Of all the people in the world di antigone7 (/viewuser.php?uid=73715)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jude e il gruppo del venerdì sera ***
Capitolo 2: *** Josh e il suo dannato intuito ***
Capitolo 3: *** Bugie e istinto ***
Capitolo 4: *** Il maglione blu e il secondo motivo ***
Capitolo 5: *** Kerr e l'inaugurazione ***
Capitolo 6: *** Bridget, Henry e la gelosia ***
Capitolo 7: *** Rivelazioni e assurdità ***
Capitolo 8: *** Sfide istantanee e sfide quotidiane ***
Capitolo 1 *** Jude e il gruppo del venerdì sera ***
1.
Jude e il gruppo del venerdì sera
“Quindi
George Peterson sta con Melanie Frayer? Quell’oca ossigenata
e senza cervello della Frayer?”
Audrey annuisce
comprensiva. “Ebbene sì.”
“Questa
è la dimostrazione che Dio non esiste, e se esiste, si fa
gli affari suoi: al mondo non c’è
giustizia,” conclude perentoria una Delia fin troppo
sconvolta, scuotendo il capo.
Io, scorgendo
l’espressione di Matt che non sa se ridere o sbattere la
testa sul tavolo, mi limito a sorridere, ma probabilmente se oggi non
fossi di pessimo umore starei sghignazzando di gusto: la situazione, in
effetti, è piuttosto divertente.
È
venerdì sera e come tutti i venerdì sera siamo
seduti al solito tavolo del solito bar: siamo i soliti cinque
più il ragazzo di Audrey e, ovviamente, stiamo aspettando
che il solito Dave ci porti le solite cose da bere e si sieda con noi.
Definirci abitudinari sarebbe poco.
Delia, Matt, Audrey
con Phil, David, Josh, e io, Jude.
Se te lo stai
chiedendo, sì, sono una ragazza. Immagino che il mio nome ti
abbia tratto in inganno, ma in realtà mi chiamo Judith, come
quell’eroina biblica che per salvare il suo popolo sedusse e
poi tagliò la testa a Oloferne e bla bla bla, esatto. Tutti
però, o quasi tutti, mi chiamano Jude come, per restare in
ambito “paragoni famosi”, Jude Law, o come quello
di Hey Jude
dei Beatles, con la piccola differenza che loro sono individui di sesso
maschile, mentre io femminile, ecco.
Ma non parliamo di me,
odio farlo. I miei amici, quelle sono persone sulle quali vale la pena
spendere due parole.
Audrey, per esempio,
è quella che stasera è arrivata con la notizia
fresca di settimana del fidanzamento ufficiale tra George Peterson e
Melanie Frayer: fare gossip, in effetti, è sempre stato un
suo vezzo, anche se non lo si direbbe mai, visto il temperamento
riservato e schivo che ha.
Conosco Audrey Byrne
dal primo giorno di liceo: all’epoca io ero una ragazzina
timida ma piuttosto tenace e combattiva, la cui migliore amica si era
da poco trasferita in Europa. Durante la prima noiosissima lezione di
biologia, mi trovai seduta accanto a questa bella ragazza dai capelli
neri e liscissimi, dolce ma ironica e piena di spirito.
Aud in fondo
è rimasta uguale ad allora. Ha la pelle olivastra, i capelli
lisci color pece e i tratti indiani ereditati da sua madre, ma gli
occhi sono di uno splendido verde scuro, uguali a quelli di suo padre:
è ancora una delle ragazze più belle che conosco,
ma non sa di esserlo. È modesta all’inverosimile,
Audrey, tanto da sembrare cieca a volte. Di sé non le piace
praticamente niente, nemmeno il nome: dice che si chiama
così solo perché sua madre ha da sempre una
stupida fissazione per Audrey Hepburn, e che vorrebbe un nome meno
“da vip”.
Inoltre è
sensibile e buona con tutti, spesso anche un po’ ingenua,
caratteristiche che, aggiunte al suo bel viso, l’hanno
portata a essere presa in giro più e più volte da
bastardi e approfittatori di vario tipo. Tradotto: ha sempre avuto una
sfortuna tremenda con l’altro sesso, se non che adesso sembra
aver trovato la serenità con Phil, suo attuale ragazzo da
circa otto mesi.
Il difetto del gossip
le è però rimasto, ma, conoscendo sua madre,
sospetto sia più che altro una tara genetica.
“È
ingiusto! George è un gran bel pezzo di ragazzo, meriterebbe
molto di più di Melanie Frayer, quella c’ha solo
le tette, e non sono nemmeno sicura che siano vere! Cioè, vi
ricordate anche voi che a scuola era praticamente piatta, vero? Come
hanno fatto a spuntarle le tette così,
all’improvviso? Oltretutto a me George piaceva già
ai tempi del liceo e quella sgualdrina invece…”
Delia continua
imperterrita la sua filippica contro la Frayer senza accorgersi degli
sguardi ormai esasperati di tutti.
Delia Gray
è fantastica, dico sul serio, anche perché se la
pensassi diversamente non sarei certo sua amica da più di
quattro anni. Solo che a volte è un tantino logorroica, ecco
tutto. Noi le vogliamo bene lo stesso.
Delia è
entrata nelle nostre vite come un uragano: cioè
inaspettatamente e creando un bel po’ di confusione. Si
iscrisse nel nostro liceo a metà del secondo anno, dopo
essersi trasferita con la sua famiglia dalla California, e si
affezionò subito a Audrey, anche se caratterialmente e
fisicamente era il suo esatto opposto.
All’inizio
io ero piuttosto diffidente nei suoi confronti – come sempre
quando conosco una persona nuova – poiché temevo
fosse la solita approfittatrice che tentava di irretire Aud per
diventare popolare a scuola e poi abbandonarla preferendo compagnie
migliori. Non che noi all’epoca fossimo molto popolari, al
contrario; però la mia amica attirava a sé
più di uno sguardo e immaginavo che le attenzioni di Delia
non fossero sincere. Mi sbagliavo e mi dovetti perciò
ricredere: non solo Delia non aveva alcuna velleità di
scalata sociale, ma, al contrario, da allora si è sempre
dimostrata un’amica fedele, oltre che una vera e propria
intrattenitrice nei momenti di necessità.
Ora come ora Deels
è una giovane studentessa del College single e fiera del suo
status. Ha diversi ragazzi con cui si diverte, “a che altro
servono sennò?” (testuali parole)… e
chi può darle torto.
Fisicamente non
è molto alta ed è piuttosto minuta, ma potrebbe
far paura a chiunque con la sua parlantina tagliente e inesauribile, e
con la sua sicurezza sfrontata. Al momento ha i capelli lunghi fin
sopra le spalle, di un rosso piuttosto scuro, colore che cambia spesso,
anche se il suo naturale sarebbe un biondo cenere che io adoro ma che
lei definisce “color topo di fogna”.
E dopo tutta questa
lunghissima descrizione, Delia non ha ancora smesso di inveire. Come
volevasi dimostrare.
“…ed
è una cosa assolutamente assurda. Jude, non sei
d’accordo?”
Eccola là.
Ovvio che mi avrebbe interpellato, sono seduta alla sua destra e ho la
testa tra le nuvole da un po’. Fortunatamente so
più o meno di cosa stiamo parlando.
“Dee, tu non
vuoi neanche impegnarti. È inutile che te la prenda tanto a
cuore.”
“Che
c’entra. Magari George poteva essere l’uomo della
mia vita.”
E ti pareva. Un
tantino melodrammatica, no?
“Gray,
nessun essere umano sano di mente potrebbe sopportarti per una vita
intera, considerato quanto parli.”
Ecco, Matt non
è più riuscito a trattenersi, è
già strano che l’abbia fatto fin’ora.
Vedo gli occhi
nocciola di Delia farsi sottili e fulminare il pazzo suicida che ha
osato parlare, pazzo suicida che per fortuna si trova al lato opposto
del tavolo.
“Qualcuno ti
ha interpellato?”
“Non ne
potevo più di sentirti uggiolare, tesoro.”
La bocca di Dee si
stende in un sorriso sarcastico. “Geloso,
Patterson?”
Anche Matt non se la
cava per niente male col sarcasmo, però. “Oh
sì, da morire!”
“Idiota,”
ribatte la mia amica, contenta di aver finalmente trovato pane per i
suoi denti. “Sei solo invidioso perché
l’unica cosa che avrai mai di simile a George Peterson
è il cognome. Per il resto, lui ti batte dieci a
zero.”
“Ciò
che invidio a quel tipo è che non è costretto a
sopportare te tutti i venerdì sera.”
A Phil scappa una
mezza risata e Audrey gli dà una gomitata, perché
sa che se qualcuno si intromettesse potremmo perderci la parte
più spassosa della serata. Ma Delia e Matt sembrano essere
troppo impegnati nel cercare di incenerirsi a vicenda con lo sguardo
per accorgersene.
In effetti, i teatrini
tra Delia Gray e Matthew Jonathan Patterson sono famosi in quasi tutto
l’universo conosciuto. In realtà quei due non si
odiano tanto quanto vorrebbero far credere: certo, a volte sembra che
stiano per prendersi per i capelli, ma sotto sotto si divertono un
sacco a punzecchiarsi. Per di più ho il sospetto che Matt
abbia davvero un interesse ben celato per Delia e viceversa,
sennò non si spiegherebbe tanta tensione tra loro. Solo che
loro ancora non lo sanno, suppongo. O forse sì?
Tutto è
cominciato, come sempre, a scuola. Non conoscevo ancora Matt, o meglio,
la sua fama da bello e dannato lo precedeva, ma non avevo mai avuto
contatti diretti con lui, quando, una mattina, Dee ci si
avvicinò sbraitando qualcosa tipo: “quel Patterson
è un vero deficiente!” Da lì
cominciarono una serie di insulti più o meno giornalieri tra
i due: Delia era forse l’unica in tutto l’edificio
scolastico che riusciva a tenere testa a Matthew Patterson e per questo
aveva non pochi estimatori, ma anche un bel gruzzolo di nemici.
Finché, un
giorno, Matt si prese la briga di difendere veementemente Dave da quel
cretino patentato con un solo neurone di Pierce Ashton di fronte a
mezza scuola. Così si avvicinò a David e Josh
che, conoscendolo, scoprirono che non era per niente stupido e
superficiale come poteva sembrare a prima vista, e
l’inserirono, per la gioia di Deels, nel nostro gruppo
già collaudato. Matt è stato l’ultimo
acquisto, a parte il più recente Phil che, stando con
Audrey, ha cominciato in questo periodo a uscire con noi.
Matt è
indubbiamente bello, con gli occhi grigi, il capello biondo scuro e la
perenne aria da tenebroso. Potrebbe sembrare un attore hollywoodiano se
non fosse che si veste come un vero studente squattrinato: di famiglia
i soldi non gli mancherebbero, tutt’altro, ma ha sempre
cercato di arrangiarsi perché mal sopporta i suoi; inoltre
quello è proprio il suo stile e, ad essere sinceri, il fatto
di presentarsi in giro con le scarpe mezze sfasciate gli dà
una marcia in più rispetto ai soliti
belli-e-perfettini-figli-di-papà.
“Sì
invece!”
“Ho detto di
no!”
“Sì”
“No” “Sì”
“No” “Sì”
…
“Piccioncini,
basta amoreggiare!”
Per fortuna Dave ha un
tempismo perfetto e arriva un attimo prima che cominci a sgorgare il
sangue, distribuendo da bere a tutti. Il locale in cui ci troviamo,
infatti, è della sua famiglia, per questo siamo qua tutti i
venerdì sera. E anche perché la sera è
chiuso e quindi non c’è nessuno.
Ah, non
l’avevo detto? Il Marie’s,
chiamato così in onore della nonna francese di Dave,
è un bar mattutino, da cappuccino e brioches. Chiude intorno
alle sette e mezza di sera e, ogni venerdì, puntuali
– chi più chi meno; io meno, di solito –
alle ventuno e trenta, noi ci troviamo qui. C’è
una bella pace, ancora per poco in realtà.
David ha fatto un
corso per barman e ha preparato tutto per tenere aperto il locale di
sera gestendolo al posto di suo padre. L’inaugurazione
è prevista tra sole due settimane, quindi oggi è
una delle ultime volte che ci troviamo qui in pace e
tranquillità. Mi fa piacere per Dave, perché ci
tiene davvero a questo progetto, ma un po’ mi
mancherà tutto questo.
“Delia, ecco
la tua birra,” dice il nostro barista. Poi si china sulla
spalla di lei e lo sento sussurrare: “quel Peterson non
dispiace neanche a me,” e darle un buffetto sulla guancia.
Il solito David. Ora
almeno Dee è più soddisfatta: raddrizza la
schiena e lancia un sorrisetto provocatorio a Matt, che raccoglie con
uno sbuffo.
“Ragazzi,
mancano un paio di cose. Vado e torno,” dice Dave
allontanandosi di nuovo verso il bancone. Leggendomi nel pensiero,
aggiunge: “quando torno non voglio vedere sangue in giro,
eh.”
David McPharrell
è moro, coi capelli mossi che gli coprono le orecchie e
parte del collo e degli occhi marroni sorridenti. È un
po’ miope, e di solito porta le lenti a contatto, ma stasera
ha i suoi occhiali da vista.
Inoltre è,
come si sarà capito, gay dichiarato.
È amico di
Josh da quando avevano circa quattordici anni. Si conobbero giocando a
basket assieme, ma poi Dave dovette smettere quando il mondo
scoprì che era gay, perché ad allenamento gli
rendevano la vita un inferno, e Josh lasciò la squadra per
solidarietà.
David lo conosco da
parecchi anni ormai, ma è una di quelle persone che
può stupirti di continuo. A metà del terzo anno
di liceo ci confessò di essere omosessuale e ci chiese se
per noi era un problema. “Figurati,” fu la mia
risposta secca: io avevo già notato che Dave guardava e
commentava i ragazzi con me, ero solo contenta che l’avesse
ammesso anche lui. Josh invece rise a crepapelle, dopodiché
si assicurò che non volesse provarci con lui, infine
scrollò le spalle e disse che era ok.
Un giorno
però quel cretino patentato con un solo neurone di Pierce
Ashton (l’avevo già detto?) ascoltò un
nostro discorso e poco dopo trovò David da solo nel
corridoio e si mise a insultarlo con aggettivi poco carini e piuttosto
omofobi davanti a mezza scuola. Qui entrò in scena Matt, che
non si limitò a difendere Dave a parole, ma si
beccò pure un bel cazzotto in faccia.
Finita la scuola David
ci stupì di nuovo: dopo un anno passato a divertirsi al
college decise che voleva fare il barman, “perché
si rimorchia di più”, dice. Ed eccolo qua: noi
abbiamo appena cominciato il terzo anno di università e
siamo pieni di dubbi fin sopra la testa, lui invece sembra aver trovato
l’aspirazione della sua vita. Beato.
“Ecco il tuo
mojito, bella,” dice Dave prendendo l’ultimo
bicchiere dal vassoio e posandolo di fronte a me.
Mojito? Io non avevo
ordinato mojito. Anzi, non avevo proprio ordinato, perché
sono arrivata un po’ in ritardo con l’autobus.
“Ma…?”
esordisco dubbiosa.
“Niente
lamentele, please,” mi interrompe Dave sedendosi alla mia
destra e schioccandomi un bacio sulla guancia, “ha ordinato
Josh per te.”
Alzo la testa e
osservo con un sopracciglio inarcato il suddetto Joshua Parker, seduto
di fronte a me con un sorriso che gli va da un orecchio
all’altro. Perdo un battito, probabilmente perché
è la prima volta che lo guardo da quando sono arrivata, ma
la mia espressione non cambia.
“Avanti!”
esclama il traditore con una tranquillità quasi snervante.
“A te piace il mojito…”
Con
difficoltà ignoro la sua faccia da cucciolo scodinzolante.
“Parker, avevo detto niente alcolici per me
stasera…” dico, cercando senza successo di
sembrare cattiva.
“Il nostro
amico sta per aprire un locale, dovremmo pur fargli fare un
po’ di pratica con i cocktail…” spiega
innocentemente Josh cercando di sembrare convincente.
Che stupidaggine! Sono
mesi che David lavora per i più importanti pub della
città, non gli serve a un piffero fare dell’altra
pratica.
Vedo Dave alzare un
pollice verso l’altro cretino a mo’ di
ringraziamento e quasi mi scappa da ridere, ma resisto, scuotendo la
testa.
Josh continua.
“Juuude, bevi! Tanto guido io stasera.”
“Bella
garanzia!” sbuffo indicando col mento la birra che ha davanti
mentre, mio malgrado, comincio a sorseggiare il mio mojito.
“È
solo una birretta, su, non mi fa male. Avevo fame quando sono
arrivato,” si scusa il mio amico mostrandomi il toast che sta
mangiando e alzando le spalle con ovvietà, come a dire che
con un toast non si può bere altro che birra.
“Come
vuoi,” gli concedo per chiudere il discorso, tanto so che
alla fine l’ha sempre vinta lui. “Vorrà
dire che la prossima volta se arrivo in ritardo chiamerò Aud
per farmi ordinare. O direttamente il capo McPharrell qui,”
concludo dando una gomitata a David a cui per poco non va di traverso
quello che sta bevendo.
“Perché
non me?”, “E io?” mi chiedono in
contemporanea Dee e Matt.
“Tu,”
spiego indicando Delia, “mi terresti mezz’ora al
telefono e tu,” continuo con Matt, “ti
dimenticheresti dopo cinque minuti tutto quello che ti ho
detto.”
Con questa mia battuta
si scatena il putiferio, ma già lo sapevo. Almeno
l’attenzione non è più su di me, dato
che Dee e Matt hanno ricominciato a insultarsi a vicenda.
“Jude?”
sento Josh che mi chiama e mi volto.
Quasi tutta
l’attenzione non è più su di me: lui mi
guarda sempre, accidenti.
“Tutto
ok?” mi chiede con un sorriso accennato.
“Mmh,”
mugugno annuendo con la testa e fissando un punto imprecisato del
tavolo.
Cazzo, dovevo
immaginarlo. Josh sa sempre quando c’è qualcosa
che non va, lo capisce al volo, maledizione a lui.
“Ah,”
risponde poco convinto. “Perché prima al telefono
mi sei sembrata un po’ strana, giù di morale. Ho
pensato fosse successo qualcosa, per questo ti ho ordinato il
mojito…” spiega guardandomi per carpire
informazioni dal mio viso.
Io cerco di tornare in
me o perlomeno di risultare meno sospetta di prima.
“Tranquillo,
nessun problema,” rispondo un po’ troppo
telegraficamente: infatti Josh non sembra ancora del tutto soddisfatto
del mio scialbo tentativo di bugia.
Lo anticipo io,
stavolta. “Che poi l’alcol non è che
risolve tutti i problemi, scemo!” lo prendo in giro cercando
di sembrare spontanea. “Problemi,” sottolineo,
“che io non ho.”
“Va
bene,” conclude lui, e sorride di nuovo. Quando dice
“va bene” con quel tono, il novantanove virgola
nove percento delle volte significa che non va bene. E che
tornerà all’attacco. Pazienza, ci
penserò dopo, adesso devo distrarmi.
Mi giro verso Delia e
Audrey e mi fingo interessata alla loro conversazione su…
beh, non ha importanza l’argomento, io devo solo annuire ogni
tanto. Intanto mi lascio tranquillizzare dal massaggio rilassante che
Josh sta facendo con le dita sulla mia mano sinistra appoggiata sopra
il tavolo.
Aspetta. Cosa?
Il massaggio che Josh
mi sta…?
Appena realizzo,
sposto la mano di scatto e mi alzo il più velocemente
possibile.
Devo dire qualcosa,
perché sei paia d’occhi insistenti e perplessi mi
stanno guardando.
“Vado…
vado a fare pipì,” biascico spostando la sedia e
indietreggiando.
Mi giro e decido di
dirigermi verso il bagno vicino alla cucina, quello per i dipendenti.
David non mi dice nulla, tanto so che posso usarlo.
Non ho davvero bisogno
di fare la pipì, quindi una volta arrivata in bagno apro il
rubinetto e piazzo le mani sotto l’acqua che scorre. Non so
neanche perché lo faccio, forse c’entra col
massaggio di prima, anche se spero di no.
Cazzo. Il sogno che ho
fatto ieri notte mi ha condizionato non poco, ma in fondo lo sapevo
già prima. Merda.
Chiudo il rubinetto e
mi asciugo le mani, dopodiché mi do un’occhiata
allo specchio. Capelli castani alle spalle mossi e un po’
spettinati, occhi marrone scuro, quasi nero, con delle leggere
occhiaie, trucco quasi inesistente se non un filo di mascara, ed
espressione da cane bastonato. Non ho un bell’aspetto, ma
qualcuno avrei potuto ingannarlo. Non lui però.
Esco dal bagno sapendo
già che fare: vado in cucina, prendo delle chiavi appese a
un chiodo e apro la porta in fondo alla stanza.
Da qui si esce
dall’edificio, ma c’è la parte
più bella di questo posto: un piccolo giardino tranquillo e
abbastanza spoglio che io adoro. È davvero minuscolo e
oltretutto non è nemmeno curato ma, pur essendo in
città, da qui si vedono le stelle meglio. Almeno io voglio
pensarlo, quindi le vedo.
Mi siedo sul gradino
dell’uscio e alzo la testa verso il cielo, strofinandomi con
le mani le braccia coperte solo da una maglietta leggera. Ho lasciato
la giacca dentro e a fine settembre la fresca arietta autunnale
comincia a farsi sentire.
Vorrei non pensarci ma
mi è impossibile.
Cazzo.
Sono innamorata del
mio migliore amico.
Allora...
Eccomi qua!
Questa è la
primissima storia che pubblico, quindi vi domando per cortesia di farmi
sapere cosa ne pensate, anche se il primo capitolo vi ha fatto
decisamente schifo. Sul serio, vorrei saperlo.
Detto ciò,
vi anticipo con gioia che non vi tedierò a lungo: Of all the
people in the world
è una storia senza pretese, che ho cominciato a scrivere per
caso dopo aver sognato l'incipit. So che detta così sembro
pazza - e lo sono - ma l'ho proprio sognata, che vi devo dire. Quindi
non andrà avanti per più di setto o otto capitoli
non troppo lunghi e non troppo impegnativi, che tra l'altro ho
già quasi concluso.
Il titolo è
tratto da una canzone; se qualcuno di voi la conosce, bene,
sennò tutto sarà spiegato più avanti.
Se avete dubbi,
critiche, complimenti, commenti di ogni tipo, sono qui apposta per
leggerli... Attendo riscontri e grazie per l'attenzione!
A
presto.
