A Family Man

di Vanya Imyarek
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Poco mancava che la serva si rompesse una gamba ***
Capitolo 2: *** Poco mancava che il figlio del consigliere si strozzasse con una biglia ***
Capitolo 3: *** Poco mancava che gli schiavi si suicidassero in massa ***
Capitolo 4: *** Poco mancava che Etahuepa prendesse fuoco ***



Capitolo 1
*** Poco mancava che la serva si rompesse una gamba ***


POCO  MANCAVA  CHE  LA  SERVA  SI  ROMPESSE  UNA  GAMBA

 

 

 

“Non disturbatevi, mio sposo. Controllerò io la fonte di questo trambusto”

 Malina, moglie del governatore Etahuepa di Dumaya, si alzò dal letto, allacciò in fretta la tunica dei giorni di lavoro e accorse a controllare il motivo per cui la servitù aveva svegliato lei e suo marito a suon di strilli, imprecazioni, proteste e corse per i corridoi. Ancora mezzo addormentato, Etahuepa fece in tempo a pensare che era un’ottima cosa che Malina si fosse assunta almeno quell’incombenza: in quel preciso giorno pareva che tutti i giudici della regione avessero deciso di dichiarare un’incompetenza generale, affibbiando alla sua autorità superiore contese tra mezza dozzina di ayllu diversi. Sarebbe stato ridotto a uno straccio a fine giornata, e davvero non voleva perdere il poco tempo di riposo che gli era concesso.

 Certo, era stata una vera benedizione  che la sua famiglia gli avesse fatto sposare proprio Malina: tra tutte le nobili viziate, arroganti e lamentose, a lui era spettata una ragazza dolce e gentile, determinata e più che disposta a farsi carico dei problemi più difficili del palazzo se significava levarli a lui. Se solo fossero anche stati in grado di avere dei figli …

 “Mio signore?” una schiava stava nel vano della porta. “Siamo costretti a chiedere il vostro intervento su qualcosa che … abbiamo trovato. Lo abbiamo portato nelle cucine …”

 “Mia moglie …”

 “E’ stata lei stessa a richiedere la vostra presenza”

 Quelle ultime parole svegliarono del tutto Etahuepa. Sì, Malina era un donna gentile e altruista, pronta ad aiutare … il che significava che non lo avrebbe disturbato a meno che non si fosse trattato di qualcosa di davvero serio. Indossò più in fretta che poteva gli abiti della funzione giudiziaria, maledicendone l’elaboratezza e l’impaccio che gli davano, e si affrettò a raggiungere le cucine.

 Metà strada, e si bloccò per un momento: era il pianto di un bambino quello che sentiva? Il figlio di una delle schiave? Ma gli alloggi della servitù erano abbastanza lontani dal punto in cui ora si trovava, non avrebbe dovuto sentirlo. Il pianto si intensificava man mano che si avvicinava alla cucina: che era successo? Un’improvvisa malattia infantile, forse, e ,la madre aveva portato il piccolo vicino al fuoco per riscaldarlo e ora cercava disperatamente di contattare un farmacista o un Sacerdote di Achesay?

 No: quando entrò finalmente nella stanza, vide la sua stessa moglie che cullava un bambino minuscolo, che urlava a pieni polmoni, e che sembrava nel complesso stare benissimo.

 “E’ un dono degli dei, mio sposo” mormorò sua moglie, gli occhi lucidi, non appena lo vide. “Finalmente, finalmente hanno risposto alle nostre preghiere …”

 “Ma che è successo? Da dove arriva questo … dono degli dei? Chi sono i suoi genitori?”

 “Lo sa la Notte! …Non sto imprecando, mio signore, ce l’hanno letteralmente piazzato sull’uscio mentre dormivamo tutti” intervenne Chilla, una delle schiave più anziane. “L’ho trovato io questa mattina perché ci ho inciampato sopra mentre uscivo per prendere l’acqua, mi sono quasi rotta una gamba per la caduta” e qui la donna scoccò al bambino un’occhiata carica di risentimento, come ad accusarlo di averla intenzionalmente fatta cadere.

 “Per fortuna lui non si è fatto niente” continuò Malina, stringendosi al petto il piccolo sempre urlante. “Non sembra avere più di un giorno di vita, è un vero miracolo che sia sopravvissuto alla notte e a un urto simile. E questo conferma ciò che dico: è un dono degli dei” alzò lo sguardo carico di determinazione su Etahuepa. “Mio sposo, sono passati sei anni dal nostro matrimonio, e mai abbiamo avuto anche solo la speranza di un figlio, nonostante tutte le nostre preghiere. E ora compare improvvisamente sulla nostra soglia questo bambino, privo di genitori, senza neanche un segno di riconoscimento: è un regalo degli dei, dobbiamo adottarlo, spetta a noi prendercene cura come a un figlio nostro!”

 C’erano tante cose che si potevano obiettare al discorso di Malina.

 Innanzitutto, le adozioni erano faccende complicate per gente del loro rango. Un contadino o artigiano avrebbe letteralmente potuto prendere come suo figlio qualsiasi bimbetto orfano avesse incontrato, non sarebbe stata altro che una benefica aggiunta all’ayllu; ma se entrava di mezzo il sangue del Sole, la faccenda cambiava. Suo padre era stato il primo a governo di quella regione, dopo che la popolazione originale era stata deportata perché i Soqar potessero colonizzarla; era il fratello dell’Imperatore, discendente diretto di Achemay e simbolo vivente del dominio che ora l’Impero teneva in quei luoghi. Etahuepa gli era succeduto in quanto suo figlio, detentore anche lui del sangue del Sole, e così avrebbe idealmente dovuto fare un suo figlio biologico.

 Questo neonato era invece figlio di chissà chi: mendicanti, ladri, una prostituta e un cliente che neppure lei avrebbe saputo identificare, gente che viveva al di fuori dello Stato e non aveva diritto al suo sostegno, ritrovandosi senza alcuna possibilità di provvedere a un figlio. Capitava abbastanza spesso, in realtà, e di solito quei bambini finivano rispediti in strada e adottati da criminali che ne facevano ladruncoli o prostitute da cui profittare in cambio di un po’ di cibo avariato e un riparo malconcio. Oppure, qualora i genitori volessero assicurare loro un futuro migliore lasciandoli davanti alla casa di un ricco, relegati tra la schiavitù.

 E qui si trovava in realtà il primo elemento di stranezza rispetto alla ‘normalità’ di quelle situazioni: l’assenza di segni di riconoscimento, come aveva notato Malina. Qualunque affetto genitoriale nutrissero i debosciati che esponevano i propri figli, spesso vi lasciavano qualcosa che potesse ricondurre il piccolo a loro, una volta cresciuto: forse la speranza di avere un adulto robusto che li mantenesse nella vecchiaia, forse la genuina speranza di un ricongiungimento in tempi migliori, comunque c’erano, per quanto insignificanti potessero essere.

 Questo bimbo invece non aveva nulla, se non la coperta in lana ruvida e di pessima qualità in cui era stato avvolto. Chiunque fossero i suoi genitori biologici, non li avrebbe mai incontrati, né loro avrebbero potuto riconoscere lui. Un vero figlio di nessuno, privo di ogni legame di sangue e affidato solo alla bontà degli dei.

 Che erano stati tanto generosi da farlo sopravvivere alle intemperie della notte e agli animali randagi, per farlo arrivare in salute al mattino e consegnare a Malina. Malina che, da tanti anni, desiderava disperatamente un figlio e si sottoponeva alle più intense preghiere e penitenze per poter finalmente essere fertile …

 Forse era davvero destino. Forse era davvero un ordine degli dei, di prendersi cura di quel trovatello. Forse era davvero la risposta alle loro preghiere.

 Comunque, sarebbe stata la cosa più facile da rispondere a chiunque l’avesse accusato di aver interrotto la linea ereditaria.

 

Come previsto, la giornata era stata estenuante. Cercare di rintracciare con certezza chi fosse il nonno di chi e dunque quale ufficiale avesse diritto a certi possedimenti, cercare di capire perché fosse una tragedia degna del tribunale che una ragazza  si fosse sposata in una famiglia anziché in un’altra, scoprire quanta lana fosse effettivamente stata tessuta in un certo giorno di settimane prima e se vi fosse stata una truffa, indagare se qualcuno avesse mentito sul numero di bambini nati in famiglia quell’anno per ottenere più cibo di quel che gli spettava …e tutto con il pensiero di quel bambino – suo figlio adottivo – che gli ronzava costantemente per la testa.

 Davvero quando l’avevano ritrovato piangeva per fame, e non per qualche male che non era stato subito notato? Aveva accettato Viquila come balia? Erano riusciti a procurargli buone coperte e una culla, anche una di fortuna in attesa di trovarne una più adatta al figlio di un governatore?

 Al suo rientro al palazzo, ebbe le sue risposte: tutto era andato per il meglio. Il bambino stava bene, era stato allattato a sazietà da una Viquila che aveva sopportato con molto coraggio il compito inaspettato, e adesso dormiva in una culla in legno solido riempita da morbide coperte, che Malina era riuscita a procurare a velocità sorprendente. Trovò Malina a contemplarlo, gli occhi quasi adoranti; no, non era rimasta così tutto il giorno, aveva svolto alla perfezione i suoi compiti nell’amministrazione domestica, ma non poteva negare di essersi concessa diverse pause per andare a controllare il bambino. Del resto anche quello, ora, rientrava nei suoi compiti.

 Aveva anche mandato uno schiavo a fare accordi con i cacciatori di aqi e i sacerdoti del locale Tempio di Achesay: il giorno dopo avrebbe offerto un grande sacrificio alla dea della fertilità. Il bimbo non sarà stato davvero suo, ma a lei era stato affidato: era obbligatorio un ringraziamento. Il che lasciava alla loro adozione un unico problema da risolvere.

 “Che nome gli daremo?”

 “Pensavo avessi già provveduto tu, mia sposa”

 “Siete suo padre, è vostro diritto dargli un nome. Se volete un mio suggerimento, io pensavo ad Atahai … il nome di mio nonno paterno, sapete”

 Atahai, ‘il Valoroso’, nella Prima Lingua. Un nome legato alla guerra e alla conquista, un bel nome, in una società espansionistica come quella di Tahuantinsuyu.

 Ma sarebbe stato adatto a questo particolare bambino? Se fosse diventato governatore dopo di lui, probabilmente non sarebbe mai davvero sceso in battaglia: avrebbe concesso tutte le truppe necessarie all’Imperatore per le sue guerre, ma il suo posto sarebbe stato a Dumaya, a vigilare sul benessere della popolazione.

 Etahuepa credeva nell’importanza dei nomi, nell’intrinseco legame che avevano con il destino di chi li portava. Atahai era un ottimo nome per un soldato, certo. Ma che avrebbe portato a qualcuno che avrebbe dovuto guidare dei sudditi in una vita giusta e serena?

 “Per come penso io” concluse “Simay sarebbe più adatto”

 “ ‘Pace’” Malina fissò per un attimo il bimbo in silenzio, poi sorrise. “Sì. Questo è davvero perfetto”.

