Tutte le Forme del Male di _Joanna_ (/viewuser.php?uid=539983)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Verità ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Novità ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - Ritorno a Hogwarts ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Sorprese ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV - Sintomi ***
Capitolo 6: *** Capitolo V - L'Arma ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI - Il Patto ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII - Successi e Fallimenti ***
Capitolo 1 *** Prologo - Verità ***
1.1
Nota dell'Autrice
Questa
è stata la prima fanfiction che ho scritto, nel lontano 2014 e
sviluppa uni dei più famosi clichè del
fandom Potteriano, clichè reso poi canonico dalla stessa
Rowling. Spero, tuttavia, di aver reso il mio personaggio comunque un
po' interessante e sarei lieta di ricevere i vostri feedback.
Piccolo avvertimento: il
suddetto personaggio è lievemente sociopatico,
una precisazione, questa, che ritengo necessario premettere.
Intanto, vi ringrazio per il vostro tempo.
Jo
:
.
Prologo
.
Verità
.
«Fai attenzione» gli disse, accarezzandogli delicatamente il braccio.
Non sapeva spiegarsi il perché, ma provava un acuto senso di
angoscia, anzi diciamo anche di puro terrore, come se stesse per
accadere qualcosa di tremendo che lei sentiva di non poter evitare.
«Io faccio sempre attenzione» le rispose lui, con una
smorfia divertita «A dopo» aggiunse, sfiorandole le labbra
in un veloce e timido bacio.
Megan non voleva lasciarlo andare così; gli afferrò il
braccio e lo attirò a sé, incurante del rumore della
folla che si stava avvicinando.
«Non mi interessa che tu vinca, per me sei già tu il
Campione, lo sai?» gli disse, seria. Cedric sorrise e la
baciò di nuovo, prima di allontanarsi lungo il sentiero ombroso
che portava allo stadio.
Megan lo seguì con lo sguardo, quindi si avviò verso le tribune insieme agli altri.
Da lassù, vide il suo Cedric entrare nel Labirinto Incantato, il
volto teso che si illuminava in un ultimo sorriso, solo per lei, prima
che le alte siepi si chiudessero attorno a lui.
«Cedric vincerà, ho scommesso cinque galeoni su di lui» affermò suo fratello William, convinto.
«Anche Krum ha buone possibilità» obiettò
George, accogliendo una puntata dell'ultimo minuto da un Corvonero del
sesto anno «Ottima scelta, amico mio» approvò poi.
«Abbiamo il vincitore!» esclamò d'un tratto Silente, solenne.
Le siepi si riaprirono e sulle tribune si scatenarono cori e boati di
approvazione, mentre la banda riprendeva a intonare quell'irritante
motivetto allegro.
Ma Megan non li udiva.
Le sue peggiori paure, la cui esistenza lei non sapeva spiegare nemmeno a se stessa, si erano avverate.
Si precipitò giù dagli spalti, dove i festeggiamenti
continuavano frenetici; nessuno si era ancora accorto che c'era
qualcosa di mortalmente sbagliato nel modo in cui il corpo di Cedric
giaceva sul prato.
Un urlo, il suo, fece tacere gli strumenti e mise fine al sogno.
Megan si svegliò nel suo letto, sudata e stremata.
I primi raggi del sole tracciavano sottili lame di luce sul pavimento della sua camera.
Megan si mise a sedere, cercando disperatamente di scacciare quelle immagini tremende dalla sua testa.
Era passato un mese da quella notte terribile, eppure l'orrore che provava era sempre lo stesso.
E forse, pensava Megan, era giusto che fosse così.
*
A qualche decina di chilometri di distanza, Cedric era il protagonista del sogno di un altro.
Harry Potter si svegliò urlando, le lenzuola aggrovigliate
intorno alle gambe e al petto, come le spire di un serpente strette
attorno alla preda.
Mancava poco all'alba e a un nuovo, noioso giorno in casa Dursley.
*
Megan non credeva di riuscire a riprendere sonno dopo quell'incubo,
invece, quando aprì gli occhi, vide che il sole aveva inondato
di luce la sua camera; la calura estiva, dopo la tregua notturna, era
tornata ad opprimere i cieli di mezza Inghilterra.
Cacciò via con rabbia le lenzuola e si alzò, rischiando
di inciampare su uno dei libri di magia che aveva dimenticato sul
pavimento la sera prima.
“Al diavolo” pensò, agguantando la bacchetta, che aveva lasciato sul comodino.
La legge ministeriale imponeva che ai minorenni non fosse concesso
usare la magia fuori dalle mura di Hogwarts; tuttavia, chi viveva in
una famiglia di maghi poteva godere di qualche libertà: il
Ministero, infatti, dal momento che poteva solo localizzare gli
incantesimi, ma non individuarne l'autore, e non potendo di certo
vietare a maghi e streghe adulti di farne uso, doveva raccomandarsi ai
genitori affinché la legge venisse rispettata.
I suoi genitori vigilavano attentamente, ma ogni tanto a Megan e a suo
fratello William era concesso uno strappo alla regola.
Essendo sola in quel momento, Megan agitò la bacchetta e
lanciò un semplice incantesimo di levitazione, facendo atterrare
i libri su uno scaffale.
Terminata l'operazione, Megan ripose la bacchetta sul comodino, quindi si diresse verso l'armadio e lo aprì.
Il disordine che vi regnava avrebbe fatto impallidire chiunque: nel
ripiano in basso, vecchi libri e strumenti erano ammassati l'uno
sull'altro, senza riguardi; appesi alle grucce, mescolati tra loro,
c'erano gli abiti Babbani, le divise scolastiche e alcuni vecchi
abitini dal taglio formale.
Megan rovistò un po' in quella confusione, finché non
trovò quello che stava cercando: una semplice camicia di lino,
molto fresca, e un paio di pantaloncini di jeans chiari; indifferente
al disordine ulteriore che aveva causato, richiuse l'armadio, quindi
scelse la biancheria intima e andò in bagno per lavarsi e
cambiarsi.
Quando scese di sotto per fare colazione, erano ormai le nove e trenta passate.
«'Giorno» salutò, entrando in cucina.
«Oh, buongiorno tesoro» le rispose sua madre; era in piedi
davanti alla finestra e per lei quello sembrava essere tutto tranne che
un giorno buono.
Megan non vi badò e si diresse verso la credenza.
«Vuoi che chiami Ellie per farti preparare qualcosa?» le chiese sua madre.
«No, grazie. Prenderò solo un caffè» rispose lei, riempiendo la tazza con il bollente liquido scuro.
«Sicura?» insistette «Ieri sera non hai quasi toccato
cibo e hai del tutto saltato il pranzo, dovresti mangiare almeno
qualcosa».
«No, sto bene così» rifiutò di nuovo.
In effetti, però, sua madre aveva ragione: da quando era tornata
a casa per le vacanze, Megan era dimagrita molto; passava gran parte
delle sue giornate chiusa in camera, a leggere e studiare i libri di
incantesimi che aveva chiesto in prestito ad alcuni ragazzi di
Durmstrang, e, quando scendeva, non restava mai molto tempo in
compagnia della sua famiglia, né di chiunque altro.
Ora, quando si osservava allo specchio, doveva constatare che quello
non rifletteva più l'immagine a cui lei era abituata: non vedeva
più la ragazza vivace e solare che era sempre stata, ma una
ragazzina taciturna e insicura. I lunghi capelli, neri e lisci,
incorniciavano un viso pallido, dalle guance scavate, e gli zigomi alti
e appuntiti mettevano i risalto due grandi occhi grigio-azzurro,
cerchiati da pesanti occhiaie e adombrati da un costante velo di
malinconia.
La morte di Cedric l'aveva devastata, e in lei era rimasto un solo
desiderio a darle sostegno: la vendetta. Aveva scritto ad alcuni
ragazzi di Durmstrang, con cui aveva fatto amicizia nell'ultimo anno,
per farsi spedire i loro libri di Magia; da quel punto di vista, la
scuola del Nord andava decisamente controcorrente: lì, infatti,
gli insegnanti non si limitavano a fare apprendere ai loro studenti
sciocche formule di difesa, ma veri e propri Incantesimi Oscuri. Megan
aveva deciso di impararli, anche se, per il momento, non aveva la
possibilità di fare pratica: pur potendo fare, di quando in
quando, qualche magia fuori da Hogwarts, era piuttosto sicura che
lanciare un qualche Sortilegio Oscuro in casa avrebbe fatto allarmare
il Ministero; perciò, era costretta a limitarsi alla sola teoria
e, per il momento, questo era abbastanza.
«Dov'è Will?» chiese a un tratto Megan, accorgendosi solo allora dell'assenza del fratello.
«È andato dai Weasley» rispose sua madre, che aveva ripreso a fissare l'orizzonte.
“Ah, già” pensò, ricordandosi di quella
visita programmata da settimane; William aveva insistito perché
andasse anche lei, ma Megan aveva rifiutato.
«Sono una Serpeverde» aveva detto una volta, quando William aveva cercato di nuovo di convincerla «Non vorrei mai essere
accusata di spionaggio mentre voi Grifondoro vi allenate per il
Campionato».
Quella era stata solo una delle decine di scuse che aveva trovato per declinare l'invito, non troppo spontaneo, dei Weasley.
All'improvviso, Megan udì l'inconfondibile crepitio delle
fiamme: qualcuno aveva appena usato la Metropolvere per Materializzarsi
nel loro salotto.
«Non può già essere tornato» mormorò sua madre, che era sbiancata di colpo.
«Chi, Will?» chiese Megan, senza ottenere risposta.
Un attimo dopo, suo padre comparve sulla soglia della cucina.
Aveva un'aria stanca, come di uno che non fa una dormita decente da settimane; sua madre gli andò incontro, pallidissima.
«Com'è andata?» chiese con un filo di voce.
Megan seguiva la scena preoccupata: non aveva mai visto i suoi genitori in quello stato.
«No» mormorò sua madre un attimo dopo, come se il silenzio le avesse appena dato la peggiore delle risposte.
«Che succede?» riuscì a chiedere Megan, incontrando
lo sguardo sconsolato di suo padre e quello angosciato di sua madre.
Dopo un lungo istante, finalmente suo padre parlò «Megan, c'è una cosa che devi sapere»
«No, non se ne parla!» esclamò sua madre, interropendolo.
«Non abbiamo scelta, Kate, deve saperlo» ribatté lui, con convinzione.
«No, assolutamente no, è troppo presto!» protestò l'altra.
«Sapere che cosa?» chiese Megan, con una nota di panico
nella voce; si sentiva confusa e il comportamento dei suoi genitori, di
solito sempre calmi e riflessivi, la spaventava.
«La verità Megan» rispose suo padre, avviandosi verso il salotto, seguito dalla moglie.
Megan, abbandonato il suo caffè, non ebbe altra scelta che imitarli.
«Vincent, ti prego» ripeté per
l'ennesima volta sua madre, ignorando deliberatamente il marito che le
faceva segno di accomodarsi su una delle grandi poltrone del salotto.
Suo padre si posizionò in piedi davanti al camino. Voltava loro
le spalle, e si tormentava il polsino della camicia; era un gesto che
Megan gli aveva visto fare spesso, quando c'era qualcosa che lo
preoccupava o lo innervosiva.
Dopo un lungo silenzio, rotto soltanto dai respiri affannosi di sua madre, suo padre riprese a parlare.
«Devi sapere che noi, io» precisò «non sono
sempre stato l'uomo che sono oggi. Avevo fatto una scelta, di cui mi
sono pentito presto, di cui mi vergogno in ogni momento»
Megan, che era stata quasi costretta a sedersi sul divano, pendeva dalle sue labbra.
«Devi capire che a quel tempo ero giovane, pieno di idee stupide.
Ero ambizioso e arrogante e le mie amicizie … Non cerco
giustificazioni, ma devi capire che in certi momenti si fanno scelte
sbagliate, che si rimpiangono amaramente in seguito».
«Papà» lo interruppe Megan, stanca di quei giri di
parole «Mi stai dicendo che hai fatto una cosa sbagliata da
giovane, quale?» lo esortò, temendo la riposta.
Suo padre trasse un lungo respiro «Mi sono unito al Signore
Oscuro» disse infine, in tono grave; slacciò i bottoni del
polsino sinistro e tirò su la manica, scoprendosi l'avambraccio:
un grosso tatuaggio, nero e spettrale, pulsava sinistramente.
Era il Marchio Nero.
Megan represse un gemito. Si alzò lentamente, avvicinandosi a quella cosa che sembrava dotata di vita propria, per esaminarla.
«Quando incontrai tua madre, ero già diventato un
Mangiamorte» riprese a raccontare lui, scoccando un'occhiata alla
moglie, che finalmente aveva preso posto sulla poltrona più
vicina, lo sguardo basso e l'aria sconfitta.
«Lei non condivideva le mie idee e, dopo poco tempo, mi accorsi
che neanche io mi riconoscevo più in quegli ideali. Ci
innamorammo, ci sposammo, ma non potevamo avere una vita, non
così» continuò «Non si può smettere di
essere un Mangiamorte» spiegò «L'unico modo per
sciogliersi dal giuramento è pagare con la vita»
«Poi, un giorno, il Signore Oscuro venne da me. Mi disse che
dovevo andarmene, lasciare l'Inghilterra e dire a tutti che Lui mi
stava dando la caccia. Era una cosa credibile, perché già
allora occupavo una posizione di rilievo al Ministero. Voleva che lo
servissi in quel modo e mi disse che, un giorno, forse, avrei saputo il
perché».
Fece una pausa, come per raccogliere le idee prima di continuare; la
parte peggiore di quella confessione a tre, dunque, non era ancora
arrivata.
«Per me quella era un'occasione unica. Potevo sfuggire al suo
controllo e con il suo permesso per di più. Così feci
come mi aveva ordinato, simulai un attacco in casa nostra e con tua
madre lasciammo il Paese. Silente stesso ci offrì protezione per
la fuga. Arrivammo in Francia e lì aspettammo. Passò un
mese, poi tre, un anno e niente. Sperai che il Signore Oscuro si fosse
dimenticato di me, del nostro accordo, ma non fu così. Una
notte, dopo più di due anni di esilio, si presentò alla
porta un Mangiamorte. Non lo conoscevo, doveva essere una nuova
recluta, dal momento che non poteva avere più di diciotto anni.
Mi disse che il Signore Oscuro era stato sconfitto e che se n'era
andato, ma che sarebbe ritornato presto, e allora avrebbe voluto
raccogliere i frutti di ciò che gli avevo promesso. Dovevo
onorare il mio giuramento, mi disse, e così» si
fermò, sospirando «Così mi consegnò
voi».
Tacque.
Megan guardò suo padre confusa.
«Noi?» chiese, cercando una risposta nello sguardo avvilito
di suo padre e in quello terreo di sua madre, che aveva cominciato a
piangere.
«Sì, tu e tuo fratello» rispose alla fine suo padre.
«Che significa?» chiese; la risposta era fin troppo
evidente, ma Megan non voleva crederci, aveva un disperato bisogno di
sentirsi dire che non era vero, che quelli che aveva davanti erano i
suoi veri e unici genitori.
«Noi non siamo i vostri veri genitori» dichiarò
invece suo padre, o meglio, a questo punto, l'uomo che si era
professato come tale fino a quel momento.
«Ma-» cominciò Megan, senza riuscire a pronunciare la domanda che sapeva di dover fare.
Chi allora? E perché glielo stavano dicendo in quel momento, e solo a lei poi?
«Tesoro, è meglio che ti sieda» disse sua madre,
parlando per la prima volta da quando suo padre aveva cominciato a
raccontare.
Megan non l'ascoltò nemmeno, aspettando che suo padre
continuasse, ma lui taceva ancora. Era tornato a darle le spalle, le
braccia tese sulle mani appoggiate al camino, lo sguardo fisso sulla
cenere fredda.
«Tua madre era una Veela, Megan» disse alla fine, dopo quel
silenzio teso ed eterno «Ed era stata destinata a un uomo, a...» si interruppe «a Lui».
Quando ebbe pronunciato quell'ultima parola, “lui”, fu come
se qualcuno l'avesse trafitta con mille stilettate velenose.
«Vuoi dire che-» riuscì a dire alla fine, ritrovando
chissà come la voce che credeva ormai persa per sempre
«Che Voldemort è il mio vero padre?»
«Sì».
Altre stilettate.
Megan sentì la vista offuscarsi e le gambe sembravano essere diventate molli e pesanti.
Trovò a tentoni il bracciolo del divano e vi si lasciò cadere.
Voldemort era suo padre.
Voldemort, quel demonio, quel mostro ripugnate, quell'essere malvagio e crudele era suo padre.
Voldemort, che aveva ucciso il suo Cedric, e innumerevoli altri innocenti, era suo padre.
Senza neanche accorgersene, Megan si scoprì a ridere.
I suoi genitori, o meglio, le persone che lei aveva sempre considerato
tali e che l'avevano cresciuta, la stavano osservando preoccupati.
«Megan…» cominciò sua madre, ma lei la
interruppe subito, sforzandosi di controllare quella risata isterica
che doveva certamente suonare inquietante «Ok, molto
divertente» disse, ironica.
«Tesoro, è…» cominciò sua madre «È la verità, tesoro».
«D'accordo allora! Mio padre è Voldemort e mia madre
è, che cosa avete detto, una Veela?» ricapitolò.
«Amore…»
«No, no, sto bene, davvero» ghignò Megan
«È semplicemente assurdo, tragicamente assurdo, ma va
bene».
«Non è tutto» disse suo padre.
«Oh ma davvero?» chiese Megan, sarcastica «Che altro
mi avete tenuto nascosto? Vediamo, mio fratello non è mio
fratello, e quello vero se l'è tenuto Voldemort? O
chessò, sono imparentata con qualche altro assassino o-?»
«Vuole incontrarti» disse suo padre, semplicemente.
Di nuovo, Megan sentì il desiderio bruciante di ridere. Questa
volta riuscì a trattenersi e chiese «Incontrarmi?
Perché, vuole giocare a fare il padre? E Will, viene con
noi?»
Suo padre ignorò il suo tono e rispose «Non vuole
tuo fratello, ha fatto domande e ha deciso che sei tu quella che gli
interessa».
«Ma davvero?» ripeté. Sentiva l'odio e la rabbia, a
lungo covati in quelle settimane, esploderle dentro «Gli
interesso? Mi dispiace allora, perché io non provo alcun
interesse per lui».
«Non possiamo-» stava ribattendo suo padre, quando si
intromise sua madre «Vince, non puoi costringerla, e neanche lui,
è troppo giovane».
«Non è questione di essere giovani, non voglio vederlo» ribatté Megan.
«Lo so che è giovane e lo sa anche lui» disse suo
padre «Vuole solo accertarsi di chi e che cosa sia diventata, non
pretenderà che si unisca a lui o altro, vorrà solo
vederla e mi ordinerà di addestrarla nelle Arti Oscure, me l'ha
assicurato».
«Oh bé, se te l'ha assicurato!» sbottò sua madre, ancora pallida, ma risoluta.
«Non mi importa, non ci andrò» continuava a ripetere Megan, stranamente calma.
«Sarà solo per questa volta, poi, a tempo debito, diremo tutto a Silente e lui ci aiuterà».
«Se proprio insisti va bene!» dichiarò alla fine
Megan «E gli dirò esattamente quello che sono e che
penso».
«Megan, non dirai sul serio!» esclamò sua madre, allarmata.
«Certo» assicurò Megan «Piuttosto che unirmi a
lui preferisco morire!» concluse e, ignorando le grida di sua
madre che cercava di richiamarla, corse a chiudersi in camera sua.
Per tre giorni, Megan rimase rinchiusa tra le quattro pareti della sua stanza.
I suoi genitori, dopo qualche debole tentativo, avevano deciso di lasciarle il tempo e lo spazio che le servivano.
Ellie, l'Elfa Domestica di famiglia, si Materializzava in silenzio
nella sua camera per portarle da mangiare e ritirare i piatti che Megan
lasciava, quasi intonsi, sulla scrivania.
All'alba del quarto giorno, Megan, che aveva passato le ultime ore
sveglia a riflettere, prese la sua decisione: avrebbe riposto per
l'ultima volta la sua fiducia in quelli che aveva creduto essere i suoi
genitori. Dopotutto, non aveva altra scelta.
Quando scese di sotto, li trovò in cucina, seduti a parlare davanti a una tazza di tè nero.
«Non possiamo più aspettare, Kate» stava dicendo suo padre «Vuole una riposta».
«E l'avrà» lo interruppe Megan, entrando.
Sua madre balzò in piedi e si avvicinò a lei, per
abbracciarla. Lo sguardo gelido che Megan le rivolse le fece cambiare
idea.
«Lo incontrerò e mi mostrerò timida e sorpresa, per niente ostile, va bene?» chiese, in tono di sfida.
Suo padre annuì, quindi si alzò e lasciò la stanza.
«Sarà meglio prepararsi» disse sua madre, dopo un
momento; Megan la seguì docile, sperando di aver preso la
decisione migliore.
*
«Ci sta aspettando» disse suo padre, raggiungendole in fondo alle scale.
Si era cambiato d'abito: ora indossava un completo nero e, drappeggiato
sulle spalle larghe, quello che Megan intuì fosse il Mantello
dei Mangiamorte.
Sua madre, invece, aveva scelto un bell'abito lungo, verde pino, mentre
Megan aveva alla fine optato per un semplice tailleur pantalone.
Con un cenno di assenso, tutti e tre si diressero verso il salotto.
«Andrò prima io, tu mi seguirai subito dopo» le disse suo padre, entrando nel camino.
Afferrò la Metropolvere e declamò «Villa
Malfoy»; con un ruggito, le fiamme verdi si accesero e lo
inghiottirono
Megan, per nulla sorpresa di quella destinazione, attese qualche istante, quindi ripeté gli stessi gesti.
“Fa che vada tutto bene” si ritrovò a pensare,
mentre il turbine verde la trasportava lontano, facendole roteare
davanti centinaia di camini dai mille colori; Megan sarebbe entrata
volentieri in uno qualsiasi di quelli.
Alla fine la sua folle giravolta terminò e Megan atterrò
incerta sul tappeto bruciacchiato davanti al camino dei Malfoy.
Pochi attimi dopo, anche sua madre li raggiunse.
Dalla penombra della stanza, emerse la sagoma di un uomo, e fu solo
quando la luce delle candele illuminò il suo viso che Megan lo
riconobbe: Peter Minus, basso e grassoccio, si rivolse a loro con fare
untuosamente deferente «Ben arrivati, signor Parker,
signora» salutò affabile con la sua vocetta fastidiosa
«Seguitemi» squittì, precedendoli sulla soglia e
facendo loro strada lungo il corridoio, alcune rampe di scale e altri
due corridoi.
Megan era stata molte volte a Villa Malfoy, dal momento che Lucius era
il cugino di suo padre. Lei e Draco, il figlio di Lucius, erano
praticamente cresciuti insieme, tanto che, se non fosse stato per
l'incredibile somiglianza che legava Megan al suo gemello, si sarebbe
detto che erano loro due i fratelli e William l'amico.
Tuttavia, ora che si ritrovava a percorre quei corridoi che conosceva tanto bene, Megan si sentiva un'estranea, un'intrusa.
«Aspettate qui» disse Minus, una volta che ebbero raggiunto
il grande atrio. Di solito, Megan non mancava mai di notare lo sfarzo
di quel luogo, arredato con il gusto finissimo di Narcissa; tuttavia,
in quel momento, le pareva più tetro di una cattedrale
abbandonata, buio e umido.
Codaliscia si era allontanato e si era fermato davanti alla porta del
salone; bussò tre volte, quindi socchiuse l'uscio e
sgattaiolò dentro.
Pochi istanti dopo ne uscì trafelato, come se avesse appena corso una maratona, o ricevuto il peggiore degli spaventi.
«Potete entrare adesso» disse agitato.
Suo padre le fece cenno di precederlo, quindi, con un ultimo sguardo di
raccomandazione, abbassò la maniglia di bronzo della porta e
l'aprì per lei.
Il salone di villa Malfoy era, come il resto della dimora, immenso.
Il grande camino di marmo era spento e l'unica luce proveniva dai
quattro grandi candelabri a muro, appesi agli angoli della sala.
Al lungo tavolo, riccamente decorato, erano sedute alcune persone, per
lo più sconosciute; Megan riconobbe solo Lucius e Narcissa
Malfoy, Dwayne Tiger e Magnus Goyle.
Al capo opposto del tavolo, ammantati dalle tenebre, un paio di occhi rossi la stavano fissando.
Megan era pietrificata dal terrore.
Con lentezza esasperante, Voldemort si alzò in piedi e avanzò.
Mentre si avvicinava, la luce delle candele danzava tra le pieghe del
suo mantello, risalendo l'alta, snella figura del Signore Oscuro,
finché non illuminò il volto più orrendo che Megan
avesse mai visto.
Più simile a un teschio animalesco che a un viso umano, con la
pelle bianca e sottile, quasi trasparente, Voldemort era il ritratto
della Morte. Al posto del naso, c'erano due sottili fessure, come le
narici di un serpente, e le labbra erano inesistenti.
«Benvenuti» alitò Voldemort, in tono che voleva
sembrare suadente, ma che invece era solo raccapricciante
«Vincent, Katherine, accomodatevi» continuò,
indicando con le lunga dita pallide due sedie lì accanto.
«E tu, mia cara, devi essere Megan» riconobbe.
Al sentir pronunciare il suo nome, Megan sentì il sangue gelarsi nelle vene.
«Mi devo congratulare con voi, amici miei» continuò,
rivolgendosi di nuovo ai suoi genitori, che nel frattempo avevano preso
posto.
«Vi siete presi cura di lei molto bene, vedo. E, avevi ragione
Lucius, è bellissima» disse, ricevendo un cenno di
muto ringraziamento da parte di Malfoy.
All'improvviso, Megan sentì qualcosa sfiorarle le caviglie;
abbassò lo sguardo e vide un lungo, viscido serpente strisciare
sinuoso verso Voldemort.
«Oh, questa è Nagini» spiegò il Signore Oscuro, accarezzando dolcemente l'enorme testa della serpe.
«E lei» continuò poi, rivolgendosi a Nagini «lei è Megan, la mia deliziosa figlia».
Alcuni mormorii di inquieta ammirazione percorsero la sala. Un attimo
dopo, Megan capì il perché: Lord Voldemort aveva appena
parlato in serpentese.
«E ora, perdonami cara, ma non sono molto pratico di queste
cose» continuò, tornando alla lingua normale «Dovrei
abbracciarti, suppongo?» chiese, e così facendo, sorrise
in modo orribile, allargando le braccia.
Megan, che destava anche solo l'idea di sfiorare quel mostro ripugnante, fece un passo indietro.
«Capisco, forse è troppo presto» aggiunse Voldemort,
che non sembrava per nulla dispiaciuto della sua mancata dimostrazione
di affetto,
In quel momento Megan provò un odio bruciante e parlò, per la prima volta da quando era arrivata.
«Non osare toccarmi» sibilò in serpentese.
Voldemort non si scompose e disse, a sua volta, in serpentese
«Molto bene, mi avevano detto che avevi ereditato questo
dono»
Megan non sapeva che cosa stava facendo.
Si era ripromessa di restare calma, ma quando era entrata in quella
stanza, quando aveva visto quella bestia, quel demonio, tutti i suoi
buoni propositi erano volati via, come foglie al vento, e l'odio verso
quell'essere mostruoso erano divampati dentro di lei, fino a prendere
il sopravvento.
Non sarebbe finita bene, di questo ne era certa.
«Mi avrai anche generata, ma tu non sei mio padre e non provare a
sperare che mi unisca a un relitto ripugnante come te»
continuò.
I Mangiamorte, che non conoscevano la lingua, rimasero in silenzio, cercando di intuire quello che stava succedendo.
Un lampo d'ira balenò negli occhi sanguigni di Voldemort.
«Tutti fuori, voglio restare solo con la mia bambina» ordinò, nella lingua umana.
I Mangiamorte si affrettarono ad obbedire; i suoi genitori, con il
terrore dipinto sul volto, furono gli ultimi a lasciare la sala.
«Molto bene, vedo che hai carattere e la rabbia è uno
strumento utile» disse Voldemort, riprendendo a usare il
serpentese «Anche se preferisco sia diretta verso gli
altri» aggiunse.
«Mi dispiace,» ribatté Megan «non so che cosa
ti aspettassi da questo incontro, ma devo deluderti, non sarò
mai come te»
«Davvero? E che cosa te lo fa pensare?» chiese Voldemort, per nulla impressionato dalle sue dichiarazioni.
«Tu hai ucciso il ragazzo che amavo, pensi davvero che potrei mai perdonare il suo assassino?»
«Ah sì, quell'Eric»
«Cedric!» esclamò Megan, ricacciando a fatica le lacrime.
«Cedric, giusto, un bel ragazzo devo ammetterlo» disse
Voldemort, con noncuranza, «È stato Codaliscia ad
ucciderlo» aggiunse «Se vuoi, puoi avere la sua
testa» le offrì.
«Ti prego!» esclamò di nuovo Megan «Quel ratto
non respira neanche senza il tuo permesso. Lui è stato la mano,
tu hai dato l'ordine» ricostruì.
«Ah, l'amore» sospirò Voldemort, orrendamente
«Troverai qualcun altro, senza dubbio» disse con
semplicità, e insinuò «Pensi sul serio che sarebbe
rimasto con te, pensi che i tuoi amici si fideranno ancora quando
sapranno chi sei veramente?»
Megan, confusa, rimase, suo malgrado, ad ascoltarlo.
«Già, mi hanno detto che sei amica di Potter»
continuò Voldemort «Potter, che invece di affrontare il
suo destino, è scappato via come un codardo, lasciando il tuo
Cedric a morire al suo posto».
«Non è vero!» protestò Megan, ritrovando la voce.
«Come pensi che sia riuscito a sfuggirmi?» chiese e, senza
aspettarsi una risposta, continuò «A sfuggire a me, il
più grande mago di tutti i tempi! Megan,» insistette
«le persone mentono, ingannano e, dietro al più grande
ardimento, si cela sempre la peggiore delle viltà»
spiegò «E poi, avanti, credi davvero che quando
saprà la verità rimarrà al tuo fianco?» le
chiese e, senza darle il tempo di rispondere, proseguì
«No, Potter, e tutti quelli che tu chiami amici, e ogni altro
mago e strega senza un briciolo di ambizione, da codardi quali sono, ti
vedranno come una minaccia, ti escluderanno, e tu che cosa
farai?».
«Non ho scelto io di chi essere figlia, contano le azioni
e-» ribatté Megan, cercando, ormai invano, di opporsi.
«Ah, vedo che Silente è già entrato nella tua bella
testolina e ha fatto i suoi danni» la interruppe subito
«Amore, amicizia, buone azioni, tutte cose inutili secondo me.
È il potere che conta, solo questo. Vuoi davvero passare la tua
esistenza all'ombra degli altri? So come Silente e le sue pecore
trattano noi Serpeverde, scommetto che non c'è stata una sola
occasione in cui qualcuno ti abbia preferita a un pidocchioso
Grifondoro, mai una volta che qualcuno si sia fidato ciecamente di
te» continuò.
Aveva toccato il tasto giusto, lo sapeva, e per questo insisteva.
«Megan, non dirmi che non hai mai desiderato essere al centro
dell'attenzione, avere il rispetto di tutti. Ebbene, te lo devi
prendere, quel rispetto, e io posso aiutarti. Nessuno dubiterà
più del tuo potere, nessuno metterà mai più in
discussione la tua forza. Non ti serve Potter, per il semplice fatto
che tu non servi a lui».
«E se fossi io a dire la verità, e se raccontassi tutto a
Silente? Come pensi la prenderebbe?» lo sfidò. Megan
ancora non lo aveva capito, ma stava reagendo esattamente come
Voldemort voleva
«Fallo» rispose lui, tranquillamente «Dì la
verità su chi sei, e guarda i tuoi preziosi amici dileguarsi. Il
tuo sangue, le tue origini, parlano per te. Sanno quello che sei e
temono quello che potresti diventare. Se fai tue le loro paure, se
accetti il tuo destino, loro non potranno usarle contro di te. Unisciti
a me e avrai tutto quello che hai sempre desiderato» concluse.
Per un lungo istante, nessuno dei due aggiunse altro.
Megan era confusa, ancora furiosa certo, ma più con se stessa ora.
«Vai pure adesso e rifletti su quello che ti ho detto. Ti
accorgerai da sola che non ho mentito» la congedò
Voldemort.
Di nuovo, Megan esitò, quindi, senza dire una parola, si
allontanò da quella stanza infernale e dal demonio che la
abitava.
Ai suoi genitori non raccontò nulla di quello che lei e
Voldemort si erano detti; loro rispettarono il suo silenzio e non le
fecero domande.
Quando finalmente si ritrovò sola nella sua camera, le lacrime, a lungo trattenute, esplosero come un fiume in piena.
“Riflettici”.
Il ghigno malefico di Voldemort le danzò davanti agli occhi e
Megan, prima di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo, si ripromise di
obbedire.
* * *
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Capitolo 2 *** Capitolo I - Novità ***
2.2
N.A.
Mi scuso per l'orrendo font, ma essendo una capra in tutte queste diavolerie tecnologiche
(?) non so proprio come fare (quello che usavo prima era di grandezza giusta da mobile, ma minuscola da pc, quello di adesso è giusto da pc, ma enorme da mobile, ... help! >_<) .
A voi,
Capitolo I
Novità
Nei giorni seguenti, in casa Parker, regnarono la calma e la serenità.
Megan era tornata a dedicarsi ai suoi libri, nella speranza che lo studio la distraesse dai suoi dolorosi pensieri.
Anche William, che era tornato a casa da un paio di giorni, aveva
deciso di seguire l'esempio della sorella, dal momento che mancavano
ormai appena tre settimane al ritorno a Hogwarts.
Quel pomeriggio, Megan era seduta sul letto e sfogliava un volume
dedicato agli Esseri; stava leggendo un capitolo molto interessante,
dedicato alle Veele.
Scoprire di essere la figlia di Voldemort era stato, a dir poco,
sconvolgente, e naturalmente Megan non era riuscita a pensare ad altro
in quel momento.
Tuttavia, ora che era stata costretta a fare i conti con la
realtà, aveva cominciato a chiedersi chi fosse la sua vera
madre.
Tutto quello che i suoi genitori, adottivi a questo punto, erano
riusciti a dirle era che sua madre era una Veela e che molto
probabilmente era morta.
Non era molto su cui basarsi, ma Megan aveva deciso di cercare informazioni, se non su di lei, almeno sulla sua specie.
Dopotutto, Megan era per metà Veela, per quanto non avesse mai
notato nulla in lei che facesse pensare a una cosa del genere, ma
questo fatto le apriva le porte a molte, nuove possibilità,
oltre che a tante domande.
Per esempio, stando a quello che c'era scritto, dall'unione tra un uomo
e una Veela potevano nascere solo figlie femmine e, solo dopo due o tre
generazioni, si avevano dei maschi.
Perché allora sua madre aveva dato alla luce due gemelli, di cui un maschio?
Stava rileggendo ancora quel passaggio, cercando di ricavarne qualcosa
di nuovo, quando all'improvviso, annunciato da un deciso bussare alla
porta, suo fratello fece irruzione nella sua camera; era trafelato e
aveva un'espressione nervosa e preoccupata.
Megan alzò di scatto la testa e l'osservò allarmata, aspettando che lui si spiegasse.
«Meg,» esordì quello, avanzando verso di lei
«ho appena ricevuto questa, guarda» disse, sventolandole
davanti agli occhi una lettera, che aveva tutta l'aria di essere stata
scritta in fretta e furia.
Megan fece come le era stato detto e lesse il breve messaggio:
Harry
è stato espulso da Hogwarts, forse ci sarà un'udienza.
Noi ci stiamo riunendo tutti al Quartier Generale, quando puoi
raggiungici.
Ron.
Megan rilesse il testo due volte, quindi riconsegnò la lettera a suo fratello.
«Che significa? Espulso? Perché?» esclamò
«E che cos'è il Quartier Generale?» aggiunse.
«Non lo so» rispose lui, sbrigativo «ho già
avvertito papà, vedrà di scoprire qualcosa»
spiegò «e il Quartier Generale… bé è
complicato. Ora dobbiamo andare, ti spiegheranno tutto lì».
«Dobbiamo?» chiese Megan, confusa.
«Sì» affermò lui «Vieni anche tu,
è giusto che tu sappia tutto. E poi,» aggiunse «Ti
farebbe bene stare insieme ad altre persone, non sei uscita di casa per
tutta l'estate».
«Tra poco a Hogwarts sarò costretta a stare sempre in mezzo agli altri» ribatté lei, sbuffando.
«Sai che cosa intendo» insistette Will «Saranno tutti felici di vederli, sono preoccupati per te».
Megan rimase per un po' in silenzio. In effetti, riflettendoci, non
aveva molto senso restare lì, a casa, da sola, a tormentarsi,
facendo percorre ai suoi pensieri sempre gli stessi, angosciosi,
sentieri.
«D'accordo» si risolse alla fine. Suo fratello le rivolse
un largo sorriso, quindi uscì dalla stanza, per avvertire sua
madre della loro imminente partenza.
*
Erano da poco passate le otto quando entrambi scesero al piano di sotto, pronti per andare.
Avevano preparato solo l'essenziale, dal momento che avevano deciso di
tornare a casa prima dell'inizio della scuola per prendere i bauli e i
libri.
Avrebbero usato la Metropolvere, che li avrebbe portati all'ufficio di
suo padre, a Londra; da lì, avrebbero raggiunto il Quartier
Generale che, diceva Will, non era molto distante.
«Siete pronti?» chiese suo padre quando li vide entrare.
Era da poco tornato dal Ministero, dove era riuscito a capire soltanto
che Harry aveva usato la magia alla presenza di uno o più
Babbani; la sua espulsione da Hogwarts era stata, per il momento,
rimandata, in attesa di un'udienza formale davanti all'intero
Wizengamot.
Suo padre faceva parte di quel consiglio, perciò aveva promesso
che avrebbe fatto tutto il possibile per accertare i fatti e aiutare
Harry.
«Molto bene, andiamo» li esortò, lasciando poi che lo precedessero.
Megan era stata molte volte nell'ufficio londinese di suo padre, e lo aveva sempre trovato un luogo decisamente interessante.
Situato nel cuore della City, al trentunesimo piano della Tower 42,
l'ufficio era diviso in due parti: entrando dalla porta, infatti, ci si
ritrovava in un grande salotto, ben arredato, perfettamente in linea
con i gusti e le mode Babbane; suo padre, infatti, per conto del
Ministero della Magia, intratteneva rapporti con i membri del
Parlamento Babbano e, in quella parte dell'ufficio, aveva ricevuto
innumerevoli deputati, sottosegretari e, una volta, perfino il Primo
Ministro, che però ignorava la sua natura magica.
Da lì, si aprivano tre porte, che conducevano rispettivamente
alla sala riunioni, al bagno e, l'ultima, a un piccolo archivio, pieno
zeppo di scartoffie. In realtà, scostando leggermente uno
scaffale appoggiato al muro, si accedeva alla seconda parte
dell'ufficio, riservata agli affari Ministeriali.
Fu lì, nel secondo salotto, che i due fratelli comparvero, seguiti poco dopo dal padre.
«Bene» disse quest'ultimo, scrollandosi di dosso la cenere
del camino «Da qui, uscite e andate a destra e poi dritto»
indicò loro «A meno di mezzo miglio troverete la fermata
della Metropolitana che vi porterà … Bé, dove sai
tu» concluse, accennando a William che annuì sicuro.
«State attenti» si raccomandò, prima di congedarli
«Vi scriverò non appena avrò qualche altra
informazione».
Londra di sera era davvero magnifica; purtroppo, non avevano il tempo
di fermarsi a contemplarla, così si affrettarono a raggiungere
la stazione e presero il treno che, secondo Will, li avrebbe portati
nelle vicinanze del Quartier Generale.
La Metropolitana era davvero un'invenzione geniale, aveva pensato Megan
la prima volta che c'era stata; ma ora, dopo alcuni anni passati a
Hogwarts, la tecnologia Babbana non le sembrava più così
prodigiosa, anzi, trovava tutto decisamente noioso, a dire il vero.
«Non ho l'indirizzo preciso» le spiegò suo fratello,
mentre le porte del treno si chiudevano dietro di loro «Ma ci
sarà qualcuno ad aspettarci» le assicurò.
Uscirono dalla stazione e si incamminarono per le vie silenziose di
quella zona di Londra; dopo qualche minuto, giunsero in una piccola
piazza, molto semplice e dall'aspetto parecchio modesto, per non dire
degradato.
Le case circostanti parevano, infatti, tutt'altro che accoglienti:
l'intonaco delle facciate era malamente scrostato, i vetri di alcune
finestre erano rotti e svariati sacchi di immondizia, vecchia di
giorni, giacevano abbandonati sui gradini
Il luogo sembrava deserto, finché a un tratto, dal nulla, comparve una strega dall'aspetto stravagante.