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Capitolo 2 *** Josh e il suo dannato intuito ***
2. Josh e il suo dannato
intuito
Josh ed io ci conosciamo da
quand’eravamo alti meno di un metro. Le nostre mamme
diventarono amiche seguendo assieme un corso di cucina mediorientale,
alla fine del quale organizzarono una cena per far conoscere le
rispettive famiglie e dare prova di ciò che avevano appena
imparato.
Io e Josh
ci vedemmo la prima volta lì, all’età
di quattro anni: lui con quei capelli mori, mossi e scompigliati, gli
occhi blu e l’aria da finto timido, io con un appariscente
vestito a righe blu e gialle, e lo sguardo nero poco socievole. Mia
madre, Greta, e la sua, Christine, ci presentarono e ci lasciarono a
giocare assieme. Dopo qualche titubanza, sparimmo nel cortile
posteriore della casa di Josh e quando tornammo eravamo ricoperti di
fango fino ai capelli e molto soddisfatti.
Da quel
giorno continuammo a vederci abbastanza spesso, con le nostre famiglie
o al parco giochi vicino a casa di entrambi, e inventammo un sacco di
nuovi modi per divertirci. Perlopiù prediligevamo i giochi
alla fine dei quali eravamo sporchi e stanchi morti, pronti a tornare a
casa per farci sgridare di santa ragione dalle nostre povere mamme.
Con
l’inizio della pubertà ci allontanammo: alle medie
non frequentavamo la stessa scuola e le nostre famiglie avevano avuto
un piccolo litigio per motivi che compresi solo più avanti.
Inoltre, Josh si era realmente instupidito, come tutti i ragazzini di
dodici anni, mentre io cominciavo ad avere un po’
più di cervello e a responsabilizzarmi, come alcune ragazze
a quell’età.
Ricordo di
averlo davvero odiato per un po’. Lui girava con un gruppo di
amici zucconi e ormonati che comunicavano emettendo più che
altro grugniti e parolacce, io mi ero facilmente trovata una nuova
migliore amica, Sadie. A lei piaceva Josh, anzi, aveva una vera e
propria cotta per il mio amico e arrossiva fin sopra le orecchie ogni
volta che lo vedevamo per strada. Io, invece, lo trovavo un vero
idiota: ricordavo il bambino simpatico e sveglio con cui andavo sulle
altalene, e mi sembrava che il nuovo lui non avesse niente a che fare
con quello vecchio e divertente.
Eravamo
giunti al punto che, se ci incontravamo per strada, lui, con i suoi
amici, mi prendeva in giro, e io lo insultavo neanche tanto di
nascosto. Per fortuna, causa litigio tra famiglie appunto, non eravamo
più costretti a passare del tempo assieme.
Dopo questi
tre o quattro anni di odio profondo ci ritrovammo, a quattordici anni,
nello stesso liceo pubblico, per la precisione vicini di armadietto.
Quando lo scoprimmo ci guardammo inorriditi ed esclamammo
all’unisono un “NO!” esasperato, per poi
decidere di comune accordo che avremmo finto di non conoscerci e che
saremmo rimasti il più distante possibile l’uno
dall’altra per evitare di scannarci.
Quel
giorno, il primo di liceo, ero già triste e sconsolata
perché Sadie si era trasferita a Manchester e potevamo
sentirci solo via mail o via posta, quindi rivedere anche Josh fu un
brutto colpo. Fortunatamente conobbi subito Audrey e nelle due o tre
settimane successive parlando con lei insultai Josh in tutte le lingue
del mondo e in tutti i modi possibili.
Ad un certo
punto accadde l’inimmaginabile. Un giorno, tornando da scuola
a piedi, vidi la zazzera scura di Josh in lontananza: era seduto
sull’altalena di un parco giochi che si trova circa a
metà strada tra le nostre due case, un posto dove ci
incontravamo abitualmente anni prima per giocare. Sembrava piuttosto
giù di tono.
La mia
prima reazione fu quella di pensare un accorato “ben gli
sta!”, per poi sentirmi subito in colpa. Superandolo a testa
bassa, allora, mi giustificai con me stessa pensando che non erano
affari miei, che io e Josh non ci parlavamo civilmente da anni, che
eravamo incompatibili, che non potevo farci nulla. Ma, tutto sommato,
sono una persona dal cuore generoso – o forse solo una pazza
suicida? – quindi, spinta dai morsi della mia coscienza
autolesionista, dovetti tornare indietro e sedermi
sull’altalena di fianco alla sua.
Me lo
ricordo ancora come se fosse ieri. Mi sedetti lì
pronunciando un saluto appena accennato a cui lui rispose in egual
maniera, e poi non dissi più niente: non una domanda, una
forzatura, un tentativo di rimembrare i bei vecchi tempi, un insulto
per ricordargli il nostro odio, nemmeno uno sguardo di sbieco, niente.
Rimanemmo entrambi in silenzio per almeno venti minuti, a dondolarci
piano e ad ascoltare il cigolio triste delle altalene,
finché Josh non tirò faticosamente su col naso e
parlò.
“I
miei si stanno separando, mio padre va a vivere con un’altra
donna,” disse.
Non
risposi, non sapevo cosa dire, così lui aggiunse:
“non ho voglia di tornare a casa, adesso”, e io gli
dissi semplicemente che non doveva farlo per forza, che potevamo stare
lì a parlare un po’ oppure andare a prendere un
gelato e passeggiare. Josh sorrise debolmente e mi
ringraziò, dopodiché passammo tutto il pomeriggio
assieme, come un tempo. Scoprii che anche lui si sentiva piuttosto
solo, molto più di me in realtà: non aveva
più amici perché con quelli di prima non si
trovava per niente bene, i suoi genitori non lo badavano e suo fratello
maggiore era scappato dall’altra parte del paese per evitarsi
quella brutta situazione.
Non mi ha
mai chiesto scusa per il suo comportamento negli anni precedenti e io
non l’ho fatto con lui, ma sapevamo da subito che non sarebbe
stato necessario: le persone cambiano e a volte si allontanano
definitivamente, ma noi capimmo che avevamo ancora tempo e voglia di
stare vicini.
Da quel
punto in poi, ci volle davvero poco per divenire migliori amici: ci
confidavamo, andavamo al cinema, ci spalleggiavamo di fronte alle
difficoltà, ci capivamo al volo senza bisogno di parole,
ridevamo per ore e ore per motivi stupidissimi, litigavamo e tornavamo
subito a cercarci, troppo orgogliosi per domandare scusa ma troppo
deboli per restare a lungo separati l’uno
dall’altra.
Eh
sì, non è mai stato un rapporto semplice e
tranquillo il nostro, ma piuttosto combattuto e complicato, soprattutto
i primi tempi del riavvicinamento, ma anche durante gli anni
successivi. Spesso lo odiavo solo per il fatto che mi pareva stesse
sempre lì a studiarmi, a giudicare i miei comportamenti,
finché non capii che lo faceva, e lo fa tutt’ora,
semplicemente perché mi vuole bene ed è il suo
modo di dimostrarmelo: morbosamente forse, ma con un affetto
più che sincero. Litigavamo in continuazione –
capita spesso anche oggi, in realtà – per le
nostre divergenze d’opinione su ogni argomento esistente,
tranne quelli veramente importanti, sui quali in genere ci troviamo
d’accordo: non parlo di discussioni veloci e indolori, parlo
di guerre mondiali in piena regola che potevano anche finire con
insulti e urla.
Una buona
parte delle persone del nostro liceo era convinta che fossimo troppo
vicini per non essere cotti a vicenda dell’altro: credevano
tutti che presto avremmo coronato il nostro amore iniziando una
relazione felice, ma era solo strano per loro vedere un ragazzo e una
ragazza così amici, così complici, senza
confusioni sentimentali. Eravamo così.
Ancora
adesso Josh è l’unica persona che riesce a capire
il mio stato d’animo con uno sguardo o una telefonata. Non ci
vediamo più tutti i giorni, perché frequentiamo
due università diverse, ma stiamo insieme quasi ogni fine
settimana e ogni tanto lui prende la macchina e passa a trovarmi al mio
campus.
Non avrei
mai dovuto innamorarmi di lui, perché è il mio
migliore amico. Lo so bene. Eppure, è difficile.
Josh
è alto, moro, coi capelli mossi sempre spettinati, e ha
degli occhi blu stupendi. È divertente, testardo,
orgoglioso, disordinato, incostante con le donne, bello, ironico,
perspicace, dolce, appiccicoso, attivo, disorganizzato, puntualissimo,
geloso, fedele e premuroso.
È
un agglomerato di contraddizioni. È sempre pronto a
scherzare, anche con il fuoco a volte, ma sa essere serissimo nelle
situazioni che lo richiedono. Frequenta un sacco di gente ed
è corteggiato da una lunga serie di ragazze, ma poche di
queste persone lo conoscono realmente. È schietto con chi
ama, negligente con il resto del mondo. È estremamente
intuitivo con gli altri, ma poco attento a ciò che capita a
lui.
Potrei
andare avanti all’infinito a descriverlo.
È
il mio migliore amico.
Non voglio
perdere una delle cose più belle della mia vita.
Ho sentito
per la prima volta che qualcosa non quadrava tre mesi fa, quando Nick,
con cui stavo da qualche settimana, mi ha lasciata per
un’altra e Josh è corso a consolarmi. Non lo
vedevo da quindici giorni e, quando ho aperto la porta e lui mi si
è fiondato addosso abbracciandomi, ho pensato tra me e me
che perdere un coglione per rivedere il mio migliore amico era uno
scambio più che vantaggioso. Mi ha sussurrato
“Batuffolo, mi dispiace”, chiamandomi col
soprannome che mi ha appioppato per via dei miei capelli, e io ho
sentito più di un brivido percorrere la mia schiena. Lui ha
pensato che avessi freddo e mi ha stretto ancora di più.
Risultato: ho passato i giorni successivi a domandarmi che cavolo fosse
successo per poi liquidare il tutto spiegandolo con un mio bisogno
d’affetto.
Ci sono
stati altri episodi del genere in queste ultime settimane ed io da
brava scema ho sempre fatto finta di nulla. Finché non sono
scoppiata.
L’altra
notte ho sognato che io e Josh stavamo assieme. Nel sogno era come se
fosse normale: eravamo in spiaggia a ridere e scherzare con i nostri
amici, a un certo punto lui si chinava su di me e mi baciava, bello
come non mai. Assurdo. Mi sono svegliata con una mano sulla bocca e gli
occhi lucidi.
Il sogno mi
ha portato a dover ammettere una cosa impensabile: sono innamorata del
mio migliore amico ed è troppo tardi per tornare indietro.
Rivederlo stasera non ha fatto altro che confermare ciò che
pensavo.
Sto ancora
guardando le stelle, persa nei miei pensieri malinconici, quando sento
qualcosa che mi si appoggia sulle spalle.
“Ah
sei tu. Mi hai fatto prendere un colpo,” dico guardando Josh
che si siede accanto a me.
“Ho
pensato avessi freddo,” risponde e mi accorgo che mi ha
portato la giacca.
Me la
infilo. “Grazie.”
Scrolla le
spalle e mi osserva, così sono costretta a puntare
nuovamente lo sguardo al cielo.
Sento
comunque i suoi occhi fissi su di me, preoccupati e confusi, ma non gli
chiederò né come faceva a sapere
dov’ero né perché è venuto a
cercarmi. Conosco già entrambe le risposte.
“Free,”
mi chiama abbreviando il mio cognome, Freeland, “che
hai?”
“Niente,”
rispondo di nuovo troppo in fretta.
Sbuffa e
prende a carezzarmi i capelli. “Dai, dimmelo.”
So che
così continueremo ad oltranza, perché lui non si
arrenderà facilmente. Ma non posso dirgli la
verità.
“Sono
un po’ giù,” mormoro incassando la testa
fra le ginocchia.
Che schifo, mi sento una lagna. Volevo che smettesse di toccarmi i
capelli, mi stava destabilizzando, e almeno ci sono riuscita.
“Perché?”
“Boh.”
“Quando
sei triste tu hai sempre un motivo,” ribatte lui, pragmatico
e saccente, “anche se è solo un po’ di
mal di testa.”
“Ho
le mestruazioni…” invento in fretta sperando di
ingannarlo.
Ride.
“È impossibile, le avevi anche due settimane
fa.”
Sbarro gli
occhi, colpita. E lui come fa a ricordarselo?
“Che
fai adesso, mi controlli il ciclo?” gli chiedo stupita
voltandomi di nuovo verso di lui.
Alza le
spalle, sorridendo e facendomi perdere un battito. Diamine, ho
sbagliato a guardarlo. Ora sono presa da una sorta di
incapacità a parlare decisamente non normale, per fortuna ci
pensa lui a rompere il silenzio.
“Sapevo
avresti inventato questa scusa, sei banale!” mi insulta
allegramente.
“Banale?”
“Mh-mh,”
annuisce con la testa il bastardo.
“Io?”
“Proprio
tu.”
Sapessi la
verità, Josh… Altro che banale.
“Bene,”
scandisco fingendomi più offesa del reale. “Bene.
Ne terrò conto, Parker. Ne terrò conto quando
dovrò banalmente
scrivere il mio testamento.”
“Ecco,
vedi?” continua lui con aria saputa. “Sapevo anche
che avresti avuto questa reazione da permalosetta. Sei
banale!”
Stiamo
scherzando entrambi, lo so, ma mi si stringe leggermente il cuore a
pensare che Josh riesce sul serio a prevedere le mie risposte e le mie
reazioni, come se fosse nato per capirmi e leggermi le emozioni dagli
occhi.
Torno seria
e lo guardo di nuovo, pur sapendo che non mi farà bene.
“Non
sono banale, idiota. È che mi conosci. Sai bene che se ci
fosse qualcosa di grave te l’avrei già
detto.”
Cavoli,
sono stritolata dai sensi di colpa a dovergli mentire guardandolo in
faccia, ma non ho altra scelta.
Stringe un
po’ gli occhi – non lo fa apposta, è la
sua espressione quando sta ponderando una proposta o sta, come in
questo caso, cercando di capire se sono sincera – fissandomi
a lungo come per leggere qualcosa dalla mia espressione. So di essere
come un libro aperto per lui, ma non devo cedere o abbassare lo sguardo
perché equivarrebbe ad ammettere che gli sto nascondendo
qualcosa. Alla fine, come previsto, l’immensa fiducia che
ripone in me ha la meglio e decide di credermi sulla parola: lo capisco
quando sorride di nuovo e mi dà un buffetto sulla guancia.
“Ok,
scema.”
L’ho
scampata bella stavolta. Mi alzo proponendo di tornare dagli altri per
concludere la serata e Josh mi segue. Mi sembra che farfugli qualcosa
come “asociale” e “lunatica”,
così quando stiamo per rientrare gli do un bello spintone, e
se lo merita tutto: mi ha già insultato abbastanza per oggi!
Lui
reagisce ridendo, mi prende per un braccio e mi tira a sé,
immobilizzandomi, per poi pizzicarmi il fianco, gesto che mi fa
squittire e saltare, dandogli per sbaglio una testata sul mento.
Josh mi
lascia e si porta una mano sul viso, imprecando.
“Ahia!”
Gli sposto
la mano con la mia per vedere cosa ho combinato. “Ti ho fatto
male?”
“Insomma…”
“Beh,
te la sei cercata! Sai come reagisco, quello è il mio punto
debole per il solletico!” gli ricordo, imbronciandomi.
Lui fa una
smorfia. “Tenti di uccidermi e poi dai la colpa a me,
tipico.”
Ci
guardiamo in cagnesco per qualche secondo, dopodiché
scoppiamo entrambi a ridere, complici. Senza che io mi accorga di
ciò che sta per fare, Josh mi si avvicina e mi dà
un bacio sulla tempia, al quale le mie viscere reagiscono con una
decisa capriola, infine si gira e torna verso la porta della cucina.
È
riuscito a farmi tornare il buonumore in un paio di minuti. Ma come fa?
Un po’ lo odio per questo, per come sa prendermi, per come
riesce a capirmi.
Mi giro per
chiudere a chiave la porta del giardinetto e sospiro senza farmi vedere.
Vorrei che
restasse tutto esattamente così com’è.
Senza le farfalle allo stomaco quando lo vedo, però.
Eccomi di nuovo.
So che in questi
primi due capitoli non è successo un
granché, ma mi servivano per far entrare in scena i
personaggi e dare un'idea degli equilibri esistenti tra loro. Quindi mi
scuso e prometto che già dal prossimo capitolo ci
sarà molta
più azione. Anche perché, l'ho già
detto, la storia non arriverà ai dieci capitoli,
perciò comincerà presto a entrare nel vivo.
Poi, sono
perfettamente cosciente che la trama che si sta delineando
è banale, trita e ritrita, e probabilmente potrete
già indovinarne gli sviluppi, ma è una storia che
ho scritto per puro divertimento, per intrattenermi e fare un po' di
esercizio sullo stile, giocando sui cliché che troviamo
sempre nei teen drama americani. Quindi mi farebbe comunque piacere
leggere qualche commento - anche negativo - a questo mio lavoro.
Non vi tedio oltre,
se mi verrà in mente altro lo
dirò la prossima volta, cioè presumibilmente di
nuovo fra tre giorni.
Grazie e a presto!
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Capitolo 3 *** Bugie e istinto ***
3. Bugie e istinto
È di nuovo
venerdì e stavolta vorrei essere
puntuale. Non per altro, ma oggi è l’ultimo
venerdì sera che noi poveri pazzi passeremo “in
intimità”, solo noi una dozzina di tavoli vuoti:
dalla settimana prossima il Marie’s
diventerà
anche un frequentatissimo, spero, locale notturno gestito dal nostro
Dave.
Questo momento topico nella vita del nostro gruppo mi ha portata a
riflettere su una cosa: sembra proprio che si stia chiudendo un ciclo.
Già avevo avuto quest’impressione alla fine del
liceo: avevamo paura di perderci di vista, di vederci meno e di non
essere quindi in grado di mantenere quei rapporti che a scuola ci
sembravano così indissolubili. Anche per questo, poi,
abbiamo trovato la soluzione del Marie’s:
sono più
di due anni che (quasi) tutti i santissimi venerdì sera ci
troviamo
lì e parliamo, discutiamo, spettegoliamo, litighiamo,
chiacchieriamo, ci scambiamo consigli di vita e cose varie…
È servito a tenerci uniti, in fondo. Dopo
l’apertura del Marie
at night sarà più
difficile trovare un posto tranquillo dove cazzeggiare allegramente
tutti insieme.
Mi sono anche chiesta se non possa essere un segno: ho pensato che
potrebbe essere un modo per allontanarmi dai miei amici…
Insomma, da Josh. Sarebbe l’occasione per vederlo di meno,
cercare di ragionare, disinnamorarmi di lui ed evitare così
di frantumare la nostra amicizia, ho pensato.
Ma poi sono rinsavita e mi sono data della deficiente: come ho fatto a
considerare una stronzata simile? Facendo una scelta del genere non
solo frantumerei lo stesso la nostra amicizia, allontanandomi, ma
probabilmente perderei anche Aud, Dee, Matt e Dave. In
realtà non voglio separarmi da loro – tantomeno da
lui
– e so che nonostante l’apertura del locale
troveremo altri tempi e luoghi e spazi per continuare a trovarci tutti
assieme.
La verità su Josh, poi, è che, per quanto ci
rifletta, non esiste un modo per risolvere la situazione che non
comprenda nel prezzo la fine della nostra amicizia. Se mi allontano da
lui per tentare di dimenticarlo lo perdo, se gli dico quello che provo
è assai probabile che si allontani lui da me e che lo perda
uguale. Sono fregata, insomma: tanto vale prenderla con filosofia.
In ogni caso, meglio cercare di stare il meno possibile da sola con
Josh, sarebbe deleterio per la mia già labile salute
mentale. Perciò gli ho detto che anche stasera
arriverò all’appuntamento in bus perché
forse potrei essere un po’ in ritardo: scusa falsa come una
banconota da venti centesimi, visto che ho passato tutto il pomeriggio
a casa a far nulla e sono pronta in jeans, maglietta e sciarpa leggera
colorata con ampio anticipo, avvenimento che per chi mi conosce ha del
miracoloso. Tanto so già che vorrà portarmi a
casa lui, cosa peraltro sensata visto che abitiamo abbastanza vicini.
Ed è meglio evitare più di un tragitto in
macchina da soli stasera, visto il disastroso viaggio di ritorno di
venerdì scorso, con momento clou in cui Josh, davanti a casa
mia, ha tentato di avvicinarsi alla sottoscritta per salutarla, come fa
sempre, con un bacio sulla guancia e la sottoscritta, da brava idiota,
si è allontanata di scatto ed è uscita
dall’auto come se l’avesse morsa un serpente
velenoso. Furba, eh?
Guardo l’ora: le nove e dieci. Il bus che dovrebbe portarmi
al locale intorno alle e mezza passa alla fermata qui fuori tra un
minuto circa, meglio muoversi. Prendo il mio maglione di lana blu lungo
fin sopra le ginocchia che uso come giacca autunnale, lo infilo e
allaccio due bottoni sul davanti mentre esco di casa e prego una
qualsiasi entità astratta di far filare tutto liscio
stasera. Io ho le migliori intenzioni, ma stamane mi sono svegliata con
un brutto presentimento. Speriamo bene…
Scendo dal bus alle nove e ventisette: incredibile, ho addirittura tre
minuti di anticipo! Attraverso la strada ed entro
dall’ingresso principale. Sono sicuramente la prima ad
arrivare perché dentro, sull’altro lato della
stanza, c’è solo David che ordina le bottiglie
sugli scaffali.
“McPharrell, fai le pulizie?” lo saluto con un
sorriso.
Dave si volta e mi guarda stranito, dopodiché dà
un’occhiata al suo orologio da polso.
“Jude, in anticipo?”
Chissà perché, mi sembra stupito. Ah no, lo so il
perché: io sono sempre in ritardo.
“Ah sì?” chiedo, fingendomi perplessa.
“Non sono le dieci e mezza? Pensavo fosse quasi tardi,
io…”
David intanto gira intorno al bancone e viene a salutarmi con un
abbraccio leggero, tipico di lui, che è una persona
piuttosto affettuosa.
“Tutto bene?” domanda schioccandomi un bacio sulla
guancia.
Credo che si riferisca al mio umore della settimana scorsa, ma forse
sono solo io che penso sempre il peggio. Magari è solo una
domanda generica.
“Direi di sì,” rispondo cercando di
risultare serena anche in volto. “Tu? Pronto per la grande
apertura?”
“Mmh, più o meno. Se non saltano fuori problemi
dell’ultimo minuto.”
“Vedrai che andrà tutto bene. Sei
emozionato?” chiedo sedendomi ad un tavolo mentre Dave torna
dietro al bancone del bar.
