Marluxia, il cuore della ribellione

di LeaDarco
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La prima missione di Marluxia (con Axel) ***
Capitolo 2: *** L'indovinello della sfinge (con Axel) ***
Capitolo 3: *** L'isola che non c'è (con Larxene) ***
Capitolo 4: *** Marluxia contro Peter Pan (con Larxene) ***
Capitolo 5: *** Convalescenza (con Vexen & Demyx) ***
Capitolo 6: *** Roulette Russa (con Luxord) ***
Capitolo 7: *** Stelle (con Zexion & Larxene) ***
Capitolo 8: *** La Fortezza Oscura (con Xigbar, Saïx & Axel) ***
Capitolo 9: *** La Fortezza Oscura - Parte 2 (con Xigbar, Saïx & Axel) ***
Capitolo 10: *** La Fortezza Oscura - Parte 3 (con Xigbar, Saïx & Axel) ***



Capitolo 1
*** La prima missione di Marluxia (con Axel) ***


La prima missione di Marluxia
Agrabah pt.1

(Compagno: Axel) 

 

Improvvisamente, è apparsa una strana porta.
Una cosa del genere nel mio castello?
Sulla porta c'era una grande serratura, ma non sembrava essere chiusa a chiave…

Diario di Ansem 5

 

«Lo senti questo odore, caro mio?». Axel rise «Respira a pieni polmoni la puzza di Agrabah!».

Marluxia si guardò intorno e per un attimo rischiò di essere trascinato dalla folla; ritrovò subito l’equilibrio e le persone lo superarono come un fiume che evita un ostacolo.

«Dove siamo?».

«Al mercato» rispose Axel incamminandosi tra la gente.

«Perché proprio qui?» faceva fatica a seguirlo in mezzo a quel caos. «Non dovremmo incontrare il gran visir?».

Axel rise di nuovo. «Abbiamo tempo» rispose, poi lo guardò divertito. «Non dirmi che sei uno di quelli che pensa solo al lavoro, eh!».

«Voglio solo sbrigarmi a concludere questa missione».

«Aaah» fece Axel afferrando una clessidra d’oro da una bancarella. «Beh, novellino, ti spiego una cosa: il primo aspetto fondamentale di una missione è conoscere dove si va». Poi si voltò verso il venditore. «Carina questa, quanto viene?».

Il mercante esaminò con attenzione la reliquia. «Sono 10.000, straniero» affermò infine con tono solenne.

«10.000?» Axel lo studiò con espressione interessata. «In effetti… è più che giusto per una clessidra d’oro».

«Mi sembra che tu ti muova abbastanza bene in questo posto» notò Marluxia.

«Io sì» rispose Axel con un sorriso. «Su avanti, prendila».

Marluxia esitò, poi prese la clessidra tra le mani; al contatto con il metallo, sentì la pelle bruciare per quanto scottava. «Che diavolo fai?».

Lasciò cadere la clessidra sulla bancarella e Axel lo guardò divertito.

«Semplice caro, mio. Ci ho messo così poco a riscaldarla perché questo qui non è oro, ma argento placcato. Sembra che il nostro amico voleva fregarci».

L’espressione del mercante si fece cupa e impaurita. «Questa è tutta merce originale, straniero».

«Certo… ». Axel sorrise. «Ma fossi in te presterei più attenzione ai tuoi vestiti».

Schioccò le dita e una piccola fiamma si alzò dalla tunica del mercante; l’uomo cacciò un grido di paura e si gettò a terra terrorizzato.

«Andiamo via» tagliò corto Axel. I due ripresero la strada, allontanandosi tra la folla. «Prima lezione, caro mio: devi sempre sapere dove vai. Agrabah è un posto di bugiardi, lo hai memorizzato?».

Le urla dell’uomo scomparirono presto nel frastuono del mercato; Marluxia si voltò indietro ma vide solo una fiumana infinita di persone.

«Tranquillo» lo rassicurò Axel. «Gli basterà rotolarsi un po’ sulla sabbia».

«Sono tranquillo».

«Meglio così». Poi Axel tirò fuori la clessidra dal cappotto. «Tieni!» disse con un sorriso. «Non possiamo presentarci dal gran visir a mani vuote».

 

Davanti al palazzo del Sultano, due guardie li affiancarono per scortarli.

Attraversarono così i giardini del palazzo: un trionfo di fiori, piante esotiche, e fontane di ogni tipo. Una bellissima ragazza, alta e con con i capelli raccolti in una lunga coda nera, guardava con aria sofferente il suo riflesso nell’acqua. Accanto a lei, Marluxia si accorse della presenza di un enorme felino arancione. Una tigre, forse.

Superarono allora un enorme porta in oro massiccio e si trovarono dentro al palazzo.

«Ecco» commentò Axel. «Questo è vero oro».

Marluxia annuì, incantato dalla magnificenza di quel posto. I raggi del sole illuminavano ogni stanza del palazzo infrangendosi contro le file di colonne, creando sul marmo bianco del pavimento dei giganteschi laghi d’ombra. Marluxia camminava, ipnotizzato da ogni piccolo particolare e ornamento che scorgeva. Arrivarono così davanti a una porta immensa, molto simile a quella dell’ingresso del palazzo.

«Il gran visir vi attende» dissero le guardie e si congedarono con un inchino.

«Quanta formalità» commentò Axel una volta che furono lontani.

La porta per le stanze del gran visir si aprì da sola ma nessuno dei due sembrò impressionarsi.

Entrarono così in un’enorme studio, tappezzato di arazzi e doni di ogni tipo. Marluxia si accorse che alla sua destra e alla sua sinistra troneggiavano due enormi elefanti d’oro con la lunga proboscide immersa in una piscina artificiale che percorreva l’intera sala.

Seguì con lo sguardo un meraviglioso disegno di ombre e luci che i raggi disegnavano filtrando dalle pareti, fino a quando la sua attenzione non si concentrò sulla figura che li stava osservando.

«Jafar» disse Axel levandosi il cappuccio.

L’uomo si avvicinò e Marluxia studiò i suoi movimenti, sinuosi ed eleganti.

«Siete arrivati!» esclamò l’uomo con tono meravigliato.

«Ti abbiamo portato un dono» disse Axel.

Marluxia porse la clessidra a Jafar che accettò con un sorriso di cortesia.

«E maleducazione non levarsi il cappuccio» commentò subito dopo.

Quando gli occhi di Marluxia incrociarono quelli Jafar, tutto gli fu chiaro. Quell’uomo era uno stregone, esattamente come lui, ma il suo cuore, così come la sua magia, erano deboli. Troppo deboli. Oltre gli abiti curati, pensò, non valeva un bel niente.

«Allora Jafar» tagliò corto Axel. «Perché ci hai chiamati?».

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Capitolo 2
*** L'indovinello della sfinge (con Axel) ***


L’indovinello della Sfinge
Agrabah pt.2

(Compagno: Axel) 

 

Un heartless che non può essere sconfitto. Una gigantesca sfinge che ha bruciato vivo chiunque abbia provato a sfidarla.

Marluxia scendeva le scale per le segrete del palazzo. Lì avrebbero trovato l’heartless.

Axel, subito dietro di lui, procedeva più lentamente. A ogni gradino non sembrava più così sicuro di sé. «C’è puzza» disse. «Puzza di corpi bruciati».

Marluxia si aspettava che le segrete fossero un labirinto di corridoi umidi e angusti, ma dovette ricredersi quando si trovò in un enorme sala scavata nella roccia. Avanzarono così tra le gigantesche colonne che sorreggevano il palazzo: più proseguivano, più la puzza di morte diventava intensa.

«Aspetta!» disse Axel piegandosi sulle ginocchia.

Qualcosa si nascondeva nella sabbia.

«Uno scheletro» commentò Axel con disprezzo. «O almeno quello che ne rimane».

«Che cosa l’ha ucciso?».

Axel mostrò a Marluxia un osso completamente bruciato.

«L’heartless».

«Ci siamo quasi allora».

Axel annuì. «Le fiamme devono essere state terrificanti per averlo bruciato così» poi si passò l’osso fra le mani. «Poveraccio».

«Questo sarà comunque l’ultimo dei tuoi problemi».

«Non lo so. Ricordi cos’ha detto Jaf-».

Un lampo di luce squarciò la grotta.

Poi si sentirono delle urla. Alcuni secondi di agonia.

E di nuovo il silenzio.

«Proseguiamo» disse Marluxia.

Scesero più velocemente attraverso un lungo corridoio roccioso fino ad arrivare in una grande sala circolare. Adesso camminavano sulla sabbia a passo lento, un misto di precauzione e reverenza (a Marluxia quel posto ricordava un santuario); Axel sembrò notare qualcosa proprio al centro della sala e quando Marluxia lo raggiunse, capì di chi fossero le urla: guardò il corpo carbonizzato di quell’uomo, sforzandosi di provare qualcosa.

Disgusto, rabbia, paura.

Niente.

Axel, d’altro canto, sembrava aver trovato qualcosa.

«Monete d’oro» disse lasciandole cadere una a una.

«Il prezzo della loro vita» commentò Marluxia. «Jafar paga bene per farti venire qui sotto».

«Già» rispose Axel, ma continuava a studiare quella moneta, come una reliquia o un indizio importante. «Prendila».

Marluxia afferrò la moneta al volo e quando il metallo toccò la sua pelle si scottò. Di nuovo. Come al mercato. Allora finalmente capì. «Il calore delle fiamme» esclamò.

«Esatto» gli fece eco Axel. «Il calore delle fiamme è molto intenso, ma non raggiunge il punto di fusione dell’oro. In parole povere, il fuoco della Sfinge non supera i 1000 gradi».

«Cosa stai cercando di dirmi?» tagliò corto Marluxia.

«Che se le cose dovessero mettersi male» rispose Axel «Lo lascerai a me».

Un rumore, quasi impercettibile, attirò la loro attenzione.

«Cosa è st-».

«Shh!» fece Marluxia.

Un secondo rumore, questa volta più forte, rimbombò nel buio davanti a loro. Poi furono innondati da due giganteschi bagliori verdi. Marluxia non riusciva a crederci. La luce proveniva da due giganteschi… occhi.

In un attimo una tempesta di petali si levò nella sala. Marluxia invocò la sua dalia, e si lanciò sulla Sfinge. Qualcosa fremeva dentro di lui: era la prima volta che utilizzava la sua arma contro un avversario così grosso.

Il bagliore si fece più intenso, ma il numero XI volteggiò in aria troppo velocemente per essere visto anche da Axel. Strinse l’elsa della dalia e  la conficcò con tutta la sua forza nel collo della Sfinge.

Il rumore che seguì l’attacco fu…  Marluxia non ebbe il tempo di pensare, la sua dalia si era incastrata nella pelle della bestia!

«Axel» urlò. «Non è un-».

Qualcosa lo colpì e l’impatto fu violentissimo. Marluxia volò sulla sabbia ma si accorse in tempo dell’enorme zampa che lo stava per calpestare.

