The Man in The High Castle

di _Joanna_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


1.1


Prologo





Londra,  12 ottobre 1998



Una leggera pioggia, gelida e pungente, sferzava il viso di Neville Paciock che, avvolto in un pesante mantello marrone, camminava lungo il sudicio marciapiede della Regent Street.
Un tempo, quella era stata la via più bella del quartiere, con i suoi eleganti edifici, sedi di importanti società e ambasciate, i suoi splendidi giardini ben tenuti, i suoi negozi raffinati e i suoi pub esclusivi.
Ma la guerra aveva cambiato tutto.
Quando le atrocità erano cominciate, i ricchi abitanti del posto avevano fatto le valigie e si erano rifugiati nelle loro case di campagna, ben presto imitati dai negozianti che, in fretta e furia, avevano tirato giù le saracinesche e avevano seguito i loro facoltosi clienti nell'esilio.
Così abbandonati, i bei palazzi erano stati occupati da barboni e criminali, e i negozi e i pub si erano trasformati in sordidi ricettacoli.
Ma quel sacrificio, quella rinuncia, non erano serviti a nulla; la campagna, infatti, non era stata risparmiata.
La lunga mano nera del Signore Oscuro aveva raggiunto quei ricchi signori e li aveva strangolati nei loro letti, laddove si erano creduti al sicuro.
Neville aveva appena otto anni quando tutto era finito, ma ricordava ancora perfettamente le parole di suo padre: “Oggi, la libertà è morta” aveva detto, sfogliando quella che era stata l'ultima edizione della Gazzetta del Profeta, e Neville, crescendo, aveva compreso quanto questo fosse vero.
La pioggia crebbe d'intensità.
Neville scacciò via quei tristi pensieri dalla propria mente e affrettò il passo; svoltò l'angolo e imbucò uno stretto vicolo, invaso dall'immondizia.
E lì, tra quei cumuli maleodoranti, individuò quello che stava cercando.
Si guardò intorno, circospetto, quindi scese i pochi gradini, fermandosi poi davanti a una piccola porta grigia; allungò la mano stretta a pugno e bussò.
Un colpo, una pausa, due colpi, un'altra pausa, poi altri due colpi.
Per un po' non accadde nulla e Neville cominciò a temere di aver sbagliato la bussata.
Poi, finalmente, l'uscio venne schiuso e un vivido occhio azzurro fece capolino nello spiraglio; quello guizzò rapido su di lui e Neville si ritrovò a sorridere, impacciato.
L'altro uomo grugnì, quindi aprì la porta, quel tanto che bastava a farlo passare.
«Piantala di sorridere come un idiota» lo accolse poi, quando Neville gli sgusciò accanto.
«È un piacere vederti, Ab» replicò Neville, allegro.
«Sì, certo, come no» borbottò Ab, allontanandosi per ritornare alla sua postazione, dietro al bancone.
La Testa di Porco Rifondata, questo era il nome del locale, non era un luogo particolarmente accogliente, ma, dopotutto, non lo era mai stato neanche il pub originale.
Neville si guardò intorno; quella sera il locale non era particolarmente affollato e così non ebbe difficoltà ad individuare i suoi amici, Ron e Hermione, seduti sugli sgabelli davanti al bancone.
«'Sera» salutò, avvicinandosi.
I due si voltarono.
«Dov'eri finito?» chiese Ron, brusco.
«Ciao Neville» lo salutò la ragazza, con un sorriso.
«Ho appena staccato» rispose Neville, prendendo posto su un terzo sgabello, accanto all'amico, e liberandosi in fretta dal pesante mantello.
«Ma Simpson non aveva detto che si trattava solo di qualche scartoffia?» chiese intanto Ron.
«Qualche scartoffia si è rivelata essere un mucchio di scartoffie» rispose Neville, evasivo, e Ron parve accontentarsi di quella spiegazione.
In realtà, anche volendo, Neville non avrebbe saputo essere più preciso; lui si era, infatti, semplicemente limitato a fare il proprio lavoro.
Quella sera, poco prima della fine del turno, Simpson, il suo capo al Dipartimento Permessi e Licenze del Ministero della Magia, lo aveva richiamato: un spessa pila di documenti era appena stata portata giù dal Secondo Livello del Ministero, dove si trovavano gli Uffici per l'Applicazione della Legge sulla Magia, nonché il Quartier Generale dei Mangiamorte, e aveva urgente bisogno di essere esaminata.
Non c'era nulla di strano, in effetti, poiché il suo lavoro, e quello di Ron, consisteva nel compilare montagne di scartoffie, ma Neville ancora non riusciva a scacciarsi di dosso l'idea che quel particolare fascicolo, arrivato direttamente dai piani alti, riguardasse qualcosa di importante e potenzialmente pericoloso.
Tuttavia, l'unica cosa che sapeva per certa era che il mago, a cui era stata revocata la licenza per il suo giornale, doveva aver scritto qualcosa che aveva infastidito il Ministero.
«Cosa ti porto?» chiese Ab in quel momento. Neville sussultò, riscuotendosi dai propri pensieri.
«Una camomilla, direi» scherzò Ron, notando la reazione dell'amico.
«Il solito» rispose Neville e Ab, scuotendo la testa, si apprestò a soddisfare la sua richiesta.
Il vecchio Ab non aveva mai avuto alcun senso dell'umorismo, rifletté Neville, anche se lui proprio non riusciva a biasimarlo; per quelli della sua generazione, infatti, la voglia di ridere era stata soffocata dalle tragedie della guerra.
«Assurdo!» esclamò a un tratto Hermione; aveva appena iniziato a sfogliare il giornale, il Corriere dell'Ibis e doveva essersi imbattuta nell'ennesima brutta notizia.
«Che è successo stavolta?» chiese infatti Ron, stancamente.
«Hanno arrestato il vecchio Dedalus» rispose Hermione, senza staccare gli occhi dalla pagina.
«Dedalus?» domandò Neville, sorpreso «Dedalus Lux?»
«Secondo fonti ufficiali» lesse Hermione «l'anziano Lux è stato trovato in possesso di alcuni volantini e altro materiale di propaganda ribelle. Immediatamente allertati, i Mangiamorte hanno disposto il fermo per Lux, che ora dovrà difendersi dall'accusa di possesso e tentata divulgazione di materiale illegale».
«Povero Dedalus, lo dicevo che prima o poi si sarebbe messo nei guai» commentò Ron, amareggiato.
«Non dice di quale materiale si tratta?» chiese Neville, mandando giù il suo bicchierino di Whisky Incendiario.
«Parlano solo di generica propaganda ribelle» rispose Hermione, cupa.
«Probabilmente si tratterà di uno di quei soliti manifesti un po' volgari» osservò Ron.
In effetti, quel genere di cose andava parecchio di moda tra coloro che ancora non si erano rassegnati alla vittoria del Signore Oscuro.
Generalmente, quei manifesti raffiguravano un qualche importante funzionario del Ministero, dai tratti grottescamente deformati, o un anonimo mago vestito da Mangiamorte e impegnato a fare qualcosa di poco dignitoso.
Ad ogni modo, il Governo mal tollerava quel tipo di facezie, e chi esagerava veniva spesso ospitato per qualche giorno in una delle esclusive stanze due metri per due della Marshalsea.
Evidentemente, questa volta Lux doveva aver infastidito un pesce un po' troppo grosso.
«Bé, sarà meglio che vada» disse Hermione, infilandosi il cappotto.
Ron fece per protestare, ma la ragazza continuò «Ho un mucchio di lavoro da fare e poi ho promesso a tua sorella che sarei passata a salutarla».
«Oh, d'accordo» si arrese Ron.
Hermione gli sorrise, quindi gli schioccò un rapido bacio sulla guancia.
«Ci vediamo a casa» disse poi, «Ciao Neville» salutò e, in fretta, uscì dal locale.
Ron, rabbuiato, si appoggiò con i gomiti sul bancone.
«Bé, almeno tu hai qualcuno che ti aspetta» commentò Neville, indovinando i pensieri dell'amico.
Ron si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.
«Potresti averlo anche tu, se non te stessi tutto il giorno a parlare alle piante» osservò Ab, che era ricomparso davanti a loro.
Neville si limitò a stringersi nelle spalle e ordinò di nuovo da bere per entrambi.
«Passami un po' quel giornale» disse poi, rivolto a Ron.
Lo sfogliò distrattamente, quindi lo richiuse per leggere i titoli in prima pagina.
Ovviamente, la notizia del giorno riguardava i grandi festeggiamenti che si sarebbero tenuti, di lì a due settimane, per celebrare il quindicesimo anniversario della vittoria del Signore Oscuro.
Il 31 ottobre 1983, infatti, Bartemius Crouch, allora Ministro della Magia, aveva firmato la resa, totale e incondizionata, davanti a un'enorme platea esultante: dopo quasi dieci anni di guerra civile, il Ministero aveva capitolato e il Signore Oscuro aveva trionfato.
La Resistenza aveva continuato a combattere, ma i suoi sforzi si erano fatti via via sempre meno incisivi; i suoi leader erano stati stanati e giustiziati, i suoi migliori guerrieri abbattuti e, adesso, dell'orgogliosa Ribellione non restava altro che qualche sparuto gruppo di maghi, troppo testardi per cedere, troppo deboli per rappresentare una seria minaccia.
Il Signore Oscuro, invece, aveva rapidamente cementato il suo potere: aveva nominato i suoi nuovi Ministri, fatto approvare nuove leggi e in breve aveva instaurato il suo Regime dittatoriale su tutta l'Inghilterra, e non solo.
Ora, infatti, ai vertici dei Ministeri della Magia dei vari Paesi, c'erano uomini a lui fedeli o comunque a lui graditi, che perseguivano la sua stessa politica repressiva e crudele.
E poi, c'erano i Babbani.
Quando la Comunità Magica era venuta allo scoperto, la maggior parte dei Babbani aveva stentato a crederci.
Ma gli orrori che i seguaci del Signore Oscuro avevano scatenato su di loro erano stati la prova che non solo la Magia esisteva, ma anche che aveva il potere, e la volontà, di sterminarli.
I Babbani avevano tentato di combattere, ma le loro armi si erano rivelate inutili contro i maghi, le loro difese futili davanti ai potenti incantesimi dei Mangiamorte.
E così, i Babbani erano stati umiliati, piegati, schiacciati.
I più fortunati erano stati uccisi durante i violenti attacchi e le spedizioni punitive dei Mangiamorte.
Tutti gli altri, invece, avevano conosciuto l'orrore della persecuzione, l'abominio dell'annientamento.
Non erano però stati un nemico facile da abbattere: infatti, dopo la firma della pace e l’instaurazione del regime, ci erano voluti altri cinque anni per sedare le rivolte, e il Signore Oscuro aveva dovuto imparare a proprie spese quanto fosse orgogliosa quella stirpe, a suo dire, inferiore.
Ma, come è evidente, coraggio e ardimento non potevano offrire alcuna protezione contro gli Anatemi letali.
La popolazione non magica era stata pesantemente decimata e, nell’ultimo anno di quella guerra sanguinosa e brutale, i Babbani avevano pagato duramente i loro sforzi per difendere ciò che restava della loro libertà; gli atti finali della guerra erano stati qualcosa di tremendo, inumano: tre diversi Primi Ministri erano stati assassinati, mentre una lunga serie di massacri era stata perpetrata in varie zone strategiche del Paese; intere famiglie erano state sterminate, trucidate e i loro corpi, esposti al pubblico come monito, erano divenuti oggetto di vilipendio da parte dei molti, troppi maghi che avevano accettato la tirannia.
Per un po’, anche a Ribellione sedata, i Mangiamorte avevano continuato a uccidere, ma, ben presto, la spietata caccia al Babbano si era trasformata in una raffinata politica di contenimento e di lenta, ma inesorabile, estinzione; sparsi per il Paese, infatti, i milioni di Babbani sopravvissuti conducevano una misera esistenza nelle zone a loro dedicate, nelle quali avevano tentato di ricostruire una sorta di normalità.
Quanto ai maghi, anche per loro l'onnipresente Ministero aveva pensato una politica appositamente dedicata; l'intera popolazione magica, infatti, era stata censita, esaminata, classificata, modellata secondo gli schemi accuratamente ideati e teorizzati dal Signore Oscuro.
Nella distorta visione del tiranno, il fior fiore della comunità magica erano i Purosangue; essi godevano di tutti i diritti e i privilegi riservati al loro sangue nobile, a patto che, naturalmente, si adeguassero ai dettami del nuovo regime, cosa che, alla maggior parte di loro, non creava alcun problema.
Poi venivano i Mezzosangue, suddivisi in base alla “genealogia magica”, ovvero alla quantità di sangue Babbano che scorreva nelle loro vene, e dunque la loro posizione era migliore o peggiore a seconda della loro Purezza.
Dopo c'erano i Nati Babbani, i Sanguemarcio, coloro che erano nati in famiglie Babbane e che non potevano vantare alcun antenato magico.
Inizialmente, erano stati oggetto di una brutale persecuzione e molti avevano subito il medesimo, tragico destino dei loro concittadini Babbani; anzi, a dire il vero, a loro era stato riservato un trattamento ancora più crudele, come se il Signore Oscuro li ritenesse assurdamente responsabili di aver “rubato” i poteri dei maghi.
Ma poi qualcosa era cambiato.
Forse l'Oscuro Signore doveva aver capito che era impossibile sradicare il gene magico latente nella popolazione Babbana, o forse era stato persuaso che, dopotutto, anche i Sanguemarcio erano maghi e dunque la loro vita doveva pure valere qualcosa.
E così, l’Ufficio per il Censimento e il Controllo dei Nati Babbani aveva mutato linea d'azione; ora, infatti, non si limitava più solo ad individuare i Nati Babbani, ma si occupava anche di contenerne il “potenziale virale”.
I Nati Babbani, infatti, per via della loro condizione, dovevano essere, nei fatti, impossibilitati a diffondere il loro sangue non magico tra i maghi e, allo stesso modo, doveva altresì essere impedito loro di spargere quella scintilla di magia all'interno della comunità Babbana.
E l'unico modo per farlo era sterilizzarli. Tutti quanti.
Ai piedi di quella grottesca piramide sociale, poi, c'erano i Maghinò, ovvero quelle persone che erano nate in una famiglia di maghi, ma che non possedevano alcuna capacità magica.
Erano considerati alla stregua di intoccabili, e la loro condizione era quasi peggiore di quella dei Babbani. Per il Ministero erano come degli errori, degli abomini della specie magica, un fastidioso inciampo nella sfrenata corsa alla perfezione della nobile stirpe dei maghi.
Anche per loro era stato istituito un comitato speciale, la Commissione per la Salvaguardia della Stirpe Magica. Era situato nelle viscere del Ministero, all'Undicesimo Livello, sotto il piano dedicato all'Ufficio Misteri, ed era tristemente noto a tutti quello che accadeva tra quelle mura bianche e asettiche: lì, infatti, trascinati con la forza o condotti dalle loro stesse, nobili, famiglie Purosangue, e anche molte Mezzosangue, i giovani Maghinò andavano incontro a un destino tanto crudele quanto repentino.
Una squadra di Medimaghi, accuratamente selezionata e perfettamente addestrata, trattava i Maghinò come meritavano: i più deboli, i più fortunati, venivano eliminati con l'Anatema che Uccide; gli altri, i discendenti di famiglie non molto importanti, meglio ancora se ex ribelli perdonati, venivano invece condotti in celle appositamente preparate, dove i Guaritori avevano modo di approfondire le loro conoscenze, sperimentando su quegli sventurati incantesimi e pozioni, nel tentativo, sostenevano loro, di curare quella tremenda malattia.
Non serviva però un grande Veggente per immaginare quello che davvero accadeva laggiù, in quei candidi cubicoli dove Maghinò, ribelli e Babbani fungevano da cavie umane per i folli esperimenti del viscido Raptor.
Dunque, in definitiva, quello era decisamente un mondo cupo e triste in cui vivere, dove la speranza di un futuro diverso e migliore stava cedendo rapidamente il passo a una tetra e desolata rassegnazione.
Neville ancora non poteva saperlo, ma la scintilla della rinascita era già stata appiccata.