 

Etahuepa se lo aspettava, che qualcuno avrebbe avuto da ridire sulla sua adozione.

 Il primo fu un consigliere, che riuscì facilmente a mettere a tacere facendo notare la sua assenza di eredi diretti; il secondo fu nientemeno che il principe Manco. Una lunga lettera carica di termini ampollosi, piena di riferimenti storici e religiosi che mal si addicevano alla situazione.

 Etahuepa era sorpreso di averla ricevuta proprio da lui: se sapeva per certo che l’Imperatrice sua madre era a dir poco ossessionata dalla purezza del sangue, l’idea che si era fatto di Manco era quella di un giovane fatuo e non poco donnaiolo (gli dei avessero pietà della povera principessa che l’avrebbe sposato, con una simile educazione!), non certo interessato a mantenere concentrato il potere della famiglia. Certo, non si poteva escludere che la prima avesse indotto il secondo a scrivere quella lettera … ma sarebbe stato sufficiente un tono autoritario, e ribadire la chiara volontà degli dei nell’affidargli quel bambino perché la questione fosse abbandonata su quel fronte.

 L’ultima inquisizione arrivò dall’Imperatore Duqas in persona, che sollevava la molto più concreta obiezione: e se avesse avuto eredi diretti? Simay era stato adottato in loro assenza, ma Malina non era ancora uscita dall’età fertile: se fosse sopraggiunto un erede legittimo, che ne sarebbe stato di quello adottivo?

 Il figlio vero e proprio l’avrebbe scalzato da qualunque diritto al governatorato, certo, anche se fosse stata una femmina avrebbe portato Dumaya come dote al suo sposo. E Simay come l’avrebbe presa, dopo essere stato cresciuto con la prospettiva di diventare governatore? Vedersi proporre il potere, per poi vederselo sottrarre per qualcosa che esulava dal suo controllo?

 Sembrava solo naturale supporre che il ragazzo non avrebbe accettato il naturale ordine delle cose, avrebbe creato un suo partito e creato all’Impero una serie di grattacapi completamente inutili. E questo assumendo che il figlio di gente di strada sarebbe cresciuto perfettamente onesto e disposto a cercare un corso di azione che rientrasse nella legalità: e se invece i peccati dei suoi antenati fossero sopravvissuti in lui, e avesse cercato di eliminare il rivale con mezzi empi e sanguinosi? Davvero Etahuepa voleva rischiare la sua possibile discendenza per un figlio di vagabondi?

 Questo era quel che gli dava da pensare. Certo, era preparato ad affrontare tendenze ribelli e violente da parte del piccolo, una volta cresciuto, il sangue non si poteva cancellare. Ma poteva essere mitigato. Un’educazione rigorosa, all’onestà, al rispetto delle leggi umane e divine fin dalla più tenera età avrebbe ben dovuto temprare le influenze di sconosciuti che avevano abbandonato il piccolo a neppure un giorno dalla nascita. E avrebbero saputo proteggere Dumaya.

 Sì, Simay sarebbe stato cresciuto con la prospettiva di diventare governatore, ma avrebbero dovuto porgli in chiaro, fin da subito, la natura caduca della sua posizione. Avrebbe imparato la politica e l’amministrazione economica e giudiziaria, certo, ma sarebbe anche cresciuto nel rispetto degli dei: se un fratello biologico l’avesse soppiantato, sarebbe diventato Sacerdote, stroncando sul nascere possibili complicazioni dinastiche. Avrebbe potuto consacrarsi ad Achesay, a Chicosi, o alla setta dei Purificatori di Qisna, a seconda delle sua inclinazioni.

 La tranquillità della sua famiglia sarebbe stata mantenuta, per tutti i suoi membri. La sua non era una decisione impulsiva e priva di riflessione: ecco tutto quel che scrisse di rimando a Duqas.

 E adesso, poteva sperare che avessero finito di tartassarlo su suo figlio?

 

 

 

GLOSSARIO:

AQI: esseri simili a tassi dal pelo violaceo, che emanano ormoni che fanno marcire le sostanze inorganiche attorno a loro. Soggetti a disinfestazioni a tappeto e contenuti in gabbie speciali, sono frequentemente offerti in sacrificio, con la testa dedicata a Chicosi, il cuore ad Achemay, e il resto del corpo, a seconda che l’animale sia maschio o femmina, a Tumbe o Achesay.

 

 

 

 

 

Ladies & Gentlemen,

ecco qui il primo capitolo del primo spin-off, che durerà circa quattro capitoli più o meno brevi. Qui volevo mettere proprio il ritrovamento di Simay e approfittarne per mostrare un po’ le logiche familiari di Tahuantinsuyu, che verranno comunque spiegate meglio nei prossimi capitoli e nella storia principale.

 Una piccola curiosità sul nome del protagonista e il suo significato: quando ho scelto quel nome ho pensato semplicemente a uno che ‘suonasse’ inca. A quanto pare ha funzionato così bene, che effettivamente esiste un nome andino che differisce solo per una lettera: Samay, che vuol dire appunto ‘pace’, e da lì ho appunto voluto prendere il significato. Piccola differenza: è un nome da femmina … ma vabbè, non si può avere tutto dalla vita (povero Simay).

Ringrazio tutti quelli che avranno voluto leggere e recensire!


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Capitolo 2
*** Poco mancava che il figlio del consigliere si strozzasse con una biglia ***


POCO  MANCAVA  CHE  IL FIGLIO  DEL  CONSIGLIERE  SI  STROZZASSE  CON  UNA  BIGLIA

 

 

 

 

 

Cinque anni dopo quella mattina, Etahuepa non vedeva l’ora di tornare a casa.

 L’ultima settimana era stata semplicemente estenuante: gli amministratori dell’Ufficio delle Distribuzioni Alimentari avevano notato irregolarità nelle scorte inviate a un piccolo villaggio vicino ai confini di Ichiraya: a quanto pareva, la produzione locale non era sufficientemente scarsa da garantire al luogo la sussistenza dello Stato. Etahuepa aveva preferito mandare una piccola squadra di soldati ed esperti in amministrazione economica per controllare la situazione invece di sanzionarli immediatamente, e quel che i suoi inviati avevano trovato era un villaggio malridotto, con gente che viveva in palesi condizioni di povertà.

 Quando era stato richiesto al capovillaggio di mostrare la documentazione della produzione contadina e artigiana, l’uomo aveva dichiarato che doveva esserci stato un errore, che non era possibile che la sua gente fosse riuscita a produrre tanto in poco tempo, non  ne avrebbero avute neanche le forze fisiche. Poi aveva ammesso di aver falsificato i documenti, perché gli piangeva il cuore ad ammettere la povertà della sua gente e in cui lui non poteva fare niente, perché i Sacerdoti del vicino tempio di Achesay usavano la loro magia per rendere il terreno meno fertile, ritenendo che un’eccessiva ricchezza avrebbe insuperbito i cittadini rendendoli meno devoti.

 Interrogati in proposito, i Sacerdoti avevano negato indignati, affermando che anzi si impegnavano attivamente nel benedire i campi di quella povera gente. Forse avrebbero dovuto trovare un capovillaggio meno incapace!

 In tutto questo, a Etahuepa era sorto il dubbio di attività di banditi. Se il villaggio fosse vittima di ladri che sottraevano alla gente i beni di loro produzione, ciò avrebbe spiegato la discrepanza, e avrebbe anche spiegato il bizzarro comportamento del capovillaggio (riportare nei documenti dati di produzione che non gli convenivano affatto, e accusare uomini del clero) come il tentativo di attirare l’attenzione sulla vicenda senza esser potuto direttamente accusare di aver richiamato le autorità, scampando possibilmente a eventuali ritorsioni.

 I suoi sospetti sembrarono confermati quando il nuovo rapporto di un nuovo gruppo di inviati, guardie travestite da commercianti girovaghi e fatti sostare nel luogo per qualche giorno, riferiva di un gruppo di forestieri che una notte si era infiltrato in città, andando dritti spediti dal capovillaggio e poi a ritirare indisturbati qualcosa dai magazzini. Ora, data la posizione geografica del villaggio, restava da capire solo se i briganti fossero di Dumaya o Ichiraya, perché in quest’ultimo caso avrebbe dovuto accordarsi con il governatore della regione locale, ed era una faccenda complicata da gestire senza sembrare offensivi.

 Per tutta quella particolare giornata, come se ciò non fosse abbastanza, il suo consigliere aveva continuato a lanciargli occhiate strane, come un dubbio se parlargli di qualcosa o meno; ma anche quando sollecitato, aveva dichiarato che non era nulla di più importante della faccenda alla mano, come se si vergognasse di esser stato scoperto.

 Giornate veramente estenuanti, che gli lasciavano solo il desiderio di tornare nel suo tranquillo palazzo, dove almeno ci avrebbe pensato Malina a gestire tutto. Stava giusto attraversando il cortile, oltrepassando un gruppetto di figli degli schiavi che giocava e chiassava attorno a qualcosa, quando una voce particolarmente entusiasta lo fece fermare di colpo.

 “Padre! Padre! Venite a vedere cos’ho fatto!”

Si voltò con una certa esitazione, rendendosi conto in quel momento di aver sempre dimenticato, nell’educare Simay, una parte piuttosto importante. Certo, forse lui conosceva quei codici di comportamento da tanto tempo che gli parevano scontati, e aveva creduto che Simay fosse troppo giovane per comprenderne i dettagli più sottili, ma ecco davanti a lui il risultato della sua inadempienza: suo figlio in mezzo ai figli degli schiavi, i bei vestiti pregiato che così sporchi di polvere non sembravano molto diversi da quelli di lana grezza degli altri bambini, i capelli scarmigliati e un largo sorriso identico a tutti quelli degli altri bambini.

 Sorriso che però svanì non appena il piccolo notò la sua espressione. “Padre? Cosa c’è?”

 Etahuepa sospirò. Non avrebbe avuto senso prendersela con Simay, era stato lui a non parlargli mai delle differenze imposte dal suo rango. “Simay. Vieni qui”

 “Ma …” esordì il bambino, indicando qualcosa a terra.

 Solo allora Etahuepa notò con cosa stavano giocando quei piccoli. Era una piccola pista per biglie costruita alternando legnetti e steli d’erba … steli d’erba di kiquicos. E il legno, quando si avvicinò per osservare meglio, era a tratti di soribo, completo della sostanza vischiosa di cui quelle piante erano ricoperte, o di shillqui, che ancora tremava e sussultava anche dopo esser stato separato dall’albero.

 “E questa cosa sarebbe? Chi vi ha costruito una cosa simile?”

 “Io!” rispose allegramente Simay, prendendo alcune biglie di legno colorato e mettendole nella posizione di partenza per una dimostrazione.

 Alcune delle biglie furono sbalzate via dal legnodi shillqui, altre rimasero appiccicate in quelli di soribo, altre ancora finivano trasportate per mezza pista dalla kiquicos. Farle arrivare alla postazione di arrivo era una vera impresa, ed evidentemente lì stava il vero divertimento del gioco.