“Sono un po’ agitato più che altro. Poi
non devo mica sposarmi!” esclama ridendo.
“Chi si sposa?” ci interrompe una voce dalla soglia.
Ovviamente è Josh, puntuale all’inverosimile come
sempre.
“Io no.” David è più veloce
di me a rispondere, d’altronde io sembro congelata.
“Immaginavo, Don Giovanni. A proposito, ciao.”
“Ciao,” stavolta sono io a parlare, seppur con voce
flebile.
Josh, che aveva appena fatto un paio di passi dentro il locale, si gira
verso di me e mi nota per la prima volta. Alza appena le sopracciglia.
“Jude,” dice soltanto.
So che c’è più di una domanda nascosta
dietro la sua espressione a me tanto familiare. Sono
un’idiota: ho rifiutato il suo passaggio dicendogli che li
avrei raggiunti perché avevo delle cose da sbrigare, e mi
sono dimenticata di arrivare in ritardo… Si può
essere più cretini?
Josh apre di nuovo la bocca, come per dire qualcosa. Tutto
però viene interrotto, o forse solo rimandato,
dall’entrata in scena di Matt, Delia e Audrey che
probabilmente sono arrivati con un’auto sola.
Sento solo Matt che dice: “Non insistere, Gray, non ti
farò mai guidare la mia macchina neanche sotto
tortura,” poi si fermano tutti e tre dietro a Josh, ancora
bloccato a pochi passi dalla soglia.
“Scusi buonuomo,” lo apostrofa Dee facendo
scoppiare a ridere tutti, “sta creando un ingorgo qua dietro.
Crede di riuscire a muoversi o ha bisogno di una spinta?”
A questo punto la situazione si smuove e cominciamo a salutarci a
vicenda. Domando a Audrey se verrà anche Phil e lei risponde
di no perché stasera “dobbiamo esserci solo
noi”.
Evito invece accuratamente di avvicinarmi a Josh ma, purtroppo, quando
ci sediamo capito di nuovo giusto di fronte a lui. Credo
l’abbia fatto apposta, il maledetto, anche se ora finge
indifferenza e parla tranquillo con Matt che è seduto
accanto a lui.
Dannazione, prima o poi dovrò affrontarlo pure stasera.
La serata sta scivolando più o meno liscia, se non fosse per
un piccolo insignificante particolare. Josh, ovvero quello che dovrebbe
essere il mio cosiddetto migliore amico, sta tentando in ogni modo di
boicottare le mie buone intenzioni e di farmi scoppiare.
All’inizio mi ignorava bellamente, cosa che già mi
aveva fatto sospettare alquanto riguardo a ciò che gli
frullava per quella testolina spettinata, ma dopo il primo giro di
cocktail più o meno alcolici ha cominciato a punzecchiarmi e
fare battute acide nei miei confronti per vedere quanto resisto. E lui
sa che non resisto alle provocazioni.
Sono abbastanza sicura del fatto che il ragazzo è arrabbiato
con me, o perlomeno infastidito, perché gli ho mentito
dicendogli che avevo un impegno e sarei arrivata in ritardo. Ha anche
ragione, per carità, ma non capisco tutto questo accanimento
nei miei confronti. Gesù, sembra un tiro al bersaglio.
Finora ho fatto finta di niente, e credo che continuerò
così il più a lungo possibile.
Per il resto, come ho già detto, la serata procede. Ridiamo
e portiamo a galla parecchi ricordi legati al locale vuoto: Josh che
fece l’imitazione Freddie Mercury usando la scopa come asta
del microfono; quando Delia si portò dietro quel tipo
quarantenne che, per come parlava e si atteggiava, sembrava appena
uscito da un romanzo settecentesco; Dave che organizzava le serate
karaoke solo per noi e tutti che lo insultavamo anche se in
realtà ci divertivamo sempre un sacco; quando la tranquilla
e riservata Audrey si ubriacò e cominciò a
parlare tale e quale a sua madre; quella volta che Matt mi
salvò da morte sicura, perché da brava scema
stavo per rompere il bicchiere da collezione preferito del padre di
David, e lui lo prese al volo appena in tempo perché non si
frantumasse a terra…
C’è una bella aria, perché in
realtà siamo sì un po’ malinconici, ma
anche tutti contenti per David e ciò che sta intraprendendo.
Se solo Josh la smettesse di provocarmi…
Posso farcela a resistere, anche perché penso che tra poco
andremo tutti a casa: Dave ha insistito per portarci il quarto giro di
bevande, ma ormai sono quasi quattro ore che siamo qui, quindi
presumibilmente dopo di questo ci saluteremo.
“Il nostro cameriere di fiducia!” esclama una Delia
fin
troppo entusiasta. Forse ha bevuto più del solito, ma
stasera ha l’autista. Di Matt mi fido.
“Ecco qua, ragazzi,” dice Dave appoggiando i
bicchieri sul tavolo e sedendosi. “A che brindiamo
stavolta?”
“A David!” propone Dee.
“Di nuovo? Sarà la quattordicesima volta che
proponi un brindisi per lui.” Matt è sempre
piuttosto divertito quando lei è ubriaca.
“Certo, è la sua serata!” si imbroncia
lei.
Noi ridiamo sotto i baffi e Josh prende la parola schiarendosi la voce.
“Brindiamo all’amicizia e alla fiducia,”
parla guardandomi, e io so già che sta per arrivare il colpo
basso, “perché le persone di cui ci fidiamo siano
sempre sincere e trasparenti con noi.”
Tutti si guardano perplessi, solo Delia sembra entusiasta e batte le
mani. Io taccio.
“Sei d’accordo, Jude?” continua Josh
puntando gli occhi dritti nei miei.
“Basta.” Parlo quasi senza rendermene conto.
“Ho capito che ce l’hai con me, genio, ma potresti
evitare di rovinare la serata a tutti?”
Sento qualcuno che chiede “che è
successo?” e mi do mentalmente della stupida,
perché non dovevo darla vinta a questo cretino.
“Scusate,” dico piano mentre mi alzo e
mi dirigo verso la cucina e, quindi, il cortiletto.
Non ce la faccio più a fingere.
Tempo pochi secondi e sento la porta aprirsi e chiudersi di nuovo.
Sapevo che sarebbe successo, ma percepisco ugualmente una leggera
stretta al cuore nel capire che siamo ancora una volta soli. Non lo
vedo perché sono in piedi spalle alla porta, ma so che
è lì e che stavolta non è venuto per
portarmi la giacca.
“Si può sapere che diavolo ti succede?”
domanda subito Josh con un tono a metà tra
l’aggressivo e il seriamente preoccupato.
“A me?” Lo attacco subito e, pur sentendo gli occhi
cominciare a farsi lucidi, inghiottisco le lacrime, mi volto e me lo
trovo di fronte. “Si può sapere invece che succede
a te?
È tutta la sera che mi dai contro.”
“Non fare questo giochetto con me,” ringhia lui
assottigliando gli occhi e puntandomi l’indice sulla spalla.
“Sai benissimo perché mi comporto così.
Fra l’altro se tu avessi avuto un buon motivo per
giustificare la balla che mi hai raccontato oggi pomeriggio me
l’avresti già detto. Invece mi eviti.”
Ecco cos’ho sbagliato, dovevo inventarmi una scusa per il
mancato ritardo, e tanti saluti! Sposto la sua mano dalla mia spalla.
“Non… non era una balla. Pensavo di fare tardi, in
realtà le cose sono andate in maniera diversa.”
Josh sbuffa sonoramente. “Jude, smettila.
Cos’hai?”
Riesco davvero a leggere sincera preoccupazione nei suoi occhi, eppure
continua ad attaccarmi: è evidente che l’ho
portato al limite, accidenti.
“Niente,” mormoro distogliendo lo sguardo. Errore.
“Niente? Niente?”
Ora è, se possibile,
ancora più infuriato. “Credi di prendermi in giro?
Jude, mi stai evitando!”
“Non ti evito,” cerco di negare
l’evidenza, “stasera ho solo chiacchierato di
più con gli altri, io…”
Josh mi interrompe subito. “Non parlo di stasera, lo sai.
Sono giorni che mi eviti.” Tace e mi guarda di nuovo.
“Non… No, cioè…”
tentenno, sono spalle al muro.
“Sabato, lunedì e martedì ti ho
chiamato al cellulare e non hai risposto né richiamato.
Mercoledì finalmente ci siamo sentiti ma quando ti ho
proposto di venire da te per mangiare qualcosa assieme hai detto che
non avevi tempo e che dovevi studiare.”
Cerco di inserirmi con un flebile “avevo un libro
da…” ma Josh è partito in quarta e non
ha alcuna intenzione di fermarsi.
“Quindi non ci siamo visti né lo
scorso weekend né durante la settimana, e va bene. Va bene,
può capitare. Però ultimamente quando mi avvicino
scappi, ti allontani o sei fredda. Non vuoi che ti tocchi, non vuoi
restare sola con me, eviti di parlarmi anche quando siamo in gruppo e
se lo fai dici due monosillabi di numero. Oggi questa scusa del ritardo
– come se tu non fossi sempre in ritardo poi! – per
non venire in auto con me. Posso sapere cosa ti ho fatto per meritare
tutto ciò?”
Cavolo, che analisi dettagliata. Ho appena avuto un flash di come
potrebbe essere stare insieme a lui: ha parlato esattamente come un
fidanzato preoccupato, dio santissimo. Non mi ero mai accorta che il
nostro rapporto fosse così… così.
“Niente,” rispondo piano con gli occhi a terra.
Sospira forte. “Non dire niente,
Jude, mi dà sui
nervi.”
Silenzio. Pesantissimo silenzio.
“Le ho pensate tutte.” È nuovamente Josh
a parlare, io resto immobile. “Ma non riesco proprio a
venirne a capo. L’unica cosa che posso pensare è
che ho fatto qualcosa di sbagliato ma, ti giuro, non mi pare di essermi
comportato male ultimamente. Aiutami a capire, cazzo.”
Rialzo lo sguardo su di lui, ora sembra solo triste. E lo so che si
merita una risposta, lo so.
“Non hai fatto niente, Parker, non è colpa tua.
Sono io che ho un periodo un po’…”
“Ma per favore! Ti ho guardato, con gli altri non fai
così. Basta scuse.”
“Non puoi decidere tu quando dico scuse e quando sono
sincera!”
Non riesco a fare a meno di stare sulla difensiva, perché
non voglio che capisca qualcosa di ciò che ho dentro. Questo
però, è evidente, lo fa arrabbiare ancora di
più.
“No, non lo decido io, però io lo
capisco.” Ha alzato un po’ la voce, infatti.
“Bene. Un applauso a Joshua Ernest Parker, colui che capisce
sempre tutto!” rispondo con tono pesantemente ironico e
battendo le mani. “Contento adesso? Possiamo andare tutti a
casa?”
No, non sto esagerando. Che cavolo vuole, la dichiarazione settimanale
scritta di tutto ciò che provo e penso? O vuole solo che gli
dica grazie perché mi rompe le palle per capire come mai
sono strana? Beh, non glielo dirò, che cominci a farsene una
ragione.
I suoi occhi blu mandano scintille. “Cazzo Jude, voglio
aiutarti, ecco cosa voglio!”
Sembra avermi letto nel pensiero, il ragazzo.
“Non mi pare tu lo stia facendo, così.”
“Se magari tu mi dicessi
cos’hai…”
“Se magari tu non fossi così… pedante e
appiccicoso…” ribatto senza pensare.
Accusa il colpo e i suoi occhi sembrano farsi più scuri e
torbidi. Tristi.
“Sono il tuo migliore amico,” risponde, mentre la
sua voce si abbassa di parecchio, sia nel volume sia
nell’intensità.
“Allora non farmi domande stupide,” concludo
fingendomi fredda mentre in realtà mi sento come se mi
avessero appena tirato un pugno nello stomaco.
Mi giro e poggio la mano sulla maniglia della porta, quando sento che
Josh batte un piede per terra, come un bambino che fa i capricci.
“Cazzo,” ripete per l’ennesima volta
nella serata a voce piuttosto alta, “posso almeno sapere che
cazzo ti ho fatto di male?”
Adesso basta, è maledettamente testardo. Perché
vuole ad ogni costo questa dannata risposta che farebbe male a entrambi?
Adesso basta.
Merda merda merda. Perché l’ho fatto? Merda.
L’ho baciato, cavolo.
Mi sono girata, l’ho visto lì di fronte a me, con
gli occhi blu tristi e preoccupati e infuriati e bellissimi. Il mio
cervello deve aver avuto un blackout momentaneo: tempo di fare due
passi avanti, alzarmi sulle punte dei piedi, posargli una mano sulla
nuca, e avevo le labbra attaccate a quelle di lui. È durato
tutto pochissimi istanti, mi sono accorta di quello che stavo facendo
quando i fuochi d’artificio – nella mia testa,
presumo – si sono affievoliti giusto per consentirmi di
sentire la sua bocca che cominciava a muoversi sopra la mia, a quel
punto mi sono staccata e allontanata di almeno due metri e mezzo.
Riapro gli occhi – ma
quando li avevo chiusi? – e
Josh è lì davanti, più sconvolto di me.
“E questo?” sussurra.
Non riesco a respirare, però credo di essere ancora dotata
di movimento quindi è meglio che mi sposti da qui. Senza
dire niente mi giro, apro la porta e rientro in cucina.
“Jude, si può sapere cos’era?”
La voce di Josh mi raggiunge caparbia mentre tento di scappare.
“Secondo te?” dico senza fermarmi e senza riuscire
a evitare il mio solito sarcasmo.
“Fermati!” mi intima lui, e due secondi dopo mi
prende il braccio.
Lo scrollo via con uno strattone. “Non toccarmi.”
La mia voce risulta più stridula di quanto vorrei, quindi
sospiro e parlo più piano. “Lascia perdere,
è meglio.”
“Lasciar perdere cosa?”
“Me,”
concludo voltandomi di nuovo e dirigendomi
dove dovrebbero esserci tutti gli altri.
In sala, invece, non c’è nessuno, salvo Dave che
finisce di mettere via le ultime cose.
“Ah, eccovi qua!” mi accoglie sorridente, ma cambia
subito espressione vedendo la mia faccia: devo fare davvero paura.
“Ma che cosa…?” comincia di nuovo David.
“JUDE!” sento Josh che mi chiama alle mie spalle,
quindi mi dirigo verso la porta a grandi falcate.
“Dave, mi daresti uno strappo fino a casa?” chiedo
pragmatica per non rimanere a piedi.
“Sì, certo,” risponde perplesso,
“ma si può sapere che…”
Lo interrompo di nuovo. “Perfetto, ti aspetto davanti alla
moto, l’ho vista qua fuori,” dico velocemente
uscendo e chiudendomi la porta alle spalle.
David mi raggiunge alla sua moto poco più di cinque minuti
dopo la mia uscita di scena: non so se nel frattempo ha parlato con
Josh o meno, so solo che ho avuto in questi cinque minuti il cervello
completamente in pappa, incapace cioè di formulare un
pensiero compiuto. Avevo solo paura che Josh mi raggiungesse anche qui,
ma evidentemente Dave deve averlo fatto desistere.
“Ehi,” dice timidamente il mio amico mentre si
avvicina.
“Grazie per il passaggio,” sospiro, “so
che ti allunga la strada di parecchio, scusa.”
“Figurati,” risponde. Sembra stranamente indeciso
sul da farsi, non è da lui. “Non ti va di parlarne
ora, immagino.”
“Immagini bene,” taglio corto, ma sono troppo
curiosa per non chiederglielo… “Lui ti ha detto
qualcosa?”
“Josh? No, solo che avete più o meno
litigato.”
Abbasso la testa, adesso sono io a non sapere che dire, quindi continua
Dave.
“Senti, non ti chiederò niente ora,
però sembra una cosa piuttosto grave stavolta. Sai dove
trovarmi se vuoi fare due chiacchiere, io ti ascolto volentieri. E
soprattutto, risolvete la cosa, qualunque essa sia. Ok?”
Annuisco, anche se ora come ora piuttosto che risolvere la cosa
preferirei finire in un girone infernale. Sempre che non ci sia
già: quello per chi si innamora del proprio migliore amico.
“Non ho due caschi, usa tu il mio,” dice David
porgendomelo e salendo sulla moto.
“Grazie,” ripeto di nuovo mettendomi dietro di lui
mentre mi infilo il casco.
Poi partiamo e, stretta al mio amico, sento solo il rumore della moto e
il freddo.
Tutto ciò che riesco a pensare è che vorrei
scappare al Polo Sud o in Nuova Zelanda, o in un altro posto dove sarei
introvabile, insomma. E anche che probabilmente – purtroppo e
per fortuna – non saprò mai se Josh ha mosso le
labbra sulle mie per staccarsi, parlare, allontanarmi con un morso, o
se l’ha fatto per rispondere a quel mio timido abbozzo di
bacio.
Eccovi
il terzo capitolo, come promesso, dopo tre giorni, e, sempre come
promesso, inizia un po' di azione...
Ditemi cosa ve ne pare, io l'ho pensato così dall'inizio, ma
ora non mi convince del tutto tutto tutto.
Rispondo qui alle recensioni.
chica KM: La
tua è stata la prima recensione, quindi grazie! Se devo
proprio essere sincera, io sono affezionata a tutti questi personaggi -
e grazie, sono miei: li ho fatti nascere e crescere! - però
Delia piace in particolare anche a me: è molto diversa da
me, ma è un elemento particolare e fondamentale nelle
dinamiche del gruppo... E per fortuna c'è, sennò
sai che noia! ;)
Hylis: Il
più bel complimento che potessi farmi era sulla
caratterizzazione dei personaggi, quindi davvero grazie di cuore. Ci
tenevo tanto, perché, come ho detto e come hai notato anche
tu, per il resto la storia è già vista e poco
originale. Avevo paura che i primi capitoli risultassero un po'
noiosetti e poco chiari, con tutta quella parte descrittiva, spero non
sia così. Per quanto riguarda la tua situazione... ehm...
Non so che dire perché non la conosco personalmente,
però se dici che il mio modo di descriverla è
credibile mi rincuori... Trovi che Jude sia troppo complessata?
Bene, ho finito. Vi aspetto per il prossimo capitolo tra qualche giorno.
Un abbraccio.
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Capitolo 4 *** Il maglione blu e il secondo motivo ***
4. Il maglione blu e il
secondo motivo
È sabato
sera e io sono a casa, in pigiama. A farmi compagnia
c’è solo il mio gatto, Gandhi – il nome
l’ho scelto io, sì, e non lo trovo affatto
esagerato – e il plaid nel quale sono avvolta quasi
stabilmente da stamattina. I miei sono andati al cinema e mio fratello
Kerr vive con la sua ragazza da qualche mese.
Ho passato una
giornata di merda. È sabato, sono libera, dovrei divertirmi
come ogni ventenne che si rispetti, invece non ho nemmeno avuto il
coraggio di accendere il cellulare. Sono una codarda, lo so. I miei
genitori hanno più vita sociale di me, e probabilmente, se
continuo così, tra un paio di mesi avrò azzerato
il numero dei miei amici. Che sono splendidi, invece, e si preoccupano
per me.
Oggi pomeriggio, ad
esempio, è passata a trovarmi Aud: abbiamo parlato un
po’ del tempo e di altre stupidaggini, ma non è
riuscita a scucirmi nulla su ieri sera, perciò dopo
un’oretta è dovuta andarsene lanciandomi sguardi
assai preoccupati.
Mi ha anche chiamato
Delia, sul telefono fisso, per chiedermi se stasera avevo voglia di
uscire con lei e qualche sua amica del college: “una cosa tra
donne,” ha detto, ha insistito un quarto d’ora ma
niente, non sono proprio dell’umore.
In realtà
non ho intenzione di piangermi addosso per sempre,
tutt’altro: ho bisogno di un paio di giorni per metabolizzare
la stronzata che ho fatto e poi basta. Devo anche pensare a cosa fare e
dire la prossima volta che incontro Josh, anche se penso – e
spero – che non sarà tanto presto: probabilmente
venerdì prossimo, all’inaugurazione del locale di
Dave, ma siccome ci sarà tanta gente forse
riuscirò a evitarlo.
Dio, che stupida
imbecille che sono stata! Mi darei un premio da sola per la mia
deficienza congenita.
Maledizione, il
problema di quel dannato bacio è che mi ha fatto venire
voglia di dargliene un altro e poi un altro e poi altri ancora. Sentire
le sue labbra, il suo respiro, il suo sapore, mi ha trasmesso un tale
concentrato di emozioni da fare paura.
E infatti ho paura,
un’enorme paura. Perché un bacio è solo
un bacio, una cosa sciocca che certo di per sé non
rovinerebbe un’amicizia, se non fosse che io, purtroppo, sono
dannatamente innamorata di Josh. Ogni volta che devo ammetterlo con me
stessa sento una sorta di pugno nello stomaco, ma è
così ed è inutile continuare a fingere.
La cosa peggiore
è che non so neanche da dove mi sia uscita la malsana idea
di baciarlo: dev’essere stato uno dei rarissimi momenti in
cui esce il mio lato istintivo, in genere soppresso e ben nascosto. Un
attimo di follia inconscia e atavica, insomma, che però non
deve ricapitare per nessuna ragione al mondo. La rabbia, mischiata
all’attrazione o all’amore, può fare
molto male, e io ieri sera ero davvero infuriata, ma basta che mi
ricordi di: numero uno,
stargli il più lontano possibile;
numero due,
restare calma e tranquilla in sua presenza; e non
dovrebbero esserci problemi. Credo.
Alle dieci e mezza sto
ancora rimuginando davanti a un film idiota di cui ho realmente
guardato solo qualche spezzone nei momenti di lucidità,
quando sento bussare alla porta principale. Potrebbe essere Delia,
aveva detto che, se finiva presto con le altre, passava a trovarmi con
una vaschetta di gelato: di quest’ultimo avrei voglia, ma so
che anche Delia tenterebbe di farmi parlare riguardo a ieri sera. E Dee
è parecchio insistente quando ci si mette, accidenti.
Però mi sembra un po’ prestino perché
abbia già concluso la sua serata fra donne. Mah…
Josh. Ho aperto la
porta e c’è Josh lì che mi guarda.
Senza il gelato, oltretutto.
“Ciao.”
Tenta anche un mezzo sorriso ma non gli riesce granché bene.
“Che ci fai
tu qui?” chiedo stupidamente, come se non lo sapessi
già.
“Ho ben due
motivi,” spiega subito. “Il primo è
questo,” continua porgendomi qualcosa.
È il mio
maglione blu. Beh, si spiega almeno perché ieri sera in moto
avessi così freddo: come ho fatto a non pensarci? Ero
totalmente sbalestrata!
