Iris Nube - Il tempo continua a scorrere...

di AlekHiwatari14
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** BackGround - Satana ***
Capitolo 3: *** BackGround - Fairy ***
Capitolo 4: *** BackGround - Morgan ***
Capitolo 5: *** BackGround - Raven ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo.

Sono passati quasi due lunghi anni da quando sono diventata l'eroe di Detroit, ma è anche un anno che l'ho perso. Che ho perso lui, Tenebra. Colui che era il mio padre adottivo e che io non ho mai compreso.
Gli volevo molto bene.
Avrei voluto salvarlo, ma ha rinunciato a vivere per proteggermi.
L'intervento di Chrono, il Dio Tempo, ha salvato tutti, compresa me, cancellando parzialmente la memoria degli umani.
Tsk...sono stata totalmente inutile.
Non sono stata l'eroe che volevo essere.
Per questo ogni giorno veglio sulla città, ma sono cambiate un bel po' di cose da allora.
Non controllo più le cose da sola, perchè è impossibile riuscire a conciliare molte cose. La città è enorme e quindi ho bisogno d'aiuto.
Mi sto facendo aiutare da Fairy e Morgan nell'intercettazione del pericolo e delle cose da fare.
Si, Morgan aveva dimenticato tutto, ma è mio amico e non ho potuto non dirgli la verità.
Raven ha percepito che già ci conoscevamo e, con l'aiuto di Francise, ha riacquistato consapevolezza di ciò che è successo.
Per quanto riguarda Jena e Luis, beh... la storia è leggermente diversa.
Jena ed io siamo diventate grandi amiche e adesso lei gestisce il blog di Iris e Nube.
Si, avete capito bene.
Iris e Nube.
La gente è talmente stupida che non ha compreso che Iris Nube è una sola persona e, vedendo questo eroe che si alterna tra maschio e femmina a seconda della situazione, ha deciso di dividere il nome e cognome dell'eroe mascherato, dando il nome di Iris alla mia parte femminile, mentre Nube a quella maschile.
Patetico, vero?
Per quanto riguarda Luis, beh... ci vediamo raramente. Ha completamente dimenticato di conoscermi già, ma a quanto pare c'è qualcosa lo spinge verso me e questo qualcosa è Demy.
Si, Demy, il dottor vampiro.
Sembra che lui gli abbia detto tutta la verità.
Che gli abbia detto che l'ho aiutato a superare la sua malattia grazie ad un antidoto, ma ha capito tutt'altro.
Pensa che io sia stata la donatrice di sangue durante il suo coma, perchè lui non ricorda nulla e l'ha associato ad un coma.
Il vampiro ha insistito dicendogli che sono come lui. Che sono un'anima speciale e questo lo ha reso più docile nei miei confronti.
In fondo abbiamo lo stesso stile di vita, più o meno.
Inoltre pare che abbia un altro shinigami protettore con sé, ma non sono mai riuscita a vederlo o a conoscerlo quanto meno.
Anche perchè, come ho già detto, ci vediamo molto poco io e Luis.
Per quanto riguarda Deamon, dopo lo scherzetto delle fiale, non si è più visto in giro. In compenso mi ha lasciato quel demone rompiscatole di Red attaccato addosso.
Non so che razza di contratto abbiano fatto lui e quel diavolo, ma sembra che sia qualcosa legato alla sua famiglia.
Probabilmente avrà chiesto di trovare le persone scomparse, ma dubito che Deamon le troverà.
So come agisce.
Non è un angelo. Insomma, è solo un diavolo rompiscatole e seduttore, no?
Gli angeli sono altri.
Ah, si... non vi ho informato sulle notizie. Quelle belle.
A quanto pare, da quando Violet e Jeremy se ne sono andati a Glasgow, tutto fila liscio.
Si, avete capito bene. Violet e Jeremy sono andati a Glasgow.
La cosa buffa è che Violet non voleva andarci. Ha ceduto il posto a Jeremy, ma il padre ha fatto di tutto per farla andare anche a lei, credendo che il nostro compagno di classe le avesse rubato il posto. Non so come diamine abbia fatto quell'uomo, ma è il mio idolo. La faccia di Violet mentre sentiva la notizia del doppio gemellaggio è stata esilarante. Ha dato di matto ed è finita anche in presidenza per le sue continue lamentele.
Assurdo, vero?
Come vi dicevo, molte cose sono cambiate, così come sono cambiata anche io.
Eccomi qui, a camminare tra i corridoi della scuola.
I miei occhi azzurro-verdastri hanno tutt'altra luce. Me ne rendo conto. Forse è per il colore dei capelli che ho adesso.
Si, li ho scuriti un po'. Li ho tinti di nero.
Sapete, avevo voglia di cambiare un po'. Sono cresciuta in fondo. Non sono più la ragazzina di due anni fa e lo dimostra anche il mio abbigliamento ribelle.
Insomma, il giubbino in pelle nero, la canotta bianca sotto e skinny neri con stivali neri borchiati in pelle dovrebbero dare l'idea che sono cresciuta, no?
So che assomiglia un po' all'abbigliamento di Jena, infatti ho tratto aspirazione da lei.
Inoltre scoperto anche un'altra cosa su di lei e sui miei sentimenti da quando siamo diventate grandi amiche.
"Buongiorno, amore." Sento la voce di Angel chiamarmi da dietro, mentre sono appena arrivata vicino al mio armadietto.
Mi volto e ciò che vedo è un bouquet di rose rosse che mi viene piazzato davanti alla faccia.
"Ma cos...?"
"Buon compleanno, cara."
Ah, già. Quasi dimenticavo di dirvelo.
Oggi è il mio compleanno.
Compio diciott'anni e non è l'unica cosa che ho dimenticato di dirvi.
Angel è diventato un angelo caduto e terreno. Purtroppo, finchè non avrà un nuovo paio di ali e non verrà promosso ad arcangelo non potrà tornare nel suo mondo ed è costretto a starsene qui.
Si, sembra essersi ambientato molto bene.
Ha tagliato anche i capelli e li ha resi più corti dietro, lasciando il ciuffo leggermente più lungo rispetto al resto dei capelli. Ha uno stile più mascolino. Forse è per causa del fatto che è costretto a rimanere nella sua forma maschile e non può diventare femmina da quando ha perso le sue ali.
Comunque è migliorato molto in fatto di stile.
Sta bene, direi.
Inoltre, non è l'unica cosa che non ho detto.
Come stavo dicendo, ho scoperto una cosa su Jena e sui miei sentimenti per lei in questo periodo.
Quei sentimenti che ho confuso con amore, in realtà erano solo sentimenti di ammirazione per il suo modo di fare e per il suo abbigliamento.
Ho scoperto che non solo che non amavo lei, ma che amavo un'altra persona e questa persona è colui che ho davanti.
Si, mi sono innamorata di Angel senza nemmeno accorgermene ed è assurdo anche per me. Non avrei mai immaginato di innamorarmi di questo angelo fissato con gli unicorni e gli arcobaleni, antipatico e intromettente.
Sinceramente non avevo neanche mai pensato a questa opzione.
Quanto è strana la vita alle volte.
Se non l'avessi visto rischiare la vita per me, se non l'avessi visto morire, forse non me ne sarei mai accorta di quest'amore che ho dentro per lui.
"Cos'è questa novità?!" Chiedo, fingendomi diffidente davanti a quel gesto e aprendo il mio armadietto.
La mia diffidenza lo fa avvicinare sempre di più, per poi dire:"Che domande sono?! È il tuo compleanno. Non potevo starmene con le mani in mano."
"Angel, ti ho detto mille volte che non voglio regali a scuola!" Mi lamento, arrossendo di colpo e scavando nell'armadietto, mentre lui continua:"Ma pensavo ti piacessero..."
Ha quel tono triste e per nulla sospettoso.
Quanto diamine sono emotivi gli angeli.
Si vede che non si aspetta nulla.
Sorrido e comprendo che è il momento giusto.
"Buon compleanno!" Esclamo, voltandomi verso di lui e tirando dall'armadietto un pacchetto regalo che lo interrompe.
In fondo, come potevo dimenticarmi di lui?
Siamo nati lo stesso giorno e sarebbe da ipocriti dimenticarsi una cosa del genere.
"Maggy, te lo sei ricordata!"
"Certo che me lo sono ricordata, stupido!"
Così ci scambiamo i regali.
Vedo i suoi occhi diventare sempre più lucidi mentre lo spacchetta dall'emozione.
Trema.
Gli angeli sono un po' troppo emotivi alle volte.
I suoi occhi, nel vedere l'oggetto all'interno del pacchetto, si illuminano di colpo, lasciando che l'euforia prendesse il posto alla commozione.
Tira l'oggetto dal pacco, mostrando quella collana color arcobaleno con quel ciondolo a forma di unicorno.
"Oh, Maggy..." Farfuglia, cominciando a piangere disperatamente e buttandosi tra le mie braccia urlando:"È bellissimo!! Come facevi a sapere che era quello che volevo?!"
Beh, non ci vuole un mago per capire i gusti di quest'angelo. Inutile chiedermelo.
Quel mio pensiero, arriva nella mente dell'angelo che avvicina la fronte alla mia, guardandomi diritto negli occhi.
"Grazie, amore..." Mi sussurra, per poi baciarmi sulle labbra.
Eh si...
Neanche questo ho detto...
Io e Angel stiamo insieme da quasi un anno, ormai, ma la nostra relazione non è vista di buon occhio.
"Siete davvero rivoltanti." Interrompe Red, vedendoci vicino all'armadietto.
Egli si avvicina per prendere i libri che sono all'armadietto accanto al mio.
Che guastafeste!
Mi sembrava strano che ancora dovesse dir nulla.
"Buongiorno, Red. Ci siamo svegliati storti stamattina?!" Chiedo, voltandomi verso di lui e lasciando l'angelo dall'abbraccio.
Red è decisamente nervoso e comincia a sbraitare:"Ogni giorno mi sveglio storto e sai perchè? Perchè quel demente di Deamon non si è ancora fatto vedere! Aveva detto che avrebbe trovato la mia famiglia scomparsa nel frattempo che sarei stato qui a tenere d'occhio te e quest'angelo e non si è fatto ancora vedere. Inoltre la scuola non è il mio forte. Preferisco lavorare piuttosto che prendere appunti e fare da semplice liceale. Ed io che pensavo che una volta finito le superiori agli inferi non avrei più visto scuola, bleach..."
L'angelo, per sdrammatizzare e calare la tensione, prende dal suo zaino arcobaleno con tanto di unicorno dalla serie my little pony, uno stick di caramelle di color arcobaleno.
"Vuoi una caramella? Sai, il dolce allevia ogni dolore."
"Se stai cercando di comprarmi, hai sbagliato persona!" Continua ad urlare, sbattendo l'armadietto e andandosene via.
"Beh, non lo vuoi. Tanto meglio. Me le mangio da solo." Gli risponde, poi si volta verso di me e me le tende:"Ne vuoi una tu, Maggy?!"
Sorrido e ne prendo un po'. La campanella suona e noi decidiamo di andare in classe.
Le cose anche in classe sono cambiate e adesso la mia compagna di banco è lei, Raven.
È sempre la stessa, ha sempre quell'abbigliamento gotico che da i brividi a chiunque.
"Ciao, Raven." Saluto, sedendomi al mio banco.
La professoressa entra e la lezione inizia.
Nel frattempo, a nostra insaputa, sta accadendo qualcosa negli inferi.
Un uomo, avvolto nel mistero, sta cercando Satana e ha tra le mani un crocifisso, tenuto da dei guanti in pelle spessa. Ha degli occhiali completamente neri che non gli permettono di vedere, per proteggersi dal sacro emanato dall'oggetto.
Ha una cappa nera addosso e si trova a gironzolare nell'abitazione di Satana. Quest'ultimo non se la sta cavando per nulla bene contro quel tipo misterioso, tant'è che si è nascosto per non farsi trovare.
La casa è stata messa sottosopra e ad ogni passo scaraventa tutto per aria.
Non percepisce la presenza del diavolo e il tipo misterioso, dunque, lo chiama:"Qui, fratellino caro. Dove sei?! Esci fuori."
La sua voce profonda e autoritaria rimbomba all'interno della stanza, quando il diavolo lo attacca alle spalle.
L'uomo riesce a proteggersi, accecandolo con la luce emanata dal crocifisso che ha tra le mani, per poi prenderlo per la gola e urlandogli in faccia:"Dove sono?!"
"Che?!"
"Dimmi dove li hai messi!"
"Non so di cosa stai parlando."
"Non fare il finto tonto. Dimmi dove sono i miei figli." Sbraita, puntandogli la croce sempre più vicina alla sua faccia, ma egli non demorde.
"Non te lo dirò mai, Lucifero. Non li troverai mai." Provoca il diavolo e l'uomo che lo tiene tra le mani comincia a menarlo con quella stessa croce fatta di argento.
Lo scaraventa contro a dei mobili per poi riprenderlo e continuare:"Parla, lurido schifoso! Che n'è stato di Marte?! Dove sono i miei figli?!"
Purtroppo nella stanza non sono da soli.
Satana è furbo e ha escogitato un piano insieme a Belzebub e Ade.
I due, vedendo il padre in difficoltà e Lucifero di spalle, decidono di intervenire.
"Ehi, tu!" Urla Belzebub, andandogli incontro.
Il tipo non molla la presa e combatte con il diavolo tra le mani. Quell'uomo misterioso, però, è molto più agile e forte di quanto pensava. Ade lo attacca alle spalle, proprio per aiutare il fratello ad uscire da quella situazione e prenderlo di sorpresa, ma entrambi vengono scaraventati per aria da una luce oscura che avvolge l'uomo.
Quella luce nera fa alzare il cappuccio della cappa che il tipo ha in testa, mostrando il suo volto.
Gli occhiali si spostano, mostrando quegli occhi azzurri che si illuminano di rosso, capelli color corvino, lunghi fino a metà schiena e con ciuffo lungo. Sembra avere trent'anni, ma è molto più vecchio di quanto si pensa.
Carnagione pallida, occhi truccati da un ombretto pesante e unghia smaltate di nero. Sotto quella cappa ha dei vestiti in stile metallaro dark delineata da skinny in pelle nera, anfibi neri anch'essi neri, ma diversamente dagli altri diavoli, egli ha una t-shirt completamente bianca.
L'impatto fa perdere i sensi ai due e Lucifero, con ancora in mano i capelli del diavolo, si ricompone, mettendo meglio quegli occhiali leggermente spostati dagli occhi, per poi far vedere lo strazio fatto.
"Guarda! Guarda cosa è stato fatto a causa tua!"
"Bel..." Farfuglia, vedendolo completamente ricoperto di sangue dalla testa ai piedi proprio come Ade.
L'uomo scaraventa sulla poltrona lì vicino Satana, per poi mettersi su di lui. Gli imprime le mani alla gola per soffocarlo.
"Te lo chiederò ancora una volta, dimmi dove sono i miei figli!"
"Scordatelo, fratello! Non te lo dirò mai!" Con queste parole, gli sputa addosso e il fratello, ormai stanco, comincia a menarlo con la croce che ha tra le mani fino allo sfinimento.
Il sangue scorre lungo la sedia, mentre il diavolo perde i sensi.
Lucifero non intende demordere.
Lo prende per i capelli, prendendo anche gli altri due e trascinarli nelle segrete di quel luogo.
Cerbero, il cane di guardia, non fa resistenza.
Anzi, sembra felice nel vederlo.
Scodinzola e lo lascia passare per entrare in quel luogo scuro e tetro. Decide di legarli tutti in una cella con una catena spessa che limita i poteri dei diavoli.
Lega prima Satana, poi Belzebub e appena arriva il momento di Ade si ferma.
La guarda attentamente. Le prende il volto tra le mani, per poi volgere lo sguardo verso il fratello.
"Chi sei tu? Possibile che...?" Mormora tra se e se, rivolgendo gli occhi alla ragazza.
La prende delicatamente in braccio per condurla in una cella a parte.
Non sa le sue origini di Ade e il suo volto gli ricorda molto quello di Marte, ma non ne è del tutto sicuro.
