Of all the people in the world

di antigone7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jude e il gruppo del venerdì sera ***
Capitolo 2: *** Josh e il suo dannato intuito ***
Capitolo 3: *** Bugie e istinto ***
Capitolo 4: *** Il maglione blu e il secondo motivo ***
Capitolo 5: *** Kerr e l'inaugurazione ***
Capitolo 6: *** Bridget, Henry e la gelosia ***
Capitolo 7: *** Rivelazioni e assurdità ***
Capitolo 8: *** Sfide istantanee e sfide quotidiane ***



Capitolo 1
*** Jude e il gruppo del venerdì sera ***


1. Jude e il gruppo del venerdì sera



“Quindi George Peterson sta con Melanie Frayer? Quell’oca ossigenata e senza cervello della Frayer?”
Audrey annuisce comprensiva. “Ebbene sì.”
“Questa è la dimostrazione che Dio non esiste, e se esiste, si fa gli affari suoi: al mondo non c’è giustizia,” conclude perentoria una Delia fin troppo sconvolta, scuotendo il capo.
Io, scorgendo l’espressione di Matt che non sa se ridere o sbattere la testa sul tavolo, mi limito a sorridere, ma probabilmente se oggi non fossi di pessimo umore starei sghignazzando di gusto: la situazione, in effetti, è piuttosto divertente.
È venerdì sera e come tutti i venerdì sera siamo seduti al solito tavolo del solito bar: siamo i soliti cinque più il ragazzo di Audrey e, ovviamente, stiamo aspettando che il solito Dave ci porti le solite cose da bere e si sieda con noi. Definirci abitudinari sarebbe poco.
Delia, Matt, Audrey con Phil, David, Josh, e io, Jude.
Se te lo stai chiedendo, sì, sono una ragazza. Immagino che il mio nome ti abbia tratto in inganno, ma in realtà mi chiamo Judith, come quell’eroina biblica che per salvare il suo popolo sedusse e poi tagliò la testa a Oloferne e bla bla bla, esatto. Tutti però, o quasi tutti, mi chiamano Jude come, per restare in ambito “paragoni famosi”, Jude Law, o come quello di Hey Jude dei Beatles, con la piccola differenza che loro sono individui di sesso maschile, mentre io femminile, ecco.
Ma non parliamo di me, odio farlo. I miei amici, quelle sono persone sulle quali vale la pena spendere due parole.
Audrey, per esempio, è quella che stasera è arrivata con la notizia fresca di settimana del fidanzamento ufficiale tra George Peterson e Melanie Frayer: fare gossip, in effetti, è sempre stato un suo vezzo, anche se non lo si direbbe mai, visto il temperamento riservato e schivo che ha.
Conosco Audrey Byrne dal primo giorno di liceo: all’epoca io ero una ragazzina timida ma piuttosto tenace e combattiva, la cui migliore amica si era da poco trasferita in Europa. Durante la prima noiosissima lezione di biologia, mi trovai seduta accanto a questa bella ragazza dai capelli neri e liscissimi, dolce ma ironica e piena di spirito.
Aud in fondo è rimasta uguale ad allora. Ha la pelle olivastra, i capelli lisci color pece e i tratti indiani ereditati da sua madre, ma gli occhi sono di uno splendido verde scuro, uguali a quelli di suo padre: è ancora una delle ragazze più belle che conosco, ma non sa di esserlo. È modesta all’inverosimile, Audrey, tanto da sembrare cieca a volte. Di sé non le piace praticamente niente, nemmeno il nome: dice che si chiama così solo perché sua madre ha da sempre una stupida fissazione per Audrey Hepburn, e che vorrebbe un nome meno “da vip”.
Inoltre è sensibile e buona con tutti, spesso anche un po’ ingenua, caratteristiche che, aggiunte al suo bel viso, l’hanno portata a essere presa in giro più e più volte da bastardi e approfittatori di vario tipo. Tradotto: ha sempre avuto una sfortuna tremenda con l’altro sesso, se non che adesso sembra aver trovato la serenità con Phil, suo attuale ragazzo da circa otto mesi.
Il difetto del gossip le è però rimasto, ma, conoscendo sua madre, sospetto sia più che altro una tara genetica.
“È ingiusto! George è un gran bel pezzo di ragazzo, meriterebbe molto di più di Melanie Frayer, quella c’ha solo le tette, e non sono nemmeno sicura che siano vere! Cioè, vi ricordate anche voi che a scuola era praticamente piatta, vero? Come hanno fatto a spuntarle le tette così, all’improvviso? Oltretutto a me George piaceva già ai tempi del liceo e quella sgualdrina invece…”
Delia continua imperterrita la sua filippica contro la Frayer senza accorgersi degli sguardi ormai esasperati di tutti.
Delia Gray è fantastica, dico sul serio, anche perché se la pensassi diversamente non sarei certo sua amica da più di quattro anni. Solo che a volte è un tantino logorroica, ecco tutto. Noi le vogliamo bene lo stesso.
Delia è entrata nelle nostre vite come un uragano: cioè inaspettatamente e creando un bel po’ di confusione. Si iscrisse nel nostro liceo a metà del secondo anno, dopo essersi trasferita con la sua famiglia dalla California, e si affezionò subito a Audrey, anche se caratterialmente e fisicamente era il suo esatto opposto.
All’inizio io ero piuttosto diffidente nei suoi confronti – come sempre quando conosco una persona nuova – poiché temevo fosse la solita approfittatrice che tentava di irretire Aud per diventare popolare a scuola e poi abbandonarla preferendo compagnie migliori. Non che noi all’epoca fossimo molto popolari, al contrario; però la mia amica attirava a sé più di uno sguardo e immaginavo che le attenzioni di Delia non fossero sincere. Mi sbagliavo e mi dovetti perciò ricredere: non solo Delia non aveva alcuna velleità di scalata sociale, ma, al contrario, da allora si è sempre dimostrata un’amica fedele, oltre che una vera e propria intrattenitrice nei momenti di necessità.
Ora come ora Deels è una giovane studentessa del College single e fiera del suo status. Ha diversi ragazzi con cui si diverte, “a che altro servono sennò?” (testuali parole)… e chi può darle torto.
Fisicamente non è molto alta ed è piuttosto minuta, ma potrebbe far paura a chiunque con la sua parlantina tagliente e inesauribile, e con la sua sicurezza sfrontata. Al momento ha i capelli lunghi fin sopra le spalle, di un rosso piuttosto scuro, colore che cambia spesso, anche se il suo naturale sarebbe un biondo cenere che io adoro ma che lei definisce “color topo di fogna”.
E dopo tutta questa lunghissima descrizione, Delia non ha ancora smesso di inveire. Come volevasi dimostrare.
“…ed è una cosa assolutamente assurda. Jude, non sei d’accordo?”
Eccola là. Ovvio che mi avrebbe interpellato, sono seduta alla sua destra e ho la testa tra le nuvole da un po’. Fortunatamente so più o meno di cosa stiamo parlando.
“Dee, tu non vuoi neanche impegnarti. È inutile che te la prenda tanto a cuore.”
“Che c’entra. Magari George poteva essere l’uomo della mia vita.”
E ti pareva. Un tantino melodrammatica, no?
“Gray, nessun essere umano sano di mente potrebbe sopportarti per una vita intera, considerato quanto parli.”
Ecco, Matt non è più riuscito a trattenersi, è già strano che l’abbia fatto fin’ora.
Vedo gli occhi nocciola di Delia farsi sottili e fulminare il pazzo suicida che ha osato parlare, pazzo suicida che per fortuna si trova al lato opposto del tavolo.
“Qualcuno ti ha interpellato?”
“Non ne potevo più di sentirti uggiolare, tesoro.”
La bocca di Dee si stende in un sorriso sarcastico. “Geloso, Patterson?”
Anche Matt non se la cava per niente male col sarcasmo, però. “Oh sì, da morire!”
“Idiota,” ribatte la mia amica, contenta di aver finalmente trovato pane per i suoi denti. “Sei solo invidioso perché l’unica cosa che avrai mai di simile a George Peterson è il cognome. Per il resto, lui ti batte dieci a zero.”
“Ciò che invidio a quel tipo è che non è costretto a sopportare te tutti i venerdì sera.”
A Phil scappa una mezza risata e Audrey gli dà una gomitata, perché sa che se qualcuno si intromettesse potremmo perderci la parte più spassosa della serata. Ma Delia e Matt sembrano essere troppo impegnati nel cercare di incenerirsi a vicenda con lo sguardo per accorgersene.
In effetti, i teatrini tra Delia Gray e Matthew Jonathan Patterson sono famosi in quasi tutto l’universo conosciuto. In realtà quei due non si odiano tanto quanto vorrebbero far credere: certo, a volte sembra che stiano per prendersi per i capelli, ma sotto sotto si divertono un sacco a punzecchiarsi. Per di più ho il sospetto che Matt abbia davvero un interesse ben celato per Delia e viceversa, sennò non si spiegherebbe tanta tensione tra loro. Solo che loro ancora non lo sanno, suppongo. O forse sì?
Tutto è cominciato, come sempre, a scuola. Non conoscevo ancora Matt, o meglio, la sua fama da bello e dannato lo precedeva, ma non avevo mai avuto contatti diretti con lui, quando, una mattina, Dee ci si avvicinò sbraitando qualcosa tipo: “quel Patterson è un vero deficiente!” Da lì cominciarono una serie di insulti più o meno giornalieri tra i due: Delia era forse l’unica in tutto l’edificio scolastico che riusciva a tenere testa a Matthew Patterson e per questo aveva non pochi estimatori, ma anche un bel gruzzolo di nemici.
Finché, un giorno, Matt si prese la briga di difendere veementemente Dave da quel cretino patentato con un solo neurone di Pierce Ashton di fronte a mezza scuola. Così si avvicinò a David e Josh che, conoscendolo, scoprirono che non era per niente stupido e superficiale come poteva sembrare a prima vista, e l’inserirono, per la gioia di Deels, nel nostro gruppo già collaudato. Matt è stato l’ultimo acquisto, a parte il più recente Phil che, stando con Audrey, ha cominciato in questo periodo a uscire con noi.
Matt è indubbiamente bello, con gli occhi grigi, il capello biondo scuro e la perenne aria da tenebroso. Potrebbe sembrare un attore hollywoodiano se non fosse che si veste come un vero studente squattrinato: di famiglia i soldi non gli mancherebbero, tutt’altro, ma ha sempre cercato di arrangiarsi perché mal sopporta i suoi; inoltre quello è proprio il suo stile e, ad essere sinceri, il fatto di presentarsi in giro con le scarpe mezze sfasciate gli dà una marcia in più rispetto ai soliti belli-e-perfettini-figli-di-papà.
“Sì invece!”
“Ho detto di no!”
“Sì” “No” “Sì” “No” “Sì” …
“Piccioncini, basta amoreggiare!”
Per fortuna Dave ha un tempismo perfetto e arriva un attimo prima che cominci a sgorgare il sangue, distribuendo da bere a tutti. Il locale in cui ci troviamo, infatti, è della sua famiglia, per questo siamo qua tutti i venerdì sera. E anche perché la sera è chiuso e quindi non c’è nessuno.
Ah, non l’avevo detto? Il Marie’s, chiamato così in onore della nonna francese di Dave, è un bar mattutino, da cappuccino e brioches. Chiude intorno alle sette e mezza di sera e, ogni venerdì, puntuali – chi più chi meno; io meno, di solito – alle ventuno e trenta, noi ci troviamo qui. C’è una bella pace, ancora per poco in realtà.
David ha fatto un corso per barman e ha preparato tutto per tenere aperto il locale di sera gestendolo al posto di suo padre. L’inaugurazione è prevista tra sole due settimane, quindi oggi è una delle ultime volte che ci troviamo qui in pace e tranquillità. Mi fa piacere per Dave, perché ci tiene davvero a questo progetto, ma un po’ mi mancherà tutto questo.
“Delia, ecco la tua birra,” dice il nostro barista. Poi si china sulla spalla di lei e lo sento sussurrare: “quel Peterson non dispiace neanche a me,” e darle un buffetto sulla guancia.
Il solito David. Ora almeno Dee è più soddisfatta: raddrizza la schiena e lancia un sorrisetto provocatorio a Matt, che raccoglie con uno sbuffo.
“Ragazzi, mancano un paio di cose. Vado e torno,” dice Dave allontanandosi di nuovo verso il bancone. Leggendomi nel pensiero, aggiunge: “quando torno non voglio vedere sangue in giro, eh.”
David McPharrell è moro, coi capelli mossi che gli coprono le orecchie e parte del collo e degli occhi marroni sorridenti. È un po’ miope, e di solito porta le lenti a contatto, ma stasera ha i suoi occhiali da vista.
Inoltre è, come si sarà capito, gay dichiarato.
È amico di Josh da quando avevano circa quattordici anni. Si conobbero giocando a basket assieme, ma poi Dave dovette smettere quando il mondo scoprì che era gay, perché ad allenamento gli rendevano la vita un inferno, e Josh lasciò la squadra per solidarietà.
David lo conosco da parecchi anni ormai, ma è una di quelle persone che può stupirti di continuo. A metà del terzo anno di liceo ci confessò di essere omosessuale e ci chiese se per noi era un problema. “Figurati,” fu la mia risposta secca: io avevo già notato che Dave guardava e commentava i ragazzi con me, ero solo contenta che l’avesse ammesso anche lui. Josh invece rise a crepapelle, dopodiché si assicurò che non volesse provarci con lui, infine scrollò le spalle e disse che era ok.
Un giorno però quel cretino patentato con un solo neurone di Pierce Ashton (l’avevo già detto?) ascoltò un nostro discorso e poco dopo trovò David da solo nel corridoio e si mise a insultarlo con aggettivi poco carini e piuttosto omofobi davanti a mezza scuola. Qui entrò in scena Matt, che non si limitò a difendere Dave a parole, ma si beccò pure un bel cazzotto in faccia.
Finita la scuola David ci stupì di nuovo: dopo un anno passato a divertirsi al college decise che voleva fare il barman, “perché si rimorchia di più”, dice. Ed eccolo qua: noi abbiamo appena cominciato il terzo anno di università e siamo pieni di dubbi fin sopra la testa, lui invece sembra aver trovato l’aspirazione della sua vita. Beato.
“Ecco il tuo mojito, bella,” dice Dave prendendo l’ultimo bicchiere dal vassoio e posandolo di fronte a me.
Mojito? Io non avevo ordinato mojito. Anzi, non avevo proprio ordinato, perché sono arrivata un po’ in ritardo con l’autobus.
“Ma…?” esordisco dubbiosa.
“Niente lamentele, please,” mi interrompe Dave sedendosi alla mia destra e schioccandomi un bacio sulla guancia, “ha ordinato Josh per te.”
Alzo la testa e osservo con un sopracciglio inarcato il suddetto Joshua Parker, seduto di fronte a me con un sorriso che gli va da un orecchio all’altro. Perdo un battito, probabilmente perché è la prima volta che lo guardo da quando sono arrivata, ma la mia espressione non cambia.
“Avanti!” esclama il traditore con una tranquillità quasi snervante. “A te piace il mojito…”
Con difficoltà ignoro la sua faccia da cucciolo scodinzolante. “Parker, avevo detto niente alcolici per me stasera…” dico, cercando senza successo di sembrare cattiva.
“Il nostro amico sta per aprire un locale, dovremmo pur fargli fare un po’ di pratica con i cocktail…” spiega innocentemente Josh cercando di sembrare convincente.
Che stupidaggine! Sono mesi che David lavora per i più importanti pub della città, non gli serve a un piffero fare dell’altra pratica.
Vedo Dave alzare un pollice verso l’altro cretino a mo’ di ringraziamento e quasi mi scappa da ridere, ma resisto, scuotendo la testa.
Josh continua. “Juuude, bevi! Tanto guido io stasera.”
“Bella garanzia!” sbuffo indicando col mento la birra che ha davanti mentre, mio malgrado, comincio a sorseggiare il mio mojito.
“È solo una birretta, su, non mi fa male. Avevo fame quando sono arrivato,” si scusa il mio amico mostrandomi il toast che sta mangiando e alzando le spalle con ovvietà, come a dire che con un toast non si può bere altro che birra.
“Come vuoi,” gli concedo per chiudere il discorso, tanto so che alla fine l’ha sempre vinta lui. “Vorrà dire che la prossima volta se arrivo in ritardo chiamerò Aud per farmi ordinare. O direttamente il capo McPharrell qui,” concludo dando una gomitata a David a cui per poco non va di traverso quello che sta bevendo.
“Perché non me?”, “E io?” mi chiedono in contemporanea Dee e Matt.
“Tu,” spiego indicando Delia, “mi terresti mezz’ora al telefono e tu,” continuo con Matt, “ti dimenticheresti dopo cinque minuti tutto quello che ti ho detto.”
Con questa mia battuta si scatena il putiferio, ma già lo sapevo. Almeno l’attenzione non è più su di me, dato che Dee e Matt hanno ricominciato a insultarsi a vicenda.
“Jude?” sento Josh che mi chiama e mi volto.
Quasi tutta l’attenzione non è più su di me: lui mi guarda sempre, accidenti.
“Tutto ok?” mi chiede con un sorriso accennato.
“Mmh,” mugugno annuendo con la testa e fissando un punto imprecisato del tavolo.
Cazzo, dovevo immaginarlo. Josh sa sempre quando c’è qualcosa che non va, lo capisce al volo, maledizione a lui.
“Ah,” risponde poco convinto. “Perché prima al telefono mi sei sembrata un po’ strana, giù di morale. Ho pensato fosse successo qualcosa, per questo ti ho ordinato il mojito…” spiega guardandomi per carpire informazioni dal mio viso.
Io cerco di tornare in me o perlomeno di risultare meno sospetta di prima.
“Tranquillo, nessun problema,” rispondo un po’ troppo telegraficamente: infatti Josh non sembra ancora del tutto soddisfatto del mio scialbo tentativo di bugia.
Lo anticipo io, stavolta. “Che poi l’alcol non è che risolve tutti i problemi, scemo!” lo prendo in giro cercando di sembrare spontanea. “Problemi,” sottolineo, “che io non ho.”
“Va bene,” conclude lui, e sorride di nuovo. Quando dice “va bene” con quel tono, il novantanove virgola nove percento delle volte significa che non va bene. E che tornerà all’attacco. Pazienza, ci penserò dopo, adesso devo distrarmi.
Mi giro verso Delia e Audrey e mi fingo interessata alla loro conversazione su… beh, non ha importanza l’argomento, io devo solo annuire ogni tanto. Intanto mi lascio tranquillizzare dal massaggio rilassante che Josh sta facendo con le dita sulla mia mano sinistra appoggiata sopra il tavolo.
Aspetta. Cosa?
Il massaggio che Josh mi sta…?
Appena realizzo, sposto la mano di scatto e mi alzo il più velocemente possibile.
Devo dire qualcosa, perché sei paia d’occhi insistenti e perplessi mi stanno guardando.
“Vado… vado a fare pipì,” biascico spostando la sedia e indietreggiando.
Mi giro e decido di dirigermi verso il bagno vicino alla cucina, quello per i dipendenti. David non mi dice nulla, tanto so che posso usarlo.
Non ho davvero bisogno di fare la pipì, quindi una volta arrivata in bagno apro il rubinetto e piazzo le mani sotto l’acqua che scorre. Non so neanche perché lo faccio, forse c’entra col massaggio di prima, anche se spero di no.
Cazzo. Il sogno che ho fatto ieri notte mi ha condizionato non poco, ma in fondo lo sapevo già prima. Merda.
Chiudo il rubinetto e mi asciugo le mani, dopodiché mi do un’occhiata allo specchio. Capelli castani alle spalle mossi e un po’ spettinati, occhi marrone scuro, quasi nero, con delle leggere occhiaie, trucco quasi inesistente se non un filo di mascara, ed espressione da cane bastonato. Non ho un bell’aspetto, ma qualcuno avrei potuto ingannarlo. Non lui però.
Esco dal bagno sapendo già che fare: vado in cucina, prendo delle chiavi appese a un chiodo e apro la porta in fondo alla stanza.
Da qui si esce dall’edificio, ma c’è la parte più bella di questo posto: un piccolo giardino tranquillo e abbastanza spoglio che io adoro. È davvero minuscolo e oltretutto non è nemmeno curato ma, pur essendo in città, da qui si vedono le stelle meglio. Almeno io voglio pensarlo, quindi le vedo.
Mi siedo sul gradino dell’uscio e alzo la testa verso il cielo, strofinandomi con le mani le braccia coperte solo da una maglietta leggera. Ho lasciato la giacca dentro e a fine settembre la fresca arietta autunnale comincia a farsi sentire.
Vorrei non pensarci ma mi è impossibile.
Cazzo.
Sono innamorata del mio migliore amico.









Allora... Eccomi qua!
Questa è la primissima storia che pubblico, quindi vi domando per cortesia di farmi sapere cosa ne pensate, anche se il primo capitolo vi ha fatto decisamente schifo. Sul serio, vorrei saperlo.
Detto ciò, vi anticipo con gioia che non vi tedierò a lungo: Of all the people in the world è una storia senza pretese, che ho cominciato a scrivere per caso dopo aver sognato l'incipit. So che detta così sembro pazza - e lo sono - ma l'ho proprio sognata, che vi devo dire. Quindi non andrà avanti per più di setto o otto capitoli non troppo lunghi e non troppo impegnativi, che tra l'altro ho già quasi concluso.
Il titolo è tratto da una canzone; se qualcuno di voi la conosce, bene, sennò tutto sarà spiegato più avanti.
Se avete dubbi, critiche, complimenti, commenti di ogni tipo, sono qui apposta per leggerli... Attendo riscontri e grazie per l'attenzione!
A presto.