«Tu devi essere William» salutò lei allegramente,
venendo loro incontro; era molto giovane e poteva avere al massimo
quattro o cinque anni più di loro.
«E tu sei Megan, immagino» riconobbe «Vi somigliate
tantissimo!» esclamò e, cominciando a rovistare tra le
pieghe del suo mantello, si presentò «Io sono Tonks,
comunque».
Dopo un minuto buono, la stramba strega esclamò di nuovo,
trionfante «Eccolo qui, per un attimo ho temuto di averlo
perso!» disse, consegnando loro un biglietto, scritto in
un'elegante calligrafia serrata. Il messaggio diceva semplicemente:
Il Quartier Generale dell’Ordine della Fenice si può trovare al numero dodici di Grimmauld Place, Londra.
«Avete letto?» chiese la ragazza «Bene, imparate
l'indirizzo a memoria, perché ora bisogna distruggerlo» e,
così dicendo, estrasse la bacchetta, riprese il foglietto e lo
incendiò, senza premurarsi affatto di essere vista.
Per un attimo, non accadde nulla; poi, all'improvviso, là dove
un attimo prima non c'era altro che una solida, e sudicia, parete di
mattoni, tra i numeri civici 11 e 13, comparve una piccola porta, sopra
la quale svettava orgoglioso il numero 12.
“Incanto Fidelius” intuì Megan, affrettandosi poi a seguire Tonks su per i gradini.
Varcata la soglia, la porta si richiuse silenziosamente alle loro spalle.
Il bagliore tremolante delle lampade a gas illuminò un lungo,
stretto corridoio, dalle pareti rivestite con una cupa tappezzeria
malconcia, scollata in più punti, punteggiate da alcuni vecchi
quadri, dalle cornici elaborate.
L'unico pezzo di arredamento era un tavolino, con una sola zampa scolpita a foggia di serpente.
Sulla sinistra, quasi alla fine del corridoio, si intravedeva un tenue bagliore filtrare da sotto una porta.
«Riunione in corso» spiegò Tonks, facendo loro
strada fino ai piedi di una lunga e buia scala di legno «Secondo
e terzo piano» disse «Dividerete la camera con gli
altri» aggiunse, prima di tornare sui suoi passi.
I due Parker avevano appena messo il piede sul primo gradino quando un frastuono assordante li fece sobbalzare.
Girarono di scatto la testa e videro Tonks giacere lunga distesa sulla vecchia moquette, il tavolino rovesciato accanto a lei.
«Brutti sudici Mezzosangue e Traditori!» ruggì una
voce, furibonda «Feccia! Come osate insozzare la dimora dei miei
antenati! Via, esseri abietti e ibridi!»
«Ma che diavolo?» chiese Will, urlando per sovrastare i
tremendi ululati che sembravano provenire da dietro una porta, nel
corridoio.
Quando si avvicinarono, dopo aver aiutato Tonks a rialzarsi, videro che
non si trattava affatto di una porta: incorniciato da due vecchie tende
tarlate, il vecchio ritratto di una donna, dalle sembianze grottesche,
stava vomitando insulti a non finire.
«TONKS!» urlò una voce, furibonda.
Tutti e tre si voltarono di scatto e videro la signora Weasley, in
piedi di fronte alla porta dove si stava tenendo la riunione; aveva le
braccia sui fianchi ed era rossa in viso.
Dietro di lei, accorsero Black e Lupin, che scattarono in avanti e afferrarono le tende, cercando di richiuderle.
Il ritratto continuava a gridare e a sbavare, furioso.
«Taci, orrida vecchia strega, TACI!» ringhiò Black, continuando a dare strattoni.
«TUUU!» ululò la donna nel ritratto, gli occhi fuori
dalle orbite «Traditore del tuo stesso sangue, vergogna della mia
carne, infida creatura del-»
Ma non seppero mai che genere di creatura fosse Sirius; con uno sforzo
formidabile, lui e Lupin riuscirono a richiudere le tende e gli strilli
impazziti del vecchio dipinto si spensero ed echeggiarono nel silenzio.
«Mi dispiace, non lo faccio apposta» si scusò Tonks;
in quel momento, sembrava ancora più giovane di quanto non fosse.
La signora Weasley le rivolse uno sguardo ammonitore, quindi si concentrò sui nuovi arrivati.
«Oh, William caro» bisbigliò, facendo loro cenno di allontanarsi dal quadro malevolo.
«E Megan, che bello averti qui» aggiunse, rivolgendole uno
strano sguardo, quasi preoccupato «Ora andate di sopra con gli
altri, vi chiameremo quando sarà pronta la cena» disse,
affrettandosi poi a rientrare nella stanza dove si stava tenendo la
riunione.
«Strano» commentò Will, prima di raccogliere il suo bagaglio e cominciare a salire.
Avevano appena raggiunto il secondo pianerottolo, quando udirono una
voce, alquanto familiare, che gridava furiosa quanto quella del
ritratto.
«E così non andate alle riunioni, chissà che tragedia!»
William le gettò uno sguardo perplesso.
Erano ancora fermi lì, incerti se fosse il caso o meno di
interrompere quella che sembrava essere un'accesa discussione, quando
Harry Potter disse l'ultima cosa che Megan avrebbe voluto sentire
«Dopotutto chi è che lo ha visto tornare? Chi lo ha affrontato? Chi ha visto Cedric morire?»
«Chi non ha fatto nulla per evitarlo?» ringhiò Megan, spalancando la porta.
Nella piccola, tetra stanza, c'erano i tre Grifondoro: Harry, il viso
tirato e paonazzo, come di uno che ha passato le ultime ore a urlare,
Ron e Hermione, l'espressione mesta e colpevole.
«Oh, ciao Megan» mormorò la ragazza, imbarazzata «Non sapevamo fossi qui».
Megan la ignorò e continuò «Deve essere stato
proprio un bello spettacolo!» esclamò «Il grande
eroe sfugge di nuovo al Signore Oscuro e racconta la sua terribile
esperienza. Sarebbe stato un bel titolo vero?»
«Meg, io non intendevo-» tentò di dire Harry, ma
ormai Megan era un fiume in piena; incapace di fermarsi, continuava a
vomitare tutto il suo rancore e il suo dolore addosso all'unica persona
che, probabilmente, stava soffrendo quanto lei.
«L'ennesima tragedia di Potter che in esclusiva rivela i dettagli
della morte del suo compianto amico, decisamente un grande scoop!»
«Meg, adesso basta» si inserì Will, cercando di farla calmare «Non serve a niente-»
Uno schiocco improvviso lo fece interrompere: i gemelli Weasley si erano appena Materializzati.
«Ciao Parker, ben arrivata» salutò allegro Fred
«Harry, ci era sembrato di … » stava continuando, ma
Megan aveva già lasciato la stanza.
William le corse dietro «Lo so che non è facile, ma sono
sicuro che-» cominciò, ma lei lo zittì subito
«Non mi interessa, lasciami sola!» esclamò
«Non avrei mai dovuto darti ascolto, non sarei dovuta
venire!» aggiunse, allontanandosi lungo il corridoio ed entrando
nella prima stanza libera.
Finalmente sola, Megan si abbandonò alle lacrime.
*
Per una mezz'ora, nessuno venne più a disturbarla; poi, quando
le urla del ritratto echeggiarono di nuovo nell'ingresso, fino ai piani
di sopra, Megan udì dei passi avvicinarsi.
«Megan, cara» la chiamò la signora Weasley «È ora di cena, vieni»
Megan non aveva alcuna voglia di sedersi a un tavolo a mangiare insieme
a Harry e agli altri tuttavia, non ritenne di poter rifiutare senza
risultare scortese.
«Grazie, signora Weasley» rispose alla fine, seguendo la
donna giù per le scale, fino alla porta della stanza che aveva
ospitato la riunione.
Oltre la soglia, una stretta scaletta conduceva a un locale abbastanza
ampio, pieno di scaffali e credenze, al centro del quale si trova un
lungo tavolo di legno.
Suo fratello era già lì, insieme ai suoi amici
Grifondoro, la famiglia Weasley, quasi al completo, Black, Lupin e,
inaspettatamente, il professor Piton.
«Come al solito Black, tu parli prima di pensare, ammesso che tu
ne sia capace» stava dicendo il professore, alzandosi.
Alcuni rotoli di pergamena, reliquie della riunione appena conclusa,
giacevano ancora aperti sul tavolo e Bill, il maggiore dei fratelli
Weasley, si affrettò a farli Evanescere.
«E tu sei-» stava ribattendo Sirius, alzandosi a sua volta,
ma Lupin lo costrinse a rimettersi a sedere; Black tacque, limitandosi
a scoccare un'occhiata velenosa a Piton.
«Ciao Meg» la salutò allegramente Ginny, vedendola
entrare; Megan ricambiò il saluto con il tono più
cordiale e allegro che riuscì a trovare.
«Buonasera Professore» disse dopo, salutando l'insegnante,
che rimase a fissarla, come se non si aspettasse di vederla lì;
aveva una strana espressione, notò Megan, ma, dopotutto, l'aveva
sempre, ragionò subito dopo.
«Signorina Parker» disse lui alla fine «Non mi
aspettavo di trovarti qui» continuò e qualcosa nel suo
tono sembrava suggerire che la cosa lo preoccupasse.
«Buona serata» si congedò infine, lasciando in fretta la stanza.
«Allora, passata una bella estate?» stava chiedendo Sirius a Harry, con aria cupa.
«No, schifosa» rispose il ragazzo, gettando poi un'occhiata
imbarazzata a Megan: se le vacanze di Harry erano state orribili, di
certo doveva sapere che le sue non potevano essere state migliori.
«Non so proprio di che ti lamenti» riprese Sirius
«Almeno hai avuto un'avventura, sei uscito di casa, io sono
rinchiuso qui dentro da settimane»
All'improvviso, Megan sentì qualcosa strusciare contro le sue ginocchia e sussultò, terrorizzata.
«Tranquilla, è solo Grattastinchi» disse Ron, che aveva notato la sua reazione.
Il brutto gatto di Hermione le rivolse uno sguardo stranamente
intelligente, quindi balzò in grembo a Black e si
acciambellò.
Megan accettò la sedia che il ragazzo dai capelli rossi le
offriva, mentre la conversazione tra Harry e il suo padrino continuava.
«Oh, sicuro» stava dicendo Sirius, sarcastico
«Ascolto le relazioni di Piton e mi tocca stare qui a sorbire in
silenzio tutte le sue insopportabili allusioni al fatto che lui
è là fuori che rischia la vita, mentre io sto qui seduto
comodo a divertirmi… e a fare le pulizie…»
«Quali pulizie?» chiese Harry.
«Stiamo cercando di rendere questo posto abitabile» disse Sirius, agitando una mano per mostrare la cucina lugubre.
«Ecco la cena» annunciò la signora Weasley,
appoggiando un grande calderone di stufato sul tavolo e cominciando a
distribuirne generose dosi in tutti i piatti.
Megan, che ormai non era più abituata alle grandi abbuffate, guardò la sua porzione nauseata.
In breve, tutti cominciarono a parlare allegramente tra loro.
«Allora, tuo fratello ti ha già raccontato tutto?» le chiese Fred, a un tratto.
Megan, che stava osservando con aria assente lo spettacolino che Tonks aveva messo su per Hermione e Ginny, trasalì.
«Ehi, un po' nervosa?» chiese di nuovo Fred.
«No, no, scusa, non stavo ascoltando, dicevi?»
«Se sai già tutto dell'Ordine, ormai sei dei nostri!»
«No, veramente no, di che si tratta?»
«È una società segreta che combatte
Tu-Sai-Chi» spiegò George «Ma solo gli adulti ne
fanno parte, a noi non è permesso partecipare alle riunioni o
altro»
«È una vera ingiustizia» si inserì Ron.
«Nostra madre non vuole» sbuffò George, esibendosi
poi nella prodigiosamente perfetta imitazione della signora
Weasley, che, per sua fortuna, era troppo impegnata a sgridare Sirius
per qualcosa che aveva detto.
I gemelli e Ron ragguagliarono Megan circa tutto quello che erano
riusciti a scoprire, ben poco a essere sinceri, quando la signora
Weasley richiamò l'attenzione.
«È ora di andare a dormire» disse sbadigliando.
«Non ancora, Molly» disse Sirius «Sai, sono
sorpreso» continuò, rivolgendosi a Harry «Ero
convinto che, appena arrivato qui, avresti cominciato a fare domande su
Voldemort»
Al nome di Voldemort, un brivido carico di tensione percorse la stanza
e l'atmosfera, un attimo prima gioiosa e sonnolenta, si
raggelò.
«L’ho fatto!» ribatté Harry, indignato
«Ho chiesto a Ron e Hermione, ma hanno detto che noi non possiamo
sapere perché non facciamo parte dell'Ordine».
«È così, infatti» ribatté la signora Weasley «Siete troppo giovani».
«Noi siamo maggiorenni!» protestarono i gemelli Weasley all'unisono.
«Harry ha il diritto di sapere!»
«Silente ha detto-»
«Non sta a te decidere-»
«Non è James-»
«Hanno diritto più di molti altri-»
In un istante, l'atmosfera mutò di nuovo e la cucina divenne un
vero e proprio campo di battaglia, combattuta a suon di grida e
proteste; tutti cercavano di dire la loro ed era impossibile per
chiunque distinguere altro suono se non quello della propria voce.
Alla fine, dopo cinque minuti buoni di quella cacofonia incomprensibile, la signora Weasley si arrese.
«Molto bene» disse, con voce spezzata. «Fred, George,
Ginny, Ron, Hermione, William, Megan, fuori di qui!»
La quiete, appena ritrovata, venne infranta di nuovo: nessuno dei ragazzi nominati voleva saperne di lasciare la cucina.
Megan, di nuovo, non si unì alle proteste.
«No!» urlò la signora Weasley «Vi proibisco assolutamente…»
«Molly, non puoi impedirlo a Fred e George» osservò
il signor Weasley stancamente «Loro sono maggiorenni».
«Ma… oh, va bene, Fred e George possono restare, ma Ron…»
«Harry racconterà comunque a me e Hermione tutto quello che direte!» esclamò Ron «Vero?»
«Certo» confermò Harry.
«Bene!» urlò la signora Weasley. «Bene! William, Megan…»
Will fece per protestare, ma la signora Weasley fu irremovibile
«Prima dovrò sentire che cosa ne pensano i vostri
genitori» disse, scoccando a Megan un'occhiata diffidente. Era
chiaro che non vedesse di buon occhio i legami dei Parker con la
famiglia Malfoy.
«Mi scusi, signora Weasley» intervenne Megan, per la prima
volta «Ma credo che, dopo Harry, qui sia io la prima ad avere il
diritto di sapere che cosa sta succedendo» disse calma, lasciando
che il vero significato di quelle parole colpisse nel segno. Anche lei
aveva perso qualcuno di importante a causa di Voldemort, come potevano
sul serio dubitare?
La risposta, il tremendo segreto che aveva appreso appena una settimana
prima, e le conseguenze che Voldemort aveva profetizzato, minacciarono
di prendere il sopravvento. Se loro avessero saputo la verità,
che cosa avrebbero pensato?
«Va bene» acconsentì la signora Weasley «William… »
«Meg è mia sorella» ribatté lui, trionfante, scambiandosi un sguardo d'intesa con la gemella.
«D'accordo!» sospirò alla fine la signora Weasley «Ginny, a letto!»
Tra mille proteste, la più piccola dei Weasley seguì la madre fuori.
«Allora, che cosa volete sapere?» chiese Sirius.
Harry trasse un gran respiro e fece la domanda che, di certo, doveva
averlo ossessionato per tutta l'estate «Dov’è
Voldemort?»
*
Venti minuti più tardi, la signora Weasley tornò in cucina e impose che quel ragguaglio dell'ultim'ora terminasse.
Questa volta, nessuno poté trovare nulla da obiettare.
In realtà, osservò Megan, le informazioni che Sirius e
gli altri avevano rivelato loro non erano così sensazionali: che
Caramell non volesse accettare il ritorno di Voldemort era risaputo,
quanto alla necessità dell'Ordine di reclutare nuovi membri, e
impedire a Voldemort di fare altrettanto, anche questa era una mossa
piuttosto prevedibile. L'unica vera, nuova e importante informazione
che avevano appreso riguardava un'arma, un oggetto, un qualcosa che
Voldemort stava cercando e che, se ottenuto, poteva portarlo alla
vittoria.
«Ginny si sarà addormentata» disse la signora
Weasley, che aveva insistito per accompagnarli fino alle loro stanze,
per assicurarsi che andassero tutti a dormire «Perciò
cercate di non svegliarla» concluse, rivolta a Hermione a Megan,
che condividevano la camera con lei; quindi augurò loro la
buonanotte e si congedò.
Will, Harry e Ron entrarono nella loro stanza, e lo stesso fecero le ragazze.
«Sì, addormentata, come no» sentì dire a George, mentre si chiudeva la porta della camera alle spalle.
*
Le giornate a Grimmauld Place si rivelarono più noiose del previsto.
Ogni mattina, la signora Weasley veniva a svegliargli, annunciando che una stanza aveva urgentemente bisogno delle loro cure.
Dopo la colazione, tutti quanti si armavano di guanti, sacchetti e,
talvolta, di doxycidi, e iniziavano l'ennesima lotta contro tutto
quello che si annidava nella casa; Doxy e Puffskein, infatti, erano
solo alcune delle creature che avevano deciso di abitare quel luogo
tetro, e sembravano assolutamente decise a rimanerci.
Megan detestava stare lì; non era tanto per le pulizie, che di
certo non erano piacevoli, ma per il fatto che era costretta a passare
molto tempo in compagnia di Harry. Non si era ancora scusata per quello
che gli aveva detto la sera del suo arrivo, non che credesse di doverlo
fare e, infatti, ogni volta che le si presentava l'occasione di farlo,
decideva che, dopotutto, non aveva detto nulla che non fosse vero.
Naturalmente, non poteva incolpare Harry per la morte di Cedric, ma non
poteva fare a meno di considerare alcune cose. Per esempio, si chiedeva
che cosa avrebbe fatto lei se si fosse trovata al posto di Harry:
avrebbe rischiato la sua vita per qualcuno che conosceva appena?
Probabilmente no; e che cosa sarebbe successo se, al contrario, invece
di Cedric, ci fossero stati Ron o Hermione? Harry avrebbe esitato?
Sarebbero tornati entrambi vivi da quel cimitero maledetto?
Alla fine, non poteva biasimare il Ragazzo Sopravvissuto per essersi
comportato come avrebbe fatto lei, ma non per questo poteva perdonarlo
del tutto.
Anche se, forse, la persona che Megan non riusciva a perdonare era lei
stessa: troppe volte, infatti, non senza vergogna, si era scoperta a
invidiare Potter.
Già, proprio lui, Harry Potter, il celebre bambino sfuggito alla
Morte, che aveva sconfitto il più grande Mago Oscuro di tutti i
tempi.
Harry Potter che, qualunque cosa facesse, finiva sempre per essere ricompensato, adulato, scusato.
Harry Potter che era diventato famoso per qualcosa che neppure
ricordava e che non gli aveva lasciato null'altro che una banale
cicatrice.
Certo, lui aveva perso i suoi genitori quella notte, ma non per questo
si era ritrovato abbandonato; era stato accolto dai suoi parenti e
infine si era costruito una nuova famiglia, altrettanto affettuosa e
presente.
E poi, pensava, perdere le persone che avrebbero dovuto essere delle
figure importanti, prima ancora di riuscire a conoscerle, non era poi
una grande tragedia; insomma, come si poteva davvero soffrire per
qualcuno che nemmeno si era in grado di ricordare?
Dopotutto, non era l'unico orfano del mondo; ne esistevano a migliaia,
la maggior parte dei quali non poteva vantare alcun glorioso passato, e
a cui era stata riservata un'esistenza infinitamente più
sfortunata e infelice.
Naturalmente, ora che Voldemort era tornato per dargli la caccia, il
peso di quella fama immeritata si faceva sentire, ma chi poteva dire
che non sarebbe andare a finire come quattordici anni prima?
O magari, molto più semplicemente, il Ministero avrebbe finito
con l'accettare la verità sul ritorno del Signore Oscuro, e
avrebbe impiegato tutte le sue forze per sconfiggerlo.
Harry avrebbe trascorso qualche altro mese di inquietudine, quindi
avrebbe di nuovo ricevuto gli elogi e i ringraziamenti per essere
sfuggito al suo carnefice e per aver avvertito tutti quanti del
pericolo.
Ancora una volta, sarebbe stato ricoperto di rinnovata gloria e,
comunque avesse deciso di spendere la sua vita, avrebbe continuato a
vivere di rendita, senza aver mai fatto qualcosa di davvero rilevante
per meritarsela.
Sì, decisamente Megan non riusciva a provare pena per Harry.
Aveva avuto tutto quello che molti altri potevano solo sognare, al
misero prezzo di perdere i propri genitori quando era poco più
che un neonato.
Anche Megan aveva perso i suoi veri genitori, ma nessuno per questo
l'avrebbe celebrata; al contrario, se il segreto delle sue vere origini
fosse stato rivelato, molto probabilmente sarebbe vissuta per sempre
con il peso della colpa e del sospetto per qualcosa che, come era stato
per Potter, nemmeno lei era stata in grado di controllare.
Ovviamente, nessuno in quella casa avrebbe mai potuto condividere
questi pensieri, eccetto, forse, una persona, insieme alla quale Megan
riusciva, se non proprio a divertirsi, quanto meno a distrarsi.
Il professor Piton, infatti, andava e veniva dal Quartier Generale e,
talvolta, era costretto ad aspettare a fare il suo rapporto,
affinché gli altri membri dell'Ordine, ritardati da altri,
improvvisi, impegni lo raggiungessero.
Megan approfittava di quei momenti per parlare con l'unico altro
Serpeverde del gruppo che, come lei, non si associava a quel senso di
euforia generale per tutto quello che Potter faceva.
Quel pomeriggio, quando scese in cucina per prendersi una pausa, dopo
l'ennesima mattinata passata a disinfestare una delle camere da letto,
trovò il professor Piton, seduto da solo al tavolo:
evidentemente, la riunione dell'Ordine era stata posticipata.
Hermione e Ginny erano alle prese con tazze e bollitori per il
tè, mentre la signora Weasley era intenta a strofinare alcune
pentole, già perfettamente pulite.
«Buonasera, professore» salutò allegramente Megan,
mentre un sonoro “clunk” segnalava l'arrivo di Moody.
«Tutto a posto, Molly» annunciò l'ex-Auror, apprestandosi a scendere «È un Molliccio»
«Grazie, Alastor» disse la signora Weasley «Preferivo
esserne sicura» continuò «In questa casa, non si
può mai sapere»
Moody borbottò un «Non c'è di che» e, poco
dopo, aggiunse «Non posso restare, Molly. Silente mi ha chiesto
di raggiungerlo dopo la riunione» spiegò, estraendo una
specie di orologio da una delle molte tasche del suo lungo pastrano
«Che doveva iniziare venti minuti fa»
«Ma se te ne vai, non potrai riferirgli le novità» azzardò la signora Weasley.
«Quell'uomo sa sempre tutto prima di tutti» ringhiò divertito Moody, congedandosi.
Per un po', regno il silenzio, rotto soltanto dal tintinnio delle
stoviglie e dal rumoroso “clunk” dei passi del vecchio
Auror; lo sentirono zoppicare nell'ingresso, quindi aprire la porta e
uscire.
«Spero che non sia successo niente al Ministero» sospirò la signora Weasley, a un tratto.
«Artur, Podmore e Tonks sono stati trattenuti per un'ispezione
straordinaria» spiegò Piton «Quanto a Shacklebolt,
doveva occuparsi di alcune cose urgenti presso il Ministero
Babbano» aggiunse.
In quel momento, il bollitore prese a fischiare furioso e le due ragazze si affrettarono a riempire la teiera.
«Lasciate, faccio io» disse la signora Weasley che, quando
era angosciata, destava restarsene con le mani in mano; poco dopo,
reggendo i vassoi colmi delle squisite leccornie della sua cucina,
uscì, diretta ai piani superiori.
Come sempre, infatti, quando c'era Piton intorno, se non era
strettamente necessario stare nella stessa stanza, Sirius insisteva per
rimanere di sopra, costringendo gli altri a continuare le pulizie,
qualunque fosse l'ora. Evidentemente, però, questa volta i
ragazzi dovevano averlo convinto a fare una pausa, che si sarebbe
però tenuta il più lontana possibile dalla cucina.
*
«Quindi questi filtri non sono classificati come illegali?» stava chiedendo Megan.
Dopo che la signora Weasley era uscita, Megan l'aveva imitata ed era
salita in camera sua, per prendere alcuni dei libri che aveva scelto di
portare con sé da casa.
Quando le riunioni venivano posticipate, infatti, aveva preso
l'abitudine di confrontarsi con il professor Piton, facendogli molte
domande circa i nuovi incantesimi che aveva appreso durante l'estate.
Ogni tanto, Hermione si univa a loro, anche se molto spesso rimaneva in
silenzio, temendo le consuete risposte sprezzanti dell'insegnante di
Pozioni.
Questa era una di quelle volte; la Granger se ne stava un po' in
disparte, apparentemente assorbita dal lungo tema sulle
proprietà delle radici delle piante d'acqua dolce, sforzandosi
di non farsi coinvolgere dalla loro discussione che, ovviamente, doveva
suonare decisamente più accattivante.
«Esattamente» rispose intanto Piton «Ma perché
stai studiando queste cose? Sono di livello molto più avanzato
dei G.U.F.O.» aggiunse, in tono sospettoso.
«Bé, non vorrei rischiare di non essere ammessa al suo
corso per il M.A.G.O.» rispose Megan, cercando di apparire il
più innocente possibile.
«Non preoccuparti» ribatté lui «Sei la
migliore allieva che abbia mai avuto» aggiunse, e Megan non
poté reprimere un moto di orgoglio e di selvaggia soddisfazione;
Hermione, la perfetta studentessa, sempre prima della classe,
incassò in silenzio.
«Tuttavia» continuò Piton «Questo va anche
oltre. Metà degli studenti del settimo anno non saprebbero
riconoscere la differenza tra un Intruglio Soporifero e una Soluzione
Sonnolenta».
«Oh, bé» balbettò Megan, colta alla
sprovvista. Piton poteva anche essere assurdamente di parte, ma
rimaneva comunque un insegnante di Hogwarts, e gli interessi di Megan,
già al limite della legalità, rischiavano di divenire
troppo sospetti.
«Hai già in mente che cosa fare dopo la scuola?»
chiese d'un tratto Piton, abbandonando l'atteggiamento circospetto.
«Veramente no» ripose lei, tranquillizzandosi.
«Capisco» annuì il professore «Quest'anno
inizieranno gli incontri di orientamento» proseguì
«Ma vedrai, non avrai problemi, qualunque carriera
intraprenderai» osservò, mentre Megan non si perdeva una
sola mossa di Hermione; doveva essere così strano per lei non
essere al centro degli elogi di un insegnante.
All'improvviso, si udirono alcuni passi nel corridoio e, poco, dopo, i
membri dell'Ordine fecero il loro ingresso in cucina, accompagnati
dalle grida disumane del ritratto della signora Black: Tonks era
inciampata di nuovo nel tavolino.
* * *
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Capitolo 3 *** Capitolo II - Ritorno a Hogwarts ***
3.3
Capitolo II
Ritonro a Hogwarts
Le ultime due settimane a Grimmauld Place passarono con la stessa, noiosa lentezza.
Il via vai dei membri dell'Ordine della Fenice continuava frequente e
regolare, ma i ragazzi non vennero più messi al corrente degli
ultimi avvenimenti e, dopo le prime, timide proteste, Harry e gli altri
finirono col rassegnarsi.
Harry, d'altra parte, aveva avuto altro a cui pensare: con
l'avvicinarsi dell'udienza, il suo umore era peggiorato, ed era
diventato nervoso e scostante; tuttavia, per Megan, non faceva molta
differenza, dal momento che i due si rivolgevano la parola solo quando
era strettamente necessario.
Quando però giunse il giorno fatidico, Megan, che si era
ritrovata più volte a fantasticare malignamente su una Hogwarts
senza il famoso Harry Potter, dimenticò per un momento i suoi
propositi, e si unì agli altri nell'augurargli buona fortuna
prima, e nel congratularsi per il felice verdetto dopo.
Adesso, comunque, il 31 agosto era arrivato, e con esso il tanto sospirato ritorno a Hogwarts.
«Non si preoccupi, signora Weasley» sentì William
dire sul pianerottolo «Avevamo comunque intenzione di partire
prima di pranzo»
Un attimo dopo, la porta della sua stanza si aprì e la signora
Weasley entrò, reggendo tra le braccia due grosse pile di
vestiti lavati di fresco; in cima a una di quelle, spiccavano tre buste.
«Queste sono le vostre lettere da Hogwarts» disse,
appoggiando la pila sul letto di Hermione e uscendo di nuovo nel
corridoio, portandosi dietro la lettera per Ginny.
Le due ragazze presero le rispettive buste e le aprirono; un istante dopo, Hermione sobbalzò.
«Sono stata nominata Prefetto!» esclamò felice,
mostrando una spilla rosso e oro, con una grossa P sovrapposta al leone
dei Grifondoro.
«Congratulazioni» disse Megan, finendo di scartare la sua
lettera; la capovolse e, senza guardare, ne rovesciò il
contenuto sul palmo della mano. Il contatto con il freddo metallo non
la sorprese.
«Beh, congratulazioni anche a te» disse Hermione,
osservando la spilla che Megan reggeva in mano, perfettamente identica
alla sua, eccezion fatta per lo stemma, un serpente, sui colori verde e
argento.
Hermione uscì dalla stanza subito dopo, probabilmente per condividere la bella notizia con i suoi amici.
Megan, rimasta sola, si sedette sul bordo letto, rigirandosi la spilla
tra le mani, ripensando a un episodio accaduto appena qualche mese
prima.
«L'anno prossimo sarai nominata Prefetto di sicuro» le aveva detto una volta Cedric.
Era un bel pomeriggio di aprile, ed era la prima, vera, giornata di
caldo e di sole da mesi. Megan e Cedric se ne stavano seduti nel parco,
all'ombra di un grande acero, a qualche metro di distanza dal Lago.
La terza e ultima prova del Torneo si stava avvicinando e con essa la
morte di Cedric, ma nessuno allora avrebbe potuto anche solamente
sospettarlo.
Solo a ricordare quel momento di semplice serenità, Megan sentì le lacrime rigarle il volto.
Quanto sarebbe stato felice di quella notizia, immaginava. Quasi
riusciva a vedere la scena, lei che gli diceva che era diventata
Prefetto e Cedric che lo sorrideva orgoglioso, dicendo «Era ora,
così la sera non dovrò più farti sgattaiolare di
nascosto!»
Era vero.
Moltissime volte, dopo il coprifuoco, Megan era uscita di nascosto dai
sotterranei, percorrendo i passaggi segreti che conducevano al quarto
piano.
Lì, si assicurava che né Gazza, né qualche altro
Prefetto, o Caposcuola, fosse nei paraggi, quindi raggiungeva Cedric
davanti all'entrata del Bagno dei Prefetti.
Era stato proprio là dentro che Megan lo aveva aiutato a decifrare il messaggio contenuto nell'uovo d'oro.
Se non l'avesse fatto, se Cedric non fosse riuscito a capire qual era
l'indizio, precludendosi così la possibilità di
continuare a gareggiare nel Torneo, ora sarebbe ancora vivo.
Era una fredda sera di gennaio.
Megan era immersa nel caldo abbraccio liquido della piscina e,
appoggiata sui gomiti al bordo della grande vasca, accarezzava
distrattamente l'uovo d'oro, l'eco delle urla agghiaccianti che quello
strano oggetto aveva sprigionato ancora nelle orecchie.
Per fortuna, nessuno nel castello sembrava averle udite.
Stava osservando Cedric che, in piedi, avvolto dai vapori profumati
della stanza, si frizionava i capelli fradici, quando, improvvisamente,
era sta colta da un'ispirazione.
«E se provassimo ad aprirlo sott'acqua?» aveva esclamato.
«Perché?» aveva chiesto lui.
«Un'intuizione».
Cedric l'aveva guardata, perplesso, così Megan aveva aggiunto
«Sembra l'urlo di una Banshee e, secondo alcune leggende, l'unico
modo per fermarlo è immergere la testa della Banshee nell'acqua,
soffocandola».
«Già» aveva convenuto lui «e, secondo altri, se lo fai, si forma un'onda anomala».
«Bé, fortuna che questa è solo una grossa vasca» aveva ribattuto lei, sempre più decisa.
Cedric era rimasto a guardarla per un momento, quindi si era arreso e si era rituffato nella piscina. Poi,
afferrato l'uovo, lo aveva immerso sotto il pelo dell'acqua, aprendolo
con circospezione.
Questa volta, al posto delle grida tremende, una melodia dolce era
giunta alle loro orecchie, ovattata, ma ugualmente incomprensibile.
Cedric aveva quindi richiuso l'uovo e la melodia si era spenta all'istante.
«Forse dobbiamo immergerci anche noi» aveva suggerito lui
dopo un momento e così, insieme, si erano tuffati sott'acqua.
Quando Cedric aveva riaperto l'uovo, un canto magnifico, soave e
invitante, era risuonato attorno a loro e le parole, ora chiaramente
distinguibili, erano sembrate voler suggerire qualcosa.
Erano rimasti ad ascoltare per qualche altro secondo, quindi erano tornati in superficie.
«Che significa?» aveva chiesto Cedric, mettendo da parte l'uovo, appoggiandolo sul bordo della vasca.
«Non saprei» aveva risposto Megan, perplessa «Le
nostre voci ascolterai, se negli abissi cercherai. Un'ora sola tua
avrai e il tesoro che abbiamo riprenderai. Dopo l'ora mala sorte avrai
e ciò che fu preso mai riavrai» aveva recitato
«Qualcuno ti ha rubato qualcosa, un tesoro e dovrai andare a
riprenderlo» aveva tradotto poi.
Cedric aveva annuito con aria assente «Già, ma io non ho un tesoro» aveva aggiunto dopo un momento.
«Sarà una metafora, qualcosa a cui tieni» aveva
ribattuto lei, sempre pensierosa «Ma la sfida qui è capire
dove andare a cercarlo» aveva continuato.
«Lo dicono, negli abissi» aveva detto Cedric
«Abissi… » aveva ripetuto poi, riflettendo
«Quelli dell'Oceano?» aveva azzardato.
«Ma certo!» aveva esclamato Megan a un tratto «Che
stupida! Il Lago Nero! Queste che stanno cantando sono sirene! Le
avrò viste decine di volte dalle finestre dei sotterranei!»
«Giusto!» aveva esclamato Cedric, euforico.
Il suo entusiasmo, però, era durato poco.
«Ma come faccio a cercare questo tesoro sott'acqua, senza poter
tornare in superficie a respirare e con solo un'ora di tempo a
disposizione?» aveva chiesto, in tono depresso, lasciandosi
cadere contro il bordo della vasca.
«Bé, non so» aveva ribattuto lei, appoggiando la
testa sul suo petto «Qualcosa ci inventeremo» aveva
aggiunto poi, gentilmente, cercando di infondergli fiducia.
All'improvviso, con un balzo, Cedric era uscito dall'acqua, un guizzo eccitato nello sguardo.
«Che ti prende?» aveva chiesto lei, confusa.
«Ho un'idea, credo di sapere come fare» aveva risposto
Cedric in fretta, vestendosi con rapidità, senza premurarsi di
non infradiciare la divisa.
«Che sarebbe?» aveva insistito Megan.
«Non sono ancora sicuro» aveva ribattuto lui sbrigativamente, facendo per allontanarsi.
«Ced» lo aveva richiamato «Mancano ancora tre
settimane alla seconda prova, devi proprio accertarti della tua
intuizione adesso?»
«Sì, ma non preoccuparti mi farò perdonare»
aveva risposto lui impaziente, chinandosi su di lei per darle un veloce
bacio a fior di labbra «A domani, ti amo» aveva detto,
dirigendosi poi verso l'uscita.
Megan era rimasta pietrificata.
Cedric, che aveva già afferrato la maniglia della porta, si era
bloccato, come se si fosse appena reso conto delle sue parole.
Si era voltato a guardarla, un'espressione tra l'imbarazzato e il terrorizzato.
Megan aveva ricambiato il suo sguardo e, con un sorriso, aveva detto «Ti amo anch'io»
Cedric aveva abbassato lo sguardo, annuendo soddisfatto, quindi aveva aperto la porta ed era uscito.
Soltanto dopo una settimana, però, Cedric si era finalmente degnato di farle sapere che cosa aveva capito quella sera.
«Ho controllato dappertutto» aveva annunciato, dopo averla
raggiunta al tavolo dei Serpeverde; Draco gli aveva gettato un'occhiata
sprezzante, che nessun altro, a parte Megan, era parso notare.
«Volevo vedere se esisteva un altro incantesimo più
efficace, ma non ne ho trovati» le aveva spiegato Cedric,
dopo averla presa da parte «A meno di non Trasfigurarmi in una
qualche creatura marina, ma, se qualcosa andasse storto, non so se ti
andrebbe a genio l'idea di avere un pesce palla come ragazzo».
Megan lo aveva guadato con un'espressione confusa e Cedric aveva
continuato «Incantesimo Testabolla, semplice e veloce,
dovrò solo ricordarmi di ripeterlo più volte
sott'acqua».
Megan gli aveva gettato le braccia al collo, entusiasta. Poi,
però, si era ricordata che ce l'aveva ancora con lui per non
essersi più fatto vedere dopo quella sera, e così si era
sciolta dall'abbraccio, mettendo su un cipiglio imbronciato.
«Che c'è adesso? Non sei contenta di sapere che non
annegherò nel tentativo di raggiungere la gloria?» aveva
scherzato Cedric.
«Ti sei fatto gli affari tuoi per giorni e ora vuoi anche che gioisca per te?» aveva ribattuto lei, irritata.
«Bé, pensavo che volessi anche tu che trovassi in fretta
un modo per superare la prova» aveva risposto lui, perplesso
«Ma adesso sono qui e giuro che ti dedicherò tutto il mio
tempo».
«Non ci pensare neanche, mancano meno di due settimane alla gara,
ti devi concentrare» aveva ribattuto ancora lei,
affrettandosi poi a raccogliere i libri per andare a lezione.
Cedric era rimasto per un po' in silenzio, incerto se parlare avesse potuto o meno migliorare la situazione.
«Meg, aspetta» si era risolto alla fine, seguendola nel
corridoio «Non-» aveva iniziato, ma Megan lo aveva
interrotto subito «So quanto sia stressante questa cosa del
Torneo, ma mi basterebbe stare con te solo per qualche minuto ogni
tanto» aveva ammesso.
Cedric le aveva sorriso, abbracciandola.
«Che ne dici di adesso?» le aveva chiesto.
«Ora ho lezione con la McGranitt» aveva risposto lei.
«Hai dei voti perfetti, puoi saltarla una lezione» l'aveva
tentata lui, con una smorfia che mal si s'addiceva alla sua fama di
bravo ragazzo.
«E vorrei continuare ad averli» aveva replicato lei, decisa
e, accompagnata dalla risata divertita di Cedric, era entrata nell'aula.
Quel ricordo, perfettamente nitido, ora le sembrava
appartenere a un'altra vita, e non la sua. Con un gesto rabbioso, si
asciugò le lacrime e ripose la spilla nella busta, gettandola
poi nel baule che, aperto, aspettava ancora di essere riempito con le
ultime cose.
Megan, di mala voglia, si alzò, e finì di preparare i bagagli.
*
Un'ora più tardi, dopo aver assistito all'impetuosa
manifestazione di gioia della signora Weasley per la nomina di Ron a
Prefetto, Megan e il suo gemello salutarono tutti e lasciarono il
numero 12 di Grimmauld Place.
Il mite vento leggero di fine estate scompigliò dolcemente i
capelli di Megan, che si gustò quel momento di ritrovata
libertà, incamminandosi poi per le affollate vie di Londra.
Dopo una breve sosta nello studio del padre, lei e Will si diressero a
Diagon Alley, per acquistare i libri e l'occorrente per la scuola.
«Ehi, Meg!» si sentì chiamare, mentre usciva dal
Ghirigoro; Draco Malfoy, con la sua perenne aria svogliata, le venne
incontro.
«William» salutò «Passata una bella estate?» chiese.
«Incantevole» rispose suo fratello; lui e Draco avevano
sempre avuto un rapporto strano; erano amici, questo era certo, ma non
si poteva dire che la loro fosse un'amicizia convenzionale;
l'assegnazione di William alla Casa Grifondoro, poi, era stata la prova
di quanto i due ragazzi fossero diversi.