“Perché
ce l’avevi tu?” domando ancor prima di ringraziarlo.
“Ho visto
che uscivi senza e l’ho preso dalla tua sedia,”
dice mettendosi le mani in tasca e fissando a terra. “Prego,
comunque,” si premura di farmi notare il mio mancato
ringraziamento tornando a guardarmi.
Agito la mano come a
dire “scusa,
il grazie era sottinteso” e so che,
anche se non parlo, ha capito cosa intendo, perché accenna
di nuovo un sorriso. Dio, se è bello.
“Non
l’hai dato a David,” puntualizzo.
“Cosa?”
“Ieri sera
quando sei uscito dal locale eri con Dave e lui doveva portarmi a casa.
Potevi dare a lui la maglia, no?” chiedo in uno sprazzo di
lucidità.
Scrolla le spalle.
“Volevo portartelo io, Dave l’ha capito e me
l’ha lasciato.”
Perfetto, anche il mio
amico gay si è coalizzato contro di me, dunque.
Sto per fare La
Domanda, ma non so se ho voglia di sentire La Risposta, in
realtà. Inspiro.
“Quindi,
veramente, perché sei venuto?” borbotto a mezza
voce.
“Come?”
Va bene che ho parlato
pianino, ma il ragazzo non mi sembra molto intuitivo stasera.
“Ti ho
chiesto il secondo motivo per cui sei qui, Josh. Quello
vero,” specifico.
“Ah.”
Toglie una mano dalla tasca e si gratta il collo. “Non mi fai
entrare?”
“Non hai
risposto,” dico guardandolo sospettosa. Non so se ho voglia
di farlo entrare solo per sentirmi dire “non possiamo
più essere amici” o robe simili.
“No,
eh?” chiede arricciando il naso. Ma mi prende in giro?
Sembrerebbe.
Il mio sguardo
dev’essere piuttosto eloquente, perché per una
volta il furbo qui davanti capisce da sé.
“Ok, hai
ragione,” ammette, “il secondo motivo.”
“Quindi?”
domando ancora. A questo punto, tanto vale saperlo.
Mi guarda dritto negli
occhi e rimango un attimo spiazzata: capisco dal suo sguardo che
è indeciso sul da farsi, agitato. Forse è peggio
di quello che avevo immaginato, allora, perché Josh non si
agita mai tanto facilmente.
“Senti,”
cerco di convincerlo, “puoi dirmelo, ok? Qualunque cosa sia,
sono pronta. Basta che non stiamo qua a…”
Vengo interrotta da un
suo deciso “va bene” e prima che possa rendermi
conto delle sue intenzioni si avvicina e mi bacia.
Ripeto: mi sta
baciando, dei del cielo!
Le sue labbra sono
sulle mie, le sue mani mi hanno preso il volto e io sono qui ferma come
un baccalà. Cerco di allontanarmi di un passo, ma non
succede niente, faccio un altro paio di passi indietro ma lui continua
a restarmi appiccicato; allora mi accorgo che sono arrivata con le
spalle al muro e che Josh mi ha seguito in ogni mio movimento, per non
farmi scappare.
Sono in trappola.
Chiudo finalmente gli occhi, come avrei voluto fare da subito, e
rispondo d’istinto ai suoi baci; il mio cuore nel frattempo
batte talmente forte che temo lo sentano anche i vicini di casa.
Josh si allontana un
attimo, ma stavolta sono io a non lasciarglielo fare: mi alzo sulle
punte dei piedi, gli appoggio le mani sul collo e lo bacio di nuovo.
Lui in realtà non sembra intenzionato a farsi pregare e
quando tenta di approfondire il bacio sento il mio stomaco fare un paio
di capriole.
Dio, cosa stiamo
facendo? I nostri respiri si fondono, le sue mani mi carezzano piano il
viso, sento il suo corpo vicino al mio. Siamo troppo… troppo.
A questo pensiero mi
allontano di scatto e sbatto la testa sul muro dietro di me.
“Ahi!”
esclamo staccando le mani dalle sue spalle e portandole automaticamente
verso l’alto. Sulla mia nuca, però,
c’è già la sua mano che, più
svelta, è corsa a controllare i danni.
In un’altra
occasione starebbe già ridendo, ora invece sembra realmente
preoccupato. “Ti sei fatta male?”
“Che cazzo
fai, sei matto?” lo aggredisco io, e non contenta della sola
minaccia verbale gli appioppo, per allontanarlo da me, una spintarella
che, per quanto debole, lo obbliga a fare un passo indietro. Ora posso
respirare, almeno. Circa.
“Controllavo
se stavi bene,” si scusa accigliato.
“Non quello,
cretino!” continuo io alzando di poco la voce – non
credo di averne molta ora come ora. “Sei venuto qua per
saltarmi addosso?”
Spalanca gli occhi,
fingendo ingenuità. “Non mi pareva fossi
contraria, tu.”
Credo di essere appena
diventata di tutti i colori contemporaneamente.
“Sei un
idiota!” Stavolta urlo proprio, invece: la voce a quanto pare
c’è.
Josh sorride. Eh? Che
diavolo c’è da stare allegri adesso? Si passa una
mano fra i capelli e comincia a parlare guardandomi di sottecchi.
“Sei…
sei tu che mi hai baciato ieri sera e…”
“Ma cosa
c’entra? Io non…” lo interrompo, ma lui
riprende subito la parola.
“Mi lasci
finire, per favore?” dice, e nel frattempo mi accorgo che
è decisamente a una distanza troppo ravvicinata, mezzo metro
sì e no.
“Sì,
sì, stai lì però,”
puntualizzo appoggiandogli una mano sul petto per scostarlo ancora un
po’, ma spostandola subito, come scottata.
“Ok.”
Josh si allontana di un altro paio di passi, dopodiché si
massaggia il collo con la mano e prende un respiro. “Allora,
ieri mi hai baciato e… io non so perché tu
l’abbia fatto. Poi… non mi hai lasciato il tempo
di reagire, neanche di capire cos’era successo. Una cosa
però la so, credo. In tutta la serata il momento in cui mi
hai baciato è stato, beh…” si ferma un
attimo e deglutisce, dopodiché mi guarda negli occhi e
abbassa la voce a un sussurro che mi fa tremare le gambe,
“è stato l’unico attimo in cui sono
stato veramente bene.”
C’è
un lungo silenzio in cui Josh mi guarda e io non riesco a respirare.
“È
assurdo, lo so,” è ancora lui che parla ma
stavolta dà voce anche ai miei pensieri, “ma
volevo dirtelo perché sei comunque la mia migliore
amica,” ora mi viene quasi da piangere ma non ha ancora
finito, “e poi volevo capire meglio cos’era
successo ieri. Quindi eccomi qua…” conclude con
uno dei suoi mezzi sorrisi da cardiopalma.
“Josh, io
non… non so che dire.”
“Non dire
niente allora,” risponde facendo mezzo passo verso di me.
Cerco di mandare
giù il groppo che mi si è formato in gola.
“Che fai?”
“Mi
avvicino,” dice con ovvietà. Sta ancora
sorridendo, maledizione.
“Perché?”
domando con sussurro tremulo.
I suoi occhi si fanno
più dolci, se possibile, e seri.
“Jude…”
sospira a pochi centimetri da me. Sentire la sua voce così
bassa e leggermente roca che pronuncia il mio nome mi fa andare in
corto circuito l’intero apparato muscolare e scheletrico.
Quello respiratorio ha alzato bandiera bianca già da un
pezzo, del cuore è meglio non parlare proprio, invece.
È di nuovo troppo vicino.
Josh posa una mano sul
mio volto e col pollice mi carezza lo zigomo e la guancia destra. Devo
chiudere gli occhi perché non ce la faccio più,
sto impazzendo.
Socchiudo le labbra
aspettando di nuovo un suo bacio, ma lui appoggia semplicemente la sua
fronte sulla mia e sta lì, a farmi ascoltare il suo respiro.
Così mi calmo un po’ e per qualche minuto Josh
torna a essere semplicemente il mio migliore amico, l’unico
che sa sempre cosa fare con la sottoscritta. Anche ora: aspetta che mi
tranquillizzi, mi carezza piano i capelli come ha fatto tante altre
volte, dopodiché mi passa il pollice sulle labbra, come a
chiedermi il permesso di baciarmi di nuovo. E io glielo lascio fare,
lascio che approfondisca il bacio, lascio che continui ad accarezzarmi
i capelli ed il viso, mi fido di lui più che di chiunque
altro al mondo.
Boccheggio quando lui
si stacca da me, dopo non so quanto tempo, lasciandomi completamente
senz’aria, e riappoggia la fronte sulla mia,
restando lì quasi immobile a toccarmi il viso, ora con
entrambe le mani. Poi si muove e va a spostarmi con il naso i capelli
dal collo, finché non trova lo spazio per posarmi un bacio
leggero sotto l’orecchio e un altro più
giù, sulla gola. Rabbrividisco e per reazione spontanea mi
stringo di più a lui cingendogli il collo con le braccia e
appoggiandomi alla sua spalla. L’ho abbracciato
così tante volte, il mio migliore amico.
“Non capisco
neanch’io che sta succedendo, Free,” dice con la
bocca appoggiata alla mia clavicola, che per fortuna è
coperta dalla maglia del pigiama – oddio, sono veramente in
pigiama! Nel mentre, sposta le mani e mi abbraccia anche lui,
accarezzandomi la schiena.
Ciò che non
posso dirti, Josh, è che io invece lo capisco. So di essere
innamorata di te: ormai sono talmente cotta che non riesco neanche ad
allontanarti come sarebbe saggio fare, pur di restare qualche attimo in
più a crogiolarmi nel tuo abbraccio. Tu, invece, stai
facendo tutto ciò per puro spirito di iniziativa, o forse
per noia, chissà: magari quando ieri sera ti ho baciato hai
sentito qualcosa di strano, di diverso, sensazione dovuta a tanti anni
di amicizia puramente platonica e casta, e hai pensato di ripetere
l’esperienza per vedere se riaccadeva uguale. Permettendoti
di farlo, mi sto dando da sola una falsa speranza e, quindi, il colpo
di grazia. Non posso, no.
“No,”
ripeto, questa volta a voce alta.
Josh mi guarda
interrogativo. “Cosa?”
“No,”
dico ancora, sgusciando fuori dal suo abbraccio e andando a una
distanza più consona, mentre riordino le idee per decidere
cosa dire e fare. Sembra facile, ma con tutti i neuroni in sciopero non
riesco a pensare niente.
“Non abbiamo
fatto niente di male, Jude,” mi fa notare lui con espressione
più accigliata che altro.
“Come
vuoi,” sorvolo sulla sua ultima affermazione,
perché le nostre concezioni di male potrebbero
essere molto
diverse ora come ora, “però è meglio
smettere subito, domani mattina avremo già cambiato idea e
bla bla bla. D’accordo?” cerco di tagliare corto.
So di non essere stata effettivamente molto chiara, ma è il
massimo che si può pretendere da me in questo momento.
“No,
sì, cioè…” È per
caso confuso? “Non so se domani mattina avrò
cambiato idea, ma se vuoi che mi dimentichi questa cosa…
beh, va bene. Posso farlo, credo di essere più forte
io.” Sorride. Aiuto.
“Dai, Josh.
Siamo amici, siamo di sesso opposto e siamo entrambi etero. Era
inevitabile che ci baciassimo prima o poi, ora possiamo anche passare
avanti, direi.” Vedo che apre la bocca per parlare ma lo
anticipo. “E lascia perdere che ti ho baciato io ieri,
è stato un raptus, tu insistevi e non sapevo come zittirti!
Non succederà più.”
È
incredibile come sia riuscita a liquidare tutto con poche parole, ma da
dove diavolo mi è uscita tutta questa sicurezza? In
realtà sto per affogare da sola.
“Ok.”
Sembra che io l’abbia convinto, dopotutto.
“Ora,”
concludo spingendolo verso la porta ancora aperta, “come puoi
vedere sono in pigiama, ergo stavo andando a dormire.”
Sto mentendo
spudoratamente ma almeno il mio abbigliamento poco elegante alla fine
è servito a un nobile scopo.
“Ho capito,
ho capito!” esclama Josh, ormai fuori dall’uscio.
“Buonanotte,” conclude scoccandomi un brevissimo
quando inaspettato bacio sulla fronte.
Resto un secondo
immobile, poi, grazie al cielo, mi riprendo in tempi non sospetti.
“Notte!”
esclamo sfoggiando un sorriso forzatissimo mentre chiudo la porta in
faccia al mio migliore amico e mi ci appoggio sopra a sacco di patate.
Poco distante da me,
Gandhi mi fissa altezzoso, e dal suo sguardo sembra quasi che di questo
pasticcio ci abbia capito più lui di me e Josh messi assieme.
Mio dio. Non so
pensare altro.
Oggi
non vi stresso più di un paio di righe.
So
che è estate, fa caldo, siamo in vacanza (più o
meno), eccetera, però se qualcuno di coloro che hanno letto
o inserito la mia storia nei preferiti (a proposito, GRAZIE) mi facesse
l'immenso favore di recensirla, anche solo per dire "che schifezza" o
"che noia", gliene sarei davvero davvero grata.
Chiudo, tornerò
tra qualche giorno. Siamo a metà, circa, quindi resistete!
:) Bye.
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Capitolo 5 *** Kerr e l'inaugurazione ***
5. Kerr e l'inaugurazione
Sembrerò monotona,
ma è di nuovo venerdì e tra qualche ora, alle
dieci, ci sarà l’inaugurazione del Marie at night.
Devo cercare di essere là un po’ prima stavolta,
giusto per infondere coraggio e comprensione a Dave, che ultimamente
è esaurito, povero.
Questa settimana mi sono fatta scaltra e ho evitato di commettere
l’errore che ho già fatto in precedenza: ho
risposto regolarmente alle chiamate e ai messaggi di Josh per non
essere accusata di vigliaccheria o quant’altro.
D’altra parte, il signorino non si è degnato di
farsi sentire poi molto: qualche sms qua e là, una fredda e
sterile chiamata per verificare se ero viva, niente in confronto al
solito. Bah, meglio così.
No, va bene, sto fingendo: meglio così un cavolo! Cosa gli
passa per il cervello? Prima viene a casa mia e mi salta allegramente
addosso baciandomi e poi si permette pure di fare lo schizzinoso o,
peggio ancora, il confuso?! Certo, me lo ricordo che ho cominciato io,
eccetera eccetera. So anche che io non mi sono fatta viva
più di tanto con lui, ma diamine, ho il diritto di essere
sconvolta, o no?
In realtà il mio è un discorso sconfinatamente
egoista, me ne rendo conto: ho bisogno della sua presenza amichevole e
costante, ho bisogno delle sue telefonate e dei suoi aneddoti idioti,
ho bisogno di sentire la sua voce che mi dice: “Free, passo a
trovarti stasera, libera un po’ la tua agenda e
aspettami” e di sapere che vuole vedermi. Mi serve tutto
questo per capire che non posso permettermi di perdere la sua amicizia
e anche perché… Beh, perché ne ho
bisogno e basta. Come l’aria.
In particolare, mi sta facendo scoppiare il fatto di non poter
raccontare nulla a qualcuno. Di solito trovo sempre una persona con cui
confidarmi, anche se non ho un carattere molto espansivo: a Josh,
volente o nolente, dico praticamente tutto, e stavolta per ovvi motivi
non posso, poi c’è Audrey e, qualche volta, Dave o
Delia. Invece, non ne ho parlato con anima viva e ho deciso che i miei
amici è meglio che non lo sappiano. Sarà una mia
fissazione, ma ho paura che se ne parlo ad alta voce questa cotta
diventerà reale, rovinando magari gli equilibri del gruppo.
E comunque farei solo molto rumore per nulla, visto che è
una faccenda senza capo né coda. E senza futuro, soprattutto.
Per questo mi tengo tutto dentro da settimane e scanso accuratamente
l’argomento “Josh” con chicchessia, onde
evitare di tradirmi.
È sera, ho appena finito di mangiucchiare qualcosina,
è ora di prepararsi per la serata. Non ho assolutamente
voglia di tirarmi in alcun modo, ma glielo devo a David, di rendermi
perlomeno presentabile. Cerco quindi di vestirmi decentemente
– anche se all’ultimo escludo l’opzione
gonna, e opto per dei jeans neri – e di fare qualcosa col
ferro per migliorare quell’ammasso di capelli che ho in
testa; infine mi ritocco con un filo di trucco, mi infilo un paio di
orecchini e decido di non mettere la collana perché mi
starebbe bene solo quella che mi ha regalato Josh due anni fa per
Natale.
Sono pronta, e con ben dieci minuti di anticipo sull’autobus!
Incredibile.
Decido di aspettare fuori, mi siederò sul dondolo che
abbiamo nel portico in entrata.
“Ciao, io vado,” saluto i miei seduti sul divano ed
esco.
“Ciao tesoro, divertiti,” sento mia madre mentre
chiudo la porta. Speriamo,
mamma.
Inspira, espira: andrà tutto bene.
Forse dovrei prepararmi qualcosa da dire a Josh quando lo
vedrò, visto gli ultimi disastri combinati da me medesima
con l’improvvisazione pura. Ma cosa devo dirgli, poi? Nulla,
abbiamo già chiarito che è meglio dimenticare
tutto e passare oltre. O no?
“Ehi piccolina, ci sei o ti trovi in un universo
parallelo?”
Sobbalzo sentendo una voce, alzo la testa per controllare chi
è e…
“Kerr!” esclamo saltando ad abbracciare il mio
fratellone. “Che ci fai qui senza avvisare? Alla mamma
verrà un infarto, sono settimane che non ti
vediamo!”
Castano, occhi marroni, sorriso allegro e solare, mio fratello Kerr,
cinque anni più della sottoscritta, mi somiglia abbastanza
dal punto di vista fisico, ma è quasi il mio opposto
caratterialmente: tanto io sono schiva e riservata quanto lui
è un ficcanaso rompipalle. Ma lo adoro così,
l’ho sempre adorato.
“Mamma e papà sono dentro?” mi chiede
Kerr sedendosi sul dondolo e invitandomi con la mano a riprendere posto
accanto a lui.
“Sì, stanno guardando un film, credo.”
“E tu, splendore?” continua squadrandomi parte a
parte. “Per chi ti sei fatta bella?”
“Kerry! Per nessuno!” ribatto arrossendo un
po’.
Lui non sembra convinto. “Dai, dimmi dove vai.”
“Ti avevo detto, no, che Dave apriva il locale di suo padre
anche la notte?” Lo vedo annuire. “Ecco, stasera
c’è l’inaugurazione,” spiego
velocemente.
“Ah già. Aspetti che Josh ti venga a
prendere?” domanda lui.
Perdo un battito a sentire quel nome pronunciato ad alta voce, ma
d’altronde Kerr non può sapere di aver toccato un
tasto dolente.
“No, in realtà.” Abbasso lo sguardo.
“Vado in autobus.”
Mio fratello mi guarda leggermente stupito, poi posa gli occhi sulla
strada.
“Intendi quell’autobus?”
“Cazzo, sì!” esclamo alzandomi e
rendendomi subito conto di non essere Wonderwoman e di non poterlo
perciò raggiungere. “L’ho perso,
merda!”
“Ragazzina, quanto sei scurrile!” si finge
scandalizzato lui. “Dove hai imparato queste brutte parole?
Dovrei lavarti la lingua col sapone!” mi prende ancora in
giro come quand’eravamo bambini.
“Taci!” ringhio, ributtandomi di peso sul dondolo e
prendendomi la testa fra le mani.
“Dai, su. Non rovinarti l’acconciatura, per una
volta che non sembri aver infilato due dita nella corrente. Ti
accompagno io in macchina,” dice alzandosi e porgendomi la
mano per aiutarmi e tirarmi in piedi.
Sono titubante. “Non saluti mamma e
papà?”
“Li saluto dopo. Andiamo!” Mi prende su di peso,
con la sua solita scarsa grazia. “Così mi racconti
durante il tragitto cos’è successo di tanto grave
con Parker da farti andare in apnea al solo sentirlo
nominare…” sghignazza malefico.
Ecco dov’è il trucco! Lo sapevo!
“Kerr, sei un idiota,” mugugno mentre lo seguo
verso l’auto.
“Ma sono tuo fratello, quindi mi vuoi comunque un bene
dell’anima!” esclama soddisfatto.
“Non mi hai detto perché sei
qui…” tento vaga di cambiare argomento.
“Beth?”
Spero che abbocchi: Beth è la sua fidanzata
nonché convivente e di solito a Kerr piace parlare di lei,
si perde anche per delle ore.
“È a un corso di aggiornamento a New York,
così ne ho approfittato per venire a trovare la mia adorata
sorellina. E mi sono accorto che stai cercando di sfuggirmi, sai,
Judy.”
Normalmente Kerr è uno delle pochissime persone che
può permettersi di chiamarmi Judy senza finire fulminato, ma
stavolta gli lancio un’occhiataccia delle mie mentre salgo in
macchina e lui mette in moto.
“Quindi, con Parker?” insiste
quell’immenso rompipalle di mio fratello.
“Con Josh cosa?”
mi fingo confusa io.
“Dai, dimmelo!” mi prega l’impiccione.
“Te lo scordi!” rispondo cordiale.
“Allora è successo davvero qualcosa!”
Acuto il tipo. “Raccontami.”
“No.”
“Ma Judy…!”
“Smettila, sei una vecchia comare!”
“Ti prego!”
“Uffa, Kerr…”
“Ecco tutto. È una settimana che non lo
vedo.”
“Wow.”
Siamo parcheggiati fuori dal Marie’s
e ho appena finito di spiegare a mio fratello una versione riassunta e
schematizzata degli ultimi avvenimenti con Josh. Mi sembra
più confuso che sorpreso, però.
“Non dici niente?” gli chiedo titubante guardando
l’orologio: meno un quarto alle dieci, posso trattenermi
ancora cinque minuti sì e no.
“Mah, non so. Cosa vorresti che ti dicessi?”
“Questa è una domanda idiota.”
Kerr ride. “Lo so.”
“Non mi sembri sconvolto dalla notizia,” butto
lì per verificare.
“Perché non lo sono.”
Adesso sono io a essere confusa. “Cioè?”
“Avete sempre avuto questo strano rapporto tira-e-molla a
metà tra l’amicizia più pura,
l’odio più profondo e l’amore
più sconfinato. Queste tre cose non possono convivere in un
rapporto senza creare disastri, Jude, era inevitabile che prima o poi
succedesse ciò che è accaduto. La domanda vera
è un’altra: sei innamorata di lui o quel bacio
è stato solo causato dagli ormoni?”