Un balocco simile avrebbe fatto la fortuna di un artigiano … ma suo figlio era un bambino di cinque anni che non aveva mai svolto lavori manuali in vita sua, non un artigiano. Da dove gli arrivava questo bizzarro talento? Forse da uno dei suoi genitori naturali?

 Simay intanto era rimasto a fissarlo, dapprima con un gran sorriso, in attesa delle lodi per il suo ingegno, poi sempre più preoccupato man mano che Etahuepa rimaneva in silenzio, chiaramente timoroso di aver fatto qualcosa di proibito. E in effetti …

“Torna in camera tua e fatti ripulire dalla tua serva. Non uscire di nuovo fino a quando sarà servita la cena. Ne parleremo allora”

 Ebbe una certa stretta al cuore nel vedere Simay trascinarsi verso il palazzo, a capo chino. Del resto, il suo errore non era consapevole: semmai era colpa di Etahuepa, che non si era mai preoccupato di quella particolare educazione. Avrebbe rimediato, e ne avrebbe approfittato per confortarlo.

 Il suo compito di genitore era educare un leale suddito dell’Impero, non uno schiavo che obbediva per timore.

 

In realtà risultò lo stesso estremamente severo, ma non per sua intenzione.

 Proprio quella sera arrivò un nuovo dispaccio dal malefico villaggio, che riferiva che gli inviati erano stati allontanati perché accusati di attività sospette, e non avrebbero potuto certo rivelare la propria identità al capo. Fu necessario tenere un consiglio che finì solo a tarda notte, per poi inviare la risposta il mattino presto e organizzare un possibile terzo drappello. Poi arrivò una nuova missiva, con la conferma che non solo i banditi erano di Ichiraya, ma che erano pure scagnozzi al soldo di un ricco possidente locale. Dovettero contattare il governatore della regione, presentargli prove incontrovertibili, garantendogli che non lo stavano accusando di ospitare intenzionalmente un covo di ladroni, e che la reputazione della provincia sarebbe stata mantenuta con il segreto a chiunque non fosse necessariamente coinvolto. E naturalmente la retata vera e propria, il processo, la scelta dei rappresentanti che esponessero il caso, l’esazione delle riparazioni, il rapporto sul fatto da inviare all’Imperatore.

 In tutto questo, non riuscì a parlare davvero a Simay nelle tre settimane successive, delegando a Malina il compito di tenerlo lontano dai figli degli schiavi, il che doveva senz’altro parergli una terribile punizione. Doveva porre rimedio, in qualche modo: nel primo giorno di festa che si presentò, portò suo figlio a fare una passeggiata in città, senza nessuno al loro seguito. Con non poco disappunto, vide che Simay camminava compito, a testa bassa, e quando interrogato, rispondeva a monosillabi e con voce seria.

 Malina gli aveva detto di avergli già parlato e detto che suo padre non era arrabbiato con lui, che voleva solo insegnargli alcune cose, ma evidentemente lui non le aveva creduto, o i sensi di colpa erano rimasti, e l’esser stato trascurato tanto a lungo, con il divieto di giocare con altri bambini nel palazzo, aveva solo peggiorato le cose.

 “Simay” esordì, una volta che ebbero raggiunto la piazza principale. “Guardati attorno. Cosa vedi?”

 “Il mercato, padre?”

 “Sì e no. Mi riferisco alle persone. Quali persone vedi?”

 “Ci sono delle guardie là in fondo” iniziò il bambino, lanciandogli un’occhiata per assicurarsi di avere la sua approvazione. “E poi ci sono i mercanti che dispongono le loro cose insieme ai loro schiavi. Ci sono altre persone che girano tra i banchi e prendono cose e urlano che costano troppo, quelli con gli schiavi fanno portare le cose a loro e quelli senza se le portano da soli. C’è il tuo consigliere con il cappello strano là in fondo, con sua moglie e i suoi figli e qualche schiavo”

 “Bene, Simay. Cos’hanno tutte queste persone di diverso da noi?”

 Simay rifletté qualche istante, poi concluse: “Non vivono nel nostro palazzo?”

 “Non esattamente. Quel che hanno di diverso, è il rango”

 “Oh?” “Siediti, Simay, c’è una storia che devi sapere. Tanto, tanto tempo fa, quando gli uomini e le donne che ancora ricordavano il Terrore di Sulema costruivano le loro prime città, in una di queste viveva una ragazza. Era molto bella e virtuosa, più di tutte le altre coetanee. Si chiamava Llyra … no, non l’Imperatrice, lei è stata chiamata così in suo onore, così come molte nobildonne nel corso del tempo. La Llyra di tanti anni fa era tanto splendida per le sue doti, che gli dei stessi la notarono, e il Supremo Achemay stesso si innamorò di lei”

 “Ma non era sposato con Achesay? Aveva anche fatto tanti sacrifici per stare con lei!”

 Oh dei … lui ne aveva fatte di quelle domande, quando suo padre gli aveva raccontato la storia di Talhas? Certo, sviare l’attenzione forse non era la strategia migliore da adottare con un bambino, però …

“Non criticare gli dei, non spetta a un mortale farlo. Dicevo, Llyra ebbe due bambini da lui, gemelli, un maschio di nome Talhas e una femmina di nome Shilla. I bambini, per il sangue del Sole che scorreva nelle loro vene, crebbero più forti e capaci di ogni altro bambino umano, e il sovrano della città dove viveva Llyra, interrogati i Sacerdoti su questi curiosi piccoli prodigi, scoprì l’identità del loro padre. Allo scoprire che una dei suoi sudditi aveva catturato tanto l’attenzione del sovrano degli dei, l’uomo divenne molto arrogante, e iniziò a credere che fosse la prova che ormai gli uomini erano superiori agli dei. E se lui era il sovrano degli uomini di quella terra, era in diritto di richiedere per sé onori divini. Cacciò via la sua regina e prese in sposa Llyra, e fece costruire un palazzo immenso, di una bellezza mai vista, per sé e la sua nuova famiglia. Dopodiché pretese che i Sacerdoti di tutti gli dei smettessero di officiare le loro funzioni per stabilire un culto della sua persona, richiese che i suoi sudditi pregassero solo a lui, e mandò emissari ai regni vicini per chiedere che si sottomettessero alla sua potenza divina. E qui avvenne la prima discriminazione tra gli uomini: gli stolti che gli credettero, abbandonando il culto dei veri dei per seguire il suo, falso, e quelli che affrontarono le persecuzioni pur di non disconoscere la verità. Ma furono i primi che soffrirono, quando  la vendetta degli dei si abbatté su di loro”

 “Achemay li punì?”

 “No, non fu Achemay in persona. Pachtu e Qisna, allora giovani dei ansiosi di provare il proprio potere ai loro antenati, concordarono un piano, e ottenuta l’approvazione di Achemay, lo posero in atto. Con i rispettivi poteri sulla vita e sulla morte, condannarono i blasfemi a un’esistenza infame, in una nuova condizione di cadaveri mentre erano ancora in vita. Questi sono i Kisnar: banditi dalle nostre città, obbligati a vagare di terra in terra, scontando il loro antico peccato e cercando di infettare quanti più possibili tra i loro ranghi, per vendetta contro gli dei, ancora persi nella loro superbia. Non entrare nel loro novero, Simay, qualunque cosa succeda, qualunque cosa ti promettano in cambio: la morte è un destino preferibile”

 Suo figlio gli pareva molto agitato: bene, non avrebbe scordato la lezione, e si sarebbe ricordato di che risma fossero fatti i Kisnar quando almeno una volta nella vita avrebbe dovuto avere a che fare con loro.

 Etahuepa doveva farlo spesso, per sorvegliare i loro movimenti all’interno della sua provincia e accertarsi che non si avvicinassero ai centri abitati, se non per praticare le loro arti mediche: una stirpe la cui corruzione del corpo rifletteva quella dell’animo, non timorata degli dei, devota ad analizzare il mondo e i suoi misteri come se essi non avessero alcuna sacralità. Erano tra gli oneri del suo compito che odiava di più.

 “Tra coloro che furono risparmiati vi furono, naturalmente, Talhas e Shilla. Fu allora che il loro padre comunicò loro il proprio volere: i suoi figli avrebbero unito tutte le terre in suo nome, avrebbero creato un immenso Impero che avrebbe portato pace e prosperità per tutto il creato. I due giovani iniziarono così a viaggiare, diffondendo il loro messaggio e andando in cerca di un luogo dove stabilire la loro capitale. Molti ascoltarono le loro parole e le compresero come veritiere, e li seguirono; molti altri rifiutarono di sottomettere sé stessi o le proprie terre a quelli che vedevano come un paio di vagabondi, e li cacciarono e attaccarono con le loro armate. E questa fu la seconda discriminazione tra gli uomini: perché quando Talhas e Shilla giunsero al luogo dove ora sorge Alcanta, e poterono fermarsi e organizzare le proprie forze, quelli che erano loro nemici furono spazzati via dalla potenza dei figli degli dei”

 “Diventarono Kisnar anche loro?”

 “No. Poiché avevano peccato non contro gli dei, ma contro creature comunque per metà umane, non subirono mutazioni nella loro natura. Furono però fatti schiavi dell’Impero, e gli schiavi che vedi tuttora, attorno a te, sono i discendenti di coloro che prima o poi si opposero al sangue del Sole, commettendo peccato. Ma coloro che fin dall’inizio avevano ascoltato Talhas e Shilla, aiutandoli e combattendo per loro, divennero la nobiltà, i loro amministratori e governatori, sposi e spose per i loro figli cadetti quando i due si sposarono tra loro. Carichi di onori, ma anche di doveri. Capisci, ora, quello che sto cercando di dirti?”

 “Che voi siete erede di buone persone, mentre gli schiavi di peccatori?”

 “E che c’entro io? Sei tu quello che va a giocare con i figli dei peccatori”

 “Oh” Simay arrossì. “Pensavo che non vi piacesse la pista per biglie”

 “Quella, se rimane un innocuo giocattolo, non fa nulla di male. Quel che voglio dirti, è perché esistono le differenze di rango: per separare i degni dagli indegni. Non sono posizioni fisse: figli di schiavi che spiccano per le loro doti possono riscattarsi dai propri antenati, diventando artigiani o contadini e allevatori; e i figli di artigiani e coltivatori che spiccano per le loro doti possono raggiungere il titolo nobiliare. Ma chi vedi oggi schiavo, sappi che è perché non ha nessuna qualità, intellettiva o morale, che lo distingua dai suoi antenati che rifiutarono il messaggio degli dei”

 “Ma la prova si fa a quattordici anni” il piccolo ricalcò quella parola come a enfatizzare la veneranda età che esprimeva. “I miei amici non ne hanno quattordici! Il più vecchio ne ha sette! Quindi possono ancora dimostrarsi degni, vero?”

 “E’ vero” concesse Etahuepa- doveva insegnargli a rispettare le gerarchie, non a disprezzare chiunque si trovasse sotto di lui- “E’ possibile che lo facciano. E se non lo fanno loro, inevitabilmente qualcuno dei loro discendenti si riscatterà. Ma intanto che restano schiavi, non è bene che tu ti mischi a loro”

 “Ma padre, non ho altri con cui giocare!”