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Capitolo 2
*** Josh e il suo dannato intuito ***


2. Josh e il suo dannato intuito



Josh ed io ci conosciamo da quand’eravamo alti meno di un metro. Le nostre mamme diventarono amiche seguendo assieme un corso di cucina mediorientale, alla fine del quale organizzarono una cena per far conoscere le rispettive famiglie e dare prova di ciò che avevano appena imparato.
Io e Josh ci vedemmo la prima volta lì, all’età di quattro anni: lui con quei capelli mori, mossi e scompigliati, gli occhi blu e l’aria da finto timido, io con un appariscente vestito a righe blu e gialle, e lo sguardo nero poco socievole. Mia madre, Greta, e la sua, Christine, ci presentarono e ci lasciarono a giocare assieme. Dopo qualche titubanza, sparimmo nel cortile posteriore della casa di Josh e quando tornammo eravamo ricoperti di fango fino ai capelli e molto soddisfatti.
Da quel giorno continuammo a vederci abbastanza spesso, con le nostre famiglie o al parco giochi vicino a casa di entrambi, e inventammo un sacco di nuovi modi per divertirci. Perlopiù prediligevamo i giochi alla fine dei quali eravamo sporchi e stanchi morti, pronti a tornare a casa per farci sgridare di santa ragione dalle nostre povere mamme.
Con l’inizio della pubertà ci allontanammo: alle medie non frequentavamo la stessa scuola e le nostre famiglie avevano avuto un piccolo litigio per motivi che compresi solo più avanti. Inoltre, Josh si era realmente instupidito, come tutti i ragazzini di dodici anni, mentre io cominciavo ad avere un po’ più di cervello e a responsabilizzarmi, come alcune ragazze a quell’età.
Ricordo di averlo davvero odiato per un po’. Lui girava con un gruppo di amici zucconi e ormonati che comunicavano emettendo più che altro grugniti e parolacce, io mi ero facilmente trovata una nuova migliore amica, Sadie. A lei piaceva Josh, anzi, aveva una vera e propria cotta per il mio amico e arrossiva fin sopra le orecchie ogni volta che lo vedevamo per strada. Io, invece, lo trovavo un vero idiota: ricordavo il bambino simpatico e sveglio con cui andavo sulle altalene, e mi sembrava che il nuovo lui non avesse niente a che fare con quello vecchio e divertente.
Eravamo giunti al punto che, se ci incontravamo per strada, lui, con i suoi amici, mi prendeva in giro, e io lo insultavo neanche tanto di nascosto. Per fortuna, causa litigio tra famiglie appunto, non eravamo più costretti a passare del tempo assieme.
Dopo questi tre o quattro anni di odio profondo ci ritrovammo, a quattordici anni, nello stesso liceo pubblico, per la precisione vicini di armadietto. Quando lo scoprimmo ci guardammo inorriditi ed esclamammo all’unisono un “NO!” esasperato, per poi decidere di comune accordo che avremmo finto di non conoscerci e che saremmo rimasti il più distante possibile l’uno dall’altra per evitare di scannarci.
Quel giorno, il primo di liceo, ero già triste e sconsolata perché Sadie si era trasferita a Manchester e potevamo sentirci solo via mail o via posta, quindi rivedere anche Josh fu un brutto colpo. Fortunatamente conobbi subito Audrey e nelle due o tre settimane successive parlando con lei insultai Josh in tutte le lingue del mondo e in tutti i modi possibili.
Ad un certo punto accadde l’inimmaginabile. Un giorno, tornando da scuola a piedi, vidi la zazzera scura di Josh in lontananza: era seduto sull’altalena di un parco giochi che si trova circa a metà strada tra le nostre due case, un posto dove ci incontravamo abitualmente anni prima per giocare. Sembrava piuttosto giù di tono.
La mia prima reazione fu quella di pensare un accorato “ben gli sta!”, per poi sentirmi subito in colpa. Superandolo a testa bassa, allora, mi giustificai con me stessa pensando che non erano affari miei, che io e Josh non ci parlavamo civilmente da anni, che eravamo incompatibili, che non potevo farci nulla. Ma, tutto sommato, sono una persona dal cuore generoso – o forse solo una pazza suicida? – quindi, spinta dai morsi della mia coscienza autolesionista, dovetti tornare indietro e sedermi sull’altalena di fianco alla sua.
Me lo ricordo ancora come se fosse ieri. Mi sedetti lì pronunciando un saluto appena accennato a cui lui rispose in egual maniera, e poi non dissi più niente: non una domanda, una forzatura, un tentativo di rimembrare i bei vecchi tempi, un insulto per ricordargli il nostro odio, nemmeno uno sguardo di sbieco, niente. Rimanemmo entrambi in silenzio per almeno venti minuti, a dondolarci piano e ad ascoltare il cigolio triste delle altalene, finché Josh non tirò faticosamente su col naso e parlò.
“I miei si stanno separando, mio padre va a vivere con un’altra donna,” disse.
Non risposi, non sapevo cosa dire, così lui aggiunse: “non ho voglia di tornare a casa, adesso”, e io gli dissi semplicemente che non doveva farlo per forza, che potevamo stare lì a parlare un po’ oppure andare a prendere un gelato e passeggiare. Josh sorrise debolmente e mi ringraziò, dopodiché passammo tutto il pomeriggio assieme, come un tempo. Scoprii che anche lui si sentiva piuttosto solo, molto più di me in realtà: non aveva più amici perché con quelli di prima non si trovava per niente bene, i suoi genitori non lo badavano e suo fratello maggiore era scappato dall’altra parte del paese per evitarsi quella brutta situazione.
Non mi ha mai chiesto scusa per il suo comportamento negli anni precedenti e io non l’ho fatto con lui, ma sapevamo da subito che non sarebbe stato necessario: le persone cambiano e a volte si allontanano definitivamente, ma noi capimmo che avevamo ancora tempo e voglia di stare vicini.
Da quel punto in poi, ci volle davvero poco per divenire migliori amici: ci confidavamo, andavamo al cinema, ci spalleggiavamo di fronte alle difficoltà, ci capivamo al volo senza bisogno di parole, ridevamo per ore e ore per motivi stupidissimi, litigavamo e tornavamo subito a cercarci, troppo orgogliosi per domandare scusa ma troppo deboli per restare a lungo separati l’uno dall’altra.
Eh sì, non è mai stato un rapporto semplice e tranquillo il nostro, ma piuttosto combattuto e complicato, soprattutto i primi tempi del riavvicinamento, ma anche durante gli anni successivi. Spesso lo odiavo solo per il fatto che mi pareva stesse sempre lì a studiarmi, a giudicare i miei comportamenti, finché non capii che lo faceva, e lo fa tutt’ora, semplicemente perché mi vuole bene ed è il suo modo di dimostrarmelo: morbosamente forse, ma con un affetto più che sincero. Litigavamo in continuazione – capita spesso anche oggi, in realtà – per le nostre divergenze d’opinione su ogni argomento esistente, tranne quelli veramente importanti, sui quali in genere ci troviamo d’accordo: non parlo di discussioni veloci e indolori, parlo di guerre mondiali in piena regola che potevano anche finire con insulti e urla.
Una buona parte delle persone del nostro liceo era convinta che fossimo troppo vicini per non essere cotti a vicenda dell’altro: credevano tutti che presto avremmo coronato il nostro amore iniziando una relazione felice, ma era solo strano per loro vedere un ragazzo e una ragazza così amici, così complici, senza confusioni sentimentali. Eravamo così.
Ancora adesso Josh è l’unica persona che riesce a capire il mio stato d’animo con uno sguardo o una telefonata. Non ci vediamo più tutti i giorni, perché frequentiamo due università diverse, ma stiamo insieme quasi ogni fine settimana e ogni tanto lui prende la macchina e passa a trovarmi al mio campus.
Non avrei mai dovuto innamorarmi di lui, perché è il mio migliore amico. Lo so bene. Eppure, è difficile.
Josh è alto, moro, coi capelli mossi sempre spettinati, e ha degli occhi blu stupendi. È divertente, testardo, orgoglioso, disordinato, incostante con le donne, bello, ironico, perspicace, dolce, appiccicoso, attivo, disorganizzato, puntualissimo, geloso, fedele e premuroso.
È un agglomerato di contraddizioni. È sempre pronto a scherzare, anche con il fuoco a volte, ma sa essere serissimo nelle situazioni che lo richiedono. Frequenta un sacco di gente ed è corteggiato da una lunga serie di ragazze, ma poche di queste persone lo conoscono realmente. È schietto con chi ama, negligente con il resto del mondo. È estremamente intuitivo con gli altri, ma poco attento a ciò che capita a lui.
Potrei andare avanti all’infinito a descriverlo.
È il mio migliore amico.
Non voglio perdere una delle cose più belle della mia vita.
Ho sentito per la prima volta che qualcosa non quadrava tre mesi fa, quando Nick, con cui stavo da qualche settimana, mi ha lasciata per un’altra e Josh è corso a consolarmi. Non lo vedevo da quindici giorni e, quando ho aperto la porta e lui mi si è fiondato addosso abbracciandomi, ho pensato tra me e me che perdere un coglione per rivedere il mio migliore amico era uno scambio più che vantaggioso. Mi ha sussurrato “Batuffolo, mi dispiace”, chiamandomi col soprannome che mi ha appioppato per via dei miei capelli, e io ho sentito più di un brivido percorrere la mia schiena. Lui ha pensato che avessi freddo e mi ha stretto ancora di più. Risultato: ho passato i giorni successivi a domandarmi che cavolo fosse successo per poi liquidare il tutto spiegandolo con un mio bisogno d’affetto.
Ci sono stati altri episodi del genere in queste ultime settimane ed io da brava scema ho sempre fatto finta di nulla. Finché non sono scoppiata.
L’altra notte ho sognato che io e Josh stavamo assieme. Nel sogno era come se fosse normale: eravamo in spiaggia a ridere e scherzare con i nostri amici, a un certo punto lui si chinava su di me e mi baciava, bello come non mai. Assurdo. Mi sono svegliata con una mano sulla bocca e gli occhi lucidi.
Il sogno mi ha portato a dover ammettere una cosa impensabile: sono innamorata del mio migliore amico ed è troppo tardi per tornare indietro. Rivederlo stasera non ha fatto altro che confermare ciò che pensavo.

Sto ancora guardando le stelle, persa nei miei pensieri malinconici, quando sento qualcosa che mi si appoggia sulle spalle.
“Ah sei tu. Mi hai fatto prendere un colpo,” dico guardando Josh che si siede accanto a me.
“Ho pensato avessi freddo,” risponde e mi accorgo che mi ha portato la giacca.
Me la infilo. “Grazie.”
Scrolla le spalle e mi osserva, così sono costretta a puntare nuovamente lo sguardo al cielo.
Sento comunque i suoi occhi fissi su di me, preoccupati e confusi, ma non gli chiederò né come faceva a sapere dov’ero né perché è venuto a cercarmi. Conosco già entrambe le risposte.
“Free,” mi chiama abbreviando il mio cognome, Freeland, “che hai?”
“Niente,” rispondo di nuovo troppo in fretta.
Sbuffa e prende a carezzarmi i capelli. “Dai, dimmelo.”
So che così continueremo ad oltranza, perché lui non si arrenderà facilmente. Ma non posso dirgli la verità.
“Sono un po’ giù,” mormoro incassando la testa fra le ginocchia.
Che schifo, mi sento una lagna. Volevo che smettesse di toccarmi i capelli, mi stava destabilizzando, e almeno ci sono riuscita.

“Perché?”
“Boh.”
“Quando sei triste tu hai sempre un motivo,” ribatte lui, pragmatico e saccente, “anche se è solo un po’ di mal di testa.”
“Ho le mestruazioni…” invento in fretta sperando di ingannarlo.
Ride. “È impossibile, le avevi anche due settimane fa.”
Sbarro gli occhi, colpita. E lui come fa a ricordarselo?
“Che fai adesso, mi controlli il ciclo?” gli chiedo stupita voltandomi di nuovo verso di lui.
Alza le spalle, sorridendo e facendomi perdere un battito. Diamine, ho sbagliato a guardarlo. Ora sono presa da una sorta di incapacità a parlare decisamente non normale, per fortuna ci pensa lui a rompere il silenzio.
“Sapevo avresti inventato questa scusa, sei banale!” mi insulta allegramente.
“Banale?”
“Mh-mh,” annuisce con la testa il bastardo.
“Io?”
“Proprio tu.”
Sapessi la verità, Josh… Altro che banale.
“Bene,” scandisco fingendomi più offesa del reale. “Bene. Ne terrò conto, Parker. Ne terrò conto quando dovrò banalmente scrivere il mio testamento.”
“Ecco, vedi?” continua lui con aria saputa. “Sapevo anche che avresti avuto questa reazione da permalosetta. Sei banale!”
Stiamo scherzando entrambi, lo so, ma mi si stringe leggermente il cuore a pensare che Josh riesce sul serio a prevedere le mie risposte e le mie reazioni, come se fosse nato per capirmi e leggermi le emozioni dagli occhi.
Torno seria e lo guardo di nuovo, pur sapendo che non mi farà bene.
“Non sono banale, idiota. È che mi conosci. Sai bene che se ci fosse qualcosa di grave te l’avrei già detto.”
Cavoli, sono stritolata dai sensi di colpa a dovergli mentire guardandolo in faccia, ma non ho altra scelta.
Stringe un po’ gli occhi – non lo fa apposta, è la sua espressione quando sta ponderando una proposta o sta, come in questo caso, cercando di capire se sono sincera – fissandomi a lungo come per leggere qualcosa dalla mia espressione. So di essere come un libro aperto per lui, ma non devo cedere o abbassare lo sguardo perché equivarrebbe ad ammettere che gli sto nascondendo qualcosa. Alla fine, come previsto, l’immensa fiducia che ripone in me ha la meglio e decide di credermi sulla parola: lo capisco quando sorride di nuovo e mi dà un buffetto sulla guancia.
“Ok, scema.”
L’ho scampata bella stavolta. Mi alzo proponendo di tornare dagli altri per concludere la serata e Josh mi segue. Mi sembra che farfugli qualcosa come “asociale” e “lunatica”, così quando stiamo per rientrare gli do un bello spintone, e se lo merita tutto: mi ha già insultato abbastanza per oggi!
Lui reagisce ridendo, mi prende per un braccio e mi tira a sé, immobilizzandomi, per poi pizzicarmi il fianco, gesto che mi fa squittire e saltare, dandogli per sbaglio una testata sul mento.
Josh mi lascia e si porta una mano sul viso, imprecando. “Ahia!”
Gli sposto la mano con la mia per vedere cosa ho combinato. “Ti ho fatto male?”
“Insomma…”
“Beh, te la sei cercata! Sai come reagisco, quello è il mio punto debole per il solletico!” gli ricordo, imbronciandomi.
Lui fa una smorfia. “Tenti di uccidermi e poi dai la colpa a me, tipico.”
Ci guardiamo in cagnesco per qualche secondo, dopodiché scoppiamo entrambi a ridere, complici. Senza che io mi accorga di ciò che sta per fare, Josh mi si avvicina e mi dà un bacio sulla tempia, al quale le mie viscere reagiscono con una decisa capriola, infine si gira e torna verso la porta della cucina.
È riuscito a farmi tornare il buonumore in un paio di minuti. Ma come fa? Un po’ lo odio per questo, per come sa prendermi, per come riesce a capirmi.
Mi giro per chiudere a chiave la porta del giardinetto e sospiro senza farmi vedere.
Vorrei che restasse tutto esattamente così com’è. Senza le farfalle allo stomaco quando lo vedo, però.







Eccomi di nuovo.
So che in questi primi due capitoli non è successo un granché, ma mi servivano per far entrare in scena i personaggi e dare un'idea degli equilibri esistenti tra loro. Quindi mi scuso e prometto che già dal prossimo capitolo ci sarà molta più azione. Anche perché, l'ho già detto, la storia non arriverà ai dieci capitoli, perciò comincerà presto a entrare nel vivo.
Poi, sono perfettamente cosciente che la trama che si sta delineando è banale, trita e ritrita, e probabilmente potrete già indovinarne gli sviluppi, ma è una storia che ho scritto per puro divertimento, per intrattenermi e fare un po' di esercizio sullo stile, giocando sui cliché che troviamo sempre nei teen drama americani. Quindi mi farebbe comunque piacere leggere qualche commento - anche negativo - a questo mio lavoro.
Non vi tedio oltre, se mi verrà in mente altro lo dirò la prossima volta, cioè presumibilmente di nuovo fra tre giorni.
Grazie e a presto!


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Capitolo 3
*** Bugie e istinto ***


3. Bugie e istinto



È di nuovo venerdì e stavolta vorrei essere puntuale. Non per altro, ma oggi è l’ultimo venerdì sera che noi poveri pazzi passeremo “in intimità”, solo noi una dozzina di tavoli vuoti: dalla settimana prossima il Marie’s diventerà anche un frequentatissimo, spero, locale notturno gestito dal nostro Dave.
Questo momento topico nella vita del nostro gruppo mi ha portata a riflettere su una cosa: sembra proprio che si stia chiudendo un ciclo. Già avevo avuto quest’impressione alla fine del liceo: avevamo paura di perderci di vista, di vederci meno e di non essere quindi in grado di mantenere quei rapporti che a scuola ci sembravano così indissolubili. Anche per questo, poi, abbiamo trovato la soluzione del Marie’s: sono più di due anni che (quasi) tutti i santissimi venerdì sera ci troviamo lì e parliamo, discutiamo, spettegoliamo, litighiamo, chiacchieriamo, ci scambiamo consigli di vita e cose varie… È servito a tenerci uniti, in fondo. Dopo l’apertura del Marie at night sarà più difficile trovare un posto tranquillo dove cazzeggiare allegramente tutti insieme.
Mi sono anche chiesta se non possa essere un segno: ho pensato che potrebbe essere un modo per allontanarmi dai miei amici… Insomma, da Josh. Sarebbe l’occasione per vederlo di meno, cercare di ragionare, disinnamorarmi di lui ed evitare così di frantumare la nostra amicizia, ho pensato.
Ma poi sono rinsavita e mi sono data della deficiente: come ho fatto a considerare una stronzata simile? Facendo una scelta del genere non solo frantumerei lo stesso la nostra amicizia, allontanandomi, ma probabilmente perderei anche Aud, Dee, Matt e Dave. In realtà non voglio separarmi da loro – tantomeno da lui – e so che nonostante l’apertura del locale troveremo altri tempi e luoghi e spazi per continuare a trovarci tutti assieme.
La verità su Josh, poi, è che, per quanto ci rifletta, non esiste un modo per risolvere la situazione che non comprenda nel prezzo la fine della nostra amicizia. Se mi allontano da lui per tentare di dimenticarlo lo perdo, se gli dico quello che provo è assai probabile che si allontani lui da me e che lo perda uguale. Sono fregata, insomma: tanto vale prenderla con filosofia.
In ogni caso, meglio cercare di stare il meno possibile da sola con Josh, sarebbe deleterio per la mia già labile salute mentale. Perciò gli ho detto che anche stasera arriverò all’appuntamento in bus perché forse potrei essere un po’ in ritardo: scusa falsa come una banconota da venti centesimi, visto che ho passato tutto il pomeriggio a casa a far nulla e sono pronta in jeans, maglietta e sciarpa leggera colorata con ampio anticipo, avvenimento che per chi mi conosce ha del miracoloso. Tanto so già che vorrà portarmi a casa lui, cosa peraltro sensata visto che abitiamo abbastanza vicini. Ed è meglio evitare più di un tragitto in macchina da soli stasera, visto il disastroso viaggio di ritorno di venerdì scorso, con momento clou in cui Josh, davanti a casa mia, ha tentato di avvicinarsi alla sottoscritta per salutarla, come fa sempre, con un bacio sulla guancia e la sottoscritta, da brava idiota, si è allontanata di scatto ed è uscita dall’auto come se l’avesse morsa un serpente velenoso. Furba, eh?
Guardo l’ora: le nove e dieci. Il bus che dovrebbe portarmi al locale intorno alle e mezza passa alla fermata qui fuori tra un minuto circa, meglio muoversi. Prendo il mio maglione di lana blu lungo fin sopra le ginocchia che uso come giacca autunnale, lo infilo e allaccio due bottoni sul davanti mentre esco di casa e prego una qualsiasi entità astratta di far filare tutto liscio stasera. Io ho le migliori intenzioni, ma stamane mi sono svegliata con un brutto presentimento. Speriamo bene…

Scendo dal bus alle nove e ventisette: incredibile, ho addirittura tre minuti di anticipo! Attraverso la strada ed entro dall’ingresso principale. Sono sicuramente la prima ad arrivare perché dentro, sull’altro lato della stanza, c’è solo David che ordina le bottiglie sugli scaffali.
“McPharrell, fai le pulizie?” lo saluto con un sorriso.
Dave si volta e mi guarda stranito, dopodiché dà un’occhiata al suo orologio da polso.
“Jude, in anticipo?”
Chissà perché, mi sembra stupito. Ah no, lo so il perché: io sono sempre in ritardo.
“Ah sì?” chiedo, fingendomi perplessa. “Non sono le dieci e mezza? Pensavo fosse quasi tardi, io…”
David intanto gira intorno al bancone e viene a salutarmi con un abbraccio leggero, tipico di lui, che è una persona piuttosto affettuosa.
“Tutto bene?” domanda schioccandomi un bacio sulla guancia.
Credo che si riferisca al mio umore della settimana scorsa, ma forse sono solo io che penso sempre il peggio. Magari è solo una domanda generica.
“Direi di sì,” rispondo cercando di risultare serena anche in volto. “Tu? Pronto per la grande apertura?”
“Mmh, più o meno. Se non saltano fuori problemi dell’ultimo minuto.”
“Vedrai che andrà tutto bene. Sei emozionato?” chiedo sedendomi ad un tavolo mentre Dave torna dietro al bancone del bar.
“Sono un po’ agitato più che altro. Poi non devo mica sposarmi!” esclama ridendo.
“Chi si sposa?” ci interrompe una voce dalla soglia.
Ovviamente è Josh, puntuale all’inverosimile come sempre.
“Io no.” David è più veloce di me a rispondere, d’altronde io sembro congelata.
“Immaginavo, Don Giovanni. A proposito, ciao.”
“Ciao,” stavolta sono io a parlare, seppur con voce flebile.
Josh, che aveva appena fatto un paio di passi dentro il locale, si gira verso di me e mi nota per la prima volta. Alza appena le sopracciglia.
“Jude,” dice soltanto.
So che c’è più di una domanda nascosta dietro la sua espressione a me tanto familiare. Sono un’idiota: ho rifiutato il suo passaggio dicendogli che li avrei raggiunti perché avevo delle cose da sbrigare, e mi sono dimenticata di arrivare in ritardo… Si può essere più cretini?
Josh apre di nuovo la bocca, come per dire qualcosa. Tutto però viene interrotto, o forse solo rimandato, dall’entrata in scena di Matt, Delia e Audrey che probabilmente sono arrivati con un’auto sola.
Sento solo Matt che dice: “Non insistere, Gray, non ti farò mai guidare la mia macchina neanche sotto tortura,” poi si fermano tutti e tre dietro a Josh, ancora bloccato a pochi passi dalla soglia.
“Scusi buonuomo,” lo apostrofa Dee facendo scoppiare a ridere tutti, “sta creando un ingorgo qua dietro. Crede di riuscire a muoversi o ha bisogno di una spinta?”
A questo punto la situazione si smuove e cominciamo a salutarci a vicenda. Domando a Audrey se verrà anche Phil e lei risponde di no perché stasera “dobbiamo esserci solo noi”.
Evito invece accuratamente di avvicinarmi a Josh ma, purtroppo, quando ci sediamo capito di nuovo giusto di fronte a lui. Credo l’abbia fatto apposta, il maledetto, anche se ora finge indifferenza e parla tranquillo con Matt che è seduto accanto a lui.
Dannazione, prima o poi dovrò affrontarlo pure stasera.