Abbasso lo sguardo: nel narrare il tutto mi sono limitata alla parte di
avvenimenti puramente descrittiva, niente pappardelle sui sentimenti o
cose simili. In poche parole, ho omesso di dire a mio fratello che sono
davvero persa, totalmente e inguaribilmente innamorata persa di Josh.
Non mi va ancora di dirlo ad alta voce.
Ma Kerr capisce lo stesso. “Allora dovresti
buttarti.”
“Sei matto?!” esclamo, stranita dal suo consiglio.
“Probabilmente perderei anni di amicizia, non posso
permettermelo.”
“Se lo dici tu…” mi asseconda, ma non
sembra convinto.
“Per non parlare del fatto che non so neanch’io
bene cosa provo, cioè… Mi sento strana quando
c’è lui e so che non dovrei, perché
è il mio migliore amico ed è…
è Josh, insomma. Ma potrebbe anche essere tutto uno stupido
capriccio o una… un’attrazione fisica di poca
importanza. Insomma, chi mi garantisce che non passerà
presto?”
Mi accorgo di parlare a macchinetta, sono agitata, e guardo mio
fratello nella speranza di sentire parole di conforto che so
già non arriveranno. Kerr è così: mi
capisce abbastanza bene – anche se le litigate tra noi due
non sono mai mancate, soprattutto quando vivevamo sotto lo stesso tetto
– però evita di darmi consigli di vita troppo
azzardati. Specialmente se si parla di “Jude e i ragazzi”
il mio fratellone tende a distaccarsi: non me l’ha mai voluto
dire, ma un certo senso di protezione nei miei confronti è
possibile che lo provi, sarebbe del tutto naturale, dopotutto.
“Come vuoi.” Lui alza le spalle.
“Comunque non è detto che la perderesti.”
“Cosa?” Stasera sono un poco fra le nuvole, lo
ammetto.
“L’amicizia, scema!” spiega dandomi un
colpetto sulla nuca. “Vai che sennò arrivi
tardi!”
Scendo dall’auto. “Kerr?”
“Dimmi.”
“Grazie del passaggio.” Sorrido, so che ha capito
perché lo ringrazio veramente.
“Figurati, Cenerentola. Se hai bisogno per il ritorno,
fa’ uno squillo.”
“Ok, ciao.”
“Buona serata!”
I consigli sbalestrati di Kerr in realtà non mi sono stati
molto utili, sempre che io consideri un consiglio quel suo “buttati”.
Ma avevo bisogno di parlare con qualcuno di questa faccenda e mio
fratello è capitato proprio nel momento più
adatto. Ora almeno non ho più la sensazione di stare per
esplodere da un momento all’altro.
Un po’ di fifa
però sì, penso appena prima di
entrare nel locale.
“Juuuuuuuude!”
Appena varco la soglia vengo accolta da un uragano di nome Delia, che
mi salta addosso come se non mi vedesse da mesi e a momenti non mi
butta a terra.
“Sei arrivata, meno male, qui nessuno mi sta ad
ascoltare!” parla velocemente gesticolando con le mani e
sembra piuttosto agitata.
“Scusate il ritardo, è che mio fratello
è arrivato all’improvviso e…”
Delia mi interrompe. “Tuo fratello Kerr? Ha problemi con la
fidanzata?” chiede con uno sguardo malizioso.
“Dee, con Beth va tutto a meraviglia, lascia perdere che
è meglio,” rispondo sospirando: avevo dimenticato
la sua fissazione per Kerr, d’altronde questa pazza mitomane
sarebbe capace di corteggiare anche un settantenne sposato, se le
interessasse. Oddio, magari l’ha pure già fatto.
“Invece, cos’è tutta questa agitazione?
È successo qualcosa?” continuo preoccupata.
La mia amica sta per rispondermi, quando vedo Matt uscire dal retro,
subito seguito da David, entrambi hanno l’aria di essere
abbastanza tranquilli.
“Ehi,” mi saluta allegro il primo mentre Dave fa un
cenno con la mano nella mia direzione, poi va ad accendere le ultime
luci. “Fortuna che sei arrivata, questa folle sta per avere
un crollo nervoso. Pensi di riuscire a calmarla un
po’?”
“Patterson, io…” comincia Delia
minacciosa, ma la interrompo subito.
“Ma è successo qualcosa?” domando di
nuovo, stavolta a Matt.
“Figurati, no!” ride lui. “Solo che
Stephanie si è beccata la varicella, quindi stasera
darò una mano io al nostro amico,
nient’altro.”
Stephanie è la ragazza che David aveva assunto come
cameriera, l’ho vista una volta di sfuggita, mi pare.
“La varicella?” Sono stupita: non capisco
cos’abbia Delia da agitarsi tanto.
Matt mi risponde alzando le spalle. “Sì,
perché?”
“E perché Dee è messa così
male?”
“Ma che ne so! Se mi gira attorno ancora un po’ con
quell’aria però la chiudo nello sgabuzzino delle
scope, quindi tienimela lontana,” conclude il biondo
dileguandosi.
“Jude, tu mi capisci, vero?” si lagna Delia
attaccandosi al mio braccio.
“MA SEI FUORI?!” sbraito facendola saltare per lo
spavento. “Mi hai fatto prendere un colpo per niente, pensavo
fosse successo chissà che!”
“E se qualcosa dovesse andare storto? Cioè,
Stephanie, Matt, io…”
“Dee, sai meglio di me che Matt se la caverà
egregiamente, quindi tranquillizzati o dovrò usare
l’idea dello stanzino delle scope,” la minaccio
cercando di farle capire che sta esagerando. Matt nella sua breve vita
ha già lavorato come gelataio, imbianchino, cameriere,
sguattero e bagnino; aggiungendo il fatto che conosce il locale come
casa sua, non vedo proprio dove stia il problema.
Delia fa una faccia imbronciata e in quel momento, fortunatamente,
arrivano Audrey e Phil a togliermi dagli impicci: non sono certo la
persona più adatta a calmare qualcuno, io. Zittisco Dee
prima che ricominci con quella raffica di parole a caso e spiego celere
a Aud cos’è successo concludendo con un
“cerca di fare qualcosa tu, dalle un sedativo se vuoi, ma
calmala: tra cinque minuti comincerà ad arrivare la gente e
se non la smette prima morirà per mano mia o di Matt entro
la fine della serata”.
So che Audrey è la persona più giusta per questo
compito ingrato, perciò mentre lei cerca di spiegare alla
nostra amica che comportandosi così non aiuta nessuno, anzi
“rischi di agitare Matt o Dave e non sarebbe un
bene”, io vado nel retro a vedere se trovo il capo, ovvero
David. È lì, appoggiato al muro della cucina, da
solo e in silenzio.
Appena mi vede mi accoglie con un sorriso sincero.
“Ehi bionda,” esclama contento, “sei
carinissima stasera.”
“Dave, non sono bionda,” sbuffo: non so mai come
accogliere i complimenti, anche se a farmeli è il mio amico
gay, che sicuramente non ha doppi fini romantici.
“Lo so, ma da quando Dee si tinge i capelli non ho
più nessuno da chiamare così, perciò
opto per la soluzione più realistica.” Parla
sfoggiando una lingua piuttosto forbita per essere uno che sta per
vivere una serata molto importante per la sua carriera e inaugurare il
suo primo locale.
“Tutto bene?” chiedo avvicinandomi. In
realtà so che è abbastanza tranquillo,
sennò sarebbe in visibilio e farebbe fatica a nasconderlo.
“Io sì,” risponde dandomi un buffetto
sulla guancia, “ma se vado di là Delia mi assale
quindi sto tentando di nascondermi finché posso,”
spiega pragmatico.
“Capisco…” annuisco comprensiva e poi mi
guardo intorno: mi aspettavo di vedere anche qualcun altro qui.
David se ne accorge.
“Josh mi ha chiamato poco fa,” dice senza che io
chieda niente, “e ha detto che arriverà un
po’ tardi, non so perché.”
“Ah.” Sono stranita e sorpresa dalla notizia: Josh
non è mai
in ritardo.
“Non lo sapevi?” domanda lui.
“No, in realtà non l’ho sentito
oggi.” E neanche ieri e l’altroieri, ma questo
è meglio se evito di specificarlo.
“Jude, non avete chiarito?” cerca di indagare Dave.
“Sì, più o meno.” Non
è proprio vero, ma non voglio dare al mio amico altro a cui
pensare. Oltretutto venerdì scorso gli avevo promesso che
avrei parlato con Josh.
David alza un sopracciglio, sospettoso. “Sicura?”
“Sì, Dave, tranquillo. Ci siamo visti ancora
sabato sera.” Beh, questa almeno è la
verità, sul resto posso sorvolare al momento. E per sempre,
direi.
“Ok, ti credo,” afferma quasi convinto,
“ora andiamo di là che comincerà presto
ad arrivare gente. Spero,” chiude tradendo un pelo di
normalissima agitazione.
Mi incammino verso la sala, ma vengo richiamata di nuovo dalla voce di
Dave. “Jude?”
Mi giro sperando che non abbia capito la mia bugia e lo guardo
interrogativa. “Ho già detto che stai benissimo
così?”
Meno male, non ha capito. Sbuffo. “Scemo.
Sì.”
“Ah già,” mi prende in giro.
“Però dovresti dormire un po’ di
più, tesoro. Sembri piuttosto sbattuta,” dice
mostrando il solito infallibile spirito di osservazione insieme a un
sorrisetto provocatorio. Ok, forse ha capito ma tace: ho mai detto che
lo amo? Beh, è così: l’adoro. Dovrei
fargli una statua, a Dave.
“Grazie, McPharrell.” Scuoto la testa: non posso
negare la sua ultima affermazione.
“Non c’è di che! E ora andiamo, la
serata ci aspetta.”
Detto ciò, David apre la porta e si butta
nell’ignoto con un sorriso smagliante.
Sono le dieci e quaranta, minuto più minuto meno, e la
situazione è sotto controllo. Il clima creatosi è
buono, Dave e Matt lavorano insieme alla perfezione e il locale si
è riempito abbastanza: ci sono clienti abituali del Marie’s,
vecchi compagni del liceo che non rivedevo da anni (alcuni avrei
sperato di non vederli mai più, ma
tant’è), amici del college di David,
più altra gente sconosciuta che ha saputo
dell’inaugurazione e si è fiondata qui.
In tutto questo marasma di gente manca solo qualcosa, o meglio qualcuno. Eh
sì, Josh ha quasi un’ora di ritardo ormai e io sto
cominciando a preoccuparmi: dove diavolo è finito? E,
soprattutto, perché non mi ha chiamato?
Mentre un ex compagno di scuola, Henry Norris mi pare, con il quale non
ricordo di aver mai parlato prima d’ora, ciancia a
macchinetta di fronte a me rimembrando i bei tempi del liceo, io mi
guardo in giro: Delia ha bevuto un po’ e si è
normalizzata, tanto che ora sta cercando di abbordare un biondo al
bancone del bar, Audrey e Phil chiacchierano tranquilli con altre
persone dall’altra parte della stanza, Matt sta pulendo un
tavolo e Dave è impegnato con un cocktail.
Lancio l’ennesimo sguardo preoccupato alla porta del locale
ed è in questo momento che Josh fa la sua entrata trionfale.
Sono talmente sollevata che pianto in asso Howard – o era
Herman? – nel bel mezzo del discorso e mi precipito verso il
mio migliore amico, dimentica dei problemi irrisolti tra noi, per
salutarlo e sgridarlo per il ritardo. Sto giusto per raggiungerlo
quando mi blocco a metà di un passo e il sorriso mi si
congela sulle labbra.
Insieme a Josh è entrata Bridget Milton, una sua ex ragazza
bionda e piuttosto audace, che ora sta tentando di catalizzare
l’attenzione del mio amico su di sé appendendosi
al di lui braccio e sbattendo angelicamente le ciglia finte.
Bella scenetta, eh?
Eccomi
inverosimilmente puntuale con il quinto capitolo!
Qui entra in scena Kerr, il fratellone: in realtà
è un personaggio che non comparirà molto e di cui
sapremo poco, ma che a me piace. Non è né il
tipico fratello maggiore stile "vecchio saggio" che sa sempre
dispensare il consiglio giusto, né il tipo "ti rompo
continuamente l'anima"; più che altro, direi, è
un misto tra le due tipologie... Ma a voi non interesserà
granché, immagino. :)
Quindi rispondo alle ultime recensioni e mi dileguo!
Emily Doyle:
Grazie mille, spero continuerai a seguirla!
Sweet Stella:
Son contenta che ti piaccia come scrivo, a volte più che
altro non piaccio a me, quindi meglio così. Poi vedo dalle
recensioni che diverse persone sono finite innamorate di un loro amico:
effettivamente penso che l'amicizia non escluda l'amore né
viceversa, anzi, possono aiutarsi a crescere a vicenda.
Chiudo qui, alla prossima!
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Capitolo 6 *** Bridget, Henry e la gelosia ***
6. Bridget, Henry e la gelosia
Sono ancora paralizzata a cinque passi di distanza da Josh e Bridget e
il mio cervello sta lavorando alacremente per elaborare i dati e capire
la situazione. Forse non dovrei giungere a conclusioni troppo
affrettate, ma se davvero Parker è arrivato con
un’ora di ritardo all’inaugurazione del locale di
Dave per uscire con quella,
lo farò pentire di essersi presentato.
Come dici? Gelosa io? Assolutamente no, io non sono gelosa. Figurati,
perché dovrei esserlo? Sono solo arrabbiata, incazzata nera
perché Josh non poteva, non doveva arrivare in ritardo stasera, non per un
motivo così stupido. Senza contare che Bridget Milton
è davvero un’oca senza cervello – con
tutto il rispetto per le oche. Cioè, è stupida,
l’ha ammesso anche lui dopo averla frequentata per tre
settimane scarse al liceo, stufandosi subito della sua compagnia.
È una cosa obbiettiva.
Vedo Josh salutare un tizio che non conosco e poi guardarsi intorno
cercando qualcosa. Io sono evidentemente questo qualcosa, visto che
appena mi scorge tra la gente mi sorride, mi fa un cenno con la mano e
si avvicina a me con quel polipo della Milton ancora attaccato al
braccio.
“Ehi, ciao,” mi saluta raggiungendomi. Fa per
avvicinarsi, forse per stamparmi un bacio sulla guancia, ma io mi
scosto e mi limito a fissarlo incalzante in attesa di risposte. Lui
sembra confuso, gli si forma una rughetta adorabile tra le sopracciglia
mentre mi fissa a sua volta. Adorabile?
“Sei in ritardo,” gli faccio soltanto notare, con
tono neutro.
“Sì, scusa, io…” sembra
indeciso su cosa dire, viene però interrotto da una voce
fastidiosissima – per me, almeno – proveniente
dalla sua destra.
“Ciao Judy,
ti ricordi di me? Eravamo al liceo assieme,” cinguetta
l’oca staccandosi finalmente dal braccio di lui per darmi due
baci sulle guance.
Io resto immobile. Nessuno, oltre a mio fratello, pochi intimi, o
qualcun altro che voglia farmi arrabbiare molto, può
chiamarmi Judy.
“Certo che mi ricordo di te, Milton,”
rispondo mettendo di proposito l’accento sul suo cognome
mentre scocco un’occhiataccia a Josh che, dal canto suo,
continua a guardarmi in silenzio. Lui e la sua rughetta.
“Jude?” ci interrompe una voce maschile il cui
proprietario mi si affianca. Guardo fiaccamente alla mia destra: ah,
è quel Norris con cui parlavo prima.
“Sei venuta a salutare un tuo amico? Ti ho persa di
vista…” tentenna il ragazzo.
“Già, scusa,” sbuffo, per niente
cortese. “Josh e Bridget,” indico i due per le
presentazioni, “lui è…”
Harold? Harry? Cavolo cavolo cavolo, non mi ricordo come fa di nome! E
pensare che a dir suo frequentavamo lo stesso corso di letteratura al
liceo…
“Henry. Henry Norris, piacere.”
Alla fine lui porge la mano togliendomi dall’imbarazzo in
tempo per non fare una colossale figura di merda.
“Bridget,” si spreca la principessina sfiorandogli
la mano.
“E tu devi essere Josh Parker,” afferma Henry,
riuscendo miracolosamente a far distogliere per due nanosecondi
l’attenzione del mio amico da me: Josh sposta lo sguardo un
po’ irritato verso lo scocciatore e grugnisce un
“sì, sono io” privo di tono, per poi
tornare a puntarmi addosso due fanali blu e confusi.
“Mi ricordo di te,” continua coraggioso
l’altro. “Sono arrivato solo l’ultimo
anno in quel liceo, ma frequentavamo lo stesso corso di letteratura
insieme a Jude.”
“Sì?” domanda Josh senza scomporsi di un
millimetro.
“Già, del professor Berries,” concludo
io.
C’è un lungo istante in cui nessuno parla e io e
Josh continuiamo a scrutarci sospettosi, quasi curiosi.
“Ma…” È di nuovo Henry a
parlare e sembra titubante. “Ma… non è
che… Cioè, voi due per caso state
assieme?” domanda. Io mi volto a guardarlo interrogativa e
capisco, mio malgrado, che sta parlando di me e Josh.
“No!” rispondo rapidissimamente.
Qualcun altro ha risposto con me, però.
“Noooooooo!” È la Milton che –
cara – si prende la briga di spiegare per noi.
“Figurati, loro sono amici da quando sono piccoli piccoli,
vero? Non potrebbero mai
stare insieme!” conclude ridacchiando.
“Infatti…” ringhio. Al momento mi trovo
stranamente d’accordo con lei, soprattutto su quel mai ben marcato.
“Beh sì…” Henry arrossisce un
poco e mi fa quasi tenerezza di fronte a quello squalo di Bridget
Milton. “Mi ricordo che eravate molto amici a scuola, ma non
si sa mai, cioè…”
È di nuovo Bridget a interromperlo. “Che carino,
Josh. Quando uscivamo al liceo mi parlava sempre benissimo di te,
è evidente che sei proprio come una sorella per
lui,” si rivolge direttamente a me e io comincio a essere
stufa marcia di questa situazione del cacchio e vorrei uscirne:
all’inizio volevo parlare quattrocchi con Josh e chiedergli
che cazzo combina con questa cerebrolesa, ora non mi interessa neanche
più, voglio solo allontanarmi urlando. Mentre la Milton
continua a miagolare io mi guardo attorno in cerca di una via
d’uscita: i miei occhi incrociano quelli verdi di Audrey, che
capisce al volo il mio sguardo esasperato e s’incammina nella
nostra direzione per soccorrermi.
“Non è tanto carino?”
Mi accorgo che Bridget mi sta guardando. “Ehm…
sì,” rispondo poco convinta senza avere la
più pallida idea di cosa stesse parlando, cosa che
ultimamente mi capita un po’ troppo spesso e con diverse
persone.
“Josh, sei arrivato!”
È Audrey, grazie al cielo.
“Aud,” la saluta lui monocorde. “Scusa il
ritardo, ho avuto un contrattempo a casa.”
A casa? Quindi non è arrivato tardi per uscire con la
Milton? Adesso ho di nuovo voglia di chiedergli spiegazioni, ma non lo
farò vincere.
Audrey mi lancia un’occhiata prima di rispondergli.
“Figurati, spero sia tutto apposto invece.” Josh fa
un cenno di mezzo assenso con la testa, quindi lei continua.
“Hai già salutato gli altri?”
“No, volevo farlo ora,” spiega lui.
“Dave? Matt? Delia?”
Aud gli spiega velocemente la situazione, indicando dove può
trovare i ragazzi per salutarli; Dee invece al momento sembra essere
scomparsa, ma potrebbe benissimo essere imbucata con il biondo di
prima, oppure in bagno a vomitare l’anima.
Josh si allontana per cercare gli altri e mentre Bridget gli si appende
– di nuovo! – al braccio cinguettando un
“Che bello! Mi presenti i tuoi amici?”, lui mi
guarda di sottecchi e sembra piuttosto stressato. Ben gli sta.
Audrey invece torna da Phil dandomi una pacca sulla spalla a
mo’ di risposta al mio muto ringraziamento per il suo pronto
intervento: così, mi ritrovo nuovamente sola con questo
Henry Norris. E ora?
“Ehm…” Non so veramente cosa dire, lui
sembra accorgersene e mi anticipa.
“Vado a prenderti qualcosa da bere?” mi domanda
sorridente.
Lo guardo bene per la prima volta da quando mi ha rivolto la parola
stasera: non è poi così male. È
castano e non troppo alto, forse un po’ anonimo, ma ha un bel
sorriso spontaneo.
Non bello come quello di
qualcun altro, però.
Eh? Chi ha parlato?
“Allora?” insiste Henry facendomi trasalire. Ah
già, da bere.
“Va bene, grazie,” rispondo pensando vaga che
sarebbe già il terzo bicchiere stasera. Pazienza.
“Cosa vuoi?” chiede cortese: questo ragazzo
è troppo formale, o sono io che sono abituata a uscire con
persone che conoscono già i miei gusti a menadito?
“Fai tu, è uguale,” dico lasciandolo un
attimo di stucco.
Poi si riprende. “Ok, torno subito,” annuisce
allontanandosi.
Io sono già stanca e, soprattutto, stufa. Sospiro buttandomi
a sedere su una sedia di un tavolo lì vicino: tutto questo
sforzarmi di ricordare i miei compagni del liceo – che, dico
io, se dopo la scuola non ci siamo più sentiti, ci
sarà un motivo, no? – e la preoccupazione per il
ritardo di Josh mi hanno steso. Vorrei uscire, prendere un taxi e
andare a casa a farmi coccolare e prendere in giro da Kerr, ma non
sarebbe un bel gesto nei confronti di Dave. Né nei confronti
di Henry, a questo punto. Il quale, a proposito, mi si sta
già riavvicinando con due bicchieri in mano.
“Eccomi,” esordisce porgendomene uno.
Lo prendo. “Cos’è?” chiedo
cercando di non sembrare sospettosa.
“Non so, ho detto al barista di fare quello che
voleva… È tuo amico anche lui?”
“David? Sì sì, lo conosco da
anni,” commento cominciando a bere: non che i miscugli del
mio amico siano questa gran garanzia, ma almeno so che non
morirò.
“Come Joshua Parker?” continua Henry
imprudentemente.
Alzo un sopracciglio, scettica. “Usciamo tutti insieme, ma io
e Josh ci siamo conosciuti un bel po’ di tempo prima.
Perché?”
“Così…” risponde solo. Poi
decide di continuare. “Non per farmi i fatti vostri, ma non
vi siete salutati molto… come dire…
calorosamente, ecco.”
“Io e Dave?” chiedo col cuore in gola e un brutto
presentimento.
“Tu e Josh,” spiega Henry come se fossi una bambina
abbastanza scema, cosa che, fra l’altro, probabilmente sono.
