Through The Wall

di Melomi 1925
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Londra 2018

Quel sabato mattina a Londra faceva freddo, sentivo l'umidità spingermi sulle spalle ed entrarmi fin dentro le ossa. Il cielo era plumbeo e pieno di nuvoloni, segno che di lì a poco avrebbe ripreso a piovere. Odiavo particolarmente quel tempo, soprattutto per il modo in cui incideva sul mio umore, rendendolo cupo e scontroso. Stavo aiutando mio padre a scaricare dalla sua macchina scatoloni pieni zeppi di mausolei antichi, la sua più grande ossessione. Il sabato era il giorno delle spese, e gli piaceva rivestire il suo studio di cose polverose che si portavano dietro troppa storia, per i miei gusti. Non era la prima volta che chiedeva il mio aiuto in quel genere di operazioni, ma in certi casi diventava davvero ossessivo e fuori controllo negli acquisti. Era riuscito a tappezzare ogni angolo della nostra casa, di oggetti di ogni tipo, che entravano in contrasto con l'arredamento moderno che al contrario preferiva la mamma.

Alzai lo sguardo sulla sua figura incappucciata, prima di afferrare l'ultimo scatolone e varcare la soglia della mia abitazione. Vivevamo in "Past's Road" al numero 87, in una piccola casa che i miei genitori avevano comprato grazie ai loro sacrifici. La adoravo soprattutto perché dalla mia camera si poteva ammirare quasi tutta Londra, oltre al fatto che affacciava praticamente nel giardino della mia migliore amica Paige.

"Che cosa ce ne facciamo di quelle candele, non c'è più posto nel tuo ufficio" gli feci notare adagiando con delicatezza lo scatolone a terra.

Mi fissai le mani sporche che pulii frettolosamente sulla mia tuta consunta, per poi poggiarle in tasca in attesa di una sua risposta. Papà era professore di paleontologia alla University di Manchester, amava così tanto il suo lavoro che a volte tornava a casa stanco morto e si addormentava di punto in bianco sulla sua poltrona, che aveva comprato rigorosamente in qualche negozietto che vendeva oggetti obsoleti di qualche decennio. Io invece a differenza sua, non ci trovavo nulla di così allettante nello studiare cose avvenute secoli prima, infatti a scuola non potevo di certo inserirmi nella lista di persone che aveva bei voti in storia.

"Troverò un posto, bambina" rispose guardando con ammirazione il pavimento del soggiorno pieno zeppo di scatole.

Nonostante avesse i suoi cinquant'anni suonati, sembrava ancora un giovanotto, uno di quelli che si arrotola la camicia fino ai gomiti e che indossa pantaloni alla capri.

"La mamma non sarà contenta di tutte queste cose nuove, non farà altro che pensare che il tuo disturbo ossessivo compulsivo stia peggiorando" dissi punzecchiandolo nel suo punto debole.

Amavo farlo, soprattutto perché papà sapeva sempre essere giocoso e alla mano. Probabilmente gli somigliavo così tanto, che era quasi impossibile non scambiarci per padre e figlia.

"Voi non potete capire quanto questo sia importante per me, non potete" sbottò nervoso. "C'è un grande valore affettivo dietro queste cose e non vi permetto di prendermi in giro" urlò con la sua voce grossa.

Misi una mano sul cuore sentendomi davvero in colpa, forse avevo esagerato, o forse avrei solo dovuto smetterla di farlo sentire costantemente ridicolo.

"Papà" cominciai a voce bassa.

Ma non mi guardò, al contrario mi sorpassò e si piegò in basso. Prese una delle scatole e cominciò ad aprirla lentamente, quasi come se stesse maneggiando un vaso di cristallo.

"No, Skyler va in camera tua" disse brusco.

Alzai gli occhi al cielo e non mi mossi dalla mia mattonella. Volevo saperne di più, volevo capire perché fosse così preso da tutta quella robaccia.

"Dimmi almeno come ti è nata questa passione" lo pregai gentilmente avvicinandomi.

Continuai a guardare i suoi movimenti, ed il modo con cui fissava quegli oggetti. Sembrava così nostalgico, come se gli mancasse qualcosa.

"Non posso dirtelo, non è arrivato ancora il momento" farfugliò velocemente rimettendosi in piedi. "Devo lavorare adesso" mi sorpassò con lo scatolone tra le mani, diretto nel suo studio dove rimase rintanato per tutto il resto del pomeriggio.

xxx

Ero distesa sul letto nel silenzio assordante della mia cameretta, avevo il naso al insù e stavo fissando il soffitto bianco sopra la mia testa, il comportamento di papà mi aveva confusa e riempita di dubbi. Nel ultimo periodo, le cose erano davvero peggiorate, la sua fissazione per la storia, ci stava pesando troppo sia a me che alla mamma. Alcune sere li sentivo litigare, ma non avevo mai approfondito la questione, avevo sempre cercato di far scorrere, ma adesso, dopo le cose che papà mi aveva detto qualche ora prima, cominciavo a credere che dietro le sue parole ci fosse qualcosa di più grande, qualcosa che stava tentando di nasconderci. Sbattei le palpebre ripetutamente e allungai le braccia per sgranchirle, quando in quel preciso istante, mi balenò in testa un'idea che forse mi avrebbe aiutato a comprendere di più mio padre. Mi alzai frettolosamente dal letto e calai la scala retrattile per salire su in soffitta, che si trovava praticamente ubicata nella mia stanza.

Il mio peso fece scricchiolare i gradini ad ogni passo, e quando finalmente arrivai in cima, aprii con forza la piccola porticina che mi separava dalle mie domande, l'aria rarefatta mi pizzicò il naso; accesi in fretta l'interruttore delle luci e tossii per i cumuli di polvere. Mi guardai intorno, per cercare di scorgere qualcosa di familiare, ma ovunque girassi lo sguardo, niente sembrava così interessante. Così sconfitta ed amareggiata, mi misi a sedere per terra tra tutta quella polvere, sbuffai più volte e diedi un calcio ad una pallina di piombo che utilizzava papà per le sue lezioni. La vidi rotolare lontano e fermarsi di fronte ad una parete semivuota. Inarcai le sopracciglia e mi alzai dal mio posto, mi avvicinai a quel muro che era palesemente diverso dalle altre tre pareti che mi circondavano: bianco, pulito, come se la polvere non fosse mai riuscita a sporcarlo. Di fronte ad esso era posto un baule di legno su cui erano state incise due iniziali in oro: una D e una A. Feci un giro intorno ad esso per poi ritrovarmi il muro bianco scarlatto alle mie spalle. Aprii l'oggetto con delicatezza e la prima cosa che attirò la mia attenzione furono delle vecchie fotografie giallastre, che ritraevano un giovane simile a mio padre che indossava degli abiti ottocenteschi, accanto ad una donna dai capelli scuri e dai lineamenti dolci.

