Muffin Love

di Caterpillarkable
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You're freaking me out! ***
Capitolo 2: *** Feel my legs like a dough ***
Capitolo 3: *** ... and you're molding them as you want! ***



Capitolo 1
*** You're freaking me out! ***


Lo sguardo di Simon non abbandonò la figura di Eliantho. La ragazza, che da sempre piaceva a Skull, stava uscendo dallo Stuzki a braccetto con J.Jay, al termine di quell’uscita di gruppo tutti insieme, One Up e non.
Tornare a Saerloon dopo tutto il successo della band non era semplice, si trattava sempre di eccezioni che Nathan concedeva ai ragazzi per dare loro modo di vedere la famiglia. Usare quelle occasioni per una birra tra amici allo Stuzki, il locale dove tutto era cominciato, era d’obbligo. Anche con il rischio di trovare sul palco i Bastard Sons of Bastet capitanati da Ivan. Amelia aveva sempre la cura di evitare che i due gruppi si incontrassero – soprattutto dopo quella bruciante sconfitta che aveva macchiato indelebilmente l’orgoglio del leader dei rivali.
Eliantho e J.Jay furono quindi i primi ad andarsene, forse per avere del tempo da passare da soli. Uno a uno, poi, tutti gli altri abbandonarono il tavolo per ritirarsi ognuno a casa propria. Tutti tranne Simon, seduto ancora al suo posto, la terza bottiglietta di birra tra le mani. Fissava con intensità l’etichetta dell’alcolico, mentre ripercorreva con la mente ricordi e conversazioni.
Sapeva di essere un bullo, di avere un modo di approcciarsi alla gente burbero e sì, alle volte anche cattivo. Cosa ci si poteva attendere dal minore della famiglia Kull? Forse non si era mai nemmeno impegnato per dimostrarsi diverso da quello che suo padre, sua madre, le sue sorelle volevano. Forse per questo Eliantho aveva preferito un altro a lui, un suo amico e, per di più, sempre un componente dei One Up.
Un moto d’ira improvviso gli fece staccare l’etichetta con forza dalla bottiglia di vetro, sulla quale rimase il segnl, rompendola poi in mille pezzi. Nessuno sentì il suo grugnito, il verso gutturale che accompagnò quel gesto rabbioso: c’era musica dal vivo, quella sera, e per fortuna non c’era traccia di Ivan e dei suoi compari. L’unica persona che si rese conto della scena fu Amelia, la quale semplicemente osservò fugacemente il batterista dei One Up, distogliendo poi lo sguardo. Qualsiasi cosa egli avesse, alla donna non interessava o, almeno, era abbastanza furba da non intromettersi alla ricerca di un uovo di colombo alla situazione.
Calmatosi, Simon si passò una mano sul viso, ben pensando che fosse davvero l’ora anche per lui di lasciare il locale, oramai in dirittura di chiusura. Sarebbe tornato a casa, dalla sua famiglia e dal suo bel cagnolone – forse il membro dei Kull che più gli mancava. La musica aveva smesso di risuonare tra quelle pareti da una buona mezz’ora, ma il ragazzo non se ne rese conto. Semplicemente, ancora immerso nei suoi mille pensieri riguardo ad una ragazza dai capelli rossi e il nome del girasole, s’alzò dalla sedia. Non stette nemmeno a contare quanti soldi lasciò sul bancone vicino alla cassa – ovviamente con un colpo al mobilio. Probabilmente gli doveva arrivare del resto, ma Simon non si trattenne abbastanza a lungo da scoprirlo.
L’aria fredda e frizzante di Saerloon accarezzò il volto del batterista appena mise piede fuori dallo Stuzki. Ne aveva davvero bisogno per rinfrescarsi la mente e far uscire certi pensieri, che sembravano essersi incollati al suo rimuginare. Sarebbe tornato a casa a piedi, nel cuore della notte.
Aveva appena mosso qualche passo in direzione dell’uscita del parcheggio antistante il locale, quando qualcosa – o meglio, qualcuno – lo spinse da dietro. Abituato come sempre alle risse, Skull stava voltandosi con già la sua espressione minacciosa e il pugno pronto e carico a spaccare il naso dell’ubriaco che  andava cercando la rissa, ma si dovette bloccare. E ricredere.
Ciò che il suo sguardo vide non fu il volto di un uomo dalle guance rosse e gli occhi persi, ma una figura piú minuta e più femminile. 
«Scusami, scusami! Ho perso l’equilibrio portando via questo amplific— MA TU SEI SKULL, IL BATTERISTA DEI…»
Il momento d’entusiasmo dell’evidente ragazza venne fermato dalla stessa voce di Simon.
«Sì, sono io. E tu sei..?»
Con gli occhi appena socchiusi, dandogli un’aria guardinga, il batterista fissava quella ragazza dai capelli ramati – nulla a che vedere con il rosso fuoco di Eliantho. Quell’occhiata più lenta, fece comprendere al ragazzo che non era un volto sconosciuto quello che aveva di fronte.
«Sei la cantante delle Heller
Fu come se una lampadina si fosse accesa nella sua mente. La serata del contest era ancora un ricordo nitido ma anche confuso al tempo stesso. Si ricordava di aver pensato qualcosa riguardo la bellezza di quella cantante, ma giudizio che era stato accantonato per fare spazio all’ansia.
«Puoi chiamarmi Aubrey, ma sì, sono io. Amelia
ci ha fatte esibire stasera, vi abbiamo rubato il palco per qualche ora!»
Un risolino uscì dalle labbra carnose e dipinte di viola di Aubrey. Skull notò l’anellino sul labbro inferiore solo in quel momento, senza rendersi conto dell’accenno di sorriso che nacque sul suo volto. Era decisamente una bomba quella ragazza, ora che poteva vederla meglio e da vicino.
«Aubrey, andiamo!»