“Non… cioè…”
La sua osservazione mi ha messo in difficoltà, non sono
abituata a raccontare i fatti miei a gente semi sconosciuta. Alla fine,
opto per un diplomatico: “abbiamo avuto qualche attrito negli
ultimi giorni.”
“Grave?”
Ma è pazzo a insistere con certe domande? Neanche ci
conoscessimo bene…
“No, noi… litighiamo spesso, siamo piuttosto
diversi.” Mi fermo un attimo e trovo il coraggio di
bloccarlo. “E comunque scusa, ma non credo siano affari che
ti riguardano,” dico guardando la superficie del tavolo.
“Ah, scusami, io… non volevo,” balbetta
lui.
Quando si entra nella mia sfera privata mi chiudo automaticamente a
riccio, è più forte di me, ma forse stavolta ho
esagerato un tantino con la scontrosità, me ne rendo conto,
quindi cerco di rimediare. “Figurati, adesso ci beviamo
questo, come definirlo?, intruglio?”, sorrido alzando il
bicchiere ancora pieno per tre quarti.
“Meglio, va…” decide saggiamente Henry.
È passata un’altra ora abbondante, ma la trama non
è cambiata poi di molto. Solo, io sono un po’
più brilla di un’ora fa e lo sono anche
– credo – tutte le persone qua dentro. Henry
compreso, a quanto pare.
Sono seduta al tavolo che ciancio con Norris di cavolate varie; in
realtà lui ciancia, io per lo più ascolto,
rispondo e annuisco. E, ogni tanto, mi guardo intorno per scorgere i
miei amici: immaginavo che non saremmo stati insieme stasera, ma mi
secca essere costretta a un tavolo con uno sconosciuto, sapendo che
c’è ben altra gente con cui vorrei passare la
serata. Per carità, Henry è anche simpatico e mi
è andata bene ma… Se almeno fossi in buoni
rapporti con Josh, o se la situazione tra noi non fosse tanto ambigua,
potrei essere a divertirmi con lui, adesso. Diamine, era per questo che
non volevo che succedesse… beh, quello che è
successo. Ho rovinato tutto, abbiamo
rovinato tutto.
E Josh ora che fa? Se ne sta lì, bello come il sole, con la
Milton che gli si struscia addosso come se fosse in calore.
Probabilmente lo è, in calore.
“Ti va di ballare?”
“Cosa?” Ci risiamo, ero distratta, ma spero
vivamente di aver sentito male.
“Ti ho chiesto se ti va di fare un giro in pista,”
spiega Henry: avevo capito bene, purtroppo!
“E perché?” Oddio, sembra che mi abbiano
lobotomizzata.
“Beh, perché c’è una bella
musica, c’è tanta gente che balla e…
così, insomma.”
Sto zitta e lo guardo stupita, penso che adesso mi prenderà
davvero per pazza.
Invece insiste. “Allora?”
Trovo al più presto un modo per cavarmi dai guai,
perché di ballare non mi va proprio. “Devo andare
alla toilette,” confesso, “magari
dopo…”
“Ti aspetto qui!” esclama lui. È una
minaccia, per caso?
Decido di usare il bagno pubblico e non quello del personale,
sennò dovrei passare accanto a David che capirebbe subito il
mio stato d’animo. Sono una vigliacca, lo so, e mi gira anche
la testa. Quando esco dalla toilette, però, mi si pare
subito davanti una scena per me più che riconoscibile, che
mi fa ribollire il sangue nelle vene: Josh è lì,
sulla pista da ballo, in mezzo a un sacco di gente, con Bridget Milton
che lo tiene a mo’ di boa, aggrappandosi al suo collo.
Questo è troppo. Non so perché e per cosa, ma
questo è troppo, maledizione! Soprattutto dal momento che,
appena mi vede, Josh mi lancia un’occhiata che non riesco a
decifrare e poi distoglie lo sguardo e fa finta di niente, continuando
la sua opera “Non
Lasciamo Affogare La Papera”.
Mi avvio a passi svelti verso il luogo dov’ero seduta prima,
prendo dal tavolo il bicchiere ancora mezzo pieno, bevo il rimanente
contenuto, dopodiché punto gli occhi addosso a Henry.
“Andiamo a ballare,” dico solamente.
Lui sembra sorpreso, ma non se lo fa ripetere due volte: si alza e mi
segue tra la folla, poi mi appoggia le mani sui fianchi e comincia a
muoversi a ritmo di una vecchia ballata rock che non riconosco.
È bravo. Io meno, ma mi basta appoggiare le braccia alle sue
spalle e lasciarmi guidare, no? E magari andare verso sinistra,
così ci potrà vedere anche quel ritardato di
Joshua Parker.
Lo cerco con lo sguardo, Josh, e lo trovo poco più
là, sempre attaccato a quel polipo. Sta fissando il
pavimento ma, come se sentisse che lo guardo da lontano, alza gli occhi
e me li punta addosso. Non appena comprende la situazione –
cioè, io che danzo con un ragazzo appena conosciuto: non
s’era mai visto neanche ai balli del liceo, Cristo
– sgrana eloquentemente gli occhi e si irrigidisce appena,
stupito. Di contro, io gli lancio un’occhiata di sfida e mi
avvicino un po’ di più al mio partner: mi sento
goffa e infantile, ma ho una specie di groppo all’altezza
dello stomaco che mi porta a fare tutto questo. E l’alcol
ingerito finora aiuta, certo.
“Ti piace questo pezzo?” mi domanda
all’orecchio Henry, facendomi sussultare sorpresa.
È normale dimenticarsi della presenza di un ragazzo al quale
sono praticamente abbracciata? No, eh?
“Sì, sì,” rispondo vaga: in
realtà la musica non la sto neanche ascoltando.
I fanali blu di Josh puntati dritti nei miei mi innervosiscono
parecchio, più di quanto vorrei. Mi sento sotto esame.
Chiudo gli occhi e cerco di lasciarmi andare con scarsi risultati:
sembro un pezzo di legno.
Perché diamine mi sto comportando così? Mi gira
un po’ la testa, ok, ma sono ancora lucida a sufficienza da
pormi certe domande. Ammesso e non concesso che io sia infastidita dal
comportamento di Josh, non avrei certo il diritto di ripagarlo con la
stessa moneta né, tantomeno, di provare gelosia. No,
perché io e Parker siamo amici e sono stata proprio io a
chiarire che non potevamo per nessuna ragione al mondo pensare di avere
una relazione.
Cercare di concentrarmi di più su Henry Norris, questa
sarebbe una bella idea: eviterei di lambiccarmi il cervello su altro e
potrei anche essere incentivata a dimenticare Josh. Magari mi
piacerebbe anche. Henry, dico.
Riapro gli occhi: lui mi sta sempre fissando ed è a pochi
passi da me. Involontariamente, mi faccio ancora più vicina
a Henry, mentre sento il cuore che continua ad accelerare per motivi a
me ignoti.
Tento di voltarmi per cambiare visuale: preferirei guardare il muro, il
pavimento, un tavolo, qualsiasi cosa pur di smettere di sentirmi come
se fossi di fronte al Tribunale dell’Inquisizione che mi
osserva attraverso quei perforanti occhioni blu. Girandomi, incrocio un
altro sguardo a me familiare, però verde: Aud è
poco lontana al punto dove mi trovo adesso e mi osserva con tanto
d’occhi; Phil, al suo fianco, ha la stessa identica
espressione. Ed è questo che mi costringe, alla fine, a
staccarmi rapidamente da Henry mormorando solo
“bagno” – ormai sta diventando la mia
scusa preferita – e ad allontanarmi con passo da maratoneta
dalla zona del locale adibita a pista da ballo.
Faccio per avvicinarmi alla toilette ma già da lontano posso
scorgere la fila fuori dalla porta, quindi ci rinuncio in partenza
– visto anche che il mio scopo principale è stare
da sola, non tanto vedere la tavoletta del water – e mi
dirigo verso la cucina, dove, fortunatamente, non
c’è nessuno dato che Dave, occupato ancora a fare
cocktail a tutti, non mi vede passare.
Mi infilo quasi correndo nel bagno di servizio e mi lavo subito il viso
con dell’acqua fredda, dimenticandomi che sono truccata.
Impreco, guardandomi allo specchio e notando gli aloni neri sotto che
si sono creati sotto gli occhi. Il danno dovrebbe essere risolvibile,
sta di fatto che ora sembro un panda. Sospiro.
“Non so se
domani mattina avrò cambiato idea, ma se vuoi che mi
dimentichi questa cosa… beh, va bene. Posso farlo, credo di
essere più forte io.”
Maledizione, perché queste parole mi tornano in mente ora?
È per darmi il colpo di grazia, immagino. Me le ha dette
Josh sabato sera, quando è venuto a casa mia. So benissimo
cosa vogliono dire: lui
è più forte, lui
mi vede solo come un’amica, lui mi ha baciata
solo per divertirsi, lui
può dimenticarsi tutto; io,
invece, sono quella debole, io
sono innamorata di lui e vorrei prendermi a sberle per questo, io sono stata male
una settimana per quei cazzo di baci, io non posso
dimenticare proprio niente, per quanto ci provi.
Odio questa situazione, odio me stessa e odio Josh per avermi costretta
a far luce sui miei sentimenti. Che schifo.
Stringo i pugni tremanti: sono arrabbiata, delusa e forse anche gelosa.
Sento, ovattati e coperti dai rumori assordanti dentro la mia testa,
dei passi che si avvicinano e, poi, la porta della stanza che si apre.
“Chi è quel tipo, quel Norris? Lo conoscevi
già?” domanda una voce alle mie spalle che, per
mia sfortuna, riconosco sempre al volo, anche se ho bevuto
più del normale. Bene, stavolta non ha nemmeno aspettato che
mi muovessi verso il giardino interno, mi ha direttamente raggiunto in
bagno per farmi questa domanda idiota. Che fretta.
“Non sono affari tuoi,” ringhio senza muovermi di
un millimetro e maledicendomi mentalmente per non aver chiuso la porta.
“Credo di sì, invece,” ribatte Josh
dimostrandosi il solito egocentrico.
“E io credo di no,” ribatto furiosa fissando le mie
mani appoggiate al lavandino.
“Perché non dovrebbe riguardarmi?”
Posso sentire
la sua espressione scettica anche senza vederlo in faccia.
“Sai una cosa, Parker? Non tutto l’universo gira
intorno a te!” sbotto esasperata voltandomi a guardarlo.
“Ma…” Non lo lascio continuare, ora
tocca a me.
“Te l’ho presentato, cosa vuoi di più?
Una richiesta di permesso per parlarci scritta in carta bollata e
inviata ufficialmente a casa tua?”
“Jude…”
“O preferisci una cosa più ufficiosa? Posso
chiedertelo qua?” Non aspetto che risponda. “Ok:
Joshua Parker, posso parlare con quel tale, Henry Norris, per stasera?
Non credo sia uno stupratore, ma se una qualsiasi cosa di lui ti
insospettisce minimamente o se ti dà fastidio che
anch’io mi diverta con un individuo dell’altro
sesso, ti prego, Parker, impediscimi subito di continuare a
frequentarlo! Sia mai che io faccia qualcosa senza il tuo esplicito
consenso!” esclamo enfatica.
Quando finisco la mia filippica, Josh sta fermo di fronte a me a
fissarmi con un sopracciglio alzato e la sua tranquillità ha
come unico risultato il fatto di farmi innervosire ancora di
più.
“Spostati,” borbotto minacciosa passandogli di
fianco per uscire dalla stanza: Josh tenta di fermarmi appoggiando il
braccio destro allo stipite della porta, ma io lo scanso sgusciando
sotto di esso e mi dirigo verso il giardino. Che fantasia.
Mister Tranquillità ovviamente mi segue e non desiste
nemmeno quando io tento di chiudergli la porta in faccia per stare da
sola: sarà l’alcol, sarà la sua
espressione pacata di poco fa, ma la voglia di tirargli un pugno sui
denti è alle stelle. Se non gli sto lontana rischio di non
resistere alla tentazione e di togliermi questo sfizio e forse
– forse
– dopo me ne pentirei.
Josh interrompe il mio flusso di pensieri prima che io decida davvero
di arrivare alle mani. “È per quella faccenda di Zodiac?”
“Eh?!” Mi volto a guardarlo confusa: ma che diavolo
sta blaterando?
“Il film. Io…” Sta zitto un
attimo e si gratta la fronte. “Parlando al telefono per
sbaglio ti avevo detto il finale, pensando che l’avessi
già visto.”
Mi fissa, forse è convinto di essersi spiegato, ma non
è così. Gli faccio gesto con la mano di
continuare. Sì, lo so che sono arrabbiata, furiosa e tutto
il resto, ma al momento sono anche molto curiosa,
perciò…
“Tu volevi vederlo. Zodiac,
intendo. Avevi intenzione di guardarlo e io ti ho raccontato la
fine.”
Decisamente ancora non ci siamo. “Quindi?”
“Sei arrabbiata con me per quello?”
Rifletto due secondi, convinta di avere le allucinazioni uditive.
Dopodiché, appurato che purtroppo non è
così, sbotto. “Ma ti è dato di volta il
cervello?!”
“No?” pigola Josh con un’espressione
buffissima a metà tra il deluso e lo speranzoso, sentimenti
che, tra l’altro, insieme farebbero a cazzotti sulla faccia
di chiunque altro, ma non sulla sua.
“Ma no! Cosa te lo fa credere?” chiedo stupita. Che
cavolo, io neanche me la ricordavo questa faccenda del film,
figuriamoci se ci pensavo giorno e notte. Ho altro a cui pensare, io.
Purtroppo.
“Non so, io… ho pensato che…
cioè, c’ho riflettuto. Sui tempi. Hai cominciato a
evitarmi un paio di giorni dopo quell’episodio
e…” Si blocca, sempre con quel broncio sul viso, e
mi guarda di sottecchi.
Oddio, se non fosse una situazione assurdamente seria mi starei
sganasciando dalle risate! Dev’essere completamente ammattito
se ha creduto anche solo per un secondo che lo evitassi per una cagata
del genere. Ma davvero, dai! Di sicuro non è del tutto
sobrio neanche lui stasera, ma sembrava convinto mentre mi chiedeva
se… se ero arrabbiata per Zodiac!
Scuoto la testa rassegnata alla sua stupidità e Josh
riprende a parlare, stavolta infervorandosi un pochino.
“Insomma, Free, le ho pensate tutte, mi sono lambiccato il
cervello per settimane. Penserei che te la sei presa per il
ba… per sabato sera insomma, ma mi eviti da ben prima di
quello e non provare a negarlo. Senza contare che mi hai baciato tu per
prim…” A questo punto devo assolutamente
interromperlo.
“Ok, ok, ho capito l’antifona,” scuoto la
testa, “e non sono arrabbiata per il finale del film. Anche
perché, diciamocelo pure, Parker, con tutte le stupidate del
genere che mi hai combinato, avrei motivi buoni per non parlarti almeno
per i prossimi duecentotrentasette anni,” annuisco
sarcastica.
Senza pensarci, guardo irridente Josh e lui mi rimanda lo stesso
sguardo, inarcando appena le sopracciglia. È un attimo,
brevissimo e spontaneo, e dura un battito di ciglia, meno di un
secondo, ma la complicità che leggo nei suoi occhi, la
stessa complicità che lui legge nei miei, mi toglie il
respiro e mi costringe ad abbassare la testa rapidamente.
Stiamo zitti entrambi per un po’ di tempo e posso sentire il
suo respiro anche se non lo guardo: è rumoroso in tutto
ciò che fa, questo mio migliore amico rompiballe, persino
nel respirare riesce a farsi sentire da chilometri di distanza.
A interrompere il silenzio stavolta è stranamente la mia
voce. Faccio un colpo di tosse e poi parlo, senza neanche sapere cosa
sto dicendo.
“Beh, se hai… se hai finito con
l’interrogatorio io tornerei di là,”
mormoro esitante, pur sapendo che non dovrei esserlo né
tantomeno mostrare a lui che lo sono, evitando il contatto visivo.
“Interrogatorio?” si corruccia Josh. “Io
veramente… mi sembrava fossimo appena giunti a una
tregua,” borbotta, riferendosi a quello sguardo giocoso di
poco fa.
Mi si stringe appena lo stomaco, ma non posso fare a meno di stare
sulla difensiva.
“Forse ti sembra male, allora,” continuo muovendomi
per rientrare. “Vado di là.”
“Aspetta.” Parker si è di nuovo piazzato
davanti alla porta e la rabbia, mista a qualcos’altro di
tiepido e agrodolce, mi contorce ancora una volta le viscere quando
sono costretta a guardarlo in faccia.
“Josh. Voglio
tornare di là,” scandisco attentamente in modo che
non gli sfugga nulla. Cavoli, ho bisogno di allontanarmi, ci vuole
tanto a capirlo?
“Perché?” chiede lui dimostrandosi
totalmente rincretinito.
“Perché sì,”
rispondo lapidaria io.
“Perché?” insiste lui non soddisfatto.
“Perché di là c’è
una persona che immagino mi stia aspettando. E, se ben ricordo,
c’è qualcuno che aspetta anche te, Josh-tanto-carino-Parker,”
concludo non riuscendo a mascherare il pesante sarcasmo.
Mi pento subito di quello che ho detto, però, anche prima di
vedere la sua reazione, che comunque non tarda ad arrivare:
all’inizio rimane piuttosto interdetto e mi guarda con la
solita rughetta tra le sopracciglia, dopodiché cambia
espressione e, mentre un lampo di comprensione gli illumina il viso,
distende la fronte e sorride impercettibilmente.
“Sei gelosa?”
Scusate
il ritardo, a volte sono in vacanza pure io... E, a proposito di
questo, non credo che aggiornerò per le prossime due
settimane, perché sarò via. Non che qualcuno si
taglierà le vene per questo, era solo per avvisare. :)
Detto ciò, ripeto che non manca molto alla fine della
storia, un paio di capitoli, quindi sarei davvero contenta se chi l'ha
letta volesse recensirla per farmi sapere che ne pensa. Rettifico:
sarei davvero davvero molto contenta. Nel frattempo, ringrazio di cuore
i preferiti, le seguite e chi ha recensito finora.
Emily Doyle:
Anche a me piace un sacco Kerr, davvero: è il fratellone che
ho sempre desiderato! :) E ovviamente, anch'io non amo Bridget...
Perché, forse si capisce? In quest'ultimo capitolo, poi, la
massacro... In realtà magari lei è anche una
ragazza nella media, poveretta, solo che Jude è gelosa
marcia quindi non può che detestarla.
xXBlack Rose OSheaXx:
Mi fa piacere ricevere i tuoi complimenti per la caratterizzazione dei
personaggi, è una della cose a cui tengo di più,
anche perché io ce li ho proprio ben stampati in testa: per
me è un po' come se esistessero davvero. E anche a te piace
Kerr, che bello! Mi dispiace, ma purtroppo è già
occupato... ^^ Potrei pensare di farlo ricomparire, visto che l'avete
così apprezzato. Ah, e per la cronaca, io sarei contenta di non liberarmi delle
tue recensioni...
FourWalls:
Che bello: ti si formano le immagini in testa, non potevi dirmi cosa
migliore! Grazie, davvero. Adesso sono troppo di fretta, ma prometto
che appena torno faccio un salto a vedere la tua storia e a lasciare un
feedback, visto che, da quello che dici, è simile alla mia.
A presto, spero.
Quindi. Ci sentiamo tra un paio di settimane. Adios.
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Capitolo 7 *** Rivelazioni e assurdità ***
7. Rivelazioni e
assurdità
“Sei
gelosa?” chiede Josh con un’espressione
indecifrabile in volto.
“C-cosa?” balbetto, evidentemente colta in fallo.
“No! Sei matto? No. No.”
“Sei gelosa,” commenta ancora lui e stavolta non
è una domanda. Sembra quasi soddisfatto di se stesso, in
verità.
“No, Parker, ascolta, non sono… non lo sono, va
bene? Di quella…” mi trattengo dal mollare un
insulto che scoprirebbe definitivamente le carte, “di Bridget
Milton poi, proprio no. Puoi uscire con chi ti pare. Solo, avrei voluto
saperlo,” tento di salvarmi in corner senza grossi risultati:
Josh sembra non aver nemmeno ascoltato il mio discorso e le sue parole
me lo confermano.
“Jude, è ok. Sul serio, va bene. Sei
gelosa,” ripete facendomi sgonfiare del tutto. “Che
c’è di male? Anch’io lo sono di quel
Mike.”
“Henry,” lo correggo meccanicamente prima di capire
cos’ha appena detto.
Anch’io lo
sono.
Josh non ascolta il mio appunto e continua, mentre il cuore mi balza in
gola senza avvisarmi e prende a correre troppo veloce. No, a cuccia.
“Sono geloso di lui, perché ha passato tutta la
sera con te e io no. Perché ti ha potuto dire
che,” mi squadra con lo sguardo, “stai benissimo,
anche se hai il trucco sbavato ora e sembri un piccolo
panda,” continua con il sorriso nella voce,
“perché ha bevuto, chiacchierato, ballato con te.
Mentre io non ho neanche potuto parlarti due minuti o… o
raccontarti il motivo del mio ritardo. E mi dispiace, ma sono geloso di
quel tizio,” mormora, e sembra davvero, davvero afflitto.
“Qual è?” sussurro, mio malgrado
preoccupata.
“Mh?” mugugna confuso Josh.
“Il motivo per cui sei arrivato tardi. È successo
qualcosa?” gli spiego mentre mi do mentalmente della stupida
per aver pensato che fosse in ritardo per ragioni futili e per averlo
odiato. Era ovvio,
conoscendo Josh, che doveva esserci qualcosa dietro, ma io
l’ho capito solo adesso.
Lui, inaspettatamente, fa un sorriso sghembo e scuote la testa.
“Come fai?” Ha il sorriso anche negli occhi mentre
mi pone la domanda.
“Come faccio a fare cosa?” chiedo: è mai
possibile che questo ragazzo abbia il dono di riuscire a confondermi
con due parole due?
“A capirmi così bene. Ho detto sì e no
mezza parola sul ritardo e tu già hai alzato le antenne
radar e hai intuito che era successo qualcosa.”
“Cosa?” insisto.
“C.J. Ha chiamato dal carcere, pare sia finito dentro per una
rissa delle sue, era in un locale mezzo ubriaco. Ho dovuto accompagnare
Christine a prenderlo e a pagare la cauzione. Ora è a casa,
ma onestamente non ho intenzione di averlo tra i piedi più
del necessario, tantomeno voglio che mia madre ce l’abbia tra
i piedi. Quindi, ho sentito Jack e ha detto che si
preoccuperà lui di sentire una comunità di
recupero per alcolisti e tutto il resto.” Tace un attimo
riprendendo fiato, poi fa un sorriso malinconico e conclude.