Trattenni il fiato per qualche secondo, prima di prendere l'iphone dalla mia tasca ed accedere a facebook. Digitai velocemente il nome di mio padre nel motore di ricerca e rovistai tra le sue foto. Ricordai che qualche tempo prima, ne aveva caricata una di quando aveva più o meno la mia età. Non appena questa mi apparve sotto agli occhi, li strabuzzai e la misi a confronto con quella trovata nel baule. Erano praticamente la stessa persona. Che cosa ci faceva mio padre in quelle fotografie? Cosa diavolo significava? Ma soprattutto, chi era la donna che gli stava accanto?

Poggiai quelle foto sul pavimento ed infilai la testa in quel mausoleo per ricavarne qualche altra informazione, ne tirai però fuori una scatolina in legno, perfettamente decorata con alcuni ghirigori. Non riuscii a trattenere la curiosità e l'aprii, ne saltò fuori un grosso pagliaccio a molla con un cappellino davvero inquietante, che per lo spavento mi fece sobbalzare all'indietro, risucchiata dal muro.

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Capitolo 2
*** 2. ***


Caddi rotolando sul pavimento duro proteggendo con le braccia il mio viso. La polvere mi salì su per il naso facendomi tossire più volte. Respirai a fatica sentendo le orecchie fischiarmi e le ginocchia sbucciate. Con la spinta delle mani cercai di mettermi seduta, confusa e stralunata. La testa mi faceva male e la sentivo tremendamente pesante, quasi come se mi ci avessero poggiato sopra un masso. Mi stropicciai gli occhi annebbiati, e quando la vista ritornò ad essere nitida, mi guardai intorno frastornata. Montagne e montagne di libri ricoprivano gli enormi scaffali in legno che mi circondavano, e il profumo della carta mi riempiva le narici. Dedussi che molto probabilmente mi trovavo in una biblioteca, che non avevo mai visto prima d'allora, ma la cosa più sconvolgente era che ci fossi arrivata attraverso il muro della mia soffitta.

Strabuzzai gli occhi e mi alzai velocemente, dinanzi a me si stagliava lo stesso tramezzo che avevo a casa mia. Mi avvicinai piano e tastai più volte la parete, con la speranza che si riaprisse e mi riportasse indietro, ma non successe nulla. Cominciò a salirmi il panico, dovevo trovare al più presto la via verso casa, ma probabilmente quella non era la soluzione adatta. Vagai ancora e ancora con lo squadro da un punto al altro, per cercare qualcosa che mi fosse familiare o che al contrario mi avrebbe ricondotta nella mia stanza. Ma non trovai nulla, sentii solo un forte rumore, che mi fece drizzare la schiena. Così cominciai a camminare lungo quel'immenso corridoio costeggiato di scaffali e libri, ad ogni passo sentivo la paura salirmi su per la spina dorsale, accompagnata dal mio respiro pesante. Mi balenò in testa l'idea che forse molto probabilmente sarei rimasta bloccata in quel posto sconosciuto e non avrei rivisto più mamma e papà.

Chiusi gli occhi per un istante e quando finalmente vidi l'enorme portone laccato di nero spuntare dinanzi a me, ci poggiai sopra le mani con prepotenza e cercai con la forza di aprirne un'anta per permettermi di passare. Sgusciai con la testa fuori, che voltai a destra e sinistra, prima di metter piede sul marmo lucido che mi ritrovai sotto le scarpe. Ero riuscita ad oltrepassare la biblioteca, e adesso mi ritrovavo in un enorme corridoio illuminato da una luce intensa e piacevole che proveniva dalle grosse finestre disposte su di un lato di esso. Queste avevano dei vetri lucidi, ed arano serrate al esterno, erano abbellite da grosse tende di velluto rosso, che mi diedero una sensazione di candore e morbidezza. Lungo tutto il percorso poi, c'erano vasi stracolmi di ortensie blu, uno dei fiori preferiti di papà. Mi avvicinai e ne tirai fuori uno portandomelo al naso, profumava di buono e di casa, ma dovetti immediatamente rimetterlo al suo posto quando d'un tratto sentii dei passi rimbombare dietro la mia schiena. Il battito cardiaco cominciò ad accelerare, ed istintivamente mi nascosi dietro la tenda che si trovava dinanzi ad una delle finestre, mi tappai la bocca con le mani per evitare ogni minimo rumore.

Intravidi un uomo, molto probabilmente una guardia che indossava una divisa che avevo visto l'anno prima addosso ad alcuni miei compagni di classe, in occasione di Halloween. Aveva dei pantaloni neri a fasciargli le gambe, aggiustati ordinatamente in un paio di stivali lucidi, una giacca che gli si fermava sui fianchi abbellita con alcune decorazioni argentate sul davanti, due spalline pronunciate ed un simbolo blu al lato sinistro del petto. Portava in mano un cappello, e camminava con fierezza guardando dritto dinanzi a se. Trattenni il respiro e chiusi per un istante gli occhi, che riaprii solo quando l'uomo scomparve dietro ad un angolo. Misi una mano sul cuore, che stava battendo in maniera irregolare e dopo aver preso coraggio, decisi di uscire dal mio nascondiglio. Mi scostai una ciocca dal viso e mi alzai sulle punte, per sbirciare fuori da quella grande vetrata che mi separava dal'esterno, forse sarei riuscita a capire dove mi trovassi.

Non appena proiettai lo sguardo fuori, un'ampia distesa verde mi fece mancare il respiro. Questa si allargava oltre le mura del palazzo, fino ad arrivare in un punto dove la vista diventava pesante. Tre grandi fontane alternavano il loro gioco con spruzzi d'acqua ad intermittenza, c'era inoltre un sentiero costeggiato da fiori rossi, rosa e blu, che spiccavano in tutto quel verde. In vita mia non avevo mai visto niente di così bello, non avevo mai avuto a che fare con tutta quella perfezione. I miei occhi non sapevano dove poggiarsi, ne come immagazzinare tutto ciò che stessi guardando, ma d'improvviso qualcosa, o meglio qualcuno mi fece distrarre. Intravidi un ragazzo non molto lontano, che con fare gentile stava accarezzando la criniera di un cavallo, bianco come un fiocco di cotone. Era sorridente, sembrava spensierato. Con uno scatto si tolse il cappello mostrando dei capelli ricci raccolti in un codino. Aveva alti stivali neri e un completo da cavalcata. Curiosa aprii silenziosamente la finestra, mi sporsi per guardare meglio, ma fu proprio in quel preciso istante che voltandosi, gli occhi del ragazzo incrociarono i miei...