Una voce
lontana forse una decina di metri da loro due interruppe il contatto di sguardi che s’era andato a creare tra la cantante e il batterista. Riprendendo con entrambe le mani l’amplificatore, Aubrey iniziò a fare qualche passo in direzione delle due ragazze, le altre componenti delle Heller.
«È stato un piacere averti conosciuto!»

Skull
non rispose subito – anzi, non rispose affatto – troppo impegnato ad osservare quella ragazza allontanarsi, con ancora quell’accenno di sorriso a distendergli le labbra, sempre arricciate in un’espressione di rabbia. Non si offrì nemmeno di aiutarla con quel grosso peso che era l’amplificatore, quando se ne rese conto era oramai troppo tardi.
“Idiota, ti sei perso una gnocca”, pensò tra sé e sé, mentre finalmente si decise a tornare a casa.
 

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Capitolo 2
*** Feel my legs like a dough ***


La Domenica era sempre stato un giorno ozioso, da passare in famiglia. Non che Skull amasse particolarmente dover accompagnare le sue sorelle a fare shopping al centro commerciale o nei negozi della città. Avere quindi la scusa di Skulldog e della sua vaccinazione fu quasi una manna dal cielo per il ragazzo. Di certo non era così che s’era aspettato di passare l’unico giorno libero della settimana, ma era uno scotto che aveva intenzione di pagare piuttosto che accompagnare quelle due bulle che, sicuramente, l’avrebbero riempito di pacchi, pacchetti e sacchetti.
Con Skulldog al guinzaglio, il batterista dei OneUp s’incamminò verso lo studio veterinario di Saerloon. Mani affondate nelle tasche dei pantaloni neri e cuffiette nelle orecchie con la musica della band, Skull pensava a come migliorare la sua parte. In effetti, senza nemmeno accorgersene non solo era arrivato alla sua destinazione, ma aveva passato l’intero tragitto a muovere la testa al ritmo che la sua stessa batteria gli risuonava nelle orecchie – melodia che, forse, avevano udito anche tutte le persone che gli passarono di fianco, considerando l’alto volume.
La sala d’attesa della clinica non era eccessivamente piena, doveva solo attendere che la signora anziana con il suo chihuahua particolarmente agguerrito – Skull riusciva a sentire quegli abbai striduli anche con la musica così alta – venisse chiamata e poi sarebbe stato il suo turno. Skulldog era tranquillo, spiaggiato sul pavimento piastrellato fresco, la testa alzata e la lingua di fuori, con il fiato corto per la passeggiata fatta. Sembrava non rendersi conto che sarebbe stato vaccinato e per il padrone era tanto meglio così, poteva ancora concentrarsi sul ritmo che gli auricolari gli sparavano nelle orecchie.
Qualcosa, oltre all’abbaio stridulo del cane minuscolo, però, disturbò il suo ascolto. Più precisamente il suono delle campanelle che segnalavano l’arrivo di un nuovo cliente.
Skull, dal canto suo, non si degnò nemmeno di alzare lo sguardo per controllare se nessuno avesse bisogno di una mano. Con sguardo infastidito, il ragazzo continuava a prestare attenzione solo ai suoi colpi di cassa e piatti, imitando con i battiti delle mani sulle proprie cosce ciò che stava udendo. Interruppe la sua attività solo quando un paio di gambe ed un trasportino per gatti si fermarono proprio di fronte a lui, monopolizzando il suo campo visivo.
Lentamente il batterista alzò lo sguardo, scontrandosi con la visione di Aubrey, la ragazza della sera prima. Con un trucco un poco meno pesante ed un rossetto aranciato invece che violaceo, Skull aveva tentennato sul riconoscerla. Dal trasportino uscì un miagolio, che interessò particolarmente Skulldog.
«C-Ciao. Aubrey, giusto?»
Si maledisse per quel tentennamento iniziale. Solo Eliantho riusciva a fargli quell’effetto e, doveva ammetterlo, quella cantante non era la ragazzina dai capelli rossi.