La lega a delle catene molto spesse, per poi uscire da quelle segrete e alzando il volto al cielo farfuglia:"Deamon, dove sei...?"
Nello stesso istante, Deamon si trova poco distante dal diavolo aggressore della sua famiglia. Infatti egli è alla ricerca dei dispersi della famiglia di Red.
È cambiato. Non è più il diavolo di un tempo.
Ha cambiato il suo stile, ma il suo volto è sempre lo stesso. Manca di barba e i capelli sono leggermente più lunghi e ricordano molto il taglio di capelli del demone Sebastian dell'anime Kuroshitsuji.
Ha una cappa nera con cappuccio in testa, per non farsi riconoscere.
Si trova proprio lì, nei pressi delle legioni degli inferi, dove sono situati tutti i demoni.
È alla ricerca da mesi, se non anni, ormai.
Sembra stanco, mentre si dirige in un bar del posto per poi ordinare da bere e riposare un po'.
"Ehi, dammi della vodka."
Il demone, dietro al bancone, gli passa la bottiglia e il diavolo se la scola tutta ad un fiato per poi sbatterla sul tavolo.
"Dammi della vodka anche a me." Ordina Ombra, entrando e mettendosi di fianco a Deamon.
Sorseggia la bevanda non appena gli arriva tra le mani, per poi voltarsi verso il diavolo e dire:"Ti stanno cercando."
"Oh, ma davvero? Non l'avrei mai detto." Ironizza il Deamon, avendo già notato i vari annunci e taglie sulla sua testa esposti in bella vista in quel luogo.
A quanto pare, il padre lo sta cercando e intende ritrovarlo in un solo modo. Morto.
"C'è un altro problema riguardante tuo padre. Ho sentito dire che è stato preso a botte da un tipo che si è ripreso il trono e il nome del signore degli inferi."
Sentendo quelle parole, il corvino si alza, dicendo la sua:"Gli sta bene. La prossima volta impara a mettere una taglia sulla mia testa. Ho ammazzato non so quanti demoni e diavoli per questo."
"Deamon, è una cosa seria. C'è una cosa che non ti ho detto ed è..."
Prima che Ombra potesse dirgli della situazione e informarlo sull'arrivo di Lucifero, dei demoni lo riconoscono e interrompono le parole di Ombra.
"Ragazzi, è lui! È Deamon!"
"Prendiamolo!" Esclamano, correndo verso il diavolo.
"Maledizione!" Mormora Deamon, comprendendo il pericolo e uscendo fuori di tutta fretta.
I demoni gli stanno alle calcagna, ma il diavolo è stufo di uccidere e fare spargimenti di sangue, così di decide di fare la cosa più sensata.
Si nasconde nell'ombra di un masso, sentendo qualcosa che lo incuriosisce e non poco.
"Mi raccomando, Lucifero lo vuole vivo!" Raccomanda uno dei demoni, mentre Deamon si affaccia pronunciando nuovamente quel nome:"Lucifero?!"
Sa molto bene la storia di Lucifero e non comprende il motivo per cui lui sia tornato in terra.
Decide di indagare, lasciando il caso Red ad un altro giorno.
Nel frattempo, un altro evento accade a mia insaputa.
Chrono, il Dio Tempo, ha accolto le parole e il volere di Tenebra, convocando a sé il fratello dello shinigami.
La porta della sua abitazione viene aperta da Ciel annunciando:"È arrivato."
"Fallo entrare, Ciel."
Il drago, sotto forma di umano con scaglie ricoperte per tutto il corpo e capelli corti e biondi, esce dalla stanza andando dal tipo e dicendogli:"Puoi entrare."
Il tipo si alza, andando diritto nella stanza del Dio.
"Mi ha chiamato, mio Dio?"
Il Dio Tempo si volta e vede un uomo vestito con abiti egiziani e con una maschera di cane completamente nera. Il Chrono sorride e gli va incontro.
"Anubi, benvenuto."
"A che devo questa chiamata?" Cerca di andare direttamente al dunque, quando quel Dio gli rivela:"Devo affidarti una cosa. Sai molto bene della scomparsa di tuo fratello, vero?"
"Si, ho dovuto prendere anche con me quello stupido serpente. Non riesco a capire perchè si prendesse cura di bestie così inutili. Piuttosto...ha per caso qualche altro oggetto da darmi?" Comprende lo shinigami, facendo annuire quel Dio che lo mette al corrente della situazione:"Si, ma è un po' diverso da quello che ti aspetti."
"Spero che non debba prendermi cura di nessuno."
"In realtà, uno dei voleri di Tenebra era che l'anima che aveva in custodia non venisse lasciata in pasto ai diavoli."
"Cosa?!"
"Siediti, che ne parliamo con calma."
Chrono lo fa accomodare alla sua scrivania, per poi cominciare a parlare. Gli racconta di me e del rapporto che avevo con Tenebra.
Praticamente sono stata tramandata come un bene materiale. Sono stata data al fratello di Tenebra solo per farmi avere una protezione dagli attacchi dei diavoli.
"Cosa? Devo badare ad una mocciosa?!" Si altera Anubi e il Dio Tempo cerca di farlo ragionare:"Nessuno può farlo meglio di te. E poi era la volontà di Tenebra."
Lo shinigami si alza di scatto, sbattendo le mani sulla scrivania e urlando:"Quello sciocco! Sapeva che sarebbe morto e ha dato l'incarico a me? Tsk...che insolente! L'ho sempre detto che era un incapace."
"Comunque sia era tuo fratello e ha lasciato a te il compito di difenderla in sua assenza."
"Tsk...scordatevelo. Io mi rifiuto. Io, Anubi Nube, non scenderò mai a patto con degli essere inferiori. Figuriamoci degli umani!"
Alterato dalla notizia, lo shinigami si dirige verso la porta, mentre Chrono lo ferma dicendogli:"Non puoi farlo."
"E perchè mai?!"Sbraita nervoso e voltandosi verso il Dio che continua ad affermare:"Perchè non è Tenebra a dirtelo, ma io."
"C-Chrono..."Farfuglia Anubi vedendosi alle strette.
Sa che il volere di Chrono deve essere rispettato e non può più tirarsi indietro.
È il suo Dio e lui è obbligato a prendersi cura di me.
Nel frattempo, le lezioni sono finite ed io esco insieme a Jena e a Angel.
Come potete notare, anche Jena ha cambiato un po' i suoi capelli, sostituendo quei fili viola che aveva tra i capelli, con delle meches bianche, pur mantenendo il suo stile.
"Allora stasera farai una festa?!" Chiede la corvina sapendo del mio compleanno.
Sinceramente non ne ho per nulla voglia.
Inoltre la vita da eroe non si risparmia nemmeno al compleanno, così scuoto la testa, rispondendo:"Non penso proprio. Lo sai com'è Angel. Mi invaderebbe la casa con pony e unicorni color arcobaleno, quindi passo."
"Ehi, cos'hai contro gli unicorni e gli arcobaleni?" Si introduce l'angelo nel discorso e non posso fare almeno di ribattere:"Nulla, ma i tuoi decori sono sempre molto esagerati."
In quell'istante vedo passare un tipo abbastanza strano.
Non riesco a vedergli il viso. Ha mano al petto e felpa con cappuccio nero messo sulla testa che mi impediscono di vedergli il volto. È alto circa un metro e ottanta, snello e slanciato, ma non riesco a percepire i suoi tratti del viso.
"Ehi, ma chi diamine è quello?" Domando vedendo il tipo un po' troppo strano.
Jena lo osserva con attenzione e sembra cambiare completamente espressione del viso, ma la sua faccia diventa anche peggio quando arriva Morgan.
"È Lorence Moon. La scorsa settimana è venuto in classe nostra. Pare che venga dalla Transilvania."Ci informa, lasciandoci senza fiato.
"Lorence Moon? Quindi è un parente di Demy?"
Jena, sentendo il mio entusiasmo e il nome del tipo, si allontana da noi.
"Jena, dove vai?!"Chiede Angel vedendola allontanarsi.
"Ehm... ho dimenticato che ho delle faccende da fare. Ci vediamo."Balbetta indecisa, per poi andarsene.
"Che strano. Non è un comportamento da lei."
"Comunque sia è meglio sbrigarci. Fairy è già andata al quartier generale. Pare che ci sia un problema."Rivela Morgan, facendomi annuire e andare nel nostro nascondiglio.
Ebbene si, non mi trasformo più a casa.
Sarebbe assurdo e inusuale per un eroe secondo il punto di vista di Morgan. Così Fairy, insieme a Morgan, è riuscita a costruire una casa nel parco di Detroit. È fatta così bene che chiunque la scambierebbe per un semplice albero un po' troppo spesso.
Arriviamo lì, bussando sul tronco dov'è messa la porta e lei ci apre.
Lo so. È cambiata anche lei.
Non ha più i capelli lunghi, ma li ha accorciati in un caschetto mosso con fila centrale e due trecce laterali.
"Finalmente. La polizia è sulle tracce di un malvivente. Pare che abbiano rapinato una banca." Riferisce, mentre entriamo all'interno e ci affrettiamo per metterci in posizione.
Eh si. Siamo riusciti a creare un vero e proprio covo con tanto di brandine per riposare.
Ci sono due grandi schermi che controllano quattro computer costantemente posizionati su vari siti.
Uno sulla radio della polizia, uno nel deep web, uno nel dark web e l'altro sull'albero per vedere all'entrata chi c'è.
"Morgan, dammi i dati del luogo." Dico, vedendolo piazzarsi davanti ai monitor, mentre io mi spoglio, facendo uscire fuori i miei vestiti da Iris Nube che mi proteggono dalla furia delle falci.
"È avvenuto vicino alla banca posizionata vicino metropolitana centrale. La rapina è stata fatta circa un'ora fa."
"D'accordo."Affermo, prendendo la bacchetta in una mano, mentre nell'altra prendo la maschera e me la metto.
Afferro la penna nera che ho nella giacca del giubbino di pelle per poi trasformare entrambe in falci.
"Siete pronti?!" Chiedo alle due entità all'interno delle rispettive falci e sento perfettamente le loro voci dirmi:"Certo. Noi siamo sempre pronti."
Sono le voci di Smoky e Tenebra che mi incoraggiano e mi spingono ad andare in missione.
Porto indietro il tempo urlando:"Fermo!"
Il tempo si blocca ed io mi avvio verso la zona che mi è stata detta, per poi mettermi proprio davanti alla banca.
"Smoky, è il tuo momento."Dico ed egli annuisce, prendendo il posto mio e possedendomi:"D'accordo, cara."
Stringe la sua falce tra le sue mani, sbraitando:"Riavvolgi!"
In un attimo tutto torna indietro e posso vedere esattamente con i miei occhi ciò che è successo.
Ci sono state delle vittime e non posso stare lì ferma a guardare.
"Fermo!"Mi ribello al riavvolgimento, mentre Tenebra intuisce:"Qualcosa non va?!"
"Loro... Dimmi, Tenebra. Vedi qualche shinigami nei paraggi? Erano destinati a morire oppure no?"
"Lascia fare a me, figlia mia."Lo sento dire, per poi prendere possesso del mio corpo.
Guarda in ogni angolo e di shinigami neanche l'ombra.
"No, sono stati uccisi per sacrificarli ai diavoli, probabilmente."Afferma convinto.
Stringe la sua falce nella mano e continua:"Lascia fare a me."
Chiude gli occhi e percepisce il mio essere d'accordo, così li riapre bruscamente, sbraitando:"Tempo!"
Il tempo continua a scorrere e i ladri escono dalla banca con le pistole tra le mani, puntando le armi sulla folla.
Tenebra, ormai in possesso del mio corpo, mi fa correre verso quei malviventi, afferrando le loro armi e dandogliele dietro alla testa uno ad uno e salvando gli innocenti da una morte che non meritavano.
"Ma... è Iris!"Urla un ragazzo tra la folla, mentre un altro ancora continua:"Iris ci ha salvati!"
La gente comincia ad urlare, venendomi vicino.
"Non abbiamo tempo per voi."Mormora Tenebra, per poi lasciare il mio corpo e dare a me la possibilità di uscire dalla situazione in cui mi trovo.
"Fermo!"Esclamo, sbattendo entrambe le falci e uscendo tranquillamente per poi ritornare nel covo.
"Smoky, va avanti al punto di partenza."
"Agli ordini."Risponde Smoky, riprendendo il mio corpo per poi urlare:"Riavvolgi!"
Sbatte la sua falce a terra fino ad arrivare al momento in cui mi è stata data la notizia e continuare:"Tempo!"
Con questa semplice parola, lascia il possesso che ha su di me, per dare spazio alla mia opinione.
"La rapina è stata fatta circa un'ora fa..." Dice nuovamente Morgan, continuando a battere su quella tastiera del pc, quando io lo interrompo:"Risolto."
Il mio amico alza lo sguardo verso lo schermo e vede la news cambiata.
"Ottimo."
"È un gioco da ragazzi con Tenebra e Smoky al mio fianco." Rivelo, sorridendo.
Nel frattempo, Red si trova a camminare per le strade di Detroit, notando una ragazza seduta a terra.
Ha occhi azzurri e capelli castani che arrivano alle spalle. Non è per nulla truccata. Fisico nella norma.
Ha addosso un jeans e una t-shirt nera con uno stemma di un teschio bianco sopra.
Ha la mano al braccio. È ferita. Perde sangue e non può fare a meno di avvicinarsi a lei.
"Ehi, va tutto bene?!"
"È stato attaccato..."Mormora incredula la tipa, tenendosi il braccio.
Il demone si inginocchia per guardare da vicino la ferita.
Sa perfettamente che non è una ferita normale. Deve essere stato un diavolo a fargliela:"Come ti sei fatta questa ferita?"
La ragazza sembra impazzire.
È traumatizzata, tanto che ha gli occhi sbarrati dalla paura e il volto bianco.
Sta male.
"Sto impazzendo. Nessuno mi crederà se lo dico, ma Satana mi ha presa. Ero una sua vittima. Voleva schiavizzarmi per prendere l'anima di una certa Noiren Margaret, ma prima che potesse imprimermi il suo sigillo è stato attaccato."
"Attaccato? Da chi?!"
"Era un uomo alto e aveva una croce con sé. Ho pensato a fuggire, ma..." Farfuglia spostando lo sguardo sulla ferita.
Red sorride e afferma:"Quindi si è messo all'opera."
"Che?!"
"Sai, sono stato io a risvegliare il signore degli inferi. Belzebub aveva bisogno di una bella lezione, proprio come il padre e quindi io e un altro demone lo abbiamo liberato. Mi sorprendo che si sia ripreso così velocemente. Non è facile per un diavolo riprendersi da una criogenesi. Era messo proprio male. Se non fosse stato per me e Ombra, adesso sarebbe ancora rinchiuso in quel sarcofago." Spiega, mandando in tilt la tipa che gli urla:"Cosa?! Sei stato tu a risvegliare quel mostro?! Non ho mai visto una luce così nera e accecante. Perchè diamine l'hai fatto? Quello ci ucciderà tutti! Sei un pazzo!"
"Tranquilla, cara. Lui è esattamente come me. Vuole solamente la sua vendetta e finalmente è arrivato il momento! Ci vendicherà tutti." Afferma, imprimendo terrore negli occhi della ragazza che urla dal terrore, tenendosi il braccio.
"Via, demone! Spostati! Non ci serve il tuo aiuto!"Interviene Demy, avvicinandosi alla ragazza ferita e mettendosi tra lei e Red.
Purtroppo, il demone è sicuro di sé e continua:"Non temere. Una nuova era sta arrivando. Il cielo si oscurerà nuovamente e il padrone degli inferi regnerà su questa terra com'è sempre stato. Così, ci riprenderemo tutto ciò che è nostro."
Con queste parole e una risata isterica, il demone si allontana, lasciando Demy da solo con la ragazza.
"Non pensarlo. Pensiamo alla tua ferita adesso. Qual è il tuo nome?" Gli chiede, mentre prende delle bende alla borsa.
"Age. Il mio nome è Age Brown." Rivela la ragazza facendo sorridere il vampiro che rassicura:"Andrà tutto bene, Age."
Comincia a fasciarle il braccio, anche se la sua preoccupazione ne è solo una.
Perchè un demone dovrebbe risvegliare un diavolo?
Cosa significano le parole di Red?
Ciò nonostante è più che ovvio che una nuova era e una nuova avventura si sta per abbattere su di noi e soprattutto su di me. Su Iris Nube.