Xxx

Londra 1887

Quella mattina mi svegliai a causa dei fievoli raggi di sole che penetrarono dalle finestre della mia stanza. Rimasi per un po' nelle morbide lenzuola che la mia governante aveva cambiato il giorno antecedente, prima di mettermi seduto in mezzo al letto. Magda aveva già riposto ai piedi della mia branda gli abiti che avrei indossato quel giorno. Era un sabato di settembre, ed il calore della stagione appena passata si mescolava a quella fresca brezza autunnale che di lì a pochi mesi si sarebbe trasformata in un freddo inverno. Dopo aver rimuginato sui cambiamenti metereologici che avrebbero inciso sul'organizzazione della mia vita nei mesi a venire, decisi di alzarmi e di andare a rinfrescarmi nei miei bagni. Mi abbigliai di tutto punto, pettinai i capelli ricci che mi ricaddero ordinatamente sulle spalle e con una giravolta uscii dalla mia camera per raggiungere mio padre e mia madre nel grande salone del nostro palazzo, dove mi aspettavano per la colazione.

Varcai l'entrata di questo con le spalle dritte ed il petto al'infuori, così come mi era stato insegnato, mi avvicinai alla mamma e le baciai la mano, prima di voltarmi verso mio padre e salutarlo con un cenno. Il nostro rapporto non era affatto un granchè soprattutto dopo le ultime vicende che mi avevano visto protagonista.

'"Buongiorno mio dolce Harry" disse lei appena mi scorse. "Andrai a cavallo, questa mattina?" era seduta di fronte a me e stava sorseggiando il suo thé abituale.

Le sorrisi fievolmente e versai del latte nella mia tazza di porcellana, prima di decidere quale pezzo di torta mangiare per primo. Ero una personcina abbastanza golosa, che non si tirava mai indietro di fronte alle prelibatezze che il nostro cuoco di fiducia ci preparava giornalmente.

"Si madre, penso che prenderò Antares" risposi riferendomi ad uno dei miei cavalli preferiti.

Me lo avevano regalato quando ero solo un bambino, ed eravamo praticamente cresciuti in simbiosi. Lo adoravo e me ne prendevo costantemente cura, aveva un manto bianco come una nuvola ed un musino davvero dolce.

"Sta attento, oggi è particolarmente nervoso" intervenne mio padre con un tono di voce rassicurante.

Mi voltai verso di lui e dopo aver bevuto un sorso dalla tazza, la poggiai sul tavolo e mi alzai dal mio posto. Avevo bisogno d'aria e di uscire al più presto da quella stanza che era diventata troppo stretta.

"Non vi preoccupate, padre" mi allontanai a grandi passi e varcai l'uscita.

Percorsi il lungo corridoio che mi avrebbe portato alle stalle, ed una volta arrivatoci salutai il mio amato cavallo. Lo preparai per la cavalcata e ci salii in sella, dopo aver fatto un paio di giri, per le colline che contornavano il palazzo, decisi di fermarmi e dar da bere ad Antares. Scesi con poca grazia, tanto che i miei stivali a contatto col suolo fecero rumore, mi tolsi il cappello ed una fresca brezza mi smosse i ricci. Accarezzai la sua criniera e sorrisi fiero del mio stallone, quando però mi voltai, vidi una folta chioma bionda svolazzare da una delle finestre del primo piano. Rimasi immobile ed incantato allo stesso tempo, quando i suoi occhi incrociarono i miei.

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Capitolo 3
*** 3. ***


Londra 1887

Vidi la fanciulla chiudere in fretta l'anta della finestra e sparire dietro di essa. Rimasi lì impalato come uno stoccafisso. Non l'avevo mai vista prima d'allora. Chi poteva essere? E soprattutto cosa ci faceva nel mio palazzo? Subito si fecero largo nella mia mente pensieri poco piacevoli, tanto che mi preoccupai fosse stata mandata da qualcuno per farci del male. Così senza pensarci due volte, presi a correre verso il suo inseguimento. Lasciai Antares in giardino senza badare che sarebbe potuto scappare, ed entrai nel palazzo, salii velocemente le scale che mi avrebbero condotto al piano superiore, passai tra due guardie che camminavano tranquille dandogli uno spintone e avvistai la fanciulla non molto distante. La sua chioma bionda svolazzava a destra e sinistra, indossava degli abiti che non avevo mai visto e continuava a stringere tra le mani un aggeggio nero che emanava luce.

"Fermatevi signorina, fermatevi!" urlai con il fiato corto per la corsa. La fanciulla non rispose, ma imboccò la porta della biblioteca, ignorandomi. "Che cosa ci fate nel mio palazzo?" riprovai seguendola più da vicino.

Sembrava stesse cercando qualcosa che non riusciva a trovare, si insinuava sicura tra gli scaffali stracolmi di libri, quasi come se conoscesse quel posto meglio di chiunque altro. Quando però la vidi addentrarsi nella zona proibita, mi bloccai sul posto, io non avevo il permesso di starci. La mamma era stata severamente chiara nei miei confronti. Ma la piccola donna stramba che avevo a pochi metri di distanza da me, sembrava davvero attratta da qualcosa che aveva di fronte, così mi feci coraggio ed oltrepassai quella linea immaginaria che fin da bambino ero stato costretto a rispettare. Aveva gli occhi fissi sul muro che gli era di fronte, quest'ultimo era bianco scarlatto, senza una crepa. Lo fissava pensierosa senza batter ciglio, io invece cominciai ad alternare lo sguardo da lei al tramezzo, senza però capirne nulla.

"Che cosa state cercando, signorina?" domandai. "Vi ha mandata qualcuno?" lei corrugò la fronte voltandosi verso di me, aveva le labbra che le tremavano, segno che avrebbe voluto piangere. I suoi occhi erano da cerbiatto e la sua bocca rosea, la quale si intonava perfettamente alla carnagione dorata e ad i capelli chiari. Sembrava diversa, particolare, da tutte le fanciulle che i miei occhi avevano avuto il privilegio di ammirare.

"Sai come posso tornare a casa?" chiese impaurita dandomi del tu.

Nessuno mai aveva osato parlarmi in quel modo, nemmeno i miei genitori. Ma la cosa cominciò ad incuriosirmi, tanto che mi feci più vicino e cercai di tranquillizzarla e darle qualche spiegazione.

"Signorina, siete nel posto sbagliato. Se non ve ne foste accorta, questa è una biblioteca" le feci notare gentilmente.

Lei mi regalò un sorrisetto e scosse la testa, per poi mettersi due mani alla fronte, era così stramba.