Certo, però, che il sorriso ch’ella gli rivolse subito dopo, con quell’anellino al labbro inferiore, era proprio bello. Aveva visto giusto la sera prima, Skull: Aubrey era una bomba sexy, anche con quella tenuta più da casa che da serata.
«Sì! Vedo che ti ricordi. È strano incontrarsi dal veterinario, non credi? Forse è il segno del destino, ieri sera non siamo riusciti a parlare molto.»
Senza chiedere e con una naturalezza pazzesca, la ragazza dai capelli ramati si sedette sulla sedia vicino a Skull, la portantina con dentro il gatto bianco e rosso sul terreno alla sua sinistra. Al batterista arrivò la scia del buon profumo d’ella, quando si mosse per accomodarsi. Dolce ma con una punta amara di fondo, cosa che, forse, lo intrigava.
«Sei sorpresa che io ricordi il tuo nome?»
Il ragazzo non poté che domandarglielo, mentre spegneva il lettore musicale e si toglieva del tutto gli auricolari. Sebbene fosse un duro e un bullo, era pur sempre conscio che parlare con la musica nelle orecchie non era una mossa furba, soprattutto se voleva prestare attenzione alla sua interlocutrice.
«Sì, sai, con tutte le fans che sicuramente si presentano e tutto il resto. Insomma, tanti nomi e tante facce, non credevo ti ricordassi di me
I capelli sciolti di lei sembravano emanare un buon profumo di cocco e vaniglia, soprattutto quando, nel parlare, si portò una ciocca di essi dietro l’orecchio. Contemporaneamente, sul volto di Skull si disegnò un sorriso furbetto al sentire quelle parole, perdendosi a pensare a tutti gli autografi che aveva firmato su posti molto invitanti, su quanti reggiseni erano stati lanciati sul palco e, ancora, a quanti post e lettere di fans erano arrivati – certo, un numero considerevolmente più basso di quello di J.Jay.
Non si rese conto che risultò un pochino indelicato nei confronti della ragazza. Non sapeva nemmeno cosa rispondere, il ragazzo. Lasciò semplicemente che il silenzio scendesse tra loro due.
La signora anziana con il suo chihuahua, nel mentre, stava assistendo a quella scena. Il cagnolino che abbaiava imperterrito a Skulldog, troppo incuriosito dal gatto miagolante nel trasportino.
«Allora… Come mai sei qui, Skull
«Vaccino, niente di che. E il tuo gatto?»
Non era un amante dei gatti, lui. Erano piccole bestie di Satana, quelli. I bulldog erano decisamente meglio, ma per una gnocca così avrebbe mandato giù il rospo. Almeno per quella volta.
«Visita di controllo.»
Tra i due cadde l’imbarazzo, ognuno a fissare il proprio animale domestico. Oramai il cane era finito vicino, forse anche troppo, alla portantina del gatto. Con uno strattone, Skull allontanò il proprio animale dall’altro, prendendola un po’ come scusa per riacquistare sicurezza in se stesso.
Non era Eliantho, poteva anche farcela a parlare con quella ragazza dal buon profumo.
«Senti… Ti andrebbe di andare a bere qualcosa, dopo?»
Ecco, l’aveva detto. Skull aveva appena invitato Aubrey in uno dei tanti bar della città. Ora doveva solo aspettare la risposta della ragazza, che lo stava guardando sorpresa.
«Mi piacerebbe.»
Il batterista esultò dentro di sé, mentre la veterinaria entrò in quel momento nella sala d’aspetto per chiamare proprio lui, Simon. Un po’ si vergognò di rivelare così il suo nome, ma non poteva farci nulla.
Fu mentre stava andandosene nello studio per il vaccino al suo cane, con le gambe che gli tremavano un poco per l’eccitazione all’idea di un appuntamento con la ragazza, che gli arrivarono le parole di Aubrey.
«Però non posso, ho le prove con le Heller. Facciamo un’altra volta?»
Skull girò il capo con un sorriso triste sulle labbra, annuendo però. 
Che cazzo di sfiga che ho.” 

