Starlight, Your Memories

di Nat_Matryoshka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 





Durante una notte di tempesta, un anno dopo la fine della guerra, su Naboo nacque un bambino. Aveva i capelli neri come le nuvole che avevano coperto il cielo per tutto il giorno e occhi brillanti come stelle. Era figlio di una principessa e di una canaglia.

Fu chiamato Ben, come l’anziano eremita che aveva portato la principessa a ricongiungersi con il suo gemello, e la sua nascita fu salutata da tre giorni di feste e parate. I suoi nonni non erano lì per salutarlo come erede al trono, ma nessuno nutriva dubbi: il casato dei Naberrie aveva guadagnato un nuovo re. Il popolo alzava i calici, la principessa Leia lo stringeva al petto e suo zio, Luke Skywalker, uno degli ultimi Sensibili, gli toccava la fronte con due dita. La Forza era presente in lui, scorreva nelle sue vene come in quelle di sua madre, del nonno, dello stesso Luke.

Nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo in seguito. Come avrebbero potuto?

Ben cresceva sereno nel Palazzo Reale, mentre la principessa governava Naboo con saggezza e suo marito viaggiava per la galassia. L’oscurità che aveva portato con sé i semi della guerra sembrava solo un lontano ricordo. Luke Skywalker vegliava sui Sensibili, anche se ormai ne nascevano sempre di meno. La Forza sussurrava alle sue orecchie e lo guidava ovunque andasse, ma nemmeno quella voce fatta di vento e spiriti passati avrebbe potuto metterlo in guardia.

La sua famiglia non era la sola a vegliare sul sonno di Ben. Una creatura oscura aveva iniziato ad accorgersi di lui da quando era solamente un feto nel ventre di sua madre, e non gli aveva più tolto gli occhi di dosso: il sangue di Darth Vader lo chiamava, insieme alla promessa affrettata che quel bambino potesse diventare più grande, più potente ancora del nonno. Il Lato Oscuro della Forza era stato sconfitto grazie ai gemelli e alla redenzione del padre, l’uomo che all’inizio dei tempi era noto solo come Anakin Skywalker: era stato lui a gettare la maschera di Vader e a salvare il figlio, per poi morire tornando se stesso. Tutta la galassia aveva tirato un sospiro di sollievo, il male sembrava sconfitto… ma alcuni germogli erano rimasti. I più ostinati, quelli che non volevano lasciar andare nemmeno un granello di oscurità, odio, sopraffazione.

Snoke era uno di questi.

La sua fame di potere era impossibile da controllare, ed era certo che, grazie agli strumenti giusti, sarebbe riuscito a riportare il Lato Oscuro al potere. Il bambino che presto sarebbe diventato il primogenito di Leia Organa era tutto ciò di cui aveva bisogno: percepiva la Forza attorno a lui, assaporava il potere grezzo che sarebbe fluito nelle sue vene con l’età, una volta che avesse padroneggiato al meglio l’arte della spada e i doni dei Sensibili. Lo guardava muoversi, contava i suoi respiri e aspettava.

In attesa che il bambino potesse comprendere le sue parole, Snoke gli aveva lasciato un dono. Sarebbe trascorso altro tempo prima di vederne gli effetti, ma non aveva nessuna fretta: in fondo, anche Darth Vader aveva impiegato anni per prendere il controllo dell’Impero Galattico. Era necessario avere pazienza e preparare ogni cosa per l’arrivo dell’allievo che avrebbe portato alla realizzazione dei suoi piani, lavorare senza sosta affinché il destino del ragazzo potesse compiersi.

I capelli di Ben Solo crescevano, la sua statura aumentava. Mostrava già i primi segni del suo essere un Sensibile, ma non aveva ancora iniziato l’addestramento presso suo zio. La principessa preferiva guardarlo giocare dalla finestra del suo studio mentre era occupata con questioni riguardanti il pianeta e il Senato, questioni che la tenevano lontana della famiglia. Era un bambino silenzioso e felice, sarebbe diventato un ottimo re, era scritto nelle stelle che lo avevano visto nascere…

Finché, un giorno, il dono di Snoke iniziò a manifestarsi.

Successe durante mattino di sole. Ben aveva da poco compiuto nove anni, e correva nel giardino verso il suo angolo preferito: un albero dalle fronde verdi e folte, sotto il quale spesso si ritrovavano a giocare un gruppetto di Tooka con cui aveva fatto amicizia. Teneva in mano un piattino di latte, ed era entusiasta all’idea di trascorrere un po’ di tempo con loro, prima di dover iniziare le lezioni di storia che sua madre lo costringeva a seguire. Sorrideva, una curva gioiosa che si disfece una volta che arrivò ai piedi dell’albero.

Katti, il suo preferito, era disteso tra cespugli bassi e non rispondeva ai suoi richiami. Era morto.

Negli anni a seguire, si accorse di non ricordare cosa fosse avvenuto esattamente in quel momento: se chiudeva gli occhi, gli tornava alla mente di essere caduto in ginocchio e di aver stretto il corpicino del suo amico tra le mani, atterrito, mentre le lacrime riempivano gli occhi scuri. L’aveva abbracciato in preda al dolore, ma la domanda su cosa l’avesse spinto a posarlo di nuovo a terra e a sfiorargli il muso con due dita, come se quel gesto potesse effettivamente servire a qualcosa, restava senza risposta. Sapeva solo che, tra le lacrime che colavano giù per le guance e lungo il mento, aveva visto gli occhi del Tooka aprirsi piano, e la coda soffice scattare a destra e a sinistra mentre si alzava in piedi sulle zampette, vivo.  Si erano guardati per un attimo, poi Ben lo aveva abbracciato di scatto, scosso dai singhiozzi, spaventato e incredulo. Un attimo dopo, suo zio Luke lo aveva raggiunto.

Non fece nulla, a parte prenderlo per le spalle e fissarlo negli occhi, come se vi cercasse un qualunque segno che potesse spiegare quello che era successo. L’aveva guardato dalla finestra del suo studio, eppure ancora non riusciva a credere che il Tooka fosse davvero resuscitato. Colse in pieno la confusione del nipote, vide il suo labbro tremare, ma non parlò. Qualunque cosa stesse pensando l’eremita, non la condivise con lui e tornò al Palazzo in preda ai suoi demoni, lasciando Ben solo sotto quell’albero, con il piccolo Tooka che gli leccava le mani. Leia arrivò poco dopo per consolarlo, eppure smarrimento e paura erano gli unici sentimenti che abitavano quel ricordo, anche a distanza di anni. Quelli, e il suono della voce di sua madre che gli chiedeva cosa fosse successo e asciugava le sue lacrime, una per una.

Il suo dono era diventato parte di lui: piegava la morte al suo volere, e la stessa Forza non poteva far altro che lasciarsi turbare dal tocco incerto di un bambino che ancora non si rendeva conto di possedere un potere enorme. Luke restava nell’ombra, turbato, perché conosceva troppo bene le storie che si tramandavano sull’ascesa di Darth Vader. I racconti sussurrati di bocca in bocca, cantati nelle ballate e riportati nei racconti popolari, che narravano di come Anakin Skywalker fosse impazzito dopo aver riportato indietro dal mondo dei defunti l’amata moglie, Padmé Amidala, morta dando alla luce i due figli gemelli. Guardava suo nipote, e ogni aspetto di quel potere lo convinceva che la storia stesse per ripetersi ancora.

Per quanto fosse guardato con sospetto da chi, tramite voci riportate, aveva scoperto quella sua particolarità, Ben usò ancora il dono. Piccoli animali recuperavano il soffio della vita, addirittura i fiori si rialzavano sullo stelo quando le sue mani tremanti li sfioravano, dopo che un piede distratto li aveva schiacciati. Ma, piuttosto che ispirare timore reverenziale e ammirazione, il potere non faceva altro che allontanare quelli vicino a lui.

Sua madre non lo avrebbe mai fatto esiliare: lo amava troppo, per quanto la sua vita di principessa e senatrice ormai li portasse ad allontanarsi sempre di più. Era una Sensibile anche lei e percepiva la sua paura, i sentimenti tormentati che lo animavano e non lo facevano dormire. Suo padre, invece, iniziò a covare dei dubbi. Era spaventato dal potere del figlio e, per quanto lo amasse profondamente, la sua incapacità di collegarsi alla Forza gli impediva di comprendere in pieno le emozioni di Ben. Sapeva bene che avrebbe dovuto provarci, prendergli la mano e dirgli almeno che ce l’avrebbe fatta a superare ogni ostacolo, ma il sentimento di inadeguatezza che provava lo spinse ad evitare sempre più la famiglia. Riprese la vita della canaglia, in giro per la galassia con carichi di contrabbando, e si sentì parlare sempre meno di lui… d’altronde Han Solo non era mai stato adatto alla vita di corte, sussurravano voci maligne alle spalle della principessa.

Ben crebbe considerandosi un mostro, spaventato dall’immagine che lo specchio gli offriva ogni giorno. Iniziò il suo addestramento con Luke e, nonostante fosse chiaro quanto lo zio temesse i suoi poteri, dimostrò in più occasioni di essere un allievo promettente. La voce di Snoke non lo abbandonava mai: sussurrava al suo orecchio promesse di grandezza, gli prospettava tutto ciò che avrebbe potuto conquistare una volta liberato il suo potenziale, ripeteva incessantemente che non avrebbe dovuto preoccuparsi di suo zio, del padre, della madre sempre impegnata, perché nulla sarebbe stato importante una volta diventato il nuovo Imperatore galattico. Avrebbe dovuto liberarsi di loro. Abbracciare il Lato Oscuro. Amare quell’eredità, ciò che suo nonno gli aveva lasciato e che sarebbe diventato presto il suo unico destino…

Quelli che amava potevano anche trovarsi vicino a lui, ma i loro cuori erano lontani. Snoke ne approfittò per piantare il seme del dubbio nell’anima di Ben, perché germogliasse e portasse il suo protetto a rinnegare una famiglia che, invece di amarlo e accettarlo, lo lasciava solo. Erano bugie, ma come convincere un ragazzino a cui il mondo era crollato addosso che non avrebbe dovuto fidarsi dell’unica persona che sembrava interessarsi a lui? Fu così che Kylo Ren, come lo chiamava Snoke, iniziò ad allontanarsi sempre più dalla sua famiglia. 

Ben Solo aveva dieci anni quando, nella zona più periferica della capitale, nacque una bambina.     I suoi genitori la chiamarono Rey e, una volta che fu abbastanza grande da camminare, la affidarono al Maestro Luke Skywalker, per poi sparire senza lasciar traccia. Nessuno sapeva chi fossero e perché avessero scelto proprio quello strano eremita come guardiano della loro unica figlia, ma in molti avevano sentito l’odore di vino scadente che emanava il fiato del padre: erano due derelitti, e forse si erano resi conto in tempo di non poter fare nulla di buono per la figlia.

Rey era una Sensibile, proprio come Ben. La Forza aveva già da tempo intrecciato le loro vite. 

 
 




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Salve, miei cari lettori!
Se avete già seguito le mie storie, saprete che lo scorso anno ho partecipato alla Reylo Fanfiction Anthology, e che anche quest'anno ho ripetuto l'esperienza ma con un nuovo tema, ossia i corpi celesti e le costellazioni: ho scelto la Via Lattea, ed è stato molto stimolante e piacevole usarla come base per creare una what if in cui Ben è membro della famiglia reale di Naboo e Rey una Force Sensitive. Ho cercato di unire elementi canonici nell'universo di Star Wars e varie leggende, spero che questo piccolo esperimento vi piaccia come gli altri!
Se avete voglia di lasciarmi un kudo anche su AO3, ecco il link: https://archiveofourown.org/works/16029953/chapters/37413722
E non scordate di dare amore a tutta l'Anthology, le autrici lo meritano assolutamente!

Come al solito, il grazie più grand va alla mia vhenan, Ailisea, per la sua incredibile pazienza e l'amore che ha dato a questa storia. Sei insostituibile <3

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
 



Rey si svegliò al canto degli uccelli. Sbatté le palpebre e, per un attimo, non riconobbe il luogo in cui si trovava: nei suoi sogni, di solito, correva tra i rifiuti e i rottami polverosi del quartiere più povero della capitale, seguendo quelli che potevano essere solo i suoi genitori. Le bastò aprire la finestra e inspirare l’aria pura dei boschi per capire che i sobborghi erano ormai un lontano ricordo.

Theed, la capitale di Naboo, era splendida e ospitale, ricca di testimonianze del suo passato prestigioso. La famiglia Naberrie l’aveva governata per secoli con saggezza, riempiendola di monumenti e giardini, e perfino durante la guerra che aveva devastato la galassia quel piccolo paradiso era rimasto intatto: forse Darth Vader aveva scelto di trasferire altrove la sua capitale per rispetto alla moglie che tanto aveva amato, più che per questioni di strategia militare. Anche Bail Organa, primo consigliere della Regina Padmé, aveva fatto di tutto perché il pianeta prosperasse e resistesse alle incursioni nemiche, e ora il suo sorriso scolpito nella pietra salutava chiunque passasse per la piazza principale della città.

Quelle leggende le aveva ascoltate da vecchi pirati spaziali chiacchieroni e studiosi di storia. Al suo Maestro non piaceva raccontare del passato, meno che mai parlare della sua famiglia e di quel che era accaduto al padre. Ogni volta che l’argomento era casualmente entrato nel discorso, Rey aveva visto un’ombra scura calare sui suoi occhi, mentre l’uomo tagliava corto in fretta. Niente domande, niente curiosità: era chiaro quanto quelle storie gli facessero male. Aveva imparato a convivere con lui da troppo tempo per restarci male, come le capitava da bambina.

Si vestì in fretta e scese verso la zona in cui sorgeva la piccola capanna abitata dal suo Maestro. Il palazzo reale non era lontano ma, per quanto Luke Skywalker avesse tutto il diritto di viverci, preferiva ritirarsi in quella radura non lontana da uno dei laghi principali della regione. Lui affermava di detestare l’etichetta di corte e lo sguardo di diffidenza che molti dignitari rivolgevano a chiunque avesse a che fare con la Forza, ma Rey sospettava che le voci che si susseguivano riguardo il nipote avessero ricoperto il ruolo principale in quella decisione. Ben Solo ancora viveva a palazzo, a nessuno sarebbero sfuggite le occhiate che si lanciavano durante i loro sporadici incontri. Sguardi che parlavano di sofferenze passate e conflitti presenti, di qualcosa di irrisolto.

Già, Ben, pensò tra sé e sé mentre si sedeva sul suo masso preferito, una grossa roccia coperta di muschio, al centro della radura. Lo conosceva da anni, e quando era una bambina a stento riusciva a sopportarlo. Sempre silenzioso e scuro in viso, se ne stava rintanato in biblioteca e usciva solo per seguire gli allenamenti con suo zio, ma anche in quella situazione non voleva dare confidenza a nessuno: i suoi occhi scuri sembravano sempre pieni di tormento, e la se stessa di dieci anni non possedeva la capacità di mettersi nei suoi panni per capire cosa lo causasse. 