Sparì velocemente in una ventata di petali di fiori ed evitò di essere schiacciato; ricomparve alle spalle di Axel. Ora entrambi coprivano le spalle dell’altro.

«Che volevi dirmi?».

«La sfinge. Non è un heartless».

«Cosa?» domandò Axel. «Dimmi che è uno scherzo».

«No. La composizione del suo corpo è la stessa delle rocce di questo luogo».

«Jafar… » sospirò Axel.

«Voleva solo che eliminassimo questo mostro al posto suo».

«Proprio così» rispose il numero VIII. Il suo corpo adesso tremava dalla rabbia. «Lo brucerò io stesso con le mie mani».

«Tutti ad Agrabah mentono» gli fece eco Marluxia. «Te lo sei dimenticato?».

«Già» riuscì Axel a sorridere.

SMETTETELA SUBITO!

Axel e Marluxia si guardarono confusi. «Chi sei?» domandarono all’unisono. «Fatti vedere!».

Un gigantesco colosso di pietra con il corpo da leone e il volto da uomo (e due smeraldi al posto degli occhi) uscì fuori dal buio.

Eccoti qui, pensò Marluxia: era eccitato al pensiero di combatterlo.

IO SONO LA SFINGE CHE PROTEGGE LA SERRATURA. SIETE QUI PER I MIEI INDOVINELLI?

«Indovinelli?» domandò Axel.

Marluxia sparì di nuovo e si teletrasportò davanti al viso del mostro; gli smeraldi s’illuminarono e Marluxia venne scaraventato sulla sabbia da un vento fortissimo.

HO DETTO DI SMETTERLA!

«Che cosa è la serratura?» domandò Axel ad alta voce.

Di colpo una gigantesca lingua di fuoco si levò attorno a loro.

«Che fai?» domandò Marluxia tornando in piedi.

«Non sono stato io».

SIETE QUI PER I MIEI INDOVINELLI?

«Non siamo qui per nessun dannatissimo indovinello!» urlò Axel.

Silenzio.

Marluxia si guardò intorno. «Non credo abbiamo altra scelta».

«Perché toccano sempre a me i lavori più ingrati» sbuffò Axel.

«E va bene!» fece Marluxia. «Siamo pronti! Dicci i tuoi indovinelli».

Scoprirò cosa è questa serratura che brami così tanto, Jafar. E dopo eliminerò anche te!.

«Sei pazzo!» rispose Axel. «Io non sono bravo con gli indovinelli».

«Tu, no».

Poi la sfinge parlò.

MIO PADRE CANTA OGNI MATTINA, MIA MADRE È BALBUZIENTE. IL MIO VESTITO È BIANCO E HO UN CUORE D’ORO. COSA SONO?

«Facile» rispose Marluxia con un ghigno. «Un uovo».

ESATTO!

«Wow» commentò Axel.

SE LE CALPESTI VIVE, NON HANNO NIENTE DA DIRE. SE LE CALPESTI MORTE,  LE SENTI BRONTOLARE. CHI SONO?

Marluxia non dovette nemmeno pensarci. «Le foglie morte».

ESATTO!

Axel non riusciva a crederci.

SONO GLI SMERALDI E I DIAMANTI DELLA LUNA. QUANDO IL SOLE MI TROVA, SUBITO MI RACCOGLIE. COSA SONO?

Marluxia ci penso su. Questo era decisamente più difficile, poi la risposta gli balenò in mente.

«La rugiada».

ESATTO, STRANIERO!  NESSUNO ERA ARRIVATO FIN QUI.

«E oggi due nessuno ci sono riusciti» commentò Axel. «Continua con i tuoi indovinelli, Sfinge».

CHE COSA EDIFICA PALAZZI, SGRETOLA MONTAGNE, ACCECA ALCUNI E AIUTA ALTRI A VEDERE.

Marluxia esitò. Non aveva la risposta.

ALLORA, STRANIERO?

«Aspetta!» la intimò Marluxia. «Lasciami concentrare».

Le fiamme dietro di loro si fecero più alte.

«Marluxia… ».

«Zitto anche tu» chiuse gli occhi e cominciò a riflettere.

CHE COSA EDIFICA PALAZZI, SGRETOLA MONTAGNE, ACCECA ALCUNI E AIUTA ALTRI A VEDERE.

Una lingua si staccò dal cerchio di fuoco e si gettò come una frusta su Marluxia. Axel fu rapido e parò il colpo con i suoi Chakram.

«Non preoccuparti per il fuoco. Ci penso io. Tu non distrarti».

Edifica palazzi… sgretola montagne.

Nella sua mente apparve un gigantesco castello, ma l’immagine fu immediatamente distrutta e sostituita dal suo cadavere carbonizzato.

«Non riesco… ».

Corpi bruciati. Fuoco, fiamme, fuoco. Marluxia non riusciva a pensare ad altro.

Il cerchio si restrinse attorno loro e i chakram di Axel cominciarono a girar intorno per contenere il calore.

«Allora?» domandò il numero VIII. «La situazione qui sta diventando bollente».

STRANIERO… HAI LA RISPOSTA?

Sgretola le montagne… sgretola le fiamme…

«Ancora no!» urlò Marluxia.

E un’altra lingua di fuoco si levò come una gigantesca colonna cadendo sui due compagni. Axel si posizionò di fronte a Marluxia e i due chakram vennero subito in suo soccorso.

«Marluxia!» urlò Axel. «Non posso contenerlo ancora per molto. Finirà per travolgerci».

Calore… calore… calore.

Il fuoco si strinse attorno a loro e le fiamme toccarono i loro cappotti.

«Axel!» urlò Marluxia. «Spegni queste fiamme!».

Poi qualcosa lo riportò con la mente a quella mattina. Ripensò alla tunica del mercante che andava a fuoco e la voce di Axel gli rimbombò nella mente.

Gli basterà rotolarsi un po’ sulla sabbia.

IL TEMPO STA PER SCADERE!

Gli

basterà

rotolarsi…

Le fiamme stavano per stringere la loro stretta mortale.

«Marluxiaaa!»

Gli

basterà

rotolarsi

sulla…

«Sabbia!» urlò Marluxia.

Le fiamme cessarono di colpo e una luce verde accecante balenò dagli smeraldi della sfinge.

«La risposta è la sabbia» disse Marluxia con un filo di voce.

Silenzio.

ESATTO!

Un boato immenso rimbombò per tutta la sala e la sfinge si sgretolò in un enorme montagna di sabbia; gli smeraldi rotolarono fino ai piedi di Axel che si lasciò andare per terra, totalmente sfinito.

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Capitolo 3
*** L'isola che non c'è (con Larxene) ***


L’isola che non c’è
Neverland pt.1

(Compagno: Larxene) 

 

Il corridoio oscuro si aprì in una gigantesca foresta.

Marluxia si guardò intorno: la vegetazione era talmente fitta da impedire ogni tipo di contatto visivo.

«Dove siamo?» disse Larxene.

Marluxia s’inginocchiò riconoscendo tra le piante alcune eliconie, una sempreverde di origine tropicale. «Sembra una giungla».

«Come fai a saperlo?» domandò scetticamente il numero XII. «E comunque perché siamo in una giungla? La missione era quella d’incontrare il capitano di una nave».

«Non ti preoccupare» disse Marluxia incamminandosi. «La nave è qui vicino».

«Se lo dici tu».

Il numero XI procedeva con cautela, studiando attentamente quel posto così strano; era come se quella giungla fosse abitata da piante e fiori di ogni mondo conosciuto; uno più di tutti attirò la sua attenzione, una grossa rafflesia rossa di quasi un metro.

Marluxia si avvicinò al fiore della grossa pianta. «Strano» disse annusandola.

«Strano cosa?».

«La fioritura di una rafflesia dura molto poco. È rarissimo trovarne una aperta».

«Che fortuna allora» commentò cinicamente Larxene senza neanche guardarla.

La rafflesia è una pianta famosa per la sua puzza, Marluxia lo sapeva bene. Un meccanismo di difesa perfetto, che la aiuta a sopravvivere.

«Ma questa qui non ha nessun odore, come se… ».

«Come se?».

Marluxia era confuso. Guardò di nuovo la rafflesia, e quella giungla così statica da sembrare un cimitero vivente.

«Come se il tempo qui non scorresse».

Guardò ancora il fiore. Sperava di trovare qualche risposta, ma la rafflessia non si svegliava dalla sua strana morte apparente; Marluxia stava per tornare su suoi passi quando sentì Larxene afferrarlo per il cappotto.

«Non ti muovere».

«Che succede?».

«Eri così preso dai tuoi fiori che non ti sei accorto di niente eh». gli sussurrò Larxene all’orecchio. «Ma è da quando siamo arrivati che ci osservano».

Nel silenzio di quella giungla morta, Marluxia percepì un movimento, un rumore impercettibile. La sua Dalia gli comparve in mano all’istante, ma Larxene fu più veloce di lui: uno dei suoi coltelli ferì la caviglia di un bambino che inciampò urlando dal dolore. La ragazza gli piombò addosso come un felino all’attacco, lo rialzò da terra e gli puntò un altro coltello alla gola.

«Uscite fuori, da bravi» disse sfiorando con la lama la pelle della sua preda.

Le piante e le fronde degli alberi cominciarono a muoversi nervosamente. Sembrava che di colpo la foresta avesse preso vita.

Marluxia era pronto ad attaccare, ma si accorse che dalle foglie uscirono fuori… dei bambini?

Uno di loro, più alto e con tre lunghe creste rosse, si fece avanti brandendo una lunga sciabola. «Lascialo andare».

Larxene li guardò uno per uno e scoppiò a ridere. «E voi chi diavolo siete?».

«Lascialo andare».

«Lascialo andare» ripeté Larxene imitando la voce del ragazzo.

Marluxia le fece cenno di smettere, poi guardò i bambini. «Siete pirati?».

«Pirati?». Il ragazzo rise. «Noi uccidiamo i pirati».

«Bene» fece eco il numero XI, poi sparì in una ventata di petali di rose, riapparendo di fronte al ragazzo. Gli afferrò il mento con le dita e lo guardò dritto negli occhi. «Dove trovo la loro nave?».

I bimbi sperduti erano pronti ad attaccare, aspettavano solo l’ordine del loro leader.

«Sei amico di Uncino?».

«No».

«Perché devi incontrarlo?».

«Deve darmi una cosa».

Il ragazzo lo guardò attentamente, poi fece cenno agli altri di abbassare le armi.

«Uncino getta l’ancora alla Roccia del Teschio» disse e un brusio di dissenso si levò tra i bimbi sperduti; il ragazzo si voltò verso di loro «Conoscete gli ordini di Peter. Uccidiamo solo i pir-».

BOOM!

Non fece in tempo a finire che un colpo di cannone esplose a un centinaio di piedi dalla loro distanza.

«Pirati!» urlò uno dei bimbi sperduti.

Marluxia si voltò in direzione del colpo e il ragazzo ne approfittò per liberarsi dalla sua presa e puntargli la sciabola alla gola.

«Adesso sai dov’è la nave» rispose il ragazzo.