 “Ti ho presentato i figli del mio consigliere e dei miei amministratori”

 “Sono noiosi. Le femmine si mettono solo tra loro e non fanno altro che far finta di avere bei vestiti e di essere a delle feste, e i maschi o vogliono solo leggere …”

 “Non farebbe male neanche a te impegnarti di più nei tuoi esercizi di lettura”

 “Ma loro vogliono farlo tutto il tempo! E quelli che vogliono giocare, uno vuole fare cose che voi mi avete vietato e l’altro fa un gioco di dadi a cui cambia le regole per vincere sempre lui”

 “Hai provato a portare loro la tua pista per biglie? Magari piacerà a tutti loro, e le regole le dovrai stabilire tu, visto che tu l’hai costruita”

 “L’ho fatto! E’ che quello dei dadi non voleva giocare, tutte le femmine tranne una avevano paura degli shillqui e anche quell’una poi è stata tirata via dalle sue amiche, e poi un ramo a lanciato una biglia in bocca al figlio del tuo consigliere e si è messo a tossire ed è diventato tutto blu, poi la sputata e non ha neanche voluto pulirla, è scappato via a piangere …”

 Ah, ecco spiegate le strane occhiate del suo consigliere. Evidentemente non era riuscito ad affrontare la questione ‘tuo figlio ha quasi soffocato il mio con una biglia’ nel bel mezzo della situazione che si erano trovati ad affrontare. Non appena l’avesse rivisto, avrebbe dovuto porgergli delle scuse per l’esuberanza del ragazzo.

 “E poi nessuno ha più voluto giocarci. Ai bambini in cortile invece è piaciuta! Ci hanno giocato tutti, anche le femmine!”

 Etahuepa ricordava benissimo il trambusto indiscriminato che l’aveva accolto quel giorno, grazie tante.

 Sospirò. Non gli risultava di aver educato suo figlio diversamente da come gli uomini del suo rango educavano i loro, ma come spiegarsi quelle differenze? Forse era qualcosa che Simay aveva ereditato dai suoi genitori biologici.

 “Capisco che la loro compagnia possa sembrarti più piacevole, ma non possiamo seguire sempre il piacere. Esisterà sempre una gerarchia, e noi dobbiamo rispettarla, anche a costo dei nostri desideri, per il bene dell’Impero. Tu più di tutti devi tenerlo a mente. Ricordi, vero?”

 Simay abbassò il capo e annuì.

 Era stato troppo brusco? Erano passati ormai alcuni mesi da quando avevano rivelato al bambino la verità sulle sue origini: prima avevano pensato che fossero concetti troppo complicati per essere compresi da un bambino, ma la figlia dell’amministratore dell’Ufficio Censimenti l’aveva preso in giro rivelandogli che i suoi genitori non erano i suoi veri genitori, e lui aveva chiesto spiegazioni. Avevano cercato di dargliene, nel modo a lui più comprensibile, ma era stato inevitabile ammettere che la sua posizione nella famiglia sarebbe stata sempre subordinata a un eventuale fratellino.

 Col senno di poi, sarebbe stato meglio spiegare la faccenda al bambino fin da quando avesse avuto sufficiente comprensione della lingua umana, altro che della politica: era chiaramente stato un duro colpo per Simay, anche se si sforzava di non darlo a vedere. E anche a distanza di tempo, quella frase un po’ infelice poteva aver peggiorato le cose.

 Gli strinse leggermente una spalla. “Ce la farai” gli disse. “Qualunque cosa diventerai alla fine, governatore o Sacerdote … non ho il minimo dubbio che la farai al meglio, e ti guadagnerai una reputazione per la bravissima persona che sei già adesso”

 Meglio. Simay aveva ripreso a sorridere, un po’ incerto, ma era sempre un sorriso. Etahuepa sorrise di rimando.

 “Visto che con le compagnie giuste ti annoi tanto, ora ti comprerò un libro, così avrai qualcosa di cui parlare con loro … e poi i materiali che vorrai per costruirci quello che vuoi, perché loro possano giocare con te”

 Per fortuna, con quelle parole l’incidente fu subito dimenticato; altrettanto per fortuna, la lezione di quel giorno non lo fu affatto, ed Etahuepa non vide più suo figlio giocare con gli schiavi.

 

 

 

 

 

GLOSSARIO:

AQI: esseri simili a tassi dal pelo violaceo, che emanano ormoni che fanno marcire le sostanze inorganiche attorno a loro. Soggetti a disinfestazioni a tappeto e contenuti in gabbie speciali, sono frequentemente offerti in sacrificio, con la testa dedicata a Chicosi, il cuore ad Achemay, e il resto del corpo, a seconda che l’animale sia maschio o femmina, a Tumbe o Achesay.

SHILLQUI: alberi i cui rami si agitano forsennatamente.

SORIBO: piante ricoperte da una sostanza molto vischiosa.

KIQUICOS: erba di colore blu, in grado di muoversi trasportando chi vi cammina sopra.

 

 

 

 

Ladies & Gentlemen,

ma quanto cavolo è difficile descrivere i bambini? Specialmente quelli così piccoli: ho passato non so quante storie in cui i bambini erano o adulti in miniatura o fagottini di pucciosità concentrata privi di qualsiasi personalità o intelligenza. Forse è che a meno di non avere figli o fratellini di quell’età, non si hanno molte possibilità di osservarne … e comunque hanno modi di pensare completamente diversi da quelli di un adulto. Spero di non aver dato una descrizione esagerata … comunque, spero di essere riuscita a rendere il legame tra Simay ed Etahuepa. Se poi quest’ultimo sia davvero un bravo genitore, sta a voi giudicarlo!

Grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito!

 


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Capitolo 3
*** Poco mancava che gli schiavi si suicidassero in massa ***


POCO  MANCAVA  CHE  GLI  SCHIAVI  SI  SUICIDASSERO  IN  MASSA

 

 

 

 

 

A Etahuepa non piaceva viaggiare.

 Molti l’avrebbero detto noioso per questo, l’avrebbero chiamato abitudinario e poco curioso, ma perché avrebbe dovuto cambiare idea solo perché gli veniva detto di farlo? A lui piaceva starsene a Dumaya.

 Amava la sua casa, la sua famiglia, il paesaggio familiare della sua capitale incassata tra le montagne, e non avrebbe potuto immaginare posto migliore dove vivere. Viaggiare per motivi diplomatici gli era sempre parsa una gran seccatura, ma che poteva farci? Era parte integrante del suo dovere verso la società, e se lo sarebbe sobbarcato senza lamentarsi.

 Con quello che era largamente disinteresse, aveva visitato terre con popoli recentemente dislocati, che tentavano di replicare la loro cultura in un ambiente ignoto; aveva affrontato il caos della grande capitale; aveva addirittura visitato Paesi esteri, quali l’inevitabile Yrchlle e qualche volta Choomà. Viaggi che avevano posto davanti ai suoi occhi largamente disinteressati tradizioni bizzarre, eccentricità di ogni genere, dei estranei, cariche statali di varia utilità, e strumenti che per quei popoli erano normali, ma che Etahuepa non sarebbe nemmeno riuscito a concepire.

 Aveva affrontato tutto questo con spirito di sacrificio e una gran voglia di tornarsene al più presto a casa sua. In quel momento, si trovava a casa sua.

 E allora, perché si ritrovava a fissare uno dei suoi schiavi che schizzava in giro come se avesse scolato una pinta di linfa di shillqui, sbattendo ovunque e rialzandosi subito dopo per inciampare da qualche altra parte, con in testa l’oggetto più bizzarro che avesse mai visto?

 “Mio signore, cosa dobbiamo fare?” pigolò Viquila, che si stava pressochè nascondendo dietro di lui.

 “Come è entrato in possesso di quell’oggetto?” chiese, voltandosi a guardarla.

 La donna deglutì. “Non … tutto quello che ho visto il questi giorni è stato il padroncino Simay armeggiare con alcuni rami di shillqui e ullqui. Pensavo che glieli aveste dati voi per farlo studiare, gli avevo solo raccomandato di stare attento …”

 Etahuepa tornò a fissare il suo povero schiavo. Portava in testa una calotta di rami intrecciati, di cui alcuni, posti proprio sotto il suo naso, intrisi di linfa di shillqui. Naturalmente non riusciva a stare fermo con quella roba… ma come aveva fatto suo figlio a creare una cosa del genere?

 Finchè aveva costruito innocui balocchi non aveva dato peso alle sue velleità artigianali, anzi l’aveva lodato per alcune particolarmente ingegnose. Ma controllare il comportamento di un uomo? Con mezzi diversi dalle magie divine che lo consentivano?

 Questa cosa non gli piaceva. Gli pareva che fosse terribilmente blasfemo, creare qualcosa che gli dei non avevano posto su questo mondo, lo sfruttamento delle loro piante sacre come non era stato da loro ordinato. E anche a prescindere da quello, lo schiavo dava l’impressione di essere completamente terrorizzato, privato com’era del controllo di ogni suo movimento. Un’offesa agli dei e agli uomini: non credeva che suo figlio l’avesse fatto con consapevolezza o malizia, era troppo giovane per entrambe, ma doveva spiegargli la situazione immediatamente. Non poteva permettere, ora che era in tempo, che proseguisse su quella strada.

 “Simay!” chiamò, con voce forte e chiara. “Lo so che sei qui a osservare il tuo operato. Esci fuori”

 Come previsto, Simay sbucò fuori da una credenza. Aveva una sorta di sorrisetto nervoso, come se fino a quel momento fosse stato molto orgoglioso di ciò che aveva fatto, ma il tono del genitore gli avesse fatto subodorare che davvero non ce n’era ragione.

 “Cos’è quell’oggetto che hai posto in capo a Biqa?”

 “Non gli ho ancora trovato un nome” sì, perché era quello il problema. “Però può agitare e calmare le persone. Guardate, padre!”

 Simay trotterellò fino al disgraziato schiavo, rischiando di farsi calpestare, e spostò la manopola sulla schiena. I rami della calotta di spostarono, e nuovi rami finirono sotto il naso di Biqa. Questi cadde addormentato quasi subito: erano i rami di ullqui.

 Simay sorrise come se trovasse la cosa terribilmente divertente, ma il riso si gelò quando vide l’espressione di suo padre.

 “Toglilo immediatamente” Il bambino si avvicinò piano all’uomo dormiente, sciolse i lacci, e tirò via quell’aggeggio infernale. “L’hai provato anche su altre persone?”

 “Sì, i figli degli schiavi. Non stavo giocando con loro, stavo solo provando le mie creazioni!”

 Etahuepa immaginò il cortile affollato di disgraziati ragazzini che correvano anche più del normale, rischiando di farsi male sul serio. No, no, questa cosa andava fermata immediatamente. Non sarebbe rimasto lì a guardare suo figlio cadere ancora più a fondo nella bestemmia. Forse era un’influenza di chi lo aveva generato, ma non intendeva permettere che fosse abbastanza forte da non poter essere cancellata con l’educazione.