* * *

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


2.2
Capitolo I

A New Hope






L'aria della sera era fredda e pungente, ma almeno aveva smesso di piovere.
In uno dei molti vicoli del quartiere di Camden Town, una figura minuta e solitaria si aggirava tra le poche bancarelle ancora aperte. Una volta, quello era stato uno dei mercati cittadini più grandi e famosi del Paese, ma, con il passare degli anni, quello si era ridotto a qualche sparuto banchetto; dopotutto, le merci ancora consentite erano poche e le licenze concesse erano ancora meno.
Hermione Granger non avrebbe desiderato di meglio che uno bel camino scoppiettante, una tazza di cioccolata fumante e una pila di pratiche del lavoro aperta sulle ginocchia.
Ma aveva promesso a Ginny che sarebbe passata a trovarla e così, avvolta nel suo pesante cappotto scuro, si affrettò a percorre l'ultimo tratto di strada; sperava di potersi limitare a un saluto veloce, così da avere il tempo di tornare a casa e lavorare per un'oretta, prima dell'arrivo di Ron.
Superò un chioschetto di alimentari, posto all'angolo tra la Inverness Street e la Alington Road; imboccò quest'ultima, camminando a passo spedito, fino a raggiungere il piccolo arco che segnalava l'ingresso della Early Mews, null'altro che uno stretto vicolo cieco strangolato dagli alti palazzi dai mattoni rossi.
Ginny viveva in uno di quei miseri appartamenti, anche se la ragazza era riuscita a rendere quel tetro ambiente decisamente accogliente.
Salì i pochi gradini che conducevano al portone di ingresso; quello avrebbe dovuto essere chiuso, ma la vecchia serratura era stata forzata anni prima e non era mai stata sostituita.
Hermione spinse piano uno dei battenti, che cigolò sommessamente sui cardini.
L'atrio del palazzo era buio e cupo, illuminato solo da un piccolo lampadario a petrolio appeso al soffitto, che gettava tutt'intorno un debole e fumoso alone giallastro.
Salì le scale, anch'esse invase dalle ombre e raggiunse il secondo piano. Lo stretto pianerottolo era, come il vestibolo d'ingresso, tetro e scuro; ai due capi del corridoio, c'erano due lanterne a gas, ma quella in fondo si era esaurita da un pezzo; le pareti erano coperte da un'elegante tappezzeria color amaranto, ora scollata in più punti, intervallata da sei pesanti porte di legno, tre per lato.
L'appartamento di Ginny era l'ultimo sulla sinistra.
Hermione raggiunse la porta e bussò.
Dall'altra parte, si udirono dei suoni strascicati, quindi un tonfo; allarmata, Hermione sollevò il braccio per bussare di nuovo, mentre la mano destra si stringeva meccanicamente intorno all'impugnatura della bacchetta.
In quel momento, la serratura scattò e l'uscio venne aperto di qualche centimetro.
La massa di capelli rosso fuoco della sua amica fece capolino nella stretta fessura; l'interno dell'appartamento, notò subito Hermione, era stranamente buio.
«Oh, Herm, sei tu» sospirò Ginny, sollevata, nascondendo in fretta la bacchetta nella tasca della giacca.
Tuttavia, la porta non venne scostata di un altro millimetro.
Hermione poteva vedere solo una metà del volto dell'amica, che pareva tesa, quasi terrorizzata, e questo, unito alle circostanze decisamente insolite, era abbastanza per intuire che c'era qualcosa che non andava.
«Posso entrare?» chiese alla fine Hermione.
«Ehm» cominciò Ginny, incerta «Non credo sia il momento migliore».
«Ma-» fece per replicare Hermione, ma l'amica la interruppe «Scusa, avrei dovuto avvisarti, ma avevo dimenticato che saresti passata» disse «Ho un po' da fare, ci vediamo domani, ok?» aggiunse, quasi chiudendole la porta in faccia.
Hermione la bloccò con il palmo della mano; ora cominciava ad essere turbata anche lei. «Che succede, Ginny?»
«N-nulla» rispose l'altra, incerta «Ho solo delle cose da fare».
Hermione avrebbe voluto insistere, ma l'amica riprese «Davvero, Herm, mi spiace» disse, questa volta con un sorriso «Ma ho proprio da fare, facciamo un'altra volta».
Hermione annuì e Ginny, con un ultimo sorriso, la salutò, chiudendo di nuovo la porta, facendo poi scattare almeno due serrature diverse.
Ancora perplessa, ma senza avere ulteriori elementi per capire quello che stava accadendo, Hermione si risolse a tornare sui propri passi; sicuramente doveva esserci una spiegazione per lo strano comportamento di Ginny, e Hermione sperò che l'amica non si fosse cacciata in qualche guaio.
Stava scendendo gli ultimi gradini, quando vide due uomini fare il loro ingresso nell'atrio del palazzo; erano avvolti in pesanti cappotti scuri e portavano entrambi un grosso cappello floscio, tipico delle bande di Ghermidori, che da anni infestavano le città inglesi.
Quelli, a capo chino, le passarono accanto, apprestandosi poi a salire le scale.
Hermione avanzò fino al portone, quindi si fermò e, sospettosa, tese l'orecchio; sentì i due uomini salire una rampa di scale, poi una seconda; quindi si fermarono, borbottarono qualcosa tra loro, e ripresero a camminare.
Hermione, tesa, ma determinata, salì silenziosamente le scale, fino al secondo piano; si accucciò poi tra i gradini, scrutando i due sconosciuti attraverso la ringhiera del corrimano.
La penombra, in quella parte del corridoio, era fitta, ma Hermione intuì ugualmente che i due Ghermidori si erano fermati proprio davanti alla porta di Ginny.
Non bussarono; con un movimento secco e preciso, uno dei due lanciò un incantesimo, quindi l'altro afferrò la maniglia e spinse.
Dall'interno, un raggio rosso e intenso sfrecciò verso i due uomini, che si fecero scudo e irruppero nell'appartamento.
Hermione, terrorizzata, agguantò la propria bacchetta, quindi spiccò una corsa in avanti.
I rumori della lotta furiosa non si fecero attendere; Hermione aveva quasi raggiunto l'ingresso, quando, con un ultimo tonfo, cadde il silenzio.
Hermione si fermò, angosciata, il braccio armato teso davanti a sé; un istante dopo, un'ombra varcò la soglia.
«Che ci fai ancora qui?» urlò Ginny.
Hermione sollevata, abbassò la bacchetta.
L'interno dell'appartamento era ancora silenzioso, ma Hermione non sapeva che cosa ne fosse stato dei due Ghermidori.
«C-Cosa… ?» fece infatti per chiedere, ma l'amica l'afferrò per un braccio, strattonandola lontano. «Andiamo» la esortò poi, impaziente, mettendosi a correre.
Hermione non ebbe altra scelta che seguirla.
Ginny la guidò giù per le scale, quindi attraversò l'atrio, dirigendosi però dalla pare opposta rispetto all'ingresso, fino a una piccola porta che si apriva sul retro dell'edificio; sbucarono in un piccolo cortile, sudicio e  invaso dall'immondizia.
«Che sta succedendo?» domandò Hermione, ora più irritata che spaventata.
Ginny non rispose; si guardò intorno, circospetta, quindi attraversò lo spiazzo, fermandosi all'inizio di uno stretto e corto tunnel.
All'estremità opposta, quello era chiuso da un piccolo cancello, tutto arrugginito, affacciato direttamente sulla Arlington Road.
«Vieni» la incalzò Ginny, imboccando l'angusto passaggio.
Hermione la seguì, confusa.
Dopo qualche passo, la ragazza si fermò di nuovo, a pochi centimetri dall'inferriata, quindi si voltò verso di lei.
Le luci dei lampioni della strada illuminavano il suo viso: non sembrava più spaventata come prima, al contrario, ora Ginny esibiva un'espressione risoluta e il suo sguardo era limpido e determinato.
«Herm» bisbigliò piano, ma questa volta fu Hermione ad interromperla «Si può sapere che cosa succede? Chi erano quegli uomini, e perché ti hanno attaccata?»
«Mangiamorte» rispose Ginny, sbrigativa, ignorando lo sguardo sconvolto dell'amica «Volevano questo» aggiunse poi, estraendo dalla tasca della giacca quello che a Hermione parve essere un giornale arrotolato.
Quindi lo tese in avanti; Hermione la fissò confusa.
«Prendilo tu» la incalzò Ginny.
«Che cos'è?» fu tutto quello che riuscì a dire Hermione. Stava cominciando a capire, anche se aveva il disperato bisogno di sentirsi dall'amica che non si era davvero cacciata in quel guaio enorme.
«Una speranza» rispose Ginny, sorridendo «Una via di uscita» aggiunse.
Benché ancora perplessa, Hermione prese il giornale e lo infilò in tasca.
In quel momento, si udirono delle voci concitate e il rumore di passi in avvicinamento; i Mangiamorte si erano ripresi.
«Vai!» gridò Ginny, tirando il cancello e spingendo letteralmente Hermione all'esterno.
I due Mangiamorte spalancarono la piccola porta e si riversarono nel cortile «Eccola!» ringhiò uno dei due.
Hermione fece per tornare indietro, ma Ginny aveva già richiuso il cancello, agitando la bacchetta per sigillarlo.
«Gin-?!»
«Vai!» mormorò di nuovo l'amica, quindi si voltò per fronteggiare i suoi aggressori.
Hermione si slanciò di lato, quindi si accucciò a terra, spalle al muro, incapace sia di allontanarsi che di guardare quello che stava accadendo nel tunnel.
Udì gli schianti degli incantesimi che si infrangevano sulle pareti del passaggio, riecheggiando orrendamente, mentre le voci dei due Mangiamorte si facevano sempre più vicine.
Poi accadde.
Hermione si sporse in avanti, credendo assurdamente di poter aiutare la sua migliore amica, ed assistette così alla più tremenda delle visioni.
All'imbocco del tunnel, uno dei due uomini era caduto a terra e si divincolava furiosamente, costretto nelle pesanti funi che lo stavano stritolando.
L'altro Mangiamorte superò con un balzo il compagno, senza curarsi di aiutarlo, quindi, schivato un incantesimo lanciato da Ginny, ruggì «Avada Kedavra!»
Il letale lampo verde saettò nell'aria, generando un prodigioso riflesso smeraldino, luminoso come il sole.
Ginny venne colpita in pieno.
La forza dell'incantesimo la scagliò con violenza contro il cancello, che tremò furiosamente, quindi Ginny ricadde, esanime, sul sudicio pavimento di mattoni.
Hermione si ritrasse di scatto, la mano premuta contro la bocca per soffocare un grido di disperazione e orrore.
Il Mangiamorte, ora libero dall'incantesimo, si rialzò con un grugnito e si avvicinò al compagno.
Senza dire una parola, i due assassini cominciarono a frugare nelle tasche del cappotto della loro vittima.
«Niente» disse poi uno dei due; la sua voce era dura e aspra, il tono contrariato che non tradiva alcuna compassione.
«Feccia ribelle» commentò l'altro, sputando poi a terra.
«Credi che ci fosse qualcun altro?» chiese il primo.
Il compagno si limitò a grugnire di nuovo, quindi afferrò una delle sbarre del cancello e prese a scuoterlo con forza. «È chiuso» sentenziò alla fine.
«Deve averlo dato a quella ragazza che abbiamo visto nell'atrio».
«La troveremo» asserì l'altro, prima di lanciare l'incantesimo Levicorpus.
Il corpo di Ginny, ormai privo di vita, venne sollevato da terra, quindi i due uomini si allontanarono.
Hermione rimase immobile, anche dopo che i passi dei Mangiamorte si erano spenti in quel silenzio spettrale.
Aveva ricominciato a piovere, intanto, e le gocce ora cadevano spesse e pesanti, come se il cielo volesse piangere al suo posto.
Lentamente, Hermione si alzò e prese a camminare lungo il marciapiede deserto.

