Il volo della viverna

di DreamFyre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Caccia ***
Capitolo 3: *** Esibizione ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Da lontano sentiva le urla di draghi e altre viverne come lui che venivano torturati per farsi rivelare posizioni strategiche, far confessare crimini o espiare colpe. Ma nessuno sarebbe venuto a torturare lui perché non ce n'era motivo; il suo caso era più chiaro e semplice di un ruscello d'acqua limpida. Un'enorme viverna nera dalle ali munite di uncini si era avventata su un gruppo di draghi più robusti di lei ma anche più piccoli; due ne aveva ammazzati a fiammate e colpi d'uncino, un terzo l'aveva mandato a sbattere contro una parete rocciosa fracassandogli un'ala. Poi i draghi si erano fatti in tanti ed era stata presa. Perché l'avesse fatto non era importante, di certo non gliel'avrebbero chiesto; era molto più probabile che lo ammazzassero il prima possibile e nulla più. Con un artiglio grattò la superficie di roccia liscia sopra cui giaceva in catene. Avrebbe dovuto inciderla? Lasciarci il suo nome? Questo era il suo retaggio, la sua eredità, il proprio nome scarabocchiato in una cella umida? I suoi sensi ebbero un guizzo, quando udì un suono di passi in avvicinamento. Quattro zampe e nessun grattare d'uncini, quindi doveva essere un drago. Ci fu un saettare di lingua bluastra, e poi un muso color cenere emerse dall'oscurità. Occhi azzurro cielo fissarono quelli scarlatti della viverna in catene. Varmoth rimase in silenzio, aspettando che gli venisse comunicato la sua imminente condanna a morte. "Ho steso le guardie. Ma non abbiamo comunque molto tempo." "Cosa?" Si chiese mentalmente la viverna che non poteva parlare a causa del morso di ferro in bocca. Il drago emerse completamente dall'oscurità, e dal scintillare freddo sul suo collo vide che aveva le chiavi della sua cella e delle sue catene. Prima aprì la cella molto lentamente, assicurandosi che non cigolasse troppo, poi iniziò ad armeggiare con le catene che trattenevano Varmoth. La viverna si sentì più leggera, quando le catene gli scivolarono di dosso. "Perché mi aiuti?" La bocca gli faceva male, ma doveva sapere il perché di quel salvataggio e chiedere era un obbligo. "So perché hai attaccato quei draghi" rispose il drago leccandosi il muso tozzo e ruvido "e non è giusto che tu sia condannato a morte per questo. Stavi solo ottenendo la tua vendetta." Varmoth tacque, stringendo gli occhi e affondando gli artigli nel terreno dalla rabbia. Pensieroso, era tornato con la memoria a quell'orribile momento, a quando aveva fatto la macabra scoperta. "Non è ora di pensare a quello" il drago interruppe il filo dei suoi pensieri con una pacca sulla sua spalla. "Adesso pensa a lasciare quest'isola e di fretta anche, per fortuna è notte e non ti vedranno, almeno lo spero." "Be', non so cosa dire... grazie." Varmoth lo guardò ancora un pò dubbioso, poi uscì dalla cella e spalancò le ali uncinate. Sentì le ossa scricchiolare piacevolmente, ed emise un sospiro deliziato. Senza chiedersi più niente iniziò a prendere quota, ruotando il corpo in posizione verticale per uscire da una delle strette fessure della torre prigione. Gli dispiaceva per le altre viverne prigioniere, ma da solo non poteva far niente. Si sarebbe solo fatto riacciuffare se avesse tentato di liberarle. L'aria fresca della notte lo investì, e il cielo trapuntato di stelle lo fece sentire euforico. Non avrebbe mai pensato che le avrebbe riviste di nuovo. Mentre volava via, sentì nella sua testa la voce del drago che lo aveva salvato. "La tirannia della dama finirà a breve."