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Capitolo 3
*** ... and you're molding them as you want! ***


A Skulldog piaceva correre. Forse, però, quella corsa a perdifiato se la sarebbe risparmiata. Non capiva cosa fosse preso al suo padrone che, dopo il vaccino, si era prefissato quella veloce maratona verso un posto ancora non chiaro.
La visita dal veterinario era andata bene e tutto sommato non era nemmeno durata tanto. Per Simon, però, era durata anche fin troppo. Uscito da lì prima di Aubrey, non aveva fatto nemmeno in tempo a chiederle il numero di telefono per poterla contattare durante la settimana. Non avrebbe neanche potuto stare ad aspettarla, considerando che da lì a poco loro One Up sarebbero dovuti tornare in città per un’altra settimana di lavoro.
Non poteva di certo andarsene senza avere uno straccio di modo per poter contattare quella cantante da urlo.
Ecco spiegato perché Skull e Skulldog non erano altro che un padrone e animale a sfrecciare per le vie di Saerloon, alla ricerca del luogo dove tutto era iniziato: lo Stuzki. Raggiungere il posto gli costò molto fiato, molte energie e molta fatica, tant’era che quasi si accasciò contro la porta chiusa del locale, fresca contro la sua pelle accaldata dalla corsa. Fortuna che Amelia era già lì, forse per colpa del fato.
«Simon. Che ci fai qui?»
La donna dai capelli rosa osservò il batterista a metà tra il sorpreso, il confuso e lo scettico.
«Non dovresti già essere
al bus insieme agli altri?»
Questa volta, un sopracciglio perfettamente definito si inarcò, svettando verso l’alto. Skull, dal canto suo, stava cercando di inglobare quanta più aria possibile, prima di parlare.
«Sì, sì, ma ho un favore da chiederti. Ti prego.» 

Il bus dei One Up andò a prendere il batterista nel parcheggio del locale. Il ragazzo era stato piuttosto ermetico sul perché e cosa ci facesse lì, soprattutto considerando il fatto che doveva farsi trovare da tutt’altra parte. Diversamente dalle star della tv, Simon ai suoi “paparazzi” rispose con un sonoro:
«Fatevi i cazzi vostri.»
Così dicendo, passò il resto del viaggio ammusonito seduto verso il fondo del mezzo di trasporto comodo. Nelle orecchie nuovamente le tracce di quei nuovi pezzi che avrebbe dovuto imparare. Peccato, però, che su quelle note sentiva una calda voce femminile, piuttosto che quella di J.Jay, al vedere il pezzetto di carta che aveva appallottolato nel pugno. Sopra c’era semplicemente scritto il numero di una brava cantante di un certo gruppo chiamato Heller.
Arrivati a destinazione, quello stesso bigliettino scomparve nuovamente nella tasca dei suoi pantaloni. Nessuno doveva venirne in possesso: gli avevano già fregato Eliantho, non avrebbe permesso lo stesso finale anche con Aubrey. L’aveva conosciuta solo il giorno prima, forse era fin troppo presto per dirlo, ma non era forse vero che tante volte il destino giocava brutti scherzi ai poveri disperati? 