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Capitolo 2
*** BackGround - Satana ***


Satana.


Riprendo i sensi, ritrovandomi legato e imprigionato in questa lurida cella.
Alzo lo sguardo. Accanto a me c'è solo Belzebub.
"Bel..."Farfuglio, ma è ancora senza sensi.
Mi sento così inutile e piccolo dinanzi a quel fratello che mi ha rinchiuso in questa prigione.
Eppure non capisco.
Mi ero rintanato in quella stanza. Pensavo di poterlo prendere di sorpresa, ma non è stato così.
Lui è tornato.
Non pensavo minimamente che potesse succedere.
Mi chiedo come abbia fatto.
Ricordo come se fosse oggi quel giorno in cui è stato imprigionato nel sarcofago criogeneo.
È stato lo stesso giorno in cui ho ucciso nostro fratello Ade e sono diventato il padrone assoluto dell'inferno.

 
***

Tutto cominciò così, in un modo del tutto inaspettato. Sono stato concepito per volere di mio fratello, Lucifero. Sono stato concepito perchè aveva bisogno d'aiuto.
Mi sentivo amato da lui e da Ade. Eravamo una famiglia e i sentimenti non erano banditi.
Regnavamo io, lui e Ade.
Ero stato scelto per la frazione demoni, ma ero un mezzosangue. Non so esattamente come sia stato creato, ma penso che sia da una costola di shinigami, dal sangue di mio fratello e dai semi dell'oscurità della luce che egli emanava. Insomma, non ero uno shinigami, non ero un diavolo e nemmeno un demone. Ero tutte e tre le razze.
Lo so. Starete pensando che allora sono un ibrido, un essere creato da più razze più essere solo quello, ma vi state sbagliando di grosso.
Le razze ibride, che discendono da due o più razze, hanno solo il 50% delle abilità, mentre i mezzosangue hanno il 100% di tutte le abilità delle razze compromesse.
Questo mi ha reso sempre diverso da lui e da Ade.
Non ero uno shinigami. Non ero un diavolo. Non potevo dire nemmeno di essere un demone pur avendo questa sezione tra le mani.
Mi sono sempre sentito diverso e Ade mi capiva bene, nonostante lui si fosse tranquillamente adeguato alla sua sezione di appartenenza, quella degli shinigami.
Era diverso da me. Era serio e giusto. Aveva i capelli neri e lunghi come quelli di nostro fratello, ma diventavano fuoco quando si arrabbiava. Riusciva ad accendere qualsiasi cosa. I suoi occhi erano color ambra, molto simile a quelli dei serpenti e aveva una presenza elegante e provocante.
Si può dire che io ero il più insulso tra i miei fratelli.
Lucifero è sempre stato un diavolo rispettato e il suo potere ci rendeva la sua ombra. Nessuno conosceva Ade e Satana oltre a lui.
Io ero un'ombra per lui, ma mi stava bene.
Mi stava bene perchè ho sempre odiato i riflettori, fino a quel giorno.
Avevo l'ordine di sorvegliare alcuni demoni che sembravano creare rogne e problemi ad alcuni angeli. Lucifero è stato sempre strano.
Odiava mettersi a confronto con il bene. Puniva chiunque non ascoltava la sua parola poichè riteneva che luce e oscurità dovevano cooperare per esistere entrambe. Sentiva che senza la luce, le tenebre non esistevano.
Assurdo.
Per me è sempre stata una totale assurdità, ma compresi la sua preoccupazione e andai personalmente a vedere il problema.
Fortunatamente non ci furono uccisioni. I demoni compresero il problema e si allontanarono dalla presenza angelica che vegliava sugli umani.
Rimasi lì a guardare quella razza così inferiore a noi.
Era patetico e incomprensibile che ci fosse questa fame di anime, quando potevamo prendercela invece di attendere e dare valore alla luce.
Quando rientrai nella dimora, mi feci sentire da mio fratello. Ero arrabbiato per quella situazione.
"Perchè morire di fame quando potremo tentare gli umani e prendere le loro anime?"Chiesi al sovrano degli inferi, entrando nella sua stanza.
Era una biblioteca enorme e lui se ne stava lì, davanti ad un quadro a leggere un libro.
Era il nostro tempio. Questa villa immensa in cui vivo era il nostro rifugio.
Eravamo io, lui e Ade a regnare lì. Per questo non comprendevo il suo modo d'agire.
"Ne abbiamo già parlato, fratellino. Nessuno prenderà alcuna anima. Ci ciberemo solo di quelle perse dagli shinigami. Dobbiamo ripulire la zona." Rispose con quel tono calmo e freddo, senza staccare gli occhi dal libro che teneva tra le mani.
"È assurdo! Dobbiamo procurarci noi il cibo! Già riusciamo a tentarli nel male, perchè non prenderci anche le loro anime?"
Quelle parole suonarono molto male alle sue orecchie, tanto che chiuse il libro di colpo e con uno scatto che mi fece rabbrividire.
Alzò lo sguardo verso di me e concluse con freddezza:"È il processo della vita. Chrono vuole che sia così e così rimarrà."
Mi venne vicino, mettendomi il libro tra le mani e andandosene.
Rimasi lì a pensare e a guardare quel libro. Era il libro della Genesi, quello vero dove veniva spiegata ogni razza creata al mondo.
Non capii perchè me l'aveva dato tra le mani, ma compresi che centrava qualcosa con ciò che aveva detto. Peccato che ancora oggi non ne capisco il collegamento.
Rimasi lì, a sfogliare le pagine, ma non leggevo. Guardavo solo le figure, riflettendo su tutto ciò che avrei potuto fare senza di lui, ma ero debole.
Amavo mio fratello. Volevo bene ad entrambi e li rispettavo.
Non potevo remare contro Lucifero. Ci volle poco prima che la rabbia e la perplessità mi lasciassero del tutto.
Posai il libro sulla scrivania, per poi uscire di lì tra il confuso e la sensazione di smarrimento che mi perseguitava. Per distrarmi e schiarirmi le idee decisi di andare nella discoteca locale.
Volevo sfogarmi un po', bere un drink e conoscere qualcuno, ma accadde l'impensabile.
"È occupato questo posto?"Sentii alla mia sinistra, mentre me ne stavo seduto al bancone a bere.
Mi voltai e vidi colei che mi rubò il cuore al primo sguardo. Colei il cui nome è Marte ed è ancora inciso nel mio cuore.
"Ehm... no."Farfugliai essendo terribilmente scioccato dalla sua bellezza.
Si sedette e cominciammo a chiacchierare.
Lei non sapeva che ero il fratello di Lucifero.
Mi presentai come un comune diavolo che lavora per tentare le persone nel male. Insomma, le dissi che avevo un lavoro umile invece di dirle che dirigevo l'armata demoniaca.
L'amore non era vietato come ora. È una regola che ho imposto io.
Lei divenne la mia più grande debolezza e la passione si fece sentire fin da subito. L'amavo follemente a tal punto di volerla sposare qualche mese dopo.
Ci completavamo o almeno era quel che pensavo.
Feci costruire una piccola casa che sarebbe stato il nostro nido d'amore, ma promisi anche a me stesso e a mio fratello che non avrei mai detto la verità su di me.
Non le ho mai detto di essere il fratello di Lucifero, signore degli inferi. Volevo che lei amasse me e non la mia posizione lavorativa ed economica.
Il nostro matrimonio sembrava andare a gonfie vele. Un anno dopo nacque il frutto del nostro amore, Belzebub. Era tutto perfetto. Eravamo una famiglia affiatata. Continuammo a stare insieme per anni, per più di ottocento anni.
Dopo circa cinquecentotrenta anni nacque anche il piccolo Deamon. Ero felice perchè avevo tutto ciò che avevo sempre desiderato, ma qualcosa cambiò in lei.
Cominciò ad infastidirsi ed essere irritata. Non voleva che toccassi mio figlio, ma era strano.
Con Belzebub me lo faceva fare, mentre con Deamon no. Era scattato qualcosa in lei. Iniziai a preoccuparmi seriamente per quel comportamento. Non era normale.
"Scusami, è solo che è un periodo di stress. Il lavoro mi sta uccidendo."Si giustificò ed io cercai di comprenderla. L'abbracciai dandole tutto il mio sostegno, ma non era il lavoro.
Mi accorsi che era corteggiata da un altro uomo.
Trovai delle lettere che teneva conservato nel suo portagioie.
Quel giorno mi trovò lì, seduto sul letto con quelle lettere tra le mani che cercavo spiegazioni.
"Che stai facendo? Perchè sei...?"
"Di chi sono?"Chiesi e lei rimase in silenzio.
Non sapeva che dire.
"Hai conosciuto qualcun altro? Per caso io non ti basto più?!" Tentai di capire.
Lei scosse la testa e si giustificò nuovamente:"Perdonami, è stato solo una distrazione di qualche mese fa. Adesso è tutto risolto."
"Allora perchè le hai ancora con te?!"
"Perchè volevo ricordarmi dell'errore fatto e non voglio commetterlo di nuovo."
Me lo disse con le lacrime agli occhi, mentre si avvicinava per abbracciarmi e confidare:"Perdonami, ma in questi giorni non sei stato presente ed io ho sentito la tua mancanza. È stato un momento di debolezza..."
Abbassai le lettere e non me la sentii di lasciarla.
L'accarezzai i capelli. I miei figli erano appena tornati da scuola e ci videro abbracciati che ci confortavamo l'un l'altro.
Chiusi la porta  di camera e lasciai scorrere tutto.
La baciai e facemmo l'amore per evitare di darle dei sospetti, ma cominciai ad indagare da allora.
Stavo fuori tutto il tempo e fingevo di lavorare anche quando non era così.
Persi di vista i miei bambini, ma dovevo farlo per vedere la fedeltà di quella donna, mia unica debolezza.
Fu proprio in uno di quei giorni, nel modo meno aspettato, che lo vidi con i miei occhi.
Ero appena tornato dal reindirizzare alcuni demoni. Mi diressi in camera mia, nella residenza del signore degli inferi, per aggiornare i registri, quando sentii la voce di quella donna dire:"No, tu devi saperlo."
"Marte?!"Mi chiesi, uscendo dalla stanza e guardando dal piano superiore.
Pensavo avesse scoperto la verità su di me, ma mi accorsi che non era così. Seguì una scena straziante che mi spezzò il cuore.
"Marte, ti ho detto più volte che non voglio vederti. È stato solo un equivoco. È stato solo un momento." Disse mio fratello essendo molto freddo con lei, ma lei lo prese per il braccio urlandogli:"Si, ma io sono incinta e il padre sei tu."
Quelle parole furono come lame nel mio cuore.
Sentii come delle lame trafiggermi.
Non ebbi il coraggio di sentire oltre. Mi rintanai nel mio studio, cercando di trattenere le lacrime.
Mio fratello, l'unica persona che credevo che non mi avrebbe mai tradito, era l'amante di mia moglie.
Lei mi aveva tradito con Lucifero.
I giorni passavano e la mia sete di vendetta si fece sempre più forte e insopportabile.
Ade, qualche anno prima, era stato allontanato a causa del sacrilegio degli shinigami. Divenne il re degli shinigami, il Dio della morte ed io mi sentivo sempre più inutile.
Ade era diventato importante, proprio come Lucifero. Ero stato messo all'ombra di loro due, ero stato la seconda scelta di mia moglie e tradito da mio fratello.
Dovevano pagare tutti e così decisi di allearmi con il re degli shinigami, inventandomi una menzogna.
"Cosa? Ma è impossibile!"
"Ti dico che è la verità. Lucifero è il nostro capo e vuole prendere il tuo posto e sterminare tutti gli shinigami."
Sentendo quelle parole, Ade scosse la testa e continuò:"Ma senza gli shinigami, gli umani non avranno più un tempo e non capirebbero il valore della vita."
"Lo so, per questo ti sto dicendo di fare qualcosa! Dobbiamo ucciderlo."
Purtroppo, il legame fraterno si era ben consolidato tra noi.
Io non riuscivo ad avere il coraggio di uccidere Lucifero, per questo ingaggiai lui e un demone che lo seguì, ma anche Ade non riuscì a distruggerlo.
Sapeva di un sarcofago criogeneo che avrebbe fatto dormire per anni chiunque diavolo o essere malvagio. Non so come, ma lo rinchiuse lì dentro pronunciando:"Perdonami, fratello, ma è per il tuo bene."
Lucifero batteva le mani sul sarcofago, mentre con un calcio venne spinto nella lava bollente.
Sarebbe dovuto finire così, ma io avevo chiesto di ucciderlo e non di chiuderlo in un sarcofago che l'avrebbe risvegliato.
Il demone mi raccontò l'accaduto e la rabbia e dall'ira presero il sopravvento su di me.
Decapitai mio fratello senza volerlo.
Dopo un tremendo litigio, dove buttai in fondo alle scale della villa una spada preparata per uccidere Lucifero, accadde la tragedia.
"Dovevi ucciderlo! Non addormentarlo, idiota!" Sbraita, spingendolo con rabbia.
Ade perse l'equilibrio, cadendo per le scale della casa. La lama della spada era colma d'acido e finì dietro al suo collo, bruciandolo e staccandogli la testa.
Morì sul colpo.
Il sangue e l'orrore mi fecero rabbrividire e urlare.
"Ade!!"Urlai con le lacrime agli occhi, correndo da lui.
Lo presi tra le mie braccia, ma era già andato.
"No, Ade... io...non volevo....io..." Farfugliai con le lacrime agli occhi.
Le mie urla fecero accorrere le armate di diavoli e demoni che vegliavano la villa. Nel vedermi con le mani colme di sangue e il volto macchiato si inginocchiarono a me, proclamandomi signore dell'inferno.
Avevo emozioni contrastanti. Era stato causato tutto da Marte. Se non fosse stato per lei, se non fosse stato per Lucifero, non avrei perso mio fratello Ade.
Il primo ordine fu quello di non amare, di essere spietati e di rubare le anime delle persone attraverso i contratti.
Mi presi un po' di tempo per organizzarmi e impartire nuovi ordini.
Mi piaceva la vita da signore degli inferi.
Era agiata, anche se piena di difficoltà.
Ero solo, ma stavo bene. L'unico pensiero era la mia progenia.
Volevo riprendermi ciò che mi apparteneva di diritto e così decisi di andare in quella casa. Mi feci accompagnare da un demone che mi serviva.
Il suo nome era Ares. Era un demone rispettabilissimo, con ottimi principi morali che mi ha sempre aiutato a comprendere cosa fare, ma anche colui che mi rivelò ciò che era successo a Lucifero.
Una volta arrivato a casa, scaraventai la porta, standomene nell'ombra e vedendo chiaramente quella traditrice con in braccio il frutto del tradimento e di quel viscido essere.
"Va via!" Urlò, indietreggiando e tenendosi stretta la bambina, ma non sapeva che così facendo stava solo alimentando la vendetta che avevo nel cuore.
Senza dire nulla, le andai incontro e le strappai il cuore dal petto, prendendo prima tra le mani il marmocchio che abbracciava e proteggeva.
"Ade..." Chiamò, mentre allungava la sua mano nei suoi ultimi istanti di vita per riprendere ciò che era suo.
Guardai attentamente quella scena patetica di quella stupida diavolessa che urlava ancora e ancora:"Non farle del male!"
Aveva le lacrime agli occhi. La guardai con disprezzo.
Era impazzita per quel marmocchio che avevo tra le mani. L'amava alla follia, più dei nostri figli.
Quella bastarda non voleva rimediare ai suoi errori, ma voleva morire per proteggere chi amava.
Scossi la testa e deluso le dissi:"Sei un disonore per la mia famiglia. Non meriti di esistere!"
La rabbia mi accecò.
Il pensiero che potesse tenere più ad un figlio fatto con mio fratello che con i bambini che abbiamo fatto insieme e che siamo stati insieme per più di ottocento anni, mi fece impazzire.
Mi trasformai in un mostro, lasciando uscire la mia forma diavolesca composta da cosce e testa di capra, mani allungate e unghie diventate artigli neri e spessi. Mi ricoprii di peli maleodoranti. Le strappai il cuore che avevo tra le mani, dal suo petto, con una forza bruta.
Marte guardò il piccolo, mentre il mostro che ero ritirava la sua mano con quel cuore pulsante.
Cadde a terra e le sue ultime parole furono:"Figlia mia. Fa rimpiangere a tutti questo giorno. Uccidi e strappa a tutti la cosa a cui tengono di più."
In quel momento intuii qualcosa di grande. C'era un rapporto unico tra Marte e il neonato. Il piccolo cominciò a piangere ed io compresi che non era un lui, ma una lei.
Mi calmai ritornando uomo.
Scioccato da quell'amore che era stato mostrato, guardai millimetro per millimetro quella piccola mocciosa per capirne che fare.
Una cosa era certa. Non la volevo come figlia. Non era mia.
"Tsk... che essere inutile. Pensavo fosse un altro maschio e invece è solo una misera femmina."
Con disprezzo, la diedi tra le mani del demone che avevo dietro.
Odiavo tenere tra le braccia un neonato che non mi apparteneva. Inoltre, se fosse stato maschio, sarebbe stato perfetto come servo.
Che me ne sarei dovuto fare di una femmina?
Guardai la piccola, per poi spostare gli occhi su Marte. Non mi aveva lasciato altra scelta.
Mi avvicinai a quel corpo ormai senza vita. Avevo ucciso le persone che amavo e non volevo fare lo stesso sbaglio con Bel e Deamon. Loro non centravano.
Erano sempre figli miei.
Amorevolmente, staccai la testa dal collo della donna, per dargli una sepoltura come tutti i diavoli.
Conficcai quella testa in un palo, segno di profonda inferiorità di specie e di essersene andata amando chi non doveva.
"Mi spiace, ma non potevo fare altro." Dissi con il cuore in gola, dandole un ultimo sguardo.
Era stata un disonore e una delusione orribile. Non potevo sorpassare a quel gesto terribilmente schifoso. Aveva amato qualcuno che non doveva amare. Aveva amato mio fratello e amava fortemente quella mocciosa, frutto del tradimento.
Cominciai a pensare che il problema ero io tra di loro, ma sapevo che non era così. Mi ero guadagnato il titolo di signore degli inferi. Mi ero guadagnato la villa e tutti i titoli che seguono.
Non volevo fare lo stesso errore.
Non volevo escludere i miei bambini.
Aspettai il ritorno di Deamon e Bel, per poi trascinarli nella loro nuova casa.
"Ares! Metti giù la mocciosa!"
"Signore, ma così morirà!"
"Meglio. È solo il ricordo più orrido che io abbia. Ha il nome del mio fratello ucciso ed è il frutto del tradimento di mia moglie. Non la voglio in casa mia."Dissi deciso, ma quel demone era preso dalla compassione:"Signore, baderò io a lei, ma per favore. Non lasciamola da sola qui. È solo una bambina."
"Bambina o no, non la voglio."
"Baderò io a lei, signore. Ho sempre voluto una figlia da crescere. Per favore. Mi lasci prendere cura di lei."Mi chiese ed io non riuscii a dirgli di no.
Non era un demone comune. Era mio amico.
Non potevo evitare di accettare quella sua richiesta:"E d'accordo. Baderai tu a lei, ma io non ne voglio sapere nulla. Anzi, non voglio nemmeno vederla in giro."