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Capitolo 2
*** Caccia ***


La fame lo attanagliava. Prese la spinta e si librò nel cielo, spazzando rametti e foglie nell'aria con le forti ali nere sfumate d'un azzurro metallico. Le ferite pizzicavano e tiravano di continuo, stancandolo e obbligandolo a numerose soste e riposini durante il giorno. Lucertole, scoiattoli, uccelli e marmotte non bastavano più; aveva bisogno di qualcosa di più sostanzioso. E poi la caccia lo avrebbe distratto dal pensare dal drago che lo aveva liberato, dal suo nido distrutto e alla cattiveria della Dama Nera. L'unico posto in cui trovare del cibo più appetibile era un villaggio, doveva attaccarne uno. I suoi occhi rossi scrutavano il buio e tagliavano le nuvole. I draghi non sempre sono capaci di vedere al buio, alcuni non possono o vedono solo in parte. Le viverne, invece, sono tutte perfettamente in grado di vederci persino nell'oscurità più nera. Hanno un corpo più affusolato, grazioso, da assassino silente. Le luci del villaggio furono gioia per i suoi occhi, e ben celato dalle tenebre iniziò a prendere quota. Salì, salì finché perfino lui non iniziò a sentire freddo, e infine chiuse le ali attorno al corpo. In caduta libera puntò la testa verso il basso, verso il villaggio, e gli occhi si fissarono sulla stalla più grande che riusciva a vedere. Le fauci si schiusero, e Varmoth iniziò ad accumulare tutto il calore corporeo nel petto. Un fischio sempre più acuto preannunciò la formazione di una sfera nera in bocca, sulla lingua, creatasi dal suo fuoco violaceo, un fuoco che ora gli illuminava il collo e le spalle. Quando ormai mancavano pochi metri al contatto con la stalla sputò la sfera nera sul tetto. Essa s'incendiò, prese fuoco e il tetto della stalla esplose. Un coro di urla terrorizzate squarciò la notte, mentre si scatenava il fuggi fuggi generale. Alcuni accorsero verso la stalla per cercare di spegnere l'incendio, altri vedevano la sagoma mastodontica di Varmoth e lo additavano urlando. "Un drago! Un drago!" Lui li guardò malissimo, mostrando i denti mentre descriveva una curva attorno a loro. Come osavano scambiarlo per un drago? Non vedevano che non aveva le zampe anteriori? Il fuoco dell'incendio non lo illuminava abbastanza? Dalle fauci uscì una nuova sfera nera, che colpì il terreno davanti agli uomini che lo additavano facendo scappare anche loro. L'erba bruciò ed avvizzì, e quando fu certo che tutti lo avrebbero lasciato in pace si posò a terra. Divorò mezza dozzina di pecore, vive ma mezze bruciate dal fuoco, e una la catturò con una zampa per conservarla per i giorni successivi. Ignorando le urla degli umani e la loro disperazione Varmoth si levò nel cielo, lasciando dietro di sé fumo e devastazione.

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Capitolo 3
*** Esibizione ***