Fino a che, anni dopo - lei era un’adolescente, lui un giovane uomo -  si erano allenati insieme, e quel che l’aveva stupita di più era stata la sensazione di familiarità che si era creata mentre combattevano. Era come se i suoi movimenti rispondessero automaticamente a quelli del ragazzo, come se esistesse un filo invisibile che li legava e li coordinava in una sorta di danza. Respiravano insieme, provavano eccitazione, rabbia, sollievo esattamente nello stesso istante: sentiva il suo corpo percorso da una corrente elettrica che le trasmetteva sia le sue sensazioni che quelle che attraversavano l’anima di Ben. Sulle prime non ci aveva fatto caso ma, man mano che gli allenamenti si intensificavano, quell’impressione era diventata sempre più reale, concreta. Luke stringeva le labbra ogni volta che li vedeva combattere e rialzarsi insieme, ma non parlava. Era impossibile capire cosa pensasse, se fosse preoccupato o se stesse semplicemente riflettendo sui loro miglioramenti.

Aveva letto che, nei secoli passati, era già successo che due individui venissero uniti dalla Forza. Non importavano le differenze di età, di ceto sociale o di specie: si trovavano a condividere un legame che nessuno riusciva a spiegare, nemmeno loro stessi.  Nei libri si parlava di sogni condivisi, visioni del passato e del futuro, pensieri dell’uno che si trasformavano nelle parole dell’altro… tutti esempi molto simili a quanto avevano sperimentato lei e Ben. Non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma le sensazioni che aveva percepito in sua presenza non potevano certamente essere frutto di un caso.

Ben era imperscrutabile come il cielo nell’istante appena precedente ad una tempesta: c’erano giorni in cui si concedeva brevi sorrisi che cancellavano le nuvole nere attorno a lui, altri in cui la sua furia la travolgeva, spaventandola. Era come se non riuscisse a fermare ciò che gli rodeva il cuore, come se una forza oscura e capricciosa lo strappasse alla tranquillità della sua vita di ogni giorno e lo strattonasse, costringendolo a fare quello che voleva lei. Una volta, mentre combattevano, si era sbilanciata ed era finita a terra a causa di un fendente troppo violento di lui. Per quanto avesse appena iniziato a maneggiare spade e bastoni stava imparando in fretta, ma si era trovata impreparata a rispondere a tanta furia, ai suoi colpi netti e precisi. Ben l’aveva sovrastata e, quando Rey aveva guardato in alto per pararsi con le braccia dai suoi colpi, in quegli occhi scuri aveva scorto una luce che l’aveva spaventata. Erano pieni di rabbia, desiderosi di fare male, e per un istante – infinitesimale, eppure l’aveva udita, ne era certa – il suono di una voce aveva fatto vibrare l’aria attorno a lei. Sinistra, fredda, suadente.

Colpisci.

Nello stesso momento, aveva provato il desiderio bruciante di assestargli un colpo di bastone nello stomaco. Non ci sarebbe voluto molto: era abbastanza vicina da poterlo centrare, le sarebbe bastato allungare il braccio verso l’arma e alzarla… era come se la voce avesse parlato per aizzare entrambi, ma non avrebbe saputo dire se l’avesse fatto volontariamente o meno. Era solo certa di provare anche lei rabbia, un sentimento che aveva iniziato a divorare le sue viscere come fuoco liquido.

Luke li aveva divisi prima che potesse contrattaccare, spingendo Ben di lato con una furia molto simile a quella del nipote, ma più fredda. Rey, alzatasi di scatto, aveva fatto in tempo a veder cambiare lo sguardo del ragazzo: era confuso. Spaventato, come se non sapesse bene come reagire a quella situazione. Eppure, c’erano stati momenti in cui si era comportato con gentilezza nei suoi confronti, quando le tendeva la mano per aiutarla a rialzarsi dopo un allenamento particolarmente intenso, o quando la vedeva impegnata a studiare nella biblioteca del palazzo e le dava un colpetto sulla testa per salutarla, regalandole anche un sorriso inaspettato. Come potevano due aspetti così diversi convivere nella stessa persona?

Luke la salutò con un cenno del capo, poi si sedette sotto il suo albero preferito e prese a meditare: quasi non l’aveva visto arrivare, immersa com’era in quelle riflessioni. Ogni mattinata di studio e allenamento iniziava così, poi proseguiva in biblioteca, con lo studio della storia della galassia e degli antichi Sensibili. Le piacevano le leggende, amava aprire quei libri antichi e leggere riga dopo riga con il mento tra le mani, persa in storie (forse) avvenute millenni prima. Luke storceva sempre il naso e le bollava come fantasie, ma lui stesso era stato parte di quelle storie, e quando pensava che nessuno potesse vederlo un fremito di nostalgia correva sulla sua fronte solcata dal tempo.
 

*
 

 
“Hai la mente altrove, oggi. Ti sento distante.”

Luke, stranamente, l’aveva accompagnata in biblioteca quel pomeriggio: per quanto non amasse il palazzo, ogni tanto avvertiva il bisogno di chiudersi nel silenzio di quelle stanze in penombra per prendere qualche vecchio volume. Ormai in tutta la galassia holocron e registrazioni soppiantavano il cartaceo, ma le belle sale coperte in legno della biblioteca di Theed ancora ospitavano, per volere della Regina Padmé, rotoli di pergamena e volumi. Rey non avrebbe potuto essergliene più grata, le piaceva passeggiare tra gli scaffali annusando il profumo della carta ingiallita e secca. Non era molto abituata, però, ad avere compagnia, per cui non rispose subito a quell’affermazione.

“Distante? No, stavo solo… pensando.”

Luke ridacchiò indulgente. “Questo l’avevo capito da solo. Intendevo che sei talmente assorbita dai tuoi pensieri da non notare nemmeno che sto ripetendo la stessa domanda da almeno cinque minuti… su qualunque cosa  tu stia rimuginando, deve essere piuttosto importante, eh?”
Rey si strofinò le tempie, voltando lo sguardo prima a destra, poi a sinistra. La luce del sole filtrava attraverso le finestre, la più lontana dal loro tavolo era aperta per lasciar entrare la brezza di primavera. Quando era più piccola le piaceva prendere un libro e starsene distesa sul letto, davanti all’imposta aperta, e lasciare che il venticello le solleticasse i piedi nudi mentre le righe sotto i suoi occhi si confondevano sempre di più e il sonno veniva a portarsela via. Sentì le palpebre pesanti, e scrollò la testa per allontanare quella sonnolenza improvvisa. A cosa stava pensando davvero? A Ben, alla curva morbida delle sue labbra che sorridevano? O ai suoi occhi pieni di rabbia, alla diffidenza che le avevano mostrato tante, troppe volte? Oppure a se stessa, e al desiderio improvviso di comprenderlo che stava iniziando a provare?

“Più o meno.” Era una campionessa nel fornire risposte vaghe, soprattutto quando non voleva che qualcuno scoprisse davvero cosa aveva in mente. Sfogliò le pagine del libro per dare l’impressione di aver appena dimenticato di leggere un passaggio importante, ma Luke doveva aver intuito la verità dietro quel gesto, perché la guardò ancora e non fece altre domande. Rimasero l’uno accanto all’altra, in silenzio, accompagnati solo dal suono delle pagine che giravano e dal brusio leggero delle foglie degli alberi, fuori nei giardini…

… finché la porta principale non si spalancò sbattendo contro il muro, e una figura scura fece il suo ingresso, varcandone la soglia con ampie falcate, trascinandosi dietro il mantello nero. Ben Solo, il futuro re, arrivò fino a centro della sala e lì si fermò di colpo, come se un incantesimo l’avesse bloccato sul posto. Gettò uno sguardo allo zio e uno a Rey, che aveva chiuso il libro e alzato gli occhi su di lui, e in un attimo realizzò che non era stato l’unico a scegliere la biblioteca come luogo dove starsene da solo.

Prima che potesse voltarsi e andarsene, però, Luke si alzò in piedi.

Per un attimo Rey pensò che l’avrebbe afferrato per un braccio per dirgli qualcosa che si era sempre trattenuto dall’esprimere, ma il Maestro non fece altro che guardarlo: lo osservava con un misto di tristezza e decisione, quasi avesse percepito qualcosa che non gli piaceva affatto e volesse comunicare al nipote che sapeva già tutto. Ben non abbassò gli occhi nemmeno per un attimo.

L’aria intorno a loro sembrò fermarsi, cancellando in un attimo l’indolenza piacevole del pomeriggio estivo. Rey la sentì quasi vibrare, mentre un’ansia a cui non sapeva dare nome le afferrava la bocca dello stomaco, contorcendola.

La Forza fremeva, sussurrava qualcosa, ma lei era troppo tesa per cogliere qualunque messaggio volesse farle arrivare. Rimase in silenzio, in attesa.

Si aspettava uno scontro tra i due, ma nessuno parlò: dopo quello che le era sembrato un silenzio dolorosamente infinito, Ben girò la testa e si allontanò, non prima di averle rivolto uno sguardo difficile da decifrare. Anche dopo che ebbe imboccato la porta, sparendo alla loro vista, Rey ebbe difficoltà a dare un nome a quel sentimento. Sapeva solo che i suoi occhi erano tremendamente vuoti, privi di quel guizzo di vita prepotente ed energico che li aveva riempiti solo fino a qualche giorno prima, durante gli allenamenti.

Luke non aggiunse altro per tutto il giorno. Lasciarono la biblioteca nella luce dorata del sole al tramonto che disegnava figure sul pavimento di pietra, sempre in silenzio, ognuno impegnato a seguire un flusso di pensieri che l’altro non poteva comprendere.  Rey si diresse verso il suo alloggio da sola, mentre Luke restava nella radura dove iniziavano i loro allenamenti, ad osservare gli alberi che continuavano a muoversi tranquillamente nella brezza.  In un’altra situazione avrebbe provato a fargli domande, ma il suo sguardo le diceva che sarebbe stato meglio tenere per sé qualunque perplessità.

Qualche ora dopo, distesa sul letto nel buio della sua stanza, lasciò correre lo sguardo sulla piccola lampada blu che accendeva perché la aiutasse ad addormentarsi e tentò di svuotare la mente, senza riuscirci. Luke la rimproverava sempre, le diceva che avrebbe dovuto imparare innanzitutto a calmare la sua irruenza, prima di pensare davvero di proseguire il suo cammino da Sensibile… ma lei era testarda, e ogni volta sbuffava mentre chiudeva gli occhi e provava di nuovo a cancellare qualunque distrazione. Quale altra scelta aveva? Quel cammino era tutta la sua vita.

Aveva paura di chiudere gli occhi e ritrovare lo sguardo di Ben dietro alle sue palpebre, vuoto e freddo come non avrebbe mai voluto ricordarlo.

Provò a concentrarsi allora sul colore del mare, ad evocare il suono calmante delle onde come faceva sempre quando qualcosa la spaventava, e dopo qualche minuto le sembrò di sentire in lontananza l’odore della salsedine. Qualcuno rideva in lontananza, sfidava il vento a scompigliare i suoi capelli con più forza. I suoi genitori? pensò, oziosamente, poi si addormentò.
 





Un giorno di quando era una bambina di non più di sette anni, aveva picchiato dei ragazzini.

Li aveva trovati in un vicolo nella parte inferiore di Theed, mentre prendevano a calci una creatura che nemmeno ricordava, forse un uccello, forse un roditore. L’animale emetteva piccoli rantoli deboli e disperati, nemmeno si muoveva più: aspettava un gesto di pietà che non arrivava. I tre ridevano sguaiatamente, uno di loro aveva con sé anche un bastone con cui continuava a tormentarlo.

Si era buttata nella mischia, e aveva iniziato a colpirli con rabbia, alla cieca.  Senza pensarci. Non le importava che fossero più grossi di lei, che uno dei tre avesse spinto di lato l’animale per riuscire meglio a prenderla a bastonate: una furia violenta l’aveva scossa, quasi fosse preda di uno spirito che comandava i suoi movimenti. Non si era fermata quando aveva visto il sangue scorrere dalle loro bocche, nemmeno quando ne aveva fatti finire due a terra, mentre il terzo scappava a gambe levate. Non si era fermata mentre i denti saltavano, e uno degli aguzzini sputava una boccata di sangue. Le fughe tra i vicoli e le lotte per procurarsi anche solo un pezzo di pane l’avevano forgiata. Non aveva più paura di nulla.

Aveva continuato a picchiarli, come se solo i pugni e i calci avessero potuto aiutarla a riportare in vita la bestiola che giaceva in un angolo, morta tra la polvere. Ringhiava con la furia di un animale che difende il suo branco, si sbucciava le nocche, e le mani sudate del ragazzino le stringevano la gola per fermare la sua rabbia, ma invano.

Solo quando tutto era finito, e anche l’ultimo era riuscito a scappare, si era fermata. Aveva ripreso fiato e, tra le orecchie che le fischiavano e lacrime di rabbia che le riempivano gli occhi, aveva strofinato le mani doloranti. Completamente sola, aveva urlato al cielo tutto quello che provava: un pianto rauco, il dolore di chi ha lottato a lungo per ritrovarsi comunque inerme. Poi era tornata a casa, di corsa, senza fermarsi, e si era rintanata sul letto come un animale ferito. Luke non l’aveva vista.

Aveva pianto tutta la notte, finché non si era addormentata. Piangeva perché era sola, e nessuno si sarebbe chinato su di lei per rassicurarla, accarezzandole i capelli e sussurrandole parole gentili all’orecchio. Perché non avrebbe voluto davvero fare del male a quei ragazzini, ma vedere quell’animale morto ai loro piedi e percepire la sua sofferenza era stato troppo, troppo anche per una bambina abituata a cavarsela sempre, tra orrori e miracoli. Perché una voce sinistra l’aveva incoraggiata a continuare, a colpirli con più forza, e per un solo attimo aveva provato gioia all’idea di ripagare la morte di quella creatura indifesa con la loro…

Piangeva perché, dentro di lei, albergava una forza oscura che non conosceva. E aveva paura che, con il tempo, sarebbe diventata più forte di lei.

 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
 

 


Qualche mese dopo
 
 



L’uomo era caduto senza far rumore, con grazia, la stessa grazia triste delle foglie in autunno. Sul suo viso anziano, però, non si leggevano né dolore né paura: era… desolato. Come se quel suo ultimo, disperato tentativo fosse fallito, e non ne avesse altri a disposizione per cercare di sistemare le cose.

“L’ha ucciso.”

Una voce rauca si indeboliva mentre pronunciava quelle tre parole, mischiandole con le lacrime. Una donna che non conosceva, ma che amava l’uomo e chi l’aveva ucciso, riusciva a percepirlo: era lontana e si agitava sul seggio del Senato che le spettava, inerme come la bambina di sette anni che non aveva potuto salvare la creatura. L’ha ucciso l’ha ucciso l’ha ucciso l’ha…
Una spada rossa brillava per un attimo e poi si spegneva, ed era rossa. Anche il sangue che aveva riempito le vene dell’uomo era rosso, anche quello che scorreva impazzito nel corpo del ragazzo. Perché non hai parlato, padre? Cadi a terra in un silenzio assordante e mi guardi con occhi pieni di pena, ma io non ne ho bisogno. Ho dovuto farlo, capisci? Lui mi controlla. Lui mi ha giurato che diventerò migliore, che scoprirò finalmente chi sono grazie a lui.

Ma è tutto sbagliato.