«La tua, Draco?» domandò William.
«Non c'è male» rispose l'altro «Anche se per
un attimo è stata davvero meravigliosa» aggiunse
«Quando ho saputo che Potter sarebbe stato espulso»
precisò, davanti alle loro espressioni confuse.
«Naturalmente» commentò Will, sarcastico.
Draco non vi badò e riprese «Mia madre è appena
entrata a prendermi i libri» disse, indicando la vetrina del
Ghirigoro, e suscitando la smorfia divertita di Will «Andiamo a
prenderci una Burrobirra?» propose.
«Non per me, grazie» rispose suo fratello, che aveva appena
adocchiato Melissa Hooney, una ragazza Corvonero del quinto anno, la
quale gli lanciò un'occhiata maliziosa.
Megan sollevò gli occhi al cielo.
«Come vuoi» rispose Draco «Andiamo?» aggiunse, rivolto a Megan, che lo seguì.
*
«Secondo mio padre, Potter doveva essere espulso» stava dicendo Draco.
Avevano preso posto a un tavolino, davanti all'ingresso della Gelateria di Florian.
«Ma come sempre Silente è arrivato e ha esercitato la sua
influenza sul Wizengamot per far scagionare il suo protetto»
continuò, accigliato.
«Bé, non ha più molto senso continuare a parlarne,
ormai è stato deciso così» ribatté Megan,
con indifferenza.
«Già, infatti» concordò Draco.
«Ah, a proposito» continuò il ragazzo «Sono Prefetto, come avevo previsto»
«Anche io» disse Megan.
Draco annuì soddisfatto «Immagino che Silente avrà
nominato anche Potter e la Granger» aggiunse poi, ritrovando la
sua espressione accigliata.
«Non Potter» disse Megan, gustandosi l'espressione sorpresa dell'amico, che chiese «E chi?»
«Weasley».
«WEASLEY?!» ripeté Draco, esterrefatto
«Come… Sul serio?» chiese, osservandola
attentamente, come per accertarsi che non lo stesse prendendo in giro.
«Non ci posso credere! Sai» dichiarò poi
«Dopotutto, non mi dispiace che Potter non sia stato
espulso».
Passarono il resto del pomeriggio a chiacchierare del
più e del meno, e Draco fu abbastanza delicato da non nominare
mai Cedric.
Megan sapeva bene che Draco non aveva mai nutrito una grande simpatia
per lui: dal momento che Cedric era un Tassorosso, Draco non lo
riteneva degno né della sua stima, né tanto meno della
sua attenzione.
L'unica eccezione era stata in occasione del Torneo Tremaghi quando,
dopo l'annuncio dei Campioni, Draco aveva preso l'abitudine di tessere
le lodi di Cedric, decantandone le numerose qualità, con l'unico
scopo di denigrare Harry.
Tuttavia, Megan ricordava anche quanto il ragazzo si fosse dimostrato
sorprendentemente comprensivo con lei; anzi, a dire il vero, non era
affatto sicura che sarebbe mai riuscita a sopportare quegli ultimi
giorni a Hogwarts senza il sostegno dell'amico.
«Ci sarà da divertirsi quest'anno!» esclamò Draco, congedandosi.
Megan ritrovò suo fratello che, a quanto pareva, era riuscito ad
ottenere dalla Corvonero un appuntamento per il primo fine settimana a
Hogsmeade, e insieme si avviarono di nuovo verso l'ufficio del padre.
*
La mattina seguente, terminati gli ultimi preparativi, la famiglia
Parker si recò al completo alla stazione di King's Cross.
Harry, Hermione e i Weasley arrivarono poco dopo di loro e,
sorprendentemente, non erano soli: un enorme cane nero, dall'aspetto
randagio, li seguiva d'appresso.
«Oh cielo, quello è… ?» chiese, rivolta a William.
«Temo di sì» rispose lui, distogliendo in fretta lo
sguardo per non attirare attenzioni scomode, affrettandosi poi a
caricare il baule sul treno; Megan lo imitò e, una volta a
bordo, i due si separarono.
Will andò a cercare i suoi amici Grifondoro, mentre Megan si
recò nella carrozza dei Prefetti; Draco, la spilla nuova di
zecca appuntata sulla divisa, era già lì.
«Ci siete tutti?» chiese Jasper Walsh, uno dei due
Capiscuola, quando il treno cominciò a muoversi, prendendo
rapidamente velocità.
«Ottimo» approvò «Innanzitutto, benvenuti e
congratulazioni per le vostre nomine» disse «Ora, i compiti
di un Prefetto sono piuttosto semplici. All'arrivo a Hogwarts, dovrete
aiutare tutti gli studenti a raggiungere le carrozze e, dopo il
banchetto, scortare gli studenti del primo anno nei rispettivi
dormitori. Dovrete poi assicurarvi che tutti osservino le regole della
scuola, in particolare che tutti rispettino il coprifuoco, e segnalare
a noi, i Capiscuola, o a un insegnante, qualunque comportamento
riteniate grave o pericoloso per l'incolumità degli altri
studenti» spiegò «Come forse già
sapete,» continuò «I Prefetti hanno il potere di
togliere punti, ma solo agli studenti della propria Casa. Hanno inoltre
la facoltà, e l'obbligo, di assegnare punizioni. Ovviamente,
questo non significa che voi ne possiate abusare. Infatti, se noi, o
qualche insegnante, dovessimo accorgerci che qualcuno di voi usasse la
sua posizione in modo sbagliato e contro le regole, la sua nomina
verrà immediatamente revocata» concluse Walsh e, prima di
congedarli, raccomandò «Ora potete tornare ai vostri
scompartimenti, ma di quando in quando dovrete pattugliare i corridoi
del treno e accertarvi che tutto sia in ordine. Per qualsiasi problema,
rivolgetevi pure a noi»
I neo-Prefetti ruppero i ranghi e si sparpagliarono lungo il treno.
«Sarà divertente!» esclamò Draco, quando fu
sicuro di essere fuori dalla portata d'orecchio dei Capiscuola.
«Draco…» lo ammonì Megan «Non cominciare già il primo giorno»
«No, hai ragione» convenne lui «Lascerò che
Potter si goda il suo trionfale ritorno a Hogwarts» aggiunse con
un ghigno, facendosi largo bruscamente tra due Corvonero del secondo
anno, la spilla da Prefetto ben in vista.
Naturalmente, Draco disattese subito la sua promessa: dopo una decina
di minuti, infatti, si ritrovò a passare proprio davanti allo
scompartimento dove Potter e i suoi amici erano seduti, e non
resistette alla tentazione di mettere un po' di zizzania.
«Che vuoi?» lo accolse Harry, gelido.
«Sii più educato, Potter» lo ammonì Draco
«O sarò costretto a metterti in punizione» lo
minacciò.
Megan era dietro di lui e cercava un modo per trascinarlo via di lì senza farlo sfigurare, prima che succedesse qualcosa.
«Vedi Potter,» continuò Draco imperterrito «Io
sono un Prefetto adesso, e quindi ho il potere di infliggere punizioni,
a differenza di te»
«Già, ma tu, a differenza di me, sei un idiota» ribatté Harry.
«Almeno non sono un pazzo assassino» ribatté Draco
«E non mi invento storie assurde per attirare l'attenzione. Vedi
io non ho bisogno di raccontare menzogne per ottenere quello che
voglio, io lo merito e basta».
«Tu lo meriti e basta?» ripeté Harry, sprezzante.
Draco lo ignorò, e riprese «Di' un po', che cosa si prova a essere secondi a Weasley?»
«Draco non c'è bisogno di sottolineare l'ovvio,
andiamo» risolse alla fine Megan, notando lo sguardo furente di
Harry e di Hermione.
Draco, che per il momento si era divertito abbastanza, osservò
ancora per un istante i volti disgustati dei Grifondoro, quindi
seguì Megan fuori dallo scompartimento.
Il resto del viaggio trascorse, per fortuna, senza altri incidenti.
Dopo aver pattugliato i corridoi, Megan e Draco si unirono ai loro compagni di Serpeverde.
Pansy, la migliore amica di Megan, passò tutto il tempo a
elogiare Draco per la sua nomina, ascoltando rapita il racconto
dell'alterco con Harry, annuendo, ridendo e commentando con frasi
sprezzanti, a seconda di quale reazione richiedesse la situazione.
«Oh Draco, sono certa che diventerai Caposcuola al settimo
anno» dichiarò per quella che doveva essere la terza
volta. Draco, che non disdegnava i complimenti, annuì
compiaciuto.
«Ora dobbiamo assicurarci che tutti scendano dal treno»
annunciò, con l'aria di chi si apprestava a svolgere un compito
gravoso.
«Oh, povero Draco, quante responsabilità!»
esclamò Pansy, ricevendo in risposta un gesto di fatale
rassegnazione.
«Sei tremendo» gli disse Megan, mentre, dal corridoio,
guardavano gli studenti trascinare i propri bagagli giù dal
treno.
«Lo so» ghignò Draco, con una smorfia.
Megan scosse la testa divertita.
Quando tutti furono a bordo della carrozze, lei e Draco salirono
sull'ultima, insieme a Blaise Zabini e ai due Prefetti di
Corvonero.
Arrivati nella Sala Grande, Silente diede i soliti annunci di rito e
comunicò i nuovi avvicendamenti nel corpo insegnanti. Tutti
pendevano dalle labbra del Preside, ansiosi di conoscere il nome dello
sventurato che aveva accettato la cattedra di Difesa contro le Arti
Oscure.
Non appena però Dolores Umbridge, Sottosegretario Anziano del
Ministero, e nuova insegnante di Difesa, ebbe terminato la sua
presentazione, gli studenti si resero subito conto che sarebbero stati
loro gli sventurati.
Megan ricordò di aver incontrato la Umbridge una volta, un paio di anni prima.
Si trovava nell'ufficio di suo padre, insieme a sua madre e a suo
fratello, tutti agghindati per presenziare a una cena di gala a casa di
un qualche importante diplomatico straniero.
All'improvviso, il camino dello studio si era acceso e dalle fiamme era
apparsa la donna dall'aspetto più ridicolo che Megan avesse mai
visto.
Di bassa statura, portava tra i capelli color topo un enorme fiocco
lilla, in tinta con il completo di tweed, e calzava ai piedi piccoli e
a papera due orrende scarpette, di una tonalità di lilla
leggermente più scura, decorate con un'enorme clip a forma di
fiore.
«Oh, meno male che sei ancora qui, Vincent!» si era
annunciata quella; aveva una voce fastidiosa, sorprendentemente acuta
per una donna di quell'età.
«Dobbiamo assolutamente rivedere quel rapporto su» aveva
continuato, interropendosi subito, accorgendosi solo in quel momento
della presenza di altre persone.
«Oh questi sono i miei figli» aveva spiegato suo padre,
indicandoli «E conoscerai sicuramente mia moglie Katherine».
«Buona sera, bambini» aveva salutato la Umbridge, in tono
disgustosamente lezioso, come se si stesse rivolgendo a due bambini di
tre anni.
«Katherine cara» aveva aggiunto poi «Sei proprio deliziosa come Vincent dice».
Sua madre aveva gettato un'occhiata al marito, che aveva risposto con
uno sguardo come a voler dire “Non ho idea di che cosa stia
parlando”.
«Non ti dispiace se te lo rubo un momentino, non è vero
cara?» aveva continuato la Umbridge, con il suo tono affettato.
«Naturalmente» aveva risposto sua madre, cortese
«Ragazzi» li aveva chiamati, uscendo con loro dall'ufficio,
per poi sedersi ad aspettare nella “parte Babbana” dello
studio.
Già da quel primo incontro, Megan aveva intuito che quella donna
non fosse affatto dolce o innocua come si presentava e, ora che la
Umbridge aveva pronunciato il suo discorso inaugurale, quella che era
stata solo un'impressione, si tramutò in una certezza.
Terminato il banchetto, Megan e Draco guidarono la nervosa dozzina di primini di Serpeverde fino ai sotterranei.
Percorsero gli stretti passaggi di pietra nuda, quindi si fermarono davanti a una parete, scintillante di umidità.
«Pura Anguis» disse Draco; il pannello del muro scivolò di lato, rivelando l'accesso alla Sala Comune.
I ragazzini del primo anno, rimasero a bocca aperta.
Il ritrovo dei Serpeverde era un un sotterraneo lungo e basso con le
pareti di pietra scura e il soffitto affrescato. Alte e strette
finestre si affacciavano direttamente sul fondale del Lago Nero, dalla
torbide acque scure.
Le molte lampade erano accese e gettavano una luce tenue e verdastra;
cinque fuochi scoppiettavano allegri nei rispettivi camini di marmo
nero, decorati con sculture elaborate; al lato opposto della Sala, si
ergevano fino al soffitto i grandi scaffali che ospitavano i volumi di
magia e incantesimi, dalle pregiate rilegature.
I divani di pelle erano sistemati in posizioni solo in apparenza
casuali e alcune poltrone scolpite erano disposte intorno ad un lungo
tavolo di legno nero e lucido.
In fondo a sinistra, una sinuosa scala di mogano si arrampicava fino ad
un pianerottolo che, come spiegò Megan poco dopo, portava ai
dormitori.
I Serpeverde si sparpagliarono nella Sala, qualcuno si accomodò
davanti ai camini, i più salirono al piano di sopra.
Megan decise di imitarli, e, dopo aver augurato la buona notte a Draco, si arrampicò sui gradini insieme a Pansy.
L'ampio corridoio, anch'esso illuminato dalle stesse lampade verdi, si
allungava per parecchie decine di metri; quattordici porte, sette per
lato, conducevano ai dormitori.
Megan lo percorse per un tratto, fermandosi davanti al sua camera,
identificata da una targhetta d'argento su cui erano incastonati alcuni
smeraldi a formare la scritta “RAGAZZE, V ANNO”.
«Ah» sospirò Pansy, una volta entrata, lasciandosi
poi cadere sul morbido letto a baldacchino attorno al quale erano stati
disposti i suoi bagagli.
Megan si sedette sul suo e cominciò a rovistare nel baule alla ricerca del pigiama.
«Secondo te» stava dicendo Pansy, ma Megan la interruppe
subito. Improvvisamente, si sentiva troppo stanca per parlare:
l'angoscia, che sembrava essersi dissolta al suo arrivo a Hogwarts, era
tornata, più violenta che mai.
Si infilò sotto le coperte e in un attimo sprofondò nel consueto sonno inquieto e agitato.
*
La mattina seguente, Megan si era svegliata ancora più stremata e nervosa di quanto non fosse stata la sera prima.
Pansy non sembrava essersela presa per il suo comportamento scostante
e, insieme, erano uscite dai sotterranei dirette alla Sala Grande per
la colazione.
«Dopo quest'anno potremo finalmente dire addio ad alcune materie
odiose» stava dicendo Pansy, afferrando un'altra fetta di pane
tostato e spalmandoci sopra una generosa dose di marmellata d'arancia.
Megan si limitò ad annuire, attirando a sé un piatto di biscotti allo zenzero e sforzandosi di mangiare qualcosa.
Il professor Piton arrivò poco dopo e consegnò loro l'orario delle lezioni
«Oh no» mormorò Pansy, avvilita, scorrendo l'elenco «Adesso ci tocca Erbologia».
Megan sapeva quanto l'amica detestasse quella materia, così
decise di tirarle su il morale, facendole notare che, subito dopo,
avrebbero avuto Pozioni con i Grifondoro. Infatti, le lezioni di Piton
erano sempre un gran divertimento per i Serpeverde che, ogni volta, si
gustavano deliziati le umiliazioni che il loro Direttore riservava a
Harry e agli altri suoi compagni di Casa.
Megan sapeva bene che le critiche di Piton erano spesso crudeli e
immotivate, ma alle ingiustizie del professore rimediavano prontamente
tutti gli altri: nessuno, infatti, a scuola aveva un'alta opinione dei
Serpeverde; ambiziosi e calcolatori di natura, giudicati malfidati e
ambigui, non erano esattamente gli studenti da prendere a modello, e
per questo venivano un po' emarginati.
Non c'era da stupirsi, quindi, se i Serpeverde facevano fronte comune e rispondevano con orgoglio a ogni provocazione.
Finirono in fretta di mangiare, quindi scesero di nuovo di
sotto per prendere i libri e il materiale necessari e uscirono
all'esterno.
L'aria settembrina era pungente e il cielo grigio era appesantito dalle nuvole, informi e scure, che minacciavano pioggia.
Terminata la lezione che, proprio grazie a Megan aveva fruttato cinque
punti per i Serpeverde, rientrarono tutti dentro al castello, e si
diressero di nuovo verso i sotterranei.
Durante Pozioni, come previsto, Piton non perse occasioni
per biasimare i Grifondoro, in particolare Harry, che si ritrovò
a incassare in silenzio le umiliazioni del professore.
Un ulteriore momento di divertimento si aggiunse quando Paciock, nel
tentativo di riempire la sua fiala, finì per rovesciare l'intero
contenuto del suo calderone per terra. Evidentemente, non era riuscito
a preparare la pozione a dovere, dal momento che il liquido, che
avrebbe dovuto essere di una tenue sfumatura di giallo, aveva assunto
una tonalità rosso cupo, per poi prendere fuoco.
Piton, con un moto di disgusto mal celato, intervenne subito e spense
le fiamme, togliendo poi cinque punte a Grifondoro per “il
miserabile errore nella preparazione e la goffaggine senza
scusanti” di Paciock.
Dopo pranzo, Megan si recò con suo fratello, Pansy e Draco, alla lezione di Aritmanzia.
La professoressa Vector tenne un discorso piuttosto fatalista riguardo
ai G.U.F.O., tanto che, uscendo dall'aula, Megan sentì alcune
ragazze di Corvonero mettersi d'accordo per pianificare da subito lo
studio.
«Ora abbiamo la Umbridge» osservò Draco, allegro, mentre tutti e quattro si avviavano verso l'aula di Difesa.
Dietro di loro, a debita distanza, li seguiva Hermione.
«Non mi dire che non vedi l'ora di passare un'intera ora con
quella» esclamò William; anche lui, come la sorella, era
tristemente memore del primo incontro con la donna.
«No, ma mio padre dice che è molto influente al
Ministero» disse «Quindi ci tengo a fare bella
figura».
«Diciamo che vuoi leccarle il culo» risolse Will.
Draco fece spallucce, indifferente, ed entrò per primo nella stanza.
Megan lo seguì, e prese posto accanto a Pansy.
La professoressa Umbridge, intanto, era già seduta alla
cattedra; indossava un vaporoso cardigan rosa e l'immancabile fiocco
era sistemato in cima alla testa.
Quando tutti si furono seduti, si alzò e disse «Buon pomeriggio, ragazzi!»
Alcuni borbottarono «Buon pomeriggio».
«Mmm» disse la professoressa Umbridge «Se non vi
spiace, vi pregherei di rispondere “Buon pomeriggio,
professoressa Umbridge”. Un’altra volta, prego. Buon
pomeriggio, ragazzi!» ripeté di nuovo, con la sua solita
vocetta leziosa.
«Buon pomeriggio, professoressa Umbridge» le risposero in coro.
«Bene» approvò lei amabile, alzandosi. «Ora,
via le bacchette, per favore» disse, quindi picchiettò la
sua, straordinariamente corta, contro la lavagna, sulla quale
comparvero alcune frasi di introduzione al corso, e gli obiettivi che
esso si proponeva; Megan notò subito che non c'era un solo
accenno all'uso pratico della Magia Difensiva.
«Come sapete, l’insegnamento di questa materia è
stato preoccupantemente discontinuo» esordì
«È dunque opinione del Ministero che voi seguiate, da
adesso, un programma ben strutturato e approvato dal Ministero della
Magia, in modo da essere preparati per affrontare il vostro
G.U.F.O.»
Fece una pausa, quindi picchiettò di nuovo la bacchetta contro la lavagna che tornò nera e pulita.
«Bene, ora prendete i vostri libri» disse, riaccomodandosi dietro la cattedra.
I ragazzi fecero come era stato richiesto ed estrassero i volumi dalle borse.
«Ora andate al primo capitolo e leggetelo con attenzione».
In silenzio, i ragazzi si apprestarono a fare come era stato loro
richiesto, quando si udì la voce di Hermione Granger; stava
fissando la Umbridge, con la mano alzata, il libro aperto sull'indice.
La Umbridge si girò a guardarla, un'espressione materna dipinta sul viso.
«Sì, cara, ha una domanda?» chiese.
«Sì, vorrei sapere come mai qui non c’è
scritto niente sul fatto di usare incantesimi di Difesa».
«Usare incantesimi di Difesa?» ripeté la professoressa Umbridge con una risatina «Signorina?»
«Granger».
«Bene, signorina Granger, per rispondere alla sua domanda, non
vedo perché mai dovreste usare incantesimi di Difesa nella mia
classe».
«Non useremo la magia?» esclamò Harry a voce alta.
«Gli studenti alzano la mano quando desiderano parlare nella mia aula».
Harry alzò la mano e la Umbridge gli voltò con decisione le spalle.
Il braccio di Hermione scattò di nuovo in aria.
«Sì, signorina Granger?» chiese la Umbridge, lievemente infastidita.
«Ma come faremo a imparare gli Incantesimi di Difesa se non ci è concesso esercitarci durante le lezioni?»
«Voi apprenderete gli incantesimi di Difesa in un modo sicuro e provo di rischi».
«E a che cosa serve?» chiese Harry ad alta voce «Se
verremo attaccati, non sarà sicuro e privo di rischi».
«La mano, signor Potter» cantilenò la professoressa Umbridge, voltandogli di nuovo le spalle.
Ormai metà della classe chiedeva la parola, solo i Serpeverde osservavano la scena, in silenzio.
«Ma non c’è anche una prova pratica di Difesa contro
le Arti Oscure durante i G.U.F.O.?» stava chiedendo Dean Thomas.
«È opinione del Ministero che una conoscenza teorica sia
più che sufficiente. Se avrete studiato a fondo la teoria,
sarete perfettamente in grado di eseguire gli incantesimi durante gli
esami».
«Senza mai averli provati prima?» chiese Parvati Patil, incredula.
«La sua mano non è alzata!» replicò la professoressa, secca.
«E a che cosa servirà la teoria là fuori, nel mondo
reale?» intervenne Harry ad alta voce, la mano di nuovo levata.
«Non c’è niente là fuori, signor Potter» ribatté lei, affabile.
«Oh, davvero?» insistette Harry.
«Chi immagina possa desiderare di aggredire dei ragazzini come
voi?» chiese la professoressa Umbridge, con voce tremendamente
mielosa.
«Mmm, mi lasci pensare…» rispose Harry in tono
falsamente meditabondo «Forse… Lord Voldemort?»
Al nome di Voldemort, qualcuno trattenne il fatto, altri gemettero.
«Dieci punti in meno a Grifondoro, signor Potter»
decretò lei dura e aggiunse, ritrovando il suo tono falsamente
dolce e materno «Ora, permettete che chiarisca un paio di cose.
Vi è stato riferito che un certo Mago Oscuro è di nuovo
in circolazione. Ma questa è una bugia»
«NON è una bugia!» esclamò Harry. «Io l’ho visto e-»
«Punizione, signor Potter!» lo interruppe la Umbridge, trionfante.
«Quindi secondo lei Cedric Diggory è morto così, da solo?» urlò Harry, livido.
«La morte di Cedric Diggory è stata un tragico incidente» rispose lei, in tono pratico.
Megan che, come tutti, aveva assistito allo scambio in silenzio, si
alzò in piedi e il dolore, la rabbia, il tormento provati negli
ultimi mesi, esplosero all'improvviso.
«Un tragico incidente?» ripeté, gelida «E come
se lo spiega?» continuò, senza dare il tempo alla
professoressa di interromperla «Quanti maghi conosce che se ne
vanno in giro a lanciare Anatemi e che per caso uccidono
qualcuno?»
«Si sieda, signorina?» chiese la Umbridge.
«Parker e no, non mi siedo finché lei non mi avrà
dato una risposta plausibile» ribatté Megan, impassibile.
«Si rimetta a sedere o la avverto, sarò costretta a mettere in punizione anche lei» minacciò.
«Lo faccia» la sfidò lei «Ma mi risponda, come è morto secondo lei?»
«Si è trattato di un drammatico, tragico incidente, so
quanto può essere difficile da accettare per dei ragazzini come
voi… » rispose la Umbridge, ritrovando il suo tono
falsamente dolce.
«Voldemort l’ha ucciso, e lei lo sa» urlò Harry.
«Ora basta!» strillò la Umbridge, e aggiunse, con
voce tremendamente infantile «Venite qui, signor Potter,
signorina Parker».
Harry diede un calcio alla sedia, e raggiunse la cattedra.
Megan, muovendosi con violenza tale che per poco non ribaltò il
banco, scattò nella direzione opposta, verso la porta.
«Signorina Parker, venga immediatamente qui!»
«Altrimenti?» la provocò lei.
La Umbridge sfoderò la bacchetta e gliela puntò contro.
Nell'aula, tutti trattennero il respiro; Megan scorse suo fratello, che
la guardava come per supplicarla di non esagerare, ma era troppo tardi.
«Sul serio?» chiese, in tono divertito «Vuole davvero attaccare uno studente?»
Per un attimo rimase immobile, quindi voltò le spalle alla
Umbridge, afferrò la maniglia e uscì, sbattendosi poi con
forza la porta alle spalle.
*
Dopo quella sfuriata, Megan era corsa a rifugiarsi nel suo dormitorio,
ma sapeva bene che la cosa non si sarebbe risolta tanto facilmente.
Appena una mezz'ora più tardi, infatti, Draco era venuto a
bussare alla sua porta, dicendogli che Piton l'aveva convocata nel suo
ufficio.
Non potendo fare altrimenti, Megan si era avviata lungo gli stretti
passaggi dei sotterranei; doveva ancora svoltare l'angolo e imboccare
l'ultimo corridoio, quando la voce della Umbridge, terribilmente
alterata, la raggiunse.
«Questo comportamento è inaccettabile!» stava
dicendo la professoressa «Davvero intollerabile, mi aspetto che
vengano presi seri provvedimenti!»
Megan avanzò, quindi bussò alla porta dello studio di Piton, che la invitò ad entrare.
«Oh, ecco, signorina Parker» l'accolse la Umbridge, gelida
«Dovrà rispondere delle sue azioni di oggi, mi aspetto le
sue scuse!»
Megan le rivolse uno sguardo scettico e rimase in silenzio.
«La professoressa Umbridge ha ragione» disse Piton, calmo
«Il tuo comportamento è stato molto irrispettoso e, da un
Prefetto, ci si dovrebbe aspettare una condotta impeccabile»
continuò, fissandola con attenzione, mentre la Umbridge annuiva
decisa.
«Per questo motivo» riprese il professore «Sei
sollevata dai tuoi compiti di Prefetto per due settimane e, durante
questo periodo, tutti gli insegnanti dovranno assegnarti dei compiti
extra».
«Come credete» approvò Megan, distaccata, ma Piton
non aveva ancora finito «Inoltre,» continuò lui
«Ti verranno tolti cinquanta punti».
«Cinquanta?» esclamò Megan, sbigottita, davanti all'orrenda faccia trionfante della Umbridge.
«Esatto, signorina Parker» intervenne lei «I
Serpeverde sono stati la mia Casa per sette lunghi anni, e sono io la
prima a sperare che voi manteniate il primato nella scuola.
Tuttavia,» aggiunse «l'affetto per quella che fu la mia
Casata non mi impedirà di punire chi se lo merita. Mi aspetto
dunque che questo le serva da lezione» concluse.
Per un attimo, nessuno aggiunse altro.
Si aspettavano davvero che lei si scusasse?
«Posso andare?» chiese Megan, alla fine.
Piton posò lo sguardo su di lei e in esso Megan vide una profonda delusione; fu questo a farle più male.
«Puoi tornare nel tuo dormitorio» concesse il Direttore dei Serpeverde.
«Ehm, ehm» fece la Umbridge, scoccando un'occhiata a Piton,
che aggiunse «Giusto. La tua spilla da Prefetto».
Megan, che aveva già raggiunto la porta, tornò indietro a
grandi passi. Si staccò la spilla dalla divisa, quindi la
schiaffò sulla scrivania del professore.
«È tutto?» chiese, evitando accuratamente di guardare Piton.
«Certo, cara» rispose la Umbridge, con voce zuccherosa.
Megan si voltò e uscì in fretta dall'ufficio.
Come aveva previsto, ritornata in Sala Comune, i suoi amici l'assalirono di domande.
«Cinquanta punti?» esclamò Pansy, quando Megan ebbe finito il suo racconto.
«È vergognoso!» aggiunse, assumendo un'espressione indignata.
Draco, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio ad ascoltare, si limitò ad annuire.
«Non può farlo!» continuò Pansy «Non
preoccuparti, recupereremo i punti in un attimo, vedrai».
«Ma che importa!» sbottò Megan a un tratto. Non
erano i cinquanta miseri punti la questione centrale: la Umbridge
voleva mettere a tacere chiunque sostenesse che Voldemort era tornato.
«No, naturalmente» ribatté Pansy, dopo un istante di
perplessità «Ma vedrai, se ti scusi sono certa che la
Umbridge ti toglierà la punizione, è così
ingiusta. Draco, diglielo anche tu…»
«Scusarmi?!» esclamò Megan, furente.
«Bé, non-» stava dicendo Pansy, ma Megan le
voltò le spalle con decisione, allontanandosi in fretta, diretta
ai dormitori di sopra.
Un rumore di passi le suggerì che qualcuno la stava seguendo.
Megan si voltò di scatto «Pansy, lasciami in pace!»
esclamò, «Oh…» aggiunse semplicemente,
accorgendosi che a seguirla non era la sua amica.
Raggiunse la porta della stanza e vi entrò; dietro di lei, Draco la imitò.
«Questo è il dormitorio delle ragazze» lo
ammonì; Draco, indifferente alla cosa, avanzò verso di
lei.
«Ai Serpeverde è rimasto un solo Prefetto, non ti conviene
rischiare» aggiunse lei, ma il ragazzo, per tutta risposta, si
accomodò sul bordo del letto di Pansy.
Sospirando rassegnata, Megan si sedette sul suo.
«Che vuoi?» gli chiese, brusca.
«Solo parlare»
«Non lo stiamo già facendo?» ribatté lei, acida.
«Sai che cosa intendo» rispose lui e continuò «Si può sapere che ti è preso oggi?»
«Non lo so» rispose Megan, dopo un momento. Tutta la
stanchezza di quella giornata parve crollarle addosso in quell'istante.
«È che quando ha fatto il nome di Cedric,
io…» spiegò.
«So che non deve essere facile, ma dimmi, a che cosa è servito reagire in quel modo?»
«Vuoi farmi la morale, Draco?!» sbottò lei, alzandosi in piedi.
«No, assolutamente» ribatté lui, alzandosi a sua volta «Voglio solo farti ragionare».
Megan si limitò a lanciargli un'occhiata torva; era in grado di
ragionare benissimo da sola, anche senza il suo aiuto, pensò.
«Insomma,» continuò Draco «dopotutto, devi
ammettere anche tu che la vicenda non è chiara».
Megan stava per interromperlo, ma il ragazzo non gliene diede il tempo
e proseguì «Tu non c'eri quando è successo, non
puoi sapere quello che è davvero accaduto, e così neanche
il Ministero. Solo Potter era presente e, per quel che ne possiamo
sapere, potrebbe essere stato lui a-»
«Oh, andiamo Draco!» sbottò Megan «Sai perfettamente che è stato Voldemort!»
L'espressione di Draco si indurì al sentir pronunciare il nome
del Signore Oscuro. «C'è solo la parola di Potter su
questo» commentò alla fine.
«Ma davvero? Tuo padre non ti ha raccontato proprio nulla di quella notte?» chiese Megan, ironica.
«Perché mai avrebbe dovuto raccontarmi qualcosa?» ribatté Draco.
«Ti prego!» sbuffò lei «Lo sanno tutti che tuo padre è un Mangiamorte!»
Draco impallidì di colpo, ma Megan continuò
«Avanti, non c'è Serpeverde che non sia parente o amico di
uno di loro» affermò.
«O figlio» ammise Draco alla fine, con un ghigno.
«Già» concordò Megan, cupa.
«Aspetta,» disse Draco, con una scintilla di comprensione
nello sguardo «vuoi dire che anche zio Vince, voglio dire tuo
padre è, è un … Mangiamorte?» chiese,
pronunciando l'ultima parola con un filo di voce.
Megan si limitò ad annuire.
«Sul serio?» chiese Draco, attonito «Voglio dire, lui
e papà discutono sempre, su … bé lo sai»
«Alcuni avranno posizioni più radicali di altri» propose Megan e Draco annuì convinto.
«E a te sta bene? Voglio dire che tuo padre sia…?» le chiese poi.
«Oh, io…» stava dicendo Megan, quando un pensiero le attraversò la mente.
Poteva rivelare a Draco chi era lei realmente?
Dopotutto, suo padre era un Mangiamorte, ed era stato presente all'incontro tra lei e Voldemort.
Perché Lucius non aveva detto nulla al figlio?
Forse temeva che Draco le avrebbe fatto troppo domande, domande a cui pensava, e a ragione, Megan non fosse pronta a rispondere?
O era stato Voldemort a imporre il silenzio? E se l'aveva fatto, perché?
Draco, intanto, la stava osservando, impaziente, e solo allora Megan si
rese conto che aveva lasciato la sua frase a metà.
«Naturalmente, sì» si affrettò a concludere.
Il volto dell'amico si rilassò.
«Bene» disse Draco «Non ero tanto sicuro. Sai, per il
fatto che William è un Grifondoro» spiegò «E
che tu sei amica di Potter»
«Harry e io non siamo amici, non più almeno» ribatté Megan, cupa.
«Meglio così» commentò Draco, allegro.
In quel momento, la porta della stanza si aprì e Pansy comparve sulla soglia.
Per un istante, rimase interdetta; evidentemente non si aspettava di trovare Draco lì.
Tuttavia, si riprese in fretta, e mise su lo sguardo più malizioso che riuscì a trovare.
«Bene, bene» disse, incrociando le braccia al petto «Non credi di aver sbagliato dormitorio?»
«Mea culpa» rispose Draco, avviandosi alla porta, mentre il suo sguardo indugiava ostentatamente sulla ragazza.
Pansy gli rivolse un'occhiata ugualmente sfacciata.
Alla fine, Draco uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Pansy si lasciò cadere sul suo letto, con aria sognante.
«Non capisco perché non ti decidi a invitarlo a venire con
te a Hogsmeade» commentò Megan, ricevendo in risposta
l'occhiata torva dell'amica.
«Perché non mi interessa invitarlo» disse Pansy alla fine.
«Davvero?» ribatté Megan, incredula «Guarda che lo sa benissimo che gli muori dietro»
«Io non gli muoio affatto dietro» ripeté Pansy,
punta sul vivo «E comunque ho già un appuntamento»
aggiunse.
«Ah sì, e con chi?» chiese Megan, in tono neutrale.
«Theodore Bloomstick» rispose lei, con noncuranza.
«Chi? Quello con gli occhi infossati e la mascella da bulldog?» chiese Megan, stupita.
«Molto divertente, comunque sì, lui» ribatté
Pansy, e aggiunse «Stravede per me, sai? E farebbe bene anche a
te uscire con qualcuno»
Lo sguardo di Megan si indurì, ma l'amica continuò
imperterrita «Non deve mica essere una cosa seria, ma dico
davvero, ti farebbe bene distrarti un po'».
«No, grazie» risolse alla fine Megan.
Per un attimo Pansy fu lì lì per ribattere, ma poi decise
di non farlo e si limitò a dire «Come vuoi, però
promettimi che ci penserai. Ci sono un sacco di ragazzi carini …
Prendi Blaise, se non ci fosse Draco, ci farei un pensierino anche
io…»
«Ah quindi lo ammetti!» esclamò Megan trionfante.
«Io, no … No!» ribatté Pansy, ma ormai era
troppo tardi: Megan si cimentò nella perfetta imitazione
dell'amica, con tanto di smorfie sognanti e occhiate ammiccanti.
«Meg, dai piantala, NO!» protestò Pansy, ridendo e,
per qualche minuto, la Umbridge, Voldemort, Cedric e tutti pensieri che
l'avevano tormentata durante l'estate, vennero dimenticati.
* * *
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Capitolo 4 *** Capitolo III - Sorprese ***
4.4
Capitolo III
Sorprese
Finalmente, la prima, estenuante settimana a Hogwarts giunse al termine.
Megan si svegliò, come sempre, molto presto.
Cercando di non svegliare
Pansy, Daphne e Millicent, che condividevano il dormitorio con lei, si
cambiò in fretta, quindi scese in Sala Comune per fare i compiti.
Infatti, oltre
all'impressionante mole di lavoro che gli insegnanti avevano affidato a
tutti, Megan doveva svolgere anche altri compiti per punizione;
sconfortata, decise di affrontare subito i capitoli extra che la
Umbridge le aveva affidato.
Il libro era, se possibile,
ancora più noioso delle lezioni e ben presto Megan si
ritrovò a dover rileggere gli stessi passaggi più volte,
tentando disperatamente di costringere il suo cervello a collaborare.
Quando poi, finalmente, un
paio d'ore più tardi, terminò il tema per la Umbridge,
Megan non era più sola nella Sala Comune: alcuni altri studenti,
del quinto e del settimo anno, erano, come lei, chini sui libri,
cercando di ignorare l'invitante richiamo del sole che, certamente,
doveva essersi ormai sollevato, radioso e splendente, nel cielo.
«Le proprietà
della Pietra di Luna e i suoi usi nella preparazione di pozioni»
lesse ad alta voce Pansy, rigirandosi la piuma tra le dita;
fissò la pergamena bianca per un po', quindi sospirò
abbattuta «Perché dobbiamo imparare queste cose, è
già scritto tutto nei libri, basta leggere».
«Perché agli esami non possiamo leggere i libri» osservò Megan, distrattamente.
«È proprio questo il punto!» ribatté l'altra, sconsolata.
«Se vuoi puoi copiare da me» propose Draco, tendendole la sua pergamena che Pansy accettò entusiasta.
«A proposito,» aggiunse Draco «Hai già finito la descrizione degli Asticelli per la Caporal?»
«No, non ancora» rispose Pansy, intingendo la piuma nel calamaio per trascrivere il suo tema.
«Allora dopo lo facciamo insieme» propose il ragazzo, alzandosi.
«Credo di avere altri programmi» rispose Pansy allegramente «Magari questa sera?» aggiunse.
«Oh, d'accordo, vada per
stasera» disse Draco, in tono neutro «Ci vediamo» le
salutò poi, uscendo dalla Sala Comune, seguito a ruota da Tiger
e Goyle.
Quando Megan fu sicura che i tre se ne fossero andati, si rivolse a Pansy «Ma non l'avevi fatto ieri sera?»
«No, ti sbagli»
rispose l'amica, senza sollevare lo sguardo dal foglio; aveva messo da
parte la pergamena di Draco e scriveva automaticamente tutte le
informazioni sull'uso della Pietra di Luna, come se le sapesse
già perfettamente a memoria.
«Perché non la pianti di fingerti un'oca solo per farlo contento?» le chiese Megan, severa.
La ragazza si strinse nelle spalle, una smorfia di fanciullesca malizia sulla labbra.
Megan sollevò gli occhi
al cielo e si alzò «Andiamo anche noi» propose
«Sto morendo di fame» disse, sorprendendosi delle sue
stesse parole.
Dieci minuti
più tardi, Megan e Pansy erano sedute con i compagni Serpeverde
al loro tavolo, nella Sala Grande.
Con il ritorno a Hogwarts,
anche l'appetito di Megan era ricomparso; si stava servendo la seconda
porzione di porridge quando udì Draco esclamare «Guardate
un po' chi fa il suo trionfale ingresso: San Potter il martire!»
Megan si voltò e vide
Harry entrare in quel momento nella Sala Grande, ma il suo aspetto non
aveva proprio niente di trionfale.
Per fortuna, i Serpeverde
erano seduti troppo lontano perché lui li sentisse; con passo
rapido e nervoso, Harry raggiunse i suoi amici al tavolo dei
Grifondoro, all'altra estremità della Sala.
In effetti, Megan doveva
ammettere che, dal suo arrivo a Hogwarts, Harry si stava comportando
davvero come un martire: solo e incompreso da tutti, eccezion fatta per
i suoi amici più stretti, non faceva che provocare l'ira della
Umbridge, inanellando una punizione dopo l'altra.
Da una parte, Megan ammirava
quel comportamento, quella solida e incrollabile fede nelle proprie
idee, nella verità, contro tutto e tutti.
Tuttavia, quella era una
battaglia che Harry non poteva vincere: lui e la Umbridge, infatti, non
combattevano ad armi pari; ogni sua protesta, ogni suo minimo accenno
di sfida, venivano soffocati all'istante e severamente puniti.