La serata sta scivolando più o meno liscia, se non fosse per un piccolo insignificante particolare. Josh, ovvero quello che dovrebbe essere il mio cosiddetto migliore amico, sta tentando in ogni modo di boicottare le mie buone intenzioni e di farmi scoppiare.
All’inizio mi ignorava bellamente, cosa che già mi aveva fatto sospettare alquanto riguardo a ciò che gli frullava per quella testolina spettinata, ma dopo il primo giro di cocktail più o meno alcolici ha cominciato a punzecchiarmi e fare battute acide nei miei confronti per vedere quanto resisto. E lui sa che non resisto alle provocazioni.
Sono abbastanza sicura del fatto che il ragazzo è arrabbiato con me, o perlomeno infastidito, perché gli ho mentito dicendogli che avevo un impegno e sarei arrivata in ritardo. Ha anche ragione, per carità, ma non capisco tutto questo accanimento nei miei confronti. Gesù, sembra un tiro al bersaglio.
Finora ho fatto finta di niente, e credo che continuerò così il più a lungo possibile.
Per il resto, come ho già detto, la serata procede. Ridiamo e portiamo a galla parecchi ricordi legati al locale vuoto: Josh che fece l’imitazione Freddie Mercury usando la scopa come asta del microfono; quando Delia si portò dietro quel tipo quarantenne che, per come parlava e si atteggiava, sembrava appena uscito da un romanzo settecentesco; Dave che organizzava le serate karaoke solo per noi e tutti che lo insultavamo anche se in realtà ci divertivamo sempre un sacco; quando la tranquilla e riservata Audrey si ubriacò e cominciò a parlare tale e quale a sua madre; quella volta che Matt mi salvò da morte sicura, perché da brava scema stavo per rompere il bicchiere da collezione preferito del padre di David, e lui lo prese al volo appena in tempo perché non si frantumasse a terra…
C’è una bella aria, perché in realtà siamo sì un po’ malinconici, ma anche tutti contenti per David e ciò che sta intraprendendo. Se solo Josh la smettesse di provocarmi…
Posso farcela a resistere, anche perché penso che tra poco andremo tutti a casa: Dave ha insistito per portarci il quarto giro di bevande, ma ormai sono quasi quattro ore che siamo qui, quindi presumibilmente dopo di questo ci saluteremo.
“Il nostro cameriere di fiducia!” esclama una Delia fin troppo entusiasta. Forse ha bevuto più del solito, ma stasera ha l’autista. Di Matt mi fido.
“Ecco qua, ragazzi,” dice Dave appoggiando i bicchieri sul tavolo e sedendosi. “A che brindiamo stavolta?”
“A David!” propone Dee.
“Di nuovo? Sarà la quattordicesima volta che proponi un brindisi per lui.” Matt è sempre piuttosto divertito quando lei è ubriaca.
“Certo, è la sua serata!” si imbroncia lei.
Noi ridiamo sotto i baffi e Josh prende la parola schiarendosi la voce.
“Brindiamo all’amicizia e alla fiducia,” parla guardandomi, e io so già che sta per arrivare il colpo basso, “perché le persone di cui ci fidiamo siano sempre sincere e trasparenti con noi.”
Tutti si guardano perplessi, solo Delia sembra entusiasta e batte le mani. Io taccio.
“Sei d’accordo, Jude?” continua Josh puntando gli occhi dritti nei miei.
“Basta.” Parlo quasi senza rendermene conto. “Ho capito che ce l’hai con me, genio, ma potresti evitare di rovinare la serata a tutti?”
Sento qualcuno che chiede “che è successo?” e mi do mentalmente della stupida, perché non dovevo darla vinta a questo cretino.
“Scusate,” dico piano mentre mi alzo e mi dirigo verso la cucina e, quindi, il cortiletto.
Non ce la faccio più a fingere.

Tempo pochi secondi e sento la porta aprirsi e chiudersi di nuovo. Sapevo che sarebbe successo, ma percepisco ugualmente una leggera stretta al cuore nel capire che siamo ancora una volta soli. Non lo vedo perché sono in piedi spalle alla porta, ma so che è lì e che stavolta non è venuto per portarmi la giacca.
“Si può sapere che diavolo ti succede?” domanda subito Josh con un tono a metà tra l’aggressivo e il seriamente preoccupato.
“A me?” Lo attacco subito e, pur sentendo gli occhi cominciare a farsi lucidi, inghiottisco le lacrime, mi volto e me lo trovo di fronte. “Si può sapere invece che succede a te? È tutta la sera che mi dai contro.”
“Non fare questo giochetto con me,” ringhia lui assottigliando gli occhi e puntandomi l’indice sulla spalla. “Sai benissimo perché mi comporto così. Fra l’altro se tu avessi avuto un buon motivo per giustificare la balla che mi hai raccontato oggi pomeriggio me l’avresti già detto. Invece mi eviti.”
Ecco cos’ho sbagliato, dovevo inventarmi una scusa per il mancato ritardo, e tanti saluti! Sposto la sua mano dalla mia spalla.
“Non… non era una balla. Pensavo di fare tardi, in realtà le cose sono andate in maniera diversa.”
Josh sbuffa sonoramente. “Jude, smettila. Cos’hai?”
Riesco davvero a leggere sincera preoccupazione nei suoi occhi, eppure continua ad attaccarmi: è evidente che l’ho portato al limite, accidenti.
“Niente,” mormoro distogliendo lo sguardo. Errore.
“Niente? Niente?” Ora è, se possibile, ancora più infuriato. “Credi di prendermi in giro? Jude, mi stai evitando!”
“Non ti evito,” cerco di negare l’evidenza, “stasera ho solo chiacchierato di più con gli altri, io…”
Josh mi interrompe subito. “Non parlo di stasera, lo sai. Sono giorni che mi eviti.” Tace e mi guarda di nuovo.
“Non… No, cioè…” tentenno, sono spalle al muro.
“Sabato, lunedì e martedì ti ho chiamato al cellulare e non hai risposto né richiamato. Mercoledì finalmente ci siamo sentiti ma quando ti ho proposto di venire da te per mangiare qualcosa assieme hai detto che non avevi tempo e che dovevi studiare.”
Cerco di inserirmi con un flebile “avevo un libro da…” ma Josh è partito in quarta e non ha alcuna intenzione di fermarsi.
“Quindi non ci siamo visti né lo scorso weekend né durante la settimana, e va bene. Va bene, può capitare. Però ultimamente quando mi avvicino scappi, ti allontani o sei fredda. Non vuoi che ti tocchi, non vuoi restare sola con me, eviti di parlarmi anche quando siamo in gruppo e se lo fai dici due monosillabi di numero. Oggi questa scusa del ritardo – come se tu non fossi sempre in ritardo poi! – per non venire in auto con me. Posso sapere cosa ti ho fatto per meritare tutto ciò?”
Cavolo, che analisi dettagliata. Ho appena avuto un flash di come potrebbe essere stare insieme a lui: ha parlato esattamente come un fidanzato preoccupato, dio santissimo. Non mi ero mai accorta che il nostro rapporto fosse così… così.
“Niente,” rispondo piano con gli occhi a terra.
Sospira forte. “Non dire niente, Jude, mi dà sui nervi.”
Silenzio. Pesantissimo silenzio.
“Le ho pensate tutte.” È nuovamente Josh a parlare, io resto immobile. “Ma non riesco proprio a venirne a capo. L’unica cosa che posso pensare è che ho fatto qualcosa di sbagliato ma, ti giuro, non mi pare di essermi comportato male ultimamente. Aiutami a capire, cazzo.”
Rialzo lo sguardo su di lui, ora sembra solo triste. E lo so che si merita una risposta, lo so.
“Non hai fatto niente, Parker, non è colpa tua. Sono io che ho un periodo un po’…”
“Ma per favore! Ti ho guardato, con gli altri non fai così. Basta scuse.”
“Non puoi decidere tu quando dico scuse e quando sono sincera!”
Non riesco a fare a meno di stare sulla difensiva, perché non voglio che capisca qualcosa di ciò che ho dentro. Questo però, è evidente, lo fa arrabbiare ancora di più.
“No, non lo decido io, però io lo capisco.” Ha alzato un po’ la voce, infatti.
“Bene. Un applauso a Joshua Ernest Parker, colui che capisce sempre tutto!” rispondo con tono pesantemente ironico e battendo le mani. “Contento adesso? Possiamo andare tutti a casa?”
No, non sto esagerando. Che cavolo vuole, la dichiarazione settimanale scritta di tutto ciò che provo e penso? O vuole solo che gli dica grazie perché mi rompe le palle per capire come mai sono strana? Beh, non glielo dirò, che cominci a farsene una ragione.
I suoi occhi blu mandano scintille. “Cazzo Jude, voglio aiutarti, ecco cosa voglio!”
Sembra avermi letto nel pensiero, il ragazzo.
“Non mi pare tu lo stia facendo, così.”
“Se magari tu mi dicessi cos’hai…”
“Se magari tu non fossi così… pedante e appiccicoso…” ribatto senza pensare.
Accusa il colpo e i suoi occhi sembrano farsi più scuri e torbidi. Tristi.
“Sono il tuo migliore amico,” risponde, mentre la sua voce si abbassa di parecchio, sia nel volume sia nell’intensità.
“Allora non farmi domande stupide,” concludo fingendomi fredda mentre in realtà mi sento come se mi avessero appena tirato un pugno nello stomaco.
Mi giro e poggio la mano sulla maniglia della porta, quando sento che Josh batte un piede per terra, come un bambino che fa i capricci.
“Cazzo,” ripete per l’ennesima volta nella serata a voce piuttosto alta, “posso almeno sapere che cazzo ti ho fatto di male?”
Adesso basta, è maledettamente testardo. Perché vuole ad ogni costo questa dannata risposta che farebbe male a entrambi?
Adesso basta.

Merda merda merda. Perché l’ho fatto? Merda.
L’ho baciato, cavolo.
Mi sono girata, l’ho visto lì di fronte a me, con gli occhi blu tristi e preoccupati e infuriati e bellissimi. Il mio cervello deve aver avuto un blackout momentaneo: tempo di fare due passi avanti, alzarmi sulle punte dei piedi, posargli una mano sulla nuca, e avevo le labbra attaccate a quelle di lui. È durato tutto pochissimi istanti, mi sono accorta di quello che stavo facendo quando i fuochi d’artificio – nella mia testa, presumo – si sono affievoliti giusto per consentirmi di sentire la sua bocca che cominciava a muoversi sopra la mia, a quel punto mi sono staccata e allontanata di almeno due metri e mezzo.
Riapro gli occhi – ma quando li avevo chiusi? – e Josh è lì davanti, più sconvolto di me.
“E questo?” sussurra.
Non riesco a respirare, però credo di essere ancora dotata di movimento quindi è meglio che mi sposti da qui. Senza dire niente mi giro, apro la porta e rientro in cucina.
“Jude, si può sapere cos’era?” La voce di Josh mi raggiunge caparbia mentre tento di scappare.
“Secondo te?” dico senza fermarmi e senza riuscire a evitare il mio solito sarcasmo.
“Fermati!” mi intima lui, e due secondi dopo mi prende il braccio.
Lo scrollo via con uno strattone. “Non toccarmi.”
La mia voce risulta più stridula di quanto vorrei, quindi sospiro e parlo più piano. “Lascia perdere, è meglio.”
“Lasciar perdere cosa?”
Me,” concludo voltandomi di nuovo e dirigendomi dove dovrebbero esserci tutti gli altri.
In sala, invece, non c’è nessuno, salvo Dave che finisce di mettere via le ultime cose.
“Ah, eccovi qua!” mi accoglie sorridente, ma cambia subito espressione vedendo la mia faccia: devo fare davvero paura. “Ma che cosa…?” comincia di nuovo David.
“JUDE!” sento Josh che mi chiama alle mie spalle, quindi mi dirigo verso la porta a grandi falcate.
“Dave, mi daresti uno strappo fino a casa?” chiedo pragmatica per non rimanere a piedi.
“Sì, certo,” risponde perplesso, “ma si può sapere che…”
Lo interrompo di nuovo. “Perfetto, ti aspetto davanti alla moto, l’ho vista qua fuori,” dico velocemente uscendo e chiudendomi la porta alle spalle.

David mi raggiunge alla sua moto poco più di cinque minuti dopo la mia uscita di scena: non so se nel frattempo ha parlato con Josh o meno, so solo che ho avuto in questi cinque minuti il cervello completamente in pappa, incapace cioè di formulare un pensiero compiuto. Avevo solo paura che Josh mi raggiungesse anche qui, ma evidentemente Dave deve averlo fatto desistere.
“Ehi,” dice timidamente il mio amico mentre si avvicina.
“Grazie per il passaggio,” sospiro, “so che ti allunga la strada di parecchio, scusa.”
“Figurati,” risponde. Sembra stranamente indeciso sul da farsi, non è da lui. “Non ti va di parlarne ora, immagino.”
“Immagini bene,” taglio corto, ma sono troppo curiosa per non chiederglielo… “Lui ti ha detto qualcosa?”
“Josh? No, solo che avete più o meno litigato.”
Abbasso la testa, adesso sono io a non sapere che dire, quindi continua Dave.
“Senti, non ti chiederò niente ora, però sembra una cosa piuttosto grave stavolta. Sai dove trovarmi se vuoi fare due chiacchiere, io ti ascolto volentieri. E soprattutto, risolvete la cosa, qualunque essa sia. Ok?”
Annuisco, anche se ora come ora piuttosto che risolvere la cosa preferirei finire in un girone infernale. Sempre che non ci sia già: quello per chi si innamora del proprio migliore amico.
“Non ho due caschi, usa tu il mio,” dice David porgendomelo e salendo sulla moto.
“Grazie,” ripeto di nuovo mettendomi dietro di lui mentre mi infilo il casco.
Poi partiamo e, stretta al mio amico, sento solo il rumore della moto e il freddo.
Tutto ciò che riesco a pensare è che vorrei scappare al Polo Sud o in Nuova Zelanda, o in un altro posto dove sarei introvabile, insomma. E anche che probabilmente – purtroppo e per fortuna – non saprò mai se Josh ha mosso le labbra sulle mie per staccarsi, parlare, allontanarmi con un morso, o se l’ha fatto per rispondere a quel mio timido abbozzo di bacio.









Eccovi il terzo capitolo, come promesso, dopo tre giorni, e, sempre come promesso, inizia un po' di azione...
Ditemi cosa ve ne pare, io l'ho pensato così dall'inizio, ma ora non mi convince del tutto tutto tutto.
Rispondo qui alle recensioni.

chica KM: La tua è stata la prima recensione, quindi grazie! Se devo proprio essere sincera, io sono affezionata a tutti questi personaggi - e grazie, sono miei: li ho fatti nascere e crescere! - però Delia piace in particolare anche a me: è molto diversa da me, ma è un elemento particolare e fondamentale nelle dinamiche del gruppo... E per fortuna c'è, sennò sai che noia! ;)

Hylis: Il più bel complimento che potessi farmi era sulla caratterizzazione dei personaggi, quindi davvero grazie di cuore. Ci tenevo tanto, perché, come ho detto e come hai notato anche tu, per il resto la storia è già vista e poco originale. Avevo paura che i primi capitoli risultassero un po' noiosetti e poco chiari, con tutta quella parte descrittiva, spero non sia così. Per quanto riguarda la tua situazione... ehm... Non so che dire perché non la conosco personalmente, però se dici che il mio modo di descriverla è credibile mi rincuori... Trovi che Jude sia troppo complessata?

Bene, ho finito. Vi aspetto per il prossimo capitolo tra qualche giorno.
Un abbraccio.

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Capitolo 4
*** Il maglione blu e il secondo motivo ***


4. Il maglione blu e il secondo motivo



È sabato sera e io sono a casa, in pigiama. A farmi compagnia c’è solo il mio gatto, Gandhi – il nome l’ho scelto io, sì, e non lo trovo affatto esagerato – e il plaid nel quale sono avvolta quasi stabilmente da stamattina. I miei sono andati al cinema e mio fratello Kerr vive con la sua ragazza da qualche mese.
Ho passato una giornata di merda. È sabato, sono libera, dovrei divertirmi come ogni ventenne che si rispetti, invece non ho nemmeno avuto il coraggio di accendere il cellulare. Sono una codarda, lo so. I miei genitori hanno più vita sociale di me, e probabilmente, se continuo così, tra un paio di mesi avrò azzerato il numero dei miei amici. Che sono splendidi, invece, e si preoccupano per me.
Oggi pomeriggio, ad esempio, è passata a trovarmi Aud: abbiamo parlato un po’ del tempo e di altre stupidaggini, ma non è riuscita a scucirmi nulla su ieri sera, perciò dopo un’oretta è dovuta andarsene lanciandomi sguardi assai preoccupati.
Mi ha anche chiamato Delia, sul telefono fisso, per chiedermi se stasera avevo voglia di uscire con lei e qualche sua amica del college: “una cosa tra donne,” ha detto, ha insistito un quarto d’ora ma niente, non sono proprio dell’umore.
In realtà non ho intenzione di piangermi addosso per sempre, tutt’altro: ho bisogno di un paio di giorni per metabolizzare la stronzata che ho fatto e poi basta. Devo anche pensare a cosa fare e dire la prossima volta che incontro Josh, anche se penso – e spero – che non sarà tanto presto: probabilmente venerdì prossimo, all’inaugurazione del locale di Dave, ma siccome ci sarà tanta gente forse riuscirò a evitarlo.
Dio, che stupida imbecille che sono stata! Mi darei un premio da sola per la mia deficienza congenita.
Maledizione, il problema di quel dannato bacio è che mi ha fatto venire voglia di dargliene un altro e poi un altro e poi altri ancora. Sentire le sue labbra, il suo respiro, il suo sapore, mi ha trasmesso un tale concentrato di emozioni da fare paura.
E infatti ho paura, un’enorme paura. Perché un bacio è solo un bacio, una cosa sciocca che certo di per sé non rovinerebbe un’amicizia, se non fosse che io, purtroppo, sono dannatamente innamorata di Josh. Ogni volta che devo ammetterlo con me stessa sento una sorta di pugno nello stomaco, ma è così ed è inutile continuare a fingere.
La cosa peggiore è che non so neanche da dove mi sia uscita la malsana idea di baciarlo: dev’essere stato uno dei rarissimi momenti in cui esce il mio lato istintivo, in genere soppresso e ben nascosto. Un attimo di follia inconscia e atavica, insomma, che però non deve ricapitare per nessuna ragione al mondo. La rabbia, mischiata all’attrazione o all’amore, può fare molto male, e io ieri sera ero davvero infuriata, ma basta che mi ricordi di: numero uno, stargli il più lontano possibile; numero due, restare calma e tranquilla in sua presenza; e non dovrebbero esserci problemi. Credo.