La mano che stringeva la spada tremava, tremava anche lui. Una lacrima scivolava veloce sul viso di Ben, e non faceva in tempo ad asciugarla che altre la seguivano, gli annebbiavano gli occhi. Cadeva in ginocchio provando a mantenere un’espressione stoica, ma le emozioni iniziavano a fluire prepotenti fuori dalla sua mente, dalle labbra…
 


*
 
Rey era impegnata a concentrarsi per iniziare l’allenamento, quando quelle immagini avevano iniziato ad invadere la mente senza alcun preavviso. Non era riuscita a bloccarle, sarebbe stato impossibile farlo: due voci le parlavano nello stesso istante, gli eventi si succedevano come in un Holocron di cui lei era l’unica spettatrice. Si era portata una mano alla fronte, un gemito impercettibile le sfuggì dalle labbra. L’ha ucciso!

Aveva rivolto lo sguardo verso Luke, spaventata, e non si era stupita di trovarlo immobile, con lo sguardo fisso davanti a sé, la bocca tesa in una linea netta.  Il manico della spada gli era caduto di mano, il suono del metallo che colpiva la pietra rimbombava tra gli alberi, ferendole le orecchie. Poi si era alzato in piedi ed era sparito in un attimo alla volta del Palazzo, correndo come Rey non lo aveva mai visto correre, e in ogni suo passo si nascondevano le paure e le parole che non era in grado di urlare. Lei aveva deglutito, in attesa. Un’attesa di ore, che aveva provato ad ingannare alzandosi in piedi e camminando per il bosco, sperando che la luce che filtrava tra gli alberi la aiutasse a calmarsi…

L’uomo giaceva a terra, abbandonato come un burattino senza fili. Il ragazzo si muoveva avanti e indietro per la stanza, come lei, ma nel suo incedere c’era una disperazione difficile da immaginare. Rey aveva provato in tutti i modi a bloccarla, eppure la voce dell’uomo continuava a insinuarsi nei suoi pensieri, gentile e ferma. Ben, Ben, lo chiamava. Ripeteva semplicemente il suo nome, e il tono era così dolce e triste da spezzarle il cuore.

La sua prima reazione, quando quelle immagini le avevano attraversato la mente, era stata di incredulità: non era possibile. Ben non poteva aver calato la spada sul padre, su Han Solo, l’eroe di guerra che solo raramente tornava a palazzo dalla sua famiglia. Non poteva essersi spinto fino a quel punto, non il Ben che conosceva… il ragazzo serio e taciturno, ma che sapeva come essere gentile. L’uomo che lottava con lei e le aveva insegnato come migliorare la presa sulla spada, Ben che le scompigliava i capelli quando la vedeva finalmente concentrata nello studio e aspettava che lei gli facesse la linguaccia prima di andarsene. No, non poteva crederci.

Eppure…

Luke non si era fatto vedere per ore: una volta che il sole aveva iniziato a tramontare all’orizzonte, Rey aveva capito che sarebbe stato inutile attenderlo ancora. Si era spostata dal bosco, piena d’ansia, e non aveva potuto far altro che varcare il cancello dei giardini e sparire tra i vicoli di Theed, in cerca di una qualunque distrazione che staccasse la sua mente da quando aveva visto. Alla fine era salita sulle mura antiche, dove si poteva ammirare, in lontananza, il sole che lasciava lentamente il posto alla notte: seduta sul parapetto di pietra, lasciava penzolare le gambe e si guardava le punte degli stivali ricoperti di lana senza sapere che fare. Non voleva tornare a palazzo e affrontare le conseguenze di quel che era successo, la paura di ascoltare i racconti di Luke, di scoprire a che destino sarebbe andato incontro Ben, era troppo forte. Eppure sapeva che non sarebbe potuta restare lì all’infinito…

Sei andato incontro al tuo destino a testa alta, Kylo Ren. Non sei soddisfatto?

Di nuovo quella voce sinistra, intrisa di odio, disgustosamente melliflua. Rey si era premuta con forza le mani sulle orecchie e aveva provato a concentrarsi sul giorno in cui lei e Ben erano rimasti vicini, a guardare piccoli insetti simili a lucciole che volavano sull’erba, ma le sue parole le prendevano a morsi il cuore senza che potesse fermarle. Immaginò come dovesse sentirsi Ben, perché le loro menti erano chiaramente collegate e quel che percepiva lei non era altro che una proiezione di quello che stava rivivendo lui, ora le era chiaro. Doveva essere terrorizzato, confuso, pieno di furia e di disperazione… ma non riusciva a scusarlo. Odiava il fatto che avesse ceduto all’oscurità dentro di lui, così come a volte le capitava di odiare la bambina che era stata.

Va’ via! mormorava, un urlo sottovoce che scuoteva la sua anima. L’altro rideva, e ogni risata era una coltellata nel fianco.
Hai abbandonato quello che eri. Hai abbracciato chi sei. Strappati Ben Solo di dosso, non hai più bisogno di lui.

Uccidilo.

No!

Completa il tuo percorso.

Abbandonò la città mentre le luci artificiali sostituivano il calore del sole e un’aria fredda portava i passanti a chiudersi in casa. Ormai non le restava altro da fare che tornare al suo alloggio e aspettare che Luke arrivasse, grave e teso come lo aveva visto andar via ma accompagnato da notizie ancora più terribili. Si morse le labbra e, senza quasi accorgersene, accelerò il passo. La sua paura più grande, quella che conteneva tutte le altre, era di veder cambiare completamente il rapporto tra lei e Ben. Che quei momenti distesi tra loro, quella scintilla di sollievo che illuminava gli occhi di Ben quando Rey ricambiava il suo sguardo, sparissero per sempre, come un sogno.

Quasi non fossero mai esistiti.

Scosse la testa e si strinse nel poncho che indossava per coprirsi dall’umidità della sera. L’unico modo che aveva per scoprirlo era farsi coraggio e andare a casa… anche se era proprio il coraggio, a mancarle. Il coraggio di accettare quanto era accaduto.

Stupido, stupido, stupido! gemette mordendosi il labbro. Sperò ardentemente che Ben la sentisse, ma non ne era completamente certa. Chissà dov’era, in quel momento.
 

*
 
Luke l’aveva raggiunta nel suo alloggio qualche ora dopo, dove l’aveva trovata distesa sul letto. Non aveva bussato, ma non era stato difficile percepire la sua presenza, una volta varcata la soglia di casa: era inquieto e triste, un dolore così immenso e totale da farle male agli occhi e al cuore, come se avesse fissato una luce accecante troppo a lungo.

Le si era seduto vicino e aveva iniziato a parlare. Non era uno dei suoi soliti discorsi, una frase ogni tanto intervallata da silenzi e dalle domande della sua allieva, no: prima con voce tremante, poi man mano più sicura, le aveva raccontato quel che era successo. Le aveva spiegato come Ben Solo avesse trapassato il corpo di Han Solo, del suo amico di giovinezza ed eroe di guerra, e di come Han era caduto nella sala buia del trono, sotto gli occhi del figlio. Le raccontò della voce che perseguitava le notti del nipote (e anche quelle di Rey, ma non poteva saperlo), di Snoke che era stato ucciso anni prima ma continuava a vivere come spirito nella Forza e cercava di far rinascere il suo regno di terrore e sopraffazione grazie all’influenza che esercitava su Ben. Del dono che gli aveva lasciato, e di come quella capacità fosse stata nascosta al mondo, così come la vera natura di Ben. Di come il nipote lo avesse fissato con uno sguardo vuoto che gli faceva paura, di come lui si fosse trattenuto dal commettere l’omicidio del bambino che per tanti anni lo aveva chiamato zio correndo tra le sue gambe, felice… e di come, per quello, si era sentito debole e impotente. Fermo nel mezzo della sala, aveva gridato e gridato, usando la Forza per provare a piegare Ben, spezzarlo come si spezza un ramo secco con un solo colpo violento. Mormorava parole sempre più fredde, mentre sfiorava il lenzuolo su cui Rey era distesa ed era come se ogni pausa lo facesse invecchiare e ogni minuto era un anno, un secolo.

Si interruppe per qualche minuto, e la ragazza temette che sarebbe uscito senza dire nulla, lasciandola nel buio della notte senza il conforto di una presenza amica. Ma si trattò di un silenzio di breve durata: riprese a parlare poco dopo, con voce spenta.

“E poi ho guardato nei suoi occhi, Rey. Non c’era nulla… il bambino che conoscevo, il ragazzino che ho allenato, se n’era andato. Snoke l’ha preso, gli ha fatto assassinare suo padre per legarlo a sé e lui non ha esitato. Non sono riuscito ad ucciderlo perché Leia avrebbe sofferto ancora di più… non meritava di vedere morti sia il marito che il figlio. Ma non posso dimenticare quegli occhi.”

Qualcosa, nella desolazione di quella frase, la fece ribellare.

Si girò e si tirò a sedere, improvvisamente più vigile di quanto fosse mai stata durante tutta la giornata, consapevole che una piccolissima speranza esisteva ancora. Non sapeva nemmeno perché stesse reagendo in quel modo: avrebbe dovuto sentirsi male quanto il suo maestro, amareggiata e delusa… ma, sotto la cenere di quei sentimenti, qualcos’altro nasceva, quasi con prepotenza. Quando tutti cercavano di dissuaderla, la sua anima alzava la testa. Non poteva arrendersi e abbandonare Ben: lui non l’avrebbe mai fatto con lei, lo sapeva.

“Sei sicuro che fosse proprio lui, Maestro, e non la creatura che Snoke sta cercando di creare?”
Luke esitò per un attimo, un secondo che però aumentò il coraggio nel suo cuore. Scosse la testa. “Non ha importanza, Rey. Ho fallito… abbiamo fallito tutti. Ho sbagliato io per primo, quando non ho fatto di più perché i suoi demoni non avessero la meglio… ero convinto che ce l’avrebbe fatta, che li avrebbe sconfitti da soli. È solo colpa mia.”

“Come puoi arrenderti così?”prima che potesse accorgersene, era saltata in piedi e camminava avanti e indietro per la stanza, come una creatura in gabbia. “Se è rimasto qualcosa di Ben… ancora qualcosa di lui, della sua anima, voglio trovarla. Voglio aiutarlo a tornare indietro. Non potrà riportare indietro suo padre né riparare ai suoi errori, lo so, ma non possiamo lasciarlo solo. Non posso.” Si prese la testa tra le mani. La scosse, aspettando che Luke parlasse, che la sgridasse o…
Lo sentì ridacchiare appena, amaro. “Cosa ti fa pensare che ci sia ancora qualcosa da salvare in lui, Rey? Se l’avessi visto in faccia, capiresti che non sto scherzando. Nessuno sa ancora nulla, ma non appena Leia tornerà dovrà tenersi un processo. Pagherà per quanto ha fatto… probabilmente verrà imprigionato, e resterà lì dentro per tutta la vita. Né tu né io possiamo farci nulla.”

Rey si morse un labbro. Sapeva che c’era del vero nelle parole di Luke, che Ben era un assassino a tutti gli effetti e avrebbe ricevuto una punizione per i suoi crimini, ma non riusciva a smettere di pensare al suo sorriso. Se esisteva ancora una minima possibilità di aiutarlo, di aiutare il bambino che era stato e che ancora viveva in lui insieme all’adulto che soffriva, lei l’avrebbe afferrata.

Luke si alzò. Lo fece quasi senza rumore, muovendo appena l’aria attorno a sé.

“Vai a letto, Rey. Domani sarà una giornata dura.”

La salutava sempre in quel modo, ma non c’era niente del suo solito tono tranquillo in quelle poche parole. Rey rimase girata verso la finestra, la sua sagoma illuminata solo dalla luce fioca di una candela che aveva acceso per darsi forza e che profumava debolmente di fiori e muschio. Fuori aveva iniziato a piovere: i prati bevevano avidamente l’acqua che li avrebbe resi sempre più verdi. Il suo Maestro si tirò il cappuccio sulla testa e uscì, lasciando il vuoto nella stanza.
Rimase in piedi per un tempo che le sembrò infinito, fino a che i piedi non iniziarono a farle male e la schiena implorò perché si distendesse sul letto. Si spogliò, spense la candela e si tirò le coperte fino al viso per proteggersi dai pensieri negativi che rischiavano di farle scoppiare la testa, ma erano molto più forti e rumorosi di lei, e minacciavano di sopraffarla.

 





Non seppe nemmeno come avesse fatto ad addormentarsi: doveva essere stata la forza della disperazione. Aveva stretto il lenzuolo nel pugno per calmarsi, e dopo essersi rigirata due o tre volte era finalmente riuscita a prendere sonno. Un sonno agitato, pieno di incubi in cui la voce di Snoke ordinava a lei e a Ben di uccidersi e poi rideva. Sogni pieni di troni di pietra nera, mani sporche di sangue, la sua spada che affondava nel petto di Ben e nemmeno un grido scappava dalle sue labbra, come se fosse felice di morire in quel modo, per sua mano. Immagini di loro che combattevano, poi cadevano e cadevano fino ad un bosco che le sembrava familiare ma non era quello dei suoi allenamenti, e per un attimo le ricordava tutti i momenti felici che avevano vissuto.

La principessa Leia piangeva. Ben non aveva il coraggio di asciugare le sue lacrime.

E poi si ritrovò in una stanza bianca, illuminata dalle luci tenui di Ohma-D’un, di Rori e della terza luna, che facevano capolino dalla finestra aperta. Ben era disteso su di un letto simile al suo, ma di legno nero, con le coperte rosse che lo avvolgevano in un abbraccio straziante. Sembrava addormentato, ma non appena lei si avvicinò aprì gli occhi castani e la fissò, le labbra tremanti di un bambino, l’anima messa a nudo di un uomo solo con i suoi errori.
Quando le parlò, la sua voce era a malapena un sussurro.

“Vieni da me. Ti prego.”

 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 


 


Non aspettò le prime luci dell’alba per muoversi.

Proprio mentre Ben le aveva teso la mano e le dita di Rey erano arrivate a toccare la superficie fredda e liscia dei suoi guanti di pelle, il sogno si disfece attorno a lei, lasciandola distesa sul letto, gli occhi spalancati fissi sul soffitto. Prima ancora che potesse formulare qualunque pensiero sensato o provare a razionalizzare quanto aveva visto, era già in piedi.

Non sapeva nemmeno lei perché stesse rovistando nei cassetti per riempire una vecchia borsa di abiti, ma una sensazione prepotente di urgenza la spingeva a sbrigarsi, a sgattaiolare fuori dal suo alloggio con il cuore in gola, sperando che nessuno la vedesse. Il trambusto di poche ore prima doveva aver fatto passare a tutti la voglia di starsene in giro fino a tardi, ma la prudenza non era mai troppa, in quelle circostanze… e lei non poteva rischiare di essere vista. Avrebbe mandato in malora tutto il suo piano.

Ammesso che si potesse considerare “piano” la sua idea folle di andare a cercare Ben e accompagnarlo in tutto ciò che stesse per fare.