Passarono due giorni, prima che Simon si decidesse ad inviare un messaggio ad Aubrey. Non che si fosse scordato, semplicemente si sentiva un idiota in tutto ciò che scriveva. Qualsiasi saluto sembrava da sfigato, lui sembrava uno sfigato a preoccuparsi così tanto per un messaggino. Optare per un “Ciao, sono Skull” gli sembrò la scelta meno peggiore tra tutte.
Aspettare una risposta, però, fu forse ancora peggio. Non che ci pensasse costantemente, solo il 90% del suo tempo. Probabilmente quelle delle prove era una scusa, una come Aubrey non avrebbe mai risposto ad un messaggio così sfigato – perché non aveva aggiunto una di quelle faccine sorridenti? Magari avrebbe apprezzato.
Magari, magari, magari.

Tutti dubbi che vennero dissipati il giorno dopo, con la risposta della bella cantante. Da quel momento, Skull sembrò ossessionato dal cellulare e i suoi trilli molto più di Hugo. Questo, però, non volle dire che il batterista prese coraggio per chiederle nuovamente di uscire. Il rischio di un altro rifiuto era molto alto – almeno per lui. Non doveva lasciarsela fuggire, però: era certo che una bomba del genere avesse il manipolo di ragazzi ai suoi piedi.
Aveva saputo tramite social che a Saerloon quel weekend sarebbe arrivato il Luna Park, con giochi, giostre e lucine colorate. Di certo non l’habitat naturale di Simon, però non vedeva nessun’altra possibilità: lo Stuzki sarebbe stato troppo semplice come scelta ed un luogo troppo conosciuto da entrambi, di un qualsiasi ristorante anche la sola idea faceva impazzire il ragazzo. Il Luna Park, alla fine, non suonava nemmeno così male. Alla peggio, sarebbe salito su una di quelle macchine degli autoscontri e se la sarebbe presa con i mocciosetti facendoli cadere come birilli.
Infine, fece tutto senza pensarci. Se avesse ragionato ancora tanto su quella questione, sarebbe finito per impazzire, impanicarsi e non fare nulla di quanto prefissatosi. Chiese ad Aubrey di accompagnarlo alle giostre con leggerezza: aveva solo bisogno di qualcuno che gli facesse compagnia mentre le sue due sorelle maggiori bullizzavano la gente a destra e a sinistra. Non che a Simon sarebbe davvero dispiaciuto rimanere da solo a rubare le patatine fritte a quelli alti un metro e uno sputo... però Aubrey era un’allettante alternativa e poi, diciamocelo, quella era palesemente una scusa.
La risposta tardò ad arrivare. In quelle ore d’attesa, Skull cadde in uno stato di agitazione, depressione e nervosismo. Avrebbe volentieri preso a pugni J.Jay e Hugo, soprattutto mentre discutevano su questioni totalmente inutili durante le prove. Alzò semplicemente la voce contro di loro urlando un’accozzaglia di parolacce e insulti, lasciò cadere le bacchette a terra dopo aver colpito uno dei tamburi della batteria e se andò così, lasciando tutti senza parole. L'occhiataccia che rivolse al resto del gruppo fece desistere qualsiasi tentativo di rincorrerlo. Dopo quest’uscita di scena, la suoneria del suo telefonino avvertì Simon che un messaggio era stato ricevuto: la reazione alla lettura fu l’equivalente di un bambino il giorno di Natale.
Aubrey aveva accettato il suo invito e si era scusata per il ritardo della risposta, avendo le prove musicali con le altre. Solo quello. Il batterista si sentì un emerito idiota a non averci pensato prima.
A quel punto, l’unico problema che gli si parava davanti era riuscire ad avere il fine settimana libero per potersi vedere con quella gno– gran bella ragazza. 