 “Vai da tutte loro e toglile subito. Poi torna qui”

 Simay schizzò via. Bene, dalla sua reazione doveva aver già capito di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma doveva ancora sapere precisamente cosa e perché. Etahuepa congedò Viquila, ordinando i suoi pensieri. In che modo presentarli a Simay, per fargli capire pienamente la gravità di simili azioni senza diventare un tiranno? Come accertarsi che non gli venisse mai la tentazione di ribellarsi a quei precetti? Meglio far leva sulla compassione umana e il timore degli dei, o la razionalità?

 Certo, Simay era un bambino devoto e gentile con tutti, anche dopo aver imparato gli obblighi imposti dal suo rango: la prima argomentazione sarebbe andata bene, ma sarebbe stato più sicuro aggiungervi motivi di convenienza, qualora nella sua crescita avesse cambiato, per qualsiasi ragione, indole. Eccolo, era di ritorno con un mucchio di rami a momenti più grandi di lui tra le braccia: come iniziare?

 “Simay. Perché hai creato quegli oggetti?”

 Il bambino boccheggiò per qualche istante, come se faticasse a trovare una risposta. “Padre, avevo solo pensato … era possibile. Cioè, la linfa di shillqui e ullqui ha proprietà contrastanti, e quindi volevo vedere cosa succedeva a metterle vicine. E ho pensato al casco, perché sarebbe stato più facile, e al meccanismo per alternare …”

 “Quindi hai sottratto a delle persone il controllo delle loro azioni solo per soddisfare una tua pigra curiosità”

 Simay lo fissò per qualche istante, la lingua appena tra i denti, come se volesse obiettare qualcosa ma avesse troppa paura per farlo.

 “Chi sono gli unici che possono dare o togliere il diritto di agire a qualcuno?”

 “Ma sono schiavi” osservò suo figlio. “Ci devono obbedire, quindi controlliamo già le loro azioni … no?”

 “Non così. Abbiamo ogni diritto su di loro, certo, ma non possiamo alterare le loro facoltà mentali. Quelle sono il dominio degli dei, ed essi le distribuiscono secondo una saggezza che agli uomini è preclusa. Solo chi è a loro consacrato e ha la loro benedizione può controllare la mente e il corpo di altri esseri umani. Se un laico toglie a suo simile la lucidità e il controllo di sé, è una bestemmia grave”

 “Non volevo!” la reazione di Simay fu immediata. “Non lo sapevo! Posso rimediare? Posso chiedere perdono?”

 “Lasciami finire. Già questo è grave, ma un altro peccato è parlare di un’opera umana come ‘creazione’. Tu puoi costruire qualcosa, ma userai sempre e solo elementi tratti dalla creazione divina. Solo gli dei sanno creare. E tu fino a prova contraria sei solo un ragazzino poco riflessivo e troppo ignorante”

 Simay aveva gli occhi a terra, i pugni chiusi che tremavano leggermente.

 “Ma gli dei vedono anche questo. Oggi andremo al Tempio di Chicosi, colei che purifica: racconterai ai Sacerdoti l’accaduto, e chiederai loro una penitenza adatta al tuo peccato. La dea è misericordiosa e saprà perdonarti, ma tu ricorda bene quel che accaduto oggi, e trattieniti dal ripeterlo finché vivrai”

 Suo figlio annuì, per poi allontanarsi in silenzio.

 “Dove vai?”

 “Nella mia stanza? Non devo restarvi rinchiuso finché non andremo al Tempio?”

 “Sì, ma non ho ancora finito di parlarti. Vieni qui e ascoltami” Fu obbedito. “Perché proprio gli schiavi?”

 “Perché … su di loro si può, vero? Sono discendenti di persone blasfeme, noi no, e quindi abbiamo autorità su di loro? Lo avete detto voi stesso, padre”

 Ecco, due anni prima era stato poco chiaro, e adesso scopriva di essersi sbagliato: quali altri suoi errori sarebbero emersi negli anni a venire?

 “E quindi, secondo te, avere autorità su qualcuno significa potergli fare tutto quello che vuoi, senza alcuna considerazione o limitazione”

 Simay lo guardò incerto, senza rispondere. Che era già fin troppo, come risposta.

 “Vieni con me”

 Lo condusse fuori dal palazzo. Non aveva una destinazione particolare in mente, questa volta, ma un aiuto visivo non avrebbe certo fatto danni. “Che cosa vedi?”

 “Gli abitanti di Dumaya … tutti con un diverso ceto sociale, voglio dire?”

 “Quello è un modo di descriverli. Ora, che cosa compone una famiglia?”

 “Una famiglia?”

 “Hai sentito bene”

 “Dei parenti?”

 “E’ uno scherzo?”

 “Voglio dire, persone che sono legate tra loro?”

 “Questo è molto meglio” annuì Etahuepa. “Persone che condividono legami. Possono essere di sangue, possono essere di adozione, possono essere di parità o subordinazione. Ma non sono estranei. Sono persone che hanno posizioni, diritti e doveri nei confronti degli altri. Sono persone che, sopra a tutto, si occupano gli uni degli altri”

 “Quindi anch’io devo prendermi cura degli schiavi di casa nostra?” Simay era effettivamente sbiancato. “Non lo sapevo, non ci avevo pensato, chiederò perdono a tutti loro …”

 “Lasciami finire. La base di ogni famiglia è la reciprocità. Gli altri membri ti sosterranno, ma anche tu dovrai sostenere loro: è l’unico modo in cui si può sperare di sopravvivere. Se tu manchi di ricambiare chi ti aiuta, loro proveranno risentimento verso di te, se possono rifiutarsi di aiutarti in futuro lo faranno, e se per loro posizione non possono, il loro odio diventerà ancora più intenso: gli dei proteggano chi è tanto odiato dai suoi sottoposti. Allo stesso modo, se tu prestassi a qualcuno aiuto senza esserne ricambiato, rifiuteresti un aiuto futuro, o lo odieresti, e inizieresti a progettare una vendetta forse anche contro le leggi umane e divine. Senza reciprocità, una famiglia non è tale, solo un insieme di persone che presto si distruggeranno tra di loro”

 Non gli sembrava di aver mai visto suo figlio così spaventato. Bene: significava solo che aveva capito la gravità della cosa. Se la sarebbe ricordata, crescendo.

 “Ora dimmi: se quanto ho appena detto valesse solo per le singole famiglie, potremmo davvero dire di vivere in una società civile?”

 “Sì, se tutti in famiglia si aiutano”

“Ma famiglie diverse possono avere obiettivi diversi. E allora che concordia ci potrà essere tra loro?”

 “Ah … è per questo che ci sono le città e le provincie? Per mettere d’accordo le famiglie?”

 “Vedo che hai capito. Un villaggio, una città, una provincia, l’Impero stesso non sono altro che immense famiglie, a modo loro. Ogni suo componente, dal più misero dei sovrani ai figli del Sole, ha doveri verso gli altri. Come in una famiglia, chi ha posizioni di autorità deve essere giusto e pensare al benessere di tutti. Come in una famiglia, chi ha posizioni subordinate deve obbedire e rispettare. Ciò che interessa le singole famiglie può essere svolto da loro, ma per ciò che interessa la comunità, tutti devono lavorare, dai più ricchi ai più poveri”

 “Come nel tributo civile?”

 “Esatto. Troverai molti che ne lamentano l’ingiustizia, che protestano l’inappropriatezza di far svolgere lavori manuali pesanti come quelli di costruzione e coltivazione a persone anche nobili, ma queste persone non sanno accettare il vero messaggio di quel gesto: il riconoscimento del proprio dovere verso gli altri membri della famiglia che è Tahuantinsuyu. Diffida di queste persone quando le incontrerai, Simay, perché credono di essere solo in diritto di essere supportati. Nel momento del bisogno non aiuteranno te, né nessun altro Soqar, a meno che non ne abbiano un tornaconto personale. E mai, mai diventare come quelle persone, perché perderesti il diritto al sostegno anche del più semplice tra gli schiavi”

 Suo figlio rimase in silenzio per qualche istante, osservando pensieroso le persone che passavano loro accanto.

 “Ma allora è questo che deve fare un governatore?” chiese poi. “Essere come il padre di tutti, quello che guida e protegge il resto della sua famiglia?”

 “Non avrei saputo dirlo meglio, Simay. Sì, il mio compito è accertarmi che non ci siano discordie interne nella ‘famiglia’ della regione, e proteggerla dai nemici esterni. E questo sarà anche il tuo compito, se mi succederai. Ma tieni a mente che questo è un incarico che comporta molti oneri, non si limita a esigere rispetto; e che come Sacerdote non avresti compiti meno importanti e gravosi. Un governatore è una guida sul piano fisico, che regola la famiglia secondo leggi terrene; un Sacerdote è una guida spirituale che amministra quelle divine. Quale che sia il tuo destino, Simay, vi è una grande responsabilità davanti a te. Non rifuggirla, ma non abusarne. Chi è saggio sa come trovare un equilibrio”

 “E se io non sono saggio?”

 “Sembri sinceramente preoccupato di questa possibilità: uno stolto o un superbo non avrebbero simili timori. Ma sei ancora un bambino: la saggezza non è una dote innata, va costruita e mantenuta nel tempo. E un modo è accettare le penitenze. Eccoci al Tempio, vai tu a spiegare al Sacerdote quello che hai fatto”

 

Etahuepa aveva pensato che la questione fosse chiusa.

 Simay aveva confessato tutto per filo e per segno, e aveva eseguito senza fiatare la penitenza di un’ora di preghiera ininterrotta. Erano tornati a casa, Viquila gli aveva riferito che suo figlio aveva rintracciato tutti gli schiavi usati come cavie e si era scusato, e la faccenda non era più stata risollevata.

 Il che significava che Etahuepa, invece di stringere i denti attraverso le preparazioni per quello che sarebbe probabilmente stato il viaggio più lungo e difficile che avrebbe mai fatto, si ritrovava a fissare un lymplis vagante per i corridoi del palazzo, avvolto in familiari intrecci di rami.

 Osservandoli meglio, notò che lo sfortunato animale non erano stati caricati solo di quelli, ma di un piccolo cestino contenente erbe mediche, che parevano uscite dritte dritte dalla bottega del miglior farmacista della città. Il governatore fissò l’animaletto che schizzava via, per poi rallentare in prossimità di un angolo e infilarvisi dentro prima di riprendere alla velocità data dagli shillqui.

 “Simay!” questa volta suo figlio non rispose immediatamente, e gli fu necessario qualche minuto per rintracciarlo finalmente: era rannicchiato in un armadio dove erano conservati stracci e saponi per indumenti, con in mano un rametto di shillqui.

 “Che stai facendo lì? Perché non hai risposto? E come spieghi quel lymplis, che ha ancora addosso uno dei tuoi oggetti?”

 “Lo sto usando per scusarmi con gli schiavi!” disse Simay velocissimo. “Lo giuro, non sto facendo male ad altri esseri umani! Volevo solo aiutarli!”

 Etahuepa ci stava capendo sempre meno, ma non ritenne educativo farlo sapere al bambino. Piuttosto, lo guardò con una semplice espressione severa che pareva sempre funzionare con lui.