Era l’istinto a guidarla, e negli anni aveva imparato a fidarsi così tanto dei segnali che le inviava la Forza da non dubitare mai della saggezza delle decisioni che le faceva prendere, per quanto assurde e affrettate potessero sembrare. Ben le aveva chiesto aiuto, tanto bastava: si sarebbe fatta trovare nel primo posto in cui era sicura sarebbe andato. Per fortuna gli hangar non erano lontani dai suoi alloggi, ma nemmeno tanto vicine al Palazzo da rendere rischiosi i suoi movimenti. 

Decise di costeggiare il perimetro interno dell’edificio, poi corse a perdifiato attraverso i cespugli e i bassi arbusti del giardino, sperando che nessuno si affacciasse dalle finestre in un attacco di insonnia. Ringraziò mentalmente se stessa per non aver atteso l’arrivo del giorno per muoversi, seguendo quell’istinto che le diceva che Ben era in procinto di allontanarsi da Naboo e che nemmeno lui aveva intenzione di attendere molto per farlo. Se provava a chiudere gli occhi per un istante, tutta la confusione e il dolore che aveva percepito si trasformavano in determinazione: Ben stava progettando qualcosa. Si muoveva freneticamente, la rabbia veniva messa da parte per lasciar posto alla freddezza delle decisioni meditate con calma, prendeva la sua spada e si allontanava dalla stanza, addormentando le guardie che avrebbero dovuto sorvegliarlo con un gesto della mano. La principessa dormiva nella sua stanza, ma non poteva fermarsi un attimo di più a pensare a quanto aveva fatto, non quando aveva un compito da svolgere.

Forse sarà l’ultimo.

Corse finché l’hangar, quello da cui partivano le navi che portavano lo stemma della casa reale di Naboo, non apparve davanti a lei. Per fortuna conosceva abbastanza quell’edificio da entrare eludendo i sistemi di sicurezza, e sapeva per certo quale fosse la nave verso cui Ben si sarebbe diretto per primo.

Tra X e Y Wing di recente costruzione, droidi astromeccanici spenti e altre navi in disuso che attendevano solo un pilota per farle funzionare, spiccava un vecchio mercantile Corelliano dall’aria vissuta che il suo proprietario doveva aver amato molto. Rey si concesse un piccolo sorriso: conosceva quella nave. L’aveva vista volare innumerevoli volte nei cieli di Naboo, diretta chissà dove, e le storie che la vedevano protagonista passavano di bocca in bocca tra i contrabbandieri e gli avventurieri che incontrava nelle locande di Theed… storie di come quella nave – un pezzo di ferraglia, all’apparenza – era partita da Tatooine ed era entrata nella leggenda, accompagnando la Principessa e suo fratello nella loro lotta contro l’Impero. Ogni volta che ascoltava uno degli uomini parlare delle rotte che aveva percorso, e di come avesse corso lungo quella di Kessel in meno di dodici parsec, non poteva fare a meno di fantasticare per ore intere e, una volta fuori dalla taverna, fingeva di riempire il suo speeder di merce di contrabbando e di partire all’avventura anche lei, verso le zone più inesplorate della galassia. Vederla spiccare tra le altre navi, quasi fosse in attesa di qualcuno che la riaccendesse per partire per nuovi viaggi, le fece stringere il cuore. Anche lei aveva una missione da svolgere, lasciarsi andare ai ricordi non sarebbe servito a nulla.

Contrariamente alle proprie aspettative, riuscì a penetrare senza troppi problemi all’interno: i sistemi di sicurezza erano facili da eludere, e aveva acquisito parecchia esperienza grazie allo studio dei vari modelli di mercantili. Strisciando tra le casse ammassate negli angoli, attenta a non urtare nulla, si fece strada fino a trovare i famosi condotti di cui gli avventurieri amavano parlare, quelli che permettevano ad Han Solo di nascondere la merce da portare in giro per pianeti. Per fortuna sembravano essere stati utilizzati molto spesso, per cui nascondersi al loro interno fu semplice quasi quanto lo era stato entrare.

La prima parte del piano riguardava solo infilarsi lì e attendere. Il resto sarebbe venuto dopo… almeno sperava.

Per fortuna non dovette attendere molto, prima di udire il rumore del portellone che si apriva e i passi del prossimo pilota farsi strada verso la cabina di pilotaggio. Quello che la stupì maggiormente, però, fu di udire la voce profonda del ragazzo che la chiamava, come se avesse sempre saputo che l’avrebbe trovata lì, accucciata tra fili e pezzi di ricambio, con gli occhi chiusi e le ginocchia strette al petto, quasi cercasse di rendersi invisibile.

“Rey? So che sei lì dentro.”

Rimase in silenzio. Cos’altro avrebbe potuto fare? Il suo primo impulso era stato quello di saltare fuori, di aggredirlo a parole e fargli capire senza mezzi termini che l’avrebbe seguito ovunque, impedendogli di fare qualcosa di stupido… ma ora che era lì, sola, in procinto di partire per chissà dove, sentì che la fiducia in se stessa veniva meno. Perché aveva seguito il suo istinto in quel modo stupido? E se Ben l’avesse scaricata lì nell’hangar con le cattive, impedendole di proseguire?
No, non l’avrebbe fatto: una parte di sé, quella che manteneva la calma anche quando il resto della mente la perdeva, le diceva che non aveva nessuna intenzione di farle del male. Eppure, quanto era successo il giorno prima ancora la scuoteva.

“Non potevi essere da nessun’altra parte… ti ho sentita agitarti da quando ti sei svegliata. Se stai pensando che io abbia intenzione di tirarti fuori di lì con la forza, ti sbagli di grosso… sarebbe inutile, so quanto sei testarda.” Sorrideva, eppure le labbra si incurvavano senza il minimo divertimento. “Ti accorgerai da sola che non sarà un viaggio di piacere, il mio.”

Il collo iniziava a farle male, ma non aveva nessuna intenzione di uscire e dargli soddisfazione. Sentì che Ben azionava alcuni comandi, poi tirava una leva e, come per magia, la porta dell’hangar si apriva per liberarli. Probabilmente stava usando la Forza, si disse, e non poté non ricordare l’espressione arrabbiata di Luke ogni volta che la adoperava per scopi non ortodossi (“non è così che funziona la Forza!”, gridava)… e si chiese dove potesse essere il suo Maestro. Cosa stesse pensando, se avesse percepito le sue azioni in qualche modo, come lei aveva capito che Ben stava macchinando qualcosa.
Ben ruppe di nuovo il silenzio.

“Ho impostato le coordinate per raggiungere la Via Lattea. Non so nemmeno se siano esatte o meno, le ho prese da un vecchio memoriale scritto da un avventuriero di Chandrila, ma non ha importanza… devo arrivarci. È l’unico motivo per cui non sono rimasto a Theed, a pagare per i miei crimini.”

La sua voce era grave, ma non tremava: la determinazione che aveva percepito la sera precedente non si era affievolita. Continuava a manovrare la nave che era stata di suo padre, a toccare quei comandi con le stesse mani che avevano guidato la spada nel suo cuore, e non sembrava preoccuparsene minimamente. Sapeva di aver commesso un’azione orribile, imperdonabile, ma come pensava di fare ammenda sparendo in un angolo della galassia da cui in pochissimi erano tornati?

Stremata dal dolore alle spalle e stufa di restare nascosta come una scatola di merce, Rey spinse le mani contro la grata sopra la testa e la spostò di lato, uscendo fuori dal suo nascondiglio. Ben le gettò solo un’occhiata distratta: doveva aver davvero percepito ogni sua intenzione e movimento, da quando si era alzata dal letto fino a quando era sgattaiolata nel Falcon. Che stupida era stata, a pensare che la loro connessione si interrompesse proprio quando le serviva…

Sprofondò in uno dei sedili imbottiti poco lontani dalla cabina di pilotaggio, davanti ad una scacchiera di Dejarik piuttosto impolverata. Aveva deciso di evitarlo e di non rivolgergli la parola fino a che quella situazione di imbarazzo iniziale non fosse calata, ma la destinazione che segnavano le mappe la colpì troppo per farle mantenere la sua promessa.

“Mortis?!?” esclamò, forse a voce un po’ troppo alta. “Ma si trova nel settore Selvaggio! È lontanissimo, ci vorranno almeno due mesi per arrivare…”

“Non guidando questa nave.” Ben si era voltato finalmente nella sua direzione con un sorrisetto sghembo che, per la prima volta, coinvolgeva anche gli occhi. Ci doveva essere qualcosa dell’Han Solo orgoglioso della propria nave in lui, più di quanto volesse ammettere. “I resoconti dei viaggiatori che l’hanno raggiunto sono confusi e frammentari, ma non ho altra scelta… intorno a Mortis si allarga il Sentiero delle Anime, la Via Lattea. Se c’è qualcosa di vero nei racconti, se la Forza nasce in quel settore dimenticato da tutti, forse…”

Anche tu credi alle favole, Ben? A quelle che ti raccontavano da bambino prima di dormire, e mai avresti pensato di diventare tu il protagonista di quelle storie… alle leggende che passano di bocca in bocca e ognuno vi aggiunge qualcosa, finché non portano una parte di tutti quelli che le hanno raccontate. Ci credi davvero? O stai solo cercando una redenzione semplice, attraverso il sacrificio?

Scosse la testa con tanta forza da farsi male. Ben continuava a guardare i comandi davanti a sé, perso nei suoi pensieri. Notò che stringeva tra le dita un paio di dadi dorati e li rigirava da un palmo all’altro senza nemmeno guardarli.

“Sono solo… storie” mormorò debolmente. “Leggende. Non sappiamo nemmeno se esista davvero, un pianeta di nome Mortis. Né una Via Lattea in cui le anime si raccolgono prima di dissolversi nella Forza.”

Quando i suoi genitori l’avevano abbandonata affidandola a Luke, non si era data pace. Per giorni aveva pianto e si era agitata, sperando che tornassero a prenderla, aspettandoli fiduciosa. Il suo Maestro non le aveva più parlato di loro per non darle false speranze, ma un giorno aveva dovuto dirle che probabilmente erano morti, oppure sarebbero venuti a reclamarla da un pezzo… sempre se la desideravano davvero, e non l’avevano affidata a Luke solo per togliersela dai piedi, spaventati dal suo strano dono. Crescendo e ascoltando quelle storie, la tristezza nata dall’idea di essere stata solo un peso per loro si mischiava alla speranza di poterli cercare, un giorno, in quel luogo a metà tra i sogni e la realtà. Se davvero erano morti, forse la stavano aspettando lì… 

“Sembri mio zio, a volte.” Scosse la testa e rimise a posto i due dadi dorati sopra i comandi. “Nelle leggende spesso si nascondono le verità più profonde… e, come ti ho detto, non ho altra scelta. Posso solo provare ad arrivarci, compiere la mia missione, e quel che succederà dopo lo sa solamente la Forza. Se non hai voglia di seguirmi, posso tornare indietro e riportarti su Naboo.”

Considerò seriamente quella possibilità. Tornare a Theed, far finta che nulla fosse mai successo, mentire a Luke e alla Principessa riguardo Ben, continuare ad allenarsi… e percepire ogni suo spostamento, ogni sua scelta. Vederlo nei sogni, sentirlo gioire e soffrire, e perdersi per sempre nell’infinità della galassia. O forse tornare vincitore.
Ma non poteva lasciarlo andare. Non avrebbe sopportato di sentirlo nella sua testa e restare impotente, senza alcuna possibilità concreta di aiutarlo.

“La scelta è solo tua.”

Rimasero entrambi in silenzio. Sopra i comandi, i dadi tintinnarono debolmente, scontrandosi.

Gli rivolse un’occhiata di sottecchi e decise che, per quel giorno, non aveva voglia di continuare a discutere. Tirò fuori la sua borsa dalla buca dove l’aveva infilata e ne estrasse la spada, rigirandosi l’elsa metallica tra le dita come Ben aveva giocato con quel cimelio appartenuto a suo padre, cercando di non pensare per un attimo al viaggio che avevano appena iniziato. Fuori, il sistema di Naboo iniziava ad allontanarsi, e con quello la presenza di Luke.
 






Una volta Luke l’aveva mandata a cercare ingredienti per impacchi medici al mercato. Finite le compere, si era infilata in una piccola locanda tranquilla di Theed, una delle sue preferite, dove si poteva mangiare frutta dai colori più strani e ascoltare le storie dei contrabbandieri che si riposavano su quel pianeta verdeggiante prima di ripartire per le loro rotte.

Seduta ad uno dei tavolini nascosti, aveva sentito un uomo anziano parlare di Mortis. Un pianeta lontano, che appariva come una forma nera e indistinta a chi era tanto coraggioso da avvicinarvisi, ma che nascondeva un cuore di foreste lussureggianti e vulcani, rocce crudeli e fiumi di lava sotterranea. La Via Lattea era piena di pianeti di quel genere, aveva sentenziato mostrando alcuni appunti scarabocchiati su di un foglio giallastro, coperto di disegni che non era riuscita a vedere bene. Un nastro di asteroidi e piccoli pianeti sparsi, stelle di ogni genere che brillavano, e lune misteriose a cui nessuno ancora aveva dato un nome. Nessuno che avesse voglia di viaggiare sicuro si sarebbe mai avventurato lì: le rotte conosciute si spingevano fino a Dantooine, fuori dall’Orlo Esterno, ma non osavano oltre.

L’uomo mostrava i suoi disegni a chiunque fosse curioso di ascoltarlo, e affermava che quelli che giungevano a Mortis finivano per perdere la ragione, inseguiti da visioni e immagini dei propri cari perduti.  La Via Lattea, il Sentiero delle Anime, la strada celeste che percorrevano coloro che avevano lasciato il mondo terreno e cercavano pace nella Forza… così raccontavano le antiche religioni, ma quelle storie avevano conquistato pian piano anche la gente comune e chi non credeva nella Forza.
Annuiva convinto, rispondeva a chi lo invitava a smettere di raccontare bugie, spergiurava di essere davvero arrivato su quel pianeta e di poter raccontare con esattezza quanto gli era accaduto. L’uditorio lo ascoltava, attento. Solo in pochi mettevano in discussione quello che stava narrando.


Lei aveva ascoltato quelle storie con interesse e distacco, lo stesso stato d’animo di quando tirava giù un tomo dalla biblioteca e leggeva le avventure degli antichi Sensibili, o dei mercanti spaziali che avevano lasciato i loro resoconti alla famiglia Naberrie… i racconti non l’avevano più abbandonata. Anche dopo giorni e mesi, non aveva potuto dimenticarli. Perché, per quanto potesse trattarsi solo di leggende, non era detto che non contenessero un fondo di verità: ogni storia era basata su qualcosa di vero.

Forse sarebbe stata lei a scoprirlo.
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 



 


“Hai davvero resuscitato un Tooka, quando eri bambino?”

Ben sbuffò, più irritato dall’essersi fatto cogliere impreparato che dalla domanda in sé. Erano seduti nella cabina di pilotaggio, lungo una rotta tranquilla in cui avevano potuto impostare senza problemi il pilota automatico. Per quanto non le fosse mai capitato di guidare grandi navi, a parte i gli speeder e qualche ferrovecchio, Rey si era sentita immediatamente attratta dai comandi del Falcon, installandosi al posto del secondo pilota. Sulle prime l’euforia l’aveva avvolta, poi si era bloccata, come se qualcosa l’avesse colpita: era sicura che Ben l’avrebbe respinta. Stranamente, però, non era accaduto. Anche se erano in viaggio da una sola settimana, la loro convivenza si stava rivelando sorprendentemente semplice da gestire.

