di svolgere quella pratica il prima possibile
 
-Ci siamo- disse George rilasciando un forte respiro e afferrandole le mani, liberate dal bouquet che Matilda aveva lasciato sull’altarino
 
-Ci siamo- confermò lei con un cenno del capo, giocando con le sue mani.
 
Per la prima volta dal due Maggio del 1998, George si sentiva davvero felice. Non che non sentisse il peso dell’assenza di Fred al suo fianco, mentre scambiava delle bislacche promesse con la sua imperfetta metà, come poteva essere diversamente da così?
Eppure mentre guardava gli occhi grigi e commossi di quella donna, percepì di rivivere tutta la loro storia:
La prima volta che la vide, quando non era che una bambina desiderosa di trovare l’aula giusta.
Quel primo giorno del suo sesto anno ad Hogwarts, quando l’aveva travolta con uno dei suoi scherzi.
Il ballo del ceppo, gli incontri dell’ES, le volpi di carta ed i cunicoli bui dei passaggi segreti.
Le liti che mascheravano una gelosia ancora incompresa.
Quel loro primo bacio, sotto la neve.
La fuga di lei dalla casa di quella vecchia prozia.
La prima volta che avevano fatto l’amore.
La dissidenza ad Hogwarts, che avevano condotto mano nella mano.
La battaglia e la gioia di saperla viva.
Infine il suo ritorno da quel viaggio durato troppo a lungo, ma necessario per entrambi
 
-Allora Georgie?- lo destò Matilda, che tratteneva l’anello fra le dita, pronta a cingere il suo anulare. George sciolse l’ennesimo sorriso mentre stendeva la mano per aiutare Matilda, dopodiché prese l’anello per lei, dalla manina di Teddy
 
-Guarda che non puoi tornare indietro da questo- la canzonò. Matilda allungò la sinistra accennando un sorriso
 
-Lo so bene, quindi sbrigati prima che cambi idea-
 
Mentre George infilava l’anello sull’anulare di Matilda, una serie di singhiozzi echeggiarono nel giardino.
Per fortuna, pensò George mentre Kingsley li dichiarava marito e moglie, quelli non erano che pianti di gioia.
 
*
 
Gli invitati circondavano i novelli sposi trattenendoli con abbracci, baci e raccomandazioni. Persino la zia Muriel si era ritrovata a complimentarsi con Matilda, seppure aveva avuto da ridere sull’abito fin troppo semplice. “Fleur era più bella”, commentò, meritandosi un ammonimento da parte di Molly, ma niente avrebbe potuto scalfire la felicità di Matilda, la quale s’allontanò da loro, per avvicinarsi ai genitori che la osservavano in disparte. Lucius trattenne il fiato nell’osservare la sua bambina, ormai donna, chiusa in un abito da sposa, avvicinarsi a lui con un accenno di sorriso
 
-Bambina…- mormorò lasciando la mano di Narcissa al suo fianco, che osservava commossa la scena
 
-Papà- rispose lei, ora davanti a lui. Lucius avrebbe voluto dire moltissime cose: avrebbe voluto congratularsi con lei, chiederle perdono per non aver salvaguardato la loro famiglia; avrebbe voluto abbracciarla forte e scusarsi per non essere riuscito ad accompagnarla all’altare. Ma per Lucius Malfoy era troppo, non sarebbe mai stato in grado di andare contro le sue convinzioni fino a quel punto.
Si sorprese, il mago, nel ritrovarsi fra le braccia quel corpicino minuscolo che s’era stretto forte alla sua vita
 