"Oh ma davvero? Non me ne ero accorta, sei un tipo spigliato lo sai?" disse nervosa "Li vedi questi? Sono due occhi e.. sorpresa sorpresa, ci vedo benissimo" rispose brusca, gesticolando.

Il suo modo di controbattere non mi fece arrabbiare, anzi, mi divertiva parecchio.

"Vi vedo abbastanza confusa, se volete seguirmi vi mostro l'uscita" la invitai cortesemente a seguirmi.

Ma lei non volle sentire ragioni, indietreggiò e posò di nuovo lo sguardo su quel muro che aveva di fronte.

"No, cazzo, no. Sono venuta da quel dannato muro" urlò in preda al panico.

Continuavo a non capire cosa stesse blaterando, avrei tanto voluto aiutarla, ma non sapevo come avrei potuto. Non riuscivo inoltre a comprendere come una persona potesse passare attraverso un muro, fin quando lei non me lo mostrò. La vidi prendere la rincorsa per poi lanciarsi contro di esso, stavolta pensai davvero che si sarebbe fatta male.

"Vi farete del mal..." la mia voce si affievolì quando il muro la risucchiò.

Coprii la bocca con le mani, incredulo di quello che avevo appena visto. Mi avvicinai al tramezzo e lo tastai notando però che non era diverso da tanti altri. Presi una piccola rincorsa imitando i movimenti della fanciulla, ma non successe nulla. Sentii solo qualcosa battere contro il mio piede sinistro. Abbassai lo sguardo e mi chinai a raccogliere lo strano aggeggio che poco prima lei stringeva tra le mani. Era piccolo e maneggiabile, e quando lo portai al naso non odorava di nulla. Che cosa poteva essere? Con il dito indice premetti l'unico pulsante che aveva, e lo strumento si illuminò mostrandomi la fanciulla che era appena andata via, sorridere spensierata.

Londra 2018

Il baule attutì la mia caduta provocandomi un dolore al braccio. Grugnii e rimasi per qualche secondo con le spalle sul pavimento freddo e polveroso della soffitta, ero riuscita a tornare ed ero finalmente a casa mia. Non potevo credere a quello che fosse appena successo, avevo tipo viaggiato nel tempo. Scoppiai in una fragorosa risata pensando che fosse tutto così assurdo. Ma quando mi voltai in direzione del muro bianco, sentii come se quella non sarebbe di certo stata la prima o l'ultima volta che avrei fatto di nuovo una cosa del genere. Mi misi seduta e mi tastai il braccio dolorante, si sarebbe di sicuro formato un livido. Portai di nuovo lo sguardo alle fotografie che ritraevano mio padre e le riposi in fondo al baule, dovevo saperne di più, dovevo scoprire a tutti i costi cosa diamine significava tutta quella roba.

"Skyler!" sentì dire dal piano inferiore. "Skyler, che cosa ci fai lassù?" la voce della mamma risuonò alta alle mie orecchie.

Mi alzai velocemente in piedi e cercai di mettere a posto i miei vestiti, con scarsi risultati. Guardai di nuovo la parete bianca alle mie spalle, prima di spegnere le luci e di scendere di sotto.

"Nulla, mi sembrava di aver sentito un rumore" mentii non appena la vidi.

Poggiai finalmente i piedi sul pavimento della mia stanza, sentendomi al sicuro.

"Un rumore?" chiese mamma con i suoi capelli stirati alla perfezione.

Lei mi fissò stranita, prima di alzare le spalle e recuperare alcune magliette che avevo lasciato sulla sedie della mia scrivania a marcire.

"Era solo la mia impressione" risposi rassicurandola.

Presi l'asta e chiusi la scala retrattile sopra la mia testa, la mamma continuò a tenere gli occhi fissi sulla mia figura per tutto il tempo, facendomi sentire sotto pressione.

"Il pranzo è pronto, ma fatti una doccia che odori come lo studio di tuo padre" esclamò voltandosi ed uscendo.

Spalancai la bocca ed alzai il dito medio al cielo, prima di chiudermi la porta della mia stanza alle spalle. Corsi nel bagno e mi gettai a capofitto sotto l'acqua bollente della doccia, ne avevo proprio bisogno. Chiusi gli occhi per un istante e l'immagine che mi passò davanti fu quella di un ragazzo dai capelli ricci e dagli occhi verde smeraldo.

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Capitolo 4
*** 4. ***


Londra 1887

Dopo che la fanciulla abbandonò la biblioteca attraverso il muro, rimasi per qualche minuto a contemplarlo. Non aveva nulla di strano, ne tanto meno qualcosa che mi facesse capire che era una sorta di portale. Riposi l'oggetto che avevo trovato per terra in tasca custodendolo come fosse un tesoro. Mentre cominciai a pensare che forse la mamma in tutti quegli anni mi aveva proibito di andare in quel'area per una ragione ben precisa, che molto probabilmente riguardava la parete che avevo di fronte. Mi voltai così di spalle, e mi guardai intorno, avevo bisogno di saperne di più, avevo bisogno di capire, ora più che mai. Girai per quasi tutta la mattina tra i vari scaffali, ispezionai ogni sezione, ma con scarsi risultati, non c'era nulla. Sfinito e arreso mi misi a sedere sul pavimento lucido e pulito della Biblioteca, mi passai una mano tra i ricci ordinati, spettinandomeli, abbassai lo sguardo e quando vidi qualcosa sotto una delle mensole in legno strabuzzai gli occhi.

Mi misi a cavalcioni e mi avvicinai camminando sulle ginocchia, mi abbassai ed allungai un braccio per prendere l'oggetto che sperai mi avrebbe dato delle risposte. Lo afferrai con forza e lo tirai fuori dal suo nascondiglio. Era una sorta di libro dalla copertina sgualcita e polverosa, ci soffiai sopra, tanto che i vari granelli si dispersero nel'aria. Lo aprii curioso e dentro ci trovai pagine e pagine ingiallite, tutte erano piene zeppe di inchiostro, ma la cosa che più catturò la mia attenzione fu la familiare forma di alcune lettere, da anni la mamma si interessava alla mia istruzione e pertanto conoscevo la sua calligrafia a memoria, e quella mi parve proprio la sua. Lessi alcune righe, accorgendomi immediatamente che quelli fossero pensieri e confessioni d'amore. Pensai fossero per mio padre, ma dovetti ricredermi quando vidi sul fondo dell'ultima pagina, una foto ingiallita che ritraeva lei ed un uomo, che non avevo mai visto prima. Corrugai la fronte, e misi una mano al petto prima di sobbalzare a causa della urla della mia balia.

"Signorino Harry, siete qui?" chiese a gran voce.

Alzai gli occhi al cielo e misi il diario sotto la giacca, mi alzai da terra e mi aggiustai i pantaloni.