*

Hermione non avrebbe saputo spiegare come era tornata a casa.
Ricordava il tunnel, Ginny, le urla dei Mangiamorte che si avvicinavano e, in un attimo concitato, tutto finiva e lei si ritrovava seduta sulla sua morbida poltrona, un po' sfondata, davanti al camino freddo di casa.
Nel mezzo, però, si era consumata una tragedia.
Ginny, la sua migliore amica, praticamente una sorella per lei, era stata uccisa da quei mostri.
Hermione chiuse gli occhi e le immagini tremende di quello che era accaduto le riaffiorarono alla mente.
Scosse la testa, come per tentare di scacciare quella visione orrenda: il lampo verde, il boato fragoroso, le voci sprezzanti e bestiali dei due Mangiamorte.
Poi ricordò il motivo per cui Ginny era morta, la ragione che l'aveva spinta a sacrificarsi.
Infilò la mano nella tasca del cappotto ed estrasse il giornale, ancora strettamente arrotolato, che la sua amica le aveva consegnato.
“Una speranza” le aveva spiegato, affidandole quel leggero rotolo di carta.
“Una via di uscita”.
Ma da cosa?
E come?
Come poteva un omicidio essere una speranza?
Con dita tremanti, sciolse il noto del sottile spago che teneva chiuso il giornale, quindi
lo srotolò, spianandone gli angoli.
La prima cosa che la colpì fu il nome della testata, che campeggiava, grande e netto, in cima alla prima pagina: la Gazzetta del Profeta.
Non era troppo insolito, rifletté dopo; quello era stato per anni il nome del celebre quotidiano dei maghi, prima che fosse ribattezzato nel Corriere dell'Ibis.
Hermione non ne aveva mai visto uno e non poteva non provare una certa emozione nel stringere adesso tra le mani quel vecchio numero della Gazzetta.
Passò quindi a leggere il primo titolo e immediatamente comprese che c'era qualcosa che non quadrava.
“LA FINE DI COLUI CHE NON DEVE ESSERE NOMINATO”, così gridavano i primi, eleganti caratteri neri.
Metà della pagina era occupata dalla fotografia di un ragazzo, con una gran massa di capelli scuri e ribelli; malgrado il volto sporco e ferito, esibiva un sorriso calmo, sereno, e i suoi occhi, cerchiati da un paio di occhiali rotondi, erano luminosi e vitali.
Appena sopra la foto, in piccolo, il sommario recitava: “Harry Potter sconfigge ancora una volta l'Oscuro Signore”.
Hermione strizzò gli occhi, quindi rilesse il testo ancora e ancora.
Doveva esserci un errore, il Signore Oscuro non era mai stato sconfitto.
Guardò la data e il suo già grande stupore si tramutò in assoluta incredulità: il giornale era del 3 maggio 1998.
Hermione era piuttosto sicura che nulla del genere fosse accaduto appena cinque mesi prima.
Probabilmente, pensò poi, doveva trattarsi di un giornale finto, redatto da qualche ribelle, anche se proprio non riusciva ad intuire il senso di una propaganda costruita in quel modo.
Le parole di Ginny continuavano a risuonarle in testa.
“Una speranza”.
Che genere di speranza poteva fornire un giornale palesemente falso, che esibiva notizie evidentemente impossibili?
Ginny era davvero morta per una pagliacciata del genere?
Hermione si rifiutava di crederlo, ma era altresì impossibilitata a negare l'evidenza: il Signore Oscuro regnava, forte e incontrastato, da ormai quindici anni.
Cominciò a sfogliare il giornale.
Ogni articolo era dedicato alla caduta dell'Oscuro Signore: “La fine del Terrore”; “Esercito di Voldemort sconfitto”; “Il Ragazzo che è Sopravvissuto trionfa”.
E poi: “I Caduti della Battaglia di Hogwarts non saranno mai dimenticati”; “Shacklebolt nuovo Ministro?”; “Dirigenti del Ministero sotto inchiesta”.
Più leggeva e più Hermione si sentiva invadere da una sorta di euforia.
L'Oscuro Signore era morto, sconfitto per sempre, i Mangiamorte e i loro alleati erano stati arrestati, la Resistenza aveva trionfato e aveva ripreso il controllo del Ministero e di Hogwarts, ogni singola frase esprimeva quello che era il sogno dei tanti oppressi dal regime di Voldemort.
Ma era tutta una menzogna, bellissima e crudele allo stesso tempo.
Hermione richiuse il giornale, quindi afferrò la sua bacchetta.
Doveva distruggerlo, si disse.
Quella sarebbe stata la cosa migliore per tutti.


* * *

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


3.3



Capitolo II
 

Wake up







Con uno schiocco sonoro, Ron si Materializzò in Westmoore Street, nel distretto di New Charlton, a qualche isolato dal palazzo in cui viveva insieme ad Hermione.

Aveva ricominciato a piovere, ma il vento gelido si era fermato, così Ron aveva deciso di fare una breve passeggiata, approfittando dell'occasione per fumarsi una sigaretta; Hermione, infatti, non gli permetteva di accendere quei “piccoli veleni puzzolenti” in casa.
Ron pensava che lei avesse ragione a proposito dei danni provocati dal fumo, ma non aveva mai avuto la fermezza necessaria per smettere.
Se il divieto del Ministero fosse rimasto, probabilmente Ron ci avrebbe pensato due volte prima di mettere in pericolo non solo la sua salute, ma anche la sua stessa sicurezza per una manciata di sigarette acquistate sottobanco a sette galeoni al pacchetto, ma, appunto, ormai quel divieto era stato revocato, e i rischi, così come i prezzi, si erano notevolmente abbassati.
Inizialmente, infatti, il Ministero aveva messo al bando qualunque tipo di oggetto, bevanda, alimento o tradizione di matrice Babbana; tuttavia, in breve, aveva dovuto fare i conti con le abitudini radicate nella popolazione di Mezzosangue e Nati Babbani, nonché con il fatto che molti maghi erano disposti a tutto pur di concedersi alcuni di quei piccoli piaceri proibiti.
E così, alcuni bandi erano stati ritirati, con grande rammarico dei contrabbandieri  e con, al contrario, immensa felicità dei commercianti come Bagman e Wilkes, che da allora si erano arricchiti a dismisura.
Anche questo fatto, l'idea che acquistare quei prodotti non avrebbe fatto che arricchire certi personaggi ambigui, era, tra gli altri, uno dei tanti motivi che Hermione elencava per tentare di spiegargli quanto fumare fosse sciocco e sbagliato.
Nel frattempo, Ron aveva raggiunto l'ingresso del palazzo doveva viveva.
In realtà, la sua casa si trovava sotto l'edificio, in un seminterrato spazioso, quasi arioso, nonostante la posizione infelice, ma non per questo Ron poteva dirsi scontento.
Lui e Hermione si erano trasferiti lì da pochi mesi, appena tre settimane dopo il diploma, e avevano trasformato quel luogo un po' tetro in una sorta di antro luminoso, dove finalmente avevano potuto vivere in libertà.
Per il resto del mondo, infatti, ad eccezione di loro due, Neville, la famiglia di Ron e, probabilmente, Ab, lui ed Hermione erano cugini.
Quella era stata una menzogna necessaria a salvare la vita di Hermione, ma non aveva comunque impedito loro di sviluppare un sentimento profondo l'uno per l'altra, ben al di là del semplice affetto tra parenti.

   Hermione aveva sette anni quando Ron l'aveva conosciuta; era una bambina allegra, ricordava, e, già allora, molto sveglia e determinata. Viveva con i suoi genitori, Babbani, a qualche isolato dalla casa dei Weasley; la loro precedete residenza, la vecchia Tana, null'altro che un barcollante edificio situato tra le colline della campagna del Devon, era stata distrutta tre anni prima da un attacco dei Mangiamorte e, dunque, la sua numerosa famiglia era stata costretta a sfollare.