-Grazie di essere venuti, era molto importante per me-
 
Tremando appena, accompagnato dai singulti di Narcissa che aveva abbandonato tutta la sua naturale compostezza, Lucius carezzò la testa di sua figlia. Non dissero nulla, non sarebbe stato giusto in quel momento; quello era il giorno di Matilda, della sua bambina che, finalmente, vedeva serena e felice. Il destino (o forse i loro opposti ideali) li avevano divisi e a Lucius non restava che accettare il fatto che sua figlia aveva preso la sua strada, come al tempo fece sua cognata Andromeda. Quando si staccò da quell’abbraccio, gli occhi di entrambi erano rossi, velati di pianto. Per un momento l’inconciliabile distanza s’era assottigliata, ma in pochissimo tempo, Lucius tornò a sentirsi fuori posto. Narcissa allungò una mano per carezzare la guancia di sua figlia
 
-Sei radiosa- sussurrò fissandola
 
-Sono felice- rispose Matilda con un filo di voce
 
“Dov’è la sposa?! Sta per perdersi il suo primo ballo con lo sposo!” la voce infuriata ed amplificata di Daphne risuonò in tutto il giardino. Così Lucius si scambiò uno sguardo con la moglie: per loro era tempo di andare e lasciare Matilda alla sua vita.
Seguirono con lo sguardo la sua figura allontanarsi e raggiungere il centro del giardino, dove George Weasley l’attendeva impaziente. Ancora una volta Narcissa strinse la mano del marito e con lui si smaterializzò; entrambi con un nodo allo stomaco che ci mise un po’ di tempo, prima di sciogliersi definitivamente.
 
Accompagnati da una vivace canzone pop-rock babbana, George e Matilda aprirono le danze di quella notte speciale, ma solo dopo il lancio del bouquet che, per poco, non venne afferrato dalla piccola Victoire, sfuggita alla presa di Bill. Harry arrossì vistosamente quando Ginny si ritrovò il bouquet di violette in mano (che non aveva nemmeno tentato di prendere), con grande invidia da parte di Hermione e le altre pretendenti.
Matilda osservò la scena ridendo sotto i baffi, per poi allungare la mano al marito
 
-Allora signor Weasley, mi concedi questo ballo?-
 
-Ho saputo mai dirti di no, Lemonsoda?-
 
Matilda s’aggrappò al collo di George costringendolo a chinarsi verso di lei –Per una volta hai ragione tu- rispose con sfida, prima di stampargli un bacio sulla bocca, che lui ricambiò con passione.
Era stato proprio uno stupido, a pensare di poter rinunciare a quella bocca, con cui amava avvelenarsi; a quei capelli che adorava scombinare. A quegli occhi di ghiaccio e tempesta, che lo stordivano come fossero una droga potente.
Ma aveva rimediato. Da quel momento, la loro storia, sarebbe stata una placida e dolce discesa, che avrebbero percorso fianco a fianco.
Di questo, George, sentiva di esserne più che certo.

 
 

(1) Riprende una battuta che si trova in "Di Ghiaccio e Tempesta", quando scherzosamente Ginny, Hermione e Matilda si ritrovano a parlare di un futuro ipotetico matrimonio con George.

Il titolo di questa os è preso da un bellissimo brano dell’artista jazz Clifford Brown, chiamato appunto “George’s dilemma”. Inizialmente avrebbe dovuto avere un altro nome, ovvero “La verità”, dato che l’intero dialogo tra Matilda e George mi è stato ispirato da “La verità” di Brunori Sas. Rimanendo in ambito musicale, ho sempre accompagnato l’arrivo di Matilda all’altare ( o quel che è) all’ascolto di “Stranizza d’amuri” di Franco Battiato. Insomma, se vi va ascoltatevi questi brani.
 