"Sono qui, Magda" risposi camminando velocemente attraverso quelle pile di scaffali.

Avevo le mani sudate e le gambe tremolanti, stava succedendo tutto troppo in fretta.

"Oh eccovi, ero in pensiero per voi, avete lasciato Antares solo in giardino. Ma cosa ci facevate in biblioteca?" domandò non appena le fui più vicino.

Presi una pausa, prima di inventare una scusa plausibile affinché se la bevesse.

"Mi sono ricordato di dover prendere un libro, il maestro me ne aveva parlato ieri e solo stamattina me ne sono ricordato. Ho fatto una corsa" mentii trascinandola fuori da quel posto con me.

Mi recai nella mia stanza e chiusi la porta a chiave, riposi quel diario in uno dei miei cassetti che sigillai per bene, in modo che niente e nessuno avrebbe potuto mai trovare. Avevo un magone allo stomaco che per un momento mi fece compagnia, prima di lasciare spazio alla rabbia e alla curiosità. Dovevo parlarne con mia madre al più presto, avevo bisogno di risposte concrete e di sapere se oltre a mio padre, c'era stato un altro uomo nella sua vita. Quel pomeriggio non pranzai, ne tanto meno mi presentai alla lezione di algebra col maestro, volevo stare da solo a rimuginare sul da farsi. Ma non appena mi poggiai sul letto e chiusi gli occhi, mi apparvero quelli chiari della fanciulla, che proveniva da chissà quale epoca.

Xxx

Londra 2018

Scesi lentamente le scale che mi avrebbero condotto al piano di sotto, avevo una fame da lupi ed un paio d'ore di sonno arretrato. Era passata solo qualche ora dal "mio salto nel tempo" ed ancora stentavo a crederci, quel palazzo, quel giardino e quel ragazzo, non volevano abbandonare i miei pensieri, tanto che scossi la testa come a mandarli via. Scesi l'ultimo gradino e mi scostai i capelli chiari che profumavano di shampoo dalla faccia, quando però mi arrestai sul posto. Mamma e papà erano seduti l'uno di fronte al'altra e si stavano sussurrando qualcosa, drizzai così le orecchie e mi nascosi dietro al muro che mi separava da loro.

"Arthur, l'ho vista scendere dalla soffitta" esclamò la mamma versandosi l'acqua "Giuro che se non porti via quelle cose te le brucio" affermò poi nervosa.

Papà intanto la ascoltava senza batter ciglio, come se stesse pensando a tutt'altro.

"Tesoro, devi stare tranquilla Sky non è poi così spigliata" rispose lui alzando le spalle.

Aggrottai la fronte e feci per entrare, ma la mamma replicò veloce facendomi gelare il sangue nelle vene.

"Non trascinerai anche Sky nei tuoi esperimenti malati. Ne abbiamo già perso uno di figlio, non voglio perderne un altro" disse "Sky non viaggerà nel tempo. Ne ora ne mai" continuò puntandogli il dito.

Rimasi ferma al mio posto con i pugni serrati. Mi avevano mentito, per tutti quegli anni, mi avevano solo riempita di bugie. Sapevo che mio fratello fosse morto in un incidente, non in uno degli esperimenti di mio padre. Una lacrima mi rigò la guancia, che prontamente asciugai.

"Abel non è morto lo sai. E sto facendo di tutto per trovarlo, ma il portale sembra bloccato" stavolta fu papà a lasciarmi con la gola secca.

Cosa diavolo significava che mio fratello non era morto? E se non lo era dove diamine si era cacciato? E di che razza di portale stava parlando?  Rimuginai per un attimo sulle parole dei miei genitori, prima di strabuzzare gli occhi e risalire velocemente le scale. Corsi catapultandomi in camera mia per cercare il telefono, avevo bisogno di chiamare Paige. Se non ricordavo male, aveva preso una A in storia per aver fatto una ricerca sui viaggi nel tempo e sulle pericolosità nascoste dietro questo fenomeno. Rovistai nei cassetti, sotto il letto, in bagno, nel'armadio e tra il cumulo di vestiti accanto alla porta, ma niente. Non riuscii a trovarlo da nessuna parte. Mi misi così alla scrivania ed accesi il computer, mi collegai ad internet e cominciai a cercare qualcosa che mi desse qualche informazione in più.

Non appena scrissi su Google " Viaggi nel tempo", mi si aprirono così tante pagine che mi venne il mal di testa, c'era di tutto e di più, si andava da testimonianze ad articoli falsi. Chiusi per un istante gli occhi e quando li riaprii, mi apparve l'immagine di me che oltrepassavo il muro e lasciavo cadere il cellulare. Mi alzai di scatto e puntai lo sguardo su in soffitta.

 Dovevo ritornaci al più presto.

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Capitolo 5
*** 5 ***


Londra 2018
Quella domenica pomeriggio mi rintanai nella mia stanza, fuori pioveva a dirotto e non avevo la minima voglia di fare nulla. Avevo rovistato tra le vecchie foto di famiglia e ne avevo trovata una molto interessante, che stavo stringendo tra le mani da circa un’ora. Questa ritraeva mio fratello Abel in quello stramaledettissimo palazzo, con addosso una delle divise che portavano le guardie, una di quelle che aveva lo stemma blu al lato sinistro del petto. Ma cosa diavolo significava? E perché mio fratello ne portava una? Furono così tanti i pensieri che mi percorsero la mente, che probabilmente mi sarebbe scoppiata da un momento all’altro. Misi due mani alla fronte come a sostenermi dalla pesantezza di quella situazione. Chiusi gli occhi, ma li riaprii subito dopo, quando mi passò per la testa l’idea di andare a parlare col ragazzo del passato. Forse mi avrebbe potuta aiutare, forse conosceva mio fratello e sapeva dove fosse, forse conosceva più cose di me. Qualsiasi informazione mi sarebbe andata bene.
Così decisi di alzarmi dal mio posto, mi avvicinai alla porta della mia stanza e la chiusi a chiave, prima di calare la scala retrattile che mi avrebbe condotta in soffitta. Salii i gradini con la lentezza di una tartaruga, quasi come se stessi andando alla forca, ed una volta esser giunta in soffitta, presi un respiro profondo e mi posizionai davanti al muro bianco, quello stesso che il giorno prima, senza troppe cerimonie mi aveva catapultata in un altro posto. Cacciai l’aria e senza aspettare un minuto di più, corsi lanciandomi contro la parete, che mi risucchiò.
 