“Sì, l’ho fatto.” Scosse appena la testa, un gesto istintivo che portava i bei capelli mossi a sparpagliarsi sul suo viso, come se stesse inconsciamente tentando di coprirsi il più possibile dal suo sguardo. “Ero piccolo, non mi rendevo conto di quel che mi succedeva… e non me ne sono reso conto per parecchio tempo. Un potere del genere ti sembra incredibile, quasi speciale, finché non ti rendi conto di come ti trasforma agli occhi degli altri.”

Rey si morse il labbro inferiore. Ogni domanda era un azzardo, una ferita ancora fresca che lo faceva sussultare come un animale selvatico, eppure aveva bisogno di risposte. Dopo giorni interi in cui non si erano parlati, proseguendo il viaggio come due perfetti sconosciuti, quelle frasi incerte li aiutavano a ristabilire un contatto, seppur minimo.  All’inizio aveva pensato che quel silenzio imbarazzante non si sarebbe mai sciolto, che avrebbero proseguito fino all’inizio della Via Lattea senza nessun cambiamento, persi ognuno nei propri pensieri.

La verità era che affrontare qualunque discussione le faceva paura, perché non avrebbe saputo come comportarsi, e Ben doveva averlo capito. Si erano persino urlati contro, ricordò mentre si torceva le dita in grembo. Avevano iniziato a discutere per un motivo che nemmeno ricordava e lei gli aveva rovesciato addosso tutta la propria frustrazione, il nervosismo per quel viaggio che si prospettava lungo e snervante, probabilmente senza nemmeno una vera destinazione. Sulle prime avevano solo battibeccato, poi Rey aveva lanciato il primo affondo, con rabbia non calcolata, come quando lottavano: io non sono stata così vigliacca da uccidere qualcuno che mi amava. Ben aveva abbassato la testa, il pugno così stretto che le nocche erano sbiancate fino a diventare più chiare del suo viso, la pelle spaventosamente tesa. Sembrava una scultura, aveva pensato la ragazza, un pensiero così assurdo e casuale da non sembrare nemmeno nato dalla sua mente. L’attimo successivo, le sue parole l’avevano investita come una tempesta.

Sì, ho ucciso mio padre. Pensi che non lo sappia? Pensi che l’abbia fatto con gioia, premeditandolo per mesi?  Tu non sai cosa significa vivere con una voce come quella di Snoke nella testa. Aveva scosso la sua, in un moto di agitazione controllata ma disperata. Tu non sai… non immagini cosa significhi cercare di chiuderla fuori, ma non riuscirci in nessun modo, nemmeno aiutato dal tuo Maestro, perché ha paura di te e del tuo potere. Provi a chiedere aiuto a tua madre, ma lei non c’è mai. Tuo padre non può, forse non vuole nemmeno capirti. E quella voce resta lì, sussurra cose, ti consola, ti promette che diventerai migliore… solo se cederai a lui. Non sai cosa significa.

Anche allora, si era morsa un labbro. Era pronta a ribattere, ma Ben l’aveva preceduta.

Credi davvero che mi imbarcherei in un viaggio del genere, se non fossi davvero disperato? Se fossi rimasto a Theed ad aspettare la mia sorte, probabilmente mi avrebbero risparmiato.
Come puoi anche solo pensare che sia semplice?

E poi si era fermato, le guance rosse, gli occhi che brillavano della stessa confusione dolorosa della notte in cui erano fuggiti. Rey l’aveva guardato in viso, forse per sfidarlo, forse per studiare la sua espressione e provare a capirlo, ora che sentiva di aver sbagliato. Lui, però, si era girato per allontanarsi. In qualche modo, doveva aver percepito i suoi pensieri.

Non ho mai chiesto comprensione, aveva mormorato a denti stretti.

Girandosi di scatto, era tornato nella cabina in cui trascorreva le sue notti senza riposo e, poche ore dopo, Rey l’aveva sentito agitarsi nel sonno. Si era avvicinata senza farsi sentire alla sua figura addormentata, l’aveva guardato stringere i denti e rigirarsi, mormorare dei no, no sommessi. Sudato e spettinato, somigliava così tanto ad un bambino spaventato che, per un attimo, le aveva fatto pena.
Stava per sfiorargli i capelli con una carezza leggera, ma la paura di svegliarlo l’aveva fermata. La nave si muoveva piano, avanzava tra le stelle che li osservavano senza giudicarli dall’alto della loro saggezza, e non facevano rumore.
Era rimasta lì, in piedi, ad aspettare, finché non si era finalmente calmato e le braccia avevano smesso di agitarsi sotto al lenzuolo e quelle parole spezzate si erano fermate, inghiottite dalle sue labbra stanche.

Il giorno dopo non si erano rivolti la parola. Quello ancora successivo, a Ben era caduto un utensile con cui stava sistemando il sedile di guida, e quando Rey si era precipitata a raccoglierlo i loro sguardi si erano incontrati con un minuscolo sorriso. Grande abbastanza da riparare, almeno in parte, quel che era successo giorni prima.
Inspirò profondamente, abbandonando quei ricordi. La verità era che le piaceva ascoltare la voce di Ben che parlava, ma non l’avrebbe ammesso nemmeno a se stessa. 

Si era abituata alla sua presenza discreta, aveva memorizzato il suono dei suoi passi sul pavimento del Falcon tanto che, se per un qualunque motivo le loro strade si fossero improvvisamente divise, ne avrebbe sentito la mancanza. Controllavano le rotte insieme, ogni tanto scherzavano lasciandosi andare al ricordo di un allenamento e Ben faceva l’imitazione di Luke, portandola a ridere in maniera incontrollabile, la testa che crollava all’indietro mentre le risate le sfuggivano dalle labbra senza che riuscisse a fermarle. Quando l’eco della risata si spegneva entrambi ricordavano lo scopo della missione, eppure qualche traccia di quel momento restava tra loro. Rey le conservava nel cuore, sperando significassero davvero qualcosa.

“Ero solo un bambino che non sapeva nulla di quel che stava succedendo” tagliò corto. “Poi, crescendo, mi sono reso conto che avrei dovuto tenere per me quel potere. La gente sapeva che ero un Sensibile e già sospettava di me… non c’era motivo di renderli ulteriormente diffidenti.”

Rey alzò gli occhi, e si stupì nel vedere che anche Ben la guardava. I loro sguardi si incontrarono a metà, e lo capì come mai le era capitato prima di quel momento. La solitudine, il timore di non essere accettato, non erano gli stessi sentimenti che provava anche lui, in fondo?  I suoi genitori l’avevano abbandonata perché era una Sensibile e quelli come lei non erano facili da gestire. Forse aveva sperato di trovare amore e comprensione nel suo Maestro, ma Luke non l’aveva mai abbracciata quando aveva paura del buio, non aveva sussurrato parole gentili perché si sentisse a suo agio se l’allenamento si faceva troppo duro… era abile, forte, ma distaccato come se un dolore troppo antico avesse trasformato il suo cuore di eremita in pietra. Ben era l’unico ad aver vissuto quelle situazioni prima di lei, e le stava tendendo la mano, non importava se per aiutarla o per essere aiutato a sua volta.

 “La gente non capisce mai” mormorò ancora il ragazzo, chinando appena lo sguardo, un po’ per imbarazzo, un po’ perché le piaceva perdersi nelle sue riflessioni. “Gli basta tenere lontano chi è diverso e fingere di capirlo, ma a distanza. Per questo nascono sempre meno Sensibili… Luke diceva sempre che, piuttosto che appartenere ad una minoranza, preferiscono ignorare il loro vero potenziale.”

Rimase seduto davanti a lei, le braccia strette al petto, e in un attimo Rey sentì di non potersi trattenere: le parole uscivano dalle sue labbra senza quasi controllarle, aveva solo voglia di parlare e di spiegare tutto, di raccontargli quelle parti della loro infanzia che si somigliavano tanto e di offrirgliele perché la comprendesse, perché si sentisse meno solo e non le urlasse più contro come qualche giorno prima.

“Mi ha parlato” esordì. “Ha parlato anche a me quando ero piccola, poi quando ci allenavamo insieme. Snoke. Non sapevo chi fosse all’epoca, ovviamente… era solo una voce cattiva, sinistra, che mi sussurrava cose. Ho provato a non ascoltarlo, ma più cercavo di ignorarlo più mi invitava a fare quello che non avrei mai voluto fare, faceva leva sulle mie debolezze. Avevo paura, ma non l’ho mai detto a Luke… non so nemmeno perché. Forse non volevo creargli problemi, o magari mi vergognavo di me stessa, di non essere in grado di resistergli.” Si torse le mani in grembo. “Ma quando hai parlato di lui, di quello che ti ha fatto fare, ho riconosciuto quella sensazione. Non l’avrò sentito nella testa per tanto tempo come te, ma…” si trattenne di nuovo. La gola le faceva male come se stesse per scoppiare a piangere, un groppo doloroso di lacrime che non riusciva a mandare giù in nessun modo. “… ma ti capisco. Capisco quel che è successo. Non avrei dovuto reagire come ho reagito.”

Cadde il silenzio, e si permise di prendere un respiro per scacciare le lacrime che stavano per scendere. Accanto a lei, Ben non era più rigido, ma non emanava quella serenità che sperava.

“Ne avevi tutto il diritto.” L’occhiata triste che le lanciò era insopportabile. “Non sei tu a doverti vergognare di quello che sei diventata. Quel privilegio spetta solo a me.”
 

*
 

Quando fu l’ora di andare a letto, lo seguì piano verso la sua cabina. Ben non cercò di fermarla, non rifiutò la sua compagnia, nemmeno dopo essersi disteso e averla vista restare lì, seduta accanto a lui, come se non sapesse bene nemmeno lei come comportarsi. Nemmeno quando sentì le dita di Rey sfiorargli i capelli neri e morbidi si lamentò: forse cercava anche lui quel contatto, in fondo. Era troppo orgoglioso, troppo timido per chiederle espressamente di dormire con lui, ma Rey capì la richiesta muta dietro i suoi occhi. Alla fine si addormentarono vicini come due bambini stremati da una giornata di gioco, Rey con la testa appoggiata sul lato del letto e le gambe sul pavimento, Ben disteso senza grazia, le braccia che penzolavano verso terra. Il mattino dopo ricordava poco o niente di quella notte, a parte di aver sussurrato per calmare il sonno del ragazzo, che continuava ad agitarsi e a mormorare frasi senza senso. Shh, shh faceva, e le labbra impastate di sonno reagivano inconsciamente ai suoi lamenti, finché Ben non si era addormentato di nuovo.

Si assomigliavano come due foglie dello stesso ramo: quel viaggio glielo faceva capire ogni giorno di più. A volte le capitava di percepire una tristezza più grande di lei avvolgerla, e iniziava a chiedersi cosa ne fosse stato dei suoi genitori una volta che l’avevano lasciata da Luke senza dirle nulla, il mantello che frusciava nel buio e i loro passi che si allontanavano. Altre volte rideva a crepapelle e più niente importava, se non quella sensazione inebriante di gioia pura che la scuoteva da capo a piedi come una tempesta. Se si girava, si accorgeva che quegli stessi sentimenti erano dipinti anche sul viso di Ben: se lei soffriva, lui ricordava il dolore. Quando lui sorrideva, un’allegria sottile le allargava il cuore.

Chandrila, Serenno, Hoth, Mustafar: i nomi dei pianeti scorrevano sotto i suoi occhi come parole misteriose. Rey leggeva le mappe, provava ad immaginare scenari, ma Ben respirava lì accanto con calma regolare e lei non riusciva a pensare ad altro che al modo in cui l’aveva calmato la notte prima, ai suoi occhi che scrutavano vecchi diari di bordo, mentre una piega al lato delle labbra tradiva un piccolo sorriso.

Forse erano legati da prima della loro nascita, forse no, ma era davvero importante? Sapeva solo che, nell’incertezza del mondo, Ben Solo era l’unico ad avere le risposte che lei cercava, e che lei rappresentava lo stesso per lui.
 



 



Quando la Regina iniziò ad ammalarsi, l’intero pianeta trattenne il fiato.

Le notizie si rincorrevano di bocca in bocca, nessuno riportava la stessa versione di un altro, ma una cosa era certa: Padmé Amidala veniva consumata dalla malattia giorno dopo giorno, e non c’era nulla da fare. Invano guaritori e saggi avevano raggiunto Theed da lontano per assisterla, ma tutti quanti lasciavano la stanza in silenzio dopo averla visitata, con lo stesso responso sulle labbra. Nessuno avrebbe potuto salvarla, ripetevano, mentre Anakin Skywalker stringeva i pugni e malediceva la sorte che l’aveva preso in giro fino all’ultimo.

Quando nacquero i suoi figli gemelli, tutti tirarono un sospiro di sollievo, persino Anakin. Erano due bambini sani e Padmé non smetteva più di baciarli e di stringerli al petto, felice come il marito non la vedeva da tempo. Ma si trattò di una breve tregua: dopo qualche giorno, la sua salute era di nuovo peggiorata. La Regina deperiva giorno dopo giorno, tanto che non riusciva più nemmeno ad allattare Luke e Leia, né ad alzarsi dal letto per raggiungere la culla e prenderli in braccio. Dopo un mese dalla nascita dei gemelli, le sue condizioni apparivano disperate.

Nella folla di guaritori che si alternavano al capezzale della moglie, Anakin Skywalker si confondeva. Camminava avanti e indietro, disperato, il viso tra le mani: si sentiva impotente. Erano giorni che i consiglieri scuotevano la testa e gli suggerivano di rassegnarsi ad accettare l’inevitabile, ma lui non voleva perdere sua moglie, non poteva. Amava Padmé più di se stesso, e non l’avrebbe mai abbandonata.

I giorni passavano, e una forza oscura tramava alle spalle della corte, senza che nessuno se ne accorgesse. Darth Sidious e Snoke sedevano uno a destra e uno a sinistra di Anakin, sussurrando promesse seducenti che fingevano di alleviare le sue sofferenze. Vuoi davvero salvare tua moglie? Vuoi che Padmé torni dal regno dei morti e ti sorrida, priva di dolore, libera dalla malattia? Possiedi il potere per farlo. Devi solo fidarti di noi, e del Lato Oscuro. Mormoravano incoraggiamenti, lo elogiavano e in silenzio Anakin Skywalker meditava una decisione, si addestrava.

Le notti trascorrevano e morivano all’alba, e con loro le speranze del regno.

Quando al tramonto la Regina si era spenta, tutto il popolo era rimasto in silenzio. Tutti tranne suo marito: un ghigno gli deformava il viso mentre le prendeva una mano, un misto di dolore e rabbia, e di soddisfatta rivincita. Ce l’aveva fatta. Avrebbe sconfitto la morte, e più nessuno avrebbe osato sottrarre chi amava dalle sue mani.
Quella notte, oltre alla Regina, anche l’anima di Anakin aveva lasciato il suo corpo.

Darth Vader rideva istericamente, mentre le lacrime gli riempivano gli occhi.
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
 
Tempo dopo
 
 


 
Un nuovo sussultò la mandò a sbattere contro il quadro dei comandi.