Che senso aveva, allora, continuare quella vana ribellione?
Non era più semplice arrendersi ed evitare così altri guai?
Megan pensava di sì, e
aveva quindi deciso di non contestare più la versione della
Umbridge; al contrario, si sarebbe comportata come una perfetta
studentessa, docile e diligente e, quando poi la verità sarebbe
venuta fuori, nessuno avrebbe potuto incolparla di non averci almeno
provato.
«Andiamo a farci due risate al loro allenamento?» stava proponendo Draco.
Megan si riscosse dai suoi
pensieri e ribatté «Non dovresti pensare agli allenamenti
dei Serpeverde?» chiese e aggiunse «Non avete ancora fatto
le selezioni».
«Perché avremmo dovuto?» domandò il ragazzo, sinceramente perplesso.
«Non se ne sono andati i due Battitori e un Cacciatore, l'anno scorso?»
«Ah sì,»
convenne Draco «Ma Urquhart li ha già rimpiazzati»
asserì, accennando a Tiger e Goyle, seduti lì accanto.
«Cosa?» chiese Megan, allibita «Non avete fatto le selezioni? È assurdo!»
«Bé, non ne
abbiamo bisogno» ribatté Draco, calmo «Se poi i
risultati sono questi…» disse, indicando il tavolo dei
Grifondoro, dove Harry e Ron si stavano alzando, le scope sotto braccio.
«Se tuo fratello fosse
stato dei Serpeverde sarebbe stato di sicuro in squadra»
continuò Draco «Deve essere davvero umiliante essere
secondi ai Weasley».
Megan, ancora irritata per la
nomina dei nuovi giocatori, non fece caso alle parole del ragazzo che
aggiunse, alzandosi a sua volta «Andiamo?»
Megan aveva ormai perso l'appetito; uscì con gli altri all'esterno, ma non li seguì al campo.
Era una bella giornata di
metà settembre, fresca e ventosa; il cielo era limpido e il sole
gettava tutt'intorno una luce chiara e pulita, accecante.
Decise di fare una passeggiata nel parco, sperando che questo la aiutasse a rilassarsi.
Benché non ci avesse
sperato più di tanto, non poteva nascondere a se stessa la
delusione: Megan amava il Quidditch e di certo giocava meglio di molti
altri Serpeverde; tuttavia, nella squadra della sua Casa, non c'era mai
stato posto per le ragazze. A parte il Cercatore, che doveva essere
agile e veloce, per gli altri ruoli venivano sempre scelti sei grossi
armadioni, caratteristica questa che una ragazza, a parte Millicent,
forse, non poteva di certo avere.
Scacciò via con rabbia questi pensieri e continuò a camminare.
Dopo un decina di minuti di
quel girovagare senza meta, Megan si ritrovò nei pressi dello
Stadio: la voce di Draco si levava forte e netta, accompagnata dalle
risate di Pansy e dagli ululati di Tiger e Goyle: l'allenamento dei
Grifondoro era cominciato.
Megan si sedette all'ombra
opaca di un albero e stava pensando che fosse il caso di rientrare
quando, dopo appena cinque minuti di gioco, udì un fischio e la
voce della Johnson che annunciava la fine dell'allenamento.
Poco dopo, infatti, vide i suoi amici lasciare il campo.
«Ti sei persa uno spettacolo esilarante!» esclamò Draco, notandola.
Pansy rise ancora, come se
quella del ragazzo fosse stata la più divertente delle battute;
Megan non la sopportava quando si comportava così.
«Intanto loro si
allenano, mentre tu stai qui a ridere» ribatté Megan,
quando il gruppetto la raggiunse «Vedremo poi chi riderà
alla partita».
«Non preoccuparti, non
avremo problemi contro Weasley» disse Draco, suscitando in Pansy
un'altra ondata di risa isteriche.
Megan scosse la testa
rassegnata: non c'era verso di convincere Draco a rinunciare al suo
hobby preferito: tormentare i Grifondoro.
«E poi, dopotutto,
dovrebbe ringraziarmi» dichiarò il ragazzo che, davanti
alla sua espressione perplessa, aggiunse «Lo sto aiutando a
gestire la tensione. Durante la partita vera dovrà sopportare
ben più di qualche sfottò!» concluse e, seguito
dagli altri, si allontanò, diretto al castello.
In quel momento, i Grifondoro uscirono dagli spogliatoi.
In testa al gruppo, i gemelli
Weasley tentavano di rinfrancare uno sconsolato Ron che, evidentemente,
come aveva lasciato intendere Draco, doveva aver fornito una
performance penosa; a chiudere la fila, un po' distanziato dagli altri,
c'era Harry.
Da quando erano arrivati a
Hogwarts, Megan non aveva più avuto occasione di intercettare
Harry da solo; così, quando vide il resto della squadra risalire
il pendio verso il Castello, Megan gli andò incontro.
«Ciao Harry» lo salutò.
«Oh, ciao» le rispose lui, sorpreso e, forse, infastidito.
C'era da aspettarselo, rifletté Megan: dopotutto, il suo ottimo amico Draco aveva appena finito di insultare il suo.
«Ehm, posso parlarti un
minuto?» continuò Megan; il Grifondoro annuì e
insieme si avviarono dalla parte opposta del parco, verso la capanna di
Hagrid.
«Io…»
cominciò Megan dopo un lungo, imbarazzato silenzio «Io
volevo chiederti scusa per quello che ti ho detto … sai, quando
sono arrivata quest'estate».
«Oh, non importa, non preoccuparti» rispose Harry, rapido.
«No davvero, ti chiedo
scusa, non avrei dovuto, neanche le pensavo quelle cose»
continuò lei.
«Lo so, non devi
scusarti, lo avrei fatto anche io» disse Harry, affrettandosi poi
ad aggiungere «Non volevo dire… »
Megan però gli stava sorridendo e lo rassicurò «Tranquillo, ho capito cosa intendevi dire»
Il volto del ragazzo si rilassò.
Erano arrivati al limitare
della Foresta Oscura; fecero dietrofront, passando di nuovo accanto
alla capanna del guardiacaccia; il viso del ragazzo si rabbuiò
di colpo.
«Sono certa che tornerà presto» disse Megan, intuendo correttamente i pensieri di Harry, che le sorrise.
Risalirono il pendio verso il
castello, parlando delle lezioni e, soprattutto, della Umbridge; il
Grifondoro le mostrò i profondi tagli alla mano che la
professoressa gli aveva inferto durante le interminabili ore di
punizione.
«È la stessa cosa
che mi ha detto Hermione» commentò Harry cupo, quando lei
provò ad esortarlo a denunciare la cosa.
«Non può passarla liscia, Harry» insistette Megan.
«Lo so,
ma…» si interruppe «Bé, in realtà non
c'è ancora niente di deciso» cominciò,
affrettandosi a proseguire, davanti allo sguardo curioso di lei.
«Abbiamo avuto un'idea,
Hermione l'ha avuta» precisò «Comunque, il prossimo
fine settimana c'è la visita a Hogsmeade, ti andrebbe di
venire?»
«Ehm» rispose Megan, confusa; cosa c'entravano i castighi barbari della Umbridge con la gita al villaggio?
«Non con me»
precisò subito Harry, imbarazzato «Cioè, non solo.
Abbiamo deciso di vederci lì per parlare di questa cosa, del
fatto che la Umbridge non ci sta insegnando nulla di valido o utile,
quindi se vuoi venire … se non hai già altri impegni,
naturalmente».
Megan osservò divertita il volto del ragazzo colorarsi di una tenue sfumatura rossastra.
«D'accordo, ci vediamo all'ingresso sabato alle dieci?»
«Ottimo»
concordò Harry «Allora, a sabato» la salutò
e, prima ancora che Megan potesse aggiungere altro, aveva già
imboccato i gradini davanti al portone, scomparendo all'interno del
Castello.
Senza fretta, Megan entrò a sua volta; la sua già esigua voglia di fare i compiti, era del tutto svanita.
*
Il resto della settimana proseguì tranquillamente.
Megan passava le sue serate a
studiare e quando finalmente saliva in camera, si addormentava di
schianto, troppo sfinita persino per sognare.
Avere tutti quei compiti extra
da svolgere era certamente penoso, ma Megan doveva ammettere che la
mole spaventosa di studio la stava aiutando a non pensare.
Quei pensieri, che l'avevano
tormentata per settimane, adesso parevano solo dei ricordi lontani e
Megan cominciava a credere che, dopotutto, essere figlia di, bé
di Lui, non fosse poi una tragedia.
Decisamente più drammatica era invece la situazione con la Umbridge.
Evidentemente, il Ministero
aveva deciso che il miglior metodo per “risollevare gli standard
scolastici” sussisteva nell'annoiare a morte gli studenti:
l'innovativa tecnica d'insegnamento, infatti, prevedeva che i ragazzi
rimanessero per ore seduti a leggere, in completo silenzio; per
compito, la Umbridge assegnava loro metri su metri di riassunti e temi,
un lavoro, questo, non certo difficile, ma che non aveva speranze di
scuotere in loro il minimo spirito critico.
L'unica cosa che rendeva
quelle lezioni sopportabili era l'aspettativa che Megan aveva riposto
nelle parole di Harry: se lui e i suoi amici Grifondoro avevano avuto
un'idea per sbarazzarsi della Umbridge, Megan avrebbe dato il suo
contributo senza pensarci.
Finalmente, arrivò il sabato.
«Non è colpa mia se Silente ha permesso a quell'idiota di insegnare» stava dicendo Draco.
Lui, Megan e Pansy stavano
facendo colazione, seduti al tavolo dei Serpeverde e, a quanto pareva,
l'argomento di conversazione era ancora la lezione di Cura delle
Creture Magiche, che si era tenuta il pomeriggio prima.
La Umbridge, fresca della
nomina a Inquisitore Supremo di Hogwarts, aveva assistito alla lezione
della professoressa Caporal e, naturalmente, Draco non si era lasciato
sfuggire l'occasione di denigrare Hagrid, facendo perdere le staffe a
Harry che era stato, ovviamente, punito da una gongolante Umbridge.
«Poco importa, se anche
ritornasse, la Umbridge non gli permetterebbe di insegnare»
continuò Draco e Megan si ritrovò ad essere d'accordo.
«Allora, che si fa oggi
a Hogsmeade?» chiese il ragazzo, infilandosi la giacca che aveva
appoggiato accanto a sé, sulla panca.
«Io ho un appuntamento da Madama Piediburro» disse Pansy, allegra, studiando
attentamente la reazione di Draco, che si limitò ad annuire,
lievemente infastidito.
«Andiamo ai Tre Manici di Scopa?» propose allora il ragazzo.
«Io non vengo» disse Megan, alzandosi.
«Perché?» domandò Draco.
«Ho da fare»
rispose lei, evasiva; non le era sfuggito lo sguardo malizioso di Pansy
che, certamente, doveva aver pensato a un appuntamento segreto. Che lo
credesse pure, si disse Megan, allontanandosi; non aveva proprio
intenzione di restare lì a dare spiegazioni.
Harry, come concordato, la
stava aspettando davanti al portone d'ingresso, ma, come notò
presto, non era solo. Accanto a lui, infatti, c'era la ragazza di
Potter, Cho Chang, una Corvonero del sesto anno. Il sorriso radioso che
le illuminava il viso si spense all'istante quando vide Megan unirsi a
loro.
Il terzetto, si accodò al resto degli studenti, che sfilarono davanti a un sospettoso Gazza.
«Perché ti ha
annusato?» chiese Megan, una volta usciti all'esterno. In
effetti, lo strambo custode di Hogwarts si era messo a fiutare Harry,
prima di farlo passare.
«Caccabombe»
rispose Harry «Credeva che le avessi ordinate per posta»
aggiunse, con un tono come per dire “Non chiedermi perché
lo pensava”.
Per il resto del tragitto
verso il villaggio, Megan decise di tenersi in disparte, ma Cho e
Harry, forse per il fatto che sapevano che lei era dietro di loro, non
si scambiarono niente di più che qualche convenevole.
«Hermione ha detto che
ci saremmo incontrati là» le disse Harry, quando
raggiunsero la strada principale di Hogsmeade, indicando poi la stretta
viuzza che portava al pub Testa di Porco; gettò una rapida
occhiata verso Cho e stava per aggiungere altro, quando Megan lo
interruppe e disse che avrebbe girovagato un po' per i negozietti del
villaggio. Con un sorriso di ringraziamento, Harry raggiunse la
Corvonero e i due si avviarono nella direzione opposta,
scomparendo tra la folla.
Ben preso Megan si accorse di
non avere alcun interesse ad entrare in nessuna delle botteghe del
posto; sfilò davanti alle vetrine, che mettevano in mostra ogni
genere di cose, dagli strani marchingegni dell'Emporio di Zonco, ai
dolci variopinti di Mielandia, agli stravaganti accessori di Mondomago.
Dopo circa mezz'ora, Harry e
Cho ritornarono; entrambi esibivano un'espressione cupa, quasi
risentita, ma non dissero nulla e Megan decise di non fare domande.
Si incamminarono invece verso
il lugubre pub e, raggiunto l'ingresso, trovarono ad aspettarli Ron e
Hermione, che per un attimo parve sorpresa di vederla.
«Cominciamo a entrare?» propose la Grifondoro, un po' nervosa.
I cinque ragazzi sciamarono all'interno.
La Testa di Porco era un locale per gente, per così dire, schiva.
Il proprietario, un uomo alto,
con barba e capelli grigi, li squadrò per un istante, quindi
prese le loro ordinazioni senza battere ciglio.
«Gli altri dovrebbero
arrivare più o meno adesso» disse Hermione, prendendo
posto a un tavolino, nell'angolo più estremo del locale.
Infatti, appena pochi istanti
dopo, la porta del pub si aprì di nuovo e un folto gruppo di
ragazzi fece il suo ingresso nel bar.
Megan ne riconobbe alcuni:
Neville Paciock e Dean Thomas aprivano la fila, seguiti dalle gemelle
Patil e un'altra ragazza di Grifondoro, di cui Megan non sapeva il
nome; poi Lunatica Loovegood e altre due Corvonero; poi due ragazzini
dall'aria smarrita e cinque ragazzi di Tassorosso; seguiva l'intera
squadra di Quidditch di Grifondoro, poi Ginny Weasley, seguita da altri
tre Corvonero e, a chiudere la fila, William e Lee Jordan.
Con una stretta allo stomaco, Megan si rese conto di essere l'unica Serpeverde.
Quando tutti ebbero preso posto, Hermione cominciò «Bene, sapete tutti perché siamo qui… »
*
Mezz'ora più tardi, l'eterogeneo gruppo di studenti lasciò la Testa Porco.
Harry era riuscito a
convincere tutti della necessità di esercitarsi negli
incantesimi di Difesa, e così era stato fondato l'Esercito di
Silente.
Megan era rimasta un po'
delusa inizialmente, ma alla fine aveva dovuto ricredersi: un gruppo
clandestino che si addestrava per combattere era decisamente un'idea
esaltante.
Restava solo da scegliere il luogo adatto per riunirsi, un particolare, questo, che aveva raffreddato non poco gli animi.
Hermione si era dimostrata
fiduciosa, ma, già sulla strada del ritorno, Megan aveva
cominciato a pensare a tutte le cose che avrebbero potuto andare storte.
E se li avessero scoperti?
E se la Umbridge avesse trovato la pergamena che Hermione li aveva costretti a firmare?
E se non avessero trovato un posto abbastanza sicuro?
Valeva davvero la pena
rischiare un'espulsione, perché questo avrebbe chiesto
l'Inquisitore Supremo, per imparare qualche incantesimo in più?
E Harry sarebbe stato all'altezza?
«Sembri un po' nervosa,
sai?» le disse suo fratello, interpretando correttamente il suo
silenzio, mentre insieme si allontanavano dal villaggio di Hogsmeade.
Per sua fortuna, Will non
indagò oltre, limitandosi a rassicurarla che presto avrebbero
dato alla Umbridge pane per i suoi denti.
*
La mattina dopo, quando Megan scese di sotto, si accorse che, sulla bacheca dei Serpeverde, era comparso un avviso:
Per ordine dell'Inquisitore Supremo
Tutte le organizzazioni, squadre e gruppi studenteschi sono sciolti a partire da questo momento.
La loro ricostituzione deve essere approvata all’Inquisitore Supremo.
Qualsiasi studente che costituisca, o appartenga a
un’organizzazione, squadra o gruppo non approvati
dall’Inquisitore Supremo sarà espulso.
Di nuovo, Megan sentì lo stomaco contrarsi.
Si era ripromessa di non
contestare più la Umbridge e adesso faceva parte di un gruppo
illegale che, se scoperto, sarebbe costato ai suoi membri l'espulsione
diretta.
Quanto era stata stupida a farsi tirare in mezzo da Harry e dai suoi amici Grifondoro?
Non le era mai importato delle
regole, al contrario, le aveva infrante più volte, ma questa
volta era diverso e Megan si domandò se quella puerile
ribellione valesse davvero il rischio.
Intanto, gli altri Serpeverde
erano arrivati e, dopo una veloce lettura al nuovo avviso, si erano
diretti, come ogni mattina, di sopra per fare colazione.
Ovviamente, nessuno di loro si sentiva particolarmente minacciato da quel decreto.
Megan, sconsolata, prese la borsa dei libri e si affrettò a seguirli.
L'atmosfera nella Sala Grande era, come prevedibile, tesa e nervosa.
Megan evitò
accuratamente di avvicinarsi ai tavoli delle altre Case; non aveva
ancora deciso se partecipare o meno all'ES, e non voleva essere
costretta a dare una risposta affrettata.
Tuttavia, non appena ebbe
varcato l'ingresso della Sala, si accorse che non c'era alcun bisogno
di evitare gli studenti delle altre Case: i membri del neonato gruppo
di Difesa, infatti, le lanciavano, di quando in quando, occhiate
sospettose; credevano che quell'avviso, di certo non comparso per caso,
fosse dovuto a una sua soffiata?
“Naturalmente”
pensò Megan, voltandosi e uscendo dalla Sala “Qualcuno fa
la spia, e subito tutti pensano alla cattiva Serpeverde”.
Era talmente concentrata su questi pensieri, che non si accorse di Harry che la salutava, né di William che la chiamava.
Facendosi largo bruscamente
tra un gruppetto di Tassorosso del primo anno, Megan varcò la
soglia e si diresse alla serre per la lezione di Erbologia.
*
Per tutta la mattinata, l'umore di Megan fu grigio e cupo come il cielo all'esterno.
Dopo Erbologia, era scesa nei sotterranei per Pozioni, dove Piton le aveva riconsegnato la sua spilla da Prefetto.
Adesso era seduta in fondo
all'aula di Antiche Rune, e sfogliava con aria assente il testo di
Decifrare le Rune: Livello Intermedio, in attesa che lezione finisse.
Finalmente, al suono della campanella, la professoressa Babbling
congedò la classe, non prima di aver assegnato loro una nuova
traduzione da fare per compito.
«Niente più compiti extra» osservò Hermione allegra, uscendo con lei dall'aula.
«Già» confermò Megan.
Dopo due lunghe settimane, la punizione che la Umbridge le aveva inflitto era finalmente terminata.
«Vorrei che Harry la
smettesse di sfidare la Umbridge» aggiunse Hermione, mentre
scendevano insieme le scale, dirette alla Sala Grande per il pranzo.
«Non mi pare che tu stia facendo il contrario» osservò Megan.
«Beh, ma è
diverso» obiettò la Granger, dopo un essere rimasta
interdetta per un istante «Insomma, non è una cosa
totalmente inutile, né sbagliata, non pensi?» chiese, con
un tono intrigante che mal s'addiceva al suo atteggiamento
irreprensibile.
Stava forse cercando un modo per farle confessare che aveva fatto lei la spia? pensò Megan.
Avevano appena raggiunto la
soglia della Sala Grande, quando, dall'altra parte del corridoio,
videro arrivare Draco e Pansy, seguiti da Tiger e Goyle.
Pansy, non appena le vide,
sfoderò i denti davanti e si esibì nell'infelice
imitazione della Granger, saltellando da un piede all'altro, con la
mano alzata.
Hermione fece finta di non vederla e, dopo aver salutato Megan, si avviò a passo spedito verso il tavolo dei Grifondoro.
«Era proprio
necessario?» chiese Megan, prendendo posto al tavolo dei
Serpeverde, situato all'estremità opposta della Sala.
«È
divertente!» si giustificò Pansy, servendosi un porzione
di patate lesse, aggiungendo poi «Che ti importa, è
solo una Sanguemarcio arrogante!»
«Se sai di essere
migliore di lei che bisogno c'è di prenderla in giro?»
ribatté Megan, prendendo a sua volta da mangiare.
«Oh non fingere di
essere quella superiore» insistette Pansy «Hai riso anche
tu quella volta, nei sotterranei, quando le sono cresciuti i dentoni a
dismisura!» ridacchiò, scoccando a Draco un'occhiata di
malvagia complicità.
«E quella volta che è rimasta chiusa in infermeria per settimane» ricordò il ragazzo, sghignazzando.
Megan non poté trattenere un sorriso divertito, il primo di quella giornata.
«O l'anno scorso, quando sono usciti tutti quegli articoli su di lei» continuò Pansy.
«Quello è stato un colpo basso» osservò Megan, in tono serio, per quanto poco convincente.
«Come si
arrabbiava!» continuò Pansy, esibendosi poi
nell'imitazione di una Hermione ridicolmente furente «Solo un
idiota avrebbe potuto credere a quelle cose!» aggiunse alla fine
la ragazza «Insomma dai, Hermione Granger, seduttrice senza
cuore?»
«La madre di Weasley ci ha creduto» dichiarò Megan, asciutta.
«Davvero?» chiese Pansy, stupita.
Megan annuì. «Per
Pasqua, al posto del solito uovo gigante, le ha mandato un ovettino
minuscolo» spiegò poi «E, quando è venuta
qui, era decisamente scortese. Per farla smettere, i figli le hanno
dovuto spiegare che gli articoli della Skeeter erano pieni di bugie
inventate».
Draco, Pansy e altri, che avevano ascoltato la conversazione, scoppiarono a ridere di gusto.
«Non ci posso credere!» esclamò Pansy, tenendosi la pancia «Sul serio ci ha creduto?»
«Che ti aspettavi da una grassa chioccia ignorante?» disse Draco, sprezzante.
«Draco…» lo
riprese Megan, ma il ragazzo continuò imperterrito «Non
riesco proprio a credere che i Weasley siano dei Purosangue».
«Guarda che non sono poi
tanto male» ribatté Megan, aggiungendo poi, davanti allo
sguardo scettico dell'amico «Insomma, sono così
uniti…»
«Uniti?»
esclamò Draco «Ma se litigano in continuazione. Scommetto
che dai Weasley, una cena non può dirsi completa senza una lotta
furiosa per aggiudicarsi l'ultima aletta di pollo striminzita»-
Megan alzò gli occhi al
cielo e ribatté «Bé, dico solo che, una volta che
ci hai fatto l'abitudine, non sono affatto stupidi o incapaci come
sembrano».
«E tu come lo sai?» chiese Draco, sospettoso.
«Me l'ha detto mio fratello» rispose Megan in fretta.
«Ah già»
concordò Draco «Bé, forse è così, in
fondo devi solo abituarti ad andare a braccetto coi Babbani e a vivere
in venti in una stanza».
Di nuovo, tutti scoppiarono a ridere.
Megan scosse piano la testa, ma non tentò più di controbattere.
*
Dopo quella breve discussione, Megan aveva deciso.
Terminato il pranzo, andò a cercare Will, confermandogli la sua piena partecipazione all'Esercito di Silente.
Quando suo fratello, dopo
averle rivolto un largo sorriso, si voltò per raggiungere i suoi
amici Grifondoro, Megan, per la prima volta, si ritrovò a
invidiarlo.
Le domande che, da quando
aveva saputo la verità sulle sue origini, aveva avuto paura di
porsi, affiorarono da sole nella sua mente.
Perché Voldemort aveva voluto incontrare solo lei?
Lei e William erano davvero tanto diversi?
Era per questo non erano stati smistati entrambi in Grifondoro?
C'era davvero qualcosa di tremendamente sbagliato in lei?
*
I giorni a Hogwarts passavano con mortale lentezza.
Gli insegnanti avevano fatto
fronte comune e non facevano che assegnare loro compiti su compiti,
ripetendo quanto fosse importante per gli studenti del quinto anno
arrivare preparati agli esami. “Ne va del vostro futuro”
ripetevano fino alla nausea, ogni volta che qualcuno accennava una
timida protesta, nel tentativo di ricordare ai professori che
esistevano altre cose oltre allo studio; vivere, per esempio, era una
di queste.
A riscuoterla un po' da quella
noia, giunse la notizia che Paciock aveva trovato il posto perfetto per
tenere le riunioni dell'ES: al settimo piano, protetta da alcuni,
strani, incantesimi, si celava la Stanza delle Necessità, un
luogo irrintracciabile e invisibile ai più, che si palesava
solamente quando qualcuno ne aveva davvero bisogno.
Megan ricordava di aver letto
qualcosa a proposito di una stanza del genere, ma doveva ammettere di
non aver mai creduto alla sua esistenza.
Un po' come era accaduto con la Camera dei Segreti, pensò con amarezza.
Comunque, al momento, c'erano
pensieri più dolorosi ad affliggerla: tra meno di due giorni,
infatti, il 13 di ottobre per la precisione, avrebbe compiuto sedici
anni; non era particolarmente eccitata all'idea di festeggiare, anche
perché, poco dopo, sarebbe arrivato anche il giorno del
compleanno di Cedric.
Megan ricordava fin troppo bene il modo in cui lei lo aveva festeggiato l'anno prima.
La mattina del 25 di ottobre,
Megan si era svegliata come sempre molto presto; era un martedì,
quindi la sua giornata, e quella del ragazzo, erano state totalmente
impegnate dalle lezioni.
Era stato infatti solo dopo cena che lei e Cedric avevano avuto modo di passare un po' di tempo insieme.
«Diciassette anni» stava dicendo Cedric, sbottonandosi la camicia.
Si erano ritrovati, come
spesso facevano fin dagli ultimi mesi dell'anno precedente, nel Bagno
dei Prefetti, e Megan aveva avuto tutta l'intenzione di festeggiare il
compleanno del suo ragazzo in un modo molto speciale.
«Sai che cosa significa?» le aveva chiesto poi.
«Che sei
maggiorenne?» aveva risposto Megan, mentre, ancora vestita,
sedeva vicino al bordo della piscina, giocando distrattamente con la
schiuma che aveva cominciato ad invadere rapidamente la grande vasca.
«Esattamente» aveva concordato Cedric «E sai che significa?» aveva ripetuto.
«Che potrai fare il
bello e il cattivo tempo fuori di qui, mentre io sarò costretta
ad aspettare altri due anni?»
«Anche» aveva convenuto lui, e un lampo di selvaggia ambizione gli aveva attraversato lo sguardo.
Megan l'aveva osservato perplessa.
«Non ti ricordi che cosa ha detto Silente all'inizio di quest'anno?» l'aveva incalzata dopo un momento.
«Parli del Torneo Tremaghi?» aveva riflettuto Megan.
Cedric aveva annuito e
finalmente Megan aveva compreso «Hai intenzione di
iscriverti?» aveva chiesto, colta improvvisamente da un senso di
apprensione, misto a eccitazione.
«Intendo vincerlo»
aveva replicato lui e, di nuovo, il suo volto si era illuminato di
quell'insolita scintilla di fiera superbia.
Megan era scattata in piedi e
gli aveva gettato le braccia al collo; subito dopo però, mille
pensieri le avevano affollato la mente e così, non senza fatica,
aveva trovato la forza di sciogliersi da quel meraviglioso abbraccio.
«Sarà pericolosissimo» aveva obiettato, cercando di non perdersi nello sguardo risoluto del ragazzo.
«Questo lo so, ma non mi spaventa».
«Bè, spaventa me» aveva replicato lei.
«Credi che non ne sia all'altezza?» aveva ribattuto Cedric, piccato.
«No, certo che no» aveva risposto lei in fretta «Dico solo che dovresti rifletterci attentamente».
«È quello che ho fatto fin da subito».
Megan aveva osservato il suo
ragazzo, di solito così mite e gentile, fissarla con quello
strano sguardo, fiero e deciso, totalmente nuovo e diverso.
Ogni timore era scomparso e in lei era rimasta una sola, intensa emozione.
«Allora» aveva esordito «Bisogna festeggiare».
«Non sono ancora stato selezionato» aveva ribattuto Cedric, con una smorfia divertita.
«Non hai appena detto
che vincerai questo Torneo?» aveva replicato Megan, facendo
scivolare le sue mani sulle spalle del ragazzo, togliendogli lentamente
la camicia, che era caduta con un morbido fruscio sul pavimento
piastrellato.
Quindi lo aveva preso per mano
e lo aveva condotto vicino al bordo della vasca, cominciando a sua
svolta a liberarsi dai vestiti.
Cedric l'aveva seguita docile, decisamente eccitato.
Rimasta con i soli indumenti intimi, lo aveva fatto sdraiare sull'impiantito umido e caldo, mettendosi poi sopra di lui.
«Sei sicura?» aveva chiesto Cedric.
«Mai stata così sicura di qualcosa» aveva promesso lei, baciandolo.
Quella era stata la sua prima volta, ed era stata semplicemente grandiosa.
A quella, ne erano poi seguite tante altre nel corso di quei lunghi, complicati mesi.
Se soltanto avesse saputo come
sarebbe andata a finire, Megan avrebbe fatto di tutto per impedire a
Cedric di gettare il suo nome, e con esso la sua vita, tra le fiamme
azzurrine del Calice di Fuoco.
Se solo avesse avuto modo di
prevedere quello che sarebbe accaduto, avrebbe volentieri fatto a meno
di ogni bacio, di ogni carezza, di ogni sguardo del suo Ced,
purché lui potesse avere ancora la possibilità di
rivolgerli a qualcun'altra.
*
«Buon compleanno!»
Pansy si tuffò letteralmente sul suo letto la mattina del 13 ottobre.
Megan, che era riuscita ad addormentarsi più o meno un quarto d'ora prima si svegliò di soprassalto.
«Tanti auguri!» esclamò poi Pansy.
Megan si tirò su a sedere, mentre l'amica si alzava per prendere qualcosa dal suo comodino.
Anche le altre due ragazze, ancora mezze addormentate, si rizzarono a sedere, probabilmente per capire la ragione del trambusto.
«Yawn»
sbadigliò sonoramente Daphne «Auguri, Meg»
bofonchiò, prima di ributtarsi sul letto.
«Questo è per
te» disse allegra Pansy, tendendole un grosso pacco incartato.
«Aprilo!» la esortò, sedendosi poi sul bordo del suo
letto.
«Grazie, Pansy» disse Megan, usando il tono più vivace che riuscì a trovare.
Cominciò a scartare il suo regalo, sotto lo sguardo vigile dell'amica.
«Allora, ti piace?» chiese Pansy, impaziente, prima ancora che Megan avesse finito di spacchettare.
Finalmente sciolse l'ultimo nodo e aprì la scatola.
Un sorriso sincero le
illuminò il volto quando prese tra le mani il lungo, bellissimo
abito color smeraldo che l'amica le aveva donato.
«Oh, Pansy, grazie» ripeté alla fine «È bellissimo».
«Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto!» esclamò la ragazza.
In quel momento, qualcuno bussò alla porta del dormitorio.
«Sì?» chiese Pansy.
«Siete presentabili, signore?» domandò la voce di Draco.
Un attimo dopo, la porta venne spalancata.
Pansy gettò un gridolino eccitato.
«Buon compleanno,
Meg!» esclamò Draco, entrando, seguito da Tiger e Goyle,
che reggevano rispettivamente un enorme pacco quadrato e uno,
altrettanto grosso, ma di forma decisamente più piatta e lunga.
«Draco!» lo ammonì Megan, guardandosi intorno a disagio.
Le altre due ragazze erano
ancora sotto le coperte, ma, se Millicent era assolutamente
indifferente all'intrusione, Daphne era il ritratto dell'imbarazzo e
sembrò tentare di scomparire tra le lenzuola.
«Se non ricordo male» disse Draco «Qualcuno oggi diventa irrimediabilmente vecchio».
«Molto gentile» commentò Megan, sorridendo.
«Auguri, Megan»,
«Buon compleanno» dissero gli altri due, nel tentativo di
trovare interessante la punta delle loro scarpe.
«Bé, ragazzi
metteteli qui» ordinò Draco ai suoi amici, che obbedirono,
appoggiando i due pacchi ai piedi del letto di Megan.
«Togliamo il disturbo,
signore» aggiunse poi Draco, gettando un'occhiata tutt'altro che
innocente a Pansy, che ricambiò.
«A dopo» le salutò alla fine, uscendo, seguito a ruota dai suoi due amici.
«Idiota» commentò Megan.
«Dai, Meg, aprili» la esortò Pansy, impaziente.
Con un sospiro di divertita rassegnazione, Megan scartò i suoi regali.
«Bè»
commentò Pansy, quando Megan aprì il secondo pacchetto
«Qualcuno ti vuole nella squadra, l'anno prossimo».
Con un sorriso di sincera
gratitudine, Megan accarezzò il liscio manico di scopa che Draco
le aveva donato, sperando che l'amica avesse ragione.
* * *
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Capitolo 5 *** Capitolo IV - Sintomi ***
5.5
Capitolo IV
Sintomi
Nelle settimane che seguirono, Megan si ritrovò a pensare sempre
più spesso che accettare di far parte dell'Esercito di Silente
fosse stata una perdita di tempo.
Durante gli incontri, infatti, Harry si limitava a farli esercitare con
alcuni, banali incantesimi, come la Fattura Impediente o
l'Expelliarmus, tutte cose che si potevano trovare benissimo su
qualunque manuale di Difesa del secondo o del terzo anno.
C'era da dire, tuttavia, che il livello generale della
“classe” era decisamente infimo, fatta eccezione per pochi
di loro.
Una sera, al termine dell'incontro, Megan aveva avvicinato Harry e
aveva provato a suggerire l'idea di tenere delle altre lezioni, per
quelli più bravi, di modo che potessero migliorare senza essere
rallentati da quelli che avevano più difficoltà, o
intralciati da coloro che dovevano presenziare ai sempre più
numerosi allenamenti delle varie squadre di Quidditch.
Harry le aveva promesso che ci avrebbe pensato, ma nei giorni seguenti
aveva evitato accuratamente l'argomento, tanto che fu solo dopo
molte insistenze che le disse chiaro e tondo che aveva deciso di
scartare l'idea.
In realtà, comunque, la cosa che più la infastidiva era
quella sensazione di immobilità: fondare un gruppo segreto,
imparare a combattere, infrangere le regole imposte dalla Umbridge,
nessuna di queste cose si era rivelata neanche lontanamente eccitante
come aveva pensato, e quella sensazione di non stare facendo nulla di
concreto non l'abbandonava mai.
Inoltre, da quando faceva parte dell'ES, Megan si era un po'
allontanata dai suoi amici, come se credesse di averli, in qualche
modo, traditi.
Passava molto più tempo con William ora e, stranamente, con Hermione.
Non potevano dirsi amiche, ma Megan doveva ammettere che la sua compagnia non era affatto snervante come aveva sempre pensato.
Ad ogni modo, stare con i Grifondoro la faceva sentire fuori posto, e
cominciava a mancarle la complicità che aveva con i suoi amici
di sempre; certo, negli ultimi tempi si era fatta, per così
dire, un esame di coscienza, e aveva dovuto ammettere che il loro
comportamento era stato spesso ingiusto e, anzi, ripensandoci, si era
sentita nauseata dai suoi stessi commenti acidi e talvolta crudeli. Ma,
si chiedeva, non si era sempre divertita con loro? Non era sempre stata
al loro gioco, non aveva riso anche lei per quelle battute cattive, non
era sempre stata zitta davanti al quelle provocazioni esasperate?
La verità era che Megan si sentiva confusa, stordita, come quel
giorno, quando Voldemort aveva provato a convincerla a unirsi a lui,
instillando in lei il seme del sospetto e della paura.
“Il tuo potere è immenso, loro avranno paura di te” le aveva detto.
Davvero Harry e gli altri l'avrebbero temuta se avessero saputo la verità?
Lei lo stava dimostrando, era molto più capace degli altri nei
duelli, ma solo perché aveva passato tutta l'estate a studiare
Incantesimi e Fatture di livello decisamente avanzato.
Aveva sempre avuto una naturale inclinazione per quel tipo di magia, ma dipendeva davvero dal fatto che Voldemort era suo padre?
E poi, c'era il suo gemello.
Megan non aveva mai avuto segreti per lui, e ora gli stava nascondendo una verità enorme, scomoda e pericolosa.
Si era ripetuta più volte che non dire niente fosse la decisione
più saggia: in fondo, perché turbare suo fratello con
qualcosa che non lo riguardava?
Voldemort, infatti, lo aveva messo in chiaro fin da subito: William non gli interessava.
Tutti questi pensieri la tormentavano ogni giorno e Megan era convinta che, prima o poi, sarebbe esplosa.
In effetti, una cosa del genere era già successa.
Era un normale sabato pomeriggio; verso le quattro, Megan
era uscita dai sotterranei, dopo un'altra giornata passata al chiuso a
studiare. Doveva mancare ancora qualche minuto al tramonto e aveva
sperato di riuscire a rubare qualche attimo di assoluto relax nel
parco, assaporando gli ultimi raggi del sole.
Aveva appena imboccato il corridoio che conduceva alle scale, quando aveva notato alcuni ragazzini di Grifondoro.
Non potevano essere più grandi del secondo anno e avevano un'aria guardinga, decisamente sospetta.
Megan si era avvicinata e aveva chiesto loro spiegazioni: quei tre non
avrebbero dovuto trovarsi lì, nei passaggi sotterranei, quando
non c'era lezione.
I tre ragazzini, tra cui c'era, come aveva riconosciuto poco dopo, il
più giovane dei fratelli Canon, erano ammutoliti e avevano
cercato di nascondere qualcosa dietro le loro piccole schiene.
«Allora, che state combinando?» aveva domandato di nuovo lei, in tono minaccioso.
«Niente, ora torniamo nella nostra Sala Comune» aveva
risposto l'unica ragazzina del gruppo, una bambina minuta, con una gran
massa di capelli scuri e ricci.
Forse era stata la tensione di quei giorni, o forse il desiderio di
fare qualcosa di concreto, fosse anche solo infliggere una misera
punizione. O forse l'incredibile somiglianza che quei tre avevano con
il più celebre trio Grifondoro; qualunque fosse stata la
ragione, Megan aveva insistito perché le consegnassero quello
che stavano cercando di nascondere.
Al loro ennesimo rifiuto, Megan aveva estratto la bacchetta e, senza
quasi accorgersene, aveva lanciato una Fattura Rictusempra, scagliando
Canon a cinque metri di distanza; gli altri due, terrorizzati, avevano
lasciato cadere a terra quelli che le erano sembrati essere dolci e si
erano precipitati a soccorrere l'amico.
Megan aveva compreso immediatamente che quel gesto impulsivo le sarebbe
costato caro e, infatti, una volta salite le scale e raggiunto
l'ingresso, ormai invaso dalle ombre, non era rimasta sorpresa di
trovare Gazza, il custode, che, con un ghigno malevolo, le aveva detto
che era stata convocata d'urgenza nell'ufficio della Umbridge, alla
presenza di Piton e della McGranitt.
Non si sarebbe mai aspettata, però, quello che era accaduto dopo.
«A quanto pare, lei ha deliberatamente aggredito un altro
studente, signorina Parker, come vorrebbe giustificare un simile,
deplorevole comportamento?» aveva chiesto la Umbridge, in tono
orrendamente lezioso, dopo aver ascoltato il resoconto della McGranitt.
In quel momento, Megan aveva avuto un'illuminazione.
«Stavo solo assolvendo ai miei doveri di Prefetto. Ho chiesto a
quei tre che cosa stessero facendo nei sotterranei e che cosa
cercassero di nascondere, ma loro, anziché rispondermi, hanno
estratto le bacchette» aveva mentito «Mi sono semplicemente
difesa».
«Difendersi da tre ragazzini del secondo e del primo anno?»
aveva esclamato la McGranitt, incredula e sarcastica allo stesso tempo
«Non potevi semplicemente disarmarli? Sono certa che conosci
quell'incantesimo».
«Che cosa nascondevano, cara?» aveva chiesto la Umbridge, ignorando il commento della collega.
«Non saprei» aveva risposto Megan «Probabilmente,
qualcosa di illegale. Qualunque cosa fosse, deve trovarsi ancora sul
pavimento dei sotterranei, sempre che non l'abbiamo ripreso prima di
andare in infermeria».
«Dirò al signor Gazza di controllare immediatamente» aveva affermato la Umbridge, gongolante.
«Ma insomma, si è forse dimenticata che la signorina
Parker ha scagliato una Fattura contro tre studenti più
piccoli?» aveva protestato la McGranitt.