“Per una volta i miei sono d’accordo su
qualcosa.”
Sono stata un’idiota ad arrabbiarmi con lui per il suo
ritardo: già lo sospettavo ma ora ne ho la totale conferma.
C.J. è suo fratello maggiore, se n’è
andato di casa quando Josh aveva appena quattordici anni e
l’ha lasciato a smaltirsi i problemi familiari e i litigi dei
suoi da solo. Non è mai stato un fratello granché
responsabile, eppure in qualche modo Josh gli voleva bene:
all’epoca suo padre, Jack appunto, – il mio amico
ha l’abitudine di chiamare i suoi genitori per nome, quasi
volesse distaccarsene – aveva un’altra donna e la
situazione in famiglia era tesa e instabile. Quando mia madre ha
scoperto che Christine, la madre di Josh, sapeva già tutto
del tradimento del marito ma non voleva lasciarlo, ha tentato di farla
ragionare, senza successo. È a quel punto che le nostre
famiglie si sono allontanate: mia madre ha litigato con Jack, poi ha
litigato anche con Christine, che la accusava di
insensibilità. Io e Josh avevamo sì e no undici
anni. Dopodiché, la storia è già
conosciuta: anch’io e il piccolo Parker abbiamo preso a
odiarci, finché non ci siamo riavvicinati
all’inizio del liceo. Suo fratello C.J. se n’era
andato di casa e aveva evidenti problemi con la legge, i suoi genitori
stavano divorziando e lui aveva un immenso bisogno di affetto, amicizia
e stabilità. Sono stata la sua ancora di salvezza e lui per
me è stato un continuo stimolo a migliorarmi e a crescere.
Adesso chissà cosa diventeremo.
Quando Josh finisce di raccontare, mi sento una merda. L’ho
attaccato per il ritardo, senza pensare minimamente a come potesse
sentirsi lui. Conosco alla perfezione i problemi della sua famiglia e
immagino come possa essersi sentito: vorrà aiutare sua madre
e proteggerla, si sentirà in colpa per suo fratello,
sarà stupito perché Jack è tornato a
fare il padre.
E stanco, con quello che gli è successo sarà
sicuramente stanco. Eppure ora è qua davanti a me a
sorridermi metà malinconico metà rassicurante,
come se fossi io tra i due a stare peggio.
“Josh?” lo chiamo incerta.
“Sì?”
“Non ti capisco poi così bene.”
Lui sbuffa e rotea gli occhi. “Andiamo, non essere modesta
anche in questo, Freeland. Hai capito senza che…”
“No, dico sul serio. Avrei dovuto intuire appena ti ho visto
che c’era qualcosa che non andava, invece mi sono infastidita
perché eri in ritardo e… beh, mi sono comportata
in modo stupido.”
“Tranquilla, eri solo gelosa.”
Mi acciglio. “Sei un grosso idiota. Ti ho detto che non ero
gel…”
“Sì, perché mi hai visto arrivare con
quella stupida di Bridget Milton. E lo capisco, sul serio!”
sorride canzonatorio e continua. “Cioè, lei
è davvero una cretina…”
“Sei tu il cretino,” borbotto distogliendo lo
sguardo senza però riuscire a interromperlo.
“…e, ti giuro, l’ho incontrata qua fuori
per caso, non avevo previsto nulla. Anzi, se avessi previsto di
incontrarla, certo mi sarei travestito da monaco buddista pur di
evitarla. Mi ha tediato tutta la sera,” sospira con aria
melodrammatica.
“A me non sembravi poi tanto tediato,” mugugno
prima di riuscire ad autocensurarmi, dopodiché mi copro la
bocca con la mano e lo guardo colpevole. Dal canto suo, Josh scoppia a
ridere – per la cronaca, era da un po’ che non
glielo vedevo fare e ora la sua risata mi toglie improvvisamente e
inspiegabilmente un grosso peso dallo stomaco – e scuote la
testa comprensivo.
“Vieni qui, dai…” mi ordina allegro, e
nel dirlo si sporge e mi prende per stringermi a sé, cosa
che non gli lascerò fare tanto facilmente. Mi oppongo come
posso al suo tentativo di abbraccio, puntandogli le mani sul petto e
piantando i piedi per terra, ma Josh è senza dubbio
più forte di me. Mentre ancora ridacchia, borbotta uno
“scema” a bassa voce, infine riesce ad avvicinarsi
e allacciarmi le braccia dietro la schiena. O forse sono io che cedo e
glielo lascio fare, dato che subito mi sciolgo al contatto e mi
appoggio totalmente a lui.
“Sei gelosa,” mi sussurra di nuovo Josh
all’orecchio, stringendomi di più e accarezzandomi
i capelli. Questa frase è diventata il refrain della serata,
basta!
“Smettila, cretino,” mi lamento senza
però allontanarmi da lui.
“Beh, è così,” continua,
sempre più convinto.
“No,” ribadisco, ma Josh sembra scettico.
“Com’è, allora?” chiede lui
spostando la testa per guardarmi in faccia.
Mi prendo un po’ di tempo prima di rispondere e il mio
silenzio è già di per sé abbastanza
eloquente. Dopodiché mi stacco riluttante dal suo abbraccio,
mi allontano di un paio di passi, mi giro dandogli le spalle e
finalmente parlo.
“Ok, sono infastidita e magari in parte è dovuto
alla gelosia. Ma è normale, sono la… la tua
migliore amica e tu…”
Non mi lascia neanche finire la frase.
“Non si tratta solo di questo,” mi interrompe.
“Eh?”
“Sei la mia migliore amica, ma non si tratta solo di questo.
Ci siamo baciati e…” comincia lui, ma stavolta
sono io a bloccarlo sul nascere.
“Mi pareva fosse una questione chiusa,” sbotto
infastidita dalla sua insistenza, voltandomi di nuovo a guardarlo.
“Non per me,” ribatte perentorio.
Ah, è
così, allora?
“Josh, eravamo d’accordo. Ti ho detto di lasciarlo
alle spalle e tu hai detto ok.”
“Non credo di sbagliarmi se dico che sull’argomento
non sei d’accordo neanche con te stessa,” insiste
il mio amico beccandosi una mia occhiataccia incenerente.
“Come pretendi dunque di essere d’accordo con me,
quando sanno tutti che litighiamo ogni piè
sospinto?”
Assottiglio lo sguardo e incrocio le braccia, guardandolo senza capire
dove vuole arrivare. “Cosa stai dicendo?”
Lui non sembra per niente impressionato dal mio show “il-capo-sono-io”
e, anzi, mi lancia uno sguardo di sfida avvicinandosi un po’.
“Se adesso ti baciassi, come reagiresti?” chiede, e
io per poco non faccio un balzo indietro.
Riesco miracolosamente a mantenere la dignità necessaria a
restare ferma e squadrarlo con rabbia.
“Ti prenderei a botte,” rispondo decisa.
“Sicura?” domanda con un sorrisetto provocatorio,
ma non si avvicina ulteriormente.
“Parker. Sì, fidati: ti prenderei a
botte,” ribadisco senza sconvolgermi più di tanto:
sono abituata a questi suoi giochetti psicologici idioti, senza contare
che sono cresciuta con un fratello più grande e ho dovuto
superare prove ben peggiori.
Josh non mi risponde, si limita a lanciarmi un’occhiata
dubbiosa e ironica, incrociando a sua volta le braccia sul petto.
“Sei odioso quando fai così,” sbuffo
girando la testa per prima, incapace di reggere i suoi stupidi occhi
blu.
Josh sospira. “Ok, scusa,” dice, e si avvicina
schioccandomi un rapido bacio sulla guancia prima che io riesca a
comprendere le sue intenzioni. “Pensaci
però,” conclude parlando direttamente al mio
orecchio, dopodiché si volta e rientra nel locale.
Dovrei pensare a cosa?
Quando rientro del tutto al Marie’s,
cioè dopo aver messo a posto la mia faccia che ormai era
disastrata, mi sento non poco spaesata. Ho talmente tanti dubbi da
risolvere che non mi stupirei se qualcuno mi si avvicinasse chiedendomi
cosa sono tutti quei punti interrogativi che mi volano sopra la testa.
Li posso sentire, che mi svolazzano intorno tutti allegri picchiandomi
simpaticamente sul cranio, sia dentro che fuori.
Cosa devo fare ora?
Faccio, come prima, finta di nulla e continuo imperterrita la mia
serata?
Cerco di mantenere un freddo distacco, anche se pare impossibile, e mi
do all’alcol?
Vado da Josh e lo prendo a sberle? Lo bacio davanti a tutti? Lo guardo
da lontano? Lo ignoro?
Mi nascondo in un angolino e intanto chiamo Kerr perché mi
venga a prendere il più in fretta possibile?
Parlo con qualcuno dei miei amici – Aud o Dave –
del casino incommensurabilmente grande che ho combinato?
Queste ipotesi mi sembrano una più spaventosa
dell’altra, a dirla tutta.
Come dici? No, non ho alcuna intenzione di andare veramente
là e baciarlo davanti a decine e decine di persone che
conosco, non sono una masochista e comunque non risolverei un bel
niente. Era solo una battuta la mia; anzi, ti dirò,
è assai più probabile che decida di prenderlo a
sberle. Oltretutto, se lo meriterebbe non poco.
No, non è vero, non lo meriterebbe. Non ha fatto nulla di
male, è stato onesto, forse un po’ criptico, ma
onesto.
Una cosa però potrei farla adesso, giusto per rimanere in
tema onestà: immagino che Henry sia ancora qui da qualche
parte ad aspettarmi, accidenti. L’ho abbandonato una
mezz’oretta fa ormai, dopo essermi strusciata addosso a lui
durante quel ballo: se ci penso mi vergogno immensamente di me stessa,
tanto che vorrei scavarmi una buca. Una cosa del genere non
l’avevo mai fatta. Se davvero Henry era interessato a me nel
senso romantico del termine, io l’ho illuso in maniera
colossale e ingiusta, pur sapendo di avere in testa un altro ragazzo
che, purtroppo, non sparirà dai miei pensieri molto
facilmente.
Ora devo cercarlo e parlargli con sincerità, almeno per
mettermi apposto la coscienza.
Eccolo là, lo vedo. È seduto a un tavolo che
parla con qualche suo amico, immagino. Mi avvicino con cautela
– sono una fifona, lo so – e gli tocco la spalla
per chiamarlo. Non appena si gira, Henry mi sorride e io mi sento
molto, molto in colpa.
“Ehi, sei qui. Dov’eri finita?”
“Scusa, Henry, mi dispiace tanto, davvero. Non so che
intenzioni hai con me, cioè, magari non ti piaccio nemmeno,
comunque mi dispiace, ma non possiamo uscire insieme. Nel
senso… non so se a te interessa davvero,
comunque… c’è un altro e…
non è che sono fidanzata, no no, solo ho la testa troppo
occupata al momento e non avrei mai dovuto comportarmi così,
sul serio, sono una stronza. Scusa.”
Ho parlato senza praticamente fare pause, tutto d’un fiato.
Non mi sono neanche resa conto di quello che stavo dicendo, e adesso mi
sento una perfetta idiota: ho appena espresso a parole senza il filtro
cervello-bocca ciò che mi passava per la testa, e il
risultato non è stato certo dei migliori.
Henry, infatti, mi guarda come se avessi parlato aramaico e non accenna
a muoversi per diversi secondi. Dopodiché, si mette a
ridacchiare e scuote la testa.
“Va bene,” risponde soltanto.
“Co-come?” balbetto io, sorpresa e ancora intontita
dall’alcol.
“Ho detto che va bene. L’ho capito
dall’inizio della serata che non ci stavi con la testa. Non
nel senso che sei pazza eh,” specifica carinamente, anche se
avrebbe i suoi buoni motivi per pensarlo. “Cioè,
si vedeva che pensavi ad altro.”
“Davvero?”
“Sì,” fa lui, alzando le spalle,
“ma non fa niente.”
“Tu sei troppo buono con me,” mormoro, quasi
affranta dalla sua reazione.
“Forse hai ragione, me lo dicono in
molti…” afferma Henry pensieroso grattandosi il
mento. “Comunque, a questo punto io torno a casa coi miei
amici che stavano andando. Se dovessi cambiare idea,”
continua prendendo un pezzo di carta e facendo spuntare una matita da
non so dove, “questo è il mio numero,”
conclude porgendomi il foglietto dopo averci scribacchiato sopra delle
cifre.
“Ciao Jude,” mi saluta infine, sorridendo appena, e
se ne va.
La conversazione che abbiamo appena avuto è talmente
inverosimile che resto immobile per diversi secondi, col numero di
Henry ancora in mano, domandandomi se sto sognando e se tutta la scena
è frutto della mia mente malata. Ma contate le cose assurde
che mi sono successe di recente, direi che quest’ultima
diventa quasi quasi probabile.
Sono ancora ferma immobile nel punto in cui mi ha lasciata Henry da un
tempo variabile tra i dieci secondi e i dieci minuti. Non so bene
quanto, insomma. Credo che il mio cervello si sia incastrato,
perché non riesce a formulare pensieri coerenti, dato che mi
rifiuto di definire coerente la marea che mi è passata
finora per l’anticamera della testa. È un casino
pazzesco, che suona tipo così:
Josh, Josh, Josh, cosa
faccio? Josh, ho bevuto troppo! Josh, Josh, “Pensaci
però”, Henry, assurdo, Josh,
“Se ti
baciassi adesso, come reagiresti?”,
“Non capisco
neanch’io che sta succedendo, Free”,
“Sei
gelosa”,
“Allora
dovresti buttarti”.
È un casino pazzesco e piuttosto ripetitivo, oltretutto.
Perlopiù penso a Josh, a frasi dette da Josh, a cose legate
a Josh, tranne qualche piccola intrusione di Henry e
quell’ultima frase, quel “dovresti buttarti”
detto da quello sciroccato di mio fratello.
Non so cosa fare, non so cosa voglio. Odio Josh per avermi costretto a
pensarci, odio il mio cervello che non sa partorire un pensiero
decente, odio il fatto che il prossimo passo tocchi necessariamente a
me, perché non so assolutamente come muovermi. Anzi, so che
preferirei stare ferma in eterno, ma purtroppo non è
possibile.
Vedo vagamente una mano che mi sventola allegra davanti agli occhi e
per poco non mi viene un infarto. Sbatto un paio di volte le palpebre,
riprendendomi, e identifico la persona che mi sta di fronte e mi guarda
con espressione preoccupata e divertita.
“Tutto bene?” domanda Matt, piegando leggermente la
testa di lato e sorridendo.
“Sì,” rispondo, poi scoppio in una
risatina isterica. “Mi hai fatto prendere un colpo.”
“Testa da un’altra parte, eh?” mi chiede
furbo lui, con l’aria di chi la sa lunga.
“Un po’,” ammetto, tornando seria.
Naaah, Matt
non sa proprio nulla, sono solo io a vedere malizia anche dove non
c’è.
“Immagino,” dice sorridendo. E, di nuovo, sembra
davvero che sappia tutto.
Stupida paranoica,
mi insulto mentalmente.
Alzo un sopracciglio, tentando di sembrare minacciosa. “Tu
non dovresti essere a lavorare?”
“Mi sono preso un attimo di pausa, dato che la gente comincia
ad andarsene. E tu? Cosa ci fai qui ferma come un palo?”
Scuoto la testa, ripensando alla conversazione con Henry. “Ho
appena parlato con un ragazzo, un certo Norris.”
“Chi? Quel tipo tappo e castano con cui hai
ballato?”
Pare che quella parte della serata l’abbiamo trasmessa in
mondovisione: mi hanno vista proprio tutti, eh.
“Non è basso,” specifico scioccamente.
“Beh, è più basso di me,” si
difende Matt scrollando le spalle.
Rido. “Non tutti sono dei principi azzurri biondi e
perfetti.”
Lui alza di nuovo le spalle. “Che gli hai detto per farlo
scappare così?”
Tentenno, poi decido di dirgli la verità. Gli racconto
velocemente come ho passato la serata con Henry e lui mi ascolta
interessato. Arrivata alla fine, concludo spiegandogli
l’ultima stranissima conversazione.
“Credo di aver bevuto un po’ troppo e mi si
è inceppato il filtro cervello-parola. Ho parlato a
macchinetta, sembravo un’idiota. Gli ho detto che non posso
uscire con lui, in breve.”
Matt ridacchia, sembra divertito. Lancia fugacemente
un’occhiata dietro di me, dopodiché mi risponde.
“Ti si dovrebbe inceppare più spesso il filtro
cervello-parola o cervello-azione, a te. Ti farebbe bene.”
Non capisco cosa sta farneticando.
“Perché?”
“Ti impedisce di fare molto, quel filtro. Ti blocca. Cacchio,
dovresti farti meno problemi e agire di più.”
“Cosa intendi?”
“Jude, sei innamorata persa, ormai si vede a chilometri di
distanza. Perché non ti dai finalmente una mossa?”
“Eh??” Sbianco spalancando la bocca, paralizzata.
“Non fare quella faccia, è evidente,”
spiega Matt sorridendo di nuovo. “Voi due siete sempre
così perfetti insieme. E poi tu ultimamente hai la testa che
non funziona, dev’essere per forza colpa di un ragazzo. Chi
altro, se non il nostro amico J.P.?” dice guardando di nuovo
un punto alle mie spalle.
Sto avendo in questo momento un’altra
conversazione inverosimilmente assurda, con Matt tra le altre cose, per
dio. Non che io abbia qualcosa contro il mio amico ma… beh,
nel gruppo è quello forse più distante da me, nel
senso che è quello con cui parlo di meno. Mi sarei potuta
aspettare che Audrey, sempre così attenta ed empatica,
capisse qualcosa dei miei sentimenti. David con la sua
sensibilità gay intuisce spesso ciò che provo,
non mi sarei stupita più di tanto che sospettasse di me e
Josh. Anche Delia forse, data la sua immensa maliziosità,
avrebbe potuto capire. Ma se mi avessero detto che avrei fatto una
conversazione del genere con Matt, non ci avrei mai e poi mai creduto.
Cioè… è la serata
dell’Impossibile! Io non mi confido mai con Matt e,
nonostante questo, lui ha capito tutto, ma proprio tutto.
Scuoto la testa. “Sono così trasparente?”
“Abbastanza,” ammette il mio amico.
“Magari non volevi confidarti con me, ma mi sembra una cosa
stupida che tu stia ancora qui a lambiccarti il cervello. Elimina quel
filtro e agisci, giovane!” esclama enfatico.
Decido di contrattaccare, con l’argomento Delia.
“Senti chi parla! Tu è da anni che sei attratto
dalla nostra amica in comune!”
“Audrey è molto bella, ma non è il mio
tipo,” ribatte Matt senza scomporsi.
“Non fare il furbo con me, sai di chi stiamo parlando, e non
è Aud!” gli rispondo.
Lui sospira. “È più complicato di
quello pensi. E poi Gray a quest’ora sarà imbucata
con qualche bel ragazzo,” dice guardandosi intorno.
“È più complicato di ciò che
pensi,” ripete.
“Lo è anche per me,” sussurro abbassando
gli occhi, triste di fronte alla consapevole arrendevolezza di Matt.
“Non lo è,” dice convinto lui.
“Se tu lo vuoi e se fai qualcosa, non lo è. Non
per te e Josh.”
Sono stupita, esterrefatta e stralunata da questa chiacchierata.
Ripeto, è la serata dell’Impossibile, non
c’è altra spiegazione!
Io e Matt stiamo un po’ in silenzio, poi sentiamo entrambi
David che chiama dal bancone del bar. “Matt, vieni. Ho
bisogno del tuo aiuto.”
“Scusa, il lavoro mi chiama,” dice Matt
allontanandosi. “Elimina il filtro, Jude.”
“Dovresti seguire tu stesso i consigli che dai agli altri,
sennò non valgono un tubo!” gli urlo dietro mentre
se ne va.
Lui mi guarda sorridendomi un’ultima volta.
Dopo quest’assurda conversazione – assurda come
tutta la mia vita nelle ultime settimane, tanto che sto pensando di
cambiare nome in Judith Absurdity Freeland – non capisco
più se tutte le persona intorno a me sono contro di me o
stanno realmente cercando di aiutarmi. Prima mio fratello che mi dice
di buttarmi, poi Matt che vorrebbe vedermi eliminare il filtro
cervello-azione: entrambi mi hanno tutto sommato suggerito la stessa
identica cosa e, cavoli, sono due persone che mi vogliono bene e che
quindi desiderano il meglio per me.
Che poi, io davvero non so cosa voglio fare? O perlomeno, davvero non
so cosa voglio? Mi sto mentendo. Io
so cosa vorrei, solo che ho paura di
pensarlo ad alta voce. Sempre che sia possibile, pensare ad alta voce.
Ci proverò, comunque. Io sono innamorata di Josh. Io
vorrei… scappare in Groenlandia e non vederlo mai
più. No, non è vero. Sii seria, Jude.
Ok, allora. Vorrei essere rimasta a casa sotto le coperte con Gandhi,
stasera e per sempre. No. Quella che parla è la mia voce da
fifona, quale io sono.
Cerco con lo sguardo il mio migliore amico e lo trovo
dall’altra parte del locale, proprio dove aveva sbirciato
Matt mentre parlavamo. È ordinatamente appoggiato con la
schiena al muro mentre chiacchiera con un ragazzo che non conosco. Il
cuore mi si ferma per un paio di battiti, colpevole e rivelatore. Josh
sorride, si gratta un orecchio, dice qualcosa. Non vedo Bridget, per
fortuna.
Va bene. Sono innamorata di Josh, l’ho già detto.
Sono pazza di lui e ora vorrei… vorrei andare là
e…
“Sei ancora qui?”
Matt interrompe i miei pensieri facendomi nuovamente trasalire.
“Sembri un pesce lesso, Jude, dovresti…”
Non ascolto neanche quello che ha da dire, sono già in
movimento. Cammino con gli occhi puntati su Josh e il cuore a mille.
Sento già che sto per fare
un’assurdità, l’ennesima della serata.
Ma non mi fermo.
Chiedo
perdono per il ritardo, ma avevo avvisato che sarei stata un po' via.
E, una volta tornata, il capitolo era ancora da finire.
Ora manca solo l'ultimo: devo ancora scriverlo, ma ce l'ho tutto in
testa, circa. Beh, insomma, lo strazio di Jude sta per finire,
contenti? :)
Taglio corto e rispondo alle recensioni...