Mormorando un lamento e massaggiandosi lo stomaco, Rey si tirò su a fatica. Tentò di sedersi sul sedile e di riprendere il controllo del Falcon, ma una nuova turbolenza la fece sussultare di nuovo, allontanandola dalla superficie morbida della poltrona. Questa volta, però, le braccia di Ben scattarono in avanti, impedendole di cadere.

Rey si rilassò per un attimo, permettendosi di cedere a quel tocco gentile per sentirsi al sicuro. Erano da poco entrati nell’orbita di Mortis, quando un campo di asteroidi li aveva sorpresi, facendo impazzire temporaneamente i sensori del Falcon: Ben le aveva assicurato che la nave ne aveva passate tante, ma quel percorso era più difficile e pericoloso di qualunque rotta avesse mai immaginato. Non avevano potuto far altro che provare a regolare i macchinari perché continuassero il percorso impostato subendo meno danni possibili, ma le rocce che continuavano a colpire la nave da ogni direzione non sembravano volerglielo permettere.

“Di questo passo sarà un pessimo atterraggio, il nostro” sospirò Ben, e per un secondo il suo tono desolato quasi la fece sorridere. Sicuramente era preoccupato, ma sembrava essersi lasciato alle spalle un po’ del dolore e della rabbia che aveva provato fin dall’inizio del viaggio: quelle settimane trascorse insieme lo avevano cambiato, avevano cambiato entrambi. Vivevano bene i loro silenzi, ci si adattavano perché ognuno aveva imparato a capire quelli dell’altro, come se l’equilibrio tra loro fosse sempre esistito. Si permise un attimo in più di tranquillità, ma un nuovo scossone li spedì entrambi a terra, mentre la nave sussultava, colpita da un nuovo masso. 

“Niente da fare.” Ben si era rialzato di colpo e armeggiava con i comandi, le labbra strette che non promettevano nulla di buono. “Non riesco a inserire il pilota automatico,  i comandi non rispondono più. Dobbiamo provare ad atterrare da soli, in ogni modo possibile.”

“Ma ci schianteremo!” obiettò la ragazza, controllando freneticamente le mappe come se l’unico sistema per superare quel campo di asteroidi fosse nascosto tra loro. “Forse possiamo restare fermi in una zona più riparata e…”

“Gli asteroidi non si fermano mai” scosse la testa. “Ne parlano tutti i resoconti, lo riporta anche quel diario di bordo di Chandrila che ho consultato. Questa zona ne è piena… per quello nessuno riesce a raggiungerla. Dobbiamo usare i comandi manuali e provare un atterraggio d’emergenza.” Inspirò profondamente, prendendosi la testa tra le mani. “È l’unico modo che abbiamo per arrivare su Mortis.”

“Ma…”

“Ti fidi di me o no?” mormorò Ben, e fu stupita dal tono di preghiera che avevano quelle parole. Strinse con forza lo schienale del sedile per non finire di nuovo sul pavimento, poi poggiò la spalla sulla mano del ragazzo: sì. Era uno di quei momenti in cui le parole non sarebbero servite a nulla. Si piegarono entrambi sui comandi, i denti digrignati per la concentrazione: Rey chiuse gli occhi, si lasciò andare a quella sensazione di vicinanza e pensò che era proprio come quando combattevano anni prima, e un grande flusso di energia nasceva dall’uno e arrivava all’altro senza distinzione, come se entrambi lo alimentassero, e quel flusso era la Forza stessa. Erano una sola entità con due cuori, un equilibrio precario che, però, resisteva, anche se nessuno sapeva perché.

Doveva fidarsi di Ben. Come sarebbero potuti uscire di lì, altrimenti?

Si aggrappò con forza a lui e strinse i denti, mentre il ragazzo premeva una serie di comandi ed entrambi guardavano il Falcon avvicinarsi sempre più all’orbita di Mortis, volare in picchiata e sfiorare il suolo, sempre più velocemente… fino a che luci e colori non si confusero, e le loro grida divennero un suono indistinto che riempiva lo spazio della cabina di pilotaggio. Ricordava solo di aver afferrato le gambe di Ben mentre rovinava al suolo, poi più nulla: solo un forte boato e il rombo dei motori che si spegnevano di colpo, quasi fossero arrabbiati per il trattamento ricevuto.
 

*
 
 
Doveva essere svenuta, perché si svegliò qualche ora – o secolo – dopo con la testa dolorante. Accanto a lei, Ben si era alzato in piedi e guardava attorno a sé: erano atterrati ai margini di una foresta. Una strana foresta, in cui gli alberi erano riuniti in gruppi e apparivano secchi e bianchi, come pallidi scheletri che si reggevano in piedi per miracolo. Si strofinò una guancia per dare sollievo agli occhi appannati, ma la nebbia leggera che li circondava non sembrava essere un’illusione.

“Ecco Mortis” mormorò Ben, più a se stesso che alla ragazza. “Ma certo, avrei dovuto capire che…”

Si interruppe per alzare la testa: sopra di loro, una striscia luminosa tagliava il cielo. Blu e rossa e viola, risplendente di tante piccole luci, sembrava una ferita che squarciava la volta e la riempiva di stelle lontane, inaccessibili.

La Via Lattea.

Dopo tante ricerche, dopo aver letto di quella zona in libri e resoconti, finalmente erano arrivati, e l’inquietante bellezza di quella vista li lasciò senza parole. Rey si strofinò gli occhi, incredula. In confronto alla meraviglia di quella striscia di luci, la strana vegetazione di Mortis sembrava perdere qualunque attrattiva. E ora dove andiamo? avrebbe voluto chiedere la ragazza, il pianeta sembrava essere disabitato e certamente nessuno avrebbe potuto indicare loro dove trovare le anime perdute di quelli che non abitavano più il mondo dei vivi… finché un sussurro non le arrivò alle orecchie. Una voce né buona né cattiva, poco più di un filo di vento che le accarezzava le orecchie dolcemente, e stranamente non la spaventava come avrebbe dovuto.

Rey… bambina dei bassifondi, madre e padre di te stessa…

Si girò rapidamente, ma non vide nulla. Ben scattò nervosamente accanto a lei, forse aveva sentito la stessa voce sussurrargli qualcosa di diverso. La sua voce ruppe il silenzio.

“Credo che la direzione giusta sia quella.” Indicò un punto in cui gli alberi diventavano più fitti, la nebbia li abbracciava come una donna dal lungo mantello bianco. “Ho letto di un altare da qualche parte, un luogo in cui sarebbero apparsi gli spiriti a chi li cercava… ma non possiamo esserne sicuri finché non proveremmo ad avvicinarci.” Era teso, cercava disperatamente di mantenere un tono di voce distaccato, eppure era chiaro quanto quella situazione lo facesse sentire smarrito. Se il loro rapporto fosse rimasto lo stesso della partenza probabilmente il suo tono di voce l’avrebbe divertita: il grande Kylo Ren, detentore di un potere che andava oltre le leggi della natura, spaventato da un po’ di nebbia e da qualche sussurro? Ma ne avevano passate tante insieme, e il sudore che gli imperlava la fronte era uguale a quello che le colava giù per la schiena, gelido, impossibile da fermare.

“Guidami.” Gli prese la mano, per fargli capire che erano arrivati lì insieme e ne sarebbero usciti insieme, a qualunque costo. “Andiamo. Se non dovessimo trovare nulla torneremo al Falcon e proveremo a farlo tornare indietro… in un modo o nell’altro.”
Non disse quello che era sospeso nell’aria tra loro, che i comandi erano troppo compromessi per far ripartire tutto subito e che ci sarebbero voluti giorni perché la nave fosse di nuovo operativa, sempre che fosse stato possibile ripararla: lo sapevano bene entrambi. Rey sospirò. Non restava altro da fare che andare avanti e avanti, cercando di non perdersi in un ambiente che nessuno dei due conosceva. Forse solo così…

Ben Solo Ben Solo Ben Solo…

I sussurri aumentarono di intensità, ma questa volta riuscivano ad udirli entrambi. Il nome del ragazzo sembrò cavalcare l’aria, poi le voci si fecero più insinuanti, meno neutrali. Quasi languide. Ragazzo senza futuro, re dal trono insanguinato, tu che pieghi la vita e la morte al tuo volere… ascoltaci…

“Le senti?” chiese Rey, spaventata. Era facile ignorare  un mormorio che sembrava pronunciare il suo nome, ma quando qualche parola inarticolata diventava un vero e proprio invito il cuore iniziava a battere con più forza nel petto. Strinse la presa sulla mano di Ben, e sentì che anche lui afferrava le sue dita, quasi fossero l’unica garanzia di salvezza.

“Sì” sussurrò lui. “Vengono da lì.” Indicò davanti a loro: tra gli alberi che si diradavano e aumentavano di numero si intravedeva una sorta di blocco di pietra bianca dai contorni indistinti, che spiccava contro il terreno nero che caratterizzava il pianeta. Un altare, quello di cui aveva parlato Ben poco prima, forse?

Improvvisamente, la paura le afferrò le viscere con tanta forza da farla tremare.

Non era da lei, un Sensibile doveva dominare la paura e vincere ogni timore con la sicurezza del proprio addestramento, ma cos’altro avrebbe potuto fare una ragazzina su un pianeta che non conosceva, con una nave mezza distrutta, lontanissima da casa? Non voleva spaventare anche Ben, se avessero vacillato entrambi sarebbe stata la fine… ma lui si fermò e la prese per le spalle, guardandola negli occhi con gravità. Gli occhi di un anziano sul viso di un ragazzo, lo sguardo di chi aveva visto troppo e sperava solo di dimenticare tutto e ricominciare da capo.

“Rey… qualunque cosa troveremo laggiù, non voglio che tu metta te stessa in pericolo. Se dovessi vedere che la situazione dovesse sfuggirmi di mano devi andartene, capito? Io ho un compito da portare avanti, ma tu non puoi soffrire per causa mia. Per cui…” inspirò a lungo, e per un attimo sembrò come se l’atmosfera pesante di Mortis si fosse alleggerita, permettendo loro di respirare meglio. “Lasciami qui, e basta. Torna al Falcon, segui le mappe e gli appunti dei viaggiatori che ho lasciato, e mettiti al sicuro.”

“No!” esclamò lei, e senza nemmeno accorgersene aveva posato le mani sulle sue, staccandosele dalle spalle. “Ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo? Abbandonarti qui, nell’angolo più remoto della galassia, e andarmene come niente fosse?” aveva teso la gamba con tanta forza da sentirla indolenzirsi all'istante, ma non gliene importava nulla. “Non posso, Ben. Sai che non posso. Sai che…”

“Ti prego.”

Aveva sussurrato quelle due parole in tono di supplica: era la seconda volta in poche ore, e improvvisamente Rey si accorse che nulla di quel che avrebbe potuto dire sarebbe servito a convincerlo. Nessuna minaccia né rimprovero, la rabbia e la sua testardaggine non erano nulla di fronte a quell’obiettivo, alla fredda determinazione con cui aveva deciso di giocarsi il tutto per tutto in quel viaggio. La guardava negli occhi sperando che capisse, ma Rey li chiuse di colpo.

Un attimo dopo gli buttò le braccia al collo e lo baciò senza aggiungere altro, trattenendo a stento le lacrime, perché quello era l’unico modo che aveva per dimostrare quello che già aveva cercato di fargli capire: siamo insieme, ne usciremo insieme. Le labbra di Ben erano fredde, e una lacrima scese a bagnarle poco dopo, ma non capiva se fosse caduta dai suoi occhi o da quelli di lui. Continuò a baciarlo, a farsi baciare e gli affondò le dita nei capelli, desiderando che tutto scomparisse e che si trattasse solo di un brutto sogno, di un incubo strano e contorto che poi sarebbe sparito nella luce oziosa dei mattini di Naboo…
Durò troppo poco, o forse troppo, ma quando si staccarono Ben le sorrise ancora una volta. Le sue guance sembravano rosse, forse la luce innaturale del pianeta le giocava strani scherzi. Le strinse la mano con più sicurezza, ed entrambi si resero conto di sapere perfettamente cosa avrebbero dovuto fare.

“Andiamo.”

Rey annuì. La pietra sembrava brillare di luce propria, laggiù sotto agli alberi bianchi. I sussurri continuavano ad inseguirli, parte stessa della nebbia o suoi messaggeri, quasi li scortassero verso la loro destinazione.
Una volta giunti più avanti, nella radura dove la pietra bianca si ritagliava il suo spazio tra la vegetazione scheletrica della foresta di Mortis, le voci si fermarono improvvisamente: un silenzio impenetrabile li avvolse, così immenso e schiacciante da sembrare quasi innaturale, come se qualcuno avesse risucchiato via ogni segno di vita, ogni minimo suono. Non tutti gli alberi erano bianchi, ce n’erano anche di verdi e qualche arbusto stentato sembrava essere riuscito ad avere la meglio sul terreno brullo, ma l’atmosfera restava assurdamente diversa da qualunque altro pianeta avessero mai visitato.

“Tutto bene?” le chiese Ben. Lei rispose stringendogli ancora una volta le dita, e annuì. Fecero entrambi un passo avanti, un piccolo passo per guardare meglio l’altare, e proprio in quel momento la coltre di nebbia che aveva aleggiato attorno agli alberi sembrò infittirsi e ricoprirli del tutto, nascondendoli l’uno dalla vista dell’altro.

Non fece in tempo a gridare il suo nome che sentì la presa sulle dita del ragazzo allentarsi. Ben si allontanava da lei spinto da una forza misteriosa e Rey non riusciva a far altro che agitarsi cercando di diradare con le mani la coltre nebbiosa, quasi potesse davvero sconfiggerla, distribuendo colpi e annaspando in cerca della mano del ragazzo, disperata, sola.

Ma non c’era nulla che potesse fare. Ben era lontano, attorno a lei si vedeva solo bianco e le forme indistinte degli alberi, qualche macchia di verde, il nero del terreno granuloso e vulcanico, e nient’altro. Scosse la testa con rabbia, si girò sui suoi passi e provò a sussurrare il suo nome, perché aveva paura di gridare ma non si sarebbe arresa in quel modo, non sarebbe tornata su Theed senza di lui, non avrebbe mai potuto…
 







Quante volte aveva riflettuto sulla possibilità di rivedere i suoi genitori? Tante.

Quante volte si era ripetuta che era tutto inutile, che Luke aveva ragione e che, una volta per tutte, avrebbe dovuto mettersi l’anima in pace e andare avanti con la propria vita, senza aspettarli? Ancora di più.

Eppure, una piccolissima parte di lei voleva disperatamente credere a quelle storie. Si era aggrappata all’idea che il viaggio di Ben Solo avesse un senso perché, se non ci avesse creduto davvero, avrebbe cancellato quell’unica speranza di poter rivedere i suoi genitori.

Perché, per quanto potessero vederla tutti come il frutto dei desideri di una povera orfanella, l’idea di essere accarezzata dalle loro mani gentili ancora una volta la aiutava ad andare avanti.
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 




 
Si premette una mano sul petto per sentire il cuore.