Marluxia accennò un sorriso. «Come ti chiami?».

Il ragazzo infilò la sciabola nella federa e fece un segno con le dita ai suoi compagni che cominciarono a dileguarsi nella giungla. «Te lo dico la prossima volta che ci vediamo, uomo con il cappuccio» poi si caricò sulla spalla il bambino ferito da Larxene. «Adesso ho da fare».

Il ragazzo lanciò un grido di battaglia e tutti gli altri bimbi gli fecero eco levando al cielo le loro armi; poi scomparirono nel verde di quella giungla immensa.

«Odio i bambini» commentò Larxene avvicinandosi. «Ma questi ci sanno fare».

Sembrerebbe proprio di sì.

Una seconda cannonata rimbombò in lontananza. «Andiamo?» domandò il numero XII passandosi una mano tra i capelli biondi.

Marluxia annuì e s’incamminò in direzione della nave: quel posto cominciava lentamente a prendere vita .

 

Marluxia non si aspettava che Uncino sembrasse così vecchio, ogni suo gesto mostrava una mal celata giovinezza, distrutta troppo presto dal mare, dalla vita da pirata o dal tempo morto di quell’isola.

«Gradite?» domandò Spugna aprendo una bottiglia di vino.

Non beviamo, stava per rispondere Marluxia, ma non fece in tempo a finire la frase che Larxene annuì porgendo il bicchiere; l’uomo le sorrise (mostrando gli ultimi denti). Con la coda dell’occhio, Marluxia si accorse dell’espressione disgustata di Larxene.

«Speravo di trattare direttamente con Xemnas» cominciò Uncino.

«Dovrai farlo con noi».

«Non è la stessa cosa» ribatté il capitano.

«Xemnas vuole quella mappa» tagliò corto Marluxia.

«Xemnas mi ha fatto una promessa. La vita di-».

«Eliminerò Peter Pan» lo interruppe il numero XI. «Ma prima devo vedere la mappa».

Uncino lo guardò perplesso. «E chi mi dice che tu non mi uccida subito dopo averla vista?».

«In effetti» commentò Larxene giocando con il bicchiere. «Sarebbe più pratico».

Vide Spugna deglutire dalla paura.

«Io eseguo gli ordini, Uncino. Potrei ucciderti adesso e cercarla con le mie mani. Sarebbe meno faticoso che continuare questa conversazione». Marluxia allungò la mano. «Fammela vedere».

Uncino lo guardò severamente, poi annuì a testa bassa e da una pila di carte ammucchiate tirò fuori una piccola mappa. Marluxia la afferrò dalle mani del capitano e la esaminò sotto la luce di una candela.

Come immaginavo.

Poi posò la mappa sul tavolo e guardò Uncino. «Dove trovo Peter Pan?».

 

«Potevamo ucciderlo» disse Larxene. «Ci saremmo evitati altre seccature».

«Lo so» replicò Marluxia. «Ma Xemnas preferisce trovare accordi e trattare con gli alleati. È una politica diversa».

Camminavano ormai da mezz’ora sul sentiero che li avrebbe portati in cima al promontorio dell’Isola che non c’è. Il sole era quasi tramontato e tra poco si sarebbe fatto buio.

«È tutto il giorno che camminiamo» disse Larxene. «Sono esausta».

«Se passassi meno tempo a lamentarti, avresti molte più energie».

«Non mi sto lamentando».

«Se lo dici tu».

«Ei!». Larxene lo afferrò per un braccio. «Non mi sto lamentando».

Marluxia la guardò impassibile, senza dire niente; si limitò a farle un cenno con la testa per farle capire che erano quasi arrivati.

«Finalmente!» esclamò la ragazza scrocchiandosi le dita.

Il sentiero terminò davanti a un grosso accampamento, abitato probabilmente dai nativi del posto. C’erano delle grosse tende, disposte secondo uno schema circolare; al centro, si ergeva un totem altissimo pieno di colori.

Marluxia indicò un piccolo falò a qualche metro dalle tende. «Sono lì». La comunità, seduta attorno al fuoco, si stava preparando a cenare. «Sei pronta?» domandò quindi alla compagna.

Larxene gli accarezzò il viso e gli occhi le brillarono di un crudele entusiasmo. «Guarda e impara!».

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Capitolo 4
*** Marluxia contro Peter Pan (con Larxene) ***


 

Marluxia contro Peter Pan
Neverland pt.2

(Compagno: Larxene)

 

L’odore pungente dell’ozono, l’aria sempre più elettrostatica. Larxene puntava l’accampamento, come una leonessa nella steppa, pronta ad attaccare al momento giusto.

Marluxia non si sarebbe intromesso. Era curioso di scoprire le capacità della ragazza (e la sua nomea di Ninfa Selvaggia).

«Distruggiamo il villaggio» aveva suggerito una volta fuori dalla nave. «E il ragazzo volante uscirà fuori».

Lei si sarebbe occupata di scatenare il panico. Lui di eliminare Peter Pan. Niente di più di facile.

Una saettà fluì dal braccio di Larxene. I coltelli, chiamati a raccolta, vibravano nervosamente tra le sue dita. Poi un lampo, una luce accecante, brillò sull’Isola che non c’è.

Il primo fulmine che si abbatté sul villaggio non lo vide nessuno, neanche Marluxia. Subito dopo seguì un boato assordante e il totem scoppiò in mille schegge infuocate che sfrecciarono come proiettili.

Le urla furono soffocate da una seconda saetta che bruciò altre tende. Marluxia intravide la sua compagna tra le fiamme, perfettamente a suo agio in mezzo a quell’inferno.

Una colonna di fumo densa e grigia si alzò dall’accampamento. Marluxia studiò il cielo fino all’orizzonte, ma di Peter Pan nessuna traccia; solo il tramonto ricambiò il suo sguardo, mentre moriva in mare, rosso come il fuoco che bruciava intorno a lui.

Gli ricordò Agrabah, la sua prima missione: non fosse stato per Axel e i suoi chakram, sarebbe morto carbonizzato.

Già, Axel… lui e il suo amico Saïx godevano di una posizione fortunata all’interno della gerarchia. La zona grigia, come la definiva Marluxia: a metà tra fondatori e nuove leve. Una posizione strategica di cui erano consapevoli, soprattutto Saïx.

Ma perché rimarcare continuamente la loro ubicazione?

Scoprire i misteri del cuore era l’obiettivo principale dell’Organizzazione, una missione che davvero li univa tutti sotto un’unica bandiera?

No, pensò Marluxia. Perdiamo il cuore ma non la nostra natura miserabile e opportunista. Questa è l’unica verità.

«E ognuno di loro striscia disperatamente verso un secondo scopo».

Allora guardò Larxene, totalmente assorta nella sua euforia distruttiva, e si chiese quale fosse il vero obiettivo della sua compagna… difficile da dire, ma per un attimo gli piacque credere che fosse davvero così, come appariva in quel momento: un cane sciolto pronto a eliminare tutto.

Qualcosa però attirò la sua attenzione, una piccola sagoma che scappava tra le fiamme.

Marluxia si avvicinò e una ventata di petali di rose spense una parte dell’incendio.

Non si era sbagliato. Una ragazza, di sì e no quattordici anni, si gettò a terra tossendo violentemente.

«Chi sei?».

Ma aveva inalato troppo fumo per riuscire a rispondere.

«Che diavolo succede?» domandò Larxene, offesa dall’intervento del suo compagno.

«Credo che così possa bastare» tagliò corto Marluxia, poi si piegò sulle ginocchia e con l’indice sollevò delicatamente il mento della ragazza.

«Come ti chiami?».

Silenzio.

Marluxia pensò che da un momento all’altro sarebbe scoppiata a piangere, poi sembrò farsi coraggio e balbettò il suo nome.

«Giglio Tigrato?» ripeté Larxene con una risata. «Che razza di nome è?».

Marluxia le fece cenno di smettere, poi guardò la ragazza. «Dimmi, Giglio Tigrato. Dove trovo Peter Pan?».

Silenzio.

Alcune saette tremarono dalle mani di Larxene. «Allora?» tuonò.

In un attimo gli occhi di Giglio Tigrato brillarono di una nuova luce. Marluxia si accorse che la ragazza guardava il cielo e non più loro; lentamente un sorriso le si disegnava sul viso.

«Peter… ».

Marluxia si voltò e vide una sagoma nera ferma al centro del cielo: il re dei bimbi sperduti, il custode dell’Isola che non c’è troneggiava sopra di lui a braccia incrociate.

«Eccoti qua… » disse con un ghigno.

 

Peter Pan scese lentamente, illuminato dagli ultimi raggi del sole. «Siete stati voi a ferire Tootles?».

«Sono stata io» rispose Larxene alzando la mano come una scolaretta.

«E siete stati voi a far scoppiare quest’incendio?».

Larxene sorrise. «Sempre io» .

Peter Pan sguainò la sua arma, una piccola spada in acciaio con guardia a tazza, stretta e molto appuntita. «Allora è con te devo fare i conti».

Non fece in tempo a finire la frase che si trovò la falce di Marluxia a pochi centimetri dal naso.

«Eh no» fece il numero XI. «È con me che te la devi vedere».

Peter Pan indietreggiò con un salto ma Marluxia fu subito sopra di lui: strinse con forza l’elsa della sua Dalia e calò un fendente sul ragazzo che fermò il colpo con la spada.

Per essere così piccolo, aveva una forza immensa.

Peter Pan scivolò via e volò indietro. Marluxia lo vede scomparire tra le fiamme, quasi a prendere la rincorsa, poi piombò a tutta velocità su di lui.

Prima stoccata, seconda stoccata, terza stoccata.

Marluxia schivò con facilità tutti e tre i colpi; calcolò il tempo d’attacco, e prima della quarta stoccata riuscì ad afferrarlo per il collo. «Adesso basta».

Afferrò la Dalia, pronto al colpo di grazia, quando una sottile polvere dorata cadde sopra i suoi occhi.   

«Trilli!» esclamò Peter con un sorriso, poi approfittò del momento per liberarsi dalla presa e tirare un calcio a Marluxia.

Il numero XI scoppiò in un’esplosione d’ira e una bufera di rose si scatenò nell’accampamento. Le poche fiamme ancora vive morirono in pochi secondi, spegnendosi in un unico sospiro. Peter Pan provò a volare via, ma una colonna di vento lo schiacciò per terra.

Poi Marluxia calò la sua Dalia e questa volta l’agilità di Peter non lo prese alla sprovvista. Lo vide rotolarsi verso di lui con un movimento innaturale e… indicando qualcuno? L’acciaio della sua falce però fu più veloce e riuscì a ferirlo a una caviglia.

Marluxia sorrise. «Può bastare» si limitò a dire. Sollevò la mano e placò la tempesta.

«Come?» domandò Peter fermandosi. Galleggiava in aria con il fiatone. «Tutto qui?».

Marluxia gli indicò la gamba con la falce e in quel momento il re dei bimbi sperduti si accorse del sangue che gli fluiva dalla caviglia; una ferita superficiale, sembrò pensare, ma quando tutto gli fu chiaro, il numero XI lo guardò soddisfatto.