Aika_chan:
Ossignore, non ci posso credere che abbiamo due personaggi che si
chiamano alla stessa maniera! ^^ Certo, Josh Parker non sarà
un nome originalissimo, ma non è neanche il più
banale in circolazione, che assurdità! Ora non ho molto
tempo, ma appena posso a sto punto passo a vedere la tua storia,
è d'obbligo; anche perché mi hai fatto i
complimenti anche per il nick, quindi... A presto.
xXBlack Rose OSheaXx:
Noooo, povero Josh, non massacrarmelo così! In
realtà è più furbo di quello che lo
faccio sembrare, contando anche che la storia è raccontata
da quella sciroccata di Jude... Solo che ha bisogno dei suoi tempi,
povera stella... ;)
Novembre:
Grazie per i complimenti sulla storia e... No, non provo alcuna
avversione per le bionde, giuro. Sarebbe una cosa stupida
perché, ti dirò, ho i capelli di un bel biondo
scuro! :) Pensa che Bridget è descritta attraverso gli occhi
di Jude, che ovviamente la odia per i motivi a noi noti, quindi ogni
motivo per lei è buono per insultarla. In realtà,
in questa storia mi sono allenata con un po' di cliché
stupidi e banali, ma divertenti da trattare: quello dell'amicizia-amore
(Josh/Jude), quello dell'amore-odio (Delia/Matt), e anche quello dlle
bionde oche, a cui in realtà non credo per nulla. Ne ho
usati anche altri di cliché, ma non sto qui a tediarti.
Volevo solo specificare che sono bionda e felice di esserlo!
FourWalls:
Oh, grazie mille per la definizione "film", ancora. Prometto che appena
ho un po' di tempo vengo a leggere la tua storia, è che sono
appena tornata e ci tenevo ad aggiornare, sorry.
Alla prossima e ultima puntata, gente! Au revoir..
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Capitolo 8 *** Sfide istantanee e sfide quotidiane ***
8. Sfide istantanee e sfide
quotidiane
In poche falcate
che sembrano durare un’eternità
– evidentemente ho perso del tutto la percezione del tempo e
dello spazio – sono vicina al mio migliore amico.
“Josh,” lo chiamo. La mia voce trema, lo sento
benissimo, ma il tono sembra, apparentemente, sicuro.
Lui, ancora intento a parlare con quel tizio, si volta e mi vede, poi
sorride e, maledizione, gran parte del mio autocontrollo sparisce in
quest’istante, lo percepisco proprio volare via di gran
carriera.
“Dimmi,” mi incita Josh continuando a guardarmi e
sorridermi, facendo così in modo che anche la poca sicurezza
che avevo racimolato venendo qua strisci via, vigliacca.
D’altro canto, invece, il mio amico sembra completamente
tranquillo, come sempre in fondo, accidenti a lui.
“Sì, ecco… dovrei parlarti un attimo.
N-non è che potremmo uscire?” chiedo poco convinta.
“Puoi parlarmi anche qua, no?”
Mi sta prendendo in giro? Il mio sguardo si posa un attimo sul ragazzo
con cui stava chiacchierando fino a poco fa, per poi tornare a lui
titubante.
“È che si tratta di una cosa…”
“Tranquilla, Terry è un amico,” mi
interrompe Josh. “Dimmi pure, cara.”
Terry? E chi diavolo è questo Terry? Io non l’ho
mai visto. Josh mi sta decisamente prendendo in giro, mi ha anche
chiamata “cara”. Peggio, anzi, mi sta sfidando, e
lui sa perfettamente come io accolga le sfide.
Lancio un’occhiata a questo Terry che, intimorito, fa un paio
di passi indietro e biascica un “io andrei
a…” che rimane inconcluso. Devo averlo fulminato,
povero.
“Parker,” alzo un po’ la voce,
assottigliando gli occhi per tornare a guardare Josh, “ho
detto che preferirei andare fuori.”
Diverse persone si girano dalla nostra parte, incuriosite, ma ormai me
ne frego, anche perché Josh continua a sorridere splendido e
sereno e, anzi, ora ridacchia, come a conferma del fatto che vuole solo
farmi infuriare.
“E io ho detto che preferirei che tu dicessi quello che hai
da dirmi qui,” ribatte alzando le spalle. “Di
cos’hai paura, Free?”
Questa è la goccia che fa traboccare il vaso.
Di
cos’ho paura? Adesso glielo faccio vedere io, di
cos’ho paura.
“Perfetto,” scandisco sicura. “Come vuoi
tu, allora.”
E senza lasciargli il tempo di dire “a” –
perché se parlasse ancora credo che lo ucciderei
all’istante – gli sono addosso, letteralmente
addosso, e lo bacio.
Così impara, stupido cretino che non è altro.
Per riflesso spontaneo, mentre il mio cuore parte per conto suo e i
fuochi d’artificio cominciano nella mia testa, porto le mani
fra i suoi capelli, spettinandoglieli ancora di più, e
questa sì che è un’impresa. Josh, dal
canto suo, sorride – ancora! – sulle mie labbra e
risponde al bacio allacciandomi le braccia in vita per stringermi a
sé.
Che storie. Avrei scommesso che non sarei mai riuscita a fare una cosa
del genere, invece eccomi qua, abbarbicata al mio migliore amico, come
se dovessi respirare dalla sua bocca. Perché in effetti
è così, io ne avevo bisogno, ne ho bisogno. E se
questa è davvero la serata dell’Impossibile, una
cosa così poteva succedere solo oggi.
Sento Josh che ridacchia e si stacca appena da me. Apro gli occhi e lo
guardo interrogativa, sempre che i miei muscoli facciali funzionino
ancora.
“È un raptus anche questo?” mi chiede
lui provocandomi diversi tuffi al cuore con la sua voce leggermente
roca.
“Sì, no. Cosa…? Cioè,
no.”
Josh aggrotta la fronte alle mie farneticazioni, aspettando una
risposta più chiara.
“No,” dico quindi, convinta. “Josh, io so
perfettamente cosa sta succedendo, invece. E se tu
non…”
“Anch’io, Jude,” mi interrompe lui,
smagliante come sempre, se non di più. “Bene, vedo
che siamo d’accordo, allora.”
E dicendo questo si sporge ancora su di me e mi bacia, zittendo le
centinaia, migliaia e milioni di domande che mi frullano per la testa.
Qualcosa si scioglie all’altezza del mio stomaco: ha ragione,
non è questo il tempo delle domande, non ora.
Josh mi bacia profondamente, come per trasmettermi quello che sente,
poi mi dà un paio di baci a fior di labbra, giocando sulla
mia
bocca, infine si stacca di nuovo, si guarda intorno con aria divertita
e parla.
“Direi che adesso
possiamo andare fuori,” dice
ridendo appena e passando lo sguardo da un lato all’altro del
locale.
“Perché?” chiedo ingenuamente io,
continuando a guardare Josh come calamitata dalla sua figura.
“Guarda un po’ tu…”
A questo punto mi ricordo tutto d’un colpo di trovarmi in un
locale pieno di gente. Di gente che conosco, perlopiù, e che
conosce me. Pieno di persone che ora probabilmente avranno visto in
diretta la mia follia dilagante e il bacio fra me e Josh.
Faccio una smorfia consapevole e colpevole mentre mi giro verso il
centro del locale e Josh, continuando a ridacchiare come uno scemo, mi
appoggia una mano sulla spalla.
Ok. La buona notizia è che il Marie’s
non
è pieno come l’avevo immaginato nella mia
testolina bacata: forse buona parte delle persone sono già
uscite alla ricerca di altre baldorie notturne, visto che comincia a
essere tardi e fra non molto il locale chiuderà.
La cattiva notizia – perché
c’è sempre
una cattiva notizia –
è che, comunque, tre quarti dei presenti ci stanno guardando
e alcuni addirittura ci indicano e sogghignano divertiti.
Vorrei sotterrarmi. Quando mi giro io, qualcuno fa finta di nulla e si
mette a parlare con noncuranza col proprio vicino, altri –
una decina di persone, tutte conosciute, purtroppo –
continuano a guardare me e Josh stupiti. Tra questi ultimi ci sono,
com’è ovvio, tutti i nostri amici.
Audrey e Phil, in piedi vicino a un tavolo, ci guardano con tanto
d’occhi, lei in particolare sembra pietrificata,
chissà se respira; Delia è attaccata al braccio
di un ragazzo biondo, come se avesse avuto un mancamento, e appena i
miei occhi incontrano i suoi esclama con voce altissima un
“Jude, tesoro!”, poi boccheggia e basta; a questo
punto cerco con lo sguardo Matt e Dave e li trovo entrambi accanto al
bancone del bar, con facce stupite e divertite. Il primo non sembra
neanche troppo esterrefatto, in realtà, probabilmente appena
mi ha visto avvicinarmi a Josh è andato ad avvisare David e
si sono messi a guardarci insieme, come se fossimo un film in prima
serata: è strano che non stiano sgranocchiando dei popcorn,
tanto sembrano interessati alla scena.
“Hai ragione,” mormoro a Josh, rendendomi conto di
aver bisogno di respirare, “è meglio se usciamo,
adesso.”
Josh mi afferra la mano con sicurezza e mi trascina verso la porta. Per
uscire, ovviamente, dobbiamo attraversare per lungo tutto il locale.
Che razza di sfiga.
Quando siamo ormai poco lontani dall’uscio, mi giro di nuovo
verso i miei amici. Aud e Dee si sono avvicinate e parlottano tra loro,
lanciandomi occhiate sorridenti e stupite; poco più in
là vedo Matt che ci strizza l’occhio mentre Dave
al suo fianco alza entrambi i pollici nella nostra direzione, e mi
scappa da ridere.
Sono dei totali cretini, ma sono i miei amici, e io li adoro.
Dave dice una cosa nell’orecchio a Matt e
quest’ultimo alza la mano per intimare a me e Josh di
fermarci, proprio mentre stiamo per uscire. Poi la musica di sottofondo
si abbassa e Matt sale su una sedia, facendosi notare da tutti.
“Gente!” esclama con enfasi mentre le persone si
voltano a guardarlo. “Per favore, un applauso ai nostri amici
là sulla porta, Josh Parker e Jude Freeland, che finalmente
hanno deciso di smetterla di dirsi fesserie a vicenda e di saltarsi
addosso!”
Ma che stupido! Ho gli occhi sgranati e vorrei sprofondare al centro
della terra in questo momento, ma mi scappa comunque una mezza risata.
Tutti i presenti accennano un applauso e qualche fischio di
approvazione, mentre la musica riparte e Josh fa qualche inchino a
destra e sinistra. Apro la porta e lo trascino fuori con la forza,
ridendo e vergognandomi contemporaneamente.
Non appena siamo all’esterno, Josh mi tira a sé
abbracciandomi forte, risparmiandomi così
l’imbarazzo di doverlo guardare negli occhi qua da soli, ora
che l’effetto dell’adrenalina di prima è
sparito.
“Non ci posso credere!” borbotto sulla sua spalla,
divertita.
“Neanch’io,” commenta Josh dandomi un
bacio sulla guancia, “ma va bene così.”
Fa per sporgersi nuovamente sulla mia bocca, ma io piego il collo
indietro e lo guardo, semiseria, negli occhi.
“E Bridget Milton?” gli domando con un tono
fintamente preoccupato.
Un lampo divertito passa nei suoi occhi mentre mi si avvicina ancora, e
ancora.
“Lo dicevo, io, che eri gelosa.”
Of all the people in the world
that I know
You're the best place to go
when I cry,
When I cry.
I never asked for much before,
not before,
Things are changed: I need
more.
Tell me why, Judy, why.
È di nuovo venerdì. Ma va’? Strano.
Lo vedi, sei prevenuto, o prevenuta, comunque sia. Non è
venerdì sera,
è venerdì mattina.
Questa, per esempio, è una novità anche per noi,
sempre così metodici, eppure sempre così
imprevedibili.
Imprevedibile è proprio uno degli aggettivi che
più mi si addice, in effetti, dalla serata
dell’inaugurazione. Certo, quella volta sono stata aiutata da
una dose di alcol superiore al normale, ma ho fatto una cosa che
rimarrà negli annali del Marie’s.
I miei amici la
raccontano già come se si trattasse di una storiella
mitologica ma loro, si sa, sono di parte. Quel che è certo
è che, baciando il mio migliore amico lì di
fronte a tutti, ho fatto la cazzata più grande e
più bella della mia vita, e ancora glielo rifaccio a
quell’incosciente di Josh di avermi assecondata
così.
Sono passati quasi due mesi da quel venerdì sera
d’ottobre e, anche se quasi mi secca dirlo, perché
sarebbe come ammettere che prima mi sono fatta tante pare mentali per
nulla, sono stati forse i due mesi più sereni della mia
intera esistenza. Non privi di parapiglia, eh, figuriamoci. Io e Josh
insieme non potevamo che creare una gran confusione: in noi, nelle
nostre vite e nelle vite di chi ci sta accanto, familiari e amici. Ma
è una confusione bella, dinamica e al tempo stesso
rassicurante.
Le nostre famiglie, ad esempio, fanno a gara per averci entrambi
insieme a cena nell’una o nell’altra casa.
D’altra parte, i nostri teatrini sono notevolmente migliorati
da quando stiamo insieme: scherziamo, litighiamo per finta, ci facciamo
smorfie assurde per dietro e poi ridiamo, ridiamo un sacco. Mio padre
dice che siamo “divertenti”;
mia madre aggiunge
“e teneri”.
Bleah, roba da far venire il diabete.
Addirittura Kerr viene a trovarci un po’ più
spesso da allora. Io sospetto che tenga d’occhio Josh, per
quanto si fidi di lui. È pur sempre il mio fratellone.
In verità, quando, la sera stessa del patatrac, gli ho
raccontato cos’era successo, Kerr ha commentato dicendo:
“Che uomo coraggioso, quel Parker. Dovrò vederlo
per fargli i miei migliori auguri per i tempi a venire, povero
martire”. Però, appena ha avuto
l’occasione di parlare con Josh, mio fratello non si
è smentito e – ho saputo poi – gli ha
ricordato, gentilmente, di trattarmi con riguardo, che sennò
se ne sarebbe pentito.
I nostri amici, invece, sono già più che abituati
a noi, anche perché i nostri comportamenti non sono certo
cambiati in modo eclatante: ok, qualche sguardo languido, carezza o
bacetto ogni tanto ci scappa, ma non siamo tipi da smancerie esagerate
in pubblico. Fondamentalmente, siamo gli amici di prima, e molto, molto
di più. E va benissimo così, perché
non avrei mai voluto perdere l’amicizia costruita in questi
anni: è importantissimo per me parlare, scherzare, litigare
quotidianamente con Josh.
Quindi, eccoci di nuovo qua, come in uno scontato film già
visto e rivisto mille volte. Il gruppo del venerdì sera
stavolta si è ritrovato di venerdì mattina e
l’occasione lo rendeva necessario: è il compleanno
di Delia, oggi, e noi siamo tutti qui, in mezzo al familiare profumo di
brioches del Marie’s,
a fare la solita divertente, allegra
confusione.
“Et voilà! I vostri caffè.”
Stavolta ci facciamo servire da Alfred, il padre di Dave, ovvero il
proprietario del nostro bar di fiducia. D’altronde da quando
David si occupa del locale notturno non ha più molto tempo
di aiutare suo padre servendo ai tavoli anche la mattina.
“Grazie Al,” diciamo in coro come dei bravi
scolaretti addestrati.
“Non c’è di che,” risponde lui
ridacchiando – io adoro
quest’uomo, ma è
una storia a parte, purtroppo.
“Ah, Delia, bambina, è il tuo compleanno
oggi… Auguri!” Al si premura di darle due baci
sulle guance, poi si ferma un attimo a chiacchierare con lei del
più e del meno.
Dicevo, oggi è il compleanno di Delia, per la quale
– ma lei ovviamente non lo deve sapere – stiamo
anche organizzando una festa a sorpresa, per stasera. Dee adora le
feste. E ultimamente è un po’ più
giù di tono del solito: niente di grave, eh, solo, gli
schiamazzi e le risate sembrano essere diminuiti.
E ha nuovamente cambiato look, la pazza. Si è fatta un nuovo
taglio di capelli, che ora sono piuttosto corti e asimmetrici e
– udite udite! – è tornata del suo
colore naturale, cioè quel fantastico biondo cenere che io
le ho sempre invidiato ma che lei ha sempre inspiegabilmente coperto
con tutte le tinte possibili e immaginabili. Ora, non so cosa sia stato
a farle cambiare idea, solo che Dee ha deciso che, sì, tutto
sommato poteva dare una nuova possibilità ai suoi capelli e
circa una settimana fa ci si è presentata conciata
così. Sta davvero bene, fra l’altro.
Gli altri miei amici, invece, sono sempre i soliti: ci sono Aud e Phil
che parlano di qualcosa con Matt, qua accanto a me; più in
là, poi, c’è Dave con delle leggere
occhiaie – il locale gli porta via davvero molto tempo ed
energie – che sorseggia il caffè e guarda
distratto il quotidiano che Josh sta sfogliando.
Do un’occhiata a Josh mentre lui, ignaro, legge attento un
articolo particolarmente interessante. Che faccia da scemo che fa
quand’è concentrato. Davvero, devo ricordarmi di
dirglielo, perché lui non se ne rende conto. Aggrotta
leggermente le sopracciglia e socchiude le labbra, mentre si passa per
riflesso spontaneo una mano tra i capelli già scompigliati.
Bello, lui.
Poi, mi concentro sulla conversazione di Al e Dee.
“E così,” sta dicendo lui,
“hai cambiato di nuovo look.”
“Sì, sai come sono fatta,” risponde in
tono confidenziale Delia, “ho bisogno di cambiamenti
radicali, di tanto in tanto. Non ci posso fare niente.”
“Già, già…”
ridacchia lui, e nei suoi occhi passa della malizia, mentre si prepara
a porle la domanda successiva. “E dimmi, è per un
ragazzo anche stavolta?”
Dee arrossisce visibilmente. Nessuno la sta guardando, purtroppo, ma io
l’ho vista e ne sono sicura, è arrossita! Non ho
mai visto una cosa simile, cioè… lei non si
imbarazza mai e mai e mai.
“No, Al, ma che dici!” risponde con un sorriso
tirato.
Qua c’è qualcosa che mi puzza. Scocco
un’occhiata anche a Matt e lo scopro che si è
distratto dalla conversazione con gli altri e anche lui sta guardando
Delia di sottecchi, tentando di non farsi notare. No, non è
possibile. Mi sono immaginata tutto, dev’essere
così.
A questo punto Josh, dall’altra parte del tavolo, attira la
mia attenzione, sventolando il giornale e chiamandomi.
“Batuffolo, vieni un attimo qui.”
Sbuffo, fingendomi annoiata, mentre sento il cuore accelerare appena.
“Parker, te l’ho già detto, non
chiamarmi così. Non in pubblico.”
“Che c’è di male? Ti chiamo Batuffolo da
un sacco di anni,” dice alzando le spalle.
“Sì, ma… prima che ci mettessimo
assieme non suonava così sdolcinato,” specifico
storcendo il naso e alzandomi per avvicinarmi a Josh. È
vero, sono allergica alle colate di miele in pubblico, e allora? Mi fa
piacere che Josh mi dia delle attenzioni ma mi imbarazza che lo faccia
davanti agli altri. Sono solo fissazioni mie, immagino.
“Oh sì, invece.” Dave interrompe il
nostro piccolo battibecco, ridendo sotto i baffi. “Suonava
decisamente sdolcinato già da un po’.
Fidati.”
Josh ride, mentre io, ormai in piedi dietro la sua sedia, gli appoggio
una mano sulla spalla e una a carezzargli i capelli.
“Hai
sentito?” fa lui sornione. “Eravamo teneri e
sdolcinati anche prima. Fattene una ragione, Batuffolo.”
“Va’ al diavolo, Parker.” Sorrido, mentre
lo dico, risultando così poco credibile.
Josh riesce a farmi abbassare per stamparmi un bacio sulla guancia,
prima di farmi vedere l’articolo che poco fa lo interessava
tanto.
Glielo dico o non glielo dico che mentre è concentrato
sembra un perfetto pesce lesso? Ma no, dai, è più
divertente così. Potrei riservare questa cartuccia per un
altro dei nostri battibecchi, si offenderebbe un sacco in quel caso.
Mi piego e appoggio il mento sulla sua spalla mentre lui, totalmente
preso dall’argomento, continua imperterrito a parlare.
Eh sì, per come siamo fatti, stare insieme per me e Josh
è una sfida quotidiana ed eternamente aperta. Ma se
così non fosse non sarebbe neanche divertente.
Mi piacciono le sfide, l’ho già detto?
I never thought that I would
need, need a friend,
Oh, but I did in the
end…
Tell me why, Judy, why.
Allora,
L'HO FINITA!!! Yu-huu!
Solo un paio di piccole precisazioni, più le risposte
personali alle recensioni, dopodiché giuro che smetto di
rompere e mi dileguo.
La canzone in blu, ovvero quella che dà il titolo alla
storia, è Why Judy why
di Billy Joel; e qui, credo, si spiega anche il collegamento con la
storia stessa, dato il nome della protagonista. Per chi non la
conoscesse - e anche per chi la conoscesse già - la
consiglio nella versione
di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti, dal cd Musica Nuda.
Per il resto, come ho già detto, la storia in sé
finisce qui. Da ciò: è l'ultima
possibilità di commentare per chi mi ha letto finora ma non
mi ha mai fatto sapere cosa ne pensa. Ci terrei davvero tanto a sentire
i vostri consigli/commenti/insulti, eccetera.
Grazie mille mille mille invece a chi ha già commentato e/o
commenterà.
SweetCherry: Oddio,
addirittura uno stile scioccante, questa è nuova! ^^ Thank
you very much.
xXBlack Rose OSheaXx:
Ok, scusa per averti lasciata così in sospeso! Spero di
essermi fatta perdonare con questo capitoletto, ci ho messo tanto a
scriverlo anche perché per me era importante. Fammi sapere
se ti ho delusa, I hope no.
FourWalls: Ops. Ho
scatenato istinti omicidi con la fine dello scorso capitolo... ^^ Non
è che Jude gliel'abbia proprio esattamente detto, comunque il
risultato è lo stesso!
Emily Doyle:
Se devo essere sincera al cento percento, beh... Al seguito Matt/Dee ci
avevo già pensato. Sarebbe una storia a parte in
realtà, non proprio un sequel, comunque ci sto riflettendo.
Tu pensi ti piacerebbe? A me Matt e Delia piacciono parecchio come
personaggi - e nell'interazione tra loro - e poi in quest'ultimo
capitolo li ho lasciati un po' in sospeso. Vedrò. Non
prometto niente, ma magari tra un po' potrei farlo davvero. Intanto,
grazie per la pulce nell'orecchio. :)
Ho finito, stavolta sul serio, giuro.
A presto su questi schermi, spero. Nel frattempo, buonanotte a tutti! :*
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