Isolati dall’esterno, le diceva sempre il suo Maestro: focalizzarsi su se stessa e dimenticare per un attimo il resto era l’unico modo per non lasciarsi prendere dal panico. Il battito riuscì a calmarla, inspirò profondamente un paio di volte, ma non tirò un sospiro di sollievo finché non vide la nebbia diradarsi appena e i capelli neri di Ben apparire, poco lontani da lei.

Era fermo, in piedi davanti all’altare, ma quando la ragazza si avvicinò non mostrò di essersene accorto: qualcosa lo teneva talmente impegnato da non farlo nemmeno voltare. Rey sporse la testa per poterlo guardare in viso e notò che fissava un punto davanti a sé, le pupille immobili, quasi vitree. Si guardò intorno, girandosi per capire cosa stesse succedendo, ma nel preciso momento in cui anche lei guardò la pietra bianca dell’altare la luce che emanava la accecò, facendole perdere l’equilibrio…

… poi tutto scomparve.

Che succede?

Si mosse in avanti, incerta, le dita che cercavano spasmodicamente il battito sotto al tessuto bianco della maglietta per tranquillizzarsi. Il paesaggio sembrava lo stesso che li aveva circondati fino a quel momento, ma l’atmosfera era più pulita, meno rarefatta e impregnata di odore vulcanico, limpida: era come se qualcosa sprigionato dall’altare stesso l’avesse trasportata in una dimensione che non conosceva ma che ricordava quella di Mortis… in cui era impossibile orientarsi. Gli alberi sembravano tutti uguali, l’altare non si vedeva più. C’erano solo luce e cielo, e vegetazione imperscrutabile, silenziosa come lo spazio profondo. Si strofinò gli occhi.

Rey Rey Rey Rey Rey…

Di nuovo quelle voci, i piccoli sussurri indistinti che le sfioravano le orecchie, insinuanti. Non appena gli occhi iniziarono ad abituarsi alla luminosità le sembrò di scorgere una figura femminile in lontananza, ferma, che indossava abiti chiari. Si irrigidì, e per un attimo si chiese se fosse meglio avvicinarsi e chiedere aiuto oppure obbedire al suo primo istinto e rimanere lì, in attesa, a studiare i suoi movimenti e capire se si trattasse di una presenza amica o nemica. Ma le voci continuavano, la punzecchiavano, la incuriosivano.

Non aver paura… scopri chi sei, chi potevi essere, chi sarai…

In un attimo, la figura fu davanti a lei, e Rey poté guardarla in faccia, coprendosi la bocca con una mano. Aveva gli occhi a metà tra il verde e il marrone, lentiggini appena accennate sul naso dritto e i capelli sciolti, ma il castano dei ciuffi ribelli era inconfondibile, lo rivedeva ogni volta che si specchiava nel secchio in cui si lavava la mattina.
Stava fissando se stessa, e la sua stessa figura la guardava con interesse, senza parlare.
Eppure non erano perfettamente uguali: la Rey che aveva di fronte indossava un abito beige appuntato su una spalla tramite quella che sembrava una spilla con uno stemma nobiliare. Aveva un aspetto sereno, fiero, di qualcuno che non è stato provato dalla fatica e dai dolori dell’esistenza e le sorrideva con una fiducia che le era estranea. Sgranò gli occhi perché non era possibile, non poteva davvero trovarsi davanti ad un’altra versione di se stessa, e alle spalle della Rey che la osservava apparvero due figure. Un uomo anziano dai capelli bianchi e la barba folta, una donna bionda ed elegante che le faceva cenno di avvicinarsi e posava una mano sul braccio della ragazza. E le voci ricominciavano a sussurrare.  

Obi-Wan Kenobi, tuo nonno. La Duchessa Satine Kryze, tua nonna. Vedi? Questo sarebbe potuto essere il tuo presente.
Guarda nei tuoi occhi.

Osservò le tre figure sorriderle come se la stessero aspettando da ore, e poi i due anziani abbracciare la ragazza mentre la realtà cambiava colore e forma, diventava altro, si apriva come la corolla di un fiore mostrandole la sua spada, impugnata prima dall’uomo anziano e poi da lei, come se le venisse passata un’eredità importante. Il paesaggio si trasformava nell’interno di un palazzo, quadri enormi coprivano le pareti, uno splendido giardino si intravedeva dalle finestre e la donna sedeva sul trono, apriva le braccia per accogliere il marito e l’altra ragazza, e forse anche lei. Un mondo senza Ben, invaso da una luce dorata che la cullava.

Vieni qui, bambina.

“Io non appartengo al vostro mondo.” Rey scosse la testa e quella visione iniziò pian piano a sfilacciarsi, fino a scomparire. L’uomo anziano la guardò, gli occhi pieni di una malinconia antica.
Ebbe appena il tempo di strofinarsi gli occhi che lo scenario era già cambiato. La luce intensa le bruciava gli occhi, tanto che non riusciva a mettere bene a fuoco le due persone che combattevano davanti a lei, ma riusciva ad intravedere un uomo e una donna: entrambi impugnavano una spada e nessuno dei due voleva che l’altro avesse la meglio. Una figura maschile alta e imponente, avvolta in un abito nero, una femminile più piccola, i capelli castani sciolti che danzavano attorno al viso mentre si muoveva. Un fendente più violento degli altri fece piegare la ragazza, e all’uomo si tolse il cappuccio, mostrando i ciuffi scomposti sulla testa, scuri e mossi.

Rey colpì il suolo con le ginocchia, le mani che stringevano spasmodicamente la testa dolorante, la bocca aperta in un urlo che non riusciva a nascere.

Quelle due figure erano lei e Ben, che si scambiavano colpi e indietreggiavano e avanzavano, e la rabbia che il loro combattimento portava con sé era così intensa che era impossibile non percepirla. Guardò la se stessa di quel futuro avere la meglio, poi cadere a terra e parare all’ultimo un colpo diretto al braccio, infine sferrare un altro fendente per colpire Ben, gli occhi accesi di un trionfo sinistro. C’era crudeltà e desiderio di potere in quei gesti, e una sensazione di soffocamento le afferrò la gola.

Kylo Ren ha avuto la meglio. Non c’è Luce in lui, non più… vedi, bambina, come sarà il tuo destino? Riconosci in lui qualcosa del ragazzo che conosci?

Si premette le dita sulle tempie e chiuse gli occhi, sperando che quella visione sparisse come la precedente, lasciandola libera di tornare su Mortis e di cercare Ben, che sicuramente stava vivendo un’esperienza simile alla sua… ma percepì la Rey che sarebbe potuta diventare avvicinarsi, e la paura la fece cadere sulla schiena.

No!
Ben…

L’aveva gridato o solo pensato? Non lo sapeva. Un attimo dopo, però, quella nuova visione scomparve e anche tutto il resto sembrò svanire, come se il tempo e lo spazio si riavvolgessero indietro per liberarla. Si alzò in piedi mordendosi le labbra e trattenne il respiro, aspettando che tutto finisse, pregando che finisse presto… fino a che i colori attorno a lei non cambiarono di nuovo, e si ritrovò a fissare i capelli scuri del ragazzo, le sue labbra tremanti e il corpo teso in avanti. La sua mente la chiamava, e capì che erano prigionieri della stessa visione, che afferrarlo per una mano e scuoterlo non sarebbe servito a nulla, perché gli spiriti della Via Lattea li avevano condotti fin lì per mostrare loro alcuni dei destini che avrebbero potuto vivere…

Una figura incappucciata le poggiò un dito sulle labbra. Silenzio, mormorò senza aprire bocca. Si abbassò piano il cappuccio, rivelando un viso scavato da cicatrici profonde e rosse, le iridi gialle fisse nelle sue, la pelle tormentata dalla violenza del tempo. Aveva un aspetto spaventoso, ma c’era anche qualcosa di gentile nel suo viso, qualcosa che faceva venire voglia di consolarlo. Rey non riuscì a staccargli gli occhi di dosso, e anche Ben lo fissava senza parlare né dare segno di riconoscerlo… ma era lui stesso, una versione alternativa che conservava la sua malinconia.

Mostro!

La Principessa Leia aveva gridato la sua accusa con voce grave, puntandogli contro un dito, il viso contorto in una smorfia. Non sei mio figlio… lui è morto molti anni fa. Ha riportato in vita tante creature, ma non può fare nulla per se stesso. Non vedi cosa ha fatto il tuo potere? Ben si voltò ma non riuscì ad avvicinarsi, né a scappare: fissava Leia, e Rey vide chiaramente che tremava.

Sei solo un mostro! Non ti ho dato la vita perché distruggessi tutto quello che abbiamo creato per te… ripaghi così chi ti ha cresciuto? Con che coraggio sei scappato, invece di aspettare la punizione che ti spettava?

Mostro, mostro sussurravano le voci, come se godessero del dolore e della confusione che creavano. Scherzo della natura. Non dovresti esistere. Tu e il tuo potere siete solo un errore. Ben si afferrò la testa tra le mani come aveva fatto lei poco prima, sussurrava frasi spezzate che Rey non riusciva a sentire. La figura di Leia si faceva sempre più imponente, sempre più minacciosa, il mostro che era e non era Ben chiudeva gli occhi, la testa alta di chi non prova alcuna vergogna. Finché…

Lo vedi, mio discepolo, come potrebbe essere la tua esistenza senza di me?

La voce che aveva tormentato entrambi innumerevoli volte si fece strada tra loro come una presenza tangibile, anche se nessun altra figura si era mostrata, a parte la Principessa. Rey si voltò, ma non riuscì a capire da dove provenisse.

Ti disprezzano perché ti temono. Vuoi davvero vivere così? Braccato, condannato, sottovalutato da quelli che dovrebbero amarti e che invece ti mettono da parte? Solo perché padroneggi un potere che loro, in fondo, invidiano?

Ben continuava a mormorare, e ora Rey riusciva a cogliere le sue parole: no, no, no, no, una litania piena di dolore come quella che l’aveva svegliata la notte, quando l’aveva sentito agitarsi. Provò ad afferrargli una mano per scuoterlo da quell’incubo a occhi aperti, ma non rispondeva.

Puoi spezzare questa catena, Kylo Ren. Unisciti a me.

In un attimo realizzò che la disperazione del ragazzo era talmente forte che avrebbe potuto ascoltare quelle voci senza battere ciglio… e non era forse quello l’obiettivo di Snoke, alla fine? Confonderlo, far sì che abbandonasse la sua vecchia vita per abbracciare la parte più oscura e sofferente del proprio animo? Lo scosse ancora, lottando contro la presenza dell’uomo che rideva, sussurrava come se tendesse una mano al proprio figlio preferito per accoglierlo e proteggerlo, ma erano solo bugie.

Non guardare più indietro.

Rey alzò gli occhi e se lo trovò davanti: la pelle bianca attaccata al teschio, le rughe che lo solcavano e si infittivano attorno alle ferite sulla testa e sulla guancia, uno sguardo acuto e penetrante che nasceva dagli occhi infossati e colpiva entrambi. Snoke li osservava con una luce famelica negli occhi, con il sorriso untuoso di un ragno che ha appena catturato una preda e non vede l’ora di divorarla. Tese una mano dalle dita scheletriche verso Ben per attirarlo a sé.

Non negare la tua vera natura.

“No, Ben!” la mano di Rey scattò in avanti, bloccandolo. Questa volta aveva gridato davvero, aveva sentito la voce uscirle dalle labbra e colpire l’atmosfera come un proiettile. “Non ascoltarlo… non sa niente di te. Tu non sei così. Non gli appartieni.”

Taci! Anche Snoke gridava, e il viso appariva ancora più deformato dalla rabbia. Hai già iniziato il tuo percorso, Kylo Ren! Non lasciare che degli esseri insignificanti ti distraggano dal tuo compito!

La ragazza si tese in avanti e lo strinse per la vita, prima che la sua mente avesse la meglio sulle emozioni e cercasse di distoglierla dal fare qualcosa di inutile e pericoloso… e fu in quel momento, nell’istante preciso in cui le sue braccia si tendevano a cingere la vita del ragazzo e a tenerlo stretto come se stesse per cadere, che una luce accecante li avvolse. Tutto scomparve, anche Snoke. Tutto, tranne l’altare bianco, da cui si alzava una figura leggera, quasi fatta di fumo.

Nel chiarore di quella dimensione irreale, la figura si avvicinò a loro, fino a che non divenne completamente visibile. Rey trattenne il fiato: non aveva mai visto Han Solo di persona, eppure l’uomo anziano che sfiorava il braccio di Ben non poteva essere altri che lui. Il suo sguardo era così malinconico e gentile da farle venire voglia di piangere, l’espressione di chi ha aspettato a lungo qualcosa che lo rende sia felice che immensamente triste. Non c’era rancore in quegli occhi, né odio. Le voci intorno a loro, per la prima volta, restarono in silenzio.

“Ben? Sei arrivato fin qui per me?”

Rey fece un passo indietro e lasciò andare il ragazzo, perché si avvicinasse allo spirito che una volta era stato suo padre. Ben tese una mano che cercava di non tremare e lasciò che la figura la avvolgesse nelle sue dita di fumo. Abbassò la testa, sconfitto, fece parlare suo padre per primo. “E così, hai ascoltato le vecchie storie.” Sul viso del contrabbandiere si allargò un sorriso furbo, ricordo dei vecchi tempi. “Quegli avventurieri di Chandrila sapevano il fatto loro, alla fine… sei il mio degno figlio, forse ora te ne sei reso conto. Ma qui…”

“Tornate con me, padre.” Ben lo interruppe, e nel modo in cui gli si rivolgeva Rey capì che non avrebbe mai accettato alcun perdono per quel che aveva fatto. “Ho il potere di farvi tornare indietro. Le anime… le ho cercate apposta, sapevo di poter arrivare fin qui e riportarvi indietro. Lasciate che lo faccia per voi…”

Ben aprì le braccia, ma il padre rimase fermo dov’era, a sorridere gentilmente e scuotere la testa. E improvvisamente Rey capì il vero scopo di quel viaggio, quello nascosto che Ben non le aveva mai rivelato, perché ne provava vergogna o chissà, forse perché pensava che lei lo avrebbe capito benissimo da sola, dato che conosceva le vecchie storie che passavano di bocca in bocca. Voleva usare il suo potere per riportare Han Solo dal mondo dei morti a quello dei vivi, strappare la sua anima dalla Via Lattea e dal suo flusso rassicurante per spingerla di nuovo su Naboo come era già successo con sua nonna, anni prima… ma c’era una ragione per cui quel potere portava solo altro dolore, invece di alleviarlo. Le anime costrette di nuovo in un corpo che ormai non gli apparteneva più deperivano, soffrivano l’allontanamento dal luogo in cui avrebbero dovuto trovarsi fino a morire un’altra volta, come se rifiutassero i corpi in cui venivano rinchiuse a forza. Alla fine Padmé Amidala era appassita poco a poco, perdendo ogni aspetto della donna gioiosa ed energica che era stata: Anakin Skywalker l’aveva vista morire ancora, dopo aver tentato disperatamente di riavere con sé l’amata moglie. Era impazzito, e Darth Vader aveva preso il sopravvento sulla sua anima, macchiandosi delle crudeltà che la galassia aveva imparato a conoscere.
Rey guardò Ben, il suo corpo teso nello sforzo di convincere lo spirito che aveva davanti, e capì che Snoke aveva calcolato tutto fin dall’inizio, per distruggerlo come aveva distrutto suo nonno anni prima: gli aveva fatto dono di quel potere, aveva insinuato in lui il dubbio, fino a fargli uccidere il suo stesso padre e offrirgli la soluzione più rapida per riaverlo indietro… e terminare quel percorso di morte che aveva tracciato per lui. Ogni resurrezione, per quanto nascondesse gli intenti puri di un bambino che desiderava solo fare del bene, era un passo in più verso il suo destino.