Londra 1887
Stavolta caddi atterrando sul sedere, nello stesso identico posto del giorno prima. Non era cambiato niente, anzi sembrava che il tempo si fosse fermato. Stesso odore, stessa luce, stessa identica biblioteca. Mi alzai velocemente nonostante mi fossi davvero fatta male e mi guardai intorno cercando di ricordare dove fosse l’uscita. Percorsi la pila di scaffali che trovai sulla mia destra, quella che il giorno prima mi aveva condotta in quel suntuoso corridoio, fino a quando vidi apparire davanti a me di nuovo quel grosso portone nero, tanto che sorrisi stupendomi del mio senso dell’orientamento. Uscii cauta da quel posto sperando che nessuno si accorgesse di me, ed iniziai a camminare lentamente sul quel marmo lucido, mi guardai di tanto in tanto le spalle e cercai di tenermi costantemente accanto alle tende, in caso mi fossi dovuta nascondere. Vagai con lo sguardo da destra e sinistra per poi poggiarlo su di una porta dal colore lucido e dalla maniglia d’orata, che cercai insistentemente di aprire, ma sembrava sigillata.
“State cercando qualcosa?” sentii dire alle mie spalle.
Mi bloccai sul posto e sbiancai, mi avevano scoperta. Mi ero rovinata con le mie stesse mani. Quando decisi di voltarmi però, trovai dinanzi a me il ragazzo dagli occhi verdi e dai capelli ricci, che mi stava guardando con un’espressione tutt’altro che felice. Cosa gli avrei dovuto dire? Che ero lì per scovare più verità possibili sulla mia famiglia? Che ero lì per trovare mio fratello morto? No non avrei potuto, così cercai di appigliarmi a qualsiasi altra cosa.
 “Ehm… in realtà” dissi facendo la finta tonta “Credo di aver perso il mio cellulare ieri e quindi sono tornata per cercarlo” spiegai velocemente mostrandogli un mezzo sorriso.
Lui però continuò a guardarmi abbastanza stranito, quasi come se stesse studiando ogni minimo particolare della mia persona. Poi lo vidi corrugare le fronte e mettersi una mano sotto il mento.
“E’ per caso quell’ aggeggio che si illumina e fa rumore?” chiese mordendosi un labbro.
Beh evidentemente non aveva la minima idea di che cosa stessi parlando, ed immaginai che molto probabilmente l’oggetto a cui alludeva era proprio il mio iphone.
“Si è proprio quello, tu per caso lo hai visto?” risposi mettendomi una ciocca dietro le orecchie. Lui annuì prima di rabbuiarsi, e di tirare fuori dalla tasca il mio cellulare.
“Beh eccolo, ma devo darvi una brutta notizia” affermò nervoso.
Strabuzzai gli occhi ed aspettai con impazienza che continuasse a parlare, aveva addosso una camicia slavata, dei pantaloni neri a vita alta e non portava la giacca. Aveva legato i capelli con un nastro, che lo faceva sembrare una ragazzina. Ma rimaneva mozzafiato comunque.
“Ti prego, dimmi che non si è rotto” esclamai cominciando a camminare su e giù per il corridoio “E’ costato una fortuna, mia madre mi uccide se lo viene a sapere” continuai agitata.
Lui si fece più vicino e mi poggiò una mano sulla spalla come a rassicurarmi.
“State tranquilla signorina, troveremo il modo di aggiustarlo. Cercherò il miglior fabbro di corte affinchè ci aiuti” tentò di rincuorarmi gesticolando visibilmente.
Aveva un non so che di affascinante e allo stesso tempo misterioso, rimasi incantata a guardarlo prima di realizzare cose avesse appena detto. Un fabbro? Era per caso impazzito?
“Oh no no, spero tu stia scherzando. Ci penso io” affermai prendendogli il cellulare dalle mani.
Quelle stesse mani che per un istante ebbi il piacere di sfiorare. Erano così pallide e sottili, oltre ad essere calde e morbide.
“Comunque è davvero un piacere fare la vostra conoscenza. Io sono il principe Harry Edward Styles. Voi invece?” disse mettendosi le mani dietro la schiena.
Mi morsi un labbro in imbarazzo prima di rispondergli, mi ritrovavo praticamente dinanzi ad un principe che il giorno prima avevo trattato a pesci in faccia.
“Oh io sono semplicemente Skyler Butler” mi presentai allungando una mano per stringergli la sua, ma al contrario lui la prese e se la portò alle labbra, lasciandole un morbido bacio sul dorso, che mi fece rabbrividire.
“Posso chiedervi da dove venite e soprattutto di che secolo siete?” domandò curioso.
Mi fece sorridere ed intenerire quella sua spigliata curiosità.
“Io vengo dalla Londra del ventunesimo secolo, precisamente siamo nel 2018” spiegai.
Lo vidi strabuzzare gli occhi verdi che si ritrovava, poi aggrottò la fronte e puntò lo sguardo di nuovo sulla mia figura.
“Quindi voi potete viaggiare nel tempo? Avete usato un’apposita macchina?” parlò velocemente tanto che dovetti drizzare le orecchie per non perdere il filo.
“Oh no, ci sono arrivata attraverso il muro” spiegai “Non abbiamo ancora inventato nessuna macchina del tempo” continuai vedendo la sua espressione cambiare notevolmente, forse avevo deluso le sue aspettative.
“Oh capisco” esclamò semplicemente “Beh visto che ho qualche minuto libero dai miei doveri di corte,vi andrebbe di fare un giro nel mio giardino? Ieri ho visto che lo guardavate con occhi sognanti” disse mostrandomi un meraviglioso sorriso.
Io annuii ma, quando lo vidi allontanarsi mi bloccai sul posto. Se qualcuno mi avrebbe vista probabilmente sarei finita nei guai.
“Harry, io penso sia una cattiva idea” esclamai restando ferma al mio posto.
Lui si voltò e fece per dire qualcosa, ma alcuni passi ci distrassero, tanto che mi prese per mano e con uno movimento veloce, fece scattare la serratura della porta che avevo alle spalle.  Ci catapultammo dentro e la richiudemmo restando in silenzio, c’era buio dappertutto e non riuscivo a vedere nulla, ma quando Harry si accinse ad aprire le finestre, rimasi senza parole. Eravamo in una camera da letto, dalle pareti color avorio e dalla bellezza immane. Probabilmente il ragazzo si accorse del mio apparente entusiasmo e scoppiò a ridere.
“Perché ridi?” chiesi incrociando le braccia al petto.
Lui mi fissò ed indico lo spazio che ci circondava.
“Perché siete davvero buffa con quegli abiti, e poi se vi piace così tanto questa stanza, non immagino come potreste reagire nel guardare le altre del palazzo” affermò.
Io buffa? E lui con quella sorta di camicione?
“Comunque, pensate che potrei farlo anch’io? Intendo viaggiare attraverso il muro come fate voi” esclamò tutto d’un tratto diventando serio.
Io non lo sapevo, non sapevo se fosse possibile anche per lui.
“Questo non lo so, ma potremmo provare” spiegai rassicurandolo.
Vidi la sua espressione ammorbidirsi come quella di un bambino a cui vengono promessi i suoi giocattoli preferiti. Era così diverso, così giovane ma allo stesso tempo sembrava così pieno di esperienze e vissuto. Avrei voluto davvero saperne di più su di lui, ero pronta a porgergli qualche domanda, quando però ci gelammo sul posto per la seconda volta.
“Harry, dove siete finito?” sentimmo una voce rimbombare al di fuori della camera.
Il ragazzo che avevo di fronte cominciò ad agitarsi e lo stesso feci anch’io, mi indicò di restare in silenzio prima di mostrarmi una piccola porticina nascosta da una tenda verde bottiglia.
“Prendete questa” disse poggiandomi in mano una chiave “Aprite quella porta ed entrateci, vi porterà in biblioteca. Aspettatemi lì” spiegò spingendomi verso di essa.
Feci come mi aveva detto e quando la serratura scattò, mi ritrovai di nuovo in quel luogo gremito di libri. Avanzai di qualche passo prima di ritrovarmi di nuovo fronte a fronte con la parete bianca. Sospirai ed aspettai spazientita il ritorno di Harry, quel posto a dirla tutta non sembrava poi così male, mi guardai intorno e mi avvicinai ad uno degli scaffali su cui erano posti alcuni libri illustrati. Uno in particolare mi catturò, aveva la copertina rossa e su di essa ci era disegnata una corona, lo presi e cominciai a sfogliarne le pagine, ma fui interrotta da quella soave voce che mi fece vibrare la schiena.  
“Vi piace?” sentii.
Mi voltai di scatto e sorrisi vedendo Harry in tutta la sua bellezza.
“Prendetelo, forse vi aiuterà a capire meglio dove vi trovate. E’ stato scritto dalla mia famiglia molti anni fa” spiegò avvicinandosi “Spero vi possa incuriosire, come ha incuriosito me” sussurrò con la sua voce roca.
Restai ad ascoltarlo per tutto il tempo, e pensai che se fosse stato del mio secolo ci avrei fatto sicuramente un pensierino.
“Grazie” dissi solamente “Ora devo proprio andare, i miei genitori si staranno chiedendo che fine abbia fatto” affermai cominciando a posizionarmi davanti al muro “Comunque ti prego puoi darmi del tu? Mi sento davvero in imbarazzo quando parli in quel modo strano” esclamai facendolo ridere.
“Ma certo. Se questo è il tuo volere” disse alzando le spalle.
Gli sorrisi di nuovo mentre lo vidi fare qualche passo indietro per permettermi di correre e saltare.
“Prometti che ritornerai” esclamò facendomi voltare verso di lui.
Lo guardai intensamente negli occhi prima di stringere il libro tra le mani.
“Lo prometto” affermai prendendo la rincorsa e tuffandomi nel muro.