 “Spiegati”

 “Volevo mandare loro più cibo per scusarmi di come li ho trattati. Ho usato quel mio strumento per portarlo loro, perché temevo che voi non avreste approvato”

 “Se temi che io o tua madre non approviamo qualcosa, è già un forte suggerimento a non farla. E quelle sono erbe mediche, non cibo”

“Il cibo gliel’ho già mandato, però Niraya aveva un forte mal di testa e quindi mi hanno chiesto anche quelle. E voi mi avete detto che devo provvedere a loro!”

 Meglio di quel che aveva sperato, almeno sul piano del trattamento degli schiavi. Ma la faccenda restava ancora poco chiara. Davvero, avrebbe dovuto ascoltare il suggerimento di Malina riguardo al suo nome: se avessero continuato di questo passo, nella sua casa non ci sarebbe stato più nulla di pacifico!

 “E perché usare proprio gli strumenti da te costruiti, invece di andare da loro di nascosto? Non che anche quest’ultima sia stata una buona cosa da fare, beninteso”

 “Volevo vedere se funzionava … di solito gli shillqui si agitano di più se sono in una foresta grande, quindi ho immaginato che si stimolino di più a muoversi tra loro. Ho provato a usare questo rametto per dirigere i movimenti dei lymplis, e sembra aver funzionato!”

 “Non è una risposta alla mia domanda. Perché quel metodo invece che quello che userebbe un ragazzo normale?”

 Nessuna risposta.

 “Perché eri ancora preso dalle tue bizzarre costruzioni?”

 “Credo che possa essere qualcosa di utile” si decise a rispondere il bambino. “Voglio dire, se li applicassimo ai mekilo o ad altri mezzi di trasporto, potremmo controllarli anche a distanza, potremmo usarli per non mandare i soldati a rischiare sopra gli occli, o i mercanti ad attraversare regioni pericolose …”

 “Simay. Tu credi di poter usare i doni degli dei in modo diverso da quanto da loro prestabilito?”

 Silenzio.

 “Capisco. Sai chi altri credeva di essere al di sopra dei disegni di Achemay, e di poter plasmare il mondo a proprio piacimento, ignorando l’autorità cui sarebbe dovuta sottostare?”

 Sguardo interrogativo.

 “Sulema”

 Etahuepa non vide mai più un singolo strumento fuori dall’ordinario in casa sua.

 

 

 

 

 

 

Ladies & Gentlemen,

e anche questo capitolo, dove finalmente vengono viste le invenzioni più audaci di Simay, è completo anche se con un certo ritardo. Per il prossimo dovrete aspettare, temo, altre due settimane … brutta cosa i casini col computer. Grazie ancora a tutti quelli che vorranno leggere e recensire!

 


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Capitolo 4
*** Poco mancava che Etahuepa prendesse fuoco ***


       POCO MANCAVA CHE ETAHUEPA PRENDESSE FUOCO

 

 

 

 

 

Fino a quel momento, Etahuepa aveva sempre viaggiato via terra: le uniche volte che era stato su una barca, era stato per traversate di laghi o fiumi relativamente brevi. Ora che per la prima volta in vita sua aveva affrontato una traversata per mare della durata di diversi giorni, poteva dire che la sua opinione del viaggio era radicalmente mutata: da antipatia si era trasformata in odio puro.

 Nel momento in cui toccò finalmente il suolo di Shamnara, l’unica esperienza che attendeva con ansia era il momento in cui finalmente sarebbe stato di nuovo al suo palazzo. Non aiutava che l’intero luogo, la capitale di un regno di piccole proporzioni ma in costante espansione, fosse chiassoso quanto il mercato di Dumaya nei giorni di festa: ma questa gente era capace di comunicare solo urlando?

 Gli unici che mantennero un contegno un po’ civile furono i soldati inviati a scortarlo al palazzo reale, che pur chiacchierando davvero troppo per i suoi gusti mantennero un tono di voce basso e rispettoso, e fornirono qualche utile informazione sul luogo e sul contegno che avrebbe dovuto adottare di fronte al sovrano: inginocchiarsi al suo cospetto non appena vi fosse giunto, rialzarsi solo quando esplicitamente ordinato, ma mantenere il capo costantemente chino. Solo a pochi eletti era consentito levare lo sguardo sul re, e un ambasciatore, per quanto proveniente da Tahuantinsuyu, non era tra questi. Riferirsi a lui come Eveh Nizar, che significava ‘grande sopra a tutti’: termini come ‘Vostra Maestà’ o ‘mio signore’ non gli erano permessi in quanto straniero. Soprattutto, non implicare in alcun modo che il suo Imperatore avesse un maggior diritto di governare rispetto a lui, che presso gli abitanti di Shamnara, era considerato un uomo benedetto dagli dei, il superiore a tutti loro per forza e intelletto e per questo nominato come sovrano dall’intera comunità. Si fosse messo a parlare di diritto divino ottenuto per nascita e non guadagnato (come una delle guardie aveva sentito si usasse a Tahuantinsuyu) sarebbe stato accusato di lesa maestà, imprigionato, e i rapporti commerciali che si sperava di stabilire sarebbero miseramente naufragati.

 Il che spiegava perché gli antenati di questo popolo avessero rifiutato Talhas, considerò Etahuepa: il sovrano era a elezione popolare, in base ai meriti! Un sistema che poteva avere qualche fondamento di giustizia, rifletté il governatore, solo che questi stranieri avevano commesso un grave errore di considerazione: quanto può essere fallace il giudizio umano? E quanto quello divino? Quale sovrano sarebbe più meritevole di uno scelto dalla discendenza stessa dal dio?

 Ma l’avvertimento di quel soldato gli risuonava nella mente: se non avevano ascoltato i figli di Achemay, che possibilità c’erano che ascoltassero lui? Meglio sopportare e tacere; un giorno, come tutte le terre del mondo, Shamnara e il suo regno sarebbero stati conquistati da Tahuantinsuyu, e il suo doversi chinare a un uomo straniero sarebbe stato vendicato.

 Per quanto le sue dimensioni fossero ridotte, di certo questo regno sembrava rivendicare un certo lusso e stravaganza, quando si trattava di palazzi e quartieri nobiliari: ovunque si posasse lo sguardo, una volta allontanatisi dal porto e dalle case del popolo, era un tripudio di colori sgargianti, guglie, torri svettanti e decorazioni murali intricate. Il palazzo reale era il peggiore di tutti: aveva visto tanta sovrabbondanza quando, da ragazzino, per una bravata aveva sbirciato dalle finestre le stanze dell’harem imperiale. Decise di astenersi dal rendere ciò noto all’ ‘Eveh Nizar’.

 Il sovrano lo attendeva in una sala del trono dalle decorazioni floreali straordinariamente pacchiane, su un trono in cui la sua figura pareva sprofondare. Su seggi appena più sobri, ai lati della sala, vi erano quelli che dovevano essere importanti dignitari, tutti rigorosamente a capo chino. Quanto al sovrano stesso, non poté vederlo bene: ovviamente, aveva la testa abbassata. Aveva però la vaga idea di un uomo dalla corporatura possente.

 “Siamo onorati di ricevervi alla nostra corte, Etahuepa di Tahuantinsuyu” esordì. “Prego tutti gli dei che la vostra permanenza qui sia l’inizio di un lungo e prosperoso rapporto di amicizia tra le nostre genti”

 “E’ ciò che si augura Sua Maestà l’Imperatore Manco, Eveh Nizar” rispose lui, la voce calma e serena che aveva allenato in tanti incontri di quel genere.

 “Ne sono lieto. Ora diteci, governatore: in che modo il vostro Impero ritiene di poter portare beneficio al nostro?”

 

Era stato un incubo.

 Etahuepa non riusciva a credere all’arroganza di questa gente: il loro impero non era un decimo di Tahuantinsuyu, il loro governo era affidato a menti completamente umane, eppure si atteggiavano come se avessero in mano le redini della situazione, come se con quel trattato fossero loro a fare concessioni a un piccolo regno in difficoltà! Ridicolo. Se volevano che il loro sovrano non fosse offeso, avrebbero anche potuto facilitargli il compito!

 In effetti, molto probabilmente un uomo dal temperamento più focoso di Etahuepa li avrebbe mandati tutti alla Notte, ma purtroppo avrebbe mandato alla Notte anche l’accordo sull’esenzione da certi dazi imposi da Shamnara sul tratto di mare da essa controllata. E finché anche quella porzione del mondo non fosse caduta sotto Tahuantinsuyu, di quegli accordi c’era bisogno.

 “Vorrei sperare che la nostra città abbia fatto una buona impressione su di voi, buon signore” commentò qualcuno alle sue spalle. “Ma il vostro volto mi fa temere che sia una speranza mal riposta”

 Chi era? Etahuepa si voltò di scatto. A parlare era stato un giovane sulla ventina, riccamente vestito, con una servetta dai lineamenti duri alle calcagna. Etahuepa ricordò di averlo intravisto alla riunione, tra i consiglieri dell’Eveh Nizar. Era a capo della congregazione degli ‘ingegneri’ di Shamnara, qualunque cosa essi fossero.

 L’essersi fatto beccare così stanco e immusonito da una persona vicina al re lo mise immediatamente in allarme, anche se il sorriso sereno del giovane lo rincuorava un poco.

 “Affatto” replicò. “La riunione mi ha dato molto su cui riflettere, semplicemente. E non sono più tanto giovane da sostenere lunghe ore di discussione senza sentire le mie energie completamente esaurite subito dopo”

 “Avete sufficienti energie da nasconderlo, oserei dire: se non vi avessi visto ora, non mi sarei mai posto il dubbio” rispose l’altro, sempre sorridendo. “Immagino ci sia da aspettarselo, da qualcuno di Tahuantinsuyu!”

 “Conoscete le mie terre, buon signore …?” domandò Etahuepa. A guardarlo appena un po’ più che superficialmente, questo giovane aveva tratti diversi da quelli finora visti a Shamnara, specie negli occhi più sottili e allungati. Possibile che avesse qualche ascendenza di Tahuantinsuyu? Forse si sarebbe potuto rivelare un comodo alleato.

“Issachar Azmav” si presentò il suo interlocutore. “Personalmente, non ci sono mai stato. Ma mio nonno vi ha viaggiato frequentemente, quando era giovane a sua volta. Non smetteva mai di parlarne. Credo fosse rimasto profondamente affascinato dalla vostra cultura”

 “Ne sono profondamente lieto” rispose Etahuepa, cercando di ricordare un’ambasciata di Shamnara e rendendosi conto che ciò poteva essere avvenuto anche prima della sua nascita.

 “Parlava soprattutto dell’educazione che veniva data ai giovani. Nettamente migliore, almeno egli ambiti burocratici, a quella da noi impartita, diceva. Il test dei quattordici anni, poi, per assicurarsi che le menti brillanti dell’Impero non sprecassero il loro talento a causa di una bassa estrazione! Ditemi, si usa ancora?”

 “Non è cambiato nulla in quello, per fortuna” confermò Etahuepa. “Immagino che in questi luoghi sarebbe molto apprezzato, data la vostra abitudine di scegliere i sovrani per merito anziché per sangue?”