Cari tutti. Sono arrivata con tanta fatica a partorire questa os che per me ha un’importanza unica; dovete sapere che per molto tempo, durante la stesura degli ultimi capitoli di “Di Ghiaccio e Tempesta”, ho seriamente messo in dubbio la felicità di questa coppia (ne sa qualcosa Adho, che si è sorbita le mie paturnie per tantissimo tempo e penso sia arrivata a non sopportarmi più). Voi che mi seguite lo sapete quanto io sia attaccata al canon e sono consapevole che questa coppia, suggellata ora da un matrimonio, sia una grande e forte virata a riguardo. Ma io non ce l’ho fatta, perché ho creduto che Matilda, che io ho cresciuto con amore, meritasse il suo lieto fine con George.
Prima dell’epilogo stavo mandando tutto all’aria: avevo deciso che Matilda e George si sarebbero lasciati per sempre e che George avrebbe poi sposato Angelina; insomma chi ha amato questa mia coppia ha rischiato grosso per un momento. Eppure è andata diversamente ed io non posso che essere più felice di così, ora come ora.
Ora, è vero che la signora Rowling deve essere venerata e rispettata, ma le sue cantonate belle grosse le ha prese anche lei: una di queste cantonate, a mio dire, è stata proprio far sposare George ed Angelina; (questo pensiero, ve lo assicuro, nasce ben prima di Ghiaccio e sicuramente è stato anche questo a stimolare la nascita di Matilda Malfoy) mi è parso uno scivolone, far convolare a nozze questi due: lo è stato tanto per George quanto per Angelina; sebbene ogni personaggio che non fosse il protagonista, giustamente, sia stato trattato come marginale, la Rowling ha spesso commesso l’errore di rendere Fred e George come una sola persona e questo è stato sottolineato dalla scelta di far avvicinare Angelina a George, dopo la morte di Fred. Se è vero che non vi è alcuna certezza che fra Fred ed Angelina ci fosse stato, in passato, un legame d’amore vero è proprio, è altrettanto vero che l’unica strega che sappiamo avvicinarsi a Fred (parlo dell’episodio del ballo del ceppo) è stata proprio Angelina. La Rowling avrebbe potuto giocare proprio sul fatto di non aver fornito molte informazioni sui due gemelli e avrebbe potuto scegliere, per George, un altro qualsiasi personaggio che non fosse stato precedentemente nominato dal gemello; invece ha deciso che Angelina dovesse essere la prescelta. Questo dal mio personalissimo ed opinabile punto di vista ha contribuito a non dare spessore a George, “il gemello sopravvissuto” (perché purtroppo a questo è stato ridotto, complice purtroppo il fandom che predilige Fred, forse perché essere morto fa più figo, altrimenti non ho altra spiegazione dato che la Rowling stessa non si è mai sforzata di rendere i due differenti l’uno dall’altro). Inoltre so benissimo che per quanto ne sappiamo (ovvero pochissimo), Angelina e George si sarebbero potuti sinceramente innamorare, ma penso che vista proprio la scarsissima –o meglio nulla- quantità di informazioni che abbiamo su di loro, questo legame possa essere fortemente fraintendibile e per me è stato inevitabile pormi delle domande in merito.
Insomma, so che questa mia visione non è condivisa da molti, che difendono questa coppia. Ognuno ha il diritto di vederla come vuole ovviamente, ma io ci tenevo a dirvi la mia a tal proposito, che in parte motiva la mia volontà di staccarmi dal canon scegliendo, per George, una compagna non più degna –perché io Angelina l’ho sempre adorata e proprio per questo mi fa ancora più rabbia questa scelta- ma semplicemente diversa. Insomma, qualsiasi persona che non fosse stata lei sarebbe andata bene. Poi ok, è arrivata Matilda e per me ora non esiste George senza di lei e viceversa, ma questa è un’altra questione e fa solo parte del mio headcanon :)
Spero di non avervi annoiati con questa lunga digressione, ma il bello di questo sito è anche lo scambio d’opinione!
Inoltre a proposito di Lucius e Narcissa: so di aver dato loro poco spazio, ma la mia volontà è stata quella di concentrarmi su Matilda e George; se avessi ora aggiunto troppa carne al fuoco non sarebbe uscito fuori nulla di buono. Per questo ho scelto una soluzione più soft, decidendo di affrontare in un’altra os il loro rapporto. Spero di trovarvi d’accordo.
Ovviamente, sono più che felice di aver pubblicato questo capitolo che avevo nel cuore da tanto, tanto tempo. Fatemi sapere la vostra (e si, mi aspetto la sassaiola dopo l’esposizione delle mie perplessità).
 