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Capitolo 6
*** 6 ***


Londra 2018

Andare a scuola dopo gli avvenimenti di quegli ultimi due giorni non era proprio nei miei piani. Ma quella mattina mi costrinsi ad alzarmi, a vestirmi e a scendere al piano di sotto con la lentezza di un bradipo. Quando feci capolino dalla porta della cucina, la mamma mi salutò con un mezzo sorriso mentre papà continuò a leggere il suo giornale.

"Buongiorno è" dissi andandomi a sedere.

Mi versai un bicchiere di succo al mirtillo, e presi una fetta di pane tostato su cui ci spalami del burro. In quegli ultimi giorni avevo mangiato molto poco, tanto che mi ingozzai come un maiale sotto lo sguardo accigliato di papà, che si era finalmente deciso a mettere giù quei fogli di carta.

"Ho saputo del tuo viaggetto" esclamò mettendosi una mano sotto al mento.

Quella semplice frase mi bastò per cambiare colorito, diventai bianca come un cadavere e non mi mossi più. Come era venuto a sapere del mio salto nel passato? Credevo si esser stata molto attenta e discreta.

"Di cosa parli?" chiesi pulendomi la bocca.

La mamma venne a sedersi accanto a me e prese a mangiare una delle sue barrette dietetiche, quelle che di dietetico non avevano proprio nulla.

"La mamma, mi ha detto che ti ha vista scendere dalla soffitta, cosa ci facevi li?" esclamò togliendosi gli occhiali che portava sul naso, gli stessi che indossava solo perché lo facevano sentire figo.

"Avevo solo sentito un rumore, te l'ho già detto" affermai voltandomi verso quest'ultima.

Cosa stavano cercando di ottenere sottoponendomi a quella sorta di interrogatorio? Non gli avrei mai detto la verità, non questa volta. Non quando avrei scavato dappertutto pur di ritrovare Abel.

"Beh visto che la tua stanza si trova proprio lì sotto, abbiamo pensato che forse sarebbe meglio se tu cambiassi e andassi a dormire nella camera di tuo fratello. Che ne dici?" esclamò la mamma poggiando una sua mano sulla mia.

Aggrottai le sopracciglia e mi ritrassi dal suo tocco fastidioso. Avevano fiutato qualcosa di strano e stavano cercando in tutti i modi di allontanarmi dalla soffitta. Ma non ci sarebbero riusciti.

"Dico che la mia stanza va più che bene, ed ora se volete scusarmi sono in ritardo" dissi frettolosamente alzandomi dal mio posto.

Mi diressi in soggiorno, presi le mie cose ed uscii da quella casa.Promettendo che da quel momento in poi avrei operato in modo ancora più silenzioso e cauto. Mamma e papà sospettavano qualcosa, ed io avrei fatto di tutto per far cadere tutti i loro sospetti.

xxx

La London high school la odiavo così tanto che mi ci volle un quarto d'ora buono, per varcare quei cancelli scrostati di pittura. Quando entrai in quell'inferno, mi diressi a passo svelto verso il mio armadietto, lo aprii e ne ritrassi i libri che mi sarebbero serviti per la lezione di geometria, li riposi nello zaino e chiusi l'anta di metallo con un certo nervosismo. Quella conversazione insolita con i miei genitori mi aveva davvero scombussolata.

"Ciao Sky" sentii poi alle mie spalle.

Mi voltai per ritrovarmi di fronte Paige col suo solito sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Un giorno o l'altro mi sarei fatta spiegare il perché di tutta quella felicità di lunedì mattina, ma non quel giorno, non con le cose che stavano occupando la mia mente.

"Ciao Paige, come stai?" dissi scuotendo i miei capelli.