Implorare Nathan ebbe i suoi frutti, considerando che quel Sabato mattina Skull era quasi in dirittura d’arrivo a Saerloon. Aveva giusto il tempo di un pranzo veloce e di una doccia prima di incontrarsi con la ragazza all’entrata del Luna Park, meta che non tardò a raggiungere.
Aubrey era bellissima in quell’abbigliamento attillato, che mostrava tutto il suo fascino, i capelli raccolti in una coda alta. Simon si prese tutto il tempo per osservarla mentr’ella s’avvicinava a lui. Sul volto, un sorrisetto furbo e compiaciuto per averla invitata fuori e, sì, anche perché per quella giornata era sua.
«Ehi, sei arrivata.»
«Come potevo dire di no?»
Dopo una piccola risata, la ragazza lasciò un piccolo bacio leggero sulla guancia di lui. Per un attimo, il suo sorriso scomparve per via del gesto tanto apprezzato quanto inaspettato. Se si fosse guardato in uno specchio, avrebbe visto solo la propria espressione da pesce lesso.
«Allora, che vogliamo fare? Autoscontri? Il tiro a segno?»
Aubrey non rispose. Con un sorrisetto quasi misterioso e dopo aver scosso la testa – quasi come se ritenesse quella domanda come stupida –, ella prese la mano di Simon, trascinandolo verso i calcinculo. Forse c’era d’aspettarselo, forse i seggiolini erano troppo piccoli per la stazza del ragazzo, ma non obiettò mai. Non voleva contraddirla, non voleva rovinare nulla di quella giornata: dopo i seggiolini volanti, fu un susseguirsi di corse su varie giostre, tentativi fallimentari ai giochi di pesca, lanci e prese con i ganci.
Il pomeriggio passò in un lampo, trasformandosi in sera. La loro cena si compose di hamburger, hot dog e patatine fritte alla bancarella del posto – Skull minacciò anche dei ragazzini di lasciare loro il posto, alle spalle di Aubrey. Come dolce, la ragazza prese un bastoncino di zucchero filato dal color rosa confetto, forse più grande di lei. L'ultima cosa che rimase loro da fare fu un giro sulla ruota panoramica, che sembrava essere una cosa forse troppo romantica per una persona come Simon – almeno ad un primo impatto.
La coda per la giostra fu veloce e corta, salire su una di quelle cabine per due persone prese loro, quindi, poco tempo. La velocità con la quale la ruota girava, però, diede loro modo di ritagliarsi diverso tempo per chiacchierare lontano anche dalla musica quasi assordante del resto del Luna Park. Il cielo stava scurendosi, il tramonto era visibile solo all’orizzonte; le prime stelle iniziavano a rendersi visibili nell’azzurro scuro della volta celeste, mentre la Luna imponeva la sua presenza come protagonista indiscussa della notte.
Insomma, c’erano tutti i presupposti per un finale molto più che roseo di quell’appuntamento.
Al suo fianco, Aubrey aveva terminato di mangiare il suo zucchero filato e stava giocando con il bastoncino di legno, mentre lieta ancora chiacchierava e scherzava con Simon. Dal canto suo, il ragazzo era rapito da lei, dalla sua voce, dal suo umorismo e allegria.
«Aspetta, sei sporca qui...» 
Forse prendendo l’occasione al volo di una piccola briciola di zucchero filato rimastole al lato della bocca, il batterista non solo le accarezzò il viso, ma si avvicinò con il proprio con l’intento di terminare quel giro sulla ruota panoramica nel modo migliore possibile. Era a pochi millimetri, quando una voce di sua conoscenza iniziò a sbraitare dal prato sottostante.
«Ehi, tu, testa di cazzo. Giù le mani da Aubrey!»

Ivan, il frontman dei
Bastard Sons of Bastet, guardava proprio loro, indicando Skull con l’indice con un modo poco calmo e molto risentito.
«Ma che
ca–» 
Non terminò la frase, sovrastata dal tono di voce della ragazza, che mandò al diavolo l’altro. Quel gesto la fece solo apprezzare di più dal suo accompagnatore.

«Scusami. È colpa mia. Non credevo di trovarlo qua.»

Il parlare concitato e mortificato
d’ella mise in allarme Simon, confuso.
«Cosa vuoi dire?»

«Skull... Non so come dirtelo ma... Ivan è il mio ex.» 

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