Bri

 
 

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Capitolo 4
*** La Festa ***


"La festa"
 
Tu ascolti il sangue che ti scorre attraverso
Io guardo la luna e ci vedo me stesso
C'è chi conta i soldi e chi conta i voti
Io conto le ossa che tieni sulla schiena
Tutte le lacrime che abbiamo versato
Hanno fatto il mare che hai navigato

Ma la tristezza passerà
E finalmente libera
Da questa razionalità?
La gente ci consolerà
Che cosa siamo in fondo noi
Due gocce in questa umanità
Tu non dimenticarlo mai
Resta se lo vuoi

La Festa – Zen Circus
 
 

 
24 Dicembre
- Mi sei mancata. -
 
Quel naso lungo e affilato si infila fra la nuvola dei suoi capelli chiari con fare famelico, aspirando poi lentamente, intanto che gli occhi si socchiudono e le dita della destra, lentissime, salgono a ballare sul ventre sferico di lei.
 
- Mpf… mancata! Sei stato via solo il pomeriggio, non dire romanticherie fuori luogo, Georgie. - 
 
- Sarà, ma a me sono sembrati anni, Lemonsoda. -
 
È proprio vero: a George Weasley sembra passata un’eternità, dall’ultima volta che ha visto Matilda. Probabilmente, ci ragiona su mentre continua a studiare l’atipica siluette di lei, stesa sul letto e con un libro incollato alla faccia, deve essere colpa del periodo festivo del Natale. Non è che non ci arrivi, eh; George sa benissimo come mai quasi tutti, nel mondo, adorino quella festa. Anche lui amava il Natale, ma la guerra ha cambiato moltissime cose e inferto ferite tanto gravi che, sperare si rimarginino definitivamente, non può che essere un’utopia. Ogni anno arriva la conta dei regali che deve fare per accontentare la sua vasta famiglia e ogni anno la testa si fa vuota e lo stomaco pesante, quando all’appello ne manca uno.
Come sempre accade, Matilda ha percepito la frizione degli ingranaggi nella sua testa, così abbassa il libro e lo guarda con quell’espressione seria e imbronciata, quell’espressione che è sempre la stessa da che ne ha memoria, così soffia con la sua vocina acuta e un po’ roca.
 
- Quest’anno non te lo permetterò. -
 
- Di fare cosa? – Fa il vago, lui. Alza persino il sopracciglio facendo finta di essere stupito e d’istinto prende a giocare con l’anellino luminoso che abbraccia l’anulare.
 
- Di fare quello che stai facendo. -
 
Quando lo guarda in quel modo, è come se George tornasse indietro nel tempo, quando frequentavano Hogwarts e Matilda non era, per lui, che una ragazzina algida, scontrosa e scorbutica. Se ci pensa gli viene da ridere, a ripensare a quella ragazzina tutta occhi e capelli che lo richiama a gran voce per restituirgli il suo libro di Storia della Magia, contrariata, perché a lei di dimenticarlo in aula, non sarebbe mai e poi mai successo.
 
- Poi sarei io quella che si assenta… - pigola infastidita, mentre si mette faticosamente a sedere sul letto, con la volontà di scendere. D’istinto George si fa un pochino più in là e tenta di aiutarla allungandole la mano, ma Matilda la schiaffeggia: - Ce la faccio da sola, per fortuna sono ancora dotata del dono della deambulazione. Uff, maledetti piedi gonfi… -
 
George la segue con lo sguardo scivolare via dal letto: sua moglie, di schiena, è minuscola come sempre e questo gli strappa un sorriso, prima di chiederle dove stia andando.
 