Alle dieci e mezza sto ancora rimuginando davanti a un film idiota di cui ho realmente guardato solo qualche spezzone nei momenti di lucidità, quando sento bussare alla porta principale. Potrebbe essere Delia, aveva detto che, se finiva presto con le altre, passava a trovarmi con una vaschetta di gelato: di quest’ultimo avrei voglia, ma so che anche Delia tenterebbe di farmi parlare riguardo a ieri sera. E Dee è parecchio insistente quando ci si mette, accidenti. Però mi sembra un po’ prestino perché abbia già concluso la sua serata fra donne. Mah…
Josh. Ho aperto la porta e c’è Josh lì che mi guarda. Senza il gelato, oltretutto.
“Ciao.” Tenta anche un mezzo sorriso ma non gli riesce granché bene.
“Che ci fai tu qui?” chiedo stupidamente, come se non lo sapessi già.
“Ho ben due motivi,” spiega subito. “Il primo è questo,” continua porgendomi qualcosa.
È il mio maglione blu. Beh, si spiega almeno perché ieri sera in moto avessi così freddo: come ho fatto a non pensarci? Ero totalmente sbalestrata!
“Perché ce l’avevi tu?” domando ancor prima di ringraziarlo.
“Ho visto che uscivi senza e l’ho preso dalla tua sedia,” dice mettendosi le mani in tasca e fissando a terra. “Prego, comunque,” si premura di farmi notare il mio mancato ringraziamento tornando a guardarmi.
Agito la mano come a dire “scusa, il grazie era sottinteso” e so che, anche se non parlo, ha capito cosa intendo, perché accenna di nuovo un sorriso. Dio, se è bello.
“Non l’hai dato a David,” puntualizzo.
“Cosa?”
“Ieri sera quando sei uscito dal locale eri con Dave e lui doveva portarmi a casa. Potevi dare a lui la maglia, no?” chiedo in uno sprazzo di lucidità.
Scrolla le spalle. “Volevo portartelo io, Dave l’ha capito e me l’ha lasciato.”
Perfetto, anche il mio amico gay si è coalizzato contro di me, dunque.
Sto per fare La Domanda, ma non so se ho voglia di sentire La Risposta, in realtà. Inspiro.
“Quindi, veramente, perché sei venuto?” borbotto a mezza voce.
“Come?”
Va bene che ho parlato pianino, ma il ragazzo non mi sembra molto intuitivo stasera.
“Ti ho chiesto il secondo motivo per cui sei qui, Josh. Quello vero,” specifico.
“Ah.” Toglie una mano dalla tasca e si gratta il collo. “Non mi fai entrare?”
“Non hai risposto,” dico guardandolo sospettosa. Non so se ho voglia di farlo entrare solo per sentirmi dire “non possiamo più essere amici” o robe simili.
“No, eh?” chiede arricciando il naso. Ma mi prende in giro? Sembrerebbe.
Il mio sguardo dev’essere piuttosto eloquente, perché per una volta il furbo qui davanti capisce da sé.
“Ok, hai ragione,” ammette, “il secondo motivo.”
“Quindi?” domando ancora. A questo punto, tanto vale saperlo.
Mi guarda dritto negli occhi e rimango un attimo spiazzata: capisco dal suo sguardo che è indeciso sul da farsi, agitato. Forse è peggio di quello che avevo immaginato, allora, perché Josh non si agita mai tanto facilmente.
“Senti,” cerco di convincerlo, “puoi dirmelo, ok? Qualunque cosa sia, sono pronta. Basta che non stiamo qua a…”
Vengo interrotta da un suo deciso “va bene” e prima che possa rendermi conto delle sue intenzioni si avvicina e mi bacia.
Ripeto: mi sta baciando, dei del cielo!
Le sue labbra sono sulle mie, le sue mani mi hanno preso il volto e io sono qui ferma come un baccalà. Cerco di allontanarmi di un passo, ma non succede niente, faccio un altro paio di passi indietro ma lui continua a restarmi appiccicato; allora mi accorgo che sono arrivata con le spalle al muro e che Josh mi ha seguito in ogni mio movimento, per non farmi scappare.
Sono in trappola. Chiudo finalmente gli occhi, come avrei voluto fare da subito, e rispondo d’istinto ai suoi baci; il mio cuore nel frattempo batte talmente forte che temo lo sentano anche i vicini di casa.
Josh si allontana un attimo, ma stavolta sono io a non lasciarglielo fare: mi alzo sulle punte dei piedi, gli appoggio le mani sul collo e lo bacio di nuovo. Lui in realtà non sembra intenzionato a farsi pregare e quando tenta di approfondire il bacio sento il mio stomaco fare un paio di capriole.
Dio, cosa stiamo facendo? I nostri respiri si fondono, le sue mani mi carezzano piano il viso, sento il suo corpo vicino al mio. Siamo troppo… troppo.
A questo pensiero mi allontano di scatto e sbatto la testa sul muro dietro di me.
“Ahi!” esclamo staccando le mani dalle sue spalle e portandole automaticamente verso l’alto. Sulla mia nuca, però, c’è già la sua mano che, più svelta, è corsa a controllare i danni.
In un’altra occasione starebbe già ridendo, ora invece sembra realmente preoccupato. “Ti sei fatta male?”
“Che cazzo fai, sei matto?” lo aggredisco io, e non contenta della sola minaccia verbale gli appioppo, per allontanarlo da me, una spintarella che, per quanto debole, lo obbliga a fare un passo indietro. Ora posso respirare, almeno. Circa.
“Controllavo se stavi bene,” si scusa accigliato.
“Non quello, cretino!” continuo io alzando di poco la voce – non credo di averne molta ora come ora. “Sei venuto qua per saltarmi addosso?”
Spalanca gli occhi, fingendo ingenuità. “Non mi pareva fossi contraria, tu.”
Credo di essere appena diventata di tutti i colori contemporaneamente.
“Sei un idiota!” Stavolta urlo proprio, invece: la voce a quanto pare c’è.
Josh sorride. Eh? Che diavolo c’è da stare allegri adesso? Si passa una mano fra i capelli e comincia a parlare guardandomi di sottecchi.
“Sei… sei tu che mi hai baciato ieri sera e…”
“Ma cosa c’entra? Io non…” lo interrompo, ma lui riprende subito la parola.
“Mi lasci finire, per favore?” dice, e nel frattempo mi accorgo che è decisamente a una distanza troppo ravvicinata, mezzo metro sì e no.
“Sì, sì, stai lì però,” puntualizzo appoggiandogli una mano sul petto per scostarlo ancora un po’, ma spostandola subito, come scottata.
“Ok.” Josh si allontana di un altro paio di passi, dopodiché si massaggia il collo con la mano e prende un respiro. “Allora, ieri mi hai baciato e… io non so perché tu l’abbia fatto. Poi… non mi hai lasciato il tempo di reagire, neanche di capire cos’era successo. Una cosa però la so, credo. In tutta la serata il momento in cui mi hai baciato è stato, beh…” si ferma un attimo e deglutisce, dopodiché mi guarda negli occhi e abbassa la voce a un sussurro che mi fa tremare le gambe, “è stato l’unico attimo in cui sono stato veramente bene.”
C’è un lungo silenzio in cui Josh mi guarda e io non riesco a respirare.
“È assurdo, lo so,” è ancora lui che parla ma stavolta dà voce anche ai miei pensieri, “ma volevo dirtelo perché sei comunque la mia migliore amica,” ora mi viene quasi da piangere ma non ha ancora finito, “e poi volevo capire meglio cos’era successo ieri. Quindi eccomi qua…” conclude con uno dei suoi mezzi sorrisi da cardiopalma.
“Josh, io non… non so che dire.”
“Non dire niente allora,” risponde facendo mezzo passo verso di me.
Cerco di mandare giù il groppo che mi si è formato in gola. “Che fai?”
“Mi avvicino,” dice con ovvietà. Sta ancora sorridendo, maledizione.
“Perché?” domando con sussurro tremulo.
I suoi occhi si fanno più dolci, se possibile, e seri.
“Jude…” sospira a pochi centimetri da me. Sentire la sua voce così bassa e leggermente roca che pronuncia il mio nome mi fa andare in corto circuito l’intero apparato muscolare e scheletrico. Quello respiratorio ha alzato bandiera bianca già da un pezzo, del cuore è meglio non parlare proprio, invece. È di nuovo troppo vicino.
Josh posa una mano sul mio volto e col pollice mi carezza lo zigomo e la guancia destra. Devo chiudere gli occhi perché non ce la faccio più, sto impazzendo.
Socchiudo le labbra aspettando di nuovo un suo bacio, ma lui appoggia semplicemente la sua fronte sulla mia e sta lì, a farmi ascoltare il suo respiro. Così mi calmo un po’ e per qualche minuto Josh torna a essere semplicemente il mio migliore amico, l’unico che sa sempre cosa fare con la sottoscritta. Anche ora: aspetta che mi tranquillizzi, mi carezza piano i capelli come ha fatto tante altre volte, dopodiché mi passa il pollice sulle labbra, come a chiedermi il permesso di baciarmi di nuovo. E io glielo lascio fare, lascio che approfondisca il bacio, lascio che continui ad accarezzarmi i capelli ed il viso, mi fido di lui più che di chiunque altro al mondo.

Boccheggio quando lui si stacca da me, dopo non so quanto tempo, lasciandomi completamente senz’aria, e riappoggia  la fronte sulla mia, restando lì quasi immobile a toccarmi il viso, ora con entrambe le mani. Poi si muove e va a spostarmi con il naso i capelli dal collo, finché non trova lo spazio per posarmi un bacio leggero sotto l’orecchio e un altro più giù, sulla gola. Rabbrividisco e per reazione spontanea mi stringo di più a lui cingendogli il collo con le braccia e appoggiandomi alla sua spalla. L’ho abbracciato così tante volte, il mio migliore amico.
“Non capisco neanch’io che sta succedendo, Free,” dice con la bocca appoggiata alla mia clavicola, che per fortuna è coperta dalla maglia del pigiama – oddio, sono veramente in pigiama! Nel mentre, sposta le mani e mi abbraccia anche lui, accarezzandomi la schiena.
Ciò che non posso dirti, Josh, è che io invece lo capisco. So di essere innamorata di te: ormai sono talmente cotta che non riesco neanche ad allontanarti come sarebbe saggio fare, pur di restare qualche attimo in più a crogiolarmi nel tuo abbraccio. Tu, invece, stai facendo tutto ciò per puro spirito di iniziativa, o forse per noia, chissà: magari quando ieri sera ti ho baciato hai sentito qualcosa di strano, di diverso, sensazione dovuta a tanti anni di amicizia puramente platonica e casta, e hai pensato di ripetere l’esperienza per vedere se riaccadeva uguale. Permettendoti di farlo, mi sto dando da sola una falsa speranza e, quindi, il colpo di grazia. Non posso, no.
“No,” ripeto, questa volta a voce alta.
Josh mi guarda interrogativo. “Cosa?”
“No,” dico ancora, sgusciando fuori dal suo abbraccio e andando a una distanza più consona, mentre riordino le idee per decidere cosa dire e fare. Sembra facile, ma con tutti i neuroni in sciopero non riesco a pensare niente.
“Non abbiamo fatto niente di male, Jude,” mi fa notare lui con espressione più accigliata che altro.
“Come vuoi,” sorvolo sulla sua ultima affermazione, perché le nostre concezioni di male potrebbero essere molto diverse ora come ora, “però è meglio smettere subito, domani mattina avremo già cambiato idea e bla bla bla. D’accordo?” cerco di tagliare corto. So di non essere stata effettivamente molto chiara, ma è il massimo che si può pretendere da me in questo momento.
“No, sì, cioè…” È per caso confuso? “Non so se domani mattina avrò cambiato idea, ma se vuoi che mi dimentichi questa cosa… beh, va bene. Posso farlo, credo di essere più forte io.” Sorride. Aiuto.
“Dai, Josh. Siamo amici, siamo di sesso opposto e siamo entrambi etero. Era inevitabile che ci baciassimo prima o poi, ora possiamo anche passare avanti, direi.” Vedo che apre la bocca per parlare ma lo anticipo. “E lascia perdere che ti ho baciato io ieri, è stato un raptus, tu insistevi e non sapevo come zittirti! Non succederà più.”
È incredibile come sia riuscita a liquidare tutto con poche parole, ma da dove diavolo mi è uscita tutta questa sicurezza? In realtà sto per affogare da sola.
“Ok.”
Sembra che io l’abbia convinto, dopotutto.

“Ora,” concludo spingendolo verso la porta ancora aperta, “come puoi vedere sono in pigiama, ergo stavo andando a dormire.”
Sto mentendo spudoratamente ma almeno il mio abbigliamento poco elegante alla fine è servito a un nobile scopo.
“Ho capito, ho capito!” esclama Josh, ormai fuori dall’uscio. “Buonanotte,” conclude scoccandomi un brevissimo quando inaspettato bacio sulla fronte.
Resto un secondo immobile, poi, grazie al cielo, mi riprendo in tempi non sospetti.
“Notte!” esclamo sfoggiando un sorriso forzatissimo mentre chiudo la porta in faccia al mio migliore amico e mi ci appoggio sopra a sacco di patate.
Poco distante da me, Gandhi mi fissa altezzoso, e dal suo sguardo sembra quasi che di questo pasticcio ci abbia capito più lui di me e Josh messi assieme.
Mio dio. Non so pensare altro.








Oggi non vi stresso più di un paio di righe.
So che è estate, fa caldo, siamo in vacanza (più o meno), eccetera, però se qualcuno di coloro che hanno letto o inserito la mia storia nei preferiti (a proposito, GRAZIE) mi facesse l'immenso favore di recensirla, anche solo per dire "che schifezza" o "che noia", gliene sarei davvero davvero grata.
Chiudo, tornerò tra qualche giorno. Siamo a metà, circa, quindi resistete! :) Bye.

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Capitolo 5
*** Kerr e l'inaugurazione ***


5. Kerr e l'inaugurazione



Sembrerò monotona, ma è di nuovo venerdì e tra qualche ora, alle dieci, ci sarà l’inaugurazione del Marie at night. Devo cercare di essere là un po’ prima stavolta, giusto per infondere coraggio e comprensione a Dave, che ultimamente è esaurito, povero.
Questa settimana mi sono fatta scaltra e ho evitato di commettere l’errore che ho già fatto in precedenza: ho risposto regolarmente alle chiamate e ai messaggi di Josh per non essere accusata di vigliaccheria o quant’altro. D’altra parte, il signorino non si è degnato di farsi sentire poi molto: qualche sms qua e là, una fredda e sterile chiamata per verificare se ero viva, niente in confronto al solito. Bah, meglio così.
No, va bene, sto fingendo: meglio così un cavolo! Cosa gli passa per il cervello? Prima viene a casa mia e mi salta allegramente addosso baciandomi e poi si permette pure di fare lo schizzinoso o, peggio ancora, il confuso?! Certo, me lo ricordo che ho cominciato io, eccetera eccetera. So anche che io non mi sono fatta viva più di tanto con lui, ma diamine, ho il diritto di essere sconvolta, o no?
In realtà il mio è un discorso sconfinatamente egoista, me ne rendo conto: ho bisogno della sua presenza amichevole e costante, ho bisogno delle sue telefonate e dei suoi aneddoti idioti, ho bisogno di sentire la sua voce che mi dice: “Free, passo a trovarti stasera, libera un po’ la tua agenda e aspettami” e di sapere che vuole vedermi. Mi serve tutto questo per capire che non posso permettermi di perdere la sua amicizia e anche perché… Beh, perché ne ho bisogno e basta. Come l’aria.
In particolare, mi sta facendo scoppiare il fatto di non poter raccontare nulla a qualcuno. Di solito trovo sempre una persona con cui confidarmi, anche se non ho un carattere molto espansivo: a Josh, volente o nolente, dico praticamente tutto, e stavolta per ovvi motivi non posso, poi c’è Audrey e, qualche volta, Dave o Delia. Invece, non ne ho parlato con anima viva e ho deciso che i miei amici è meglio che non lo sappiano. Sarà una mia fissazione, ma ho paura che se ne parlo ad alta voce questa cotta diventerà reale, rovinando magari gli equilibri del gruppo. E comunque farei solo molto rumore per nulla, visto che è una faccenda senza capo né coda. E senza futuro, soprattutto.
Per questo mi tengo tutto dentro da settimane e scanso accuratamente l’argomento “Josh” con chicchessia, onde evitare di tradirmi.

È sera, ho appena finito di mangiucchiare qualcosina, è ora di prepararsi per la serata. Non ho assolutamente voglia di tirarmi in alcun modo, ma glielo devo a David, di rendermi perlomeno presentabile. Cerco quindi di vestirmi decentemente – anche se all’ultimo escludo l’opzione gonna, e opto per dei jeans neri – e di fare qualcosa col ferro per migliorare quell’ammasso di capelli che ho in testa; infine mi ritocco con un filo di trucco, mi infilo un paio di orecchini e decido di non mettere la collana perché mi starebbe bene solo quella che mi ha regalato Josh due anni fa per Natale.
Sono pronta, e con ben dieci minuti di anticipo sull’autobus! Incredibile.
Decido di aspettare fuori, mi siederò sul dondolo che abbiamo nel portico in entrata.
“Ciao, io vado,” saluto i miei seduti sul divano ed esco.
“Ciao tesoro, divertiti,” sento mia madre mentre chiudo la porta. Speriamo, mamma.
Inspira, espira: andrà tutto bene.
Forse dovrei prepararmi qualcosa da dire a Josh quando lo vedrò, visto gli ultimi disastri combinati da me medesima con l’improvvisazione pura. Ma cosa devo dirgli, poi? Nulla, abbiamo già chiarito che è meglio dimenticare tutto e passare oltre. O no?
“Ehi piccolina, ci sei o ti trovi in un universo parallelo?”
Sobbalzo sentendo una voce, alzo la testa per controllare chi è e…
“Kerr!” esclamo saltando ad abbracciare il mio fratellone. “Che ci fai qui senza avvisare? Alla mamma verrà un infarto, sono settimane che non ti vediamo!”
Castano, occhi marroni, sorriso allegro e solare, mio fratello Kerr, cinque anni più della sottoscritta, mi somiglia abbastanza dal punto di vista fisico, ma è quasi il mio opposto caratterialmente: tanto io sono schiva e riservata quanto lui è un ficcanaso rompipalle. Ma lo adoro così, l’ho sempre adorato.
“Mamma e papà sono dentro?” mi chiede Kerr sedendosi sul dondolo e invitandomi con la mano a riprendere posto accanto a lui.
“Sì, stanno guardando un film, credo.”
“E tu, splendore?” continua squadrandomi parte a parte. “Per chi ti sei fatta bella?”
“Kerry! Per nessuno!” ribatto arrossendo un po’.
Lui non sembra convinto. “Dai, dimmi dove vai.”
“Ti avevo detto, no, che Dave apriva il locale di suo padre anche la notte?” Lo vedo annuire. “Ecco, stasera c’è l’inaugurazione,” spiego velocemente.
“Ah già. Aspetti che Josh ti venga a prendere?” domanda lui.
Perdo un battito a sentire quel nome pronunciato ad alta voce, ma d’altronde Kerr non può sapere di aver toccato un tasto dolente.
“No, in realtà.” Abbasso lo sguardo. “Vado in autobus.”
Mio fratello mi guarda leggermente stupito, poi posa gli occhi sulla strada.
“Intendi quell’autobus?”
“Cazzo, sì!” esclamo alzandomi e rendendomi subito conto di non essere Wonderwoman e di non poterlo perciò raggiungere. “L’ho perso, merda!”
“Ragazzina, quanto sei scurrile!” si finge scandalizzato lui. “Dove hai imparato queste brutte parole? Dovrei lavarti la lingua col sapone!” mi prende ancora in giro come quand’eravamo bambini.
“Taci!” ringhio, ributtandomi di peso sul dondolo e prendendomi la testa fra le mani.
“Dai, su. Non rovinarti l’acconciatura, per una volta che non sembri aver infilato due dita nella corrente. Ti accompagno io in macchina,” dice alzandosi e porgendomi la mano per aiutarmi e tirarmi in piedi.
Sono titubante. “Non saluti mamma e papà?”
“Li saluto dopo. Andiamo!” Mi prende su di peso, con la sua solita scarsa grazia. “Così mi racconti durante il tragitto cos’è successo di tanto grave con Parker da farti andare in apnea al solo sentirlo nominare…” sghignazza malefico.
Ecco dov’è il trucco! Lo sapevo!
“Kerr, sei un idiota,” mugugno mentre lo seguo verso l’auto.
“Ma sono tuo fratello, quindi mi vuoi comunque un bene dell’anima!” esclama soddisfatto.
“Non mi hai detto perché sei qui…” tento vaga di cambiare argomento. “Beth?”
Spero che abbocchi: Beth è la sua fidanzata nonché convivente e di solito a Kerr piace parlare di lei, si perde anche per delle ore.
“È a un corso di aggiornamento a New York, così ne ho approfittato per venire a trovare la mia adorata sorellina. E mi sono accorto che stai cercando di sfuggirmi, sai, Judy.”
Normalmente Kerr è uno delle pochissime persone che può permettersi di chiamarmi Judy senza finire fulminato, ma stavolta gli lancio un’occhiataccia delle mie mentre salgo in macchina e lui mette in moto.
“Quindi, con Parker?” insiste quell’immenso rompipalle di mio fratello.
“Con Josh cosa?” mi fingo confusa io.
“Dai, dimmelo!” mi prega l’impiccione.
“Te lo scordi!” rispondo cordiale.
“Allora è successo davvero qualcosa!” Acuto il tipo. “Raccontami.”
“No.”
“Ma Judy…!”
“Smettila, sei una vecchia comare!”
“Ti prego!”
“Uffa, Kerr…”

“Ecco tutto. È una settimana che non lo vedo.”
“Wow.”
Siamo parcheggiati fuori dal Marie’s e ho appena finito di spiegare a mio fratello una versione riassunta e schematizzata degli ultimi avvenimenti con Josh. Mi sembra più confuso che sorpreso, però.
“Non dici niente?” gli chiedo titubante guardando l’orologio: meno un quarto alle dieci, posso trattenermi ancora cinque minuti sì e no.
“Mah, non so. Cosa vorresti che ti dicessi?”
“Questa è una domanda idiota.”
Kerr ride. “Lo so.”
“Non mi sembri sconvolto dalla notizia,” butto lì per verificare.
“Perché non lo sono.”
Adesso sono io a essere confusa. “Cioè?”
“Avete sempre avuto questo strano rapporto tira-e-molla a metà tra l’amicizia più pura, l’odio più profondo e l’amore più sconfinato. Queste tre cose non possono convivere in un rapporto senza creare disastri, Jude, era inevitabile che prima o poi succedesse ciò che è accaduto. La domanda vera è un’altra: sei innamorata di lui o quel bacio è stato solo causato dagli ormoni?”
Abbasso lo sguardo: nel narrare il tutto mi sono limitata alla parte di avvenimenti puramente descrittiva, niente pappardelle sui sentimenti o cose simili. In poche parole, ho omesso di dire a mio fratello che sono davvero persa, totalmente e inguaribilmente innamorata persa di Josh. Non mi va ancora di dirlo ad alta voce.
Ma Kerr capisce lo stesso. “Allora dovresti buttarti.”
“Sei matto?!” esclamo, stranita dal suo consiglio. “Probabilmente perderei anni di amicizia, non posso permettermelo.”
“Se lo dici tu…” mi asseconda, ma non sembra convinto.
“Per non parlare del fatto che non so neanch’io bene cosa provo, cioè… Mi sento strana quando c’è lui e so che non dovrei, perché è il mio migliore amico ed è… è Josh, insomma. Ma potrebbe anche essere tutto uno stupido capriccio o una… un’attrazione fisica di poca importanza. Insomma, chi mi garantisce che non passerà presto?”
Mi accorgo di parlare a macchinetta, sono agitata, e guardo mio fratello nella speranza di sentire parole di conforto che so già non arriveranno. Kerr è così: mi capisce abbastanza bene – anche se le litigate tra noi due non sono mai mancate, soprattutto quando vivevamo sotto lo stesso tetto – però evita di darmi consigli di vita troppo azzardati. Specialmente se si parla di “Jude e i ragazzi” il mio fratellone tende a distaccarsi: non me l’ha mai voluto dire, ma un certo senso di protezione nei miei confronti è possibile che lo provi, sarebbe del tutto naturale, dopotutto.
“Come vuoi.” Lui alza le spalle. “Comunque non è detto che la perderesti.”
“Cosa?” Stasera sono un poco fra le nuvole, lo ammetto.
“L’amicizia, scema!” spiega dandomi un colpetto sulla nuca. “Vai che sennò arrivi tardi!”
Scendo dall’auto. “Kerr?”
“Dimmi.”
“Grazie del passaggio.” Sorrido, so che ha capito perché lo ringrazio veramente.
“Figurati, Cenerentola. Se hai bisogno per il ritorno, fa’ uno squillo.”
“Ok, ciao.”
“Buona serata!”
I consigli sbalestrati di Kerr in realtà non mi sono stati molto utili, sempre che io consideri un consiglio quel suo “buttati”. Ma avevo bisogno di parlare con qualcuno di questa faccenda e mio fratello è capitato proprio nel momento più adatto. Ora almeno non ho più la sensazione di stare per esplodere da un momento all’altro.
Un po’ di fifa però sì, penso appena prima di entrare nel locale.