 
***

Così, mi sono trovato a badare anche ad Ade. Me la sono trovata nella mia dimora e ho cercato di evitarla.
Ogni giorno che la guardo, assomiglia sempre di più a sua madre e a quell'uomo che odio profondamente e che ora mi ha bloccato qui.
Spero solo di non soccombere di nuovo.
Non voglio perdere un'altra volta con lui.
Non voglio perdere i miei figli come ho perso la mia amata. Adesso sono io il signore degli inferi e voglio tenere stretto questo trono che di diritto mi appartiene, anche se è più difficile di quanto si possa pensare.
"Ade..."Farfuglio, non vedendola in cella.
Spero solo che Deamon ci salvi da questo atroce destino.

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Capitolo 3
*** BackGround - Fairy ***


Fairy.

Eccomi qui, a varcare la soglia del cortile di scuola. Respiro l'aria che mi circonda, mentre una farfalla blu si posa sulla mia spalla.
Lei è Batty, la mia fata guardiana che mi fa da sempre da balia.
Mi sussurra all'orecchio con quella vocina che potrebbe essere confusa per un ronzio.
Piccola e minuscola, quasi impercettibile da comprendere per gli umani poichè difficilmente può essere udita da loro.
«Ricordati di coprire bene le orecchie...» Mi ricorda.
Metto le mani nella zona indicata, per controllare che le protesi siano al loro posto. Non sono umana, non sono uno spirito, ma solo un ibrido tratto da entrambi i geni. Sono un elfo, un essere impuro.
So che ho degli amici e di essere rispettata per quella che sono, ma ho combattuto molto per questo giorno. Ho combattuto e sofferto per il mio essere elfo.
Insomma, non mi sono mai sentita realmente me stessa. Sono sempre stata un ponte, una persona che viaggia tra il mondo spirituale e quello materiale. Persona che molto spesso prende il nome di strega, ma nel migliore dei casi, mi chiamano con il nome della realtà che sono. Sciamana, ovvero una strega bianca che predilige la natura e gli spiriti che lo abitano.
Mi guardo a torno ricordando il giorno in cui tutto ha avuto inizio.