- A prepararmi, ti sei dimenticato che ci aspettano alla Tana? Le sette in punto, o Molly si arrabbierà. Ho promesso a mia zia che sarei passata a prendere Teddy, quindi dobbiamo uscire fra… - Matilda lancia un’occhiata all’orologio allacciato al polso – circa trenta minuti, si. Hai preso i regali? I piccoli non vedranno l’ora di scartarli. -
 
George annuisce debolmente, mentre le pupille cinte da iridi calde, vagano sulle pieghe della coperta del letto.
 
- Ottimo! – prima di chiudersi in bagno, Matilda lancia un’occhiata a George. Lo sa, lei, che la mente di suo marito è lontana anni luce da lì; ma quell’anno sarà diverso, deve esserlo.
 
 
 La Tana
 
- Ehi, mongolfiera, perché non ti siedi un po’? -
 
Con Teddy aggrappato a una gamba e Victoire all’altra, entrambi a chiederle con insistenza quanti bambini usciranno da quella pancia tanto grande, Matilda sta sistemando alcune decorazioni cadute dall’albero, quando la voce di Ginny le arriva alla schiena.
 
- Non sono stanca… beh, forse giusto un po’. – Sospira, sconfitta, intanto che attacca un grande fiocco rosso e oro a un ramo dell’albero. Così Ginny ingoia ciò che rimane di un biscotto che ha rubato in cucina, per poi afferrare le mani dei due bambini: - Ok ragazzi, ora calmiamoci… la zia non lo sa quanti bei cuginetti ci sono lì dentro, è una sorpresa! -
 
- Zio George dice che sono così. – Victoire, seria in volto, alza due dita della manina libera dalla stretta di Ginny, così quest’ultima si china alla sua altezza, senza smettere di trattenere Teddy che, altrimenti, si riattaccherebbe subito alla gamba della cognata: - E allora se lo sai come mai stai continuando a chiederlo? – Sul viso di Ginny si dipinge un sorriso minaccioso, ammutolendo così Victoire.
 
- Grazie, non ne potevo davvero più. – Sistemata l’ultima decorazione con maniacale precisione, Matilda prende Teddy in braccio e sorride nel vedere i capelli del bambino virare dall’azzurro al rosso. Mentre nell’aria risuona la voce di Celestina Warbeck che attraversa le stanze, sovrastando il vociare delle numerose persone presenti alla Tana, Ginny e Matilda si avviano verso il salotto in cui è il caos a regnare. La tempesta dei suoi occhi, però, si ferma in un angolo ben preciso della stanza: George, con aria assente, sta ascoltando il padre raccontargli qualcosa di straordinario riguardo il proprio lavoro. Appena la nota, il ragazzo raddrizza la schiena e si sforza per esporre un sorriso gentile, ma che a Matilda fa male al cuore. Non dice nulla e nemmeno tenta di avvicinarsi limitandosi invece a guardare George intanto che Harry, probabilmente allertato da Ginny, la libera dalla stretta di Teddy; lo porta a sgraffignare qualcosa dalla cucina, così sente dirgli al piccolo il quale libera una risata al sapore di marachelle.
Mentre si accarezza con distrazione la pancia, Matilda prende a guardarsi intorno nel vano tentativo di colmarsi di tutta la felicità che ingombra la Tana: ci sono Bill e Fleur, con in braccio la piccolissima Dominique, intenti a parlare con Audrey. C’è Percy che culla con amorevole dolcezza la piccolissima Molly, l’ultima arrivata in famiglia, mentre sua madre canta alla nipotina “Un calderone pieno di forte amor bollente”. Ronald, rintanato in un angolo, tenta una bislacca conversazione al telefono con Hermione –ancora non ha imparato a usare quegli strumenti babbani, pensa Matilda mentre ridacchia e scuote il capo- che li raggiungerà domani con i propri genitori e Charlie si è unito alla conversazione con padre e fratello.
A vederli da fuori sembrerebbe non ci sia spazio per un solo altro essere umano, eppure anche Matilda percepisce lo stesso grande vuoto di suo marito e di tutto il resto della famiglia.
Si chiede, se prima o poi, il buco lasciato da Fred si colmerà, almeno un pochino, quel tanto sufficiente a non sentire gli strappi nell’anima, ogni volta che si avvicina il Natale.
Le lacrime, maledettamente calde e salate, salgono a pizzicare gli occhi e lei ingoia, perché non vuole permettersi di versare una sola lacrima. Quando riesce a tornare a guardare nel punto in cui fino a poco fa era rannicchiato George, si rende conto che suo marito è sparito; ma appena sente delle braccia lunghe stringerla appena da dietro e posare le mani sul ventre coperto da un maglione color vinaccia, rilascia il fiato e sorride.
 