«Affatto, Minerva cara» era intervenuta di nuovo la
Umbridge, con voce affettata «Ma credo sia piuttosto chiaro che
siano stati i suoi studenti a commettere una grave infrazione»
aveva dichiarato; Megan non aveva creduto alle proprie orecchie, ma
aveva fatto del suo meglio per non mostrarsi sorpresa «Hanno
deliberatamente sfidato l'autorità di un Prefetto, minacciando
persino di attaccarlo» aveva continuato poi la Umbridge
«Per questo, direi proprio che un castigo sia d'obbligo e,
vediamo, direi anche di sottrarre a Grifondoro trenta punti … A
testa» aveva precisato, facendo comparire un'espressione
sconvolta sul volto severo della McGranitt.
«Una volta recuperata la refurtiva poi,» aveva continuato
«l'esaminerò con cura e, se dovessi appurare che si tratta
di oggetti pericolosi, introdotti a scuola senza autorizzazione,
sarò costretta a prendere ulteriori provvedimenti» aveva
concluso, con un sorrisetto di malvagio trionfo.
«Ma… » aveva provato a ribattere la McGranitt, ma la
Umbridge aveva ripreso, rivolgendosi a Megan con un sorriso
condiscendente «Quanto a lei, mia cara, deve riconoscere che la
sua reazione è stata un po' esagerata, per quanto nobile fosse
il suo intento. Penso che cinque punti in meno l'aiuteranno a
riflettere sulle sue azioni» aveva decretato, congedandola.
Piton, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio, si era lasciato sfuggire un ghigno di vittoria.
Ad ogni modo, dire che le fosse andata bene era, senza alcun dubbio, riduttivo.
Harry e gli altri Grifondoro, una volta venuti a conoscenza
dell'accaduto, erano stati piuttosto freddi con lei; naturalmente,
William aveva provato a difenderla, ma senza ottenere grandi risultati.
A peggiorare la situazione poi, era intervenuto l'ennesimo decreto
della Umbridge, comparso il giorno dopo sulle bacheche delle quattro
Case: i Prodotti Weasley, i dolci che i tre Grifondoro si erano
rifiutati di consegnarle, erano stati messi al bando.
In compenso però, Megan aveva trovato indulgenza presso i suoi
amici Serpeverde che, a dire il vero, si erano complimentati con lei,
in particolare Draco che, da quando era stato nominato Prefetto, era
sempre alla ricerca di una buona scusa per prendersela con i
Grifondoro, Harry nello specifico.
Tuttavia, la prossima riunione dell'ES si avvicinava e, come se gli
animi non fossero già abbastanza accesi, anche la prima partita
del Campionato, Serpeverde contro Grifondoro, era ormai imminente.
*
«Ti fa ancora tanto male?» stava chiedendo Pansy,
preoccupata, mentre sedeva acciambellata accanto a Draco, che esibiva
fiero i segni dell'aggressione subita dopo l'incontro.
Quella mattina, infatti, si era tenuta la partita contro i Grifondoro;
i Serpeverde avevano perso, ma, evidentemente, la vittoria sul campo
non era sembrata sufficiente a Harry e ai suoi: i Grifondoro non
dovevano aver gradito la beffa, un po' crudele, che Draco aveva
orchestrato ai danni del loro Portiere.
Quando la partita era cominciata, era stato subito chiaro che il nuovo
Portiere dei Grifondoro non era affatto adatto al ruolo, o al Quidditch
in generale, e che la spilla che aveva ideato Draco, null'altro che
un'innocua coccarda, con su scritto “WEASLEY È IL NOSTRO
RE”, in campo rosso e oro, fosse decisamente adeguata.
Ron Weasley non ne prendeva una e, infatti, dopo appena dieci minuti di
gioco, i Serpeverde si erano ritrovati in vantaggio per 60 a 10.
Certo, il coro che Pansy aveva diretto con entusiasmo, non l'aveva
aiutato per niente; le strofe, anch'esse inventate da Draco, erano
piuttosto insultanti, ma, dopotutto, una canzone non poteva fare alcun
male; se Ron faceva pena, non era di certo per colpa loro.
I Serpeverde avevano continuato a macinare punti, fin quando Harry e
Draco non si erano lanciarti in picchiata, all'inseguimento il Boccino.
In un attimo, tutto era finito.
Harry aveva agguantato il Boccino, decretando la fine dell'incontro e la vittoria dei Grifondoro.
Improvvisamente, però, con la stessa rapidità con cui il gioco si era concluso, la situazione era precipitata.
Draco, infatti, arrabbiato per la sconfitta appena subita, si era avvicinato ai Grifondoro.
Dagli spalti, Megan non era riuscita a sentire quello che diceva, ma,
qualunque cosa fosse, non poteva certo giustificare quello che era
accaduto dopo: Harry e i gemelli Weasley erano scattati in avanti come
un sol uomo, scagliandosi contro Draco e cominciando a colpirlo con
raffiche di pugni.
Molti ragazzi, sulle tribune, erano ammutoliti, sorpresi; alcuni
Grifondoro avevano preso a incitare i loro giocatori, come se la
partita fosse ancora in corso, mentre i Serpeverde avevano ululato
indignati. A gridare più forte di tutti era stata Pansy, che si
era messa a strillare terrorizzata, con le lacrime agli occhi.
Alla fine, Madama Bumb era riuscita a fermare i Grifondoro e Megan
aveva visto Draco, chiaramente dolorante, trascinarsi lontano; anche da
quella distanza, si poteva intuire che il labbro del ragazzo era
tagliato e che la guancia sotto l'occhio destro aveva cominciato a
gonfiarsi, assumendo una brutta tonalità violacea.
Adesso, grazie alle cure di Madama Chips, il gonfiore era sparito, ma rimanevano inequivocabili i segni di quel vile attacco.
Megan non sapeva ancora che cosa fosse successo a Harry e agli altri
due, ma era certa che la Umbridge non si sarebbe fatta sfuggire
quell'occasione per punire duramente il Grifondoro.
Per la prima volta, dunque, il castigo di Harry sarebbe stato ben
meritato e, soprattutto, nessuno avrebbe più potuto accusare lei
di essersi comportata incivilmente.
*
Per quasi due settimane, l'ES non venne più convocato.
Megan aveva cominciato a pensare che Harry avesse deciso di non
informarla delle riunioni, non ritenendola più degna di far
parte di quell'esclusivo club di dilettanti.
Tuttavia, pensava anche, William non l'avrebbe mai tenuta all'oscuro di
tutto in quel modo, perciò Megan finiva per convincersi che
semplicemente gli incontri erano stati rimandati a data da destinarsi.
Finalmente, un pomeriggio, dopo pranzo, Megan sentì il galeone
stregato bruciare e sulla moneta comparvero la data e l'ora della
riunione, che si sarebbe tenuta quella sera alle otto.
Per il resto della giornata, Megan rifletté a lungo se fosse il
caso o meno di andare, ma alla fine, alle otto meno dieci, uscì
dai sotterranei per recarsi al settimo piano.
«Ottime notizie!» l'accolse suo fratello, non
appena Megan ebbe varcato la soglia della Stanza delle
Necessità, dove si tenevano gli incontri dell'ES.
«Sono in squadra» spiegò, abbracciandola.
Megan gli rivolse un sorriso sincero.
Dopo la zuffa, o meglio l'aggressione sul campo di Quidditch, Harry e i
gemelli Weasley erano stati squalificati dalla squadra e questo aveva
reso vacanti tre posizioni; Will, che era un ottimo Battitore, doveva
essere stato la scelta più ovvia come sostituto.
«Bene, ora che ci siamo tutti, direi di cominciare»
esordì Harry, passando in rapida rassegna i presenti; quando il
suo sguardo stava per posarsi su Megan, lui lo distolse in fretta, come
se temesse che guardarla potesse portare a una qualche tremenda
conseguenza.
Megan lo ignorò e si dispose in coppia con Will, per esercitarsi di nuovo con la Fattura Impediente.
Ben presto, tuttavia, decise di prendersi una pausa e, un po' in disparte, prese ad osservare lo strazio attorno a lei.
Tutti stavano mostrando timidi segni di miglioramento, ma non c'era
alcun dubbio sul fatto che, se i Mangiamorte avessero attaccato, quei
ragazzini non avrebbero avuto alcuna speranza contro i servi di Lord
Voldemort.
Stava ancora esaminando le scadenti prestazioni dei suoi compagni,
quando, d'un tratto, vide Neville Paciock, concentratissimo e madido di
sudore, gridare «Impedimenta!»
La Fattura non colpì il suo bersaglio e Megan si accorse di trovarsi sulla traiettoria dell'incantesimo.
Di riflesso, sollevò la sua bacchetta e ordinò «Protego!»
Lo scudo magico si materializzò all'istante, ma la Fattura era
decisamente ben piazzata, per quanto imprecisa, e Megan fu costretta ad
arretrare, sospinta dalla forza del contraccolpo.
«Stai bene?» chiese Will, precipitandosi verso di lei.
Tutti avevano smesso di duellare e anche Harry non poté fare a meno di guardare nella sua direzione.
«Certo» rispose Megan, brusca, lanciando un'occhiata torva
a Paciock che mormorò, avvilito «Mi dispiace, cercavo di
colpire Hermione».
«E invece hai colpito me, sai che significa questo in un vero combattimento?» lo rimbrottò lei.
«I-io, ci provo… » balbettò Neville, invocando aiuto.
«Ti ha chiesto scusa e non ti sei fatta niente» disse a un tratto Harry, che nel frattempo li aveva raggiunti.
«Naturalmente, perché io, a differenza di tutti voi, sono capace di difendermi» ribatté Megan.
«Bé, se sei così brava perché non provi tu a
tenere le lezioni» disse un ragazzo di Corvonero e, di nuovo,
quella sensazione di rabbia e frustrazione esplose dentro di lei.
«Queste tu le chiami lezioni?» sbottò, quindi
tornò a guardare Harry «A me sembrano solo delle patetiche
pagliacciate, dove questi idioti non fanno altro che sventolare a caso
la bacchetta credendosi dei temibili guerrieri».
«Non lo pensi sul serio…» si intromise William, ma
Megan lo ignorò e proseguì, implacabile «Lo avete
dimostrato anche alla partita, no? Oh, siete bravi a combattere alla
Babbana, questo è certo, ma sono piuttosto sicura che i
Mangiamorte sappiano difendersi da un branco di ragazzini capaci solo
di sferrare qualche pugno a tradimento».
«A tradimento?», «Quel piccolo…» dissero
Fred e George, indignati, sentendosi chiamare in causa, ma di nuovo
Megan continuò, ostinata.
«Che cosa? Vi ha insultati?» chiese divertita «O ha
chiamato la tua sporca amica “Sanguemarcio”?»
aggiunse, fissando Harry negli occhi.
«Meg, adesso basta» esclamò Will, prendendola per un
braccio e tentando di trascinarla via dal gruppo; qualcuno era ancora
ammutolito, ma la maggior parte sembrava furiosa.
Megan si divincolò con forza; erano una contro venti, ma li
avrebbe Schiantati tutti senza problemi, stava solo aspettando il
pretesto.
«Allora?» chiese, rivolta a nessuno in particolare
«Il vostro prezioso Potter non ha saputo insegnarvi altro?»
«Harry è un ottimo insegnante» dichiarò a un tratto Cho Chang.
«Se non ti sta bene puoi anche andartene» aggiunse un altro, forse Macmillan.
«Naturalmente, il grande Harry Potter, così bravo,
così coraggioso…» sospirò Megan, sprezzante
«Perché non racconti a tutti la verità?» lo
incalzò «Perché non dici a tutti come sono andate
davvero le cose? Racconta, Harry, di' loro come sei scappato a
nasconderti, mentre Cedric veniva ucciso. Tu dovevi morire quella
notte, non Cedric! Voldemort voleva te! Spiegaci, dunque, come hai
fatto a scappare, mentre Cedric, che valeva cento volte te, è
morto?»
In molti tentarono di protestare, ma Megan andava avanti, impietosa
«Quanto deve essere eccitante vedere i migliori Auror del
Ministero pronti a proteggerti, saperli disposti perfino a morire per
te?»
A quelle parole, Hermione e Ginny sbiancarono, e anche William e il resto dei Weasley si allarmarono.
Harry, invece, rimaneva zitto.
«Volete il grande eroe a insegnarvi, bene, tenetevelo!»
concluse Megan «Io ho intenzione di restare viva e non
perderò di certo altro tempo con voi incapaci»
dichiarò, avviandosi verso l'uscita.
Will tentò di richiamarla, ma era l'unico del gruppo; gli altri
si limitarono a osservarla, borbottando tra loro, fin quando la voce di
Weasley non giunse chiara e netta alle sue orecchie «Meglio
così, non ci si può fidare di una dannata
Serpeverde» dichiarò, scatenando mormorii di approvazione.
Megan, che aveva già una mano appoggiata alla maniglia della porta, la ritrasse e si voltò di scatto.
«Come prego?» chiese e, senza aspettare una risposta, estrasse la bacchetta e la puntò contro Weasley.
William scattò in avanti «Meg lascia perdere» provò a dire, ma Megan lo ignorò e avanzò.
Harry tentò di frapporsi, ma Ron glielo impedì e puntò a sua volta la bacchetta contro di lei.
«Ridicolo» mormorò Megan, quindi scagliò uno Stupeficium non verbale.
Weasley non ebbe nemmeno il tempo di difendersi; in un attimo venne sbalzato all'indietro a cadde a terra, svenuto.
Megan sogghignò soddisfatta, quindi lasciò la Stanza
indisturbata, mentre il resto del gruppo accorreva in soccorso del
ragazzo.
*
Il mattino seguente, Megan si svegliò stranamente serena.
L'incidente nella Stanza delle Necessità non sarebbe stato
né dimenticato, né perdonato con molta facilità,
ma Megan decise che non se ne sarebbe preoccupata più di tanto.
In fondo, non aveva detto nulla che non avesse sempre pensato o che non
fosse vero; se questo significava troncare ogni rapporto con Harry e i
suoi amici, se ne sarebbe fatta una ragione.
Anche Pansy si accorse del suo inconsueto buonumore, ma, ad eccezione di un sorrisetto malizioso, non fece domande.
Da quel fine-settimana a Hogsmeade, infatti, Pansy si era convinta che
ci fosse un misterioso ragazzo con cui Megan si incontrava ogni
settimana.
In verità, non c'era nessun ragazzo, ma Megan aveva deciso di
lasciar credere all'amica che esistesse, per giustificare così
le sue uscite serali, quando, in realtà, si recava alle riunioni
dell'ES.
Certo, ora che aveva lasciato il gruppo, Pansy si sarebbe insospettita
ancora di più, ma Megan confidava di trovare una scusa
convincente.
Dopo colazione, si recò, come ogni giovedì, alla lezione
di Antiche Rune. La Granger frequentava il corso con lei e fu quindi il
primo membro dell'ES che incontrò.
A parte un unico incrocio di sguardi, Hermione si limitò a
ignorarla per tutta la lezione e, al termine dell'ora, si avviò
in fretta nei sotterranei per Pozioni.
Laggiù, anche Harry e gli altri Grifondoro presenti si
comportarono come sempre, anche se Megan poteva giurare di aver visto
Dean Thomas lanciarle un'occhiata di puro disprezzo quando era entrata
nell'aula. Quanto a Weasley, sembrò fare di tutto per non
incrociare mai il suo sguardo e Megan decise che questo fosse dovuto al
fatto che, finalmente, quell'idiota cominciava a capire di che pasta
era fatta.
Tuttavia, se gli altri riuscirono a mostrare un'ostentata indifferenza, lo stesso non si poteva dire di suo fratello.
Will, infatti, aveva un'espressione strana quel giorno, smarrita, come se non sapesse bene come comportarsi.
Fu distratto per tutta la lezione, tanto che sbagliò la sua
Soluzione Singhiozzante, una miscela piuttosto semplice, che gli valse
il duro rimprovero di Piton.
Quando poi, dopo la lezione, i ragazzi cominciarono a uscire dall'aula,
William la rincorse e la bloccò nei corridoi del sotterraneo.
«Dobbiamo parlare» le disse sottovoce, mentre gli altri
passavano loro accanto, diretti alla Sala Grande per il pranzo.
Megan fece per protestare, ma lui la prese per un braccio e la
trascinò fino all'imbocco di un passaggio segreto; Megan,
controvoglia, non oppose resistenza e seguì il gemello.
«Meg,» cominciò Will, quando fu sicuro che fossero soli.
«Se stai per dirmi che devo scusarmi, perdi il tuo tempo» lo anticipò lei.
«Ascoltami» insistette lui «Quello che hai fatto è-»
«Che cosa, grave?» lo interruppe lei, ironica «Certo,
immagino che saranno subito corsi a lamentarsi. Dopotutto, io ho
aggredito selvaggiamente uno studente durante un incontro segreto di un
gruppo clandestino che non ha alcuna autorizzazione per riunirsi».
«Il fatto che non possano denunciarti non significa che la cosa
non avrà conseguenze» l'ammonì Will, serio.
«È una minaccia, per caso?» chiese Megan, per nulla impressionata.
«No, certo che no!» rispose lui in fretta «Ma ecco…» si interruppe.
Megan rimase ad osservarlo in silenzio.
«Bé ecco» riprese «Alcuni temono che tu voglia raccontare tutto alla Umbridge».
«Oh, se è questa la loro unica preoccupazione» disse
lei, sbuffando «possono stare tranquilli, non ne ho la minima
intenzione. E poi, ci vorranno decenni prima che possano rappresentare
un pericolo!»
«Ma si può sapere che ti è preso?» chiese
Will, ignorando il suo ultimo commento «Harry è tuo
amico» affermò, ma il suo tono ora era incerto.
«No che non lo è, non lo è mai stato!»
ribatté Megan «È tuo amico, non mio»
precisò.
«Ma comunque non puoi pensare davvero quello che hai detto» insistette lui.
«Certo che lo penso!» esclamò Megan, risoluta.
«Meg non puoi dire certe cose!» l'ammonì, scuotendo la testa.
«Perché no?» chiese lei, in tono innocente.
«Perché … Meg» cominciò suo fratello,
a disagio «Non puoi dare a tutti dell'incapace, non puoi
attaccare qualcuno in quel modo, e non puoi dire a Harry
che…»
«Che avrei preferito che fosse morto lui al posto di
Cedric?» completò Megan, calma «Bé, mi
spiace, ma è così. Se fosse dipeso da me, se avessi
potuto salvare uno dei due, avrei scelto Cedric, è ovvio».
«No che non è ovvio!» provò a controbattere Will.
Megan scoppiò a ridere. «Andiamo, Will» disse poi
«Chiunque, se ne avesse l'opportunità, salverebbe la
persona che ama».
«Ma non augurandosi la morte degli altri!» esclamò lui.
Di nuovo, Megan sentì l'impulso di ridere. «Non mi sono
augurata la morte di Harry, ho semplicemente detto che avrei preferito
veder tornare vivo Cedric. A parti invertite, gli amici di Harry
avrebbero pensato la stessa cosa. Tutti l'avrebbero pensato».
«No, non tutti!» ribatté suo fratello, con forza
«Non è così che ragiona la gente normale».
«Ah, quindi ora non sono normale?!» esclamò Megan, irritata.
«Non ho detto questo» ribatté lui, calmo.
«Invece sì, è esattamente questo quello che hai
detto» disse e aggiunse, corrugando la fronte, ricordando le
parole di Weasley «Come è stato precisato, io sono la
cattiva Serpeverde, la perfida Megan, e ora sono anche pazza».
«Guarda che nessuno pensa che tu sia cattiva o pazza»
obiettò William «E questa storia dell'“io sono
diversa, sono una Serpeverde” eccetera, è solo una tua
paranoia, sei tu che ti autoescludi».
«Ma davvero?» ribatté lei, in tono falsamente perplesso.
«Perché credi ti abbia chiesto di venire a Grimmauld Place
questa estate?» chiese suo fratello che, senza darle il tempo di
rispondere, continuò «Perché vedessi quanto Harry e
gli altri tengono a te. Harry è tuo amico» disse di nuovo.
«Per l'ultima volta, Harry e io non siamo mai stati amici,
nessuno di loro lo è mai stato. Quelli sono i tuoi amici»
ribatté Megan, con enfasi.
«D'accordo, ma…» provò a insistere lui.
«Io li ho sopportati, anche se non si può dire lo stesso di loro» continuò Megan.
«Ma non è vero! Sai perfettamente che non è
così, stai solo facendo la vittima» esclamò Will,
esasperato.
«La vittima?» ripeté lei, accigliata «Sul
serio? Ti sei forse dimenticato quanti rospi ho dovuto ingoiare per
colpa loro?» chiese, e continuò «Tu dici che
è una mia paranoia, ma dimmi una sola volta in cui il mio essere
Serpeverde non mi abbia ostacolata» affermò e riprese,
contando sulle dita «Te lo ricordi, al secondo anno? Chi ha
aiutato Harry a trovare l'ingresso della Camera dei Segreti e a salvare
il collo della Weasley? Qualcuno mi ha ringraziata per caso? E due anni
fa, quando Black è stato catturato, chi ha scritto subito a
nostro padre chiedendogli di intercedere per lui con il Ministro? Ci
sarebbe anche riuscito, se Sirius non fosse evaso in un qualche
rocambolesco modo, e si sono mai presi il disturbo di spiegarmi come ha
fatto?»
«Non l'hanno raccontato neanche a me» obiettò William.
«Certo, perché sapevano che me l'avresti detto!»
ribatté lei, aspra «E sempre al secondo anno, quando
Harry, davanti all'intera scuola, ha parlato Serpentese. I suoi
perfetti amici lo difendevano, naturalmente “Oh Harry, c'è
sicuramente una spiegazione”» disse, imitando il tono
solenne e altero della Granger «“È un dono raro e
particolare, ma non tutti i rettilofoni sono cattivi”. E poi cosa
è successo quando tu, per aiutare il tuo amico a sentirsi
meglio, sei andato a dirgli che anche io parlo Serpentese? Ti sei forse
dimenticato le occhiate che mi lanciavano? O le accuse che mi hanno
rivolto? Harry è un Grifondoro, ha distrutto Voldemort in
chissà quale oscuro modo, ma Megan è una Serpeverde,
quindi deve essere lei quella cattiva!»
«Nessuno ha mai pensato una cosa del genere» provò a controbattere suo fratello, con poca convinzione.
«Davvero? Will, sii sincero, con te stesso almeno. Ogni volta che
succede qualcosa di brutto, tutti sospettano dei Serpeverde. Nessuno
dei tuoi amici si è mai davvero fidato di me, nessuno in questa
scuola ha mai preso le difese della mia Casa. Noi siamo quelli subdoli
e arrivisti, e non c'è modo di cambiarlo» disse Megan, in
tono di sfida «Quindi, per questo non mi scuserò»
concluse, dopo una pausa; poi, senza aspettare una replica, si
allontanò in fretta dai sotterranei.
*
I giorni che seguirono trascorsero nella completa, ordinaria tranquillità.
Nessuno dei Grifondoro diede cenno di voler parlare dell'incidente
nella Stanza delle Necessità, e William non tentò
più di sollevare la questione.
In realtà, dalla discussione nei sotterranei, Megan non aveva
avuto più occasione di parlare con suo fratello da sola; era
sempre circondato dai suoi maledetti amici e così lei aveva
deciso di fare altrettanto.
Inoltre, poi, adesso che aveva chiuso del tutto con i Grifondoro, Megan
si sentiva incredibilmente serena, come non lo era da mesi.
Voldemort non era più un pensiero fisso e anche il dolore per la morte di Cedric si era affievolito.
In realtà Megan non ne andava molto fiera, ma, dopotutto, la vita doveva pur andare avanti in qualche modo.
Stava riflettendo su queste cose, seduta sul suo letto,
rigirandosi tra le dita la collana che Cedric le aveva regalato lo
scorso Natale, quando Pansy entrò nel dormitorio.
Era trafelata, come se avesse appena fatto le scale di corsa, e aveva un'espressione tra il disgustato e il furioso.
Megan le rivolse uno sguardo interrogativo.
«Quella scema di Daphne» borbottò Pansy, cominciando a misurare la stanza a grandi passi.
Daphne Greengrass era una Serpeverde del quinto anno che condivideva il
dormitorio con loro. Evidentemente, però, Pansy o non si curava
di essere sentita o sapeva che la ragazza non sarebbe salita in camera
molto presto.
«Io la ammazzo» continuò poi, pestando i piedi sul pavimento.
Megan cominciò a intuire il motivo di tanta, improvvisa animosità.
«Che cosa ha fatto?» la incalzò, visto che l'amica
continuava a marciare per la stanza, borbottando insulti
incomprensibili.
«Cosa non ha fatto!» sbottò Pansy alla fine,
stringendo i pugni; si fermò, quindi si sedette sul letto di
Megan, accanto a lei.
Per un po' rimase in silenzio, poi finalmente si decise a spiegare
«Lo sai che cosa l'ho appena beccata a fare, quella
smorfiosa?»
«No, che cosa?» chiese Megan, indulgente.
«Se ne stava là, sul divano, avvinghiata a Draco!»
«Capisco» commentò Megan, per nulla sorpresa.
«No invece!» esclamò Pansy, alzandosi in piedi
«Era peggio di una Pianta Tentaculum!» continuò,
esibendosi poi nella perfetta imitazione di Daphne «”Oh,
davvero Draco?”, “Quanto sei divertente Draco”,
“Hai proprio ragione Draco”. È
insopportabile!» dichiarò «Con quella risata da oca
isterica e con quella voce da gallina strozzata! Cosa pensa di
ottenere?»
«Lo stesso che vuoi tu, immagino» rispose Megan, con semplicità.
«Già, e quell'idiota ci sta cascando!»
«Non credo» commentò Megan.
«Ma no, infatti» concordò Pansy, rimettendosi a
sedere «È così irritante, chi la vuole una
così!» sbuffò, la voce che tradiva ancora una certa
insicurezza.
«Guarda che tu fai esattamente come lei» osservò Megan, senza riflettere.
«Non è vero!» esclamò Pansy, indignata, scattando di nuovo in piedi.
Megan le rivolse uno sguardo sardonico; «Tranquilla, a te viene molto meglio» disse alla fine.
Pansy si lasciò sfuggire un mezzo sorriso e tornò a sedersi accanto all'amica.
«Non hai nulla da temere da quella» la rassicurò
Megan, abbracciandola «Davvero, credimi» aggiunse, notando
l'espressione scettica dell'amica «Draco adora essere adulato, e
non perde di certo la testa per la prima che gli fa un
complimento».
«Ma è così carina» mugolò Pansy.
«Mai quanto te» le disse Megan, aggiungendo poi, a mo' di
bonaria predica «Certo, se però continui a uscire con
chiunque ti capiti a tiro…»
«Ma è una tattica!» esclamò Pansy « E
poi non voglio sembrare disperata come quella là».
«Bé, direi che non sta funzionando» commentò
Megan «Perché non vieni anche tu da Draco a Natale? Sai i
regali… l'atmosfera giusta… il vischio…»
insinuò.
«Ah già, voi due siete sempre insieme…» borbottò Pansy avvilita.
«Non sarai gelosa di me, adesso?»
«No, di te mi fido» dichiarò l'amica «Abbastanza» aggiunse poi.
Megan roteò gli occhi; «D'accordo, facciamo
così» risolse «Sonderò il terreno durante le
vacanze».
Pansy emise un trillo di gioia.
«Ma promettimi che non farai come con gli ultimi ragazzi che hai
avuto» continuò Megan, seria «Siete i miei migliori
amici e sarebbe davvero imbarazzante essere costretta a scegliere tra
voi due».
«Ma tu sceglieresti me, lo so».
«Non saprei… » rispose Megan, suscitando
l'espressione offesa dell'amica. «Draco non mi ruba le magliette,
le collane, quell'abito nero di velluto» continuò,
contando sulle dita.
Le due ragazze scoppiarono a ridere e, ancora una volta, Megan si
ritrovò a constatare che, senza la sua amica, le sue giornate a
Hogwarts sarebbero state incredibilmente deprimenti.
*
Le successive settimane trascorsero tranquille e monotone.
Dicembre arrivò, carico di neve e di freddo.
Megan non aveva più tempo per pensare a Harry o all'ES; la mole
di compiti, infatti, era ormai diventata ingestibile e i suoi doveri di
Prefetto le sottraevano anche quei pochi momenti di relax.
Per di più, la Umbridge aveva assegnato ai Prefetti alcuni turni
notturni, probabilmente per evitare altre fughe: qualche notte prima
della fine del trimestre, infatti, Harry e tutti i Weasley avevano
lasciato il castello in fretta e furia. Il mattino seguente, la
Umbridge si era presentata a lezione livida di rabbia, e soltanto molte
ore dopo Megan era riuscita a farsi raccontare da suo fratello quello
che era successo: Harry si era svegliato nel cuore della notte, urlando
di terrore e dicendo che il padre di Ron era stato attaccato da un
serpente enorme; era poi stato portato dal Preside e da lì,
insieme ai Weasley, si era volatilizzato dal castello.
In effetti, come aveva saputo più tardi, il signor Weasley era
stato davvero attaccato da qualcosa, e ora si trovava ricoverato al San
Mungo.
Tuttavia, Megan non aveva avuto modo, né desiderio, di approfondire ulteriormente la questione.
Pochi giorni dopo, infatti, sarebbe arrivato il momento di tornare a casa.
Quel giorno, Megan, come gran parte degli studenti, lasciò Hogwarts la mattina presto.
Il parco davanti al castello era coperto da un soffice, umido drappo
bianco, punteggiato qua e là dai pupazzi di neve fatti dagli
studenti e dalle vestigia delle barricate dell'ultima battaglia a palle
di neve dell'anno.
Era un trionfo di bianco e di verde, brillante alla luce chiara e
pulita del sole invernale; una vera e propria visione di pace, tanto
che Megan si ritrovò a sorridere come non era più
riuscita a fare da mesi.
Con i suoi amici, prese l'Espresso che li avrebbe riportati tutti a
Londra, dove si sarebbero goduti un po' di riposo e
tranquillità, tra familiari e amici.
Come ogni anno, Megan, insieme alla sua famiglia, avrebbe trascorso
qualche giorno a Villa Malfoy, quindi sarebbe ritornata a casa per
Natale, per festeggiare insieme a zia Elizabeth, la sorella di sua
madre.
Sua zia era una strega alquanto bizzarra: amante della natura e degli
animali, era sempre all'estero, nei posti più esotici, a trarre
ispirazione per i suoi romanzi e, al ritorno dai suoi viaggi, portava
sempre ai nipoti splendidi regali; curava anche una rubrica sulla
Gazzetta del Profeta, intitolata “La Magia della
Villeggiatura”, che da anni riscuoteva il favore unanime dei
lettori.
Sì, non c'era dubbio, zia Elizabeth avrebbe saputo riempire di gioia anche a un Dissennatore.
Sarebbe stato un Natale felice e tranquillo, come ogni anno, e Megan
era sicura che, almeno per un po', sarebbe riuscita a rimanere lontana
dalle sue preoccupazioni.
Ma, naturalmente, ciò non accadde.
* * *
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Capitolo 6 *** Capitolo V - L'Arma ***
6.6
Capitolo V
L'Arma
«Allora sei proprio sicura di non voler venire?» le chiese William, entrando nella sua stanza.
«Sicurissima» rispose Megan, distrattamente, senza sollevare lo sguardo dal libro che stava fingendo di leggere.
La sera prima, infatti, zia Elizabeth aveva proposto una gita di un
paio di giorni a Snowdonia, un parco naturalistico ai piedi del monte
Snowdon, “un luogo magico, dove anche il più potente degli
stregoni si inchina alla maestosità incantevole della
natura” aveva detto, recitando quanto aveva scritto nel suo
articolo.
I suoi genitori e suo fratello aveva aderito all'idea con entusiasmo, mentre Megan aveva deciso di rimanere a casa.
«Ti farebbe bene staccare un po'» stava insistendo suo fratello, sedendosi sull'angolo della scrivania.
Megan sollevò gli occhi al cielo «L'ultima volta che mi
hai consigliato di uscire, stare in mezzo agli altri, staccare un po',
chiamalo come vuoi, si è rivelata una pessima idea,
ricordi?» disse.
«D'accordo, come vuoi» si arrese Will «Se preferisci
restare qui da sola a leggere…» continuò,
afferrando un libro appoggiato sulla scrivania «Attaccare per non
essere attaccati: quando la Difesa non è una scelta» lesse
sulla copertina «Che roba è?» chiese, perplesso,
rigirandosi il libro tra la mani.
«Niente» rispose Megan, sbrigativa, balzando giù dal letto per strappargli via il volume.
Suo fratello la fissò per un momento, ma non aggiunse altro.
«William, dobbiamo andare!» gridò sua madre dal piano di sotto.
«Bé, allora ci vediamo tra un paio di giorni» la salutò suo fratello, prima di uscire dalla stanza.
Era stato un po' freddo, pensò Megan, ma non se ne preoccupò.
La sua attenzione, infatti, era concentrata su un'unica cosa: l'incubo,
che aveva avuto due notti prima, si stagliava ancora nitido nella sua
mente, ed era stato così reale da sembrare qualcosa di
più di un sogno terrificante.
La Sala Grande di Hogwarts era addobbata a festa, come la sera del Ballo del Ceppo.
I tavoli delle Case erano spariti e, al loro posto, erano stati
posizionati molti piccoli tavolini rotondi, ognuno dei quali ospitava
vistose decorazioni floreali; striscioni verde e argento erano appesi
ad ogni angolo e magnifiche statue di ghiaccio punteggiavano la Sala,
scintillando alla luce delle candele.
Si respirava un delicato aroma di incenso e di rose.
Megan, che si trovava sulla pedana rialzata in fondo alla Sala, si guardò intorno.
Era sola.
«Ora sei tu la Campionessa» disse una voce, all'improvviso.
Megan si voltò di scatto e riconobbe subito chi aveva parlato: Cedric, elegante e bellissimo, le venne incontro.
«Guarda, sono venuti tutti per te» sussurrò avvicinandosi ancora di più a lei.
In effetti, in un attimo la Sala Grande si era riempita. Megan
intravide i volti dei suoi amici, sorridenti, accerchiati da una folla
di studenti, insegnanti, giornalisti, funzionari del Ministero e
dignitari stranieri. Tutti ora le stavano sorridendo.
«Ma cosa?» chiese, e di nuovo Cedric si affrettò a
spiegare «È la festa in tuo onore» disse, con un
ampio sorriso.
In quel momento, Megan si rese conto di indossare un abito splendido, blu notte, con raffinati ricami d'argento.
«Per la vittoria contro Potter e Silente» continuò
Cedric «Lui non ce l'avrebbe mai fatta senza di te. Ora
inizierà una nuova era».
Megan non capiva, ma tutti gli sguardi continuavano ad essere puntati su di lei.
«Apriamo le danze?» propose Cedric.
Un'orchestra apparve dal nulla e cominciò a suonare.
Cedric la prese sottobraccio e la condusse fino al centro della Sala; la folla fece largo al loro passaggio.
Ballarono per quelle che a Megan parvero ore.
Tutti gli ospiti continuavano a rivolgerle sorrisi e sguardi di
ammirazione, e ogni tanto Megan riusciva a captare qualche commento.
«Le saremo per sempre grati».
«Verrà insignita dell'Ordine di Merlino».
«Ora finalmente potremo smettere di nasconderci».
Megan si abituò in fretta a tutte quelle attenzioni e lo stupore
iniziale lasciò presto il posto alla consapevolezza. Lei
meritava quei complimenti, quella festa, quell'incondizionata
gratitudine.
All'improvviso, le porte della Sala Grande si spalancarono e un vento gelido eruppe all'interno.
Le candele si spensero, l'orchestra tacque e grida di terrore serpeggiarono tra gli ospiti.
Un uomo, incappucciato e ammantato di nero, venne avanti.
«Tu!» disse, puntando l'indice contro di lei.
Aveva una voce familiare, ma un po' soffocata e Megan non riuscì a capire a chi appartenesse.
«Tu» ripeté «Sei stata tu a fare tutto questo».
Megan era di nuovo confusa, che cosa aveva fatto? Chi era l'uomo che la
stava accusando, dopo che lei aveva portato pace e gioia al loro mondo?
«Ci hai condannati tutti!» continuò lo sconosciuto.
Megan non si rese conto di aver parlato, ma udì le proprie parole echeggiare nella Sala.
«Ho solo fatto ciò che era giusto!»
«Giusto?» la schernì l'uomo.
La sua voce era gelida e Megan di nuovo ebbe la sensazione di averla
già sentita prima, anche se non riusciva a ricordare.
«Guarda» continuò l'uomo «Guarda quanto è giusto».
Megan obbedì e si guardo attorno.
La folla festante intorno a lei era sparita: la Sala ora era immersa
nella penombra, ma si distinguevano chiaramente alcune forme, ombre,
corpi forse, riversi sul pavimento, accasciati su sedie e tavolini,
molti dei quali ribaltati .
Un liquido scuro e denso scintillava alla luce della luna.
Era sangue.
«È giusto questo?» chiese di nuovo l'uomo,
afferrando uno dei cadaveri che giaceva per terra. Megan lo riconobbe,
era Ron Weasley, pallido e inequivocabilmente morto.
«E questo?» continuò l'uomo, sollevando la testa di
un altro ragazzo, Dean Thomas, seduto in modo scomposto a un tavolo
poco distante.
«E questo? E questo?» continuò, ripetendo lo stesso gesto ancora e ancora.
Alla fine, Megan riconobbe metà della scolaresca di Hogwarts,
tutti gli amici di Harry, i membri dell'ES, alcuni insegnanti e tanti,
tanti altri.
Erano tutti morti.
No, non morti, erano stati uccisi.
Tutti quanti.
L'aria ora era ammorbata da un tanfo insopportabile, putrido.
Era l'odore della morte.
«Hai visto che cosa hai fatto?» chiese l'uomo, facendosi avanti.
Si scoprì il capo.
Una massa di capelli neri gli ricadde sulle spalle; sollevò la testa e finalmente Megan lo riconobbe.
Non era un uomo, era una ragazza, perfettamente identica a lei.
«Hai visto che cosa hai fatto?» ripeté.
Questa volta parlò con voce alta e squillante; una voce proprio identica alla sua.
«Hai visto che cosa sei diventata?» chiese.
«Guarda» ordinò la sua copia, sospingendola verso la
grande finestra in fondo alla sala.
Il vetro lucido le restituì il suo riflesso. Non indossava
più il bel vestito blu, ma un lungo mantello scuro, sopra quella
che sembrava essere una divisa, una specie di tuta di pelle nera.
«Guarda» disse il suo riflesso, ma Megan sapeva non di non aver parlato questa volta.
«Guarda» ripeté ancora la sua immagine, afferrandosi il polso sinistro e tirando su la manica.
C'era una macchia scura sull'avambraccio, una specie di grosso tatuaggio che sembrava essere dotato di vita propria.
Megan copiò il gesto e si scoprì il braccio.
Il Marchio Nero, nel venire alla luce, ammiccò orrendamente.
«Harry Potter è morto» disse una voce, acuta e fredda, prorompendo in una risata gelida e raccapricciante.
Un teschio pallido, due occhi rossi come il sangue e un serpente
gigantesco, furono queste le ultime cose che Megan vide, prima di
svegliarsi nel suo letto, a casa sua, sudata e stremata.
«Era solo un sogno» aveva poi detto a se
stessa, mettendosi a sedere e cercando di calmarsi; aveva il fiatone,
come se avesse appena corso una maratona e si sentiva squassata da
brividi incontrollabili.
«Solo un orribile, innocuo sogno. È colpa di tutto quello
che ho mangiato» si era detta di nuovo, ricordando il ricco
cenone di Natale della sera prima, fatto di timballi e pasticci di
carne, spezzatini e l'immancabile Christmas Pudding.
Ma tutte le spiegazioni del mondo non erano riuscite a calmarla.
Quel sogno non poteva essere casuale, doveva avere un significato e c'era una sola persona a cui Megan potesse rivolgersi.
Non era più riuscita a chiudere occhio e all'alba era giunta a un decisione: doveva andare da Voldemort.
Le parole di Sirius, a cui non aveva più pensato da settimane,
le riecheggiavano nelle orecchie costantemente “Cerca una cosa
che non aveva l'ultima volta… un'arma”.
E se fosse lei l'arma? Si era chiesta.
Quattordici anni prima non era che una neonata con il moccio al naso, ma adesso era quasi un'adulta, e poteva servirgli.
Ma come poteva lei essergli di qualche aiuto?
E, soprattutto, voleva esserlo?
Negli ultimi tempi, Megan si era ritrovata pericolosamente davanti a una risposta.
Aveva iniziato a riflettere su alcune cose, cose che l'avevano riempita di orrore per il solo fatto di averle pensate.