Si erano poi stabiliti in un piccolo paesino poco fuori Londra e si erano ritrovati a vivere proprio nella via parallela a quella di Hermione.
Ginny, la sorella di Ron, aveva cinque anni all'epoca, ed era l'unica femmina della famiglia Weasley; forse per questo motivo, o forse proprio perché era ancora così piccola e bisognosa di un compagno di giochi spensierato quanto lei, aveva in fretta fatto amicizia con Hermione, che era diventata una sorta di seconda figlia per la madre di Ron.
Altrettanto rapidamente, poi, i Granger, superate le prime diffidenze, erano divenuti ospiti fissi a casa dei Weasley, ed erano stati infinitamente grati per il loro supporto quando Hermione, a sorpresa, aveva cominciato a mostrare i primi, inequivocabili, segni di magia.
Ma un giorno, proprio quando l'infinita guerra del Signore Oscuro stava per volgere al termine, un paio di Mangiamorte, con al seguito una squadra di Ghermidori, erano piombati nel villaggio e avevano iniziato a rastrellare tutti gli abitanti.
Hermione stava giocando con Ginny nel cortile di casa Weasley quando era iniziato.
Ron invece era nella sua camera: si stava nascondendo da Fred e George, i suoi dispettosi fratelli gemelli, più grandi di lui di un paio d'anni.
Inizialmente, quando aveva sentito tutto quel trambusto, aveva infatti pensato che i due gemelli ne avessero combinata un'altra delle loro.
Ma poi le urla, i gemiti, le invocazioni si erano levati alti nel caldo pomeriggio estivo,  mischiandosi alle voci dure e aspre dei Ghermidori, che ruggivano ordini e lanciavano incantesimi contro chi opponeva resistenza o, molto più semplicemente, su chiunque avessero voglia, per il puro gusto di fare del male.
Poi, si era sentito qualcuno bussare con violenza alla porta di casa.
Ron, timidamente, era sceso al piano di sotto, e si era fermato davanti all'ingresso, imitato dai suoi fratelli e da Hermione.
Il padre di Ron aveva intimato loro di restare indietro, quindi, lentamente, aveva aperto l'uscio di casa.
Due grossi Ghermidori stavano ritti davanti soglia, bacchette alla mano, ed entrambi esibivano un orrendo ghigno di feroce soddisfazione sul volto; una cosa era certa, quei due si stavano divertendo un mondo.
«Documenti» aveva ringhiato alla fine uno; il padre di Ron si era affrettato ad obbedire, ostentando una sicurezza che di certo non poteva avere.
Il Ghermidore aveva dato un'occhiata al primo certificato, quindi aveva fatto una specie di grugnito di scherno, passando poi i documenti al compagno che, in fretta, aveva scorso la sua lista.
«Tutto in regola» aveva sentenziato quello, poco dopo, riconsegnando i documenti al proprietario.
«Un momento» aveva detto il primo, osservando con attenzione il mare di teste rosse alle spalle del signor Weasley. «Sarà meglio perquisire la casa» aveva deciso, ghignando, mettendo così in bella mostra una fila di denti gialli e sporchi, rivoltanti.
«Come credete» aveva detto il padre di Ron, senza riuscire a nascondere una certa riluttanza.
A quel punto, però, si erano udite delle grida: un gruppo di persone, piuttosto eterogeneo, era stato trascinato per la strada; altri tre o quattro Ghermidori stavano ruggendo degli ordini, soffocando brutalmente le suppliche e i gemiti dei loro prigionieri.
E, tra quelli, c'erano anche i signori Granger.
Tutta la famiglia Weasley si era subito riversata all'esterno, compresa Hermione, nonostante il padre di Ron le avesse detto di non farlo.
«Mamma!» aveva poi esclamato Hermione, scattando in avanti, prima che qualcuno dei Weasley potesse fermarla.
Il Ghermidore che aveva controllato i loro documenti l'aveva acciuffata, cominciando poi a sbraitare ordini ai compagni.
Anche i genitori di Hermione si erano lanciati in avanti, cercando di sottrarre la figlia alla morsa dell'uomo.
«Lascia stare mia figlia!» aveva poi esclamato la signora Granger, risoluta, come solo una madre poteva esserlo in quelle circostanze così disperate.
Il Ghermidore aveva sogghignato orrendamente; se solo fosse stato un po' più forte, aveva pensato Ron, gli avrebbe volentieri sfondato quel suo brutto muso a furia di calci.
A quel punto, però, la madre di Ron aveva fatto una cosa tanto rischiosa quanto prodigiosa; si era avvicinata ai Granger e aveva iniziato a urlare: «Feccia, Babbana!» li  aveva apostrofati «Quella è mia nipote! Lasciatela!»
I poveri genitori di Hermione si erano guardati l'un l'altra, smarriti e spaventati.
«Lasciatela!» aveva ripetuto la madre di Ron, al che quella di Hermione aveva stretto ancora di più la figlia a sé, in un gesto di istintiva protezione.
Nel frattempo, anche i due Mangiamorte erano sopraggiunti, e avevano preso ad osservare la scena con vivo interesse.
Il Ghermitore, che aveva ancora la mano stretta attorno all'esile braccio di Hermione,  aveva guardato perplesso prima i Granger, poi la madre Ron, cercando di decidere chi stava mentendo.
Alla fine, uno dei due Mangiamorte si era avvicinato e aveva chiesto «Questa qui è tua nipote?»
La madre di Ron aveva annuito con decisione. «È la figlia di mio fratello Gideon» aveva affermato.
L'altro Mangiamorte aveva estratto una specie di taccuino e aveva preso a scorrerlo.
«Qui non risulta che Gideon Prewett abbia una figlia» aveva poi sentenziato.
La madre di Ron non si era scomposta e aveva ribattuto «Questo perché non ha avuto il tempo di dichiararlo».
«Non importa, se qui non risulta dobbiamo portarla via» aveva insistito quello; la signora Weasley si era allora avvicinata all'altro Mangiamorte e aveva mormorato, indicando i Granger «La madre è Babbana, e quando ha saputo…» aveva detto, lasciando che il Mangiamorte intuisse il resto.
«La bambina è una strega?» aveva allora chiesto quello ed entrambi i genitori di Ron avevano annuito prontamente.
Il Mangiamorte aveva corrugato la fronte, pensieroso. «Molto bene» aveva approvato alla fine, facendo poi un cenno al Ghermidore di liberare Hermione.
Il suo compagno, però, che tratteneva per le braccia il signor Granger, aveva protestato «I Weasley sono traditori del sangue, la loro parola non conta nulla!»
«Siamo stati perdonati per questo» era intervenuto il padre Ron «Da Lucius Malfoy in persona!»
Di nuovo, il Mangiamorte si era accigliato.
«La bambina è una Mezzosangue, può restare» aveva sentenziato poi, zittendo il Ghermidore che aveva tentato di replicare di nuovo.
«Quanto a te» si era poi rivolto alla signora Granger «Credevi di poter nascondere una strega?» aveva chiesto «O volevate rubarle i poteri?» aveva insinuato poi, squadrando astiosamente il padre di Hermione. Quindi, minaccioso, si era avvicinato a lui, bacchetta in pugno, e gli aveva lanciato contro un incantesimo; il signor Granger aveva barcollato all'indietro, le mani premute contro il volto che, rapidamente, si era riempito di grosse bolle rosse.
I Ghermidori erano scoppiati a ridere selvaggiamente, riprendendo poi a trascinare i prigionieri lungo la strada.
I genitori di Hermione non avevano più protestato; Molly Weasley aveva portato via Hermione, al sicuro, mentre i signori Granger erano stati stipati insieme agli altri Babbani dentro una specie di grosso pullman viola, diretto chissà dove.
Solamente molti mesi dopo il padre di Ron si era arrischiato a cercare informazioni sui Granger: aveva scoperto che erano stati portati in una delle molte città-ghetto dove venivano confinati i Babbani. Non era di grande conforto, ma sapere che almeno erano vivi, per quanto ridotti in miseria, era quanto di meglio si potesse sperare.
Ron non sapeva quanto Hermione soffrisse la mancanza dei suoi genitori, ma era certo del fatto che, se si fosse trovato al suo posto, lui non avrebbe sopportato quella lontananza forzata dalla sua famiglia.
Tuttavia, probabilmente, quella convinzione era dettata dal fatto che lui non era ancora diventato padre.
Era abbastanza sicuro, infatti, che i genitori di Hermione avessero accettato quasi di buon grado quel destino crudele, quella segregazione brutale e che avrebbero anche pagato volentieri un prezzo ben più alto in cambio della salvezza della loro unica figlia.
E anche Ron si sentiva grato: non aveva la possibilità di dimostrare il suo amore per Hermione in pubblico, ma quella rinuncia gli consentiva ancora di coltivare una speranza.
Benché fosse ancora molto giovane, infatti, Ron aveva cominciato a fantasticare riguardo all'idea di avere dei figli.
Non ne aveva mai fatto parola ad Hermione, anche perché lei non aveva mai dato cenni di voler prendere la questione in considerazione, ma questo non doveva per forza significare che anche lei non nutrisse lo stesso desiderio.
Anzi, sicuramente, Hermione, che era infinitamente più pragmatica di lui, doveva essere già giunta alla medesima conclusione a cui era arrivato anche Ron: loro erano ancora molto giovani, avevano tutta la vita davanti, e non dovevano avere fretta di agire, rischiando di attirarsi addosso le attenzioni del Ministero, ancora impegnato a stanare ribelli e traditori. Loro potevano ancora concedersi il lusso di aspettare, di pazientare, finché quella pressione enorme e spaventosa non si fosse attenuata e un giorno, finalmente, una volta che le circostanze fossero state meno incerte e quella tensione si fosse distesa, quel giorno, allora, lui ed Hermione avrebbero potuto cominciare a prendere in seria considerazione l'idea di mettere su famiglia.
Sì, decisamente, essere costretto a fingere che Hermione non fosse nulla di più che una cugina per lui era un ben misero prezzo da pagare, in confronto alla grande opportunità di poter ancora costruire una famiglia.
Con questo pensiero a scaldargli l'anima, Ron prese l'ultimo tiro della sua sigaretta, spegnendo poi il mozzicone sotto la scarpa.
Si scrollò un po' il mantello, chiedendosi se non fosse il caso di lanciare su di sé un incantesimo per scacciarsi di dosso l'odore di fumo; decise poi che, con tutta quella pioggia, non ce n'era affatto bisogno, così prese la sua chiave, la girò nella serratura ed entrò in casa.
«Herm?» chiamò, scendendo i gradini.
La ragazza non rispose.
«Herm, ci sei?» chiese ancora, togliendosi il mantello.
Il seminterrato che costituiva la loro casa era una sorta di open space: una grande stanza, infatti, fungeva da cucina, salotto e camera da letto e i tre ambienti erano separati da alcuni paraventi; in fondo a destra, un'unica porta conduceva al bagno.
Non ebbe quindi difficoltà ad individuare Hermione, che era seduta sulla sua poltrona, completamente assorbita nelle lettura.
«Herm?» ripeté Ron, avvicinandosi.
Finalmente, la ragazza si riscosse.
«Oh» disse semplicemente, sollevando lo sguardo su di lui «Scusa non ti ho sentito» aggiunse.
Il suo tono era cupo, notò Ron, e aveva gli occhi gonfi, come se avesse passato le ultime ore a piangere.
«Va tutto bene?» chiese infatti lui, piegandosi sulle ginocchia davanti ad Hermione.
Per tutta risposta, la ragazza abbassò lo sguardo, scuotendo piano la testa.
«Herm» disse Ron, prendendo delicatamente le mani di Hermione tra le sue.
«Oh, Ron, mi dispiace» esalò alla fine Hermione, con un filo di voce «Non so come dirtelo» continuò.
Ron allungò una mano per sfiorare il volto della ragazza «Va tutto bene, che cosa è successo?» chiese di nuovo, confuso, e decisamente preoccupato, ma deciso a restare calmo.
«Ginny» mormorò Hermione alla fine «M-mi dispiace tanto Ron».
«Che cosa è successo con Ginny?» la incalzò, ma la ragazza non dava segni di voler rispondere, come se temesse che parlare potesse rendere tutto il suo turbamento, in qualche maniera, più vero e reale.
«L-lei» singhiozzò alla fine «Ginny è… Ginny è morta» disse poi, tutto d'un fiato, mentre le lacrime tornavano a rigarle le guance.
Ron sconvolto, quasi barcollò all'indietro.
Artigliò il bracciolo della poltrona, cercando di dare un senso alle parole che aveva appena udito. «Sei sicura?» chiese alla fine, stupidamente.
Hermione annuì, senza però sollevare lo sguardo.
Ron scattò in piedi, mentre una miriade di emozioni si scatenava dentro di lui.
Non sapeva che cosa dire, che cosa pensare.
«Come…?» riuscì a dire alla fine.
Hermione non rispose subito; si alzò, quindi si avvicinò a lui e finalmente si costrinse a guardarlo negli occhi. «È stata uccisa» rispose alla fine, con voce strozzata «Dai Mangiamorte».
«Cosa?!» esclamò lui «Perché? … Cosa?» ripeté, incapace di dare voce ai propri pensieri che si affollavano confusi nella sua mente.
Che cosa aveva fatto Ginny per infastidire il Ministero a tal punto?
Poi, rifletté, spesso i Mangiamorte non avevano bisogno di una ragione particolare; a volte bastava uno sguardo rivolto alla persona sbagliata, o una frase detta senza pensare.
«Mi ha dato questo» continuò Hermione; si girò, quindi prese il fascicolo che stava leggendo quando Ron era arrivato.
«Mi ha detto che era importante» riprese la ragazza «E credo di aver capito perché» aggiunse, consegnandogli quello che riconobbe essere un giornale.
Ron lo prese e notò che sembrava diverso dal solito; in breve comprese il perché: quello non era un numero del Corriere dell'Ibis.
Perplesso, cominciò a scorrere la prima pagina.
“La fine del Signore Oscuro” recitava il primo titolo, “Harry Potter sconfigge ancora una volta l'Oscuro Signore”.
Non aveva alcun senso, pensò, e infatti chiese «Che roba è?»
«Un giornale» rispose Hermione.
«Questo lo vedo» ribatté lui, un po' brusco.
Hermione ignorò il suo tono e aggiunse, con un sorriso «Parla della Resistenza che ha sconfitto il Signore Oscuro».
Ron gettò un'altra occhiata alla prima pagina, quindi obiettò, cauto, e un po' incerto «Ma, Herm, la Resistenza non ha vinto».
«Questo lo so benissimo» replicò lei, asciutta.
Allora di che cosa stavano parlando?
Sotto lo sguardo attento della ragazza, Ron cominciò a sfogliare il giornale, leggendo i titoli degli articoli, senza però riuscire a darne un senso logico.
«Miseriaccia, Herm» esalò alla fine «Io lo so che cos'è questo».
«Che cos'è?» lo incalzò lei.
«È uno di quei giornali di quel matto di Lovegood».
«Lovegood?»
«Ne stavo parlando prima con Neville» continuò Ron, sicuro, richiudendo il giornale e fissando la foto del ragazzo con gli occhiali; aveva un aspetto stranamente famigliare, anche se lui non riusciva a ricordare dove l'avesse già visto. «Mi ha detto che proprio oggi gli hanno revocato la licenza per la sua testata» riprese poi, sollevando lo sguardo su Hermione, che ora sembrava pendere letteralmente dalle sue labbra, avida di informazioni. «Pubblica queste cose di propaganda ribelle» spiegò infine.
«Non è solo propaganda ribelle, è qualcosa di più» ribatté Hermione, convinta.
«Herm…» cominciò allora lui «so che possono sembrare molto convincenti, ma sono tutte notizie false».
«È se non fosse così?»
«So che sei sconvolta per Ginny» replicò Ron, cauto «E nemmeno io vorrei credere che sia morta per uno stupido pezzo di carta, ma-»
«Ron non si tratta solo di-» tentò di ribattere Hermione.
«Ma il Ministero ha dato ordine di distruggere questi giornali» concluse lui, cupo.
«Se sono solo degli stupidi pezzi carta perché il Ministero vuole distruggerli?» osservò Hermione, incrociando le braccia al petto.
«Perché sono illegali ed è tradimento anche solo possederne uno» disse lui, ragionevole, tentando di mantenere un tono calmo. «Domani dobbiamo andare al Ministero» continuò poi, sempre misurando le parole «dobbiamo denunciare la scomparsa di Ginny e fare finta di non sapere niente, né della sua morte, né tanto meno di questi giornali…»
«Ron….» tentò ancora Hermione.
«Se dovessero sospettare qualcosa uccideranno anche noi» insistette lui, ora in tono urgente.
«Non mi importa!» esclamò lei, piccata.
«Per la barba di Merlino, Herm!» sbottò Ron, incredulo e spaventato.
Hermione lo ignorò e riprese «Ginny mi ha dato questo giornale, lei ci credeva ed è morta per questo! Non posso semplicemente fingere di non aver visto quei mostri ucciderla, non posso ignorare questa verità!»
«Verità?» esclamò Ron, sbigottito. «Herm, di solito sei tu la voce della ragione, ma questo…» disse poi, calmo «Questo è solo spazzatura».
«Non è così!» ribatté Hermione; era agitata, quasi euforica. «Guarda» lo incalzò, strappandogli il giornale di mano e prendendo a sfogliarlo con foga. Trovò la pagina che stava cercando, quindi la girò per lui.
Ron lesse con poco interesse l'articolo, che parlava della Battaglia di Hogwarts; c'era una grande immagine animata, che occupava la metà centrale di entrambi i fogli, e che mostrava una parte del castello ridotta in macerie, mentre un gruppo di ragazzi, dall'aspetto stanco e sofferto, si stava scambiando sguardi felici e soddisfatti
«Ho controllato» proseguì Hermione «non è stata falsificata in nessun modo, non c'è alcun incantesimo di simulazione, questa foto è vera».
Ron osservò l'immagine con attenzione; tuttavia, si disse, se Hermione stava dicendo il vero, doveva comunque esserci un'altra spiegazione.
«Sarà stata scattata apposta» propose infatti, qualche istante dopo.
Hermione scosse la testa, decisa, quindi voltò la pagina e riprese «E qui, leggi» indicò «Fred Weasley» continuò, prima ancora che Ron avesse il tempo di fare come gli era stato detto «Morto in battaglia» spiegò «Perché scrivere una cosa del genere? Tuo fratello è vivo!»
«E invece mia sorella è morta!» sbottò Ron, irritato.
Hermione parve vergognarsi, quindi ripiegò il giornale, in silenzio; tutta la sua grinta battagliera sembrava essersi dissolta.
«Hermione» disse poi Ron, in tono conciliante «Ti supplico, non… non posso perdere anche te» esalò alla fine, dando finalmente voce alla sua più grande paura, che si era affacciata alla sua mente non appena la ragazza aveva cominciato a fantasticare di battaglie mai combattute e lieti fini mai scritti.
Hermione si avvicinò a lui e lo strinse con affetto tra le sue braccia.
Ron ricambiò, ma poi il suo sguardo si posò sul tavolino accanto alla poltrona, dove erano poggiati un libretto e un piccolo rettangolo di cartone.
«Che cos'è?» chiese, sciogliendosi dall'abbraccio.
Hermione seguì la traiettoria del suo sguardo, quindi rispose, incerta «N-niente».
Ron raggiunse il piccolo tavolo e prese il cartoncino.
“Hive Café” lesse rapidamente “Darklake View, Portsmouth”.
«Un biglietto da visita?» riconobbe poi, perplesso.
«Può darsi, forse ci è finito in mezzo» disse lei, disinvolta.
Ron le rivolse uno sguardo sospettoso, quindi prese il libro.
«Perché hai l'orario dei treni aperto alla pagina per Portsmouth?» chiese, in tono quasi accusatorio.
Hermione fece per rispondere, ma Ron continuò «Hermione…»
«Non-»
«Ti prego, dimmi che non stai pensando di andarci».
«Devo capire, Ron» ribatté lei, decisa.
«Non c'è niente da capire!» esclamò Ron, esasperato.
Hermione, risentita, fece di nuovo per protestare.
«Senti, ora è tardi» disse lui, conciliante «Ci mettiamo a dormire e ne riparliamo con calma domani mattina, va bene?»
Hermione si limitò ad annuire, sconfitta.
Ron l'abbracciò di nuovo, pregando in cuor suo che una buona notte di sonno potesse farla rinsavire.