«Veleno!» esclamò Peter.

«Una mia creazione» rispose Marluxia. «Un liquido creato dalla coniina che si trova nelle cicute. Vedi, la conina agisce sui collegamenti nervosi, paralizzando uno a uno i tuoi muscoli. In parole povere, tra poco non volerai più in giro come prima».

Lo sguardo di Peter era indecifrabile.

«Qui dentro c’è l’antidoto del veleno» continuò Marluxia tirando fuori dal cappotto una boccetta di vetro. «Se farai il bravo e mi darai quello che voglio, forse potrai salvarti».

Peter trattenne una risata e lanciò un fischio lungo e stridulo. «Credi davvero che mi spaventi morire?».

Dai cespugli balzò fuori il ragazzo con le creste rosse. «Sei così preso dai tuoi fiori che non ti accorgi mai di niente eh» commentò con ironia. «Non lo ha detto anche la tua amica?».

Fu allora che Marluxia si accorse della piccola cerbottana che aveva in mano.

Si voltò di scatto e vide Larxene svenuta a terra: un piccolo dardo le aveva trapassato il cappotto, infilzandosi nel braccio. Si accostò a  lei e le toccò il polso per sentire il battito del cuore: un gesto così spontaneo quanto inutile.

«Cosa le avete fatto?» domandò sollevandola da terra.

«Come direbbe il tuo amico Uncino» disse Peter. «Ora siamo sulla stessa barca»

 

 

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Capitolo 5
*** Convalescenza (con Vexen & Demyx) ***


Convalescenza

(Compagni: Vexen & Demyx)

 

«Si riprenderà?».

Vexen strinse con più forza i polsi atrofizzati di Larxene. «Naturalmente» tagliò corto. «La crioterapia è ottima per sciogliere i muscoli».

La temperatura del laboratorio toccava lo zero Celsius e il respiro di Marluxia era freddo e denso come la bruma.

«Si sveglierà presto». La voce dello scienziato era assorta e impassibile, difficile capire cosa pensasse. «Qualche giorno di convalescenza e sarà come nuova».

«Bene» si limitò a rispondere Marluxia; annuì e fece per andare via.

«Aspetta!» lo bloccò Vexen sull’uscio del laboratorio. «Hai comunque disertato la missione, Marluxia». Silenzio. «Non te lo dimenticare».

Percepì alle sue spalle il ghigno soddisfatto del Freddo Accademico; non disse niente e uscì senza voltarsi.

 

Quello che successe dopo gli sembrò durare un’eternità: prima di tutto si buscò una lavata di capo da Saïx, poi Zexion gli rifilò una ramanzina sulle priorità dell’Organizzazione; passò di lì anche Xigbar che si fermò divertito a guardare la scena.

Una volta nelle sue stanze, Marluxia si affacciò alla finestra e tirò una lunga boccata d’aria. Si concentrò sull’aria rarefatta del Mondo che non Esiste, provando a fare il punto della situazione, chiedendosi come avesse fatto per due volte ad abbassare la guardia.

Dove aveva sbagliato? Perché aveva sbagliato?

Potevamo ucciderlo. Ci saremmo evitati altre seccature.

Le voce di Larxene gli rimbombava nelle orecchie, come se la ragazza fosse lì con lui. Marluxia le aveva risposto di seguire il piano di Xemnas, come da regolamento. Si chiese se forse, fin dall’inizio, non avesse avuto ragione lei.

 

Più tardi, qualcuno bussò alla porta. «Ti ho portato qualcosa da mangiare» strillò la voce di Demyx.

Marluxia gli rispose di entrare e lui non se lo fece ripetere due volte.

«Zuppa calda» disse appoggiando un piatto di brodaglia arancione sul tavolo. «Non è il massimo, lo so. Ma qualcosa devi mangiarla anche tu».

Marluxia riuscì a formulare un semplicissimo grazie, prima di tornare ai suoi pensieri.

Lui ricambiò con un sorriso, poi si fermò sull’uscio della porta, gli occhi verdi fissi su Marluxia, come chi aspetta il proprio turno per parlare.

«Che c’è?» tagliò corto il numero XI.

«Ecco, io… » cominciò Demyx con una punta d’imbarazzo. «Penso che tu abbia fatto una bella cosa a riportare Larxene indietro».

S’interruppe, quasi bruscamente, ma Marluxia gli fece cenno di continuare.

«So bene che gli altri fanno sempre i duri ma sono sicuro… che sotto sotto, la pensano come me».

«Tu dici, eh?».

«Certo» rispose con l’entusiasmo di un bambino. «Siamo una grande famiglia. Io, te, Larxene. Ci siamo tutti dentro».

Gesti, famiglia? Era un discorso ridicolo, ma Demyx sembrava crederci sul serio. Eppure le sue parole, per quanto patetiche, profumavano di una una sincerità calda e genuina. E Marluxia le apprezzò.

Si avvicinò al tavolo e annusò la zuppa. «Non sembra male».

«No, infatti» rispose Demyx con tono appagato, poi sorrise e fece per uscire.

Marluxia lo guardò allontanarsi maldestramente dalle sue stanze con il suo passo goffo e sereno. Provò pena per quella povera anima così gentile: in quel posto, non c’era spazio per quelli come lui.

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Capitolo 6
*** Roulette Russa (con Luxord) ***


Roulette Russa

(Compagno: Luxord)

 

«Cosa sono disposto a fare per la Perla?» domandò puntandosela alla testa.
Marluxia era pronto a vedere il cervello del capitano spappolato sul bancone.
«Per la Perla farei di tutto!».

 

«Tortuga!» esclamò Luxord appoggiando la mano sulla spalla di Marluxia. «Puoi abbassarti il cappuccio, caro mio. Qui nessuno ti direbbe niente anche se andassi in giro con la tua bella falce».

E non aveva torto. Quella città sembrava il posto giusto per chiunque volesse passare inosservato. Uomini che ballavano in mezzo alla strada, musica dai locali gremiti fino a scoppiare, prostitute abbracciate alla peggiore feccia che avesse mai visto. Tutti completamente ubriachi.

«Tortuga?» domandò Marluxia sconvolto da quel caos.

«Tortuga» ripeté Luxord assaporando ogni lettera di quella parola. «Se non venissi qui almeno una volta a settimana, mi sarei già sparato» concluse con un mezzo sorriso.

Marluxia notò che il compagno si faceva strada tra la folla con grande tranquillità, ogni tanto salutava qualcuno con un cenno del capo; una rissa scoppiò proprio davanti a loro e Luxord la superò senza neanche farci caso.

«Siamo quasi arrivati» disse puntando un edificio che traboccava di gente (anche i balconi sembravano vomitare persone).

Una volta superata la fiumana che entrava e usciva, Marluxia si concentrò sulla luce calda di quella bettola cercando di respirare. Luxord aveva ragione: in quel posto nessuno sembrava accorgersi di nessuno, neanche il guercio che serviva birra in fondo alla sala.

Il compagno gli cinse il braccio attorno al collo e Marluxia si sentì trascinato fino al bancone.

«Mastro Luxord!» urlò di gioia il guercio.

«Gull!» rispose lui con un sorriso.

«Qual buon vento?»

«Il solito vento, caro mio». Luxord si sedette al bancone e fece cenno a Marluxia di fare lo stesso.

«Ti vedo stanco» scherzò l’uomo. «Ti do un po’ d’acqua?».

Entrambi scoppiarono a ridere e Marluxia li guardò senza capire; Luxord cercò allora di ricomporsi.

«Ecco il nostro programma» si massaggiò la barba. «Due bicchieri di rum, tanto per cominciare, e appena il mio bicchiere è quasi vuoto ce ne dai altri due, e poi ancora due ogni cinque minuti, finché uno dei due non perde i sensi».

«Ottimo piano» rise il guercio.

«Per me niente» fece Marluxia.

Luxord gli lanciò un’occhiata divertita. «È il suo primo giorno a Tortuga. Diamogli tempo».

Il guercio annuì mostrando i denti marci e si allontanò verso le cantine.

«Allora» cominciò Luxord. «Dimmi un po’… come ci sei finito dentro?».

«Intendi l’Organizzazione?». Marluxia ci penso su. «Xigbar. Mi ha trovato lui».

«Non intendevo quello».

«E cosa intendevi allora?».

Luxord rise. «Come hai perso il cuore?».

Il guercio sbatté tre tumbler bassi sul bancone e li riempì fino all’orlo di rum; poi ne afferrò uno, Luxord fece lo stesso. Marluxia esitò ma infine eseguì il gesto come gli altri due.

«Al cuore!» brindò il numero X guardando il suo compagno.

Marluxia esitò, poi abbozzò un mezzo sorriso. «Al cuore!».

Il guercio sembrò non capire, non che gli importasse, quindi trangugiò in un sorso il rum e tornò al suo lavoro.

«Allora?» domandò Luxord dopo aver bevuto. «Come è successo?».

«È una lunga storia» tagliò corto Marluxia .

«Che immagino tu non abbia voglia di raccontare». Luxord giocava con il suo bicchiere. «Non sei uno che parla molto, vero?».

«Solo quando è necessario».

«Pensa che noia» sbuffò, poi qualcosa attirò la sua attenzione e si fece subito serio. «Il pirata è qui».

Marluxia si accorse della figura che si avvicinava a loro: camminava storto, come se scivolasse sui suoi stessi passi. «Lo vedo» disse.

«Bene» fece Luxord. «Adesso lascia parlare me».

 

L’uomo, un pirata travestito da galantuomo, sosteneva di aver perso la sua nave per colpa di un ammutinamento. Una versione drammatica quanto ridicola.

«So già la tua storia, Sparrow». commentò Luxord finendo il sesto bicchiere. «So tutto quello che c’è da sapere sulla Perla. Anche quello che tu vorresti sapere».

«E immagino che per saperlo, io debba darti la mappa per la serratura» l’uomo riusciva a puzzare di rum anche senza aver bevuto. «Corretto?».

Luxord annuì.

«E ditemi» continuò Sparrow fissandoli entrambi. «Perché v’interessa così tanto questa serratura?».

Nessuno dei due seppe cosa dire e il frastuono della gente fu l’unica risposta.

«Lavorate per qualcuno che non vi dice nemmeno che cosa state cercando». Sparrow si toccò i lunghi baffi e accennò un sorriso. «Cosa siete, seppie di mare… semplici molluschi?».

«Ci stai facendo perdere tempo» s’intromise Marluxia. «Facciamo questo scambio o no?».

Sparrow prese in mano il suo tumbler e finì il rum. «Capitan Barbossa e la sua ciurma d’imbecilli salpano da Isla de Muerta. Quindi, mio caro mastro quel che sia, non ho bisogno del tuo aiuto. So già tutto ciò che c’è da sapere sulla Perla, comprendi?».

Il guercio versò altro rum nel bicchiere di Luxord che adesso fissava Sparrow divertito. «Facciamo un altro brindisi» disse con tono solenne. «Anche tu, Marluxia». Levò in alto il bicchiere, senza staccare lo sguardo dal capitano. «A Bill Turner!». E mandò giù tutto d’un sorso.