“Juuuuuuuude!”
Appena varco la soglia vengo accolta da un uragano di nome Delia, che mi salta addosso come se non mi vedesse da mesi e a momenti non mi butta a terra.
“Sei arrivata, meno male, qui nessuno mi sta ad ascoltare!” parla velocemente gesticolando con le mani e sembra piuttosto agitata.
“Scusate il ritardo, è che mio fratello è arrivato all’improvviso e…”
Delia mi interrompe. “Tuo fratello Kerr? Ha problemi con la fidanzata?” chiede con uno sguardo malizioso.
“Dee, con Beth va tutto a meraviglia, lascia perdere che è meglio,” rispondo sospirando: avevo dimenticato la sua fissazione per Kerr, d’altronde questa pazza mitomane sarebbe capace di corteggiare anche un settantenne sposato, se le interessasse. Oddio, magari l’ha pure già fatto.
“Invece, cos’è tutta questa agitazione? È successo qualcosa?” continuo preoccupata.
La mia amica sta per rispondermi, quando vedo Matt uscire dal retro, subito seguito da David, entrambi hanno l’aria di essere abbastanza tranquilli.
“Ehi,” mi saluta allegro il primo mentre Dave fa un cenno con la mano nella mia direzione, poi va ad accendere le ultime luci. “Fortuna che sei arrivata, questa folle sta per avere un crollo nervoso. Pensi di riuscire a calmarla un po’?”
“Patterson, io…” comincia Delia minacciosa, ma la interrompo subito.
“Ma è successo qualcosa?” domando di nuovo, stavolta a Matt.
“Figurati, no!” ride lui. “Solo che Stephanie si è beccata la varicella, quindi stasera darò una mano io al nostro amico, nient’altro.”
Stephanie è la ragazza che David aveva assunto come cameriera, l’ho vista una volta di sfuggita, mi pare.
“La varicella?” Sono stupita: non capisco cos’abbia Delia da agitarsi tanto.
Matt mi risponde alzando le spalle. “Sì, perché?”
“E perché Dee è messa così male?”
“Ma che ne so! Se mi gira attorno ancora un po’ con quell’aria però la chiudo nello sgabuzzino delle scope, quindi tienimela lontana,” conclude il biondo dileguandosi.
“Jude, tu mi capisci, vero?” si lagna Delia attaccandosi al mio braccio.
“MA SEI FUORI?!” sbraito facendola saltare per lo spavento. “Mi hai fatto prendere un colpo per niente, pensavo fosse successo chissà che!”
“E se qualcosa dovesse andare storto? Cioè, Stephanie, Matt, io…”
“Dee, sai meglio di me che Matt se la caverà egregiamente, quindi tranquillizzati o dovrò usare l’idea dello stanzino delle scope,” la minaccio cercando di farle capire che sta esagerando. Matt nella sua breve vita ha già lavorato come gelataio, imbianchino, cameriere, sguattero e bagnino; aggiungendo il fatto che conosce il locale come casa sua, non vedo proprio dove stia il problema.
Delia fa una faccia imbronciata e in quel momento, fortunatamente, arrivano Audrey e Phil a togliermi dagli impicci: non sono certo la persona più adatta a calmare qualcuno, io. Zittisco Dee prima che ricominci con quella raffica di parole a caso e spiego celere a Aud cos’è successo concludendo con un “cerca di fare qualcosa tu, dalle un sedativo se vuoi, ma calmala: tra cinque minuti comincerà ad arrivare la gente e se non la smette prima morirà per mano mia o di Matt entro la fine della serata”.
So che Audrey è la persona più giusta per questo compito ingrato, perciò mentre lei cerca di spiegare alla nostra amica che comportandosi così non aiuta nessuno, anzi “rischi di agitare Matt o Dave e non sarebbe un bene”, io vado nel retro a vedere se trovo il capo, ovvero David. È lì, appoggiato al muro della cucina, da solo e in silenzio.
Appena mi vede mi accoglie con un sorriso sincero.
“Ehi bionda,” esclama contento, “sei carinissima stasera.”
“Dave, non sono bionda,” sbuffo: non so mai come accogliere i complimenti, anche se a farmeli è il mio amico gay, che sicuramente non ha doppi fini romantici.
“Lo so, ma da quando Dee si tinge i capelli non ho più nessuno da chiamare così, perciò opto per la soluzione più realistica.” Parla sfoggiando una lingua piuttosto forbita per essere uno che sta per vivere una serata molto importante per la sua carriera e inaugurare il suo primo locale.
“Tutto bene?” chiedo avvicinandomi. In realtà so che è abbastanza tranquillo, sennò sarebbe in visibilio e farebbe fatica a nasconderlo.
“Io sì,” risponde dandomi un buffetto sulla guancia, “ma se vado di là Delia mi assale quindi sto tentando di nascondermi finché posso,” spiega pragmatico.
“Capisco…” annuisco comprensiva e poi mi guardo intorno: mi aspettavo di vedere anche qualcun altro qui. David se ne accorge.
“Josh mi ha chiamato poco fa,” dice senza che io chieda niente, “e ha detto che arriverà un po’ tardi, non so perché.”
“Ah.” Sono stranita e sorpresa dalla notizia: Josh non è mai in ritardo.
“Non lo sapevi?” domanda lui.
“No, in realtà non l’ho sentito oggi.” E neanche ieri e l’altroieri, ma questo è meglio se evito di specificarlo.
“Jude, non avete chiarito?” cerca di indagare Dave.
“Sì, più o meno.” Non è proprio vero, ma non voglio dare al mio amico altro a cui pensare. Oltretutto venerdì scorso gli avevo promesso che avrei parlato con Josh.
David alza un sopracciglio, sospettoso. “Sicura?”
“Sì, Dave, tranquillo. Ci siamo visti ancora sabato sera.” Beh, questa almeno è la verità, sul resto posso sorvolare al momento. E per sempre, direi.
“Ok, ti credo,” afferma quasi convinto, “ora andiamo di là che comincerà presto ad arrivare gente. Spero,” chiude tradendo un pelo di normalissima agitazione.
Mi incammino verso la sala, ma vengo richiamata di nuovo dalla voce di Dave. “Jude?”
Mi giro sperando che non abbia capito la mia bugia e lo guardo interrogativa. “Ho già detto che stai benissimo così?”
Meno male, non ha capito. Sbuffo. “Scemo. Sì.”
“Ah già,” mi prende in giro. “Però dovresti dormire un po’ di più, tesoro. Sembri piuttosto sbattuta,” dice mostrando il solito infallibile spirito di osservazione insieme a un sorrisetto provocatorio. Ok, forse ha capito ma tace: ho mai detto che lo amo? Beh, è così: l’adoro. Dovrei fargli una statua, a Dave.
“Grazie, McPharrell.” Scuoto la testa: non posso negare la sua ultima affermazione.
“Non c’è di che! E ora andiamo, la serata ci aspetta.”
Detto ciò, David apre la porta e si butta nell’ignoto con un sorriso smagliante.

Sono le dieci e quaranta, minuto più minuto meno, e la situazione è sotto controllo. Il clima creatosi è buono, Dave e Matt lavorano insieme alla perfezione e il locale si è riempito abbastanza: ci sono clienti abituali del Marie’s, vecchi compagni del liceo che non rivedevo da anni (alcuni avrei sperato di non vederli mai più, ma tant’è), amici del college di David, più altra gente sconosciuta che ha saputo dell’inaugurazione e si è fiondata qui.
In tutto questo marasma di gente manca solo qualcosa, o meglio qualcuno. Eh sì, Josh ha quasi un’ora di ritardo ormai e io sto cominciando a preoccuparmi: dove diavolo è finito? E, soprattutto, perché non mi ha chiamato?
Mentre un ex compagno di scuola, Henry Norris mi pare, con il quale non ricordo di aver mai parlato prima d’ora, ciancia a macchinetta di fronte a me rimembrando i bei tempi del liceo, io mi guardo in giro: Delia ha bevuto un po’ e si è normalizzata, tanto che ora sta cercando di abbordare un biondo al bancone del bar, Audrey e Phil chiacchierano tranquilli con altre persone dall’altra parte della stanza, Matt sta pulendo un tavolo e Dave è impegnato con un cocktail.
Lancio l’ennesimo sguardo preoccupato alla porta del locale ed è in questo momento che Josh fa la sua entrata trionfale. Sono talmente sollevata che pianto in asso Howard – o era Herman? – nel bel mezzo del discorso e mi precipito verso il mio migliore amico, dimentica dei problemi irrisolti tra noi, per salutarlo e sgridarlo per il ritardo. Sto giusto per raggiungerlo quando mi blocco a metà di un passo e il sorriso mi si congela sulle labbra.
Insieme a Josh è entrata Bridget Milton, una sua ex ragazza bionda e piuttosto audace, che ora sta tentando di catalizzare l’attenzione del mio amico su di sé appendendosi al di lui braccio e sbattendo angelicamente le ciglia finte.
Bella scenetta, eh?











Eccomi inverosimilmente puntuale con il quinto capitolo!
Qui entra in scena Kerr, il fratellone: in realtà è un personaggio che non comparirà molto e di cui sapremo poco, ma che a me piace. Non è né il tipico fratello maggiore stile "vecchio saggio" che sa sempre dispensare il consiglio giusto, né il tipo "ti rompo continuamente l'anima"; più che altro, direi, è un misto tra le due tipologie... Ma a voi non interesserà granché, immagino. :)
Quindi rispondo alle ultime recensioni e mi dileguo!

Emily Doyle: Grazie mille, spero continuerai a seguirla!

Sweet Stella: Son contenta che ti piaccia come scrivo, a volte più che altro non piaccio a me, quindi meglio così. Poi vedo dalle recensioni che diverse persone sono finite innamorate di un loro amico: effettivamente penso che l'amicizia non escluda l'amore né viceversa, anzi, possono aiutarsi a crescere a vicenda.

Chiudo qui, alla prossima!

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Capitolo 6
*** Bridget, Henry e la gelosia ***


6. Bridget, Henry e la gelosia




Sono ancora paralizzata a cinque passi di distanza da Josh e Bridget e il mio cervello sta lavorando alacremente per elaborare i dati e capire la situazione. Forse non dovrei giungere a conclusioni troppo affrettate, ma se davvero Parker è arrivato con un’ora di ritardo all’inaugurazione del locale di Dave per uscire con quella, lo farò pentire di essersi presentato.
Come dici? Gelosa io? Assolutamente no, io non sono gelosa. Figurati, perché dovrei esserlo? Sono solo arrabbiata, incazzata nera perché Josh non poteva, non doveva arrivare in ritardo stasera, non per un motivo così stupido. Senza contare che Bridget Milton è davvero un’oca senza cervello – con tutto il rispetto per le oche. Cioè, è stupida, l’ha ammesso anche lui dopo averla frequentata per tre settimane scarse al liceo, stufandosi subito della sua compagnia. È una cosa obbiettiva.
Vedo Josh salutare un tizio che non conosco e poi guardarsi intorno cercando qualcosa. Io sono evidentemente questo qualcosa, visto che appena mi scorge tra la gente mi sorride, mi fa un cenno con la mano e si avvicina a me con quel polipo della Milton ancora attaccato al braccio.
“Ehi, ciao,” mi saluta raggiungendomi. Fa per avvicinarsi, forse per stamparmi un bacio sulla guancia, ma io mi scosto e mi limito a fissarlo incalzante in attesa di risposte. Lui sembra confuso, gli si forma una rughetta adorabile tra le sopracciglia mentre mi fissa a sua volta. Adorabile?
“Sei in ritardo,” gli faccio soltanto notare, con tono neutro.
“Sì, scusa, io…” sembra indeciso su cosa dire, viene però interrotto da una voce fastidiosissima – per me, almeno – proveniente dalla sua destra.
“Ciao Judy, ti ricordi di me? Eravamo al liceo assieme,” cinguetta l’oca staccandosi finalmente dal braccio di lui per darmi due baci sulle guance.
Io resto immobile. Nessuno, oltre a mio fratello, pochi intimi, o qualcun altro che voglia farmi arrabbiare molto, può chiamarmi Judy.
“Certo che mi ricordo di te, Milton,” rispondo mettendo di proposito l’accento sul suo cognome mentre scocco un’occhiataccia a Josh che, dal canto suo, continua a guardarmi in silenzio. Lui e la sua rughetta.
“Jude?” ci interrompe una voce maschile il cui proprietario mi si affianca. Guardo fiaccamente alla mia destra: ah, è quel Norris con cui parlavo prima.
“Sei venuta a salutare un tuo amico? Ti ho persa di vista…” tentenna il ragazzo.
“Già, scusa,” sbuffo, per niente cortese. “Josh e Bridget,” indico i due per le presentazioni, “lui è…” Harold? Harry? Cavolo cavolo cavolo, non mi ricordo come fa di nome! E pensare che a dir suo frequentavamo lo stesso corso di letteratura al liceo…
“Henry. Henry Norris, piacere.”
Alla fine lui porge la mano togliendomi dall’imbarazzo in tempo per non fare una colossale figura di merda.
“Bridget,” si spreca la principessina sfiorandogli la mano.
“E tu devi essere Josh Parker,” afferma Henry, riuscendo miracolosamente a far distogliere per due nanosecondi l’attenzione del mio amico da me: Josh sposta lo sguardo un po’ irritato verso lo scocciatore e grugnisce un “sì, sono io” privo di tono, per poi tornare a puntarmi addosso due fanali blu e confusi.
“Mi ricordo di te,” continua coraggioso l’altro. “Sono arrivato solo l’ultimo anno in quel liceo, ma frequentavamo lo stesso corso di letteratura insieme a Jude.”
“Sì?” domanda Josh senza scomporsi di un millimetro.
“Già, del professor Berries,” concludo io.
C’è un lungo istante in cui nessuno parla e io e Josh continuiamo a scrutarci sospettosi, quasi curiosi.
“Ma…” È di nuovo Henry a parlare e sembra titubante. “Ma… non è che… Cioè, voi due per caso state assieme?” domanda. Io mi volto a guardarlo interrogativa e capisco, mio malgrado, che sta parlando di me e Josh.
“No!” rispondo rapidissimamente.
Qualcun altro ha risposto con me, però. “Noooooooo!” È la Milton che – cara – si prende la briga di spiegare per noi. “Figurati, loro sono amici da quando sono piccoli piccoli, vero? Non potrebbero mai stare insieme!” conclude ridacchiando.
“Infatti…” ringhio. Al momento mi trovo stranamente d’accordo con lei, soprattutto su quel mai ben marcato.
“Beh sì…” Henry arrossisce un poco e mi fa quasi tenerezza di fronte a quello squalo di Bridget Milton. “Mi ricordo che eravate molto amici a scuola, ma non si sa mai, cioè…”
È di nuovo Bridget a interromperlo. “Che carino, Josh. Quando uscivamo al liceo mi parlava sempre benissimo di te, è evidente che sei proprio come una sorella per lui,” si rivolge direttamente a me e io comincio a essere stufa marcia di questa situazione del cacchio e vorrei uscirne: all’inizio volevo parlare quattrocchi con Josh e chiedergli che cazzo combina con questa cerebrolesa, ora non mi interessa neanche più, voglio solo allontanarmi urlando. Mentre la Milton continua a miagolare io mi guardo attorno in cerca di una via d’uscita: i miei occhi incrociano quelli verdi di Audrey, che capisce al volo il mio sguardo esasperato e s’incammina nella nostra direzione per soccorrermi.
“Non è tanto carino?”
Mi accorgo che Bridget mi sta guardando. “Ehm… sì,” rispondo poco convinta senza avere la più pallida idea di cosa stesse parlando, cosa che ultimamente mi capita un po’ troppo spesso e con diverse persone.
“Josh, sei arrivato!”
È Audrey, grazie al cielo.
“Aud,” la saluta lui monocorde. “Scusa il ritardo, ho avuto un contrattempo a casa.”
A casa? Quindi non è arrivato tardi per uscire con la Milton? Adesso ho di nuovo voglia di chiedergli spiegazioni, ma non lo farò vincere.
Audrey mi lancia un’occhiata prima di rispondergli. “Figurati, spero sia tutto apposto invece.” Josh fa un cenno di mezzo assenso con la testa, quindi lei continua. “Hai già salutato gli altri?”
“No, volevo farlo ora,” spiega lui. “Dave? Matt? Delia?”
Aud gli spiega velocemente la situazione, indicando dove può trovare i ragazzi per salutarli; Dee invece al momento sembra essere scomparsa, ma potrebbe benissimo essere imbucata con il biondo di prima, oppure in bagno a vomitare l’anima.
Josh si allontana per cercare gli altri e mentre Bridget gli si appende – di nuovo! – al braccio cinguettando un “Che bello! Mi presenti i tuoi amici?”, lui mi guarda di sottecchi e sembra piuttosto stressato. Ben gli sta.
Audrey invece torna da Phil dandomi una pacca sulla spalla a mo’ di risposta al mio muto ringraziamento per il suo pronto intervento: così, mi ritrovo nuovamente sola con questo Henry Norris. E ora?
“Ehm…” Non so veramente cosa dire, lui sembra accorgersene e mi anticipa.
“Vado a prenderti qualcosa da bere?” mi domanda sorridente.
Lo guardo bene per la prima volta da quando mi ha rivolto la parola stasera: non è poi così male. È castano e non troppo alto, forse un po’ anonimo, ma ha un bel sorriso spontaneo.
Non bello come quello di qualcun altro, però.
Eh? Chi ha parlato?
“Allora?” insiste Henry facendomi trasalire. Ah già, da bere.
“Va bene, grazie,” rispondo pensando vaga che sarebbe già il terzo bicchiere stasera. Pazienza.
“Cosa vuoi?” chiede cortese: questo ragazzo è troppo formale, o sono io che sono abituata a uscire con persone che conoscono già i miei gusti a menadito?
“Fai tu, è uguale,” dico lasciandolo un attimo di stucco.
Poi si riprende. “Ok, torno subito,” annuisce allontanandosi.
Io sono già stanca e, soprattutto, stufa. Sospiro buttandomi a sedere su una sedia di un tavolo lì vicino: tutto questo sforzarmi di ricordare i miei compagni del liceo – che, dico io, se dopo la scuola non ci siamo più sentiti, ci sarà un motivo, no? – e la preoccupazione per il ritardo di Josh mi hanno steso. Vorrei uscire, prendere un taxi e andare a casa a farmi coccolare e prendere in giro da Kerr, ma non sarebbe un bel gesto nei confronti di Dave. Né nei confronti di Henry, a questo punto. Il quale, a proposito, mi si sta già riavvicinando con due bicchieri in mano.
“Eccomi,” esordisce porgendomene uno.
Lo prendo. “Cos’è?” chiedo cercando di non sembrare sospettosa.
“Non so, ho detto al barista di fare quello che voleva… È tuo amico anche lui?”
“David? Sì sì, lo conosco da anni,” commento cominciando a bere: non che i miscugli del mio amico siano questa gran garanzia, ma almeno so che non morirò.
“Come Joshua Parker?” continua Henry imprudentemente.
Alzo un sopracciglio, scettica. “Usciamo tutti insieme, ma io e Josh ci siamo conosciuti un bel po’ di tempo prima. Perché?”
“Così…” risponde solo. Poi decide di continuare. “Non per farmi i fatti vostri, ma non vi siete salutati molto… come dire… calorosamente, ecco.”
“Io e Dave?” chiedo col cuore in gola e un brutto presentimento.
“Tu e Josh,” spiega Henry come se fossi una bambina abbastanza scema, cosa che, fra l’altro, probabilmente sono.
“Non… cioè…”
La sua osservazione mi ha messo in difficoltà, non sono abituata a raccontare i fatti miei a gente semi sconosciuta. Alla fine, opto per un diplomatico: “abbiamo avuto qualche attrito negli ultimi giorni.”
“Grave?”
Ma è pazzo a insistere con certe domande? Neanche ci conoscessimo bene…
“No, noi… litighiamo spesso, siamo piuttosto diversi.” Mi fermo un attimo e trovo il coraggio di bloccarlo. “E comunque scusa, ma non credo siano affari che ti riguardano,” dico guardando la superficie del tavolo.
“Ah, scusami, io… non volevo,” balbetta lui.
Quando si entra nella mia sfera privata mi chiudo automaticamente a riccio, è più forte di me, ma forse stavolta ho esagerato un tantino con la scontrosità, me ne rendo conto, quindi cerco di rimediare. “Figurati, adesso ci beviamo questo, come definirlo?, intruglio?”, sorrido alzando il bicchiere ancora pieno per tre quarti.
“Meglio, va…” decide saggiamente Henry.