 
***

Avevo solo quattro anni quando mi accorsi di essere diversa.
I bambini del villaggio, in cui vivevo con mia madre, non volevano giocare con me.
Mia madre mi vietava spesso di uscire e di vedere gente, ma non capivo il motivo. Io mi sentivo normale. Perchè trattarmi così freddamente?
Ero solo una bambina. Non riuscivo a comprendere la paura che tutti avevano nel cuore.
Avevano tutti paura di me e delle mie orecchie.
Sono sempre stata una persona testarda e, in un giorno di primavera, decisi di uscire per andare a giocare a campana con gli altri.
Ripeto, avevo solo quattro anni e le urla dei bambini mi traumatizzarono.
«È un folletto!» Disse uno dei bambini, seguito da un altro che urlò: «Si, è proprio lui! È Tremotino! Colui che rapisce i bambini!»
Si armarono di pietre e cominciarono a lanciarmele, chiamandomi nei modi più disparati possibili come: «Gnomo infame!» oppure «Ladro di anime.»
Insomma, pensavano fossi qualcosa di orribile che ruba anime o comunque uno spirito maligno...
Caddi a terra, sbraitando e urlando. Piangevo dal dolore e dalle cattiverie che stavo subendo e quelle mie urla vennero confuse con qualcos'altro: «Sta emettendo un richiamo!»
«È un mostro! Presto! Scappiamo!»
Quel giorno mia madre mi trovò piena di lividi e di ferite fatte a causa delle pietre che mi avevano lanciato addosso.
Ci volle un bel po' per riprendermi, ma mi sentivo molto sola, anche perchè vedevo alcuni spostamenti strani che non mi piacevano.
Non mi piaceva il fatto che nel mondo terreno ero sempre e solo con mia madre, mentre nel mondo degli spiriti solo con mio padre. Insomma, eravamo una famiglia, ma non mi sembrava affatto unita. Mio padre non era mai a casa e avvertivo la cosa come una famiglia separata e senza amore. Questo mi rendeva sempre più triste e sola. Non mi sentivo amata da mio padre e non vedevo amore. Lui era sempre nel mondo degli spiriti e non abbiamo mai cenato tutti insieme come una vera famiglia.
Ed io mi dividevo sempre tra lui e mia madre. Inutile dire che questo mi pensava.
Più passavano gli anni e più era opprimente vedere gli altri felici e con entrambi i genitori, mentre invece io no.
Cominciai a porre milioni di domande e solo allora mia madre mi spiegò realmente la situazione.
Era assurdo.
Umani e spiriti non potevano innamorarsi. Era contro natura. Per questo sono nata io, il frutto del sacrilegio e del potere dell'amore tra due anime che non dovevano incontrarsi, un ibrido. Essendo mio padre uno spirito della natura che governava folletti e fate, mentre mia madre era una semplice umana che si divertiva a capirne di magia, sono nata io, un semplice elfo.
Inutile dirlo, ma non mi è mai piaciuta la mia natura. L'elfo è una razza ibrida e le razze ibride hanno un massimo del 50% del DNA di entrambe le razze acquisite, dunque non appartenevo né al mondo visibile né al mondo invisibile, nonostante loro continuavano a dirmi che dovevo vivere in entrambi i mondi.
Il problema era solamente uno. Essendo l'unica erede dello spirito che governa fate e folletti avrei dovuto studiare per la mia formazione effettiva, poichè avevo un compito assegnatomi dalla nascita che ancora devo portare a termine. Insomma, come è di norma, tutti quegli spiritelli verranno affidati a me un giorno ed io sarò colei che governerà su di loro, indirizzandoli sul da farsi.
Il peso della responsabilità non mi è mai piaciuto, ma più passava il tempo e più diventava insostenibile.  Volevo solo essere normale. Volevo solo essere umana o invisibile. Non volevo entrambe le cose. Volevo essere normale ed è ovvio perchè avevo tredici anni. Volevo vivere la mia vita, essere me stessa, avere degli amici, ma più passava il tempo e più diventava difficile.
Mia madre si ostinava ad insegnarmi l'arte della Wicca, la disciplina magica che lega ogni soggetto umano agli spiriti e il mondo invisibile a quello visibile. Mio padre, diversamente da lei, mi mostrava quel mondo invisibile che un giorno sarebbe stato mio, insegnandomi le priorità e come regnarlo e gestirlo al meglio.
Peccato che non ho mai avuto poteri strepitosi, almeno non ancora.
Il mio unico potere era ed è quello di parlare con gli spiriti e fare da ponte dimensionale, un po' come sono gli sciamani, ma con la differenza che io non sono del tutto umana. In realtà... gli sciamani non sono umani, ma sono esseri che discendono o che hanno comunque geni di entità benevoli nel sangue, però questo è tutto un altro discorso che ho appreso negli anni.
Comunque sia, odiavo ed odio ancor tutt'oggi la magia, poichè conosco perfettamente il potere del karma.
Ogni cosa ha un prezzo, ogni cosa deve essere pagata. Per questo mi rifiutai di apprendere quella disciplina da mia madre, ma per qualche strana ragione riuscivo ad aiutare la natura.
Si, come una strega bianca che osservava e curava con il potere delle erbe e degli intrugli le querci e i fiori. Sentivo di cosa avevano bisogno. Sentivo che mancava loro l'acqua o avevano bisogno di riprodursi in altri ambienti. Era strano, ma era come se mi sussurrassero. Avevo questo potere, proprio come ce l'ho ancor oggi.
Insomma, io sono così. Parlo con l'animo della natura, ma non sapevo che era un vero e proprio potere.
«A quanto vedo hai scoperto la tua natura...» Mormorò mio padre, accennando un sorriso, nel vedermi annafiare un fiore e parlarci tranquillamente.
Mi voltai e quelle parole furono una lama nel cuore.
Quella semplice frase indicava che io appartenevo più al mondo invisibile e spirituale che a quello materiale.
Non l'ho mai accettato. La mia reazione a quelle parole forse fu troppo brusca, ma gettai tutto e andai nel mondo visibile.
Fuggi via, rinnegando ciò che ero. Mi rintanai in casa e mia madre mi vide piangere.
«Fairy, tesoro, cos'è successo?» Mi chiese, ma non avevo nemmeno la forza di parlare.
Avevo appena scoperto di non essere umana e che il mondo umano non sarebbe mai stato felice di ospitarmi. Parliamoci chiaramente, chi mai vorrebbe una come me? Chi vorrebbe uno spirito delle fate e dei folletti dentro casa? Chi mai amerebbe un'entità come me?
Mia madre, stanca e stressata dal mio pianto, si diresse in cucina, prendendo una tavola ouija per invocare mio padre, usando la forza dei quattro elementi: fuoco, acqua, terra e aria.
Per lei la magia nera è sempre stata una passeggiata. Mi calmai e andai verso la cucina, dove la vidi praticare quella tavola con accanto una candela, che simboleggiava il fuoco, una bacchetta di legno, che era simbolo di terra, e un bicchiere d'acqua che ovviamente era simbolo della sua natura.
Lui gli spiegò ciò che era accaduto e lei decise di aiutarmi. Mi iscrisse in una scuola locale per farmi sentire normale, ma io normale non ero.
Mi fece coprire le orecchie con i miei stessi capelli per permettermi di andare a scuola, ma era difficile.
Per quanto ci provassi, non ero mai abbastanza. Continuavano a darmi i nomignoli di mostro, non appena arrivavano folate di vento che scoprivano leggermente le mie orecchie o quando semplicemente toglievo i miei stupidi capelli dagli occhi portandoli all'orecchio quando ero applicata ad una verifica in classe. Sono gesti che si fanno senza riflettere e involontari, ma nessuno mi accettava per la mia natura.
Nessuno.
Io mi sentivo vulnerabile e terribilmente incompresa.
Mi sentivo schiava di me stessa e della mia stessa vita. Non potevo legare i miei capelli perchè dovevano coprire le orecchie e dovevo sempre stare attenta che fossero ben coperti. Non potevo dire dove andavo nei weekend e non potevo stare con loro perchè era l'unico momento che mi era concesso stare con mio padre e loro non avrebbero capito. Insomma, era tutto troppo complicato.
Non ero umana, non ero uno spirito, ero un elfo. Ero un essere impuro e disgustoso, ma stranamente potevo essere me stessa solo il giorno di San Patrizio.
In Irlanda si usava fare una grande festa e travestirsi da folletto, ballando e cantando.
Solo in quella festa potevo sfoggiare la vera me. Solo in quel giorno potevo essere felice. Solo in quel giorno potevo ridere e scherzare, danzando e mostrandomi alla gente avendo anche complimenti sulle orecchie che tutti odiavano. Questa cosa cominciava a pesare.
Mi pesava non essere sempre me stessa, ma il mio comportamento, il mio andare tra la gente nella mia forma, non era visto di buon occhio da mio padre.
Quel giorno, lui se ne accorse e mi richiamò.
Ricordo molto bene quando, entrando nelle sue stanze, si alterò urlandomi: «Fairy, quante volte dovrò dirti ancora che non devi mostrarti alle persone in questo aspetto?»
«Ma papà... io...» Tentai di dire, ma lui era furioso con me.
«Lo sai come la penso. Sei un elfo, un ibrido tra due razze, un essere impuro. Non sei uno spirito, non sei una fata, non sei nemmeno un essere umano. Guardati! Lo sto dicendo per il tuo bene.»
«Lo so papà, ma vorrei almeno divertirmi un po'... essere... normale...» Balbettai incerta.
Abbassai lo sguardo e lui sospirò, tornando ad essere un po' più calmo. Si voltò nuovamente verso me, continuando a dire con tono un po' più tranquillo: «Mi spiace, ma tu non sei nata umana. Tu devi comprendere le tue responsabilità di futura sovrana delle fate e dei folletti. Per questo ti ho procurato una balia.»
«Cosa? Una balia? Ma papà non l'ho avuta nemmeno quand'ero piccola!» Cominciai ad agitarmi non comprendendone il motivo, ma lui ormai era deciso.
«Lo so, ma lei ti farà da coscienza. Anch'io ne ho avuto bisogno alla tua età. So che non sei in una posizione facile ed è per questo che te l'ho procutata. Spero che capirai.» Mi disse, andandosene e lasciandomi lì a riflettere sulla questione.
Fu allora che conobbi Batty. Ero ribelle e non mi piaceva stare a ciò che mi consigliava.
Non mi fermava nessuno. Ero una vera peste.
Me ne andavo spesso in giro e, quando non ero nel mondo invisibile, me ne stavo in mezzo alla natura del mondo visibile.
Fu proprio allora che mi resi conto di qualcosa che non mi era stato ancora detto.
«Che ci fai in questi boschi tutta sola?» Sentii una voce maschile provenire da dietro all'albero sulla quale ero appoggiata.
Mi spostai e mi voltai di scatto verso colui che mi parlava.
Indietreggiai, vedendolo avvolto nell'oscurità.
Non capivo cosa fosse e nel camminare all'indietro caddi, ritrovandomi con le spalle contro il tronco di un albero.
«Ehi, non volevo spaventarti.» Mi disse quel tipo, continuando a starsene nascosto lì dietro.
«Chi sei?»
«Il mio nome è Aveel.»
«Cosa vuoi da me?»
A quella domanda cambiò espressione, diventando triste. Si nascose ancor di più dietro quell'albero ed io mi alzai velocemente, avvicinandomi con cautela verso di lui.
Perchè diamine è diventato triste? Cos'ho detto di sbagliato? Possibile che non sia cattivo come penso?
Queste domande continuavano a balenarmi nella mente ed io non potevo non dare delle risposte.
«Esci fuori, Aveel. Così non ti vedo.»
«Non credo tu voglia vedermi.»
«Perchè dici così?» Chiesi e lui rispose con tono triste, quasi stanco di ciò che aveva subito: «Non sono come tu pensi. Urlerai e mi allontanerai come fanno tutti. Nessuno vuole avere a che fare con un ibrido come me.»
Ibrido. Ancora quella parola.
Lui si comportava esattamente come mi sentivo io in tutti quegli anni, si stava comportando come un essere che non accetta la sua natura.
Lui era come me e non riuscii a non dire: «Anch'io lo so. Esci fuori. Giuro che non urlerò.»
Lo dissi senza battere ciglio, per non perdere l'occasione di vederlo uscire allo scoperto.
Ahimé, forse, era meglio starmene al posto mio. Era meglio scappare il più velocemente possibile, invece di chiedere di venir fuori.
Ciò che vidi fu una figura completamente nera. Era come un'ombra umana, ma diversa. Aveva delle ali possenti, molto simili a quelle di una falena.
Era strano. Non capivo cosa diamine fosse.
«Cosa sei?»
«Sono l'unione tra mezzosangue di genere demone-folletto e un'umana. Mi hanno battezzato con il nome di uomo falena.»
Avevo studiato ogni razza esistente insieme a mio padre e a mia madre. Sapevo con certezza che i demoni non potevano procreare, a meno che non si trattasse di diavoli invece di demoni.
«Demone? Ma i demoni non erano esseri sterili?» Chiesi, completamente presa dalla curiosità di capirne di più su colui che avevo davanti.
Rise e scosse la testa, per poi replicare: «Beh, gli umani sono esseri molto fertili. Basta poco per farli procreare, altrimenti noi non saremo qui.»
Quelle parole mi incuriosirono e, avvicinandomi, continuai a domandare: «Noi?»
«Si, tu ed io. Anche tu sei un ibrido, no? Altrimenti non saresti qui.»
Le sue unghie si infilarono nella corteccia dell'albero dov'era nascosto. Fece uno strano ghigno che cambiò totalmente il mio modo di vederlo.
Non mi ero sbagliata. Era una persona perfida colui che mi trovavo davanti e a confermarlo fu ciò che seguì: «Ma sai cos'è che adoro di più?»
Feci un passo indietro. I suoi discorsi iniziavano a terrorizzarmi. Alzò di scatto il volto verso di me e vidi nitidamente quegli occhi rossi come fuoco, mentre mi urlava: «Il fatto che tu abbia così tanto paura di me!»
Mi attaccò, mentre io cercavo di scappare. Mi difesi, infilandomi tra i rami degli alberi. Ero protetta dalla mia stessa natura, ma inutile negarlo.
Avevo paura. Cominciai a gridare nella speranza che qualcuno mi sentisse.
Fortunatamente, Batty si era resa conto del pericolo avvertendo mio padre che intervenne in modo tempestivo.
Quell'uomo falena distrusse gli alberi e mi prese per i polsi, cercando di violentarmi, ma non ci riuscì perchè mio padre venne in tempo. Gli sferrò un calcio sul volto, allontanandolo da me. Avendo le coscie da capra lo ferì ripetutamente. Aveel spiccò il volo, scappando via. Mio padre, dopo averlo messo in fuga, tornò da me, inginocchiandosi e cercando di capire se stessi bene.
«Stai bene?!»  Mi domandò, vedendo che ero ancora tutta intera.
Avevo paura. Tremavo come una foglia, e questo  mio tremare portò mio padre a stringermi a sé. Le lacrime uscivano spontaneamente dal terrore provato nel stare a contatto con quell'essere, ma solo in quell'istante mi resi conto di non essere l'unica creatura ibrida.
Passò qualche giorno prima che potessi riprendermi del tutto, ma la curiosità ormai si era insediata in me. Era come un parassita che ti divora attimo per attimo. La mia sete di conoscenza si faceva largo dentro me e questo mi portò a cercare, nella biblioteca delle fate, i libri delle razze pure e degli ibridi presenti sul mondo terreno.
In uno di quei libri lessi qualcosa che mi lasciò perplessa, qualcosa che dovevo chiarire e comprendere a pieno.
Andai da mio padre e decisi di fargli le domande di cui necessitavo delle risposte. Solo lui poteva darmi le risposte che cercavo.
«Papà, posso parlarti?» Chiesi, entrando nella stanza in cui lui alloggiava. Se ne stava lì, appoggiato ad una finestra, a guardare il lavoro che svolgevano  fate e folletti.
Si voltò verso di me con volto autoritario. Scosse la testa: «Fairy, ho del lavoro da fare.»
«Papà, non ti distoglierò molto. È una cosa che riguarda il mio futuro e me.»
Quelle parole sorpresero mio padre e, allo stesso tempo, lo convinsero a staccarsi di lì.
Sospirò e venne verso di me, chiedendo: «Cosa c'è?»
«Vedi, ci ho pensato molto e avrei alcune perplessità.»
«Che genere di perplessità?» Continuò ed io ne approfittai per fare quella domanda che lui non avrebbe mai voluto sentire.
«Quante razze ibride esistono su questa terra?»
Quella domanda lo lasciò spiazzato. Mi guardò con occhi increduli, mentre cercava di capire il motivo di quella mia curiosità: «Ce ne sono parecchie, ma non solo qui. Anche in altre dimensioni, mondi, luoghi ancestrali, ma... perchè me lo chiedi?»
«Papà, anche tu sei un ibrido, non è così?» 
Rimase in silenzio per un po', ma poi domandò: «Come ti viene in mente una cosa del genere?»
«Da che razza discendi? Dal fauno o dal satiro?» Aggiunsi, facendogli capire di aver studiato ogni creatura mitologica ed esistente sulla nostra terra fin dalla notte dei tempi.
Prese un respiro e venne da me.
Mi mise una mano sulla spalla, guardandomi diritto negli occhi.
Sinceramente mi aspettavo un urlo, un rimprovero o comunque un richiamo da lui, ma non fu così.
Sospirò e, scompigliandomi i capelli e sforzando un sorriso, rispose: «Satiro.»
«Che?!» Farfugliai ignara che ciò che avevo pensato fosse vero.
Si allontanò, dandomi le spalle e tenendo la testa bassa, mentre mi raccontava: «Mio padre, ovvero tuo nonno, era un satiro. Si innamorò di una fata, ma non una qualunque. Sposò la regina delle fate ed è per questo che io sono lo spirito che li governa.»
«Perchè non me l'hai detto prima, papà?!»
«Perchè avevo paura che non avresti capito e che avresti rifiutato il tuo destino.» Continuò a confessare con tono pensieroso.
Abbassai lo sguardo e mi avvicinai a lui abbracciandolo da dietro.
Lo strinsi più forte che potevo. Lui, con quelle gambe che portava e le corna ben accentuate, avrà sofferto molto di più di me da ragazzo. Me ne resi conto e non riuscii a fare a meno di dire: «Papà, ma io non chiedo molto. Voglio solo essere come gli altri umani. Vorrei essere normale, condurre una vita semplice...»
«Fairy, con il tempo capirai che ci sono più razze nate ibride che razze pure, ma per saperlo con certezza devi continuare a studiare con dedizione. Sei nata elfo per un motivo. Sei nata così perchè questa terra ha bisogno di qualcuno che l'ascolti. Gli animali, le piante e la natura circostante ha bisogno di te. Non trascurare la tua natura e i tuoi doveri. Quanto alla tua vita, se qui ti pesa vivere, se vuoi andare nel mondo visibile e vivere la tua vita, fingendoti umana, va pure, ma sappi che questo mondo ti appartiene di diritto. Avrei solo voluto insegnarti ciò che invece già sai.»
Poi, staccandosi da me, mettendomi una mano sulla testa e accennando un sorriso, concluse: «Sono fiero di te.»
Compresi che i doveri di cui parlava era l'ascoltare la natura e gli alberi, ma anche che mi sentivo parte di entrambi i mondi.
Insomma, non ero uno spirito, non ero un'umana, ero e sono semplicemente un elfo. Sono un ponte che collega due dimensioni e non posso negarlo. Questa è a mia natura di sciamana.
Decisi di ricominciare tutto d'accamo. Tornai a scuola, ma le cose andavano sempre male. Batty mi stava sempre vicino e mi aiutava nelle situazioni difficili, finché un giorno non decisi di chiedere di essere trasferita.
La domanda fu accettata, ma sarei stata trasferita solo se avessi dimostrato di eccellere a scuola.
Mi feci anima e coraggio, iniziando a studiare tutte quelle maledette materie, riuscendo nell'intento.