* * *


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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


4.4


A Sprout in the Wind







Birmimgham, 12 ottobre 1998




Draco Malfoy non si era mai sentito tanto nervoso ed eccitato allo stesso tempo.

Dopo anni di studio e di impegno costanti, finalmente avrebbe avuto la sua occasione per dimostrare il proprio valore.
Ma non c'era ancora nulla di deciso e quindi Draco non sapeva se e come quell'opportunità si sarebbe concretizzata.
Il suo mentore, però, l'aveva rassicurato: «Presto renderai onore al tuo impegno per l'Oscuro Signore» aveva detto, prima di chiudersi nel suo ufficio insieme a un altro Mangiamorte, che Draco non conosceva.
O forse magari sì, pensava, ma sarebbe comunque stato impossibile per lui riconoscerlo con indosso la maschera; i fedeli seguaci del Signore Oscuro, infatti, vestivano sempre l'uniforme completa dei Mangiamorte quando dovevano occuparsi di faccende ufficiali, una precauzione, questa, che Draco considerava affatto necessaria, ma che probabilmente risaliva ancora ai tempi prima della guerra, quando, proprio grazie all'assoluto anonimato, i Mangiamorte erano riusciti ad infiltrarsi tra i ranghi del vecchio Ministero, distruggendolo così dall'interno.
Draco sospirò, inquieto.
Il suo maestro era là dentro da quasi un'ora, intento a definire i dettagli della missione, nella quale, gli aveva assicurato, Draco avrebbe avuto un ruolo di primo piano.
Sarebbe stato il suo primo incarico e tutta la sua futura carriera sarebbe probabilmente dipesa dal suo esito. Tuttavia, Draco non era spaventato; al contrario, la sua agitazione derivava dall'impazienza di mettersi alla prova e tutto quello che desiderava in quel momento era fare irruzione nell'ufficio ed esortare quel Mangiamorte a fare in fretta.
Naturalmente, però, non era quello il modo giusto per iniziare e così Draco si costrinse a rimanere seduto sulla poltrona, sforzandosi di trovare interessante l'ultimo numero del Periodico del Pozionista.
Lo sfogliò distrattamente, finché non si imbatté nella foto della celebre Rita Skeeter, che pubblicizzava il suo ultimo romanzo “I Segreti del Regime”.
“Quella donna è ovunque” pensò tra sé Draco, voltando pagina e ritrovandosi davanti un noioso articolo che spiegava come sminuzzare correttamente il Fagiolo Sopoforoso.
Ritornò alla pagina precedente e lesse il breve annuncio che accompagnava il ritratto ammiccante della Skeeter “Siete pronti a conoscere i segreti più oscuri e sordidi dei nostri governanti?” sollecitava la prima frase, e Draco si ritrovò a leggerla con la voce accattivante e provocatoria della donna. Sicuramente, rifletté, quali che fossero quei segreti, quelli non potevano essere neanche lontanamente oscuri, altrimenti il libro non avrebbe mai superato la censura; molto più probabilmente si trattava solo di qualche pettegolezzo, rimaneggiato e gonfiato ad arte dalla giornalista, e che riguardava un qualche funzionario ministeriale di basso livello, o magari un Capo Dipartimento divenuto sgradito.
La Skeeter, infatti, aveva compreso in fretta che non avrebbe venduto neanche un solo volantino se si fosse azzardata a dare fastidio a un qualche personaggio di rilievo, e aveva capito ancora più rapidamente che si sarebbe ritrovata in uno dei cubicoli dell'Undicesimo Livello se avesse osato contestare la politica del Governo.
E così, senza esitazioni, né scrupoli, si era allineata al pensiero di Regime, conquistandosi la direzione del Corriere dell'Ibis e un posto in prima fila ad ogni evento di rilievo.
Non era stata una sorpresa per Draco, infatti, ritrovarsela davanti durante la cerimonia della consegna dei diplomi.
Benché infastidito, quel giorno era stato uno dei più belli della sua vita, ed era stato troppo felice perché la presenza invadente della giornalista potesse turbarlo.
Dopo sette lunghi anni, infatti, finalmente Draco, come i suoi compagni, aveva terminato il suo ciclo di studi, conseguendo gli esami finali e conquistandosi il pieno diritto ad entrare nella Comunità Magica.
La solenne cerimonia si era tenuta alla presenza del Signore Oscuro in persona, oltre che delle famiglie dei ragazzi, di alcuni alti funzionari del Ministero e dell'onnipresente Rita Skeeter.
Draco, in particolare, era stato elogiato per il percorso intrapreso fino a quel momento e per aver dimostrato di incarnare tutti i valori e i pregi auspicati dal Regime.
Inoltre, l'articolo che era uscito in prima pagina sul Corriere del giorno dopo, era stato una vera e propria consacrazione della famiglia Malfoy e quella era probabilmente stata l'unica volta in cui Draco aveva apprezzato il lavoro della donna.
La Skeeter, infatti, non aveva risparmiato complimenti e lodi per il “giovane e promettente rampollo di una delle famiglie più Nobili e Pure della nostra comunità”.
In effetti, quello era stato un momento importante, non solo per l'ego dei Malfoy, ma per tutto il Ministero.
I neo-diplomati, infatti, appartenevano alla generazione nata durante la guerra ed erano stati i primi a completare il nuovo ciclo di studi, accuratamente predisposto dal Ministero e varato per la prima volta nel 1991, anno in cui appunto Draco aveva iniziato il suo percorso a Hogwarts.
Un tempo, infatti, la millenaria scuola di Magia aveva accolto tra i suoi studenti ragazzi provenienti da ceti, e stirpi, diversi; dopo la firma della pace, però, il Ministero aveva subito posto rimedio a quel grave errore, ammettendo tra le mura della prestigiosa scuola solo i figli di Purosangue e Mezzosangue. Ma la guerra, allora, era tutt'altro che conclusa e, dunque, le ulteriori, necessarie, misure per rinnovare i programmi scolastici e risollevare la fama di Hogwarts erano state messe da parte.
Era stato solamente dopo qualche anno, quando, finalmente, la Resistenza era stata piegata e il Ministero aveva cominciato ad organizzare la nuova società magica, che era nato il Dipartimento per l'Istruzione e la Formazione Magica, che aveva ridefinito le politiche di ammissione, redatto i nuovi programmi e riassegnato le cattedre.
Ora, infatti, ad Hogwarts, venivano ammessi solo i figli di famiglie Purosangue e Mezzosangue di comprovata lealtà, escludendo dunque i Nati Babbani, i Traditori del Sangue, gli ex ribelli perdonati e, ovviamente, tutti coloro che non appartenevano, interamente o in parte, alla specie magica umana, ovvero licantropi, vampiri e ibridi. Per questi ultimi era stata istituita una scuola speciale, situata nell'Irlanda Nord, mentre i Nati Babbani e i figli dei traditori avevano trovato accoglienza in una seconda scuola di magia, edificata sulle macerie della vecchia università Babbana di Cambridge.
Le materie che venivano insegnate in entrambi gli istituti erano le medesime ed erano anche più o meno le stesse che avevano caratterizzato il percorso curricolare della vecchia Hogwarts, ad eccezione di Babbanologia, che era diventata obbligatoria, poiché la conoscenza delle differenze tra Maghi e Babbani era ritenuta, ovviamente, di fondamentale importanza, di Arti Oscure, che aveva sostituito la vecchia Difesa contro le Arti Oscure, e di Storia della Magia, che, oltre a non essere più insegnata dal vecchio fantasma rimbambito, aveva subito una drastica riorganizzazione, con una preferenza marcata verso la storia degli ultimi decenni.
Queste ultime due erano inoltre obbligatorie fino al settimo anno, mentre Babbanologia era facoltativa dal sesto.
In definitiva quindi, dalle antiche mura Hogwarts avrebbe dovuto uscire una nuova generazione di maghi, preparata e competente, finemente istruita e pronta a servire e a proteggere il Nuovo Ordine dei Secoli, i cui eroi tanto avevano faticato per riportare la nobile stirpe magica nella posizione che aveva sempre meritato.
E Draco era il simbolo di quella generazione, e il successo, o il fallimento, della sua missione non avrebbe avuto ripercussioni solo sul suo futuro e su quello della sua famiglia, ma anche sull'intero programma ideato dal Ministero.
Un qualunque altro ragazzo, come lui poco più che maggiorenne, si sarebbe sentito oppresso dal peso di quella responsabilità, ma Draco non aveva paura di fallire, ed era impaziente di dimostrare, a se stesso e agli altri, le proprie capacità.
Aveva passato gli ultimi mesi nei sobborghi di Birmingham, a infastidire i Nati Babbani, facendo pratica di quello che aveva imparato sugli idioti ubriachi che si lasciavano sfuggire qualche parola di troppo, ma adesso era arrivato il momento, per lui, di combattere davvero.
Stava pensando a queste cose, assaporando il gusto dolce e deciso del trionfo, che quasi non si accorse che la porta dell'ufficio era stata aperta.
Scattò in piedi, proprio nell'istante in cui il Mangiamorte mascherato varcava la soglia; quello gli rivolse un rapido cenno con il capo, quindi si avviò lungo il corridoio, scomparendo in fretta dentro l'ascensore.
«Draco» lo chiamò James Potter, il suo mentore, comparendo davanti alla porta.
Draco si voltò; un po' della sua esaltazione era svanita, ma fu comunque con passo sicuro che seguì l'uomo di nuovo all'interno dello studio, accomodandosi poi su una delle sedie davanti alla scrivania.
Per un po' rimasero entrambi in silenzio.
Draco si costrinse ad assumere un'espressione calma e rilassata, tentando di non lasciar trasparire tutto il nervosismo e l'aspettativa che nutriva in quel momento.
Potter stava intanto riordinato alcune carte, che poi raccolse insieme in un fascicolo; quindi si sedette, le mani intrecciate sopra il faldone di documenti, apparentemente immerso nei propri pensieri.
Draco si agitò sulla sedia, che scricchiolò debolmente, ma l'altro non parve notarlo.
«Come di certo saprai» esordì poi quello, a un tratto «ci sono ancora dei focolai di ribellione nel Paese».
Draco annuì prontamente.
«Abbiamo ricevuto notizie di alcune attività criminali nella zona sud di Portsmouth» proseguì Potter «Pare che sia il covo di uno dei vari capi della Resistenza, probabilmente si tratta dell'uomo che gestisce tutte le piccole fazioni del sud-est inglese» spiegò, aprendo il fascicolo. Prese uno dei documenti, quindi glielo allungò, senza interrompere la sua illustrazione «Sappiamo che deve incontrare un corriere di Londra, e sappiamo che questo corriere deve consegnare un oggetto, di cui il Ministero deve assolutamente entrare in possesso».
Draco intanto si era sporto in avanti, per leggere il contenuto del documento; si trattava di una sorta di scheda identificativa, riguardante un uomo dall'aspetto patito e sofferto, all'incirca della stessa età del suo maestro, segnalato come “soggetto ad alto rischio”.
«Quindi devo prendere l'oggetto e arrestare questo… Lupin?» chiese, rileggendo una seconda volta il nome dell'uomo; non l'aveva mai sentito nominare, rifletté, e faceva davvero fatica ad immaginarselo, così scarno ed emaciato, a capo di una pericolosa banda di ribelli.
Potter non nascose una smorfia di disappunto «No, non devi arrestarlo. Anzi, non devi né avvicinarlo o insospettirlo in alcun modo» ribatté, severo. «Non ci serve a nulla da morto, non per il momento, almeno» aggiunse, davanti all'espressione perplessa, e un po' imbarazzata, di Draco.
«Quindi che cosa devo fare?» chiese Draco.
«Devi andare a Portsmouth e aspettare il corriere» disse Potter, in tono pratico, riprendendo il documento e inserendolo di nuovo nel fascicolo insieme agli altri.
Quindi aprì un cassetto della scrivania e ne estrasse un altro foglio «Qui ci sono tutte le informazioni che abbiamo raccolto nelle ultime settimane» spiegò «Luoghi, date e orari degli incontri» continuò, consegnandogli il documento «Sappiamo che il corriere cambia ogni volta, ma quasi sempre si tratta di un ragazzo, o una ragazza, giovane, più o meno della tua età. Questa volta il Ministero aveva messo le mani su di lei prima ancora che riuscisse a partire, ma, evidentemente, doveva avere un complice ed è riuscita a consegnargli la sua merce prima dell'arrivo dei Mangiamorte. Visto poi come si sono messe le cose, il Ministero ha ragione di credere che si tratti di un qualche esponente di spicco della Resistenza, ed è di vitale importanza catturarlo».
Draco scorse rapidamente il foglio. «Come sappiamo che il complice andrà da Lupin proprio adesso?» chiese poi «Insomma, se sospettavano già che avessimo tutte queste informazioni, probabilmente penseranno che sia più prudente aspettare».
«Non lo faranno» sentenziò il suo maestro «C'è un altro corriere in arrivo da Liverpool. Sappiamo che Lupin ha il compito di raccogliere entrambi i materiali e poi trasmetterli a qualcun altro, probabilmente all'estero, e certamente la Resistenza sa che è molto meglio continuare con il piano originario, piuttosto che aspettare e rischiare che qualcun altro venga identificato».
«E se quest'altro corriere di Liverpool incontrasse quello di Londra prima di me?» obiettò ancora Draco.
«È quello che spero, dal momento che sei tu il corriere di Liverpool» disse Potter, con un ghigno «Abbiamo intercettato il ragazzo» continuò «Tu prenderai il posto».
Draco non poté reprimere una smorfia delusa.
«Quindi dovrò usare la Polisucco?» chiese poi, nervoso; cominciava a vedere troppe falle in quel piano: per esempio come poteva fingersi un membro della Resistenza, arrestare il ribelle e poi fuggire senza insospettire Lupin?
Tuttavia, il suo maestro sembrava perfettamente calmo e determinato. «No» rispose infine, lievemente infastidito da tutte quelle domande «Perché credi che abbia impedito a Rita Skeeter di pubblicare le foto della cerimonia?» aggiunse poi, ammiccando astutamente da dietro le lenti rotonde degli occhiali «Come ho già detto, comunque, i corrieri cambiano sempre, perciò è improbabile che si siano già incontrati».
Draco, però, continuava a non essere del tutto convinto.
«Di solito usano dei nomi in codice, ma noi abbiamo fatto lo stesso delle indagini» proseguì Potter, accennando al sottile fascicolo «Qui troverai una scheda riassuntiva, con le generalità e alcune altre informazioni sul ragazzo che abbiamo arrestato» aggiunse «Spesso i giovani corrieri sono figli o parenti di qualche ribelle, perciò, se qualcuno dovesse avere dei sospetti e dovesse farti delle domande, potrai facilmente rispondere» assicurò, consegnandogli gli incartamenti.
Draco li prese e cominciò a sfogliargli distrattamente.
«Nel fascicolo, inoltre, troverai il materiale che gli abbiamo sequestrato».
«Cosa, qui?» domandò Draco, sorpreso «Di che si tratta?»
«Non ti riguarda» tagliò corto Potter «I corrieri non sono tenuti a conoscere il contenuto della merce. Meno sanno, meno possono confessare, se venissero catturati» spiegò.
«Tutto quello che ti serve sapere è nel fascicolo» aggiunse ancora «La busta sigillata è la merce che doveva essere consegnata. Sarà la tua garanzia, se le cose dovessero mettersi male per te. Trova il corriere da Londra, arrestalo e confisca il suo materiale» ordinò. «Da questo momento tu sei Anthony Goldstein e il tuo nome in codice è The Ship» concluse.
Il suo maestro sembrava aver pensato a tutto, ragionò Draco, dunque che motivo aveva lui di preoccuparsi?
«Partirai oggi stesso» continuò Potter. «Di sotto troverai alcuni vestiti» disse, alludendo alla stanza che di solito veniva usata come deposito «Scegli qualcosa di appropriato» si raccomandò poi «ricordati che devi impersonare un ribelle squattrinato».
Draco annuì prontamente.
«Bene, direi che è tutto» dichiarò Potter. «Se tutto va come previsto, dovresti essere di ritorno fra tre giorni, con entrambe le merci e il ribelle sotto custodia. Usa il treno per andare, ma ritorna con la Materializzazione, non possiamo correre il rischio che il corriere fugga o che qualcuno ti scopra. La tua copertura dovrà rimanere intatta» ricapitolò. «Non serve che ti dica» aggiunse poi «che se porterai a buon fine la missione renderai un grande servizio al Signore Oscuro».
Di nuovo, Draco annuì.
«E renderai orgoglioso tuo padre» aggiunse ancora Potter, al che Draco non poté reprime una smorfia di disagio.
«Non ti deluderò» ribatté lui, deciso, e questa volta fu il suo maestro a lasciarsi sfuggire un ghigno infastidito, ma, allo stesso tempo, i suoi occhi lasciarono trasparire un certo compiacimento.
«Kessah ylasto aaythsaass nalaaskemfee*» sibilò alla fine Potter.
«Kessah ylasto aaythsaass nalaaskemfee» ripeté Draco, congedandosi.
Uscito dall'ufficio, però, decise di prendersi un momento, prima di infilarsi nell'ascensore e raggiungere uno dei piani interrati.
Si avvicinò a una delle grandi vetrate dell'edificio. La Rotunda, questo era il nome che gli architetti Babbani avevano scelto per quell'enorme torre che sovrastava la città, era una costruzione grande e, appunto, rotonda, alta trenta piani, a cui si aggiungevano i dieci livelli sotterranei.
Dopo la guerra, il Ministero aveva ritenuto di lasciarla in piedi e così, in meno di una notte, i maghi lo avevano ristrutturato ed ampliato, aggiungendo sei livelli interrati e dieci piani; l'avevano ribattezzata The Wand, per via della sua forma slanciata e circolare, davvero simile a una bacchetta, e per il fatto che era stata scelta come sede dei numerosi uffici governativi cittadini, impregnati, dunque, di magia, proprio come il cuore di una bacchetta.
Draco si accostò maggiormente alla grande finestra; da lassù, al trentatreesimo piano della torre, si poteva godere di una vista magnifica della città.
Birmingham era stata quasi completamente ricostruita dopo l'avvento del Signore Oscuro: le strade erano state ripulite, i Babbani erano stati confinati nelle periferie e solo pochi edifici della città originale erano rimasti in piedi, lasciati là a marcire come monito per tutti gli oppositori del Nuovo Ordine.
Sì, decisamente l'Oscuro Signore aveva portato pace e benessere in ogni parte del Paese, laddove prima i Babbani avevano invece lasciato prosperare criminalità e degrado.
Draco non poteva sentirsi più orgoglioso di far parte di quel nuovo mondo e, finalmente, stava per dare prova di essere degno di portare il nome della Nobile e Pura famiglia Malfoy.