È passata un’altra ora abbondante, ma la trama non è cambiata poi di molto. Solo, io sono un po’ più brilla di un’ora fa e lo sono anche – credo – tutte le persone qua dentro. Henry compreso, a quanto pare.
Sono seduta al tavolo che ciancio con Norris di cavolate varie; in realtà lui ciancia, io per lo più ascolto, rispondo e annuisco. E, ogni tanto, mi guardo intorno per scorgere i miei amici: immaginavo che non saremmo stati insieme stasera, ma mi secca essere costretta a un tavolo con uno sconosciuto, sapendo che c’è ben altra gente con cui vorrei passare la serata. Per carità, Henry è anche simpatico e mi è andata bene ma… Se almeno fossi in buoni rapporti con Josh, o se la situazione tra noi non fosse tanto ambigua, potrei essere a divertirmi con lui, adesso. Diamine, era per questo che non volevo che succedesse… beh, quello che è successo. Ho rovinato tutto, abbiamo rovinato tutto.
E Josh ora che fa? Se ne sta lì, bello come il sole, con la Milton che gli si struscia addosso come se fosse in calore. Probabilmente lo è, in calore.
“Ti va di ballare?”
“Cosa?” Ci risiamo, ero distratta, ma spero vivamente di aver sentito male.
“Ti ho chiesto se ti va di fare un giro in pista,” spiega Henry: avevo capito bene, purtroppo!
“E perché?” Oddio, sembra che mi abbiano lobotomizzata.
“Beh, perché c’è una bella musica, c’è tanta gente che balla e… così, insomma.”
Sto zitta e lo guardo stupita, penso che adesso mi prenderà davvero per pazza.
Invece insiste. “Allora?”
Trovo al più presto un modo per cavarmi dai guai, perché di ballare non mi va proprio. “Devo andare alla toilette,” confesso, “magari dopo…”
“Ti aspetto qui!” esclama lui. È una minaccia, per caso?
Decido di usare il bagno pubblico e non quello del personale, sennò dovrei passare accanto a David che capirebbe subito il mio stato d’animo. Sono una vigliacca, lo so, e mi gira anche la testa. Quando esco dalla toilette, però, mi si pare subito davanti una scena per me più che riconoscibile, che mi fa ribollire il sangue nelle vene: Josh è lì, sulla pista da ballo, in mezzo a un sacco di gente, con Bridget Milton che lo tiene a mo’ di boa, aggrappandosi al suo collo.
Questo è troppo. Non so perché e per cosa, ma questo è troppo, maledizione! Soprattutto dal momento che, appena mi vede, Josh mi lancia un’occhiata che non riesco a decifrare e poi distoglie lo sguardo e fa finta di niente, continuando la sua opera “Non Lasciamo Affogare La Papera”.
Mi avvio a passi svelti verso il luogo dov’ero seduta prima, prendo dal tavolo il bicchiere ancora mezzo pieno, bevo il rimanente contenuto, dopodiché punto gli occhi addosso a Henry.
“Andiamo a ballare,” dico solamente.
Lui sembra sorpreso, ma non se lo fa ripetere due volte: si alza e mi segue tra la folla, poi mi appoggia le mani sui fianchi e comincia a muoversi a ritmo di una vecchia ballata rock che non riconosco.
È bravo. Io meno, ma mi basta appoggiare le braccia alle sue spalle e lasciarmi guidare, no? E magari andare verso sinistra, così ci potrà vedere anche quel ritardato di Joshua Parker.
Lo cerco con lo sguardo, Josh, e lo trovo poco più là, sempre attaccato a quel polipo. Sta fissando il pavimento ma, come se sentisse che lo guardo da lontano, alza gli occhi e me li punta addosso. Non appena comprende la situazione – cioè, io che danzo con un ragazzo appena conosciuto: non s’era mai visto neanche ai balli del liceo, Cristo – sgrana eloquentemente gli occhi e si irrigidisce appena, stupito. Di contro, io gli lancio un’occhiata di sfida e mi avvicino un po’ di più al mio partner: mi sento goffa e infantile, ma ho una specie di groppo all’altezza dello stomaco che mi porta a fare tutto questo. E l’alcol ingerito finora aiuta, certo.
“Ti piace questo pezzo?” mi domanda all’orecchio Henry, facendomi sussultare sorpresa. È normale dimenticarsi della presenza di un ragazzo al quale sono praticamente abbracciata? No, eh?
“Sì, sì,” rispondo vaga: in realtà la musica non la sto neanche ascoltando.
I fanali blu di Josh puntati dritti nei miei mi innervosiscono parecchio, più di quanto vorrei. Mi sento sotto esame. Chiudo gli occhi e cerco di lasciarmi andare con scarsi risultati: sembro un pezzo di legno.
Perché diamine mi sto comportando così? Mi gira un po’ la testa, ok, ma sono ancora lucida a sufficienza da pormi certe domande. Ammesso e non concesso che io sia infastidita dal comportamento di Josh, non avrei certo il diritto di ripagarlo con la stessa moneta né, tantomeno, di provare gelosia. No, perché io e Parker siamo amici e sono stata proprio io a chiarire che non potevamo per nessuna ragione al mondo pensare di avere una relazione.
Cercare di concentrarmi di più su Henry Norris, questa sarebbe una bella idea: eviterei di lambiccarmi il cervello su altro e potrei anche essere incentivata a dimenticare Josh. Magari mi piacerebbe anche. Henry, dico.
Riapro gli occhi: lui mi sta sempre fissando ed è a pochi passi da me. Involontariamente, mi faccio ancora più vicina a Henry, mentre sento il cuore che continua ad accelerare per motivi a me ignoti.
Tento di voltarmi per cambiare visuale: preferirei guardare il muro, il pavimento, un tavolo, qualsiasi cosa pur di smettere di sentirmi come se fossi di fronte al Tribunale dell’Inquisizione che mi osserva attraverso quei perforanti occhioni blu. Girandomi, incrocio un altro sguardo a me familiare, però verde: Aud è poco lontana al punto dove mi trovo adesso e mi osserva con tanto d’occhi; Phil, al suo fianco, ha la stessa identica espressione. Ed è questo che mi costringe, alla fine, a staccarmi rapidamente da Henry mormorando solo “bagno” – ormai sta diventando la mia scusa preferita – e ad allontanarmi con passo da maratoneta dalla zona del locale adibita a pista da ballo.
Faccio per avvicinarmi alla toilette ma già da lontano posso scorgere la fila fuori dalla porta, quindi ci rinuncio in partenza – visto anche che il mio scopo principale è stare da sola, non tanto vedere la tavoletta del water – e mi dirigo verso la cucina, dove, fortunatamente, non c’è nessuno dato che Dave, occupato ancora a fare cocktail a tutti, non mi vede passare.
Mi infilo quasi correndo nel bagno di servizio e mi lavo subito il viso con dell’acqua fredda, dimenticandomi che sono truccata. Impreco, guardandomi allo specchio e notando gli aloni neri sotto che si sono creati sotto gli occhi. Il danno dovrebbe essere risolvibile, sta di fatto che ora sembro un panda. Sospiro.

“Non so se domani mattina avrò cambiato idea, ma se vuoi che mi dimentichi questa cosa… beh, va bene. Posso farlo, credo di essere più forte io.”

Maledizione, perché queste parole mi tornano in mente ora? È per darmi il colpo di grazia, immagino. Me le ha dette Josh sabato sera, quando è venuto a casa mia. So benissimo cosa vogliono dire: lui è più forte, lui mi vede solo come un’amica, lui mi ha baciata solo per divertirsi, lui può dimenticarsi tutto; io, invece, sono quella debole, io sono innamorata di lui e vorrei prendermi a sberle per questo, io sono stata male una settimana per quei cazzo di baci, io non posso dimenticare proprio niente, per quanto ci provi.
Odio questa situazione, odio me stessa e odio Josh per avermi costretta a far luce sui miei sentimenti. Che schifo.
Stringo i pugni tremanti: sono arrabbiata, delusa e forse anche gelosa.
Sento, ovattati e coperti dai rumori assordanti dentro la mia testa, dei passi che si avvicinano e, poi, la porta della stanza che si apre.
“Chi è quel tipo, quel Norris? Lo conoscevi già?” domanda una voce alle mie spalle che, per mia sfortuna, riconosco sempre al volo, anche se ho bevuto più del normale. Bene, stavolta non ha nemmeno aspettato che mi muovessi verso il giardino interno, mi ha direttamente raggiunto in bagno per farmi questa domanda idiota. Che fretta.
“Non sono affari tuoi,” ringhio senza muovermi di un millimetro e maledicendomi mentalmente per non aver chiuso la porta.
“Credo di sì, invece,” ribatte Josh dimostrandosi il solito egocentrico.
“E io credo di no,” ribatto furiosa fissando le mie mani appoggiate al lavandino.
“Perché non dovrebbe riguardarmi?”
Posso sentire la sua espressione scettica anche senza vederlo in faccia.
“Sai una cosa, Parker? Non tutto l’universo gira intorno a te!” sbotto esasperata voltandomi a guardarlo.
“Ma…” Non lo lascio continuare, ora tocca a me.
“Te l’ho presentato, cosa vuoi di più? Una richiesta di permesso per parlarci scritta in carta bollata e inviata ufficialmente a casa tua?”
“Jude…”
“O preferisci una cosa più ufficiosa? Posso chiedertelo qua?” Non aspetto che risponda. “Ok: Joshua Parker, posso parlare con quel tale, Henry Norris, per stasera? Non credo sia uno stupratore, ma se una qualsiasi cosa di lui ti insospettisce minimamente o se ti dà fastidio che anch’io mi diverta con un individuo dell’altro sesso, ti prego, Parker, impediscimi subito di continuare a frequentarlo! Sia mai che io faccia qualcosa senza il tuo esplicito consenso!” esclamo enfatica.
Quando finisco la mia filippica, Josh sta fermo di fronte a me a fissarmi con un sopracciglio alzato e la sua tranquillità ha come unico risultato il fatto di farmi innervosire ancora di più.
“Spostati,” borbotto minacciosa passandogli di fianco per uscire dalla stanza: Josh tenta di fermarmi appoggiando il braccio destro allo stipite della porta, ma io lo scanso sgusciando sotto di esso e mi dirigo verso il giardino. Che fantasia.
Mister Tranquillità ovviamente mi segue e non desiste nemmeno quando io tento di chiudergli la porta in faccia per stare da sola: sarà l’alcol, sarà la sua espressione pacata di poco fa, ma la voglia di tirargli un pugno sui denti è alle stelle. Se non gli sto lontana rischio di non resistere alla tentazione e di togliermi questo sfizio e forse – forse – dopo me ne pentirei.
Josh interrompe il mio flusso di pensieri prima che io decida davvero di arrivare alle mani. “È per quella faccenda di Zodiac?”
“Eh?!” Mi volto a guardarlo confusa: ma che diavolo sta blaterando?
 “Il film. Io…” Sta zitto un attimo e si gratta la fronte. “Parlando al telefono per sbaglio ti avevo detto il finale, pensando che l’avessi già visto.”
Mi fissa, forse è convinto di essersi spiegato, ma non è così. Gli faccio gesto con la mano di continuare. Sì, lo so che sono arrabbiata, furiosa e tutto il resto, ma al momento sono anche molto curiosa, perciò…
“Tu volevi vederlo. Zodiac, intendo. Avevi intenzione di guardarlo e io ti ho raccontato la fine.”
Decisamente ancora non ci siamo. “Quindi?”
“Sei arrabbiata con me per quello?”
Rifletto due secondi, convinta di avere le allucinazioni uditive. Dopodiché, appurato che purtroppo non è così, sbotto. “Ma ti è dato di volta il cervello?!”
“No?” pigola Josh con un’espressione buffissima a metà tra il deluso e lo speranzoso, sentimenti che, tra l’altro, insieme farebbero a cazzotti sulla faccia di chiunque altro, ma non sulla sua.
“Ma no! Cosa te lo fa credere?” chiedo stupita. Che cavolo, io neanche me la ricordavo questa faccenda del film, figuriamoci se ci pensavo giorno e notte. Ho altro a cui pensare, io. Purtroppo.
“Non so, io… ho pensato che… cioè, c’ho riflettuto. Sui tempi. Hai cominciato a evitarmi un paio di giorni dopo quell’episodio e…” Si blocca, sempre con quel broncio sul viso, e mi guarda di sottecchi.
Oddio, se non fosse una situazione assurdamente seria mi starei sganasciando dalle risate! Dev’essere completamente ammattito se ha creduto anche solo per un secondo che lo evitassi per una cagata del genere. Ma davvero, dai! Di sicuro non è del tutto sobrio neanche lui stasera, ma sembrava convinto mentre mi chiedeva se… se ero arrabbiata per Zodiac!
Scuoto la testa rassegnata alla sua stupidità e Josh riprende a parlare, stavolta infervorandosi un pochino.
“Insomma, Free, le ho pensate tutte, mi sono lambiccato il cervello per settimane. Penserei che te la sei presa per il ba… per sabato sera insomma, ma mi eviti da ben prima di quello e non provare a negarlo. Senza contare che mi hai baciato tu per prim…” A questo punto devo assolutamente interromperlo.
“Ok, ok, ho capito l’antifona,” scuoto la testa, “e non sono arrabbiata per il finale del film. Anche perché, diciamocelo pure, Parker, con tutte le stupidate del genere che mi hai combinato, avrei motivi buoni per non parlarti almeno per i prossimi duecentotrentasette anni,” annuisco sarcastica.
Senza pensarci, guardo irridente Josh e lui mi rimanda lo stesso sguardo, inarcando appena le sopracciglia. È un attimo, brevissimo e spontaneo, e dura un battito di ciglia, meno di un secondo, ma la complicità che leggo nei suoi occhi, la stessa complicità che lui legge nei miei, mi toglie il respiro e mi costringe ad abbassare la testa rapidamente.
Stiamo zitti entrambi per un po’ di tempo e posso sentire il suo respiro anche se non lo guardo: è rumoroso in tutto ciò che fa, questo mio migliore amico rompiballe, persino nel respirare riesce a farsi sentire da chilometri di distanza.
A interrompere il silenzio stavolta è stranamente la mia voce. Faccio un colpo di tosse e poi parlo, senza neanche sapere cosa sto dicendo.
“Beh, se hai… se hai finito con l’interrogatorio io tornerei di là,” mormoro esitante, pur sapendo che non dovrei esserlo né tantomeno mostrare a lui che lo sono, evitando il contatto visivo.
“Interrogatorio?” si corruccia Josh. “Io veramente… mi sembrava fossimo appena giunti a una tregua,” borbotta, riferendosi a quello sguardo giocoso di poco fa.
Mi si stringe appena lo stomaco, ma non posso fare a meno di stare sulla difensiva.
“Forse ti sembra male, allora,” continuo muovendomi per rientrare. “Vado di là.”
“Aspetta.” Parker si è di nuovo piazzato davanti alla porta e la rabbia, mista a qualcos’altro di tiepido e agrodolce, mi contorce ancora una volta le viscere quando sono costretta a guardarlo in faccia.
“Josh. Voglio tornare di là,” scandisco attentamente in modo che non gli sfugga nulla. Cavoli, ho bisogno di allontanarmi, ci vuole tanto a capirlo?
“Perché?” chiede lui dimostrandosi totalmente rincretinito.
“Perché ,” rispondo lapidaria io.
“Perché?” insiste lui non soddisfatto.
“Perché di là c’è una persona che immagino mi stia aspettando. E, se ben ricordo, c’è qualcuno che aspetta anche te, Josh-tanto-carino-Parker,” concludo non riuscendo a mascherare il pesante sarcasmo.
Mi pento subito di quello che ho detto, però, anche prima di vedere la sua reazione, che comunque non tarda ad arrivare: all’inizio rimane piuttosto interdetto e mi guarda con la solita rughetta tra le sopracciglia, dopodiché cambia espressione e, mentre un lampo di comprensione gli illumina il viso, distende la fronte e sorride impercettibilmente.
“Sei gelosa?”












Scusate il ritardo, a volte sono in vacanza pure io... E, a proposito di questo, non credo che aggiornerò per le prossime due settimane, perché sarò via. Non che qualcuno si taglierà le vene per questo, era solo per avvisare. :)
Detto ciò, ripeto che non manca molto alla fine della storia, un paio di capitoli, quindi sarei davvero contenta se chi l'ha letta volesse recensirla per farmi sapere che ne pensa. Rettifico: sarei davvero davvero molto contenta. Nel frattempo, ringrazio di cuore i preferiti, le seguite e chi ha recensito finora.

Emily Doyle: Anche a me piace un sacco Kerr, davvero: è il fratellone che ho sempre desiderato! :) E ovviamente, anch'io non amo Bridget... Perché, forse si capisce? In quest'ultimo capitolo, poi, la massacro... In realtà magari lei è anche una ragazza nella media, poveretta, solo che Jude è gelosa marcia quindi non può che detestarla.

xXBlack Rose OSheaXx: Mi fa piacere ricevere i tuoi complimenti per la caratterizzazione dei personaggi, è una della cose a cui tengo di più, anche perché io ce li ho proprio ben stampati in testa: per me è un po' come se esistessero davvero. E anche a te piace Kerr, che bello! Mi dispiace, ma purtroppo è già occupato... ^^ Potrei pensare di farlo ricomparire, visto che l'avete così apprezzato. Ah, e per la cronaca, io sarei contenta di non liberarmi delle tue recensioni...

FourWalls: Che bello: ti si formano le immagini in testa, non potevi dirmi cosa migliore! Grazie, davvero. Adesso sono troppo di fretta, ma prometto che appena torno faccio un salto a vedere la tua storia e a lasciare un feedback, visto che, da quello che dici, è simile alla mia. A presto, spero.

Quindi. Ci sentiamo tra un paio di settimane. Adios.


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Capitolo 7
*** Rivelazioni e assurdità ***