 
***

Va beh, poi da allora la storia la conoscete.
Sono stata solamente in giro per la scuola qualche mese, prima di integrarmi completamente e conoscere Margaret e Demy in quell'incidente assurdo.
Devo ammetterlo. Non pensavo che mi sarei fatta degli amici. Non con il mio aspetto, ma sono felice di essermi sbagliata.
Ecco perchè ogni giorno me ne sto qui, con il sorriso sulle labbra, attendendo i miei amici.
Ecco Morgan e Margaret passare il cancello d'ingresso a bordo della loro moto.
«Ehi!» Sbraito, agitando la mano, per poi andare incontro ai due.
Non c'è alcun dubbio.
Non poteva andare meglio di così.
Spero solo che un giorno possa essere la regina che mio padre vuole che sia, ma nel frattempo penso a spassarmela e fare ciò che è più difficile fare. Vivere.

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Capitolo 4
*** BackGround - Morgan ***


Morgan.


Eccomi qui, sul motorino ad aspettare che il mio amore esca da un momento all'altro.
Chi l'avrebbe mai detto?
Io e il mio ragazzo stiamo insieme da anni e oggi festeggiamo il nostro anniversario. Ci amiamo immensamente.
Eppure, se avessi visto questo mio futuro, questo Morgan qui, non ci avrei mai creduto. Avrei pensato che fosse solo uno scherzo di cattivo gusto.
Se quel giorno non mi avesse aperto gli occhi quella che considero mia sorella, adesso sarei solo e infelice.
Ricordo ancora l'anima ribelle che ero. Ricordo ancora il giorno in cui scoprii la mia omosessualità.


 
***

A quei tempi, avevo solo tredici anni quando scoprii la mia omosessualità, ma per raccontarvelo dovrei andare un attimino più in dietro. A quando ne avevo dieci.
Come già sapete, io e Margaret siamo cresciuti insieme. Amavo passare le giornate con lei e non c'era un solo istante che non mi appoggiassi a lei. Insomma, facevamo di tutto insieme, combinavamo guai come imbrattare i muri, disegnare e colorare insieme o a divertirci in altre maniere.
Non sono mai stato il tipo che amava le macchinine, ma non mi piacevano nemmeno le bambole. Quindi non avevo alcun sintomo di quella che si considera malattia e di cui sono affetto, quella che viene chiamata omosessualità. Non mi piaceva giocare con giocattoli o cose del genere. Semplicemente mi piaceva giocare con Margaret, perché lei era esattamente ciò che volevo essere io. Amava i videogames e adorava arrampicarsi sugli alberi proprio come me. Spesso giocavamo al parco insieme. L'ho sempre vista come un'eroina, fiera e forte. Non ha mai avuto paura di nulla, almeno apparentemente, ed io l'ho sempre ammirata per questo.
Vi svelerò un segreto. A quell'età, pensavo di essermi innamorato di lei.
Non sapevo cos'era l'amore e più volte ho provato a baciarla, fallendo miseramente.
Fu proprio quando ebbi i miei dieci anni che cominciai ad essere confuso.
Lei diventava sempre più bella ed io crescevo pensando di amarla, quando incrociai lo sguardo di un tipo più grande di me. Era nella classe affianco alla mia. Era alto, silenzioso, serio...
Aveva i capelli neri e gli occhi verdi. Non ricordo molto bene la sua fisionomia, ma il suo nome si.
Si chiamava Edgar e presto cominciai ad essere attratto da lui, dal suo modo di fare, ma... non ne capivo il motivo.
Pensavo fosse il suo abbigliamento, magari il suo modo di parlare che mi affascinava. Ancora non saprei dirlo con certezza, ma spesso e volentieri mi ritrovavo a confidarmi con lui riguardo Margaret.
Lo vedevo come il fratello maggiore che non avevo.
«Devi farglielo capire che ti piace. Se fai l'amichetto, è normale che poi lei non ti prendi sul serio.» Mi consigliò, ma io non sapevo nemmeno come comportarmi con lei.
Volevo seguire il consiglio, ma... era difficile.
Lei mi piaceva. Più passava il tempo e più mi rendevo conto che lei era importante per me, ma c'era qualcosa che non andava. Avevo sempre l'impressione che qualcosa era sbagliato in me.
Lei mi piaceva, mi sarebbe piaciuto averla accanto per tutta la vita, ma... in qualche modo non ne ero attratto.
Mi spiego meglio.
Con lei stavo bene. Il tempo passava velocemente e il mio cuore si calmava trovando pace o agitazione, ma non riuscivo ad immaginarmi con lei nonostante nutrivo dei sentimenti.
Lo so che è assurdo, ma con Margaret è sempre stato così. Riuscivo a vedermela accanto, ma se dovevo pensare di baciarla, nonostante il desiderio e i tentativi, mi sembrava sbagliato.
Presto scoprii il perché proprio durante una delle mie feste di compleanno. Avevo appena compiuto undici anni e i miei amici vollero giocare al gioco della bottiglia.
Volevamo sentirci grandi e rischiare, ma Margaret non voleva affatto giocare.
Incrociò le braccia e fece un broncio di disaccordo, affermando: «Mi rifiuto!»
«Avanti, Margaret, non fare la bambina.» 
«Non voglio sprecare così il mio primo bacio. È assurdo!» Mi urlò contro facendo i capricci.
Tentai in tutti i modi di rassicurarla.
In fondo eravamo bambini ancora mentalmente e non credevo che quei bastardi dei miei compagni avrebbero insistito per farla baciare qualcuno che non voleva.
Così le dissi ingenuamente: «Non è detto che ti faranno baciare qualcuno.»
«Invece si! Conosco i tuoi amici. Sono delle carogne. Mi rifiuto.»
Quando Margaret decide qualcosa è sempre difficile riuscire a presuaderla. Non so quanto tempo rimasi lì a convincerla, ma dopo svariati tentativi ci riuscii, ma solo scendendo a patto che le avrei regalato la nuova Playstation 4 quando sarebbe uscita. Margaret ha sempre saputo come patteggiare, mentre io sono sempre stato l'imbranato che si fa abbindolare dalle sue contrattazioni.
Peccato che presto mi pentii di averla fatta partecipare, proprio come mi pentii di aver giocato anche io.
La bottiglia girò e la sorte volle che finisse proprio tra me e lei. Il pegno fu che dovevamo baciarci.
Inutile dire che lei si alzò come una pazza correndo avanti e indietro per la stanza per non farsi beccare, mentre io rimasi impietrito con il rossore in volto solo a pensare che avremo dovuto baciarci.
«Non mi prenderete mai!» Urlò, standosene chiusa in bagno.
Non so come, ma i ragazzi riuscirono a farla uscire di lì, prendendola con la forza e continuando: «Avanti! Di cos'hai paura? È solo un bacio.»
«Mi sa che ha paura.»
«Vuoi dire che è una fifona?»
Probabilmente furono quelle parole di sfida a spingerla ad uscire e a sedersi di fronte a me.
Mi guardò minacciosamente, per poi dire: «Provaci e non avrai più una vita da vivere.»
Ok, quando Margaret è arrabbiata mi fa sempre paura. È sempre meglio lasciarla da sola a sfogarsi. Anche perché quel giorno scoprii il suo lato malvagio. Sinceramente, da allora non voglio più vedere quella parte nascosta della ragazza.
Ho il terrore...
Quella volta continuava a guardarmi minacciosamente, mentre tutti sbattevano le mani e incitavano: «Bacio! Bacio!»
Deglutii, sentendomi oppresso da quelle voci. Feci ciò che non dovevo fare. Fu il mio primo e ultimo bacio con una ragazza. Con Margaret.
Inutile dire che, quando si trovò baciata da me, cominciarono a volare schiaffi e pugni.
Iniziò a sbraitare come una pazza: «Tu! Lurido bastardo! Perché l'hai fatto?! Perché hai preso la mia innocenza?! Io mi fidavo di te!»
Di certo nessuno di noi due si sarebbe aspettato che il nostro primo bacio fosse stato dato alla persona che considerava amica.
I giorni seguenti dovetti impiegarli a scusarmi. Lei cominciò ad evitarmi come la peste. Passarono circa tre mesi prima che decise di perdonarmi, a patto che quell'evento non sarebbe mai stato menzionato.
Insomma... eravamo dei ragazzini. Ci facevamo mille problemi.
Lei cominciò a fare delle parti allucinanti come: «Tu non capisci! Queste è una vera tragedia! Potrei essere incinta!»
«Stai esagerando.» Pensai a voce alta, guardandola scontrosamente, mentre lei spiegava la situazione: «No, ne sono sicura! Mia madre mi ha parlato del ciclo della donna che viene ogni mese e se non viene allora ci sono problemi oppure si aspetta un bambino.»
Ok, premettendo che Margaret ancora doveva avere lo sviluppo e il ciclo stesso ed io non lo sapevo, ragionavo in modo razionale.
Cioè, non è che un bacio fecondi le ovaie di una ragazza, così la guardai contrariato e titubante, per poi affermare: «Era solo un bacio. Sai come si fanno i bambini o sbaglio?»
Forse era meglio che mi stavo zitto, perché subito contrabbatté con: «E che ne so io se la tua bocca non era sporca di spermatozoi che sono entrati nella mia e hanno attraversato tutto lo stomaco fino ad arrivare alle ovaie?»
La guardavo sempre più incredulo. Si stava facendo troppi film mentali che Matrix levati.
Mi ricordo che rimasi a fissarla per un po'. Non sapevo che risponderle, ma alla fine mi decisi a dirle ciò che pensavo: «Fattelo dire. Guardi troppa televisione.»      
Avevo ragione. Con un bacio non si è mai sentito che una persona esce incinta, ma lei continuava a fare peso sulla questione.
Decisi di prendermi le mie responsabilità nel caso fosse successo, ma non era successo niente perché, come dicevo, non avevamo fatto nulla e dopo un mese le venne il ciclo, ringraziando non so quale Dio. Altrimenti mi avrebbe martorizzato a vita se non le fosse venuto.
Passò qualche anno e arrivarono i miei tredici anni. Tutto si svolgeva alla meglio e l'amicizia tra me e Margaret si andava a fortificare, fino a quel giorno in cui scoprii la realtà su di me.
Successe tutto troppo in fretta. Non mi accorsi nemmeno di ciò che stava accadendo.
L'evento del bacio mio e di Margaret, nonostante avevamo concordato di dimenticarlo e fingere che non fosse mai successo, uscì fuori da uno dei partecipanti alla festa. Cominciò a dire in giro che stavo con lei ed Edgar, colui che mi aveva consigliato fino a quel momento, cambiò totalmente atteggiamento con me. Iniziò a prendermi  in giro.
«Ehi, ma allora è vero che lei ti piaceva.»
Finsi di non ascoltarlo. Misi le cuffie nelle orecchie e mi allontanai, ma lui mi seguì, prendendomi per il braccio e strappandomele dalle orecchie chiamandomi: «Ehi, femminuccia! Sto parlando con te!»
La situazione era insostenibile e nel giro di pochi istanti reagii. Finii per prendermi a botte, ma non sono mai stato bravo a battermi.
Le presi di santa ragione, finché non intervennì un ragazzo biondo e riccio con gli occhi azzurri. Era bello, fisico nella norma ed era alto quanto me. Leo era il suo nome.
«Ehi, tutto bene?» Chiese, venendomi vicino e tendendomi la mano.
L'afferrai e mi aiutò ad alzarmi.
Ero messo proprio male.
Avevo il labbro rotto e vari lividi sulle gambe, per non parlare dell'occhio che si gonfiò.
Lui mi diede dei fazzoletti per cercare di tamponare il sangue che mi usciva. Quel giorno Margaret vide la scena e venne verso di me solo dopo l'aggressione, altrimenti penso che quel bastardo non mi avrebbe mai aggredito se avessi avuto lei accanto. Lei è più brava di me a fare a botte. Due contro uno, cioè... non credo che sarebbe stato così cretino da buttarsi come una bestia su di me, se Margaret fosse stata al mio fianco. Purtroppo era rimasta bloccata in classe a causa della professoressa di matematica che cercava di capire come mai non ci capisse nulla della sua materia.
«Morgan!» Urlò, venendo da me e cercando di capire cosa fosse successo.
«Tranquilla. Il tuo amico sta bene. È solo stato preso di mira da uno, ma adesso se n'è andato.» Tranquillizzò Leo, ma Margaret non voleva fargliela passare liscia.
Lo prese per la maglia urlandogli: «Chi era? Dimmi chi era!»
«Edgar...» Pronunciai con voce rauca.
L'impulsività di Margaret si fece sentire. Cominciò a girare per tutto il cortile per trovarlo, ma era già andato via.
Leo rimase lì con me. Mi sentii in qualche modo amato da qualcuno. Mi accorsi che il sentimento che provavo per Edgar si stava riversando su Leo.
Ero stato deluso da lui. Mi sentivo male e non ne capivo il motivo.
Io ero ancora convinto di avere una cotta per Margaret, ma non avevo capito che lei ne sapeva più di me.
Qualche giorno più tardi, mentre giocavamo al parco, cercai di confessare i miei sentimenti per lei.
Non mi aspettavo che mi avrebbe fatto aprire gli occhi ad una realtà a me sconosciuta.
«Senti, Margaret, devo dirti una cosa.» Gli dissi, standomene seduto sull'altalena a dondolare.
Presi l'attenzione del suo sguardo e continuai: «Vedi... a me... insomma... è un po' difficile da dirlo, ma... mi piace una persona.»
Lei scattò, ritrovandosi in piedi. Si arrampicò sull'altalena, rimanendo pienamente in equilibrio mentre si dondolava, per poi affermare con decisione: «Lo sapevo che lo avresti detto.»
«Cosa?!» Borbottai sorpreso, voltandomi verso di lei.
«Mi stavo chiedendo quando ti saresti deciso a dirmelo.»
Arrossii di colpo, sentendomi terribilmente a disagio. Abbassai il volto e rimasi in silenzio. Il suo sguardo si posò su di me, mentre continuava: «Avanti, non fare l'imbranato. Chi è questa persona? La conosco? È qualcuno della classe?»
Quelle parole furono una pugnalata al cuore. Non solo non aveva capito che mi riferivo a lei, ma voleva anche sapere chi fosse.
Non sono mai stato bravo con le parole. Non sono bravo ad esprimere i miei sentimenti, soprattutto se provo qualcosa per qualcuno e devo dirglielo in faccia.
«È... complicato...» Farfugliai, tenendo la testa bassa. Lei sospirò.
«Ho capito. Ti piace il tipo che l'altro giorno ti ha aiutato, non è così?»
Quella frase, per un attimo, accellerò il battito del mio cuore. Mi sentii scoperto, ma allo stesso tempo non capivo il motivo.
Pensavo fosse una cosa sbagliata innamorarsi di uno del mio stesso sesso. Insomma... i miei non avrebbero nemmeno acconsentito alla cosa così negai: «Che? Ma sei impazzita? Come ti vengono in mente queste cose?!»
«Guarda che non c'è nulla da vergognarti. L'amore è amore e se ti piace qualcuno dovresti coltivarlo e non chiuderlo in te. Un giorno potresti pentirti di non averlo fatto.» Consigliò.
Abbassai lo sguardo ancora una volta.
Mi sentii perso e confuso. Non ne capivo il motivo.
Così mi ritrovai a mormorare: «Guarda che non mi vergogno...»
Lei fermò l'altalena, scendendo e venendo dinanzi a me.
Si appoggiò a quelle catene che reggevano il mio peso, per poi dirmi: «Morgan, ti conosco bene. Ho visto come guardavi quel tipo. Inutile mentirmi. Lui ti piace e non poco.»
«Anche se fosse... è una cosa innaturale.»
«Lo so. Me lo dice anche Tenebra che è innaturale, ma... penso che si sbagli. Insomma... finché c'è amore c'è speranza. E poi i maschi possono fare ciò che vogliono. Il problema risiede nelle femmine perché sono loro a concepire e procreare la razza. Almeno è quello che dice sempre lui.» Rivelò, facendomi alzare gli occhi verso di lei.
Fu la prima volta che lei svelò quel segreto che si portava indietro da anni.
Incredulo e colmo di curiosità, chiesi: «Tenebra? Chi è Tenebra?»
Sussultò, per poi abbassare lo sguardo.
Quel giorno scoprii i suoi desideri più profondi, le cose che non mi aveva mai raccontato e altri eventi che non credevo minimamente.
Fu proprio in quel giorno che ci siamo dati il nome di fratello e sorella. Noi ci sentivamo così, eravamo sempre insieme.
Insomma, eravamo cresciuti come tali, dandoci sostegno a vicenda e non vedevamo cosa ci fosse di sbagliato a chiamarci e sentirci così vicini.
Qualche mese dopo, cominciai a frequentarmi con Leo. Era un ragazzo dolcissimo.
Mi resi conto pian piano che quello che provavo era amore. Mi ero innamorato di lui.
Il nostro primo bacio fu completamente diverso da quello che diedi a Margaret. Con lui mi sentivo me stesso e il cuore mi batteva a mille.
Stavo bene e non sentivo più quella sensazione che c'era qualcosa che non andava.
Peccato però che i miei mi scoprirono e mi chiusero in casa.
Non volevano che il loro figlio fosse gay, ma era la mia natura. Rimasi chiuso in casa per un mese, nonostante cercassi di far capire ai miei che fosse sbagliato. Fu il mese più duro della mia vita. Cioè, non è il massimo quando i tuoi ti vengono a prendere e portare anche a scuola, facendoti evitare ogni contatto.
Devo ringraziare Margaret se è stato solo un mese e non di più. Lei riuscii a farmi uscire da quella situazione, inventandosi che quel Leo fosse il suo ragazzo e lei aveva dubbi che ci provasse con me. Finse che mi aveva spinto lei, prendendosi tutte le colpe. Stranamente la sua tattica funzionò, ritrovandosi in punizione lei. Non uscì di casa per almeno un anno ed io, per sdebitarmi ancora una volta, dovetti comprargli l'ultimo Final Fantasy e la collezione di Kingdom Hearts che lei voleva tanto.
Quando tornai a vedermi con Leo gli raccontai la cosa, ma lui non volle darmi ascolto.
Ci lasciammo, ma in compenso avevo capito chi ero.
Ero gay. I miei non volevano e non mi avrebbero mai accettato, cosa che invece Margaret faceva. Questo mi univa sempre di più e fortificava il legame con lei. Mi sentivo sempre più vicino e appoggiato da quella che consideravo una vera sorella.
L'amavo immensamente e la amo ancor oggi per questo.