- Zio! Zio! Siete sotto il vischio! -
 
La vocina di Victoire richiama la loro attenzione e insieme alzano lo sguardo, notando un bel ciuffo di vischio appena spuntato sopra le loro teste; Matilda rotea gli occhi e con essi cerca subito sua cognata Fleur perché lo sa che è stata lei, tant’è che la strega le sorride e le fa l’occhiolino.
 
- Ehi, non mi servono mica queste scuse per baciare la palla da bowling che ho sposato. -
 
- Guarda che questa qui è colpa tua! – Matilda fa finta di infuriarsi, come sempre, anche se ogni battuta che esce dalla bocca di George durante quel periodo è come oro colato, per cui si sente infinitamente grata.
 
- Che vuol dire che è colpa tua, zio? – Chiede insistentemente la bambina, mentre George circumnaviga Matilda per porsi infine davanti a lei, afferrarle il visino con le mani e chinarsi di molto. La fissa con i suoi occhi caldi e sorride, mentre risponde distrattamente a Victoire: - Lo zio te lo spiegherà quando sarai grande, anzi… ci penserà papà. – E senza aggiungere altro bacia la sua bella, come fosse il loro primo bacio.
Del resto, fra George e Matilda, è sempre stato così.
 
31 Dicembre
 
Anche Victoire aveva preteso che lo zio George, colui che vuole sposare quando sarà grande, la baciasse sotto il vischio. George l’aveva ovviamente accontentata e caricata in braccio, aveva stampato alla nipotina ben due baci sulle guanciotte morbide. Victoire aveva riso vezzosa e George con lei e quella risata aveva messo fine alla tristezza del Natale, facendo accantonare le multiple ansie coltivate da Matilda.
Ora manca l’ultimo scoglio.
Mentre osserva la neve cadere fuori dalla finestra della camera da letto, intanto che la luce affoga nella notte, Matilda allaccia con fatica i bottoni del cappotto con un sospiro carico di stanchezza. Quei due sembrano non voler smettere di ballare nella sua pancia, ormai decisamente troppo piccola per ospitarli.
Scende le scale di legno facendo attenzione, rimpiangendo i tempi in cui era in Svezia a studiare quei draghi che hanno lasciato il loro docile segno sulla sua pelle.
 
- Nox. – Sussurra, agitando la sua bacchetta, prima di scomparire oltre l’uscio di casa.
 
 
 
- Finalmente se ne sono andati… miseriaccia! La notte di capodanno questo posto si trasforma in un delirio! -
 
Ron lancia colpi di bacchetta per riordinare i Tiri Vispi, più che lieto che la terribile giornata lavorativa sia giunta a conclusione mentre George, con le mani nei capelli di fiamma viva, tenta di far quadrare i conti. Il trillo del campanello appeso alla porta, l’ennesimo della giornata – avrebbe volentieri staccato quel fastidioso marchingegno, pur di non sentirlo più suonare- gli fa alzare lo sguardo carico di rabbia:
 
- Ehi! Siamo chiu… Lemonsoda! Che ci fai qui?! Ti avevo detto di rimanere a casa! -
 
La strega ignora il rimprovero del marito e si avvicina a lui ciondolando appena.
 