7. Rivelazioni e assurdità




“Sei gelosa?” chiede Josh con un’espressione indecifrabile in volto.
“C-cosa?” balbetto, evidentemente colta in fallo. “No! Sei matto? No. No.”
“Sei gelosa,” commenta ancora lui e stavolta non è una domanda. Sembra quasi soddisfatto di se stesso, in verità.
“No, Parker, ascolta, non sono… non lo sono, va bene? Di quella…” mi trattengo dal mollare un insulto che scoprirebbe definitivamente le carte, “di Bridget Milton poi, proprio no. Puoi uscire con chi ti pare. Solo, avrei voluto saperlo,” tento di salvarmi in corner senza grossi risultati: Josh sembra non aver nemmeno ascoltato il mio discorso e le sue parole me lo confermano.
“Jude, è ok. Sul serio, va bene. Sei gelosa,” ripete facendomi sgonfiare del tutto. “Che c’è di male? Anch’io lo sono di quel Mike.”
“Henry,” lo correggo meccanicamente prima di capire cos’ha appena detto.
Anch’io lo sono.
Josh non ascolta il mio appunto e continua, mentre il cuore mi balza in gola senza avvisarmi e prende a correre troppo veloce. No, a cuccia.
“Sono geloso di lui, perché ha passato tutta la sera con te e io no. Perché ti ha potuto dire che,” mi squadra con lo sguardo, “stai benissimo, anche se hai il trucco sbavato ora e sembri un piccolo panda,” continua con il sorriso nella voce, “perché ha bevuto, chiacchierato, ballato con te. Mentre io non ho neanche potuto parlarti due minuti o… o raccontarti il motivo del mio ritardo. E mi dispiace, ma sono geloso di quel tizio,” mormora, e sembra davvero, davvero afflitto.
“Qual è?” sussurro, mio malgrado preoccupata.
“Mh?” mugugna confuso Josh.
“Il motivo per cui sei arrivato tardi. È successo qualcosa?” gli spiego mentre mi do mentalmente della stupida per aver pensato che fosse in ritardo per ragioni futili e per averlo odiato. Era ovvio, conoscendo Josh, che doveva esserci qualcosa dietro, ma io l’ho capito solo adesso.
Lui, inaspettatamente, fa un sorriso sghembo e scuote la testa. “Come fai?” Ha il sorriso anche negli occhi mentre mi pone la domanda.
“Come faccio a fare cosa?” chiedo: è mai possibile che questo ragazzo abbia il dono di riuscire a confondermi con due parole due?
“A capirmi così bene. Ho detto sì e no mezza parola sul ritardo e tu già hai alzato le antenne radar e hai intuito che era successo qualcosa.”
“Cosa?” insisto.
“C.J. Ha chiamato dal carcere, pare sia finito dentro per una rissa delle sue, era in un locale mezzo ubriaco. Ho dovuto accompagnare Christine a prenderlo e a pagare la cauzione. Ora è a casa, ma onestamente non ho intenzione di averlo tra i piedi più del necessario, tantomeno voglio che mia madre ce l’abbia tra i piedi. Quindi, ho sentito Jack e ha detto che si preoccuperà lui di sentire una comunità di recupero per alcolisti e tutto il resto.” Tace un attimo riprendendo fiato, poi fa un sorriso malinconico e conclude. “Per una volta i miei sono d’accordo su qualcosa.”
Sono stata un’idiota ad arrabbiarmi con lui per il suo ritardo: già lo sospettavo ma ora ne ho la totale conferma.
C.J. è suo fratello maggiore, se n’è andato di casa quando Josh aveva appena quattordici anni e l’ha lasciato a smaltirsi i problemi familiari e i litigi dei suoi da solo. Non è mai stato un fratello granché responsabile, eppure in qualche modo Josh gli voleva bene: all’epoca suo padre, Jack appunto, – il mio amico ha l’abitudine di chiamare i suoi genitori per nome, quasi volesse distaccarsene – aveva un’altra donna e la situazione in famiglia era tesa e instabile. Quando mia madre ha scoperto che Christine, la madre di Josh, sapeva già tutto del tradimento del marito ma non voleva lasciarlo, ha tentato di farla ragionare, senza successo. È a quel punto che le nostre famiglie si sono allontanate: mia madre ha litigato con Jack, poi ha litigato anche con Christine, che la accusava di insensibilità. Io e Josh avevamo sì e no undici anni. Dopodiché, la storia è già conosciuta: anch’io e il piccolo Parker abbiamo preso a odiarci, finché non ci siamo riavvicinati all’inizio del liceo. Suo fratello C.J. se n’era andato di casa e aveva evidenti problemi con la legge, i suoi genitori stavano divorziando e lui aveva un immenso bisogno di affetto, amicizia e stabilità. Sono stata la sua ancora di salvezza e lui per me è stato un continuo stimolo a migliorarmi e a crescere. Adesso chissà cosa diventeremo.
Quando Josh finisce di raccontare, mi sento una merda. L’ho attaccato per il ritardo, senza pensare minimamente a come potesse sentirsi lui. Conosco alla perfezione i problemi della sua famiglia e immagino come possa essersi sentito: vorrà aiutare sua madre e proteggerla, si sentirà in colpa per suo fratello, sarà stupito perché Jack è tornato a fare il padre.
E stanco, con quello che gli è successo sarà sicuramente stanco. Eppure ora è qua davanti a me a sorridermi metà malinconico metà rassicurante, come se fossi io tra i due a stare peggio.
“Josh?” lo chiamo incerta.
“Sì?”
“Non ti capisco poi così bene.”
Lui sbuffa e rotea gli occhi. “Andiamo, non essere modesta anche in questo, Freeland. Hai capito senza che…”
“No, dico sul serio. Avrei dovuto intuire appena ti ho visto che c’era qualcosa che non andava, invece mi sono infastidita perché eri in ritardo e… beh, mi sono comportata in modo stupido.”
“Tranquilla, eri solo gelosa.”
Mi acciglio. “Sei un grosso idiota. Ti ho detto che non ero gel…”
“Sì, perché mi hai visto arrivare con quella stupida di Bridget Milton. E lo capisco, sul serio!” sorride canzonatorio e continua. “Cioè, lei è davvero una cretina…”
“Sei tu il cretino,” borbotto distogliendo lo sguardo senza però riuscire a interromperlo.
“…e, ti giuro, l’ho incontrata qua fuori per caso, non avevo previsto nulla. Anzi, se avessi previsto di incontrarla, certo mi sarei travestito da monaco buddista pur di evitarla. Mi ha tediato tutta la sera,” sospira con aria melodrammatica.
“A me non sembravi poi tanto tediato,” mugugno prima di riuscire ad autocensurarmi, dopodiché mi copro la bocca con la mano e lo guardo colpevole. Dal canto suo, Josh scoppia a ridere – per la cronaca, era da un po’ che non glielo vedevo fare e ora la sua risata mi toglie improvvisamente e inspiegabilmente un grosso peso dallo stomaco – e scuote la testa comprensivo.
“Vieni qui, dai…” mi ordina allegro, e nel dirlo si sporge e mi prende per stringermi a sé, cosa che non gli lascerò fare tanto facilmente. Mi oppongo come posso al suo tentativo di abbraccio, puntandogli le mani sul petto e piantando i piedi per terra, ma Josh è senza dubbio più forte di me. Mentre ancora ridacchia, borbotta uno “scema” a bassa voce, infine riesce ad avvicinarsi e allacciarmi le braccia dietro la schiena. O forse sono io che cedo e glielo lascio fare, dato che subito mi sciolgo al contatto e mi appoggio totalmente a lui.

“Sei gelosa,” mi sussurra di nuovo Josh all’orecchio, stringendomi di più e accarezzandomi i capelli. Questa frase è diventata il refrain della serata, basta!
“Smettila, cretino,” mi lamento senza però allontanarmi da lui.
“Beh, è così,” continua, sempre più convinto.
“No,” ribadisco, ma Josh sembra scettico.
“Com’è, allora?” chiede lui spostando la testa per guardarmi in faccia.
Mi prendo un po’ di tempo prima di rispondere e il mio silenzio è già di per sé abbastanza eloquente. Dopodiché mi stacco riluttante dal suo abbraccio, mi allontano di un paio di passi, mi giro dandogli le spalle e finalmente parlo.
“Ok, sono infastidita e magari in parte è dovuto alla gelosia. Ma è normale, sono la… la tua migliore amica e tu…”
Non mi lascia neanche finire la frase.
“Non si tratta solo di questo,” mi interrompe.
“Eh?”
“Sei la mia migliore amica, ma non si tratta solo di questo. Ci siamo baciati e…” comincia lui, ma stavolta sono io a bloccarlo sul nascere.
“Mi pareva fosse una questione chiusa,” sbotto infastidita dalla sua insistenza, voltandomi di nuovo a guardarlo.
“Non per me,” ribatte perentorio.
Ah, è così, allora?
“Josh, eravamo d’accordo. Ti ho detto di lasciarlo alle spalle e tu hai detto ok.”
“Non credo di sbagliarmi se dico che sull’argomento non sei d’accordo neanche con te stessa,” insiste il mio amico beccandosi una mia occhiataccia incenerente. “Come pretendi dunque di essere d’accordo con me, quando sanno tutti che litighiamo ogni piè sospinto?”
Assottiglio lo sguardo e incrocio le braccia, guardandolo senza capire dove vuole arrivare. “Cosa stai dicendo?”
Lui non sembra per niente impressionato dal mio show “il-capo-sono-io” e, anzi, mi lancia uno sguardo di sfida avvicinandosi un po’.
“Se adesso ti baciassi, come reagiresti?” chiede, e io per poco non faccio un balzo indietro.
Riesco miracolosamente a mantenere la dignità necessaria a restare ferma e squadrarlo con rabbia.
“Ti prenderei a botte,” rispondo decisa.
“Sicura?” domanda con un sorrisetto provocatorio, ma non si avvicina ulteriormente.
“Parker. Sì, fidati: ti prenderei a botte,” ribadisco senza sconvolgermi più di tanto: sono abituata a questi suoi giochetti psicologici idioti, senza contare che sono cresciuta con un fratello più grande e ho dovuto superare prove ben peggiori.
Josh non mi risponde, si limita a lanciarmi un’occhiata dubbiosa e ironica, incrociando a sua volta le braccia sul petto.
“Sei odioso quando fai così,” sbuffo girando la testa per prima, incapace di reggere i suoi stupidi occhi blu.
Josh sospira. “Ok, scusa,” dice, e si avvicina schioccandomi un rapido bacio sulla guancia prima che io riesca a comprendere le sue intenzioni. “Pensaci però,” conclude parlando direttamente al mio orecchio, dopodiché si volta e rientra nel locale.
Dovrei pensare a cosa?

Quando rientro del tutto al Marie’s, cioè dopo aver messo a posto la mia faccia che ormai era disastrata, mi sento non poco spaesata. Ho talmente tanti dubbi da risolvere che non mi stupirei se qualcuno mi si avvicinasse chiedendomi cosa sono tutti quei punti interrogativi che mi volano sopra la testa. Li posso sentire, che mi svolazzano intorno tutti allegri picchiandomi simpaticamente sul cranio, sia dentro che fuori.
Cosa devo fare ora?
Faccio, come prima, finta di nulla e continuo imperterrita la mia serata?
Cerco di mantenere un freddo distacco, anche se pare impossibile, e mi do all’alcol?
Vado da Josh e lo prendo a sberle? Lo bacio davanti a tutti? Lo guardo da lontano? Lo ignoro?
Mi nascondo in un angolino e intanto chiamo Kerr perché mi venga a prendere il più in fretta possibile?
Parlo con qualcuno dei miei amici – Aud o Dave – del casino incommensurabilmente grande che ho combinato?
Queste ipotesi mi sembrano una più spaventosa dell’altra, a dirla tutta.
Come dici? No, non ho alcuna intenzione di andare veramente là e baciarlo davanti a decine e decine di persone che conosco, non sono una masochista e comunque non risolverei un bel niente. Era solo una battuta la mia; anzi, ti dirò, è assai più probabile che decida di prenderlo a sberle. Oltretutto, se lo meriterebbe non poco.
No, non è vero, non lo meriterebbe. Non ha fatto nulla di male, è stato onesto, forse un po’ criptico, ma onesto.
Una cosa però potrei farla adesso, giusto per rimanere in tema onestà: immagino che Henry sia ancora qui da qualche parte ad aspettarmi, accidenti. L’ho abbandonato una mezz’oretta fa ormai, dopo essermi strusciata addosso a lui durante quel ballo: se ci penso mi vergogno immensamente di me stessa, tanto che vorrei scavarmi una buca. Una cosa del genere non l’avevo mai fatta. Se davvero Henry era interessato a me nel senso romantico del termine, io l’ho illuso in maniera colossale e ingiusta, pur sapendo di avere in testa un altro ragazzo che, purtroppo, non sparirà dai miei pensieri molto facilmente.
Ora devo cercarlo e parlargli con sincerità, almeno per mettermi apposto la coscienza.
Eccolo là, lo vedo. È seduto a un tavolo che parla con qualche suo amico, immagino. Mi avvicino con cautela – sono una fifona, lo so – e gli tocco la spalla per chiamarlo. Non appena si gira, Henry mi sorride e io mi sento molto, molto in colpa.
“Ehi, sei qui. Dov’eri finita?”
“Scusa, Henry, mi dispiace tanto, davvero. Non so che intenzioni hai con me, cioè, magari non ti piaccio nemmeno, comunque mi dispiace, ma non possiamo uscire insieme. Nel senso… non so se a te interessa davvero, comunque… c’è un altro e… non è che sono fidanzata, no no, solo ho la testa troppo occupata al momento e non avrei mai dovuto comportarmi così, sul serio, sono una stronza. Scusa.”
Ho parlato senza praticamente fare pause, tutto d’un fiato. Non mi sono neanche resa conto di quello che stavo dicendo, e adesso mi sento una perfetta idiota: ho appena espresso a parole senza il filtro cervello-bocca ciò che mi passava per la testa, e il risultato non è stato certo dei migliori.
Henry, infatti, mi guarda come se avessi parlato aramaico e non accenna a muoversi per diversi secondi. Dopodiché, si mette a ridacchiare e scuote la testa.
“Va bene,” risponde soltanto.
“Co-come?” balbetto io, sorpresa e ancora intontita dall’alcol.
“Ho detto che va bene. L’ho capito dall’inizio della serata che non ci stavi con la testa. Non nel senso che sei pazza eh,” specifica carinamente, anche se avrebbe i suoi buoni motivi per pensarlo. “Cioè, si vedeva che pensavi ad altro.”
“Davvero?”
“Sì,” fa lui, alzando le spalle, “ma non fa niente.”
“Tu sei troppo buono con me,” mormoro, quasi affranta dalla sua reazione.
“Forse hai ragione, me lo dicono in molti…” afferma Henry pensieroso grattandosi il mento. “Comunque, a questo punto io torno a casa coi miei amici che stavano andando. Se dovessi cambiare idea,” continua prendendo un pezzo di carta e facendo spuntare una matita da non so dove, “questo è il mio numero,” conclude porgendomi il foglietto dopo averci scribacchiato sopra delle cifre.
“Ciao Jude,” mi saluta infine, sorridendo appena, e se ne va.
La conversazione che abbiamo appena avuto è talmente inverosimile che resto immobile per diversi secondi, col numero di Henry ancora in mano, domandandomi se sto sognando e se tutta la scena è frutto della mia mente malata. Ma contate le cose assurde che mi sono successe di recente, direi che quest’ultima diventa quasi quasi probabile.

Sono ancora ferma immobile nel punto in cui mi ha lasciata Henry da un tempo variabile tra i dieci secondi e i dieci minuti. Non so bene quanto, insomma. Credo che il mio cervello si sia incastrato, perché non riesce a formulare pensieri coerenti, dato che mi rifiuto di definire coerente la marea che mi è passata finora per l’anticamera della testa. È un casino pazzesco, che suona tipo così:
Josh, Josh, Josh, cosa faccio? Josh, ho bevuto troppo! Josh, Josh, “Pensaci però”, Henry, assurdo, Josh,
“Se ti baciassi adesso, come reagiresti?”,
“Non capisco neanch’io che sta succedendo, Free”,
“Sei gelosa”,
“Allora dovresti buttarti”.
È un casino pazzesco e piuttosto ripetitivo, oltretutto. Perlopiù penso a Josh, a frasi dette da Josh, a cose legate a Josh, tranne qualche piccola intrusione di Henry e quell’ultima frase, quel “dovresti buttarti” detto da quello sciroccato di mio fratello.
Non so cosa fare, non so cosa voglio. Odio Josh per avermi costretto a pensarci, odio il mio cervello che non sa partorire un pensiero decente, odio il fatto che il prossimo passo tocchi necessariamente a me, perché non so assolutamente come muovermi. Anzi, so che preferirei stare ferma in eterno, ma purtroppo non è possibile.
Vedo vagamente una mano che mi sventola allegra davanti agli occhi e per poco non mi viene un infarto. Sbatto un paio di volte le palpebre, riprendendomi, e identifico la persona che mi sta di fronte e mi guarda con espressione preoccupata e divertita.
“Tutto bene?” domanda Matt, piegando leggermente la testa di lato e sorridendo.
“Sì,” rispondo, poi scoppio in una risatina isterica. “Mi hai fatto prendere un colpo.”
“Testa da un’altra parte, eh?” mi chiede furbo lui, con l’aria di chi la sa lunga.
“Un po’,” ammetto, tornando seria.
Naaah, Matt non sa proprio nulla, sono solo io a vedere malizia anche dove non c’è.
“Immagino,” dice sorridendo. E, di nuovo, sembra davvero che sappia tutto.
Stupida paranoica, mi insulto mentalmente.
Alzo un sopracciglio, tentando di sembrare minacciosa. “Tu non dovresti essere a lavorare?”
“Mi sono preso un attimo di pausa, dato che la gente comincia ad andarsene. E tu? Cosa ci fai qui ferma come un palo?”
Scuoto la testa, ripensando alla conversazione con Henry. “Ho appena parlato con un ragazzo, un certo Norris.”
“Chi? Quel tipo tappo e castano con cui hai ballato?”
Pare che quella parte della serata l’abbiamo trasmessa in mondovisione: mi hanno vista proprio tutti, eh.
“Non è basso,” specifico scioccamente.
“Beh, è più basso di me,” si difende Matt scrollando le spalle.
Rido. “Non tutti sono dei principi azzurri biondi e perfetti.”
Lui alza di nuovo le spalle. “Che gli hai detto per farlo scappare così?”
Tentenno, poi decido di dirgli la verità. Gli racconto velocemente come ho passato la serata con Henry e lui mi ascolta interessato. Arrivata alla fine, concludo spiegandogli l’ultima stranissima conversazione.
“Credo di aver bevuto un po’ troppo e mi si è inceppato il filtro cervello-parola. Ho parlato a macchinetta, sembravo un’idiota. Gli ho detto che non posso uscire con lui, in breve.”
Matt ridacchia, sembra divertito. Lancia fugacemente un’occhiata dietro di me, dopodiché mi risponde. “Ti si dovrebbe inceppare più spesso il filtro cervello-parola o cervello-azione, a te. Ti farebbe bene.”
Non capisco cosa sta farneticando. “Perché?”
“Ti impedisce di fare molto, quel filtro. Ti blocca. Cacchio, dovresti farti meno problemi e agire di più.”
“Cosa intendi?”
“Jude, sei innamorata persa, ormai si vede a chilometri di distanza. Perché non ti dai finalmente una mossa?”
“Eh??” Sbianco spalancando la bocca, paralizzata.
“Non fare quella faccia, è evidente,” spiega Matt sorridendo di nuovo. “Voi due siete sempre così perfetti insieme. E poi tu ultimamente hai la testa che non funziona, dev’essere per forza colpa di un ragazzo. Chi altro, se non il nostro amico J.P.?” dice guardando di nuovo un punto alle mie spalle.
Sto avendo in questo momento un’altra conversazione inverosimilmente assurda, con Matt tra le altre cose, per dio. Non che io abbia qualcosa contro il mio amico ma… beh, nel gruppo è quello forse più distante da me, nel senso che è quello con cui parlo di meno. Mi sarei potuta aspettare che Audrey, sempre così attenta ed empatica, capisse qualcosa dei miei sentimenti. David con la sua sensibilità gay intuisce spesso ciò che provo, non mi sarei stupita più di tanto che sospettasse di me e Josh. Anche Delia forse, data la sua immensa maliziosità, avrebbe potuto capire. Ma se mi avessero detto che avrei fatto una conversazione del genere con Matt, non ci avrei mai e poi mai creduto. Cioè… è la serata dell’Impossibile! Io non mi confido mai con Matt e, nonostante questo, lui ha capito tutto, ma proprio tutto.
Scuoto la testa. “Sono così trasparente?”
“Abbastanza,” ammette il mio amico. “Magari non volevi confidarti con me, ma mi sembra una cosa stupida che tu stia ancora qui a lambiccarti il cervello. Elimina quel filtro e agisci, giovane!” esclama enfatico.
Decido di contrattaccare, con l’argomento Delia. “Senti chi parla! Tu è da anni che sei attratto dalla nostra amica in comune!”
“Audrey è molto bella, ma non è il mio tipo,” ribatte Matt senza scomporsi.
“Non fare il furbo con me, sai di chi stiamo parlando, e non è Aud!” gli rispondo.
Lui sospira. “È più complicato di quello pensi. E poi Gray a quest’ora sarà imbucata con qualche bel ragazzo,” dice guardandosi intorno. “È più complicato di ciò che pensi,” ripete.
“Lo è anche per me,” sussurro abbassando gli occhi, triste di fronte alla consapevole arrendevolezza di Matt.
“Non lo è,” dice convinto lui. “Se tu lo vuoi e se fai qualcosa, non lo è. Non per te e Josh.”
Sono stupita, esterrefatta e stralunata da questa chiacchierata. Ripeto, è la serata dell’Impossibile, non c’è altra spiegazione!
Io e Matt stiamo un po’ in silenzio, poi sentiamo entrambi David che chiama dal bancone del bar. “Matt, vieni. Ho bisogno del tuo aiuto.”
“Scusa, il lavoro mi chiama,” dice Matt allontanandosi. “Elimina il filtro, Jude.”
“Dovresti seguire tu stesso i consigli che dai agli altri, sennò non valgono un tubo!” gli urlo dietro mentre se ne va.
Lui mi guarda sorridendomi un’ultima volta.

Dopo quest’assurda conversazione – assurda come tutta la mia vita nelle ultime settimane, tanto che sto pensando di cambiare nome in Judith Absurdity Freeland – non capisco più se tutte le persona intorno a me sono contro di me o stanno realmente cercando di aiutarmi. Prima mio fratello che mi dice di buttarmi, poi Matt che vorrebbe vedermi eliminare il filtro cervello-azione: entrambi mi hanno tutto sommato suggerito la stessa identica cosa e, cavoli, sono due persone che mi vogliono bene e che quindi desiderano il meglio per me.
Che poi, io davvero non so cosa voglio fare? O perlomeno, davvero non so cosa voglio? Mi sto mentendo. Io so cosa vorrei, solo che ho paura di pensarlo ad alta voce. Sempre che sia possibile, pensare ad alta voce.
Ci proverò, comunque. Io sono innamorata di Josh. Io vorrei… scappare in Groenlandia e non vederlo mai più. No, non è vero. Sii seria, Jude.
Ok, allora. Vorrei essere rimasta a casa sotto le coperte con Gandhi, stasera e per sempre. No. Quella che parla è la mia voce da fifona, quale io sono.
Cerco con lo sguardo il mio migliore amico e lo trovo dall’altra parte del locale, proprio dove aveva sbirciato Matt mentre parlavamo. È ordinatamente appoggiato con la schiena al muro mentre chiacchiera con un ragazzo che non conosco. Il cuore mi si ferma per un paio di battiti, colpevole e rivelatore. Josh sorride, si gratta un orecchio, dice qualcosa. Non vedo Bridget, per fortuna.
Va bene. Sono innamorata di Josh, l’ho già detto. Sono pazza di lui e ora vorrei… vorrei andare là e…
“Sei ancora qui?”
Matt interrompe i miei pensieri facendomi nuovamente trasalire.
“Sembri un pesce lesso, Jude, dovresti…”
Non ascolto neanche quello che ha da dire, sono già in movimento. Cammino con gli occhi puntati su Josh e il cuore a mille.
Sento già che sto per fare un’assurdità, l’ennesima della serata. Ma non mi fermo.













Chiedo perdono per il ritardo, ma avevo avvisato che sarei stata un po' via. E, una volta tornata, il capitolo era ancora da  finire.
Ora manca solo l'ultimo: devo ancora scriverlo, ma ce l'ho tutto in testa, circa. Beh, insomma, lo strazio di Jude sta per finire, contenti? :)
Taglio corto e rispondo alle recensioni...