 
***

Così, da quel giorno, ho scoperto di essere omosessuale, ma anche la natura di Margaret.
Si, perché per me Margaret è come una sorella.
C'è sempre stata e c'è ancora tutt'oggi.
Da quel giorno, ogni volta che esco con il mio ragazzo Yuri, mi copre le spalle.
I miei non sanno ancora la verità su di me, ma spero di potergliela dire presto.
Non mi piace tenermi tutto dentro, ma questa è la mia natura.
«Morgan!» Chiama il mio ragazzo, agitando la mano, mentre esce di casa.
Agito anch'io la mano per fargli segno che sono qui.
Scusate cari lettori, ma adesso devo andare.
Il mio amore mi aspetta e non posso farlo attendere ancora.
Vi mando un bacio e un saluto.
A presto dal vostro Morgan.

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Capitolo 5
*** BackGround - Raven ***


 
Raven.


«Francise...» Chiamo, cercando la sua mano per farmi strada verso la scuola.
Tutto è completamente buio. I miei occhi non vedono, ma percepisco con il tatto ciò che mi circonda.
Eccolo. Ecco il fantasma che mi prende per mano. Percepisco vivamente il suo calore, anche se è lieve. Comprendo che è lui a causa del leggero brivido che mi sale sulla schiena, accompagnato da un altro dettaglio abbastanza macabro per chi è nelle mie condizioni e non riesce a vedere nulla.
«Vieni, ti aiuto...» Mi sussurra all'orecchio, conducendomi verso il cancello di scuola.
La sua voce è sempre stata così leggera e sussurrante, anche se lui afferma di non averla così come la percepisco io.
Questa situazione mi pesa. Devo essere sincera.
Mi fa male non vedere nulla, ma soprattutto l'essere accompagnata ovunque. Mi distrugge il pensiero di non vedere i miei amici né il luogo in cui sto.
Mi verrebbe da piangere se non fosse per il mio cuore ormai abituato a questa vita.
Ho pianto in passato per questa mia condizione e ci soffro ancora, ma sono troppo orgogliosa per esternare questo mio dolore.
Sono una nuova persona. Sono una strega, una veggente, una sensitiva, insomma... tutto sono al di fuori della Raven di una volta.
Eppure, ricordo benissimo quel giorno in cui tutto cambiò e fu lo stesso giorno in cui persi la mia vista...