* * *



* Traslitterato dal serpentese e significa “l'unico sangue è (quello) puro”; è una frase che viene usata dai seguaci di Voldemort come formula di saluto e congedo (naturalmente, loro l'hanno semplicemente imparata a memoria e non parlano certo serpentese).
In origine era una uno slogan usato dai primi Mangiamorte, poi divenne una sorta di “parola d'ordine” usata come conferma della propria identità, e in seguito, solo con la definitiva vittoria di Voldemort, è diventata un saluto.
Inoltre, consente ai Mangiamorte di varcare una delle numerose barriere di protezione attorno al covo del Signore Oscuro (altri scudi possono essere superati solamente mostrando il Marchio Nero, cosicché sia impossibile per chiunque avvicinare Voldemort, a meno che non si faccia parte della sua cerchia ristretta).




N.A.


Salve a tutti!
Innanzitutto, grazie a tutti coloro che stanno seguendo la mia storia e mi scuso per la lunga attesa dell'aggiornamento, ahimè, gli esami tolgono tempo, vitalità, venalità artistiche, vitalità, creatività, vitalità… ho già detto vitalità e voglia di vivere?

Alla prossima allora (spero non tra un mese!)

_Jo

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


4....

The princess in the Hive




13 ottobre 1998



“Perdonami.”
Questo era tutto quello che Hermione aveva avuto la forza di scrivere quella mattina, quando, poco prima dell'alba, era uscita, diretta alla stazione del treno.
Aveva lasciato il biglietto sul suo cuscino, accanto a Ron, che ancora dormiva, placido e ignaro; quindi si era infilata il cappotto, aveva afferrato il piccolo borsone, riempito in tutta fretta con alcuni vestiti puliti, la bacchetta, il portafogli e il misterioso giornale di Ginny, ed era uscita di casa.
Ora stava aspettando il treno, uno dei pochi della giornata.
Infatti, da quando i maghi avevano preso il potere, la rete ferroviaria era stata quasi del tutto smantellata e treni, autobus e aerei erano caduti pressoché in disuso; dopotutto, che bisogno c'era di mantenere quell'enorme infrastruttura solo per una manciata di pendolari?
Con i Babbani impossibilitati a muoversi liberamente per il Paese, i principali fruitori di quel servizio rimasti erano contrabbandieri, Ghermidori e, in generale, tutti quei maghi che preferivano muoversi nell'ombra.
Il Ministero, infatti, esercitava un controllo costante tramite l'Ufficio del Trasporto Magico: l'Autorità della Metropolvere concedeva le licenze e monitorava i camini, e lo stesso faceva il Comitato per il controllo delle Scope, mentre la Materializzazione era strettamente regolata dall'apposito Centro che aveva il compito di tracciare ogni movimento nelle aree sensibili. Per farlo, si serviva di una sorta di Scudo di accesso, posto attorno a edifici e zone particolarmente rilevanti, nonché alle grandi città inglesi, che lanciava un allarme ogni qualvolta un mago si Materializzava all'interno dello Scudo: immediatamente, un incantesimo anti-Materializzazione lo colpiva e una coppia di Guardie compariva sul posto e richiedeva il Foglio di Permesso; inutile dire quello che sarebbe successo al mago che ne era sprovvisto.
Il treno, dunque, restava il mezzo più sicuro per spostarsi senza dare nell'occhio.
Un ometto basso e tarchiato, avvolto in un pesante mantello di lana le passò accanto, trafelato «Era solo uno Knarl» lo udì borbottare tra sé, ma in un attimo lui l'aveva sorpassata e la sua voce, come il suo proprietario, si perse ben presto nella nebbiolina grigiastra che invadeva la banchina e i binari.
Hermione si strinse nel cappotto, controllando nervosamente l'orologio.
Quella mattina l'aria era gelida.
Aveva piovuto per tutta la notte e la miriade di minuscole gocce di pioggia aveva ricoperto ogni cosa con una sottile, opaca, patina ghiacciata.
L'operosa capitale inglese si era già svegliata da un pezzo, ma la stazione ferroviaria era silenziosa e quasi deserta.
In effetti, quel luogo sembrava essere un mondo a parte, sospeso nel tempo, anche se Hermione non avrebbe saputo dire quale.
Di certo, non poteva trattarsi di quello prima della guerra.
Allora lei era troppo piccola per ricordare, ma era sicura che le stazioni fossero state un luogo pieno di vita, di luci e di rumori, di voci concitate che rimbalzavano da un pilone all'altro, di risate e di pianti, di gente che si salutava prima di un lungo viaggio o che si abbracciava felice di essere tornata a casa, di innamorati che si scambiavano un lungo, appassionato bacio, prima di separarsi, di bambini vocianti, euforici e impazienti di arrivare a destinazione.
Ma qualunque fosse stato lo scenario di quei giorni lontani, ormai non era che un ricordo sbiadito nelle menti dei più anziani.
Waterloo Station ora era un luogo tetro e silenzioso.
I pochi pendolari presenti se ne stavano per conto proprio, alcuni parlottando tra sé come aveva fatto l'uomo dello Knarl, i più aspettavano in silenzio, con il cappuccio tirato in avanti, fin sopra gli occhi, la testa bassa e l'aria nervosa.
Nessuno era venuto a dire loro arrivederci.
E non c'era da fidarsi di nessuno lì.
Hermione si strinse ancora di più nel cappotto, se per ripararsi dal freddo o da quell'aria di malsana insicurezza non era chiaro.
La voce gracchiante dell'altoparlante squarciò quel silenzio quasi surreale, annunciando l'arrivo del treno da Norwich diretto a Portsmouth.
Tremante, afferrò il piccolo borsone e mosse qualche passo in avanti.
Dopo qualche istante, udì il penetrante fischio del treno che, sferragliando, fece il suo ingresso nella stazione; in breve, quello si arrestò davanti alla banchina, spalancando le consunte porte automatiche.
Hermione, incerta, salì a bordo; come aveva previsto, il treno era semivuoto.
A differenza dell'espresso per Cambridge, che Hermione aveva preso per i sette anni precedenti, quello era decisamente sporco: la lunga serie di vagoni scompagnati era sporca e male illuminata, molti sedili erano stati divelti, e qua e là erano stati sostituiti da altri completamente diversi. Alcuni mostravano evidenti tracce di fatture e incantesimi, e c'erano macchie di quello che sembrava sangue.
Hermione avanzò nel corridoio squallido, attraversò alcune carrozze finché non ne trovò una che aveva un aspetto un po' più confortevole: la moquette era lisa, i sedili sporchi, ma i finestrini erano tutti intatti e in generale non si sentiva quell'odore stagnante di putrido che pervadeva gli altri scomparti. Scelse un posto in fondo, sistemò il borsone sulla rastrelliera, mormorò «Tergeo» per dare una ripulita e si sedette, mentre il treno cominciava già a muoversi e a guadagnare rapidamente velocità. Dopo pochi minuti, il cuore di Londra era scomparso, e il profilo della campagna inglese iniziava a delinearsi nell'orizzonte grigio e nebuloso.