Quel potere, in fondo, aveva un prezzo: gli spezzava l’anima.

“Non posso, Ben, lo sai anche tu.” Han sorrideva di nuovo, ma con tristezza. “Sai bene cosa è successo a tua nonna… e a tuo nonno. Non posso permettere che tu soffra ancora di più.”

“Posso cambiare le cose!” in un’altra situazione, la testardaggine di Ben l’avrebbe fatta sorridere, perché erano fin troppo simili. “Non andrà come è già andata. Se voi tornerete, il mio potere vi farà tornare chi eravate! Datemene una possibilità! Io… vi prego…”

Era la prima volta che lo vedeva piangere, e le lacrime che scendevano dagli occhi del ragazzo le fecero venire voglia di stringerlo forte e dirgli che lo capiva, che anche lei si era sentita piccola e impotente innumerevoli volte… ma non poteva. Quella era la battaglia di Ben contro Kylo Ren, doveva lasciare che la combattesse da solo. Niente di ciò che avrebbe potuto dire l’avrebbe aiutato.
Han lo strinse, come un padre che consola il figlio, e la sua figura opalescente lo avvolse completamente.

“No, Ben. Sai che non sei tu a parlare così… e non sarò io a farti precipitare ancora di più nell’abisso. Non lascerò che ti distrugga. Ho già abbastanza cose di cui farmi perdonare... se mi riportassi in vita, lui avrebbe in mano la tua anima.”

Voi dovete farvi perdonare? Vi ho ucciso! Ho obbedito alla sua voce, sono stato debole e stupido, e sono l’erede al trono!” scuoteva la testa come un ragazzino confuso. “Se non fossi stato così debole, forse… ma ora…”

“Sei venuto fin qui. Mi hai cercato… e lo hai fatto per te, non per lui.” Il padre gli sorrise. “Mi basta questo, Ben. Se tu mi perdonerai come ti ho perdonato io, non ci sarà bisogno di altro.”

Han sfiorava i suoi capelli, e Rey non poté fare a meno di pensare che, forse, non aveva compiuto spesso quel gesto quando era in vita. Non disse nulla, era il silenzio a parlare per lui e la brezza sottile che li avvolgeva, muovendo le fronde degli alberi.
La voce di Snoke ruppe quell’atmosfera come si rompe un cristallo, vibrando di rabbia.

Perché esiti, Kylo Ren? Portalo via con te, lascia che il tuo dono agisca! Ti sei preparato per anni a questo momento, non puoi esitare. Non devi fermarti. Non puoi fermarti!

“Non ascoltarlo!” Rey lo scosse, mentre Han li guardava entrambi.
“Puoi essere migliore di lui, Ben. Kylo Ren non deve vincere. Non ascoltare una parola di quello che ti dirà.”

Lei non è nulla per te! La voce di Snoke si faceva sempre più tonante e minacciosa, scuoteva la vegetazione di Mortis mentre il suo spirito avanzava, agitando le mani. Non ti conosce come ti conosco io! Mio discepolo, sai cosa fare per diventare ancora più forte. Ora agisci.

Completa il tuo percorso.

Han gli accarezzò il viso un’altra volta, sussurrando qualcosa che Rey non riuscì a sentire. Poi scomparve, lasciando sul viso di Ben un’espressione di fredda determinazione, lo stesso sentimento che lo aveva animato prima di partire per quel viaggio, ma pieno di una consapevolezza nuova.
Quando si voltò, l’aria tremava. Rey attendeva, Snoke sorrideva ancora, sicuro del proprio trionfo.

Poi Ben parlò.

“No.”

Fu come se un filo invisibile fosse stato strappato con forza, facendo collassare la realtà attorno a loro. Snoke urlò di rabbia e la sua furia scosse gli alberi, facendoli tremare come in preda ad una bufera, mentre Ben alzava lo sguardo con la sicurezza di chi, finalmente, si sente libero. Non cedette nemmeno quando la terra iniziò a spaccarsi sotto i loro piedi, nemmeno quando le mani adunche dello spirito mulinarono in avanti per afferrarli entrambi, mentre il suo grido riempiva l’aria e le altre entità fremevano tutt’intorno, mormorando con le loro voci vecchie di millenni. Ben scattò in avanti e corse, corse in avanti mentre Rey lo seguiva, e forse non aveva nemmeno una destinazione precisa in mente: voleva solo allontanarsi il più possibile da quella radura, scappare ancora e ancora, distanziare la figura di Snoke che continuava a urlare mentre la dimensione da cui si trovavano andava in pezzi.

Non si accorse nemmeno del terreno che digradava verso il basso, né del precipizio che si apriva ai suoi piedi, inghiottendo i loro passi. Ben saltò in basso senza pensarci un momento e cadde, cadde liberamente con la grazia di una creatura alata, e il sorriso che si allargava sulle sue labbra era stranamente sereno.

Dietro di lui, Rey tese la mano per afferrare la stoffa della sua casacca, ma le sue dita sudate persero subito la presa.
Più in basso, Ben scendeva come un corpo senza peso, in maniera quasi elegante: se la ragazza non si fosse concentrata con tutta se stessa per rallentarlo grazie all’aiuto della Forza, avrebbe toccato il suolo con una violenza decisamente maggiore.
 



Padmé non sembrava più quella di un tempo: la donna dolce e intelligente, che aveva amato per una vita intera, ora sedeva triste in un angolo. Invano suo marito aveva provato a renderla felice, dandole in braccio i figli o portandola a passeggiare nel parco di Theed, il suo luogo preferito per leggere e pensare. Padmé restava silenziosa, la bocca tesa in un’espressione sofferente che niente e nessuno riusciva a cambiare.

Quando la vita che le era stata ridata a forza si esaurì, Darth Vader non poté far altro che guardarla morire di nuovo, appassire come un fiore che si ripiega sul suo stelo. Ma, invece che prendersela con le creature che l’avevano portato a compiere quel gesto, incolpò se stesso: credeva di non aver fatto abbastanza, di essere ancora il ragazzino debole e fragile che aveva cercato di eliminare. Se avesse agito prima, se avesse abbracciato quel potere per tempo, forse sua moglie non sarebbe morta, continuava a ripetersi, e Snoke e Darth Sidious lo consolavano, promettendogli altra grandezza.

Darth Vader non era riuscito a riavere sua moglie, ma avrebbe potuto rendere migliore la vita di un’intera galassia, questo gli sussurravano. Ma il suo dono era in realtà una maledizione, e tutto ciò che veniva dalle mani dei Signori dei Sith avvelenava quel che toccavano.

Darth Vader sedeva sul suo trono, da solo, senza altra consolazione che il suo potere illimitato.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
 

 

La cabina riservata al capitano, passata di proprietario in proprietario durante gli anni, era cambiata negli arredi ma non nella comodità. Restava sempre uno spazio perfetto in cui raccogliersi durante le pause, quando la nave rallentava e lo spazio intorno sembrava avvolgerla in silenzio, rendendo ogni viaggio un’avventura.

Ben restò disteso sul letto per due giorni: Rey l’aveva costretto a riposare, dopo la caduta che era riuscita con tanta fatica a frenare. Non si era fatto nulla, ma la paura di perderlo l’aveva terrorizzata.

“Tornare indietro sarà la parte peggiore. Lo sai, vero?”

Distesa accanto a lui, riusciva solo ad accarezzargli i capelli sovrappensiero, affondando le dita tra i ricci morbidi che si erano formati dopo averli asciugati. Ci sarebbe voluto tanto a tornare verso Naboo, ma avrebbero usato bene quel tempo per riflettere. Il loro rapporto era cambiato durante il viaggio d’andata, erano cresciuti, ognuno aveva scoperto qualcosa in più sull’altro… né Rey né Ben l’avrebbero ammesso ad alta voce, ma la prospettiva di tornare a condividere gli spazi del Falcon piaceva parecchio ad entrambi.

“Non possono rinchiuderti a vita.” Rey scosse la testa, ma la determinazione con cui pronunciava quelle parole nasceva dalla paura di veder crollare la vita che aveva costruito fino a quel momento. “Tua madre capirà quel che è successo… le diremo tutto, le racconteremo del viaggio. Qualunque decisione possa prendere il consiglio, lei sarà con noi.”

“Non mi spaventa il processo” sospirò Ben, e la solita sicurezza che provava ad ostentare si spense per un attimo. “So di dover pagare per quello che ho fatto, com’ giusto che sia. Ho paura di quello che accadrà dopo… la solitudine, l’idea che potrebbe ricominciare tutto da capo. Snoke è svanito, ma se il suo spirito tornasse? Se continuasse a tormentarmi? Potrei cedere, forse definitivamente.” Il labbro superiore tremò per un attimo. “Ho vissuto per anni con la sua voce nella testa, non sentirla più è quasi… strano.”

Calò il silenzio. La ragazza gli appoggiò le labbra sulle tempie, sussurrando gentilmente per calmarlo. Per Ben i gesti contavano più delle parole, e con il tempo Rey aveva imparato a comunicare con lui in un modo speciale, che solo loro due comprendevano. Era grata a quel viaggio per averglielo insegnato.

“Non sarai solo. Qualunque cosa ci riservi il futuro, la affronteremo insieme. Siamo arrivati fino alla Via Lattea e ne siamo usciti vivi… potremo affrontare anche il resto.”

Lasciò che il suono lieve dei motori li cullasse di nuovo, mentre Mortis e il Sentiero delle Anime si allontanavano sempre di più, diventavano due ricordi di cui scrivere in un diario di viaggio da conservare nella biblioteca di Theed, così che anche altri potessero leggerlo. Tutta la parte che riguardava le loro vite, però, sarebbe rimasta segreta.

Dopo un attimo, fu Ben a rompere il silenzio.

“E i tuoi genitori? Mi avevi detto che li avresti cercati…”

Forse avrebbe voluto aggiungere altro, ma lasciò cadere la frase mentre giocherellava con le sue dita. Rey inspirò, concedendosi un attimo per riflettere sulla risposta, anche se non aveva mai avuto davvero dubbi al riguardo.

“Sapevo già che non li avrei trovati” sospirò. “Ci sono cose che ti senti dentro prima che accadano… ma ci ho sperato. Per poco, anche se sapevo che non sarebbe servito a nulla. Forse non tutte le anime scelgono di mostrarsi, forse non erano lì… o magari vediamo solo quelle che vogliono comunicarci qualcosa. Tuo padre desiderava davvero vederti, perché ti amava” sorrise con tristezza, ricordando Han e la malinconia che lo riempiva.

“In fondo, il poco che ricordo di loro mi resta sempre, anche se magari non tenevano così tanto a me. Conta solo questo.”

Nel silenzio che seguì un’altra volta, Ben si girò per prenderle il viso tra le mani e la baciò. Un bacio lungo e lento, diverso da quello che si erano scambiati su Mortis: più adulto, portava una promessa con sé, e il desiderio che quello che avevano condiviso non finisse. Rey si rilassò tra le sue braccia e si permise di nuovo di sperare. Non le costava nulla vivere immaginando qualcosa di bello e lottare per ottenerlo.
In fondo, se due ragazzini imperfetti come loro stavano sperimentando la felicità, significava che c’era sempre spazio per qualcosa di straordinario.
 
 



Ben Solo tornò a Theed qualche tempo dopo.

Non si aspettava che sua madre desiderasse rivederlo, né tantomeno che l’avrebbe accolto a braccia aperte, ma l’abbraccio disperato di Leia lo fece piangere.

Il processo, e tutto ciò che venne dopo, rimasero a lungo negli annali di Naboo. Riportare cosa venne stabilito in dettaglio sarebbe troppo lungo e noioso, ma la cosa più importante da sapere è che seppe guadagnarsi una seconda possibilità. Dopo un periodo di detenzione, salì al trono completamente cambiato e, anno dopo anno, si conquistò la fiducia del regno con la propria saggezza. Proveniva da una famiglia che aveva sì conosciuto il Lato Oscuro e tutta la violenza che una dittatura può causare, ma che aveva anche dato la vita alla Regina Padmé e a sua figlia Leia, due donne capaci e misericordiose. Avrebbe governato con fermezza e intelligenza, e anche i più scettici finirono per convincersi delle due doti.

Anche ciò che accadde a lui e a Rey, la sua compagna, rimane all’immaginazione di chi legge. Non sarebbe corretto dire che vissero sempre felici, perché le difficoltà e le incomprensioni non mancarono di toccare anche le loro esistenze, ma fecero del loro meglio per affrontarle. Si fidavano l’uno dell’altra, e il legame che si era stabilito negli anni li aiutò a restare quelli che erano.

Con il tempo, si resero conto di una lezione importante: per quanto il mondo cambiasse attorno a loro, la Forza continuava ad unirli. E nessuno avrebbe potuto strappargli quella certezza.
 



Rey rilesse l’ultima riga, soddisfatta, poi fece scorrere rapidamente le pagine che aveva già terminato: poteva andare. Non era perfetto, ma in fondo quel diario di viaggio non era nato per fare bella mostra di sé sugli scaffali della biblioteca reale… l’aveva scritto per se stessa e per Ben, perché non dimenticassero quanta strada avevano fatto. Per rileggerlo la sera, prima di andare a letto, e piangere e ridere ripensando a quello che avevano vissuto.

Fece aria alla pergamena perché si asciugasse e si alzò: la sua scrittura non era nemmeno così male. Ben la chiamava dal giardino: la sua voce suonava piena, felice. La voce di qualcuno che non vedeva l’ora di rivederla.








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Eccoci arrivati all'ultimo capitolo!
Grazie, grazie e ancora grazie a tutti voi lettori che vi siete soffermati a leggere questa storia, dai più silenziosi a chi mi ha fatto conoscere le sue opinioni tramite recensione. Scrivere per me è una gioia personale, una sorta di sfogo e di piacere nel "mettere in atto" le idee che mi girano per la testa ogni volta che un'opera mi colpisce, ma se in qualunque modo riesco a trasmettere la mia passione anche ai lettori, beh, la felicità diventa doppia. La sola idea che una mia storia possa accompagnarvi durante le giornate e colpirvi, lasciarvi qualcosa che non si esaurisce a fine lettura, mi spinge ad odiare un po' meno quel che scrivo e a condividerlo. Se davvero è stato così, se qualcosa dell'universo che mi sono divertita a rielaborare è rimasto con voi dopo otto capitoli, beh, allora la mia missione è compiuta. <3
Se avete comunque voglia di lasciare un kudo alla versione anglofona della storia, o leggere le altre (bellissime) della RFFA 2018, ecco il link: https://archiveofourown.org/works/16029953/chapters/37413722

 
Non poteva mancare un ringraziamento al mio Ben, Ailisea. Senza di te questa storia non avrebbe mai visto la luce, soprattutto senza la pazienza del beta-reading e della traduzione in inglese. Grazie infinite, vhenan. <3
 
 

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