Quel nome sembrò congelare il corpo Sparrow e l’aria intorno a loro; il capitano non riuscì neanche a portare il bicchiere alle labbra. «Come conosci Sputafuoco?».

Adesso era Luxord a condurre il gioco. «Dammi quello che voglio e ti dirò tutto quello che so su Sputafuoco Bill Turner… e su suo figlio William».

Ci fu un lungo silenzio, un tempo indeterminato in cui entrambi studiarono la reazione di Sparrow; poi quel nome sembrò scivolargli addosso, si aggiustò il cappello e tornò sul rum. «Continuo a non credervi».

«Ti piace giocare eh» Luxord rise e tirò fuori una rivoltella e un proiettile dal suo cappotto. Che diavolo aveva in mente?

Sparrow lo guardò divertito. «Figliolo, spararmi non ti dirà dove si trova la serratura».

«Conosci la roulette russa?» domandò il numero X caricando l’arma. «È un gioco piuttosto semplice: infili i proiettili in una pistola, non importa quanti, l’importante è che ci sia sempre una camera vuota. Poi ruoti il tamburo… e te la punti alla testa».

«E poi?».

«E poi, amico mio… premi il grilletto».

«Perché dovrei giocare a una cosa così stupida?» domandò Sparrow.

Luxord fece ruotare il tamburo della pistola e se la puntò alla testa. «La verità è come un gioco, Sparrow. Più valore dai al tuo piatto, più le tue parole saranno sincere. Ecco cosa sono disposto a fare per farti credere alle mie parole».

Ci fu un lungo silenzio.

«E tu, invece. Cosa sei disposto a fare per riavere la tua Perla?».

CLICK!

Non ci fu nessuno scoppio e Luxord poggiò la pistola sul tavolo con un sorriso. Lo sguardo di Sparrow era indecifrabile, fece un respiro profondo e afferrò l’arma con cautela.

«Cosa sono disposto a fare per la Perla?» domandò puntandosela alla testa.

Marluxia era pronto a vedere il cervello del capitano spappolato sul bancone.

«Per la Perla farei di tutto!».

CLICK!

Sparrow sorrise mostrando i denti d’oro.

«Tocca a te» disse passando l’arma a Luxord.

Il numero X fece girare di nuovo il tamburo e preparò la pistola. «Passami il rum» disse al compagno.

Fece per passargli il bicchiere ma Luxord lo fermò.

«Dammi la bottiglia» disse. «Se proprio devo morire, voglio essere completamente ubriaco» rise, e solo in quel momento il numero XI si accorse che tutta la bettola si era fermata a guardarli; afferrò la bottiglia dal bancone e la passò a Luxord che se ne scolò metà.

«Perché lo fai?» domandò Marluxia.

Il compagno lo guardò, si puntò la pistola alla testa e fece un lungo respiro.

CLICK!

La camera di scoppio era vuota; gli occhi azzurri gli brillarono. «Ognuno fa quel che può, amico mio».

Fu il turno di Sparrow che afferrò l’arma, chiuse gli occhi e se la puntò alla testa; la mano gli tremava e Marluxia avvertì un brutto presagio: qualcosa gli diceva che quel colpo sarebbe stato l’ultimo.

«Perché vuoi così tanto quella nave?» chiese Luxord all’improvviso.

Sparrow riaprì gli occhi, spiazzato da quella domanda. «Perché la voglio?».

Marluxia intuì che la mente del capitano stava viaggiando attraverso la sua memoria fino a un punto preciso del passato. Se il proiettile lo avesse trafitto adesso, sarebbe uscito dal cranio trascinando come una cometa la sua coda di ricordi e speranze, senza lasciargli tempo per ricordare altro, cose molto più importanti di quello specifico momento che adesso si era fermato lì, al centro del suo cervello, nitido e immobile come una fotografia.

Mostrò i denti d’oro e guardò Luxord, pronto a fare la sua mossa. «Perché la Perla mi ha salvato la vita». Per un attimo il battito del suo cuore fu così forte e vivo che si sarebbe percepito anche in mezzo a una tempesta.

Poi prese la pistola.

Puntò la sua testa.

Sorrise.

E sparò.

BOOM!

Fu un attimo, un movimento impercettibile, una carta era volata dalla mano di Luxord e aveva colpito la pistola che cadendo a terra aveva fatto partire il proiettile, seccando un vecchio specchio in fondo alla sala. Nessuno, eccetto Marluxia, si era accorto di niente.

Tutta la bettola guardava Sparrow in silenzio, sorpresi che fosse ancora in vita; poi Luxord afferrò la sua carta e la girò: sopra c’era scritto William Turner e il nome di una città, Port Royal.

«Lì troverai il figlio di Sputafuoco Bill, la chiave per ottenere quello che vuoi».

Sparrow afferrò la carta e sorrise, poi dal suo cappotto tirò fuori la mappa.

«Ecco il tuo premio» disse. «Hai vinto!».

Luxord la prese e si voltò verso Marluxia. «Mi dai una mano?» domandò esausto. «Sono completamente ubriaco».

Marluxia lo afferrò per una spalla e fece strada verso l’uscita.

«Perché lo hai salvato?» gli domandò una volta fuori dalla bettola.

Luxord gli lanciò un’occhiata. «E tu perché hai salvato Larxene?».

Il numero XI restò in silenzio poi con la mano aprì un corridoio oscuro.

«Ah» fece Luxord trattenendo una risata amara. «Se te lo stavi chiedendo, è così che ho perso il cuore».

 

 

 

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Capitolo 7
*** Stelle (con Zexion & Larxene) ***


Stelle

(Compagni: Zexion & Larxene)

 

«Dov’è Luxord?»

«È con Saïx» rispose Marluxia «Sta facendo rapporto».

Zexion si fermò di fronte alla grande vetrata del suo studio, il volto illuminato dai neon dei grattaceli. «E la mappa?» domandò senza voltarsi.

La sua scrivania brulicava di libri e fogli ammucchiati; Marluxia fece attenzione a posarla nell’unico spazio libero. «Eccola qui».

Mentre Zexion la esaminava sotto il lume di una candela, Marluxia studiava quella strana biblioteca buia che il numero VI chiamava studio: un tempio di libri che si accatastavano uno sopra l’altro e ti fissavano da ogni punto della stanza; con quel buio, sembrava che lo studio fosse pieno di gente.

Si chiese come facesse a passare gran parte delle sue giornate lì dentro.

«Mi concentro meglio senza luce» rispose senza staccare gli occhi dalla mappa.

Per un attimo credette che gli avesse letto nel pensiero, ma poi capì di non essere il primo ad averlo pensato.

«Bene» disse infine. «Con questa siamo a dieci» arrotolò la mappa e la sistemò accuratamente in cima ad altre scartoffie, poi tornò a guardare fuori dalla grande vetrata che dominava sul Mondo che non Esiste. «Dovresti ringraziare Xigbar».

Marluxia lo fissò senza capire.

«Abbiamo dovuto mandare lui a sistemare i tuoi errori sull’Isola che non c’è».

La fiamma della candela tremò.

«Errori?» ripeté Marluxia. «Contrattare con Uncino. Andare a caccia di bambini volanti!» sbatté la mano sulla scrivania. «Gli unici errori sono state le vostre indicazioni».

Le sue parole riecheggiarono per tutto lo studio prima di svanire in un lungo silenzio.

«Come, prego?»

L’occhio del numero VI si piantò su di lui e lo trapassò come una freccia. «Stai dicendo che le direttive del Superiore sono sbagliate?».

«In questo caso sì».

Zexion accennò un sorriso aspro. «Trovo buffo credere che abbiamo qualcosa in comune Marluxia». Si massaggiò il mento. «Xemnas ha fatto il tuo nome per una missione molto importante che sta preparando».

«Quindi?» tagliò corto Marluxia.

Di colpo si fece serio. «Gli ho detto esattamente quello che hai detto tu: che sta facendo un errore»

«Penso che»

«Tu non devi pensare» lo interruppe Zexion. «Tu devi fare quello che ti dico io, hai capito Marluxia?».

Un corridoio oscuro si aprì al centro della stanza.

«Quante volte ti ho detto di non entrare così nel mio studio» disse Zexion senza staccare gli occhi da Marluxia. «Eh, Xigbar?».

«Scusami, amico». L’occhio dorato s’illuminò alla vista del Leggiadro Sicario. «Avrei bussato, se avessi saputo d’interrompere qualcosa».

«Che vuoi?» tagliò corto Zexion. «Non vedi che sono impegnato?».

«Xemnas vuole parlarci» poi guardò Marluxia. «Potete fare i fidanzatini anche dopo eh. Adesso però dobbiamo andare».

La voce di Xigbar celava la serietà delle sue parole, come se nascondesse l’importanza di quell’incontro. Marluxia lo intuì, ma continuò a guardarli facendo finta di niente.

«Di che si stratta?» domandò Zexion.

Xigbar lanciò un’occhiata severa al numero VI: era chiaro che quell’informazione non andava rivelata così, davanti a una nuova leva. «Stelle, caro mio» disse infine.

Silenzio.

Zexion sembrò intuire la gravità del messaggio. «Andiamo» disse, e sparì in una fiammata oscura.

Xigbar incrociò lo sguardo di Marluxia. «Che bravo ragazzo, vero?».

E quando sparì anche lui, il silenzio piombò in quel cimitero di carta.

 

Tornando verso gli alloggi, Marluxia meditò su quale potesse essere la ragione di quell’incontro così urgente; ripensò alle parole di Xigbar: stelle, aveva detto, ma per quanto provasse a sforzarsi, quella parola non gli diceva niente.

Forse si trattava di qualche linguaggio segreto, un codice incomprensibile per le nuove leve (qualsiasi cosa fosse però cominciava a fargli venire un gran mal di testa).   

Una volta nelle sue stanze, si disse di aver raggiunto la sua soglia di tolleranza per quella giornata quanto a parole e ipocrisia; chiuse la porta a chiave e si allungò per stendersi sul…

«Perché il tuo letto è più comodo del mio?».

Per poco non ebbe un sussulto.

«Il mio sembra fatto di pietra, fa schifo».

«Che ci fai qui Larxene?».

La ragazza si sedette a gambe incrociate sul letto; indossava ancora il camice da degenza e sulle braccia Marluxia notò due grossi cerotti.

«Ho bisogno di un favore».

Le sue guance ardevano di un colorito intenso, così come i suoi occhi, forse per una febbre leggera.

«Dovresti riposare».

La ragazza alzò gli occhi al cielo. «Dovresti riposare» disse imitando la voce di Marluxia. «Ti ringrazio, ma so badare a me stessa».

«Come vuoi» tagliò corto «Che ti serve?».

«Niente di che… » rispose con finta innocenza. «Solo un corridoio oscuro per l’Isola che non c’é». Aprì la mano per crearne uno, ma non successe niente. «Vedi, sono ancora troppo debole».