- In queste condizioni, come ben sai caro mio, non posso andare a lavoro, di conseguenza l’unico nostro sostentamento, ahimè, proviene da questo negozio. È bene che controlli i conti, chissà che avrete combinato tu e Ronald. – Matilda, già in possesso del libro dei conti, alza un momento lo sguardo da esso per lanciare un’occhiata a Ron, richiamata dalle sue imprecazioni: - Forse è il caso che tu vada ad aiutare tuo fratello, mi sembra in difficoltà e non ho nessuna intenzione di fare tardi per la serata. -
 
George sbuffa e si gratta la nuca: - Ti ho già detto che questa sera non voglio fare nulla, pref… -
 
Il mago si zittisce, davanti all’occhiata glaciale di Matilda: - E io ti ho detto che questa sera andremo dove voglio io e faremo quello che voglio io. Non una sola altra parola a riguardo; sono già costretta a questo, - sottolinea, indicandosi la pancia, - Pretendo almeno di divertirmi un po’. –
 
- Beh, non ha mica tutti i torti. Hermione dice sempre che la gravidanza è un fardello, seppur necessario, che noi uomini non potremo mai capire. -
 
La perfetta imitazione della voce di Hermione porta il broncio di George a trasformarsi in una risata, alla quale anche Matilda si accoda.
 
- E va bene… hai vinto tu, viscida serpe. -
 
 
 
La cena a casa di Lee e Dafne è andata meglio del previsto e George è costretto ad ammettere a se stesso che, forse, Matilda ha fatto bene a insistere tanto. Ma ora che si avvicina la mezzanotte si fa sempre più cupo, nonostante Lee, Harry e Ron tentino in ogni modo di tirargli su il morale. Sembra non ci sia verso, comunque: George tortura ciò che rimane della fetta di torta di zucca che ha nel piatto, sperando che la mezzanotte arrivi il prima possibile; sente l’impellente esigenza di salutare tutti e tornarsene a casa con la sua Matilda e consumare con lei ciò che rimane di quella notte.
 
- Georgie… metti il cappotto, manca poco alla mezzanotte. -
 
Matilda è in piedi accanto a lui, coperta da sciarpa, cappello e moffette; pensare che assomigli a un piccolo pupazzo di neve è inevitabile e George vorrebbe ridere, ma sente la risata morirgli in gola.
 
- E dove volete andare? Perché non rimaniamo qui? -
 
- Stai zitto e muoviti! – Gli dicono in coro i fratelli, lanciandogli addosso cappotto e sciarpa; solo a quel punto George si rende conto che sono tutti vestiti, pronti ad affrontare il gelo dell’ultima notte dell’anno.
 
 
 
Il soffio del vento gli schiaffeggia le guance scarne. Matilda lo sta strattonando su per una delle collinette che circondano Diagon Alley, cercando di raggiungere il gruppo di amici che è già arrivato in cima.
 
- Mati… per piacere va piano, non sei nelle condizioni di correre… -
 
- E allora tu sbrigati! Mancano solo cinque minuti alla mezzanotte! – pigola lei, con la bocca coperta dalla grande sciarpa che Molly le ha regalato quell’anno. Fino a questo momento George non si è chiesto dove stiano andando, ma percepisce urgenza, nel tono della voce di lei e nei suoi occhi, mossi da una febbrile agitazione. Così frena di botto, strattonandola appena.
 
- Ehi, ma che fai? Ti ho detto che… -
 
Matilda boccheggia nel momento in cui George la prende in braccio, facendo si che allacci le braccia intorno al suo collo; le sorride, lui, prima di parlare: - Se hai tanta fretta facciamo prima così, non voglio rischiare di passare la notte di capodanno al San Mungo ad aspettare che tu partorisca. –
 
Così affretta il passo, poi corre, mentre dalla cima della collina Harry, Dafne, Hermione e Ron agitano le braccia nella loro direzione. Non capisce il perché, ma nonostante l’affanno a George viene da ridere e Matilda, emozionata, incomincia a ridere con lui, con il visino infilato nell’incavo del suo collo, dal lato dell’orecchio mancante.
 