*

Ron avrebbe capito, si ripeté per la milionesima volta, mentre il treno rallentava ed entrava sferragliando nella stazione finale.
Hermione si alzò, scoprendo di avere le gambe intorpidite; le massaggiò nervosamente, quindi si allungò a prendere il borsone.
Con un gran stridio e uno scossone finale, il treno si fermò.
La banchina della stazione di Portsmouth era praticamente deserta. L'ometto tarchiato che aveva notato alla partenza era il solo passeggero oltre a lei; gli altri dovevano essere scesi nelle fermate intermedie.
Quello si incamminò rapido verso sinistra e imboccò una scala che doveva portare a uno dei sottopassaggi che si districavano sotto i binari.
La stazione di Portsmouth era spettrale e tetra come quella di Londra, ma l'aria era più mite.
Hermione slacciò la cintura del cappotto e, con una mano in tasca stretta attorno alla bacchetta, si diresse verso il sottopasso.
Non c'era traccia dell'uomo, né di nessun altro, ma affrettò comunque il passo, ansiosa di raggiungere la superficie.
Aveva studiato la mappa di Portsmouth sul treno: il misterioso Hive Cafè si trovava nel sobborgo di Southsea, alla periferia meridionale della città; per raggiungerlo avrebbe potuto Materializzarsi, ma aveva deciso che sarebbe stato più prudente prendere uno dei pullman che partivano ogni ora dalla vicina Coach Station.
Non sarebbe arrivata prima di pomeriggio, ma era meglio non correre rischi.
Nello spiazzo principale, una lunga fila di autobus era disposta ordinatamente.
Poco distante, un mago alto e dinoccolato stava rannicchiato in un piccolo cubicolo, non più grande di una toilette.
Hermione attese pazientemente che una strega bassa e robusta si allontanasse, seguita d'appresso dai due figli, quindi domandò quale degli autobus portasse a Southsea; quello, con un cenno pigro del braccio, indicò il secondo pullman sulla destra, quindi tornò a concentrarsi su una rivista che, a giudicare dalle immagini sulla copertina, doveva essere piuttosto sconcia.
Hermione si affrettò verso l'autobus indicato, che aveva già acceso il motore, pagò le quattro falci per il biglietto e si avviò per il breve corridoio alla ricerca di un posto isolato. C'erano una dozzina di passeggeri oltre a lei, compresa la strega che aveva notato prima; tutti viaggiavano da soli, a parte la donna con i due bambini che, ora che poteva vederli da vicino, non le somigliavano affatto.
Il rombo del motore crebbe d'intensità, mentre le grosse ruote cominciavano a spingere lentamente l'autobus all'indietro.
Hermione prese posto due file dietro i bambini, posando il borsone sul sedile vuoto accanto.
«Un momento!»
Il grido, soffocato dal rumore e dagli spessi finestrini era stato appena percettibile; il pullman si fermò e la portiera anteriore venne aperta con un cigolio.
Il ritardatario salì a bordo, borbottò qualcosa all'autista e fece scivolare nella cassetta alcune monete d'argento che tintinnarono allegramente.
Hermione si sporse leggermente di lato; un giovane alto e biondo camminava nel corridoio.
Aveva un'aria altera e un po' spavalda, ma quando i loro sguardi si incrociarono, vide spuntare sul suo volto affilato un sorrisetto malizioso; Hermione si ritrasse di scatto, vagamente disgustata.

*

Draco si sentiva euforico. Il viaggio in treno era stato scomodo, e il pullman non sembrava offrire maggiori conforti, ma per il momento stava andando tutto liscio.
Nessuno gli aveva fatto domande scomode; i pochi passeggeri sembravano troppo concentrati sulle proprie faccende per preoccuparsi degli altri e questo era un bel vantaggio per lui. Naturalmente, aveva già la risposta pronta nel caso qualcuno gli avesse chiesto lo scopo del suo viaggio, ma se poteva evitare di destare attenzioni sgradite, tanto meglio.
Si guardò attorno, ma dopo una fugace occhiata iniziale, gli altri passeggeri erano tornati a farsi gli affari propri; qualcuno leggeva il giornale, i più tenevano lo sguardo basso e si lasciavano cullare dal morbido dondolio del pullman.
In diagonale, una fila più avanti, c'era la ragazza che Draco aveva notato prendendo posto. Era piuttosto carina e per un attimo aveva avuto l'impulso di sedersi accanto a lei; era bravo ad attaccar bottone con le fanciulle e difficilmente impiegava più di qualche minuto per convincerle a seguirlo in un posto un po' più appartato. I sedili in fondo erano vuoti e dubitava che qualcuno dei passeggeri avrebbe badato a due giovani intenti a scambiarsi effusioni. Tuttavia, aveva una missione da portare a termine, e non poteva farsi distrarre dal primo bel faccino incontrato.
Avrebbe festeggiato al suo ritorno; a Birmingham le belle ragazze non mancavano di certo, come aveva avuto modo di constatare.
Forse a suo padre non sarebbe piaciuto sapere che Draco spendeva la maggior parte del suo tempo, e dei suoi soldi, in pub e abiti di alta sartoria, ma se questa missione fosse riuscita, lui sarebbe entrato di diritto nelle fila dei Mangiamorte, e a quel punto avrebbe avuto diritto a una rendita personale, della quale avrebbe potuto fare quello che preferiva.
La sera prima, aveva discusso anche di questo aspetto insieme al suo migliore amico.
Harry e Draco erano come fratelli: compagni di scuola a Hogwarts, erano da subito diventati inseparabili; inoltre James Potter, il padre di Harry, era uno dei Mangiamorte più influenti, e Draco provava per lui un profondo e sincero rispetto, oltre che a un grande ammirazione.
Ogni tanto lui e Harry venivano bonariamente presi in giro dai loro amici per questo, perché sembrava quasi che fosse Draco il figlio di James: non era insolito, infatti, vederli parlottare durante gli eventi mondani, e tutti quelli che gravitavano intorno a Harry nella speranza di guadagnarsi favori e privilegi dal suo illustre padre, ben presto si rendevano conto che, un giorno, il vero potere sarebbe stato tramandato a Draco.
Tuttavia, questo non aveva mai fatto sorgere rivalità tra loro.
Harry si godeva la sua posizione sicura e privilegiata, mentre Draco coltivava le sue ambizioni; entrambi avrebbero ottenuto quello che desideravano e in un futuro non lontano sarebbero diventati i maghi più illustri e potenti del Paese, secondi solo al Signore Oscuro.
La prima, fondamentale fase di quel viaggio verso la vetta del potere era appena iniziata.

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


66





Regret




13 ottobre 1998





Harry detestava Piton.
Odiava i suoi modi sprezzanti, la sua aria di superiorità, la sua arroganza.
Ogni cosa di lui era sgradevole.
Severus Piton era stato il suo insegnante per sette, lunghi anni.
Già dal primo giorno, Harry aveva dovuto sopportare le sue battutine svilenti durante le interminabili ore di Pozioni. Il fatto che fosse figlio del famoso James Potter non sembrava importagli, come se non temesse rappresaglie da parte sua.
E purtroppo, aveva dovuto constatare, aveva ragione: Piton era un Mangiamorte di alto rango, quanto bastava perché il padre di Harry non si spingesse oltre qualche commento minaccioso.
L'ultima lezione prima degli esami era stata una specie di festa di diploma anticipata: non avrebbe più dovuto avere a che fare con quell'untuoso, sgradevole mago.
Tuttavia, un paio di giorni prima, era arrivata una lettera dal preside, il professor Lumacorno, che lo invitava nel suo ufficio per discutere della sua futura carriera; Piton, in qualità di suo vice, nonché direttore degli allievi dell'ultimo anno, sarebbe stato presente.
Harry era seccato.
Quell'incontro era solo un proforma: per i neodiplomati come lui era giunto il momento di scegliere la strada da intraprendere, ma, naturalmente, suo padre gli aveva già procurato un impiego al Ministero come vice-capo sezione del Dipartimento Permessi e Licenze del Ministero. Evidentemente, però, procedure e burocrazia andavano rispettate.
Harry pensava di recarsi a Hogwarts da solo ma, a sorpresa, sua madre aveva insistito per  accompagnarlo.
Era una scocciatura, perché certamente il preside avrebbe accolto calorosamente, e lungamente, la moglie del famoso James Potter, il capo del Dipartimento di Applicazione della legge sulla Magia, praticamente il Ministro in seconda; Harry, invece, avrebbe preferito stare alla presenza di Piton il meno possibile.
Sua madre, però, era stata irremovibile, e ora Harry stava sfogando la sua frustrazione gettando alla rinfusa i suoi abiti per la stanza, prendendosi tutto il tempo per vestirsi con calma. Arrivare in ritardo all'appuntamento era il solo mezzo che aveva per mostrare a Piton il suo disprezzo.
Con deliberata lentezza studiò la sua immagine nello specchio e si diede un'ultima, studiata arruffata ai capelli. Erano sempre stati folti e ribelli, ma Harry non aveva mai tentato di domarli. Gli conferivano un'aria di altera indolenza e, soprattutto, piacevano alle ragazze.
Quando ebbe terminato le scuse per attardarsi, decise di scendere in salotto, dove sicuramente sua madre lo stava aspettando.
«Te l'ho già spiegato, Margery, non puoi venire con noi»
Harry varcò la porta del salotto, dove Lily Potter era alle prese con l'ennesimo capriccio della sua sorellina minore.
«Ma perché?» protestò Margery, pestando i piedi sul pavimento, le mani strette a pugno. Era sempre stata molto testarda.
«Basta così» replicò sua madre, in tono conclusivo.
Per un attimo, madre e figlia si fronteggiarono.
Erano l'una la copia in miniatura dell'altra, come le persone non mancavano mai di notare.
Margery aveva ereditato i folti capelli rossi e gli occhi verdi della madre, nonché il suo stesso carattere forte e deciso.
Harry, invece, assomigliava moltissimo a suo padre James, tranne che per gli occhi, che erano uguali a quelli di Lily e di Margery.
Suo fratello Edward, di cinque anni più piccolo di Harry, invece, era in tutto e per tutto identico al padre.
Nel frattempo Margery doveva aver capito che la questione era chiusa; con un'ultima occhiata piena di frustrazione, voltò le spalle alla madre e uscì dalla stanza in silenzio.
Lily sembrava molto turbata, ma si ricompose all'istante vedendo Harry entrare.
«Sei pronto?» gli chiese.
Harry annuì, avvicinandosi al camino ed entrambi presero una manciata di Polvere Volante.
Harry detestava quel modo di viaggiare. Era rapido e sicuro, ma sporco; la cenere si insinuava ovunque e spesso il calore era insopportabile.
Così, di mala grazia, gettò la Polvere tra le fiamme e vi saltò dentro, enunciando con chiarezza la sua destinazione; dopo parecchi vortici smeraldini comparve nel camino dell'ufficio del preside.
Il professor Lumacorno era seduto alla sua scrivania e all'altro capo c'era l'odioso Piton, un bozzolo nero chino su una pila di documenti.
Il preside si alzò in fretta, tanto quanto lo permetteva la sua enorme mole.
«Harry, ragazzo mio, benvenuto!» tuonò gioviale, facendo tremare i suoi grossi baffi biondicci. «Un po' in ritardo, ma non importa» puntualizzò, facendogli l'occhiolino e Harry pensò l'avesse detto solo perché Piton doveva essersi lamentato fino a un attimo prima. Questo era stato il suo preciso obiettivo, pensò felice, gettando un'occhiata veloce
all'odiato insegnante che, invece, era rimasto seduto; in quel momento, lui sollevò lo sguardo, colmo di astio, quindi tornò a dedicarsi alle sue carte.
Harry uscì dal camino e, pochi istanti dopo, Lily Potter comparve al suo fianco.
Piton mise da parte i documenti e si alzò in piedi.
Non era cambiato da quando Harry aveva avuto il dispiacere di conoscerlo per la prima volta; alto e untuoso, indossava sempre la divisa dei Mangiamorte. A suo padre donava un aspetto rigoroso e solenne, mentre Piton sembrava solo un pipistrello gigante.
«Buongiorno, signora Potter» salutò il preside, entusiasta, porgendole poi una mano grassoccia, che quasi stritolò quella piccola e affusolata di sua madre.
Piton salutò a sua volta, limitandosi poi a un rigida e frettolosa stretta di mano. «Signor Potter» aggiunse rivolto a lui, la bocca atteggiata in una smorfia che Harry conosceva fin troppo bene. Non gli tese la mano, cosa che non gli dispiacque affatto.
Il professor Lumacorno non se ne accorse.
«Accomodatevi» li invitò, indicando le due poltroncine all'altro capo della scrivania, una delle quali era stata occupata da Piton fino a un minuto prima.
Erano soffici e un po' pacchiane, come il resto dell'ufficio del preside, arredato in maniera lussuosa, quasi ridondante.
Le pareti, una volta tappezzate dei ritratti dei presidi del passato, ora erano occupate da mensole e scaffali, ricolmi di libri pregiati, oggetti scintillanti e foto di personalità illustri.
Quella più grande, collocata in posizione privilegiata, ritraeva il Signore Oscuro, che  scrutava i presenti con i suoi intensi occhi rossastri.
Harry e sua madre presero posto, mentre Piton faceva comparire un'altra sedia, molto semplice ed essenziale e dall'aspetto duro e scomodo.
Piton non aveva mai amato gli agi, rifletté.