 “Ahimè, il nostro Eveh Nizar è l’unico che viene scelto con questo metodo” replicò l’altro. “Tutto il resto della nobiltà, tramanda le proprie cariche per sangue, e i giovani delle classi inferiori hanno poche possibilità di imparare un mestiere diverso da quello del padre. E naturalmente, i giovani di ogni classe sono massacrati di studio e lavoro nella speranza di poter accedere all’unica carica meritocratica che abbiamo. Il vostro Imperatore almeno non vive con la consapevolezza che tutti i suoi giovani sudditi si preparano intellettualmente e fisicamente nell’ardente speranza che lui muoia al più presto!”

 “Non pensate che gli eredi al trono abbiano vita facile, se è per questo. Non basta essere il sangue del Sole, devono dimostrare di essere iù meritevoli del trono dei propri fratelli per accedervi” o almeno, così sarebbe dovuto essere in teoria. Manco era asceso semplicemente perché il preferito di suo padre, a prescindere dai meriti, ma non era il caso di farlo sapere allo shamnarita.

 “Il sangue del Sole … dunque, per voi i sovrani sono diretti discendenti della divinità?”

 “Così è” replicò semplicemente Etahuepa, preparandosi a reagire al diniego e allo scherno dell’altro. Che però non giunsero.

 “Immagino che la religione abbia ancora un grande ruolo nella vita di tutti voi, allora”

 “E come altro potrebbe vivere rettamente un uomo, se non ascoltando le parole degli dei in ogni momento della sua vita?”

 “E’ effettivamente un modo molto semplice e chiaro per distinguere il bene dal male, senza affidarli al fallace giudizio umano. Mio nonno aveva ragione sulla vostra saggezza … ma ditemi, è vero che sono i Sacerdoti, con la loro magia, ad assolvere a funzioni quali l’edilizia, l’idraulica, l’agricoltura …?”

 “Ma come, i vostri Sacerdoti che fanno?”

 “Ritengono che la magia proveniente dagli dei sia troppo importante per essere utilizzata in faccende così quotidiane”

 “E allora, chi si occupa di esse?”

 “Noi ingegneri” rispose il giovane, con un sorriso a metà tra l’imbarazzato e il compiaciuto. “Noi progettiamo e costruiamo gli strumenti per la costruzione di edifici, navi e acquedotti, e assistiamo al loro utilizzo. Controlliamo il terreno destinato alle coltivazioni e decidiamo in base ad esso quella più adatta. In poche parole, si potrebbe dire che controlliamo la forma di questa città”

 “E tu sei alla loro testa”

 “Un grandissimo onore, che ovviamente mi impegno a meritare”

 Il giovane era sicuramente arrogante. Certo, assumere una carica tanto importante a un’età così precoce era senz’altro degno di nota, e a momento il suo compiacimento pareva nascondere dell’imbarazzo, ma un simile contegno, un simile rivendicare una funzione tradizionalmente attribuita ai Sacerdoti, a Tahuantinsuyu sarebbe parso quasi blasfemo. Per quanto Etahuepa si rendesse conto che da una cultura tanto diversa non si potesse pretendere lo stesso modo di pensare che nell’Impero, non riusciva a togliersi di dosso una sensazione sgradevole, parlando con questo giovane.

 “Strumenti” commentò, vedendo l’improvviso appiglio per spostare il discorso da quel terreno scomodo, riportandolo a quello più tranquillo dell’ambito familiare. “Da noi non sono necessari simili voli d’ingegno. Mio figlio ha qualche volta costruito dei bizzarri balocchi da sé, ma erano solo fantasie di bambino che erano riuscite a prendere forma, nulla di più”

 “Vostro figlio ha la stoffa dell’ingegnere, dunque” questa volta il sorriso era divertito. “E perdonatemi la curiosità, ma cos’ha costruito?”

 Etahuepa si sarebbe limitato a una breve spiegazione della pista per biglie e di quei terribili elmetti per gli schiavi – impressionare lo straniero con le capacità dei giovani Soqar non poteva certo esser di danno - per poi passare a discutere delle cure che si prestavano ai bambini e chiedere quale fosse l’educazione di Shamnara, e chiedere se per caso anche il suo interlocutore avesse già famiglia, dato che nonostante l’età aveva i mezzi per sostenerla. Ma Issachar parve molto impressionato dal suo resoconto.

 “Prima ho scherzato, chiedendovi se vostro figlio avesse la stoffa dell’ingegnere, ma ora posso dirvi questo in completa serietà. Non ho mai sentito parlare di un talento e un’intelligenza tanto precoci, neppure nei miei collaboratori più dotati. La vostra provincia sarà fortunata, ad avere un simile governatore”

 “Se Simay assumerà la mia carica, sono certo che sarà un buon successore”

 “Dovrà competere anche lui con dei suoi fratelli?”

 “No. Vedete, Simay è adottato: qualora mia moglie dovesse darmi un erede legittimo, quest’ultimo diventerebbe il mio erede. L’adozione non può superare il vero sangue del Sole, per quanto mio figlio possa essere intelligente e abile”

 “Una scelta ragionevole. Immagino che allora ne fareste un Sacerdote?”

 Etahuepa non poté impedirsi di fissarlo con una certe perplessità.

 “A quanto mi è stato detto, i vostri Sacerdoti fanno voto di castità, il che costituisce un modo semplice e pratico di eliminare alla radice qualsiasi pretesa dinastica. Inoltre, ai novizi è garantita un’eccellente istruzione, e una volta consacrati assumono una carica estremamente importante e rispettata da ogni strato della popolazione. Sarebbe stata la scelta più logica”

 “E infatti avete indovinato” replicò Etahuepa. “Permetterò al ragazzo di scegliere a chi dedicare la propria vita, ma l’ho preparato fin dall’infanzia al pensiero di non assumere una carica governativa ma religiosa”

 “E vostro figlio come ha reagito? Spero non sia tanto ambizioso che questo incrini il vostro legame”

 “Simay è ancora un bambino, è troppo giovane per l’ambizione. Ma sono sempre stato molto attento a evidenziargli l’importanza della carica sacerdotale”

 “Davvero un saggio corso d’azione. Eppure, non posso pensare che al suo talento! Da Sacerdote, non potrebbe certo perseguire le sue costruzioni … un danno per tutti, davvero”

 “Credete di poterlo dire quando mio figlio è così giovane?”

 “Non ho acquisito questa carica perché non sapevo distinguere chi avesse il potenziale di aiutare maggiormente la popolazione e chi no. E lasciatemelo dire, vostro figlio mostra un talenti spiccato per un uomo fatto, figurarsi un bimbo”

 “E dunque?”

 “Vorrei chiedervi di permettere che il ragazzo, quando avrà raggiunto l’età appropriata, venga educato a Shamnara. Tutti ne guadagnerebbero: il ragazzo non vedrebbe il suo talento sprecato, se dovesse diventare governatore la vostra provincia sarà retta da qualcuno abituato a trattare con diverse culture, e se non dovesse diventarlo, il nostro regno guadagnerebbe un valido ingegnere”

“Inoltre, ciò potrebbe essere interpretato come un gesto di amicizia tra le due nazioni. Potrebbe iniziare un vero e proprio scambio culturale” proseguì Etahuepa.

 Issachar assunse un’espressione divertita. “Confesso di aver semplicemente non voluto perdere l’opportunità di insegnare a una mente così brillante, senza considerare le implicazioni politiche, ma per fortuna ci siete voi a sopperire. Devo aspettarmi che anche vostro figlio cresca così saggio?”

 “Ho usato il condizionale per un motivo” replicò Etahuepa. “Non ho nessuna intenzione di mandare mio figlio a studiare presso di voi”

 Il sorriso dell’altro si attenuò. “Se posso chiedervi il motivo della vostra reticenza, forse posso alleviare le vostre preoccupazioni”

 “Temo sia impossibile. I talenti di mio figlio possono parervi promettenti, e senz’altro denotano una vivace intelligenza da parte sua, ma avevano già iniziato a portarlo su una via errata. Non avete pensato alle implicazioni di controllare il comportamento altrui? E’ un violare le capacità di un altro essere umano, un sostituire alla volontà degli dei la propria. Era inaccettabile che continuasse”

 “Non avevo menzionato l’incidente nel timore di offendervi” ammise l’altro. “Ma vedo con sollievo che non siete cieco agli errori di vostro figlio. Noi facciamo regolarmente riferimento a norme stabilite da Sacerdoti per quel che possiamo fare senza commettere peccato, e un addestramento a Shamnara …”

 “Non servirebbe, perché venerate altri dei”

 “Dei falsi, senza dubbio, ai vostri occhi. Capisco che non vi fidiate delle loro leggi. Ma se la nostra confraternita trattasse con un Sacerdote di vostra fiducia, stabilendo condizioni speciali per vostro figlio ed eventuali altri giovani che fossero fatti studiare qui …”

 “Siete molto ben disposto a ignorare i vostri dei in favore di altri: ne deduco che non abbiate molto rispetto per loro in primo luogo. Non intendo affidare mio figlio a un ateo, visti i suoi precedenti. E in tal proposito, ho già posto rimedio io stesso alle sue strane manie prima che potessero degenerare, e forse sono stato un po’ troppo severo, anche se ciò era necessario: se ora lo autorizzassi a studiare in tale direzione, risulterei incoerente con tutto ciò che gli ho insegnato e il futuro che gli ho illustrato. E crescere un figlio è impresa già abbastanza ardua senza sembrare dei folli incostanti. Mio figlio non giungerà qui per studiare: vivrà a Tahuantinsuyu, e diverrà o governatore o Sacerdote. E questa è la mia ultima parola in proposito. Vi auguro una serena giornata”

 E su queste parole, Etahuepa troncò la conversazione e si allontanò. Incredibile quanto era stato difficile liberarsi di quel tipo! E aveva anche fatto argomentazioni decenti, ma davvero, la sua proposta restava inaccettabile.

 “E questo, mio signore, è quel che si definisce essere completamente sputtanato” sentì una voce rauca e femminile commentare alle sue spalle.

 “Non importa. Linca. Sarebbe stata una splendida occasione, ma la sopportazione è la virtù dei forti”

 La sua risoluzione fu ulteriormente rafforzata da un simile scambio. Che gente erano gli shamnariti, se tolleravano che i propri schiavi li apostrofassero in tal modo?

 Furono quasi gli ultimi pensieri che dedicò all’argomento: i giorni successivi furono dedicati alle trattative, e nel viaggio di ritorno e i mesi successivi, quella conversazione fu dimenticata.

 

Sei anni dopo il suo viaggio a Shamnara, Etahuepa non aveva idea di come avrebbe dovuto sentirsi.

 Certo, la situazione era molto diversa da quando era arrivato Simay. Non solo perché la neonata Coya era sua figlia biologica, nata quando ormai nessuno ci sperava più, ma … per tutte le circostanze che attorniavano quella nascita. Coya era arrivata dopo nove mesi di attese, speranze, timori che potesse morire ancora nel ventre della madre, gioia al pensiero di chi sarebbe stata una volta che sarebbe vissuta; Simay era piombato loro tra capo e collo, completamente inaspettato, e adottarlo era stata una decisione improvvisa per cui molti l’avevano criticato. Per Coya, non aveva avuto altro che felicitazioni. Era naturale che i suoi sentimenti verso i suoi figli si fossero sviluppati in modo diverso.