"State tutti zitti" sussurrò qualcuno dal fondo della grande sala di pietra. Moonlover deglutì cercando di reprimere l'ansia e l'agitazione. Dopotutto non si era forse preparato per mesi interi per quell'esibizione? Lui era il solo in forma umana, la sua famiglia e il resto del suo popolo erano in forma di dragoni. Dragoni blu, rosa, arancioni, verdi, rossi, indaco, giallo e di tantissimi altri colori. Se socchiudeva gli occhi gli sembrava di guardare dentro un caleidoscopio impazzito, da tanti che erano i colori che lo circondavano. Dragoni erano acciambellati attorno a lui, altri si arrotolavano sulle stalattiti, altri erano ben stiracchiati come anguille stecchite e alcuni, quelli più interessati dal punto di vista tecnico della musica, gli penzolavano sulla testa per osservare le sue dita che toccavano le corde dell'arpa. Moonlover prese coraggio, un bel respiro e mentre stava per iniziare a suonare davanti a tutti una coda di smeraldo gli ondeggiò davanti al naso. "Rivermelody, sposta quella coda!" "Oh, scusami!" sussurrò la draghetta alzando la folta codina pelosa e avvolgendosela attorno ad una zampa. Tolta quella breve intromissione Moonlover iniziò finalmente a suonare. Da subito la sua musica fu soave, un dolce arpeggiare angelico che produceva una sensazione di pace. Quella sensazione si sparse per la sala, fra tutti i draghi, e molti furono i sospiro di soddisfazione. Resistette alla tentazione di alzare lo sguardo per cercare i volti dei suoi genitori, ma sapeva che lo stavano guardando con un'espressione fiera e soddisfatta. Contrariamente a quello che aveva pensato non ebbe nessuna paura, quando suonava l'arpa era come se entrasse in un mondo in cui c'era lui soltanto. Finì di suonare gradualmente, per non disabituare nessuno con troppa fretta a quella magica sensazione di benessere. Ancora non aveva suonato l'ultima nota che tutti i draghi stavano applaudendo. Alcuni usavano le zampe anteriori, altri sbattevano la coda a terra ritmicamente per simulare il suono di un applauso. Moonlover alzò la testa e sorrise timidamente, non era abituato ad avere tutte quelle attenzioni addosso. "Bravo, bravo!" sentì che diceva sua madre al culmine della soddisfazione personale per quel figliol prodigo. Lui le sorrise, correndo verso di loro per abbracciarli. "Sono davvero contento, non hai sbagliato nemmeno una nota" mormorava suo padre. Moonlover li vide enormi e fu allora che si ricordò di non essere ancora tornato in forma di dragone. Rimediò subito, e un grazioso quanto serpentino dragone blu marino si aggiunse agli altri. Dopo i complimenti i dragoni si buttarono tutti sul buffet, che consisteva in pesci, crostacei ed altre deliziose bontà ittiche. "WOW! COME HAI FATTO?" Moonlover sussultò e quasi si strozzò con una chela di granchio, tossendo per un minuto buono. "Fatto che?" Chiese girandosi. Si ritrovò a pochi millimetri di distanza dal muso indaco di Springblow e per poco non si ribaltò per terra dalla sorpresa. "A suonare così bene! Sembrava avessi fatto una magia a tutti!" replicò ad alta voce l'entusiasta Springblow, che agitava la coda dappertutto e per poco non ribaltò a terra tutto il cibo di Moonlover. "Oh, ah... con la pratica, l'esercizio costante, queste cose qui..." "E quand'è che lo insegni anche a me?" ribatté l'altro dragone, che era poco più grande del suo amico blu. "Mi piacerebbe molto suonare come fai tu!" "Springblow, ne abbiamo già parlato e credo tu abbia altri talenti..." "Sì, ma non vuoi mai dirmi qual è questo super talento nascosto che secondo te possiedo! Allora, qual è?" "Già, qual è?" chiese la madre di Moonlover, Cherryblossom, seduta accanto al figlio, che aveva ascoltato tutto e aveva atteso il momento giusto per ficcare il muso nel discorso. Fissava il figlio con curiosità. "Ehh..." Moonlover avrebbe voluto seppellirsi. Come faceva a dire apertamente che secondo lui il più grande talento di Springblow era l'arte della caccia? Lo aveva osservato quando in mare cacciavano pesci, aveva studiato le sue zampe flessuose, il muso che si arricciava, i muscoli che si tendevano per scattare al momento giusto ai danni di un pesce sfortunato. Il modo in cui nuotava, elegante e sinuoso, quegli occhi solitamente sempre dolci e miti che al momento della caccia diventavano sottili, penetranti, vagamente crudeli e oh, così... così attraenti... "CHI HA PRESO IL MIO PESCE?" un urlo squarciò la sala e Moonlover tirò un sospiro di sollievo ancor prima di domandarsi chi avesse parlato. Ormai né Cherryblossom né Springblow lo ascoltavano più, erano presi (come tutti ora) a guardare la vecchia Softulip. "Sei sicura di non averlo già mangiato?" le domandò seccatamente il commensale vicino. Ormai sapevano tutti che Softulip stava perdendo ogni contatto con la realtà a causa del peso dei suoi anni. Se le dicevi un segreto potevi star sicuro, perché meno di un minuto più tardi lo avrebbe dimenticato. "No, no! Me l'han rubato, rubato ti dico!" "Oh, basta!" tuonò ad un certo punto Boldwing, uno dei capi dei dragoni. "Ecco, prenditi il mio!" E le lanciò un tonno di dimensioni formidabili. Softulip spalancò gli occhi dalla sorpresa ritrovandosi un pesce sotto il naso. "Mi hanno riportato il mio pesce!" annunciò. Tutti emisero sbuffi d'impazienza e tornarono a mangiare. Cherryblossom guardò il figlio, ma lui era piegato in due sulla pancia. "Caro, non stai bene?" "Ho un pò di mal di pancia, forse un'anguilla mi ha dato fastidio... posso tornare a casa a stendermi?" "Certo, certo, ma non vuoi che venga con te?" "No ce la faccio, davvero! Tu rimani qua con papà e gli altri, posso tornare a casa da solo... ehi, ci vediamo Springblow!" E prima che l'amico potesse rispondere Moonlover si era già lanciato fuori dalla caverna di gran carriera, dimenticandosi pure della sua arpa. Felice di non poter arrossire quando era in quella forma volò dritto filato a casa solcando il cielo stellato, sospirando e pensando a quanto era stato fortunato. Per poco non era stato costretto ad ammettere che provava interesse per il suo amico d'infanzia.

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