*

Lily si agitò nervosamente sulla poltrona di chintz, ma nessuno dei presenti parve notarla.
Piton, infatti, stava passando a suo figlio un ultimo documento di firmare; Harry intinse di nuovo la penna nel calamaio, scambiandosi un cenno di intesa con il professor Karkaroff, che li aveva raggiunti pochi minuti dopo il loro arrivo.
Igor Karkaroff insegnava Arti Oscure a Hogwarts, ed era il professore preferito di Harry. Non era un mago di sorprendente abilità, ma era viscido e accattivante, sempre pronto a favorire i suoi studenti prediletti, dispensandoli dai compiti più noiosi e garantendo per loro quando violavano il coprifuoco.
«Bene signor Potter, direi che abbiamo finito» dichiarò il preside, allegro e Piton prese a radunare i fogli firmati.
Harry si alzò subito, chiaramente grato di poter lasciare l'ufficio.
«Complimenti, Harry» gli disse Karkaroff, battendogli una mano sulla spalla «Farai carriera in un attimo» dichiarò compiaciuto.
Lily rimase seduta. O adesso o mai più, si disse.
«Vorrei scambiare due parole con il professor Piton, se possibile».
Il preside parve risentirsi, ma poi tornò ai suoi soliti modi affabili «Naturalmente, come desidera mia cara» disse, alzandosi «Puoi usare il mio ufficio, Severus».
Piton lo ringraziò con un cenno del capo.
Harry le rivolse uno sguardo perplesso «Va bene» disse infine, con noncuranza, quindi si avviò verso la porta, con Karkaroff accanto, che aveva ancora la mano posata sulla sua spalla, e Lumacorno che trotterellava dietro di loro.
«È quasi ora di pranzo, saranno tutti in Sala Grande, saranno felici di rivederti» disse Karkaroff, in tono confidenziale, e il preside gli fece eco «Oh certo, farò preparare qualcosa di speciale dagli elfi domestici giù in cucina» dichiarò entusiasta, chiudendosi la porta alle spalle.
Lily attese qualche istante, per assicurarsi che fossero fuori portata d'orecchio.
Era angosciata, ma Piton era la sua unica speranza ormai.
L'uomo la scrutava attentamente e parve accorgersi del suo stato d'animo, perché chiese «C'è qualcosa che non va?»
Lily non rispose. Abbassò la testa, cercando di sfuggire allo sguardo minaccioso del Signore Oscuro; era solo una foto, ma Lily non riusciva  a scacciarsi di dosso l'impressione di essere osservata da quei gelidi occhi rossi, pronti a fulminarla non appena avesse dato voce ai suoi pensieri pericolosi. Respirò profondamente, tentando di calmarsi e trovare le parole giuste.
«Lavorare per il Ministero può comportare qualche rischio, ma la sezione Licenze non opera sul campo, non c'è motivo di preoccuparsi» riorese Piton, ma Lily lo ascoltava a malapena. Mise su lo sguardo più determinato che riuscì a trovare e, finalmente, esordì «Non è di Harry che voglio parlare».
Piton annuì impercettibilmente, invitandola a proseguire.
«Si tratta di mia figlia, Margery»
Si fermò di nuovo.
Stava commettendo un errore? Poteva davvero fidarsi dell'uomo che aveva davanti?
Fu lui a riempire il silenzio.
«Dovrebbe compiere undici anni il prossimo anno, giusto?»
Lily si limitò ad annuire.
«Che io sappia, l'elenco dei nuovi iscritti non è ancora arrivato» continuò Piton «Ci sono ancora dei ritardi nelle comunicazioni, la lista deve essere prima espurgata» aggiunse, alludendo ai Nati Babbani che continuavano a spuntare nonostante le politiche ministeriali «Ma naturalmente, sarete i primi ad essere contattati… »
«Margery non verrà a Hogwarts» lo interruppe Lily.
Piton l'osservò confuso.
«Margery è una bambina buona, dolce, gentile, ma-» le parole le si strozzarono in gola; comprese solo in quel momento che non sarebbe mai riuscita a pronunciarle.
Di nuovo, Piton la studiò attentamente, trafiggendola con i suoi scaltri occhi neri «Credi sia una Maganò?» le chiese.
Lily si sentì quasi sollevata; lui aveva intuito la situazione con molta più rapidità di quanto avesse osato sperare.
«Io lo so!» rispose «James e io abbiamo provato di tutto» continuò; la paura, l'urgenza di trovare una soluzione ora fungevano da catalizzatore, scacciando la disperazione che l'aveva oppressa fino a quel momento e dandole la forza di continuare a parlare. «È stato inutile. James si è arreso, da mesi ormai tratta Margery come se non esistesse».
Cadde di nuovo il silenzio, carico e teso.
«Mi dispiace» commentò Piton alla fine «Non posso immaginare quello che stai provando» aggiunse «Ma anche volendo, non posso aiutarti, la legge è legge, lo sai».
Lily avvampò, furente «È mia figlia!» esclamò, indignata «Non posso lasciare che la prendano!»
«Lily» tentò lui, conciliante «Capisco… »
«No, tu non capisci! È mia figlia!» ripeté. Si era alzata in piedi, anche se non ricordava di averlo fatto, e ora guardava Piton dall'alto in basso, cieca di rabbia.
«Tuo marito è uno degli uomini più potenti del Paese» considerò lui con semplicità, ma a Lily non sfuggì la sua smorfia insofferente, come se ammetterlo gli costasse un tremendo sforzo «Non può sottrarsi alle leggi che incarna lui stesso, perderebbe ogni credibilità, la sua autorità verrebbe meno, lo sai»
«Quelle leggi sono barbare!» protestò Lily.
«Prima non la pensavi così» osservò lui, calmo, alzandosi però a sua volta «Non hai mosso un dito quando il Ministero ha cominciato a dare la caccia a Sanguemarcio e Babbani, hai voltato la testa quando i Maghinò venivano usati come cavie. Dovresti considerarti fortunata, vista la vostra posizione, per Margery sarà una cosa rapida e discreta» disse, gelido.
Lily era sconvolta, ma Piton aveva appena cominciato «Proprio tu, che a scuola mi accusavi di frequentare cattive compagnie, di interessarmi troppo a maledizioni e incantesimi oscuri. Mi hai disprezzato per questo, e ne avevi il diritto, pensai. E poi che cosa hai fatto? Quando il tuo James si è unito a quelle stesse brutte compagnie non hai avuto nulla da obiettare, vero?» continuò, implacabile «Ha fatto falsificare i tuoi documenti perché sfuggissi alle persecuzioni, e poi ha iniziato a massacrare quelli come te. Ha mandato a morte i suoi vecchi amici, trucidato Babbani e traditori, ma per te andava bene!»
«Sei solo un'ipocrita» concluse, disgustato.
Era vero, aveva ragione, pensò Lily nel panico. Severus era stato la sua ultima possibilità.
«Ho avuto paura» ammise; non voleva cercare giustificazioni, anche se quelle parole suonavano terribilmente come una patetica scusa.
«Harry era appena nato, dovevo proteggerlo. Non era rimasto più nessuno in grado di fermare il Signore Oscuro, James e io abbiamo preso l'unica decisione possibile per salvare la nostra famiglia. L'ho fatto per mio figlio».
Si accorse di avere gli occhi pieni di lacrime, la sua coscienza, che aveva messo a tacere per tanti anni, ora minacciava di distruggerla.
Non aveva avuto scelta, si era ripetuta.
Silente era stato sconfitto, privato dei suoi poteri, il Ministero ormai ridotto all'impotenza e la Resistenza, per quanto caparbia, senza più una guida non aveva avuto speranze di vincere contro l'esercito del Signore Oscuro.
Si erano arresi, ma nulla poteva giustificare le atrocità di cui si erano resi complici.
Aveva sacrificato i suoi stessi principi per amore di suo figlio e ora i morti le presentavano il conto.
Piton continuava a fissarla in silenzio, l'espressione indecifrabile.
«Il Signore Oscuro si è preso tutto» riprese lei «Harry, l'hai visto, freme alla prospettiva di servirlo e Edward… credo di aver perduto anche lui. Ma Margery no, non posso, non voglio che mi porti via la mia bambina!»
Severus non disse nulla.
Poi, lentamente, si avvicinò e, senza esitazione, la cinse in un abbraccio.
Lily, dapprima sorpresa, si abbandonò tra le sue braccia, ritrovandosi a piangere sulla spalla del suo vecchio amico.
«Ti aiuterò» sussurrò Severus al suo orecchio e Lily lasciò che quelle parole agissero come un balsamo sulla sua anima colpevole e ferita.

*

Ron non riusciva a credere di essere stato così ingenuo.
La mattina dopo la morte di Ginny, si era svegliato e aveva trovato il letto accanto a sé vuoto.
Non aveva neanche provato a chiamare Hermione; sapeva già che non era più in casa.
Gli aveva lasciato un biglietto con scritto “perdonami”, che Ron aveva accartocciato con rabbia e poi gettato sulle braci inerti della piccola stufa.
Avrebbe dovuto bruciarlo.
Aveva poi passato la mattinata rimuginando sul da farsi. La sera prima aveva pensato di recarsi al Ministero per denunciare la scomparsa di Ginny, ma la partenza di Hermione aveva cambiato tutto. Avrebbe dovuto denunciare anche la sua di scomparsa? Oppure avrebbe dovuto inventarsi una scusa per giustificare la sua assenza? E se sì, quale?
Hermione non aveva parenti lontani, a parte i genitori Babbani, di cui non aveva più avuto notizie da quel pomeriggio di tanti anni prima. C'era la famiglia di Ron, che ufficialmente era anche quella di Hermione, ma non voleva coinvolgere i suoi fratelli più del dovuto.
Anche se, prima o poi, avrebbe dovuto mettersi in contatto con loro: presto si sarebbero accorti della strana assenza di Ginny.
Ma il Ministero era stato più veloce dei suoi ragionamenti frenetici.
Un paio di Guardie aveva bussato alla porta poco prima di pranzo, chiedendo di Ginny.
Ron aveva finto di non sapere nulla di ciò che le era accaduto e aveva fornito loro l'indirizzo della sorella; quelli se n'erano andati in fretta, apparentemente soddisfatti.
Ma Ron sapeva che sarebbero tornati.
E infatti, in serata aveva visto arrivare altri due uomini; non portavano la divisa dei Mangiamorte, né mostravano alcun segno di riconoscimento, ma Ron sapeva che erano sgherri del Ministero.
Avevano tenuto la casa sotto sorveglianza per ventiquattro ore, poi si erano allontanati.
Ron si era sentito sollevato.
Un altro errore di valutazione.
Erano tornati poche ore dopo, in uniforme; avevano fatto irruzione nel seminterrato e l'avevano perquisito, trovando il biglietto di Hermione.
Tanto era bastato per trarlo in arresto.
Era stato un idiota, si disse per l'ennesima volta.
«Bene bene, Weasley» disse una voce, fredda e strascicata «Non hai perso tempo a seguire le sventurate orme dei tuoi genitori, traditori del proprio sangue» lo schernì.
«Portatelo nella stanza degli interrogatori».





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