Si era chiesta, infatti, se Voldemort, così come Draco e la
quasi totalità delle persone che conosceva e di cui si fidava,
non avessero ragione riguardo ai Babbani e ai Nati Babbani.
Tre anni prima, la risposta a quella domanda era stata decisamente
affermativa, ma poi era cresciuta, maturata, aveva, per così
dire, ampliato i propri orizzonti e si ricreduta su molte cose che
aveva sempre ritenuto, se non vere, quantomeno non importanti
abbastanza da richiedere la sua attenzione.
Ma da quando aveva scoperto chi era realmente, quelle nuove certezze
avevano cominciato a sgretolarsi e Megan era tornata a chiedersi se,
dopotutto, il fine che Voldemort si era prefissato non fosse, in
qualche misura, nobile e giusto.
Era così malvagio sperare nella creazione di una potente
società di maghi, compatta e unita, a guida di tutto il mondo?
Certo, i metodi di Voldemort si erano rivelati crudeli e spietati, ma
era colpa sua se la ferma opposizione di persone come Silente e tanti
altri li avevano resi necessari?
Naturalmente, restava il fatto che il Signore Oscuro aveva cercato di
uccidere un bambino innocente, un crimine davvero orrendo, ma ormai il
bambino era cresciuto e comunque la cosa sembrava essere diventata un
fatto di principio.
Non aveva senso interrogarsi su cose che non poteva conoscere e che a stento riusciva a comprendere.
Non aveva altra scelta: doveva parlare con Voldemort, capirne le intenzioni, magari negoziare?
Non era possibile credere che il Signore Oscuro sarebbe sceso a patti
con qualcuno, ma magari con lei sì; se era lei l'arma che gli
serviva, forse avrebbe accettato qualche condizione, forse…
Probabilmente erano solo le illusioni di una ragazzina, ma ormai il
desiderio di incontrare Voldemort si era fatto strada dentro di lei,
voleva capire, voleva prendere in mano la sua vita e il suo destino, e
per farlo non poteva continuare a nascondere la testa sotto la sabbia e
fingere di ignorare la realtà.
Lei era la figlia del Signore Oscuro e doveva comprendere fino in fondo che cosa significasse.
Per realizzare questo piano, questo assurdo e pazzo piano,
c'era solo un ostacolo da superare, e zia Elizabeth, con il suo
viaggio, aveva dato a Megan l'occasione perfetta: avrebbe aspettato che
la sua famiglia partisse, quindi, da sola, sarebbe andata da Lui.
In verità, non sapeva dove si trovasse, e non poteva di certo chiederlo a chiunque.
“Zio Lucius” pensò d'un tratto.
Era la soluzione più semplice e Megan si diede della stupida per non averci pensato subito.
Si vestì in fretta, prese un po' di denaro Babbano e qualche
galeone dei maghi, quindi uscì di casa. Avrebbe potuto
raggiungere Villa Malfoy con la Metropolvere, ma non era sicura che i
camini fossero sempre collegati e, inoltre, non voleva che il Ministero
tracciasse i suoi movimenti. Non sarebbe apparso affatto insolito che
qualcuno dei Parker si fosse Materializzato a casa dei Malfoy, ma
comunque non voleva correre rischi.
Con l'autobus raggiunse la metropolitana, che la portò a
Victoria Station dove vide che c'era un treno per Swindon, nello
Wiltshire, alle due e mezza; da lì, poi, avrebbe preso un altro
autobus per Devizes, quindi avrebbe proseguito a piedi fino al maniero
dei Malfoy. In tutto il viaggio sarebbe durato più di tre ore;
non era comodo come la Metropolvere, ma non era neppure proibitivo.
Acquistò il biglietto e, dopo pochi minuti di attesa, sentì l'altoparlante annunciare il binario del suo treno.
Poteva ancora tirarsi indietro, gettare il biglietto nella spazzatura e
tornare a casa. Forse sarebbe stata la cosa più sensata da fare.
O poteva prendere il treno e arrivare a Villa Malfoy. Avrebbe avuto
qualche ora per riflettere e, una volta giunta lì, poteva sempre
dire che era venuta perché la sua famiglia era partita e non
voleva restare da sola. Non era vero, naturalmente, e sicuramente Draco
non le avrebbe creduto. Doveva trovare un modo per sviare i sospetti,
se si fosse reso necessario.
“Non volevo restare da sola perché… Perché
da sola penso a Cedric!” era una scusa perfettamente plausibile,
anzi era la verità. Se fosse rimasta a casa avrebbe pensato a
lui, a come sarebbe stato quel Natale se lui non fosse morto, se
Voldemort l'avesse risparmiato.
Già, Voldemort, il suo malvagio, crudele, abietto papà.
Che cosa avrebbe fatto una volta arrivata? Che cosa gli avrebbe detto?
Voldemort la voleva dalla sua parte gliel'aveva detto subito,
perché poteva rivelarsi un'alleata preziosa e forse qualcosa di
più.
Viveva ad Hogwarts, conosceva Harry, poteva diventare un'utile
spia… Ma Megan aveva perso il controllo e si era inimicata
Potter e i suoi amici; come l'avrebbe presa Voldemort? L'aveva
avvertita che questo sarebbe potuto accedere, quindi forse l'avrebbe
giudicato un fatto positivo. O magari si sarebbe arrabbiato, avrebbe
compreso che una ragazzina non gli occorreva. E appunto, come poteva
una ragazzina essere l'arma?
Un'ondata di panico la travolse.
“Stupida, non ti ucciderà!” si disse, ritrovando la calma.
Era ovvio che non potesse ucciderla: la morte di un altro studente
avrebbe attirato l'attenzione, ed era proprio quello che Voldemort
evitava da mesi.
Forse però incontrarlo non sarebbe comunque stata una buona idea.
Il suo era stato solamente un sogno, terribile, ma innocuo, e non
poteva significare nulla. La Veggenza era un dono tanto raro quanto
ambiguo e il fatto di aver sognato una cosa mai accaduta, non la
rendeva certo una Profezia. Non sarebbe diventata una spietata
assassina solo perché aveva sognato il massacro dei suoi
compagni.
E poi, che cosa avrebbe potuto dirle Voldemort? Che era quello il suo
destino e doveva rassegnarsi? O era una rassicurazione, quella cercava?
Voleva forse sentirsi dire da lui che non avrebbe mai fatto nulla del
genere, che non avrebbe mai compiuto una strage di innocenti e che si
sarebbe limitato a dare la caccia solo a Harry?
Forse in questo Megan poteva davvero aiutarlo.
In fondo, la morte di una sola persona non era un prezzo equo per la vita di centinaia di altre?
Quanti erano morti per permettere a Harry di vivere? E quella lotta senza fine quante vittime aveva già causato?
Era un ragionamento un po' spietato, ma era la verità.
Come poteva Harry restarsene tranquillo, mentre gli altri rischiavano
tutto per proteggerlo? Forse i suoi pensieri non erano propriamente
corretti, ma il comportamento di Harry non era da meno.
Aveva deciso: sarebbe andata da Voldemort e avrebbe cercato di intuirne
le intenzioni. Forse si sarebbe rivelato uno spreco di tempo, o forse
sarebbe riuscita a sopravvivere alla guerra che stava per scoppiare, o
magari sarebbe perfino riuscita ad evitarla.
Era un pensiero eccitante e le prime immagini del sogno, quelle dove
Megan veniva acclamata da una folla ammirata, riaffiorarono nella sua
mente e la cullarono dolcemente, assecondando il lento
sferragliare del treno che lasciava la città.
*
«Megan, che piacere vederti!» la salutò Narcissa,
scendendo l'ampia scalinata di marmo. Indossava uno splendido abito da
strega, di velluto blu scuro molto pesante, con un'ampia scollatura che
metteva bene in mostra uno stupendo collier di zaffiri, in perfetta
armonia con i suo occhi azzurro intenso.
Megan capì di essere arrivata in un momento poco opportuno: i Malfoy stavano uscendo per una serata di gala.
«Draco non c'è, è andato dai Goyle» proseguì la donna.
Megan ignorò l'ultimo commento. «Mi dispiace disturbavi a
quest'ora e senza preavviso, ma ho bisogno di vedere Lucius»
disse.
Il volto di Narcissa si adombrò per un momento, quindi con un
sorriso indicò il piano di sopra, dove si trovava lo studio del
marito.
Senza esitare, Megan lo raggiunse.
Trovò Lucius seduto alla sua scrivania, intento ad apporre il suo sigillo su alcune pergamene.
«Ciao zio» lo salutò, come era solita fare. Aveva
parlato con voce leggermente stridula, che tradiva il suo nervosismo;
tuttavia, Lucius parve non notarlo. Sollevò la testa e le
sorrise.
«Megan, come mai qui?» chiese Lucius, non senza garbo.
«Se avessi saputo del vostro arrivo, vi avrei fatto
riservare un invito dal Ministro».
«Veramente ci sono solo io» disse Megan, suscitando
un'espressione sorpresa sul volto di Lucius. «Will e i miei sono
partiti» spiegò.
Lucius annuì, ma conservò ancora quell'espressione di educata sorpresa. Megan non sapeva da dove cominciare.
«Ecco, io» si risolse «Non sapevo a chi altri
rivolgermi per…» esitò, sperando che Lucius capisse
da solo, nonostante non gli avesse fornito alcun dettaglio.
«Per vederlo» esalò alla fine, tutto d'un fiato, fissando il volto di Lucius per coglierne ogni espressione.
«Capisco» disse lui, semplicemente. Il suo volto,
perennemente atteggiato in una smorfia di indolenza, mutò di
colpo in un espressione dura e attenta. Il flemmatico Lucius Malfoy si
era tramutato nell'efficiente Mangiamorte.
«Capisco» ripeté.
Rimase per un po' in silenzio, quindi si alzò dalla sua sedia e si accostò al camino freddo.
Megan si sentiva soffocare dall'inquietudine. Se Lucius si fosse
rifiutato di aiutarla, lei che cosa avrebbe fatto, a chi altri avrebbe
potuto rivolgersi? E se invece l'avesse accontentata, sarebbe stata in
grado di affrontare Voldemort da sola? Già, perché questa
volta non ci sarebbero stati i suoi genitori e nemmeno gli altri
Mangiamorte. Forse la sua era stata una decisione troppo avventata e
avrebbe finito col pentirsene amaramente. Tuttavia, non voleva
mostrarsi spaventata o titubante; rimase ferma sulla porta, in
silenzio, aspettando che Lucius parlasse. Per fortuna, non dovette
attendere molto.
«Molto bene» disse Lucius alla fine «Ti
porterò da lui. Hai mai usato la Materializzazione
Congiunta?» le chiese. Megan scosse la testa.
«In questo periodo il Ministero non viene allertato dalle tracce,
dal momento che ci sono troppi ragazzi in casa con le famiglie, e poi
in questa circostanza la Materializzazione è più sicura
di qualunque altro mezzo di Trasporto Magico» spiegò.
Megan annuì e si avvicinò a Lucius, che le porgeva il
braccio. «Non sarà piacevole» l'avvertì.
Megan non ebbe neanche il tempo di pensare a che cosa avrebbe provato,
quando improvvisamente percepì il pavimento di lucido marmo
svanire da sotto i suoi piedi.
La sensazione era simile a quella che si prova a letto, quando ci si
sta per addormentare e per un attimo si ha l'impressione di
cadere nel vuoto; solo che in quella circostanza si tratta di una cosa
passeggera e le pareti solide e il morbido materasso offrono un
immediato conforto e uno stabile supporto.
In quel momento, invece, tutto il mondo le turbinò intorno e
l'unica cosa salda e rassicurante era il braccio di Lucius, a cui Megan
si aggrappò furiosamente. Una densa tenebra le piombò
addosso e Megan si sentì premere contro una forza invisibile e
irresistibile, come una morsa che minacciava di toglierle il respiro e
stritolarla.
Poi, in un attimo, così come era cominciata, la pressione
svanì e l'aria fredda della notte invernale le invase i polmoni.
Erano in un bosco, circondati dall'odore forte dei pini.
«Tutto bene?» le chiese Lucius. Era perfettamente calmo,
come se si fosse appena fermato dopo una aver fatto una bella
passeggiata rilassante.
Dal canto suo, Megan si sentiva come uno straccio che era stato strizzato e sbattuto troppe volte.
Stava per rispondere, quando una spiacevole sensazione allo stomaco le
suggerì che fosse meglio non aprire la bocca. Si limitò
ad annuire.
«Andiamo» disse Lucius, incamminandosi.
Tentando di ignorare la nausea, Megan lo seguì.
Camminarono in silenzio per qualche minuto.
Si erano lasciati gli alberi alle spalle e ora procedevano svelti lungo
una stretta via lastricata, assediata da ambo i lati da basse villette
di mattoni. Si trovavano in un piccolo villaggio, che non poteva
contare più di un migliaio di abitanti.
Svoltarono a sinistra, poi a destra e di nuovo a sinistra, immettendosi poi sulla strada principale.
All'orizzonte, spiccava una piccola altura, con in cima quello che,
alla pallida luce della luna, sembrava un vecchio castello in rovina.
Con sua sorpresa, Megan vide che Lucius si dirigeva proprio in quella direzione.
Superarono una chiesa, dall'aspetto modesto, accanto alla quale sorgeva
il cimitero, cinto da un'elegante inferriata, e giunsero ai piedi del
colle. Cominciarono a risalirlo.
Mentre camminava, Megan si sentiva sempre di più una sciocca.
Come le era venuto in mente di incontrare Voldemort, da sola, in quella
serata fredda e buia. No, doveva tornare indietro, anche a costo di
apparire una bambina, vigliacca e capricciosa agli occhi di Lucius.
Stava per ingoiare l'orgoglio e dare voce ai suoi pensieri, quando
Lucius parlò, per la prima volta da quando avevano lasciato il
boschetto in cui si erano Materializzati «Da qui, puoi proseguire
da sola».
Si erano fermati a qualche metro da un alto cancello di ferro, un po'
arrugginito e reso instabile dalle intemperie e dall'incuria.
Poco lontano, circondata da un ampio giardino mal tenuto, sorgeva una grande villa, anch'essa in rovina.
Là dentro, immaginò, doveva esserci Voldemort.
Megan si sentì pervadere da una strana eccitazione, mista a
paura. L'unica cosa che sapeva per certo era che non voleva più
tirarsi indietro, che stupida era stata a pensarlo.
«Grazie» mormorò Megan.
Con il cuore in gola, afferrò una sbarra del cancello e spinse.
Quella sembrò sbriciolarsi sotto il suo tocco, ma non cedette.
Megan spinse con più forza e finalmente il battete si
scostò, cigolando.
Megan avanzò.
L'erba del giardino era ghiacciata e irregolare. Tuttavia, alla luce
della luna, Megan riuscì ad individuare uno stretto sentiero di
pietra, strangolato dagli arbusti.
Lo percorse tutto, finché non giunse davanti ad alcuni gradini, che portavano ad un'ariosa veranda.
Megan salì e si fermò davanti alla porta. Il tetto di
legno della veranda impediva alla debole luce di penetrare fin
lì.
Si voltò indietro e vide che Lucius era rimasto in piedi davanti
al cancello, il volto lungo e aristocratico reso lugubre e ancora
più pallido dal bagliore spettrale della luna.
Megan tornò a guardare davanti a sé, quindi tastò
il muro e la porta; non c'era il campanello, ma, poco dopo,
riuscì ad afferrare un pesante batacchio di ottone. Lo spinse
due volte contro la porta e attese.
Stava per bussare di nuovo, quando finalmente udì dei passi
strascicati oltre la soglia; la porta venne socchiusa e un occhio
acquoso fece capolino, illuminato dal basso da una fioca luce
azzurrognola.
«Oh, sei tu» disse l'uomo, Peter Minus, aprendo
maggiormente l'uscio. Sembrava ancora più basso e più
calvo; con una mano reggeva una specie di lanterna, in cui guizzava una
fiammella magica; l'altra mano impugnava la bacchetta, e pareva che
tutto l'essere di quel piccolo, infido omuncolo fosse aggrappato ad
essa.
Non sapeva spiegarsi come, ma, dal tono che usò, Megan ebbe la sensazione di essere attesa.
«Entra pure» la invitò Minus, scostandosi quel tanto che bastava per farla passare.
Megan obbedì.
«Da questa parte» disse l'uomo, dopo aver richiuso la porta
con un gesto della bacchetta. La precedette attraverso l'atrio
polveroso, su per una rampa di scale e lungo uno stretto corridoio, che
terminava con una porta, sotto la quale filtrava la luce baluginante e
calda del fuoco.
Si arrestarono davanti alla porta e Codaliscia le fece cenno di aspettare, quindi entrò nella stanza.
«Padrone…» cominciò Minus, con quel tono insopportabilmente untuoso e servile.
«Lasciala entrare, Codaliscia» lo interruppe Voldemort.
Megan sentì il sangue gelarsi nelle vene. Aveva dimenticato quella voce gelida e secca.
Codaliscia tornò sui suoi passi e la fece passare.
Megan avanzò piano.
La stanza era piccola e calda e recava le tracce di un lusso ormai perduto.
Voldemort era seduto su una grande poltrona, davanti al camino.
Da dove si trovava, Megan poteva vedere solo lo spesso schienale
imbottito, il fluttuante mantello nero del Signore Oscuro che toccava
terra e la punta pallida del teschio che era la sua testa.
Mentalmente, ringraziò la sua buona stella che Voldemort le
desse le spalle. Se se lo fosse ritrovato davanti, all'improvviso, con
quegli occhi rossi puntati su di lei, probabilmente avrebbe urlato.
«Vattene Codaliscia» ordinò Voldemort «Per questa sera non mi occorri più».
Minus, tutto inchini e salamelecchi, lasciò la stanza.
Megan era tesa come una corda di violino. Non le piacevano i modi di
fare dell'ex ratto, e di solito non sopportava la sua presenza, ma
avrebbe preferito che rimanesse; non si sentiva davvero pronta a
restare da sola con Voldemort.
Per un po', nessuno dei due disse niente.
Era un silenzio inquieto, orribile, ma Megan lo rimpianse subito quando
Voldemort parlò di nuovo, questa volta nella lingua sibilante
dei serpenti «Credevo che il Natale si dovesse passare in
famiglia, ma per quest'anno mi accontenterò di una visita in
ritardo».
Megan era intontita; non sapeva che cosa le avrebbe detto Voldemort,
vedendosela arrivare lì così, dopo tutti quei mesi, ma di
certo non si aspettava che iniziasse la conversazione in quel modo.
Con un gesto esasperatamente lento e aggraziato, il Signore Oscuro si alzò dalla poltrona e si voltò a guardarla.
La sua alta figura sembrava fatta di tenebre, in contrasto con il caldo sfavillio del fuoco alle sue spalle.
Gli occhi, tremendi, erano due braci ardenti, inquietanti.
«Accomodati» proseguì, agitando la bacchetta con
noncuranza, facendo quindi apparire una seconda poltrona, più
piccola, accanto alla prima.
Senza sapere come comportarsi, Megan cercò di guadagnare un po'
di tempo; si tolse il cappotto e lo pose con cura sul bracciolo della
poltrona; alla fine però, non ebbe altro da fare e quindi
obbedì.
Anche Voldemort tornò a sedere.
«Suppongo che i tuoi amici abbiano deciso di fare a meno della
tua presenza» insinuò Voldemort e di nuovo Megan si
sentì confusa.
“Non dovevo venire” si rammaricò, cercando un modo
per togliersi da quella situazione in cui le stessa si cacciata.
«No, hai fatto la scelta giusta a venire da me» disse Voldemort, come se le avesse letto nel pensiero.
Improvvisamente, Megan comprese con orrore che molto probabilmente lui le aveva davvero letto nella mente.
«Non hai nulla da temere, e molto da guadagnare, invece»
proseguì il Lord Oscuro. «Ti avevo avvertita, ma la tua
presenza qui ora mi dimostra che sai che avevo ragione. Presto Potter e
la sua banda si renderanno conto dell'errore che hanno commesso».
I modi di fare di Voldemort la disorientavano.
Era calmo, quasi gentile.
L'unica volta che gli aveva parlato, Megan era ancora furiosa, per
Cedric, per la verità che aveva appena saputo, e aveva vomitato
la sua frustrazione e la sua rabbia su Voldemort, senza curarsi delle
conseguenze.
Ma questa volta era diverso, era stata lei a decidere di incontrarlo,
era venuta con un motivo preciso e, se la prima volta aveva dentro di
sé tutta quella rabbia a sostenerla, adesso si sentiva svuotata,
debole.
Ma doveva dire qualcosa.
Voldemort era seduto sulla sua poltrona, rilassato, con le lunghe dita pallide stese sui braccioli, in quieta e paziente attesa.
Megan trasse un profondo respiro, cercando di richiamare a sé il
proprio coraggio, quindi cominciò «Perché hai
voluto incontrarmi quest'estate?»
Era una domanda che si era posta fin dall'inizio, anche se aveva voluto
prendere per buone le spiegazioni che le avevano dato i suoi genitori.
E poi, era un modo come un altro per arrivare alla questione che l'aveva portata lì.
Voldemort non rispose subito; rimase qualche istante in silenzio,
concentrato, come se stesse soppesando le parole. Alla fine disse
«Perché sei la mia adorata figliola».
Megan non poté reprimere una smorfia «Infatti, sono tua
figlia» disse, accorgendosi di aver pronunciato ad alta voce
quelle parole per la prima volta. «Quindi saprai che non me la
bevo. Perché? A che cosa ti servo davvero?»
Voldemort arricciò le labbra inesistenti, come un ghigno compiaciuto, ma non disse niente.
Megan lo incalzò; ora che aveva iniziato, parlare non era più così difficile.
«Perché vuoi Harry morto?» era una domanda semplice,
eppure cruciale e si sorprese di non aver mai pensato di farla prima di
quel momento.
Certo, Harry era il Ragazzo Sopravvissuto, il bambinetto di appena un
anno che aveva sconfitto il più grande Mago Oscuro del secolo,
ed era ragionevole, diciamo, credere che Voldemort ora volesse
vendicarsi. Ma perché, quattordici anni prima, lui aveva cercato
di uccidere un bambino indifeso?
«Ah» sospirò Voldemort, per nulla irritato dalla domanda; anzi, al contrario, appariva soddisfatto.
«È il motivo che cerco di comprendere da quasi quindici
anni» spiegò «E che intendo scoprire con il tuo
aiuto».
«Che cosa intendi?» chiese Megan, visibilmente perplessa.
«C'è una cosa che desidero ardentemente e che non posso
prendere. Ma credo di aver trovato una soluzione e tu mi aiuterai a
metterla in pratica».
«Che cos'è?» chiese di nuovo Megan.
«Un oggetto molto prezioso, ben protetto e segreto ai più, in grado di assicurarmi la vittoria».
«Come un'arma?»
Quindi non era lei l'arma. Era solo il mezzo che serviva a Voldemort
per conquistarla. Megan si sentì umiliata e, con sua sorpresa,
un po' delusa.
«Sì» rispose Voldemort «E no».
«Se vuoi il mio aiuto devi dirmi tutto» ribatté
Megan. Un po' della rabbia, che credeva assopita, era ritornata e si
percepiva chiaramente nel suo tono.
«Devo?» disse Voldemort, con un ghigno di malvagia ilarità.
«Io obbedirò a qualsiasi ordine» promise Megan «A una condizione».
Voldemort la studiò attentamente. Lei gli stava dando esattamente quello che voleva.
«E sarebbe?» chiese alla fine.
«Tu vuoi Harry, giusto?»
Voldemort si limitò ad annuire.
«Io ti aiuterò a prendere solo lui, non ucciderai nessuno, neanche Harry».
Voldemort le rivolse uno sguardo divertito.
Megan proseguì «Puoi imprigionarlo, come Silente ha fatto
con Grindelwald, otterresti lo stesso risultato che ucciderlo, ma
sarebbe molto più civile».
“Ma che cosa sto dicendo?” si chiese intanto. Parlare di
civiltà, misericordia, a uno come Voldemort? Probabilmente era
la cosa più folle e stupida che fosse mai stata detta. Forse era
davvero solo una ragazzina sciocca.
«D'accordo» accettò Voldemort.
Megan era incredula, e il suo stupore doveva essere perfettamente
visibile, perché Voldemort aggiunse «Se potrò
evitarlo, non lo ucciderò».
Era una menzogna bella e buona, ma Megan non poté non sperare.
Avrebbe potuto riderle in faccia, con quella sua risata fredda e
tremenda, insultarla, dirle che non si sarebbe mai abbassato alle
condizioni di una ragazzina; avrebbe potuto darle prova del suo potere,
della sua totale mancanza di pietà, ma non l'aveva fatto. Stava
al suo gioco, quindi Megan gli serviva davvero, molto più di
quanto non avesse ammesso prima. O forse provava solo un gusto perverso
a manipolare gli altri.
Megan non lo sapeva e forse non l'avrebbe mai compreso.
«Bene, ora che abbiamo risolto questa questione, veniamo a te» disse Voldemort, riscuotendola sai suoi pensieri.
«L'oggetto di cui ti parlavo, è una Profezia»
continuò «Silente sa che la sto cercando e tenta
inutilmente di proteggerla. Le Profezie possono essere ritirate solo da
coloro per le quali vengono fatte, quindi solo io o Potter possiamo
prenderla. Io ho incontrato delle difficoltà nell'introdurmi al
Ministero perciò…»
«Vuoi che la prenda Harry» concluse per lui Megan. Voldemort annuì.
«Quindi sei stato tu ad attaccare il signor Weasley?»
chiese e di nuovo Voldemort annuì. «Ma Harry non sa che
cosa cerchi, e di certo l'Ordine non lo lascerà andare al
Ministero» obiettò Megan.
«Ed è per questo che tu sei fondamentale. Devi trovare il
modo di portarcelo, senza che Silente abbia il tempo di fermarlo».
«E poi che cosa dovrei fare, strappargliela di mano?» chiese ironica Megan.
«Farò in modo che ci sia qualcuno pronto a ricevere la
Profezia» rispose Voldemort, arricciando di nuovo la bocca in
quella smorfia spaventosa.
«E credi che la Profezia possa aiutarti? Sono solo stupidaggini e-»
«Non ho chiesto il tuo parere, ti ho dato un ordine!» sbottò Voldemort.
Megan si ritrasse sul fondo della poltrona, come se questa potesse
inghiottirla e farla sparire da quel luogo, lontano da Voldemort.
Il mostro, ricordò, era sempre in agguato, sotto la superficie di apparente calma e cordialità.
“Forse ha ragione Harry, e io mi sto alleando con un assassino, un bruto, violento e crudele”.
Ma lei aveva provato ad essere gentile, a dimostrare il proprio valore,
a unirsi ai “buoni”, e loro l'aveva scacciata, umiliata,
trattata come una Serpeverde indegna di fiducia.
“Voldemort ha ucciso Cedric” le ricordava una voce nella
sua testa, ma un'altra, più maligna, le sussurrava che Voldemort
era suo padre, sangue del suo sangue.
E Megan lo aveva sperimentato già in passato, quando ancora non
immaginava nulla delle sue vere origini, quanto fosse attratta da quel
mondo oscuro e violento, quanto, in fondo, in lei ci fosse qualcosa che
la rendeva orribilmente simile a Signore Oscuro.
Voldemort parve intuire i suoi pensieri, o forse li lesse di nuovo.
Si sentiva frastornata, e non riusciva a capire se quel senso di
spossatezza fosse dovuto a un'intrusione nella sua mente o alla
suggestione di quella situazione.
«La Preveggenza non è un potere affidabile, ma a volte le
Profezie si avverano. Questa si è avverata, ed è per
questo che ho bisogno di sapere» disse Voldemort, calmo «E
di te» aggiunse.
La stava manipolando, lo sapeva, ma quella sensazione di essere
indispensabile, unica, era troppo seducente. Megan si aggrappò
alla forza di quelle parole, e delle emozioni che suscitavano in lei.
«Va bene, ti aiuterò a prenderla» decise, e aggiunse «Ma voglio una cosa in cambio».
Voldemort rimase in silenzio ad ascoltare, incuriosito.
«Devi insegnarmi tutto. Voglio essere forte, voglio conoscere le
Maledizioni e imparare a usarle, voglio essere rispettata da
tutti» disse.
Erano quasi le esatte parole che lui le aveva detto al loro primo incontro.
E aveva ragione, pensò Megan. Se non poteva avere il naturale
rispetto degli altri, allora doveva conquistarselo, e il mago
più potente, più temuto, e quindi rispettato, del mondo
era lì, davanti a lei.
«Naturalmente» disse Voldemort, compiaciuto, estraendo la bacchetta.
Non ebbe nemmeno bisogno di scuoterla troppo o di pronunciare un incantesimo.
Una brillante luce rossa scaturì dalla punta della bacchetta,
come un raggio, che investì Megan in pieno, scagliandola
all'indietro.
*
Da quasi due ore, Megan stava prendendo lezioni private di Arti Oscure da Voldemort.
Era la cosa più assurda ed eccitante che le fosse mai capitata.
Ed era anche molto dolorosa.
Dopo il primo attacco a sorpresa, Megan si era ritrovata lunga distesa sul freddo pavimento di pietra.
La fattura le aveva tolto il respiro e la schiena le faceva male.
Si era aggrappata allo schienale della poltrona, che, come lei, si era ribaltata, e si era rialzata.
Voldemort, nel frattempo, era rimasto seduto a guardarla con un'espressione di crudele divertimento.
«È stato un colpo basso» aveva commentato Megan a
denti stretti, abbastanza forte perché lui potesse sentirla.
«Vuoi essere forte? Non sono tutti come Silente e il suo esercito
di onesti maghetti» aveva spiegato Voldemort, alzandosi in piedi
a sua volta.
Alla parola “esercito” Megan aveva represso un gemito.
«Riproviamo» aveva detto Voldemort e Megan si era messa in posizione, esitando all'ultimo.
Voldemort l'aveva osservata perplesso.
«Sono minorenne» aveva ricordato a se stessa e a Voldemort
«Non c'è il rischio di attirare l'attenzione se uso la
magia qui?»
Voldemort aveva sogghignato «Questo luogo è protetto da
ogni genere di incantesimo» aveva spiegato «È
irrintracciabile, così come lo sono le persone al suo
interno».
Megan si era sentita più sicura, anche se il fatto di non poter
essere individuata da nessuno, neppure se le cose si fossero messe male
per lei, avrebbe dovuto preoccuparla.
Aveva dunque concentrato tutta la sua attenzione sul duello.
Aveva lanciato il Sortilegio Scudo quasi nello stesso istante in cui
Voldemort aveva scagliato il suo incantesimo, ma non era stato
sufficiente. La barriera da lei eretta si era infranta al primo impatto
e lei si era ritrovata di nuovo a gambe all'aria.
Erano andati avanti così per una decina di minuti, poi,
finalmente, forse per la disperazione, o forse per il suo esasperato
desiderio di non sentire altro dolore, il suo scudo aveva retto
abbastanza da respingere la fattura. Megan aveva barcollato sotto la
pressione immensa dell'incantesimo di Voldemort, che lottava
furiosamente per colpirla, ma aveva resistito.
«Molto bene» l'aveva elogiata Voldemort e, di nuovo, a sorpresa, aveva lanciato un'altra fattura.
Megan era stata colpita in pieno.
«Molto male» aveva commentato lui.
Per almeno mezz'ora erano andati avanti così, e alla fine Megan
era riuscita a parare la metà dei colpi e a schivare gli altri.
La cosa frustrante, però, era che quelli di Voldemort erano
attacchi blandi, per nulla complessi, che qualunque ragazzo fresco di
diploma avrebbe saputo respingere.
Poi era toccato a Megan attaccare, ma naturalmente non era riuscita a mettere a segno neanche un colpo, neppure di striscio.
Ora stava attaccando Voldemort, con una Maledizione Non Verbale di sua
invenzione, una sorta di Stupeficium potenziato, per così
dire.
Era stata colpita già tre volte e per tre volte Voldemort aveva
annullato l'incantesimo; Megan, ogni volta che si risvegliava, sentiva
un tremendo senso di oppressione al petto, e ora si stava chiedendo per
quanto tempo ancora sarebbe stata in grado di sopportarlo.
Evidentemente, la cosa non sembrava preoccupare Voldemort, che
lanciò l'incantesimo di nuovo. Megan cercò di schivarlo e
al contempo lanciò un Sortilegio Scudo, più efficace, che
Voldemort le aveva mostrato in precedenza, sicura di farcela questa
volta.
Quando riaprì gli occhi era sdraiata per terra. Ogni millimetro
del suo corpo le faceva male e la testa e il petto erano un inferno di
dolore.
«Per oggi, basta così» decise Voldemort. Torreggiava su di lei e aveva un'espressione irritata sul volto.
Lo stava deludendo?
«Di sopra ci sono delle camere, scegli quella che vuoi e riposati, domani ricominceremo dalle basi».
Megan non aveva la forza di controbattere.
Si alzò a fatica e obbedì.
Era sulla soglia, quando si voltò e disse «Buonanotte».
Voldemort non si diede la pena di risponderle.
“Sono un disastro, una stupida. Sono solo una ragazzina che
voleva giocare a fare la grande” si disse, mentre saliva le scale
che portavano al piano superiore.
Non c'erano luci, così Megan accese la punta della bacchetta,
uno sforzo che le provocò delle fitte lancinanti al braccio, che
aveva dovuto sopportare fin troppi contraccolpi.
Davanti a sé, un lungo corridoio si perdeva tra le tenebre.
Sulla parete di sinistra, gradi finestre si aprivano sul lato sud della
villa, ma erano state tutte chiuse con pesanti assi di legno. Solo
qualche flebile spiraglio era sfuggito all'opera di sbarramento,
laddove il legno marcio e i chiodi arrugginiti avevano ceduto.
A destra si aprivano numerose porte.
Megan tentò la prima; era chiusa.
Provò con la seconda, che si aprì in un piccolo spazio,
simile a ripostiglio, quasi completamente vuoto, a parte una vecchia
sedia traballante e uno scaffale di legno, con le ante di vetro
scardinate.
Anche la terza sbarrata, mentre la quarta si aprì cigolando. Era
una polverosa stanza da letto, arredata con il gusto tipico di inizio
secolo.
Nel centro della camera c'era un sontuoso baldacchino.
Una delle tende era caduta a terra, l'altra era piena di buchi, come le coperte che odoravano di muffa.
Megan lanciò un semplice incantesimo di pulizia, tentando di rendere quel giaciglio un po' più accogliente.
Il risultato non fu un granché, ma aveva un disperato bisogno di dormire, e quel letto era invitante quanto bastava.
Serrò la porta e si sorprese nel vedere che la chiave girava ancora nella stretta serratura arrugginita.
Si tolse i pantaloni e il maglione e si infilò tra le coperte, addormentandosi immediatamente.
* * *
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Capitolo 7 *** Capitolo VI - Il Patto ***
7.7
Capitolo VI
Il Patto
Dal momento che le finestre della stanza erano state sbarrate, il sonno di Megan non venne disturbato dai raggi del sole.
Quando aprì gli occhi, la camera era immersa nella semioscurità e Megan fece fatica a capire dove si trovava.
Si rigirò nel letto e il dolore ai muscoli e alle articolazioni le ricordò gli avvenimenti della sera prima.
Era nella villa di Voldemort, che la stava addestrando per prepararla al compito che aveva accettato.
Con fatica, si costrinse ad alzarsi.
Raccattò i
vestiti che aveva gettato sul pavimento la notte precedente, e li
sbatté con le mani per togliere la polvere.
Si rivestì in fretta, quindi uscì dalla stanza e scese di sotto.
Aveva una gran fame, ma non sapeva dove trovare da mangiare.
A dire la verità, non sapeva neanche se ci fosse cibo nella casa e se Voldemort avesse bisogno di nutrirsi.
Vide la porta del salotto, dove era stata la sera prima, aperta e decise di entrare.
Voldemort non c'era.
Un movimento alle sue spalle la fece voltare di scatto.
«Desideri
qualcosa?» disse Peter Minus, guardandola con i suoi occhietti
acquosi. Aveva lo stesso atteggiamento deferente che teneva con suo
padre; era strano, ma indubbiamente piacevole, pensò Megan.
«Ho fame» rispose stupidamente Megan, cercando poi di darsi un tono.
Codaliscia si
limitò a fissarla, sbattendo le palpebre un paio di volte, come
un idiota che non capisce quello che gli altri gli dicono.
Poi, con un gesto
distratto, agitò la bacchetta e due grosse focacce e un bricco
di succo di zucca comparvero dal nulla, e rimasero a fluttuare a
mezz'aria.
Forse, in quella casa, c'era davvero una cucina.
Megan prese il cibo e,
senza ringraziare, si avviò lungo il corridoio, cominciando ad
addentare una delle soffici focacce.
Uscì sulla
veranda, e il vento freddo le frustò il viso. Il sole era
già alto nel cielo; dovevano essere all'incirca le dieci del
mattino.
Sulla sinistra, poco
lontano dalla porta d'ingresso, notò un basso tavolino
traballante e una sedia a dondolo rosa dai tarli.
Appoggiò con attenzione il bicchiere di succo sul tavolino, ma non si azzardò a sedersi.
Decise di dare un'occhiata al giardino.
Si rese immediatamente
conto che la proprietà era immensa. La villa, su tre piani, si
estendeva tanto in altezza quanto in larghezza, e il giardino che la
circondava era ugualmente vasto.
Un tempo, quando ancora
la proprietà era abitata, doveva essere stata la casa più
bella del villaggio, probabilmente la residenza del ricco notabile del
posto.
Decise di abbandonare la
relativa stabilità del vialetto ghiaioso e prese a camminare sul
prato fradicio e irregolare, punteggiato qua e là da cumuli di
neve non ancora disciolta, residuo dell'ultima nevicata.
Svoltò l'angolo
della villa e vide un piccolo orto, ormai abbandonato; poco oltre,
c'era un grosso cespuglio di rovi e maonie.
Sul retro, un grande
olmo, ora spoglio, torreggiava su alcune panchine di ferro battuto; ad
uno dei grossi rami pendeva una vecchia corda, umida e sfibrata. Quando
si avvicinò, notò poi tra il fango altri pezzi di corda e
una grande asse di legno marcio: i resti di una rudimentale altalena.
Fece il giro completo della casa e, quando ritornò davanti all'ingresso, aveva terminato anche la sua colazione.
Non aveva molta voglia di rientrare, ma con il solo maglione il freddo cominciava ad essere insopportabile.
Trovò il bicchiere di succo dove l'aveva lasciato; era gelido. Ne bevve alcuni sorsi e rientrò in casa.
Salì di nuovo le
scale fino al piccolo salotto al primo piano e notò la lunga
coda del grosso serpente, Nagini, che faceva capolino dalla porta;
Voldemort era nella stanza.
Si avvicinò con
cautela e vide suo padre accarezzare amorevolmente la testa del
serpente, che se ne stava per metà acciambellato sul pavimento,
il resto del corpo flessuoso attorcigliato intorno alla poltrona.
Voldemort stava mormorando qualcosa che Megan, da quella distanza, non riuscì a cogliere.
Nagini si accorse della sua presenza e si voltò verso di lei.
«Ah, eccoti qui» sibilò Voldemort, tornando poi a rivolgersi al serpente.
Il lungo rettile scivolò per terra e strisciò fuori dalla stanza.
Quando le passò accanto, le rivolse un'occhiata colma di disprezzo.
“Che idiota che
sono, i serpenti non provano sentimenti come il disprezzo” si
disse, ma mentre lo pensava ebbe la sensazione che quello che valeva
per gli altri serpenti, non si poteva applicare a Nagini. Ignorò
il brivido che le percorse la schiena e avanzò.
Voldemort nel frattempo si era alzato in piedi, la bacchetta stretta tra le lunghe dita pallide.
«Riprendiamo il tuo addestramento» disse e Megan sfilò prontamente la bacchetta dalla tasca.
«Cominciamo con qualcosa di semplice» continuò Voldemort «Prova con l'Expelliarmus».
Megan fece una smorfia indignata. «Conosco già perfettamente quell'incantesimo, è tempo perso».
Voldemort atteggiò le labbra inesistenti in un ghigno sprezzante. «Dimostramelo» la invitò.
Megan rinsaldò la
presa sulla bacchetta e si preparò a lanciare l'incantesimo.
«EXPELLIARMUS!» gridò.
L'incantesimo raggiunse
Voldemort, che agitò la bacchetta con un movimento pigro,
indolente, come se volesse scacciare una mosca fastidiosa.
La bacchetta di Megan tremò furiosamente, poi, con un brutale strattone, sfuggì alla sua presa.
«Direi che non lo conosci poi tanto bene» disse Voldemort, in tono irrisorio.
Megan lo ignorò e andò a riprendere la sua bacchetta, che era rotolata sotto una delle poltrone.
«Di nuovo» la incalzò Voldemort.