«Vuoi andare a uccidere il bambino che ti ha avvelenato?».

Larxene aveva annuito. «Non ti facevo così sveglio».

«E perché lo chiedi proprio a me?» domandò Marluxia. «Non voglio più avere a che fare con quel mondo e con quella missione».

«Non c’è nessuno in giro» brontolò lei. «Sei l’unico che ho trovato».

Marluxia si avvicinò alla finestra della sua stanza. I grattacieli del Mondo che non Esiste sembravano minuscoli dalla loro fortezza volante. «Sono in riunione» precisò duramente.

«In riunione?» ripeté Larxene. «E perché non siamo stati invitati?».

«È quello che vorrei sapere anche io».

La ragazza si stiracchiò; la cosa sembrò scivolarle giù senza troppa importanza. «Saranno le solite idiozie che si dicono tra di loro» minimizzò con ingenuità.

«Stavolta non credo» disse Marluxia (con una nota di preoccupazione).

«Le cose sono più semplici» insisté Larxene. «Non si fidano di noi o non gli piacciamo» scese dal letto e lo raggiunse alla finestra. «O magari entrambe».

«Sembra che la cosa ti piaccia».

La ragazza si affacciò e guardò il cielo con occhi nuovi (con innocenza, avrebbe giurato Marluxia) ma subito un sorriso aspo le si disegnò agli angoli della bocca. «Chissà. Forse devo ancora capirlo».

Si voltò anche lui a contemplare la notte. Kingdom Hearts sbucò da un velo di nubi e dipinse il Mondo che non Esiste con i suoi colori spenti: il grosso cuore gli ricordò una faccia, una di quelle che nessun amante desidererebbe guardare; una regina che osserva divertita l’affanno dei suoi XIII servi che dominano il mondo.

Pochi istanti dopo una luce balenò nel buio e una stella scomparve nell’oscurità.

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Capitolo 8
*** La Fortezza Oscura (con Xigbar, Saïx & Axel) ***


La Fortezza Oscura pt.1

(compagni: Xigbar, Saïx & Axel)
 

Quella sera, ho potuto vedere molte comete in cielo.
…che c'entri con il fatto che ho aperto quella porta?

Diario di Ansem 5

 

Marluxia scandiva a occhi aperti il trascorrere delle ore; con lo sguardo fisso nell’oscurità non smetteva di chiedersi cosa stesse accadendo al cielo. Lui e Larxene non avevano trovato risposte, ma erano giunti alla conclusione che qualcosa d’imponente e inarrestabile stava per succedere.

Poi lei si era addormentata sul suo letto e lui era ritornato a contemplare la notte dalla finestra (sperando di trovare qualche risposta o almeno il sonno).

Quando verso le prime ore del mattino, la porta della sua stanza si spalancò, Xigbar non fu sorpreso di trovarlo già sveglio: lanciò un’occhiata alla ragazza che dormiva profondamente poi fece cenno a lui di raggiungerlo nella sala comune; sul suo labiale, Marluxia decifrò la parola «Muoviti».

 

Ad aspettarlo, trovò Saïx con lo sguardo assorto e le braccia incrociate.

«Che succede?» domandò Marluxia.

«Missione speciale» commentò Axel con un sorriso: era stravaccato sul divano, i piedi appoggiati sopra il tavolino.

Saïx lo squadrò con impassibile curiosità. «Tra un’ora io e Axel incontreremo Malefica, la sovrana della Fortezza Oscura».

«Sarà un incontro istituzionale, una noia assoluta» aggiunse Axel. «Ci saranno anche i suoi soci, suppongo anche Jafar… » e lanciò a Marluxia un’occhiata di complicità.

«L’incontro con Malefica sarà in realtà soltanto una copertura per la nostra vera missione».

«Ed è qui che entri in gioco tu» aggiunse Axel. «Xigbar ha scoperto che Malefica ha un nuovo protetto, un piccolo prodigio nell’utilizzo delle arti oscure».

«Quindi?» tagliò corto Marluxia. «Che cosa devo fare?».

«Ci servono informazioni».

«Che tipo d’informazioni?».

«Di qualsiasi tipo» rispose Saïx.

«Ho capito» rispose Marluxia con distacco. «Ma questo che c’entra con la creazione di Kingdom Hearts?».

Quella domanda non sembrò spiazzarli: forse si aspettavano una reazione del genere; si lanciarono uno sguardo d’intesa, poi annuirono all’unisono.

«Sospettiamo che il ragazzo sia un custode del Keyblade».

Un brivido si arrampicò lungo la schiena di Marluxia. «Sospettate?» non credeva ancora alle sue orecchie. «Ha il keyblade o no?».

«Sarà quello che scopriremo noi» commentò Xigbar dall’ingresso della sala comune, poi si avvicinò ai tre. «Sarà un gioco da ragazzi».

«È fondamentale che nessuno si accorga di voi» Saïx li guardò entrambi con impassibile rigore. «Malefica sa che ci muoviamo in coppia… ».

«E finché saprete muovervi nell’ombra, non sospetterà della vostra presenza all’interno del castello» commentò Axel tornando in piedi. «Lo avete memorizzato?».

Marluxia annuì. Non tollerava quei due, ma il piano funzionava e bisognava riconoscerglielo: la presenza di Saïx avrebbe ufficializzato l’incontro e non avrebbe destato sospetti alla strega; così avrebbe avuto la Fortezza Oscura alla sua mercé (e il custode del Keyblade, naturalmente).

Un corridoio oscuro si materializzò davanti a loro. «Ci sono altre domande?».

Nessuno rispose.

«Bene». Saïx guardò a lungo Marluxia poi avanzò tra i flussi oscuri. «Confido sulla vostra discrezione».

«… e sulle vostre abilità» aggiunse Axel, prima di raggiungere il suo compagno e sparire anche lui.

Xigbar accennò un sorriso. «Odio come quei due si completano le frasi a vicenda».

Marluxia non disse niente; alzò il cappuccio e aprì un secondo portale oscuro. Forse le domande di quella notte stavano per trovare una risposta. «Andiamo» disse.

 

La Fortezza Oscura

 

Xigbar si guardò attorno compiaciuto. «Questo posto ha vissuto giorni migliori».

E non aveva torto: quel posto cadeva a pezzi. I muri, i pavimenti, le finestre, tutto. Solo le tubature arrugginite sembravano l'ultimo appiglio del castello per non sbriciolarsi su stesso.

«Intendi i tuoi di giorni?».

Xigbar colse l'ironia del compagno e accennò un sorriso. «Allora anche il nostro ragazzo qui ha un po' di senso dell'umorismo».

Per un attimo si respirò un’aria più distesa; quel posto che Xigbar chiamava casa doveva essergli mancato; poi il passato sembrò allontanarsi dai suoi ricordi. «Andiamocene da qui» si voltò verso il compagno. «Siamo troppo in bella vista».

Una cascata di petali di rose cadde dolcemente sopra i due. «Non ti preoccupare». Marluxia chiuse gli occhi lasciandosi inebriare dal profumo intenso dei suoi fiori. «L’odore delle mie rose confonderà i sensi di chiunque si avvicinerà. Saremo praticamente invisibili».

Un petalo si posò delicatamente sulla mano di Xigbar. «Sei sempre pieno di sorprese, eh?».

In quelle parole Marluxia avvertì più timore che entusiasmo, ma si sforzò comunque di sorridergli.

«I miei Cecchini mi hanno detto che il ragazzo si allena ogni giorno nel Santuario» cambiò discorso e guardò la scalinata che s'immergeva nel buio della Fortezza. «Proseguiamo».

Scesero fino a un lungo labirinto angusto di corridoi: l’umidità dei muri risucchiava l’aria attorno a loro; a ogni passo, Marluxia si sentiva più spossato. Poi Xigbar sembrò seguire la sorgente di una piccola corrente d’aria; di colpo il corridoio terminò sopra un gigantesco balcone.

Xigbar si affacciò con un sorriso: un paesaggio azzurro e dimenticato si allungava sotto di loro fino all’orizzonte. «Da qui facciamo prima» si arrampicò sulla balaustra e si gettò di sotto; Marluxia non fece in tempo a capire cosa fosse successo, si sporse dalla balconata e vide il suo compagno risalire lentamente sopra una piattaforma mobile.

«Questa stupida funivia funziona ancora» commentò Xigbar con una risata «Incredibile, vero?»

Marluxia si fermò a studiare l’integrità di quella struttura così antica; poi ci saltò su e fece cenno di proseguire.

 

La funivia costeggiò le mura del castello, si arrampicò su un imponente tubo di bronzo fino ad arrivare davanti a un ingresso laterale.

«Ci siamo» disse Xigbar; stava per entrare quando Marluxia lo spinse contro il muro, coprendogli la bocca con la mano.

«Ma che stai fac… » provò a mugugnare.

Ma quando il numero II si accorse dell’impercettibile brusio che giungeva dall’oscurità, tutto gli fu chiaro: qualcuno stava per arrivare. Si appiattì contro il muro, l’occhio fisso sull’ingresso e la mano pronta a evocare la sua pistola.

Alle sue spalle, Marluxia percepì i soci di Malefica passargli accanto: il profumo dei suoi fiori li rendeva impercettibili, ma qualcuno di loro avrebbe potuto accorgersi del trucco.

Infatti fu proprio Jafar a fermarsi e a guardarsi intorno.

«Che stai aspettando?» domandò un grosso sacco di vermi saltando sulla funivia.

«Aspettate!». Lo stregone chiuse gli occhi e annusò l’aria con attenzione (la sua memoria olfattiva viaggiava a ritroso alla ricerca di quell’odore).

Marluxia percepì un fremito: guardò Xigbar che gli fece capire di essere pronto a ucciderli tutti. La voce di Saïx però gli rimbombò in testa. Discrezione. Già… discrezione; era arrivato fin lì per trovare il custode del Keyblade… non per uccidere una manciata di balordi, non per fallire un’altra missione.

Jafar si voltò verso di loro, aguzzò la vista e cominciò ad avvicinarsi lentamente e con sospetto.

Un passo.

Xigbar sorrise: sembrava aver deciso di spingere via il suo compagno ed eliminarli uno a uno.

Un altro passo.

Marluxia lo fulminò con lo sguardo: da sotto il cappuccio i suoi occhi blu furono intransigenti.

Un altro passo.

Non.

Un altro passo.

Ti.

Un altro passo.

Muovere.

Ormai Jafar era davanti loro: fissava il vuoto con aria perplessa (non sapeva di avere Marluxia a un dito di distanza).

Xigbar allora invocò silenziosamente uno dei suoi Tiratori Scelti, poi il suo braccio si alzò come un ponte levatoio e la canna della pistola fu a un soffio dalla testa dello stregone.

Silenzio.

Il dito si piegò sul grilletto.

Un istante interminabile.

Solo un’altra mossa e…

«E muoviti Jafar!» urlò il sacco di vermi. «Il Babau non perderà altro tempo in questo ridicolo castello».

Jafar sbuffò e si voltò verso i suoi compari. «Arrivo, arrivo, razza d’idiota».