Aika_chan: Ossignore, non ci posso credere che abbiamo due personaggi che si chiamano alla stessa maniera! ^^ Certo, Josh Parker non sarà un nome originalissimo, ma non è neanche il più banale in circolazione, che assurdità! Ora non ho molto tempo, ma appena posso a sto punto passo a vedere la tua storia, è d'obbligo; anche perché mi hai fatto i complimenti anche per il nick, quindi... A presto.

xXBlack Rose OSheaXx: Noooo, povero Josh, non massacrarmelo così! In realtà è più furbo di quello che lo faccio sembrare, contando anche che la storia è raccontata da quella sciroccata di Jude... Solo che ha bisogno dei suoi tempi, povera stella... ;)

Novembre: Grazie per i complimenti sulla storia e... No, non provo alcuna avversione per le bionde, giuro. Sarebbe una cosa stupida perché, ti dirò, ho i capelli di un bel biondo scuro! :) Pensa che Bridget è descritta attraverso gli occhi di Jude, che ovviamente la odia per i motivi a noi noti, quindi ogni motivo per lei è buono per insultarla. In realtà, in questa storia mi sono allenata con un po' di cliché stupidi e banali, ma divertenti da trattare: quello dell'amicizia-amore (Josh/Jude), quello dell'amore-odio (Delia/Matt), e anche quello dlle bionde oche, a cui in realtà non credo per nulla. Ne ho usati anche altri di cliché, ma non sto qui a tediarti. Volevo solo specificare che sono bionda e felice di esserlo!

FourWalls: Oh, grazie mille per la definizione "film", ancora. Prometto che appena ho un po' di tempo vengo a leggere la tua storia, è che sono appena tornata e ci tenevo ad aggiornare, sorry.


Alla prossima e ultima puntata, gente! Au revoir..


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Capitolo 8
*** Sfide istantanee e sfide quotidiane ***


8. Sfide istantanee e sfide quotidiane




In poche falcate che sembrano durare un’eternità – evidentemente ho perso del tutto la percezione del tempo e dello spazio – sono vicina al mio migliore amico.
“Josh,” lo chiamo. La mia voce trema, lo sento benissimo, ma il tono sembra, apparentemente, sicuro.
Lui, ancora intento a parlare con quel tizio, si volta e mi vede, poi sorride e, maledizione, gran parte del mio autocontrollo sparisce in quest’istante, lo percepisco proprio volare via di gran carriera.
“Dimmi,” mi incita Josh continuando a guardarmi e sorridermi, facendo così in modo che anche la poca sicurezza che avevo racimolato venendo qua strisci via, vigliacca. D’altro canto, invece, il mio amico sembra completamente tranquillo, come sempre in fondo, accidenti a lui.
“Sì, ecco… dovrei parlarti un attimo. N-non è che potremmo uscire?” chiedo poco convinta.
“Puoi parlarmi anche qua, no?”
Mi sta prendendo in giro? Il mio sguardo si posa un attimo sul ragazzo con cui stava chiacchierando fino a poco fa, per poi tornare a lui titubante.
“È che si tratta di una cosa…”
“Tranquilla, Terry è un amico,” mi interrompe Josh. “Dimmi pure, cara.”
Terry? E chi diavolo è questo Terry? Io non l’ho mai visto. Josh mi sta decisamente prendendo in giro, mi ha anche chiamata “cara”. Peggio, anzi, mi sta sfidando, e lui sa perfettamente come io accolga le sfide.
Lancio un’occhiata a questo Terry che, intimorito, fa un paio di passi indietro e biascica un “io andrei a…” che rimane inconcluso. Devo averlo fulminato, povero.
“Parker,” alzo un po’ la voce, assottigliando gli occhi per tornare a guardare Josh, “ho detto che preferirei andare fuori.”
Diverse persone si girano dalla nostra parte, incuriosite, ma ormai me ne frego, anche perché Josh continua a sorridere splendido e sereno e, anzi, ora ridacchia, come a conferma del fatto che vuole solo farmi infuriare.
“E io ho detto che preferirei che tu dicessi quello che hai da dirmi qui,” ribatte alzando le spalle. “Di cos’hai paura, Free?”
Questa è la goccia che fa traboccare il vaso.
Di cos’ho paura? Adesso glielo faccio vedere io, di cos’ho paura.
“Perfetto,” scandisco sicura. “Come vuoi tu, allora.”
E senza lasciargli il tempo di dire “a” – perché se parlasse ancora credo che lo ucciderei all’istante – gli sono addosso, letteralmente addosso, e lo bacio.
Così impara, stupido cretino che non è altro.
Per riflesso spontaneo, mentre il mio cuore parte per conto suo e i fuochi d’artificio cominciano nella mia testa, porto le mani fra i suoi capelli, spettinandoglieli ancora di più, e questa sì che è un’impresa. Josh, dal canto suo, sorride – ancora! – sulle mie labbra e risponde al bacio allacciandomi le braccia in vita per stringermi a sé.
Che storie. Avrei scommesso che non sarei mai riuscita a fare una cosa del genere, invece eccomi qua, abbarbicata al mio migliore amico, come se dovessi respirare dalla sua bocca. Perché in effetti è così, io ne avevo bisogno, ne ho bisogno. E se questa è davvero la serata dell’Impossibile, una cosa così poteva succedere solo oggi.
Sento Josh che ridacchia e si stacca appena da me. Apro gli occhi e lo guardo interrogativa, sempre che i miei muscoli facciali funzionino ancora.
“È un raptus anche questo?” mi chiede lui provocandomi diversi tuffi al cuore con la sua voce leggermente roca.
“Sì, no. Cosa…? Cioè, no.”
Josh aggrotta la fronte alle mie farneticazioni, aspettando una risposta più chiara.
“No,” dico quindi, convinta. “Josh, io so perfettamente cosa sta succedendo, invece. E se tu non…”
“Anch’io, Jude,” mi interrompe lui, smagliante come sempre, se non di più. “Bene, vedo che siamo d’accordo, allora.”
E dicendo questo si sporge ancora su di me e mi bacia, zittendo le centinaia, migliaia e milioni di domande che mi frullano per la testa. Qualcosa si scioglie all’altezza del mio stomaco: ha ragione, non è questo il tempo delle domande, non ora.
Josh mi bacia profondamente, come per trasmettermi quello che sente, poi mi dà un paio di baci a fior di labbra, giocando sulla mia bocca, infine si stacca di nuovo, si guarda intorno con aria divertita e parla.
“Direi che adesso possiamo andare fuori,” dice ridendo appena e passando lo sguardo da un lato all’altro del locale.
“Perché?” chiedo ingenuamente io, continuando a guardare Josh come calamitata dalla sua figura.
“Guarda un po’ tu…”
A questo punto mi ricordo tutto d’un colpo di trovarmi in un locale pieno di gente. Di gente che conosco, perlopiù, e che conosce me. Pieno di persone che ora probabilmente avranno visto in diretta la mia follia dilagante e il bacio fra me e Josh.
Faccio una smorfia consapevole e colpevole mentre mi giro verso il centro del locale e Josh, continuando a ridacchiare come uno scemo, mi appoggia una mano sulla spalla.
Ok. La buona notizia è che il Marie’s non è pieno come l’avevo immaginato nella mia testolina bacata: forse buona parte delle persone sono già uscite alla ricerca di altre baldorie notturne, visto che comincia a essere tardi e fra non molto il locale chiuderà.
La cattiva notizia – perché c’è sempre una cattiva notizia – è che, comunque, tre quarti dei presenti ci stanno guardando e alcuni addirittura ci indicano e sogghignano divertiti.
Vorrei sotterrarmi. Quando mi giro io, qualcuno fa finta di nulla e si mette a parlare con noncuranza col proprio vicino, altri – una decina di persone, tutte conosciute, purtroppo – continuano a guardare me e Josh stupiti. Tra questi ultimi ci sono, com’è ovvio, tutti i nostri amici.
Audrey e Phil, in piedi vicino a un tavolo, ci guardano con tanto d’occhi, lei in particolare sembra pietrificata, chissà se respira; Delia è attaccata al braccio di un ragazzo biondo, come se avesse avuto un mancamento, e appena i miei occhi incontrano i suoi esclama con voce altissima un “Jude, tesoro!”, poi boccheggia e basta; a questo punto cerco con lo sguardo Matt e Dave e li trovo entrambi accanto al bancone del bar, con facce stupite e divertite. Il primo non sembra neanche troppo esterrefatto, in realtà, probabilmente appena mi ha visto avvicinarmi a Josh è andato ad avvisare David e si sono messi a guardarci insieme, come se fossimo un film in prima serata: è strano che non stiano sgranocchiando dei popcorn, tanto sembrano interessati alla scena.
“Hai ragione,” mormoro a Josh, rendendomi conto di aver bisogno di respirare, “è meglio se usciamo, adesso.”
Josh mi afferra la mano con sicurezza e mi trascina verso la porta. Per uscire, ovviamente, dobbiamo attraversare per lungo tutto il locale. Che razza di sfiga.
Quando siamo ormai poco lontani dall’uscio, mi giro di nuovo verso i miei amici. Aud e Dee si sono avvicinate e parlottano tra loro, lanciandomi occhiate sorridenti e stupite; poco più in là vedo Matt che ci strizza l’occhio mentre Dave al suo fianco alza entrambi i pollici nella nostra direzione, e mi scappa da ridere.
Sono dei totali cretini, ma sono i miei amici, e io li adoro.
Dave dice una cosa nell’orecchio a Matt e quest’ultimo alza la mano per intimare a me e Josh di fermarci, proprio mentre stiamo per uscire. Poi la musica di sottofondo si abbassa e Matt sale su una sedia, facendosi notare da tutti.
“Gente!” esclama con enfasi mentre le persone si voltano a guardarlo. “Per favore, un applauso ai nostri amici là sulla porta, Josh Parker e Jude Freeland, che finalmente hanno deciso di smetterla di dirsi fesserie a vicenda e di saltarsi addosso!”
Ma che stupido! Ho gli occhi sgranati e vorrei sprofondare al centro della terra in questo momento, ma mi scappa comunque una mezza risata.
Tutti i presenti accennano un applauso e qualche fischio di approvazione, mentre la musica riparte e Josh fa qualche inchino a destra e sinistra. Apro la porta e lo trascino fuori con la forza, ridendo e vergognandomi contemporaneamente.
Non appena siamo all’esterno, Josh mi tira a sé abbracciandomi forte, risparmiandomi così l’imbarazzo di doverlo guardare negli occhi qua da soli, ora che l’effetto dell’adrenalina di prima è sparito.
“Non ci posso credere!” borbotto sulla sua spalla, divertita.
“Neanch’io,” commenta Josh dandomi un bacio sulla guancia, “ma va bene così.”
Fa per sporgersi nuovamente sulla mia bocca, ma io piego il collo indietro e lo guardo, semiseria, negli occhi.
“E Bridget Milton?” gli domando con un tono fintamente preoccupato.
Un lampo divertito passa nei suoi occhi mentre mi si avvicina ancora, e ancora.
“Lo dicevo, io, che eri gelosa.”



Of all the people in the world that I know
You're the best place to go when I cry,
When I cry.
I never asked for much before, not before,
Things are changed: I need more.
Tell me why, Judy, why.



È di nuovo venerdì. Ma va’? Strano.
Lo vedi, sei prevenuto, o prevenuta, comunque sia. Non è venerdì sera, è venerdì mattina. Questa, per esempio, è una novità anche per noi, sempre così metodici, eppure sempre così imprevedibili.
Imprevedibile è proprio uno degli aggettivi che più mi si addice, in effetti, dalla serata dell’inaugurazione. Certo, quella volta sono stata aiutata da una dose di alcol superiore al normale, ma ho fatto una cosa che rimarrà negli annali del Marie’s. I miei amici la raccontano già come se si trattasse di una storiella mitologica ma loro, si sa, sono di parte. Quel che è certo è che, baciando il mio migliore amico lì di fronte a tutti, ho fatto la cazzata più grande e più bella della mia vita, e ancora glielo rifaccio a quell’incosciente di Josh di avermi assecondata così.
Sono passati quasi due mesi da quel venerdì sera d’ottobre e, anche se quasi mi secca dirlo, perché sarebbe come ammettere che prima mi sono fatta tante pare mentali per nulla, sono stati forse i due mesi più sereni della mia intera esistenza. Non privi di parapiglia, eh, figuriamoci. Io e Josh insieme non potevamo che creare una gran confusione: in noi, nelle nostre vite e nelle vite di chi ci sta accanto, familiari e amici. Ma è una confusione bella, dinamica e al tempo stesso rassicurante.
Le nostre famiglie, ad esempio, fanno a gara per averci entrambi insieme a cena nell’una o nell’altra casa. D’altra parte, i nostri teatrini sono notevolmente migliorati da quando stiamo insieme: scherziamo, litighiamo per finta, ci facciamo smorfie assurde per dietro e poi ridiamo, ridiamo un sacco. Mio padre dice che siamo “divertenti”; mia madre aggiunge “e teneri”. Bleah, roba da far venire il diabete. Addirittura Kerr viene a trovarci un po’ più spesso da allora. Io sospetto che tenga d’occhio Josh, per quanto si fidi di lui. È pur sempre il mio fratellone.
In verità, quando, la sera stessa del patatrac, gli ho raccontato cos’era successo, Kerr ha commentato dicendo: “Che uomo coraggioso, quel Parker. Dovrò vederlo per fargli i miei migliori auguri per i tempi a venire, povero martire”. Però, appena ha avuto l’occasione di parlare con Josh, mio fratello non si è smentito e – ho saputo poi – gli ha ricordato, gentilmente, di trattarmi con riguardo, che sennò se ne sarebbe pentito.
I nostri amici, invece, sono già più che abituati a noi, anche perché i nostri comportamenti non sono certo cambiati in modo eclatante: ok, qualche sguardo languido, carezza o bacetto ogni tanto ci scappa, ma non siamo tipi da smancerie esagerate in pubblico. Fondamentalmente, siamo gli amici di prima, e molto, molto di più. E va benissimo così, perché non avrei mai voluto perdere l’amicizia costruita in questi anni: è importantissimo per me parlare, scherzare, litigare quotidianamente con Josh.

Quindi, eccoci di nuovo qua, come in uno scontato film già visto e rivisto mille volte. Il gruppo del venerdì sera stavolta si è ritrovato di venerdì mattina e l’occasione lo rendeva necessario: è il compleanno di Delia, oggi, e noi siamo tutti qui, in mezzo al familiare profumo di brioches del Marie’s, a fare la solita divertente, allegra confusione.
“Et voilà! I vostri caffè.”
Stavolta ci facciamo servire da Alfred, il padre di Dave, ovvero il proprietario del nostro bar di fiducia. D’altronde da quando David si occupa del locale notturno non ha più molto tempo di aiutare suo padre servendo ai tavoli anche la mattina.
“Grazie Al,” diciamo in coro come dei bravi scolaretti addestrati.
“Non c’è di che,” risponde lui ridacchiando – io adoro quest’uomo, ma è una storia a parte, purtroppo.
“Ah, Delia, bambina, è il tuo compleanno oggi… Auguri!” Al si premura di darle due baci sulle guance, poi si ferma un attimo a chiacchierare con lei del più e del meno.
Dicevo, oggi è il compleanno di Delia, per la quale – ma lei ovviamente non lo deve sapere – stiamo anche organizzando una festa a sorpresa, per stasera. Dee adora le feste. E ultimamente è un po’ più giù di tono del solito: niente di grave, eh, solo, gli schiamazzi e le risate sembrano essere diminuiti.
E ha nuovamente cambiato look, la pazza. Si è fatta un nuovo taglio di capelli, che ora sono piuttosto corti e asimmetrici e – udite udite! – è tornata del suo colore naturale, cioè quel fantastico biondo cenere che io le ho sempre invidiato ma che lei ha sempre inspiegabilmente coperto con tutte le tinte possibili e immaginabili. Ora, non so cosa sia stato a farle cambiare idea, solo che Dee ha deciso che, sì, tutto sommato poteva dare una nuova possibilità ai suoi capelli e circa una settimana fa ci si è presentata conciata così. Sta davvero bene, fra l’altro.
Gli altri miei amici, invece, sono sempre i soliti: ci sono Aud e Phil che parlano di qualcosa con Matt, qua accanto a me; più in là, poi, c’è Dave con delle leggere occhiaie – il locale gli porta via davvero molto tempo ed energie – che sorseggia il caffè e guarda distratto il quotidiano che Josh sta sfogliando.
Do un’occhiata a Josh mentre lui, ignaro, legge attento un articolo particolarmente interessante. Che faccia da scemo che fa quand’è concentrato. Davvero, devo ricordarmi di dirglielo, perché lui non se ne rende conto. Aggrotta leggermente le sopracciglia e socchiude le labbra, mentre si passa per riflesso spontaneo una mano tra i capelli già scompigliati. Bello, lui.
Poi, mi concentro sulla conversazione di Al e Dee.
“E così,” sta dicendo lui, “hai cambiato di nuovo look.”
“Sì, sai come sono fatta,” risponde in tono confidenziale Delia, “ho bisogno di cambiamenti radicali, di tanto in tanto. Non ci posso fare niente.”
“Già, già…” ridacchia lui, e nei suoi occhi passa della malizia, mentre si prepara a porle la domanda successiva. “E dimmi, è per un ragazzo anche stavolta?”
Dee arrossisce visibilmente. Nessuno la sta guardando, purtroppo, ma io l’ho vista e ne sono sicura, è arrossita! Non ho mai visto una cosa simile, cioè… lei non si imbarazza mai e mai e mai.
“No, Al, ma che dici!” risponde con un sorriso tirato.
Qua c’è qualcosa che mi puzza. Scocco un’occhiata anche a Matt e lo scopro che si è distratto dalla conversazione con gli altri e anche lui sta guardando Delia di sottecchi, tentando di non farsi notare. No, non è possibile. Mi sono immaginata tutto, dev’essere così.
A questo punto Josh, dall’altra parte del tavolo, attira la mia attenzione, sventolando il giornale e chiamandomi.
“Batuffolo, vieni un attimo qui.”
Sbuffo, fingendomi annoiata, mentre sento il cuore accelerare appena. “Parker, te l’ho già detto, non chiamarmi così. Non in pubblico.”
“Che c’è di male? Ti chiamo Batuffolo da un sacco di anni,” dice alzando le spalle.
“Sì, ma… prima che ci mettessimo assieme non suonava così sdolcinato,” specifico storcendo il naso e alzandomi per avvicinarmi a Josh. È vero, sono allergica alle colate di miele in pubblico, e allora? Mi fa piacere che Josh mi dia delle attenzioni ma mi imbarazza che lo faccia davanti agli altri. Sono solo fissazioni mie, immagino.
“Oh sì, invece.” Dave interrompe il nostro piccolo battibecco, ridendo sotto i baffi. “Suonava decisamente sdolcinato già da un po’. Fidati.”
Josh ride, mentre io, ormai in piedi dietro la sua sedia, gli appoggio una mano sulla spalla e una a carezzargli i capelli.
“Hai sentito?” fa lui sornione. “Eravamo teneri e sdolcinati anche prima. Fattene una ragione, Batuffolo.”
“Va’ al diavolo, Parker.” Sorrido, mentre lo dico, risultando così poco credibile.
Josh riesce a farmi abbassare per stamparmi un bacio sulla guancia, prima di farmi vedere l’articolo che poco fa lo interessava tanto.
Glielo dico o non glielo dico che mentre è concentrato sembra un perfetto pesce lesso? Ma no, dai, è più divertente così. Potrei riservare questa cartuccia per un altro dei nostri battibecchi, si offenderebbe un sacco in quel caso.
Mi piego e appoggio il mento sulla sua spalla mentre lui, totalmente preso dall’argomento, continua imperterrito a parlare.
Eh sì, per come siamo fatti, stare insieme per me e Josh è una sfida quotidiana ed eternamente aperta. Ma se così non fosse non sarebbe neanche divertente.
Mi piacciono le sfide, l’ho già detto?



I never thought that I would need, need a friend,
Oh, but I did in the end…
Tell me why, Judy, why.











Allora, L'HO FINITA!!! Yu-huu!
Solo un paio di piccole precisazioni, più le risposte personali alle recensioni, dopodiché giuro che smetto di rompere e mi dileguo.
La canzone in blu, ovvero quella che dà il titolo alla storia, è Why Judy why di Billy Joel; e qui, credo, si spiega anche il collegamento con la storia stessa, dato il nome della protagonista. Per chi non la conoscesse - e anche per chi la conoscesse già - la consiglio nella versione di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti, dal cd Musica Nuda.
Per il resto, come ho già detto, la storia in sé finisce qui. Da ciò: è l'ultima possibilità di commentare per chi mi ha letto finora ma non mi ha mai fatto sapere cosa ne pensa. Ci terrei davvero tanto a sentire i vostri consigli/commenti/insulti, eccetera.
Grazie mille mille mille invece a chi ha già commentato e/o commenterà.


SweetCherry: Oddio, addirittura uno stile scioccante, questa è nuova! ^^ Thank you very much.

xXBlack Rose OSheaXx: Ok, scusa per averti lasciata così in sospeso! Spero di essermi fatta perdonare con questo capitoletto, ci ho messo tanto a scriverlo anche perché per me era importante. Fammi sapere se ti ho delusa, I hope no.

FourWalls: Ops. Ho scatenato istinti omicidi con la fine dello scorso capitolo... ^^ Non è che Jude gliel'abbia proprio esattamente detto, comunque il risultato è lo stesso!

Emily Doyle: Se devo essere sincera al cento percento, beh... Al seguito Matt/Dee ci avevo già pensato. Sarebbe una storia a parte in realtà, non proprio un sequel, comunque ci sto riflettendo. Tu pensi ti piacerebbe? A me Matt e Delia piacciono parecchio come personaggi - e nell'interazione tra loro - e poi in quest'ultimo capitolo li ho lasciati un po' in sospeso. Vedrò. Non prometto niente, ma magari tra un po' potrei farlo davvero. Intanto, grazie per la pulce nell'orecchio. :)


Ho finito, stavolta sul serio, giuro.
A presto su questi schermi, spero. Nel frattempo, buonanotte a tutti! :*


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