Megan strinse maggiormente la presa sulla bacchetta e si preparò a scagliare l'incantesimo di disarmo.
«EXPELL-»
cominciò a gridare, ma Voldemort la interruppe subito. Megan si
bloccò, con la bacchetta sospesa a mezz'aria e la bocca
spalancata. La richiuse e attese che Voldemort parlasse.
«Questo è
un incantesimo banale e inutile» spiegò «Qualunque
mago sa contrastarlo, a meno che non sia completamente incapace».
Megan avrebbe voluto
ribattere che, se era così inutile, non aveva senso perdere
tempo a eseguirlo, ma Voldemort continuò «Se vuoi avere
qualche possibilità contro il tuo avversario, non devi
pronunciare la formula. Anzi, non devi farlo mai».
«Non abbiamo
ancora iniziato con gli Incantesimi Non Verbali…» disse
Megan, ma Voldemort la interruppe di nuovo «Imparerai ora»
disse «Riprova con l'incantesimo di disarmo e non pronunciare la
formula ad alta voce».
Megan annuì e si
mise di nuovo in posizione di attacco. All'inizio fu difficilissimo, e
Megan si accorse che stava usando la maggior parte delle sue energie e
della sua concentrazione nel tentativo non muovere le labbra.
Alla fine riuscì a scagliare l'incantesimo, che Voldemort ostacolò con la stessa noncuranza di prima.
Andarono avanti per
qualche minuto, e tutti i suoi tentativi si scontrarono con la blanda,
ma impietosa resistenza di Voldemort e fallirono.
Megan capì che doveva usare un'altra strategia.
Strinse forte la bacchetta tra le dita e si preparò per un altro round. Questa volta non avrebbe fallito.
Sollevò la bacchetta in aria e gridò «IMPEDIMENTA!»
Voldemort era ovviamente
troppo abile per farsi cogliere alla sprovvista, e cambiò
rapidamente posizione, per contrastare l'incantesimo. Dovette credere
che Megan, colma di frustrazione, avesse tentato quello sciocco attacco
a sorpresa, ma non era così.
Megan interruppe a metà il movimento della bacchetta, ed eseguì il gesto per scagliare l'Expelliarmus Non Verbale.
La mano di Voldemort
tremò per un momento, quindi perse la presa e la bacchetta di
tasso disegnò un ampio cerchio nell'aria; Megan l'afferrò
al volo, con un espressione di trionfo.
«Non male»
commentò Voldemort a denti stretti «Furbo, ma quando i
tuoi avversari ti avranno osservata un paio di volte, non si lasceranno
di certo sorprendere dal tuo trucchetto».
Megan sentì il
sorriso soddisfatto morirle sul viso. Restituì la bacchetta al
proprietario e attese nuove istruzioni.
«Ora proviamo con un altro incantesimo Non Verbale, scegli tu quale» disse Voldemort.
Questa volta Megan non voleva fallire.
Rifletté un
momento e le venne in mente una Fattura Non Verbale che aveva letto su
uno dei libri presi in prestito dai ragazzi di Durmstrang.
A Hogwarts si imparavano
alcune Fatture, benché in molti le considerassero un po' troppo
oscure; ma quelle che studiavano a scuola erano molto semplici e tutto
sommato innocue, anche se irritanti.
Quelle che si eseguivano a Durmstrang, invece, erano più complesse e potenzialmente pericolose.
Ne scelse una, molto simile alla Fattura Ustionante, ma decisamente più dannosa.
Voldemort intanto attendeva, all'erta.
Megan si
concentrò, tentando di scagliare l'incantesimo. Per un po', non
accadde nulla, poi sentì una vibrazione percorrerle il braccio
armato, e capì che stava funzionando.
Anche Voldemort avvertì la stessa cosa e si preparò a erigere un generico Scudo di protezione.
All'ultimo istante Megan puntò in basso.
Evidentemente, il
Signore Oscuro non si aspettava quella mossa, e quindi la Fattura non
incontrò quasi resistenze. Infranse l'invisibile barriera e
colpì alle gambe, quasi rasoterra.
Per un attimo, Megan pensò di aver fallito.
Poi Voldemort
vacillò e cadde con un tonfo sulle ginocchia. La veste nera era
stata lacerata e nell'aria si diffuse presto l'odore della carne
bruciata.
Megan si fece avanti con cautela.
Voldemort sollevò lo sguardo su di lei: era furioso.
Agitò la
bacchetta e Megan credette che stesse per attaccarla; invece, il Lord
Oscuro puntò la bacchetta su di sé, nel punto in cui lei
l'aveva colpito, e cominciò a disegnare ampi cerchi nell'aria.
Qualche istante più tardi si rialzò tranquillamente.
«Di nuovo» ringhiò.
Megan si affrettò ad obbedire.
Ora che aveva cominciato a esercitarsi in quel modo, si chiedeva come avesse fatto a sopravvivere fino a quel momento.
Non solo stava imparando
in poche ore quello che mai avrebbe appreso in sette anni a Hogwarts,
ma stava scoprendo un nuovo lato di sé: duellare era decisamente
eccitante.
Andarono avanti per quelle che parvero ore, ma Megan non riuscì più a colpire il suo avversario.
Poi, dopo innumerevoli
assalti andati a vuoto, Megan cominciò a notare che suo padre
preferiva contrattaccare piuttosto che difendersi, costringendo lei a
erigere continuamente gli Scudi.
Decise di imitarlo.
Scagliò uno
Stupeficium, quindi si preparò a lanciare di nuovo la Fattura
Ustionante; Voldemort, colto di sorpresa, venne investito in pieno.
Se avesse saputo prima
quello che sarebbe accaduto, Megan non l'avrebbe mai fatto; Voldemort
si rialzò dolorante, la stessa espressione furente, che aveva
avuto la prima volta che era stato colpito, dipinta sul volto
scheletrico; ma questa volta, non lanciò nessun incantesimo di
guarigione su di sé.
Sollevò la bacchetta in aria, quindi l'abbassò con un movimento simile a una sferzata.
Fu come essere colpiti da una frusta infuocata; Megan venne scagliata all'indietro e perse i sensi.
*
Quando si svegliò, scoprì di trovarsi in quella che era diventata la sua camera nella villa di Voldemort.
La stanza era immersa nell'oscurità, quindi Megan non poteva sapere quanto tempo fosse rimasta priva di sensi.
Sollevò la testa e tentò di mettersi a sedere, ma una fitta lancinante al petto quasi le tolse il respiro.
Che diavolo era successo?
Quasi come a voler
rispondere alla sua domanda silenziosa, la porta si aprì di
colpo e Minus sgattaiolò all'interno, reggendo un candela, che
appoggiò sul comodino accanto al suo letto, dove, poté
vedere, erano state sistemate alcune boccette, bicchieri e innumerevoli
bende.
Scostò leggermente le coperte di lato, e si accorse che non indossava più i suoi vestiti.
Una semplice veste di
lino fungeva da camicia da notte e, sotto di essa, un intricato insieme
di bende le fasciava il petto, dalla spalla sinistra all'inguine destro.
Megan sollevò lo
sguardo su Minus, che aveva cominciato a trafficare con le fiale sul
comodino; il pensiero che quell'essere l'avesse spogliata e toccata
ovunque con quelle mani, le stesse mani che avevano impugnato la
bacchetta e avevano scagliato la Maledizione che si era portata via la
vita di Cedric, la faceva inorridire.
Minus si voltò in quel momento e la fissò sorpreso; quindi le porse un bicchiere che odorava di medicinale.
«Bevi» le ordinò.
«Che cos'è?» ringhiò lei, cercando di lasciare trapelare tutto il suo disprezzo.
«Bevi» ripeté lui.
Megan avrebbe voluto
volentieri rovesciargli il bicchiere in faccia, ma il solo gesto di
allungare il braccio le provocò un dolore atroce. Rimase
immobile con la mano tesa a mezz'aria e, alla fine, non poté
fare altro che afferrare il calice che Minus le tendeva. Con qualche
difficoltà lo portò alle labbra; il liquido fumante aveva
un sapore tremendo e bruciava da morire, ma Megan si sforzò di
mandare giù l'intera dose.
Poi Minus le porse un
altro bicchiere, ma questa volta Megan non tentò neppure di
opporsi. Di certo non avrebbe avuto senso avvelenarla, si disse, e,
mentre osservava Codaliscia lasciare la stanza, sentì le
palpebre farsi di colpo pesanti, e in istante scivolò in un
sonno profondo.
*
Si risvegliò qualche ora più tardi.
Si mosse leggermente,
per tirarsi un po' più su sul cuscino, ma, di nuovo, fu un
errore. Una fitta lancinante le tolse il respiro e Megan non
riuscì a soffocare un gemito.
In quell'istante, la
porta della camera si spalancò e Minus entrò nella
stanza, reggendo una tazza di tè e un piatto di sandwich al
salmone.
Appoggiò il tutto sul comodino ed estrasse una nuova candela dalla tasca, accendendola con un colpo di bacchetta.
«Mangia» le
disse in tono secco, quindi, senza darle il tempo di dire qualcosa,
ritornò sui propri passi e si richiuse la porta alle spalle.
Megan si tirò ancora più su, puntellandosi sui gomiti, e cercando di ignorare il male al petto.
Che Fattura le aveva
lanciato Voldemort? Non conosceva nulla che provocasse dei danni del
genere, e non aveva idea di se e quando si sarebbe completamente
ristabilita.
Era stato davvero crudele con lei, pensò, e la ragione era piuttosto ovvia: aveva voluto punirla.
La stava addestrando, non solo a combattere, ma anche a rispettarlo.
Megan doveva sempre
ricordare chi aveva davanti: il mago più oscuro e malvagio del
mondo, che aveva l'abilità e la volontà di distruggerla
in qualunque momento, se lei gli avesse disobbedito.
Forse aveva sempre avuto
ragione Harry: non c'era altro che odio e cattiveria nel cuore di
Voldemort che, se ai suoi nemici appariva spietato e crudele, la
ragione doveva essere molto semplice: lo era davvero.
E lei si era alleata con lui.
Si era soltanto illusa;
Voldemort aveva l'aspetto di un mostro perché era un mostro, e
che Megan fosse sua figlia cambiava ben poco le cose.
O forse era abituato da troppo tempo a comportarsi in quel modo, e non conosceva altri modi per imporre rispetto e disciplina.
Megan decise che quella
era la spiegazione più logica; ricordava che i cattivi della
storia, per quanto crudeli, avevano sempre un atteggiamento gentile e
affettuoso nei riguardi di una moglie, di un amico, o di un fratello.
La vita è fatta di grigi, alcuni più scuri, altri più chiari, si disse.
Voldemort non poteva fare eccezione, forse si era semplicemente orientato verso una sfumatura molto cupa.
Finì di bere il
suo tè e addentò di mala voglia uno dei panini; dopo il
primo boccone, capì che mangiare era decisamente troppo
doloroso, e lo mise da parte.
Sul comodino c'era una bottiglia etichettata “Pozione Sonno Senza Sogni”; la prese, quindi la stappò.
Sapeva che l'abuso
poteva essere pericoloso, ma decise che, in quella circostanza, non
poteva di certo far male. Ne versò due dita nel bicchiere e la
mandò giù d'un fiato.
Si sdraiò di
nuovo e pensò che fosse il caso di spegnere la candela, quando
le palpebre le divennero pesanti e si addormentò di nuovo.
*
Questa volta il dolore si insinuò nella sua mente prima ancora che riuscisse a svegliarsi.
Aprì gli occhi e
si guardò intorno. La candela si era un po' consumata, ma non
potevano essere passate più di un paio di ore.
Tentò di mettersi
a sedere, e fu sorpresa nello scoprire che non era più
un'operazione così impossibile; il dolore era rimasto, sordo e
pulsante, ma sopportabile.
La fasciatura,
però, le prudeva in modo insopportabile, ma decise di resistere
alla tentazione; non aveva ancora idea di che cosa le avesse fatto
Voldemort, e non voleva rischiare di peggiorare le cose.
Era sveglia da neanche
cinque minuti, quando udì dei passi nel corridoio; qualche
istante più tardi, Minus comparve sulla soglia, reggendo un
vassoio di lucido argento, riccamente decorato.
Megan si chiese come
facesse l'ex ratto a sapere quando era sveglia. Poi, un pensiero
orribile le attraversò la mente, e capì che forse lui la
spiava, magari in forma di Animagus.
Intanto Codaliscia aveva
guadagnato il centro della camera; si avvicinò a lei e le
posò delicatamente il vassoio sulle ginocchia.
Megan fissò per
un momento la sua cena, quindi non riuscì a trattenersi e
sbottò «Non sono mica malata!»
Non aveva mangiato nulla
da quella mattina, ma adesso si sentiva molto più affamata e in
forze di quanto non lo fosse stata nel pomeriggio. Aveva sperato in una
cena un po' più sostanziosa, invece capì che si sarebbe
dovuta accontentare del cibo che aveva davanti: una zuppa d'orzo
fumante, del pane e un piatto di piselli e carote bollite.
Minus, che si era
limitato ad ignorare il suo commento, le voltò le spalle, fece
Evanescere i resti dello spuntino del pomeriggio, quindi prese a
trafficare con i medicinali sul comodino.
Una volta terminata
l'operazione, si rivolse a lei «Quando finisci di mangiare, metti
il vassoio per terra e prendi le Pozioni» le disse, accennando ai
due bicchieri che aveva preparato.
Megan, che aveva la
bocca piena di carote, si limitò a scoccargli un'occhiata piena
d'odio e disprezzo; Minus ebbe la buona grazia di fingersi contrito.
Si avviò di nuovo
verso la porta, quindi si fermò e si voltò a guardarla;
sembrava sul punto di dire qualcosa, poi cambiò idea e
uscì in fretta.
Megan terminò la sua cena, poi prese le Pozioni, spense la candela e si infilò per bene sotto le coperte.
Di nuovo, il sonno non si fece attendere.
*
Si svegliò molte
ore più tardi, o forse era ancora notte fonda, Megan non poteva
saperlo; le finestre erano sbarrate, e precludevano la vista del mondo
esterno.
Si rigirò nel
letto, quindi si mise a sedere e prese a cercare a tentoni la
bacchetta; una volta trovata, la puntò in direzione del
comodino, concentrandosi per lanciare l'incantesimo di Incendio senza
pronunciare la formula. Con sua grande sorpresa, ci riuscì al
primo tentativo, e la flebile fiammella della candela guizzò
allegra, rischiarando quella parte della stanza.
Megan ammiccò
alla luce per momento, quindi si guardò intorno; la prima cosa
che notò fu che il vassoio era sparito. Era la prova che
qualcuno, Minus, era entrato nella camera mentre lei dormiva.
Il pensiero la fece sentire a disagio.
Come a voler confermare
i suoi sospetti, sentì la porta aprirsi e, un attimo dopo,
Codaliscia fece capolino, reggendo in mano lo stesso vassoio della sera
prima, questa volta colmo di cibo per la colazione: tè e
caffè fumanti, una focaccina croccante, due ciambelle alla
crema, alcune fette di pane tostato, un bicchiere di succo, burro e un
vasetto di marmellata alle fragole; forse aveva voluto farsi perdonare
per l'esigua cena che le aveva servito.
Megan si avventò sul cibo senza dire una parola.
«Come stai?» le chiese Codaliscia, dopo un lungo silenzio.
Megan non rispose; non aveva alcuna intenzione di scambiare convenevoli con quell'essere che tanto disprezzava.
Minus l'osservò per un momento, quindi si avvicinò al suo letto e afferrò le coperte per scostarle.
Megan, con uno strillo soffocato, si ritirò di scatto, facendo ribaltare il vassoio.
Il movimento, troppo
brusco, le provocò un dolore indicibile al petto e Megan non
riuscì a reprimere un gemito di sofferenza.
«Il Signore Oscuro mi ha chiesto occuparmi della tua guarigione» spiegò Codaliscia.
Il fatto che Voldemort si fosse preoccupato di lei bastò a calmarla.
Forse non era senza cuore, dopotutto.
«Sto benissimo, grazie» disse Megan, sprezzante.
Minus la guardò perplesso; la reazione di Megan doveva aver tradito le sue parole.
«Allora puoi alzarti?» chiese il ratto.
Megan annuì.
Mise da parte quel che restava della colazione, scostò le coperte e cercò di mettersi a sedere.
Fu un errore.
Si bloccò a
metà del movimento, i lineamenti del volto distorti in una
smorfia di dolore. Ma il suo orgoglio ebbe la meglio; con un ultimo
sforzo, riuscì a slanciare le gambe oltre il bordo del letto. Si
sentiva come una bambina, esausta per aver compiuto un'impresa
sovrumana, che per gli altri era semplice e naturale come respirare.
Appoggiò i piedi
sul tappeto, si puntellò sulle mani, quindi finalmente si
sollevò, barcollando pericolosamente.
Codaliscia le mise le mani sulle spalle e delicatamente la risospinse sul letto.
«Devi restare qui ancora qualche giorno» sentenziò Minus.
Megan annuì
avvilita, poi ricordò qualcosa che la riempì di panico:
lei doveva tornare a casa subito! William e i suoi genitori sarebbero
tornati quella sera, e lei doveva farsi trovare a casa al loro arrivo.
Non aveva detto a nessuno dove era andata e non si sentiva ancora
pronta a confessare la sua decisione.
Certo, Voldemort avrebbe
potuto informare suo padre da un momento all'altro, ma comunque non
voleva che i suoi genitori lo venissero a scoprire da soli,
riempiendosi di ansia e di apprensione per lei.
«Devo andarmene adesso» disse Megan, ma Codaliscia scosse la testa.
Ora si sentiva una prigioniera.
Cercò di
calmarsi, pensando che la scuola sarebbe cominciata presto, e Voldemort
non poteva impedirle di tornare a Hogwarts: la sua assenza avrebbe
destato i sospetti di Silente, e forse anche del Ministero.
Poi, però,
capì che quella non era affatto una garanzia: suo padre era un
Mangiamorte, quindi Voldemort avrebbe potuto obbligarlo a trovare a una
giustificazione qualunque per spiegare il mancato ritorno di Megan,
dire che era malata, per esempio.
Si sentì invadere dalla paura, quindi dalla rabbia. Quanto era stata ingenua!
Minus nel frattempo se n'era andato, ma Megan era troppo concentrata sui suoi pensieri per farci caso.
Con la coda dell'occhio
vide il vassoio ormai vuoto, giacere sul letto. Lo prese e lo
usò, a mo' di specchio, per guardare il suo riflesso: aveva un
aspetto pietoso in quel momento, con i lunghi capelli neri in
disordine, ribelli, le occhiaie profonde e il viso pallido.
Lo gettò da
parte, con sdegno; si sentiva così oppressa e frustrata, ed
essere inchiodata in quel letto, in quella stanza semibuia certo non
l'aiutava.
Impugnò la bacchetta e la puntò contro la finestra sbarrata, per aprirla.
Lanciò un
incantesimo Non Verbale, ma tutta la sua rabbia sembrò
concentrarsi in quell'unica azione: le assi di legno esplosero in
milioni di schegge, i chiodi saltarono e le vecchie imposte vennero
divelte dai cardini, rovinando al suolo.
Una ventata d'aria gelida irruppe nella stanza, seguita dalla luce pallida e chiara del mattino.
“Complimenti, Meg” si disse, sarcastica.
Ripose la bacchetta accanto a sé, quindi allungò il braccio per spegnere la candela ormai inutile.
Doveva trovare una soluzione, ma più ci pensava, più vedeva la sua situazione disperata.
Doveva chiedere di vedere Voldemort? O doveva trovare un modo per andarsene via e basta? E come?
Anche ammesso che fosse
riuscita a ignorare il dolore, non era sicura di essere in grado di
percorrere il corridoio, scendere le scale e uscire senza essere vista.
Poi avrebbe dovuto affrontare una faticosa discesa verso valle e anche allora, che cosa avrebbe fatto?
Non aveva idea di dove si trovasse.
La sera del suo arrivo
era troppo nervosa all'idea di quello che stava per fare, che non aveva
proprio pensato di chiedere a Lucius dove l'avesse portata. Stavano
andando da Voldemort, e quella per lei era stata l'unica informazione
importante.
Sapeva che la
Materializzazione aveva dei limiti, quindi non potevano aver lasciato
la Gran Bretagna. Questo restringeva le possibilità ad appena un
centinaio di migliaia di luoghi.
Poteva essere dovunque, a decine di chilometri da Londra; magari era addirittura più vicina a Hogwarts che a casa.
Il giorno prima, quando
era uscita all'aperto, non aveva notato grosse differenze climatiche,
ma questo non significava nulla; e comunque, anche se fosse stata
un'esperta, non si sarebbe certo preoccupata di riconoscere la
vegetazione o di determinare le condizioni del meteo.
Naturalmente, una volta
giunta ai piedi della collina, avrebbe potuto chiedere agli abitanti
del villaggio, anche a costo di sembrare una sbandata, ma in ogni caso
non aveva abbastanza denaro Babbano per pagare un mezzo di trasporto.
Aveva però
qualche falce d'argento, che avrebbe potuto usare per salire a bordo
del Nottetempo, ma non voleva correre il rischio di attirare i sospetti
di qualcuno del mondo magico.
Forse Will aveva ragione, pensò: lei soffriva davvero di manie di persecuzione.
Non poteva credere di essere stata così stupida da non prevedere una cosa del genere.
Ora si sentì invadere dall'angoscia.
Ne aveva avuta anche
quando era arrivata, ma quella si era dissolta in fretta davanti alle
rassicurazioni di Voldemort, e alla prospettiva eccitante
dell'addestramento.
Si era sentita forte, e
quella sensazione era stata sostenuta dalla decisione che aveva preso;
aveva accettato di unirsi a Voldemort e si era messa completamente
nelle sue mani, senza preoccuparsi delle conseguenze, sicura della sua
nuova posizione.
Si era arroccata sul suo piedistallo, ed era stata vittima della sua stessa arroganza.
“Perché
devi fare sempre di tutto una tragedia?” si disse. Nessuno la
stava maltrattando e Minus non le aveva detto che sarebbe dovuta
restare per sempre.
Ma il pensiero che i
suoi genitori, non trovandola a casa, venissero a sapere tutto la
riempiva di panico, non del tutto motivato.
Stava ancora
riflettendo, cercando un modo per convincere Voldemort a lasciarla
andare quello stesso giorno, quando Codaliscia ritornò.
«Il Signore Oscuro
vuole vederti» disse avanzando «Tieni» le disse,
tendendole i vestiti che erano stati appoggiati sulla vecchia sedia
traballante; Megan osservò Minus, che non diede alcun cenno di
volersi allontanare. Riluttante, cominciò a vestirsi davanti a
lui.
Quando ebbe finito, Codaliscia la guidò fuori dalla stanza.
Per la prima volta.
Megan notò che Minus aveva un comportamento educato e gentile
con lei, diverso dal patetico atteggiamento servile che riservava a
Voldemort; in effetti, sembrava mosso dal sincero desiderio di aiutarla.
Forse, pensò Megan, si sentiva in colpa per aver ucciso Cedric.
Tuttavia, aveva sempre
considerato Minus un individuo abietto, vile e crudele, incapace di
provare sentimenti come la vergogna o il rimorso; aveva consegnato i
genitori di Harry, i suoi migliori amici, a Voldemort, quindi come
poteva dispiacersi per aver ucciso un ragazzo che neanche conosceva?
Non aveva molto senso
interrogarsi al riguardo, comunque; dopo una faticosa discesa
giù per la rampa di scale, finalmente raggiunsero il salottino
al primo piano.
Voldemort era seduto sulla sua poltrona, ma non vi era traccia del serpente.
Megan sospirò di sollievo.
Codaliscia la lasciò sulla soglia e scomparì tra le ombre del corridoio.
Megan avanzò. Ora
che era si era alzata e aveva mosso qualche passo non era così
difficile muoversi, anche se la sua postura era un po' ingobbita, e le
sembrava di avere un macigno attaccato al collo.
Si fermò davanti a Voldemort, accanto alla poltrona che aveva occupato la sera del suo arrivo.
Quella volta, lui
l'aveva invitata ad accomodarsi, e non era sicura di potersi sedere
senza il suo permesso; Voldemort, inoltre, non l'aveva ancora degnata
di uno sguardo.
Finalmente, quando il
silenzio si era protratto così a lungo da diventare
imbarazzante, Voldemort sollevò la testa e la fissò,
quasi sorpreso di vederla lì.
Atteggiò la bocca
in un sogghigno, quindi le indicò la poltrona; fu un sollievo
per lei abbandonarsi contro lo schienale, anche se sapeva che la parte
difficile non era ancora cominciata.
«Vedo che stai
meglio» disse Voldemort, senza smettere di puntare il suo sguardo
indagatore su di lei; Megan era a disagio adesso.
«Allora riprendiamo l'addestramento» propose Voldemort, alzandosi.
Megan scosse la testa e
tentò di assumere un'espressione e un tono chiari e decisi.
«No, devo tornare a casa» disse.
Voldemort tornò a sedere.
«Davvero? La scuola non riprenderà che tra qualche giorno» disse calmo.
«Non avevo
comunque intenzione di fermarmi a lungo» cominciò, ma
Voldemort la interruppe, con uno strano ghigno, che Megan non
riuscì a interpretare.
«Credevo volessi che ti addestrassi» disse lui «O pensavi di riuscire a imparare tutto in una notte?»
«E tu pensi di potermi insegnare in una settimana?» ribatté Megan.
Di nuovo, lo strano sogghigno si disegnò sul volto scheletrico del Lord Oscuro.
Megan, improvvisamente,
percepì un vago senso di oppressione, poi sentì una
grande quantità di sentimenti esploderle dentro all'unisono:
ansia, paura, apprensione, esaltazione, tutto quello che aveva provato
nelle ultime ore.
Poi comprese: Voldemort stava applicando la Legilimanzia su di lei.
Questa volta era
riuscita a cogliere chiaramente l'intrusione di Voldemort tra i suoi
pensieri; la sera in cui era arrivata, aveva provato una strana
sensazione, ma nulla di più, e l'unica prova dell'avvenuta
irruzione nella sua testa era stata la prontezza con cui Voldemort
aveva compreso i suoi dubbi e le sue emozioni.
Potevano esserci solo
due spiegazioni a quel fatto: o Voldemort era dotato di una grande
empatia, cosa di cui lei dubitava, o lui le aveva letto nel pensiero;
la soluzione corretta non poteva che essere la seconda.
Ad ogni modo, Megan non
ne era certo felice: sapeva che cosa stava accadendo, certo, ma non
aveva comunque i mezzi per difendersi.
Che cosa stava cercando
Voldemort? Voleva scoprire il motivo per cui era tanto ansiosa di
andarsene? Avrebbe capito subito che Megan voleva nascondere la sua
nuova alleanza con il Signore Oscuro e avrebbe voluto sapere il
perché.
E qual era il perché?
Con una stretta allo stomaco, Megan comprese che Voldemort avrebbe potuto scoprire tutto.
Suo padre non era affatto il seguace fedele che lui credeva.
Naturalmente, era
tornato quando il Signore Oscuro aveva richiamato a sé i suoi
Mangiamorte, ma aveva comunque chiarito la sua intenzione di tradirlo e
di raccontare tutto a Silente; era stato proprio suo padre, no il suo
padre adottivo, a dirglielo, e adesso lei avrebbe potuto consegnare
quelle informazioni a Voldemort, mettendo a rischio tutte le persone a
cui voleva bene.
Era stata una sciocca a
non averci pensato prima: la sua mente era completamente indifesa e
vulnerabile agli attacchi di Voldemort.
E la sua testa era una
vera e propria miniera di informazioni, non solo sulla sua famiglia, ma
anche su Harry, l'Ordine… Forse Voldemort aveva già
scoperto molto da quando era arrivata, e voleva che restasse ancora
qualche altro giorno solo per avere il tempo necessario a sondare la
sua mente per intero.
Ma alla fine, di che cosa si preoccupava?
Non aveva forse
accettato di schierarsi dalla parte di Voldemort? Non doveva niente
all'Ordine, e, quanto a suo padre, all'uomo che l'aveva cresciuta,
bé, era stata solo colpa sua.
Lui aveva fatto una scelta, si era unito ai Mangiamorte, salvo poi cambiare idea.
Aveva imboccato una
strada, ma a metà del cammino si era fermato, si era voltato
indietro, ed era ritornato sui propri passi, fermandosi al bivio,
incapace di prendere una posizione chiara e indiscutibile.
Alla fine era stato
proprio Voldemort, inconsapevole, a indicargli una terza via,
fornendogli l'opportunità di aggirare il problema che lui
non aveva avuto la forza di affrontare: gli aveva affidato un compito,
che gli aveva permesso di fuggire e che l'aveva tenuto lontano dalla
guerra e dai suoi sensi di colpa per molto tempo.
Ma alla fine, dopo
più di sedici anni di calma e pace, i peccati del passato erano
tornati a bussare alla sua porta, e ancora una volta suo padre si era
tirato indietro davanti alle proprie responsabilità. Si era
disposto ai margini dei ranghi dei Mangiamorte, e aveva gettato Megan
nelle fauci del mostro, mettendola in prima fila. Le aveva assicurato
che avrebbe risolto tutto, che avrebbe chiesto aiuto a Silente, ma di
nuovo si era limitato a promettere e basta. Erano passati mesi, e lui
non si era ancora riscosso da quel torpore inerte e forse non l'avrebbe
mai fatto; sarebbe rimasto a guardare, spettatore di una partita che
avrebbe dovuto giocare, se non per se stesso, almeno per i suoi figli.
Ma, dopotutto, Megan e William non erano figli suoi, non davvero.
Vincent Parker aveva scelto il suo destino; Megan, invece, non aveva avuto questa possibilità.
Lei era la figlia di Voldemort e non poteva concedersi il lusso di non prendere una posizione.
Se si fosse schierata
contro il Signore Oscuro, la sua vita sarebbe stata costantemente in
pericolo; se avesse deciso di unirsi a lui, come già aveva
promesso, forse sarebbe stata costretta a commettere un'infinita di
crimini, ma sarebbe stata relativamente al sicuro da lui.
E qual era la scelta migliore, più furba?
Valeva la pena
combattere contro Voldemort, contrastarlo per evitare che facesse che
cosa poi? Conquistare il mondo e farlo sprofondare in un'era di cupo
terrore e violenza? Quelli erano i piani dai cattivi dei romanzi, non
certo la realtà.
Voldemort bramava il potere, questo era vero, ma cosa c'era di male nel voler affermare la supremazia della pura stirpe magica?
Le politiche dei
Babbanofili avevano reso il loro mondo fragile, debole; Voldemort
voleva assumere il controllo sulla comunità magica inglese, poi
forse avrebbe allargato i suoi orizzonti oltre i confini della Gran
Bretagna.
Ma non aveva parlato di stermini di Babbani o altre cose folli.
Disprezzava i Babbani e
i Nati Babbani, ma non avrebbe mai commesso un genocidio tanto inutile,
dal momento che lui ricavava la fonte della sua superiorità
proprio da questa importante differenza.
Se poi tutto questo si
scontrava contro la volontà di Silente e i suoi, era evidente
che qualche atto di violenza sarebbe stato necessario, ma a quel punto
non si poteva più parlare di crudeltà gratuita.
Ma, anche ammesso che
Megan avesse deciso di stare dalla parte di Harry, valeva davvero la
pena di rischiare la vita per qualcuno che non aveva fiducia in lei?
Avrebbe potuto combattere cento battaglie, ma per i “buoni”
lei sarebbe sempre rimasta la figlia di Voldemort.
Anzi, probabilmente
l'avrebbero tenuta sotto costante controllo, temendo che la stessa
pericolosa natura del padre potesse risvegliarsi anche nella figlia.
In fondo, non poteva biasimarli.
E non poteva neanche
biasimare il padre che l'aveva cresciuta e che si era limitato a fare
la scelta più furba e che gli aveva creato meno problemi.
Anche lei lo avrebbe fatto, solo che la sua posizione non le avrebbe consentito di restarsene in disparte.
Poco male, Megan detestava l'inattività.
Stava ragionando su
tutto questo, quando percepì di nuovo, ancora più
chiaramente, la presenza di Voldemort nella sua mente.
Forse non aveva più molto da nascondere, ma non voleva tollerare oltre quell'intrusione.
Ricordò di aver letto qualcosa, a proposito della Legilimanzia, in uno dei libri presi in prestito da Durmstrang.
C'era un paragrafo,
rammentò, che parlava dell'Occlumanzia, una branca della
Legilimanzia: se usata correttamente, l'Occlumanzia poteva proteggere
la mente del mago, agendo come uno scudo contro gli attacchi esterni.
Si trattava di un'arte molto complessa e il testo non era molto specifico, e forniva solo alcune indicazioni molto generali.
Megan sapeva che non
sarebbe riuscita a bloccare l'invasione di Voldemort, che era un
Legilimens molto abile, ma decise comunque di fare un tentativo,
basandosi su ciò che ricordava.
Il paragrafo diceva, se non si sbagliava, di svuotare la mente, e questo aveva senso, anche se farlo non era molto semplice.
Megan si sforzò di non pensare a niente, ma non era facile imporre alla propria mente una disciplina tanto innaturale.
Immaginò allora i
suoi ricordi fluire lentamente all'esterno, come tanti fili argentati e
fibrosi, e li gettò via.
Non fu una buona tattica, perché la presenza di Voldemort si fece ancora più intensa e avida.
Provò un altro sistema.
Visualizzò un
cassetto, molto grande, in cui stipò tutti i suoi ricordi, le
sue esperienze, le sue emozioni. Lo chiuse e si convinse che se avesse
distrutto la chiave nessuno avrebbe mai più potuto riaprirlo.
Stava per farlo, quando un altro ricordo dei suoi studi schizzò fuori da quel cassetto immaginario.
Qual era la prima regola
della Legilimanzia, la condizione necessaria perché un mago
potesse insinuarsi nei pensieri di un altro e rovistare indisturbato
tra i ricordi e le emozioni della sua vittima? Il contatto visivo.
Megan si
concentrò su Voldemort, che teneva il suo sguardo sanguigno
fisso su di lei, le pupille verticali dilatate dallo sforzo, certamente
non troppo grande, di penetrare la sua mente. Megan cercò di
interrompere il contatto, ma i suoi occhi erano incatenati a quelli del
Lord Oscuro.
Tornò a concentrarsi sui suoi sforzi per chiudere la propria mente.
Visualizzò di
nuovo l'immagine di prima, il cassetto, i faldoni che rappresentavano i
suoi ricordi, la chiave. Se ne disfò, ma per un attimo non
accadde nulla.
Poi all'improvviso
provò una sensazione di liberazione, e fu solo perché ora
era svanita che Megan si accorse della tremenda pressione che Voldemort
aveva esercitato su di lei fino a quel momento.
Tornò a fissare
il Signore Oscuro, anche se ormai non si sentiva più costretta a
farlo; lui aveva una strana espressione, sembrava irritato, anzi
furioso, ma anche, suo malgrado, impressionato.
Megan non sapeva quanto tempo fosse durata l'intrusione di Voldemort, minuti o forse solo qualche istante.
Si sentiva esausta,
adesso, e si accorse solo allora che aveva il respiro corto e
irregolare, la gola arida e le unghie delle mani conficcate nel sottile
rivestimento dei braccioli.
Allentò la presa e pian piano riprese a respirare normalmente.
Voldemort fremeva di rabbia.
Aveva scoperto tutto allora?
Si alzò di scatto
e prese a misurare la stanza a grandi passi, quindi si fermò di
colpo, scosse la testa e riprese a camminare.
Megan non osava dire una parola.
Dopo un paio di minuti,
finalmente Voldemort si bloccò al centro della stanza, le
rivolse uno sguardo di gelido furore e sibilò «Come hai
fatto?»
Megan non aveva idea di che cosa stesse parlando.
«Come hai fatto?» ripeté Voldemort, in tono pericolosamente alterato.
Megan era nervosa e spaventata, ma trovò comunque il coraggio di dire «Come ho fatto a fare cosa?»
Voldemort proruppe in una risata fredda e senza gioia, improvvisa e terrificante.
Poi notò il suo sguardo sinceramente confuso e si ricompose «Davvero non te ne sei accorta?»
Megan si strinse nelle spalle e scosse la testa come a ribadire che lei non sapeva a che cosa lui stesse facendo riferimento.
Voldemort puntò i
suoi occhi sanguigni su di lei, e rimase in silenzio. Poi parve
convincersi della sua sincerità e disse «Chi ti ha
insegnato l'Occlumanzia?»
Megan sgranò gli
occhi «N-nessuno» balbettò «Ho solo letto
qualcosa su un libro» continuò, cercando di dare alla sua
voce un tono meno patetico e spaventato.
Voldemort parve
rilassarsi nell'udire quella risposta. «Allora questo spiega come
mai la tua tecnica è tanto imprecisa».
Aveva detto imprecisa,
non inefficace, quindi aveva davvero funzionato? Ma aveva tentato
di respingere gli assalti di Voldemort solo all'ultimo momento, prima
si era lasciata trasportare dai propri pensieri, pensieri che Voldemort
doveva aver percepito, a meno che… Quanto si poteva restare
lucidi durante un attacco mentale di quella portata?
Megan cominciò a
sentirsi euforica; il Signore Oscuro non era riuscito a fare
breccia nella sua mente, non aveva scoperto nulla di importante.
Poteva scegliere lei che cosa rivelargli e cosa invece tacergli e
questo la fece sentire forte e importante. Non era una sprovveduta,
dopotutto.
Voldemort tornò a
sedere. Non doveva essere piacevole per lui non riuscire a penetrare le
difese rozze e grossolane di una ragazzina.
Megan, conscia del
proprio potere e forte del fatto che Voldemort avrebbe saputo solo
ciò che lei voleva che sapesse, si sentì molto più
tranquilla.
«Non ho detto a
nessuno che sarei venuta qui» confessò. Voldemort non
poté fare altro che ascoltare. «Lo farò,
naturalmente, ma non adesso» continuò.
Voldemort annuì, una strana espressione grave sul volto pallido e tirato.
«Che cosa dovrò fare, una volta tornata a Hogwarts?» chiese Megan.
Il Lord Oscuro non rispose subito. Forse aveva avuto altri piani per lei, ma quell'ultima scoperta aveva cambiato tutto.
«Devi riguadagnarti la fiducia di Potter» disse alla fine «E trovare un modo per portarlo al Ministero».
Megan annuì, chiedendosi se sarebbe stata in grado di riuscirci.
«Puoi andare» la congedò Voldemort.
Megan si alzò, mentre il Signore Oscuro chiamava Minus.
L'ex ratto comparve
immediatamente sulla soglia, come se fosse rimasto a origliare dietro
la porta per tutto il tempo. A Megan questo non dispiacque; voleva che
Codaliscia si rendesse conto di chi aveva di fronte, e la temesse come
temeva il suo padrone; forse, un giorno, avrebbe avuto modo di
pareggiare i conti con lui e vendicare Cedric, e voleva che Minus
vivesse nella paura costante.
«Riportala a casa» ordinò Voldemort, quindi lasciò la stanza senza aggiungere altro.
Codaliscia le
offrì un braccio grassoccio, che Megan afferrò; ormai non
provava più repulsione nel toccarlo, ma solo un freddo
disprezzo, quasi indifferente; Minus non meritava di più.
Di nuovo, avvertì
la spiacevole sensazione di venire schiacciata da un peso
spaventosamente grande, e si chiese se, con l'abitudine, la
Materializzazione smettesse di far sentire maghi e streghe spossati e
nauseati.
Apparvero in un stretto
vicolo ai margini della Brighton Road, la strada principale del
sobborgo di Biggin Hill, nel distretto di Bromley a sud di Londra. I
Parker vivevano lì, in una grande villa un po' fuori mano,
all'estremità opposta rispetto al piccolo aeroporto,
circondata da un bel parco, con alberi e un piccolo laghetto.
Quando Megan si
voltò, Minus era già sparito. Lasciò il vicolo e
si incamminò verso casa. La ferita che le aveva inflitto
Voldemort continuava a pulsare, ancora di più ora che era stata
costretta a Materializzarsi, ma non ebbe troppe difficoltà a
percorrere il breve tragitto verso la villa.
Erano da poco passate le
undici, quindi la maggior parte degli abitanti era al lavoro, a Londra
o nei dintorni, o a scuola, perciò le vie erano quasi del tutto
deserte.
Passò accanto
alla Ridgeway Primary School, la scuola elementare che lei e William
avrebbero dovuto frequentare, prima di ricevere la loro lettera di
ammissione a Hogwarts.
I loro genitori avevano però optato per un'educazione privata, esattamente come accadeva in tutte le famiglie di maghi.
Tuttavia, a quel tempo,
lei e suo fratello erano soliti frequentare l'unico parco del paese e
avevano stretto, per così dire, amicizia con alcuni bambini
Babbani; ma ormai erano passati tanti anni e, probabilmente, loro non
l'avrebbero neanche più riconosciuta.