Restarono immobili fino a quando non furono di nuovo soli.

Poi Marluxia afferrò Xigbar per il cappotto. «Stavi per far saltare la copertura».

«Casomai» rispose il numero II. «Stavo per fargli saltare la testa»

«Lo trovi divertente?».

Xigbar lo spinse via. «Abbassa le mani, numero undici!» tuonò con autorità.

Marluxia digrignò i denti provando a controllarsi, quando un potente boato seguito da uno scoppio fortissimo fece tremare l’intero castello.

«Cosa è stato?».

La loro diatriba passò subito in secondo piano e Xigbar scoppiò a ridere. «È il suono che la nostra missione è appena cominciata».

Una seconda esplosione squarciò il muro del castello e una sinfonia di finestre in frantumi suonò sulla Fortezza Oscura.

«Questo, caro mio… ». Xigbar si levò il cappuccio e caricò i suoi Tiratori. «È il ruggito di un drago!».

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Capitolo 9
*** La Fortezza Oscura - Parte 2 (con Xigbar, Saïx & Axel) ***


La Fortezza Oscura pt.2

(Compagni: Xigbar, Saïx & Axel)


... e mi troverai, amico mio. Nessun oceano ci costringerà all'addio.
Nessun ostacolo ti potrà fermare mai. Se coloro che ami proteggerai.

La cerimonia di passaggio tra Terra e Riku.

 

«Malefica sta chiamando i rinforzi».

All’orizzonte, Marluxia aveva notato un gigantesco stormo di Wyvern volare verso la Fortezza Oscura. «Dobbiamo andare ad aiutare Axel e Saïx».

«Devi rilassarti» rispose Xigbar con un mezzo sorriso. «Non è mica un caso se abbiamo scelto di agire a quest’ora».

Marluxia si voltò verso il tramonto e capì: «Saïx… ».

Tra poco il sole avrebbe lasciato il posto alla luna; a quel punto, ogni loro nemico sarebbe stato in pericolo.

«Non lascia niente al caso, eh?» commentò Xigbar combinando le pistole in un unico fucile. «Non vorrei essere lì quando perderà la testa» poi puntò l’arma verso le torri del castello e avvicinò l’occhio al mirino.

BOOM!

Una terza esplosione scoppiò in uno dei cortili della Fortezza (seguita dal ruggito mostruoso del drago), ma il numero II non sembrò accorgersi di niente. «Su… vieni fuori» continuava a ripetere come una cantilena. «Vieni fuori… ».

Poi Marluxia notò alcuni Shadow materializzarsi sui merli del castello; l’aria cominciava a impregnarsi di zolfo e l’effetto ipnotico dei suoi fiori stava svanendo, ma non si preoccupò: le antenne degli Heartless erano concentrate sulla battaglia di Axel e Saïx.

«Ti ho trovato!» esclamò Xigbar e fece cenno al compagno di dare un’occhiata.

Marluxia si avvicinò al mirino e dalla lente vide un giovane sulla quindicina, un ragazzo dai capelli argentati che guardava lo scontro dal cammino di ronda più alto. «Lo vedo».

«Bene» tagliò corto Xigbar. «Andiamo a prenderlo».

Studiò la ragnatela di tubature che si arrampicava sulla fiancata del castello: corse verso la balaustra e saltò sopra a una gru arrugginita. «Stammi dietro» urlò. «Conosco una scorciatoia più veloce».

Marluxia annuì, prese la rincorsa e saltò senza badare al vuoto sotto di lui; atterrò con eleganza accanto a Xigbar, che gli concesse un’espressione di sincero stupore.

Poi cominciarono la loro scalata e Marluxia si scoprì sorpreso di come il compagno riuscisse a intravedere ogni sporgenza sul muro della Fortezza: si domandò se Xigbar andasse a memoria, se avesse già utilizzato quella strada in passato (e perché tanti anni fa avesse avuto bisogno di una scorciatoia nascosta, così pericolosa, per muoversi in casa sua).

«Ci sei, raggio di sole?». Xigbar gli lanciò un’occhiata divertita da un merlo più in alto.

Marluxia annuì, in bilico su una bertesca, poi spiccò un salto e il compagno gli afferrò la mano aiutandolo ad arrampicarsi.

«Che ne dici? Ti piace la vista da quassù?»

Improvvisamente un fortissimo vento bollente lo appiattì contro il muro; si voltò in direzione dello scontro ma una densa coltre di fumo gli impedì la vista.

«Malefica!».

«Malefica?» ripeté Xigbar con una risata. «Questi sono i ragazzi che si difendono».

Respirò la tempesta di fuoco che si sollevava sul castello e percepì l’impatto travolgente del Claymore di Saïx: no, non riusciva a credere che l’attacco concatenato dei due avesse un così ampio raggio di azione.

«Non distrarti, Marluxia» lo riprese Xigbar. «Concentrati sulla nostra missione».

 

Arrivarono sul cammino di ronda, ma non c’era più traccia del ragazzo. Marluxia si guardò intorno (non poteva essere andato lontano) quando notò un grosso poliedro luminoso accanto alla balaustra; lo sfiorò con la mano e un ingresso segreto si aprì nel muro.

«Questa mi è nuova» commentò Xigbar.

Imboccarono così uno stretto corridoio illuminato da alcune vetrate spalancate. I drappeggi di velluto verde, tremavano nell’alito di vento caldo che entrava dalle finestre aperte; c’era una porta sulla sinistra, un uscio di quercia massiccia e rinforzi d’ottone che non sembrava chiusa del tutto.

«Non perdiamo tempo» lo esortò Xigbar, ma qualcosa non li convinceva.

Marluxia invocò la sua Dalia, aprì la porta ed entrò in una piccola stanza adibita a camera da letto: dentro non c’era nessuno. Eppure era sicuro di sentire qualcosa…

Avanzò di un paio di passi, quando si accorse del ragazzo riflesso sull’acciaio della falce: era nascosto dietro la porta, pronto ad attaccarli con la spada che brandiva tra le mani (e non con un Keyblade).

Marluxia lo lasciò fare e quando il ragazzo si lanciò all’assalto, la lama affondò in una cascata di fiori; Xigbar allora ne approfittò per bloccargli il braccio. «Dove credi di andare, Riku?» esclamò con un sorriso.

Il ragazzo fece perno sul numero II per tirarlo a sé e piazzargli un calcio dritto sullo stomaco; poi con la mano aprì un varco oscuro e ci si tuffò dentro.

«Vallo a prendere!» ordinò a Marluxia, che riuscì a entrare prima che le spire chiudessero il passaggio.

Si trovò così’ di fronte all’imponente santuario del Castello. Davanti a lui, Riku stava scappando verso un secondo corridoio oscuro; Marluxia non esitò, lanciò la sua Dalia contro le gambe del ragazzo che terminò quella noiosa fuga contro il marmo del pavimento.

«Sei o non sei il Custode del Keyblade?» domandò avanzando verso di lui.

Riku provò a strisciare via ma il numero XI gli fu subito sopra; lo afferrò per i capelli costringendolo a incrociare i suoi occhi.«Sei o non sei il Custode del Keyblade?».

«No» digrignò tra i denti.

Il cuore del ragazzo batteva dalla rabbia, torturato dal divario di potenza tra i due. Eppure, nascosta in quella furia oscura, Marluxia percepì una scintilla, una luce calda e orgogliosa (come un bagliore, simile a quello che raramente riuscivi a scorgere negli occhi del Superiore).

Per un attimo gli sembrò che qualcosa di antico e profondo unisse Xemnas e il ragazzo.

Riku approfittò di quel momento per liberarsi dalla presa di Marluxia: si voltò verso l’unica via d’uscita ma intuì presto che era troppo lontana. Allora guardò il numero XI e invocò la sua Animofago.

Il Leggiadro Sicario raccolse la sua Dalia con un sorriso.

«Chi sei?» domandò Riku sollevando la spada . «Che cosa vuoi da me?».

Un fendente della sua falce fu la risposta: il ragazzo riuscì a evitarlo e provò un affondo con la spada che annegò invano in una raffica di fiori. Marluxia apparve alle sue spalle, circondato da un’accecante aura rosa: aprì le braccia e una colonna d’aria travolse in pieno Riku trascinandolo contro il soffitto e lasciandolo cadere a peso morto.

Subito un’ondata di Shadow si materializzò per difendere il ragazzo stremato a terra.

«Saïx ha ragione» commentò Marluxia; gli Heartless si lanciarono su di lui ma li distrusse tutti con un colpo della sua Dalia. «Il tuo controllo sulle forze oscure è notevole».

Riku gli saltò addosso, sguainando la spada con rabbia e frustrazione; Marluxia schivò con eleganza la sua collera e lo colpì al ginocchio con l’impugnatura della sua Dalia.

Il ragazzo quasi inciampò ma si appoggiò sulla mano e con una capriola tornò subito alla carica.

Caricò un fendente, poi un secondo.

Ma la spada ferì solo il cappotto.

«Sei troppo lento» la Dalia roteò nella mano di Marluxia che colpì Riku con tutta la sua forza scaraventandolo contro l’altare in fondo alla sala.

Una seconda ondata di Shadow, questa volta molto più numerosa, si materializzò in ogni punto della stanza: adesso Marluxia era circondato.

Riku si alzò da terra stremato. «È finita» concluse soddisfatto.

Ma subito la soddisfazione si trasformò in orrore quando il corpo del Leggiadro Sicario cadde a terra come un pupazzo senza vita… era soltanto una copia.

«Io dico di no» mormorò Marluxia dietro di lui.

La lama della Dalia si posò sulla gola del ragazzo: gli sfiorò la pelle più delicata appena sopra il pomo d’Adamo.

«E adesso smettila di farmi perdere tempo».

 

«Non sono io quello che vuoi» tagliò corto Riku.

Cercava solo di prendere tempo; Marluxia lo capì da come impugnava nervosamente la spada.

«Non sono io il Custode del Keyblade» sollevò il braccio senza voltarsi (la lama della Dalia, bloccava ogni suo movimento) mostrando la sua spada oscura a forma di ala demoniaca.

«Questo è tutto ciò che ho» disse con finto autocontrollo. «Tutto ciò che mi rimane».

Era chiaro che aspettasse solo che Marluxia abbassasse di nuovo la guardia.

Ma la falce gli accarezzò la pelle e una sottile linea rossa si disegnò sul collo del ragazzo.

«Dove trovo il Custode del Keyblade?» domandò Marluxia.

Silenzio.

Il respiro di Riku riuscì a restare indifferente ma il suo cuore lo tradì cominciando a battere più forte.

«Dunque lo sai… ».

Silenzio.

«Dimmelo!».

Silenzio.

«DIMMI».

Il cuore gli batteva all’impazzata.

«DOVE».

Sapeva dov’era.

«SI».

Sapeva chi era.

«TROVA!».

Marluxia! lo chiamò improvvisamente una voce.

E una piccola sagoma si trascinò dal buio, una creatura esile e storpia, come uno spettro rintanato dentro una lunga tunica marrone.