Io e lei eravamo amiche da quasi tutta la vita, ma avevamo un rapporto un po' strano. Non eravamo di certo quel tipo di amiche che passa il fine settimana a truccarsi o a parlare di ragazzi, eravamo più quel tipo di amiche che non si sentono mai, ma che ci sono sempre nei momenti di bisogno. E a me stava bene così.

"Molto bene, dai andiamo che stiamo facendo davvero tardi" esclamò lei trascinandomi per un braccio.

Alzai gli occhi al cielo e la seguii in aula dove mi stava aspettando una bella verifica a sorpresa.

Xxx

A mensa cercai di distrarmi il più possibile e di non ripensare a quanto la mia vita avesse assunto una visione differente in quegli ultimi due giorni, ma proprio non ci riuscii. Abel mi mancava tantissimo e in quei due anni avevo sempre pensato che fosse sepolto in quel cimitero tetro, invece adesso sapevo fosse vivo e disperso chissà dove. 

"Hey terra chiama Sky"

Vidi una mano sventolarmi dinanzi agli occhi e mi ripresi dal mio stato di trance. Zayn era lì di fronte a me col suo maglioncino beige e i suoi pantaloni verde militare.

"Oh ciao, scusa ero solo sovrappensiero" esclamai intingendo la forchetta in quella sottospecie di polpettone, che mi disgustò.

Lui mi sorrise e si mise a sedere accanto a me. Zayn lo avevo conosciuto al primo anno durante una lezione imbarazzante di educazione fisica e da quel giorno non ci eravamo separati per un solo istante. Non stavamo propriamente insieme, ma il resto della scuola ci aveva etichettati come coppia, e a noi stava bene cosi. Aveva gli occhi scuri, i capelli neri ed una carnagione dal colore insolito, oltre ad  un fisico mozzafiato e a qualche tatuaggio qua e là.

"Non ti sei fatta sentire per tutto il weekend" disse addentando il suo panino.

Mi voltai verso di lui e lo fissai male, sapeva quanto odiassi quelle stupide feste che organizzava la sua squadra di football, ma puntualmente cercava di convincermi ad andarci.

"Avevo altro da fare" esclamai alzando le spalle.

Si fermò col panino a mezz'aria e sorrise di sbieco.

"Quest'altro da fare è più importante di me?" chiese semplicemente regalandomi la sua espressione da ragazzetto figo.

Sbuffai notevolmente scocciata ed allontanai il vassoio che avevo davanti.

"Si ovvio. Ti ricordo che non stiamo insieme" feci per alzarmi "Lasciami in pace" dissi per poi voltarmi ed andare via.

Quanto sarei voluta tornare da Harry, in quel posto dove nessuno mi conosceva.

Londra 1887

Ero in camera mia a sfogliare quel preziosissimo diario che avevo trovato in biblioteca, quando sentii dei colpi alla porta. Mi alzai di scatto ed adagiai frettolosamente quel quaderno in un cassetto prima di far scattare la serratura. Con mio grande stupore mi ritrovai dinanzi il mio migliore amico, con un sorriso a trentadue denti e le mani conserte dietro la schiena.

"Buon pomeriggio Harry, come state?" chiese porgendomi la mano.

Gliela strinsi e sorrisi anch'io, ci conoscevamo da così tanto tempo che potevo considerarlo quasi come un fratello, era l'unico di cui mi potessi fidare.

"Ciao Liam, sto molto bene e voi? Esclamai legandomi i capelli in una coda.

Mi rispose con un cenno d'assenso prima che ci avvolgesse una sorta di silenzio imbarazzante. Non mi era mai capitato di non saper cosa dire, soprattutto a Liam, ma quel giorno preferii starmene zitto soprattutto dopo aver scoperto tutte quelle cose insolite.

"Che dite di andare a fare una passeggiata in giardino?" Propose indicando il corridoio posto alla sua destra.

Forse prendere un po' d'aria fresca non mi avrebbe fatto male, anzi sperai mi schiarisse le idee che in quegli ultimi giorni erano abbastanza confuse. Giungemmo nel cortile del mio palazzo qualche minuto dopo, ed un fresco vento mi smosse i ricci che stavo tentando di tenere legati con un nastro. Camminammo beandoci dei colori di quei fiori che tra qualche mese sarebbero appassiti e ci fermammo su una delle panchine da cui si poteva vedere un lato della biblioteca, forse proprio quello in cui c'era quel muro che comunicava col futuro.

"I miei genitori mi hanno fatto conoscere una fanciulla" esclamò d'un tratto il mio amico diventando serio. Io aggrottai le sopracciglia e gli diedi una pacca sulla spalla, sapevo quanto stesse soffrendo e vederlo in quello stato mi fece stringere il cuore.

"Amico mio, bisogna saper ricominciare ricordatelo" Dissi guardando davanti a me.

Aveva perso la sua promessa sposa, qualche mese prima, a causa di una forte broncopolmonite e da quel giorno la sua vita era profondamente cambiata. Sapevo molto bene cosa stesse provando, ci ero già passato anch'io. Judith era tutta la mia vita, ed in un attimo era diventata solo un ricordo, mi mancava, forse troppo.

"Judith sarebbe fiera dell'uomo che siete diventato Harry" Disse lui voltandosi verso di me "E poi da quando parlate in modo strano? Mi avete appena dato del tu" esclamò alzando un sopracciglio.

Sorrisi e scossi la testa, quella piccola donnina del futuro mi aveva completamente fatto uscire fuori di testa. Ma mi piaceva tanto.

"Liam tra amici si usa, vogliamo evolverci o no?" chiesi alzandomi.

Fece lo stesso anche lui e si mise di fronte a me.

"E allora evolviamoci Harry" disse stringendomi in un abbraccio.

Quando ci staccammo però notai un'espressione alquanto strana formarsi sul suo viso, quasi avesse visto un fantasma.

"Harry l'hai visto anche tu?" disse indicando un punto dietro le mie spalle.

Mi voltai di scatto e guardai nelle vetrate della biblioteca da cui giunse un barlume di luce, che si affievolì qualche istante dopo. Skyler.

"Ehm.. sarà solo mio padre, sta progettando non so cosa" biascicai cercando di cambiare argomento.

Lui mi guardò poco convinto, ma poi alzò le spalle ed incrociò le braccia dietro la schiena.

"Beh, io devo proprio andare. Ci vediamo presto Harry" esclamò dandomi una pacca sulla spalla.

Io annuii e lo vidi allontanarsi a passo svelto,non appena svoltò l'angolo presi una rincorsa che mi fece mancare l'aria, percorsi il corridoio fino ad arrivare alle porte della biblioteca che aprii con una certa fretta. Mi catapultai nella sezione proibita, e fu lì che il mio cuore perse una serie di battiti, Skyler era a terra priva di sensi e con una ferita alla testa. 

 

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