Il sole splendeva alto
nel cielo sereno, ma l'aria era comunque fredda e pungente; Megan
accelerò il passo, per quanto le fosse possibile.
Percorse l'ultimo tratto
di strada, quindi oltrepassò le siepi divisorie e raggiunse il
vialetto ghiaioso, ai margini del quale svettava il cartello che
avvertiva i passanti che, da quel punto, si entrava in una
proprietà privata; a circa cento metri di distanza, alto e
maestoso, si ergeva il cancello che permetteva di accedere al parco e
alla villa.
Megan lo aprì con un colpo di bacchetta, quindi percorse l'ultimo tratto del vialetto ed entrò in casa.
I suoi genitori non
sarebbero arrivati prima di molte ore, così decise di andare a
fare una doccia e poi salire in camera e dormire un po'; non voleva che
intuissero qualcosa, e sapeva fin troppo bene di avere uno aspetto
tutt'altro che fresco e riposato.
*
La sua famiglia tornò quella sera, intorno alle sei.
Megan si fece trovare
sul divano in salotto, con una coperta stesa sulle gambe, un libro di
narrativa Babbana aperto in una mano, una tazza di tè fumante
nell'altra.
I suoi non sospettarono
nulla e Megan esalò un sospiro di sollievo quando si richiuse la
porta della sua camera alle spalle, dopo aver finito di cenare in
normale tranquillità insieme agli altri, ascoltando interessata
il resoconto della loro breve vacanza.
Erano di buon umore, quindi Megan preferì aspettare per raccontare il proprio di resoconto.
“Domani” decise “Domani confesserò tutto”.
* * *
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Capitolo 8 *** Capitolo VII - Successi e Fallimenti ***
8.8
Successi e Fallimenti
Megan si era ripromessa di informare al più presto i suoi genitori della decisione che aveva preso.
Aveva deciso di farlo subito, per togliersi il pensiero; ormai era fatta, e loro non avrebbero potuto fare altro che accettarlo.
Ma, proprio come la pallida cicatrice, residua traccia della Fattura di
Voldemort, che stava sbiadendo rapidamente, cancellata dalle massicce
dosi di Unguento Smemorello, anche la determinazione di Megan stava via
via affievolendosi.
Cominciò, infatti, a chiedersi quanto radicato fosse il
tradimento nel cuore di suo padre; se avesse saputo quali erano le
intenzioni di Megan, forse lui si sarebbe deciso a parlare con Silente,
e Megan non voleva che accadesse. Aveva appena dato una svolta alla sua
vita, si sentiva benissimo, aveva uno scopo preciso e non vedeva l'ora
di dimostrarsi valida e capace agli occhi del mago più potente
del mondo, il quale, peraltro, era anche il suo padre biologico.
Così non disse niente il giorno dopo il ritorno a casa, e nemmeno quello dopo ancora.
La ripresa delle lezioni si avvicinava, e Megan passava gran parte
delle sue giornate a pensare a un modo per riavvicinarsi a Harry. Non
sapeva ancora come convincerlo ad andare al Ministero, ma per farlo
doveva per forza riguadagnarsi un po' della sua fiducia, sempre che ne
avesse mai avuta.
Alla fine, però, quando arrivò il momento di partire,
Megan non aveva ancora deciso come agire; sperò che il ritorno
al castello le offrisse un'occasione.
*
Fu più fortunata di quanto avesse osato sperare.
Era una fredda sera di inizio gennaio; le lezioni erano da poco
terminate e Megan stava pattugliando i corridoi, quando si
imbatté in Harry, che ciondolava in giro con le spalle curve e
l'aria avvilita.
Aveva avuto quell'aspetto anche durante la lezione di Pozioni del
mattino, ma Megan non ci aveva fatto troppo caso: Piton adorava
umiliarlo davanti alla classe.
Lui non l'aveva vista; sembrava assorto nei propri pensieri e, mentre
si avvicinava, aveva l'aspetto di un condannato che si avviava, cupo e
rassegnato, al patibolo.
«Ciao Harry» lo salutò lei, alla fine, disinvolta.
Harry sollevò di scatto la testa, sorpreso. «Oh… Ciao» disse lui, accigliato.
Non era un grande inizio, ma Megan non poteva aspettarsi di meglio.
«Tutto bene?» continuò lei, preoccupata.
Harry annuì; poi, evidentemente, gli sembrò scortese non chiedere se anche lei stava bene, e così lo fece.
«Non c'è male» rispose Megan, e aggiunse
«Senti, io… » esitò, poi proseguì
«Io volevo chiederti scusa per quello che è successo prima
di Natale».
Harry abbandonò la sua espressione cupa e le rivolse uno sguardo sorpreso.
«Sì, volevo dirti che mi dispiace» continuò
Megan «Per quello che ho detto e… Vorrei scusarmi con
tutti in realtà, e con Ron naturalmente. Ero arrabbiata, per
quello che stava succedendo, non lo pensavo davvero… è
solo che ho il brutto vizio di prendermela con chiunque, anche con chi
non c'entra niente» concluse, impacciata.
Harry finalmente le sorrise «Non preoccuparti».
Anche Megan abbozzò un timido sorriso.
«Allora, dove te ne vai a quest'ora?» gli chiese poi, in tono allegro, camminandogli a fianco lungo il corridoio.
«Da Piton» rispose Harry, abbattuto, e aggiunse, davanti
allo sguardo interrogativo di Megan «Devo prendere
ripetizioni».
«Di Pozioni?» rifletté Megan ad alta voce «Ma
Piton non dà mai ripetizioni, e tu non sei peggio di
altri».
Harry la guardò perplesso, chiedendosi se il suo fosse un tiepido complimento o un'offesa.
«Voglio dire» si affrettò lei a spiegare «Non
sei il primo della classe, ma non credo proprio che tu abbia bisogno di
prendere ripetizioni per passare gli esami».
«Piton la pensa diversamente a quanto pare» ribatté Harry, con una smorfia.
Arrivarono a un bivio e si salutarono; Harry andò a sinistra
verso i sotterranei, mentre Megan prese il corridoio di destra da cui
partivano le scale che portavano ai piani superiori.
Questa faccenda delle ripetizioni era sospetta, ma Megan non aveva elementi per capire altro.
Di certo Hermione e Ron sapevano la verità, ma non
gliel'avrebbero mai confidata, e forse non l'avrebbero detto neanche a
William.
Comunque, come inizio, non era stato niente male.
Completò il giro di perlustrazione, quindi rientrò nel dormitorio.
Già dal primo giorno, gli insegnanti li avevano caricati di
compiti, e non si stupì nel trovare i suoi amici chini sul lungo
tavolo della Sala Comune, alle prese con il lungo tema per Piton.
Si unì a loro, e decise che avrebbe rimandato la questione delle ripetizioni di Harry a un altro momento.
*
Erano tornati a Hogwarts da quasi un mese, ma i professori erano stati impietosi con loro.
I compiti che venivano loro affidati erano sempre più gravosi, e
nessuno studente del quinto anno poteva più concedersi un
momento di relax; perfino la squadra di Quidditch faticava a trovare il
tempo per allenarsi.
Sapeva però che l'ES si era riunito un paio di volte, ma non
aveva osato presentarsi; nonostante si fosse scusata anche con Weasley,
un paio di giorni dopo l'incontro fortuito con Harry, non sapeva
proprio come avrebbero reagito gli altri alla sua presenza, e non
voleva mettere Harry nella condizione di dover prendere una decisione
ferma e avventata.
Comunque, non aveva più avuto modo di parlagli; ogni tanto si
incrociavano per i corridoi, ma si scambiavano solo un rapido saluto e
nient'altro.
Megan sapeva che continuava a prendere ripetizioni da Piton,
perché l'aveva visto un paio di volte scendere nei sotterranei
dopo le lezioni.
Ad ogni modo, però, doveva sbloccare la situazione, altrimenti non sarebbe mai riuscita nel suo intento.
L'occasione si presentò in una gelida mattina di inizio febbraio.
Megan entrò nella Sala Grande per fare colazione e notò immediatamente che qualcosa non andava.
Lanciò uno sguardo a Harry, che era seduto al tavolo dei
Grifondoro e guardava con orrore la prima pagina della Gazzetta del
Profeta.
Anche gli studenti delle altre Case confabulavano tra loro preoccupati,
passandosi il giornale di mano in mano; al tavolo degli insegnanti,
l'atmosfera era tesa, quasi cospiratoria.
Pansy, che era salita con lei dai sotterranei, aveva già preso
posto tra i Serpeverde; lì, il clima era più disteso,
anche se in molti discutevano tra loro, sfogliando la Gazzetta.
Da quella distanza Megan non riusciva a leggere il titolo, ma poteva
vedere alcune foto, circa una decina, che occupavano tutta la prima
pagina.
Decise di dirigersi verso il tavolo dei Grifondoro, e prese posto accanto al fratello.
La maggior parte degli studenti era troppo concentrata per notarla, ma
altri, tra cui la Granger, si voltarono a guardarla, stupefatti.
«Meg» disse William, lievemente nervoso «Ehm, che ci fai qui?»
Megan si strinse nelle spalle e gli prese la sua copia della Gazzetta,
che era appoggiata contro una caraffa di Succo di Zucca.
Tornò alla prima pagina e lesse il titolo, scritto in grossi
caratteri neri: “EVASIONE DI MASSA DA AZKABAN” recitava
l'intestazione; sotto c'erano le immagini che aveva intravisto da
lontano; erano le foto dei dieci prigionieri evasi, nove uomini e una
donna, tutti dall'aspetto selvaggio e un po' folle.
«Non è possibile» mormorò, mentre iniziava a leggere l'articolo.
Secondo Caramell, l'artefice di tutto era Black, cugino dell'unica donna evasa, di nome Bellatrix Lestrange.
Guardò la foto, e si accorse che in effetti aveva una certa
somiglianza con il padrino di Harry: entrambi avevano folti capelli
neri e recavano le tracce della stessa grande bellezza, ormai perduta.
«Eccoti servito, Harry» stava dicendo Ron, sgomento
«Ecco perché Tu-Sai-Chi era felice ieri notte».
Megan sollevò di scatto la testa: che cosa aveva detto Weasley?
La Granger, intanto, se ne stava andando e anche Ron e Harry si
apprestarono a imitarla. Poi, però, Harry incontrò il suo
sguardo e decise di restare.
Ron lo salutò e lasciò la sala Grande, seguito poi da William.
«Ehm, ciao» le disse Harry «Hai letto?» chiese poi, indicando il giornale.
Megan capì che quella era la sua occasione.
Annuì e cercò di apparire sconvolta come tutti gli altri
«È terribile» cominciò «Silente l'aveva
previsto, e nessuno gli ha dato ascolto».
Harry annuì con aria grave.
«Direi che questo è la prova che il Ministero o non vuole
o non è in grado di proteggerci. Forse non lo siamo neanche noi,
ma tu stai provando a fare qualcosa».
Sul volto di Harry comparve un sorriso di imbarazzato compiacimento.
«Non è molto quello che facciamo, lo so, ma stanno tutti
migliorando e-»
«Invece è tantissimo!» lo interruppe lei, con entusiasmo «Sono stata un'idiota, davvero».
«Perché non vieni alla prossima riunione?» propose
Harry e continuò, davanti alla sua espressione incerta «Se
chiedi scusa a tutti, non avranno problemi a riaccoglierti, sono solo
un po' orgogliosi».
«Lo sono anch'io» scherzò Megan «Ma verrò, grazie Harry».
Si salutarono, quindi Megan raggiunse i suoi compagni Serpeverde.
La prima fase del suo piano era stata completata con successo.
*
Tuttavia, fu costretta ad aspettare altre due settimane prima di poter
finalmente rimettere piede nella Stanza delle Necessità.
Dopo l'evasione da Azkaban, la Umbridge aveva imposto altri decreti,
sempre più restrittivi, sia per gli studenti che per gli
insegnanti.
Quanto a questi ultimi, due di loro, la Cooman e Hagrid, si trovavano
in una situazione alquanto precaria. Hagrid era in verifica, mentre la
stralunata insegnante di Divinazione era stata licenziata, e solo
l'intervento del Preside aveva impedito alla Umbridge di bandirla da
Hogwarts.
Megan non aveva mai frequentato il corso della Cooman, un personaggio
quantomeno eccentrico, per non dire folle, e perciò non era
rimasta stupita quando la Umbridge l'aveva dichiarata non idonea agli
standard della scuola.
Quella donna le faceva un po' pena, ma dopotutto, pensava, se fosse
stata una vera Veggente, come sosteneva di essere, avrebbe dovuto
prevedere il suo imminente esonero.
Finalmente, un giorno, verso la fine di marzo, sul galeone truccato comparvero ora e data dell'incontro dell'ES.
Megan si recò puntuale all'ultimo piano, e varcò senza problemi l'ingresso della Stanza della Necessità.
Molti dei ragazzi erano già arrivati e, quando la videro entrare, le rivolsero occhiate incredule e, a tratti, ostili.
Megan fece come Harry le aveva consigliato, e si scusò personalmente con ognuno.
Incontrò lo sguardo del fratello, che le sorrideva raggiante.
Megan rispose al sorriso, ma si sentì un po' in colpa nel vedere
la felicità del suo gemello: lui credeva che si fosse ravveduta,
e che le sue azioni fossero mosse da un sincero desiderio di
riappacificazione, ma non era così. Megan li avrebbe traditi
tutti quanti.
Comunque, non ebbe più modo di sentirsi in colpa; poco dopo
iniziò la lezione e, come capì presto, Harry aveva
iniziato a farli esercitare con i Patronus.
Megan non era mai riuscita ad evocarne uno corporeo, ed era eccitata all'idea di provarci.
Si rivelò più difficile del previsto.
Nonostante fosse più brava della maggior parte dei suoi compagni, quell'incantesimo le stava dando non pochi problemi.
Scandiva con chiarezza la formula e agitava la bacchetta eseguendo il
movimento corretto, ma non riusciva ad ottenere alcun effetto. Alcune
volte, una leggera nebbiolina argentata si sprigionava dalla punta
della sua bacchetta, ma si disperdeva in fretta nell'aria, senza
accennare a prendere una forma definita.
«Devi pensare a qualcosa che ti renda davvero felice» le
disse Harry, avvicinandosi. Megan annuì, e si sforzò di
richiamare alla mente il ricordo giusto.
Ma non ce n'erano, capì, abbattuta; tutte le sue emozioni
più belle erano legate a Cedric, ma pensare a lui la faceva
sentire malissimo. Persino i ricordi legati ai suoi genitori erano
oscurati da un velo di malinconia, perché quelli erano i ricordi
di un'altra persona; la sua vita precedente non esisteva più,
ora lei era diversa, in tutto. Certo, le emozioni che aveva provato
nelle ultime settimane erano state molte e intense, ma nessuna poteva
essere definita propriamente felice: era stata arrabbiata, spaventata,
esaltata; si era sentita frustrata, aveva conosciuto il disprezzo
più profondo, e la soddisfazione più selvaggia, ma mai
era stata semplicemente serena o felice.
L'esercitazione andò avanti per un'ora, poi furono costretti a
interrompere l'allenamento e fare ritorno ai rispettivi dormitori.
Megan si avviò, sola e abbattuta, verso i sotterranei.
*
Le settimane passavano lentamente, ma comunque troppo in fretta.
Gli esami si stavano avvicinando e, con l'aumentare dei compiti, cresceva anche l'agitazione degli studenti.
Alcune ragazze si erano già lasciate travolgere da parecchie
ondate di panico, e Madama Chips aveva avuto un gran da fare in
infermeria, dove gli studenti venivano portati per ricevere una bella
dose di Pozione Rilassante.
Per rimarcare poi il fatto che da quegli esami dipendeva il futuro di
ciascuno, i Capi Casa avevano iniziato a convocare gli studenti per gli
incontri di Orientamento Professionale; Megan fu una delle prime ad
essere chiamata nell'ufficio di Piton.
«Accomodati» l'accolse il professore di Pozioni.
Era un tiepido pomeriggio di fine marzo, ma, quando Megan entrò
nel gelido studio sotterraneo, le sembrò di varcare l'ingresso
di una caverna scavata nel ventre di un ghiacciaio.
Piton era chino sulla sua scrivania, e stava finendo di scrivere
qualcosa a margine di una pergamena; quindi spostò la piuma
vicino al bordo in alto e tracciò una grossa D; Megan si
augurò vivamente che quello appena valutato non fosse il suo
compito.
«Allora» cominciò l'insegnante, quando Megan prese
posto davanti a lui. «Come sai al termine di quest'anno dovrai
scegliere le materie che desideri continuare per i successivi due anni
qui a Hogwarts. Questa scelta potrebbe influire molto sul tuo futuro
fuori da queste mura, quindi il mio consiglio è di cominciare
fin da subito a pensare molto attentamente a che cosa desideri fare una
volta diplomata».
Megan annuì, e Piton proseguì «Qui ci sono degli
opuscoli informativi» disse, accennando alle sottili pile di
fogli disposte sul lato destro della scrivania «Hai già
qualche idea in merito?» chiese.
«Veramente no» ammise Megan.
Era sempre stato suo desiderio diventare un una Spezza-Incantesimi,
tuttavia da molti mesi non nutriva più molto interesse per
qualsivoglia carriera. Quello, dopotutto, era stato il sogno di Cedric,
e Megan si era sempre immaginata al suo fianco, a distruggere qualche
maleficio tra le sabbie del deserto africano, o tra le rovine di un
tempio indiano.
Ma ora Cedric non c'era più e lei, a dirla tutta, non riteneva
più necessario compiere una scelta: un'altra
“carriera”, infatti, le si era prospettata davanti.
«Pensavo,» riprese nel frattempo Piton «magari
vorresti orientarti verso una carriera al Ministero?»
suggerì «I tuoi voti sono ottimi, benché abbia
notato un leggero calo in quest'ultimo semestre».
Megan ascoltò in silenzio il Direttore della sua Casa
illustrarle le varie possibili alternative di impiego, e i requisiti
minimi per accedervi.
«Parker, dovrai pure avere qualche ambizione!»
sbottò a un certo punto Piton. Megan, che non aveva prestato
troppa attenzione fino a quel momento, sobbalzò leggermente.
«Sì, immagino di sì» disse lei, dopo un
momento «Credo che mi orienterò verso questo» disse,
afferrando il primo opuscolo.
«Relazioni Babbane?» chiese Piton, tra il perplesso e lo sconcertato.
«Ehm» iniziò Megan, ma il professore la interruppe
subito «Sul serio Parker, che ti prende ultimamente?»
chiese, con una leggera nota irritata nella voce.
«Niente» si affrettò a rispondere lei, quindi
aggiunse «Immagino che non ci sia nulla qui che faccia per
me» e, sentendosi per la prima volta a disagio, concluse
«Posso andare ora?»
Piton la squadrò per un momento, incerto se insistere; quindi annuì impercettibilmente.
Megan lasciò l'ufficio in fretta e fu solo quand'ebbe chiuso la
porta del dormitorio alle sue spalle che riuscì a trarre un
lungo, profondo sospiro.
Che diamine le era preso prima?
Non ebbe tempo di darsi una risposta perché, appena un istante
più tardi, Pansy fece letteralmente irruzione nella camera.
«È stato grandioso» esclamò esaltata e,
davanti al suo sguardo interrogativo aggiunse «Io e Draco ci
siamo baciati!» esultò.
Megan scosse la testa divertita.
«Ah» sospirò Pansy lasciandosi cadere sul letto.
«Ora la pianterai di fare l'oca, mi auguro» le disse Megan.
«Penso che chiederò a Micheal di uscire» dichiarò Pansy.
«Micheal?» chiese Megan, confusa.
«Bé sì, non voglio rendere tutto troppo facile».
«Troppo facile?» esclamò Megan, allibita e, davanti
all'espressione elusiva dell'amica aggiunse, semiseria «Io ti
ammazzo».
Pansy si strinse nelle spalle e cominciò a ridere.
*
Per quanto trovasse irritante l'atteggiamento di Pansy, Megan aveva altri problemi a cui pensare.
Aveva finalmente deciso come intendeva agire, anche se la soluzione che
aveva trovato le avrebbe creato non pochi problemi in futuro.
E poi, a peggiorare la situazione, c'erano gli esami.
Il professor Piton aveva ragione: i suoi voti erano in lento, ma
costante calo e, oltre all'agitazione per i G.U.F.O. in avvicinamento,
aveva anche una battaglia di orgoglio da combattere; era andata ad
altre due riunioni dell'ES, ma non era riuscita a fare miglioramenti
con il suo Patronus. Anzi, a dire il vero stava peggiorando: ora,
faticava molto anche a produrre quei patetici sbuffi grigiastri.
Il prossimo incontro si sarebbe tenuto quella sera, così Megan
decise di consumare la cena in fretta, così da ritagliarsi un
po' di tempo per esercitarsi da sola e indisturbata nel suo dormitorio.
Alle sette e trenta uscì dalla Sala Comune, per fare il solito
giro di ispezione, per poi salire all'ultimo piano e raggiungere gli
altri dell'ES.
Stava percorrendo uno dei corridoio del secondo piano, quando vide Draco che le veniva incontro.
Quando furono a meno di un metro di distanza l'uno dall'altra, Megan si
accorse che l'amico aveva un'espressione stranamente compiaciuta.
«Dove stai andando?» le chiese Draco.
Megan gli rivolse un'occhiata interrogativa e rispose «Faccio il
giro di ispezione, tu invece perché sei qui?»
«Li abbiamo presi» disse, euforico.
Megan non capiva, chi era stato preso?
«Potter, sappiamo dove si nasconde» proseguì Draco
«La Umbridge ha detto di aspettare che ci siano tutti, ma io non
vedo l'ora di mettere le mani su quell'idiota. Questa volta sarà
espulso!» esclamò trionfante.
Megan, con orrore, incominciò a comprendere.
«Ehm, grandioso» disse, cercando di mostrarsi il più convincente possibile.
«Peccato che tu non abbia accettato di fare parte della Squadra
di Inquisizione, la professoressa Umbridge ci ricompenserà bene
dopo stasera».
Megan annuì distrattamente; non andava bene, non andava assolutamente bene.
Harry non poteva essere espulso, ad ogni costo doveva rimanere a scuola.
In quel momento, arrivarono anche Tiger e Goyle; anche loro esibivano un sorriso raggiante sui loro volti massicci e ottusi.
«Ci siamo?» chiese Draco, tremando di eccitazione. Gli
altri due si scambiarono uno sguardo confuso, poi annuirono con
decisione.
«A dopo» la salutò Draco, con una voce
sorprendentemente acuta; Megan rimase per un attimo immobile, quindi
cominciò a correre nella direzione opposta, su per le scale e
attraverso i passaggi segreti.
Non aveva ancora raggiunto il settimo piano, quando vide alcuni ragazzi
dell'ES venirle incontro trafelati; qualcuno cercò di dirle
qualcosa, ma Megan li ignorò e proseguì.
Stava per svoltare l'ultimo angolo, quando udì un gran tonfo,
accompagnato da alcune risate di scherno; si bloccò di colpo,
quindi, nascosta dietro al muro, si sporse cautamente per spiare
il corridoio.
Vide Draco, raggiante, torreggiare su Harry, che giaceva lungo disteso
sul pavimento: probabilmente era appena stato colpito da un incantesimo
rallentante.
E, dal fondo del corridoio, resa ancora più stridula
dall'eccitazione, risuonò la voce della Umbridge
«Eccellente, oh sì eccellente Draco» esultò
«Cinquanta punti a Serpeverde» dichiarò, quindi, con
uno sguardo di sadica soddisfazione si rivolse a Harry «Alzati
Potter, ora andiamo dal Preside».
*
Con la presente, Dolores Umbridge, Preside di Hogwarts e Inquisitore
Supremo la informa che è stata convocata nell'Ufficio del
Preside.
Quando Megan lesse quelle poche parole, comprese che i suoi peggiori timori si erano avverati.
Qualcuno doveva aver trovato la lista dei partecipanti dell'esercito di Silente e l'aveva consegnata alla Umbridge.
Megan venne colta dal panico; non poteva venire espulsa, non avrebbe
mai sopportato un'umiliazione del genere: guardare i suoi amici
terminare gli studi a Hogwarts, mentre lei veniva costretta a ripiegare
in qualche scuola di secondo o terzo ordine, magari addirittura fuori
dalla Gran Bretagna, sarebbe stato semplicemente inaccettabile e
tremendamente imbarazzante.
Ma il suo nome e la sua firma erano tracciati chiaramente e
indiscutibilmente su quella pergamena, e Megan non sapeva proprio che
cosa inventarsi per cavarsela questa volta.
Naturalmente, però, non poteva immaginare che quella che
all'inizio le era sembrata una tragedia, si sarebbe rivelata una grande
occasione.
E così, depressa e rassegnata, Megan si avviò lentamente verso la Presidenza
Stava percorrendo l'ultimo corridoio che conduceva alla Torre delle
Scale di Marmo, diretta allo studio del Preside, quando incrociò
alcuni altri membri dell'ES, che venivano dalla parte opposta. Quelli
le rivolsero degli sguardi ostili, mormorando tra loro.
Alla fine, Macmillan disse qualcosa a voce alta, che suonava molto
simile a “Lo avevo detto che non ci si poteva fidare di una
Serpeverde”.
Megan, che si trovava davanti a lui, a qualche passo di distanza, si bloccò di colpo.
«Che cosa hai detto, Macmillan?» chiese, irritata, voltandosi per fronteggiare il Tassorosso.
«Che non ci si può fidare di una Serpeverde»
ripeté lui, calmo. Alcuni altri ragazzi cercarono di farlo
tacere, ma i più rimasero zitti, come a voler fornire una sorta
di muto consenso.
«Credi che sia stata io a dire alla Umbridge dell'ES?» domandò Megan, aspra.
«È quello che pensano tutti, Parker» rispose
Macmillan, scatenando mormorii di assenso. «Vuoi negarlo?»
la incalzò.
Megan non ebbe il tempo di rispondere; in quel momento, un altro gruppo di studenti li raggiunse. Tutti la guadavano torvo.
Si accodarono al gruppo di Macmillan e Megan, dopo momento di esitazione, si unì a loro.
Quando poi si riunirono tutti nell'Ufficio del Preside, che peraltro
sembrava essere stato teatro di una violenta zuffa, fu subito chiaro
che nessuno di loro sarebbe stato espulso.
Neanche la recente promozione sembrava dunque aver dato alla Umbridge il potere di espellere qualche studente.
«Inaccettabile» ripeté la Umbridge per
l'ennesima volta «Assolutamente inaccettabile» Troneggiava
su di loro, circostanza decisamente unica, dall'alto della pedana
rialzata, circondata dai resti dei tavolini dalle gambe sottili; era
successo decisamente qualcosa lì dentro e, a giudicare
dall'atteggiamento della Umbridge, quel qualcosa non l'aveva affatto
compiaciuta.
«Non posso provare le vostre continue riunioni»
continuò la neo Preside «Ma la lista parla chiaro, avete
infranto il Decreto ministeriale prendendo parte a un'organizzazione
illegale a scopo sovversivo» li accusò; non c'era
più alcuna traccia del suo solito tono affettato, la sua voce
ora era acida e fredda, ma ugualmente insopportabile.
Sul fondo dello studio, accanto alla porta, i membri della Squadra di
Inquisizione gongolavano come non mai, e non si perdevano una parola;
solo Pansy e Draco sembravano turbati, come se la gioia del momento non
potesse dirsi completa per loro; la ragione, era evidente.
«Sarete messi in punizione, fino alla fine dell'anno
scolastico» stava continuando la Umbridge «Qualcuno ha da
dire qualcosa a sua discolpa?» li sfidò poi.
In quel momento, Draco prese la parola «Professoressa» iniziò.
«Sì, Draco» disse la Umbridge, ritrovando improvvisamente il suo tono dolce e indulgente.
«Credo che qui ci sia stato un malinteso» continuò
Draco, rivolgendo un chiaro sguardo nella direzione di Megan.
Lei si voltò a guardare prima la Umbridge, poi l'amico, poi di
nuovo la Umbridge, che invece osservava entrambi in silenziosa attesa.
«Ebbene?» risolse infine la Preside.
Megan pensò in fretta.
Poteva mentire e salvarsi, o stare zitta e condividere la punizione con
gli altri; già, gli altri che, senza nemmeno aver voluto
ascoltare la sua versione, avevano deciso che era stata lei a tradire
l'ES.
«Megan non ha mai avuto intenzione di tradirla, professoressa» continuò Draco.
Megan si sentiva la gola asciutta; non aveva idea di dove il suo amico
volesse andare a parare, né come pensasse di negare l'evidenza.
La Umbridge intanto ascoltava in silenzio, indecisa se voler credere o meno a quelle parole.
Tra i ragazzi serpeggiarono mormorii confusi; Megan lanciò
un'occhiata a suo fratello che se ne stava in piedi accanto a Weasley,
con un espressione incredula e inorridita sul volto.
«Megan ha accettato di far parte dell'Esercito di Silente per
poter avere informazioni» proseguì ancora Draco
«Informazioni da consegnare a lei, naturalmente» aggiunse.
«E perché non hai detto nulla fino ad ora» chiese la
Umbridge, sospettosa «E nemmeno tu, signorina Parker?»
«Come ha detto lei, professoressa» si inserì di
nuovo Draco «Non c'erano mai state riunioni, quindi non aveva
nulla di rilevante da riferirle. Questa sera doveva esserci la prima, e
quindi Megan mi ha subito informato dei dettagli e io sono venuto a
riferirli a lei».
Megan continuava a restare in silenzio, incapace di contraddire l'amico.
La Umbridge le lanciò di nuovo uno sguardo indagatore, quindi
tornò a concentrarsi su Draco, che riprese, sempre più
convinto «Megan si è quindi recata sul luogo, per evitare
di destare sospetti, e per dire a Pansy dove poteva trovare la lista
con i nomi di tutti i membri» aggiunse, al che anche Pansy
annuì prontamente.
Ancora una volta, la Umbridge rimase in silenzio, soppesando le parole che aveva appena udito.
«Ebbene, signorina Parker» disse infine «È così che è andata?»
Megan, che era rimasta ad ascoltare incredula, fu costretta a dire qualcosa.
Draco le aveva appena offerto un modo per salvarsi dalla punizione, e
le sarebbe bastato annuire in silenzio per scamparla; tuttavia, sapeva
che, se l'avesse fatto, questa volta Harry e gli altri non l'avrebbero
mai perdonata e lei non avrebbe più avuto nessuna
possibilità di portare a termine il compito che Voldemort le
aveva affidato.
Pur sapendo che la Umbridge si sarebbe arrabbiata con Draco per averle
mentito così spudoratamente, si fece coraggio e rispose
«No, professoressa».
«Che cosa è successo, allora?» strillò la Umbridge, impaziente.
Evitando accuratamente di guardare i suoi amici, Megan spiegò
«Sono entrata nell'Esercito di Silente per gli stessi motivi
degli altri, volevo imparare a combattere, dal momento che lei si
è rifiutata di farlo… se per mancanza di volontà o
per totale incapacità non saprei dirlo» dichiarò,
scatenando mormorii di approvazione tra i membri dell'ES.
«Come osi?» scattò la professoressa, ma Megan si
affrettò a concludere «Quindi non c'era nessun altro
scopo, ho aderito al gruppo per contrastare la sua totale ignoranza in
materia e se crede che questo meriti una punizione, allora verrò
punita anche io come tutti gli altri».
«Puoi starne certa, signorina Parker» promise la Umbridge.
*
Ovviamente, gli altri Serpeverde l'avevano presa molto bene.
La Umbridge si era limitata a togliere dieci punti a Draco per averle mentito, ma comunque il danno morale era elevatissimo.
Megan non aveva risposto alle domande insistenti dei suoi amici,
così loro avevano iniziato a trattarla con freddezza e distacco,
come se lei fosse una portatrice sana di una qualche oscura e infida
malattia.
Un giorno, forse molto presto, Megan avrebbe rivelato la vera ragione
del suo gesto, e allora i suoi amici avrebbero capito e tutto sarebbe
ritornato come prima.
Quanto ai membri dell'ES, erano rimasti tutti piacevolmente colpiti dal
suo comportamento, William più degli altri, e Megan non si era
mai trovata tanto in sintonia con loro in tutta la sua vita;
condividere la punizione della Umbridge aveva creato una sorta di
legame tra loro, suggellato dalle orrende cicatrici inferte dalle penne
incantate della sadica Preside.
Inoltre, era anche stato scoperto il nome della spia; a quanto pare la
Granger aveva stregato l'elenco dei nomi, con una incantesimo alquanto
crudele per una studentessa irreprensibile come lei, azione, questa,
che le era valsa i sinceri complimenti di Megan.
Poco dopo quella spiacevole avventura, comunque, giunsero le vacanze di
Pasqua; Megan pensò che quella potesse essere una buona
occasione per mettere in atto il suo piano, ma, ancora una volta,
avvenne qualcosa che la costrinse a cambiare i suoi progetti.
Due giorni prima della sospensione delle lezioni, infatti, Megan aveva
ricevuto una lettera dei suoi genitori, che le ordinavano, neanche
troppo velatamente, di tornare a casa.
Da sola, avevano precisato.
Dal momento che, come William, aveva programmato di restare a Hogwarts
per studiare, dovette inventarsi una scusa: disse che aveva scelto di
tornare a casa perché lì avrebbe potuto concentrare
meglio, visto che nel proprio dormitorio non era più la ben
accetta; suo fratello inizialmente si offrì di farle compagnia,
ma si lasciò convincere facilmente a rimanere a scuola insieme
ai suoi amici e, per fortuna, non sospettò nulla.
*
Era tornata a casa da un paio di giorni.
I suoi genitori non le avevano ancora lasciato intendere nulla riguardo la loro richiesta tanto insolita quanto preoccupante.
Nella tarda mattinata del terzo giorno, tuttavia, Megan ebbe le sue risposte.
Stava scendendo le scale, diretta in giardino dopo una lunga, noiosa,
sessione di studio; era una bella giornata primaverile e non vedeva
proprio l'ora di rilassarsi per una mezzoretta all'ombra di uno dei
maestosi alberi che punteggiavano il parco della villa.
Arrivata nel grande atrio d'ingresso si fermò un momento; aveva
davvero voglia di qualcosa di fresco da bere, e magari anche di un bel
libro da leggere, qualcosa di leggero per svagarsi un po'.
Decise che avrebbe chiesto di occuparsene a Ellie, L'Elfa Domestica della sua famiglia.
La chiamò, ma non ottenne alcuna risposta; era dalla sera
precedente che Megan non riusciva a trovarla, e si chiese se per caso
non si fosse ammalata, anche se quella sarebbe stata la prima volta.
Decise di arrangiarsi.
Non aveva voglia di risalire le scale per raggiungere la biblioteca,
così si diresse verso il salotto, dove si trovavano alcuni
scaffali che offrivano comunque una scelta abbastanza vasta.
Aveva mosso appena qualche passo, quando vide suo padre uscire proprio dalla porta del salotto.
Aveva il volto tirato e sfoggiava un'espressione preoccupata; per un istante non parve nemmeno vederla.
«Megan» esordì alla fine «Vieni» disse
semplicemente e, senza darle altre spiegazioni, rientrò nella
stanza.
Megan aveva visto suo padre così teso solamente una volta e la ragione, come constatò poco dopo, era la medesima.
Varcò la soglia del salotto e ad accoglierla trovò Lord
Voldemort, che se ne stava tranquillamente seduto sulla poltrona, con
le lunghe dita bianche intrecciate davanti a sé, mentre la
povera Ellie se ne stava accucciata accanto a lui, pronta ad esaudire
qualunque richiesta.
C'era anche sua madre, seduta sul divano, e sul suo bel volto c'era la stessa espressione tesa del marito.
Megan esitò un istante, colta di sorpresa, quindi riprese ad
avanzare, e fu solo allora che si rese conto che l'esile creatura ai
piedi del Signore Oscuro non era Ellie; l'esserino infatti, era
sì un Elfo Domestico, ma non il suo.
«Megan» la salutò Voldemort, con un scintillio
sinistro nei freddi occhi sanguigni. «Ho saputo che ti sei
ristabilita completamente dopo il nostro ultimo incontro»
aggiunse poi.
Suo padre, quello adottivo, aveva intanto preso posto accanto alla
moglie e scosse la testa impercettibilmente a quelle parole; non
sembrava arrabbiato, ma, piuttosto, deluso.
Per un po' nessuno disse nulla, poi, all'improvviso, l'Elfo sconosciuto
emise una sorta di rantolo gutturale, come se volesse segnalare la sua
presenza.
«Oh, lui è Kreacher» presentò Voldemort, con
noncuranza «Ma tu lo conosci già, non è vero?»
L'Elfo, sentendosi nominare, sollevò la brutta testa rugosa, e
finalmente Megan lo riconobbe: era l'Elfo Domestico di Sirius Black.
«Mi ha riferito alcune informazioni importanti, sai»
continuò Voldemort «Non sapevo che Silente ti avesse
accolta nel suo esclusivo circolo segreto»
Megan, ormai incapace di dire alcunché, si limitò ad abbassare lo sguardo.
Di nuovo, nella stanza cadde il silenzio, rotto alla fine dalla parole del Signore Oscuro.
«Vincent, vai pure, voglio scambiare due parole con mia
figlia» ordinò al suo seguace, che, prontamente
obbedì; sua madre, non essendo stata nominata, esitò un
istante, quindi si rassegnò a seguire il marito ed uscì
dalla stanza.
«Vieni Kreaher» ordinò poi suo padre e il brutto
Elfo si affrettò a eseguire, infilandosi malamente nello
spiraglio della porta che, velocemente, venne chiusa.
Megan non osava emettere un suono.
«Siediti» ordinò il Signore Oscuro, passando
rapidamente alla lingua sibilante dei serpenti; Megan, riluttante,
obbedì e prese il posto di sua madre sul divano, lo sguardo
fisso sul pavimento.
«Mi congratulo con te» esordì Voldemort «Non
credevo riservassi così tante sorprese» continuò;
Megan sollevò di scatto la testa, ormai completamente smarrita.
«Questo ci da un vantaggio inaspettato» proseguì
Voldemort «E l'Elfo mi ha rivelato alcune importanti
informazioni» .
Fece una pausa, quindi si alzò e si diresse verso il camino, dandole le spalle.
«Dimmi» disse alla fine «Come definiresti il rapporto tra Potter e Black?»
Megan, sempre più confusa, rispose «Black è il suo padrino».
«E sono legati?» chiese Voldemort.
«Credo di sì».
«Quanto?» insistette lui.
«Molto, immagino».
«Ho bisogno di saperlo!» ringhiò Voldemort, battendo
il pugno bianco contro la mensola del camino; Megan arretrò
sullo schienale del divano.
«Sono molto legati, credo che Black lo consideri come un figlio,
o un fratello, non saprei davvero come interpretarlo» rispose
lei, tutto d'un fiato.
«E Potter?» la incalzò il Signore Oscuro.
«La stessa cosa».
«Credi che metterebbe a rischio la sua vita per salvarlo?»
«Senza dubbio» rispose Megan, senza esitazione.
«Eccellente» esalò Voldemort, ritornando a sedere sulla poltrona.
«Ma non avrai modo di catturarlo, resta sempre chiuso a…
» obiettò Megan, interrompendosi poi quando si rese conto
che non era in grado di pronunciare il nome del rifugio segreto
dell'Ordine.
«Incanto Fidelius» riconobbe il Signore Oscuro «Non
sarà un problema» tagliò corto. «Quello che
voglio da te» continuò poi «È che ti assicuri
che Potter non abbia la possibilità di contattare nessuno e che
corra al Ministero per salvarlo».
«Credevo che avessi affidato a me il compito di portare Harry al Ministero» protestò Megan, senza pensare.
«Infatti, ma hai fallito» decretò Voldemort.
«Non-» tentò di protestare ancora, ma il Signore
Oscuro la interruppe «Non importa, ora farai come ti ho detto, mi
hai capito?»
Megan annuì in silenzio.
«Rispondimi!» ringhiò Voldemort, le narici a fessura dilatate.
«Sì, ho capito» rispose Megan, tra l'arrabbiato e lo spaventato.
«Bene» approvò il Signore Oscuro, ritrovando il suo
tono freddo e calmo «Ora puoi andare» disse alla fine.
Megan esitò un istante, quindi decise che fosse meglio non
contrariarlo e lasciò la stanza. I suoi genitori attendevano
poco oltre l'ingresso; quando la vide, sua madre non riuscì a
reprimere un gemito di sollievo.
Tuttavia, Megan non aveva voglia di parlare con nessuno; le
passò accanto in silenzio, quindi risalì le scale in
fretta, mentre con la coda dell'occhio vedeva suo padre rientrare nel
salotto, evidentemente per ricevere altre istruzioni dal suo Signore.
* * *
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