Lascia andare Riku…

«E tu?» lanciò un’occhiata furibonda al nuovo arrivato. «Chi diavolo sei?».

La creatura non riuscì a formulare una risposta che qualcuno spalancò le porte del Santuario.

«Fa quello che ti dice, numero XI!» lo intimò Xigbar avanzando verso di lui. «Lascia andare subito il ragazzo».

Il tono non era mai stato così severo; Marluxia si sforzò di obbedire, si sforzò con tutto se stesso, ma nella sua mente riecheggiò solo quanto assurdo e totalmente illogico fosse l’ordine del suo compagno… l’ordine di un suo superiore.

Poi le dita gelide del Leggiadro Sicario si posarono sul collo del ragazzo. «Scordatevelo... ».

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Capitolo 10
*** La Fortezza Oscura - Parte 3 (con Xigbar, Saïx & Axel) ***


La Fortezza Oscura pt.3

(Compagni: Xigbar, Saïx & Axel)

Perché dovrei aver paura di diventare qualcun’altro? Io sono già per metà Xehanort

Xigbar
 

«Fa quello che ti dice, numero XI!» lo intimò Xigbar avanzando verso di lui. «Lascia andare subito il ragazzo».

Il tono non era mai stato così severo; Marluxia si sforzò di obbedire, si sforzò con tutto se stesso, ma nella sua mente riecheggiò solo quanto assurdo e totalmente illogico fosse l’ordine del suo compagno… l’ordine di un suo superiore.

Poi le dita gelide del Leggiadro Sicario si posarono sul collo di Riku. «Scordatevelo!».

 

Xigbar sorrise ma non sembrava affatto contento: muoveva nervosamente le dita, il riflesso incondizionato di un pistolero che vorrebbe impugnare la sua arma.

«Farsi scudo con un bambino, eh» commentò Xigbar. «Persino per uno come me è spregevole».

«No, io non credo» replicò Marluxia; la lama della Dalia sfiorò il collo di Riku. «Eppure tu e lo storpio siete interessati alla vita di questo ragazzo».

I Tiratori si materializzarono nella mano di Xigbar; lanciò un’occhiata alla creatura incappucciata, aspettava solo il suo ordine per sparare.

«Perché è così importante?» la voce del Leggiadro Sicario si fece fredda e crudele. «E ti conviene non prendermi in giro».

«Altrimenti?» lo provocò Xigbar.

Marluxia sorrise. «Gli apro la gola e la storia finisce qui».

Xigbar restò in silenzio.

«Avanti, rispondimi!» lo incalzò Marluxia. «O mi assicurerò di eliminare anche te come traditore dell’Organizzazione».

Xigbar scoppiò a ridere. L’eco della sua voce si sparse per tutto il Santuario. «In nome dell’Organizzazione, eh?» sollevò la sua pistola e puntò Marluxia, poi si voltò verso la creatura incappucciata. «Ansem» lo chiamò. «Mi sono annoiato. Ora lo faccio fuori».

Xigbar fu sul punto di premere il grilletto: lo capì dallo sguardo, dal suo unico occhio dorato farsi gelido e impassibile. Non esistono alleati o nemici, per un assassino. Non importa se tu sia o no un Nessuno: dopo un po’, non si prova più niente nell’uccidere qualcuno.

Marluxia fu sul punto di sparire, il proiettile avrebbe colpito una folata di petali o al massimo il ragazzo di nome Riku. Non gli interessava.

Poi la voce dello storpio si fece forte e potente.

Fermati, ordinò.

Non apriva bocca ma la sua a voce ti entrava in testa, ti parlava dentro al cervello.

Non ucciderlo.

«Cominci a stancarmi, vecchio. Te lo dico».

Se il piano di Xemnas dovesse fallire, continuò la creatura. Marluxia potrebbe tornarci utile.

Xigbar abbassò l’arma e sospirò.

Quello era il momento.

Marluxia scaraventò Riku a terra e si abbatté come una furia sul suo compagno: fu un attimo e la Dalia adesso era a un centimetro dalla sua gola.

Xigbar sorrise, toccò la falce e studiò Marluxia con il suo unico occhio giallo. «Il vecchio ha proprio ragione. Sei un contenitore perfetto».

Un boato scoppiò nella Fortezza Oscura: tutte le vetrate del Santuario esplosero all’unisono e un enorme drago nero piombò dal rosone centrale. Riku ne approfittò per aprire un varco oscuro e scappare.

«Diamine… » mormorò Xigbar. «Questo è un bel problema»

Un secondo portale si aprì accanto a loro. «Ma che diavolo state facendo?» ringhiò Saïx alla vista della falce di Marluxia puntata alla gola di Xigbar.

«Rilassati» commentò il numero II; spostò l’arma di Marluxia e lo fissò con complicità. «Io e il numero XI stavamo soltanto avendo una discussione molto accesa».

Malefica ruggì e una lunga striscia di fuoco infiammò il Santuario. Axel afferrò Marluxia per il cappotto e lo spinse via.

«Smettetela di giocare» tagliò corto Saïx; afferrò il Claymore e lo accostò per terra. «Il piano è saltato. Dobbiamo fuggire».

Un esercito di Shadow si materializzò attorno a loro: ormai erano circondati.

«E adesso?» domandò Marluxia.

«Secondo te?» Axel afferrò i suoi Chakram e si avvicinò al compagno. «Adesso bisogna combattere» .

Una cascata di fiori avvolse la mano di Marluxia, strinse a sé la falce, pronto ad attaccare; Xigbar si posizionò alle spalle di Saïx.

Ora i quattro membri si coprivano le spalle a vicenda.

«Siete pronti, principesse?» domandò Xigbar caricando i suoi tiratori.

 

«Malefica ha bloccato tutti gli accessi oscuri alla Fortezza. Non si può entrare o uscire da questo mondo» spiegò Saix.

«Quindi che si fa?» domandò Xigbar.

«Dobbiamo sconfiggere la strega» rispose Axel. «Solo così si riapriranno gli accessi oscuri».

«Fin qui c’ero arrivato anche io campione» mormorò il Tiratore Libero. «Avete un piano per sconfiggerla?».

Saïx fece cenno di sì e guardò il soffitto. «Faremo crollare il tetto della navata centrale».

Marluxia annuì. «E come facciamo?».

«Ci penserò io» disse Axel. «Voi preoccupatevi di tenere a bada il drago e gli heartless».

«Xigbar» Saïx indicò una sporgenza accanto al Rosone centrale. «Posizionati lì e uccidi tutti gli Shadow che si avvicinano a noi. Marluxia, io e te penseremo a combattere la strega».

«Ricevuto» rispose il Tiratore Libero, quindi saltò sull’altare e raggiunse il punto stabilito.

Gli Shadow approfittarono di quel buco per lanciarsi contro i tre membri.

Saïx ruggì e con un colpo di Claymore li spazzò via.

«Vado anche io» disse Axel, e corse in direzione opposta. Malefica provò a colpirlo con una fiammata, ma i chakram di Axel assorbirono il colpo.

Marluxia approfittò di quel momento per gettarsi contro Malefica e affondargli la falce nel collo: la pelle della strega era impenetrabile e la lama la ferì appena, stridendo in un contraccolpo metallico.

Malefica scaraventò Marluxia a terra e provò a colpirlo con la coda; Saïx parò il colpo con il suo Claymore.

«Vai» urlò.

Marluxia saltò sulla coda e corse sul dorso del drago; raggiunse il muso e lo colpì di nuovo con la sua falce; questa volta sentì la lama trapassare la carne con facilità.

Malefica lanciò un ruggito di dolore e provò a incenerire Marluxia con una bomba di fuoco; le fiamme bruciarono solo una manciata di fiori e Marluxia si preparò al contraccolpo.

In quel momento una decina di Shadow si gettò su di lui. Marluxia era scoperto, provò a difendersi facendo roteare la Dalia tra le mani; abbatté un paio di nemici, ma gli heartless erano troppi.

Poi una cascata di proiettili precipitò sulla testa degli heartless. Li vide cadere a peso morto davanti a lui, prima di scomparire in un fuoco nero; lanciò un’occhiata a Xigbar che gli sorrise dal suo trespolo.

Girati, gli indicò con le dita.

Marluxia si voltò e vide Malefica scagliargli una seconda bomba di fuoco; afferrò uno Shadow e lo scaraventò contro il colpo infuocato del drago; l’heartless si trasformò in una statua di cenere; Saïx si catapultò attraverso la polvere nera, roteando il Claymore e colpendo il drago in pieno muso.

Malefica accusò il colpo ma riuscì ad afferrare Saïx con le fauci. Un grido dolore si levò per tutto il Santuario.

«AXEL!» urlò.

Marluxia lanciò un’occhiata al soffitto; cercò di intravedere il numero VIII, ma non si vedeva ancora.

«Diamine!» si gettò per salvare il compagno, ma alcuni Shadow gli si gettarono sulle gambe, bloccando ogni movimento.

Xigbar cominciò a sparare sul dorso del drago: i proiettili scalfivano appena la pelle di Malefica ma sembravano infastidirla; per proteggersi, il drago volò verso l’ingresso del Santuario, proprio sotto la navata centrale. Una truppa di Shadow si sacrificò per permette alla loro regina di spostarsi, finendo trivellati dai colpi di Xigbar.

Ora il drago era nel punto stabilito: Axel doveva solo…

Malefica sputò il corpo di Saïx che rotolo al centro del Santuario.

«Pensate che non abbia capito il vostro piano?» ringhiò il drago.

Marluxia non riusciva crederci; quel mostro aveva davvero parlato. Anche Xigbar sollevò l’occhio dal mirino e smise di sparare.

«Pensate davvero che basti far crollare un soffitto per fermarmi?».

Il drago sbuffò una risata di fuoco e fumo, poi volò sopra l’altare mettendosi al sicuro: ora era Saïx a strisciare al centro della sala; se Axel non si fosse fermato, il soffitto del Santuario sarebbe precipitato addosso al loro compagno.

Marluxia doveva salvarlo.

Si concentrò per sprigionare tutte le sue forze: avrebbe fatto fuori metà degli Shadow che lo bloccavano, ma sarebbe bastato; una volta libero dalla stretta, sarebbe corso verso Saïx. Doveva sbrigarsi, altrimenti il soffitto avrebbe seppellito entrambi.

Poi la voce di Axel attraversò tutta la sala. Suonò come un monito di avvertimento.

«Spostati Marluxia!» urlò Xigbar.

Alcuni pezzi d’intonaco e soffitto caddero sul pavimento freddo del Santuario; i raggi lunari filtrarono dai buchi, creando delle grosse docce di luce.

Marluxia vide Saïx sollevarsi tra i detriti: aveva gli occhi chiusi e il volto e le braccia protese verso la notte.

Ci fu una breve pausa.

Un attimo di silenzio in cui tutti contemplarono la scena. Perfino gli heartless e Malefica.

Poi un ruggito.

Un fragore così mostruoso da riecheggiare per tutta la Fortezza Oscura.   

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