Perderebbe il fiato altri cento, mille anni, con lei attaccata al suo corpo.
 
Giunto finalmente in cima, George lascia che Matilda appoggi i piedi a terra e poi tenta di regolarizzare il respiro.
 
- Mancano trenta secondi! – Grida Dafne, che fa segno a Matilda e George di posizionarsi al loro fianco. Con il fiato ancora corto, George individua Ginny e Lee distanti una decina di metri: stanno trafficando con qualcosa; si sente strattonare la mano, così guarda alla sua destra, puntando gli occhi in quelli di Matilda, di cui vede il sorriso spuntare sotto la sciarpa.
 
- Guarda su! -
 
- Dieci! Nove! Otto… -
 
George non si unisce al countdown e alza lo sguardo, come la strega gli ha chiesto di fare. I primi fuochi d’artificio, in lontananza, rischiarano il cielo cupo.
 
- Tre! Due! Uno… -
 
Dal punto in cui si trovano Lee e Ginny parte un fischio poi, con una scia rossa e dorata, dei fuochi si fanno spazio sopra le loro teste.
George sente la mano di Matilda stringersi più forte alla sua, mentre nei suoi occhi si riflette la luce di un dragone verde, rosso e oro, che spalanca le fauci e morde una nuvola scura, prima di esplodere e lasciare spazio ad altri fuochi, girandole coloratissime e uniche, che colorano il cielo privo di stelle. Tutta la gioia del momento sale agli occhi, impetuosa e rovente e George scoppia a ridere e singhiozzare, intanto che lo sguardo rimane incollato alla miriade di fuochi d’artificio che sono stati Ginny e Lee a far partire.
Sente i suoi amici scambiarsi gli auguri di buon anno e qualcuno lo stringe forte da dietro la schiena: è Ron, che gli augura buon anno e indica in alto.
 
- Guarda! -
 
Ancora in lacrime, George torna a fissare il cielo, dove un fiore di petali d’oro esplode, lasciando spazio a una scritta che scaccia l’oscurità di quella notte senza stelle.
 
Fatto il misfatto
 
Sente di annaspare nella marea di emozioni che lo sovrastano. In ogni singola lettera che splende sopra di lui, George legge il nome di Fred.
Allarga un braccio per stringere Ron, mentre con l’altro tira a sé Matilda, che gli stringe la vita e lo guarda dal basso. Per qualche istante i loro occhi si incontrano e non ci sono parole necessarie, se non un sussurrato grazie che scivola dalle labbra di George, infinitamente grato di avere incontrato, tanti anni prima, quella persona così speciale che non ha mai fatto nulla per cercare di fargli dissipare il ricordo di Fred.
Ma che, al contrario, lo celebra con lui, con disincantata felicità.
 

 
Cari tutti.
È qualche tempo che la nostalgia si è fatta strada dentro di me e che questa coppia, che è in assoluto la mia coppia preferita, bussava per farsi sentire ancora.
Questo è stato un anno orribile per tutti e il periodo delle feste, che già di per sé non trovo un momento particolarmente felice, mi ha avviluppata con la sua malinconia. Quale momento migliore, quindi, per aggiungere un nuovo pezzetto della vita di George e Matilda? Del resto mi hanno sempre aiutata ad affrontare momenti terribili in passato e anche questa volta hanno fatto il loro dovere.
Ebbene questo è il mio regalino di Natale e il mio augurio per un felice anno nuovo a chi ha seguito Ghiaccio e si è affezionato a Georgie e Lemonsoda, con la speranza che abbia portato anche a voi un piccolo momento di felicità.
Un caldo abbraccio a distanza a tutti voi.


Bri

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