 C’era poi da considerare la questione dinastica: il diritto all’eredità di una figlia legittima non sarebbe stato messo in discussione da nessuno, al contrario di quel che sarebbe potuto succedere a Simay; trovare la persona giusta cui promettere in futuro la fanciulla e la provincia sarebbe stato un vero grattacapo, ma nessuno vi avrebbe potuto obiettare. E il sangue del Sole sarebbe rimasto al potere. Simay, invece, era destinato al Sacerdozio.

 E tutto questo sistemava le faccende burocratiche, non era nulla che non avesse già messo in conto, era già stato tutto deciso da anni … ma Simay come avrebbe concretamente vissuto tutto questo? Non vi erano state scenate di gelosia, questo era sicuro. Nessuna esplosione di rabbia al vedersi negato quello per cui era stato preparato fin dalla più tenera età. Anzi, era rimasto fin troppo tranquillo. Aveva parlato con calma della sua felicità per il fratellino o sorellina che sarebbe nato, ma aveva sempre avuto quel sorriso educato che Etahuepa aveva visto soprattutto in situazioni di circostanza. Più che davvero felice, gli pareva che suo figlio si stesse estraniando dagli eventi.

 La sua risposta era stata dargli spazio e tempo, nell’attesa che o avesse uno scoppio emotivo o risolvesse qualunque cosa gli desse dubbi interiormente e ricominciasse a comportarsi nei limiti della normalità; ma questo comportamento si era protratto per mesi, e anche adesso che Coya era nata, Simay la osservava con qualcosa più simile a un’educata sopportazione che un vero e proprio affetto.

 “E non avete mai pensato, mio sposo, che forse sarebbe meglio che voi parlaste con Simay?” fu l’ovvia reazione di Malina quando le confidò i suoi dubbi.

 Certo, ci sarebbe stato da discutere, ma Etahuepa iniziava a temere di essere più bravo nel dare direttive morali che sostegno affettivo e incoraggiamento: bastava vedere i fraintendimenti sulle sue direttive che ne erano nati. Ma aggredire il ragazzo per qualcosa che non aveva fatto o detto, e non era neppure certo avesse pensato, non avrebbe portato a nulla di buono.

 Doveva ammettere che gli sarebbe piaciuto poter affidare quel compito a Malina, ma lei non aveva mai avuto l’aspettativa di un ruolo attivo nella vita di società e non aveva mai dovuto pensare di essere sostituita nell’eredità: essendo una donna, tutt’al più le era stata data la dote. Quel compito spettava a lui, che aveva dovuto impegnarsi per ottenere il ruolo di governatore … non se l’era visto strappare di mano per circostanze al di fuori del suo controllo. Di nuovo, probabilmente non era la persona adatta ad aiutare Simay, ma chi altri c’era?

 Trovò suo figlio a osservare la sorellina neonata che dormiva nella culla. La sua espressione … un misto di curiosità e incertezza? Delusione? Antipatia, forse?

 Dall’evento di quei maledetti caschi, Simay aveva tenuto un comportamento ineccepibile, ma si era sempre più chiuso in sé stesso man mano che cresceva. Ormai Etahuepa stava iniziando ad avere difficoltà a indovinare i suoi stati d’animo.

 “Simay …”

 Il ragazzo sussultò. “La stavo solo osservando!” sussurrò immediatamente. “E’ la mia sorellina, dopotutto”

 Etahuepa si accigliò. “Naturalmente. Perché dovrei pensare il contrario?”

 “Si potrebbe pensarlo, vero?” mormorò il ragazzo, abbassando lo sguardo. “Solo nascendo mi ha portato via quel che avrei potuto ereditare. Di sicuro la gente pensa che io la odi. Magari qualcuno penserà anche che io voglia farle del male?”

 Non si sarebbe aspettato simili riflessioni da un ragazzo. Simay era cresciuto stando molto attento a quel che la gente diceva e pensava di lui, ma non avrebbe dovuto renderlo così spaventato per una situazione in cui non poteva fare nulla. Soprattutto, non avrebbe dovuto renderlo timoroso della sua stessa famiglia.

 “C’è chi potrebbe pensarlo, sì” confermò – non avrebbe avuto senso negare la realtà – “ma perché io e tua madre dovremmo essere tra queste persone?”

 Silenzio.

 “Simay, ti fidi così poco di noi? Ti abbiamo fatto pesare tanto il fatto di essere adottato? Ti abbiamo mai accusato ingiustamente di qualcosa, basandoci solo su speculazioni e senza sentire quel che avresti avuto da dire tu? Ti abbiamo davvero fatto sentire così poco amato?”

 “No! Niente di tutto questo!”

 Simay rispose tanto in fretta da mangiarsi le parole, lo sguardo spaventato … ma malgrado le incertezze che aveva qualche volta, Etahuepa aveva vissuto abbastanza da poter dire che quella non era la reazione di un bugiardo che temeva di essere scoperto: era lo sguardo di qualcuno che temeva di aver ferito chi amava. Etahuepa sorrise.

 “E allora perché tanta preoccupazione?”

 “Ma la gente dirà … con tutto questo, e quelle cose che ho fatto da bambino … potrebbe criticarvi, accusarvi di esservi presi in casa il figlio di chissà che gente e non essere capaci di gestire una famiglia, figuriamoci una provincia, e …”

 “Pensi che le chiacchiere di qualcuno che non ha nulla da fare avranno conseguenze serie?”

 “No, probabilmente l’Imperatore non saprà neanche che queste persone esistono. Quel che davvero non voglio, è che dicano male sul conto vostro e di mia madre. O magari anche di Coya, visto che sarà mia sorella”

 “Di tutte le ragioni che avresti per temere, Simay, questa è quella che mi rende più felice. Non perché voglia vederti turbato: ma perché l’assenza di legami di sangue non ha davvero impedito che tu diventassi parte della mia famiglia. E non smetterai mai di esserne parte, qualunque cosa succeda. La gente non sa davvero ciò che avviene in una famiglia, ma ha spesso fin troppa voglia di parlare: ricordati di questo giorno, quando come Sacerdote dovessi ritrovarti a confortare qualche giovane vittima di malelingue per circostanze al di fuori del suo controllo”

 Lui sorrise appena. “Certo, certo. Dovrò davvero iniziare a pensare a cosa fare come Sacerdote …”

“Per caso avevi già iniziato a possibili azioni da compiere una volta che avessi avuto il governo?”

Simay abbassò lo sguardo, con un mezzo passo indietro. Era naturale, ormai aveva tredici anni, era stato previsto che l’anno seguente Etahuepa iniziasse a insegnargli i fondamenti del suo dovere, nessuno si aspettava la nascita di Coya … meglio non rigirare il coltello nella piaga.

 “Pensa quello che vuoi, figlio mio. So bene quanto sia brillante la tua intelligenza e fervido il tuo senso del dovere: qualunque cosa farai, sarà il meglio che possa essere fatto”

 

 

Qualche tempo prima, su una strada di montagna presso Alaya.

 

“E quindi eccoci qui, lontani dai palazzi comodi e dalla posizione sicura che avrebbe permesso di conoscere tanti ragazzi promettenti e soprattutto dalle belle foreste piene di animali selvatici, ad arrancare su una montagna in culo a un Impero che l’ultima volta ci ha presi a sprangate in faccia”

 “Ti ringrazio, Linca, per avere con tanta efficacia riassunto la situazione. Ne sentivo il bisogno, e il tuo ripetere questa frase ogni due ore circa è stato un vero toccasana”

 “Non ho detto sempre la stessa cosa, non siamo sempre stati su una montagna in culo all’Impero. Siamo stati in un porto in culo all’Impero, in una campagna in culo all’Impero, in un mercato sovraffollato di gente che sudava in libertà in una città che non è il culo dell’Impero ma quasi, e solo infine siamo arrivati qui”

 “Giuro che la prima cosa che farò appena avremo raggiunto Alcanta sarà trovare un mercato degli schiavi e venderti a …”

 “Quello strozzino che menzionate da quando sono state inventate le tasse?”

 “Ah, temo di peccare di ipocrisia, devo essermi ripetuto un poco anch’io”

 “A parte gli scherzi, mio signore, vi rendete conto che questa volta stiamo inseguendo un fantasma? Cioè, anche più del solito. Quell’Etahuepa potrebbe aver esagerato. Il ragazzo potrebbe essere maturato in una vera noia in questi anni. Per quel che ne sappiamo, potrebbe anche essere morto, in questi anni”

 “Il mio istinto mi dice che non è successo nulla di tutto questo, Linca. E quando mai il mio istinto si è sbagliato?”

 “Dunque, per cominciare, quella volta che a Quinexì …”

“Attenta!”

 “Fuori dai coglioniaaah! Uff. Grazie, ragazzo, mi hai salvato da una brutta caduta”

 “Ve lo dovevo, anche voi mi avete salvato”

 “Uh?”

 “Non importa. Un corriere … alla vostra età? Avete tutta la mia stima”

 “Che cazzo stai dicendo? Ho solo settant’anni, ragazzo, faccio questo mestiere da quando ero alto così, e saprei sorpassarti senza problemi quando ho una brutta giornata di reumatismi”

 “Su questo non ho dubbi, ma avete rischiato una brutta caduta. Vi consiglio di rallentare il passo, almeno finchè non saremo su un terreno meno dissestato”

 “Sì, ormai tenere un passo decente su questo è impossibile. Mi ricordo che da ragazzo si correva che era un piacere, gli dei non si erano dimenticati di questo posto. E soprattutto, non avevamo direttori senza palle incapaci di farsi valere  con i Sacerdoti della Terra più fannulloni che esistano!”

 “Ah, io neanche posso ricordarli, quei tempi. Posso chiedervi dove siete diretto?”

 “Alcanta. Il mio direttore mi ci ha spedito a recapitare una missiva, una richiesta di intervento ai Sacerdoti di Achesay del Tempio principale”

 “Ma che ca …”

 “Avrebbero dovuto sbrigarsela senza aiuto, avete ragione”

“Almeno un giovane che ha capito come dovrebbero andare le cose c’è, a quanto vedo. Alcanta anche tu?”

 “Orafo fresco di apprendistato, a cercar fortuna nella grande capitale”

 “Quelli come te di solito se ne tornano a casa con la coda tra le gambe, altro che bei sogni di ricchezza lontani da casa! Abbandonare le proprie origini, bah!”

 “A volte non si ha proprio altra scelta, buon signore …”

 “Sayre Tupachi”

 “Questa sì che è una bella coincidenza: anch’io mi chiamo così!”

 

 

 

 

 

 

Ladies & Gentlemen,

e con questo cameo di due soggetti che il povero Simay imparerà a conoscere molto bene si chiude il primo spin-off della serie. Che dire? Spero sia stata una piacevole lettura, e che vi abbia illustrato un po’ meglio il carattere del nostro protagonista e la sua formazione. Concludo augurando a tutti voi un buon Halloween!


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