 
***

Tutto iniziò tre mesi prima. Mio padre era stato trasferito da Edimburgo a Glasgow e per agevolarlo con il lavoro decidemmo di comprare una casa poco distante dal centro.
La scuola per me non era un problema. Ero entusiasta e i cambiamenti non mi hanno mai spaventato. Insomma, come potevano spaventarmi?
C'erano biblioteche attorno casa mia, l'uniforme l'amavo terribilmente e poi, trasferirsi a Glasgow, è come fare un tuffo direttamente in una delle storie della J.K. Rowling.
Le uniformi ricordano molto quelle del suo ononimo romanzo di Harry Potter. Io avevo quella bellissima uniforme che ricordava molto la mia casata di corvonero, perché si. Ero una fanatica della saga, proprio come lo sono tutt'oggi.
Mi era appena arrivata quella splendida divisa e non vedevo l'ora di indossarla il giorno seguente per andare a scuola.
Era domenica quando entrammo nella nostra nuova casa.
Il mio sorriso e il mio entusiasmo si affievolirono poco a poco non appena misi piede lì dentro.
Avvertivo che c'era qualcosa che non andava, ma non capivo cos'era. Percepivo qualcosa, l'aria era pesante, ma nessuno se ne accorgeva. Ero l'unica ad essermene resa conto e pensai che fosse la stanchezza del viaggio a farmi sentire il peso del trasloco.
«La stanza di destra è la mia!» Urlò un ragazzo dai capelli corvini e corti con tanto di ciuffo lungo, pelle chiara, occhi marroni e fisico scolpito di soli venti anni, salendo le scale velocemente.
Lui era mio fratello maggiore,  Martin. Io e lui eravamo cane e gatto, sempre a litigare, ma insieme ci completavamo.
«Ehi, così non vale!» Esclamai, correndogli dietro per cercare di aggiudicarmi la stanza.
Quella casa, pur essendo in stile antico, era molto spaziosa.
Aveva dei mobili molto antichi. Probabilmente risalivano all'ottocento.
Io dovetti accontentarmi della stanza alla sinistra, leggermente più piccola, ma che aveva comunque tutti i comfort di cui avevo bisogno.
La sistemai come potevo, mettendo il mio mac, le bambole in porcellana che amavo e i vari film e romanzi fantasy che avevo.
Ordinai tutto, facendo assumere alla mia camera uno stile "Harry Potteriano", come lo chiamo io, visto che avevo appeso la sciarpa della casata da corvonero e messo i vari gingilli in tutta la stanza. Tra i romanzi non poteva mancare anche quella saga, insieme a tutti gli altri libri scritti di J.K. Rowling, perché si. Ero e sono una sua grandissima ammiratrice. Inutile dire che sognavo di diventare un giorno scrittrice, ma quel sogno ormai sembra essere andato al vento.
Il letto era estremamente grande e avrei potuto ospitare qualche altra persona, ma la cosa che adoravo di più era l'uniforme. Non vedevo l'ora che arrivasse il giorno seguente per mettermela e andare a scuola. Avevo un agitazione assurda e l'entusiasmo non mi mancava.
Quel giorno, dopo aver fatto del mio meglio per aggiustare la mia stanza, decisi di farmi un bagno caldo mentre i miei e mio fratello andavano a casa vecchia per controllare gli ultimi scatoloni da prendere.
Ero a mollo nella vasca da bagno, da sola e senza nessuno, eppure quella sensazione di sentirmi osservata e scrutata non andava via.
Sentii il cigolio della porta del bagno. Alzai la testa, guardando in quella direzione.
La vidi aprirsi pian piano, ma non c'era nessuno ad aprirla. Non riuscii a non urlare: «Chi c'è lì?!»
Non ebbi risposta e la tensione salì di botto, vedendola chiudersi violentemente.
Preoccupata e con l'ansia alle stelle, presi l'asciugamano, alzandomi dal bagno e dando un'occhiata in giro.
Aprii la porta, guardai nei corridoi, nella cucina e nelle altre stanze se ci fosse qualcuno, ma nulla.
Non c'era nessuno di visibile.
Stavo impazzendo.
Pensai che ero diventata matta o semplicemente la stanchezza mi stava facendo dei brutti scherzi.
I brividi salirono lungo la schiena e mi sentivo realmente male. La temperatura era calata di botto.
Sentendo quel freddo improvviso e stando solo con l'asciugamano che mi copriva, decisi di tornare in bagno ad asciugarmi.
Feci così e pensando a quell'accaduto arrivai ad un ipotesi: «Forse mi sto preoccupando per nulla. Probabilmente sarà stato il vento ad aprire e chiudere la porta...»
Mi asciugai i capelli bagnati con quei pensieri nella testa e ritornai in camera. Sinceramente non mi aspettavo di trovare quel biglietto sul scrivania. Incuriosita e voltandomi a destra e a sinistra mi avvicinai. Lo presi e lo lessi, credendo che fosse qualche mio appunto che l'avevo lasciato lì mentre mettevo in ordine i libri, ma non era così.
"Va via!" C'era scritto su quel foglio e la caligrafia non era la mia.
Inizialmente pensai fosse uno scherzo di Martin.
Strappai il foglio e lo riposi nel cestino, per poi andare a dormire.
L'indomani mi attese la scuola. Lo ricordo bene il mio primo giorno alla High School Of Glasgow,  27 Ledcameroch Road, proprio a due passi da casa mia.
Indossai quella uniforme e mi stava divinamente. Ero emozionata e non badai a molte cose strane che stavano succedendo, come il quaderno che avevo messo nello zaino trovato sulla scrivania, i libri messi in un ordine diverso da quello precedente e altre piccolezze del genere. Pensai che nella fretta avevo dimenticato di mettere le cose a posto o che avessi invertito l'ordine e l'avevo completamente scordato.
La giornata andò bene, mi feci un bel po' di amiche e mi trovavo davvero bene lì. Peccato che la giornata non terminò per niente bene. Quando tornai a casa ebbi nuovamente quella sensazione.
C'era un odore strano, come di sporcizia. Andai a controllare la spazzatura in cucina, ma non c'era nulla. I miei l'avevano già buttata. Pensai che era probabilmente la polvere ancora accumulata che mia madre non aveva ancora tolto.
Andai alla credenza, prendendo un bicchiere per bere. Lo appoggiai sul tavolo e andai verso il frigo per prendere la bottiglia d'acqua. Quando mi voltai, però, notai che il bicchiere non era più sul tavolo. Mi avvicinai pensando: «Che strano...»
Feci per prenderlo nuovamente dalla credenza, quando lo vidi dentro al lavabo.
Chiusi le porte che avevo aperto per prendere il bicchiere, per poi prendere tra le mani il bicchiere nel lavabo.
«Ma... che...?» Mormorai tra me e me.
Un senso di paura mi pervase, ma non volevo cedere. Ero molto scettica e non credevo minimamente che potesse esserci un fantasma, nonostante girano parecchie leggende in Scozia.
Cominciai a pensare che la stanchezza mi stesse facendo dei brutti scherzi. Misi una mano alla fronte prendendo un respiro e dandomi coraggio. Avevo anche molti compiti arretrati da fare, essendo la nuova arrivata, così decisi di non farci caso più di tanto.
Presi il bicchiere e, dopo aver bevuto, andai in camera mia. Lì, mentre prendevo i libri e i quaderni dallo zaino per studiare, mi avvicinai alla scrivania e ciò che vidi mi fece cadere tutto da mano.
C'era nuovamente quella scritta, ma stavolta era con un rossetto rosso ben marcato e inciso sulla scrivania. Ancora una volta lo stesso avvertimento.
Avevo di nuovo la sensazione di essere osservata. Mi voltai di scatto verso la porta, dicendo: «Chi c'è lì?!»
Improvvisamente un rumore di piatti che cade mi fece sobalzare.
Corsi verso la cucina e vidi chiaramente quel bicchiere che avevo bevuto essersi frantumato a terra. La credenza era aperta.
La porta della cucina, una volta entrata dentro, cominciò ad aprirsi e a chiudersi da sola.
Come ho già detto, ero scettica e non credevo nei fantasmi.
«Martin, non è divertente!» Urlai, pensando che fosse uno scherzo di mio fratello.
Al mio grido tutto cessò ed io girai tutta la casa, convinta che mio fratello si stesse nascondendo, ma non vidi nulla. Non c'era nessuno.
«Se ne sarà andato forse...» Farfugliai tra me e me, però ero stanca di tutta quella situazione.
La cosa cominciava a darmi fastidio. Pensavo che Martin volesse prendersi gioco di me, ma la realtà ne era un'altra. Era quella che io non accettavo e non credevo minimamente che fosse possibile.
Lo vidi rincasare con mia madre e lui negò ogni mio pensiero. Disse che era stato all'università e mia madre diede conferma. Era andata a prenderlo essendo di passaggio di lì. Inoltre non c'era modo di andare e venire così velocemente. Era stato all'università tutto il tempo e non poteva essersi allontanato, anche perché è molto più distante rispetto alla scuola dove andavo io. Papà era a lavoro e mamma non era stata in casa poiché doveva provvedere alla cena e agli ultimi pacchi dimenticati.
Il dubbio si fece sempre più ampio nella mia mente.
Chi allora aveva scritto sulla scrivania? Chi aveva cercato di terrorizzarmi?
Cominciai a pensare e non trovavo una logica a quei strani eventi. Mi misi nel letto, piena di dubbi, quando, come un fulmine a ciel sereno, l'unica spiegazione plausibile mi venne data dall'unico contesto che non avevo considerato a causa della mia scetticità, il paranormale.
Non c'era alcun dubbio. Non c'erano altre soluzioni. C'era un'entità in casa. Questa era l'unica cosa vera di cui mi resi conto.
Il giorno seguente, dopo scuola, mi recai in biblioteca e presi tutti i libri sul paranormale, fantasmi e magie che trovai, anche perché non potevo fare la ricerca su internet visto che i miei dovevano ancora collegare la rete. Rimasi lì fino a tardi per leggere quei dannati libri, ma non trovai alcuna soluzione. Solo un prete avrebbe potuto risolvere la situazione, ma non era certo. Ogni spirito reagisce in un modo ed io non sapevo chi avevo di fronte.
Le cose di certo a casa non miglioravano.
Gli oggetti li trovavamo in posti diversi da dove li avevamo messi ed io cercai di far capire la situazione ai miei, ma non ci riuscii.
Pensai che il modo migliore fosse parlare direttamente con l'anima che risiedeva in quella casa.
Non appena avvertii la sua presenza o sentii semplicemente di essere osservata, parlai: «Ascoltami! So che tu non ci vuoi qui. D'accordo. Ce ne andremo, ma adesso non possiamo. Non abbiamo i soldi per un altro trasloco. Appena avremo raggiunto la somma ce ne andremo e ti lasceremo in pace, capito?»
Inutile dire che rimasi delusa. Non percepii nulla e non c'erano risposte. Mi aspettavo qualche sussurro o qualcosa del genere, ma nulla.
Avevo letto che le entità hanno vari comportamenti, ma questo davvero non lo comprendevo.
I giorni passarono e la mia curiosità mi spinse in quel mondo magico pur non volendo. Rimasi affascinata dalla magia nera e soprattutto dalla tavola ouija.
Vidi vari video su Youtube del funzionamento di quella tavola e, una volta a casa, sentendomi pronta, improvvisai. Scrissi con una penna su di un foglio di carta tutto l'occorrente. Numeri, lettere, sole e luna, si e no e i saluti. Presi il tappo da una bottiglia per farlo da cursore, ma il primo contatto non andò bene.
«C'è qualcuno?» Domandai e a quella domanda seguì un forte bruciore sotto la tappo.
Spostai le dita di colpo e lo vidi prendere fuoco. Si bruciò. Era segno di una presenza arrabbiata ed ostile. Anche il foglio si bruciò, ma non prese fuoco. Era come se il tappo, il contatto dello spirito o qualche reazione chimica strana avesse bruciato tutto, ma il fuoco, una piccola fiammella, era uscita solamente dal tappo che riuscii a spegnere tranquillamente con la bottiglia d'acqua che avevo accanto a me.
Tutto era così strano e affascinante allo stesso tempo. Colma di curiosità e pronta a mettermi in contatto con quell'entità, decisi di andare in un negozio e acquistare quella benedetta tavola.
Pensai che con una tavola di legno e un cursore vero non avrei corso rischi di incendio. Avevo ragione infatti.
Ero sola in casa quel giorno e ci riprovai. Presi la tavola dallo zaino, posizionai tutto e misi il dito sul cursore.
Presi un respiro, feci fare due giro a quell'oggetto su cui tenevo il dito, posizionandolo sulla G, per poi pronunciare nuovamente quella frase: «C'è qualcuno?»
Stavolta la presenza fece spostare il cursore in modo molto violento sul si. Cominciai a chiedere il suo nome, l'età e quant'altro. Si chiamava Francise, aveva un figlio e una moglie, ma era morto negli anni cinquanta nel tentativo di salvare i suoi cari da un vampiro. Mi disse che lo risucchiò le energie ed era molto forte. Aveva preso di mira il figlio, ma essendoci lui di mezzo, riuscì a salvarlo. Nel salvataggio perse la sua vita, permettendo a sua moglie e suo figlio di scappare. Mi spiegò che così doveva andare. Era scritto nel suo destino.
Glielo rivelò lo Shinigami che prese la sua anima, ma era maldestro e perse quell'anima mentre si addentrava nel mondo di mezzo. Così rimase in questo mondo e si ritrovò a vagare solo e sconsolato. Trovò questa casa, la casa di suo figlio e di sua moglie, ma di loro non c'era più traccia. Non sapeva dove andare. Non sapeva cosa fare.
Era arrabbiato perché nonostante parlasse nessuno lo sentiva. Era invisibile a tutti e vedeva spesso le persone attraversarlo. Questa condizione non gli piaceva per nulla.
Da quell'istante io e Francise decidemmo di collaborare. Gli promisi che con me non si sarebbe mai sentito solo e ogni giorno prendevo quella tavola per parlargli, diventando sempre più abile in quella pratica.
Studiai tutto ciò che dovevo sapere sul paranormale e la magia in generale, diventandone esperta.
Certo, non era pieno di scintille e colpi di luce come quello che si vede nei film o nei romanzi della Rowling, ma mi piaceva. Vedevo i risultati pian piano e col tempo. Mi sentivo davvero come una di quelle streghe di Hogwarts, ma con la differenza che non c'erano magie come lumos o expelliarmus. C'erano magie di tutti i tipi, ma di certo non potevo trasformare l'acqua in fuoco o accendere la luce con uno schiocco di dita.
La magia nera era complessa. Richiedeva molte ore oppure giorni, ma altre volte anche mesi per fare una semplice magia.
Tutto dipendeva dal tipo di magia che si voleva fare. Amore, fortuna, riunione, separazione, morte oppure invisibile renderlo visibile.
Molte volte mi ritrovavo a bendarmi gli occhi e toccare le erbe per sentirne la consistenza e annusarne i profumi.
Non so perché, ma sentivo che non vedendo mi sarei avvicinata al mondo invisibile. Infondo è fatto di percezioni e sesto senso. Se si ha la vista e il razionalismo è tutto vano.
Imparai la cartomanzia e riuscivo a leggere molto bene i tarocchi e le carte francesi.
In una di quelle letture decisi che avrei abbandonato quella pratica poiché usciva sempre e solo una carta. La morte.
Avevo paura, ma poi cominciarono a passare mesi e non accadde nulla. Tutta la tensione si affievolì e pensai che le carte non avevano predetto il giusto. Ero del tutto ignara che la durata della predizione dei tarocchi era di un minimo di tre mesi ad un massimo di tre anni.
Passarono sei mesi prima che arrivasse il giorno della tragedia. Quel giorno Francise mi disse che per lui potevamo rimanere in quella casa, a patto che gli parlassi tutti i giorni e non lo facessi sentire solo. Io accettai.
Era mezzanotte. Chiusi la seduta e riposi la tavola sotto al letto per poi mettermi sotto le coperte.
Ero serena. Non mi aspettavo minimamente ciò che stava per accadermi.
Mi addormentai, ignara che il vampiro di cui mi aveva parlato Francise era tornato.
Ovviamente, non sapevo che non era affatto un vampiro, ma un diavolo in cerca di anime.
Come già saprete i diavoli hanno sempre avuto la brillante idea di spacciarsi per vampiri e noi umani li abbiamo sempre temuti per questo.
Nella notte, quell'essere notturno aprì le porte di casa ed entrò. Non so come fosse fatto. Non so nemmeno se fosse maschio o femmina. So solo che Francise, per proteggerci, accese il gas in cucina per poi far provocare una scintilla che diede fuoco a tutto nell'intento di spaventare l'essere.
Ahimé, però, l'allarme anti-incendio era guasto. Non funzionò e quel vampiro, essendo in realtà un diavolo, decise di attendere tranquillo l'ora della nostra morte. Lui non era solo. Ce n'erano altri, ma erano fuori dal'abitazione, credo.
Era tutto così confuso e successe tutto troppo velocemente.
Mi svegliai di soprassalto, sentendo due mani che mi stringevano alla gola. Vidi un'ombra starmi proprio sullo stomaco. Feci resistenza e quell'essere si allontanò, infilandosi sotto la porta. Era immateriale.
La puzza di fumo era enorme. Mi alzai e corsi fuori, spalancando la porta.
Martin uscì anche lui, avendo la stessa e medesima esperienza mia.
Tossiva, mentre cercava un modo per estinguere le fiamme.
Andai nella camera dei miei, svegliandoli e cercando di portarli fuori di lì, ma una volta giù mio padre prese un estintore andando ad aiutare mio fratello.
«Martin, no! Papà!» Sbraitai, cercando di tirarli fuori e vedendo anche mia madre andare da loro per condurli fuori casa.
Corsi verso la loro direzione, quando sentii un sussurro: «No, non ti avvicinare!»
Non era la voce di Martin, non era la voce di mamma e nemmeno quella di papà. Era una voce sconosciuta. Mi bloccai di colpo, voltandomi a destra e a sinistra, cercando di capire da dove proveniva, ma non ebbi il tempo.
«Via! Vai via!» Sentii di nuovo quella voce.
Ero pietrificata. Non ebbi il tempo di realizzare quando, alzando il volto, le finestre a contatto con il fuoco esplosero. Era il segno che la mia vita era giunta al termine.
O meglio, era giunto al termine quella vita e quella Raven che ero stata fino a quel momento.
Con violenza i frammenti caddero su di me e molti entrarono nei miei occhi. Erano come proiettili. Vidi solamente sangue e fuoco. Vidi i corpi dei miei genitori e di mio fratello a terra, mentre pian piano diventava tutto poco chiaro. La vista si stava sfogando e nel giro di un attimo diventò tutto buio.
Compresi subito ciò che era successo.
Mi misi le mani agli occhi e cominciai a piangere, quando quella stessa voce continuò: «Raven, devi uscire di qui!»
«Non ci vedo!» Sbraitai, tenendo le mani sporche di sangue davanti a quegli occhi che sanguinavano.
Bruciavano atrocemente a causa delle lacrime e delle ferite. Mi sentivo debole e vulnerabile.
Non so bene cosa successe, ma mi sentii per la prima volta qualcosa prendermi per mano. Era una stretta leggera che mi invogliò ad alzarmi e mi conduceva verso l'uscita.
Mi fermai e sentii quella mano attraversarmi il braccio. Un brivido mi salì lungo la schiena, mentre piangendo pronunciai: «Non posso...»
«Raven...» Chiamò nuovamente. Di chiunque fosse quella voce, non potevo fidarmi. Non sapevo chi fosse e avevo una paura assurda. Come sapeva il mio nome? Come aveva fatto ad entrare?
Impazzii, mettendomi le mani tra i capelli e urlando: «Chi diamine sei!? Che hai fatto alla mia famiglia? Come diamine sei entrato qui?!»
«Raven, sono io... Sono Francise...» Rivelò, facendomi piangere ancora di più, mentre gli domandavo: «Perché?! Perché l'hai fatto? Avevi detto che ci avresti protetto, che non ci avresti fatto nulla... dimmi perché! Perché mi hai fatto questo?»
«Raven... io... non volevo... io...» Farfugliò, ma la mia rabbia era alle stelle.
Avevo perso tutto. Avevo perso la mia casa, la mia famiglia, la mia vista...
Avevo perso me stessa.
«Tu cosa? Se davvero non volevi, allora dimostralo!» Sbraitai, intimorita dal mio futuro.
Insomma, come avrei fatto senza i miei genitori? Come avrei fatto a cavarmela da sola? Come avrei fatto senza la mia vista?
Avevo mille fobie, ma la cosa che mi faceva più male era che avevo perso tutto.
Francise, in quei mesi, mi comprese molto bene. Sapeva che mi appoggiavo molto di più alla vista che alle percezioni esterne, sapeva il mio carattere e conosceva perfettamente ogni mia paura.
Comprese la mia voglia di farla finita, ma lui non voleva esserne l'artefice. Sapeva di aver sbagliato e voleva pagare il prezzo dell'azione compiuta, così non esitò: «Sarò i tuoi occhi.»
Guardavo a destra e a sinistra per capire da dove provenisse la sua voce, ma senza vista era difficile da capire: «Che?»
Ero confusa. Non capivo le sue intenzioni e completamente pietrificata dalla paura di non farcela, finché non fu un po' più chiaro: «Non temere. Sarò i tuoi occhi, ti guiderò ovunque vorrai andare. Vivremo in simbiosi e ti aiuterò attimo per attimo. Ripagherò il mio errore, facendoti da servo e da padre, incominciando da adesso.»
Mi prese per mano ed io ero talmente debole e vulnerabile da farmi trascinare fuori di lì. I vicini, nel frattempo, avevano visto le fiamme e chiamarono tempestivamente sia l'autobulanza sia i pompieri. Dovetti denunciare l'accaduto e chiarire tutto ciò che era successo, ma la verità è che non lo sapevo bene e lo ribadii più volte.
I medici scoprirono la causa della mia cecità, dichiarandomi clinicamente invalida a causa della mia vista.
A scuola non ero più amata come prima. Mi tenevano alla larga. Scoprirono la mia passione per la magia e misero delle voci in giro. Dissero che avevo dato fuoco a tutto con la mia magia e questa si era ripiegata su di me. Mi chiamarono strega e con Francise accanto che mi aiutava a camminare e vestire non era il massimo.
Ero considerata un mostro. Anche se non me lo dicevano apertamente, tutti mi temevano ed io persi tutte le mie amicizie. Non aveva più senso per me stare lì.
Questo mi spinse a chiedere di andare via da Glasgow, accettando di andare in un luogo a me sconosciuto come Detroit.

 
***

Lo ammetto. È stato difficile abituarmi, ma forse... in parte... è vero. Quelle voci su di me non sono del tutto false.
Tutto ha un prezzo. La magia stessa ha un prezzo, ma se non fosse stata per quella passione che ho acquistato pian piano, adesso non sarei qui.
La morte non è altro che la fine di una fase e l'inizio di un'altra. Non so dove mi stia conducendo il mio destino, ma finché ci sarà Francise al mio fianco, so che ce la potrò fare e poi, adesso, ho anche loro. Ho dei nuovi amici a cui appoggiarmi.
«Ehi, ciao Raven!» Mi saluta Fairy, venendomi dietro e dandomi una pacca sulla spalla sinistra per farmi voltare verso di lei.
Sorrido. Non sono sola e questo mi fa sperare in un futuro migliore.
Spero che presto ci sia una svolta per me e che questa mia condizione di invalidità non sia di peso a nessuno. Spero che non mi privi della bellezza della vita, proprio come non mi ha privato fino a questo momento.
Adesso vi lascio, cari lettori.
A presto e un saluto dalla vostra, Raven.

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